L’E dIToRIALE Penali/CP...minare l’organo di governo autonomo, l’inna-turale collegamento tra...

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CentoUndici LA RIVISTA dELLA CAMERA PENALE dI RoMA - dirett ore responsabile: Avv. Valerio Spigarelli - direttore e ditoriale: Avv. Francesco Tagliaferri N° 1 SETTEMBRE 2015 “Do you remember revolution?” I l congresso dell’Unione delle Camere Penali Italiane cade, come tradizione, alla “apertura dell’anno scolastico”, cioè alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa feriale. Il che permette di discutere dei principali temi di politica giudiziaria, prima di tutto met- tendo a fuoco una scala di priorità su quelle che sono – o dovrebbero essere – le questioni più rilevanti. E’ però necessario evitare di cadere nella tentazione compilatoria, cioè l’indicazione di una lista della spesa (riforma costituzionale, intercettazioni, custodia cautelare, re- stauro della impostazione accusatoria del codice, rafforzamento del ruolo della difesa, etc. etc.) che annulla la riflessione politica e si trasforma in una sorta di novena ga- rantista buona per tutte le stagioni. In effetti la carne al fuoco è tanta, basti pensare alla riforma del codice di procedura che si discuterà proprio alla riapertura, ovvero a quella della prescrizione, oltre che alla sempiterna e mai risolta questione delle intercettazioni, ma il tema più propriamente “politico” su cui occorre riflettere è quello dell’analisi della azione legislativa e di governo fin qui condotta e della inter- locuzione che l’avvocatura deve mantenere. L’Unione è partecipazione L’E dIToRIALE L a pena, sostanza punitiva e tensione all’emenda; il carcere, l’orrore che lo accompagna e lo descrive. Percorsi muti verso il nulla. Uno Stato che si ripiega su se stesso in una logica biecamente punitiva ed offre un capro espiatorio cui indirizzare miserie e sentimenti di oppressione e di insoddisfazione. Un muro oltre il quale confinare i cattivi per l’illusione di essere buoni e al sicuro. “L’articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. PIANETA CARCERE Segue a pag. 3 di Maria Brucale di Francesco Tagliaferri di Valerio Spigarelli I l Congresso Straordinario dell’Unione delle Camere Penali Italiane ha all’ordine del giorno un unico tema di politica associativa e cioè le modifiche statutarie; c’è da augurarsi un approfon- dito dibattito congressuale, che non resti strozzato dalle molte - forse troppe - attività previste dal pro- gramma, a cui si è recentemente aggiunta anche la presentazione dell’ultima iniziativa della Giunta, concernente l’abuso della custodia cautelare. Nei miei oltre trent’anni d’iscrizione alla Camera Penale, ho preso parte praticamente a tutti i Con- gressi dell’Unione ed ho ammirato indistintamente tutte le Giunte che si sono succedute, per la capacità che hanno avuto di saper rap- presentare all’esterno l’immagine di una associazione dei penalisti ita- liani, forte e partecipata, creando un vero e proprio soggetto politico, con il quale le istituzioni si sono confrontate da vent’anni in qua. Stati Generali dell’esecuzione penale e art. 27 della Costituzione Politica giudiziaria e avvocatura Congresso, il tema delle modifiche statutarie Il Congresso “non è un pranzo di gala” nni fa, commentando l’imminente apertura di un congresso dell’Unione, si disse che l’associazione doveva interpretare quel passaggio come un atleta che si raccoglie ai blocchi di partenza di una gara. Concentrarsi sui fondamentali dei prossimi gesti, ripercorrere le vecchie esperienze al fine di evitare gli errori commessi, immaginare i comportamenti degli altri protagonisti, darsi un obiettivo perseguibile, questo fa un atleta, questo dovrebbe fare una associazione nella massima assise che lo statuto prevede. Con una sostanziale differenza: il dialogo dell’atleta è muto e singolare per definizione quanto quello di una associazione è pubblico e plurale. Tanto più, come in questa occasione, se il dibattito investe la conformazione dello statuto e le regole di democrazia interna. Lo statuto dell’Unione, approvato nella impostazione federativa e presidenziale al congresso di Alghero del 1995, è stato modificato già in altre occa- sioni, ed in ognuna di esse sono stati apportati cambiamenti frutto di un lavoro collettivo condiviso dalla intera associazione. Segue a pag. 5 Segue alle pagg. 2 e 3 Amnistia, l’appello di Papa Francesco Riforma giustizia, eppur si muove Damnatio memoriae Segue a pag. 4 Camera Penale di Roma CPR

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CentoUndiciLA  R IV I S TA   dELLA   CAMERA   PENALE   d I   RoMA  -   d i r e t t o r e   r e s p o n s a b i l e :  Av v .   Va l e r i o   S p i g a r e l l i   -   d i r e t t o r e   e d i t o r i a l e :  Av v .   F r a n c e s c o   Ta g l i a f e r r i

N° 1 SETTEMBRE 2015

“Do you remember revolution?”

Il congresso dell’Unione delle Camere Penali Italiane cade, come

tradizione, alla “apertura dell’anno scolastico”, cioè alla ripresa

dei lavori parlamentari dopo la pausa feriale. Il che permette di

discutere dei principali temi di politica giudiziaria, prima di tutto met-

tendo a fuoco una scala di priorità su quelle che sono – o dovrebbero

essere – le questioni più rilevanti. E’ però necessario evitare di cadere

nella tentazione compilatoria, cioè l’indicazione di una lista della

spesa (riforma costituzionale, intercettazioni, custodia cautelare, re-

stauro della impostazione accusatoria del codice, rafforzamento del

ruolo della difesa, etc. etc.) che annulla la riflessione politica e si trasforma in una sorta di novena ga-

rantista buona per tutte le stagioni. In effetti la carne al fuoco è tanta, basti pensare alla riforma del codice

di procedura che si discuterà proprio alla riapertura, ovvero a quella della prescrizione, oltre che alla

sempiterna e mai risolta questione delle intercettazioni, ma il tema più propriamente “politico” su cui

occorre riflettere è quello dell’analisi della azione legislativa e di governo fin qui condotta e della inter-

locuzione che l’avvocatura deve mantenere.

L’Unione è partecipazione

L’EdIToRIALE

La pena, sostanza punitiva e tensione all’emenda; il carcere, l’orrore che lo accompagna e lo descrive.Percorsi muti verso il nulla. Uno Stato che si ripiega su se stesso in una logica biecamente punitiva

ed offre un capro espiatorio cui indirizzare miserie e sentimenti di oppressione e di insoddisfazione. Unmuro oltre il quale confinare i cattivi per l’illusione di essere buoni e al sicuro. “L’articolo 27 dellanostra Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso diumanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

P I ANETA   CARCERE

Segue a pag. 3

di Maria Brucale

di Francesco Tagliaferri

di Valerio Spigarelli

Il Congresso Straordinario dell’Unione delle

Camere Penali Italiane ha all’ordine del giorno

un unico tema di politica associativa e cioè le

modifiche statutarie; c’è da augurarsi un approfon-

dito dibattito congressuale, che non resti strozzato

dalle molte - forse troppe - attività previste dal pro-

gramma, a cui si è recentemente aggiunta anche la

presentazione dell’ultima iniziativa della Giunta,

concernente l’abuso della custodia cautelare.

Nei miei oltre trent’anni d’iscrizione alla Camera

Penale, ho preso parte praticamente a tutti i Con-

gressi dell’Unione ed ho ammirato indistintamente

tutte le Giunte

che si sono

succedute, per

la capacità che

hanno avuto

di saper rap-

p r e s e n t a r e

a l l ’ e s t e r n o

l’immagine di una associazione dei penalisti ita-

liani, forte e partecipata, creando un vero e proprio

soggetto politico, con il quale le istituzioni si sono

confrontate da vent’anni in qua.

Stati Generali dell’esecuzione penale e art. 27 della Costituzione

Politica giudiziaria e avvocatura

Congresso, il tema delle modifiche statutarie

Il Congresso “non èun pranzo di gala”

nni fa, commentando

l’imminente apertura di un

congresso dell’Unione, si

disse che l’associazione doveva

interpretare quel passaggio come

un atleta che si raccoglie ai

blocchi di partenza di una gara.

Concentrarsi sui fondamentali dei

prossimi gesti, ripercorrere le

vecchie esperienze al fine di

evitare gli errori commessi,

immaginare i comportamenti degli

altri protagonisti, darsi un

obiettivo perseguibile, questo fa un

atleta, questo dovrebbe fare una

associazione nella massima assise

che lo statuto prevede.

Con una sostanziale differenza:

il dialogo dell’atleta è muto e

singolare per definizione quanto

quello di una associazione è

pubblico e plurale. Tanto più, come

in questa occasione, se il dibattito

investe la conformazione dello

statuto e le regole di democrazia

interna. Lo statuto dell’Unione,

approvato nella impostazione

federativa e presidenziale al

congresso di Alghero del 1995, è

stato modificato già in altre occa-

sioni, ed in ognuna di esse sono

stati apportati cambiamenti frutto

di un lavoro collettivo condiviso

dalla intera associazione.

Segue a pag. 5

Segue alle pagg. 2 e 3

Amnistia, l’appello di Papa Francesco Riforma giustizia, eppur si muove Damnatio memoriae

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P R I M o   P I A N o Settembre 2015CentoUndici

Nel corso dell’ultimo anno il governo “delfare” ha modificato la legge sulla responsa-bilità civile dei magistrati, ha introdotto latenuità del fatto e messo mano alla custodiacautelare; tutte cose che, sia pure con i lorolimiti, possono iscriversi nell’elenco dellenovità positive. Nell’economia comples-siva, però, il bilancio resta in deficit. Sul-

l’altro piatto della bilancia stanno infatti una riforma dei reati controla p.a. caratterizzata da un parossistico accanimento sanzionatorio, ladilatazione della già insopportabile area della prevenzione e persino ilrafforzamento dell’ergastolo attraverso la (contro)riforma del giudizioabbreviato. Questo per quanto riguarda le cose fatte, ancor peggio sesi vedono quelle che sono in agenda, come la riforma della prescrizioneche si basa sull’illogica pretesa di risolvere il problema dei tempi deiprocessi rendendoli virtualmente lunghissimi, oppure le stravagantiproposte sul processo penale, alla “dottor Stranamore”, della Com-missione Gratteri. Senza dimenticare l’incombente introduzione delreato di omicidio stradale ed, all’opposto, la liquidazione di fatto diquello di tortura, ovvero l’andamento pencolante in materia di carcereche vede, accanto al varo degli Stati generali sull’esecuzione, una de-cisa stretta sanzionatoria, con aumenti di pena sconsiderati anche perreati comuni. Insomma, le buone intenzioni, ed anche le analisi cor-rette, vengono ampiamente smentite dall’azione concreta che rimaneimprigionata da una sorta di timore reveren-ziale nei confronti di un complesso mediatico-giudiziario e di un ceto politico ampiamentedominati da una ideologia regressiva sul pianodei diritti, oltre che da uno schietto populismopenale. Ciò detto i problemi peggiori, in ve-rità, sono altri. Il governo, con il ministro Or-lando, sembra aver compreso che una delleincognite dell’universo giudiziario è il rap-porto squilibrato tra i Poteri dello Stato ma,oltre alle battute ad effetto che ogni tantoRenzi piazza al fine di conquistare quellaparte di elettorato cui l’invadenza delle pro-cure sta sullo stomaco, non fa nulla, proprionulla su questo terreno. Certo, il ministro haistituito una commissione per la riforma delCSM, però ha chiamato a guidarla un magi-strato in pensione e l’ha inzeppata di suoi col-leghi in servizio, per di più dandogli compitiangusti. Se non è “l’auto riforma”, unica pa-rola che l’ANM è disposta ad ascoltarequando si parla di modifiche strutturali, pococi manca. Ciò dimostra che, anche quando èanimata dalle migliori intenzioni, la politicarimane avvinta, consapevolmente o meno, aduna idea della Giustizia in cui il padrone, ocomunque il maggior azionista, è proprio lamagistratura. Conclusione ancor più raffor-zata dalla, sbagliata e subito abortita, propostadi affidare alla Corte Costituzionale il giudiziosull’autorizzazione all’arresto dei parlamentari: una sorta di resa finaledel potere legislativo che, invece di recuperare il terreno perduto daglianni novanta sul piano della tutela delle guarentigie nei confronti delpotere giudiziario, in tal modo finirebbe per certificare la propria ina-deguatezza. Una inadeguatezza che in realtà la costituzione materiale

