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SCENARI ITALIANI 2007 Rapporto annuale della Società Geografica Italiana Turismo e territorio L’Italia in competizione

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SCENARI ITALIANI 2007Rapporto annuale della Società Geografica Italiana

Turismo e territorioL’Italia in competizione

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Scenari italianiRapporto annuale della Società Geografica Italiana

Comitato scientifico: Claudio Cerreti, Sergio Conti, Tullio D’Aponte, Ernesto Mazzetti, Paola Morelli, Franco Salvatori

Questa edizione del Rapporto è stata coordinata e curata da Pier giorgio Landini, che è autore dei testi Geografia e turi-smo; Il Grand Re-tour ; Industria, turismo e tempo liber o: la nautica da diporto ; Il declino del camping ; Quale turismoper l’Italia di domani. Alla stesura di quest’ultimo ha partecipato Gerardo Massimi, che a sua volta è autore dei testi Peruna toponomastica del turismo ; San Giovanni Rotondo, emblema del turismo r eligioso; inoltre, con la collaborazione diFabrizio Ferrari, ha elaborato e coordinato l’apparato cartografico e tabellare. Marina Fuschi ha redatto i testi dei para-grafi 1.1, 2.1, 3.2, 3.3, 3.5, 5.1, 5.3. Luca Zarrilli ha redatto i testi dei paragrafi 1.2, 2.2, 2.4, 3.1, 5.2; Mari e terre dallanave: la crocieristica; Nuovi orizzonti globali: il turismo cinese ; Turismo, sport e territorio: il golf . Fabrizio Ferrari haredatto i testi dei paragrafi 1.3, 2.3, 3.4, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4; L’albergo diffuso; I Sistemi Turistici Locali.L’Appendice, che costituisce la sintesi delle opinioni raccolte sui temi del Rapporto attraverso un sondaggio tra i geo-grafi delle università italiane, è a cura di Ernesto Mazzetti.Le dinamiche: 1. Il contesto geopolitico è di Tullio D’Aponte; 2. La qualità della vita è opera di Ugo Leone; 3. Lo svi-luppo territoriale è da attribuire a Paola Morelli, con la collaborazione di Antonella Di Giacomo; la sezione 4. Le politi-che territoriali è di Carlo Salone e Daniele Ietri.

È vietata la riproduzione e l’archiviazione, anche parziali e anche per uso didattico, con qualsiasi mezzo, sia del conte-nuto di quest’opera sia della forma editoriale con la quale essa è pubblicata (l. 22/4/1941, n. 633 e l. 18/8/2000, n. 248).La riproduzione in fotocopia è consentita esclusivamente per uso personale e per una porzione non superior e al 15%delle pagine del volume, con le modalità e il pagamento del compenso stabiliti a favor e degli aventi diritto.

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Finito di stampare nel giugno 2007

Copertina: Pietro Palladino

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Indice

Presentazione 5

IL RAPPORTO

Turismo e territorio. L’Italia in competizione 7

Geografia e turismo 9

1. Guardare al passato, pensare al futuro 151.1. Una sintesi storica 151.2. I punti di forza 201.3. Un settore «maturo» di fronte al cambiamento 25

2. Un patrimonio consolidato, da modernizzare 362.1. Turismo e cultura: solo un fenomeno «urbano»? 362.2. La stasi del turismo balneare: fattori endogeni ed esogeni 422.3. Un «marchio Italia» per il turismo montano 482.4. Il termalismo: terapia o wellness? 52

3. Le tendenze emergenti nell’offerta 553.1. Nuove forme di leisure 553.2. Il turismo nelle aree protette 583.3. Il turismo del gusto 623.4. Turismo ed eventi 653.5. Le aree dismesse: risorsa per il turismo? 71

4. Ricettività e pressione turistica 734.1. La frammentazione del settore alberghiero 734.2. Il turismo delle «seconde case» 804.3. I nuovi paradigmi della ricettività 834.4. Un indice sintetico 87

5. Gli attori e la comunicazione 985.1. Stato e Regioni 985.2. Gli operatori privati 1025.3. I loghi regionali e il «marchio Italia» 105

Quale turismo per l’Italia di domani 109

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AppendiceTurismo e territorio. L’Italia in competizione: sintesi d’un sondaggio tra geografi delleuniversità italiane sul ruolo della «componente turismo» nel posizionamento del paesenell’economia internazionale e sulla ricerca di punti di equilibrio tra valorizzazioneturistica dei territori e compatibilità ambientale 115

LE DINAMICHE

1. Il contesto geopolitico

Scenari in evoluzione 125

2. La qualità della vita

Quantità di rifiuti e qualità della vita 139

3. Lo sviluppo territoriale

Geografie del made in Italy 151

4. Le politiche territoriali

L’Europa e l’Italia dopo Lisbona: la «diversità territoriale» come potenziale di

sviluppo 161

Indice delle figure 173

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Che la Società Geografica Italiana pr oponga,per il suo quinto Rapporto annuale, il temadel turismo, anzi «dei turismi», a fr onte deipoderosi lavori prodotti da enti preposti all’a-nalisi dei dati, alla pr ogrammazione e al go-verno del complesso insieme di fenomeni cuiquesto peculiare settore dà origine, può sem-brare pretenzioso e persino ridondante.Obiettivo della pr oposta, come è ovvio, non èporsi in competizione con gli istituti e con gliorganismi territoriali, impr enditoriali, tec-nico-scientifici che del turismo studiano e af-frontano sistematicamente la struttura, i pr o-blemi, le sempr e più articolate specializza-zioni, e inoltre la promozione, la competitivitàe, al tempo stesso, la compatibilità. Né si ha lapretesa di affr ontare, qui, tutte le tematicheconnesse al turismo in generale e ai «turismiplurimi» – e ancor meno di esaurirle.Si vuole, piuttosto, mettere in evidenza – attra-verso la pr ospettiva territoriale, implicita edessenziale nella fenomenologia turistica adampio spettro – il contributo che la geografia,come disciplina nata sulla lettura del territo-rio, ha fornito, può e vuole fornir e alla inter-pretazione di quella fenomenologia, senza po-sizioni preconcette e stereotipi: non per riven-dicare il contributo dell’analisi geografica,ma per alimentare un dibattito giunto a propo-

sizioni sconcertanti, ancor ché del tutto veri-tiere, di dualismo fra un mer cato turistico«reale», delle impr ese, e uno «immaginario»,delle istituzioni.Ulteriore aspetto del Rapporto, la scelta diporsi in una pr ospettiva mirata all’Italia, nonper nazionalismo o r evanscismo, né per ché ilterritorio italiano concentri quote più o menosignificative del patrimonio naturale, cultu-rale e – dunque – turistico del mondo inter o,ma per tender e alla definizione di un ver o«made in Italy» anche in questo campo, nonframmentato in mille segmenti, bensì unitarioe leggibile nel quadro del «turismo globale».Consapevole, insieme con gli estensori delRapporto, dei limiti di questo contributo, enell’auspicio che esso possa suscitar e qual-che inter esse nel dibattito in corso, traen-done occasioni di miglioramento, ringrazioPiergiorgio Landini e il gruppo dei geografidell’Università «Gabriele d’Annunzio» diChieti-Pescara – da lui coor dinato e rappre-sentato, per tutti, da Gerar do Massimi – perl’impegno profuso. Come sempr e, ringrazio soprattutto color o –autorità e cultori degli studi naturalistici, so-ciali e politico-economici – che rivolgono atten-zione alla Società Geografica Italiana, da 140anni, sommessamente, al servizio del paese.

Franco Salvatori, Presidente della Società Geografica Italiana

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Il Rapporto

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Geografia e turismo

generazioni successive di allievi e studiosidella materia, tuttora di straordinaria validità epersino attualità.Il modello esprime mirabilmente il concetto dibase elaborato e perfezionato da Toschi, ov-vero il principio di sintesi, per il quale «lescienze geografiche studiano i fenomeni empi-rici – distribuiti sulla superficie terrestre e in-terconnessi – negli insiemi spaziali da loro po-sti in essere». Un concetto che la specializza-zione delle discipline territoriali ha portato, inseguito, a considerare generico, ma che oggiriemerge di fronte ai risultati complessiva-mente deludenti delle pianificazioni di settore,non esclusa – purtroppo – quella turistica.Esso merita, dunque, di essere rivalutato nonperché patrimonio di una singola disciplina,ma perché insito nella complessità del sistemauomo-ambiente, divenuto sistema globale.Il modello è emblematico proprio di quel prin-cipio di sintesi, contenendo – nella terminolo-gia dell’epoca, che si è volutamente mante-nuta inalterata – tutti i fattori, i caratteri e gliesiti del fenomeno turistico, che Toschi inter-pretava, nel testo, con altrettanta esaustività.Alcune sue impostazioni meritano, ancoraoggi, di essere attentamente considerate: in unmondo, allora, più che mai diviso dal recentis-simo conflitto e in un’Italia per gran parte ru-rale, egli delineava motivazioni psicologiche eludiche destinate ad assumere rilevanza deter-minante; inquadrava il ruolo dell’amministra-zione pubblica e dell’impresa privata; elen-cava con precisione e completezza la tipologiadei servizi; coglieva l’importanza delle risorselocali; soprattutto, proponeva una visione inte-grata dei flussi di persone, beni e valuta che

La scelta all’origine del Rapporto della So-cietà Geografica Italiana è of frire uno stru-mento di discussione, nell’ottica geografica,del ruolo svolto dall’Italia di fronte a struttureo problemi significativi del territorio, della so-cietà e dell’economia, nella loro or ganizza-zione regionale. Si è deciso pertanto, da sem-pre, di prescindere da ogni apparato della ri-cerca accademica, non volendo proporre unasorta di trattato che finirebbe, inevitabilmente,per privilegiare letteratura e strumenti discipli-nari della geografia, rischiando di «chiudersi»al confronto esterno.Il tema che quest’anno si propone, il turismo,è entrato relativamente tardi negli interessiscientifici della geografia italiana; ben prima,tuttavia, di quando entrò negli orizzonti di al-tre discipline che oggi se ne occupano attiva-mente. Fu con lo studio su Taormina – desti-nata a divenire, del turismo, uno dei luoghisimbolici – pubblicato, a metà degli anniTrenta, da Umberto Toschi, primo vero geo-grafo economista del XX secolo, capace diaprire la disciplina verso aree di ricerca intera-genti: non solo l’economia, ma anche l’urbani-stica e le scienze regionali. Proprio la capacità sistematica e predittiva delpensiero di Toschi impongono questo riferi-mento, unico, senza volere af fatto sottovalu-tare il grandissimo numero di studi sul turismoe sulle regioni turistiche prodotti, dopo di al-lora, da geografi, fra cui molti altri Maestri. Eper questo motivo la prima illustrazione cheproponiamo è la riproduzione del modello di«circolazione turistica» che Toschi elaborò nel1948, inserendolo nel suo fondamentale Corsodi geografia economica generale , guida per le

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ruotano attorno al centro turistico, per il tra-mite del sistema infrastrutturale.Due aspetti, ancora, vanno colti e sottoli-neati. Primo, i termini con cui Toschi defi-niva il rapporto fra aree di turismo «attivo»(le città come luoghi di concentrazione della

popolazione a più alto reddito, ma anche dicapitale e impresa) e di turismo «recettivo»,dunque «passivo» (i centri e le regioni di de-stinazione dei flussi): vi era adombrataquella dominanza che avrebbe portato a tanteforme di colonizzazione turistica, con l’of-

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Fig. 1 – Il modello di circolazione turistica di Umberto Toschi (1948)

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ferta troppo spesso costretta – ma anche pas-sivamente incline – ad adeguarsi alla do-manda. Vi era insita tuttavia, ed è il secondoaspetto, anche la soluzione di equilibrio, cheoggi diremmo di sostenibilità: «c’è questo diparticolare nell’economia turistica, che benieconomici e servigi non costituiscono l’og-getto sostanziale della domanda e rispettiva-mente dell’of ferta, ma soltanto qualcosa diaccidentale. L’utilità che soddisfa il bisognodel turista puro è del cielo terso, dell’aria os-sigenata, del mare purificatore, della monta-gna pittoresca, dei monumenti eretti non perlui, ma per la Fede, per la glorificazionedella Patria, per la Bellezza […] Queste cose[Toschi richiama il termine tedesco Sehen-swürdigkeiten, cose degne di essere vedute]soddisfano il suo bisogno, ma egli né le con-suma o le riceve in iscambio» ( Trattato ita-liano di economia, vol. IV, p. 371).Fatta salva la pur gradevole enfasi dello stile,è ciò che oggi chiediamo, da utenti, e propo-niamo, da addetti ai lavori, per il «nuovo» tu-rismo e per tutte le sue segmentazioni, i turi-smi «plurimi», di nicchia, contrapposti al turi-smo di massa che ha accompagnato la fasefordista della rivoluzione industriale, facendodei beni e dei servizi, nelle località turistiche,l’oggetto precipuo della domanda. Beni e ser-vizi che, a cominciare dall’edilizia turisticaper finire ai consumi alimentari, riproduce-vano il genere di vita e persino l’immaginedella città, al mare come in montagna, le duemete per decenni esclusive e mitiche di un tu-rismo stereotipo, sincera quanto fallace conse-guenza di un’aspirazione, appena coronata, albenessere e persino all’opulenza.L’Italia, ma non solo (pensiamo alla Spagna,alla Turchia, a tante mete «esotiche» via viaemergenti), ha pagato un prezzo elevato perassecondare il turismo di massa: alberghi-grat-

tacielo, residenze-condominio, agglomerati divillette a schiera – analoghe alle lottizzazionisuburbane – sulle coste e nelle valli alpine eappenniniche, in apparenza baciate dalla for-tuna (e dagli investimenti, molto spesso eso-geni); mentre le classiche città d’arte, le pochee grandi allora conosciute e frequentate, cu-mulavano i flussi di popolazione turistica aquantità di popolazione residente in continuoaumento e vedevano esplodere i problemidella congestione, primi fra tutti traffico e par-cheggi. Meno, o per nulla, nelle località mi-nori, escluse dal turismo e per questo – sem-pre in apparenza – mortificate: in realtà, bene-ficiarie di un ritardo che ha permesso di salva-guardare gran parte del territorio e renderlooggi disponibile per un turismo a misurad’uomo, capace di valorizzare non pochi mauna miriade di luoghi diffusi, ovunque, nel BelPaese. Dove il termine «luogo» non è gene-rico, ma sostanziale, concettualmente basilarenella geografia umana moderna, assumendoviquel significato di «identità» cui tanto siguarda nella nuova impostazione delle politi-che turistiche: non sorprenda perciò l’atten-zione dedicata, poco oltre, al rapporto fra turi-smo e toponomastica.Di fronte a questa evoluzione della fenomeno-logia turistica, inserita nel contesto di un mo-dello di sviluppo italiano anch’esso in fase digrande trasformazione, è chiaro l’atteggia-mento della geografia, che, invero per prima,senza atteggiamenti parziali o preconcetti,aveva posto in guardia dal consumo intensivoe concentrato di territorio. Sulla duplice coor-dinata spazio-temporale, fondamento essen-ziale della ricerca geografica, va ricostruita latraiettoria del processo che ha condotto alla si-tuazione attuale, analizzandone singolarmentegli elementi per coglierne le interazioni e ri-condurre a sintesi le risultanze empiriche.

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Per una toponomastica del turismo

La toponomastica è alla base della cartografia e, come tale, della rappr esentazione geografica: vi sistratificano le denominazioni attribuite ai luoghi su base fisica, prima, e sempr e più su base antr opicacon l’espandersi dell’insediamento e il diversificarsi delle funzioni economiche. Anche il turismo, dunque, partecipa all’evoluzione della toponomastica. Nel caso italiano, la ricogni-zione dell’ampio patrimonio di informazioni raccolto nella banca dati dell’Istituto Geografico Militar eper l’insieme di tutti i nomi presenti nella cartografia a scala 1:25.000 (serie 25/V, «tavolette», pubbli-cata tra il 1940 e il 1990) lascia emer gere relazioni tra turismo e toponomastica appar entemente con-sistenti, ma in r ealtà disomogenee e del tutto inadeguate all’importanza che il fenomeno turistico haassunto sull’intero territorio. In concreto, sono oltre duemila i casi d’interesse – per lo più riconducibili agli effetti locali del turismoin termini di ricettività e infrastruttur e – che si distribuiscono nello spazio geografico italiano, la-sciando affiorare due tendenze di progressiva rarefazione: al muovere da nord verso sud e dalla monta-gna verso il mare.Nel primo caso la spiegazione risiede nel ritar do con cui le regioni del Mezzogiorno si sono affacciatesul mercato turistico, salvo casi isolati (Fiuggi, Capri, T aormina) e a lungo rimasti tali, nonché nellalimitata efficacia delle politiche di sviluppo che si sono susseguite nella seconda metà del Novecento,anche a causa della posizione eccentrica rispetto ai flussi turistici stranieri in ingr esso per via stradalee ferroviaria e della domanda locale molto debole, se raffr ontata con quella delle più ricche r egionisettentrionali. Unica eccezione – volendola aggr egare al Sud peninsulare – è quella di Roma, peraltr oampiamente giustificata dalle funzioni di capitale politica, di centr o della cristianità e dalla r endita diposizione assicurata da una condizione quasi monopolistica, fino a pochi anni addietr o, nei collega-menti aerei internazionali.Nel secondo caso, la diminuzione dei toponimi a base turistica dalle ar ee montane verso le coste tr ovafondamento nella rilevanza spaziale dei segni del turismo nelle ar ee montane, in gener e più povere diprecedenti segni antr opici evidenziati da toponimi, sicché l’alber go, il rifugio o la sciovia assumononaturalmente un ruolo di riferimento nell’orientarsi sui luoghi. Nelle aree litoranee, invece, i segni ma-teriali del turismo si sono inseriti di r egola in tessuti urbani i cui edificati si sono dilatati in buon ac-cordo con la cr escita delle altre attività economiche; quelle turistiche pertanto – al di là del genericoattributo «marina», dovuto a pr ecedenti sdoppiamenti dei centri, spesso in funzione degli scali ferr o-viari – difficilmente diventano meritevoli di specifica segnalazione nelle carte topografiche.Considerazioni analoghe valgono per la straordinaria pochezza della toponomastica di derivazione tu-ristica nelle città d’inter esse storico e artistico, nelle quali le struttur e turistiche si pr esentano comeelementi topografici del tutto trascurabili nel confr onto con i luoghi che accolgono gli elementi mate-riali (musei, monumenti civili e r eligiosi, opere fortificate o altr o) d’interesse per il visitator e o per ilcittadino residente.Alla luce di queste puntualizzazioni, la sintesi cartografica dà evidente risalto alle pr ovince alpine diBolzano, Trento, Belluno e Brescia, che cumulano il 35% di tutti i toponimi raccolti, e a quelle limitrofesettentrionali; tra le prime dieci pr ovince italiane (dove si concentra il 50% del totale), le sole altr esono quelle appenniniche di Perugia e Rieti.Un ultimo aspetto da segnalar e risiede nella discutibile tendenza, emer gente dagli elenchi delle loca-lità abitate al censimento 2001, a utilizzar e – con traspar enti intenti pr omozionali – termini mutuatidalla lingua inglese. Esempi significativi: Eden Beach nel comune di Sorso, in pr ovincia di Sassari;Metapontum Village nel comune di Bernalda, in pr ovincia di Matera; Golden Hill nel comune di T ra-bia, in provincia di Palermo.

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Fig. 2 – Riscontri toponomastici delle attività turistiche nella cartografia IGM

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Da ciò deriveranno, di volta in volta, analisicritiche, ipotesi e proposte operative di or ga-nizzazione socio-spaziale ed economica delsettore. È il percorso di questo Rapporto, chesi snoda fra società e territorio, tradizione emodernizzazione, immagine e comunicazio-ne, in una integrazione costante di descrizio-ne e interpretazione, utilizzando ampiamente

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la componente descrittiva, che resta alla basedella disciplina geografica, e innestandovicontinuamente quella interpretativa, che neha segnato la feconda crescita e merita –sentiamo di af fermarlo – maggiore atten-zione da parte del mondo politico e impren-ditoriale, così come dell’utenza, nella futuraprogrammazione turistica.

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1.1. Una sintesi storica

Senza voler trascurare i fasti di altre più anti-che civiltà, possiamo senz’altro af fermare cheil turismo, come attività umana fondata su unaprecisa base concettuale, nasca in Italia, nel-l’antica Roma, quando l’idea del soggiorno invilla, nelle località marine o termali rappre-sentava una tendenza tanto radicata da dive-nire oggetto di meditazione filosofica. Nonmancava nemmeno il viaggio culturale, pro-mosso da giovani studiosi, artisti e uomini po-litici attirati dalle ricchezze monumentali o dailuoghi del sapere (in Grecia, a Rodi, Atene,Efeso; o, in Egitto, ad Alessandria). Alla base di tali occasioni di viaggio e di sog-giorno, sempre di lunga durata, vi era l’or ga-nizzazione di una complessa rete che oggi di-remmo infrastrutturale o, più specificamente,di accoglienza (il che permette di cogliere unaprima evoluzione nelle modalità dello sposta-mento, ancorché questo assumesse, il più dellevolte, una motivazione non turistica): dota-zione di una vasta maglia stradale di collega-mento; predisposizione del cursus publicus ,quale servizio collettivo per il trasporto dimerci e persone, strutturato sulla base di man-siones e mutationes quali luoghi dove si prov-vedeva alla ristorazione di transito, nel primocaso, o all’alloggio, nel secondo; dif fusionedegli itineraria come primi esempi di guide il-lustrative delle notizie tecniche del viaggio, ol-tre che delle bellezze paesaggistiche delle re-gioni visitate; utilizzo di forme embrionali dipubblicità per attirare la clientela (l’insegna diuna locanda ritrovata a Lione, citata da G. Ma-riotti nella sua Storia del turismo , recita: «qui

Mercurio promette un guadagno, Apollo la sa-lute e l’oste Settimiano una buona accoglienzae una buona tavola; chi entrerà qui si troveràbene; straniero fai attenzione a dove alloggi»). Ovviamente, il viaggiare «da turista» costi-tuiva uno dei tanti privilegi riservati alle classipiù abbienti e ai funzionari dell’Impero, men-tre la tradizione greca della ospitalità gratuita,pur ridimensionata, permaneva comunque allabase del viaggio.Il declino di Roma limitò drasticamente ogniforma di viaggio e di spostamento commer-ciale, di fronte ai crescenti pericoli provenientidalle generali condizioni di insicurezza, men-tre si affermava una società basata sull’econo-mia curtense, rudimentale e chiusa su sestessa, che finì col trovare nella Chiesa l’unicaautorità in grado di risollevare le sorti dellacollettività, promuovendo una ripresa morale emateriale. Per questo, quando attorno al IV se-colo il cristianesimo si af fermò decisamente, iviaggi compiuti per motivi spirituali rappre-sentarono – per la capacità di coinvolgere tuttele classi sociali e di movimentare molte mi-gliaia di pellegrini – una forma di anticipa-zione del turismo di massa, sebbene la motiva-zione intrinsecamente religiosa ne ponesse deltutto in secondo piano la dimensione ludica. In seguito, però, alle ragioni di fede si af fian-carono più ampi interessi culturali, come ri-sulta dai numerosi diari dei pellegrini, ricchidi testimonianze sui luoghi visitati, o dalla dif-fusione di «guide» contenenti una vastagamma di informazioni o di itinerari, sia reli-giosi sia laici. La posizione centrale dell’Italia, nella storia delpellegrinaggio cristiano medievale, era ovvia-

1. Guardare al passato, pensare al futuro

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mente favorita dalla presenza di luoghi santi. Inparticolare, Roma rappresentò la destinazionepreferita dei pellegrini, legando il suo «suc-cesso» al ruolo di città dei martiri e al fatto diessere divenuta sede del papato, mentre l’attiva-zione del giubileo della Chiesa di Roma, a par-tire dal 1300, ne decretò la capacità or ganizza-tiva attraverso una fitta rete di istituzioni pubbli-che e private che si preoccupavano di or ganiz-zare il viaggio e il soggiorno dei fedeli. Nel-l’ambito dell’accoglienza, per tutto il medioevo,si confermò basilare la formula dell’ospitalitàgratuita; in tal senso, grande importanza ebbequella ecclesiastica, e in particolare monastica,cui si af fiancheranno altre tipologie di acco-glienza, come gli hospitia e gli hospitalia. Alla fase di ristagno, del resto, subentravanoormai la rinascita urbana, particolarmente nelleregioni dell’Italia centro-settentrionale, e unaespansione degli scambi commerciali che sitraduceva nella promozione di fiere e nella ri-presa dei viaggi, soprattutto da parte dei mer-canti. A questi si aggiungeranno poi gli stu-denti, che daranno vita a considerevoli sposta-menti motivati dalla nascita delle prime uni-versità (Bologna, Padova, Salerno).

Nonostante le motivazioni non propriamenteludiche, tali spostamenti stimolarono formedi organizzazione turistica, non bastando più,di fronte all’estendersi del fenomeno, l’acco-glienza privata o quella ecclesiastica. Si af-fermò così, progressivamente, una ospitalità«professionale», segnalata dal miglioramentodel servizio ricettivo di tipo alber ghiero che,assorbiti i principi della economia di scambio,diveniva a pagamento e concorreva a deli-neare una sorta di gerarchia fra le città privile-giate dai nascenti flussi turistici (V enezia, Ve-rona, Bologna, Ferrara, Firenze, Roma). Lestesse motivazioni finirono gradualmente perabbracciare sempre più ampi interessi cultu-rali, che trovavano nello spirito individuali-stico proprio della Rinascenza una giustifica-zione strettamente intellettuale. Si fece così strada una rinnovata concezionedel viaggio per fini di conoscenza, riposo,cura e arricchimento personale che, tra il XVIe il XVII secolo, sfociò nella «moda» delGrand Tour, promosso dall’aristocrazia e dal-l’alta borghesia, in primis inglese, per comple-tare il percorso educativo e formativo dei pro-pri figli.

16 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Il Grand Re-tour

Il turismo moderno ha avuto il Grand Tour come prima espressione e l’Italia come prima meta. Fenomeno di assoluta élite, riservato ai rampolli dapprima delle nobili famiglie eur opee, poi anchedella bor ghesia emer gente, il viaggio di conoscenza e di istruzione, di mecenatismo e di piacer e(charme, diremmo oggi) viene così definito, per la prima volta, alla fine del Seicento, nella traduzionefrancese del libro di Richard Lassels Voyage of Italy or a Compleat Journey through Italy , una sorta diguida per studiosi e artisti in visita nel nostr o paese, privilegiato per la storia e la cultura classica, maanche per il sole e il paesaggio mediterraneo.L’itinerario tipico del Grand Tour era codificato su un per corso circolare, che ricalcava ed esten-deva quello seguito da un celebr e precursore, Michel de Montaigne, nel 1580: da T orino a Firenze,Pisa, Siena, fino a Roma e spesso a Napoli, poi anche alla Sicilia, per risalir e a Venezia e da qui, at-

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Bisognerà comunque attendere la fine del-l’Ottocento per ravvisare una prima forma diturismo realmente moderno nel termalismoche, ancora su imitazione delle località in-glesi, produrrà un modello di fruizione deltempo libero e di assetto urbanistico centratosullo stabilimento termale, sul Grand Hôtel esu strutture per il divertimento. Agli inizi delNovecento, Montecatini rappresentava la ca-

pitale italiana delle vacanze termali, ma nonmancavano altri centri di eccellenza comeSalsomaggiore, Abano, Recoaro, Chian-ciano, Pozzuoli, Castellammare e Ischia.Nello stesso periodo, anche il turismo bal-neare e quello montano conobbero un primosviluppo: l’uno, originato come variante del-le cure termali, si trasformerà gradualmentein vacanza balneare, interessando inizial men-

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traverso Padova e Verona, concludersi a Milano. Superfluo ricor dare i nomi che di questo viaggio,nel succedersi del tempo, hanno fatto un illustr e stereotipo: Byron, i de Goncourt, Goethe, Stendhale moltissimi altri.Insieme al fascino della classicità, delle bellezze naturali e artistiche, paesaggistiche e urbane, cheesaltavano le capacità espressive dei visitatori, l’Italia offriva l’interesse di una struttura politica com-plessa. E accanto ai luoghi pr estigiosi e colti, mostrava aspetti selvaggi e pericolosi, nella natura enella società marginale (dalle paludi al brigantaggio), il che faceva del Grand Tour un’esperienza for-mativa completa, quasi un rito di iniziazione.La tradizione si interr ompe con la Rivoluzione Francese, come conseguenza dei radicali mutamentieconomici, politici e sociali che ne conseguono; ripr ende durante la Restaurazione, con minor e enfasiculturale, ma importanti novità di gener e, in quanto diviene moda anche per le giovani donne di altoceto, e geografiche, con nuove pr ovenienze dal nucleo – appena formatosi – degli Stati Uniti; si esau-risce nel XIX secolo, con la rivoluzione industriale a cr eare i prodromi del turismo di massa.Può rinascere, il Grand Tour, e avere un senso per i turismi plurimi dell’Italia nel terzo millennio? As-solutamente sì! Dopo la stagione delle spiagge e delle montagne affollate per due-quattr o settimane diferie, tutti alla ricer ca delle stesse cose (e, a ben veder e, di una «ripr oposizione urbana» del leisure),tornano i gusti e le sensibilità individuali; e tr ovano, nell’immenso variegato r epertorio dei beni ita-liani, delle risorse e culture locali, il catalogo non per uno, ma per mille viaggi.L’idea non è soltanto nostra: nel 2006, con il coor dinamento scientifico di Carlo Ossola, accademicodei Lincei, il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il sostegno di UniCredit Groupe Arcus, grazie a Torino capitale mondiale del libro con Roma , è tornato il Grand Re-tour, viaggio inItalia «a rovescio», imperniato su tavole r otonde e manifestazioni culturali, con partenza dalla Sicilia(29 maggio) attraverso Lecce, Napoli, Roma, Urbino, Fir enze, Bologna, Parma, Venezia, Genova, To-rino, fino a Milano (primavera 2007). E poi, in prospettiva europea, a Vienna e Monaco di Baviera perchiudersi idealmente a Weimar, città del grandtouriste per eccellenza, Goethe.«Non un revival, ma un confr onto inedito ed innovativo […] alla scoperta del contributo di cr eativitàdell’Italia al mondo contemporaneo», per rispondere a domande come: «Nei nuovi scenari mondiali, ilviaggio in Italia oggi è ancora necessario? Che ruolo ha il Bel Paese nella formazione degli intellet-tuali e delle culture delle aree emergenti del pianeta? E soprattutto, la sua lingua e il suo contributo diciviltà sono ancora tasselli irrinunciabili nel sapere dell’uomo globalizzato?».«Ogni città parlerà con la voce del pr oprio lascito di civiltà, delle testimonianze eloquenti dei pr oprimonumenti, dell’impronta che essi hanno lasciato negli immaginari collettivi. Ma anche delle forzevive dell’economia e della società che stanno guidando i cambiamenti e delineando quegli scenari fu-turi che il Grand Re-tour vuole aiutare a decifrare».

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te, con diverse caratterizzazioni, la costa li-gure (per contiguità con la già rinomata CostaAzzurra), Viareggio, il Lido di Venezia, Gra-do e alcune località del Mezzogiorno (Napolie la Costiera Amalfitana, Palermo, Taormina);l’altro, dapprima inteso come «climatismomontano», si arricchirà della pratica deglisport invernali e vedrà subito coinvolte le re-gioni alpine. Anche le aree archeologiche diErcolano e Pompei contribuirono ad accre-scere la fama turistica dell’Italia a livello in-ternazionale. Dati stimati registravano 450.000 visitatoristranieri, in Italia, nel 1897 e 900.000 nel1911. Ancora nel 1897 fu creata la primaagenzia di viaggi italiana e nel 1899 fu fon-data la prima associazione nazionale degli al-bergatori. Restava tuttavia, il turismo, un fenomeno eli-tario, anche perché l’Italia permaneva, in

gran parte, rurale e la rivoluzione industriale– nonostante lo sviluppo della rete di tra-sporto ferroviario – manifestava solo parzial-mente, nelle regioni del Nord-ovest, i suoi ef-fetti di trasformazione sociale e dif fusionedella ricchezza. Successivamente, la com-parsa dell’automobile e lo sviluppo della reteviaria avrebbero decretato la più ampia dif fu-sione della pratica turistica, la cui or ganizza-zione era lasciata, in un primo tempo, alla li-bera iniziativa privata: sorsero, così, le primeassociazioni nazionali (T ouring Club, ClubAlpino) e le Pro Loco, con lo scopo di favo-rire il movimento turistico e valorizzare le ri-sorse locali. Solo nel 1910 veniva istituita,con provvedimento legislativo, la tassa disoggiorno in favore dei comuni. Un deciso intervento dello Stato si ebbe inepoca fascista, con un ampio progetto di ge-stione e valorizzazione dell’accresciuto tempo

18 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Tab. 1 – Primi dieci Paesi del mondo per arrivi internazionali e ricavi del turismo

PaesiArrivi internazionali (migliaia) Ricavi (milioni di US$)

1990 1995 2000 2005 1990 1995 2000 2005

Francia 52.497 60.033 77.190 76.001 20.184 27.587 30.757 42.276

Spagna 34.085 34.920 47.898 55.577 18.484 25.252 29.968 47.891

Stati Uniti 39.363 43.490 51.238 49.402 43.007 63.395 82.400 81.680

Cina 10.484 20.034 31.229 46.809 2.218 8.730 16.231 29.296

Italia 26.679 31.052 41.181 36.513 16.458 28.731 27.493 35.398

Regno Unito 18.013 23.537 25.209 29.970 15.375 20.500 21.857 30.669

Messico 17.172 20.241 20.641 21.915 5.526 6.179 8.294 11.803

Germania 17.045 14.838 18.992 21.500 14.245 18.001 18.693 29.204

Turchia 4.799 7.083 9.586 20.273 3.225 4.957 7.636 18.152

Austria 19.011 17.173 17.982 19.952 13.417 12.927 9.931 15.467

Fonte: elaborazione su dati UNWTO

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Scenari italiani 2007 19

Fig. 3 – Tipologia dell’offerta turistica territoriale

Nota: per motivare la scarsa numerosità delle località classificate come «religiose», con lacune particolarmente evidenti,si veda, nel cap. 2, il testo San Giovanni Rotondo, emblema del turismo r eligioso. Anche altre apparenti anomalie deri-vano dai criteri di classificazione delle amministrazioni territoriali competenti

Legenda: n.a.c., non altrimenti classificate

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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libero dei lavoratori (tra il 1919 e il 1920 sierano conclusi i primi contratti che prevede-vano le otto ore lavorative giornaliere e le fe-rie pagate: 10-20 giorni per gli impiegati, 6giorni per gli operai) attraverso la promozionedi iniziative come quella dei «treni popolari»,che ebbe il merito di dif fondere l’abitudine alviaggio nei ceti medi e di rendere accessibilile località balneari (Riviera Romagnola, Ostia,Fregene) dalle grandi aree urbane; altrettantoimportanti le provvidenze in favore delleclassi di età più giovani, con la creazione dellecolonie di villeggiatura, cui si af fiancavano isoggiorni per i dipendenti pubblici. Ancora a livello centrale, l’istituzione del-l’ENIT (1919) rappresentò un importante stru-mento per la promozione, all’estero, dellemete turistiche italiane. In ef fetti, a metà deglianni Venti l’Italia fu interessata da un notevoleincremento dei flussi turistici stranieri, con unrecord di arrivi registrato nel 1925, in occa-sione dell’Anno Santo (ben 1.340.000), men-tre era di circa 6 milioni la consistenza delmovimento turistico interno, distribuito nellevarie località. In particolare, l’af fermazione del turismo bal-neare, che si legava prevalentemente alla do-manda del ceto medio, consacrò alcune loca-lità come quelle della costa romagnola com-presa tra Rimini e Cervia, mentre il litorale tir-renico attorno a Viareggio conservava una suacaratterizzazione alto-borghese; dal canto suo,il turismo termale si ridimensionava attornoalla originaria of ferta curativa, mentre il turi-smo montano si strutturava inizialmente comevilleggiatura estiva, progressivamente af fian-cata dalla pratica degli sport invernali.Nel secondo dopoguerra si assiste all’af ferma-zione piena del turismo di massa, parallela alconsolidamento della società urbano-indu-striale che coinvolge sempre più ampi stratidella popolazione, influendo in modo perma-

nente sull’organizzazione della società e sullostile di vita delle persone. Gli stessi fattori,che già agli inizi del secolo avevano prodottoun significativo balzo in avanti della praticaturistica, ampliano la loro portata promuo-vendo un generale miglioramento del benes-sere segnalato dal maggior potere d’acquistoindividuale; dalla crescente mobilità dovuta aldiffondersi dell’automobile, prima, e del tra-sporto aereo, poi; dalla maggiore disponibilitàdi tempo libero. Il turismo balneare guida lacrescita del settore, seguito da quello montanograzie all’estendersi delle vacanze al periodoinvernale, mentre decisamente ridimensionatosarà il contributo del turismo culturale, strettonelle maglie di una politica conservativa. Anche il turismo italiano, a partire dagli anniCinquanta, registra dunque un intenso e dura-turo periodo di sviluppo che, nei primi anniOttanta, tocca livelli da primato per i flussi siainterni sia internazionali (questi ultimi, quasitriplicati: da 4,8 a 12,7 milioni di arrivi). Dallaseconda metà di quel decennio, tuttavia, il BelPaese si scopre vulnerabile, per ragioni strut-turali e congiunturali, di fronte alla accresciutae più estesa competitività del sistema turisticomondiale.Il nuovo millennio ci consegna l’immagine diuna Italia turistica ancora ai primi posti nellegraduatorie mondiali dei flussi e delle entratevalutarie, malgrado i non pochi segnali di de-bolezza, di carattere sia or ganizzativo sia eco-nomico-territoriale.

1.2. I punti di forza

Il turismo italiano contemporaneo sta vivendodunque, non senza dif ficoltà, un passaggiocomplesso e delicato dalla tradizione all’inno-vazione. Nell’ambito di questo processo, che

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potremmo definire di transizione strutturale,alcuni segmenti storicamente trainanti ap-paiono in af fanno (il turismo balneare, perprimo), mentre altri – come il turismo cultu-rale e delle città d’arte – manifestano una no-tevole vitalità. In effetti, alla luce delle perfor-mances registrate negli ultimi anni, non è in-verosimile af fermare che il patrimonio arti-stico-culturale, inteso nella sua accezione più

ampia (singoli monumenti e opere d’arte;strutture museali; siti archeologici; centri sto-rici di città grandi, medie e piccole; bor ghi evillaggi; paesaggi culturali; tradizioni e fol-clore), sia oggi la risorsa più valida e rappre-sentativa del turismo italiano, tanto da costi-tuirne la principale leva competitiva.Secondo un luogo comune particolarmenteabusato, in Italia si troverebbe una percen-

Scenari italiani 2007 21

Nota: l’ISTAT usa spesso la locuzione «altri comuni» per località che, seppure minori, hanno una propria ben precisa ca-ratterizzazione del prodotto turistico; inoltre alcuni capoluoghi di provincia, prima non classificati, dal 2000 sono statiinclusi fra le «città storiche e artistiche». Ciò comporta la parziale disomogeneità di tali categorie nelle serie riportate

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Fig. 4 – Evoluzione delle presenze complessive per tipologia di località

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tuale straordinariamente elevata del patrimo-nio artistico mondiale: è solitamente indicatoun valore del 40%, come se una quantifica-zione fosse possibile. In realtà, il dato chepuò essere preso ragionevolmente in consi-derazione è quello che riguarda la presenzaitaliana nella World Heritage List dell’UNE-SCO che – come ben noto – include non solosingoli monumenti, ma anche insediamenti esiti (ad esempio, centri storici e paesaggiculturali), oltre che contesti naturali di parti-colare valore e pregio: l’Italia vi occupa ef-fettivamente il primo posto, con 41 siti su

830, più di Spagna (39) e Francia (30), cheinvece la precedono nella graduatoria mon-diale delle presenze turistiche. Anche sotto ilprofilo dei criteri che la stessa UNESCO in-dica perché un sito possa essere iscritto nel«patrimonio dell’umanità», l’Italia si collocain una posizione di predominio, con quasil’80% dei siti caratterizzati dalla presenzadel criterio IV: «esempio rilevante di un tipodi costruzione, di un insediamento architet-tonico, tecnologico o paesaggistico che illu-stra uno o più periodi significativi della sto-ria umana».

22 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Fig. 5 – Consistenza delle presenze complessive per tipologia di località

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Italia «patria dell’arte» e «museo dif fuso»,quindi, per citare alcuni stereotipi particolar-mente usati. Stereotipi, certo, ma sembra pro-prio questa la percezione che gli stranierihanno dell’Italia: da una recente indaginesvolta dalla Doxa su un campione rappresenta-tivo di turisti e tour operators di nove paesi(Austria, Belgio, Francia, Germania, Giap-pone, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Stati Uniti,Svizzera) di particolare interesse turistico peril nostro paese, è risultato che gli stranieri at-tribuiscono alla cultura e all’arte italiane unpunteggio medio di 8,28 su una scala che vada 1 a 10, e un punteggio inferiore (7,28) all’I-talia come luogo di vacanza. Inoltre, pur nonessendo l’Italia il paese mediterraneo meglioconosciuto dal campione (sia la Francia sia laSpagna, infatti, la superano in termini di noto-rietà turistica), il 30,6% dei turisti stranieri in-tervistati progetta di visitarla entro un triennio,contro il 16,6% per la Spagna e l’1 1% per laFrancia. Infine – e questo è forse il dato più si-gnificativo dell’indagine – fra gli intervistatiche hanno svolto un viaggio in Italia il 63,6%ha visitato le città d’arte (i giapponesi lehanno scelte nel 95,4% dei casi, ma anche glistatunitensi e gli inglesi hanno manifestatouna particolare propensione verso il turismoculturale urbano), mentre solo il 24,8% hasoggiornato in località balneari. L’evidenza statistica (dati 2005) conferma, senon proprio l’entità del fenomeno, quantomeno l’orientamento della clientela straniera,che preferisce le città d’arte (44,7% degli ar-rivi; 33,4% delle presenze) alle località marine(17,1% degli arrivi; 23,9% delle presenze). Lepiù visitate sono, prevedibilmente, Roma, Ve-nezia, Firenze e Milano (che risultano ancheessere le più conosciute dal campione intervi-stato dalla Doxa). Inoltre, questo segmento dimercato, pur appartenendo alle tipologie tradi-

zionali, risulta particolarmente dinamico, co-me sopra accennato: tra il 1999 e il 2004 gliarrivi e le presenze nelle città d’arte italianesono cresciuti rispettivamente del 34,5% e del37,7%, mentre arrivi e presenze totali hannomanifestato un andamento decisamente menovivace (+15,6% e +12%). Infine, secondoun’indagine del CISET e dell’Ufficio ItalianoCambi, il turismo culturale ha rappresentato,nel 2005, più della metà dell’intera spesa turi-stica internazionale in entrata.Non vi è dubbio che la varietà paesaggisticarappresenti per il turismo italiano un altro for-midabile punto di forza, e questo fin dagli al-bori, dall’epoca del Grand T our. Come èvero, per dirla con Goethe, che l’Italia è «ilpaese dove fioriscono i limoni», immagineche ne esprime un carattere saliente, è anchevero che è dif ficile trovare un paese in cuiconvivano – in uno spazio tutto sommatocontenuto – scenari naturali e paesaggi cultu-rali tanto diversi fra loro, ma al tempo stessotanto famosi nel mondo: si pensi al valoreiconografico delle Dolomiti, delle colline to-scane, delle costiere ligure e amalfitana, delGolfo di Napoli, degli scenari insulari di Ca-pri e delle Eolie, del barocco siciliano, dellespiagge di Sardegna, per non parlare dei pae-saggi urbani di città come Roma, Firenze eVenezia. Non è quindi un caso che abbiaavuto tanta fortuna l’appellativo dantesco epetrarchesco di «bel paese» con cui è poetica-mente chiamata l’Italia, posto a titolo del vo-lume Il Bel Paese pubblicato nel 1876 dall’a-bate Antonio Stoppani con lo scopo, appunto,di descriverne le attrattive. Fra i punti di forza del turismo italiano pos-siamo senz’altro annoverare anche il patrimo-nio enogastronomico, che colloca l’Italia aivertici mondiali della «geografia del gusto»:se ne dirà ampiamente in seguito, trattando dei

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segmenti emergenti. Qui ci limitiamo a sottoli-neare come, per il pubblico straniero, Italia siasinonimo – oltre che di arte, cultura e paesag-gio – anche di eccellenza culinaria ed enolo-gica: è quanto risulta anche dalla già citata in-dagine Doxa, in cui il campione intervistato haattribuito alla voce «cucina e vini» un punteg-

gio di 8,11. Sempre nell’ambito dell’indagine,da un’analisi comparativa rispetto ai principalicompetitors mediterranei, è risultato che la po-sizione dell’Italia prevale anche nei confrontidella pur celebrata cucina francese. Inoltre, considerate le favorevoli caratteristi-che climatiche dell’Italia, tutte le tipologie di

24 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Mari e terre dalla nave: la crocieristica

La crociera viene definita, nella letteratura specialistica, come «un viaggio multidestinazione a bor dodi un impianto galleggiante in grado di produrre servizi tipicamente alberghieri» e «una formula semi-flessibile di conoscenza delle destinazioni attraverso escursioni a terra lungo un itinerario in mar e». Sitratta, quindi, di una particolar e forma di turismo che, pur non dando luogo (di r egola) a pernotta-menti in strutture ricettive, può, attraverso la vendita di beni e servizi ai cr ocieristi, assumere comun-que un rilievo economico non indiffer ente per le località di imbar co/sbarco (home port) e di transito(port of call).Dagli anni Ottanta il settor e delle crociere, a livello globale, si è sviluppato senza sosta, passando dalmezzo milione di passeggeri dei primi anni Settanta agli oltr e 13 milioni del 2004; di questi, il 67% èrappresentato da nor damericani, mentr e gli eur opei costituiscono il 23% dell’utenza (nell’or dine:Gran Bretagna, Germania, Italia). Dal punto di vista delle macro-aree di destinazione, il 48% della ca-pacità in termini di giorni/letto (posti letto per numer o di giorni di permanenza) è riferibile alla r e-gione caribica, con oltr e 30 milioni; segue a grande distanza il Mediterraneo (15%, pari a quasi 10milioni di giorni/letto), area che tuttavia si va sviluppando molto rapidamente, se si considera che nel1990 la sua quota non superava il 10%. Nell’ambito del Mediterraneo complessivamente inteso, l’Italia occupa una posizione di assoluto ri-lievo per ciò che concerne la geografia degli scali cr ocieristici, arrivando a coprire circa il 50% dellamovimentazione complessiva. Grazie alla sua posizione centrale e alle forti attrattive turistiche, essa èmediamente toccata 2,8 volte per ogni cr ociera effettuata in questo mar e, contro 1,1 volte della Spa-gna, 0,88 della Francia, 0,65 della Cr oazia e 0,20 della Tunisia. Anche se è Barcellona a collocarsi alprimo posto fra i porti mediterranei per questo tipo di traffico (è inoltr e l’unico porto eur opeo a figu-rare fra i primi dieci al mondo), numerosi scali italiani compaiono nell’elenco dei principali: fra questispiccano Civitavecchia, Napoli, V enezia e Savona, che negli ultimi anni hanno r egistrato forti incr e-menti del traffico cr ocieristico. Nel caso del porto laziale, si pr evede addirittura, per l’anno 2007, unvolume tale da contrastar e il primato di Bar cellona (le stime parlano di quasi un milione e mezzo dipasseggeri). È evidente come il successo degli scali citati sia stato determinato dalle r elazioni di cooperazione stra-tegica e operativa che si sono instaurate tra i due attori «chiave» del settor e, i porti e le compagnie dicrociera, che hanno condotto a un potenziamento delle infrastruttur e portuali, a un lor o adeguamentoalle esigenze specifiche del mer cato crocieristico e quindi a una maggior e competitività dello scalostesso. Anche per quanto riguarda le compagnie di crociera, la presenza italiana è tutt’altro che secondaria: illeader di mercato dell’area mediterranea è la Costa Cr ociere, attualmente brand del primo gruppomondiale Carnival, mentre ben posizionata e in rapido sviluppo, sia nel Mediterraneo che nei Caribi, èla MSC Crociere, con sede operativa a Napoli.

