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STORIA DEL PENSIER0 GEOGRAFICO Da Thomas Piketty a David Harvey: ri- flessioni sui rapporti tra geografia e capitalismo Il 27 aprile e il 25 maggio 2015, rispetti- vamente presso l’Università di Firenze e la sede della Società Geografica Italiana a Ro- ma, si sono tenute due giornate di studio proposte da Angelo Turco. L’incontro fio- rentino, realizzato anche con il sostegno della Società di Studi Geografici, ha preso spunto dal libro di Thomas Piketty Il capita- le del XXI secolo e ha approfondito la rela- zione tra capitale e territorio. Il convegno di Roma ha proposto un’analisi sul nesso tra capitalismo e territorialità, a partire dal testo di David Harvey Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo (si veda questo «Bol- lettino», 2015, 3). Come evidenziato da Tur- co, entrambe le giornate sono nate con l’o- biettivo di offrire un’opportunità di confron- to sugli effetti prodotti dal capitale e dal di- spositivo capitalista nei processi territoriali. Angelo Turco ha avviato i lavori fioren- tini mettendo in rilievo come oggi al cuore del capitalismo non ci sia più solo l’impresa ma anche «attori ignoti», spesso transnazio- nali, che agiscono sulla comunità trasfor- mandone la natura. La dissimmetria nelle relazioni tra capitale e territorio ha trasfor- mato gli elementi costitutivi valoriali delle comunità, producendo così una collettività d’interessi particolari. È stato sottolineato come il volume di Piketty escluda dal piano di analisi l’elemento della territorialità e analizzi il capitalismo come dispositivo di valorizzazione del capitale. Tale scelta met- te in atto un processo riduzionista che chiu- de la geografia all’interno di un paradigma cosiddetto paratattico, funzionale, utile al capitalismo per commutare la propria azio- ne e mettere fuori gioco la territorialità con- figurativa e ontologica, più volte richiamata come modello di riferimento. L’invito di Turco è stato indagare la re- lazione tra una comunità e il territorio, an- che attraverso la chiave dell’emozionalità configurativa. Ciò può essere realizzato ri- leggendo la storicità del paesaggio e la sua capacità di attribuire valore al territorio. Sergio Conti ha ricordato come la fase pervasiva dell’economia si basi su alcuni dogmi. La libertà di scambio non tiene conto delle interdipendenze territoriali simmetriche e della complessa fase di ri- orientamento valoriale delle comunità. La visione dogmatica economicista, cui lo stesso Piketty si concede, non supera la falsa credenza dell’illimitatezza delle risor- se ambientali e non vede la crisi dirom- pente degli Stati-nazione, incapaci di esprimere un politica e una cultura sociale al di fuori dei parametri di misura del Pro- dotto Interno Lordo. Il mercato finanziario separato dalla realtà produttiva territoriale enfatizza la relazione tra produzione cultu- rale e dimensione economica territoriale e la svolta relazionale nei processi di forma- zione delle imprese, a prescindere dalla prossimità geografica. Infine, la scelta del- la scala ideale per indagare i processi evo- lutivi in una prospettiva sistemica e il va- riare del quadro politico-istituzionale nel- l’ambito di una logica trans-territoriale im- pongono un nuovo approccio epistemolo- gico. La fase di crisi che attraversano le di- scipline economiche può aprire una sorta di rivincita della geografia, purché si eviti qualsiasi forma di feticismo rispetto allo spazio e agli attori e si proponga un per- corso di riflessione sul territorio e sulla ter- ritorialità in senso olistico e complesso. Daniela Festa, affrontando il tema dei confini della proprietà, ha sottolineato co- me oggi il capitale ridefinisca la geografia della proprietà: i suoi confini, i limiti tra N O T I Z I A R I O

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STORIA DEL PENSIER0 GEOGRAFICO

Da Thomas Piketty a David Harvey: ri-flessioni sui rapporti tra geografia ecapitalismo

Il 27 aprile e il 25 maggio 2015, rispetti-vamente presso l’Università di Firenze e lasede della Società Geografica Italiana a Ro-ma, si sono tenute due giornate di studioproposte da Angelo Turco. L’incontro fio-rentino, realizzato anche con il sostegnodella Società di Studi Geografici, ha presospunto dal libro di Thomas Piketty Il capita-le del XXI secolo e ha approfondito la rela-zione tra capitale e territorio. Il convegno diRoma ha proposto un’analisi sul nesso tracapitalismo e territorialità, a partire dal testodi David Harvey Diciassette contraddizionie la fine del capitalismo (si veda questo «Bol-lettino», 2015, 3). Come evidenziato da Tur-co, entrambe le giornate sono nate con l’o-biettivo di offrire un’opportunità di confron-to sugli effetti prodotti dal capitale e dal di-spositivo capitalista nei processi territoriali.

Angelo Turco ha avviato i lavori fioren-tini mettendo in rilievo come oggi al cuoredel capitalismo non ci sia più solo l’impresama anche «attori ignoti», spesso transnazio-nali, che agiscono sulla comunità trasfor-mandone la natura. La dissimmetria nellerelazioni tra capitale e territorio ha trasfor-mato gli elementi costitutivi valoriali dellecomunità, producendo così una collettivitàd’interessi particolari. È stato sottolineatocome il volume di Piketty escluda dal pianodi analisi l’elemento della territorialità eanalizzi il capitalismo come dispositivo divalorizzazione del capitale. Tale scelta met-te in atto un processo riduzionista che chiu-de la geografia all’interno di un paradigmacosiddetto paratattico, funzionale, utile alcapitalismo per commutare la propria azio-ne e mettere fuori gioco la territorialità con-

figurativa e ontologica, più volte richiamatacome modello di riferimento.

L’invito di Turco è stato indagare la re-lazione tra una comunità e il territorio, an-che attraverso la chiave dell’emozionalitàconfigurativa. Ciò può essere realizzato ri-leggendo la storicità del paesaggio e la suacapacità di attribuire valore al territorio.

Sergio Conti ha ricordato come la fasepervasiva dell’economia si basi su alcunidogmi. La libertà di scambio non tieneconto delle interdipendenze territorialisimmetriche e della complessa fase di ri-orientamento valoriale delle comunità. Lavisione dogmatica economicista, cui lostesso Piketty si concede, non supera lafalsa credenza dell’illimitatezza delle risor-se ambientali e non vede la crisi dirom-pente degli Stati-nazione, incapaci diesprimere un politica e una cultura socialeal di fuori dei parametri di misura del Pro-dotto Interno Lordo. Il mercato finanziarioseparato dalla realtà produttiva territorialeenfatizza la relazione tra produzione cultu-rale e dimensione economica territoriale ela svolta relazionale nei processi di forma-zione delle imprese, a prescindere dallaprossimità geografica. Infine, la scelta del-la scala ideale per indagare i processi evo-lutivi in una prospettiva sistemica e il va-riare del quadro politico-istituzionale nel-l’ambito di una logica trans-territoriale im-pongono un nuovo approccio epistemolo-gico. La fase di crisi che attraversano le di-scipline economiche può aprire una sortadi rivincita della geografia, purché si evitiqualsiasi forma di feticismo rispetto allospazio e agli attori e si proponga un per-corso di riflessione sul territorio e sulla ter-ritorialità in senso olistico e complesso.

Daniela Festa, affrontando il tema deiconfini della proprietà, ha sottolineato co-me oggi il capitale ridefinisca la geografiadella proprietà: i suoi confini, i limiti tra

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pubblico e privato e alcune sue nuove for-me che si vanno costituendo in questa fasedel ciclo capitalista. Piketty non analizza ilcapitalismo ma il capitale, struttura fondan-te del concetto di proprietà. Oggi siamo difronte a un nuovo processo di demateria-lizzazione della proprietà, in particolareper quel che attiene alla proprietà intellet-tuale di saperi e di conoscenze. L’elementodistintivo tra proprietà pubblica e proprietàprivata appare fortemente compromessononostante la permanenza di settori sociali,dal movimento contro la privatizzazionedell’acqua alla lotta per la gestione dei benicomuni, capaci di fare opposizione.

Secondo Francesco Dini la relazionedel capitale con l’ambiente non viene af-frontata da Piketty se non in modo margi-nale. Il capitale del XX secolo non inclu-deva una relazione con l’ambiente e nonconsiderava il fattore legato alle risorse.Piketty non offre una lettura su quello chepossiamo considerare come il «capitale na-turale» ma si limita alla definizione quanti-tativa dei processi di competizione globaledel XXI secolo. Da parte della ricerca geo-grafica vi è la necessità di riprendere l’ana-lisi sulla crisi economica degli anni Settan-ta fino al processo di rottura innescato dal-la crisi del 2008, se ci si vuole seriamenteinterrogare sugli aspetti del territorio, sullasua organizzazione e sulle relazioni a di-stanza nei diversi cicli economici.

Massimo Quaini ha sollecitato i geo-grafi a riprendere la riflessione anche sul-l’argomento della redistribuzione della ric-chezza, a partire dal lascito degli studi sul-la giustizia spaziale degli anni Novanta. Lafase attuale richiede che le diverse discipli-ne si «combinino» superando così i fattoridi divisione. La geografia, con lo strumen-to della metafora nelle analisi scientifiche,può offrire una lettura delle contraddizionidel sistema capitalista tentando di rispon-dere alla domanda posta decenni fa daBraudel sulla capacità del capitalismo disopravvivere a se stesso. Un difficile com-pito di cui si devono far carico i geografi.Sottrarsi a questa sfida significherebbe sot-

tovalutare i caratteri storicamente determi-nati del modello di organizzazione del si-stema capitalista, negando così qualsiasiipotesi di cambiamento sociale.

Il fatto che il capitalismo sia innanzitut-to anche un «problema» geografico è statoevidenziato da Alessandro Ricci in relazio-ne alla distribuzione della ricchezza su unaduplice scala, nazionale e internazionale.La dimensione a-territoriale e a-geograficadel capitalismo nel suo massimo apice disviluppo rappresenta un paradosso con-cettuale. Dopo essersi sostanziato attraver-so il rapporto con il territorio, il capitali-smo avvia un inarrestabile processo di re-cisione dal territorio fino a determinare laconfigurazione propria della finanziarizza-zione internazionale. Nasce quella cheMassimo Salvadori ha definito «geografiadell’incertezza»: un paesaggio reso instabi-le dai flussi del capitale.

Federica Cavallo ha proposto una ri-flessione sull’azione del capitale nelle bo-nifiche italiane del XIX e XX secolo, spo-stando il focus dal concetto economico divalore del terreno agricolo a quello di va-lore dei paesaggi, intesi come capitale.

Marco Maggioli ha richiamato a una ri-presa del ruolo della geografia «militante»,atta a favorire la crescita del capitale di co-noscenze con lo scopo di inventare nuoveforme di governance e di partecipazione ter-ritoriale. Va evitato, come invece fa Piketty,di mettere sullo stesso piano il capitale fi-nanziario e il capitale cognitivo, al quale vagarantita una salvaguardia particolare.

Il confronto è proseguito a Roma sulsaggio di David Harvey Diciassette con-traddizioni e la fine del capitalismo, attra-verso un’esplorazione del ruolo transcala-re dei territori nella formazione e nello svi-luppo dei numerosi odierni capitalismi.

Il capitale, come ricordato da SergioConti, ha prodotto la disgiunzione tra cultu-ra scientifica e cultura umanistica. SecondoAngelo Turco, vi è da parte dei geografiuna scarsa volontà di confrontarsi con testiche nascono da altre discipline. Lo stessoHarvey non è considerato in quanto geo-

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grafo. La geografia contemporanea pare tal-volta aver compiuto una rescissione sia ver-so la filosofia antica sia verso quella eredi-tata da Schopenhauer.