postula da tempo e che la cronaca documenta in continuazione. Sipensi ai fatti di Roma, ove un intero ceto politico fa a gara per emularela Procura invece di riflettere sulla consistenza, sociologica prima an-cora che giuridica, di un fenomeno mafioso autotctono che, per stessaaffermazione dei magistrati che lo attestano, prescinderebbe dalla prin-cipale caratteristica del reato previsto dall’articolo 416 bis del codicepenale, cioè la forza di intimidazione e le condizioni di assoggetta-mento e di omertà che ne conseguono sul territorio. Trionfa una ideadi legalità militarizzata dalla delega affidata a magistrati prestati allapubblica funzione, come Cantone, ovvero direttamente alla politica,come Sabella, con la dichiarata missione di mettere sotto tutela glistessi inaffidabili e corruttibili politici. E quando non sono magistratiil compito viene affidato direttamente ai prefetti. Il tutto, è quasi inutilerimarcarlo per l’ennesima volta, attraverso gli innaturali rapporti trauffici di procura, circuiti investigativi e ampie fette dell’informazione,che modellano il giudizio etico dei cittadini sulla classe dirigente, oanche su altri cittadini indagati, attraverso l’occhiuto utilizzo di infor-mazioni tratte da atti giudiziari, in certi casi neppure verificabili, sipensi al caso Crocetta. Per farla breve i protagonisti del reality showdella politica giudiziaria italiota, lungi dal comprendere che in una so-cietà liberal democratica, o semplicemente in una società ben ordinata,non è solo la magistratura a dovere essere tutelata nella propria indi-pendenza, continuano a mettere la testa sul ceppo della democraziagiudiziaria, che tutto è meno che democratica. Che poi questo succeda

perché la classe politica è consapevole del li-vello non eccelso dell’ etica pubblica e dellaperdita di consenso in ampi strati dell’ eletto-rato è un dato su cui riflettere. Qui il paragonecon il 92 non pare azzardato: l’invasione dicampo di allora si attuò attraverso la direttaazione giudiziaria e mediatica di “Mani Pu-lite” mentre oggi si afferma attraverso la de-lega che la politica affida direttamente alleProcure. E dico Procure perché così stanno lecose. Chi ha esperienza di vicende parlamen-tari sa, infatti, che l’opinione del ProcuratoreCapo di Roma, o di Milano, piuttosto che diquello Nazionale Antimafia, contano ben piùdi quella del Presidente dell’ANM, se ma isuccedesse che tra le medesime vi fosse unaqualche differenza, il che accade assai di rado.Attenzione, il fenomeno è compreso da molti,basti pensare alle polemiche sul processo-non-processo “trattativa”, il cui dichiarato edesclusivo intento moralizzatore ha finito perfar storcere la bocca anche a giuristi non lon-tani dall’azione delle Procure Antimafia, op-pure alle dispute sorte al momento dell’ inutiledeposizione di Napolitano. Anche il ministroOrlando- come già detto - in più occasioni hatoccato questo tema ribadendo la necessità delprimato della politica, ma sono rimaste soloparole. Il problema è che manca consapevo-lezza degli esatti termini della questione. Se

così non fosse, tanto per fare un esempio concreto, le surreali discet-tazioni seguite ai funerali di Casamonica non avrebbero affidato allavoce isolata di Giuliano Ferrara la denuncia di un “legalismo” peloso,che traduce in movimenti di opinione i desiderata di un ufficio di Pro-cura preparando il campo a future azioni giudiziarie di quello stesso

“Do you remember revolution?”Segue da pag. 1

Politica giudiziaria e avvocatura

Il ministro della GiustiziaAndrea orlando

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ufficio. Proprio come già avvenuto dai tempidi “Mani Pulite” giù giù fino a Mafia Capi-tale. Tutto si tiene da questo punto di vista: lamancanza di terzietà dei giudici rispetto allacustodia cautelare ed alle intercettazioni,l’inesistenza di regole vere sulla gestionedell’azione penale (obbligatoria solo a chiac-chiere), la pretesa di immunità dei magistratidi fronte ai loro errori, oltre che quella di do-minare l’organo di governo autonomo, l’inna-turale collegamento tra informazione e circuitigiudiziari, ed infine la debolezza genetica diuna classe politica che recluta i suoi apparte-nenti nei piani bassi della società. Tutto questogarantisce la sovraesposizione del giudiziarioe la sua mutazione genetica a controllore dilegalità o, addirittura, di moralità; ciò che rag-

giunge il suo punto massimo nel momento incui, come oggi sta avvenendo, alle regole delprocesso si sostituiscono le pseudo-regole deiprocedimenti di prevenzione, veri e propri tri-tacarne dei diritti nei quali anche il controllogiurisdizionale è virtuale. Per dirla con unoslogan antico “la vera lotta è per il potere”ed allora è sui i meccanismi che rendonoquello giudiziario sbilanciato e condizionanteche bisogna intervenire. Da questo punto divista la diagnosi è semplice, il mese scorso ungiurista come Sabino Cassese l’ha fotografatain un amen sul Corriere della Sera, e la ripor-tiamo nel suo nucleo centrale ”Sproporzio-nato il posto che il sistema giudiziario èvenuto ad occupare nella vita civile, se rap-portato al suo fallimento come erogatore di

giustizia”. Bisogna rimodellare i confini, que-sto bisogna fare prima ancora che riformarela legge sulle intercettazioni, o quella sulla cu-stodia cautelare, oppure i codici. Bisogna fareuna vera riforma di struttura i cui punti sonosempre i soliti: doppio CSM per giudici e pm,regolamentazione dell’esercizio dell’azionepenale, Alta Corte di Giustizia disciplinare permagistrati ed avvocati, limitazione dell’appli-cazione dei magistrati fuori dal ruolo, ineleg-gibilità temporanea dopo l’uscita dallamagistratura. L’avvocatura, come nel ’92, dalcanto suo deve prendere consapevolezza cheesprimere preoccupazione per quel che suc-cede non è più sufficiente ed il congressodell’Unione delle Camere Penali è il postogiusto per farlo.

CentoUndiciSettembre 2015 I N T E RV I S TA

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P R I M o   P I A N o

Seguendo un percorso già intrapreso nel passato, alcuni temisono da tempo in primo piano: l’omologazione degli statuti dellesingole Camere Penali a quello dell’Unione, l’individuazione di

regole certe per misurare la reale consistenza e la effettiva rappre-sentatività delle singole Camere Penali. Temi che incrociano, anche per via indiretta, la più vasta questionedella democrazia interna. Mantenendo ferma l’impostazione federa-tiva, dunque rispettando l’autonomia delle singole Camere Penali, èormai evidente che bisogna fare in modo che il ricambio delle classidirigenti locali sia effettivo, evitando il ripetersi di situazioni in cui gliorganismi dirigenti rimangano gli stessi per molti anni, oppure sianoil frutto di campagne elettorali nel corso delle quali – e solo per iltempo necessario a questa bisogna – gli elenchi dei soci lievitano aldi là del presentabile, così come è necessario fissare regole certe inordine alla verifica della reale consistenza degli associati in vista dellaelezione degli organi nazionali. Ciò, sia detto per chiarezza, nulla haa che vedere con polemiche elettorali o post elettorali, ed è giusto chedi questo si discuta in un congresso straordinario. Queste sono tema-tiche, va ricordato a chi dei precedenti passaggi ha un conoscenzasolo indiretta, che coinvolgono inevitabilmente anche la natura del-l’Unione, avendo ben chiaro tutti, fin dal congresso di Alghero, che la

scelta presidenziale che allora veniva accolta avrebbe comportatoanche una tendenziale accentuazione della natura associativa dell’or-ganizzazione a discapito di quella federativa. Benché non sia diretta-mente all’ordine del giorno, infatti, questo tema è sempre sotteso aicambiamenti statutari. Di fronte ai problemi di partecipazione e dirappresentanza che caratterizzano – non solo per l’Unione – l’asso-ciazionismo forense, si può operare in un senso o nell’altro, l’impor-tante è avere consapevolezza che anche di questo si tratta, non dimodifiche di contorno. Del resto la scelta presidenziale è stata un vo-lano per l’ affermazione della soggettività politica dell’Unione, è fuoridi dubbio, ma al tempo stesso ha acuito una certa tendenza al riflussolocalistico di alcune realtà, abituate a delegare le gestione dei teminazionali senza farne oggetto di dibattito interno. Fenomeno che lamodifica della conformazione stessa dell’avvocatura penale, cui ab-biamo assistito negli ultimi quindici anni, ha viepiù accentuato ren-dendo concreto il rischio di una deriva sindacale in periferia. Conquesto una associazione matura deve fare i conti, considerando checonfrontarsi con il principio di realtà, in politica, non è un optionalma un vero e proprio dovere e, al tempo stesso, che la natura di “di-fensore dei diritti nell’interesse dei cittadini”, e non la “rappresen-tanza di una categoria”, è la vera ragion d’essere dell’Unione.

Segue da pag. 1

Il Congresso “non è un pranzo di gala”

V. S.

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CentoUndici Settembre 2015P O L I T I C A G I U D I Z I A R I A

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P R I M o   P I A N o

Tuttavia, perlomenodalla fine degli anniNovanta, la realtà èstata diversa, perché al-l’attivismo dei verticidell’Unione si è con-trapposta la crisi dipartecipazione nelle

Camere Penali territoriali, con ovvi riflessisulla effettiva forza politica dell’associazione.Da tempo, le assemblee della mia Camera Pe-nale e parliamo di una delle più grandi, conoltre seicento iscritti - registrano mediamenteuna trentina di pre-senze, che a stento siraddoppiano nelle oc-casioni particolar-mente affollate, e soche, tranne rarissimeeccezioni, la situazioneè la medesima ovun-que; per non parlarepoi di realtà in cui leelezioni, che tradizio-nalmente sono i mo-menti di maggiorpartecipazione, ven-gono decise dal voto -talora per delega - diun pugno di presenti oaddirittura dall’accla-mazione di uno stessopugno di soci.E’ chiaro che questo èun problema per tutti,anzitutto per le Camereterritoriali, ma ancheper l’Unione, almenosino a quando per-marrà l’attuale assettofederativo. Le Camere Penali, e soprattutto i suoi diri-genti, devono - attraverso iniziative mirate edinnovative - riuscire nell’impresa, non propriofacilissima trattandosi di avvocati, di stimo-larne continuamente l’interesse, trasmettendola consapevolezza e l’orgoglio di far parte diun’associazione trasversale, che si batte per ilrispetto dei diritti del cittadino, in tutte le pos-sibili declinazioni e spesso a scapito dei propriinteressi di categoria. Oltre a questo, tutte le Camere devono dotarsidi regole statutarie, democratiche e moderne,che favoriscano la partecipazione effettiva disoci, anche e soprattutto attraverso il reale rin-novo dei propri dirigenti. Tali regole devonoessere, se non uguali per tutte (ma, trattandosidi una federazione, questo vorrebbe la lo-gica!), almeno il più possibile omogenee,anche per le conseguenze che ciò avrebbe ri-

spetto alla vita dell’Unione. Ad esempio, laCamera di Roma - uniformandosi a quantodeliberato a Venezia lo scorso anno dall’As-semblea dell’Unione, in tema di elettorato at-tivo e passivo - ha profondamente modificatoil criterio di determinazione del numero deidelegati congressuali, nel senso che si è atte-nuta al numero dei soli soci in regola con ilpagamento delle quote, e non a quello, mera-mente virtuale ed ipotetico, ricavato dalla si-tuazione degli anni precedenti. Invece, ci sonoaltre Camere che continuano a prescinderedalla regolarità della posizione dei propri