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turismo che comportano attività da svolgereall’aria aperta trovano nel nostro paese unterritorio particolarmente vocato, specienelle aree costiere. Al di là del turismo bal-neare marino (che, nonostante la competi-zione internazionale, continua a rappresen-tare la principale tipologia turistica, con il31% circa delle presenze complessive), for-me alternative di leisure associate al fattoreclimatico (uno fra i tanti esempi, la praticasportiva del golf) potrebbero rappresentareuna nuova frontiera per il movimento turi-stico, in rapporto di complementarità e siner-gia con tipologie più tradizionali. Merita infine un cenno la crocieristica, formaatipica di turismo in cui l’Italia primeggia inambito mediterraneo, certamente grazie allesue attrattive culturali e climatiche, ma anchegrazie agli investimenti ef fettuati in joint ven-ture da autorità portuali e compagnie di cro-ciera per adeguare i porti italiani alle esigenzedel settore, a conferma del fatto che una vi-sione strategica e un’ef ficace valorizzazionedelle risorse possono produrre ottimi risultati.

1.3. Un settore «maturo» di fronte al cambia-mento

Come tutti i settori «maturi», il turismo ita-liano presenta anche punti deboli, soprattuttoin alcune tipologie di offerta, oltre che nei pro-fondi cambiamenti legati al processo di globa-lizzazione.Il prodotto turistico italiano ha da sempreevidenziato alcune caratteristiche di fondo:concentrazione eccessiva verso il prodottobalneare di puro relax, secondo la conce-zione classica delle 4S ( sun, sea, sand, sex );sovraffollamento di alcune località, litora-

nee in estate e montane in inverno; peggio-ramento dei parametri ambientali, soprat-tutto per quanto attiene alla qualità delle ac-que marine e alla proliferazione del co-struito; squilibri territoriali marcati nellosviluppo del comparto, seguendo il divarioNord-Sud; forte stagionalità degli af flussi,sia nazionali che internazionali; of ferta ri-cettiva caratterizzata da prezzi in media piùelevati che in altri paesi europei, cui nonsempre corrisponde una qualità all’altezzadelle aspettative.Le evidenti carenze nella pianificazione ter-ritoriale del turismo discendono dalla man-canza di studi settoriali approfonditi, i quali,ovviamente, permetterebbero una miglioredistribuzione delle risorse pubbliche e pri-vate; qualcosa sta cambiando negli anni re-centi, soprattutto in alcune regioni dove l’i-niziativa pubblica diventa più rilevante, maanche tramite consorzi e associazioni chetentano di cogliere meglio le dinamiche dellosviluppo turistico. Venendo ai nodi principali del sistema turisticoitaliano, occorre innanzitutto notare il posizio-namento dell’Italia sui mercati internazionali, ein particolare su quello mediterraneo, laddovela concorrenza si fa più forte per la similaritàdei prodotti of ferti. Mentre, in passato, essa èarrivata a collocarsi al secondo posto mondiale(dopo gli Stati Uniti) per gli introiti derivantidal turismo, soprattutto grazie a una politica diprezzi elevati nelle località di pregio (cittàd’arte, località balneari e montane più elitarieeccetera), negli ultimi anni si è vista superata intale classifica da Spagna e Francia, mentre Ger-mania, Gran Bretagna e Cina tendono rapida-mente ad avvicinarsi alla quota italiana. Ma so-prattutto va osservato come l’Italia, pur retroce-dendo soltanto dal quarto al quinto posto mon-diale fra i paesi meta di vacanze internazionali,

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abbia visto diminuire la propria quota percen-tuale di arrivi, essendo cresciuto il turismoestero in Italia meno che proporzionalmente ri-spetto a quello globale, soprattutto a partire dal-

l’ultimo quindicennio del secolo trascorso. A li-vello mediterraneo, gli altri paesi del cosiddetto«arco latino» continuano a migliorare le propriequote di mercato, sebbene negli ultimi anni si

26 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Tab. 2 – Evoluzione del turismo nel Mediterraneo

Arrivi internazionali (migliaia)Paesi

1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Spagna 15.320 19.800 22.500 27.477 34.085 34.920 47.898 55.577

Francia 18.130 25.710 30.100 36.748 52.497 60.033 77.190 76.001

Monaco - - - - 245 233 300 286

Italia 14.188 15.500 22.087 25.047 26.679 31.052 41.181 36.513

ex Iugoslavia 4.749 5.834 6.410 8.436 - - - -

Slovenia - - - - - 732 1.090 1.555

Croazia - - - - 7.049 1.485 5.831 8.467

Bosnia-Erzegovina - - - - - 37 171 213

Serbia e Montenegro - - - - 1.186 228 239 725

Grecia 1.407 2.840 4.796 6.574 8.873 10.130 13.096 14.276

Turchia 446 1.201 865 2.230 4.799 7.083 9.586 20.273

Siria 409 678 1.204 986 562 815 1.416 3.368

Libano 900 1.555 118 - - 450 742 1.015

Israele 419 559 1.116 1.243 1.063 2.215 2.417 1.140

Palestina - - - - - - 310 88

Egitto 348 730 1.253 1.518 2.411 2.871 5.116 8.244

Libia 77 241 126 126 96 56 174 149

Tunisia 411 1.014 1.602 2.003 3.204 4.120 5.058 6.378

Algeria 236 296 290 407 1.137 520 866 1.443

Marocco 747 1.242 1.425 2.180 4.024 2.602 4.113 5.843

Malta 171 335 729 518 872 1.116 1.216 1.171

Cipro 127 47 353 814 1.561 2.100 2.686 2.470

Mediterraneo 58.085 77.582 94.974 116.307 150.373 162.838 220.728 245.241

Mondo 165.787 222.290 285.328 326.697 457.306 550.251 698.793 806.000

Fonte: elaborazione su dati UNWTO

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Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Fig. 6 – Presenze turistiche per provincia

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noti un rallentamento degli af flussi in Francia,contro un forte incremento in Spagna; le nuovelocalità balneari, specie della Croazia e dellaTurchia, sottraggono, inoltre, importanti quotedi mercato in questo segmento.L’Italia, dunque, deve assumere un atteggia-mento di confronto costante, di benchmarkingglobale nei confronti della Francia e dellaSpagna, le principali concorrenti a livellomondiale dei prodotti italiani, di cui occorrestudiare approfonditamente i fattori di suc-cesso, per cercare di proporre alternative, di«inventare» nuovi prodotti. Altrettanto valenei confronti delle sponde meridionale eorientale del Mediterraneo, attivando politichenon più basate su fattori di prezzo, ma agendosul miglioramento dell’offerta.Prima problematica da af frontare nella ge-stione «interna» del prodotto è la questionedella ricettività. Si avverte l’esigenza di unagestione degli esercizi in un modo che siasempre più professionale, rispetto agli atteg-giamenti improvvisati e alle cosiddette «con-duzioni stagionali familiari»: l’attività solo perpochi mesi all’anno, infatti, non permette ilnecessario, continuo adeguamento delle strut-ture, soprattutto alberghiere.L’offerta turistica ricettiva italiana, sebbenelargamente sottostimata per quanto riguardail segmento complementare, appare poi sen-sibilmente sbilanciata a favore delle regionidel Nord, e in particolare del Nord-est, cosìda riproporre la tradizionale contrapposizionetra Settentrione e Meridione che ha contras-segnato l’intero sviluppo economico italiano.Essa, in realtà, sembra avere maggiore svi-luppo nella Terza Italia, ovvero lungo l’asseadriatico dal Triveneto alle Marche e, sulversante tirrenico, nella Toscana, sebbene sipossa valutare, rispetto al modello classico,una forte rarefazione delle strutture man

mano che si procede dalle zone litoraneeverso l’interno: gran parte della Pianura Pa-dana, ad esempio, è priva di una vera forzaattrattiva. Al Centro-Sud e nelle Isole la si-tuazione è ancora peggiore, con l’emergere dipoli turistici soltanto nelle grandi città comeRoma e Napoli e nelle aree di rinomato turi-smo balneare come la Costiera Amalfitana, ilGargano, il Salento, il Cosentino, alcune pro-vince siciliane e la Costa Smeralda. In defini-tiva, si osserva non solo una contrapposi-zione tra Nord e Sud, ma anche un forte diva-rio tra aree costiere, interessate dal preva-lente turismo di tipo balneare, e aree interne,spesso in posizione mar ginale rispetto alleprime. Tutto ciò trova riscontro nella distri-buzione territoriale delle presenze turistichenel loro complesso.Per quanto riguarda i tipi di località turisti-che, l’Italia vede ancora gran parte delle pre-senze legate al mare; dopo una fase di rapidaespansione fino alla metà degli anni No-vanta, il prodotto balneare ha rallentato ilproprio ciclo di sviluppo, raggiungendo unafase di maturità, che potrebbe preludere aldeclino, tenuto conto del continuo decre-mento in corso dal 2001 al 2004. Occorreanche precisare che il turismo balneare, inItalia, è lar gamente alimentato dal mercatointerno, in continua espansione come quotapercentuale (nell’anno di massimo assolutodelle presenze in località marittime, il 2001,oltre il 65% risultava di provenienza nazio-nale, quota che saliva al 68% nel 2004). Ladisaffezione degli stranieri per le localitàmarittime italiane è, dunque, all’origine dellacrisi del prodotto balneare, dif ficilmentecontrastabile con le tecniche tradizionali ba-sate sulla leva dei prezzi, forse più ef ficace-mente tentando le vie del miglioramento eintegrazione dell’offerta.

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Altri segmenti dell’of ferta turistica nazionalesembrano, al contrario, in deciso incremento:in particolare le città d’arte, dove il 55% dellepresenze è di provenienza internazionale; e,pur se a ritmi inferiori, le località montane elacuali. Sviluppare nuovi prodotti e cercarenuovi territori dove promuovere il turismosembra, comunque, la strategia migliore perrivitalizzare il comparto: sebbene non si possa

più considerare l’Italia come un unico grandegiacimento turistico, si può ancora contare sunumerosi territori potenzialmente fruibili daivisitatori, una «terra di mezzo» spesso scono-sciuta non solo ai viaggiatori internazionali,ma agli stessi italiani.Un’ulteriore questione rilevante è l’eccessivastagionalità: se questa, negli ultimi anni, va leg-germente diminuendo nelle sue punte massime

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Nota: valori mensili in percentuale del totale

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Fig. 7 – Regime delle presenze turistiche (2005)

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estive, ciò si deve non tanto a ef ficaci politichedi diversificazione e allungamento del periododi vacanza operate dagli attori pubblici e pri-vati, quanto a una sorta di rifiuto spontaneo delsovraffollamento da parte di un numero cre-scente di fruitori, specialmente stranieri.Analizzando i flussi turistici internazionali inItalia dal punto di vista della domanda, spic-cano due elementi critici: il primo è la sostan-ziale «oligarchia» che monopolizza il mercato,con la lar ga prevalenza di paesi del Nord eCentro Europa; il secondo è relativo alla disaf-

fezione mostrata proprio dai turisti provenientidagli Stati di riferimento del mercato verso lelocalità «massificate», manifestatasi con unadiminuzione delle quote di mercato relative e,soprattutto, con un accorciamento sensibiledei periodi di permanenza. Il fenomeno delle vacanze brevi è viceversadiffuso, fin dall’origine, fra le clientele pro-venienti dai paesi extraeuropei, con perma-nenza non superiore, in media, a tre pernotta-menti per arrivo; dato peraltro compensatodalla crescita numerica dei flussi, in partico-

30 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Fig. 8 – Tendenza delle presenze complessive per le principali nazionalità dei turisti stranieri

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Fig. 9 – Incidenza del turismo straniero per provincia

Nota: incidenza dei sette paesi stranieri più rilevanti a scala nazionale (Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Au-stria, Paesi Bassi e Svizzera)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

lare di giapponesi, statunitensi e – in prospet-tiva – cinesi, la cui domanda privilegia deci-samente le forme di turismo orientate versola cultura e l’arte.

Dall’incontro della domanda con l’of fertanasce la mappa italiana dell’utilizzazionedelle strutture ricettive da parte dei turistiinternazionali: a livello regionale si denota

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32 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Fig. 10 – Indice di utilizzazione lorda alberghiera per provincia

Nota: l’indice di utilizzazione lorda è calcolato come rapporto percentuale tra le presenze totali in ciascuna provincia e ilnumero complessivo dei posti letto ivi disponibili (letti * 365 giorni)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Scenari italiani 2007 33

Fig. 11 – Stagionalità nell’indice di utilizzazione lorda alberghiera

Nota: l’indice è stato elaborato, in ciascuna provincia, come scarto percentuale tra gli indici di utilizzazione lordaestremi, calcolati per il mese di massimo af flusso e per quello di minimo

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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librare il parco della ricettività a livello na-zionale, favorendo lo sviluppo di imprese dipiccole dimensioni, più «leggere» e flessibilida gestire e con minori costi fissi, ma con as-soluta professionalità; investire nella forma-zione, soprattutto nel Sud, allo scopo di au-mentare la competitività dei territori e dellestesse imprese; diversificare i mercati-obiet-tivo con lo sviluppo – a livello nazionale, re-gionale e locale – di politiche di marketing,sia verso le economie di recente sviluppo,sia verso le clientele «classiche», per stimo-lare e consolidare le quote di mercato; pro-muovere un maggiore coordinamento tra ivari attori locali allo scopo di creare prodottiintegrati di qualità e attuare una pianifica-zione mirata, soprattutto in aree come quellemeridionali; destagionalizzare il turismo conla creazione di nuovi prodotti; utilizzare inmaniera più sostanziale le tecnologie infor-matiche attraverso sistemi di booking e dipromozione elettronici; sviluppare il settoredella distribuzione e dell’of ferta dei «pac-chetti-vacanza».

34 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Nuovi orizzonti globali: il turismo cinese

Con oltre un miliar do e tr ecento milioni di abitanti e tassi annui di cr escita del PIL che oscillanointorno al 10%, la Cina rappresenta – in prospettiva – la principale novità del turismo mondiale delterzo millennio, sia incoming che outbound. Sotto il primo profilo, con 41,8 milioni di arrivi di turi-sti stranieri nel 2004, ha scalzato l’Italia dal quarto posto nella graduatoria mondiale delle princi-pali destinazioni turistiche, e si pr opone di raggiunger e il primo posto entr o il 2020. Sotto il se-condo profilo, il mercato cinese rappresenta una opportunità straordinaria per i paesi che sarannoin grado di coglierla: se nel 2000 i turisti cinesi outbound superavano di poco i 10 milioni, nel2005 sono stati 31 milioni, e secondo stime della UNWT O, raggiungeranno i 50 milioni nel 2010 eaddirittura i 100 milioni nel 2020. Attualmente, le principali destinazioni dell’outbound cinese sono i paesi del Sud-est asiatico. L’Europanel suo complesso è stata visitata, nel 2004, da 1.807.000 cinesi: prima destinazione è stata la Germa-nia (223.000), seguita da Francia (202.000) e Gran Br etagna (177.000), mentre l’Italia costituisce an-

k

una maggiore frequentazione nel Nord, par-ticolarmente nel settore orientale (ma nelcomparto alber ghiero si ha una forte rile-vanza del Lazio, grazie alla posizione di ec-cellenza di Roma); la situazione peggiore,con bassissimi arrivi di turisti esteri rispettoalle infrastrutture a disposizione, si ha nelSud peninsulare, dall’Abruzzo alla Calabria,con la sola eccezione della Campania. Ascala provinciale la situazione si fa più arti-colata: presentano i migliori indici le cittàpiù grandi (Roma, Milano, Venezia, Firenze,Napoli) e gran parte dei litorali liguri e tirre-nici fino alla Campania, mentre sof frono learee meridionali, soprattutto adriatiche, equelle interne. Non risulta pagante, inoltre,una politica turistica tradizionalmente mo-nostagionale, come quella dell’Emilia-Ro-magna, che denota indici lordi di sfrutta-mento delle proprie risorse ricettive piutto-sto bassi.In definitiva, per le strategie turistiche ita-liane sembrano essere significative alcuneindicazioni provenienti da questi dati: riequi-

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cora una meta secondaria (65.000 arrivi nel 2004 e 56.000 nel 2005). Le pr ospettive, tuttavia, sono fa-vorevoli: innanzitutto, dal settembre 2004 l’Italia è stata inserita nella lista delle nazioni ADS (Appro-ved Destination Status), il che comporta la possibilità per i turisti cinesi di sceglierla come prima de-stinazione e intr oduce notevoli semplificazioni bur ocratiche nel rilascio del visto, che può esser e ri-chiesto direttamente dai tour operators cinesi autorizzati ai consolati italiani operativi in Cina. Inoltr e,è stato recentemente istituito un Comitato Governativo Italia-Cina, una sorta di partenariato specialeche ha lo scopo di pr omuovere le relazioni tra i due paesi, ivi incluse, ovviamente, le questioni di na-tura turistica. Su queste ultime incide – e va chiaramente evidenziato – il possibile uso di visti turisticiper coprire altre forme di immigrazione, come emerge dall’analisi dei dati, che vedono, ad esempio, laprovincia di Prato (dove la comunità cinese è notoriamente pr esente nell’industria tessile) fra le prin-cipali destinazioni. Per il momento l’Italia viene visitata dai turisti cinesi pr evalentemente nell’ambito di pacchetti all in-clusive e multidestinazione (tipicamente Francia, Olanda, Gran Br etagna, Germania e Italia), operatida Lufthansa e AirChina, ma in futuro sarà possibile sviluppare un flusso cinese diretto esclusivamenteverso l’Italia, grazie all’intensificazione delle r elazioni italo-cinesi, ma soprattutto grazie al mix diarte, cultura, shopping e gastronomia che, secondo il par ere degli operatori, caratterizza l’immaginedell’Italia percepita dai cinesi e ne fa la destinazione eur opea più ambita, insieme con la Francia (vasottolineato come i turisti cinesi in Europa, analogamente a quelli giapponesi, siano interessati soprat-tutto alle capitali e alle città d’arte). Naturalmente, resta molto da fare per raggiungere questo obiettivo. Innanzitutto è evidente che per en-trare in un mercato come quello cinese, tuttora caratterizzato da un forte statalismo e da una scarsa li-bertà individuale di movimento, sono necessarie azioni coor dinate a livello centrale, di concerto congli enti interessati (Regioni in primo luogo, ma anche Camere di commercio, Associazioni di categoria,vettori di trasporto eccetera), mentre le iniziative di singoli attori rischiano di esser e destinate al falli-mento. È inoltr e necessario potenziar e i collegamenti aer ei diretti tra Italia e Cina, aumentar e il nu-mero delle guide turistiche parlanti la lingua cinese e, soprattutto, pr omuovere adeguatamente l’of-ferta turistica italiana in quel paese, eventualmente pr oponendo pacchetti integrati Italia-Spagna percontrastare la concorrenza franco-tedesca.

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2.1. T urismo e cultura: solo un fenomeno«urbano»?

Il binomio «turismo/cultura» può apparire disemplice e immediata identificazione; vicever-sa, esso si carica di notevole complessità, inquanto il rapporto fra i due termini è dif ficil-mente inquadrabile in fenomenologie e defini-zioni univoche. Entrambi hanno assorbito ivantaggi derivanti dal processo di sviluppodella società e dal parallelo arricchimento delbenessere individuale, finendo per suggellarequel rapporto di reciproca interazione che, findall’epoca del «prototurismo», appariva comeil legame finalizzato alla esperienza ludica delviaggio. Infatti, se da una parte la nascita delturismo può identificarsi con i flussi di visita-tori dei centri culturali del mondo antico (lo siè ricordato), sostanziando l’idea del viaggiocome momento di formazione, dall’altra è lacultura stessa, nell’accezione più ampia, adavvalersi delle infrastrutture generate e incre-mentate dal turismo di massa. Con il trascorrere del tempo, dunque, il bino-mio acquisisce progressivamente significatiche si allontanano dall’immagine classica, eda quella romantica riproposta dal GrandTour, per arricchirsi di contenuti «trasver-sali», in risposta alle sempre diverse e piùcomplesse motivazioni di una domanda incontinua evoluzione: aumento del livello me-dio di istruzione; ricerca di una esperienza diviaggio personalizzata e di qualità; crescentepropensione alla vacanza breve; maggiore dif-fusione e più ampia promozione delle inizia-tive culturali, anche come strumento di mar-keting territoriale.

36 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Ne deriva una molteplicità di interpretazioniche, più di ogni altra cosa, evidenziano la dif-ficoltà di definire le attrazioni culturali e clas-sificarle in categorie delimitate. Ai fini opera-tivi, tuttavia, si può spaziare da una interpreta-zione ristretta, che identifica il turismo cultu-rale con quello finalizzato alla visita e frui-zione di beni intesi come opere d’arte, monu-menti e meetings di interesse culturale (se-condo la UNWT O: movimenti di persone in-nescati essenzialmente da motivazioni qualiviaggi di studio o per festival e altri eventi, vi-site a siti archeologici, chiese, musei, castelli,siti storici, antiche dimore), fino a una decisa-mente estensiva, che abbraccia qualsiasi formadi viaggio in quanto nessuna esperienza turi-stica può considerarsi priva di sollecitazioniculturali (ancora secondo la UNWT O, tutti imovimenti di persone dovrebbero – al limite –essere inclusi nella definizione perché soddi-sfano il bisogno umano della diversità, ten-dendo ad accrescere il livello culturale dell’in-dividuo e comportando nuove conoscenze,esperienze e incontri). In una posizione intermedia si colloca il turi-smo interessato a tradizioni popolari, enoga-stronomia, produzioni artigianali, manifesta-zioni fieristiche, eventi culturali ovvero allapiù ampia esperienza vissuta in diretto con-tatto con l’atmosfera dei luoghi e del paesag-gio. Posizione introdotta, nella normativaitaliana, dalla legge 84/1990 ( Piano or ga-nico di inventariazione, catalogazione edelaborazione della carta del rischio dei beniculturali, anche in r elazione all’entrata invigore dell’Atto Unico Eur opeo), che allar gail concetto dei beni culturali a «elementi co-

2. Un patrimonio consolidato, da modernizzare

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stitutivi della identità culturale della Na-zione» (art. 1, c. 3).Se, da sempre, il prodotto turistico italiano«di punta» è stato considerato quello bal-neare, di fatto l’immagine dell’Italia turisticaall’estero si lega in maniera del tutto preva-lente a un patrimonio culturale di consistenzae valore storico-documentario davvero ine-guagliabili: più di 4.000 tra musei e siti ar-cheologici; oltre 95.000 chiese di interessestorico e artistico; 40.000 castelli e rocche;oltre 56.000 tra ville e dimore storiche, unita-mente a numerose altre emergenze monumen-tali e artistiche (giardini, conventi, archivi,centri storici). Anche se, da una recente inda-gine promossa dall’ENIT (Il turismo culturalein Italia. Dossier , 2005), l’interesse della do-manda internazionale si allar ga sempre più aquello che può definirsi Italian lifestyle , omeglio, al plurale, gli «stili di vita» legati alletradizioni popolari e ai valori locali diffusi sulterritorio del nostro paese. Complessivamente, la componente culturalegiustifica l’85% degli arrivi giapponesi,l’80% di quelli statunitensi, spagnoli e porto-ghesi; il 70% degli indiani; il 60% degliolandesi e scandinavi; il 52% dei francesi esvizzeri; inoltre – secondo il Country BrandIndex 2005, una ricerca internazionale basatasul giudizio di operatori, esperti del settore eviaggiatori – il «marchio Italia» è statoquello più votato in forza dell’arte e dellacultura (davanti a Francia, Egitto, Gran Bre-tagna) ed è risultato sempre al primo posto(davanti a Egitto, Grecia e Turchia) per lacomponente storica. Tutto questo mentre il nostro paese registra –come detto sopra – un complessivo arretra-mento dell’ incoming turistico mondiale.L’apparente contraddizione svela, in realtà,la crisi di un modello turistico «misto» ormai

obsoleto, laddove il turismo culturale, relati-vamente ai flussi nelle città di interesse sto-rico e artistico, ha saputo mantenere un trendsostenuto di crescita: tra il 1999 e il 2004,+34,5% di arrivi e +37,7% di presenze (perconfronto, rispettivamente, +7,8% e +6,2%nelle località marine), confermato nel 2005da un ulteriore incremento del 2% negli ar-rivi e del 6% nelle presenze. Considerando i dati assoluti, nel 2005 ben 30milioni di arrivi (pari al 33,5% del totale,dati 2005) sono stati registrati nelle città diinteresse storico e artistico, contro i 20 mi-lioni (22,8%) nelle località marine; e laquota di chi sceglie il turismo culturale saleal 44,6% degli arrivi se si considera solo ilflusso degli stranieri, pur a fronte di una pro-gressiva contrazione della permanenza me-dia (24,3% delle presenze).L’identificazione del turismo culturale conquello urbano, se appare riduttiva in quantonon permette di monitorare altri segmenti delfenomeno, in gran parte di nicchia (peresempio il turismo archeologico, pure in cre-scita), conferma la forte polarizzazione eser-citata dalle città d’arte e consente di recupe-rare in chiave paradigmatica il ruolo, semprepiù emer gente, esercitato da quelle dette«minori», per le quali, nel periodo 1999-2004, si è registrata una crescita particolar-mente significativa (+58% di presenze, ri-spetto al +23,6% registrato dalle «grandi»:Firenze, Venezia, Roma, Napoli e Milano),alimentata anche dalla componente estera(dal 37% di presenze nel 1999 al 41% nel2004), particolarmente favorita dalla dif fu-sione di Internet, con la conseguente possibi-lità di or ganizzare in maniera autonoma epersonalizzata il proprio viaggio, oltre chedei voli low cost , soprattutto con riguardoalla domanda europea.

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38 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Fig. 12 – Visitatori totali nei musei, monumenti e aree archeologiche

Nota: i dati si riferiscono ai soli visitatori dei musei, monumenti e aree archeologiche statali

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Nella stessa direzione vanno i dati sulla spesadegli stranieri che, oltre a confermare un pro-filo medio-alto del visitatore culturale circala disponibilità di reddito e la propensionealla spesa, evidenziano una maggiore aper-tura verso il mercato delle città d’arte minori,dove, nel periodo 2001-2005, si è registrato

un incremento nella spesa del 6% a fronte diuna flessione di oltre il 9% segnalata nellegrandi città. La continua crescita della domanda storico-culturale (altro segnale è l’aumento costantedella domanda museale, passata dai 9,5 mi-lioni di visitatori del 1960 agli oltre 33 mi-

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San Giovanni Rotondo, emblema del turismo religioso

È ben noto come le convenzioni internazionali sul rilevamento statistico dei movimenti di popolazione– del tutto condivise dall’ISTAT nelle sue indagini sulle vacanze degli italiani – assegnino al turismo leattività «delle persone che viaggiano e alloggiano in luoghi diversi dall’ambiente abituale, per non piùdi un anno consecutivo, per motivi di vacanze, affari ed altr o». Pertanto, non sono esclusi quelli origi-nati da istanze religiose che, tuttavia, nonostante la numerosità dei santuari presenti in tutte le regioni,sono poco rappr esentati o discussi sia nella manualistica geografica, sia nei risultati delle ricer cheempiriche, sia nelle classificazioni ufficiali dei comuni italiani quali località turistiche.Circa le classificazioni (il riferimento è al 2001), sono soltanto quattr o – Chiusi della V erna, Loreto,Cassino e Settefrati – i comuni assegnati al tipo «località religiose», e tra essi manca il caso più appa-riscente, nel contesto italiano, di impatto della r eligiosità e dei pellegrinaggi sull’assetto socioecono-mico e urbanistico di un elemento amministrativo di media taglia. È il caso di San Giovanni Rotondo,il cui nome nell’immaginario collettivo evoca per molti, anche all’ester o, la figura di Padr e Pio daPietrelcina.Una giustificazione, seppur e parziale, della bassa numer osità delle suddette località si può ricer carenella definizione corr ente di turista, che richiede non solo lo spostamento «in un luogo diverso daquelli solitamente frequentati», ma anche almeno un pernottamento nel luogo visitato, altrimenti si ri-cade – ed è quasi la r egola per i pellegrinaggi all’interno del nostr o paese – nell’escursionismo e nellimbo del cosiddetto «non-turismo». Sono comunque da tener e presenti gli effetti, assai rilevanti, chegli escursionisti, se molto numer osi, producono sulle attr ezzature ricettive e pararicettive (in partico-lare quelle della ristorazione, della viabilità e dello svago) e sull’ambiente. Nel caso specifico, può aver svolto e svolgere tuttora un ruolo significativo l’intento della comunità lo-cale di valorizzare, con l’appartenenza alle località turistiche del tipo collinare, il complesso dei carat-teri paesistici e culturali della cittadina (abitanti: 16.978 nel 1951 e 26.106 nel 2001) che sor ge aquota 566 m, in un ampio territorio dalla forte energia del rilievo (da 8 a 1.065 m) e con insediamentotutto accentrato in un edificato cresciuto ai piedi del Monte Castellana e della Coppa l’Arena, nella se-zione centro-meridionale del Gargano. Ma proprio le modalità della cr escita recente, del tutto traspa-renti dal confronto tra lo stato rilevato dall’IGM nel 1957 e dall’IST AT al censimento 2001, fanno as-segnare agli esiti locali della religiosità ispirata da Padre Pio il ruolo di agente fondamentale nel mo-dellamento dell’abitato come si pr esenta oggi agli occhi del visitator e attento. Ruolo che si ripr oponecon forza anche nella struttura, al censimento 2001, sia della popolazione attiva del comune di SanGiovanni Rotondo, qualificata da un 9% assegnato alla sezione «alber ghi e ristoranti», sia degli ad-detti nelle attività non agricole, caratterizzata dalla quota – del tutto straor dinaria nel contesto nazio-nale – del 37% (a fr onte di un 2,52% per l’Italia e di un 2,88% per la r egione Puglia) nelle istituzioninon profit, quasi tutte riconducibili direttamente o indirettamente alla figura di Padre Pio.

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Fig. 13 – Santuari segnalati nella cartografia IGM

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lioni del 2005, con riferimento ai soli visita-tori dei musei, monumenti e aree archeologi-che statali), cui corrisponde un’of ferta sem-pre più diffusa e diversificata (che, per esem-pio, scommette sugli eventi e le manifesta-zioni come nuovo prodotto turistico da of-frire sul mercato), enfatizza il ruolo strate-gico delle città, grandi e piccole, per la pro-

mozione di politiche di governance che ri-partano dal territorio in termini di identità evalorizzazione e attribuiscano ai beni arti-stici e culturali anche un valore d’uso so-ciale. Lo dimostrano recenti esperienze, diiniziativa comunale, come le «notti bianche»(un solo esempio: a Napoli, 2 milioni di per-sone nelle piazze e nei musei, ma anche nei

Scenari italiani 2007 41

Fig. 14 – Espansione del centro di San Giovanni Rotondo

Nota: le aree in grigio scuro indicano gli edifici esistenti nel 1957 (anno di edizione della tavoletta omonima del-l’IGM nella serie 25/V); esse si presentano come «isole» all’interno di una più ampia e compatta area in grigiochiaro, corrispondente all’abitato monocentrico di San Giovanni Rotondo come censito nel 2001; gli esercizi ricet-tivi, alberghieri e non, si addensano tra i luoghi B e C

Legenda: A: scarpata di Monte Castellana; B: I Cappuccini; C: Valle Rossa; D: San Giovanni Rotondo; E: principaliassi viari

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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locali e negli alber ghi della città, generandoun «affare» da 30 milioni) o – per guardarealle città piccole – il «Festivaletteratura» diMantova (60.000 presenze). Tutto ciò, senzaperdere di vista i costi elevati di tali manife-stazioni, specie quelle di massa, in termini dicontrollo, sicurezza e ripristino delle aree in-teressate, oggetto di pur momentanei feno-meni di inquinamento e di frequenti – se noningenti – danneggiamenti; e, soprattutto, sen-za sottovalutare la fondamentale distinzionefra turismo ed escursionismo, quest’ultimoidentificabile con un pericoloso «mordi efuggi» e fonte di pressione assai più che diproventi. In ogni caso, l’investimento in cultura può ri-sultare determinante per l’economia e lo svi-luppo locale, con un sostanziale rinnovamentodi immagine e potenziamento di infrastrutturee servizi legati agli eventi culturali: in sintesi,un nuovo modello di produzione/consumo neicontesti urbani. Ma questi stessi cambiamentirischiano di non avviarsi o di essere in granparte vanificati a causa dei persistenti ele-menti di debolezza strutturale che caratteriz-zano l’offerta culturale, ancora parcellizzata escarsamente or ganizzata in rete (il che larende dif ficilmente raggiungibile dalla do-manda «autogestita»), con standard di pro-dotto e di servizio che stentano ad adeguarsi.Le maggiori criticità riguardano: carenze in-frastrutturali e scarsa ef ficienza dei trasporti,in particolare nel Mezzogiorno; politiche diorganizzazione e promozione del territoriopoco o per nulla incisive, con immagine quasisconosciuta, ancora, di molte regioni o areedel Sud; debole spirito imprenditoriale e bassaprofessionalità del lavoro nella gestione delsettore, che si riflettono in ridotta qualità deiservizi, insuf ficiente programmazione e ina-deguata informazione delle iniziative e mani-

festazioni, anche per la scarsa conoscenzadelle lingue; e, non da ultimo, rapporto qua-lità/prezzo dell’of ferta ricettiva disomogeneosul territorio e spesso non ottimale.

2.2. La stasi del turismo balnear e: fattoriendogeni ed esogeni

Dagli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Set-tanta del secolo trascorso, il turismo italiano èstato trainato dal comparto balneare, per l’ef-fetto congiunto della dif fusione del turismo dimassa (orientato soprattutto verso le 4S), delboom economico e della grande popolarità chel’Italia andava conoscendo nel mercato turi-stico e nell’immaginario collettivo internazio-nale. E, in ef fetti, l’Italia fu il primo paese delMediterraneo a presentarsi sul mercato bal-neare con un’of ferta diversificata, in grado disoddisfare le esigenze di un’utenza eterogeneaquanto a reddito, età, abitudini, cultura. Oggi, pur continuando a rappresentare la prin-cipale attrattiva turistica italiana dal punto divista quantitativo, con il 31,6% delle presenzecomplessive al 2005 (37,1% per la compo-nente italiana, 23,9% per quella straniera) euna permanenza media di 5,5 giorni, il com-parto balneare sta vivendo un periodo di dif fi-coltà che sconfina nella crisi: nel quinquennio1999-2004 le località marine hanno manife-stato, in termini di presenze nelle strutture ri-cettive, dinamiche decisamente inferiori allamedia del settore turistico considerato nel suocomplesso (+6,2%, a fronte di un valore me-dio del +12,6% e di un +37,7% per le cittàd’arte, come si è ricordato più su). Tra il 2004e il 2005 si è registrato, poi, addirittura uncalo dello 0,7% (pari a 800.000 unità), da at-tribuire in massima parte alla componente

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Fig. 15 – Presenze turistiche nella stagione estiva per provincia

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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straniera. Nell’agosto 2006, ancora, le cattivecondizioni meteorologiche hanno causato unaflessione degli ingressi negli stabilimenti bal-neari che è oscillata tra il 10 e il 40%, secondostime del Sindacato Italiano Balneari. Vi sono,dunque, elementi sufficienti per ipotizzare – aldi là di situazioni contingenti – che l’anda-mento negativo del comparto vada assumendocarattere strutturale. Prima di entrare nel merito della questione, ètuttavia necessario definire il settore nelle suelinee essenziali. In Italia sono censite 483 lo-calità balneari marine, di cui 81 al Nord, 70 alCentro e 332 al Sud. Lungo i 7.375 km di co-sta (di cui 5.017 balneabili), operano 4.760stabilimenti, che diventano oltre 7.800 consi-derando anche quelli che figurano come perti-nenze di strutture ricettive (dati Isnart-Infoca-mere, 2005): eccetto questi ultimi, 1.850 sonolocalizzati nell’Italia settentrionale (1.098 nel-la sola Emilia-Romagna), 1.560 nell’Italia cen-trale e 1.350 nel Mezzogiorno. Se ne evince come nelle regioni dell’Italiacentro-settentrionale il settore balneare abbiastoricamente assunto una fisionomia più or ga-nizzata, per l’ef fetto congiunto della morfolo-gia costiera, della prossimità ai bacini nazio-nali e internazionali di utenza, nonché di unapiù radicata attitudine alla gestione imprendi-toriale del fenomeno turistico. Non a caso, leprime località di villeggiatura balneare, checominciarono a emer gere nella seconda metàdell’Ottocento, furono soprattutto settentrio-nali (Sanremo, Viareggio, Grado, VeneziaLido, Rimini). La capacità ricettiva nelle località marine èmolto ampia, con 1.482.500 posti letto (parial 35,7% del totale), e si caratterizza per ilforte peso della componente extra-alber ghiera(58%). Le regioni di gran lunga meglio dotatesotto il profilo della ricettività balneare sono

il Veneto (18,6% del totale nazionale), l’Emi-lia-Romagna (17,8%) e la Toscana (15%). Percompletare il quadro, alle strutture alber-ghiere ed extra-alber ghiere andrebbero ag-giunte le seconde case (di cui si tratta più ol-tre), che incidono enormemente, oltre che sulpaesaggio costiero, anche sulla reale capacitàricettiva e, di conseguenza, sui relativi flussi.La stagionalità del settore è, ovviamente,molto forte, con tassi di occupazione dellestrutture ricettive che variano dal 12,5% digennaio all’83,3% di agosto (dati al 2004). Laconcentrazione dei flussi nei mesi estivi è at-tenuata dal periodo pasquale, quando si regi-strano tassi di occupazione generalmente su-periori al 60% (78,2% nel 2004). Tornando alle dif ficoltà degli ultimi anni, nu-merosi sono i fattori da prendere in considera-zione. Innanzitutto, la competitività italiana èerosa anno dopo anno da cause endogene(basso rapporto qualità/prezzo delle strutturericettive; carenza di servizi, soprattutto nelMezzogiorno; trasporti su gomma eccessiva-mente costosi e lunghi, per la congestionedelle arterie stradali e autostradali nei periodidi punta; insuf ficiente integrazione del tra-sporto aereo low cost con le località balneari ela portualità turistica; irreversibile degrado dilarghi tratti del paesaggio costiero per l’ecces-siva edificazione, a sua volta concausa di ero-sione e inquinamento) ed esogene (consolida-mento delle posizioni di vecchi competitorscome Spagna, Grecia, Turchia ed Egitto;emersione di nuovi, come Croazia, Slovenia e,in una prospettiva non lontana, Montenegro epersino Albania). Inoltre, nel comparto bal-neare – diversamente da quanto è avvenuto,sia pure incompiutamente, in quello culturale– si è finora prestata pochissima attenzioneagli aspetti motivazionali e alla caratterizza-zione dell’offerta, forse per un retaggio tradi-

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Industria, turismo e tempo libero: la nautica da diporto

La nautica da diporto si pone all’incrocio fra industria, turismo e tempo libero, abbracciando in pienola cultura del mare e producendo un indotto che ricade, da un lato, sulla cantieristica e sulla variegatagamma di manifatture che producono gli strumenti e i beni necessari all’armamento delle imbarcazionie ai consumi dell’utenza; dall’altro, sulle infrastrutture marittime e sui servizi a terra, da considerarsinon circoscritti al porto o appr odo, ma integrati con il territorio di riferimento, più o meno urbaniz-zato e connesso a circuiti turistici, sia specifici sia plurimi.Entro questa cornice, l’Italia, per la sua marittimità naturale e culturale, nonché per la consolidataspecializzazione industriale, gioca un ruolo di primo piano nel quadr o internazionale. Fonte di riferi-mento è UCINA (Unione nazionale Cantieri e Industrie Nautiche ed Affini), che produce un «Rapportoannuale» sull’andamento del settore: nel 2006 esso è stato redatto per la prima volta in collaborazionecon la Sezione di Geografia Economica ed Economia dei T rasporti del Dipartimento di Economia eMetodi Quantitativi dell’Università di Genova.Si conferma, nel primo scorcio degli anni Duemila, una posizione di rilievo – innanzitutto – per la can-tieristica, che vanta, nel nostr o paese, un terzo delle unità locali attive in Eur opa, lasciando emergereanche in questo comparto la capacità della piccola impr esa (appena 9 addetti, in media, contr o i 65della Francia, 27 dell’Irlanda e, fuori del continente, 42 del Sudafrica e 33 della Nuova Zelanda), tut-tavia con un fatturato per addetto ben più che doppio della media eur opea; il fatturato complessivo(2,5 miliardi di euro nel 2005) si colloca al secondo posto, nel mondo, dopo il colosso statunitense. In-dicativo è l’andamento degli ordini nel segmento di eccellenza rappresentato dai cosiddetti superyacht:da 100 unità nel 2000 a ben 260 nel 2006, toccando così il 38% della produzione mondiale e lasciandoa distanza gli stessi USA, fermi a 85 dopo un picco di 99 nel 2002. L ’occupazione diretta nel compartoha raggiunto i 10.000 addetti nel 2005, con un indotto di 7.000 unità negli accessori e motoristica, al-trettanti nelle lavorazioni a monte e ben 72.000 nel turismo nautico. Dal punto di vista dell’utenza, viceversa, l’Italia – con un par co di 73.000 unità immatricolate, per il20% a vela, oltr e a 320.000 natanti non soggetti a immatricolazione e senza contar e le circa 400.000unità tra canoe, kayak, tavole, piccole derive eccetera – pr esenta una dotazione di 7 imbar cazioni per1.000 abitanti, notevolmente distanziata dai valori dei paesi scandinavi (nel 2005: Norvegia, 154; Fin-landia, 140; Svezia, 84), di Nuova Zelanda (101), USA (55), Australia (39), ma anche di paesi mediter-ranei come la Croazia (24).Quanto all’impatto territoriale, la nautica da diporto incide evidentemente, in primo luogo, sull’inter-faccia marittimo/litoraneo: la domanda cr escente – accompagnata dall’idea che disporr e di un «ma-rina», o dichiarato tale, possa far e la differenza – ha scatenato la rincorsa a questo tipo di infrastrut-tura, anche in condizioni morfologiche, urbanistiche e logistiche poco pr obabili. È questo, certamente,un rischio da non corr ere: la distribuzione dei posti-bar ca per regione e, ancor più, per tipo di infra-struttura, con marcata concentrazione in poche aree di élite e netta prevalenza di approdi e ormeggi inscali non specificamente attr ezzati, spesso inidonei, spiegano, da un lato, discusse iniziative fiscali(eclatante il «caso Sardegna») e, dall’altro, situazioni di insoddisfazione dell’utenza e/o delle colletti-vità locali, specie le marinerie. Una corr etta pianificazione amministrativa e tecnico-economica, in-sieme, può evitare che tutto ciò si verifichi e può consentir e ai porti turistici r ealmente competitivi diaffermarsi sull’affollato mercato mediterraneo.