Angelo Turco ha altresì evidenziato lecontraddizioni che stiamo vivendo in rela-zione al mancato funzionamento del dispo-sitivo del capitalismo e come questo datocoinvolga la stessa geografia. La disomoge-neità dei territori non è da considerare sol-tanto nella categoria spaziale orizzontalema anche nella sua direzione verticale, inrelazione alla territorialità costitutiva e at-traverso il meccanismo della transcalarità.

Per Franco Farinelli, il testo di Harveyricorda, più che un inventario di contraddi-zioni, un elenco di rinunce. Ad esempio,sulla produzione spaziale della società si li-mita a citare i fenomeni attraverso rappre-sentazioni spesso falsificanti. Non esiste laproduzione sociale dello spazio ma esiste laproduzione dello spazio sociale. Si tratta al-lora di rovesciare il sapere e in questo sen-so il testo ci interroga sulla possibilità delpensiero geografico di affrontare le con-traddizioni e i fattori di crisi del presente.

Edoardo Boria ha sollecitato non tantoa soffermarsi sulla disomogeneità geografi-ca in quanto fenomeno oggettivo, bensìsulle ragioni che la producono. La produ-zione dello spazio si esemplifica nella co-struzione infrastrutturale utile a gestire ilplusvalore. Il territorio è considerato unamerce e la disomogeneità territoriale simodifica verso nuovi spazi. Nell’undicesi-ma contraddizione Harvey si occupa delsistema di reificazione del capitale, ma sidisinteressa totalmente degli aspetti simbo-lici attraverso cui il capitale si rappresenta.Viene trascurato il progetto locale e la sfe-ra emozionale (senso/simboli) nell’ambitodella produzione territoriale.

Il nesso tra capitalismo e territorialità èstato ripreso anche da Chiara Brambillache ha fatto presente come il capitalismosia potuto sopravvivere grazie alla sua ca-pacità di produzione dello spazio. Qualiconfini ha oggi il paesaggio capitalista? Esi-ste un pensiero alternativo di rappresenta-

zione al paesaggio capitalista? Secondo laBrambilla si tratta di riprendere una letturadel capitalismo come concetto geografico.Su questo aspetto la metodologia da segui-re per la lettura dei confini offerta da San-dro Mezzadra può aprire a una nuova vi-sione dei paesaggi, prodotti della relazionetra capitale e territorio.

Marcello Tanca ha riflettuto sugli aspettiche riguardano la relazione tra le diverseforme mitologiche di rappresentazione delcapitalismo. Su questo terreno il capitale,come macchina mitopoietica, si rappresen-ta attraverso il valore esclusivo del denaro.La circolarità del capitale individuata daMarx si richiama alla rotondità della terra.Come il pittore produce rappresentazioni dirappresentazioni, la borghesia ha prodottoe creato l’immagine di sé e del mondo.

Il testo di Harvey divide in terminimarxiani, come evidenziato da Paolo Giac-caria, le strutture dalle sovrastrutture. Il ca-pitale è struttura, tutto il resto è sovrastrut-tura. In questo caso si apre un conflitto traspazio e luogo. Il rischio è quello diconfondere il territorio con il luogo e attri-buire ai processi di territorializzazione ilcarattere proprio di un feticcio.

Fabio Pollice ha ricordato che Harvey,pur non utilizzando il linguaggio specificodella geografia, si richiama alla disciplinageografica, in particolare nei passaggi cheriguardano la produzione del plusvaloreterritoriale e la capacità del capitale di crea-re il proprio spazio e il proprio tempo. Inquesto senso il progetto locale deve essereinteso come laboratorio di trasformazionepur non avendo la forza di modificare il di-spositivo capitalista. Alla produzione dellospazio sociale su scala locale, il capitalismooppone la distruzione del luogo attraversol’appropriazione del plusvalore territoriale.

Nel concludere le due giornate, rispetti-vamente Bruno Vecchio e Franco Salvatorihanno ripreso gli argomenti proposti ehanno rimarcato l’importanza di proseguireil confronto nel prossimo futuro.

Stefano Del Medico

GEOGRAFIA UMANA

Migranti, ghetti e integrazione: espe-rienze europee a confronto

Nei paesi interessati dal fenomeno im-migratorio, sempre più rilevante è il pro-blema della «ghettizzazione» degli immigra-ti che, impiegati stagionalmente soprattuttonel settore agricolo, sono spesso costretti alavorare nelle campagne in uno status disemi-schiavitù e a vivere in condizioni di-sumane all’interno di vere e proprie bi-donvilles che rappresentano la negazionedel concetto stesso di integrazione.

Questo l’argomento affrontato nel cor-so di un interessante workshop intitolatoDal ghetto all’integrazione: un confrontointernazionale sulle buone e sulle cattivepratiche svoltosi il 23 giugno 2015 presso ilSalone degli Affreschi del Palazzo Ateneodi Bari. Oggetto dell’incontro erano in par-ticolare i risultati del progetto Migro-villa-ge: dal ghetto all’integrazione, realizzatodall’Università di Bari «Aldo Moro» (Diparti-mento di Scienze Economiche e MetodiMatematici) in collaborazione con la Regio-ne Puglia e con il finanziamento del FondoEuropeo per l’Integrazione dei Cittadini diPaesi Terzi 2007-2013 (FEI). Il progetto hacoinvolto direttamente anche un team distudiosi dell’Università di Lille 1 (Francia) eun team di sociologi dell’Università diTrento guidati da Nicola Coniglio, docentedi Politica economica, e da FrancescoChiarello, docente di Sociologia dei pro-cessi economici e del lavoro, con l’obietti-vo di proporre efficaci azioni di contrastoal complesso fenomeno della ghettizzazio-ne partendo dalla presentazione dellebuone prassi sperimentate in diversi paesieuropei e in alcune realtà italiane.

La lente d’ingrandimento è stata punta-ta sull’importanza della capacità di collabo-razione tra gli attori istituzionali e non: og-gi più che mai l’integrazione si configurainfatti come un processo in cui sono neces-sarie strette correlazioni tra i diversi livelligovernativi e tra questi e gli organismi non

governativi (sindacati, organizzazioni reli-giose, associazioni di immigrati, ONG, im-prese eccetera). Nel corso della giornata sisono susseguiti numerosi interventi volti amettere a confronto punti di forza e di de-bolezza di esperienze nazionali e interna-zionali allo scopo di dimostrare come il fe-nomeno della ghettizzazione non sia inevi-tabile e come sia possibile pensare e pro-gettare un futuro migliore per gli immigrati.I casi di studio presentati hanno consentitodi effettuare una valutazione del grado diattivismo istituzionale e associativo, intesocome capacità di fare rete: il quadro emer-so è per alcuni versi particolarmente positi-vo, per altri alquanto preoccupante.

Nella provincia di Trento l’immigrazio-ne rappresenta un vero e proprio fenome-no sociale diffuso, radicato e stabilizzato:negli ultimi anni il contributo degli immi-grati all’economia locale è diventato tal-mente indispensabile, soprattutto nel setto-re agricolo e turistico-alberghiero, da tra-sformarsi in una vera e propria questioneistituzionale che ha visto impegnate le orga-nizzazioni imprenditoriali e le istituzionipubbliche locali in un proficuo lavoro dinegoziazione con il governo centrale alla ri-cerca di soluzioni adeguate a soddisfare leesigenze del territorio. Come ha sottolinea-to Serena Piovesan, dottore di ricerca in So-ciologia e Ricerca sociale presso l’Universitàdi Trento, in questi due settori si è consoli-dato un sistema di gestione del mercato dellavoro basato su un rapporto di fiducia tragli imprenditori locali e un certo numero dilavoratori stranieri che ottengono tempesti-vamente le autorizzazioni per entrare in Ita-lia, trovano occupazione stagionalmentenelle imprese agricole e nelle strutture al-berghiere e, terminato il lavoro, rientranonel loro paese candidandosi per ritornare inItalia l’anno successivo. Uno sforzo corale,una forte capacità di cooperazione tra isti-tuzioni, sistemi di imprese e sindacati cheha dato vita a un modello virtuoso, sicura-mente anche favorito dalla istituzione nel2001 del CINFORMI (Centro Informativoper l’Immigrazione), uno sportello provin-

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ciale che supporta la Questura di Trentonelle procedure amministrative relative alfenomeno immigratorio.

Diversa la situazione della regione fran-cese Nord-Pas-de-Calais ove si trovano nu-merosi ghetti in cui le condizioni di vita de-gli immigrati appaiono estremamente pre-carie; qui, purtroppo, le autorità locali nonsolo non adottano nessuna pratica di ospi-talità, ma ricorrono frequentemente all’usodi misure repressive che portano a una vio-lazione dei diritti dei migranti. In generale,le principali dinamiche della politica migra-toria francese mirano a una riduzione degliingressi degli extracomunitari, a una limita-zione del loro soggiorno, nonché a una lot-ta sempre più aspra all’immigrazione clan-destina. A tale evidente carenza sul versan-te istituzionale, fa da contraltare la presen-za di un forte tessuto associativo che nel2011 ha portato alla creazione di una Piat-taforma Servizi Migranti (PSM), ovvero uninsieme di associazioni che, come ha sotto-lineato Rezart Hoxhaj, dottore di ricerca inEconomia, hanno avvertito la necessità dirafforzare il dialogo e il coordinamento traloro e i diversi attori della società civile alloscopo di gestire i conflitti e migliorare laqualità della vita degli immigrati.

Emblematico il caso della Spagna pre-sentato dal professor Nicola Coniglio cheha focalizzato l’attenzione sulla necessità difavorire e accompagnare le migrazioni di ti-po temporaneo e stagionale divenute un fe-nomeno quantitativamente sempre più rile-vante. Negli ultimi anni assumono dunquemaggiore importanza i programmi di Migra-zione Lavorativa, Temporanea e Circolare(MLTC) che mirano a favorire la migrazioneripetuta e circolare dei lavoratori garanten-do il massimo beneficio per gli immigrati,per i paesi di accoglienza e per quelli diorigine. Un esperimento di successo in talsenso è quello del programma Unió Page-sos che, portato avanti dal principale sinda-cato del settore agricolo, forestale e di alle-vamento della Catalogna (Unió de Pagesos)e dalla fondazione Pagesos Solidaris, orga-nizza azioni mirate all’accoglienza e inte-

grazione dei lavoratori temporanei, alla rea-lizzazione di progetti di cooperazione allosviluppo che coinvolgono i lavoratori e lecomunità di origine, allo svolgimento di at-tività di formazione e sensibilizzazione.

Alquanto complessa la situazione dellaPuglia, una delle regioni italiane maggior-mente interessate dal fenomeno dell’immi-grazione ma anche dallo sfruttamento deilavoratori immigrati, dal caporalato e dallaghettizzazione, con esempi ormai noti suscala nazionale come il «Grande Ghetto» diRignano Garganico in provincia di Foggia.Se è vero, come ha evidenziato ErminiaRizzi dell’Associazione per gli Studi Giuri-dici sull’Immigrazione, che il «tacco d’Ita-lia» rappresenta una «regione laboratorio»seconda solo alla Sicilia per numero dicentri di accoglienza, è altrettanto veroche essa paga lo scotto dell’esistenza, suscala nazionale, di meccanismi burocraticitalmente complessi da rendere assai diffi-coltosi i tentativi di implementare buonepratiche su scala locale da parte delle isti-tuzioni e delle associazioni che tuttavia, adifferenza di quanto avviene in provinciadi Trento, non sono riuscite a fare rete.Probabilmente se su scala nazionale si ri-conoscesse finalmente al fenomeno del-l’immigrazione il suo carattere strutturale enon semplicemente «eccezionale», sarebbepossibile programmare strategie e politi-che di intervento adeguate, dando valoreaggiunto ai virtuosi percorsi di inclusioneesistenti a livello locale.