iscritti ed ottengono un maggiore ed ingiusti-ficato numero di delegati, che tra l’altro con-corre alla elezione degli organi dell’Unione,alterandone ovviamente il risultato. Quindi, sempre per rimanere all’esempio deidelegati, è ovvio che dovrà essere introdottoun correttivo che armonizzi i diversi criteri,ispirandosi ai basilari principi di democraziainterna all’associazione: la regolamentazionedel diritto di elettorato attivo, secondo normeche valgano per tutte le Camere, e - come de-liberato a Venezia - il “riconoscimento del di-ritto di elettorato attivo e passivo ai soli sociin regola con il pagamento della quota asso-ciativa”.L’Unione, dal canto suo, deve fare sì tesorodelle diversità tra le varie realtà locali, ma -pur senza intaccare l’autonomia operativadelle singole Camere - deve realizzare le “in-frastrutture” utili a favorire la massima parte-

cipazione alla vita associativa, perché soloun’organizzazione vitale e partecipata può ve-ramente avere la forza e l’autorevolezza peraffrontare le sfide necessarie alla realizza-zione degli scopi sociali. Sotto questo aspetto sono complessivamenteapprezzabili i lavori della Commissione, no-minata ad hoc dalla Giunta dell’Unione e co-ordinata dall’avv. Zummo, che haapprofondito la questione ed ha colto unaserie di criticità - dai requisiti per assumere laqualità di soci alle modalità di designazionedei delegati congressuali, dalle modalità di

elezione alle cariche di-rettive al limite tempo-rale di durata deimandati direttivi, dal-l’incompatibilità dellecariche alla determina-zione delle quote -, for-mulando un complessodi proposte, finalizzateappunto ad assicurareun minimo di uniformitàe di omogeneità, che do-vranno essere esaminateed arricchite a Cagliari,per essere poi perseguitecon determinazione,poiché il coinvolgi-mento nella vita socialeed il dibattito internorappresentano la linfa diogni organizzazione edal tempo stesso le confe-riscono la indispensa-bile forza propulsiva.Questa esigenza deveessere tanto più avver-tita, in quanto l’innega-

bile dinamismo dell’attuale Giunta - e pensotanto al proliferare degli Osservatori, delleCommissioni, ecc., quanto alle iniziative, a fa-vore dei giovani, disinteressandomi delle po-lemiche sulle ragioni che le avrebbero dettate- non deve risolversi in una spinta accentra-trice, che strida con la natura federativa del-l’organizzazione e che rischi di aumentareulteriormente il già scarso coinvolgimento deisoci nella vita delle Camere di appartenenza.Ed allora la questione di fondo concerne il fu-turo dell’Unione e la permanenza dell’attualeassetto federativo ovvero l’evoluzione versoun’associazione nazionale. In questo non misento di propendere decisamente per l’una oper l’altra: entrambe hanno pregi e difetti, maquel che è certo è che non si può prescinderedall’esigenza di rafforzare la spinta propulsivadell’Unione e delle Camere Penali che lacompongono.

L’Unione è partecipazioneSegue da pag. 1

Congresso, il tema delle modifiche statutarie

F. T.

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CentoUndiciSettembre 2015 I N T E RV I S TA

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P R I M o   P I A N o

Stati Generali dell’esecuzione penale e art. 27 della Costituzione: un cammino intrapreso per restituire senso alla carcerazione?Segue da pag. 1

Lo afferma il Ministrodella Giustizia, AndreaOrlando: un articolo perlungo tempo rimastoinattuato, nell’alveo diuna Costituzione “pro-grammatica” ancora lon-tana dal compimento dei

suoi scopi e proclami. La detenzione intramura-ria è ancora “carcerogena”, incapace di espri-mere una effettiva proiezione verso larisocializzazione ed il reinserimento e si traducein una propensione alla recidiva e ad un incan-crenirsi delle spinte e delle pulsioni antisociali.“Per questo - afferma Orlando - ho voluto av-viare il percorso che abbiamo chiamato StatiGenerali dell’esecuzione penale: sei mesi diampio e approfondito confronto che dovrà por-tare concretamente a definire un nuovo modellodi esecuzione penale e una migliore fisionomiadel carcere, più dignitosa per chi vi lavora e perchi vi è ristretto. Gli Stati Generali devono di-ventare l’occasione per mettere al centro del di-battito pubblico questo tema e le sueimplicazioni, sia sul piano della sicurezza collet-tiva sia su quello della possibilità per chi ha sba-gliato di reinserirsi positivamente nel contestosociale, non commettendo nuovi reati”. 18 i ta-voli tematici: Architettura e carcere: raziona-lizzazione degli spazi detentivi e concretafruibilità di essi per perseguire ottiche di reinse-rimento lavorativo e affettivo. Vita detentiva.

Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e

sicurezza: individualizzazione del trattamento;criteri di classificazione ed accesso più agile alladeclassificazione. donne e carcere: fragilità especificità delle donne detenute; la maternità incarcere. Minorità sociale, vulnerabilità, dipen-

denze: la prevenzione degli autolesionismi e deisuicidi. Minorenni autori di reato: esigenzepsicologiche e pedagogiche del minore che hacommesso un delitto. Mondo degli affetti e ter-

ritorializzazione della pena: riconoscimentodel valore assoluto della vita affettiva del dete-nuto come anello fondante il percorso di reinse-rimento sociale. Stranieri  ed  esecuzione

penale: difficoltà di attuazione di percorsi trat-tamentali e di reinserimento; prevenzione diforme di autoesclusione. Lavoro e formazione:predisposizione di un complessivo piano per ilpotenziamento delle attività lavorative durantel’esecuzione penale. Istruzione, cultura, sport:potenziamento di ogni espressione culturale, ar-tistica e sportiva, terreno decisivo di trattamentorieducativo. Salute e disagio psichico: indivi-duazione di strategie per l’effettivo esercizio deldiritto alla salute. Misure di sicurezza: analisi

dei profili attinenti all’applicazione delle misuredi sicurezza, privative e non privative della li-bertà personale. Misure e sanzioni di comunità:sanzioni e misure alternative al carcere, laddove“comunità” indica un complessivo e diverso rap-porto da stabilire con il territorio. Giustizia ripa-rativa, mediazione e tutela delle vittime del reato:rapporti tra vittima e reo, nell’ottica di risana-mento della lesione al tessuto sociale che la com-missione del reato ha di fatto determinato.Esecuzione penale, esperienze comparative e

regole internazionali: ricognizione delle normee delle raccomandazioni internazionali in materiadi sanzioni penali e della loro esecuzione, nonchédelle pronunce giurisprudenziali di Corti sovra-nazionali. operatori  penitenziari  e  forma-

zione: miglioramento della condizione di vita dichi lavora in carcere e responsabilizzazioneverso gli obiettivi cui la reclusione deve tendere.Trattamento. ostacoli normativi all'indivi-

dualizzazione del trattamento rieducativo: eli-minazione di preclusioni assolute all’accesso a

benefici penitenziari, restituzione della centralitàal percorso trattamentale ed al senso della pena;compatibilità del fine pena mai con una proie-zione del carcere al reinserimento del condan-nato. Processo  di  reinserimento  e  presa  in

carico territoriale: individuazione di effettivipercorsi inclusivi che accompagnino il reinseri-mento sociale del condannato. Infine, organiz-

zazione  e  amministrazione  dell’esecuzione

penale. 18 tavoli gestiti da esperti e una dire-zione univoca, impellente: ritrovare il senso dellapena, della restrizione di un uomo in carcere, del-l’inflizione allo stesso della privazione del benesupremo della libertà: la restituzione alla società.Il carcere non può, non deve, essere la facile sod-disfazione offerta a pance dolenti per le troppeafflizioni del vivere quotidiano, il pronto ristoroper biechi populismi vendicativi, uno specchiettoper allodole avvizzite dal bisogno cieco di giu-stizia sociale e di legalità. Il senso della pena

deve essere la riabilitazione e la proiezione al ri-torno alla vita: “colmare il divario tra il dettatocostituzionale e il sistema penale” e, in aderenzaalla giurisprudenza della Corte Europea, offrire“a tutti i detenuti, compresi gli ergastolani, lapossibilità di rehabilitation” (Vinter c/RegnoUnito), perché nessun uomo può giungere alpentimento, quello autentico, se non sarà maiperdonato. Nessuna spinta positiva può eserci-tare una pena che non ha fine né emenda. 18 ta-voli che, ad oggi, hanno il pregio dellaindividuazione di gravi criticità che rendono ilcarcere un non-luogo indirizzato alla non - vitaed all’antisociale. Forse i numeri del sovraffol-lamento si sono davvero ridotti ma in carcere sicontinua a soffrire oltre la legittimità della pena.Si continua a morire. La conta dei suicidi neimesi estivi è stata uno stillicidio mai interrotto.Il sistema più efficace per ridimensionare il so-vraffollamento non ha tenuto conto degli uomini,delle loro vite, del trattamento, del ritorno allavita. E’ stato spostare i detenuti su e giù per l’Ita-lia, da Sulmona a Massama, Sardegna; da Parmaa Palmi; da Padova a Sulmona, da Genova aSpoleto e così via, senza alcun rispetto delle lorovite, dei loro percorsi, delle loro storie, dei lorotraguardi, dei loro passi faticosi per ricostruirsiritagliando un nuovo sé attraverso i volti deglioperatori intramurari, l’inserimento nelle oppor-tunità (sempre inadeguate) offerte dal carcere,senza alcun riguardo per le loro famiglie, le lorocondizioni economiche, i loro sforzi, le loro esi-genze di viaggio, le abitudini penosamente con-quistate negli anni. Spazi da riempire. Dove c’èun buco ne metti uno. Cose. Ed ecco il senso ul-timo degli Stati Generali sul carcere: restituire aldetenuto la dignità di uomo. La carcerazione èun tempo durante il quale la presenza nella soci-età dell’individuo detenuto si è sospesa e ha gen-erato una condizione che diviene perno edirezione della vita non solo del ristretto maanche della sua famiglia e suddivide i giorni inpacchi di vestiario e di alimenti, viaggi per des-tinazioni lontane dalla propria casa, visite di col-loquio, vaglia. postali, ricezione di telefonate,spese legali. Una condizione, la detenzione, cheè in sé mutilazione di vita, frattura di rapporti, in-terruzione di ogni attività lavorativa, esclusione.Chi è in carcere, ha il diritto ad aspirare alla vita,ad essere riammesso tra gli altri come personasenza ombre, non un “pregiudicato per sempre”.Ha diritto all’oblio, alla “amnistia” di cui parlapapa Francesco, autentica cancellazione dell’er-rore, speranza di ricostruzione, di rinnovamento.In assenza di tale proiezione benevola, la pena,qualunque pena, perde il suo senso, mutila la suaessenza, non ha ragione di esistere.

Diciotto i tavoli tematici gestiti da esperti

e finalizzati al recupero ed al reinserimento

del detenuto

M. B.

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A P P R o F o N d I M E N T I

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P R I M o   P I A N o Settembre 2015CentoUndici ESAME E CoNTRoESAME

«Qualcosa si muovenella giustizia. Le ri-forme avviate nelgiugno 2014, artico-late in dodici punti,dopo una pubblicac o n s u l t a z i o n e ,stanno dando qual-che magro frutto:calo dell’arretratocivile, tempi più brevidei processi. Ma lachina da risalire èerta. il contesto è dif-ficile. La qualitàdelle leggi pessima(ma nessuno se ne dàcarico). Gli avvocatitroppi (ma conti-nuano ad aumen-tare). il Consiglio

superiore della magistratura dominato da gruppuscoli denominati cor-renti (ma non c’è accordo per uscirne). La Cassazione intasata da un

numero abnorme di ricorsi (ma le proposte di soluzione troppo timide).i magistrati troppo leggeri nel limitare la libertà personale (la Scuoladella magistratura non dovrebbe fare qualcosa per insegnare che ladetenzione cautelare, senza processo, va usata in casi estremi?). Troppele carriere politiche di magistrati in carica e troppe le loro esternazioni(mentre il Consiglio superiore della magistratura sta a guardare). nonvengono da ultime, in questo quadro, le proposte, recentemente riba-dite, relative ad intercettazioni, carcerazione preventiva e separazionedelle carriere. Prima ancora della loro divulgazione, è l’uso a volte ec-cessivo delle intercettazioni (specialmente di quelle indirette) comemezzo di prova che andrebbe disciplinato, ricordando che, secondo laCostituzione, la segretezza delle comunicazioni è inviolabile. La car-cerazione preventiva è stata talvolta usata come mezzo di pressione,per ottenere ammissioni di colpa, anche qui mostrando le debolezze in-vestigative nella raccolta documentale di prove. Per quanto la sua im-portanza sia diminuita dopo la distinzione funzionale, la separazionedelle carriere, ambedue con indipendenza garantita, è dettata moltosemplicemente dal fatto che accusa e giudizio sono mestieri diversi,che richiedono preparazione e professionalità differenti. il governo ita-liano ha finora avuto giudizi molto negativi dalla Corte di Strasburgoe apprezzamenti sia dai commissari europei per le iniziative intrapresenel campo della giustizia, sia dal Consiglio d’europa per la produttivitàdei giudici».