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Fig. 16 – Tipologia dei posti-barca per regione

Fonte: elaborazione su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

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zionalista e una scarsa propensione all’innova-zione tipica del comparto. Ne è conseguitaun’offerta spesso standardizzata e banale, si-curamente ripetitiva oltre che scarsamentecompetitiva.Nella prima metà degli anni Sessanta il turi-smo balneare italiano, che all’epoca detenevauna posizione di leadership mondiale, sitrovò ad affrontare una contrazione dei flussitedeschi, svizzeri e austriaci (che già costitui-vano la principale clientela straniera) in se-guito all’ingresso nel mercato di paesi comeSpagna, Grecia, Iugoslavia e Turchia. Inoltre,l’evoluzione generale del settore, che richie-deva allora soluzioni fortemente standardiz-

zate per ridurre i costi e soddisfare una do-manda sempre più connotata dai caratteri delturismo di massa, trovò il comparto balneareitaliano parzialmente impreparato. La riquali-ficazione dell’offerta ricettiva, con l’aumentodelle dimensioni medie delle strutture e l’am-pliamento della gamma dei servizi of ferti aituristi, consentì in quella occasione di supe-rare la crisi. Ma oggi, di fronte a una «rivolu-zione culturale» nel modo di fare turismo,che produce nuovi paradigmi e crea sempremaggiori esigenze, si impongono soluzionirealmente innovative, anche in un segmentotendenzialmente «inerziale» come quello bal-neare marino.

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Fig. 17 – Evoluzione del numero di posti-barca

Fonte: elaborazione su dati Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

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Di certo la posizione geografica, la morfolo-gia costiera, le attrattive paesaggistiche, lecaratteristiche climatiche e il retaggio sto-rico-culturale fanno dell’Italia una destina-zione eccezionale nella geografia del turismobalneare. È tuttavia evidente che l’epoca dei«monopoli naturali» è tramontata e le risorse– ancorché eccezionali – vanno rese manife-ste e fruibili. Non si può più ignorare il fattoche l’of ferta balneare indif ferenziata sia unprodotto turistico obsoleto e che, in questosegmento di mercato, gli elementi che con-tano non sono semplicemente il clima, il li-vello dei prezzi e l’accessibilità. In assenzadi un drastico rinnovo del ciclo di vita delprodotto, un numero crescente di turisti tede-schi, austriaci e svizzeri sceglieranno di tra-scorrere altrove le proprie vacanze estive, adesempio nella più economica e ugualmentesoleggiata e accessibile Croazia, come in ef-fetti sta già avvenendo.Non ha più senso, in definitiva, considerareil turismo balneare come un monolite costi-tuito da pochi e basilari elementi (le 4S, perintendersi) e caratterizzato da un’unica lineadi tendenza, laddove la realtà si presentaframmentata e complessa, con segmenti incrisi (il balneare tradizionale), altri in fase disviluppo (il charter nautico, il surfing, il di-ving) e nuove forme di leisure «da spiaggia»suscettibili di valorizzazione (il beach volleye il beach golf, ad esempio). Ma soprattuttoè necessario integrare, attraverso opportunestrategie di destination management , il bendiversificato patrimonio di risorse presentinei territori costieri italiani (arte, archeolo-gia, cultura, eventi, paesaggio, termalismo,enogastronomia) e comunicarle sotto formadi prodotti turistici fortemente specifici, purnella comune appartenenza al più generaleambito del già più volte citato stile di vita

italiano. Solo in questo modo sarà possibileproporre al turista una «esperienza vissuta»più che una semplice vacanza, nell’ambito diun’offerta caratterizzata da varietà di obiet-tivi, creatività di impegni e, al tempo stesso,da forte identità.

2.3. Un «mar chio Italia» per il turismomontano

Il turismo della neve ha avuto lar ga diffusionesull’intero arco alpino fin dai primordi del fe-nomeno turistico, e ancora oggi rappresenta lafonte di sussistenza principale, se non l’unica,di intere comunità montane dell’Italia setten-trionale. Successivamente si è dif fuso in di-verse località appenniniche, dove però, per lafrequente esiguità o mancanza di inneva-mento, non è mai riuscito a raggiungere i li-velli delle stazioni alpine.Eppure, il turismo della neve sof fre, negli ul-timi anni, di significativi limiti endogeni,acuiti da fattori esogeni che discendono nonsolo da problematiche peculiari delle diverselocalità, ma coinvolgono questioni ambientalidi livello globale.Innanzitutto, dal punto di vista dei fattori en-dogeni, vi è la necessità di avere a disposi-zione ampi bacini per i fruitori-sciatori. Le sta-zioni sciistiche sor gono sempre più comecomplessi isolati dai centri abitati, proprioper cercare di sfruttare spazi più ampi; inol-tre, l’espansione delle località della nevecomporta una progressiva saturazione di talispazi e una sempre più frequente osmosi (so-prattutto nelle stazioni alpine) dei bacini,tanto che, in alcuni casi virtuosi, si è pensatodi integrare i servizi offerti da un unico vastocomprensorio: tra i più rilevanti, «Dolomiti

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Fig. 18 – Presenze turistiche nella stagione invernale per provincia

Nota: il valore percentuale complessivo è dato dalla sommatoria dei valori mensili calcolati nei rispettivi anni di riferimento

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Superski», che raccoglie 12 località o ambitidel Trentino e Alto Adige (Cortina d’Am-pezzo, Plan de Corones, Alta Badia, Val Gar-dena-Alpe di Siusi, Val di Fassa-Carezza,Arabba-Marmolada, Alta Pusteria, Val diFiemme-Obereggen, San Martino di Ca-strozza-Passo Rolle, Valle dell’Isarco, Tre-valli, Civetta) e «V ialattea», comprensoriosciistico internazionale formato da 5 localitàpiemontesi (Sestriere, Sauze d’Oulx, Sansi-cario, Cesana e Claviere) e dalla franceseMontgenèvre.La seconda considerazione, a livello di fat-tori esogeni, attiene all’attuale fase climaticacalda, fenomeno da non sottovalutare soprat-tutto in Italia, dove l’innevamento ha semprecostituito un problema per la posizione geo-grafica assoluta, soprattutto degli Appennini:a partire dagli anni Novanta, la riduzione deigiorni con precipitazioni nevose è divenutaun problema grave, che ha comportato addi-rittura la chiusura di piccole stazioni, lemeno attrezzate, e un sempre più massiccioricorso all’innevamento artificiale, con i re-lativi elevati costi di investimento e di im-patto ambientale.In molti paesi sono stati recentemente pro-dotti studi meteorologici approfonditi pervalutare l’impatto del clima sulle attività tu-ristiche, ma in Italia tale pratica è ancorapoco dif fusa (per alcune valutazioni sulleanomalie termiche degli ultimi anni, si rin-via al sito www.meteoam.it dell’AeronauticaMilitare Italiana). In verità, secondo il rap-porto della UNWT O presentato alla Confe-renza internazionale su Cambiamento clima-tico e turismo tenutasi a Djerba (T unisia)nel 2003, si stima che sulle Alpi possa au-mentare la quantità di precipitazioni nevose,in controtendenza rispetto ad altri studicome quello del WWF (2006, viceversa ba-

sato su osservazioni dirette); anche in talecaso, però, i rischi ambientali sono rilevanti,poiché si ipotizza un contemporaneo incre-mento delle temperature e un aumento delrischio di valanghe e slavine, oltre alla ridu-zione della stagione sciistica.L’impatto sull’ambiente della pratica dell’in-nevamento artificiale è altra questione rile-vante: la necessità di utilizzare notevoli ri-sorse idriche per poter aprire le stazioni scii-stiche certamente va a intaccare il fabbiso-gno di acqua per altri usi (potabile, agricolo,industriale eccetera); costituisce, poi, un ul-teriore sovraccarico infrastrutturale, dovuto aimpianti specifici (sistemi di captazione edistribuzione, pompe, «cannoni») e generali(nuovi serbatoi e collettori per raccogliere leacque e aumentarne la disponibilità); inoltre,la neve artificiale è più pesante e resistenteal suolo, generando o accelerando fenomenierosivi sul terreno, che diviene più fragile edesposto al rischio di frane e smottamenti.Tra le questioni peculiari del turismo inver-nale sono, poi, la rapida evoluzione del mer-cato, che comporta una maturazione accele-rata del prodotto, e il target di clientela prin-cipale a cui rivolgersi, visti i rapidi cambia-menti di abitudini dei visitatori. Connessa aentrambi questi aspetti è la necessità di unmiglioramento tecnologico dell’of ferta, neldifficile trade-off con la sostenibilità am-bientale; in ef fetti, mentre il prodotto mon-tano di villeggiatura, la fruizione «verde» e iprodotti legati alla natura hanno trovato unapositiva eco da parte del turista estivo, sem-pre più consapevole del possibile impattosulla comunità ospitante, altrettanto non sipuò af fermare per il turista montano inver-nale, spesso ancora legato a logiche di sfrut-tamento intensivo della vacanza, e del terri-torio, a scopo eminentemente ludico.

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Il turismo della neve è stato storicamente de-stinato a una clientela elitaria e facoltosa, perpoi trasformarsi rapidamente in meta delleclassi giovani, con minore capacità di spesa.Negli ultimi anni, però, la propensione a in-traprendere la pratica degli sport invernali –proprio da parte dei giovani – si è molto ri-dotta, anche a causa dei costi elevati; così, laclientela tende a divenire in media più an-ziana e a fidelizzarsi sempre più, laddovel’ingresso di nuovi potenziali fruitori sulmercato molto spesso è legato a tradizionifamiliari. Si osserva infatti come, attual-mente, i giovani che fruiscono degli sport in-vernali abbiano «ereditato» tali pratiche dalnucleo familiare, tendendo però a privile-giare nuove tecniche, come lo snowboard-ing, e altri sport «estremi». Inoltre, la permanenza media nelle localitàinvernali tende notevolmente ad accorciarsi,configurandosi spesso come turismo del fine-settimana o addirittura semplice escursioni-smo, specie per i turisti nazionali; si sonopertanto accentuate ulteriori problematichelegate alla sostenibilità, prima fra tutte l’au-mento del traf fico automobilistico, cui le lo-calità sciistiche sono generalmente poco at-trezzate a far fronte.Dal punto di vista territoriale, il maggiore ca-rico turistico è sicuramente da ascrivere al-l’Alto Adige e alla Valle d’Aosta. Preoccupasicuramente la pressione sulla popolazione re-sidente, perché le iniziative imprenditoriali dimaggiore peso – e, per conseguenza, impatto– non sono gestite dalle comunità locali, chemostrano spesso i noti problemi della monta-gna italiana, ovvero l’assottigliamento e l’in-vecchiamento della base demografica, con lamancanza di classi giovani in grado di potersfruttare il turismo a fini di sviluppo endo-geno. Occorre riflettere come la forte presenza

di imprenditoria esogena non aiuti certamentela tutela dell’ambiente, spesso attuando com-portamenti votati esclusivamente al profitto dibreve periodo.Le stazioni turistiche invernali, inoltre, sof-frono della creazione di nuovi prodotti, du-rante la stagione, da parte sia delle città d’arte,per ridurre gli ef fetti della stagionalità, siadelle nuove mete balneari extra-europee, chepropongono vacanze «esotiche», comode, alsole, con prezzi decisamente più contenuti.Allo scopo di rilanciare il prodotto turisticoinvernale andranno fissati alcuni punti car-dine: investimenti diretti da parte degli entipubblici territoriali, soprattutto per l’innova-zione infrastrutturale, assolutamente preli-minare a quella dell’offerta; instaurazione diuna politica di marchio integrato tra le di-verse località, in modo da connotare suimercati il prodotto come un unicum; accet-tazione della gerarchizzazione ormai conso-lidata tra le località o, in altre parole, rinun-cia ai tentativi di duplicazione dei ruoli al-l’interno di un sistema territoriale com-plesso; attuazione di studi specifici che col-gano le tendenze dei mercati, i cambiamentidei gusti della clientela, le potenzialità an-cora inespresse dalle località, al di là dellasola pratica sciistica.In sostanza, il turismo montano invernale, inItalia, gioca ancora un ruolo rilevante, ma ne-gli ultimi anni ha mostrato segni di logora-mento, finora visibili non tanto nella numero-sità degli afflussi quanto nella scadente qualitàdegli stessi. Occorre perciò ripensare profon-damente l’intero settore, proponendo – anchein questo caso – un «marchio nazionale» cheriunisca, integri e coordini l’of ferta, pur nellediverse specificità regionali, singolarmente su-scettibili di una vasta gamma di integrazioni eturismi plurimi.

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2.4. Il termalismo: terapia o wellness?

In Italia, come nel resto d’Europa e sull’e-sempio della stazione inglese di Bath (diprobabili origini preromane), la prima formadi turismo or ganizzato – anteriore all’af fer-mazione dei turismi balneare e montano – fuquella termale. Le terme hanno quindi svoltoun ruolo importante nella storia del turismoitaliano, sostenendone lo sviluppo fino atutto il XIX secolo. Al giorno d’oggi, le località termali non hannopiù l’importanza che avevano agli albori delfenomeno turistico, ma arrivano comunque atotalizzare il 4% delle presenze complessive,rappresentando in questo modo la quinta at-trattiva turistica italiana. D’altro canto, la rile-vante presenza di fenomeni di vulcanesimo se-condario fa dell’Italia uno dei paesi più vocatialla pratica del termalismo: nel territorio na-zionale si contano 185 località termali, con ol-tre 2.000 stabilimenti registrati presso le Ca-mere di Commercio (dati Isnart-Infocamere,2005); di questi, oltre 390 sono associati a Fe-derterme. Le regioni con il maggior numero distabilimenti sono Lombardia (542), Piemonte(291), Veneto (171), Campania (151), Emilia-Romagna (147) e Toscana (113).Volendo ripercorrere le tappe evolutive deltermalismo nel nostro paese, bisogna risalireai tempi dell’antica Roma, quando venne svi-luppata compiutamente questa forma, di curae relax insieme. Alle monumentali thermaepubbliche, frequentate quotidianamente dapersone di tutti i ceti sociali, erano annesse bi-blioteche, palestre, stadi: esse si avvicinavanomolto, quindi, a un «luogo di benessere» in-teso in senso moderno. La caduta dell’ImperoRomano e il decadimento delle strutture portòal declino delle terme come fenomeno cultu-rale e sociale. Nel corso del medioevo, mentre

l’uso del bagno come pratica igienica andavascomparendo e il suo antico valore sociale ededonistico veniva addirittura messo al bando,si assistette alla nascita dell’idrologia comepratica terapeutica. Si ampliò, inoltre, ilcampo delle metodiche: accanto al bagnocomparvero le terapie inalatorie e sudatorie ingrotte naturali e l’applicazione di fanghi. Nelcorso del Rinascimento si ebbe un ulterioresviluppo delle cure idrologiche, ma è dal Set-tecento, con l’avvento della chimica moderna,che si resero possibili le prime indagini sullacomposizione delle acque minerali e, di con-seguenza, la svolta scientifica dell’idrologia.Nell’Ottocento, un’intensa attività di ricercagarantì un supporto scientifico alle terapie ene ampliò i campi di intervento; i reparti dicura degli stabilimenti termali vennero poten-ziati, ma al tempo stesso la stazione termale sitrasformò in qualcosa di molto simile all’an-tico luogo romano di arricchimento culturale esociale. Da centri di cura le località termali siandarono così trasformando anche in centri divilleggiatura e di vita mondana, con impor-tanti ricadute dal punto di vista urbanistico, ol-tre che economico: le località termali à lapage si dotarono infatti di ville, alber ghi, par-chi e giardini per richiamare e accogliere unaclientela internazionale e facoltosa. Il massimo sviluppo del turismo termale ita-liano si ebbe tra la fine del XIX secolo e laprima guerra mondiale: Montecatini, Salso-maggiore, San Pellegrino e Abano ne rappre-sentavano in quel periodo le mete principali.I due conflitti mondiali ridussero considere-volmente l’afflusso verso le stazioni termali,che ripresero la loro attività nel secondo do-poguerra, in quelle che sono state definite lestagioni del termalismo «sociale» e «assi-stito». La riconosciuta ef ficacia terapeuticadelle acque termali ha, infatti, comportato il

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loro inserimento nel Sistema Sanitario Na-zionale. Se questo ha implicato certamenteuno sviluppo del termalismo come forma dicura, al tempo stesso ne ha deformato l’im-magine, confinandolo in una dimensione te-rapeutica rivolta a una clientela anziana o af-fetta da patologie specifiche; per non diredelle ferie straordinarie accordate dalla pub-blica amministrazione ai propri dipendentiper cure termali, rese spesso surrettizie dal-l’assenza di patologie realmente meritevoli diattenzione (e di spesa). Dall’inizio degli anni Novanta, all’ottica tradi-zionale e meramente curativa, sempre menoassistita dallo Stato, si è andata aggiungendo esovrapponendo un’ottica imprenditoriale orien-tata al wellness e alla remise en forme, alimen-tata da un’evoluzione generale della domandadi benessere e di relax psico-fisico. Si è per-tanto compiuta un’ulteriore transizione versola fase del «benessere termale» – inteso, se-condo una definizione di Federterme, come«prodotto che trae forte valore aggiunto dallautilizzazione di risorse, di strumenti ed espe-rienze termali» – con il superamento della tra-dizionale dicotomia fra terapia e relax. Il termalismo contemporaneo va così inte-grando, al proprio interno, accanto agli aspettipuramente terapeutici, una dimensione ludico-ricreativa e naturalistica, of frendo trattamentifitness specifici delle beauty farm e praticheintegrate tipiche dei centri cosiddetti new age(medicina ayurvedica, alimentazione macro-biotica, aromaterapia, cristalloterapia, cromo-terapia eccetera). Si tratta di segmenti di mer-cato in grande espansione e suscettibili di re-gistrare, per i prossimi anni, una crescita note-vole. È significativo il fatto che mentre i trat-tamenti curativi tradizionali risultano in de-clino (–10,4% nel quinquennio 1999-2004), itrattamenti riconducibili al più generale con-

cetto di wellness, pur rappresentando poco piùdel 10% del fatturato complessivo, vadano re-gistrando un incremento costante e notevole(+136,4% nello stesso periodo). Ed è proba-bile che la dinamica apparentemente contrad-dittoria fatta registrare dalle località termalinel loro complesso (arrivi +4,6%; presenze–6,8%, ancora nel periodo 1999-2004) vadaascritta alle divergenti performances delle duecomponenti: quella curativa, comportandopermanenze medie più lunghe ed essendo incalo, ha inciso negativamente sul dato dellepresenze; mentre quella di benessere, con per-manenze medie inferiori ma in trend forte-mente espansivo, ha influito positivamente suldato degli arrivi. Si tratta, inoltre, di un seg-mento molto più redditizio di quello tradizio-nale: è stato infatti stimato da Federterme(2004) che la spesa media per trattamenti dibenessere equivalga ad almeno 2,2 voltequella per trattamenti tradizionali. Dal punto di vista territoriale, si assiste a unadiffusione generalizzata dei centri benessere,anche in contesti urbani. Gli alber ghi di buonlivello considerano ormai la presenza di una«zona benessere» un complemento essenzialedella propria of ferta di servizi alla clientelache, nelle strutture ricettive ubicate in loca-lità balneari, si va estendendo anche alla ta-lassoterapia. Risulta quindi evidente che il termalismo,nella sua nuova concezione rivolta a classi dietà più giovani, portatrici di modelli di con-sumo ben più sofisticati, presenta un interes-sante potenziale di sviluppo. In più, quello ter-male è un settore in grado di generare impor-tanti ef fetti moltiplicativi: è stato stimato, in-fatti, che la spesa per cure termali e praticheassimilabili produce un indotto più che decu-plicato in termini di spesa per pernottamenti,ristorazione, acquisti di beni e servizi.

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È stato persino coniato il neologismo «curi-sta» (curando + turista) per enfatizzare le pa-lesi complementarità e potenzialità di integra-zione con altre tipologie di turismo (balneare,montano, culturale) e forme alternative di lei-sure. Ne è consapevole la Regione Toscana

che, tramite il recente progetto Terme di T o-scana, si propone di sviluppare l’integrazionedel turismo termale con quello congressuale,culturale «minore», scolastico eccetera, alloscopo di raf forzare il proprio brand turisticocomplessivo.

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3.1. Nuove forme di leisure

Il turismo contemporaneo si va caratteriz-zando per una sempre maggiore segmenta-zione della domanda, in termini di reddito, età,consumi, abitudini, luoghi di residenza, livellidi istruzione. Gli analisti concordano, inoltre,sul fatto che la domanda mondiale di turismosia destinata a diversificarsi ulteriormente nelmedio e nel lungo periodo. L’offerta, di conse-guenza, va evolvendo verso formule semprepiù specifiche e soluzioni sempre più persona-lizzate: da un lato nascono e si sviluppanonuove forme di turismo, dall’altro si af fer-mano nuovi modi di interpretare e vivere leforme tradizionali. Le ragioni alla base di questo sviluppo sonodi ordine sia socioeconomico (maggiore dis-ponibilità di reddito e tempo libero; miglioreaccessibilità di un numero crescente di loca-lità grazie allo sviluppo dei trasporti, soprat-tutto di quelli aerei low cost ; informazionepiù ampia, puntuale e disponibile grazie aInternet), sia motivazionale (ricerca di desti-nazioni alternative; desiderio di incontro conculture, identità e atmosfere «altre», purchépercepite come autentiche; aspirazione ad al-largare la propria sfera di azione a espe-rienze nuove, inconsuete o semplicementetrendy). Accanto al turismo delle 4S, si registrano sem-pre più, anche in Italia, dinamiche turistiche ditipo post-moderno, definite «delle 4E» (questavolta, da termini francesi: équipement, enca-drement, événement, environnement) e varia-mente etichettate ( soft tourism , slow tourism ,special interest tourism), tutte accomunate dal

fatto di rappresentare un’alternativa al turismodi massa. In sintesi, si guarda sempre di più allo svago,alla vacanza, al fare turismo come a una frui-zione unitaria del territorio, a una total leisureexperience: occasione per trasformare l’espe-rienza turistica in una forma di appagamentopersonale profondo e completo. Di qui, ancheuna certa ambivalenza concettuale del termineanglosassone leisure, che letteralmente signi-fica «tempo libero», ossia quella quota ditempo che l’individuo destina ad attività disvago, intese in senso lato. La parola leisure, oggi, appare strettamentecollegata alla parola turismo, e questo non sol-tanto per imprecisione terminologica: se èvero che il turismo è una delle possibili formedi leisure (ossia di impiego del tempo libero),è anche vero che le attività di leisure compor-tano sempre di più dinamiche di tipo turistico(ossia spostamenti dal luogo di abituale resi-denza, che danno origine a uno o più pernotta-menti in strutture ricettive). Non ci si spostapiù soltanto episodicamente e per la classicavacanza balneare, per la settimana bianca oper la visita a una città d’arte: ci si sposta –impiegando, quindi, il proprio tempo libero –sempre più spesso, con le più svariate motiva-zioni e per svolgere le più svariate attività: sipensi ai flussi turistici attivati dal desiderio(inteso come motivazione principale dellospostamento) di praticare uno sport o l’escur-sionismo montano, di assistere a eventi cultu-rali di ogni sorta, di ef fettuare shopping in sitiprestigiosi. Si moltiplicano quindi, anche in Italia, lenuove forme di leisure associate al turismo,

3. Le tendenze emergenti nell’offerta

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interno e internazionale. Senza la pretesa dianalizzare nel dettaglio un fenomeno che or-mai si configura come una galassia com-plessa e in costante evoluzione, è dunque op-portuno richiamare l’attenzione su alcunenuove forme di turismo/ leisure – nel sensosia di nuove tipologie, sia di nuove modalitàper tipologie tradizionali, come precisato so-pra – che appaiono particolarmente adattealle specificità territoriali dell’Italia, e per-tanto suscettibili di produrre sviluppi interes-santi, ancorché di nicchia. Aspetti specificivengono approfonditi in varie parti di questostesso Rapporto.Nell’ambito del turismo culturale, sempremaggiore interesse viene tributato alle località«minori», ignorate dal turismo di massa e pe-riferiche rispetto ai circuiti classici (ad esem-pio, rispetto al cosiddetto «turisdotto» Vene-zia-Milano-Firenze-Roma-Napoli), prive diemergenze monumentali e artistiche di granderichiamo, ma caratterizzate da un mix di attrat-tive (natura, paesaggio, architettura, enoga-stronomia, tradizioni, artigianato) tale dacrearvi un’atmosfera e un’ambientazione pe-culiari, quasi scenografiche. All’interno di si-mili contesti, il turista che potremmo definirepost-moderno e tendenzialmente «allocen-trico» – ma non necessariamente no frills :spesso, anzi, questo tipo di turista è alla ri-cerca del fasto, pur se in versione country –può calarsi per vivere un’esperienza di condi-visione delle espressioni culturali di una co-munità e di un territorio non contingente néartefatta (come accade invece, tuttora, nel turi-smo di massa). Da qui il grande successo che, in tutta Italia,vanno riscuotendo nuove forme di ospitalitàcome l’albergo diffuso o il bor go-albergo, cherispondono perfettamente a questo desideriodi «autenticità»: un esempio particolarmente

riuscito è quello – ormai celebre – del piccoloborgo montano abruzzese di Santo Stefano diSessanio (in provincia dell’Aquila) che, dallasituazione di abbandono in cui versava fino aiprimi anni Novanta, è arrivato oggi a costi-tuire un modello di recupero e a richiamareflussi turistici, anche stranieri, di una certaconsistenza. Una forma innovativa di turismo culturale èconnessa ai «parchi letterari», ambiti territo-riali legati alla memoria di uno scrittore o diun’opera. Nati per iniziativa della Fonda-zione Ippolito Nievo, che ne ha dettato lemodalità di costituzione e gestione, i parchiletterari si propongono di salvaguardare leesperienze visive ed emozionali dell’autorecui il singolo parco è dedicato, ef fettuandointerventi atti a mantenerne vivo il ricordo ea esplicitare il nesso fra territorio e ispira-zione letteraria. Tutto ciò, tenendo conto del-l’ambiente, della storia e delle tradizioni delterritorio stesso, allo scopo di conservarnel’identità e di valorizzarne il patrimonio sto-rico-artistico. Sono evidenti i rapporti e le si-nergie con forme di turismo culturale «mi-nore», perché spesso i parchi letterari insi-stono in realtà territoriali periferiche rispettoai circuiti turistici uf ficiali, ma, al tempostesso, attrattive sotto il profilo paesaggi-stico, architettonico, enogastronomico: valel’esempio del Val di Noto, in Sicilia, dovegli itinerari letterari legati ai tre parchi dedi-cati a Giovanni Verga, Elio Vittorini e Salva-tore Quasimodo ben si intrecciano con quellidell’arte barocca. Altro nuovo e promettente segmento di mer-cato, che trova fondamento nella notorietà in-ternazionale – anche cinematografica – di tantiquadri paesistici italiani, è il cosiddetto movietourism o «cineturismo». Se da sempre il ci-nema veicola immagini territoriali, positive e

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negative, solo di recente si è acquisita pienaconsapevolezza delle ricadute turistiche delbinomio cinema-territorio. Il successo di unapellicola può infatti incrementare l’attrattivitàturistica delle aree in cui è stata girata: casoesemplare la Nuova Zelanda, che ha registratoun aumento dei flussi incoming grazie alla no-

torietà internazionale della trilogia de Il Si-gnore degli Anelli. Tornando in Italia, e ancoraa proposito della Sicilia, è noto come la serietelevisiva tratta dai romanzi di Andrea Camil-leri e incentrata sulle inchieste del commissa-rio Montalbano abbia stimolato un flusso no-tevole verso il Ragusano, tanto da spingere la

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Turismo, sport e territorio: il golf

Secondo le stime della IAGT O, l’associazione dei tour operators legati a questo sport, il binomio turi-smo-golf genera un mer cato globale che vale complessivamente 40 miliar di di dollari, animato da unflusso annuo di circa 25 milioni di turisti che si spostano nel mondo per raggiungere paesi con caratte-ristiche climatiche favorevoli e strutture adeguate. Si tratta inoltre di un mercato che cresce ininterrot-tamente a livello internazionale, a un tasso annuo dell’8%. Diretti concorrenti dell’Italia, come Spagna, Portogallo e paesi dell’Africa settentrionale, sono riuscitia inserirsi in questo business investendo nella realizzazione di campi da golf e nell’attivazione di siner-gie con i poli turistici. L’Italia, invece, ne è rimasta ai margini, per lo scarso rilievo che il golf ha nellacultura italiana del tempo liber o, ma anche per la limitata conoscenza della dimensione economica edelle potenzialità di sviluppo del settor e. Se è ver o che negli ultimi anni il numer o di campi associatialla Federazione Italiana Golf è aumentato rapidamente, passando dai 109 del 1990 agli oltr e 300 del2006, è anche ver o che le forme di integrazione con il cir cuito turistico internazionale sono estr ema-mente deboli, se non inesistenti. I campi italiani sono in genere piccoli, e solo un centinaio di essi è di-rettamente collegato a struttur e turistiche; queste, per di più, non sempr e risultano all’altezza dei r e-quisiti richiesti dall’esigente clientela dei golfisti, che si colloca in una fascia di reddito alta, a «cinquestelle», per così dire. Inoltre – paradossalmente – la stragrande maggioranza delle struttur e è localiz-zata nelle r egioni settentrionali: basti pensar e che quasi 200 campi si tr ovano tra Lombar dia, Pie-monte, Veneto ed Emilia-Romagna, mentre le regioni meridionali e insulari, potenzialmente più adattesotto il profilo climatico, ne posseggono appena una trentina in totale. Come è evidente, nel caso italiano il livello r eddituale prevale sui fattori ambientali nelle scelte dilocalizzazione delle strutture golfistiche. È probabile che il golf continuerà a rappresentare, per l’I-talia, un’attività sportiva di nicchia (81.000 tesserati sono una cifra irrisoria rispetto, ad esempio,al milione circa della Gran Bretagna) e a forte prevalenza settentrionale; viceversa, una sua decli-nazione in chiave turistica potr ebbe generare ricadute molto importanti per le r egioni meridionali.Al di là dell’ovvio fattor e climatico e ambientale, altri elementi giocher ebbero a favore di uno svi-luppo del turismo golfistico nel Mezzogiorno: ampia disponibilità di ar ee verdi inutilizzate; rile-vante presenza di risorse turistiche complementari (balneari, culturali, enogastronomiche, termali);possibilità di accedere a finanziamenti europei. E in effetti qualcosa comincia a muoversi in questadirezione: gruppi impr enditoriali italiani e stranieri pr ogettano di investir e, complessivamente,circa 400 milioni di eur o nella realizzazione di nuovi campi e struttur e alberghiere collegate in lo-calità o regioni di élite, come Capri e Sardegna, ma anche tra Sicilia e Calabria, dove è pr evista lacreazione di quattro poli golfistici.

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Regione Siciliana a investire fondi dell’A-genda 2000 nella promozione di tale fiction al-l’estero, soprattutto nell’area scandinava. Iniziative di grande interesse cominciano amuoversi in questo ambito innovativo: nel2005 si è svolta in Italia la prima Borsa Inter-nazionale del Cine-T urismo (BICT), luogo diincontro tra operatori turistici e cinematogra-fici per l’elaborazione di progetti e strategiecomuni, in seguito alla quale sono stati proget-tati i primi circuiti turistici incentrati sulle lo-cations cinematografiche. Al riguardo, citiamola Movie Cruise , idea nata dalla collabora-zione tra l’Ischia Film Festival e la MSC Cro-ciere, che dovrebbe condurre i turisti in unacrociera «tematica» nei luoghi del cinema.Specifico del territorio italiano, e perciò digrande interesse, è poi l’enoturismo, che sicolloca all’interno della più generale catego-ria del turismo enogastronomico e, a suavolta, di quello del gusto, che da alcuni anniva richiamando un numero crescente di visita-tori attraverso itinerari stabiliti come le«strade del vino» o appuntamenti fissi come«cantine aperte» e «calici di stelle». Secondole analisi del CENSIS, gli enoturisti sono an-nualmente 4,5 milioni per 2 miliardi di eurodi consumi turistici complessivi: fra gli stra-nieri, dominante – ma in calo – è la presenzadei tedeschi (33%), seguiti da austriaci (12%),statunitensi (1 1%) e svizzeri (10%). Questinumeri, già importanti, riflettono solo parzial-mente il rendimento potenziale dell’enoturi-smo italiano (ancora le stime parlano di unpossibile raddoppio del fatturato nel prossimoquinquennio), che può contare su una dota-zione di base forse unica al mondo, con unconsistente patrimonio di of ferta di prodotti,territori e, soprattutto, un’altissima comple-mentarità con altre tipologie turistiche, siatradizionali sia innovative.

3.2. Il turismo nelle aree protette

Il turismo nelle aree protette può considerarsicome un sottoinsieme del turismo naturali-stico, spesso declinato anche come «turismoverde» o «ecoturismo». In realtà, nella lettera-tura specialistica e secondo le definizioni dellaUNWTO, l’ecoturismo tenderebbe a identifi-care forme di turismo particolarmente inte-grate con i sistemi naturali e con le comunitàlocali, privilegiando gli aspetti motivazionali ecomportamentali del viaggio, e dunque, unapartecipazione attiva del turista alla protezionee al mantenimento delle aree naturali stesse;laddove il turismo naturalistico si caratterizze-rebbe per il tipo di risorsa che costituisce l’og-getto del viaggio, motivato dalla pura osserva-zione e fruizione delle risorse naturali e cultu-rali, non necessariamente accompagnate da at-teggiamenti di corresponsabilizzazione nelladifesa del territorio.Tuttavia, al di là della evidente difficoltà di di-stinguere tra motivazione ecoturistica e natu-ralistica, rilevabile solo attraverso opportuneindagini specifiche, appare indubbia la sovrap-posizione delle due figure, che porta operati-vamente, ai fini di una reale indicazione sul-l’andamento del fenomeno, a considerare il tu-rismo nelle aree protette come uno dei seg-menti più rappresentativi del turismo naturali-stico e, sempre più, dell’ecoturismo. A livello mondiale, secondo il World ResourceInstitute, il turismo naturalistico cresce a untasso medio annuo del 20%, laddove i flussituristici totali si attestano intorno al 4-5%.L’espansione della domanda turistica verso leattrattive ambientali e la sua evoluzione versouna dimensione qualitativa – pur evocando ra-dici settecentesche riconducibili al pensiero il-luminato di Jean-Jacques Rousseau, con il suo«ritorno alla natura» – tende a coincidere con

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Fig. 19 – Comuni con aree protette nei loro territori

Nota: si sono considerate tutte le tipologie di protezione. Il colore campisce l’intera superficie comunale

Fonte: elaborazione su database del sito Internet www.parks.it

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lo sviluppo inarrestabile della società urbano-industriale, le cui «diseconomie» in termini diqualità della vita portano l’individuo a coniu-gare l’attrazione per la natura con le più strin-genti necessità di carattere psicologico. Di fronte alla crescente domanda di natura, gliStati hanno attuato, a partire dal Novecento,una politica istitutiva di parchi e aree protette;nel corso degli anni, poi, con dif ferenti moda-lità territoriali ma soprattutto nei contesti den-samente antropizzati, hanno avviato una revi-sione concettuale della protezione ambientale– che, dalla funzione meramente ecologista econservativa, si aprisse a una più ampia fun-zione socioeconomica. Come emerso dal IVCongresso Mondiale sui Parchi Naturali e leAree Protette, svoltosi a Caracas nel 1992, sitratta del passaggio dal modello di «parco san-tuario» a quello di «parco laboratorio».L’Italia, con la legge quadro 394/1991, si è do-tata di un sistema di aree protette che, a oggi,coinvolge oltre il 10% del territorio, con 23parchi nazionali e circa 500 fra parchi regio-nali, riserve e oasi naturali. Soprattutto, ha ab-bracciato quella nuova filosofia di protezioneche, in termini compensativi (af fermati a li-vello comunitario, fin dai primi anni Ottanta,come condizione indispensabile per ottenerel’interesse e il coinvolgimento della popola-zione locale e, dunque, il successo delle fina-lità connesse alla realizzazione di un parco), sipone l’obiettivo dello sviluppo economico esociale, considerando la mar ginalità dei terri-tori coinvolti – caratterizzati da un’economiadebole, quasi autarchica, e da un assetto de-mografico pesantemente invecchiato.In simili contesti, è innegabile il ruolo del turi-smo come fattore di sviluppo locale in gradodi ribaltare situazioni di declino. Tuttavia, ilrapporto tra sviluppo turistico e aree protettenon è così immediato, e suscita non pocheperplessità circa la possibilità di conciliare la

conservazione della natura con i principi eco-nomici propri dell’attività produttiva. Da un lato, si deve considerare che la trasfor-mazione della risorsa naturale in prodotto turi-stico non può non avvenire attraverso la predi-sposizione di infrastrutture – a partire daquelle ricettive, del tutto insuf ficienti specienei parchi del Mezzogiorno – e di più ampiestrategie capaci di implementare e di ricon-durre a sistema tutte le componenti dell’of-ferta (da quella strettamente naturalistica finoa quella più genericamente ricreativa), attri-buendo una forte caratterizzazione all’area intermini di riconoscibilità, e quindi di attratti-vità, nell’ambito di un panorama fortementeconcorrenziale, ma debolmente diversificato. Dall’altro lato, si tratta di perseguire forme diturismo capaci di conciliare un incrementodell’attività economica con la salvaguardia, senon addirittura con il miglioramento, dellaqualità ambientale, giacché è proprio su que-sta che si alimenta la domanda turistica; semal gestita, tuttavia, la domanda turistica ri-schia di generare pesanti impatti sul territorio,fino a costituire addirittura una minaccia perla conservazione stessa dell’ambiente. Progettare, quindi, un turismo inteso comeprocesso di interazione e non di sottrazione,di valorizzazione e non di consumo, al fine dipervenire a forme di sostenibilità turistica chefacciano della qualità il filo conduttore dei di-versi aspetti della programmazione: destagio-nalizzazione dei flussi turistici; articolazionee riqualificazione dell’of ferta in termini nonsolo funzionali, ma anche spazio-temporali;pianificazione delle aree protette mirata al-l’attivazione di una crescita economica endo-gena, duratura, concertata e condivisa dai variattori economici, istituzionali e sociali pre-senti sul territorio. Tutto ciò, in adesione allaCarta Europea del Turismo Sostenibile elabo-rata a Lanzarote nel 1995, che mira a favorire,

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in armonia con la più generale concezione disviluppo sostenibile, forme di turismo dure-vole, inteso come «qualsiasi forma di svi-luppo, pianificazione o attività turistica cherispetti e preservi nel lungo periodo le risorsenaturali, culturali e sociali e contribuisca inmodo equo e positivo allo sviluppo econo-mico e alla piena realizzazione delle personeche vivono, lavorano o soggiornano nelle areeprotette». In questo senso, si comprende comesiano forti le aspettative maturate sul turismonelle aree protette, da parte sia dei residentisia dei turisti, soprattutto tenendo conto dellacontinua e costante crescita di questo seg-mento della domanda turistica. Nel 2005, le presenze negli esercizi ricettividelle aree parco sono aumentate solo dell’1%rispetto all’anno precedente, facendo regi-strare un totale di 76 milioni (66% di italiani e34% di stranieri), tuttavia con un apporto va-lutario complessivo (8,13 miliardi di euro) inaumento del 12,7% ( 4° Rapporto Ecotur ,2006). Relativamente alle strutture ricettive,nel 2003 si contavano quasi 22.000 esercizi,costituiti per il 42% da alloggi in af fitto e peroltre il 37% da alber ghi, mentre le struttureagrituristiche rappresentano poco meno del10% dell’of ferta, sebbene negli ultimi dueanni il loro numero sia aumentato in mododavvero impressionante (secondo Ecotur , sa-rebbero oltre 14.000 nel 2005). Tutto questo,in risposta a una domanda di pernottamentocontinuamente crescente, salita dal 10% deivisitatori nel 2004 al 14,7% nel 2005, mentregli esercizi alberghieri, pur rappresentando an-cora la soluzione preferita, registrano un al-trettanto costante decremento dal 2002 al2005, passando dal 48,2% al 30,1%. Generalmente, il turista visitatore dei parchi ègiovane (ancora secondo dati Ecotur, per circail 43% appartiene alla classe di età fino a 30

anni, per il 40% alla classe 30-60 anni e per il17% alla classe oltre 60 anni), di medio-altolivello culturale e con buona capacità di spesa;è particolarmente motivato dall’esercizio dellepratiche escursionistiche a contatto con l’am-biente e dalla ricerca del relax e della tranquil-lità; ma, soprattutto, è un turista consapevole,particolarmente attento a perseguire forme diturismo integrato con il territorio, come dimo-stra la crescita delle preferenze accordate agliagriturismi e la maggiore attenzione rivolta aiprodotti della cultura locale e alla loro qualità.A quest’ultimo proposito, per fare un esempio,i risultati di un’indagine svolta sui visitatoridel Parco Naturale della Maremma ha rilevatoche ben l’85% di essi sarebbe propenso a in-crementare la propria spesa in presenza di unmarchio di qualità del prodotto.Tra le maggiori criticità del settore, è oppor-tuno segnalare le dif ficoltà di distinzione trale diverse aree protette e la insuf ficiente co-municazione derivante dalla mancanza di unsistema informativo segmentato territorial-mente e tipologicamente, soprattutto a frontedi una domanda estera che mostra, secondoil mercato dei tour operators internazionali,sempre più ampi mar gini di interesse versoun prodotto «natura Italia» del tutto pecu-liare in quanto agevolmente combinabile conaltri prodotti quali arte, cultura, enogastrono-mia e folclore. Altre criticità da segnalaresono il limitato ritorno economico per lascarsità dei servizi presenti nelle aree pro-tette e l’insuf ficiente specializzazione dellapopolazione che vi abita.Una mirata politica di marketing si potrebberivelare capace di sviluppare e mettere a si-stema le peculiarità delle singole aree, do-tando il sistema stesso «di una specifica deno-minazione standard, tale da essere presentatoefficacemente sul mercato turistico internazio-

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nale in modo specifico e riconoscibile» (Eco-tur). Accanto a questa, un’attenta pianifica-zione turistica servirebbe ad ampliare e riqua-lificare l’of ferta, nel pieno rispetto di quellaconservazione attiva che sola può proporsicome volano durevole per l’economia locale.

3.3. Il turismo del gusto

Come detto, una delle tendenze di fondo delladomanda turistica, negli ultimi anni, è indiriz-zata verso forme «esperienziali»: riscopertaattiva del paesaggio, delle tradizioni, della ru-ralità. Si va, così, progressivamente af fer-mando una domanda personalizzata e moti-vata, volta alla conoscenza e all’integrazionecon i luoghi visitati, che ha portato a definirenuovi turismi di nicchia correlati con gliaspetti più qualificanti e tipici del territorio. Tra questi, il turismo del gusto o enogastrono-mico – inteso come degustazione di prodottilocali e, più ampiamente, riscoperta dei saporigenuini e dei cibi prodotti con metodi tradizio-nali, in opposizione alla standardizzazione delgusto dilagante nel genere di vita urbano – ri-flette in modo particolare la cultura materialedi un territorio, in quanto a esso imprescindi-bilmente legato. Del resto, da qualche anno, laconcezione stessa di turismo enogastronomicosembra coniugarsi con un più ampio interesseculturale per le identità territoriali, intesecome insieme delle risorse locali e dei carat-teri distintivi dei luoghi di produzione: a par-tire dall’insieme delle caratteristiche fisichedel suolo, climatiche e più ampiamente geo-grafiche, giacché i metodi di lavorazione dellaterra e le stesse capacità imprenditoriali deiproduttori sono espressione diretta della cul-tura locale e concorrono a definire il prodotto.