Dalla comparazione dei casi di studiopresentati è emerso chiaramente come unbuon grado di collaborazione e coopera-zione tra i pubblici poteri e le organizza-zioni della società civile sia in grado diagevolare fattivamente l’integrazione, tra-mite un processo di responsabilità condi-visa in cui gli attori interessati operano inmaniera sistemica per la definizione di po-litiche e risultati: una vera e propria esecu-zione d’orchestra piuttosto che una sem-plice performance di un solista.

Francesca Rinella

E l’Europa disumanizzò se stessa. Geo-grafie mediterranee in azione

La rappresentazione dei flussi migratorinei mass media e nei discorsi ufficiali e lepolitiche di rafforzamento delle frontiere afini securitari sono il chiaro riflesso di unafrattura all’interno della società. Ci sonodelle vite che hanno valore e valgono lapena di essere vissute e altre che vengonolasciate morire senza che questo abbiaparticolari ripercussioni nella sfera pubbli-ca. La gerarchizzazione dell’umano, sotte-sa a questo modo di affrontare la questio-ne migratoria, è il frutto di un processo didisumanizzazione.

Il workshop internazionale, tenutosi aPalermo il 10 e 11 novembre 2015, è natoproprio con l’intenzione di riflettere sulruolo dell’Europa nella creazione di spazidisomogenei in cui le frontiere fungono dadiscrimine tra noi e l’altro. Nel corso delsuo position paper, l’organizzatrice di que-ste due giornate, Giulia de Spuches, haspiegato il senso della frase che ha dato iltitolo all’iniziativa E l’Europa disumanizzòse stessa. L’idea è nata dalle parole del pre-mio Nobel Tony Morrison secondo la qua-le la schiavitù ha rappresentato, per l’Euro-pa e non solo, un punto di non ritorno cheha spaccato il mondo in due. L’opportunitàfornita da questo spazio di riflessione ri-spondeva dunque a due esigenze basilari:ripensare storicamente quali sono state lepratiche e i discorsi che hanno portato aquesta spaccatura e cercare di elaboraredegli strumenti teorici in grado di metterein crisi la pratica del confinamento comesistema per creare gerarchie spaziali e divalore. Per questi motivi, uno degli scopidel workshop è stato proporre una riletturadell’impresa coloniale con l’intento di por-tare alla luce le linee di continuità fra que-sto passato, nel caso dell’Italia quasi deltutto rimosso, e la maniera attuale di rap-presentare e gestire il fenomeno migratorioche, non a caso, viene ancora oggi presen-tato come un’emergenza. Punto di parten-za imprescindibile per queste riflessioni è

stato il Mediterraneo, linea di confine mo-bile, liquida, ma al tempo stesso barrierainvalicabile che condanna all’immobilità ealla non vita chi tenta di attraversarla.

Un forte posizionamento teorico e po-litico è stato dunque il punto di partenzadi questo convegno che, fin dalla call foraction, invitava gli studiosi all’azione; ledue giornate si sono infatti concluse conun dibattito collettivo finalizzato alla stesu-ra di un manifesto.

Il workshop ha visto la partecipazione diricercatori italiani e stranieri provenienti daambiti disciplinari diversi. Nella sessionemattutina del primo giorno, tutte le relazionihanno proposto uno sguardo alternativosulla tematica della frontiera e sulla rappre-sentazione dei soggetti migranti. Il primo re-latore, Olivier Thomas Kramsch, ha fatto unexcursus letterario per mettere in luce comegli intellettuali europei avevano rappresen-tato in passato il Mediterraneo. GabrieleProglio ha invece proposto una rilettura po-stcoloniale del rapporto tra paesi europei edex colonie che condiziona la questione mi-gratoria attuale. La seconda coppia di rela-zioni ha visto Alessandra Bonazzi incentrareil suo discorso sui diversi regimi territorialiche istituiscono una diversa gerarchia di va-lori tra terra e mare e Chiara Giubilaro foca-lizzare l’attenzione su come viene rappre-sentata visivamente la migrazione, in obbe-dienza a «regimi scopici» ben precisi.

Nel pomeriggio la sessione è stataaperta da un gruppo di tre relatori: France-sco Lo Piccolo ha presentato un caso distudio per mostrare come anche la pianifi-cazione ambientale contribuisca a crearedegli spazi d’eccezione in cui il migrantediventa solo nuda vita; Claire Dorrity hamesso in luce come le politiche europeeoscillino tra criminalizzazione del migrantee finto umanitarismo; Giuseppe Burgio haparlato infine della necessità di adottareuna prospettiva postcoloniale anche nelcampo dell’educazione scolastica.

La sessione si è conclusa con l’interven-to di Alessandra Sciurba che ha affrontato iltema della concessione del diritto di asilo ai

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migranti e con la relazione di Fabio Amatoche ha focalizzato l’attenzione sulla dicoto-mia Noi/Altro che popola qualsiasi discorsoufficiale sulla questione migratoria.

La sera, alla presenza di uno dei regi-sti, Medhin Paolos, ha avuto luogo laproiezione del documentario Asmarinache si inserisce in un progetto più vastoche ha come obiettivo di esplorare le me-morie e il vissuto quotidiano della comu-nità eritreo-etiope di Milano.

Il secondo giorno si è aperto con unarelazione di Elena dell’Agnese che ha mes-so in evidenza come la creazione di confinie gli spostamenti umani siano entrambi fe-nomeni antichi, mentre è cambiata la corni-ce ideologica e politica nella quale si iscri-vono. La sessione è continuata con l’inter-vento di Paolo Novak sulle strategie dib/ordering messe in atto dagli Stati europeiche tendono a provincializzare l’Europaquando dovrebbero invece renderla globa-le, e con Janna Völpel che ha presentato ilcaso particolare dell’enclave di Ceuta. Lamattinata si è conclusa con la relazione diPaolo Cuttitta che ha parlato della presenzadi attori indipendenti nelle attività di ricercae soccorso in mare e con Giulia Di Carloche ha insistito sulla necessità di ripensareradicalmente il ruolo dei confini.

Nel pomeriggio si è tenuta la discussio-ne generale finalizzata alla creazione di unmanifesto che verrà redatto in una fasesuccessiva. Si è pensato di creare una piat-taforma che riunisca ricercatori e attivisti ditutta Europa con lo scopo di proporre ini-ziative analoghe e di cercare un dialogocon i rappresentanti politici. Si è altresìavanzata l’idea di raccogliere una serie diparole chiave che riassumano le coordinateteoriche di questo progetto. Si tratterà dun-que di una risposta da parte del mondo ac-cademico alla questione del Mediterraneo,che costituirà solo la prima tappa di unpercorso che intenderà coinvolgere unavasta rete di ricercatori e attivisti attorno aqueste tematiche.

Francesca Genduso

Ripensare lo spazio sociale: reti, mobi-lità, territorialità

L’ottava edizione dell’oramai consuetoseminario italo-francese di geografia socia-le – Ripensare lo spazio sociale: reti, mobi-lità, territorialità – tenutasi a Torino il 21-22 maggio 2015, è stata dedicata a tre ar-gomenti: «geografie sociali del cibo», «prati-care, osservare e rappresentare il territorio:dagli attori alle scienze sociali e viceversa»,e «migrazioni».

L’introduzione di Claude Raffestin nonha cercato un filo rosso tra le tanto dispa-rate relazioni, ma ha implicitamente giusti-ficato tanta disparità di oggetti e di metodi,ammonendo a non «feticizzare lo spazio»nelle indagini di geografia sociale e a se-guire il lontano esempio di Renée Ro-chefort (Le travail en Sicile, 1961) utiliz-zando, cioè, una metodologia che faccia«passare in secondo piano lo spazio chepreoccupa tanto i geografi» per concentrar-si invece sui rapporti sociali che struttura-no di volta in volta lo spazio. Per il geo-grafo ginevrino, insomma, anche sullascorta di Anglade e di Hérin, la geografiasociale è soprattutto lo studio dei rapportisociali che territorializzano lo spazio. Spe-cularmente, lo studio degli spazi prodottidalle società che li occupano permette diconoscere quelle medesime società: «l’og-getto della geografia sono le società uma-ne». Affermando che «lo spazio non esisteche attraverso l’uso che se ne fa, è presen-te nell’esteriorità e nell’alterità», Raffestin ciha rimandato così alla sua concezione del-lo spazio post-moderno come prodottopiù del tempo, dell’informazione e delmercato che dei suoi caratteri materiali.

Nello stesso solco si è mossa in un cer-to senso anche l’entusiasmante proposta diFabio Amato, Claudio Cerreti, Isabelle Du-mont, Marco Maggioli e Massimiliano Ta-busi i quali hanno sollecitato una geografiache aiuti gli attori sociali a strutturare il ter-ritorio, in nome di una geografia accade-mica «militante». A questo scopo i relatorihanno proposto la creazione e la pubblica-

zione in rete da parte dei geografi di brevivideo relativi alle proprie indagini che, in-tercettando facilmente i navigatori non ac-cademici, li rendano consapevoli che le lo-ro battaglie circa l’uso di specifici territorisono condivise da un largo pubblico. Talecondivisione darebbe alla ricerca accade-mica la possibilità di contribuire nel suopiccolo a strutturare (territorializzare) con-cretamente i luoghi. La geografia stessa, in-somma, si farebbe così geografia sociale.

Passando alle indagini relative al cibo,Chiara Rabbiosi ha analizzato l’attività dipromozione del turismo enogastronomicodi Verucchio, integrando la teoria della ter-ritorializzazione con quella del turismo co-me performance per mettere in scena il ter-ritorio. Con esempi concreti, ha ricordatocome in questa messa in scena venganocoinvolti tanto gli elementi immateriali (letradizioni alimentari locali), quanto quellimateriali (la rivalutazione del patrimonioarchitettonico del passato). Caroline Brande Claire Delfosse hanno ricostruito la storiadell’approccio dei geografi alla produzionealimentare, dall’alimentazione come «gene-re di vita» e elemento di geografia culturale,alla produzione alimentare come forma diintegrazione territoriale città-campagna, si-no al recente concetto di urban food plan-ning finalizzato alla sostenibilità ambientalee sociale e alla rigenerazione del territorio.Francesca Forno e Simon Maurano hannorilevato e mappato la buona distribuzionedelle reti alimentari alternative nella pro-vincia di Bergamo. Nonostante la diffusio-ne e la popolarità di tali esperienze natedal basso, esse non fanno ancora sistema ehanno prezzi elevati che le espongono allaconcorrenza della grande distribuzione.