A cura di Angela Compagnone, Claudia Prioreschi e Costanza Tancredi

Giustizia e diritti del cittadino: Riforma vs Conservazione

CI SONO, NELLE PAROLE DEL PROF. SABINO CASSESE PUBBLICATE SUL CORRIERE DELLA SERA

IL 24 AGOSTO 2015, LE GRANDI BATTAGLIE DEI PENALISTI ITALIANI E UN PROGETTO-SEPPUR

EMBRIONALE- DI RIFORMA DELLA GIUSTIZIA. GLI ARGOMENTI TRATTATI-NECESSITà DI SEPA-

RARE LE CARRIERE, TUTELA DELLA LIBERTà PERSONALE, ABUSO DELLA CUSTODIA CAUTELARE

E DELLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE- SONO ACCOMPAGNATI DALL’ESPOSIZIONE DI SOLU-

ZIONI DA ADOTTARE PER RISTABILIRE GLI EQUILIBRI TRA I SACROSANTI DIRITTI, IL CITTADINO E L’ORDINAMENTO

GIUDIZIARIO. C’è INVECE, NELLA REPLICA DEL PROCURATORE ARMANDO SPATARO, APPARSA SEMPRE SUL COR-

RIERE DELLA SERA IL 27 AGOSTO 2015, LA SOLITA DIFESA CORPORATIVA DELLA MAGISTRATURA, CON TANTO DI

“RIMPROVERO” AL GIORNALE PER AVER DATO VOCE AD UN INTERLOCUTORE EVIDENTEMENTE MENO GRADITO DI

ALTRI. IL PEZZO DI CASSESE HA REGISTRATO L’INTERVENTO ADESIVO DEL PRESIDENTE DELL’UNIONE DELLE CA-

MERE PENALI, BENIAMINO MIGLIUCCI, CHE - SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 4 SETTEMBRE 2015 - HA DEFINITO

GLI ARGOMENTI DEL GIURISTA «TeMi FonDAMenTALi SUi QUALi Si DeVe inTerroGAre Chi inTenDA oCCUPArSi Di

UnA VerA riForMA DeLLA GiUSTiziA», AGGiUnGenDo Che «Se è Vero Che i ProBLeMi DeL SiSTeMA GiUDiziArio

Sono riMASTi irriSoLTi AnChe Per L’inCAPACiTà DeLLA PoLiTiCA Di PorVi MAno, è AnChe Vero Che oGni TenTATiVo

Di riForMA DeL SiSTeMA GiUSTiziA, non SUGGeriTo o APPoGGiATo DALLA MAGiSTrATUrA, è STATo ACCoLTo QUASi

CoMe Un ATTo eVerSiVo PerChé LA MAGiSTrATUrA non SeMPre GrADiSCe Che PoLiTiCA e SoCieTà CiViLe Si oC-

CUPino Di riForMe Che LA riGUArDAno».

Scrive Sabino CasseseGiudice emerito Corte Costituzionale

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CentoUndiciA P P R o F o N d I M E N T I

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ESAME E CoNTRoESAMESettembre 2015

«L'editoriale in que-stione, peraltro, sicaratterizza per l'as-sertività di molte af-fermazioni: un meroelenco di presunte di-sfunzioni della giusti-zia le cuiresponsabilità ven-gono quasi tutte ad-debitate aimagistrati. Così per quanto con-cerne la loro "legge-rezza" nell'uso della"carcerazione pre-ventiva... comemezzo di pressione,per ottenere ammis-sioni di colpa", latendenza a dettare

l'agenda della politica e i criteri di politica industriale fino a occupareuno spazio sproporzionato nella vita civile (tanto da spingere l'autorea ipotizzare che il Csm possa dettare "linee guida non vincolanti"!),la inadeguatezza diffusa nel contrasto della criminalità organizzata,l'utilizzo eccessivo delle intercettazioni quale mezzo di prova. il pro-fessor Cassese auspica pure la separazione delle carriere tra pubblici

ministeri e giudici convinto che la diversità dei mestieri richieda "pre-parazione e professionalità differenti". Come può facilmente rilevarsi,questa lista dei presunti vizi dei magistrati non è nuova, ha presoforma in anni "difficili" ed evidentemente non è stata cancellata daltrascorrere del tempo. non appare condivisibile neppure la "denuncia"del numero eccessivo degli avvocati quale concausa della crisi dellagiustizia: la trovo ingiusta se rapportata alla natura libera di quellaprofessione e alle aspirazioni di tanti giovani che credono nella giu-stizia e nei due piatti della bilancia che la rappresenta. Sto affermandoche avvocati e magistrati non hanno vizi, né colpe? Certamente no! elimitandomi ai secondi, condivido ciò che Cassese afferma sull'eccessodi carriere politiche e di esternazioni di alcuni di loro. Aggiungo -come ricordato in altre occasioni - che sono fortemente criticabilianche quei magistrati che si propongono quali moralizzatori della so-cietà, esorbitando dai confini della loro professione, o quelli che in-corrono in neghittosità inescusabili. Ma - per favore - non si confondano patologia e fisiologia, né si ignoriche la magistratura italiana (tra le più produttive in europa), unita-mente alle nostre forze di polizia, è leader mondiale nel contrasto ef-ficace di ogni forma di criminalità organizzata, che le intercettazionisono irrinunciabili per ogni delicata indagine (specie contro la cor-ruzione) e che l'indipendenza di cui godono i pm, l'obbligatorietà del-l'azione penale e la possibilità di interscambio della carriera tragiudici e pm (così da garantire, anche attraverso la loro comune for-mazione, miglior tutela dei diritti degli imputati e delle parti offese daireati) fanno di quello italiano un sistema cui la comunità internazio-nale guarda come esempio virtuoso».

Nessuno può dubitare che itemi affrontati dal prof. Cas-sese ricomprendano le batta-glie “storiche” - e in qualchemodo “l’orgoglio”- del-

l’Unione, e più in generale, di tutti i penalistiitaliani. Battaglie combattute nelle aule giudi-ziarie ma anche, quand’è stato necessario, acolpi d’astensione. Così, tanto per fare qual-che recente esempio, è avvenuto nel settembre2012 per la tutela della libertà personale, perun uso corretto delle intercettazioni telefoni-che, per un giudice terzo ed imparziale. Co-minciamo allora, ed intanto, con il ribadireche la custodia cautelare preventiva è incom-patibile con la “presunzione di non colpevo-lezza”, principio cardine della nostraCostituzione (oltre che di civiltà giuridica),posto che comporta la pre-punizione di un in-dividuo “soltanto forse” colpevole. Senzacontare che una tale “pena anticipata” rischiadi essere più afflittiva della “pena vera e pro-pria”, non essendo applicabili quei beneficicui può, invece, ambire un condannato.Donde l’assurdo: il presunto innocente subi-sce un trattamento, per alcuni versi, peggioredi quello riservato al “definitivamente colpe-vole”. Se questa “necessaria ingiustizia” deveesistere è bene che sia l’eccezione e non la re-gola. Nei tribunali, come correttamente affer-mato dal prof. Cassese, si assiste - invece - adun uso almeno disinvolto della carcerazionepreventiva, spesso utilizzata per far fronte aragioni diverse da quelle che dovrebbero giu-stificarla. In altri termini (e senza ipocrisie),ci si assicura che il soggetto paghi immedia-tamente quello che forse non sconterà in fu-turo; un periodo di restrizione personale può

poi portare a pre-ziose delazioni, fa-cile rimedioall’inefficienza delsistema e notevolerisparmio di ener-gia nella ricerca eraccolta di prove.Quanto all’abusodelle intercetta-zioni telefoniche,la prassi travolgediritti fondamentalidella persona chedovrebbero essereoggetto di un at-tento bilancia-mento con gli altriinteressi in gioco,invece che soc-combere di fronte a proclamate esigenze di di-fesa sociale. Nella realtà attuale, dunque, gliequilibri vanno ristabiliti perché la strada perla realizzazione del giusto processo è ancoralunga, come lunga è la sua storia. Bisogna an-zitutto riportare la dovuta attenzione sulle li-bertà individuali, troppo spesso sacrificate innome della supremazia dello Stato. Per farlabreve, al centro di tutte le questioni occorremettere i diritti del cittadino, e dunque le re-gole del giusto processo: per questo occorrela separazione delle carriere dei magistrati.Recidere il legame tra inquirente e giudicantesignifica infatti assicurare la terzietà (che ècosa distinta dall’indipendenza ed imparzia-lità) del giudice. Il cordone ombelicale trap.m. e giudice (e viceversa) va dunque ta-gliato, a partire dall’istituzione di due CSM

distinti. Così come va messa in discussioneanche la “virtuale” obbligatorietà dell’azionepenale, che non tiene conto del reale e diffe-rente disvalore esistente tra le fattispecie pe-nali codificate e che (vedi il caso delleprescrizioni pilotate dalle Procure) viene ge-stita con amplissima ed incontrollata discre-zionalità. Le parole del procuratore Spataro -per il quale l’obbligatorietà dell’azione penalee l’interscambio della carriera tra giudici ep.m. garantirebbero maggior tutela dei dirittidegli imputati e delle persone offese - fannoamaramente sorridere: poiché si coglie, an-cora una volta, accanto alla negazione dellarealtà, il tentativo di condizionare la Politicaper conservare quel potere senza controlli dicui la magistratura italiana sembra davveronon saper fare a meno.