Per questo, a una definizione più restrittivache considera il turismo enogastronomico es-senzialmente come consumo, sia pure consa-pevole, se ne affianca un’altra, molto più stret-tamente connessa con le aspettative della do-manda, che lo considera rivolto a tutto quanto– anche in senso lato – concerne la produzionealimentare locale, evidenziando i momenti dipartecipazione alla conoscenza dei prodotti,pur senza trascurare le fasi del consumo. Il profilo del turista interessato al segmentospecifico appartiene a un livello sociale edeconomico medio-alto e si identifica in unconsumatore-intenditore di prodotti di qualità,sensibile alla buona cucina e ben informato,ma altresì scopritore delle bellezze naturali eartistiche del territorio, che intende conoscerenelle sue tradizioni rurali non meno che nellesue produzioni tipiche. L’interesse, allora, nonè solo verso il cibo, ma anche verso il luogo,che diviene elemento determinante di sceltaper la destinazione della vacanza. Ciò porta ariflettere su alcuni aspetti: da una parte, la ne-cessità di salvaguardare la specificità e auten-ticità dei prodotti locali e, dall’altra, quella divalorizzare i caratteri peculiari, in particolaredella ruralità, che un territorio è in grado di of-frire, contestualmente tutelati e promossi inchiave di marketing e di crescita economica.Appare chiaro, allora, come non siano suf fi-cienti i prodotti locali, anche tipici, per atti-vare un ef fettivo richiamo turistico; di conse-guenza, non tutte le aree si prefigurano, allostato attuale, come attrattive per il turismo delgusto, sebbene il nostro paese vanti un patri-monio enogastronomico di ampiezza e diver-sità tali da renderlo unico al mondo. Secondoil Forum sulle vacanze made in Italy dellaColdiretti, l’Italia è l’unico paese al mondo aoffrire 155 prodotti a denominazione di ori-gine protetta (DOP) o indicazione geografica

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Fig. 20 – Enogastronomia e promozione turistica

Fonte: elaborazione su dati Associazione Nazionale Città del Vino ( www.cittadelvino.com) e Associazione NazionaleCittà del Pane (www.cittadelpane.it)

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protetta (IGP), 357 vini a denominazione diorigine controllata (DOC) e/o garantita(DOCG), 4.100 prodotti tradizionali censitidalle Regioni, che i turisti possono acquistarenelle quasi 50.000 imprese agricole con ven-dita diretta ma anche nelle 540 «città delvino», oltre 300 «dell’olio», 50 «della noc-ciola», 42 «del pane», e inoltre le quasi 200«strade del vino», «dell’olio» e «dei sapori».Importante è rilevare come una specifica iden-tificazione, nel turismo del gusto, sia ricono-sciuta al Mezzogiorno, che viene associatoalla «gastronomia e prodotti locali» dal 34%degli intervistati nell’indagine Doxa già citata,svelando forti potenzialità nell’ottica dellapossibile estensione e diversificazione dell’of-ferta turistica tradizionale di questa problema-tica circoscrizione del territorio italiano. Occorre peraltro sottolineare che, ancoraoggi, le risorse enogastronomiche si coniu-gano con le modalità proprie dell’escursioni-smo piuttosto che di un’autonoma propostaturistica, in quanto non esiste una vera e pro-pria rete che leghi i protagonisti dell’of fertain un sistema ef ficiente. Fra le criticità piùurgenti da affrontare, in tal senso, spiccano lamancanza di figure professionali adeguate, lanecessità di riqualificare i diversi operatorigià attivi nel settore e l’insuf ficienza di touroperators specializzati. Criticità che si tradu-cono, concretamente, nella dif ficoltà di co-struire e valorizzare gli itinerari nonostante laloro istituzionalizzazione (o, forse, proprio acausa di questa), di attivare marchi locali dimercato, di promuovere e comunicare unprodotto-territorio garante della tipicità delleproduzioni e della qualità autentica del conte-sto territoriale rurale.In questi ultimi anni, tuttavia, la crescente do-manda di turismo del gusto è stata sostenutada una forte promozione mediatica, indirizzata

verso alcuni eventi tipici del settore, quali Vi-nitaly di Verona o il Salone del Gusto di To-rino, manifestazione che fa capo a Slow Food,movimento internazionale costituitosi nel1989, che si contrappone alla standardizza-zione dell’alimentazione e difende la necessitàdi informazione dei consumatori, promuo-vendo una nuova concezione del gusto checombina piacere e conoscenza; questa speci-fica domanda turistica, inoltre, è sostenuta dauna diffusa sensibilizzazione culturale testimo-niata dalla nascita di numerose associazioni in-titolate a quelle città del vino, dell’olio ecce-tera che si ricordavano poc’anzi; infine, dal ri-conoscimento normativo (legge 268/1999) distrade e percorsi di fruizione del territorio,pure sopra richiamati. Il turismo del gusto si pone, in tal modo, sem-pre più come categoria autonoma di attiva-zione dei flussi, certamente di nicchia, ma conbuone potenzialità di espansione, anche se ri-sulta alquanto complessa un’analisi dettagliatadel settore in mancanza di dati relativi, in par-ticolare, al sistema ricettivo. La tendenza piùdiffusa è quella di coniugarlo con il turismorurale (declinato, secondo la CommissioneEuropea, come il turismo proprio di «zoneagricole ricche, in cui l’agricoltura costituiscel’elemento di attrazione e dove l’of ferta è cen-trata sui prodotti locali e sull’enogastronomia»e che, oltre a soddisfare la domanda paesaggi-stica, risponde anche a quella culturale, comericerca degli usi e delle tradizioni di una popo-lazione), anche per la stretta associazione conla ricettività agrituristica. Nella realtà, però, prendendo come esempio le«strade del vino» (oltre 140, raddoppiate dinumero dal 2001), sono poche quelle effettiva-mente operative e su livelli di qualità: secondoi dati del CENSIS, soltanto 18 sono definitead alto livello enoturistico e 8 sono conside-

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rate in via di progressiva organizzazione, men-tre 20 risultano ancora in fase di avviamento,38 a livello di take off e le altre di fatto nonoperative, a dimostrare che non basta istituireuna risorsa sulla carta, se manca una più am-pia visione strategica orientata alla promo-zione di politiche di sviluppo integrato del ter-ritorio rurale. Ancora una volta, dunque, le debolezze pre-valgono sulle potenzialità: scarsa visione im-prenditoriale e professionale; insuf ficiente ca-pacità di aggregazione, di promozione e divendita; forte dipendenza pubblico-istituzio-nale, soprattutto con riguardo ai finanzia-menti; approccio esclusivamente settoriale, in-capace di coniugare le risorse del compartocon gli altri elementi identitari del territorio.Per contro, le opportunità of ferte dal turismodel gusto si inquadrano in una visione di piùampia salvaguardia dei prodotti e dei territori,a partire dalla tutela di alcune produzioni tipi-che ottenute con metodi tradizionali e che sitramandano da generazioni, per arrivare a pro-porre forme di sviluppo locale alternativo peraree finora marginali e del tutto isolate dai cir-cuiti turistici tradizionali. Non soccorrono,purtroppo, gli orientamenti dell’Unione Euro-pea che, facendo della qualità e della tutela delconsumatore categorie di tipo marcatamenteindustriale, rischiano di decretare l’estinzionedei prodotti artigianali locali.

3.4. Turismo ed eventi

Il turismo degli eventi rappresenta una realtàdel tutto peculiare nel panorama dei prodottifruibili dai visitatori; con il termine «evento»si intende, in generale, una manifestazione(più o meno ripetibile) capace di attrarre un

potenziale pubblico nell’arco di un breve pe-riodo di tempo, concentrandolo su una deter-minata località o area, generalmente ristretta. Una prima distinzione va fatta tra eventiunici e periodici; una seconda riguarda la di-mensione dell’evento, ovvero lo sforzo or ga-nizzativo trasfuso nello stesso e il target dipubblico che si intende coinvolgere, sulla cuibase si può tracciare una classificazione ineventi globali ( mega-events), internazionali(special events), nazionali (hallmark events),regionali ( community events ); una terza di-stinzione riguarda il tipo di turismo che l’e-vento sollecita (culturale, religioso, sportivo,ludico, d’affari eccetera).Gli eventi sono sempre stati rilevanti, non solodal punto di vista intrinseco, ma anche comemomenti di incontro della/e comunità, comeveicolo politico di scambio interculturale e, sesi vuole, come manifestazione di «potenza»della comunità ospitante: basti pensare ai gio-chi olimpici dell’antica Grecia, agli spettacolicircensi e gladiatori dell’antica Roma, allefiere medievali, e così via. A partire dalla metà dell’Ottocento si passa auna nuova fase, dapprima con le EsposizioniUniversali, che cambiano spesso radicalmenteil volto delle città ospitanti, poi con l’or ganiz-zazione delle Olimpiadi moderne. Solo daglianni Sessanta del XX secolo, tuttavia, talieventi divengono realmente «globali», graziealla diffusione capillare dei mezzi di comuni-cazione di massa, soprattutto televisivi. Signi-ficativo, in proposito, il dato riguardante il nu-mero di paesi collegati per televisione con l’e-vento olimpico: per le Olimpiadi estive, finoal 1956 uno solo, per passare ai 21 di Roma1960 e arrivare ai 220, la totalità, di Sydney2000 e Atene 2004; per le Olimpiadi invernalidi Torino 2006 vi erano circa 130 paesi colle-gati (pur non essendo risultato inferiore il nu-

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Fig. 21 – Intensità delle attività teatrali e musicali per pr ovincia

Fonte: elaborazione su dati SIAE

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Fig. 22 – Intensità degli eventi sportivi per r egione

Fonte: elaborazione su dati SIAE

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mero degli ascolti), mentre nelle due edizioniprecedenti (Nagano 1998 e Salt Lake City2002) erano 160. Crescente importanza vannoassumendo anche i collegamenti Internet: neisedici giorni di gare a Torino 2006 sono statevisitate circa 711 milioni di pagine. Dal lato dell’of ferta, occorre innanzitutto os-servare che gli eventi possono essere classifi-cati, in tesi generale, come una peculiareforma di turismo urbano, perché richiedonoinfrastrutture specifiche (non solo quelle ricet-tive e pararicettive, ma anche quelle che de-vono divenire sede dell’evento) e di supporto(per prima, una rete trasportistica ef ficiente),inglobate in un contesto antropico denso.L’opportunità di fare marketing turistico è laprima motivazione per decidere l’or ganizza-zione di un evento che può, in qualche modo,essere connesso alle tradizioni locali (folclore,artigianato, prodotti tipici eccetera) oppure es-sere del tutto slegato dal contesto territoriale(è il caso delle Olimpiadi e degli altri eventisportivi in genere, fatta salva una più o menorecente attitudine alle pratiche specifiche). Ne-cessità più contingente può essere quella dicompensare la stagionalità del turismo e di co-prire con of ferte turistiche dif ferenti da quelletradizionali i periodi di minore af flusso.Negli ultimi anni si assiste a una moltiplica-zione degli eventi cosiddetti «minori»: quasiuna moda, una ricerca della manifestazioneche rinverdisca le tradizioni (vere o presunte)di ogni località, oppure di più o meno nuovi eoriginali spunti di attrazione per i potenzialivisitatori. Ne risulta un impegno considere-vole delle risorse fisiche ed economiche dipiccole comunità, spesso non in grado di acco-gliere in maniera adeguata i visitatori permancanza di infrastrutture: si determina, così,un coinvolgimento finanziario delle ammini-strazioni locali, a sostegno di tali manifesta-

zioni, spesso dettato da particolarismi e cam-panilismi, disseminato «a pioggia», senza stra-tegie né pianificazione. Ciò comporta, d’altrocanto, un raf forzamento di taluni eventi mag-giormente «sostenuti», cosicché una piccolacomunità locale riesce a porsi, per pochigiorni all’anno, al centro dell’attenzione di in-genti flussi di visitatori; e quando ciò avviene,quella località diventa in qualche modo unpunto di riferimento nella mappa mentale deipotenziali ospiti, acquisisce un vantaggiocompetitivo sul mercato, che poi – però – do-vrà essere in grado di mantenere e continua-mente migliorare nel corso del tempo.Appare questione fondamentale, dunque, perla località che gestisce l’evento, entrare nellospirito dell’evento stesso, farlo proprio e in-globarlo nelle proprie tradizioni; quando sihanno eventi di grande portata, tuttavia, essivengono spesso percepiti come estranei all’or-ganismo territoriale, una sorta di forzatura, an-che quando lasciano nello spazio fisico i segnipermanenti del proprio passaggio. Le ereditàdel grande evento – soprattutto quelle ravvisa-bili sotto forma materiale di attrezzature rea-lizzate ad hoc – richiedono di trovare, infatti,una propria collocazione integrata con quellegià proprie della località ospitante. E la lorogestione deve essere programmata in modoconsapevole, sull’esempio dei casi di eccel-lenza riscontrabili a scala internazionale: pertutti, le architetture composte per il quartiereolimpico dei Giochi di Barcellona 1992, ormaidivenute parte essenziale delle attrattive ur-bane della città.Non si è ancora spenta l’eco delle Olimpiadiinvernali di Torino 2006 (con un successo as-sai inferiore alle spettacolari immagini televi-sive: secondo i dati uf ficiali del CIO, sonostati venduti circa 930.000 biglietti, pari adAlbertville 1992, contro 1,6 milioni di Calgary

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Fig. 23 – Manifestazioni fieristiche

Fonte: elaborazione su dati Coordinamento Interregionale Fiere, Regione Emilia-Romagna e AEFI

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1988, 1,5 milioni di Salt Lake City 2002, 1,3milioni di Nagano 1998, 1,2 milioni di Lille-hammer 1994; evidentemente, la dimensioneurbana di Torino non ha, in questo caso, favo-rito l’incremento degli spettatori per l’evento),che già si discute dell’eredità derivante dallagestione e dalla valorizzazione delle infra-strutture – su cui, invero, posizioni contra-stanti erano emerse anche in fase di organizza-zione dell’evento e di realizzazione delle in-frastrutture stesse. Il problema è, dunque, dimantenere viva l’attenzione sulle località chehanno ospitato la manifestazione; in sostanza,a un sistema necessariamente rigido, creato inpoco tempo e spesso localizzato in territori«fragili», si dovrebbe af fiancare una gestionefluida e continuamente evolutiva, anche inrapporto alla domanda dei mercati: cosa, cer-tamente, non agevole.Al grande evento, come già sottolineato, sicontrappongono una miriade di piccole mani-festazioni, che generano modesti af flussi dispettatori, visitatori, escursionisti, spesso «ri-creazionisti» più che turisti. Tralasciando glieventi culturali e religiosi, di cui si discute inaltre parti del Rapporto, si focalizzerà l’atten-zione su alcuni esempi di eventi ricorrenti, chein qualche modo finiscono con il caratteriz-zare il territorio ospitante.Gli eventi congressuali pongono l’Italia ai ver-tici mondiali in questa particolare tipologia,che la geografia classica definiva di turismoimproprio: secondo l’ICCA (InternationalCongress and Convention Association), essaoccupa il settimo posto nel mondo per nume-rosità di incontri, dietro Stati Uniti, Germania,Spagna, Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi.Tuttavia, secondo l’Osservatorio CongressualeItaliano (2005), dopo una fase recessiva a li-vello globale in conseguenza delle tensioni in-ternazionali, il paese non è riuscito a rientrare

nel momento espansivo che vivono attual-mente altri Stati, a causa dell’estrema fram-mentarietà del settore, che accentua la man-canza di coordinazione tra gli attori, e dellascarsità di tecnologia specifica per la comuni-cazione (uso di nuovi mass-media eccetera).In ogni caso, dal 2002 al 2005, il numero degliincontri è salito da 98.900 a oltre 106.000, ipartecipanti da 16,7 a 20,7 milioni, le giornatedi presenza da 30,7 a 33,6 milioni, i pernotta-menti da 13,4 a 14,2 milioni.Non da meno è il ruolo dei festival: quelli ci-nematografici, da Venezia a Sorrento e Capri,agli «specializzati» di Torino ( film noir ),Trento (cinema di montagna), Gif foni Valle-piana (cinema per ragazzi). E le Biennali diVenezia (del teatro, d’arte) o il festival«multi-arti» di Spoleto, le stagioni musicalicome il Ravello Festival, e via enumerando.Si tratta di movimenti rilevanti e di cospicuiinvestimenti di fondi pubblici e privati, conafflussi periodici e apprezzabili, anche difruitori stranieri. Altro segmento importante del turismo deglieventi è rappresentato dalle fiere ed esposi-zioni, la cui ubicazione sul territorio italiano èin verità molto squilibrata, con un’area digrande concentrazione nel triangolo Milano-Bologna-Verona ed estensioni recenti sulla co-stiera romagnola e sul litorale adriatico piutto-sto che su quello tirrenico.Il medesimo squilibrio Nord-Sud si rileva, in-fine, anche per le manifestazioni teatrali e mu-sicali, pur dovendosi rilevare, in linea gene-rale, come soprattutto le seconde siano meglioinquadrabili tra le forme di ricreazionismo emolto spesso volte al soddisfacimento diistanze ludiche della popolazione locale (val-gano ad esempio i programmi di molte ammi-nistrazioni comunali per la stagione estiva o lefestività di fine anno).

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In conclusione, anche per il turismo deglieventi occorre uno sforzo comune da parte ditutti gli attori territoriali per una calendarizza-zione più organica, così da trasformare le ma-nifestazioni da eccezione in consuetudine:sebbene si possa rischiare l’eccessiva ludizza-zione delle singole località, si può ragionevol-mente sostenere che gli eventi contribuiscanoa rafforzare il sentimento di appartenenza allacomunità e al territorio nella misura in cuisiano capaci di suscitare una sorta di fidelizza-zione di tutti i partecipanti, attivi e passivi, edi creare – se ben gestiti – un meccanismo psi-cologico favorevole al ritorno dei visitatori.

3.5. Le aree dismesse: risorsa per il turismo?

Il processo di deindustrializzazione e di piùampia ristrutturazione delle economie, neipaesi occidentali, ha inciso profondamentesulla rior ganizzazione degli spazi urbani diquelle città, grandi e piccole, che sono stateprotagoniste, spesso in maniera forzata e inva-siva, della crescita industriale avvenuta du-rante il XIX e il XX secolo. In Italia, il dibattito sulla dismissione e riquali-ficazione dei «vuoti urbani» (che non riguar-dano solo le aree industriali, ma anche quelleresidenziali, le infrastrutture trasportistiche, leinstallazioni militari) ha avuto inizio a metàdegli anni Ottanta, svelando le grandi potenzia-lità espresse da quelle «parti di città» o di terri-torio suburbano che, attraverso la rivitalizza-zione dei meccanismi di acquisizione dei va-lori dei suoli, assumevano un ruolo strategiconei processi di trasformazione urbana e, ancorpiù, di rilancio dell’economia di fronte a fasi disopravveniente crisi occupazionale e sociale. Le politiche attivate hanno evidenziato diver-

sità di approcci nel passaggio dalle strategie diprima generazione a quelle di seconda e, oggi,di terza. Inizialmente, si proponevano inter-venti frammentari e per singoli siti, scarsa-mente integrati nella visione complessivadella città, rispondendo a logiche prioritaria-mente immobiliariste e privatiste. Dagli anniNovanta, tali interventi si sono inseriti in pro-getti di più ampia e durevole rigenerazione ur-bana, coinvolgendo sempre più accordi di tipopubblico-privato nei programmi di riqualifica-zione urbana (programmi di recupero urbano –PRU; programmi integrati – PRIN; pro-grammi di riqualificazione urbana – PRIU;iniziative Urban; eccetera). Oggi, le politichedi terza generazione parlano di urban renais-sance, «rinascimento urbano» capace di co-niugare in modo equilibrato aspetti economici,sociali e ambientali, anche di area vasta (l’ap-proccio può identificarsi con i programmi diriqualificazione urbana e di sviluppo sosteni-bile del territorio – PRUSST).Attraverso questa evoluzione, le aree dismessesono andate dispiegando il loro valore di ri-sorsa, proponendosi come elementi di un mo-dello di sviluppo orientato – nel più ampioprocesso di terziarizzazione della economia –anche al turismo e alla cultura, come alterna-tive al declino del modello industriale. Si puòparlare, da un lato, di un approccio conserva-tivo, che considera le aree dismesse come pa-trimonio culturale per l’intrinseco valore sto-rico-archeologico e la forte valenza identita-ria: è il caso dei tanti siti, disseminati nellecittà alpine e prealpine, che, tra Ottocento eNovecento, hanno caratterizzato il paesaggiopaleoindustriale italiano e per i quali numerosiprogetti di promozione turistica stanno percor-rendo con successo la strada degli «ecomu-sei». In particolare in Piemonte, prima Re-gione italiana a dotarsi di una legge or ganica

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istitutiva di questo tipo di strutture (l.r .31/1995), la Provincia di Torino ha elaboratoun interessante progetto con l’obiettivo di co-stituire una rete di ecomusei: dalle acque delCanale Cavour alle manifatture tessili di Cari-gnano, Collegno, Chieri e Cuor gné, dalle ar-chitetture di Ivrea alle valli Soana, Pellice eSangone. Numerose le iniziative anche nel Ve-neto, come la realizzazione del Museo Territo-riale dell’Industria Vicentina, promosso dalConsorzio per la Valorizzazione delle Città diSchio e Valdagno, mentre in Toscana si ricor-dano il Museo del Tessuto, nell’area dell’exlanificio Campolmi di Prato, e il Parco-Museominerario di Abbadia San Salvatore.Ancor più rilevanti, ai fini turistici, appaionotuttavia quei progetti – maggiormente impe-gnativi, ma anche innovativi – orientati anuove destinazioni d’uso: è il caso dei tanti«vuoti» recuperati al tempo libero con servizie strutture turistiche (ricettività, ristorazione,accoglienza turistica) o di più ampia riqualifi-cazione dell’of ferta turistica (musei, teatri,spazi per fiere ed esposizioni, grandi concertio eventi in genere), in una strategia comples-siva di city-marketing. Vale, su tutti, l’esempiodi Genova, in linea con le scelte di molte cittàportuali a livello internazionale (Baltimora,Glasgow, Brema, Barcellona, Bilbao). Di no-tevole interesse, per il carattere innovativo eper il numero delle città coinvolte (ben 29) è ilPiano di Ristrutturazione e Sviluppo pro-

mosso dalle Ferrovie dello Stato, che prevedela valorizzazione di vaste aree ferroviarie di-smesse destinandole a nuove funzioni tra cuiquelle ricettivo-alberghiere.Nella fase attuale, in cui il movimento turi-stico verso i centri urbani italiani registraevidenti segnali di crescita anche al di fuoridei luoghi istituzionali del turismo culturale– svelando la natura composita di una do-manda che ben si coniuga con il più ampiouniverso dell’intrattenimento – la riqualifica-zione e, soprattutto, il riuso delle aree dis-messe of frono soluzioni creative per lo svi-luppo di nuovi prodotti turistici: in partico-lare, come contenitori mirati e stabili di que-gli eventi e nuovi momenti di leisure di cui siè ampiamente detto sopra, dalle manifesta-zioni sportive alle fiere, dai grandi concerti aifestival del cinema, alle mostre d’arte (casoesemplare il recupero dei Magazzini del Salea Venezia, che ormai da anni ospitano le ma-nifestazioni della Biennale d’Arte). Condizione perché gli interventi divenganorealmente efficaci è, in ogni caso, la conside-razione dei vuoti urbani come risorsa per unadiversa fruizione culturale, ma solo all’internodi un disegno globale di governance teso adadeguare la città ai nuovi processi di comuni-cazione, esaltando ricerca e sperimentazionecon il coinvolgimento diretto delle comunitàlocali in tutte le loro componenti politiche, so-ciali e imprenditoriali.

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4.1. La frammentazione del settor e alber-ghiero

Il comparto alber ghiero italiano ha seguito ingran parte il processo insediativo ed evolutivodella piccola e media impresa, soprattuttonella «Terza Italia»; così, esso ha trovato fer-tili spazi di crescita nelle aziende a condu-zione familiare, con servizi ridotti all’essen-ziale. Nei primi decenni di sviluppo del set-tore, infatti, mentre nelle città più grandi siavevano anche strutture di dimensioni consi-derevoli, la connotazione media dell’impresaalberghiera italiana era basata su pensioni e lo-cande di modesta qualità. In sostanza, si ven-deva il luogo dove soddisfare il bisogno pri-mario del pernottamento, mentre la sola attrat-tiva della località riusciva a compensare le ca-renze dell’alloggio, soprattutto nelle localitàbalneari di puro relax che divennero presto,proprio grazie alla vivacità dell’imprenditoriaalberghiera endogena, mete del turismo dimassa: troppo noto ed emblematico, per ci-tarlo ancora, il caso della Riviera Romagnolanegli anni Cinquanta e Sessanta.Nel corso del tempo, però, la portata territo-riale della domanda turistica si è di molto am-pliata e la clientela è divenuta più esigente,costruendo una propria mappa mentale dellaqualità dei servizi alber ghieri e pretendendostandard qualitativi uniformi nei servizi of-ferti. In questa fase, l’albergo rappresenta nonpiù la semplice dimora della vacanza, ma unelemento essenziale, un plus non trascurabileche contribuisce a qualificare l’intera of fertaturistica: per conseguenza – in un percorsoradicalmente opposto a quello del settore in-

dustriale – si verifica un marcato raf forza-mento, sul mercato, di grandi gruppi multina-zionali che puntano su politiche di branding,ovvero sul miglioramento standardizzato deiservizi offerti, a livello globale e indistinto dapaese a paese.Dal punto di vista lavorativo, si abbandonal’inquadramento «familiare» dei primi anniper puntare su un nucleo centrale di lavoratoriesperti nel settore e impiegati lungo tuttol’arco dell’anno ( core workers ), cui si af fian-cano lavoratori senza competenze specifichenei periodi di massimo af flusso: i primi otten-gono spesso una flessibilità molto marcatanelle mansioni, funzionale in base ai principidell’impresa post-fordista; mentre per i se-condi, spesso sottopagati, ci si af fida alla«funzionalità numerica», in una sorta di just-in-time del capitale umano, ossia di impiegosolo nel momento di massima domanda,spesso con i meccanismi dell’economia infor-male, su mansioni di basso profilo e occasio-nali. Questa strutturazione della forza lavoroall’interno del settore turistico è, in verità, co-mune all’intero Mediterraneo, a motivo dellamarcata stagionalità dei flussi turistici.Tale progressiva evoluzione dei servizi alber-ghieri, in linea generale, si configura attra-verso due tendenze: da un lato, si espandonogli esercizi connessi alle catene internazionaliintegrate, con grandi investimenti di capitaliallo scopo di migliorare l’of ferta e fidelizzarela clientela a marchi noti; dall’altro, la crisidelle piccole aziende e delle strutture di mi-nore qualità spinge gli imprenditori a raggrup-parsi in catene volontarie, per commercializ-zare meglio la propria of ferta e contrapporsi

4. Ricettività e pressione turistica

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Fig. 24 – Presenze complessive negli esercizi alberghieri e complementari per provincia

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Presenze complessive - 2005

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all’oligopolio imposto dalle grandi catene in-ternazionali. In Italia però, tranne alcuni casi di eccellenza, ilsettore tarda ad assumere caratteri autopropul-sivi: così, si lascia spazio alla «colonizzazione»delle strutture da parte di grandi gruppi esteri osubentrano sul mercato imprenditori nazionali,con rilevanti mezzi finanziari provenienti da al-tri settori più propriamente industriali, che inve-stono nella ristrutturazione e/o nella costruzionedi nuovi complessi ricettivi. Sotto la pressionedella concorrenza interna e internazionale, molti

piccoli imprenditori tendono a essere espulsi dalmercato, soprattutto nei segmenti a più marcatastagionalità, mentre resistono nelle grandi città,dove possono sopravvivere nelle nicchie dimercato del low cost. La richiesta di strutture al-berghiere rinnovate, di grandi dimensioni, lan-cia una fase di «gigantismo» senza precedenti,cui fa riscontro la ancora molto debole atten-zione all’impatto ambientale provocato dallestesse: il Mezzogiorno, in particolare, divieneterra di conquista, un greenfield dal punto di vi-sta sia fisico sia concorrenziale.

Scenari italiani 2007 75

Tab. 3 – Prime 20 catene alberghiere in Italia per numero di camere

Ranking Ranking Catene Paese Alberghi Camere Alberghi Camere2003 2004 2003 2003 2004 2004

2 1 Space Italia 103 8.588 105 8.7551 2 Best Western USA 138 8.713 138 8.7133 3 Hotusa Spagna 130 6.500 170 8.5005 4 InterContinental Regno Unito 39 5.400 44 6.1004 5 Jolly Hotels Italia 39 5.861 38 5.5437 6 Accor Francia 32 4.705 37 4.8386 7 Starwood USA 24 4.732 24 4.0858 8 Ata Italia 18 4.054 18 4.0549 9 Starhotels Italia 19 3.050 19 2.932

12 10 Italy Hotel Club Italia 31 1.925 36 2.22310 11 Iti Hotels Italia 22 2.135 22 2.13511 12 Le Meridién USA 12 1.994 12 1.99414 13 Park Hotel Italia 11 1.783 12 1.84515 14 Blu Hotels Italia 17 1.613 18 1.81313 15 Orovacanze Italia 16 1.800 16 1.80017 16 Boscolo Italia 12 1.509 14 1.65120 17 Marriott USA 7 1.330 10 1.59516 18 Ladbroke USA 4 1.589 4 1.58918 19 Italia 18 1.502 17 1.35419 20 Sol Meliá Spagna 5 1.350 5 1.350

Nota: il gruppo Le Meridién, prima francese, è stato acquisito dalla Starhotels; il gruppo Ladbroke, prima inglese, è statoriaccorpato nella Hilton International

Fonte: elaborazione su dati Federalberghi, 2005

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Framon

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Fig. 25 – Evoluzione della ricettività alberghiera

Nota: l’acronimo RTA indica il tipo ricettivo «residenza turistico-alberghiera»

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Nella seconda fase dello sviluppo alber ghieroitaliano, pertanto, si assiste a un marcato re-gresso del Nord, soprattutto nella Pianura Pa-dana, con una «razionalizzazione» o, meglio,chiusura degli esercizi più piccoli e di minorequalità, mentre al Sud si realizzano strutturenuove, in genere meglio attrezzate, di qualitàsuperiore e con una gestione spesso esogena,ma professionale. Grazie a questa tendenza,dunque, il Mezzogiorno recupera velocementeposizioni, seppure con una polarizzazionemarcata soprattutto delle strutture di qualità(Sardegna, Costiera Amalfitana eccetera) – ta-cendo, peraltro, della troppo frequente gravitàdegli impatti ambientali e paesistici.

Vi sono, comunque, diversi nodi da sciogliereriguardanti il comparto alber ghiero italiano: laqualità dei servizi offerti, e, come ovvio corol-lario, la categorizzazione delle strutture; la sta-gionalità e, con essa, il problema della capa-cità ricettiva inespressa da molte località pergran parte dell’anno; la crescita, sul mercatonazionale, delle catene e delle associazioni vo-lontarie, a discapito delle piccole strutture nonorganizzate.La qualità alber ghiera è senz’altro cresciuta,come testimonia la rilevanza sempre maggioredelle strutture di lusso, mentre, nel contempo,si assiste a una forte contrazione degli esercizidi bassa qualità. Occorre, però, riflettere sulla

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reale portata di questa tendenza all’innalza-mento della categorizzazione alber ghiera. In-nanzitutto, si deve rilevare come il numerodelle strutture a 5 stelle sia ancora modesto;spesso, infatti, si ritiene sufficiente un marchioa 4 stelle per attirare il segmento medio-altodel mercato, avvalendosi dei minori costi rela-tivi all’imposizione fiscale. Inoltre, la drasticariduzione degli esercizi a 2 e 1 stella non deveessere necessariamente riconnessa alla chiu-sura delle strutture minori e obsolete, maspesso denota una spinta all’acquisizione delle3 stelle senza requisiti adeguati, con la conse-guente ipertrofia della categoria mediana.Questo atteggiamento si è accentuato a partiredagli anni Ottanta, con la soppressione dellacategorizzazione in pensioni e locande e la de-lega alle Regioni sul comparto turistico. Di fatto, molte strutture hanno potuto aumen-tare la categorizzazione grazie a criteri di clas-sificazione labili dal punto di vista delle diret-tive nazionali e a meccanismi di controllo del-l’effettiva qualità dei servizi troppo permis-sivi. Le Regioni, infatti, dopo aver fissato i ca-noni di dettaglio per ogni categoria alber-ghiera, permettono in genere che la strutturapresenti una auto-attribuzione di classifica-zione, calcolando da sola il punteggio ottenutoper ogni singolo parametro: meccanismo chepregiudica non solo l’obiettività della proce-dura, ma anche la sostanza, in quanto si basaesclusivamente su parametri fisici e quantifi-cabili, trascurando quei fattori immaterialiche, oggi, costituiscono attrattiva determinantedegli alber ghi. Inoltre, dopo un controllo daparte dell’ente preposto sulla rispondenza deirequisiti, spesso sommario e sbrigativo, non visono ulteriori verifiche sulla coerenza dellastruttura con i parametri classificativi per cin-que anni, potendosi nel frattempo deteriorarenotevolmente il livello dell’of ferta. Ciò rende

il mosaico molto incoerente al proprio interno. Allo scopo di tentare un processo di riclassifi-cazione e riqualificazione delle strutture alber-ghiere italiane, si possono proporre diverse so-luzioni, dalle più morbide alle più drastiche.Prima, la costituzione di un «osservatorio na-zionale delle strutture», incardinato nello Statocentrale o nel Coordinamento delle Regioni.Seconda, l’estensione dei progetti indipen-denti di «labellizzazione» (ISO, UNI, Ecola-bel, EMAS eccetera) per connotare la propriastruttura rispetto al resto del mercato; da unaricognizione ef fettuata – nel gennaio 2007 –sul database SINCERT (Sistema Nazionaleper l’Accreditamento degli Or ganismi di Cer-tificazione e Ispezione , costituito nel 1991 ericonosciuto dallo Stato nel 1995), si osservacome la maggior parte delle strutture che haottenuto tali riconoscimenti sia di grandi di-mensioni, se non appartenente a gruppi azien-dali; dal punto di vista territoriale, tali strut-ture sono per lo più ubicate in Campania (Pe-nisola Sorrentina e Costiera Amalfitana), inSicilia, nel Veneto e in Toscana. Terza, la crea-zione di club di prodotto e marchi nazionali:interessante, in proposito, l’individuazione diun marchio di qualità a livello nazionale, pergli alberghi, da parte dell’ISNAR T (ente fun-zionale di Unioncamere, partecipato anche daassociazioni private come Federalber ghi).Quarta, il superamento della tradizionale clas-sificazione basata sulle «stelle», per cercareun’unificazione a livello sovra-nazionale: ben-ché sia la UNWT O sia l’Unione Europea pre-mano sui governi nazionali per cercare intesein tal senso, i tentativi di studio di nuove clas-sificazioni, più aderenti alla mutata realtà fun-zionale dei servizi alberghieri, non sono finoragiunti a proposte operative.Per quanto attiene, ancora, allo sviluppo dellecatene e delle associazioni alberghiere, si deve

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Fig. 26 – Indice di qualità alberghiera per provincia

Nota: l’indice di qualità alberghiera è calcolato come Qi = ∑(Lci/Lct) * (C/5*100) dove:Qi = indice di qualità delle province i-esime;Lci = numero dei letti complessivi nella categoria alber ghiera «c» presenti nella località i-esima;Lct = numero dei letti complessivi nella categoria alber ghiera «c» presenti nel complesso della provincia;C = categoria alberghiera espressa in «stelle» (da 1 a 5).In sostanza, l’indice varia tra il minimo di 0 (assenza di strutture alber ghiere) e il massimo di 100 (quando vi è solo lapresenza di alberghi a 5 stelle)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Indice qualità alberghiera

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sicuramente rimarcare tale fenomeno, comepositivo, in quanto contribuisce al migliora-mento dei servizi e alla qualità dell’immagine

globale del paese sui mercati esteri, avendospesso le formule dell’associazionismo mi-gliori strumenti di marketing e branding. È

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Fig. 27 – Evoluzione dell’indice di qualità alber ghiera

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Indice qualità alberghiera

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pur vero che la penetrazione di tali strutture hadi fatto estromesso o rischia di sof focare inpartenza, soprattutto nel Mezzogiorno, la pic-cola impresa autoctona; negli ultimi anni, tut-tavia, quest’ultima si è dimostrata capace dioccupare – a compensazione – importanti nic-chie di mercato nella ricettività extra-alber-ghiera (agriturismo, bed & breakfast eccetera).In definitiva, appare dif ficile generalizzare letendenze del settore alber ghiero italiano. Sivorrebbe, tuttavia, auspicare un maggiore im-pegno di quella imprenditorialità endogenache tanto ha saputo dare al made in Italy indu-striale: un nuovo stimolo verso le piccoleaziende, in concorrenza con il gigantismo e la«asettica» ef ficienza delle strutture di mag-giore lusso, per concedere di nuovo spazio al«calore familiare». Ovviamente, ciò non deveavvenire a discapito della qualità, su cui sigioca la competitività internazionale, ma pro-muovendo nuove modalità e punti di incontrotra ospite e ospitante, in modo da suggellareun meccanismo di miglioramento dei serviziofferti, legati alle caratteristiche dei singoliluoghi e sottoposti a un continuo processo dibenchmarking da parte degli unici attori ingrado di poterne giudicare la reale valenza,ovvero i visitatori-utenti.

4.2. Il turismo delle «seconde case»

Accanto alla ricettività «uf ficiale», spesso ca-rente nelle comunità più piccole, si è verificatanel tempo la tendenza all’acquisizione di rile-vanti porzioni del patrimonio edilizio da partedi soggetti non residenti. Classicamente, taliabitazioni sono utilizzate per un breve periododell’anno, tramite fruizione personale da partedel proprietario oppure concedendone la dispo-

nibilità a terzi, sia a titolo gratuito (nel caso dirapporti parentali o amicali), sia attraversoforme di locazione più o meno regolari.La tendenza alla crescita delle case per va-canze ha provocato, soprattutto dalla metà delsecolo trascorso, un incremento abnorme delpatrimonio edilizio locale, sfruttando anchecarenze normative e di pianificazione urbani-stica; si verifica, così, uno iato evidente traesigenze di sviluppo economico legato al turi-smo e preservazione del tessuto ambientale esocio-demografico. La creazione di «città sta-gionali», infatti, non incide soltanto sul patri-monio fisico, come sottolineato spesso per lelocalità balneari (è stato coniato il termine«marbellizzazione», a richiamare il vero eproprio muro di cemento che, nella nota sta-zione balneare spagnola come in tante altredel Mediterraneo, ha separato la spiaggia dalresto del tessuto urbano originale) e perquelle montane, ma anche sulla regolazionedei servizi essenziali (consumo di risorse idri-che, gestione dei rifiuti urbani eccetera) non-ché sulla manutenzione degli edifici «non vis-suti». In casi sempre più frequenti, quando lafruizione da parte del proprietario non è piùneppure stagionale, ma addirittura episodica,tali abitazioni vengono subaf fittate nel pe-riodo invernale, fenomeno che rientra appienoin quello più generale della speculazione edi-lizia; e, lungo le coste o in centri agricoli del-l’interno, danno ricetto a immigrati irregolari,aumentando i processi di segregazione territo-riale e le potenziali conflittualità con la comu-nità ospitante.In Italia, le statistiche uf ficiali non rilevanole abitazioni a effettiva destinazione turistica,ma solo quelle non permanentemente abitate,nel complesso; secondo un’indagine svoltada Mercury-Confturismo-Rescasa-Fimaa ( Ilturismo italiano negli appartamenti. Primo

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Fig. 28 – Per una misura del rapporto turismo/seconde case

Nota: una misura – peraltro l’unica realmente calcolabile, ancorché solo indicativa – del rapporto fra turismo e «seconde case»è data dall’andamento congiunto della popolazione residente, del numero di abitazioni non occupate e delle attività economi-che connesse al turismo. I tipi comunali sono qui definiti dalla variazione, positiva (a) o negativa (b), di tali quantità, cui si ri-feriscono, nell’ordine, le tre lettere riportate accanto a ciascuno dei tasselli corrispondenti alle campiture usate nella cart a

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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rapporto 2005), le seconde case per vacanzasono circa 3 milioni, con 10,4 milioni di po-sti letto, per un insieme di 345 milioni di pre-senze, polarizzate soprattutto nei grandi cen-tri urbani (in special modo Roma) e nei centribalneari (soprattutto quelli laziali, liguri, pu-gliesi e siciliani).In termini di dinamiche di lungo periodo, èbene studiare il fenomeno della proliferazioneedilizia delle seconde case correlando il patri-monio del costruito non utilizzato in perma-nenza con lo sviluppo dell’offerta turistica im-prenditoriale e con la crescita della popola-zione residente. In base ai censimenti IST ATdella popolazione e dell’industria e servizi, siè confrontato, per tutti i comuni italiani, iltrend delle tre variabili nel periodo 1971-2001, secondo il semplice parametro incre-mento/decremento.La situazione meno preoccupante (correla-zione positiva di tutte le variabili) coinvolgegran parte dell’Alto Adige, del Veneto, dellaLombardia e dell’Emilia-Romagna, per rare-farsi progressivamente verso sud, dove per-mane soprattutto nella fascia costiera adria-tica, in Umbria, nel Lazio e, ancora oltre, inPuglia e lungo la costiera napoletana e salerni-tana, mentre in Sicilia e in Sardegna si hannopolarizzazioni molto marcate. Se, dunque, ilproblema delle seconde case, da un punto divista meramente quantitativo, può comunquericomprendersi in un quadro di generale cre-scita economica, d’altro canto la fragilità dellecoste, il continuo processo di erosione e ilpeggioramento della qualità ambientale per laprogressiva saturazione degli spazi, con pro-blemi di gestione del traf fico e dei servizi,confermano come i rischi di eccessiva pres-sione turistica siano del tutto fondati. Se, invece, si osservano i dati riguardanti lasola crescita delle abitazioni non occupate, op-

pure la situazione in cui si incrementano an-che i dati dell’offerta imprenditoriale ricettiva,ma comunque a fronte di un calo demografico,si nota che sono coinvolti in tali categorie so-prattutto i comuni montani: la situazione piùpreoccupante si evidenzia in Piemonte, in Li-guria, nell’Appennino Tosco-Emiliano e inquasi tutte le aree interne dall’Abruzzo allaCalabria (aumentando di intensità verso sud),come pure nelle isole. In sostanza, si assiste aun fenomeno circolare e cumulativo generatodallo spopolamento dei comuni più mar ginalidell’interno, ormai in atto in maniera inarre-stabile a partire dagli anni Cinquanta: l’assot-tigliamento della base demografica provocauna minore iniziativa imprenditoriale, anchein aree dove, venuto a mancare l’apporto delleattività primarie, la necessità dell’incrementoturistico appare questione essenziale per la so-pravvivenza. Tale situazione genera una sortadi colonizzazione turistica, che avviene sottoforma sia di seconde case, sia di iniziative im-prenditoriali nell’offerta ricettiva con capitaleesogeno all’area.Nel periodo più recente si va comunque pren-dendo ampia consapevolezza dei rischi conse-guenti all’eccessivo incremento del patrimo-nio edilizio e le amministrazioni locali ten-dono a pianificare più attentamente lo svi-luppo del costruito, sebbene non con la stessaintensità ed efficacia in tutto il territorio nazio-nale. A tal proposito, si deve segnalare comeesempio di «buona pratica» l’art. 18 sexiesdella legge provinciale 22/1991 della Provin-cia Autonoma di Trento, così come integratodalla legge provinciale 16/2005: viene intro-dotta la distinzione tra alloggi ordinari e al-loggi destinati a vacanza, limitando lo svi-luppo di questi ultimi per favorire la conserva-zione delle peculiari caratteristiche paesaggi-stico-ambientali del territorio e la sua identità

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insediativa, e con ciò privilegiando le neces-sità abitative e socioeconomiche della popola-zione stabilmente insediata. Più in generale, siva progressivamente instaurando una nuovafilosofia di recupero, laddove possibile, delpatrimonio edilizio esistente, attraverso inter-venti di riqualificazione attenti al manteni-mento delle caratteristiche architettoniche de-gli edifici, specie nei centri montani e interniricchi di tradizioni, che trovano peculiareespressione nelle abitazioni tipiche. In tale ot-tica, si potrebbe anche auspicare che il feno-meno delle seconde case divenga fattore di ri-valorizzazione delle piccole comunità locali.