Circa la sessione «praticare, osservare erappresentare il territorio», Raffaella FerreroCamoletto e Carlo Genova hanno analizza-to la capacità di alcune recenti pratichesportive di appropriarsi e di risignificare ilterritorio, come nel caso degli sport di stra-da quali il parkour, il trial, lo skate eccete-ra. Si tratta di pratiche sportive che per lapropria natura «edonistica» fanno tutt’uno

con la fruizione degli spazi urbani. Creandouna sorta di «città parallela» a quella degliusi territoriali più consueti e competendocon tali usi per l’appropriazione degli spazi,tali pratiche creano geografie oggettiva-mente contestatarie nei confronti dei mag-giori poteri urbani. Jean-François Themi-nes, Anne-Laure Le Guern e Valentina Cri-spi hanno ricordato come la psicologia dellavoro promuova la salute psicologica dellavoratore ma trascuri l’analisi spaziale de-gli atti lavorativi. Hanno perciò proposto difare interagire psicologia del lavoro e geo-grafia al fine di una maggiore visibilità edunque considerazione sociale del lavoro.Moussa Touré ha illustrato gli esiti modestidelle politiche dell’alloggio promosse dallacooperazione per lo sviluppo in Mali. Asse-condando il dogmatismo dottrinario dellaBanca Mondiale e del Fondo Monetario In-ternazionale, tali politiche sono basate sulladeresponsabilizzazione delle istituzionipubbliche a favore degli operatori del mer-cato ma ciò, invece di promuovere un’au-spicata partecipazione responsabile diffusa,ha esacerbato il conflitto sociale, la divisio-ne sociale dello spazio e le malversazioniillecite. Affiggere poesie negli spazi pubbli-ci di Firenze è per Cristina Lo Presti unamodalità di «territorializzazione ed estetizza-zione», ma poiché si tratta di attacchinaggionon autorizzato in un centro storico dichia-rato patrimonio dell’umanità, suscita con-flitto con il comune e soprattutto tra un’i-dea di estetizzazione della città libera e dalbasso e una direttiva di museificazione delsuo patrimonio preesistente che viene inve-ce dall’alto. L’attacchinaggio delle poesiecontesta specialmente la mercificazionedello spazio pubblico, ossia l’affissionepubblicitaria e l’appealing turistico. Moltoopportunamente Maggioli e Tabusi hannoinvece ricordato come la territorializzazionedei luoghi dipenda soprattutto dal «discor-so» (per dirla alla Raffestin), ossia dallacreazione di un’idea forte sull’uso del terri-torio: il proprietario dell’area Ex Snia a Ro-ma intende edificarla, ma perforando fasgorgare un lago naturale, mentre si sco-

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prono anche reperti archeologici. Il per-messo di edificazione è revocato, il pro-prietario rilancia nuovi progetti di mercifi-cazione dell’area, ma il lago suscita l’ideaforte del luogo, la creazione di un parcoper la collettività e quell’idea aggrega movi-menti di opposizione dal basso alla logicaspeculativa. L’immagine mediatica di margi-nalità sociale del quartiere Sant’Elia (Caglia-ri) è stata confrontata da Silvia Aru, Mauri-zio Memoli e Matteo Puttili con la sua per-cezione da parte delle donne del quartiereattraverso le fotografie da loro stesse scatta-te, un questionario con intervista semi-strutturata e un laboratorio di narrazione. Aldi là della particolarità metodologica, la fo-tografia stessa può rivelarsi come «atto di ri-vendicazione di un diritto alla città».

Giungendo alle sessioni sulle migrazio-ni, Amato ha sottolineato come le attivitàcommerciali degli immigrati rivelino i cam-biamenti economici, sociali e urbani di Na-poli in conseguenza delle sue connessioniglobali. La terziarizzazione derivante dal tra-monto del fordismo e dalla delocalizzazioneindustriale, la polarizzazione sociale e delconsumo, la crescente necessità dei migrantidi compensare con il lavoro autonomo lacrisi del lavoro dipendente, la propensionelocale alle attività informali sono tra i fattoriche intensificano le attività commerciali de-gli immigrati a Napoli. Attività che nei diver-si quartieri della città si differenziano forte-mente per tipologia di commercio, ragioneproprietaria e per clientela (diverse nei variquartieri sono le nazionalità dei clienti e di-versi i ceti sociali degli autoctoni). RaffaeleCattedra, Marcello Tanca e Rosi Giua hannoprovato a coniugare la rilevazione dei pae-saggi sonori con gli studi migratori, nellaconvinzione che la dinamicità dell’esperien-za sonora dell’immigrazione sappia coglierela natura estremamente dinamica e relazio-nale del fenomeno migratorio a livello glo-bale. Tuttavia, lo stadio solo iniziale dell’in-dagine non ha ancora permesso di estrapo-lare dalle registrazioni sonore risultati con-creti e validati sulle caratteristiche dell’immi-grazione a Cagliari. Robert Hérin ha conte-

stato l’uso non scientifico delle carte di geo-grafia elettorale nel fortunato libro di Toddche voleva dimostrare come i manifestantifrancesi in solidarietà a «Charlie Hebdo» fos-sero principalmente rappresentanti del cetomedio cattolico, conservatore e islamofobodelle province. La geografia elettorale dellaFrancia è infatti in continuo cambiamento,per esempio la Vandea di ieri (le tradizionalizone «bianche») è molto cambiata. SecondoHérin, invece di precipitarsi a trarre conclu-sioni a pochi giorni dagli eventi, occorrevapiuttosto analizzare il fenomeno delle mani-festazioni «pro-Charlie» con più calma e so-prattutto integrare l’analisi delle carte inter-rogando direttamente i manifestanti sulle lo-ro motivazioni. Un altro contributo ha ricor-dato che nonostante la condizione transna-zionale dei migranti, i luoghi di destinazionehanno comunque un’importanza notevolenella costruzione della propria identità. Sep-pur in minor misura, anche gli elementi ma-teriali e simbolici dei luoghi di destinazionecreano un senso di appartenenza e del «sen-tirsi a casa». È quanto rileva l’indagine diAlessia De Nardi attraverso due metodologierecenti: l’autophotography (il migrante foto-grafa i luoghi per lui più importanti) e l’in-tervista con foto elicitazione (il migrantespiega perché ha fotografato proprio certiluoghi e il modo in cui l’ha fatto). Fabio Pol-lice, Giulia Urso e Federica Epifani hanno ri-levato come a Lecce ciò che più integra lacomunità islamica è il senso di appartenen-za al luogo ma – aggiunge chi scrive – sia-mo sicuri che il sentimento di attaccamentoal medesimo luogo da parte di comunità et-niche, religiose, sociali, anagrafiche differen-ti susciti coesione sociale, se le ragioni diquesto attaccamento sono differenti per cia-scuna collettività? Stéphanie Lima ha illustra-to quanto gli immigrati del Mali in Franciacontribuiscano alla territorializzazione delpaese d’origine attraverso i progetti di svi-luppo locale che finanziano. La migrazione,dunque, ha integrato e potenziato due diffe-renti territori e spazi sociali. A dispetto delloro duplice ruolo, in Francia e in Mali, i mi-granti non hanno però diritto all’elettorato

locale in nessuno dei due paesi e tale con-traddizione solleva con forza la necessità diuna discussione sulla cittadinanza transna-zionale. Intervistando gli psicologi che assi-stono i profughi a Torino, Ester Chicco, Al-fredo Mela e Roberta Novascone hanno pre-sentato il processo di ricostruzione dellapropria spazialità da parte dei migranti for-zati. Non solo il viaggio nelle mani dei traffi-canti è un’esperienza di spaesamento tra ter-ritori sconosciuti e senza riferimenti sociali,ma lo è anche il vivere a Torino poiché iluoghi di accoglienza e di socializzazionesono pochi, provvisori e prescritti dal pro-gramma di accoglienza. Tuttavia, con l’inse-rimento lavorativo, il profugo si autonomiz-za dall’accoglienza istituzionale e intrapren-de un percorso di significazione autonomadei suoi luoghi di vita. Ricorrendo ai concet-ti cari ad Angelo Turco di «denominazione»,«reificazione», «strutturazione», Silvia Omenet-to ha descritto come la fede della comunitàSikh di Sabaudia territorializza alcuni spazicittadini. Utilizzando la bibliografia interna-zionale, Yves Boquet ha approfondito l’emi-grazione estera filippina individuandone trecaratteri fondamentali: il ruolo del governodi promozione e protezione dell’emigrazio-ne, la disgregazione familiare dovuta all’al-tissima percentuale di migrazione di madri el’eccessiva dipendenza dell’economia filippi-na dalle rimesse, ossia dalla variabilità dellecongiunture economiche estere.

In conclusione, nell’impossibilità dicommentare ogni singola relazione, ricor-do quelli che mi paiono i tre aspetti piùimportanti del seminario: il proficuo scam-bio scientifico che è emerso tra geografiitaliani e francesi, anche grazie a una relati-va comunanza di concetti e metodi; il ri-corso a metodologie di ricerca recenti oancora sperimentali); e soprattutto la vo-lontà dei relatori di influenzare concreta-mente la realtà sociale analizzandola geo-graficamente. L’auspicio emerso dal semi-nario è dunque quello di promuovere unageografia sociale engagée.

Sandro Rinauro

Geografia e tecnologie digitali

Giovedì 3 dicembre 2015, presso l’Uni-versità degli Studi di Roma «La Sapienza»,si è svolto il convegno Dal contesto all’i-pertesto. Geografia e digital technologies,maturato nell’ambito delle iniziative delCoordinamento Ricerca Informatica Lette-ratura e Testo (CRILeT) e organizzato daTiziana Banini. L’evento ha voluto solleci-tare una riflessione critica sul ruolo e l’im-piego delle tecnologie informatiche e digi-tali in geografia, anche alla luce delle op-portunità di collaborazione transdisciplina-re offerte dal CRILeT, descritto dalla diret-trice Monica Storini come un laboratorio diinformatica umanistica, da sempre apertoalla sperimentazione transdisciplinare.

La prima delle due sessioni previste,Cassette degli attrezzi e nuvole condivise,si è svolta in mattinata ed è stata introdottae coordinata da Franco Farinelli, che hamesso in evidenza la necessità e l’audaciadell’iniziativa, sottolineando il fatto che letecnologie digitali non costituiscono inrealtà niente di intrinsecamente nuovo, marappresentano solo un ulteriore esempiodella relazione archetipica tra umanità eTerra, sempre esistita, ma espressa neltempo in forme e modi diversi.

Tiziana Banini, ricordando come le di-gital technologies hanno generato una se-rie di rivoluzioni sul piano cognitivo, so-ciale e culturale, ha presentato alcune ri-flessioni sul loro impiego nella produzio-ne, trasmissione e divulgazione della co-noscenza geografica. In geografia la diffu-sione delle tecnologie digitali ha coincisocon la svolta post-strutturalista e l’uso si-stematico dei GIS e ha generato un cam-biamento nel processo di costruzione dellaconoscenza che oggi si focalizza sullagrande scala e che potrebbe definirsi ibri-do e integrato, poiché frutto dell’incontrotra competenze e conoscenze diverse inuna prospettiva relazionale e non più ge-rarchica. La conoscenza dei luoghi non av-viene dall’alto o dall’esterno ma nei luo-ghi, attraverso i saperi, le esperienze e i

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vissuti delle persone; tutto questo richiedeil sempre maggior impiego di metodi qua-litativi (interviste, focus groups eccetera)che implicano relazionalità e l’utilizzo ditecnologie digitali in tutte le fasi della ri-cerca può essere di grande aiuto.

L’intervento di Mirella Loda si è focaliz-zato sul crescente utilizzo nella ricerca so-cio-territoriale dei cosiddetti Social BigData (SBD), strumenti utili alla costruzio-ne della conoscenza geografica, che devo-no però essere attentamente gestiti nelprocesso conoscitivo onde evitare deriveinterpretative; non è il dato infatti a guida-re la costruzione di conoscenza, ma consi-derazioni di ordine più ampio e problema-tico. Da qui l’esigenza, secondo Loda, dimigliorare la qualità dei big data attraversola stretta collaborazione tra istituzioni cheli utilizzano, università comprese, e orga-nismi che li gestiscono.

Marco Picone ha presentato invece al-cune ricerche sui quartieri di Palermo,condotte con l’impiego di Public Partici-pation GIS (PPGIS): sistemi informativigeografici, derivati da processi partecipati-vi, che consentono una mediazione tra sa-pere dei tecnici e sapere degli abitanti deiluoghi, tramite la produzione di cartografieche mettono in relazione dati quantitativi equalitativi. Emblematica in tal senso è larappresentazione cartografica dei luoghi diPalermo scaturita dalle percezioni dei suoiabitanti, come quella del quartiere cheospita Piazzetta Ballarò. Attraverso la geo-referenziazione, tramite apposito softwareGIS, delle mappe mentali elaborate dagliabitanti, la piazzetta assume infatti dimen-sioni maggiori rispetto agli altri spazi delquartiere e rispetto alla realtà comune-mente «fotografata» dalle immagini satelli-tari, che appare dunque «deformata» dallepercezioni di chi vive il quartiere.