Replica Armando Spataro(Procuratore della Repubblica di Torino)

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P o L I T I C A  G I U d I Z I A R I ACentoUndici L’ A P P R o F o N d I M E N T o Settembre 2015

Capita sempre più spesso di trovare,negli atti dei processi, intercettazionieffettuate nella sala colloqui del car-

cere. Dalle quali - altrettanto spesso - le sen-tenze traggono opinabili argomenti pro ocontro (per lo più contro) l’imputato detenuto.E così, capita di leggere che significativa-mente Tizio, con i propri familiari, nonavrebbe protestato la propria innocenza, ov-vero l’avrebbe fatto strumentalmente, ben im-maginando di essere intercettato (argomentomodello “comma 22”: qualcosa ed il suo con-trario conducono all’identica conclusione). Più in generale, colloqui solitamente assailontani - come cifra comunicativa - dai mo-delli culturali del lettore/interprete vengonovivisezionati alla ricerca della confidenza de-terminante. Tale modo di procedere, conse-guenza fisiologica deldilagante mezzo di ri-cerca della prova che -appunto assegnando cen-tralità alla confessione,seppur non più estortasotto tortura, ma captataper inganno - rappre-senta il ritorno ad un in-glorioso passato, apparetanto sleale quanto irri-mediabilmente lesivo deipochi e residui diritti deldetenuto: non potendosottrarsi all’eventualecaptazione, al reclusonon resta che tacere, ocomunque evitare ogniriferimento ai fatti che ri-guardano la propria de-tenzione (cioèall’argomento che oc-cupa i pensieri del dete-nuto, così come lamalattia occupa quellidel degente). La carcerazione diventainsomma privazione nonsoltanto della libertà fi-sica, ma anche di quella(non prevista) di comu-nicazione: l’art. 18 della

legge penitenziaria prevede infatti che i col-loqui si svolgano sotto il controllo “a vista enon auditivo” del personale di custodia. Veroche le intercettazioni in carcere debbono es-sere, come quelle “tra liberi”, autorizzate dalmagistrato, ma il detenuto non ha che quelluogo e quel tempo per comunicare: ogni sualimitazione si risolve dunque - di fatto - nellatotale privazione del diritto alla libertà e se-gretezza della comunicazione (art. 15 Cost.).Ma il punto è anche, o forse soprattutto, unaltro. Ai prossimi congiunti dell’imputato (e quindiagli abituali interlocutori del detenuto) il co-dice di procedura penale riconosce la facoltàdi non testimoniare (art. 199) e di non renderedichiarazioni alla P.G. e al P.M. (artt. 351,362); discorso non diverso per la causa di non

punibilità prevista (tra gli altri) per i reati difalsa testimonianza e favoreggiamento, semotivati dalla “necessità di salvare un pros-simo congiunto da un grave nocumento nellalibertà o nell’onore” (art. 384 c.p.). Il parentestretto può persino annullare ogni - pur limi-tato, a partire dalla riforma del 2001 - rilievoprocessuale di quanto semmai troppo preci-pitosamente già riferito, decidendo anche tar-divamente di avvalersi del diritto al silenzio(Corte Cost., sent. n. 440 del 25 ottobre2000).Si parla, infatti, del cosiddetto “segreto fami-liare”: non soltanto si tiene conto di come«una persona che sia legata da un vincolo af-fettivo dovuto a rapporto familiare, se chia-mata a testimoniare, si può trovare in unasituazione di lacerante conflitto psicologico

tra il dovere di dire la ve-rità e il dovere, di caratteremorale, di non danneg-giare il prossimo con-giunto sottoposto aprocedimento penale», mavengono evocati «da unlato, gli artt. 29 e 31 Cost.,volti alla tutela della fami-glia, e, dall’altro, l’art 15Cost., che tutela la libertàdi corrispondere e comuni-care con determinate per-sone e il diritto che nessunsoggetto estraneo venga aconoscenza del contenutodi tali dichiarazioni» (‘Laprova penale’, a cura di P.Ferrua, E. Marzaduri, G.Spangher; G. Giappichellieditore, pp. 195, 196).Ma, riconosciuto (e noncerto da oggi: il codice pe-nale è del 1930) il rilievoprocessuale del “segretofamiliare”, ci si chiedecome possa ritenersi tutta-via legittimo captare sub-dolamente le conversazionidell’accusato con soggettiche mai potrebbero esseretenuti a riferire in merito

Accade che anche le mura (del carcere) abbiano orecchie

Negli atti processuali frequenti le intercettazioni nelle sale colloqui

di Giuliano Dominici

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CentoUndiciSettembre 2015 L’ A P P R o F o N d I M E N T o

alle stesse. In altri termini, dauna parte si ammette che certisoggetti possano tacere e persinomentire circa quanto potrebbepregiudicare la posizione del fa-miliare, dall’altra - vanificandola riconosciuta sfera di riserva-tezza - si intercetta quanto nonaltrimenti conoscibile: non sipuò obbligare una moglie a testi-moniare contro il marito (a rife-rire se le ha confessato il delitto),ma nulla vieta di ascoltare i col-loqui tra gli stessi soggetti nellasperanza di registrare l’agognataconfessione.Laddove a fare la differenza sa-rebbe infine lo strumento tecnicoutilizzato: nessuna “situazione dilacerante conflitto” per il pa-rente-testimone, bensì l’asetticacaptazione di spontanee comuni-cazioni tra l’imputato e il fami-liare ridotto ad inconsapevolecavallo di Troia.Due, quindi gli aspetti che rile-vano: in generale, se il “segreto familiare” ele sue guarentigie possano essere posti nelnulla dall’invadente mezzo di ricerca dellaprova; per quanto riguarda il detenuto, se imargini di “libertà residua” a lui concessipossano essere ulteriormente ridotti da capta-zioni nella sala colloqui. Inevitabilmente af-fiora, infatti, la peculiarità delladimensione carceraria: anchel’accusato in stato di libertà, chepure non è tenuto a rispondere seinterrogato e tantomeno all’ob-bligo di verità, può essere inter-cettato, così registrandosi quantodi compromettente dallo stessoconfidato ad altri (e qui - a benvedere - occorrerebbe già distin-guere, a seconda che l’interlocu-tore sia tenuto o menoall’obbligo di testimoniare). Ma questo ancora non priva deltutto l’intercettato della libertà dicomunicazione, imponendoglisemmai determinate cautele. Unbilanciamento tra privacy e esigenze investi-gative è insomma - per quanto sempre meno,a fronte della progressiva invadenza deglistrumenti captativi - virtualmente prospetta-bile. Come già osservato, l’ora di colloquiorappresenta invece, per il detenuto e per i sog-getti esonerati dall’obbligo di testimonianza,l’unica opportunità di comunicazione. Ammettere la possibilità di intercettare quelleregimentate conversazioni porta alla incon-

grua ed odiosa conclusione che a trasformarsiin strumento inquisitorio possa essere la per-sona più intimamente vicina all’accusato: uninvolontario tradimento - per inganno - pro-prio ad opera di chi potrebbe giovarsi del di-ritto al “segreto familiare”.La questione non riguarda quindi solo i resi-

dui spazi di privacy del detenuto, bensìl’aperto conflitto tra diritto al segreto (rico-nosciuto dai nostri codici tanto all’accusatoquanto al familiare suo interlocutore) ed esi-genze investigative pur regolate dalla riservadi legge che disciplina il regime delle inter-cettazioni (art. 15/2 Cost.). Tenendo anche conto di come, per gli altrisoggetti esonerati - stavolta in ragione del“segreto professionale” - dall’obbligo di te-

stimonianza, è invece chiara-mente stabilito che “non pos-sono essere utilizzate leintercettazioni relative a conver-sazioni o comunicazioni dellepersone indicate nell’articolo200, comma 1, quando hanno aoggetto fatti conosciuti per ra-gione del loro ministero, ufficioo professione”; l’eventuale do-cumentazione di tali intercetta-zioni deve addirittura esseredistrutta su ordine del giudice(art. 271 c.p.p.). Allora, si tratta di stabilire se ilsegreto professionale valga piùdel segreto familiare.

Ed in ogni caso, se sia ragione-vole che la legge consenta di tra-fugare quanto (la stessa legge)riconosce che gli interessati pos-sano del tutto legittimamentemantenere nascosto.

Last but not least.«L'esercizio della facoltà di astenersi dal de-porre da parte dello stretto congiunto previstadall'art. 199 cod. proc. pen - la cui "ratio" sigiustifica con la necessità di tutela del vincolofamiliare - impedisce sia l'introduzione nel fa-scicolo del dibattimento della dichiarazioneresa dallo stesso nel corso delle indagini, sia

il recupero della stessa dichiara-zione mediante la testimonianzaresa "de relato" dal verbaliz-zante, che procedette all'escus-sione del teste (…)» (Sez. I,sentenza n. 6294 del 29.3.1999,Rv. 213464; indirizzo che puòdirsi costante).E quindi: neppure il carabiniereo il poliziotto può riferire quantoa suo tempo gli disse il prossimocongiunto dell’imputato che poi,in dibattimento, abbia scelto diavvalersi del segreto familiare. La cui tutela - diretta ed indiretta- è dunque assoluta, salvo cheper le beneamate microspie.

Qualcosa non torna: la questione merita forsequalche riflessione ulteriore rispetto a questipensieri (qui ci vuole) in libertà.

Post scriptum.Meritoriamente comincia a parlarsi, anche danoi, di diritto all’affettività dei detenuti. Ot-tima cosa per tante e serie ragioni, non ultimache non c’è migliore occasione per piazzareuna cimice tra le lenzuola.

Il conflitto è tra diritto al segreto

del familiareed esigenze

investigative

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CentoUndici Settembre 2015P O L I T I C A G I U D I Z I A R I A

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A P P R o F o N d I M E N T I

Ti ricordi quando “tu e Lapo ed io”

Statuto: faccia a faccia tra il Segretario politicodell’Unione Camere Penali Italiane ed il Direttore

I l T E M A D E L G I O R N O

Si sente spesso dire “il Consiglio deiPresidenti”, oppure il “Presidentedella Giunta dell’Unione”, a meviene da dire - alla Nanni Moretti -“Ehi, occhio, le parole sono impor-

tanti”. Dietro l’utilizzo sbagliato di quei termini,infatti, c’è una certa ignoranza della grammaticacostituzionale dell’Unione, cioè dello statuto.Ne parliamo con Francesco Petrelli, attuale se-gretario politico dell’Unione. Te lo ricordi comenacque l’idea del nuovo statuto?

Francesco Petrelli:

Quando mi hai chiesto di ricordare insieme ate in un articolo a quattro mani di come, in unaoramai lontana estate del 1994, pensammo dimettere mano ad una ipotesi di riforma delloStatuto dell’Unione, ho sinceramente avutoqualche perplessità. non volevo che sembrasseuna operazione nostalgica. ricordare i beitempi che furono, quando eravamo giovani av-vocati alla nostra prima esperienza nel direttivoromano, poteva essere un inutile sentimentali-smo. Ma poi mi sono subito ricreduto. La me-moria è, o può essere, un “dispositivo sociale”,non è necessariamente solo un fatto privato. Sela memoria di certe piccole storie viene condi-visa, se diviene un patrimonio comune, assumeun valore diverso, rivive, e ci aiuta anche acomprendere il presente. eravamo giovani e pieni di passione, forseanche ingenui, ma ci era chiara una cosa: imodi con i quali l’Unione sceglieva la sua lea-dership non aveva nulla di moderno. non erapiù adeguato alle mutate esigenze di un’asso-ciazione che in quegli anni stava modificandoil suo DnA: stava inevitabilmente trasformandol’UCPi in soggetto politico. erano gli anni diTangentopoli, dello stragismo di mafia, del De-creto Martelli, dell’assemblea del Capranica.Quello che mi ricordo è che tornavamo da na-poli, dopo aver partecipato ad una importantemanifestazione a Castel Capuano durante unaastensione difficile napoletana, e che in quel-l’occasione, con il nostro Presidente oresteFlamminii Minuto, Pisani, con renato, conGian Domenico, ci dicemmo… “e se quellostatuto obsoleto, lo cambiassimo?!” Superandole obiezioni realistiche del nostro pur avventu-roso presidente, quella stessa estate ci ritro-vammo a Punta Ala e ci mettemmo al lavorocon entusiasmo.

Valerio Spigarelli:

Sì, poi la nostra proposta fu battuta ad Abanoper pochi voti, per diventare, con marginalimodifiche, il nuovo statuto nel ’95, al con-gresso di Alghero. Lo statuto “presidenziale”fu il frutto, mediato, di una stagione della Po-litica, quella con la P maiuscola, in cui il tabùdel presidenzialismo scontava ancora i pre-giudizi della Prima Repubblica. Allora pre-sidenzialismo faceva rima con“autoritarismo”, e per questo vedeva moltioppositori mossi da un pregiudizio ideolo-gico, soprattutto a sinistra, e di questo te-nemmo conto anche noi. Oggi queipregiudizi sono del tutto rimossi, perlomenosuperati dal fatto che non c’è una vera frat-tura “ideologica” sul tema. Resta il fatto, avoler recuperare parte di quell’antico dibat-tito, che il tema che coinvolge l’architetturastatutaria dell’Unione è piuttosto quello dellapartecipazione. Per come la vedo io, oggi, il problema non èquello di bilanciare i poteri in uno statuto diimpostazione presidenziale, ma quello di far

funzionare la rappresentanza a livello locale.Il fatto è che l’Unione, mentre a livello na-zionale ha conquistato quella “soggettivitàpolitica” che era il tema al centro di quellediscussioni dell’epoca, ha finito per prosciu-gare invece il dibattito in sede locale. Chene pensi?