4.3. I nuovi paradigmi della ricettività

In un’ottica tradizionale, il visitatore deve po-ter usufruire del massimo comfort disponibile,deve sentirsi al centro dell’attenzione, in unastruttura stabile, con personale qualificato.Tutto ciò dovrebbe essere fornito, al meglio,dalle strutture alberghiere, presenze stabili e diriferimento non solo per il turista, ma ancheper la comunità ospitante: un flusso costantedi turisti è, infatti, garantito se, in una determi-nata località, esiste un sistema ricettivo alber-ghiero più o meno rilevante, in grado di garan-tire una continua interazione con la domanda.Nel corso del tempo, però, i gusti dei turisti sisono modificati, divenendo più attenti e consa-pevoli. Il visitatore è sempre più protagonistanel declinarsi dell’of ferta, capace di indivi-duare autonomamente il tipo di consumo turi-stico prescelto. In sostanza, si possono riscon-trare due atteggiamenti – in apparenza, persinoantitetici fra loro – da parte dei fruitori dell’of-ferta ricettiva: da un lato, la tendenza a cercaresempre più lusso, comfort e ludizzazione dellavacanza (in altre parole, il massimo relax); dal-

l’altro lato, un’esigenza sempre più avvertita dicontatto con la località visitata e la comunitàospitante, allo scopo di penetrarne la reale es-senza, i contenuti sociali e le tradizioni, alla ri-scoperta di valori forzatamente trascurati nellavita quotidiana della città (tutela della natura,cibo genuino eccetera). Dalla prima tendenza, discende una posizionequasi elitaria del turista rispetto alla comunitàospitante, che si può manifestare in vari modi,quasi tutti comunque tendenti a migliorareprodotti già esistenti: si possono citare, in talsenso, l’evoluzione della formula alber ghieraverso i villaggi-residenza, spazi interclusi e difatto separati dall’ambiente circostante non tu-ristico; o le beauty farm e le health farm, mo-derni stabilimenti terapeutici più o meno origi-nali e connessi a stazioni termali, che si pos-sono presentare come strutture ricettive tradi-zionali con servizi aggiuntivi. Tali formule, difatto, tendono ad alienare il turista dall’am-biente circostante: la località prescelta diventasempre più un semplice scenario dove inse-diarsi durante le vacanze; vengono dunque aprevalere gli elementi fisici e paesaggistici delterritorio, mentre quelli sociali della comunitàospitante sono per lo più ignorati o appenasfiorati. È il turismo definito in letteraturacome enclavé, peraltro riscontrabile soprat-tutto nei paesi in via di sviluppo, dove è mag-giore lo squilibrio tra condizioni economichedei turisti e della società ospitante.Dalla seconda tendenza, si genera un turismoagente di interscambio continuo tra ospiti eospitanti, al fine di «globalizzare» i due gruppisocietari che vengono a interagire nel periododella vacanza. Questa esigenza di maggiorecontatto tra visitatori e società ospitante si ac-compagna alla ricerca di strutture ricettive ca-late nell’ambiente locale. Mentre, dunque, l’ec-cessiva standardizzazione dei servizi alber-

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L’albergo diffuso

Negli ultimi anni si va diffondendo una innovativa formula ricettiva, una formula originale che traeelementi sia da quella alberghiera sia da quella extra-alberghiera (in particolare i b&b), per costituireun prodotto nuovo che si va affermando in Italia: l’alber go diffuso. V i si intende la ricettività all’in-terno di uno spazio delimitato (la dimensione è, in gener e, quella di un piccolo centr o) in diverse di-more, spesso storiche e di pr egio per l’originalità ar chitettonica, coordinate da un ufficio di receptioncentralizzato, che gestisce le prenotazioni e i servizi (ristorazione, pulizia eccetera). Il patrimonio ricettivo è caratterizzato da una proprietà comune, che indirizza in modo unitario il recu-pero del tessuto urbano a disposizione, declinandolo, a volte, anche attraverso «tematismi» peculiari(tradizioni locali, contatto con la natura e così via). Nei piccoli centri questa or ganizzazione, che siestende «orizzontalmente» all’interno dell’abitato, può esser e un r eale volano per animar e comunitàmarginalizzate dal progressivo spopolamento e dal degrado del patrimonio abitativo storico; perciò, laformula si presta meglio alle località non ancora interessate dal turismo di massa, con una grande dis-ponibilità di edifici disabitati e con una stratificazione di usi e consuetudini storiche da r ecuperare.Si distinguono dall’albergo diffuso: il bor go-albergo, in cui la r ete di alloggi messi a disposizione deituristi non ha una proprietà e una gestione comune, ma vi è comunque un servizio centralizzato, gene-ralmente in forma di consorzio privato o pubblico-privato, che può occuparsi anche di alcuni servizi; ilresidence diffuso, in cui l’elemento territoriale si dilata ulteriormente, assumendo dimensioni a voltesovracomunali, in cui l’unico elemento di raccordo tra i diversi attori territoriali è, ancora una volta, ilservizio di prenotazione.La qualità dell’offerta integrata e la continua ricer ca di soddisfacimento delle esigenze del turista –che si deve venire a trovare in un contesto in cui si immer ge come attore, interagendo liberamente conil territorio circostante – sono tra gli elementi caratterizzanti l’alber go diffuso.Sebbene il fenomeno non abbia ancora assunto, in Italia, dimensioni quantitative rilevanti, alcune Re-gioni hanno già pr ovveduto a normarlo. All’art. 25 della l.r . 27/1998 della Sar degna, che modifical’art. 3 della l.r. 22/1984, così si definisce: «possono assumer e la denominazione di “alber go diffuso”gli alberghi caratterizzati dalla centralizzazione in un unico stabile dell’ufficio ricevimento, delle saledi uso comune e dell’eventuale ristorante e annessa cucina e dalla dislocazione delle unità abitative inuno o più stabili separati, pur ché ubicati nel centr o storico (zona A) del comune e distanti non oltr e200 metri dall’edificio nel quale sono ubicati i servizi principali». Nella l.r . 2/2002 del Friuli-VeneziaGiulia, disciplina l’albergo diffuso l’art. 64: «gli alber ghi diffusi sono costituiti da unità abitative dis-locate in uno o più stabili separati, integrate fra lor o da servizi centralizzati quali ufficio di ricevi-mento, sala a uso comune, eventualmente ristorante-bar , allocati in un unico stabile»; all’art. 65 vi èpoi la disciplina per la categorizzazione: «gli alberghi diffusi sono classificati dai comuni sul cui terri-torio insistono le strutture o, nel caso in cui la dislocazione inter essi più comuni, dal comune in cui hasede l’ufficio di ricevimento. I requisiti minimi ai fini della classificazione sono fissati con apposito r e-golamento comunale. In ogni caso il numer o dei posti letto non può esser e complessivamente inferiorea ottanta. Le unità abitative devono essere ubicate solo nei comuni amministrativamente confinanti conil comune in cui ha sede l’ufficio di ricevimento dell’alber go diffuso». L ’art. 10 della l.r . Mar che9/2006 definisce gli alberghi diffusi come «le strutture ricettive [...] a gestione unitaria, che fornisconoalloggio anche in stabili separati, purché ubicati nel centro storico e distanti non oltre cinquecento me-tri dall’edificio principale in cui sono ubicati i servizi di ricevimento e portineria e gli altri servizi ac-cessori generali, compreso l’eventuale servizio di ristorazione».Altre Regioni si appr estano a legiferare su tale formula ricettiva che, comunque, non tr ova posto a sénella normativa nazionale attualmente in vigor e, ma viene annoverata come formula rientrante, inqualche modo, nella tipologia alberghiera.

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ghieri non soddisfa appieno le nuove esigenzedi vacanza come esperienza personale, e men-tre l’eccessiva semplicità dell’of ferta, ma an-che il sovraf follamento nei periodi di alta sta-gione, non attraggono nuove quote di turistinei campeggi, a partire dagli anni Ottanta si ri-scopre il gusto delle piccole strutture ricettive,con un maggiore contatto e un rapporto più fa-miliare tra imprenditore turistico e ospite; essenon vanno a sfidare il monolitico settore al-berghiero, ma si insinuano in nuove nicchie dimercato, in territori scarsamente lambiti dalturismo di massa.In Italia, questi nuovi paradigmi della ricetti-vità si sono af fermati, invero, con ritardo:agriturismo, country house e bed & breakfast,tipologie ricettive presenti da lungo tempo inaltri territori europei, entrano con fatica nellapratica e nell’ordinamento legislativo italiano.L’agriturismo, il primo, e tuttora più dif fuso, èstato normato con la legge 730/1985, sostituitadalla più recente legge 96/2006; quest’ultima,all’art. 2, recita: «per attività agrituristiche siintendono le attività di ricezione e ospitalitàesercitate dagli imprenditori agricoli di cui al-l’articolo 2135 del codice civile, anche nellaforma di società di capitali o di persone, op-pure associati fra loro, attraverso l’utilizza-zione della propria azienda in rapporto di con-nessione con le attività di coltivazione delfondo, di silvicoltura e di allevamento di ani-mali». In sostanza, l’agriturismo si af fianca aun’attività agricola, che dovrebbe risultareprevalente, nelle finalità dell’azienda, rispettoall’attività turistica; il provvedimento legisla-tivo del 2006 amplia, peraltro, il ventagliodelle attività agrituristiche rispetto alla leggedel 1985, stemperando alcuni vincoli comequello dei pasti preparati con ingredienti pro-pri, ipotizzando attività didattiche ed escursio-nistiche anche all’esterno dell’azienda e l’or-

ganizzazione di eventi culturali e la degusta-zione di prodotti tipici.In verità, l’ordinamento legislativo nazionale,potendo solo fornire linee guida sulla materiaturistica e demandandone la disciplina speci-fica alle singole Regioni, non riesce a propu-gnare con forza un’idea qualitativamenteomogenea sul territorio italiano. Tale situa-zione, comune a tutta la gamma ricettiva, siacuisce con le nuove formule che si sono ve-nute a istituire dopo la devoluzione della pote-stà legislativa di settore; ciò non toglie chesingole Regioni abbiano trovato formule rego-lamentative piuttosto efficaci.Nel caso concreto degli agriturismi, particolar-mente interessante è la proposta di applica-zione di una loro classificazione per servizi,basata ideograficamente su un numero di «spi-ghe», seguendo il modello francese della Fé-dération Nationale des Gîtes de France(FNGF), e già sperimentata in Toscana, Um-bria e, più recentemente, in Sicilia. I criteri diclassificazione possono comunque variare daRegione a Regione: la stessa Toscana è pas-sata, in breve tempo, da cinque a tre categorie.Al di là degli aspetti legislativi, occorre sotto-lineare come gli agriturismi presentino organi-che prospettive di sviluppo soprattutto lad-dove il settore agricolo sia ancora forte e latradizione rurale sentita; altrimenti, come pur-troppo spesso accade, si rischia di creare strut-ture gestite da imprenditori generici e improv-visati, che mascherano la vera attività turisticasotto un fittizio legame con la terra, non solomistificando il prodotto a danno dei turisti, maanche – di fatto – peggiorando le condizionieconomiche e di immagine del territorio in cuisi insediano.Gli agriturismi, sostanzialmente, hanno tro-vato in Italia due aree di elezione: la prima, eprincipale, è quella dell’Appennino Settentrio-

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Il declino del camping

La formula extra-alberghiera che per prima si è affermata nel turismo di massa è il camping (seguitada quella similare del caravaning), soluzione ricettiva importante a partire dagli anni Sessanta, quandovi fu una reazione degli strati più giovani (e meno ricchi) dell’utenza turistica, allora in fase di signifi-cativa espansione sociale, ai costi elevati e all’eccessivo formalismo per cepito nella somministrazionealberghiera. Inizialmente addirittura spontaneo – con effetti di «micro-inquinamento» poco percepibili,ma non per questo meno sgradevoli e, con l’espandersi del fenomeno, pericolosi, tanto da pr ovocarneil divieto – il campeggio insiste su aree attrezzate con piazzole di sosta o, in alcuni casi, con pr efabbri-cati e bungalows. In Italia, il campeggio si è sviluppato dapprima nel Nor d-est, soprattutto sul litorale veneto e friulano,

cora piuttosto scarse; grazie agli stranieri, soprattutto i tedeschi e gli olandesi, venner o importate inquei territori le formule ricettive all’aria aperta. Ancora oggi tali ar ee sono tra quelle a maggior e in-tensità di afflusso nei campeggi; ma questi si sono affermati in molte altr e, soprattutto lungo i litorali,sia adriatico sia tirrenico, spesso là dove l’imprenditoria ricettiva tradizionale era carente. I soggiornirisultano mediamente lunghi; la portata dei flussi, viceversa, generalmente br eve dato che, in questaparticolare tipologia ricettiva, è elemento fondamentale il mezzo pr oprio come vettore di trasporto. È pur vero che il grande consumo di spazio a ridosso di elementi naturali fragili quanto pr egiati (comeil litorale, le vallate alpine eccetera) e l’elevatissima stagionalità di tale formula ricettiva ne hannorallentato l’espansione; inoltre, molti turisti hanno, nel tempo, ridotto l’appr ezzamento per il campinga causa della scomodità che spesso comporta e per ché esso determina, comunque, una forma di spaziointercluso, una segr egazione meno formale di quella alber ghiera, ma altr ettanto marcata. Ne discen-dono dati, da alcuni anni, sostanzialmente stagnanti intorno a 4,6 milioni di arrivi nazionali e 3,7 mi-lioni internazionali (2005).

nale, centrata su Toscana e Umbria, ma conpropaggini significative anche in Emilia-Ro-magna, Marche, Lazio e Abruzzo; la seconda,con caratteristiche profondamente diverse, èquella rappresentata da Trentino e Alto Adige.Concentrazioni minori, ancorché di pregio, siriscontrano nelle Langhe e nel Monferrato,mentre nel Mezzogiorno l’abbandono dei ter-ritori agricoli non ha favorito lo sviluppo diquesta formula ricettiva, che va solo ora lenta-mente diffondendosi.Accanto alle forme di ospitalità rurale, negliultimi anni si è andato sviluppando il bed &breakfast, modalità presente, in realtà, da se-coli nell’of ferta informale dei piccoli centri.La semplicità e la familiarità insite in tale tipo

di ospitalità non consentono di individuareprecisamente epoca e luoghi; sicuramente, inGran Bretagna era d’uso antichissimo acco-gliere occasionalmente il viandante in cambiodi qualche danaro. Con lo sviluppo dei flussipropriamente turistici, e la conseguente oppor-tunità di creare circuiti e forme di ricettivitàdiversificati, l’usanza di ospitare in casa si èandata sempre più raf finando. Al successo deib&b consegue il tentativo, da parte dell’En-glish Tourism Council, di creare una classifi-cazione di qualità, conferendo così, anche atali strutture, un ruolo di ospitalità «uf ficiale». Due appaiono gli elementi peculiari e distin-tivi del b&b: per primo, la componenteumana data non solo e non tanto dalla profes-

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e intorno al Lago di Gar da, là dove gli spazi a disposizione erano ampi e le struttur e alberghiere an-

sionalità del gestore, quanto dalla sua capa-cità di stabilire contatti «familiari» con l’o-spite; la seconda caratteristica, in parte di-scendente dalla prima, è la qualità dell’of-ferta, cui tendono, per diverse strade, sia lastrategia «pilotata» della formula inglese, siaquella formalmente più «liberista» del mo-dello francese, in cui è lo stesso mercato(nella persona delle associazioni di categoria)ad autoregolamentarsi verso un output pro-gressivamente superiore, attraverso l’af fina-mento continuo delle tecniche.In Italia non vi è una legge nazionale nellamateria specifica: si è preferito demandareogni aspetto, anche «di cornice», alle singoleRegioni. Prima normativa or ganica sull’atti-vità di b&b è stata la l.r . Lazio 18/1997 che,all’art. 8, recita: «coloro i quali nella casa incui abitano of frono un servizio di alloggio eprima colazione, per non più di tre camere conun massimo di sei posti letto, con caratteresaltuario o per periodi ricorrenti stagionali,non sono tenuti a richiedere al comune l’auto-rizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo7. Il servizio deve essere assicurato avvalen-dosi della normale or ganizzazione familiare efornendo, esclusivamente a chi è alloggiato,cibi e bevande confezionati per la prima cola-zione, senza alcun tipo di manipolazione». Purdeclinandosi diversamente da Regione a Re-gione, per aspetti anche sostanziali come il nu-mero massimo di posti letto usufruibili all’in-terno di ogni struttura, la caratteristica fonda-mentale di tale formula ricettiva discende dalnon configurarsi come attività imprenditoriale,

dalla stagionalità dell’apertura e dalla sempli-cità delle procedure burocratiche di avvia-mento.Dal punto di vista statistico, non esistono datiattendibili riguardo alla dif fusione del feno-meno: l’ISTAT lamenta carenze di comunica-zione con le Regioni. Dal punto di vista terri-toriale, viceversa, si notano due situazioni op-poste: l’af fiancamento a strutture ricettive dimaggiori dimensioni, nei poli turistici princi-pali (in un’ottica, al momento, da considerarsi«satellitare» e di supporto), e la dif fusa pre-senza nelle località minori, dove la ricettivitàtradizionale stenta ad af fermarsi, mentre ib&b, per la flessibilità del loro particolarestato giuridico, possono rappresentare un inputdecisivo per stimolare, nel quadro locale, lacreazione di un settore turistico di qualità e,nel contempo, sufficientemente informale.

4.4. Un indice sintetico

Allo scopo di evidenziare l’incidenza socio-spaziale delle attività turistico-ricettive, in unaprospettiva temporale, si sono calcolati un in-dice di densità e un indice di intensità turi-stica*. Per sintetizzare i risultati ottenuti, èstato poi individuato un indicatore che, combi-nando i precedenti, classificasse gli ambiti ter-ritoriali sotto un profilo tipologico di pres-sione turistica, da interpretarsi – nell’otticache qui si propone – più come propensione so-cioeconomica che come carico fisico.

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* Intesi come rapporto fra la sommatoria degli addetti nei comparti ritenuti espressivi dello sviluppo turistico (H55, alber ghi e risto-ranti, e I.63.3, agenzie di viaggio, nella classificazione censuaria ATECO 91) e, rispettivamente, la superficie territoriale e la popola-zione residente. Allo scopo di attenuare gli ef fetti della concentrazione in singoli comuni, e volendo comunque raggiungere que sto li-vello di disaggregazione territoriale, si è proceduto al calcolo dei due indici su ambiti territoriali con raggio di 20 km. Nell’analisi cen-trografica, per «ambito» del generico comune i si intende l’aggregato dei comuni circostanti i cui capoluoghi ricadono entro un raggiodato, in linea retta, dal capoluogo di i. Si attribuisce pertanto a ogni comune il valore del rispettivo ambito. Tale procedura è stata ap-plicata ai dati dei censimenti economici del 1971 e del 2001.

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Fig. 29 – Densità territoriale delle attività turistiche per ambito comunale al 1971

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Scenari italiani 2007 89

Fig. 30 – Densità territoriale delle attività turistiche per ambito comunale al 2001

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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90 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Fig. 31 – Intensità sociale delle attività turistiche per ambito comunale al 1971

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Fig. 32 – Intensità sociale delle attività turistiche per ambito comunale al 2001

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Fig. 33 – Pressione turistica per ambito comunale al 1971

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Legenda:Pressione Tipo A B Pressione Tipo A B Pressione Tipo A B

a >200 >200 d >100 <100 g >50 <50Alta b >150 >150 Media e <100 >100 Bassa h <50 >50

c >100 >100 f > 50 > 50 i <50 <50

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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Fig. 34 – Pressione turistica per ambito comunale al 2001

Nota: per le modalità di calcolo, v. nel testo (§ 4.4)

Legenda:Pressione Tipo A B Pressione Tipo A B Pressione Tipo A B

a >200 >200 d >100 <100 g >50 <50Alta b >150 >150 Media e <100 >100 Bassa h <50 >50

c >100 >100 f > 50 > 50 i <50 <50

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

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L’analisi e, per conseguenza, i risultati scon-tano alcuni limiti di fondo. Innanzitutto, lascelta dei comparti – peraltro i soli «esclusiva-mente» turistici rilevati nel censimento econo-mico italiano – è sicuramente parziale, inquanto, nelle ef fettive situazioni locali, altriservizi e attività produttive censiti in compartidiversi possono essere, almeno in parte, fina-lizzati al turismo. Inoltre, il numero degli ad-detti nel turismo «uf ficiale» nasconde spessocarenze di rilevazione e distorsioni da lavorosommerso, soprattutto nelle aree dove il feno-meno presenta maggiore esposizione alla sta-gionalità. Ancora, l’indice di densità potrebbeessere ulteriormente af finato, tenendo contodelle dif ferenti caratteristiche del territorio(pianura, collina, montagna), che riflettono lareale disponibilità di spazio per le attività turi-stiche; come pure l’indice di intensità, tenendoconto delle caratteristiche strutturali della po-polazione, che certamente influiscono sullapropensione a partecipare attivamente all’eco-nomia turistica. Resta dichiaratamente esclusa,infine, ogni valutazione di tipo geomorfolo-gico, idrogeologico e biogeografico. Nonostante ciò, si ritiene che tali indicatori –in particolare, quello sintetico di pressione –esprimano in maniera significativa le diversi-ficazioni degli spazi regionali italiani nei con-fronti della crescita turistica.Nord. – Nel Nord, già al 1971 la situazione eraalquanto definita: il turismo assumeva rile-vanza fondamentale soprattutto nelle aree al-pine, dove da tempo aveva soppiantato le tra-dizionali attività primarie. Molte aree, soprat-tutto dell’Alto Adige, del Trentino e dellaValle d’Aosta, denotavano una monoculturaimprenditoriale verso le attività turistiche, benrappresentata dalla elevatissima intensità so-ciale. Il settore turistico aveva, dunque, per-messo lo sviluppo di aree altrimenti destinate

alla marginalità rispetto ai grandi centri indu-striali della Pianura Padana. Occorre comun-que riflettere sulla reale valenza del compartosull’economia complessiva: di fatto, come poisarebbe accaduto in altri contesti territorialiitaliani, il «mito» del turismo, attività econo-mica «semplice», senza grandi investimentiiniziali e in grado di «autorigenerarsi» e ap-portare introiti anche senza una capacità speci-fica dell’imprenditore nel settore, non ha fun-zionato ovunque così bene, soprattutto neicontesti culturali e demografici più deboli,dove gli inarrestabili processi di emigrazione einvecchiamento della popolazione residenteespongono al rischio di «colonizzazione»della località da parte di imprenditoria eso-gena – provocando, a volte, una crescita iper-trofica del comparto.Il secondo segmento di forte rilevanza, nell’I-talia settentrionale, è quello legato al turismobalneare, soprattutto lungo le coste venete, ro-magnole e liguri. Mentre, però, il modello al-pino rappresenta un radicale mutamento delprofilo economico, con la sostituzione dellatradizionale economia agro-silvo-pastorale, inmolte aree litoranee il turismo ha portato aldecollo di economie in assoluto modeste, diambito limitato e a volte di totale sottosvi-luppo. Queste aree sono state in genere soste-nute, al contrario di quelle montane, da un ra-pido processo di crescita demografica e dalcontemporaneo favorevole avvio di attività in-dustriali e terziarie di varia tipologia che, af-fiancandosi a quelle turistiche, hanno determi-nato una positiva diversificazione dell’econo-mia locale.In complesso, le aree turistiche del Nord,montane e balneari, tendono a formare una co-rona di bordo che va a racchiudere l’interaPianura Padana, la quale non sviluppa le pro-prie potenzialità come attrattore, ma funge da

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grande serbatoio di immissione turistica nellearee circostanti. Soprattutto le aree alpine,dunque, fungono da duplice interfaccia tra iflussi provenienti dall’esterno, in particolaredalle regioni transfrontaliere più vicine, equelli nazionali, che si generano soprattuttodai grandi centri urbani e metropolitani. Nelperiodo osservato, inoltre, si nota come nellearee montane il turismo tende sempre più amonopolizzare il quadro delle attività impren-ditoriali. Nelle località balneari, invece, ilpeso del settore tende semmai a diminuire, pereffetto di due fattori concomitanti: la progres-siva saturazione dell’of ferta turistica, che im-pedisce la formazione di nuove attività, regi-strandosi anzi, in alcuni casi, una contrazionedel comparto dovuta all’espulsione dei seg-menti più deboli dell’imprenditoria; e lo svi-luppo concorrente degli altri settori, soprat-tutto di servizi, che, pur interagendo con ilcomparto turistico, si collocano sostanzial-mente al di fuori di esso, diversificando il pa-norama imprenditoriale dell’area.Per l’immediato futuro si può prevedere, nelNord, un incremento dei centri turistici minorie della Pianura Padana, soprattutto in Pie-monte ed Emilia-Romagna, dove emer gono iturismi di tipo alternativo rispetto alle dueforme principali; al contrario, una tendenzialecontrazione lungo le coste venete, romagnolee liguri, proprio per il consolidarsi di quei fat-tori di freno appena descritti.Centro. – Passando al Centro, il turismo assu-meva rilevanza, all’inizio degli anni Settanta,soprattutto lungo le costiere toscana, marchi-giana e, più a sud, pontina: le prime grazie auna cultura imprenditoriale consolidata oemergente, l’ultima sia per carenze negli altrisettori, sia, e soprattutto, per la prossimità delgrande bacino di domanda costituito da Roma. Nell’interno, valori emer genti di densità terri-

toriale e, ancor più, di intensità sociale si ri-scontravano in alcuni comprensori toscani(Lunigiana, Garfagnana, Valdarno Superiore,Colline Metallifere e del Chianti), con partico-lare evidenza per la provincia di Siena, perquanto all’epoca non ancora consolidata estrutturata; in Umbria (Orvieto, Assisi, ValNerina) e nelle Marche (Montefeltro e MontiSibillini), gettando le premesse per un mo-dello di sviluppo originale, per nulla confron-tabile con quelli fino ad allora presenti e desti-nato a grande successo.Al 2001 si nota, infatti, come il modello «ru-rale», che prima si estendeva in aree piuttostoframmentate e puntuali, si sia dif fuso in quasitutta la Toscana e l’Umbria, coinvolgendo an-che, in parte, la fascia appenninica dell’Emi-lia-Romagna e collinare (più raramente mon-tana) delle Marche. Pur esistendo, ovvia-mente, differenze e peculiarità in ogni area co-involta, si può osservare così la formazionespontanea di un sistema a elevata intensità so-ciale del turismo in tutto il Centro interno, purcon valori di pressione contenuti, e dunquecompatibili: ciò, anche grazie alle positiveazioni di promozione e sostegno da parte dellagovernance territoriale, da raf forzare ulterior-mente sotto il profilo imprenditoriale. La direttrice di propagazione di questa pro-gressiva apertura delle aree interne, sul ver-sante tirrenico, deriva certamente dalla con-solidata capacità turistica del litorale to-scano, che continua ad alimentare un note-vole indotto e che ha permesso, attraverso unprocesso di dif fusione per contiguità, lo svi-luppo delle aree più vicine, soprattutto lungol’asse Grosseto-Siena, per poi saldarsi allearee storiche dello sviluppo turistico umbro.In tale processo resta piuttosto in ombra ilLazio, dove le attività imprenditoriali nelsettore specifico sono state finora inglobate

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in processi più ampi di crescita dell’interouniverso delle aziende, pur mostrandosi, ne-gli anni recenti, un interessante incrementonelle province di Viterbo, Rieti e Latina.Inoltre, va considerato il ruolo attrattivo diRoma, i cui valori di pressione appaiono lie-vemente diminuiti: il che, se positivo sotto ilprofilo di una possibile attenuazione del mo-nocentrismo e della relativa congestione, nonesclude che la capitale abbia di fatto condi-zionato – e condizioni tuttora – lo sviluppodella regione, proiettandovi il suo poderoso«effetto-ombra» anche nel campo della ricet-tività, come conferma l’ulteriore concentra-zione dei valori di intensità sociale, nel pe-riodo di riferimento. Nonostante ciò, il bene-fico influsso esercitato dalle regioni contiguefa emer gere l’applicazione imitativa di mo-delli di discreto successo nelle province la-ziali: la Tuscia mutua i modelli balneare erurale della Toscana, le località montane rea-tine si vanno sviluppando sulle orme diquelle abruzzesi, le località costiere delBasso Lazio proseguono a nord le formulebalneari campane.Sud e isole . – La carenza di iniziative impren-ditoriali, nel Mezzogiorno d’Italia, è vistacome chiave di lettura essenziale del mancatosviluppo delle regioni meridionali anche incampo turistico. Al 1971, in ef fetti, poche aree manifestavanouna marcata propensione verso il turismo, acarattere endogeno solo in Campania (Golfodi Napoli, Penisola Sorrentina) e in localitàisolate della Sicilia nord-occidentale e orien-tale (Mondello, Cefalù, Taormina); esogenonel litorale del Gar gano, e in quello tirrenicocosentino, nella Sardegna settentrionale (conla neonata Costa Smeralda) e in alcune areecostiere e montane abruzzesi, che andavanosviluppandosi proprio in quegli anni. Mentre

al 2001 si notano importanti processi di diver-sificazione territoriale, in un quadro generaledi tendenziale incremento. In Abruzzo – che si aggancia al Centro anchein questo settore – la crescita è notevole nelleprovince di Teramo e dell’Aquila, ma con pro-fili radicalmente dif ferenti: nel primo caso,l’aumento della densità territoriale sulla costasi lega ancora al modello balneare, mentreemergono modelli alternativi nelle aree colli-nari e montane (così, nel Parco Nazionale delGran Sasso e Monti della Laga); nel secondo,aumenta soprattutto l’intensità sociale, grazieallo sviluppo dell’imprenditorialità nel bacinosciistico degli Altipiani Maggiori (centrato suRoccaraso), pur se si affacciano problematichemonoculturali in parte analoghe a quelle al-pine, accentuate dalla debolezza intrinseca deltessuto demografico. Per la Puglia e la Campania – a fronte dellaconstatazione che le aree con maggiore den-sità territoriale rimangono grosso modo lestesse – occorre notare come le fasce internetendano persino a declinare, con l’eccezionedi casi af fatto particolari come quello di SanGiovanni Rotondo. Mentre nel Salento, comein Calabria, l’indicatore sintetico della pres-sione mostra una significativa estensione divalori medi, e dunque compatibili, indivi-duando i punti di attacco a un turismo non più«coloniale», ma fondato sulla valorizzazionedel patrimonio culturale e di nascenti impren-ditorialità locali.Evidente, in Sicilia, il consolidarsi dei com-prensori orientali, ma anche l’emer gere dinuove aree lungo la costa del Mare Africano edi una propensione turistica finora «latente»nella cuspide occidentale, così che si può os-servare una tendenza alla dif ferenziazione trafascia occidentale e orientale dell’isola. InSardegna, infine, se l’aumento della densità

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territoriale a nord-est evidenzia la massifica-zione della Costa Smeralda, l’estensione divalori medio-alti di intensità sociale lungotutta la costa orientale bene interpreta uno svi-luppo di cui la Regione tende a riappropriarsi,integrandolo con il recupero di valori dellearee interne.Concludendo, la lettura comparata delle cartecostruite sull’indicatore di densità sembre-rebbe avallare l’ipotesi di una sostanziale sta-gnazione del turismo italiano nella sua distri-buzione territoriale: le dif ferenze, a trent’annidi distanza, appaiono davvero minime. Vice-versa, un confronto basato sull’indicatore diintensità sociale mostra una significativaestensione dei valori medio-alti soprattuttonell’Italia centrale e in Sardegna, oltre a un ul-teriore aumento in Alto Adige: peraltro, trat-tandosi di un rapporto quantitativo fra attivitàeconomiche e popolazione residente, lo scarsodinamismo di quest’ultima nello stadio attualedella transizione demografica italiana suggeri-

sce di interpretare lo sviluppo delle attività tu-ristiche, anche in queste aree, come relativo.Se ne deduce come non vadano coltivate ec-cessive illusioni sulla possibilità che sia que-sto settore a rivitalizzare aree marginali in fasedi avanzato declino, ove non concorrano altrifattori di ripresa.In ogni caso, l’indicatore sintetico di pres-sione/propensione mostra incoraggianti feno-meni di riequilibrio, con la decompressione,ancorché parziale, di alcune aree storiche delturismo italiano (la Liguria, ad esempio) e, percontro, la propagazione delle attività turistichesoprattutto nel Mezzogiorno costiero e nellearee interne del Centro. Gli ef fetti della diver-sificazione – territoriale, ma soprattutto tipolo-gica – del settore, ampiamente descritta nelleparti precedenti di questo Rapporto, si vannodunque manifestando e lasciano prevedere, at-traverso un progressivo consolidamento strut-turale, ulteriori positivi ef fetti di conver genzaregionale.

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5.1. Stato e Regioni

A partire dal secondo dopoguerra si assiste, inItalia, a un processo di «regionalizzazione»del fenomeno turistico che, peraltro, af fondale sue radici nella riforma degli anni Trenta.Con i regi decreti legge 371/1931 e1425/1935 nascevano, infatti, il Commissa-riato per il Turismo e gli Enti Provinciali peril Turismo (EPT) che, sebbene non modificas-sero sostanzialmente la logica di gestione eamministrazione ancora fortemente centraliz-zata dall’ENIT, tuttavia si proponevano comeun apparato parallelo centro-periferia. Il riconoscimento normativo della natura re-gionale del turismo e dell’industria alber-ghiera si avrà con gli artt. 1 17 e 1 18 dellaCarta costituzionale, anche se occorrerà at-tendere gli anni Settanta per assistere operati-vamente all’avvio di tale fase. Nel frattempo,la nascita del Ministero del Turismo, con lal. 617/1959, consacrava il ruolo primario delloStato nella promozione e or ganizzazione del-l’attività, pur nell’ambito di un più ampio ri-ordino delle strutture periferiche (d.p.R.1041-2-3-4/1960), considerate come enti for-malmente autonomi operanti sul territorio, enon come or ganismi locali in senso proprio.Ben presto, iniziavano a profilarsi i limiti ditale sistema e ad evidenziarsi i non pochiproblemi connessi alla programmazione deifinanziamenti e, in senso generale, alla con-trapposizione tra una visione rigida e accen-trata e una più elastica e decentrata.Con l’istituzione delle Regioni a statuto ordi-nario (1970) inizia un complesso periodo ditransizione istituzionale, caratterizzato da

un’ampia stagione di riforme non disgiuntada un’accesa conflittualità. Il d.p.R. 6/1972disponeva il trasferimento alle Regioni di«tutte le funzioni amministrative esercitatedagli organi centrali dello Stato in materia tu-ristica», creando sostanziali elementi di per-plessità circa la parzialità delle attribuzioni ela inalterata situazione relativa alla preesi-stente struttura amministrativa centrale e lo-cale. Per ovviare a tale quadro di incertezza,interveniva il d.p.R. 616/1977 che, in ma-niera più or ganica, definiva gli ambiti dicompetenza regionale e, soprattutto, apriva lastrada alla programmazione di una politica disviluppo del turismo su base decentrata. Lefunzioni trasferite alle Regioni riguardavanola programmazione, lo sviluppo e l’incentiva-zione del turismo; l’or ganizzazione di mani-festazioni turistiche; le competenze sugli EntiProvinciali del Turismo e sulle Aziende Au-tonome di Cura, Soggiorno e Turismo (com-presi la nomina e la revoca degli amministra-tori e i controlli sugli enti); la classificazionedegli immobili adibiti a uso ricettivo; le pro-fessioni turistiche; le opere, gli impianti e iservizi complementari all’attività turistica.Restavano di competenza dello Stato – oltreal potere di determinare i principi normativi«quadro» della disciplina di settore – la fun-zione di indirizzo e coordinamento dell’atti-vità amministrativa regionale, anche con rife-rimento alle esigenze e ai vincoli della pro-grammazione economica nazionale e degliimpegni di diritto internazionale e comunita-rio; la gestione dei rapporti turistici interna-zionali; la promozione turistica all’estero; ladirezione e il controllo di ENIT , ACI e CAI;

5. Gli attori e la comunicazione

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l’apertura delle agenzie di viaggio, previo pa-rere delle Regioni interessate. Tuttavia, nonostante la struttura dualisticaStato-Regioni fosse avviata, bisognerà atten-dere la Legge quadr o per il turismo e inter-venti per il potenziamento e la qualificazionedell’offerta turistica (217/1983) per registrareuna significativa svolta dell’ordinamento: lalegge indica, da un lato, una serie di nuovi cri-teri organizzativi e avvia, dall’altro, un proce-dimento riformatore tuttavia da attuarsi me-diante ulteriori norme dello Stato e delle Re-gioni, nelle rispettive competenze. Tra le fun-zioni trasferite alle Regioni vi erano le attribu-zioni inerenti a tutti i servizi, le strutture e leattività, pubbliche e private, riguardanti l’or-ganizzazione e lo sviluppo del turismo regio-nale, anche nei connessi aspetti ricreativi edell’industria alberghiera; vi rientravano le at-tività degli enti e delle aziende pubbliche lo-cali, nonché le competenze relative a opere,impianti, servizi complementari all’attività tu-ristica, alla vigilanza sulle attività turistico-ri-creative degli ACI provinciali, alla istituzionee gestione (in collaborazione con l’ENIT) de-gli uf fici di rappresentanza, informazione epromozione turistica all’estero, al parere per ilrilascio delle licenze a cittadini e imprese ex-tracomunitari, ai finanziamenti agevolati. Trale funzioni delegate, invece, quelle ammini-strative per attività turistico-ricreative sul lito-rale marittimo, sulle aree demaniali immedia-tamente prospicienti, sulle aree del demaniolacuale e fluviale.Gli aspetti innovativi della legge 217 si evi-denziano, dunque, in una maggiore chiarezzaprocedurale, nella fissazione di competenzecerte e determinate riconosciute agli enti re-gionali e nella previsione di nuovi modelli or-ganizzativi dell’accoglienza e promozione tu-ristica da parte delle Regioni, sganciandosi dal

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sistema degli enti provinciali e delle aziendedi soggiorno. Con riferimento a quest’ultimoaspetto, le Regioni acquisivano un’importanteautonomia nell’ambito comunitario, previa in-tesa con il Ministero del Turismo, mentre perla promozione nei paesi extracomunitari e perla partecipazione a fiere ed esposizioni inter-nazionali dovevano continuare ad avvalersidelle strutture dell’ENIT. Rappresentava, que-sto, un passaggio fondamentale, che gettava lebasi per la definizione di un diverso e piùcomplesso ruolo delle Regioni, chiamate, insostanza, a funzioni non più solo amministra-tive, di regolamentazione e vigilanza, ma an-che a funzioni attive di indirizzo e impulsodello sviluppo turistico del territorio. Con l’introduzione di APT (Aziende di Pro-mozione Turistica) e IA T (uffici di Informa-zione e Accoglienza del Turista), in sostitu-zione di EPT e AACST, si riproponeva, tutta-via, il modello istituzionale nella natura diente pubblico strumentale; ma, soprattutto, siintroducevano una marcata disomogeneità, alivello regionale, nell’applicazione della nor-mativa (si passava da Regioni, come il Veneto,che istituivano ben 38 APT, a Regioni che nemantenevano sostanzialmente la dimensioneprovinciale) e una evidente debolezza inter-pretativa, che finiva col generare una zonizza-zione meramente strumentale alla coperturadel territorio piuttosto che funzionale alle realivocazioni turistiche omogenee.Di fatto, nonostante i non pochi elementi rifor-matori, la materia «turismo e industria alber-ghiera» restava immobilizzata nelle secche deltormentato e conflittuale rapporto Stato-Re-gioni, che proseguiva malgrado l’abolizionedel Ministero del Turismo e dello Spettacolo,avvenuta con referendum abrogativo del 18aprile 1993: infatti, nonostante che la normaprevedesse il trasferimento «alle Regioni a

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100 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

I Sistemi Turistici Locali

Nell’ordinamento legislativo italiano sono stati intr odotti, dall’art. 5 della l. 135/2001, i Sistemi T uri-stici Locali (STL), ripartizioni territoriali definite come «contesti turistici omogenei o integrati, com-prendenti ambiti […] appartenenti anche a r egioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beniculturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compr esi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigia-nato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate».In pratica, la legge nazionale non ha affatto risolto la questione di cosa si potesse intender e per STL,delineando solo una labile cornice per un quadr o che doveva essere necessariamente completato dalleRegioni. Queste, purtroppo, mancano in genere di un livello sufficiente di analisi territoriale per poterstabilire con efficacia se vi siano aree «vocate», o meno, ad accogliere il nuovo soggetto. Inoltre, nellaformulazione della legge restano diversi nodi: se i STL abbiano personalità giuridica autonoma o rap-presentino soltanto una forma di perimetrazione; se debba esservi una copertura totale o anche soloparziale del territorio regionale; se l’iniziativa per la delimitazione dei STL e le relative attività debbaessere esclusivamente pubblica o possa esser e demandata a consorzi misti pubblico-privato o, ancora,a imprenditori privati.Al momento, sono undici le Regioni che hanno deliberato in materia (cui si dovr ebbero aggiungere, abreve, Lazio, Campania e Calabria), fissando criteri comunque eterogenei tra loro, che di fatto impedi-scono la previsione di sistemi interregionali auspicata dal citato art. 5 della legge nazionale, ma spessoanche di quelli interprovinciali all’interno della medesima regione.In una rapida panoramica, si evidenzia che: – Veneto e Basilicata hanno scelto una perimetrazione che copr e l’inter o territorio, imposta dallo

stesso ente regionale. Nel caso del Veneto, gli ambiti territoriali dei STL sono stati previsti fin dallalegge regionale istitutiva del 2002; mentr e, nel caso della Basilicata, con successivo decr eto dellaGiunta Regionale 2586/2003 si è riconosciuta l’equivalenza dei STL con le «aree di prodotto» pre-cedentemente individuate nel Piano Turistico Regionale (approvato con d.G.R. 263/2001);

– Umbria, Marche e Sar degna hanno demandato la scelta agli enti locali, di fatto comunque com-prendendo nel disegno tutta la superficie della r egione. In realtà, fra le tre, vi sono situazioni moltodifferenti e che meritano un breve approfondimento. L’Umbria ha di fatto riconosciuto come STL seidelle vecchie APT, mentre gli altri due sistemi sono frutto dell’aggr egazione di tre comprensori. LeMarche avevano riconosciuto dieci STL, che coprivano l’intera superficie r egionale con l’esclu-sione di soli quattr o comuni; il nuovo d.G.R. 1533/2006 impone, però, limiti molto pr ecisi, ovveroche «l’estensione [dei STL] deve corrisponder e almeno all’80% della pr ovincia di riferimento ecomprendere sia la fascia costiera che l’entr oterra», con la conseguente drastica riduzione deglistessi (che in pratica coincideranno con le cinque pr ovince). La Sardegna, dopo un processo piutto-sto rapido di deliberazione, ha di fatto riconosciuto come STL le otto province, in alcuni casi mu-tando il nome per meglio caratterizzare il prodotto turistico;

– Lombardia e Liguria, con diversi criteri, hanno lasciato l’iniziativa di individuazione dei STL a entilocali e imprenditori privati;

– Abruzzo, Molise, Puglia e Sicilia non hanno ancora attivato nel concr eto i STL. In Puglia, attual-mente, vi sono però 5 Pr ogetti Integrati Speciali a tematica turistica inseriti nel POR 2000-2006:Itinerario turistico-culturale bar occo pugliese; Itinerario turistico-culturale normanno-svevo-an-gioino; Itinerario turistico-culturale habitat rupestr e; Turismo, cultura ed ambiente nel Sud Sa-lento; Turismo, cultura ed ambiente nel Gar gano. In Sicilia, in attesa dell’attuazione dei STL, sonostate avviate procedure di aggregazione spontanee.

Molte delle legislazioni regionali ripetono, più o meno, la formula generale della normativa nazionale;pure, vi sono alcune eccezioni significative, soprattutto nelle legislazioni più r ecenti. Ad esempio, la

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l.r. 10/2005 della Sicilia usa il termine di Distr etti Turistici, sebbene, di fatto, esso appaia un mer o si-nonimo di STL. Anche nella legislazione in itinere della Regione Campania si scorgono alcune novità:sono previsti, infatti, Distretti Turistici Culturali (DTC) all’interno dei STL, i quali, a lor o volta, pos-sono aggregarsi in Club di Prodotto. L’esperienza dei STL non è stata, finora, molto positiva per ché gli stessi rimangono sostanzialmentesconosciuti all’utenza o, peggio, sono rimasti solo sulla carta. Significativo, in pr oposito, è un passag-gio del Documento Annuale di Indirizzo sul Turismo della Regione Umbria, del 2006: «In fin dei contii STL, più che sviluppare politiche territoriali, svolgono le funzioni di finanziamento con risorse r egio-nali di iniziative tradizionali di carattere locale […] Nel contesto nazionale di cessazione dei finanzia-menti della l. 135/2001, ne esce rafforzata l’idea di non insister e nella strada avviata che ha configu-rato i Sistemi Turistici Locali come una sorta di istituzione obbligatoria».

Regione

Lombardia

Liguria

Veneto

Umbria

Marche

Abruzzo

Molise

Puglia

Basilicata

Sicilia

Sardegna

Legge di attuazione

l.r. 8/2004, art. 3

l.r. 14/2004, art. 9;l.r. 28/2006, art. 11

l.r. 33/2002, art. 13

l.r. 29/2001, art. 8

d.G.R. 578/2002;l.r. 35/2006, art. 8

l.r. 17/2004, art. 1

d.G.R. 652/2006

l.r. 1/2002, art. 5

l.r. 7/2003, art. 25;d.G.R. 2586/2003

l.r. 10/2005, art. 6

d.G.R. 34/11, 2005;d.G.R. 23/19, 2006

STL individuati

Adamello; Lago di Como; La sublimazione dell’acqua; La via del ferro daBrescia alla Valle Trompia; Po di Lombardia; Provincia di Bergamo; Rivieradel Garda bresciano; Valchiavenna; Valtellina; Varese-Land of tourism

Cinque Terre-Riviera Spezzina; Genovesato; Golfo dei Poeti, Val di Magrae Val di Vara; Terre di Portofino

Altopiano di Asiago; Belluno, Feltre e Alpago; Bibione e Caorle; Chioggia;Dolomiti; Garda; Jesolo ed Eraclea; Padova; Terme Euganee; Rovigo; Tre-viso; Venezia; Verona; Vicenza

Alta valle del Tevere; Assisi; dell’Alto Chiascio; del Perugino; del Trasi-meno; Media valle del Tevere; Provincia di Terni; Valli e monti dell’Umbriaantica

In attesa del nuovo disegno dei STL che seguano i criteri del d.G.R.1533/2006. Attualmente essi sono: Altamarina; Il mare Adriatico dellegrandi firme; Marcabella; Marca Fermana: dal mare ai monti azzurri; Misa-Esino-Frasassi (primo riconosciuto in Italia); Monti Sibillini: terra di parchie di incanti; Piceno maremonti; Riviera del Conero; Terre dell’infinito; Ur-bino e il Montefeltro

Non ancora attivati

Non ancora attivati. STL non ufficiale: Stella del Molise

Non ancora attivati. STL non uf ficiali: Gar gano; Lecce; Otranto; Leuca;Gallipoli; Nord Leccese interno; Terre di Storia; Puglia Imperiale

Maratea ed i monti del Sirino; Matera e la collina materana; Metapontum ela costa ionica; Parchi ed aree protette; Potenza ed il Vulture melfese

Non ancora attivati. Sono state avviate procedure di aggregazione spontaneaper: Distretto Turistico Ibleo (provincia di Ragusa); Distretto CulturaleTaormina-Etna; Distretto Turistico dei Nebrodi; Distretto Turistico del Tir-reno (asse Palermo-Messina); Distretto Culturale del Barocco della Siciliadi Sud-Est

Karalis; Medio Campidano; Sulcis-Iglesiente; Eleonora d’Arborea; Oglia-stra; Nuorese; Sardegna Nord Ovest; Gallura-Costa Smeralda

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statuto ordinario di tutte le competenze e fun-zioni amministrative del soppresso Ministero,salvo quelle espressamente attribuite all’am-ministrazione centrale dello Stato», si risolle-varono numerose polemiche e accesi dibattiticirca l’interpretazione fortemente estensivadella stessa a favore delle funzioni ancora ri-servate allo Stato.Seguiva un decennio caratterizzato da in-tensa produzione legislativa, tesa a consoli-dare il passaggio dalla fase centralista aquella regionalista. Dopo che il d.lgs.112/1998, all’art. 45, aveva conferito alleRegioni tutte le funzioni amministrative sta-tali concernenti la materia del turismo, lal. 135/2001 (Riforma della legislazione nazio-nale del turismo) confermava alle Regioni lacompetenza generale in materia, delineandoun sistema fondato non più sulla separazionedi materie e competenze, bensì sulla distin-zione di ruoli comunque raccordati in fun-zione del perseguimento di obiettivi comuni.Con la nuova normativa, spettano alle Re-gioni l’emanazione dei provvedimenti attua-tivi delle linee guida per le politiche del turi-smo, nonché – d’intesa con il Ministero del-l’Industria, Commercio e Artigianato e attra-verso la Conferenza permanente per i rap-porti Stato-Regioni-Province Autonome –l’organizzazione della Conferenza nazionaledel turismo, la predisposizione dei bandi an-nuali relativi al Fondo di cofinanziamento, ilrilascio delle autorizzazioni per l’eserciziodelle professioni turistiche, la codetermina-zione della disciplina e del funzionamentodel Fondo di rotazione per il prestito e il ri-sparmio turistico, l’esercizio di tutte le fun-zioni relative alla concessione di contributi aimprese turistiche, la promozione e il soste-gno alla costituzione di consorzi turistico-al-berghieri. Infine, di grande rilevanza nell’ot-

102 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

tica territoriale, l’istituzione dei Sistemi Tu-ristici Locali.Successivamente, la riforma del titolo V dellaCostituzione, con la l. 131/2003, sanciva l’at-tribuzione inequivocabile ed esclusiva di tuttele competenze in materia di turismo e indu-stria alberghiera alle Regioni, non sottoponen-dole più al potere di indirizzo e coordina-mento del governo centrale. Il lungo percorso di riforma legislativa del tu-rismo, pur richiedendo i necessari adegua-menti del sistema pubblico al nuovo ruolodelle Regioni, ha chiaramente indotto, in que-ste ultime, una nuova filosofia operativa ten-dente a coniugare un approccio aziendalisticocon una politica di apertura alle dinamiche dimercato e all’autonomia dei privati. Ciò vuoldire che, se da una parte si riconosce l’impor-tanza di promuovere una politica turistica dalbasso, che muova dal territorio e dalle comu-nità locali che lo abitano, dall’altra si scom-mette sulla piena responsabilizzazione deglienti chiamati a raccoglierne la sfida in terminidi competitività e sviluppo. Tutto questo, men-tre le indicazioni delle ultime Conferenze na-zionali del turismo richiamano la necessità diuna apertura europea e l’ur genza di un mag-giore coordinamento regionale per af frontareproblematiche di notevole attualità per unamateria, come il turismo, le cui complessità eintersettorialità necessitano di una visione si-stemica, che coinvolga poteri pubblici e ini-ziativa privata nell’ambito di una or ganicaprogrammazione economica.