Fabio Pollice e Valentina Albanese han-no presentato le potenzialità di un softwarededicato alla sentiment analysis, una pro-cedura di ricerca utile a costruire l’immagi-ne di un dato territorio in termini più effi-caci ai fini del branding territoriale in

quanto consente di coniugare la rappre-sentazione che si vuole dare di un determi-nato luogo con quella percepita dagli abi-tanti e/o dai turisti.

La prima sessione del convegno si èchiusa con l’intervento di Matteo Puttilli sul-l’esperienza della web-ricerca Al centro diTunisi. Geografie dello spazio pubblico do-po una rivoluzione, svolta in collaborazio-ne con alcuni colleghi dell’Università di Ca-gliari e di Torino: un esempio di ricercamultimediale, focalizzata sull’evoluzionedelle piazze e delle strade di Tunisi dopo larivoluzione del 2011, che ha comportatol’impiego delle digital technologies e di me-todi qualitativi in tutte le fasi del progetto.

La sessione pomeridiana del convegno,Lavori in corso, introdotta e coordinata daMarco Picone, ha visto per primi CristianoPesaresi e Diego Gallinelli che, dopo un’in-troduzione sulle potenzialità di ricerca of-ferte dalle più recenti applicazioni GIS, han-no posto l’attenzione su ArcGIS Online, l’in-novativa piattaforma web fornita da ESRI.

Flavia Cristaldi ha esposto le possibilitàofferte dalla cosiddetta «realtà aumentata»in ambito geografico, attraverso l’esempiodella mostra L’emigrazione italiana in unbicchier di vino, in occasione della qualetale strumento ha consentito di aggiungerevideo e suoni ai tradizionali pannelli, ren-dendoli più coinvolgenti e arricchiti dicontenuto conoscitivo. Inoltre, tramitel’apposizione di un QR Code su ogni pan-nello, è stato possibile scaricarne i conte-nuti direttamente sul proprio smartphone,tablet o altro dispositivo digitale.

Riccardo Morri ha presentato il progettoMAGISTER (Multidimensional ArchivialGeographical Intelligent System for Territo-rial Enhancement and Representation), ela-borato nell’ambito del Dipartimento diScienze Documentarie, Linguistico-Filologi-che e Geografiche (Sapienza Università diRoma) e finanziato dalla Regione Lazio. Ilprogetto, di impianto transdisciplinare, sipone l’obiettivo di realizzare entro i prossi-mi tre anni un sistema di Ontology-BasedData Access (OBDA). L’ontologia del siste-

ma sarà in grado di cogliere e confrontareaspetti geografici, storici, linguistici e lette-rari di un determinato territorio, così da ga-rantire la facilità di accesso alle informazio-ni, la valorizzazione dei beni ambientali eculturali e una maggiore efficacia delle co-noscenze ottenute nei diversi ambiti in cuipotrà essere impiegato. Un esempio di ar-chiviazione digitale del patrimonio geogra-fico è stato presentato da Sandra Leonardi aproposito della catalogazione, in corso d’o-pera, di una parte del fondo fotografico(circa 5.000 lastre in vetro) dell’ex Istituto diGeografia della medesima università, checonsentirà la conservazione del preziosomateriale e una più agevole analisi diacro-nica dei territori rappresentati.

Intervenuto per ultimo, Riccardo Russo(documentarista indipendente, dottore diricerca in Geografia), ha presentato il mon-do della documentaristica geografica attra-verso gli estratti di tre film-documentarioda lui realizzati negli ultimi dieci anni, mo-strando le trasformazioni che la documen-taristica ha conosciuto grazie all’inarrestabi-le evoluzione delle tecnologie digitali. Rus-so ha infine presentato un’esperienza incorso, un laboratorio di storytelling volto arecuperare la memoria storica di un quar-tiere di Roma attraverso i racconti dei piùanziani che i più giovani coinvolti nella ri-cerca trasformano in files da caricare su unportale dedicato al progetto.

Nel corso del convegno è stato altresìdato spazio alla riflessione sulle tecnologiedigitali in ambito didattico. Tiziana Baniniha in tal senso ricordato che a breve i do-centi universitari avranno a lezione i «natividigitali» ossia coloro che sono nati con web2.0, smartphones e videogiochi interattivi.Gli «immigrati digitali» come i docenti do-vranno dunque tener conto di questa rivo-luzione cognitiva e adeguare le proprie mo-dalità di erogazione didattica, affinché il pa-trimonio di conoscenze maturato dalla geo-grafia non vada perso ma traghettato in for-me nuove ancora da inventare.

Francesca Impei

GEOGRAFIA URBANA

Verso una nuova lettura delle città afri-cane

Il 16 e il 17 ottobre 2015, il Centro Pie-montese di Studi Africani (CSA), in colla-borazione con l’Associazione per gli StudiAfricani in Italia (ASAI), l’Università degliStudi di Torino e il Politecnico di Torino,ha organizzato nel capoluogo piemontesela conferenza internazionale Urban Africa– L’Africa delle città.

I lavori sono stati introdotti il giornoprecedente da un seminario tenutosi nel-l’ambito del Terzo Forum Mondiale delloSviluppo Economico Locale al quale hannopartecipato i relatori principali della confe-renza Bill Freund (Università del KwaZulu-Natal), Laurent Fourchard (Fondation Na-tionale des Sciences Politiques di Bor-deaux) e Sophie Oldfield (Università di Ca-pe Town), insieme al presidente dell’ASAIFederico Cresti.

La narrazione del continente africano èfortemente segnata dall’idea del continen-te selvaggio e della natura primigenia: l’A-frica, dice ironicamente lo scrittore keniotaBinyavanga Wainaina, è «la Terra dei VastiSpazi Vuoti».

Organizzare una conferenza interna-zionale sull’Africa urbana significa dunqueadottare una prospettiva innovativa orien-tata al futuro e confrontarsi con dinamichecontemporanee che stanno profondamen-te trasformando il continente. Secondo lestime più recenti, infatti, fra venti anni lapopolazione africana sarà prevalentemen-te urbana; occorre pertanto dotarsi di unapparato teorico adeguato a leggere que-ste trasformazioni.

L’intervento inaugurale di Bill Freundha sottolineato proprio questa rinascita de-gli studi urbani in Africa dopo decenni incui l’analisi si è prevalentemente concen-trata sulle aree rurali.

Le città africane non sono più osserva-te come «anomalie» e l’invito lanciato daJennifer Robinson, ormai più di dieci anni

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fa, ad analizzare questi spazi come «cittàordinarie» ha prodotto fertili settori di ri-cerca in questa direzione.

Tra le prospettive più diffuse vi è quel-la generalmente definita postcoloniale, cheha prodotto – anche in Sudafrica, uno deicentri di rinascita degli studi urbani sulcontinente – una vasta letteratura sulle cul-ture urbane africane. D’altra parte, ha ri-cordato Bill Freund, alcune categorie clas-siche di lettura, più orientate alla com-prensione delle caratteristiche materialidella società, rimangono utili a interpretarela realtà africana e la sfida consiste nel sa-per connettere in una tensione dialetticaantichi e nuovi modelli interpretativi.

Nell’ambito della conferenza, l’analisipostcoloniale ha avuto un notevole rilievo,ma non è stata l’unica prospettiva a esserevalorizzata, anche grazie al carattere forte-mente interdisciplinare dell’iniziativa. Lascelta degli organizzatori è stata infattiquella di favorire l’incontro e il dialogo traricercatori di diversa formazione intorno aquattro filoni di ricerca, articolati in diver-se sessioni: lo sviluppo urbano in Africatra formale e informale, le ecologie urbanee il territorio, le innovazioni e le perma-nenze nell’Africa urbana, le culture urbanecontemporanee.

Il primo settore ha messo in luce lapolarizzazione in atto nelle città africaneche tende ad accentuare una frammenta-zione preesistente, di origine coloniale.Da una parte si assiste al consolidarsi diquartieri informali che pongono sfide spe-cifiche per il futuro delle città, come èemerso nella sessione Governance einformalità urbana, moderata da LucaJourdan (Università di Bologna), ove sonostate poste a confronto realtà dell’Africa aSud del Sahara (Nairobi e Freetown) concasi nordafricani (Il Cairo e la regione diTindouf, Algeria). Dall’altra, anche sullaspinta della nuova retorica dell’Africa ri-sing, nascono progetti di sviluppo urbanodestinati a classi agiate che creano isole dimodernità connesse con i centri urbaniglobali ma separate dal territorio circo-

stante. Tali progetti, come ha messo benin luce Arturo Pavani (Politecnico di Tori-no) nel caso di Accra, subiscono le fluttua-zioni delle economie africane ma produ-cono, anche quando non sono realizzati,conseguenze significative nel territorio ur-bano e periurbano (Maria Chiara Pastore,Politecnico di Milano).

I contributi relativi a questo ambito diindagine hanno messo in evidenza l’utilitàdell’approccio multidisciplinare e la neces-sità di ricollegare gli studi di ambito archi-tettonico e urbanistico, maggiormenteorientati all’analisi dei progetti di sviluppourbano, a quelli legati alle scienze sociali,più focalizzati sulla comprensione delle di-namiche del settore informale. Il tema del-l’interrelazione tra settore formale e infor-male è tornato, da una prospettiva diversa,anche nell’ultima delle relazioni generaliproposta da Salvatore Mancuso (Universitàdi Xiangtan), nella quale è stata analizzatala pluralità degli ordini normativi presentinelle città africane.

Il secondo ambito di ricerca ha postol’accento sul rapporto tra ambiente e terri-torio urbano. Il tema della gestione dei ri-fiuti è stato letto sia alla scala globale, os-servando il traffico internazionale di rifiutielettronici diretti nelle città africane (SilviaDalzero, Politecnico di Milano), sia allascala locale, analizzando le strategie deirecuperatori nella discarica di Mbeubeuss,a Dakar (Raffaele Urselli, Università di Na-poli «L’Orientale»).

Anche il tema dell’alimentazione hatoccato trasversalmente diversi settori macon forti implicazioni ambientali e ha datoorigine a una specifica sessione, Città, svi-luppo economico, sicurezza alimentare,moderata da Barbara Pasa (Università diTorino, CSA). Le relazioni si sono concen-trate sull’agricoltura urbana e periurbanae, più in generale, sulla necessità di un ap-proccio integrato nella definizione dellepolitiche agroalimentari tra aree urbane earee rurali.

Il tema della dimensione urbana dellasicurezza e della sovranità alimentare è al

centro del dibattito contemporaneo sulsettore e colpisce negativamente l’assenza,nei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibiledelle Nazioni Unite, di un indicatore speci-fico in questo senso.

Al contrario, ricerche come quella cu-rata da Egidio Dansero (Università di Tori-no) e Lassané Yaméogo (Università diOuagadougou) sulla capitale del BurkinaFaso, hanno evidenziato come il caratterestrategico dei sistemi agroalimentari localisia sempre più riconosciuto dalle istituzio-ni locali, portandole a riconsiderare lestesse strategie di sviluppo urbano.

Gli interventi relativi al rapporto tra in-novazioni e permanenze hanno posto l’ac-cento sulla questione della storia e del mu-tamento, particolarmente sensibile all’in-terno degli studi africani.

L’idea di un’Africa (urbana e non) pri-va di stratificazione storica è stata del restouna delle grandi narrazioni occidentali delcontinente.

Laurent Fourchard, nella sua relazioneal Museo Egizio, ha sottolineato proprio lacentralità dell’analisi storica per l’inquadra-mento della problematica urbana. Four-chard ha posto in particolare l’accento sullegame profondo che esiste tra lo sviluppourbano e l’evoluzione degli Stati africani,seguendo due direzioni: da una parte ana-lizzando il ruolo che i centri urbani hannogiocato nella formazione degli Stati, dal-l’altra evidenziando l’impatto dell’azionestatale sullo sviluppo urbano e la dialetticatra potere statale e autorità municipali.