F. P.:

il problema che segnali è un problema vero.Anche nelle singole Camere Penali se c’è undirettivo che funziona bene capita che i soci di-cano: “Bene, bravi! Andate avanti così …!”insomma si determina un effetto “delega” ec-cessivo che a volte finisce con il mortificare lapartecipazione. e’ anche un po’ conseguenzadei tempi. Molte cose sono cambiate da quantofacevamo quelle prime riflessioni sulla formastatutaria da dare all’Unione. oggi i modi difare politica dell’Unione, come tu ben sai, a li-vello nazionale sono rapidissimi, l’estensionedei problemi, i tempi di reazione devono essereimmediati. inimmaginabili venti anni fa. e’piuttosto normale che i tempi della politica alivello territoriale, anche nelle Camere Penalipiù grandi e più attive, siano diversi. Ma sitratta di una diversità che secondo me è anche

un valore, di una modalità che tiene conto dellaprofonda differenza dei territori e che consentedi cogliere aspetti diversi dei problemi. Pensoche quello della partecipazione ai temi nazio-nali sia una questione che vada affrontata po-liticamente, anticipando, arricchendo emoltiplicando le occasioni di discussione.

Le riforme statutarie sono un work in progress

ma le regole sono partefondamentale

della politica che si attua

Francesco PetrelliSegretario politico dell’UCPI

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CentoUndiciSettembre 2015 I N T E RV I S TAA P P R o F o N d I M E N T I

I l T E M A D E L G I O R N O

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V. S.:

Come dicevi tu, all’epoca l’idea portante fu:mettiamo l’Unione al passo con i tempi, civuole un esecutivo che sia in grado di rispon-dere alle evenienze politiche in tempi rapidi e,allo stesso tempo, che rimanga in contatto conle esigenze e le richieste della base, cioè dellesingole Camere Penali. I fatti del 1992, cioè larivolta della base che aveva protestato e scio-perato per la liquidazione del codice accusato-rio che si stava perpetrando, in sede localeprima ancora dell’Unione, erano assai vicini. IlConsiglio delle Camere Penali (che alla fine fuchiamato così proprio perché non fosse “solo”un consiglio di presidenti, n.d.r.) venne imma-ginato come una stanza di compensazione trale due direttrici - presidenza che assumeva una“forte” presenza anche esterna e la mitica“base” costituita dalle Camere Penali - co-

struita in maniera tale da privilegiare la com-ponente territoriale. In questo senso si spiega ilpotere di voto (.. “uno vale uno” a dirla con glislogan odierni) che equipara Camere Penali didiversa consistenza numerica. Una scelta chevenne confermata anche in seguito di fronte (alcongresso di Roma del 1999, n.d.r.) alla propo-

sta di modificare il potere di voto, in seno alConsiglio, in base alla consistenza numericadelle singole Camere Penali, come avviene alcongresso attraverso il meccanismo della de-lega. Tutto questo riporta ad un altro dei temi:la natura tendenzialmente “associativa” del-l’Unione rispetto a quella “federativa”. Gae-tano Pecorella, alla fine del congresso diAlghero, si diceva convinto che il passo suc-cessivo fosse quello di andare verso una formaassociativa più marcata: l’Unione doveva di-ventare l’associazione nazionale dei penalisti,i penalisti si dovevano iscrivere all’Unione, do-vevano avere la tessera dell’Unione e di questoè rimasta eco nelle attuali tessere. Associazioneo federazione è ancora un tema aperto o fapaura?

F. P.:

non fa paura. Però certamente questo temadelicatissimo non si è mai chiuso. e’ semprerimasto aperto. ricordo che nelle diversecommissioni di “riforma dello statuto” cheabbiamo frequentato si faceva un gran par-lare di istituzioni “centripete” e “centrifu-ghe”, che cioè avrebbero allontanato oavvicinato le singole Camere Penale al centrodirigenziale dell’Unione. oggi le nostre tes-sere che sono intestate all’Unione, ci ricor-dano che però siamo soci della nostraCamera Penale. La scelta federalista e quelvoto democratico che noi volemmo e che tuhai giustamente ricordato, che faceva di ognisingola realtà territoriale (a prescindere dallesue dimensioni e dalla sua storia) un soggettopolitico autonomo e responsabile, è stata se-condo me il motore propulsivo che ha fattocrescere l’Unione.

V. S.:

Butto lì alcuni temi che abbiamo messo anchenell’editoriale di questo numero: omogeneitàdegli statuti locali rispetto a quello nazionale;verifica della reale consistenza degli elenchidegli iscritti in vista delle elezioni degli organidell’Unione ma anche, attraverso le deleghe,

per rendere le scelte congressuali rispondentialla vera realtà dell’arcipelago dell’Unione. Epoi: i congressi di mid-term perché li definiamostraordinari, visto che li facciamo ogni anno?Oltre a questo si può immaginare altro? Ha an-cora senso la partecipazione, virtuale, dei pastpresident alla Giunta, o non sarebbe megliodargli un posto, senza diritto di voto, al Consi-glio? Non è il caso, accanto alla presenza di di-ritto dei presidenti, che ai congressi nonelettorali si elegga al Consiglio anche una pic-cola quota di rappresentanti direttamente? Edinfine, non ti pare che il tema statutario sia unpo’ sottovalutato e che il dibattito sia stato unpo’ asfittico su questo?

F. P.:

il tema statutario non può essere eluso e tornoquindi sull’argomento che mi è caro e che hocercato di sottolineare in termini sintetici. Lavarietà delle realtà culturali dei diversi terri-tori del nostro Paese è tale da impedirne unaomologazione. il modulo federativo ha salva-guardato la possibilità delle singole CamerePenali di declinare gli statuti e lo stile dellapropria attività associativa in consonanza conla propria storia e con i problemi (che sap-piamo essere assai diversi) delle singole realtàgiudiziarie. Questa differenza si è rivelata unaricchezza, uno stimolo continuo e non un frenoper la vita politica dell’Unione.L’omogeneità degli statuti deve essere certa-mente un fine da perseguire, ma non può cheessere il frutto di una condivisione maturatanel tempo senza mortificare l’autonomia e l’in-dipendenza delle singole Camere Penali, per-ché questo significherebbe tradire l’improntaoriginaria. Ma questo ovviamente non basta.Si possono trovare molte soluzioni. entrare dif-fusamente nel merito delle tue tante e differentiidee di possibile modifica dello statuto non miè possibile. Avremo modo certamente di farlo.Voglio però sottolineare come il ricambio co-stante e democratico della classe dirigente del-l’Unione è il risultato del modello statutarioche abbiamo scelto, ed è al tempo stesso unaresponsabilità ed un impegno di straordinariorilievo per chi è stato scelto in sede Congres-suale. Per questo motivo tutte le ipotesi di ri-forma che possano incrementare lapartecipazione democratica alla vita politicadell’associazione sono interessanti, perché lavita dell’Unione ha bisogno del contributo ditutti ed a tutti i livelli. ogni sistema per funzio-nare, e per resistere alle sollecitazioni, devetuttavia avere una coerenza interna. Trovare ilgiusto punto di equilibrio è il difficile lavoroche ci attende.

Il Congresso ci darà una prima risposta, ma laquestione delle riforme statutarie, come inse-gna la storia dell’Unione, è un continuo workin progress. L’importante è che la materiavenga affrontata riflettendo sul fatto che le re-gole, per una associazione di avvocati che sioccupa di temi legati ai diritti dei cittadini, sonoparte fondamentale della politica che si attua.

Valerio Spigarellidirettore di “CentoUndici”

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CentoUndici Settembre 2015P O L I T I C A G I U D I Z I A R I A

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P o L I T I C A  G I U d I Z I A R I AL’ o P I N I o N E

Nello spazio-tempo di attuazione della legge penale la bancarotta della giustizia

di Roberto Rampioni *

Parlare di crisi della legalità pe-nale è improprio; frutto della ba-nalizzazione del linguaggiomediatico. In effetti, non si assi-ste ad una crisi di sistema; emer-

gono, piuttosto, seri e gravi problemitecnico-giuridici relativi: - al pluralismo edalla dislocazione delle fonti (ordinamento in-terno e componenti sovranazionali); - alla le-galità c.d. delegata; – al c.d. formantegiurisprudenziale. Crisi della legalità penalesta per crisi della giustizia. Il processo di co-stituzionalizzazione del diritto penale col ri-badirne ed arricchirne i principi fondanti (dimatrice illuministica) assicura, al contrario, ilvalore giustizia: il riconoscimento di diritti elibertà inviolabili del cittadino, da un lato; iprincipi di legalità, offensività, colpevolezza,proporzione, comprensivamente, l’idea del di-ritto penale quale extrema ratio, dall’altro. Lalaicità del diritto penale non taglia i ponti colmondo delle regole morali, per così dire, giu-ste; la storicizzazione (“la legge quale misuradell’eguaglianza”) e la relativizzazione del di-ritto (“il diritto è un diritto laico che si fondasolo sulla legge”), piuttosto, consentono di ap-prezzare - distinti i piani - quanto una normasia o meno in lineacon le concezionietico-sociali domi-nanti. Con Lopez deOñate, la giustizianon può che realiz-zarsi nella normacerta, rigida edastratta. Ciò che evi-dentemente è oggi incrisi è il rapporto fralegalità formale egiurisdizione. La bancarotta dellagiustizia penale simanifesta nello spa-zio-tempo di attua-zione della leggepenale. Qui, infatti,sono variamente di-sattesi quei principi,vengono messe in di-scussione (spesso,negate) le garanziepenal-processuali ov-vero l’apparato nor-mativo teso a

minimizzare la violenza punitiva ed a massi-mizzare la tutela dei diritti dei cives. Tenta-zioni autoritarie (il giudice animato dasentimenti di difesa sociale) si materializzanoin nome dell’efficienza giudiziaria, dimentichiche il diritto penale è, al contempo, tecnicanormativa di controllo sociale (tutela dellacollettività) e sistema normativo di tutela divalori (garantismo). Sistema questo che, lungidal poter essere dominato da ragioni strumen-tali (controllo sociale), assume, quale regnodei fini (tutela di valori), una posizione anta-gonista rispetto alla difesa sociale. L’ordina-mento penale è il diritto del debole (la vittimaed ancor prima l’autore del reato): mira a con-tenere l’efficacia e l’efficienza del terribile ap-parato processuale e a tal fine postula ilrispetto dei principi e delle regole di legalitàcon funzione di garanzia. In estrema sintesi,le cause prime della crisi di quel rapporto.Nella società post-moderna emerge, innanzi-tutto, la flessibilizzazione-liquidizzazione deldiritto penale per la dislocazione delle fonti(c.d. sistema multilivello) e per il primatodella interpretazione sulla lex scripta etstricta (giurisprudenza quale fonte creatrice).Il primo fenomeno concorre alla progressiva

erosione del principio della riserva di legge(vincoli derivanti dall’adesione alle Conven-zioni internazionali; ridimensionamento delladiscrezionalità dei Parlamenti nazionali nelleopzioni di politica criminale a seguito dell’en-trata in vigore del Trattato di Lisbona; legisla-zione delegata a fonti subordinate). Lacrescente giurisprudenzializzazione dellanorma si arricchisce vieppiù nella dimensionesovranazionale; un diritto di stampo marcata-mente pretorio si inocula nell’ordinamento in-terno. La coesistenza di una pluralità di normeconcorrenti sulle medesime questioni giuridi-che, ma appartenenti ad ordinamenti diversi eprive di una gerarchia; l’impossibilità di uti-lizzare i tradizionali criteri di composizionedelle antinomie intraordinamentali (lex supe-rior, lex specialis, lex posterior) - si assume -tanto più rendono incerta la norma applica-bile, tanto più rendono protagonistico il ruolodel giudice, che non deciderà più in forzadelle regole ma dei principi. Ora, proprio iprincipi negano fondamento ad una simileconclusione. In ordine al primo aspetto valbene ricordare che solo il Parlamento, inquanto organo democratico, è in grado di ga-rantire la legalità penale ed anche una legalità

penale interna che siraccordi a quellaconvenzionale. Lastessa sentenza delgiudice delle leggitedesco (30 giugno2009) sul rispetto deiprincipi democraticinel processo di inte-grazione europea inmateria penale èchiarificatrice al ri-guardo. Peraltro, sein ambito sostanzialeè dato riscontrareuna legislazione eu-ropea tutta protesaalla difesa degli inte-ressi economicidell’Unione, sulpiano processualeemerge una visionestrumentale del pro-cesso penale, qualemezzo di difesa so-ciale versus la crimi-nalità economica e