5.2. Gli operatori privati

Il sistema imprenditoriale italiano, in generale,è caratterizzato dal peso determinante della

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piccola e media azienda, il che, se rappresentaun fattore di flessibilità e dinamismo vincentenelle realtà distrettuali di successo, spesso in-vece si trasforma in un elemento di debolezzastrutturale e di inadeguatezza competitiva. Analoga tendenza alla esiguità dimensionale èriscontrabile nel settore turistico: nessun touroperator o catena alber ghiera a capitale ita-liano figura ai vertici delle rispettive classifi-che internazionali in termini di fatturato e diorganico, benché – lo ricordiamo – l’Italia sipossa definire la quinta potenza turistica mon-diale. Basti pensare che il primo tour operatoritaliano, Alpitour, occupa la 20 a posizione inEuropa, mentre nella classifica delle principalicatene alber ghiere del mondo, guidata dallafrancese Accor, l’Italia figura addirittura al131° posto con Jolly Hotels (che risulta, peral-tro, in forte arretramento relativo: nel 1996 sicollocava al 78° posto). Anche nel connessosettore del trasporto aereo low cost, che va re-gistrando in tutto il mondo tassi di crescita tu-multuosi, gli operatori italiani stentano ad af-fermarsi persino sul mercato nazionale, in cuiè leader la compagnia irlandese R yanair, conuna quota del 30%. Tornando al parallelo con i distretti industriali,in quel contesto la piccola dimensione indivi-duale è spesso compensata da siner gie deri-vanti dalla partecipazione alla filiera produt-tiva e dalla condivisione di un know-how for-temente specifico, il che può decretare il suc-cesso di realtà imprenditoriali altrimenti con-dannate alla mar ginalità. Nel settore turistico,invece, appare ancora troppo poco dif fuso ilricorso al modello reticolare e alla logica si-stemica, che potrebbero almeno in parte con-trobilanciare le ridotte dimensioni e la scarsaintegrazione orizzontale e verticale delle im-prese che vi operano. In paesi come StatiUniti, Germania, Gran Bretagna e Francia glioperatori del settore turistico tendono, infatti,

ad assumere dimensioni rilevanti anche attra-verso forme di integrazione orizzontale (è ilcaso soprattutto delle catene alber ghiere) everticale (cointeressenze di varia natura tra li-nee aeree, catene alber ghiere, tour operators ,reti di agenzie e strutture di incoming), se-condo una logica aziendale che in Italia stentaad af fermarsi, e che trova ulteriore spiega-zione nella storica assenza di una strategia dimarketing turistico della compagnia aerea dibandiera. Ne consegue un deficit di competiti-vità dei nostri operatori, che stentano a rag-giungere la soglia dimensionale e la massa cri-tica necessarie per competere ef ficacementecon il «gigantismo» tedesco, britannico e sta-tunitense. Se è vero che il turismo è sempre meno stan-dardizzato e richiede soluzioni sempre piùspecifiche, è anche vero che, spesso, solo lagrande dimensione – cui si associano, verosi-milmente, ingenti disponibilità finanziarie econseguente potere contrattuale da esercitaresu attori pubblici e privati – può, da un lato,far conoscere e rendere turisticamente rile-vanti destinazioni emer genti di nicchia e, dal-l’altro, convogliare nella direzione desiderata iflussi caratterizzati da scarsa iniziativa indivi-duale, come i «viaggi or ganizzati», che purerappresentano ancora una quota consistentedel movimento turistico complessivo. Nelprimo caso, si pensi al ruolo che una compa-gnia aerea low cost del calibro di R yanair puòesercitare nello sviluppo turistico di un territo-rio prescelto come scalo in virtù delle favore-voli condizioni contrattuali accordate dal rela-tivo ente di gestione aeroportuale. Del se-condo, è esempio il turismo cinese outbound,che in Europa è praticamente monopolizzatoda operatori tedeschi, mentre vede l’Italia inposizione marginale nonostante il grande inte-resse del mercato cinese verso il nostro paese. Scendendo nel dettaglio, va detto innanzi-

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tutto che il mercato del tour operating ita-liano presenta – e sembra quasi un paradosso– una struttura fortemente concentrata al ver-tice: le prime sei aziende cumulano ben il60% del fatturato. In realtà questa configura-zione è frutto di un processo di acquisizionie accordi portato avanti negli ultimi anni daiprincipali operatori che, va riconosciuto,procede nella direzione di un aumento di-mensionale delle aziende leader e quindidella riduzione del divario che separa larealtà italiana da quella dei paesi concor-renti. Segue un nugolo di circa 120 traaziende piccole e medie, per il quale si devepurtroppo valutare un eccesso di of ferta ri-spetto alla domanda. Va inoltre sottolineato che la scarsa presenzadi tour operators italiani di rilievo interna-zionale è dovuta anche alla particolare evo-luzione storica del turismo in Italia, ovveroal fatto che il paese si è dapprima strutturatocome ricettore e solo in un secondo mo-mento come generatore di flussi. Non èquindi un caso che i principali tour opera-tors europei abbiano sede in Gran Bretagna ein Germania, paesi che per primi hanno ge-nerato flussi outbound consistenti, stabili eorganizzati secondo le caratteristiche del tu-rismo moderno. Sul versante della ricettività risulta, invece,difficile capire perché – come ampiamenteargomentato nelle parti precedenti di questoRapporto – il sistema alber ghiero italiano,pur essendo molto consistente in termini dicamere e posti letto, sia così poco integratoorizzontalmente, e questo a prescindere dallanazionalità del capitale di controllo: solo il4% degli alber ghi italiani è infatti costituitoda strutture facenti capo a catene internazio-nali (contro una media europea del 20% estatunitense del 70%). Eppure è dimostrato

che le catene alber ghiere, con i loro marchidiffusi e riconosciuti a livello internazionalee la garanzia di precisi standard qualitativi,riescono a essere più competitive e a regi-strare performances più elevate: mentre l’al-bergo singolo italiano (dati 2005) registra, inmedia, un tasso di occupazione del 52,1%,gli alber ghi appartenenti a una catena (conuna dimensione media di 165 camere perunità) conseguono un tasso di occupazionedel 62,3%. Anche per questo aspetto, pur in assenza didati precisi, si può tuttavia ipotizzare – sullabase empirica di osservazioni relative a casisignificativi come Torino, Roma, Napoli, Ca-pri – che il dinamismo delle catene alberghiereinternazionali stia attivando una linea di ten-denza destinata, in prospettiva di medio ter-mine, a modificare le percentuali di cui sopra.Il meccanismo di intervento non è solo e tantoquello degli investimenti diretti, quanto dellapresa in carico della gestione di alber ghi pree-sistenti, pur restando in mano dei precedentititolari la proprietà dell’immobile.Venendo, infine, al trasporto aereo low cost ,non si può ignorare il fatto che il suo sviluppostia rivoluzionando, non solo la modalità diviaggiare di un numero crescente di persone,ma anche la geografia degli scali aeroportualie, complessivamente, delle destinazioni turi-stiche e della relativa portata spaziale, enor-memente dilatata. Per quanto riguarda l’Italia,possiamo af fermare che, sul fronte incoming,il 33% dei viaggiatori stranieri che utilizzanol’aereo (ancora dati 2005) si avvale del lowcost (+20% rispetto al 2004). Di questi, circal’80% arriva in Italia a scopo di turismo, so-prattutto culturale e rivolto alle città d’arte(71% del totale dei turisti low cost), coerente-mente con la filosofia del point-to-point cheispira questo tipo di collegamento. E infatti

104 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

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Lazio, Veneto, Lombardia e Toscana, ossia leregioni più interessate da questa forma di turi-smo, sono state anche quelle che hanno regi-strato il maggior numero di arrivi. Sul fronteoutgoing, il 21% degli italiani che nel 2005 sisono recati all’estero in aereo ha utilizzato unvolo low cost . È interessante però notare chel’incremento rispetto al 2004 è stato in questocaso del 41%. Risulta quindi evidente che quello del low costè un mercato in straordinaria espansione, an-che in Italia, che però vede i due leaders euro-pei del settore (R yanair e easyJet) e le nume-rose compagnie straniere che operano in Italia(Air Berlin, Hlx, Transavia, Vueling, German-wings e altre) in posizione già avvantaggiatarispetto ai concorrenti italiani (W indjet, Vola-reweb, My Air eccetera), penalizzati anche inquesto caso dalle contenute dimensioni azien-dali, oltre che da complesse vicissitudini so-cietarie. L’espansione del low cost sta diventando untraino formidabile per aeroporti di secondo li-vello come Ciampino, Orio al Serio, Pisa, Tre-viso, Forlì e Ancona, che le compagnie lowcost spesso preferiscono agli scali principaliper le migliori condizioni contrattuali. Tuttociò genera ricadute turistiche positive per cittàd’arte minori e destinazioni periferiche ri-spetto ai circuiti principali. Si può citare al ri-guardo l’esempio abruzzese dell’aeroporto diPescara che, assicurando collegamenti diretticon Gran Bretagna, Germania e Belgio, ha si-curamente contribuito allo sviluppo del portoturistico Marina di Pescara e all’attivazione, ascala regionale, di un flusso straniero verso lo-calità «minori» di grande interesse paesaggi-stico e culturale, decretando fra l’altro il suc-cesso commerciale delle nuove formule di bed& br eakfast e alber go dif fuso, in particolarenell’area del Gran Sasso.

5.3. I loghi regionali e il «marchio Italia»

I loghi regionali rappresentano un’importanteforma di promozione e valorizzazione turisticadel territorio italiano. Come detto sopra, dallalegge quadro 217/1983 si è avviato il progres-sivo decentramento della politica di promo-zione a favore degli enti regionali, sebbenesolo a partire dagli anni Novanta, e con dif fe-renti temporalità, si sia af fermata una nuovafilosofia operativa coincidente con l’idea dellaRegione-azienda, attenta alle logiche di mer-cato e chiamata a gestire direttamente la pro-mozione e comunicazione del territorio e dellesue risorse, facendo del marketing uno stru-mento innovativo per il raggiungimento di talirisultati.In un mercato ormai inflazionato da destina-zioni e prodotti sempre meno riconoscibili, ilperseguimento di una politica «di marchio»(brand) diviene fattore strategico fondamen-tale, poggiato sulla costruzione di una imma-gine distintiva, a sua volta capace di produrreconoscenza e di riaf fermare con sistematicitàgli elementi della identità regionale. Ciò è ba-silare per la competitività e si coniuga con lacapacità di fissare, attraverso un segno distin-tivo, generalmente accompagnato da una frasea ef fetto immediato ed evocativo ( claim), al-cuni punti fermi nella percezione, nonché diincorporare e trasmettere, attraverso una ef fi-cace sintesi contenutistica, gli elementi diforza e positività di un territorio.Dall’analisi dei loghi regionali italiani si de-linea un marketing turistico del paese moltovariegato. Non mancano situazioni di ritardoe di incompiutezza, che evidenziano condi-zioni di debolezza promozionale, come nelcaso di alcune regioni meridionali, quali laPuglia e la Basilicata, per le quali risultanoattualmente in preparazione specifiche

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Fig. 35 – Loghi e claim regionali

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«campagne» (la seconda dispone comunquedi un logo, Basilicata turistica, che richiamai punti di forza della sua of ferta: siti archeo-logici, mare, centri storici), mentre nel casodel Lazio e della Sardegna la mancanza deiloghi è in qualche modo compensata dallaproposta di claims accattivanti ( Il Lazio chenon ti aspetti ) e persino ambiziosi ( Quasi uncontinente, che esprime la fierezza di unaterra capace di of frire la più ampia tipologiadi risorse turistiche). Per contro, altre Regioni esprimono una poli-tica di marchio estremamente curata, e di qua-lità, pur con significative differenziazioni. Un primo gruppo tende a identificare la pro-pria immagine turistica con quelle dell’acco-glienza e dell’ospitalità, come risulta in ma-niera esplicita nel caso della Toscana (La qua-lità dell’accoglienza è in buone mani ) e delFriuli-Venezia Giulia (Ospiti di gente unica) e,in modo più velato, per l’Emilia-Romagna(Terra con l’anima).Sulla natura puntano Abruzzo e Umbria, percogliere l’opportunità of ferta dai crescenti bi-sogni collettivi di ambiente intatto ( Vivi la tuanatura; The green heart of Italy). Un terzo, e numeroso, gruppo di Regioni enfa-tizza i caratteri della propria terra proponen-done interpretazioni di tipo percettivo: così laSicilia, Una terra che racconta , prospetta l’i-dentificazione sentimentale e introspettiva delGrand Tour; la Campania, Una terra alla lucedel sole , declina la propria of ferta con un ri-chiamo – in sé stereotipo – alla solarità clima-tica che, tuttavia, si propone di comunicaresensazioni di tranquillità e sicurezza anchesotto il profilo sociale; la Liguria, offre, in ma-niera simpaticamente ambigua, Terradamare,una caratterizzazione decisamente centratasulla risorsa costiera, ma anche un forte ri-chiamo al fascino romantico; mentre il Veneto

propone una immagine quasi eterea, sospesaTra la terra e il cielo . A sua volta il Molise, Terra di scoperte , foca-lizza l’attenzione sulla ancora scarsa cono-scenza del proprio territorio, che ben si co-niuga con una domanda turistica alla ricerca dinuove sensazioni; e anche il Piemonte, Scopri-telo adesso, invita alla visita di una regione ri-masta per troppo tempo ai mar gini del pano-rama turistico italiano e la cui accoglienzaviene simbolicamente rappresentata dalla sa-goma stilizzata di un uomo a braccia aperte. Altre Regioni, ancora, tendono ad ampliare lospettro delle proprie risorse con messaggi di-retti e forti, che scommettono sulla capacità disedurre i potenziali clienti senza timore di de-luderne le aspettative: in particolare, la Valled’Aosta (È bella sempre) punta a liberarsi daivincoli della stagionalità; e la Lombardiaesalta le diversità dei suoi paesaggi assimilan-doli a un piacere da gustare ( Non vi basteràmai). Anche la duplice promozione portataavanti dalle Province autonome di Trento (So-pra le aspettative ) e Bolzano ( Varietà che se-duce) mira a liberare le rispettive immaginidal condizionamento della monocultura turi-stica montana.Focalizzano, infine, una immagine «unitaria» iclaims regionali calabrese e marchigiano: ilprimo, Identità Calabria, per il forte richiamoalla identificazione del territorio; il secondo,L’Italia in una r egione, per l’of ferta – appa-rentemente pretenziosa, ma di sicuro impatto– di una Italia in miniatura, alla scala regio-nale. Al di là della positiva sensibilità nei confrontidi un’attività promozionale coniugata con lefunzioni di informazione e accoglienza, qualielementi fondamentali nella determinazionedel livello di conoscenza e fruizione delle ri-sorse nonché di qualità dei rapporti con la do-

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manda, e andando oltre le diversità insite neidifferenti contesti regionali e nelle singole po-litiche di governance (non sempre rispondenti,peraltro, alle reali opzioni manifestate dallecomunità locali), non sembra tuttavia di potercogliere una tendenza comune nella ricerca diintegrazione dell’offerta attraverso una strate-gia di marketing coordinata.Non si può – pertanto – non plaudire al lancio,recentissimo, del nuovo marchio turistico ita-liano, che punta a comunicare un messaggiocomplessivo di qualità e a riassorbire la fram-mentazione della promozione regionale all’in-terno di una cornice di riferimento. Si tratta diun logo molto semplice e immediato chescommette sui colori e sui caratteri dellascritta Italia: la prima lettera, di colore nero esovrastata da un punto di colore rosso, evocanel carattere il mondo classico e la tradizioneitaliana; la seconda, di colore verde, punta aqualificare il patrimonio naturalistico; le altrelettere esprimono modernità, a sottolineare lagestione innovativa di un settore nel quale ilBel Paese gode da sempre di una eccellente

rendita di posizione, senza tuttavia potervisiadagiare. Un marchio, in sintesi, che vuoleesprimere la varietà dell’of ferta nazionale,consolidata nei segmenti del turismo tradizio-nale e in decisa evoluzione nei nuovi e diver-sificati segmenti dei turismi «altri»; ma, nelcontempo, of frire l’occasione di rendere visi-bile il paese, sul mercato internazionale, inuna dimensione univoca. È d’obbligo, tuttavia, rilevare come l’inaugura-zione del relativo portale www.italia.it, presen-tato a BIT 2007 (27a edizione della Borsa Inter-nazionale del Turismo di Milano, con 5.000espositori e 150.000 visitatori, per oltre il 70%operatori professionali del settore), abbia solle-vato le perplessità degli esperti in comunica-zione e, peggio, le proteste di molte Regioni: iprimi per la qualità e funzionalità ritenute ina-deguate, anche a fronte del costo elevato; le se-conde a causa di un livello conoscitivo per mol-teplici aspetti lacunoso sia nell’individuazionedei «tematismi», sia nella raccolta dei dati enella conseguente selezione delle località turi-stiche non meno che degli eventi.

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La bilancia turistica italiana resta ancora lar-gamente positiva: le stime di EUROST ATquantificano in circa 10,5 miliardi di euro ilsaldo attivo nel 2005 (erano, peraltro, 12 nel2004 e quasi 13 nel 2000, con oscillazioni in-termedie). Il nostro paese è pur sempre alquinto posto fra le destinazioni turistiche mon-diali. In più, il ruolo dell’Italia come origine diturismo internazionale è cresciuto rapidamentefino ad attestarsi, nel 2005, sulla cifra di 17,5milioni di partenze (IST AT), su cui si può sti-mare in non più del 15% l’incidenza delleesclusive motivazioni di lavoro. Il tutto, peraltro, in un quadro evolutivo dovele ombre sembrano prevalere sulle luci. Infatti,le informazioni statistiche rese disponibilidalla UNWT O per i confronti internazionaliad ampio spettro lasciano emer gere due ten-denze regressive, nel panorama mondiale delturismo, che si sono manifestate con qualcheincertezza tra il 1970 e il 1985, per poi conso-lidarsi nei due decenni successivi. La prima ri-guarda l’insieme dei paesi rivieraschi del Me-diterraneo, i quali, mentre nell’arco temporale1970-1985 contavano per il 35% degli arrivitotali, registrano in prosieguo di tempo una se-rie di contrazioni quantificabili, nel 2005, conla perdita di cinque punti percentuali. La se-conda tendenza riguarda in particolare l’Italia,il cui peso diminuisce non solo nel quadromondiale, ma nello stesso contesto macrore-gionale mediterraneo, dove è scesa dal 25%del 1970 al 19% del 2005. In altri termini, as-sumendo i dati del 1970 pari a 100, nel 2005 ilnumero indice italiano vale 76, mentre cre-scono in maniera molto appariscente quelli ri-guardanti non solo paesi che si sono af facciati

con ritardo nel mercato turistico, come Tunisia(323), Egitto (387) o Turchia (566), ma anchealtri con tradizioni consolidate, quali Grecia(245) e Francia (112). Purtroppo, ancor più appariscente risulta la re-cessione dell’Italia nei confronti del sistemamondo, rispetto al quale gli arrivi nel nostropaese si dimezzano, in termini percentuali, trail 1970 (8,6%) e il 2005 (4,5%). Considerandotuttavia – sempre sulla scorta dei datiUNWTO – i ricavi derivanti dalle attività turi-stiche, e confrontandoli con la quantità di ar-rivi, i riflessi economici di tali tendenze reces-sive si mitigano alquanto: con riferimento al2005, l’Italia occupa la quarta posizione incampo mondiale sia in valore assoluto (prece-duta da Stati Uniti, Spagna e Francia), sia peril significativo rapporto tra ricavi e arrivi (pre-ceduta da Stati Uniti, Germania e Gran Breta-gna), distanziando nettamente, in quest’ultimocaso, Francia e Cina.Il richiamo alla Cina – che, tra il 1990 e il2005, ha visto quintuplicarsi il numero degliarrivi, mentre gli altri paesi nella graduatoriadei primi dieci hanno conseguito incrementimolto più contenuti – evoca un’altra e piùgenerale tendenza regressiva, in termini diquote di mercato: essa accomuna l’Europa el’America Settentrionale (insieme: 82% delmercato mondiale nel 2000, 76% nel 2005),per ef fetto della vistosa accelerazione delprocesso di globalizzazione dell’economiamondiale, che ha portato alla ribalta i paesiasiatici del Medio ed Estremo Oriente, spe-cie Cina e India, in termini di prodotto in-terno lordo complessivo, con la conseguenzadi una forte crescita dei flussi commerciali e,

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Quale turismo per l’Italia di domani

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con essi, anche di quelli turistici, sia in en-trata sia in uscita. Restringendo il contesto di riferimento all’Eu-ropa, le dif ficoltà del turismo italiano trovanouna conferma emblematica nel cartogrammadelle preferenze per vacanze con almeno quat-tro pernottamenti: vi appare netto il predomi-nio della Spagna, sulla quale conver gono iprimi flussi di ben nove paesi, seguita dallaFrancia; e, per contro, il ruolo subordinatodell’Italia, preferita soltanto dalle maggioriquote di greci e austriaci.

Complessivamente, è dato di fatto inoppugna-bile – seppure variamente quantificato – laperdita di competitività dell’of ferta turisticaitaliana, che non ha saputo o potuto, per suecarenze strutturali e per la vischiosità di nor-mative contraddittorie, cogliere in misura ade-guata le opportunità offerte dall’affermarsi delmercato turistico globale. Un mercato che as-sicura il successo soltanto ai sistemi territorialiche si muovono attivamente sulla via dell’in-ternazionalizzazione e, nel contempo, dellaspecializzazione, con l’obiettivo di incrementi,

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Fig. 36 – Turismo internazionale. Primi flussi in uscita dai paesi eur opei

Fonte: EUROSTAT, Inbound and outboun Tourism in the European Union, 5/2006

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sia qualitativi sia quantitativi, tramite l’ado-zione di strategie innovative e di lungo pe-riodo, af fiancate dalla promozione di combi-nazioni equilibrate fra marketing territoriale ed’impresa. In particolare, nuoce al sistema Italia la frantu-mazione dell’offerta in imprese piccole e pic-colissime, quando addirittura non dissolte infigure individuali o in nuclei familiari che, permolti versi, spingono di fatto il turismo nellimbo dell’economia sommersa. Non meravi-glia, pertanto, l’assenza di marchi riconosci-bili e di catene alber ghiere di rilevanza inter-nazionale, in grado di competere con pienosuccesso nella collocazione di un prodottoche, se certamente si concretizza e consuma ascala locale, viceversa viene commercializzatoa scala globale, con modalità che si rinnovanomomento dopo momento. Sembrano, inoltre, del tutto pertinenti le valu-tazioni di quanti (con il Becheri, nel Rapportosul turismo italiano 2006/2007) pongono in ri-salto l’esistenza, in Italia, di due mercati:quello «reale», delle imprese, e quello «imma-ginario», delle istituzioni, che non si inte-grano, e forse neppure si conoscono, ma sicu-ramente si ostacolano in quanto, mentre leprime vedono inesorabilmente legata la pro-pria sopravvivenza a bilanci economici attivi,le seconde non vengono sottoposte ad alcunareale verifica delle azioni svolte. Ne sonoprova le dif ficoltà nei rilevamenti statistici, lascarsa significatività sistemica delle attualicircoscrizioni turistiche, le tante dif ficoltàemergenti nell’applicazione di certificazioni diqualità imposte per legge più che promossenei fatti.In questo Rapporto è stata volutamente privi-legiata la non-sistematicità della trattazione, infavore di «schede» tematiche volte a esercitare– come detto in premessa – il metodo geogra-

fico dell’analisi territoriale, di volta in voltaapplicata ai caratteri settoriali propri di queisempre più numerosi segmenti in cui il «la-voro turistico» si va dividendo.È stata anche enfatizzata la dimensione com-petitiva, nel senso di focalizzare i punti diforza e di debolezza del sistema turistico ita-liano nei confronti di quello internazionale, edella relativa domanda, pur rischiando inevita-bilmente di trascurare il mercato interno. Que-st’ultimo, troppo a lungo considerato iner-ziale, va anch’esso orientandosi decisamenteverso nuove forme di turismo, per vacanzebrevi ma diversificate e sempre più attente allaqualità, in rapporto al costo. Se il turismo na-zionale ha finora supplito alle carenze di com-petitività dell’of ferta sul mercato globale, latendenza a internazionalizzare la vacanza, chesi va affermando fra gli italiani, e la prolifera-zione di nuove mete, dovuta ai radicali cam-biamenti geopolitici anche in regioni molto vi-cine (Europa orientale, Penisola Balcanica),mettono seriamente a rischio questa rendita diposizione.Si deve considerare, dunque, conclusa la fasedi espansione spontanea del fenomeno turi-stico. Soprattutto nei primi dif ficili anni delnuovo millennio, che hanno vissuto gravi ten-sioni e una preoccupante ascesa del terrorismointernazionale, i turisti «occasionali» hannoassunto un atteggiamento tipicamente psico-centrico, con la tendenza a ridurre la portataspaziale dei viaggi per evitare le aree conside-rate pericolose secondo la mappa mentale diciascuno. Al contrario, i turisti «fidelizzati»continuano ad alimentare il mercato delle lo-calità prescelte, sentendosi ormai parte dellacomunità dove sono ospiti durante il periododi vacanza. Per le località turistiche, allora, laquestione fondamentale ruota sul migliora-mento del prodotto, da un duplice punto di vi-

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sta: della qualità e innovazione dell’of fertanon meno che dell’integrazione fra gli attori ei segmenti del prodotto stesso.Ruolo di primo piano potrebbe giocare unaprogrammazione mirata, attenta alla cono-scenza sia di livello microeconomico, all’in-terno di ogni singola tipologia aziendale delcomparto, sia di livello macroeconomico, nel-l’ottica del coinvolgimento di tutti i soggettiportatori di interessi; e, nondimeno, correlataalla pianificazione territoriale. In Italia, a di-spetto della conclamata vocazione turistica, epur a fronte di una miriade di piani di settore(agricoli, industriali, commerciali, dei tra-sporti, delle aree protette), questa programma-zione è sempre stata assente; né può dirsi talela previsione istitutiva dei già discussi SistemiTuristici Locali, sui quali si vuole ritornare peril loro intrinseco significato geografico. A par-tire dal generico concetto di «omogeneità» –da tempo sottoposto a revisione critica e forte-mente ridimensionato, e che, viceversa, il giàcitato art. 5 della legge 135/2001, al comma 1,pone semplicisticamente in alternativa aquello, ben più complesso, di «integrazione» –non saranno certo le generiche esortazioni, piùche prescrizioni, del comma 4 (sostenere atti-vità e processi di aggregazione e di integra-zione tra le imprese turistiche; attuare inter-venti intersettoriali e infrastrutturali necessarialla qualificazione dell’of ferta turistica e allariqualificazione urbana e territoriale delle lo-calità ad alta intensità di insediamenti turi-stico-ricettivi; sostenere l’innovazione tecno-logica degli uf fici di informazione e di acco-glienza ai turisti; sostenere la riqualificazionedelle imprese turistiche in termini prioritari disicurezza, classificazione e standardizzazionedei servizi, sviluppo di marchi di qualità, cer-tificazione ecologica e tutela dell’immaginedel prodotto locale; promuovere il marketing

telematico dei progetti turistici tipici) a razio-nalizzare l’uso del territorio in funzione dellerisorse turistiche. Si potrebbe sostenere che il turismo sia tal-mente penetrante in ogni parte del territoriostesso – af fermazione che, da geografi, senti-remmo in parte di condividere, se non altro perestensione del concetto totalizzante di paesag-gio culturale come espressione del rapporto frasocietà e ambiente, nei diversi stadi tecnologici– e implicato nell’universo delle attività econo-miche (per le sue interazioni con agricoltura,artigianato e industria, commercio, trasporti,servizi) da rendere improponibile una pianifi-cazione di settore. Interpretazione, a ben ve-dere, avallata dall’Unione Europea, che, purdichiarando di non avere competenza diretta inmateria turistica, indica una serie di politiche edi strumenti (dal Fondo europeo di svilupporegionale al Fondo sociale europeo, ai pro-grammi di sviluppo rurale, di educazione per-manente, di innovazione per l’impresa) neiquali è possibile ricomprendere interventi nelsettore. In questo caso, però, ben altra atten-zione andrebbe dedicata al turismo nella piani-ficazione urbanistica generale: il che – per tor-nare all’Italia – dif ficilmente potrà accaderefino a quando non sarà approvata l’attesa leggequadro per il governo del territorio.Viene a essere sovraesposto, così, il ruolo disupplenza delle Regioni alla mancanza di indi-rizzi generali e coerenti; vi si aggiunga la con-vinzione, invalsa in molte sedi, che il turismopossa rappresentare la soluzione universale aiproblemi territoriali e socioeconomici dellearee deboli, ed ecco quella miriade di inter-venti puntuali, parziali, in ogni caso non coor-dinati, da cui nasce lo scollamento fra mercatoreale e immaginario.Tuttavia la ricomposizione è certamente pos-sibile, almeno nel medio termine, se il ver-

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sante delle istituzioni vorrà fondare la sua le-gittimazione sul successo delle imprese nelmercato dei prodotti turistici, rispetto alquale dovrà svolgere un ruolo fondamentaledi regolazione, abbandonando la via perico-losa delle suggestioni ideologiche e miti-gando, per quanto possibile, comportamenti– come l’adozione di tarif fe dif ferenziate,tasse di scopo, diritti di accesso – che ap-paiono inutilmente punitivi senza costituireeffettive soluzioni al problema della sosteni-bilità, e non soltanto turistica. Le prospettive aperte dal turismo culturale,nell’accezione estensiva, come dai turismi dinicchia, devono porsi quali fattori di traino perla ripresa dell’intero settore turistico italiano,sostenendo una sempre maggiore diversifica-zione dell’offerta sul territorio e, con ciò, ridi-stribuendovi carichi e proventi. È questa l’i-dentificazione vera dell’immagine «Italia»nella sua gamma di risorse irripetibili, legataal valore intrinseco dei luoghi, ma necessaria-mente accompagnata da adeguate politiche na-zionali di marketing territoriale e sociale, di ri-qualificazione e produttività.Utile verrebbe, solo allora, l’istituzione del-l’Osservatorio Nazionale sul Turismo, soprat-tutto come promotore del coordinamento fraenti e istituzioni preposti – in una ragionevole

gerarchia territoriale e funzionale – all’analisie alla conseguente programmazione del set-tore. Non si ripeterebbero, crediamo, gli erroricommessi fino a un recentissimo passato, chetalora abbiamo evidenziato, in questo Rap-porto, non per sterile critica, ma nella volontàdi un rinnovato contributo anche dal versantedella nostra disciplina. Tutto questo deve indurre a una maggiore con-sapevolezza della straordinarietà del patrimo-nio turistico – ma vorremmo dire geografico –italiano, da rivalorizzare promuovendone ilcarattere solidale ( Unità nelle diversità , po-trebbe essere il claim) attraverso forme di co-municazione chiara, non forzatamente ecla-tante; ma soprattutto sviluppando siner gie congli altri settori economici, attivando strategiedi destination management e abbandonando,infine, l’attitudine a confidare passivamente inquelli che vengono ancora percepiti, da taluni,come «monopoli naturali». L’Italia si trova a dover fronteggiare un riposi-zionamento complessivo del proprio prodottoturistico, in chiave di fantasia – da sempre,elemento determinante nel nostro contesto so-ciale – non meno che di modernizzazione edefficienza. La «storia futura» del turismo ita-liano si scriverà, così, in termini vincenti nelmercato e, ancor più, nella società globale.

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Il sondaggio di «testimoni privilegiati» integra come di consueto il Rapporto annuale dellaSocietà Geografica Italiana, dedicato, per l’anno 2007, al tema Turismo e territorio. L’Italiain competizione. Il questionario, indirizzato a un ampio panel di studiosi è, quindi, coeren-temente, articolato su quesiti che indagano sull’importanza da annettere a questo settorenella formazione del prodotto interno lordo del nostro paese e sull’apporto che ne deriva al-l’equilibrio della bilancia commerciale. Ma, ovviamente, nell’ottica del geografo, l’attivitàturistica si avvale di una «materia prima» tutta particolare, e anche complessa: il paesaggio,anzitutto, inteso come insieme dei segni che natura e storia hanno inciso sullo spazio geo-grafico racchiuso nei nostri confini. E che richiede attrezzature ricettive, a carico dell’im-prenditoria privata attiva nel settore, e infrastrutture del territorio, a carico del capitale pub-blico. Il complesso apparato che sostiene il nostro «sistema turistico» produce i suoi bene-fici economici, ma assorbe risorse e implica un «consumo» di territorio. Ne deriva un’esi-genza di costante verifica di coerenza tra i benefici che, senza dubbio, il paese trae da que-sta sua tradizionale risorsa, e i costi, valutabili in termini di sostenibilità ambientale, preser-vazione della individualità e peculiarità di beni naturali e beni artistici.La seconda parte del titolo dell’edizione 2007 del Rapporto della Società Geografica siriferisce poi alla circostanza che il «sistema turistico» italiano opera in regime di concor-renza internazionale. Gli orizzonti del turismo si sono enormemente dilatati, grazie allosviluppo delle reti di trasporto e al generalizzato aumento dei redditi e del tempo liberoalla scala mondiale; onde, ai paesi tradizionalmente vocati alla ricezione turistica, se nesono venuti aggiungendo altri. La competizione si gioca su qualità e prezzo dei servizi.E, nella competizione che ne deriva, l’Italia ha mostrato di perdere punti. Da queste premesse deriva la natura dei quesiti sottoposti ai geografi italiani: – quale ruolo attribuisce al settore turismo per un rilancio del «Sistema Italia» che su-

peri il rallentamento della crescita del PIL dell’ultimo quinquennio;– quali riserve o critiche si sentirebbe di muovere all’of ferta turistica italiana, nel suo

complesso e/o nei diversi ambiti territoriali e tipologici in cui tale of ferta si manifesta,considerando che la governance del sistema turistico italiano evidenzia la competenzaprimaria delle Regioni;

Appendice

Turismo e territorio. L’Italia in competizione:sintesi d’un sondaggio tra geografi delle università italiane

sul ruolo della «componente turismo»nel posizionamento del paese nell’economia internazionale

e sulla ricerca di punti di equilibrio tra valorizzazione turisticadei territori e compatibilità ambientale*

* Hanno risposto al sondaggio : Francesco Adamo, Novara; Gianfranco Battisti, Trieste; France-sco Boggio, Cagliari; Paola Bonora, Bologna; Pasquale Coppola, Napoli; Stefano De Rubertis,Lecce; Gino De Vecchis, Roma; Gianfranco Lizza, Roma; Francesca Rinella, Lecce; Cecilia San-toro, Lecce; Laura Sbordone, Napoli; Gior gio Spinelli, Roma; Maria Tinacci, Firenze; AngeloTurco, L’Aquila; Lida Viganoni, Napoli; Gabriele Zanetto, Venezia; Luca Zarrilli, Pescara.(L’elaborazione del questionario e la sintesi delle risposte sono state curate da Ernesto Mazzetti) .

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– l’Obiettivo Italia 2016 si propone di far tornare il nostro paese in vetta agli arrivi turi-stici mondiali entro quella data. Quali strategie generali e/o politiche specifiche ritienepiù coerenti al raggiungimento di tale obiettivo, coniugandolo con un più ampio e du-revole sviluppo del territorio;

– quali indicazioni – anche sulla scorta di sue valutazioni ricavabili da esperienze regio-nali e locali – ritiene debbano presiedere alla ricerca di punti di equilibrio tra le esi-genze di salvaguardia ambientale e quelle di valorizzazione turistica. In particolareper quanto riguarda:

valorizzazione delle aree marginali (agricole, collinari, periurbane eccetera);rinnovo del ciclo di vita dei prodotti turistici;«rottamazione» e riuso di siti industriali dismessi;portualità per il diporto nautico;

– «eccellenza delle risorse» e «prodotto turistico di qualità» sembrano essere le rispostecorrenti per rinnovare e rivitalizzare il sistema turistico italiano. Condivide tale pro-spettiva o la ritiene non suf ficiente per rilanciare il nostro paese su uno scenario com-petitivo globale?

Come per le precedenti edizioni del Rapporto, il sondaggio – stavolta in tema di politicheper lo sviluppo delle attività turistiche in chiave di sostenibilità ambientale – ha inteso of-frire alle istituzioni e all’opinione pubblica un ulteriore elemento di valutazione: un ven-taglio di motivati giudizi espressi sull’ar gomento da qualificati studiosi di fenomeni geo-economici e territoriali. Giudizi che corroborino – e ne siano anche verifica – la ricerca ela documentazione statistica e cartografica che sostanziano la prima parte di questo vo-lume. La Redazione ha invitato a formulare questi pareri geografi universitari titolari diinsegnamenti che più direttamente li impegnano su problemi e metodi riguardanti dina-miche economiche, sociali, ambientali. Il testo che segue costituisce la sintesi ragionata delle articolate ar gomentazioni con lequali 17 tra i geografi interpellati hanno inteso rispondere ai quesiti proposti. Tali testi-monianze provengono da docenti universitari di più discipline rientranti nell’ambito dellaGeografia politica ed economica e della Geografia umana, attivi in atenei del Nord, Cen-tro, Sud e Isole.Il testo del rapporto Turismo e territorio. L’Italia in competizione e il sondaggio di cui sidanno qui le risultanze nel loro insieme possono, a buon diritto, considerarsi il contributodi analisi e proposta dei geografi italiani in merito a un settore dell’economia nazionaleche presenta un forte grado di incidenza sulle possibilità d’un maggiore (o minore) raf-forzamento della nostra bilancia valutaria, così come d’un riequilibrio nella capacità diproduzione del reddito tra le regioni italiane.

Ruolo e prospettive del turismo italiano

Unanime, tra gli interpellati, è il riconoscimento della rilevanza della risorsa turismonella composizione del PIL dell’Italia, «oltre che come insieme di attività domestiche perla ricreazione degli stessi italiani» (F . Adamo). Da gennaio ad agosto 2006 «il turismo

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italiano ha prodotto circa 28.300 milioni di euro di fatturato e quello straniero 21.526 mi-lioni (+ 9% rispetto allo scorso anno)» (A. Rinella). «È un settore trasversale che produceeffetti indotti, diretti e indiretti, con un coef ficiente pari a 1,17. Ciò vuol dire che ognieuro investito più che raddoppia i suoi ef fetti sul PIL. La sua importanza deriva da altridue vantaggi: il miglioramento del saldo della bilancia valutaria e la facilitazione dellerelazioni commerciali internazionali» (L. Viganoni). Tuttavia «non bisogna cadere nell’errore di considerare il turismo una panacea di tutti imali, come spesso accade. Questo può essere vero per contesti geografici di modesta ta-glia territoriale e demografica» (L. Zarrilli). «Il tempo libero costituisce un fattore volut-tuario, la cui offerta è esposta a molteplice concorrenza e può essere trascurata in qualun-que momento non essendo, appunto, di rilevanza strategica» (G. Battisti). Ha senza dub-bio un ruolo importante, anche per «contrastare in qualche misura il declino economico.Difficile tuttavia concepire il turismo come unica o privilegiata mission per l’Italia: unaItalia trasformata in parco giochi sarebbe preoccupante» (P. Bonora). Il suo contributo «èessenziale per la tenuta economica e sociale di numerose aree. Ma nel complesso dell’e-conomia nazionale è difficile che il peso in termini di PIL possa davvero accrescersi oltrequello attuale assumendo capacità di volano» (P. Coppola). Compete al turismo «il ruolo classico di finanziatore del processo di ricapitalizzazionetecnologica del sistema» (G. Zanetto). Ma attribuir gli il ruolo, e il peso, maggiore nel-l’accelerazione della dinamica del PIL italiano «è irrealistico, tenendo anche conto del-l’impossibilità di una governance centrale e/o di un coordinamento operativo delle Re-gioni» (G. Spinelli). E, comunque, «la crescita del ruolo economico e occupazionale delturismo deve necessariamente ispirarsi ai principi dello sviluppo sostenibile e, di conse-guenza, deve essere ricercata non tanto con un aumento della infrastrutturazione turistica– capace, sì, di accrescere le presenze, ma anche di generare compromissioni ambientali –quanto con una qualificazione dell’of ferta volta a elevare il livello dei consumi turistici,con particolare riguardo per la componente straniera» (C. Santoro).

Luci e ombre dell’offerta turistica nel rapporto Stato-Regioni

Va anzitutto posto in rilievo che «l’assurda contrapposizione tra Stato e Regioni, che sem-bra oggi finalmente superata con la costituzione del Comitato nazionale del turismo(2006) [...], ha bloccato per ben cinque anni l’attuazione di una legge, la 135 del 2001, chefinalmente dà il dovuto rilievo al turismo, prende atto che in questo campo non si può con-tinuare a vivere di rendita e induce le Regioni [...] a essere più attive e assumere provvedi-menti adeguati, tra i quali il riconoscimento di Sistemi Turistici Locali» (F. Adamo). Ma alriguardo il pessimismo sembra prevalere: «la legislazione recente [...] costituisce un tenta-tivo, comunque destinato a fallire, di ristabilire una cabina di comando di fronte alla ba-bele, prima provinciale e poi regionale» (G. Spinelli). «L ’attuale modello di governanceimperniato sull’asse Stato-Regioni-Sistemi Turistici Locali necessita evidentemente diqualche correttivo, se è vero che da anni dall’emanazione della legge 135 di riordino delsettore turistico questo modello non sembra aver prodotto ef fetti significativi sul pianodella competitività del sistema turistico italiano nel suo complesso» (C. Santoro).