Il nesso tra dinamiche di formazionedello Stato ed evoluzione urbana emergein modo particolarmente evidente se sianalizza il tema della violenza, un aspettoscarsamente considerato nell’ambito dellaconferenza. Solo Karen Büscher (Univer-sità di Gand) ha messo esplicitamente inrilievo questo tema, analizzando lo specifi-co ruolo che i centri urbani svolgono al-l’interno dei conflitti armati in Uganda enella Repubblica Democratica del Congo.

I contributi della sessione African life-style: innovazioni e permanenze nell’Afri-

ca urbana si sono articolati prevalente-mente lungo due direttrici, una più centra-ta sull’idea di patrimonio, l’altra più foca-lizzata sulle trasformazioni contempora-nee. Diversi contributi di carattere storicohanno sottolineato la rilevanza e il valorestrategico del patrimonio materiale dellecittà africane (Tripoli e Antananarivo).

Gli interventi più centrati sull’innova-zione hanno invece affrontato da punti divista diversi il tema del movimento, intesosia come mobilità fisica (la ricerca diAdriana Piga – Sapienza Università di Ro-ma – sulle migrazioni e sulla figura dellostraniero nella regione sahelo-sahariana),sia come resilienza nelle strategie degli at-tori più vulnerabili (l’intervento di AnnaMazzolini, consulente per Un-Habitat).

Il tema dell’adattamento dei comporta-menti degli attori «deboli» è stato affrontatodirettamente anche nell’intervento diSophie Oldfield che ha aperto i lavori del-la sessione pomeridiana della prima gior-nata. La sua comunicazione si è focalizza-ta sui cittadini in attesa di una casa pubbli-ca in Sudafrica. Da una parte si crea unadistanza tra il diritto formale alla casa san-cito dalla Costituzione e la reale applica-zione di questo diritto; dall’altra, si assistea una serie di reazioni da parte dei cittadi-ni e a quelle che la Oldfield definisce «mi-cro-politiche dell’attesa», talvolta visibilicome forme di protesta, talvolta presentiin modo più occulto.

Queste analisi della mobilità e dellatemporaneità delle strategie territoriali siinseriscono in un filone di ricerca partico-larmente ricco negli studi urbani africanirecenti, che ha fatto del movimento e del-la delocalizzazione le chiavi di lettura del-le città africane contemporanee, attraversoconcetti come quello di «città-flusso» (Do-minique Malaquais), di «città-pirata» (Ab-douMaliq Simone) e di «città invisibile» (Fi-lip De Boeck).

Alcuni interventi hanno fatto diretta-mente riferimento alla necessità di ridefini-re i modelli con i quali interpretare larealtà urbana africana, meno normativi

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(Maria Anita Palumbo, scuola di Architet-tura di Saint-Étienne) e maggiormente ingrado di leggere il carattere «subalterno»dell’urbanistica africana (Armelle Choplin,Università Paris-Est Marne-la-Vallée, e Ric-cardo Ciavolella, CNRS/École des HautesÉtudes en Sciences Sociales).

L’ultimo asse intorno al quale si sonoarticolati gli interventi della conferenza èquello più marcatamente culturale, che havisto alternarsi tre diversi filoni di indagi-ne. Un primo ambito ha riguardato le pra-tiche culturali quotidiane come la medicinatradizionale (Elisa Bignante, Università diTorino) o la religione pentecostale (Ales-sandro Gusman, Università di Torino).

Un altro gruppo di interventi si è inte-ressato al settore culturale più formalizza-to, analizzando il caso dei musei e deicentri culturali in Africa settentrionale(Charlotte Jelidi, Università di Tours) e l’in-dustria del cinema di Nollywood a Lagos(Alessandro Jedlowski, Università di Liegi).

L’ultima serie di interventi ha inveceutilizzato strumenti culturali per leggere lospazio urbano, in particolare la produzio-ne cinematografica (Livia Apa, Universitàdi Napoli «L’Orientale») e quella letteraria(Cristina Maciariello, Università di Napoli«L’Orientale»).

La conferenza è stata un’importanteoccasione per mettere a fuoco lo stato del-l’arte della ricerca sulle città africane, so-prattutto (ma non solo) in Italia.

Certamente ne è emersa una grandericchezza di contributi, a dimostrazionedella rilevanza del dibattito in corso.

La varietà dei temi e dei casi analizzatie la diversità dei metodi adottati rendonouna sintesi assai difficoltosa, ma sonoemerse alcune linee di ricerca piuttostochiare che hanno fornito un’occasione perutili incontri interdisciplinari: i progetti dirigenerazione urbana, l’urbanismo «subal-terno», le politiche del cibo, la mobilità e ilpotere della cultura, solo per citarne alcu-ne tra le più importanti.

Valerio Bini

GEOGRAFIA ECONOMICA

Territorializzazione delle nuove strate-gie alimentari urbane

Nell’anno dell’EXPO di Milano il temadel cibo e dei suoi rapporti con il territorioè stato al centro dell’attenzione dei mezzi dicomunicazione e del dibattito politico escientifico italiano, con un fervore chespesso è apparso dettato dal desiderio diapprofittare del momento favorevole, piùche da sincera volontà di approfondimento.

Il diffuso interesse nei confronti del ciboha favorito il successo di una delle più im-portanti conferenze internazionali sulle te-matiche alimentari tenutasi a Torino dal 7 al9 ottobre 2015: Localizing food strategies:farming cities and performing rurality, lasettima Conferenza Internazionale (la primain Italia) della rete Sustainable Food Plan-ning legata all’Association of EuropeanSchools of Planning . Nel 2015 sono stateorganizzate in Italia anche altre importanticonferenze sugli stessi temi, tra cui la secon-da conferenza internazionale Agriculture inan Urbanizing Society (AgUrb 2015), pressol’Università di «Roma Tre», e la conferenzaFood and the City organizzata a Padova dal-l’Associazione Italiana di Storia Urbana.

Promossa e coordinata a lungo dal geo-grafo Kevin Morgan e attualmente presie-duta dall’architetto e urbanista olandeseAndré Viljoen (Università di Brighton), larete vuole offrire uno spazio di dibattito, adaccademici, professionisti e policy makers,sulla definizione di politiche e pratiche fi-nalizzate alla creazione di sistemi alimenta-ri urbani e territoriali più sostenibili.

La conferenza è stata organizzata con-giuntamente dall’Università e dal Politecni-co di Torino e dall’Università di Scienze Ga-stronomiche, in collaborazione con il centrodi ricerca interateneo Eu-Polis di Torino, laCattedra UNESCO Sviluppo sostenibile e ge-stione del territorio e la piattaforma EatingCity, con il supporto di un comitato scienti-fico locale e internazionale composto daagronomi ed economisti agrari, architetti,

designers, geografi, sociologi e urbanisti.Tema conduttore della conferenza è stata laterritorializzazione delle strategie alimentariurbane (localizing urban food strategies),argomento intorno al quale si è discusso siadalla prospettiva urbana (farming cities), siada quella rurale (performing rurality).

Com’è nella tradizione per le conferen-ze AESOP, il convegno vero e proprio è sta-to preceduto da una giornata di workshopsrivolta ai dottorandi. Sono stati organizzatitre laboratori. Il primo è stato dedicato all’a-nalisi e alla progettazione di azioni di valo-rizzazione dell’agricoltura periurbana a par-tire dal caso di studio del Parco Agricolodel Villaretto, nelle immediate vicinanzedella città di Torino. Il secondo laboratorioha visto i partecipanti coinvolti in una ri-flessione sulle filiere corte alla scala metro-politana, in una giornata dedicata alla visitadel mercato di Porta Palazzo (uno dei piùgrandi mercati alimentari d’Europa) e allapresentazione di alcune esperienze di sup-porto e valorizzazione del cibo provenienteda filiera corta a Torino. Il terzo laboratorioè stato infine dedicato al tema degli orti ur-bani a Torino tra politiche pubbliche, pro-gettualità private e pratiche informali, a par-tire dalla visita sul campo dell’esperienza diMiraorti nella periferia meridionale dellacittà. Complessivamente hanno preso parteai workshops oltre trenta dottorandi, prove-nienti da università di tutto il mondo.

La sera precedente l’inizio ufficiale del-la conferenza ha visto invece una delega-zione di partecipanti visitare l’EXPO di Mi-lano, dove il padiglione dell’Unione Euro-pea ha ospitato un incontro, parte del pro-gramma della conferenza SFP, dedicato al-la presentazione dell’esperienza di pianifi-cazione e valorizzazione dell’agricolturaperiurbana del Parco Agricolo Sud Milano.

I lavori della conferenza sono stati aper-ti dai discorsi introduttivi delle istituzioni to-rinesi e dei referenti delle università orga-nizzatrici: Egidio Dansero per l’Università diTorino, Giuseppe Cinà per il Politecnico eCarlo Petrini, fondatore di Slow Food, perl’Università di Scienze Gastronomiche.

La relazione di quest’ultimo, arricchitadall’enfasi con cui Petrini argomenta unnuovo paradigma d’azione civica, culturalee politica per un nuovo sistema del cibo atutte le scale, ha introdotto la platea all’ap-proccio critico che ha contraddistinto lagran parte delle relazioni dei partecipantialla conferenza. Il fondatore di Slow Foodha evidenziato quelli che per lui dovrebbe-ro essere i pilastri di un nuovo sistema ali-mentare, a partire dalla presa di coscienzadel fallimento del sistema agroindustriale fi-nanziarizzato e globalizzato, i cui impattinegativi in termini sociali e ambientali sonoresi evidenti da fenomeni come la perditadi biodiversità agricola e di fertilità dei suo-li, i sempre più frequenti conflitti per le ri-sorse idriche e il crescente impoverimentoculturale ed economico del mondo conta-dino. Il primo pilastro è il ritorno a un’eco-nomia locale, non nel senso dell’impratica-bile e non auspicabile creazione di sistemichiusi ai contatti con l’esterno, bensì direaltà economiche nelle quali la ricchezza eil potere di scelta siano distribuiti in manie-ra più equa tra gli attori delle filiere a tuttele scale territoriali. Il secondo ambito d’a-zione proposto è quello del rafforzamentoe della difesa della biodiversità, in partico-lare agricola. Il terzo pilastro, connesso aiprecedenti, è infine il rafforzamento dellecomunità, attraverso la ricostruzione dellerelazioni tra produttori e consumatori, aiquali Petrini attribuisce il ruolo fondamen-tale di «cittadini co-produttori».

Le sessioni ordinarie sono state intro-dotte da tre importanti relazioni. Nel primointervento, Serge Bonnefoy della rete di en-ti locali francesi Terres en Ville e Gilles No-varina dell’Institut d’Urbanisme di Grenoblehanno presentato il proprio punto di vistasulle forme di pianificazione e progettazio-ne dell’agricoltura periurbana in Francia. Ilsecondo discorso introduttivo ha visto co-me relatore l’analista politico e attivista ca-nadese Wayne Roberts che, partendo dallapropria esperienza di responsabile del To-ronto Food Policy Council, ha inquadrato iltema della pianificazione e delle strategie

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alimentari urbane in un intervento dall’elo-quente titolo: What food can do for cityplanning and what city planning can dofor food. Il tema dell’urban food planning èstato al centro anche del terzo keynote spee-ch, da parte di Jan-Willem van der Schans,dell’Università di Wageningen, animatoredel Rotterdam Food Council.

La multidimensionalità del cibo cometema di dibattito e di ricerca è emersa conforza dalla struttura della conferenza, cheha suddiviso gli 80 interventi di ricercatorie attivisti provenienti da tutto il mondo incinque macro-sessioni interdisciplinari,con lo scopo di alimentare una discussio-ne che ponesse il cibo al centro di rifles-sioni più ampie, rivolte a società, cultura,economia, ambiente e territorio.