Principio di certezza e c.d. diritto vivente

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transnazionale. Le stesse recenti direttive,proposte nel novembre 2013, tese ad un cam-biamento di priorità per la finalmente ricono-sciuta necessità di integrare la sicurezza coni diritti individuali, denunciano un pericolososcadimento delle garanzie, specie se rappor-tate al diritto interno. Il vago e flessibile cri-terio proposto, la c.d. equità complessiva delprocesso, offerto alla creatività di una giuri-sprudenza efficientista, rischia di scardinare ilprincipio garantistico della legalità proces-suale. Sul tema del primato dell’interpreta-zione, del c.d. diritto vivente appare doverosoprecisare che in un sistema retto dal principiodi legalità dei reati e delle pene proprio il ri-spetto dei principi porta a concludere che lagiurisprudenza non possa essere ritenuta fontelegale. La stessa Corte costituzionale (sent. n.230 del 2012), intervenendo in tema di muta-mento giurisprudenziale, ha sancito che purel’orientamento delle Sezioni Unite ha valore“essenzialmente persuasivo” e può essere di-satteso “in qualunque tempo e da qualunquegiudice della Repubblica, sia pure con l’oneredi adeguata motivazione”. Questa sentenzapresenta una forte cifra politica, in quanto èvalsa a bloccare una pericolosa deriva: l’ideache il giudice sia soggetto al dictum delle Se-zioni Unite, piuttosto che alla legge. E che,più in generale, l’interpretazione non sia su-scettiva di assumere “un ruolo centrale nellaprecisazione del contenuto e della latitudineapplicativa della norma”, così da assolvere so-stanzialmente ad “una funzione integrativadella medesima”, è stato del pari smentitodalla Corte costituzionale (sent. n. 327 del2008). Un simile ordine di idee tradirebbe lastessa duplice funzione del principio di deter-minatezza: garantire la concentrazione nel po-tere legislativo della produzione della regulaiuris; assicurare al destinatario del precettopenale la conoscenza preventiva di ciò che èlecito e di ciò che è vietato (e scongiurareforme di cd. retroattività occulta, come è av-venuto nelle ipotesi del p.u. a libro paga, dellacondotta di inquinamento elettromagnetico,della prostituzione on line e così via). Emble-matici in argomento la pronuncia CEDUsull’affaire Contrada del 14 aprile 2015 ed irecenti creativi orientamenti giurisprudenzialiin tema di c.d. concorso esterno nei reati as-sociativi. La Corte Europea ritiene che ci sitrovi dinanzi a “une infraction d’origine juri-sprudentielle”; rileva, peraltro, che solo conla pronuncia a Sezioni Unite del 5 ottobre1994 si sia riconosciuta, e per la prima voltain modo esplicito, la rilevanza penale delfatto; di conseguenza statuisce che siffattanorma non è in ogni caso applicabile alle con-dotte realizzate in epoca antecedente a talepronuncia in ossequio ai principi di irretroat-tività e conoscibilità della legge penale. Argo-mentare non rassicurante, dal momento chenon è dato intendere su cosa poggi la con-danna pronunciata nel processo concluso conl’attività creatrice delle Sezioni Unite; e comesi sia potuto trascurare che la materialità co-

stitutiva della norma vivente è mutata neltempo, di Sezioni Unite in Sezioni Unite, ve-nendosi da ultimo a recuperare - in contraddi-zione patente col proprio più generaleorientamento in tema di concorso di persone- l’apporto causale quale limite e fondamentodella condotta di c.d. concorso esterno. Se laflessibilizzazione del tipo legale libera lacreatività del giudice, l’evaporazione dell’og-getto di tutela consente ulteriori ampliamentidell’area del penalmente rilevante. Si parlavacuamente del principio di offensività, ma sene trascura il necessario termine di relazione:l’interesse protetto. Se la tutela penale, qualeextrema ratio, può essere solo e soltanto tuteladi beni fondamentali, vanno contrastati la ten-denza espansiva del diritto penale come ilruolo di supplenza a questo affidato; altreforme di responsabilità devono entrare ingioco (v. la riforma mancata della P.A.) là

dove l’interesse aggredito non sia riconduci-bile, direttamente o indirettamente, ad inte-ressi vitali della persona. La questione morale,in ogni caso, non può esser vista come que-stione criminale. Ora, proprio i modelli di tu-tela espressi dalla politica criminale europeasi rivelano incentrati su una nozione del tuttoimmateriale di interesse (finanziario); si pre-

scinde dalla reale dannosità e ci si orienta sul-l’ethically correct; si guarda più all’autore cheal fatto. Gli obblighi europei di penalizzazionedell’insider trading e dell’autoriciclaggio sa-crificano principi fondamentali quali l’harmprinciple, il primo, ed il ne bis in idem sostan-ziale, il secondo, per dichiarate esigenze diipertutela del cd. mercato. Senza il saldo an-coraggio ad un bene afferrabile il diritto pe-nale cessa di costituire l’insuperabile barrierada frapporre alla politica criminale.Fenomeno non estraneo al c.d. formante giu-risprudenziale che non solo tende a rimodu-lare la struttura tipica della fattispecie, maimplementando (v. i ‘nuovi’ reati plurioffen-sivi) o, addirittura, sostituendo l’oggetto di tu-tela mette in atto scelte di politica criminalein grado di condizionare il momento fondantedel sistema punitivo. L’ipotesi, di creazionegiurisprudenziale, del tentativo di rapina im-propria è emblematica al riguardo: la strumen-talità delle condotte, non la meracontestualità, è in grado di attribuire disvaloreunitario alle diverse forme delittuose descrittedall’art. 628 c.p. Concludendo. A chi sostieneche il ‘nuovo ordine’ è “da realizzarsi dinami-camente attraverso lo strumentario duttiledella giurisprudenza” e che “è a questo puntodella storia che si manifesta, come un coup dethéâtre, il cambio di paradigma tra sistemadelle regole e sistema dei principi” v’è dachiedere quali mai siano i principi che, og-getto di argomentazione in chiave costituzio-nale e di bilanciamento, possano consentirel’interpretazione contra legem. Ovvero la in-vasiva penalizzazione dell’area di libertà ri-conosciuta al privato e la negazione deiprincipi fondanti dell’ordinamento penale.Come ammonisce Marcello Gallo, “non c’ènulla di male che quel che non è previsto dallalegge penale non possa essere punito” e comeraccomanda Umberto Eco, ogni discorsosull’interpretazione deve procedere dalla di-fesa del senso letterale del testo; pena la tra-mutazione del c.d. formante giurisprudenzialein deformante delle fonti legali, in arbitrio di-spositivo. Il modo di essere del diritto penale,quale che sia il grado di sfiducia nel legisla-tore, per un verso, non consente la rinunciaalla matrice democratica della norma origi-nata dal procedimento legislativo; per l’altro,impone il recupero della portata semantica esintattica del testo per dare significato alla di-sposizione. La prevedibilità dell’esito giudi-ziario, criterio sostitutivo accampato dallagiurisprudenza in forza di un preteso vincolorigido del precedente, è una sorta di impropo-nibile succedaneo dell’irrinunciabile princi-pio di certezza, “fulcro insostituibile delsistema delle garanzie”, anche per chi, comeCarlo Enrico Paliero, ravvisa nel giudice-Her-mes l’unico possibile attuale modello di giu-risdizione, ma pretende comunque che sigiudichi sulla base di una regola preesistenteal fatto.

CentoUndiciSettembre 2015 L’ o P I N I o N E

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Oggi è in crisi

il rapporto tra

legalità formale

e giurisdizione

* Professore ordinario di Diritto Penale

Università degli Studi di Roma“Tor Vergata”

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CentoUndici Settembre 2015d I R I T T I   E   T E C N o L o G I A

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Nel nostro precedente - ed aquanto pare lungimirante - ar-ticolo (cfr. “La Ferrari e la bi-cicletta”, pag. 8, numero zerodi questo giornale, del quale

riportiamo anche “Il fatto”), avevamo parago-nato l’impressionante velocità con cui si evol-vono le tecniche di indagine (rectius:spionaggio) all’incedere di una Ferrari, ri-spetto alle stantie discussioni parlamentarisulle intercettazioni telefoniche, la cui tecno-logia invasiva, al confronto, sembra muoversicome un velocipede. In quell’articolo ave-vamo evidenziato l’importanza dell’inter-vento del Garante della Privacy, AntonelloSoro, le cui parole oggi risultano addiritturaprofetiche. Durante l’iter parlamentare di ap-provazione del decreto Antiterrorismo, infatti,Soro aveva segnalato che l’emendamento go-vernativo che disciplinava l’utilizzo di un tro-jan di Stato (ovvero la possibilità di spiare daremoto), in realtà, poteva essere un postumoe maldestro tentativo di conferire legittimitàad una prassi investigativa forse già utilizzataanche in Italia, seppur largamente sconosciutaanche dai bene informati. Le notizie trapelatesul caso Hacking Team, ovvero la diffusa uti-lizzazione di programmi informatici, in gradodi spiare - da remoto e senza lasciare alcunatraccia - ogni aspetto della nostra vita, hannoconfermato gli incubi di Soro. Tant’è che, aquel punto, scoperto l’inghippo, chi ha po-tuto, si è unito al coro di crescente preoccu-pazione, anche se sotto un profilodiametralmente opposto; c’è, infatti, chi dallaFerrari non vorrebbe scendere. Il capo dellapolizia Pansa, rispondendo alle domande delCopasir, ha dovuto ammettere che a causadell’hackeraggio di Hacking Team, sono statedanneggiate molte inchieste in corso; inquella sede è chiaramente emerso che le no-stre forze dell’ordine, da tempo utilizzano il”Remote control system” Galileo (la Poliziadi Stato sembra addirittura dal 2004). DopoPansa, al Copasir sono stati sentiti anche ivertici delle altre forze di polizia e dei servizisegreti. Il quadro che si è andato via via deli-neando è apparso sempre più preoccupante.Tutti, ma proprio tutti, pare anche il NucleoTecnologico della Presidenza del Consiglio emolti privati, utilizzano da tempo il malwareGalileo, o altri prodotti della Hacking Team,più o meno simili. Nessuno sembra, però,porsi alcun problema in merito alla legittimitàdi tale metodo investigativo. Nessuno si pone

la domanda, se l’utilizzo di un virus informa-tico, inoculato e gestito da remoto, senza la-sciare tracce e senza consentire alcuncontrollo, sia o meno in linea con i più ele-mentari principi costituzionali e con le normedel codice. Il Garante della Privacy, però, hamantenuto alta l’attenzione. Su “Il Messa-gero” del 9 settembre 2015, Antonello Soroha rilasciato una nuova intervista, nella qualeha ribadito l’illegalità del software Galileo ed