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In effetti, «sono ormai anni che in materia di turismo viene mossa da più parti la stessacritica: non “si fa sistema” [...] Strategie promozionali di livello nazionale dovrebbero af-fiancare quelle regionali [...] come avviene in Spagna, Stato regionale come l’Italia, mapresente sul mercato turistico con una immagine unitaria» (L. Zarrilli). E, infatti, «biso-gna formulare e attuare una strategia di sviluppo a livello nazionale, che sia in grado diinvertire l’attuale trend negativo (l’Italia è l’unico paese, tra quelli leader nel turismomondiale, ad aver fatto registrare decrementi sia negli arrivi che nel livello medio dispesa dei turisti provenienti dall’estero)» (L. Viganoni).Molti degli interpellati pongono l’accento su quella che viene definita la «mancanza diuna visione strategica» che accomuni Stato e Regioni, operatori pubblici e imprenditoriprivati. C’è chi sottolinea situazioni particolari: «la competenza primaria delle Regioni siscontra sempre più duramente, specie nel Meridione d’Italia, con un comparto turisticoche facilmente si sente investito, spesso da solo o quasi, delle istanze di sviluppo chevengono dal territorio» (F . Boggio). In ef fetti, «la situazione si presenta assai diversifi-cata da regione a regione turistica. In ogni caso sussistono fattori frenanti di tipo generale(che però vanno a incidere in modo dif ferenziato nei vari ambiti territoriali) e fattori fre-nanti di tipo locale che in alcuni casi vanno ad aggravare pesantemente la situazione» (G.De Vecchis). Si riscontra, comunque, «un insuf ficiente controllo e/o orientamento sulrapporto qualità-prezzo e sul rapporto tra of ferta territoriale e domanda turistica» (M. Ti-nacci). Troppo spesso «ormai si dimentica che sicurezza personale e prezzi equi sono ele-menti discriminanti della scelta. L ’alternativa è la segregazione delle località turisticheper esonerarle dal contatto con la popolazione locale» (G. Zanetto). Alla «mancanza di coordinamento nell’of ferta, scarso sostegno all’imprenditoria del set-tore, insufficiente integrazione dell’of ferta» (G. Lizza), si aggiungono altri e specifici ri-lievi. «Alle sempre più evidenti carenze in materia di tutela e gestione delle attrattive turi-stiche (degradazione dell’ambiente naturale, cementificazione delle coste, miserevole ur-banizzazione e deterioramento dei paesaggi eccetera), carenze che certo non si concilianocon i prezzi dei servizi di ospitalità, normalmente più elevati che nei paesi concorrenti, an-che per le più alte tasse che gravano sul turismo italiano, si aggiunge la mancanza di unaclassificazione unitaria nazionale degli alber ghi e delle altre strutture ricettive, e al tempostesso una scarsa presenza di catene alberghiere e di marchi di qualità cui potrebbero asso-ciarsi le piccole strutture che caratterizzano la nostra of ferta ricettiva, in modo da renderlefacilmente riconoscibili al turista» (F . Adamo). E tutto ciò in un quadro che mostra so-vente «uno spreco rilevante nel campo delle risorse promozionali e di sostegno, dovutoanche all’eterogeneità delle strategie [...] In molti casi l’or ganizzazione è desueta, troppoottimisticamente fondata su vecchie rendite di posizione; in altri è frutto di troppa improv-visazione come avviene in campi dove la soglia d’ingresso è bassa (facendo pensare a uncomparto-spugna, specie nel Sud) [...] ci vorrebbe una massiccia iniezione di innovazionee professionalità tra gli operatori di settore e nei contesti locali» (P . Coppola).

Obiettivi di sviluppo ed equilibri territoriali

Il cosiddetto «Obiettivo Italia 2016», che si propone di far tornare il nostro paese in vettaagli arrivi turistici mondiali entro quella data, viene da alcuni degli interpellati giudicato

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«nobile, ma del tutto implausibile» (P . Coppola). «È un obiettivo irreale se si ef fettua unminimo di monitoraggio sulle politiche messe in atto dai maggiori competitori attuali esui potenziali non ancora esperiti totalmente da altri paesi dell’area mediterranea, balca-nica e mediorientale. Quel traguardo, raggiunto soltanto nel lontano 1970, non ha più unvalore strategico, in quanto l’attuale trend della domanda mondiale, la sua resistenza alterrorismo, alle catastrofi naturali e, in generale, a ogni tipo di shock, garantisce opportu-nità enormi di sviluppo e di riposizionamento. L ’obiettivo più realistico è collocarsi nelsegmento di mercato più remunerativo, rispetto sia alla domanda nazionale che interna-zionale» (G. Spinelli). Molti e complessi gli aspetti impliciti nella formulazione di un obiettivo quale quello in-dicato per la data del 2016. «Proporsi di portare l’Italia in vetta agli arrivi turistici mon-diali rappresenta il classico falso scopo, dando una valenza non conciliabile col “più am-pio e durevole sviluppo del territorio” [...] Sostenibilità e integrazione economica costi-tuiscono i due termini irrinunciabili di qualsiasi politica turistica (ma anche territoriale eambientale). Proporzionarli l’uno all’altro è compito culturalmente alto ed eticamente re-sponsabilizzante» (F. Boggio). Il rapporto tra crescita degli af flussi turistici e preservazione degli equilibri ambientali edelle «identità territoriali» è al centro delle riflessioni della gran parte dei geografi chehanno risposto al sondaggio. «L’obiettivo prioritario dovrebbe essere l’accrescimento deibenefici portati dal turismo e non il mero aumento del numero degli arrivi. Purtroppo lanatura di tali benefici resta ancora tutta da chiarire, soprattutto per le informazioni ancoratroppo vaghe sui limiti (e il grado della loro ef fettiva condivisione) posti dalla sostenibi-lità ambientale, sociale e culturale della crescita turistica» (S. De Rubertis). Infatti «lecondizioni per una sostenibilità del turismo non sono né banali né scontate», onde unamaggiore attenzione va posta «ai contenuti ambientali dell’or ganizzazione territoriale»(M. Tinacci). In prospettiva «sarebbe già tanto tenere le quote di mercato senza perderne ulteriormente.In ogni caso, oltre agli interventi specifici, giocherà il complessivo miglioramento del-l’apparato dei servizi: quali turisti apprezzano il nostro sistema ferroviario, o i nostri au-tobus urbani, o le poste, o le banche dell’età della pietra?» (P . Coppola). «È la pianifica-zione territoriale l’unica sede per un contenimento della pressione e il mantenimentonella fascia alta di mercato» (G. Zanetto).

Ipotesi di valorizzazione e riuso di siti in chiave turistica

Le risposte al quesito in questione sono state abbastanza articolate e anche di contenutodifforme. Esito del tutto ragionevole, poiché si richiedevano indicazioni ricavabili anchesulla scorta di valutazioni dei singoli interpellati basate su esperienze regionali e locali. Etali da prendere in considerazione una molteplicità di siti suscettibili di rientrare in varieipotesi di valorizzazione turistica, da equilibrare, caso per caso, con specifiche esigenzedi salvaguardia ambientale.I maggiori consensi vanno a ipotesi di valorizzazione di aree mar ginali, agricole e col-linari. «La ricerca di spazi sempre più ampi da destinare alla fruizione turistica do-

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vrebbe essere una priorità assoluta [...] gran parte della montagna (soprattutto quellainterna appenninica) è quasi del tutto abbandonata dai flussi turistici» (G. De Vecchis).«Può essere una grande risorsa del futuro, a condizione che sia perseguita nel quadro diuna strategia globale di sviluppo locale» (M. Tinacci). E con netta preclusione verso ri-schi di «cementificazione». Le forme di valorizzazione finora sperimentate hanno vistoprevalere «minuti, piccoli interventi a pioggia, dalle sigle più disparate, che si risol-vono in piccole migliorie di risorse locali non inserite in un marketing strategico forte-mente ancorato a una visione sistemica delle risorse stesse» (G. Spinelli). Si tratta diimprese «opportunamente avviabili, ma, per esperienza», gli esiti sono apprezzabili«solo se in posizioni limitrofe a un distretto turistico già consolidato» (G. Zanetto). Lavalorizzazione delle aree mar ginali «costituisce una grande opportunità per favorire laredistribuzione spaziale del flusso turistico [...] tuttavia deve avvenire nel rispetto dellespecificità locali e dei delicati equilibri ecologici che contraddistinguono queste aree»(C. Santoro). E «riducendo al minimo la realizzazione di nuove strutture e infrastrut-ture» (S. De Rubertis).Circa il riuso di aree industriali dismesse, si citano come esempi ammirevoli quelli diBarcellona e Lisbona (L. Zarrilli). Ma ricorrendovi solo se non c’è alternativa al prose-guimento di attività manifatturiere (G. Zanetto). Quando ci si trova di fronte a siti indu-striali dismessi «la rottamazione dovrebbe essere la regola con l’eccezione limitata astrutture architettonicamente pregiate o ad alcuni impianti da conservare quali museidella tecnica. La rottamazione dovrebbe essere occasione per riqualificare aree urbane»(C. Santoro). Si dovrebbe cogliere l’occasione di queste ipotesi di riuso «per alleggerirela pressione insediativa sulle aree urbane esistenti, consentendone la riqualificazione confinalità turistica» (G. Battisti).Difformi, in particolare, le opinioni circa lo sviluppo della portualità destinata al di-porto nautico. «Il segmento del turismo nautico costituisce una componente non tra-scurabile della domanda turistica e tuttavia necessita di infrastrutture che incidono for-temente sull’ambiente costiero, che peraltro costituisce uno dei principali fattori di at-trazione per le regioni meridionali (come nel Salento) [...] Meglio sarebbe procedere aun potenziamento delle strutture esistenti con la creazione di un insieme qualificato diservizi di supporto» (C. Santoro). «Sulla portualità per il diporto nautico, occorre,prima di abbracciare la tesi di uno dei due partiti in materia (i pro e i contro), averedelle serie analisi sul contributo del diportismo. Riguardo al suo contributo qualeforma di turismo e di uso del tempo libero in genere, mi sembra che i benefici econo-mici siano inferiori ai costi, in quanto i diportisti in genere non usano alber ghi espesso usano poco anche i ristoranti; per contro i nuovi porti contribuiscono pesante-mente alla cementificazione costiera (e quindi li limiterei al recupero e trasformazionefunzionale solo dei porti esistenti)» (F . Adamo). «Il diporto nautico ha certamentegrossi margini, ma pericolosi per l’ambiente, a giudicare da certi piani allucinanti» (P .Coppola). «La portualità da diporto ha probabilmente bisogno di attente valutazioni diimpatto, al di là di quello che la normativa (non) impone» (M. Tinacci). Comunque«la realizzazione di porti turistici in siti strutturalmente adeguati e strategicamente po-sizionati nella geografia del turismo nautico può rappresentare un’occasione di rilan-cio per le aree circostanti, senza che questo debba necessariamente trasformarsi in unaforma di consumo del territorio» (L. Zarrilli).

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L’obiettivo «qualità» nelle prospettive di rilancio del sistema

Sull’opportunità che «eccellenza delle risorse» e «prodotto turistico di qualità» siano ele-menti basilari per rinnovare e rivitalizzare il sistema turistico italiano tutti gli interpellatisi mostrano d’accordo. Ma attenzione! «È uno slogan cui può corrispondere tutto e ilcontrario di tutto» (P. Bonora); occorre dar contenuti concreti a questi due concetti verifi-cando «quali iniziative risultino più coerenti» a essi (P. Coppola).«L’eccellenza delle risorse ambientali è spesso uno slogan non rispondente alla realtà, inquanto esse – alle finalità della pratica turistica – risultano praticamente ubiquitarie. Ilprodotto turistico di qualità include una filiera che parte dal territorio per arrivare allestrutture ricettive, al sistema dei trasporti, al marketing territoriale [...] è indispensabileper l’Italia una politica di creazione della domanda, che non può venir promossa sempli-cemente con una politica di costruzione di strutture [...] occorre una politica di dif fusionedella cultura – in Italia e all’estero – che riporti in posizione centrale la storia, l’arte, ilpaesaggio, la cultura italiana, senza la quale l’appetibilità specifica del nostro paese sem-plicemente non esiste» (G. Battisti). C’è un problema di prezzi che ostacola la competitività italiana. Ma al riguardo, mentrealcuni tra gli interpellati mostrano fiducia sulla possibilità di agire anche per attirareflussi di visitatori a più basso reddito, i più sembrano poco fiduciosi di poter competeresul fronte dei costi, onde ragionano sui modi con i quali assicurare un afflusso di turisti difascia elevata. La politica del contenimento dei prezzi viene suggerita «attraverso l’of ferta di servizi lowcost (come ne offrono gli alberghi di alcune catene, che sono spartani, ma puliti e con tuttoquanto basta a un turista normale e alla portata delle borse anche di giovani turisti), l’armo-nizzazione delle imposte che gravano sulle imprese di servizio con quelle almeno degli altripaesi europei, lo sviluppo di capaci agenzie e tour operators che siano in grado di vendere iprodotti dei Sistemi Turistici Locali, una ef ficiente compagnia aerea di bandiera o comun-que una compagnia che favorisca il trasporto a basso costo di turisti in Italia, una ben mag-giore attenzione anche alle imprese italiane (immobiliari, T.O., albergatori) che investono ininsediamenti turistici all’estero, in modo da consentire non solo di sostenere in generale ilbusiness delle nostre imprese che devono confrontarsi ed essere presenti nel mercato mon-diale, ma anche per cercare di recuperare al massimo la spesa dell’ outgoing turistico ita-liano» (F. Adamo). Viene richiamata anche l’importanza dell’educazione e della forma-zione, anche ai fini dello sviluppo di forme di turismo che si ritengono «sottodimensionate(turismo culturale e scolastico, turismo sociale, turismo verde ed ecoturismo) che coinvol-gano porzioni sempre più vaste di popolazione, non solo italiana» (G. Battisti). In ottiche diverse si collocano quanti sostengono che l’Italia deve «saper posizionare cor-rettamente il proprio turismo, combinando nel modo più opportuno turismo di qualità equantità, in modo da dif ferenziare appropriatamente l’of ferta. Considerando [...] la con-correnza, su questo terreno, di paesi del Mediterraneo, come la Croazia, la Turchia e laGrecia, è il caso di puntare soprattutto su un prodotto turistico di qualità (elevata qualifi-cazione dell’of ferta ricettiva, ambiente accogliente, alta professionalizzazione delle ri-sorse umane, creazione di collegamenti ef ficienti point-to-point)» (L. Viganoni). «In uncontesto di turismo di massa e of ferta globalizzata certamente è questa la strada da intra-prendere» (G. Lizza).

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Da più parti si fa notare che le nostre infrastrutture di trasporto sono inadeguate «e inci-dono negativamente tanto sull’accessibilità turistica del sistema-paese e delle singole de-stinazioni, limitandone l’attrattività sul mercato turistico internazionale, quanto sulla con-nettività interna che costituisce presupposto ineludibile per favorire la mobilità turistica»(C. Santoro). «La valorizzazione delle risorse endogene è condizione necessaria, ma nonsufficiente per lo sviluppo e la crescita economica del territorio, se non accompagnatadalla integrazione tra attori locali, pubblici e privati e da una ef ficace campagna di pub-blicizzazione delle stesse» (F. Rinella).Comunque, «non è questione di rinnovo della mobilia o degli intonaci degli alber ghi,ma di qualità dell’ambiente (acqua, rumore, aria…), di tenore dell’of ferta commerciale,di affidabilità degli impegni, di sicurezza dei luoghi, di accessibilità e af fidabilità dellesingole strutture per evitare le intermediazioni e per consentire lo svincolo dalla do-manda organizzata in gruppi» (G. Zanetto). E, in definitiva, «bisogna rilanciare l’imma-gine dell’Italia, ad esempio attraverso la cinematografia, la letteratura, la musica, e, per-ché no, la pubblicità; essere molto più aggressivi nella competitività con gli altri paesi,usare la creatività, che dovrebbe essere una nostra prerogativa, per attirare turisti di qua-lità in ambienti particolari ed esclusivi e con strategie nuove e non più banali come si èfatto finora» (L. Sbordone).

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Le Dinamiche

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Anche se, dall’inizio di quest’anno 2007, l’ingresso della Bulgaria e della Romania haormai spinto l’Unione Europea ai limiti del Mar Nero, attestandosi quasi al confine sud-occidentale della Federazione Russa e, ciò che appare più interessante, ritrovandosimolto più vicina agli oleodotti e gasdotti che garantiscono gli approvvigionamenti dallaSiberia, lo scenario geopolitico mondiale continua a essere dominato da questioni chetrovano nel Medio Oriente «allargato» l’area critica per eccellenza. L’Unione, del resto, nonostante i recenti successi sul piano economico, che la vedono su-perare, sia pur di stretta misura, il PIL americano, non riesce af fatto a compiere il balzoin avanti decisivo, fermandosi in una posizione che la relega tra le entità mercantili, piut-tosto che tra le potenze mondiali. Per contro, a prescindere dall’ef fettiva coesione poli-tica, almeno sul fronte della contrapposizione all’idea del presidente americano – di unaancor lunga presenza militare tra lo Shatt al Arab e le impervie rocce afghane – non vi èdubbio che il Vecchio Continente persegue, comunque, un atteggiamento condiviso diprogressivo disimpegno, insieme alla concreta volontà di archiviare nel più breve tempopossibile la brutta avventura iniziata, ben quattro anni addietro, con l’invasione dell’Iraq. In sostanza, senza incidere sui buoni rapporti con la Casa Bianca e, ancor più, nonostantegli interessi in gioco nella spartizione dei ricchi appalti della ricostruzione, l’opinionepubblica interna, di destra e di sinistra, chiede ai governi tempi certi, e soprattutto brevi,per il rimpatrio dei propri soldati. Pertanto, a ben considerare, le strategie geopolitiche ruotano intorno a due interessi prio-ritari: il passaggio dallo scontro militare alla gestione degli affari della ricostruzione post-bellica e l’affermazione di una stabilizzazione, certa e definitiva, degli interessi occiden-tali sul fronte delle forniture ener getiche. Forniture non più esclusivamente, né necessa-riamente, di provenienza mediorientale, bensì bilanciate da una nuova geografia dei trac-ciati delle pipelines che consideri e controlli, contemporaneamente, la domanda solleci-tata dall’impetuosa crescita economica dei nuovi competitori asiatici. Come meglio ve-dremo in seguito, si profila una fase del tutto nuova in cui sembrerebbe che non siano piùi cannoni a regolare i rubinetti da cui far sgor gare i flussi ener getici; acquisiscono pesocrescente le strategie poste in essere dalle imprese, che controllano la produzione nei ba-cini energetici, a regolarne i flussi, ponendo fuori gioco l’antica prassi del potere militarea sostegno di approvvigionamenti compiacenti. Realtà sostenuta da un insieme com-plesso di fattori tra i quali, non ultimo, la persistenza di un gendarme unico, super ar-mato, ma del tutto incapace di tenere sotto controllo la complessiva geografia delle mute-voli relazioni geopolitiche globali.La vera questione contemporanea, infatti, non può ridursi, come per troppo lungo tempoè stato, al controllo militare dello scenario internazionale: come hanno dimostrato glieventi recenti, è sempre più dif ficile interrompere per tempo lo scontro bellico sostituen-done gli ef fetti, attraverso la interposizione diplomatica, con assetti politici compiacentiin grado di stabilizzare le relazioni commerciali e rifondare i sistemi sociali su nuove basisolidali. Del resto, le intese militari dif ficilmente reggono all’erosione dei costi umani efinanziari che conflitti di lunga durata comportano e, in ogni caso, le ampie coalizioni,

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Scenari in evoluzione

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per quanto cementate da comuni interessi di prospettiva, finiscono per decomporsi pro-gressivamente sotto la spinta della pressione interna alimentata dal crescente malcon-tento, generato da lutti e sacrifici di cui riesce arduo prevedere la conclusione. Restano,comunque, problemi di non poco conto e di non semplice soluzione che, a voler semplifi-care, proprio in tema di fabbisogni energetici, si riassumono in una faticosa giostra di ac-cordi per forniture preferenziali, tentativi di contenimento di prezzi (in continua ascesa),mediazioni tra necessità di autoproduzione su basi nucleari e rischi di degenerazione mi-litare dei processi di arricchimento dell’uranio. Il tutto, amplificato dalla mancanza di ef-fettive svolte nella direzione delle fonti riproducibili, in un insieme di mercato mondialedell’energia caratterizzato da assenza di scelte realmente innovative. L ’espansione inces-sante di una domanda mondiale, che vede sempre nuovi paesi in deficit di approvvigiona-mento, alimenta strategie geopolitiche orientate a prevenire crisi di forniture, dif feren-ziando fonti e bacini di riferimento; insieme, però, ponendo problemi di priorità e di sicu-rezza che richiedono un’attenta lettura degli assetti distributivi e della previsione di ognipossibile difficoltà da fronteggiare, sul piano della regolarità ed economicità dei flussi,sia marittimi sia continentali.Da tale prospettiva l’orizzonte sembra assumere colorazioni del tutto dif ferenti da quelle,piuttosto fosche, di un pur recente passato, per ef fetto delle continue modificazioni deldisegno globale che, a seconda delle circostanze politiche e delle intese emer genti,orienta la realizzazione di nuovi corridoi ener getici, incidendo significativamente sullescelte dei tracciati e sui conseguenti itinerari distributivi. In un simile contesto meritano di essere approfondite almeno tre fondamentali tendenze:– la rilevante crescita di peso che assume il controllo dei principali bacini ener getici, in

grado, persino, di bilanciare la perdita di potenza militare degli Stati;– la straordinaria priorità che riveste la politica ener getica nel contesto delle relazioni

industriali e nei processi di internazionalizzazione delle imprese;– l’importanza che compete alla geografia dei tracciati seguiti dalle pipelines per rag-

giungere, in condizioni di sicurezza, la costa e i porti da cui regolare la distribuzioneai bacini di consumo dell’ener gia custodita nel sottosuolo da giacimenti, in lar ga mi-sura, molto lontani.

Si tratta di temi decisamente interconnessi, intorno ai quali un’attenta riflessione contri-buisce a chiarire il senso dei principali avvenimenti che hanno caratterizzato il lasso ditempo intercorso tra il nostro precedente Rapporto e quanto sta emer gendo, proprio inquesti ultimi giorni, in cui potere militare e poteri finanziari s’interrogano sulle più op-portune strategie da attuare.

Guerra alle guerre

Per quanto possa apparire paradossale, la risacca antibellica non è mai stata così costante ecrescente quanto traspare in questi ultimi mesi: proprio quando l’amministrazione statuni-tense si af fanna a spiegare le ragioni dell’impossibilità di un ridimensionamento dellapressione militare in Mesopotamia – a dispetto, e in dispregio, di ogni pur esplicita deter-minazione del Congresso. In concreto, venuta meno, in termini sempre più chiari e defini-

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tivi, la valenza antiterroristica dell’intervento militare, quanto resta per motivare l’ escala-tion bellica della coalizione anti-Saddam non è altro che un mal dissimulato interesse pergli approvvigionamenti di greggio iracheno, insieme al desiderio di un’ulteriore testa diponte, volta a vigilare, a più stretto contatto geografico, l’evoluzione della temuta ever-sione nucleare del regime di Ahmadinejad. Ma, come non sfugge più a nessuno, ormai, icosti sostenuti e da sostenere per proseguire l’impegno militare nell’area appaiono deltutto spropositati. Né, a conti fatti, il «gendarme» americano appare più disposto a soste-nerne la maggior parte; al contrario, li vorrebbe meglio ripartiti tra alleati sempre più rilut-tanti ad assumersene la partecipazione, quanto meno per valutazioni di politica interna. Del resto, mentre l’Europa, per il secondo trimestre successivo, supera il livello statuni-tense di crescita del PIL, il sistema delle imprese sembra giocare d’anticipo, sfiduciando,di fatto, l’opzione militare per intraprendere un cammino orientato all’acquisizione delleattività più remunerative che appaiono sul mercato finanziario e su quello ener getico.L’Italia, per lungo tempo considerata una sorta di discount, dove un poco tutti, e non soloeuropei, avevano trovato vantaggioso rifornirsi, a buon mercato, di utilities (dalle parteci-pazioni bancarie di un certo peso fino alle telecomunicazioni, racimolando anche qualchebuon affare nel settore della distribuzione elettrica, passando per l’agroalimentare e l’as-sicurativo), sembrerebbe essere passata al contrattacco, proprio nei settori strategici del-l’energia e della finanza.L’internazionalizzazione della nostra economia, quella vera, giocata sul fronte dell’azio-nariato più significativo e della contrattazione diretta con i grandi distributori di gas e pe-trolio, proprio nell’anno appena concluso, ha consentito la conclusione di importanti ac-cordi e stabilito valide premesse alla definizione di partenariati che, già nel corso delprimo semestre di quest’anno, dovrebbero portare a risultati di rilievo in termini di soddi-sfacimento del fabbisogno energetico nazionale. L’avere compreso che le intese commer-ciali non sarebbero state possibili al di fuori di un riflessivo contesto geopolitico ha con-sentito a ENI ed ENEL di af facciarsi su mercati complessi e insidiosi, in particolarequello russo del gas siberiano, proponendosi come partners industriali di rilievo, con ap-porto di tecnologie e investimenti diretti, e garantendosi, per compensazione, cospicuiflussi di gas, indispensabili al soddisfacimento della domanda ener getica interna. Sembrapoi emergere un’ulteriore interessante prospettiva dall’acquisizione di rilevanti quote delmaggiore produttore di elettricità spagnolo, in perfetta intesa tra i rispettivi governi na-zionali e, persino, con un recupero di credibilità sul mercato tedesco, per vari intrecci le-gato alle due massime aziende ener getiche italiane nel riassetto del settore a scala euro-pea. Operazioni di internazionalizzazione, queste, condotte tenendo ben presente il ruolodi riequilibrio che la Federazione Russa è in grado di esercitare attraverso le straordinariepotenzialità del sottosuolo caspico e siberiano nei confronti dell’area OPEC e, in partico-lare, dell’Arabia Saudita – che gli stessi Stati Uniti guardano con sempre crescente so-spetto per la politica del doppio binario con la quale cercano di blandire il fondamentali-smo islamico.Il risveglio dell’orso russo, attraverso la leva politica della distribuzione compiacente dienergia, in sostanza, sottende la possibilità di un riposizionamento strategico del potereeconomico, più discreto e più opportunamente indirizzabile, nei confronti del potere mili-tare, indubbiamente forte, ma sempre meno condiviso e accettato da un’opinione mon-diale insofferente alla violenza.

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Del resto, se nella progettazione degli itinerari da seguire – nell’impianto dei nuovi corri-doi energetici controllati dalla Russia – non manca un’attenta riflessione sulle possibilireazioni del gigante americano, né sono sottovalutate le proiezioni sul piano della sicu-rezza dei tracciati e dell’accessibilità dei terminali, in funzione degli interessi dei poten-ziali destinatari, significa che la «nuova» economia ha ben compreso la necessità di tenerconto di fattori geopolitici a scala globale, rinunciando alla visione, più strettamente eco-nomicistica, del massimo profitto, disgiunto dai riflessi strategici di complessità politica.Tuttavia, il capitolo più intricato da analizzare è quello che, trovando nell’opzione nu-cleare un’incontestabile sponda sul piano della produzione di ener gia, si gonfia di pe-ricolosità in termini di rischio di più o meno esplicite derive militari. Per questa ra-gione il problema iraniano, nonostante i tentativi di condizionamento delle NazioniUnite, rappresenta una potenziale rivitalizzazione di un disequilibrio che non può es-sere risolto attraverso interventi d’ingegneria finanziaria e che, pertanto, ripropone ilrischio dell’opzione bellica come estrema soluzione di contrasto. Nella realtà contem-poranea, poi, la contesa nucleare finisce per ulteriormente rinfocolare l’attività bellica,per il controllo del potere in Afghanistan, irrinunciabile piattaforma per il transito del-l’oro nero di origine russa ma, contemporaneamente, base strategica per l’accerchia-mento del regime di Ahmadinejad.

La «risorsa» afghana

L’attenzione che il mondo occidentale rivolge all’Afghanistan si spiega quasi esclusiva-mente con considerazioni relative alla centralità che la posizione geografica del paese as-sume rispetto a due importantissime direttrici geopolitiche:– quella est-ovest, che dalla Cina raggiunge il Mediterraneo orientale e che si divide in

un corridoio settentrionale – costituito dalle ex repubbliche sovietiche del Caspio, finoalla Turchia – e uno più meridionale, parallelo al primo, costituito da Pakistan, Afgha-nistan, Iran, Iraq e Siria;

– quella nord-occidentale/sud-orientale, che dal Mar Nero e dal Caspio slar ga nel sub-continente indiano.

Queste direttrici, per ragioni legate alle dinamiche che caratterizzano gli assetti politici diquella vasta area cui si tende a dare la denominazione di Medio Oriente allar gato, hannoprogressivamente assunto crescente rilievo strategico sia per motivi meramente militari,spiegabili con l’opzione di un più stretto e diretto accerchiamento di regimi antagonisti –dalla Siria all’Iraq, sino all’Iran – sia per la creazione di corridoi ener getici alimentatidalle riserve caspiche e siberiane. Il controllo dell’Afghanistan e dell’Iraq, quindi, apparestrategicamente irrinunciabile, in una fase in cui la preoccupazione dell’Occidente perl’escalation nucleare iraniana si colloca a livelli di rischio molto elevati, con conse-guenze pesanti sul complessivo equilibrio regionale dell’area. Quella che in passato non fu che la prospera e pacifica «V ia della seta», lungo la qualel’attraversamento dell’Afghanistan costituiva una tappa obbligata per raggiungere, dalMedio Oriente, le mete del lontano Oriente, si è repentinamente trasformata in una terradi aspri conflitti e di contrastate occupazioni straniere: dalla decennale invasione sovie-

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tica, conclusasi nel 1989, seguita da un lungo periodo di guerra civile tra le diverse fa-zioni di mujahiddin (nati con l’aiuto occidentale, in funzione antisovietica), fino all’in-staurazione, prima, e alla decapitazione, poi, del regime talebano, allorquando gli StatiUniti decisero di intraprendere la grande controf fensiva al terrorismo islamico. Infatti,ancor prima che gli attentati dell’1 1 settembre 2001 si compissero, i talebani controlla-vano circa il 95% del territorio afghano e, nella zona esclusa dal loro controllo, a resi-stere restava solo un gruppo di «signori della guerra» – la cosiddetta Alleanza del Nord –tenuti insieme e guidati dal generale tagiko Massoud, carismatico capo militare assassi-nato proprio alla vigilia dell’attentato alle Torri Gemelle. La morte di Massoud avrebbeprobabilmente segnato una svolta decisiva nella guerra intestina, consegnando ai talebaniil potere assoluto sull’intero territorio afghano. Invece, gli attentati terroristici e la suc-cessiva occupazione da parte delle truppe statunitensi determinarono il crollo del regimetalebano e una profonda modifica del sistema di alleanze interne, caratterizzato da com-plessi assetti tribali. Nonostante l’impegno della comunità internazionale, tuttavia, e l’azione congiunta deicontingenti NATO e statunitense, dopo sei anni dall’inizio dell’intervento militare per ab-battere il regime dei talebani, la situazione in Afghanistan non appare affatto stabilizzata,mentre il lungo, complesso e tormentato processo di riforme istituzionali per la nascitadel nuovo Afghanistan – formalmente concluso nel 2005 – non ha conseguito af fatto unareale pacificazione né, tanto meno, consentito lo stabile avvio dello sviluppo economicodel paese. L’anno appena conclusosi (2006), in sostanza, ha visto il declino del governoKarzai, il riemergere delle conflittualità fra i capi tribali nelle diverse province, il dif fon-dersi della corruzione, indotta dagli aiuti internazionali e dagli interventi diretti esteri e,soprattutto, ha nuovamente registrato il ri-emergere e, quindi, il progressivo dilagare, del-l’azione di guerriglia condotta dalle ricostituite truppe talebane. Ciò che traspare è una realtà non molto dissimile da quella che costituiva lo scenario ini-ziale del teatro afghano, con un paese tuttora ostaggio dei signori della guerra, orientati asoddisfare la sete di profitto dei produttori di oppio, degli ex talebani, degli ex mujahid-din e degli ex membri di Al Qaeda, molti dei quali legati tra loro da ataviche fedeltà tri-bali, oltre che da interessi economici. Sul piano militare, nonostante le innumerevoli in-cursioni dell’aeronautica statunitense, restano quasi del tutto intatte le postazioni deiguerriglieri, agevolate dall’impervia morfologia della regione, principalmente in quell’e-stesa area che slar ga sulle montagne, al confine col Pakistan. Nello stesso tempo, conl’aiuto di complicità tribali, i ribelli controllano almeno venti distretti nelle province diKandahar, Helmand e Uruzgan, nonostante lo spiegamento di forze delle truppe NA TOche hanno preso il posto dei soldati americani. La NATO – che ormai gestisce nel paese tutte le operazioni militari di contrasto alle mili-zie talebane – fatica a rispondere alla crescente aggressività e non è in grado di garantireil controllo del territorio, contrariamente a quanto dimostrano le bande ribelli, con il ri-sultato di sempre crescenti perdite di vite umane a cui, più di recente, si aggiungono pra-tiche odiose di rapimento a spese di osservatori civili. Il tutto con palesi finalità dimostra-tive, non disgiunte da intenti ricattatori nei confronti di un governo sempre più insicuro emalfermo, in ragione del continuo mutamento di equilibri, prodotti dalla latente, perma-nente, insoddisfazione delle rappresentanze dei poteri locali, in lite per la spartizione deibenefici attesi e promessi dal piano degli aiuti occidentali allo sviluppo.

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Come ben s’intende, lo scenario non è che solo in parte dissimile da quello, probabil-mente ancora più contrastato, in cui si era inserito il tentativo sovietico di controllo delpaese; l’azione bellica occidentale, pur se ha rapidamente condotto al rovesciamento delpotere talebano sul piano del governo del paese, ben poco ha ottenuto in termini politicisul piano del coinvolgimento a proprio favore dei capisaldi del sistema tribale che, difatto, controlla la destinazione e l’impiego delle scarse risorse interne. Di contro, proprioper effetto della dif ficile stabilizzazione irachena e l’acuirsi della crisi che contrapponel’Iran all’alleanza occidentale, il posizionamento strategico dell’Afghanistan cresce di ri-lievo costringendo a una vigile presenza militare, finalizzata a estendere, nonostante ledifficoltà, il controllo sull’intero paese.Sono questi i reali motivi di un interesse, intensamente costante, della comunità inter-nazionale per il territorio afghano, nonostante la modesta ricchezza di risorse interne el’arretratezza in cui versa l’intera economia nazionale. Fatta eccezione per la colturadei papaveri, infatti, l’Afghanistan è ef fettivamente un paese relativamente povero, purse non va trascurato il fatto che nel sottosuolo sono presenti giacimenti petroliferi, an-cora inesplorati, risorse minerarie (uranio, rame, piombo, zinco, ferro), pietre preziose,carbone e gas.Ciò che più conta e che contribuisce a enfatizzare l’attenzione per il corridoio afghano èla consapevolezza che questo appare legato a doppio filo ai gasdotti e ai corridoi com-merciali (stradali e ferroviari) che lo attraversano, lungo quel prospero tracciato che dagliStati ex sovietici dell’Asia Centrale si apre, da un lato, verso l’India e, da un altro, versola Cina: le due più vivaci economie del mondo contemporaneo, il cui elevatissimo tassodi crescita presuppone un’immensa disponibilità ener getica che solo l’approvvigiona-mento esterno può garantire. Se l’Afghanistan riveste una grande importanza geopolitica,quindi, è proprio perché è prossimo a regioni particolarmente strategiche: da una parte ilMar Caspio e le repubbliche dell’Asia Centrale, particolarmente ricche di idrocarburi 1,oggetto d’una spinta concorrenza per il controllo dei percorsi per il transito «sicuro» delflusso energetico; dall’altra la contiguità, a sud e a est, con le due potenze continentali inpiù rapida espansione, l’India e la Cina, che costituiscono i maggiori mercati ener getici ecommerciali dei prossimi anni. Ancora più vicino, infine, sempre a sud, il Pakistan – atta-nagliato da grosse tensioni interne e, oltretutto, dotato di armamenti nucleari – che con ilporto di Gwadar detiene una testa di ponte sul Mare Arabico, fondamentale porta di ac-ceso al Golfo Persico e alla Penisola Arabica da dove si diparte ben il 65% del petrolioestratto su scala mondiale. Come emerge chiaramente dalla figura 1, l’interposizione del territorio afghano trale repubbliche dell’Asia Centrale e il confine sino-pakistano impedisce che oleodotti

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1 Secondo stime dell’Institute for Afghan Studies, il valore delle riserve petrolifere dei paesi del-l’Asia Centrale e del Caspio (Azerbaigian, Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan) si aggira tra i2.500 e i 3.500 miliardi di dollari. Si tratterebbe di 1 10 miliardi di barili di petrolio contenuti nelsolo Mar Caspio, che ne farebbero la terza riserva mondiale, dopo l’Iraq (1 13 miliardi) e l’ArabiaSaudita (262 miliardi). Nell’area esistono anche enormi giacimenti di gas naturale – il paese piùricco è il Turkmenistan, seguito dal Kazakistan e dall’Uzbekistan. Questi tre paesi si collocano trai primi 20 al mondo per quantità di risorse ener getiche accertate.

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e gasdotti provenienti dai ricchissimi giacimenti del Caspio possano raggiungere ilMare Arabico, da un lato, e la Cina, dall’altro, senza transitarvi. Questa condizioneè, ai giorni nostri, enfatizzata dal posizionamento antagonista, nei confronti dell’Oc-cidente, assunto dall’Iran che, pur se boicottato sul piano economico attraverso riso-luzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ne sanzionano le scelte nucleari,resta pur sempre uno dei principali bacini ener getici dell’area. Del resto, soluzionialternative, benché siano possibili attraverso il corridoio caspico occidentale, for-mato dalle piccole repubbliche ex sovietiche che vi gravitano, rappresentano sceltedecisamente rischiose, proprio per l’instabilità politica che caratterizza regimi facil-mente destabilizzabili 2, che gli stessi statunitensi considerano di scarsa af fidabilità.È chiaro, quindi, come ben al di là di quanto si voglia far credere in termini di con-trasto al fondamentalismo islamico, l’intervento militare in corso sia in Iraq sia inAfghanistan è innanzitutto motivato da ragioni di ordine geoeconomico, che sugge-riscono esplicite strategie geopolitiche di condizionamento militare: gli Stati Uniti,in sostanza, perseguono un disegno politico che mira a creare un forte Stato centralein Afghanistan, assolutamente schierato ed economicamente condizionato, al fine diesercitare un più esteso controllo in tutta la regione centroasiatica 3. Non è assoluta-mente pensabile, tuttavia, che l’attuale impegno militare possa avere una durata an-cora lunga – come la situazione di stallo in cui ci si trova sembrerebbe prospettare;soluzioni «politiche» in grado di coinvolgere le relazioni bilaterali tra Stati Uniti eFederazione Russa su un comune progetto di riequilibrio delle rispettive posizioni ascala mondiale appaiono non solo auspicabili, bensì addirittura inevitabili. Non va,infatti, dimenticato che le ex repubbliche sovietiche, con il beneplacito di Mosca 4,hanno concesso basi agli USA per affrontare la guerra in Afghanistan – con un ac-cordo che però prevedeva che, concluse le operazioni militari, in breve tempo lebasi fossero smantellate.Perdurando la necessità di appoggio logistico militare e radicandosi la presenza degliStati Uniti, anche attraverso l’elar gizione di benefici economici ai nuovi governi natidalle rivoluzioni dei fiori, di fatto si determina una sorta di accerchiamento della Russia,

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2 Si pensi agli avvenimenti che hanno caratterizzato i recenti fenomeni nazionalistici in Cecenia oalle complesse vicende che hanno condotto all’attuale situazione politica in Geor gia.3 A complicare ulteriormente l’assetto complessivo degli equilibri geopolitici nell’area, si ag-giunge la circostanza che analoghe finalità sono perseguite sia dal Pakistan, sia dall’Iran sia dallaFederazione Russa. L ’attenzione di questi tre paesi scaturisce dalla condivisione di uno stessoobiettivo: trarre profitto dai ricchi giacimenti di idrocarburi delle repubbliche dell’Asia Centrale,ottenendone la collaborazione attraverso l’of ferta del proprio territorio per il passaggio dei gas-dotti e degli oleodotti da progettare per trasportare le materie prime verso i mercati europei easiatici.4 Tra la repubbliche ex sovietiche, l’Uzbekistan è quella che più ha da guadagnare: avendo offertobasi per operazioni militari agli USA, le ricadute economiche in forma d’aiuti saranno cospicue;inoltre, la stabilizzazione dell’Afghanistan consentirà una lotta più adeguata al narcotraf fico – chein Uzbekistan, luogo di consumo e non solo di passaggio, sta creando danni sociali ingenti enuove forme di destabilizzazione politica.

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proprio sul suo versante sud-occidentale 5, il che spinge la Federazione a intese diploma-tiche con l’Europa per consolidare la propria posizione centrale lungo il corridoio est-ovest, che unisce le repubbliche dell’Asia Centrale ai paesi della Comunità allar gata. Intal modo, la Russia tenta di evitare che il gas e il petrolio uzbeko e turkmeno imbocchinodirezioni diverse, proprio attraversando l’Afghanistan, per giungere nel Golfo Persico.Questa prospettiva, molto probabilmente alla base dell’inaspettata intesa tra le nostreENI-ENEL e la russa GAZPROM, è legittimata dalle dif ficoltà finanziarie dei russi che,volendo impedire che gli USA si possano attestare nel paese con investimenti diretti, tro-vano conveniente aprire le porte a intese con partners europei, decisamente meno aggres-sivi. Non va però trascurata un’altra possibilità che vede, semmai, la ricerca di un’intesa

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Fig. 1 – Pr oiezioni verso oriente dell’ener gia che è possibile distribuir e dal Ca-spio attraverso il corridoio afghano, in r elazione al flusso attivato dall’Iran (no-stra elaborazione da fonti diverse)

5 A ovest la NATO arriva fino ai suoi confini, a sud ormai le basi statunitensi incombono minac-ciosamente e a est e a nord il Pacifico e l’Artico dividono la Russia dagli USA.

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con gli Stati Uniti, in cambio di un riposizionamento complessivo sullo scenario globale,proprio attraverso un’opzione che possa condurre a condividere la realizzazione di retidistributive che dal Caspio raggiungano utenze cinesi attraversando l’Afghanistan 6.

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6 Un’alternativa tutt’altro che improbabile vede Mosca orientata a favorire la distribuzione delgas proveniente dai giacimenti del Sud attraverso un gasdotto di circa 2.500 km che – intercet-tando un’analoga struttura iraniana – arriverebbe nella regione meridionale della Cina passandoper il Pakistan, l’India e il Myanmar.7 L’appoggio che il Pakistan of fre, sempre più intensamente, alla NATO è valutato con interesse,sia perché consente di ridurre la dipendenza della coalizione dallo spazio aereo russo per il soste-gno logistico alle truppe impegnate in territorio afghano, sia perché apre la strada al posiziona-mento strategico di una base militare nella periferia orientale del Golfo Persico, in previsione diun eventuale conflitto aperto con l’Iran.

Fig. 2 – La cooperazione militare statunitense nella regione orientale

Del resto, gli Stati Uniti – al fine di ostacolare il progetto russo del gasdotto iraniano-pa-kistano rivolto alla Cina meridionale – tentano, da un lato, di escludere dall’accordo l’In-dia (con cui Washington ha eccellenti relazioni diplomatiche e ha di recente firmato unaccordo sull’energia nucleare, che garantisce a Nuova Delhi, in cambio di una politica diantiproliferazione, la tecnologia necessaria per la costruzione di nuove centrali elettronu-cleari) e, dall’altro, spingendo il Pakistan 7 a dissociarsi dal progetto per un gasdotto conl’Iran, optando, invece, per l’importazione del gas dal Qatar .

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Per quanto concerne la posizione pakistana, invero molto incerta per l’approssimarsidelle elezioni politiche, non sfuggono i motivi che spingerebbero il paese ad avvantag-giarsi di una favorevole cooperazione con gli USA: dagli aiuti per il finanziamento ela progettazione del porto di Gwadar 8 a un più utile inserimento nel circuito dell’ap-provvigionamento delle principali risorse ener getiche e delle materie prime, di cui ilpaese, afflitto da una grave crisi economica, ha assoluta necessità. Ove, come si auspica, alla fase violenta, di mera presenza militare, si sostituisse intempi brevi una nuova strategia giocata su accordi commerciali, azioni d’investi-mento diretto estero e più distese relazioni diplomatiche, potrebbe af fermarsi unoscenario geopolitico in cui l’Afghanistan fornirebbe l’attraversamento per il percorsodi un gasdotto in grado di rifornire il Pakistan e l’India per poi raggiungere l’OceanoIndiano 9. La Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan pipeline (TAP o TAPI) consenti-rebbe di trasportare gas dal Turkmenistan fino al Mare Arabico e, nelle ultime ipotesidi progetto, di prolungare il percorso fino in India. Secondo il progetto validato dal-l’Asian Development Bank 10, il gasdotto partirebbe dal più grande giacimento turk-meno, quello di Dauletabad, per attraversare l’Afghanistan, costeggiando la stradache collega Herat a Kandahar , e poi continuare in Pakistan attraverso Quetta e Mul-tan. La destinazione finale potrebbe essere la città indiana di Fazilka, vicina al con-fine pakistano 11. Che il nesso geoeconomia-geopolitica sia del tutto imprescindibile, nella dimensione glo-balizzata del mondo contemporaneo, è più che evidente: sulla scia di eventi in rapida rin-corsa, il potere finanziario cerca di attrezzarsi con tempestività, così che numerose im-prese statunitensi e britanniche hanno messo allo studio propri piani per lo sviluppo di unoleodotto che trasporti il petrolio dall’Azerbaigian all’India, passando per l’Afghanistan,

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8 Gwadar si trova lungo la costa sud-occidentale del Pakistan, vicino allo Stretto di Hormuz, at-traverso il quale passano più di 13 milioni di barili di petrolio al giorno. È previsto che il porto diGwadar generi miliardi di dollari di entrate e 2 milioni di posti di lavoro. Il nuovo porto compren-derà anche un terminal per il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan e potrebbe diventare ildiretto concorrente del porto iraniano di Bandar -e Abbas.9 Gli Stati Uniti stanno premendo affinché questo gasdotto venga realizzato; d’altro canto, que-sta è una delle ragioni per le quali gli USA sono particolarmente interessati ad assicurarsi unadiretta influenza sull’Afghanistan. È stato infatti evidenziato come la distribuzione delle basimilitari statunitensi in Afghanistan coincida sostanzialmente con il tracciato del progetto del gasdotto, confermando, così, che gli interessi ener getici sono un Leitmotiv dell’occupazione delterritorio afghano.10 Il progetto originale fu avviato nel marzo 1995, con un memorandum di intenti siglato traTurkmenistan e Pakistan. Nell’agosto 1996 fu creato un consorzio (CENTGAS) per la costruzionedel gasdotto, con a capo la società statunitense UNOCAL, che si ritirò dal consorzio alla fine del1998. Il progetto è stato poi ripreso dall’Asian Development Bank nel 2005 e sottoscritto dai paesidirettamente interessati.11 Il Trans-Afghanistan sarà lungo 1.680 km, con una capacità di 33 miliardi di metri cubi di gasall’anno. Il costo è stimato intorno ai 3,5 miliardi di dollari; al governo afghano dovrebbe spettarel’8% dei proventi.