La prima, Spatial planning and urbandesign, è stata animata da numerosi inter-venti incentrati sul ruolo che le filiere delcibo possono svolgere nell’indirizzare lepolitiche e le pratiche di pianificazione eprogettazione di spazi e territori a diversescale, da quella degli interstizi urbani, aquella delle cinture agricole periurbane, fi-no alla scala regionale. Le relazioni hannospaziato dalla presentazione di alcune del-le sempre più numerose esperienze di va-lorizzazione dell’agricoltura urbana e pe-riurbana, a sistematizzazioni teoriche piùgenerali in grado di indirizzare il dibattitoverso concetti come quelli di productiveurban landscapes e di bioregione.

La seconda sessione, Governance andprivate entrepreneurship, si è sviluppata in-torno al tema della governance dei sistemialimentari, in particolare per quanto riguar-da la definizione di politiche alimentari in-tegrate alla scala urbana e metropolitana,note nel dibattito internazionale come ur-ban food strategies o urban food policies. Ilnutrito dibattito su un tema consideratocentrale nel percorso verso una maggioresostenibilità dei sistemi alimentari si è svi-luppato soprattutto intorno al difficile rap-porto tra il sistema agroalimentare conven-zionale e le politiche alternative e ha richia-mato la necessità di sostenere le innovazio-

ni sociali, economiche e istituzionali connuove forme di governance adeguate.

La terza sessione, Relevant experiencesand practices, è stata caratterizzata da untaglio fortemente orientato alle praticheconcrete di innovazione da parte di istitu-zioni, attivisti e imprese private, in un’otti-ca di maggiore sostenibilità e giustizia so-ciale e spaziale. Molteplici le esperienze ri-portate, dal ruolo degli orti urbani comeluoghi di produzione di socialità in cittàcome Berlino, Barcellona e Torino, all’im-portanza dei mercati alimentari come spazinei quali si materializza un nuovo rapportotra cibo e cittadini nelle metropoli europee(a partire dal caso di Barcellona), all’impor-tanza della pianificazione dell’agricolturaurbana e periurbana alle diverse scale. Daun tentativo di sistematizzazione dei princi-pali temi comuni ai diversi casi descrittiemergono questioni come il ruolo dellapartecipazione e dei processi dal basso,l’importanza di immaginare nuove regoledi accesso ai terreni agricoli o il potenzialerappresentato dalle forniture alimentaripubbliche (public food procurement).

Nonostante la quarta sessione, Trai-ning and jobs, sia stata la meno partecipa-ta, essa ha costituito un’interessante arenadi confronto sul ruolo che le politiche e lepratiche di pianificazione, governance eprogettazione dei sistemi alimentari posso-no svolgere come motori di sviluppo attra-verso la spinta a un’adeguata formazione ela creazione di nuovi posti di lavoro quali-ficati, in contesti geografici peraltro moltodiversi, dalla Detroit deindustrializzata aicentri urbani dei deserti del Qatar.

La quinta sessione, Flows and networks,ha invece raccolto numerosi contributi cheinterpretano i sistemi alimentari in termini diflussi materiali (di merci, rifiuti, persone, ric-chezza) e immateriali (di idee ed esperien-ze) e di reti (di persone, istituzioni, città,movimenti). Diversi gli ambiti interessatidalle relazioni: gli impatti ambientali dellaproduzione alimentare, il ruolo dei grandieventi nel favorire lo scambio di idee in ma-teria di cibo, l’interpretazione delle filiere

alimentari in una prospettiva di design siste-mico, il ruolo che può essere attribuito aiconsumatori nell’essere attori di sistemi ali-mentari più sostenibili. A svolgere il ruolo dicollante tra approcci e temi tanto vari è statoil concetto di reti agroalimentari alternative(Alternative Food Networks), evocato damolti dei ricercatori che hanno preso partealla sessione, interrogatisi sul ruolo che que-ste reti possono svolgere nell’affermazionedi sistemi alimentari più giusti e sostenibili.

Una sessione speciale è stata infine de-dicata ai posters di presentazione di ricer-che e pratiche provenienti tanto dal mon-do della ricerca, quanto da attori istituzio-nali e della società civile.

Grazie all’importante ruolo che i geo-grafi hanno svolto nell’organizzazione delconvegno e alla loro sostenuta partecipa-zione alle varie sessioni, la conferenza diTorino segna un importante passo avantinelle riflessioni che la nostra disciplina puòsviluppare sui temi del rapporto tra cibo eterritorio, relazionandosi non solo con irappresentanti di altre discipline (nell’otticadell’affermazione dei food studies anche nelnostro paese), ma anche con gli attori istitu-zionali, la società civile e i movimenti dalbasso. I molteplici sguardi che la conferen-za ha offerto su queste tematiche toccanoinfatti molte delle questioni sulle quali lageografia si interroga: le trasformazioni ma-teriali degli spazi ma soprattutto le reti so-ciali, i discorsi e le rappresentazioni cultura-li e le relazioni di potere che sostengono eveicolano i diversi sistemi alimentari incompetizione nei territori, alle diverse scale.

Una più esaustiva rassegna delle rela-zioni e delle tematiche trattate durante laconferenza si trova negli atti (a cura di Giu-seppe Cinà ed Egidio Dansero), disponibiliall’indirizzo: http://www.aesoptorino2015.it/proceedings_download. Una raccolta deivideo dei discorsi che hanno introdotto econcluso la conferenza AESOP-SFP è inol-tre disponibile all’indirizzo: http://www.aesoptorino2015.it/the_videos.

Giacomo Pettenati

Approvazione 2014-2020 del Fondo Eu-ropeo per gli Affari Marittimi e la Pesca

L’Unione Europea ha inserito tra i «cin-que fondi strutturali e di investimento euro-pei» anche il Fondo Europeo per gli AffariMarittimi e la Pesca (FEAMP), con lo scopodi contribuire a promuovere una ripresa ba-sata sulla crescita e l’occupazione in Europa.

Il Fondo nasce con lo scopo di sostenerei pescatori nella transizione verso una pescasostenibile, aiutare le comunità costiere a di-versificare le loro economie, agevolare l’ac-cesso ai finanziamenti e finanziare progettiche creino nuovi posti di lavoro e migliorinola qualità della vita nelle regioni costiere eu-ropee. La riforma è incentrata sulla necessitàdi garantire la sopravvivenza a lungo termi-ne degli stocks ittici ponendo fine al sovra-sfruttamento delle risorse e al contempo diassicurare una redditività alle comunità dipescatori. È infatti prevista, tra le altre cose,la «riduzione dello sforzo di pesca» che con-siste nell’adozione di reti a maglie più larghefinalizzate a una pesca più selettiva e nel-l’obbligo di uno o due «mesi di ferma» nelperiodo di luglio e agosto per favorire il ri-popolamento dei mari.

Le risorse saranno utilizzate anche permigliorare la sicurezza sul lavoro e le infra-strutture portuali. I negoziatori del Parlamen-to Europeo hanno inoltre ottenuto la possi-bilità di destinare fondi alla raccolta e allagestione dei dati sulla pesca, necessari perdeterminare il limite alle catture che possonoessere realizzate senza compromettere la ri-produzione degli stocks ittici. Infine, gli euro-deputati hanno aggiunto alla proposta origi-naria della Commissione una clausola a so-stegno dei pescatori under 40 che potrannoricevere contributi fino a 75.000 euro.

Un settore significativo che usufruirà deifondi FEAMP è quello della piccola pesca.Secondo uno studio promosso dal Parla-mento Europeo già nel 2005, oltre l’80% deipescherecci della flotta europea (poco più di70.000 unità) esercita la piccola pesca costie-ra. L’indagine ha evidenziato l’estrema com-plessità degli interessi sociali, economici,

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culturali e ambientali e la frammentazionegeografica del settore negli Stati embri; si as-siste, infatti, ad una elevata concentrazionedi pescherecci in un numero ridotto di porti.Questa tipologia di pesca si contraddistingueper la bassa media in termini di stazza lorda,lunghezza e potenza motore. Il Regolamen-to (CE) 1198/2006 del Consiglio dell’UnioneEuropea fa esplicito riferimento alla piccolapesca costiera all’articolo 26, descrivendolacome «la pesca praticata da navi di lunghez-za fuori tutto inferiore a 12 metri che nonutilizzano gli attrezzi trainati». Ed è già daqueste dimensioni e dalla specificità nell’uti-lizzo degli attrezzi che si evidenzia come lapiccola pesca costiera abbia enormi possibi-lità di sviluppo futuro.

I vari Stati membri trovano in questa atti-vità una grande coincidenza di caratteristi-che: i pescatori europei che esercitano lapiccola pesca lo fanno generalmente in mo-do sostenibile, adoperando attrezzi a bassoimpatto ambientale che riducono al minimogli scarti; sono inoltre i proprietari delle im-barcazioni su cui lavorano e pescano quantonecessario per sostenere le loro famiglie. Ge-neralmente, questa tipologia di pesca rispet-ta i limiti naturali del mare seguendo criteridi gestione sostenibile, vuoi per la normativacui è assoggettata, vuoi per le tradizioni e leconsuetudini del mestiere e le regole che ipescatori stessi hanno stabilito, nonché perle relative limitazioni dei mezzi. Le dimensio-ni delle imbarcazioni consentono di pescaresolo a una distanza modesta dal porto di re-sidenza (normalmente si esce a pescare e sitorna in giornata) rendendo quindi una ne-cessità l’adozione di comportamenti e misu-re per proteggere le risorse ittiche.

È significativa anche la dimensione so-ciale della piccola pesca, che costituisceun’importante attività economica tradiziona-le in grado di offrire opportunità occupazio-nali in aree in molti casi periferiche e conproblematiche legate alla carenza di prospet-tive. Tale importanza in termini direttamenteeconomico-sociali andrebbe valutata anchealla luce della composizione sociale e peretà degli addetti del settore, caratterizzata

dalla prevalenza di occupati di età elevatache incontrerebbero naturalmente maggioridifficoltà di reinserimento nel mondo del la-voro qualora fossero costretti ad abbandona-re la loro attività. Nella maggioranza dei casila presenza di tale comparto è inoltre legataa una forte e radicata tradizione locale, cosìcome tradizionale è ancora gran parte degliattrezzi e dei sistemi di pesca utilizzati.

Il valore di tale comparto non può,quindi, essere misurato esclusivamente intermini economici né meramente produttivie sociali. È necessario, infatti, considerarnee tutelarne anche l’importanza culturale chederiva dallo straordinario patrimonio di co-noscenza di cui sono portatori gli addettidel settore: un sapere approfondito e radi-cato, in molti casi trasmesso da padre in fi-glio, sulle tecniche di costruzione degli at-trezzi, sui sistemi e le modalità di lavoro e dinavigazione e soprattutto sugli ambienti ma-rini e sulle specie che li popolano; la cono-scenza a livello locale detenuta dai pescato-ri viene solitamente considerata insostituibi-le e preziosa anche dai ricercatori del setto-re. La presenza di una comunità di pescatoridella piccola pesca in una località garanti-sce, infatti, anche l’esistenza di un radica-mento sul territorio delle popolazioni localie delle loro culture e tradizioni.