i rischi che l’utilizzo di un tale sistema deter-mina in tema di tutela della privacy. Le pre-occupazioni espresse dal Garante sono chiare:inutilizzabilità degli elementi di prova ottenuticon tecniche investigative atipiche, non cir-condate da sufficienti garanzie; necessità ditrovare il giusto equilibrio tra libertà e sicu-rezza, diritto e tecnologia, privacy, giustizia eintelligence, “...confermando, ancora unavolta, la centralità del diritto alla protezionedei dati personali nella società digitale; un di-ritto d'inviolata personalità la cui compres-sione rischia di renderci tutti schiavi dellalogica totalitaria dell’ uomo di vetro”. Soroparla con le carte in mano, cita la Cassazionedel 26 giugno scorso, che “ha dichiarato ille-gittime (e dunque inutilizzabili) le intercetta-zioni ambientali realizzate medianteimmissione di virus informatici in uno smar-tphone, capaci di attivare in ogni momento lavideocamera del telefono. Questa tecnica in-vestigativa consentirebbe, in violazione di Co-stituzione e codice, un controllo totaledell'indagato, esteso ad ogni luogo e contesto,talmente pervasivo da non avere più alcun li-mite né, del resto, possibilità di riscontro ef-fettivo. Come sembrerebbe dimostrare lavicenda hacking Team, infatti, alcuni dispo-sitivi utilizzati per le intercettazioni da remotosarebbero in grado non solo di "concentrare",in un unico atto, una pluralità di strumenti in-vestigativi (perquisizioni del contenuto del pc,pedinamenti con il sistema satellitare, inter-cettazioni di ogni tipo, acquisizioni di tabu-lati) ma anche di eliminare le tracce delleoperazioni effettuate, a volte anche alterandoi dati acquisiti. Salterebbero così, chiara-mente, tutte le garanzie stabilite dal codice dirito a tutela dell’indagato: dal riscontro effet-tivo del giudice sugli atti compiuti dagli in-quirenti al contraddittorio sulla prova, chepresuppone ovviamente la possibilità per l'in-dagato di contestare la veridicità degli ele-menti addotti contro di lui”. La Corte diCassazione, Sezione Sesta Penale, udienza 26maggio 2015, infatti, ha stabilito che il “virusdi Stato” è illegale e che le prove in tal modoacquisite, sono inutilizzabili. Era forse laprima volta che i Supremi Giudici si occupa-vano della legittimità delle investigazioni (in-tercettazioni, pedinamenti, acquisizione difiles...) effettuati con software da remoto e cheun sistema di garanzie, costruito per andare inbicicletta, incontrava in un’aula una Ferrari.Questa volta l’uso sapiente dei principi ed un

A cura di roberto randazzo e Marco Maria Monaco

Intercettazioni e nuove tecnologie,per la “Ferrari” è tempo di pit stop

Il 5 luglio 2015 l'account Twitterdella società Hacking Team, azienda

italiana specializzata nella produzionee commercializzazione di sofisticatis-simi software e che aveva da poco de-nunciato abusi compiuti da alcunidipendenti, è stato violato da un hackersconosciuto. Attraverso tale accessovenivano sottratti circa 400 Gb di do-cumentazione (email, fatture, lettere edatti vari classificati come “riservati”).Il file sottratto, diffuso da Wikileaks,evidenziava l'esistenza di intensi rap-porti commerciali tra l'azienda edagenzie di sicurezza di numerosi go-verni, quali la Corea del Sud, il Kaza-kistan, l'Arabia Saudita, l'Oman, ilLibano, la Mongolia, l'Egitto, il Sudaned altri, alle quali sarebbero stati ven-duti sistemi informatici e software-spiaprogettati per intercettare ogni possi-bile forma di comunicazione, monito-rare smartphone, tablet, pc portatili efissi, monitorare spostamenti e quantoaltro utilizzi una rete ovvero un sistemadi comunicazione. Galileo, così sichiama il software del quale sono stateanche rivelate parti del codice necessa-rio per lo sviluppo, può infatti essere“inoculato” e rimosso da remoto in unqualsiasi apparato elettronico e, inun'unica soluzione, consente opera-zioni possibili con sistemi diversi: in-tercettazioni telefoniche, ambientali edel traffico dati, “cattura” dei docu-menti memorizzati e pedinamento elet-tronico.

I L  FAT To

r. r. e M. M. M.

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CentoUndiciSettembre 2015 d I R I T T I   E   T E C N o L o G I A

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vigoroso colpo di pedale hanno imposto al bo-lide di Maranello di rallentare e fermarsi per idovuti controlli. Nella sentenza, la Corte haevidenziato la necessità di fare costante rife-rimento alla disciplina del codice, evitandoscorciatoie e semplificazioni; nel caso esami-nato, la Procura aveva disposto l'intercetta-zione d'urgenza telematica, tramite agenteintrusore (virus informatico), di tutto il traf-fico dati e di tutte le conversazioni tra pre-senti, mediante l'attivazione, attraverso unvirus da remoto, del microfono e della video-camera degli smartphones; ciò aveva compor-tato l’apprensione dei contenuti dellamemoria degli apparecchi cellulari e la gene-rale captazione di tutti i dati propri della sferaprivata dei rispettivi utilizzatori. La Corte haritenuto questo modo di procedere del tutto il-legittimo, perché “la tecnica utilizzata con-sente, attraverso l’attivazione del microfonodel telefono cellulare, la captazione di comu-nicazioni in qualsiasi luogo si rechi il sog-getto, portando con sé l’apparecchio: ciò che,come poc’anzi evidenziato, non è giuridica-mente ammissibile... Si tratta invece di unatecnica di captazione che presenta delle spe-cifiche peculiarità e che aggiunge un quidpluris, rispetto alle ordinarie potenzialità del-l'intercettazione, costituito, per l'appunto,dalla possibilità di captare conversazioni trapresenti non solo in una pluralità di luoghi, aseconda degli spostamenti del soggetto, ma -ciò che costituisce il fulcro problematico dellaquestione - senza limitazione di luogo. Ciò èinibito, prima ancora che dalla normativa co-dicistica, dal precetto costituzionale di cuiall’art. 15 Cost.”. La soluzione, pure giuridi-camente convincente, non soddisfa del tutto.

Per una volta - questa volta - una corretta in-terpretazione del codice e dei suoi principi,hanno garantito il rispetto dei diritti fonda-mentali. Cosa succederà quando la Ferrarimetterà il turbo, o non si fermerà ai controlli?Le risposte dovrà darle il legislatore con unintervento serio e coerente, sistematico e com-plessivo; un intervento che poco o nulla ha a

che vedere con il dibattito parlamentare incorso in tema di intercettazioni e simili. Incasi come questi, sarebbe buona norma guar-dare nel verde giardino del proprio vicino.Come segnalato dallo stesso Soro, un Giudicea Berlino c’è... anzi, a Lisbona. In Portogallo,patria di un sistema giuridico estremamentesimile al nostro dove, sarà un caso, la separa-zione delle carriere è già una realtà, dopo soloun mese dall’approvazione - il 27 agosto 2015- il Tribunale costituzionale portoghese, ha di-

chiarato illegittima la legge Antiterrorismo,nella parte in cui autorizzava gli organi di in-telligence ad acquisire, per esigenze di con-trasto del terrorismo, i tabulati telefonici etelematici in base a una mera autorizzazione.I giudici portoghesi hanno espressamentefatto riferimento ai principi contenuti nellasentenza con cui un anno fa, la Corte di Giu-stizia Europea ha annullato la direttiva sullaconservazione dei dati di traffico per viola-zione del principio di proporzionalità tra pri-vacy ed esigenze investigative. Secondo igiudici lusitani, a tutela dei cittadini i cui datisiano acquisiti, sono necessarie garanzie mag-giori, che solo un controllo giurisdizionale piùforte, analogo a quello previsto per il processopenale, può garantire. “è un’affermazione im-portante - sottolinea Soro - perché assicura alcittadino una tutela procedurale effettiva, purin un settore, quale quello dell’intelligence,caratterizzato tradizionalmente dalla preva-lenza degli interessi collettivi sui diritti indi-viduali e dalla tendenziale assenza di unsindacato, sull'esercizio del potere, diversodalla (discrezionalissima) responsabilità po-litica”. Come ribadisce il Garante, d’altrocanto, il problema potrebbe avere confini piùampi sino al “rischio di rendere la tecnologianon uno sviluppo della libertà ma, per essa,un'insidia. e di dimenticare quanto, ripren-dendo la giurisprudenza costituzionale tede-sca, ci ricordano le due sentenze citate: lasola percezione di poter essere continuamentecontrollati è essa stessa perdita di libertà”. Avolte, se si pedala forte, anche in bicicletta sipuò raggiungere la Ferrari, soprattutto se ilbolide gira senza assicurazione ed è costrettoa fermarsi.

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Iprocessi simulati sono quelli che d’estate spopolano ormai dappertutto, dove si processaun personaggio storico, o una idea, certe volte anche degli oggetti. Il bello è che, per

non farle sembrare troppo finte, le imputazioni sono cervellotiche come quelle del Poolantimafia di Palermo e sballate come quelle di De Magistris. E così nel corso del tempohanno processato Manzoni per istigazione al sequestro di persona aggravato dal fine dilibidine, Paperino per violazione degli obblighi di assistenza familiare, Maria Vergine perinseminazione eterologa illecita in concorso con l’Arcangelo Gabriele, Madre Teresa perimpiego di minori nell’accattonaggio e via pazziando fino ad arrivare ad accusare il vi-bratore di ingresso abusivo in fondo altrui e la psicanalisi di alterazione di stato per tuttoquel casino di io, superio e via discorrendo. In queste occasioni chiamano avvocati piùo meno di grido, giornalisti più o meno di grido, magistrati più o meno di grido e li met-tono a fare chi l’avvocato, chi il giudice, chi il pm, chi l’accusato. Segue un processovero e proprio, con i testimoni, la requisitoria dei pm, l’arringa dei difensori, la decisonedella Corte e spesso quella del pubblico. Un puttanaio dove capita che, per il puro gustodell’originalità a tutti i costi che contraddistingue il nostro popolo mattacchione, i figli dicane vengano regolarmente assolti e i bravi figli regolarmente condannati. Insomma, seti ci trovi coinvolto, e magari ti affidano la difesa di Maria Maddalena, imputata di essere(stata) una peripatetica, cioè la pura e semplice verità, capace che l’assolvano, mentre seti trovi a difendere San Francesco per detenzione di noci guaste ed imperfette e/o di mal-trattamenti agli animali, a causa dei pipponi che gli tirava quando l’incontrava nei boschi,la condanna non gliela leva nessuno. Così, tanto per smentire i luoghi comuni e fare glioriginaloni. Il che non è poi tanto vero, visto che in queste rappresentazioni ci sono, sem-pre, anche i magistrati, i quali ovviamente non distinguono i processi simulati da quelliveri, tanto gli sembrano identici sia il puttanaio che l’imprevedibilità dei verdetti.

“Veri o finti  sono la stessa cosa”

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Mafia e funerali: eterogenesi dei cretini

Non si parla d’altro, su giornali e televisioni, che di “MafiaCapitale”, e qualcuno invoca a gran voce lo scioglimentodel Comune di Roma. E così, anche i romani hanno sco-

perto che a Roma c’è la mafia. Non il malaffare (qualcosa, invero, ipiù avveduti sospettavano), ma proprio La Mafia. Mancava però la

prova provata, la pistola fumante, e i solitisantommasi - sfidando la compattezza delpensiero unico giornalistico/giudiziario - an-cora dubitavano. La zingarata post-ferragostana(*) ha peròspazzato via ogni dissidenza (che, comenoto, oggettivamente indebolisce lo sforzocomune delle forze sane del Paese nel con-trasto ai fenomeni criminali): una parata fu-neraria - in occasione del passaggio a migliorvita di un semisconosciuto, sedicente boss -che quanto a simbologia mafiosa pareva ilset cinematografico di un B-movie. Ora: se la mafia è quella, e se quella è mafia,torna buono l’aforisma di Flaiano: la situa-zione è grave, ma non è seria. E cioè, è alta-mente probabile che certe ostentate (comenon fa la mafia) ricchezze possano avere ori-gine illecita. Ma perché saltare a piè parimezzo codice penale per approdare diretta-mente al 416-bis? Rimane da capire a chi,oggettivamente, giovi una simile banalizza-

zione di un fenomeno invece, e purtroppo, serissimo. (*)Facciamocene una ragione: i loquaci protagonisti del vivace evento fu-nerario hanno espresso all’unisono, davanti alle telecamere, un sempliceconcetto: “Noi zingari da sempre usiamo fare funerali così”. Noi zingari.A verbale il proditorio attacco ai faticosi approdi del politically correct.

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