Nel caso dell’Italia, tale valenza storicoculturale è infatti alla base della normativanazionale sul pescaturismo, che come è no-to è un’attività integrativa riservata in manie-ra quasi esclusiva agli addetti del compartodella piccola pesca, ma che viene vista an-che come attività volta alla divulgazione del-la conoscenza di questo mestiere di anticatradizione. Nel 1999, il decreto ministeriale«Disciplina della piccola pesca», specificandoil contesto e l’esatta definizione di questa at-tività, già avviava un processo di sviluppoche oggi il Fondo Europeo per gli Affari Ma-rittimi e la Pesca 2014-2020 ha l’intento diproseguire in direzione del sostegno alle im-prese della piccola pesca e dello sviluppo edecollo dei consorzi tra imprese della pescaartigianale. Il decreto del 1999 prevedevaper la prima volta la possibilità di costituire

«consorzi di indirizzo, coordinamento e ge-stione tra imprese della piccola pesca, singo-le o associate, che esercitano la loro attivitànello stesso compartimento marittimo o, nelcaso di acque interne, nell’ambito regionale».La costituzione di Consorzi di Indirizzo,Coordinamento e Gestione tra Imprese dellaPiccola Pesca Artigianale (CoGePA) vienequindi espressamente prevista, per la primavolta, nel DM 14 settembre 1999. L’aspettati-va dei prossimi anni è quella di proseguire ilpercorso già iniziato in Italia in zone congrande presenza di realtà di piccola pesca.Esempio significativo è la zona di Pozzuoli,Bacoli, Monte di Procida, Mergellina e Mon-dragone dove si sono delineati dei «Piani digestione» volti a caratterizzare le l’attività insenso ancora più ecocompatibile e innovati-vo. È interessante notare come nel comparti-mento marittimo di Castellamare di Stabia leimbarcazioni che hanno aderito al Consorziosono state circa 135, il più alto numero ri-spetto al resto dei consorzi italiani. Il datonon è casuale anche perché si tratta di unazona con lunghe tradizioni cooperative cheva dall’interno del golfo di Napoli fino algolfo di Salerno, caratterizzata inoltre da im-portanti flussi turistici anche per la presenzadell’area Marina Protetta di Punta Campanel-la. Elemento centrale nell’impedire il pienosviluppo della piccola pesca è la mancanzadi strutture a terra per i pescatori, dovuta adatteggiamenti ottusi delle amministrazioni lo-cali volte a favorire concessioni per altri set-tori quali la ristorazione in particolare. Altroelemento di freno è il sistematico insabbia-mento dei porticcioli.

Risultano dunque oggi estremamenteimportanti le scelte che la politica è chia-mata ad attuare a livello nazionale e regio-nale attraverso gli Atti di esecuzione (rego-lamenti e decisioni) per la realizzazionedel Regolamento FEAMP nell’ambito deglispecifici paesi membri. La Politica Comunedella Pesca può infatti favorire un accesso«preferenziale» alle risorse del mare a chipesca in modo sostenibile.

Annamaria Stingo

VARIE

Il potere narrativo e la carta: incontrotra geografia e letteratura

Si sono svolte a Roma l’8 e il 9 giugno2015, presso l’Università «Roma Tre», ledue giornate di studio dal titolo Letteratu-ra e cartografia a cura di Francesco Fio-rentino; l’iniziativa faceva parte delle atti-vità del progetto di ricerca Geografia dellaletteratura europea promosso dal Diparti-mento di Lingue, Letterature e CultureStraniere dell’Università romana. L’Ateneo,insieme al Dipartimento, alla Società Geo-grafica Italiana e al Centro Italiano per gliStudi Storico-Geografici, ha sostenuto un’i-niziativa che è riuscita a porre in evidenzale potenzialità degli studi interdisciplinari:il convegno, con la diversità dei temi pro-posti, ha favorito preziosi dibattiti in vistadi successivi approfondimenti e nuovi svi-luppi nelle discipline in questione, seppurnella difficoltà di intersecare humanities escienze esatte.

La giornata è stata aperta dall’interventodi Francesco Fiorentino, Filologia o statisti-ca? Intorno alla geografia letteraria, un’in-troduzione centrata sul tema principe delconvegno, il rapporto tra cartografia e lette-ratura, un rapporto dialettico tra spazio elettere, tra narrazioni e forme rappresentati-ve: gli approcci quantitativi, i dati, si affian-cherebbero così a una letteratura «vista», fi-no a parlare di una cartografia postrappre-sentativa. La necessità e l’utilità della geo-grafia viene così giustificata nella rappre-sentazione di uno spazio esposto alla con-tingenza, alla temporalità e alla coesistenzadell’adattamento letterario, nella sfida di sa-per coniugare spazio e letteratura.

Nell’Atlante della letteratura tedesca,ad esempio, la storia della letteratura si af-fianca a tanti luoghi considerati in epochediverse, spazi differenti ma uniti in reticonnettive: una letteratura «topografica» incui risulta bene evidente la produzione deiprocessi storici; tra l’atlante e l’immagina-zione si situa dunque una prospettiva tem-

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porale e spaziale che converge verso nuo-vi modelli di rappresentazione. Se la pro-spettiva selettiva si perde come esperienzanecessaria nel sapere contemporaneo, ri-mane la necessità di rappresentare l’insie-me delle reti, in un rapporto connettivo incui si incontrino letteratura e cartografia:lo spazio nella letteratura e la letteraturanello spazio, in cui la geografia sia me-dium, mezzo e ponte per collegare.

I relatori della prima giornata hannoproposto lavori assai interessanti su temicome cartografia, letteratura, cartografialetteraria e critica della cartografia lettera-ria, con contributi incentrati sul concettodi rappresentazione nelle sue diverse for-me. Carla Masetti ha sottolineato nel suointervento le sovrapposizioni semantichedel genere «atlante», una narrazione spa-ziale sistemica in cui la rappresentazionesi configura come una visione sia d’insie-me sia di dettaglio, dando attenzione al-l’originalità e alla pluralità dei percorsi dilettura che può offrire il genere cartografi-co. Mauro Varotto, in una prima esplora-zione delle infographics, ha fatto riferi-mento alle cosiddette «mappe del sapere»,una cartografia letteraria in cui i calcoli e idati quantitativi della carta riescono a te-nere insieme le molteplici dimensionid’indagine: l’attenzione ai luoghi anche al-l’interno delle rappresentazioni narrativepuò favorire il dialogo tra geografia e let-teratura, scienze umane e scienze esatte,dove la metafora spaziale sia al contempomateriale e simbolica.

Gabriele Pedullà, nell’intersezione trageografia e letteratura, ha fatto riferimentoa una letteratura «cartografata»: partendoda un tentativo di collocare i letterati nellospazio, si riconosce la finalità pedagogicadella carta che affianca l’opera letteraria(carta che può nascere con il testo stesso,o aggiunta a posteriori) e che contribuiscesenza dubbio a cambiare le modalità di in-terpretazione dei testi. Gianluca Paolucciha poi incentrato il suo intervento sullacritica letteraria e sulla funzione della lette-ratura, che si configurerebbe quale «attività

cognitiva di mappatura»; la cartografia sa-rebbe uno strumento per mappare la lette-ratura, uno strumento analitico con datisostanziali: con i successivi sviluppi, lamoltiplicazione dei dati GIS e WEB cambiala relazione dialettica tra l’autore e il suoproprio spazio, mentre l’attività cartografi-ca si fa medium per un nuovo approcciocognitivo sulla base della performativitàdei luoghi, seguendo il naturale rapportotra territorio e identità.

Nella seconda giornata, sono conti-nuati gli interessanti e proficui interventidei relatori nel tentativo di coniugare lediverse forme rappresentazionali in unavisione d’insieme, seguendo una diversitàdi prospettive e di vedute che arricchisco-no il dibattito in materia: Claudio Cerretiha offerto una visione del rapporto cine-ma-spazio nel discorso filmico; una carto-grafia che sembra aggiungere, che riesce adire e offrire di più rispetto alla critica fil-mica, una concezione e un uso dello spa-zio che si è cercato di cartografare. Lospazio «concretamente» cartografato (e di-segnato) propone ai partecipanti al conve-gno un modo per comprendere material-mente la tensione tra spazi chiusi e aperti,tra privato e pubblico, interno ed esterno.Una distinzione che sembra interessareanche la proposta di Marina Guglielmi,centrata sul tema delle mappe e delle di-verse strategie narrative. Tema motivo diorganizzazione narrativa, la carta si inseri-sce così in un processo dinamico tra l’e-sclusione e un’area intermedia, uno spa-zio o oggetto transizionale, il cosiddetto«spazio transizionale», che si configura co-me forma espressiva. Applicata al discorsoletterario, la mappa si ricollega alla narra-zione del reale, alla proiezione del luogoin cui il dispositivo della visione funzionicome strumento narrativo delle due di-mensioni spaziali interno ed esterno indis-solubilmente legate alla rappresentazionecartografica. Giulio Iacoli, trattando delleletterature contemporanee di origine stra-niera, riconosce l’invisibilità dello studiosoqueer nell’italianistica: tra un’istanza di lo-

calizzazione e l’opportunità del metodogeocartografico, si colloca una prospettivaintersezionale insieme con il conferimentoallo spazio di valore conoscitivo e autori-tativo; il concetto di queer che si ritrova indiversi studi di geografia sociale (soprat-tutto di genere) propone una lettura geo-grafica che valorizzi il ruolo dello spazioin un’espressione culturale (torna il con-cetto di performatività).

Il convegno si è concluso con l’inter-vento di Tania Rossetto che ha incentratoil suo lavoro sul tema della geovisualità,l’amplificazione della cartografia favoritaanche dalla nuova apertura teorica e dallemoderne entità processuali; una conside-razione del visuale spesso distinta dallanarrativa e la definizione della cultura car-tografica come cultura visiva. Nei moderniapprocci di studio, la geovisualità può fa-vorire una nuova interpretazione della let-teratura, una categoria d’insieme con unavasta gamma di pratiche e strumenti.

Il convegno ha dunque visto l’incontrodi visioni, prospettive e diversità di lin-guaggi nel descrivere un’unica realtà: tra ilvalore della cartografia e la critica lettera-ria, il dibattito lascia aperte importantiquestioni che non possono che arricchirele ricerche e i lavori in corso. Circa le pro-spettive future, si profila un filone di ricer-ca che si sta sviluppando nelle nuove cor-renti umanistiche, nello sforzo di indagarei rapporti uomo-ambiente, territorio e for-me di vita, strutture e sistemi testuali conle loro precipue relazioni sistematiche.

Tra domande rimaste in sospeso e per-plessità interpretative, l’incontro tra due di-scipline formalmente diverse avvicina iltentativo di studio della realtà oggettiva al-la soggettività letteraria: le esperienze uma-ne si collocano in un determinato e preci-so spazio, in un rapporto sentimentale edemozionale con i luoghi. In un approccio

geo-letterario, le dinamiche del discorsoletterario si incontrano così con i problemidella rappresentazione, in una prospettivaolistica dove poesie, scritti e romanzi dota-ti di una forte componente di realismo sicorredano di interpretazioni geografiche.La carta, per sua natura interdisciplinary(P.C. Muehrcke), viene dunque affiancataalle diverse forme artistiche caratterizzateda una forte realtà immaginaria; rappre-sentazioni cartografiche e artistiche diven-tano così strumenti di indagine quantitativie qualitativi, corredi documentari che favo-riscono le relazioni tra gli studi. Le descri-zioni e le narrazioni, le diversità di lin-guaggio si profilano come strumenti di ri-cerca per cogliere e interpretare la realtàche si tenta di rappresentare; informazioniutili per rendere comprensibile quel «signi-ficato territoriale» da parte della disciplinageografica, le reti più strette che unisconogli uomini ai propri spazi.

Tra la fattualità geografica e la «finzio-ne» letteraria, tra fatto e finzione si inseri-sce la ricerca dell’oggettività nella soggetti-vità, in un comune approccio dei campi distudio: tra interpretazione e cultura visua-le, si può riporre fiducia nell’interscambiotra le materie; nuovi sguardi e nuovi orien-tamenti in un confronto transdisciplinareportatore in un tempo molto prossimo dinuovi incontri e dibattiti.

Le due giornate di studio hanno visto idiversi studiosi interrogarsi circa lo strettorapporto che lega letteratura e geografia:dall’importanza dell’apporto della tecnicanarrativa nella costruzione degli spazi ai li-miti e rischi sia della carta sia del linguag-gio in quanto forme di rappresentazione.Un utilizzo diverso degli strumenti, maognuno sicuramente artefice di singolariipotesi interpretative.

Martina Tissino

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