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che così verrebbe ad assumere il ruolo di punto strategico di snodo per il rifornimento digreggio dei nuovi mercati petroliferi del futuro (India e Cina) 12. Lo scenario afghano, in tal modo, sembra chiudere un cerchio in cui l’azione militare, fa-cendo da battistrada, apre la via a intense interlocuzioni tra imprese, sicché la variabilegeopolitica determina condizioni di profonda trasformazione dei precedenti equilibri stra-tegici, intensamente innovati dalle prospettive legate alla creazione di nuove – prima im-prevedibili – realtà produttive. Anche un paese povero di risorse note, se costituisce untransito inevitabile al fiume ener getico, finisce per occupare una posizione tutt’altro chesecondaria nello scenario globale. Ciò che rammarica, creando perplessità e incertezze, èla circostanza che un simile processo non poggi affatto su basi democratiche, né su inteseconsensuali, tra comunità locali e agenti promotori di sviluppo, e che resti terreno discontri violenti, insicuro approdo di un progetto il cui costo sociale si rivela sempre piùspropositato.

Lo snodo saudita

In questi anni, con inevitabile regolarità, lo scenario mediorientale ha rappresentato iltema centrale delle riflessioni proposte, nel tentare d’interpretare senso e direzione delledinamiche che agitano la ricomposizione degli scenari geopolitici del mondo contempo-raneo. Dal dif ficile – il più delle volte impossibile – dialogo tra israeliani e palestinesi,alla recente deriva violenta in cui il Libano si è visto catapultare nella disputa diretta dacontrapposte inarrestabili rivalità, la lotta per la sopravvivenza di due comunità, ciascunaportatrice di esigenze basilari di libertà e autonomia per nulla contestabili, ha continuatoa infiammare l’orizzonte internazionale con costi spaventosamente crescenti in termini divite umane. Non ha senso, di certo, una statistica incentrata sulla conta dei morti ricavatadal calendario degli eventi più significativi della volontaria incomunicabilità, testarda-mente perseguita da due comunità confinanti arroccate in un territorio conteso. Al centroè proprio questo dato di fatto: il difficile sciogliersi del nodo che tuttora rappresenta il piùtestardo limes che resti in questo nostro mondo contemporaneo – che, proprio dall’abbat-timento di ogni confine, ha tratto i più significativi vantaggi di globalizzazione.Come si è puntualmente ragionato in proposito in precedenti Rapporti, Israele è stato eresta, indubbiamente, il paese in cui si alzano nuovamente muri invalicabili per sottinten-dere scelte di separazione pervicacemente perseguite, sia pure motivate da apprensionitutt’altro che ingiustificate nei confronti del rischio terroristico. Derive terroristiche cheforse, proprio per tale ragione di separatezza, teorizzata e praticata, finiscono per esserecomprensibilmente giustificate dall’escluso.

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12 La stessa UNOCAL ha progettato un oleodotto, il Central Asian Oil Pipeline, lungo 1.700 km ein grado di collegare Chardzhou in Turkmenistan e l’oleodotto siberiano già esistente, da un lato, ela costa pakistana che si af faccia sul Mare Arabico dall’altro. Ovviamente, anche in questo caso ilpassaggio è attraverso l’Afghanistan e l’oleodotto sarebbe almeno in parte parallelo al gasdottoTAPI.

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Indipendentemente dalle valutazioni – più o meno appassionate, più o meno di parte, piùo meno informate – quella che si è più volte additata come la «polveriera» mediorientalenon ha alcuna possibilità di conoscere una stabilizzazione pacifica duratura, se non attra-verso una concreta considerazione degli interessi in gioco e la ricerca di un compromessocondivisibile per la «perimetrazione» di territori che siano parimenti ospitali: in grado,cioè, di consentire un proficuo sviluppo a ciascuna delle due dif ferenti comunità che vidovrebbero convivere.Si è detto in modo ben chiaro come, per ragioni di superiorità tecnica, di potenza mili-tare, di accumulazione capitalistica, non disgiunta da laboriosità e indubbia propensionea un intelligente progetto di sviluppo, la comunità israelita abbia acquisito le terre mi-gliori attraverso il possesso delle fonti idriche, or ganizzato produttivamente imprese ecommerci, conseguito un livello complessivo di qualità della vita decisamente superiorerispetto a tutte le altre popolazioni dell’area, non escluse comunità di insediamento e cul-tura ben più antiche e radicate.Ignorare tutto ciò, disconoscere l’esito virtuoso di un processo di umanizzazione proficuadel territorio originariamente assegnato e, poi, nel tempo accresciuto e trasformato, signi-fica negare un fenomeno d’insostituibile valenza geografica che è, per l’appunto, la co-struzione del paesaggio umanizzato ebraico – proiezione di una sagace combinazione difattori naturali e di acquisizioni culturali che il sionismo ha contribuito a realizzare in unarco temporale estremamente limitato (in sostanza, molto meno di mezzo secolo). Anchele diverse acquisizioni territoriali e le successive, sia pure parziali, recentissime remis-sioni non sono altro che la testimonianza di un contrasto insolubile tra la capacità dina-mica dello sviluppo economico israeliano e la consapevolezza politica dell’impossibileconsolidamento di confini strappati attraverso estemporanee azioni militari. Tuttavia, allo stato attuale, proprio l’esperienza negativa, da parte di Israele, del con-fronto con gli hezbollah in Libano, e il successivo buon esito dell’intervento internazio-nale hanno finito per mettere a nudo la crescente debolezza dello Stato ebraico, non tantosul piano militare, quanto sul piano politico, per l’insipienza e i contrasti interni chehanno caratterizzato la debole azione di governo, a fronte di una recrudescenza dell’atti-vità di guerriglia or ganizzata dalle fazioni estremiste palestinesi, attraverso basi logisti-che in territorio libanese.Per ben valutare le possibili trasformazioni che la geopolitica mediorientale rischia di ri-servare in un non troppo lontano futuro, va tuttavia tenuto conto del dif ficile equilibrioche si profila all’orizzonte della monarchia saudita, in bilico tra acquiescenza verso gliUSA e tolleranza, più o meno esplicita, verso i movimenti estremisti, siano o non legatiad Al Qaeda e alla Jihad islamica. Parimenti, su suolo africano, dal Marocco all’Algeria efino all’Egitto, traspare un evidente indebolimento della tenuta dei governi arabi filo-oc-cidentali, contro una progressiva ascesa dei radicalismi islamici di varia origine nazio-nale. Mentre sia la situazione interna dei due principali paesi islamici mediorientali, sia ifermenti sciiti che ne indirizzano le azioni politiche – rendendo la regione che si estendedall’Iran all’Iraq l’area più instabile del già complesso mondo arabo – determinano l’in-staurarsi di un clima d’incertezza e di indecifrabile futuro nel passaggio da una fase ditensione permanente a una di concertazione pacifica.In questo scenario, oggettivamente poco chiaro, il tentativo arabo, sancito dal Vertice diRiad, di af fidare alla mediazione del sovrano saudita Abdullah la soluzione definitiva

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della questione israeliana, rappresenta un’interessante prospettiva che, comunque, nonnasconde innumerevoli incertezze. Infatti, se gli arabi hanno fretta di chiudere almeno uno dei principali focolai che rischiadi investire i loro stessi regimi, non solo per ragioni di strategia militare, ma anche pervalutazioni di natura ideologica e religiosa che potrebbero alimentare polveriere sempreinfiammabili, non vi è dubbio che gli israeliani, parimenti stanchi di combattere per la so-pravvivenza, non possono trascurare una soluzione «regionale» della crisi che li contrap-pone ai palestinesi, non fosse altro che per allontanare il rischio di una deriva violenta daparte dell’Iran. Nonostante proprio l’incertezza e l’instabilità che coinvolgono i regimimoderati arabi – che non costituiscono af fatto un elemento di garanzia che possa dare fi-ducia a Israele al punto da spingerla a rientrare nei confini del 1967 e a trattare per Geru-salemme – non appaiono af fatto margini di manovra estranei al contesto da cui trae ori-gine l’iniziativa di Riad.La «pace regionale» più volte evocata, in queste stesse pagine, come soluzione innova-tiva e opportuna per ricostruire uno scenario mediorientale su basi di cooperazione e sod-disfazione delle reciproche aspettative di sviluppo duraturo delle singole compagini et-nico-religiose finisce con lo scontrarsi con un insieme di debolezze che soltanto una vo-lontà politica coesa potrebbe archiviare. In sostanza, se gli Stati arabi moderati, innanzitutto l’Arabia Saudita, riusciranno a farsiriconoscere da Israele come entità in grado di contrastare ogni deriva violenta di matriceislamica, a fronte di una revisione delle intese territoriali con il potere ebraico, il gruppodi Riad non solo guadagnerà ulteriore credito nella regione, aggiungendo valore al suc-cesso conseguito pilotando l’intesa tra le opposte fazioni palestinesi, ma acquisirà rilievointernazionale in misura tale da consentire un reale consolidamento di quell’intesa, anchein termini politici più complessivi. In caso contrario, è da temere un ulteriore inaspri-mento delle tensioni e dei fermenti antioccidentali di ispirazione islamica che, verosimil-mente, potrebbero coinvolgere gli assetti degli stessi paesi arabi della regione mediorien-tale, in un crescendo di derive rivoluzionarie violente, che potrebbero favorire un’espli-cita leadership geopolitica dell’Iran.Per queste ragioni, la prudente, ma esplicita, apertura del pur debole governo Olmert al-l’offerta di mediazione del monarca saudita rappresenta qualcosa di ben più rilevante diuna semplice ulteriore istanza pacifista, perché assume il valore di un’intesa in grado diconseguire ef fetti stabilizzanti di lunga durata, capaci di estendersi ben oltre i limitaticonfini dello Stato ebraico. Se la pace in Medio Oriente troverà ef fettiva dimora, ancora una volta si tratterà di un ri-sultato indotto da considerazioni ispirate da vantaggi comparativi di natura geopolitica: lecontingenti debolezze di poteri statali in crisi, reciprocamente rinvigorite da soluzioni ne-goziali esemplarmente innovative, producendo assetti condivisi determinerebbero equili-bri d’insieme difficilmente contrastabili.

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La qualità della vita dipende per molti aspetti, specialmente nei paesi del Primo Mondo,dalla qualità dell’ambiente.In particolare, essa è strettamente correlata alla qualità degli ambienti di vita che sono etendono a essere sempre più le città, nelle quali ormai è inurbata oltre la metà della popo-lazione del pianeta con tendenza a superare il 70% della popolazione esistente alla fine diquesto secolo.Molto, dunque, dipende dalla quantità, qualità ed ef ficienza dei servizi urbani. Tra questiè di fondamentale importanza il servizio di rimozione e smaltimento rifiuti.In Italia, la situazione è molto articolata e presenta aspetti e problemi dif ferenti nelle di-verse aree del paese: non solo per quanto riguarda la quantità di rifiuti prodotti e la lorocomposizione, ma anche per le capacità e modalità di smaltimento.

La produzione dei rifiuti urbani

Come risulta dal Rapporto rifiuti 2006 , redatto a cura di APAT (Agenzia per la Prote-zione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) e ONR (Osservatorio Nazionale sui Rifiuti),la quantità di rifiuti ammonta a oltre 31 milioni di tonnellate.In particolare, con un totale di 31,677 milioni di tonnellate, il 2005 ha fatto registrare unulteriore incremento rispetto al 2004, confermando un’inversione di tendenza rispettoalla stazionarietà dei tre anni precedenti – abbastanza generalizzata tanto nelle regioni delNord quanto in quelle del Centro-Sud (tab. 1, fig. 1). L’aumento maggiore si è registrato nel Centro Italia, con un incremento di quasi il 10%tra il 2001 e il 2005. Al Nord e al Sud la crescita percentuale è stata rispettivamente del6% circa e dell’8,4%.Nel complesso la produzione di rifiuti urbani è stata, nel 2005, di 14,2 milioni di tonnel-late nel Nord del paese, 7,1 milioni di tonnellate nel Centro e poco più di 10 milioni ditonnellate nel Sud (fig. 2). Il dato riguardante le regioni meridionali desta qualche preoccupazione, non tanto perl’aspetto quantitativo del problema, quanto per quello qualitativo, dal momento che c’è ilragionevole sospetto che l’incremento rilevato nella produzione di RSU dipenda anchedalla tendenza «ad assimilare, nell’ambito dei circuiti di raccolta dif ferenziata dei diversicomuni, sempre più tipologie di rifiuti speciali ai rifiuti urbani».Significativo è anche il dato riguardante la produzione pro capite , che nel 2005 è stata,complessivamente, di 539 kg per abitante all’anno con valori di 533 kg per abitante al-l’anno nelle regioni settentrionali; 633 in quelle centrali, 496 in quelle meridionali. Pro-fondamente diversi, però, sono stati gli incrementi nelle tre macroaree nel biennio 2003-2005. Infatti, rispetto a un aumento di 6 kg per abitante all’anno al Nord, se ne sono regi-strati 33 al Centro e 16 al Sud.

2. La qualità della vita

Quantità di rifiuti e qualità della vita

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140 La qualità della vita

Tab. 1 – Produzione di rifiuti urbani per regione, anni 2001-2005 (migliaia di t)

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

Fig. 1 – Andamento della produzione dei rifiuti urbani, anni 1996-2005

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

Regione 2001 2002 2003 2004 2005

Piemonte 2.082 2.133 2.132 2.230 2.229Valle d’Aosta 69 71 78 73 74Lombardia 4.538 4.580 4.631 4.791 4.762Trentino-Alto Adige 515 479 461 478 478Veneto 2.163 2.177 2.136 2.185 2.273Friuli-Venezia Giulia 590 603 589 590 603Liguria 928 954 937 953 998Emilia-Romagna 2.516 2.635 2.613 2.729 2.789

Nord 13.402 13.632 13.576 14.028 14.205

Toscana 2.284 2.354 2.392 2.492 2.523Umbria 454 468 472 477 494Marche 783 794 793 824 876Lazio 2.981 2.978 2.929 3.147 3.275

Centro 6.501 6.594 6.586 6.941 7.167

Abruzzo 599 612 632 678 694Molise 116 117 120 123 133Campania 2.763 2.660 2.682 2.785 2.806Puglia 1.753 1.807 1.918 1.990 1.978Basilicata 217 229 239 237 268Calabria 811 859 889 944 936Sicilia 2.423 2.521 2.540 2.544 2.614Sardegna 823 833 852 878 875

Sud 9.506 9.637 9.872 10.181 10.304

Italia 29.409 29.864 30.034 31.150 31.677

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La riduzione di produzione al Nord, in alcune regioni in particolare, è una tendenza dinotevole importanza, indicativa della possibilità di ridurre a monte la produzione di ri-fiuti da smaltire e dell’adozione di particolari misure di prevenzione. È il caso, ad esem-pio, del Veneto, nel quale è stato realizzato con successo il ricorso al compostaggio do-mestico. Cioè alla separazione domestica della frazione or ganica (essenzialmente residuialimentari) ricca di acqua e facilmente putrescibile che, raccolta in tal modo, viene av-viata agli impianti di compostaggio nei quali viene trasformata in compost che può essereutilizzato come fertilizzante. Nel 2005 oltre 14.000 tonnellate ne sono state prodotte nelsolo Veneto, dove il totale di rifiuti prodotti è stato di 2.200.000 tonnellate.È evidente che se questo, come appare realistico, si può considerare un valido indicatore,la qualità della vita ne risente positivamente, dal momento che viene alleggerito il caricodi rifiuti da smaltire per le vie tradizionali che, peraltro, negli ultimi anni alimentano con-trapposizioni anche violente tra fautori dell’una o dell’altra posizione 1.È anche ragionevole constatare realisticamente che queste «buone pratiche» non sonoagevolmente proponibili dovunque alle stesse condizioni e con le stesse modalità.

Scenari italiani 2007 141

1 In particolare la contrapposizione è tra sostenitori di una linea che preveda lo smaltimento deirifiuti ricorrendo a più soluzioni anche tra loro integrate – quali la raccolta dif ferenziata, il confe-rimento in discarica, l’incenerimento – e coloro che si oppongono al ricorso alle discariche e, so-prattutto, agli inceneritori.

Fig. 2 – Produzione di rifiuti urbani per macroarea geografica, anni 2001-2005

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

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Soprattutto più grave e di più difficile soluzione è il problema nelle maggiori aree metropo-litane e nelle città con più di 150.000 abitanti. Il rapporto dell’AP AT-ONR ne ha prese inconsiderazione 24: 12 con una popolazione tra 150.000 e 250.000 abitanti (T rieste, Padova,Brescia, Modena, Parma, Livorno, Prato, Foggia, Taranto, Reggio Calabria, Messina, Ca-gliari); 6 tra 250.000 e 500.000 (V enezia, Verona, Bologna, Firenze, Bari, Catania); 6 con

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Fig. 3 – Pr oduzione pro capite di rifiuti urbani per r egione nel 2005 (kg/abi-tante/anno)

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

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oltre 500.000 (T orino, Genova, Milano, Roma, Napoli, Palermo), con una popolazionecomplessiva di circa un quinto del totale nazionale (tab. 2). Nell’insieme, in queste città, trail 2002 e il 2005, la produzione di rifiuti è cresciuta del 3% e, cioè, con un tasso notevol-mente inferiore al 6% della media nazionale, con estremi che vanno dagli incrementi supe-riori anche alla media nazionale di Roma (+1 1,2%), Parma (+8,2), Torino (+7,6), Foggia(+7,1), Reggio Calabria (+7), al forte calo di Messina (–20,2%) e a quelli più contenuti diBrescia (–7,3), Taranto (–5,7), Genova (– 4,3), Catania (–3,5), Milano (–3,1).Malgrado l’incremento complessivo più contenuto che nel resto del paese e il decrementoin alcune città, le produzioni pro capite sono superiori alla media nazionale essendo statenel 2005, in media, di 615 kg per abitante rispetto ai 539 della media nazionale.

Scenari italiani 2007 143

2 Secondo la suddivisione ISTAT rientrano nel Nord: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna; nel Centro: Toscana, Umbria,Marche, Lazio; nel Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.

Tab. 2 – Pr oduzione di rifiuti nelle città metr opolitane, anni 2002-2005 (mi-gliaia di t)

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

Dalla produzione allo smaltimento

I dati quantitativi sin qui esposti fotografano realtà e tendenze dif ferenti nelle tre macroa-ree 2 del paese e all’interno delle singole aree. In questo caso, l’unico elementare misura-

Comune 2002 2003 2004 2005

Torino 497 493 517 535Milano 744 726 719 721Brescia 137 143 123 127Verona 134 135 137Venezia 183 187 192 193Padova 133 129 138 136Trieste 100 101 101 100Genova 322 316 326 308Parma 98 104 109 106Modena 101 106 109 105Bologna 215 212 220 219Firenze 256 253 260 261Livorno 95 94 98 98Prato 135 132 136 142Roma 1.587 1.593 1.688 1.764Napoli 560 546 565 567Foggia 70 75 71 75Bari 190 191 196 199Taranto 123 123 123 116Reggio Calabria 86 88 88 92Palermo 441 428 386 440Messina 129 125 106 103Catania 254 256 251 245Cagliari 96 97 100 101

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tore di qualità della vita è costituito dall’incidenza della quantità di rifiuti prodotti. Moltopiù significativo è l’indicatore che fa riferimento alle modalità di smaltimento. Perché èlo smaltimento che incide positivamente o negativamente sulla qualità della vita.Le modalità di smaltimento sono varie. Tradizionalmente, i rifiuti erano sversati in disca-riche. Oggi la tendenza è di limitare il ricorso alle discariche incrementando la raccoltadifferenziata per componenti merceologiche.La materia è attualmente regolata dal decreto legge 152/2006. Questo decreto costituisce lanuova disciplina quadro in materia di rifiuti e imballaggi. Esso, abrogando le disposizionidel precedente decreto Ronchi e sue trasformazioni, presenta un sistema di classificazionedei rifiuti che si basa sulla loro origine (distinguendo tra rifiuti urbani e rifiuti speciali) esulle loro caratteristiche di pericolosità (distinguendo tra rifiuti pericolosi e non pericolosi).

Sono definiti rifiuti urbani: – i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a uso di ci-

vile abitazione;– i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti a usi diversi da quelli di

cui al punto precedente, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi del-l’art. 198, comma 2, lett. g) del decreto medesimo;

– i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; – i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade e aree pubbliche o

sulle strade e aree private comunque soggette a uso pubblico o sulle spiagge marittimee lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;

– i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi, aree cimiteriali; – i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti

da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti precedenti.

Vengono classificati come rifiuti speciali:– i rifiuti da attività agricole e agro-industriali; – i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi

che derivano dalle attività di scavo; – i rifiuti da lavorazioni industriali; – i rifiuti da lavorazioni artigianali; – i rifiuti da attività commerciali; – i rifiuti da attività di servizio;– i rifiuti derivanti dalle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, i fanghi prodotti

dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle ac-que reflue e da abbattimento di fumi;

– i rifiuti derivanti da attività sanitarie; – i macchinari e le apparecchiature deteriorati e obsoleti;– i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;– il combustibile derivato dai rifiuti; – i rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani.

Tipi così diversi comportano dif ferenti sistemi di smaltimento, smaltimento che costitui-sce la fase residuale della gestione del ciclo dei rifiuti. Inoltre i rifiuti da avviare allosmaltimento finale devono essere il più possibile ridotti, sia in massa sia in volume, po-

144 La qualità della vita

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tenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero. Obiettivo,quest’ultimo, che prevede a monte l’incremento della raccolta dif ferenziata.Secondo il decreto 152/2006 si definisce differenziata «la raccolta idonea, secondo criteridi economicità, ef ficacia, trasparenza ed ef ficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in fra-zioni merceologiche omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione or ganicaumida, anche al momento del trattamento, nonché a raggruppare i rifiuti di imballaggioseparatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i rifiuti sopra indicati sianoeffettivamente destinati al recupero» (art. 183, comma 1, lett. f).Dunque gli obiettivi sono essenzialmente due: incidere sulla produzione e sullo smalti-mento degli imballaggi 3; realizzare il recupero delle dif ferenti componenti merceologi-che e trasformarle in materie prime seconde – materie prime da utilizzare una secondavolta (e più altre) nei cicli produttivi tramite il riciclaggio in una serie di operazioni «cheutilizzano i rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti» (art.183, comma 1, lett. h).

La raccolta differenziata a livello nazionale

L’obiettivo previsto dalla legge Ronchi 4 era di raggiungere il 35% di raccolta dif feren-

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3 In Italia il packing, o industria degli imballaggi, conta 74.000 addetti e procura oltre 10 milioni dieuro di fatturato annuo. Ma esso in sostanza genera beni che diventeranno presto rifiuti e porranno ra-pidamente il problema del loro smaltimento. A seconda della funzione che svolgono, gli imballaggivengono divisi in tre categorie: a) primari: sono quelli «per la vendita», cioè utilizzati per la venditaall’utente finale o al consumatore; b) secondari: sono quelli utilizzati per «tenere insieme» nel puntodi vendita una certa quantità di oggetti; c) terziari: sono quelli utilizzati per il trasporto. Nel com-plesso si tratta soprattutto di legno (33%), cartone e cartoncino (24%), vetro (20%), plastica (16%).4 Sino al 1997 la materia è stata regolata dalle poche e generalmente imprecise indicazioni fornite dallegislatore in materia di raccolta dei rifiuti e delle modalità di smaltimento. Con la pubblicazione nellaGazzetta Ufficiale del d.lgs. 22 del 5 febbraio 1997 è stata avviata una graduale e radicale riformadelle regole che disciplinano lo smaltimento dei rifiuti in Italia. Questo decreto, noto come «Ronchi»dal nome dell’allora ministro dell’Ambiente, ha recepito tre direttive comunitarie: la 91/156/CEE suirifiuti, la 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e la 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti da imballag-gio. Esso definisce rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’alle-gato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». L ’armonizzazionedella nuova disciplina ai criteri imposti dalle direttive comunitarie di riferimento ha posto le basi peruna diversa concezione delle problematiche ambientali rimandandone, tuttavia, la vera e propria defi-nizione a successivi decreti ministeriali attuativi: i decreti definiti Ronchi bis, ter e quater del 1998.Attraverso questo lungo iter è stato possibile sanare, almeno in parte, il divario in materia tra l’Italia eil resto dell’Europa comunitaria. Ed è stato anche enfatizzato il riflesso ambientale che la gestione deirifiuti comporta. Ciò, in particolare, stabilendo l’obbligo per le autorità competenti di favorire la ridu-zione dello smaltimento finale in discarica attraverso il reimpiego e il riciclaggio e tutte le forme pre-viste di recupero. Il decreto af ferma infatti che «il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materiaprima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero» e che lo smalti-mento finale dei rifiuti riguardi solo i «rifiuti dei rifiuti», vale a dire materia non più valorizzabile se

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ziata entro il 2003; l’articolo 205 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006 ha spostatoquella primitiva scadenza al 31 dicembre 2006 e ha aggiunto come ulteriori obiettivi ilraggiungimento del 45% di differenziata entro il 2008 e del 65% entro il 2012.Nel 2005 la raccolta ha superato 7 milioni di tonnellate, pari al 23% della produzione totaledei rifiuti urbani, con una crescita della quota percentuale, rispetto al precedente anno, di pocopiù dell’1,5%. Si tratta, dunque, di un incremento che non consente ancora di conseguire a li-vello nazionale l’obiettivo fissato dal decreto legislativo 22/97 per il 2001 (tab. 3, fig. 4).

146 La qualità della vita

non in termini di recupero ener getico. Il decreto disciplina in maniera altrettanto articolata l’aspettodella gestione degli imballaggi, con particolare attenzione proprio al problema del recupero di materiaprima e del suo riutilizzo. Obiettivo finale è il raggiungimento del 35% di recupero di materia per ilreinserimento nel ciclo produttivo e la destinazione della parte restante agli impianti di produzione delcombustibile derivato da rifiuti attraverso processi «eco-sostenibili».

Tab. 3 – Raccolta differenziata per macroarea geografica, anni 2001-2005

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

Fig. 4 – Andamento della raccolta differenziata, anni 2001-2005

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

2001 2002 2003 2004 2005

1.000*t % 1.000*t % 1.000*t % 1.000*t % 1.000*t %

Nord 3.833 28,6 4.172 30,6 4.544 33,5 4.974 35,5 5.408 38,1Centro 835 12,8 963 14,6 1.129 17,1 1.270 18,3 1.388 19,4Sud 446 4,7 604 6,3 666 6,7 823 8,1 901 8,7Italia 5.115 17,4 5.739 19,2 6.339 21,1 7.067 22,7 7.697 24,3

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In termini assoluti la raccolta dif ferenziata si è assestata, nel 2005, intorno a 5 milioni ditonnellate al Nord, 1,3 milioni di tonnellate al Centro e meno di un milione al Sud. Una grande differenza, dunque, nelle tre macroaree che indica, comunque, una tendenza,se si considera che nel quinquennio 2001-2005 si è registrata una riduzione costante deirifiuti avviati in discarica, passando dal 74,4% al 51,9%; la quota sottoposta a inceneri-mento è passata dall’8,5% del 2000 al 10% circa del 2005.

La gestione degli imballaggi

Sul versante degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio i dati forniti dal CONAI sonopiù positivi 5: nel 2005 il riciclo e il recupero complessivo, pari al 55,4% e al 65,2% del-l’immesso al consumo, hanno raggiunto e superato gli obiettivi previsti dalla legislazioneeuropea e centrato un importante traguardo, che ha consentito la riduzione del 35% della

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5 CONAI, Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imbal-laggio, anno 2006, Milano, luglio 2006, p. 8.

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

Tab. 4 – Per centuali di raccolta differ enziata dei rifiuti urbani per r egione, anni2001-2005

variazione quotaRegione % RD 2001 % RD 2002 % RD 2003 % RD 2004 % RD 2005 percentuale RD

2004-2005

Piemonte 21,6 24,6 28 32,8 37,2 4,4Valle d’Aosta 16,9 20,7 23,5 25,6 28,4 2,8Lombardia 36,1 36,4 39,9 40,9 42,5 1,6Trentino-Alto Adige 23,5 27,7 33,4 37,8 44,2 6,4Veneto 34,5 39,1 42,1 43,9 47,7 3,8Friuli-Venezia Giulia 21,5 24,1 26,8 25,8 30,4 4,6Liguria 12,6 14,3 14,7 16,6 18,3 1,7Emilia-Romagna 24,7 26,5 28,1 29,7 31,4 1,7

Nord 28,6 30,6 33,5 35,5 38,1 2,6

Toscana 24,4 25,9 28,8 30,9 30,7 –0,2Umbria 12,7 15,6 18 20,2 24,2 4,0Marche 11,9 14,9 14,9 16,2 17,6 1,4Lazio 4,2 5,5 8,1 8,6 10,4 1,8

Centro 12,8 14,6 17,1 18,3 19,4 1,1

Abruzzo 8,9 10,8 11,3 14,1 15,6 1,5Molise 2,8 3,5 3,7 3,6 5,2 1,6Campania 6,1 7,3 8,1 10,6 10,6 0,0Puglia 5,0 7,6 7,2 7,3 8,2 0,9Basilicata 4,9 5,0 6,0 5,7 5,5 –0,2Calabria 3,2 7,0 8,7 9,0 8,6 –0,4Sicilia 3,3 4,3 4,4 5,4 5,5 0,1Sardegna 2,1 2,8 3,8 5,3 9,9 4,6

Sud 4,7 6,3 6,7 8,1 8,7 0,6

Italia 17,4 19,2 21,1 22,7 24,3 1,6

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quantità di imballaggi che finiscono in discarica. Nel complesso è cresciuta la quantità diimballaggi riciclati e recuperati. Il risultato è soprattutto positivo al Nord, quasi ovunque in condizioni di eccellenza e con unaraccolta di imballaggi di origine domestica dell’ordine dei 65 kg per abitante, mentre Centro esoprattutto Sud fanno registrare risultati ancora lontani dai livelli di buona pratica ambientale.

148 La qualità della vita

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

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Fig. 5 – Raccolta differenziata per regioni nel 2005 (%)

Il CONAI e i consorzi di filiera

I rifiuti raccolti in modo dif ferenziato vanno in direzioni diverse a seconda delle loro ca-ratteristiche. I materiali riciclabili (carta, plastica, vetro, alluminio…) sono avviati agliimpianti di recupero per diventare nuovi prodotti utili (maglioni di pile, oggetti d’arreda-mento, cartoni…). Quelli non riciclabili, invece, vengono smaltiti nelle discariche, negliinceneritori, o nel caso di rifiuti pericolosi, in aree speciali. Le attività di avvio a recupero e riciclo di molti dei rifiuti raccolti in modo dif ferenziatosono coordinate e garantite da consorzi nazionali istituiti per legge col compito di gestiree incrementare la raccolta, il recupero e il riciclo dei materiali e di perseguire gli obiettiviprevisti dalla legislazione europea e recepiti in Italia. I consorzi operano sull’intero territorio nazionale attraverso convenzioni specifiche con i Co-muni e le società di gestione dei servizi di raccolta dif ferenziata. Tra i principali è il CONAI(Consorzio Nazionale per il Recupero degli Imballaggi) che gestisce il recupero e il riciclodei rifiuti da imballaggio e si basa sull’attività di sei consorzi di filiera, uno per ciascuno deimateriali utilizzati per la produzione di imballaggi (Comieco – carta, Rilegno – legno, CoRe-Pla – plastica, CoReV e – vetro, CiAl – alluminio, Consorzio Nazionale Acciaio – acciaio).Esistono inoltre il Cobat (Consorzio Obbligatorio per le Batterie al Piombo Esauste e i Ri-fiuti Piombosi), il COOU (Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati) e altri consorzi minori.

Scenari italiani 2007 149

Fig. 6 – Raccolta differenziata pro capite per regione 2002-2005

Fonte: APAT-ONR, Rapporto rifiuti 2006, Roma, 2007

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CONAI è un consorzio privato senza fini di lucro, costituito dai produttori e utilizzatoridi imballaggi con la finalità di perseguire gli obiettivi di recupero e riciclo previsti dallalegislazione europea e recepiti in Italia attraverso il decreto Ronchi (ora d.lgs. 152/2006).Ed è l’organismo delegato dalla legge a garantire il necessario raccordo tra l’attività diraccolta differenziata effettuata dalle pubbliche amministrazioni e gli operatori economicicoinvolti nel sistema di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi. A oggi CONAI è la più grande realtà consortile in Europa con oltre 1.400.000 aziendeiscritte, a testimonianza di una buona adesione del mondo imprenditoriale agli obiettividi recupero dei materiali riciclabili e al modello scelto per raggiungerli. Oggi alle im-prese, infatti, viene chiesto non solo di preoccuparsi dell’impatto ambientale del processoproduttivo, ma anche di esercitare una responsabilità sul prodotto, sia nell’uso che neviene fatto, sia nello smaltimento a fine ciclo. Le leggi e la direttiva europea sono il fruttodi un nuovo modo di pensare: la necessità di tener conto della variabile ambientale nellaprogettazione, sia nei momenti di produzione sia in quelli di consumo. Anche per le evi-denti ricadute positive sulla qualità della vita dei cittadini.

150 La qualità della vita

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Le imprese che orientano lo sviluppo territoriale

La crescente attenzione rivolta all’evoluzione della capacità competitiva del sistema Ita-lia condiziona ogni momento del confronto e del dibattito istituzionale, orienta le scelteeconomiche, si riflette sul versante sociale e trasforma gli assetti territoriali. La sfidacompetitiva suggerisce qualche riflessione geografica, in quanto ciascun processo di va-lorizzazione o di riposizionamento dei vari segmenti dell’economia – che possa contri-buire alla implementazione o all’avvio di percorsi virtuosi di crescita e di sviluppo – siesprime prevalentemente in un’azione territoriale. Tale azione anticipa sovente ogni stra-tegia condivisa di sviluppo regionale e si impone come una nuova forza in grado di gene-rare effetti contrapposti. Infatti, come elemento caratterizzante del dinamismo e delle ca-pacità propositive di un qualsiasi soggetto, la spinta all’agire si manifesta con maggioreevidenza in alcuni settori produttivi. Non si può però trascurare la portata dei segni terri-toriali impressi da quelle attività, or ganizzate in forma imprenditoriale, che riescono amantenere più elevate le rispettive quote di esportazione e quindi dimostrano di posse-dere una vasta gamma di capacità necessarie per competere sui sempre più complessimercati internazionali.Il protagonismo delle imprese competitive affonda le radici nel peculiare effetto di tra-scinamento di flussi materiali e immateriali necessari per la produzione di beni e diservizi, da cui dipende l’innalzamento dei livelli economici e sociali. L ’andamento diqueste imprese si riverbera così sul sistema territoriale, favorendo o limitando incre-menti di attività produttive, di tipologie di lavoro, di interventi pubblici. Peraltro, dovei quadri istituzionali non hanno potuto realizzare una concreta attività di pianifica-zione territoriale, regolamentando e dif fondendo modelli di comportamento capaci digeneralizzare l’affermazione di un clima di reciproca fiducia, di rispetto e di impegno– elementi indispensabili per un armonioso vivere civile (ora divenuti strategici nel-l’ambito della cooperazione competitiva richiesta dall’apertura globale dell’economia) –si osservano preoccupanti fenomeni di erosione di risorse ambientali, economiche esociali, che potrebbero comportare un pericoloso depauperamento del patrimonio ter-ritoriale. E la perdita di valore di un sistema territoriale, proprio per il suo caratterecollettivo, non può che incidere profondamente sulle prospettive di ulteriori possibilipercorsi di sviluppo. Con questa ottica si vogliono presentare alcune valutazioni territoriali, concentrando l’at-tenzione sulle migliori performances delle nostre imprese e focalizzando l’osservazionesul sistema di attività che af feriscono al made in Italy . Si tratta infatti di un complessoeterogeneo di settori produttivi che modellano il territorio nazionale e regionale in varie-gate forme. La scelta tematica, peraltro, è anche suggerita dal sistema turistico esaminatoin questo Rapporto, in quanto il turismo manifesta ed esprime l’immagine italiana, e rap-presenta per le attività produttive e terziarie che lo caratterizzano il modello più cono-sciuto di made in Italy.

3. Lo sviluppo territoriale

Geografie del made in Italy

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Le attività del made in Italy

Le attività economiche del made in Italy sono prevalentemente collegate alla necessità disoddisfare i bisogni essenziali della persona (sinteticamente riconducibili a tre grandi cate-gorie: alimentazione, abbigliamento, abitazione). In linea con il costante percorso di crescitasocioeconomica del paese, le imprese produttrici hanno ampliato nel tempo quantità e qua-lità di produzioni; hanno condizionato i comportamenti dei consumatori con dif ferenti mo-dalità e strategie di mercato; hanno contribuito alla crescita del prodotto nazionale; hannoveicolato su scala internazionale le migliori immagini della qualità della vita italiana, favo-rendo processi emulativi – non scevri da inevitabili ripercussioni competitive. I settori manifatturieri che identificano il made in Italy possono essere disarticolati neicomparti delle produzioni alimentari e vitivinicole; nelle attività legate ai mercati dellematerie prime e della produzione del complesso sistema della moda e dell’abbigliamento– una filiera che spazia dal tessile all’abbigliamento, che si specializza nei settori delcuoio e della pelletteria, delle calzature, nel comparto orafo e dei gioielli; nelle produ-zioni dirette all’arredamento, ove emer gono le lavorazioni del legno, del vetro e delmarmo, dei mobili e dei casalinghi; e il più vasto e articolato segmento della meccanica.Si è in presenza quindi di un’ampia gamma di attività produttive, che hanno una solidaradice nella tradizione locale, destinate prevalentemente al consumo finale e conseguen-temente soggette alla concorrenza e alla sostituibilità, in quanto immettono sul mercatobeni materiali trasferibili. I manufatti, geograficamente originati, testimoniano ovunque ilpatrimonio genetico del nostro territorio, e dal nostro territorio continuano a trovare linfaper larga parte di quei processi innovativi che poggiano sulla capacità di ideare prodottidi grande utilità, di certificata qualità e di straordinaria bellezza.In tal senso, si spiegano subito e si comprendono le dif ficoltà che sovente si manifestano sulversante della capacità competitiva: contrazione ed espansione delle esportazioni del madein Italy non vanno soltanto attribuite ai problemi strutturali o innovativi delle imprese, masono strettamente connesse anche alla specificità del mercato di destinazione. Il consuma-tore finale può scegliere altri tipi di prodotti sostitutivi e, per conseguenza, il sistema produt-tivo del made in Italy può entrare in affanno e perdere quote di mercato. Nella sfida competitiva contemporanea si devono allora prendere sempre in considera-zione quegli elementi reali e simbolici che – molto evidenti e ben rappresentati nella frui-zione turistica – sono fondanti anche nell’acquisizione e nell’uso delle produzioni ita-liane. In altri termini, ogni prodotto potrebbe tendere a veicolare emozioni e suggestionidel territorio italiano, come il Bel Paese delle diversità e delle meraviglie, confermandocomunque sempre un alto profilo di specificità (qualità e varietà dei gusti nella filiera ali-mentare, indiscutibile eleganza del sistema moda, armoniosa fusione tra arte e funziona-lità nel comparto abitativo e della meccanica).

La base territoriale del made in Italy

Al fine di comprendere l’impegno competitivo richiesto, non può essere trascurato l’elementostrutturale su cui poggiano le attività produttive del made in Italy. Le produzioni sono realiz-zate prevalentemente nell’ambito dei distretti industriali (tab. 1) che, secondo la normativa

152 Lo sviluppo territoriale

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nazionale del 1991, sono delle «aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazionedi piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e lapopolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese». Ilriferimento territoriale qualifica quindi le caratteristiche del sistema produttivo. Siamo in pre-senza di un’area geografica che può comprendere anche più comuni, caratterizzati da unaspiccata specializzazione produttiva, misurata attraverso i più elevati valori di concentrazionedegli addetti industriali, occupati nel segmento manifatturiero, e di densità delle imprese –che generalmente si distinguono per la piccola e media taglia dimensionale. Una specializza-zione produttiva diffusa territorialmente su un sistema di piccole e medie imprese, orientata almercato finale, è di fatto la configurazione strutturale del nostro made in Italy. Se si prendono in esame contemporaneamente i due elementi costitutivi del comparto inesame, ossia la caratterizzazione dei prodotti finali e quindi la loro sostituibilità, e la tipo-logia dimensionale delle imprese, si possono meglio comprendere le tensioni e i rischiche sistema produttivo e sistema territoriale sono costretti ad affrontare insieme. Una ten-denza continua alla riduzione delle quote di mercato si riflette sul sistema delle imprese e

Scenari italiani 2007 153

Tab. 1 – Distretti industriali per settore e regione nel contesto nazionale

Beni Pelli Prod. TessileRegioni Alimentari per Cartotecn. Meccanica Oro e in e Tot.

la casa cuoio gomma Abbigl.

Piemonte 3 1 – 5 1 – – 2 12Valle d’Aosta – – – – – – – – –Lombardia 1 2 – 12 1 – 2 9 27Trentino-A.A. 1 1 – 2 – – – – 4Bolzano – – – – – – – – –Trento 1 1 – 2 – – – – 4Veneto – 8 – 5 1 3 – 5 22Friuli-V.G. – 1 – 2 – – – – 3Liguria – – – – – – – – –Emilia-Romagna 2 3 – 7 – – – 1 13Toscana – 3 1 – 2 4 – 5 15Umbria – 1 1 1 – – – 2 5Marche – 6 1 3 1 1 – 6 18Lazio – 1 1 – – – – – 2Abruzzo – 2 – – – 1 – 3 6Molise – – – – – – – 2 2Campania – – – 1 – 1 1 3 6Puglia – 1 – – – 1 – 6 8Basilicata – – – – – – – – –Calabria – – – – – – – – –Sicilia – 1 – – – – – 1 2Sardegna – 1 – – – – – – 1

Fonte: dati ISTAT, censimento 2001, aggiornamento 2006

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sull’occupazione e finisce per depauperare il sistema territoriale di appartenenza. Cosìcome alcuni processi di internazionalizzazione (investimenti diretti all’estero, accorditecnico-commerciali con l’estero, acquisizione e cessione di brevetti e licenze eccetera),avviati anche in queste aree distrettuali, potrebbero contribuire a una progressiva ero-sione delle capacità competitive del made in Italy.Si dovrebbe anche riflettere su alcune delle proposte regionali di individuazione e di isti-tuzione di nuovi distretti industriali, in quanto mentre le istituzioni locali non possonoche operare per salvaguardare e per promuovere le risorse potenziali del territorio di lorocompetenza, ampliando il ventaglio delle opportunità di investimento, l’attuale contestointernazionale tende a essere fortemente selettivo nelle scelte localizzative e or ganizza-tive d’impresa (è esemplare l’af fermazione della grande dimensione, misurabile anchenei recenti processi di fusione e di accorpamento di molti settori nazionali) e a cancellarecon grande velocità ogni geometria formale.Un universo di soggetti produttivi che viene riconosciuto o disconosciuto nella sua ca-ratterizzazione distrettuale, peraltro, non dovrebbe trascurare l’opportunità of ferta an-che dalle dif fuse forme associative. Pochi sono, invece, i distretti industriali (appena31) associati al Club dei Distretti Industriali che, in collaborazione con l’Unione delleCamere di Commercio e le associazioni di categoria degli industriali e degli artigiani,tende a promuovere utili interazioni e siner gie tra gli associati, e a dif fondere informa-zioni commerciali ed esperienze acquisite o acquisibili, anche in ambito internazionale.

Le capacità competitive del made in Italy

Per un’immediata verifica delle capacità competitive delle attività produttive del made inItaly, il riferimento obbligatorio è of ferto dalle statistiche uf ficiali dell’Istituto per ilCommercio Estero (ICE), che a cadenza periodica illustra anche l’andamento dei pro-cessi di internazionalizzazione dei distretti industriali italiani. Nell’arco temporale 2001-2005, si è osservata una contrazione delle capacità competitivedei distretti italiani, misurata dalla riduzione assoluta e percentuale delle esportazioni,che colpisce quasi tutta la filiera produttiva esaminata, mentre si confermano le quote dimercato delle produzioni meccaniche. Il trend decrescente si stabilizza nel 2006 e il datoapre nuove prospettive e rinnova le speranze.L’analisi dei distretti esportatori registra, tuttavia, una diminuzione del loro numero nei com-parti del made in Italy (fig. 1) e la necessità di rendere confrontabili posizionamenti e settoriproduttivi riduce anche il numero delle regioni che presentano significative performances.Vengono esclusi, infatti, dal computo i distretti manifatturieri delle regioni Trentino-AltoAdige, Umbria, Lazio, Molise e Sicilia, che pur contenendo distretti produttivi tipici delmade in Italy, non offrono sostegno al processo di internazionalizzazione (fig. 2).La maggiore capacità competitiva si conferma ancora nelle aree forti del paese, ove peraltrol’apporto percentuale delle esportazioni regionali riferite alle sole produzioni distrettuali delmade in Italy non supera mai il 50% (poco meno del 46% nel Veneto, del 42% in Toscana,del 41% nel Friuli-V enezia Giulia e in Lombardia), per scendere a valori inferiori al 25%nell’Emilia-Romagna e al 23% nel Piemonte. Se le Marche si attestano sul 56%, per l’in-

154 Lo sviluppo territoriale

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fluenza dei distretti calzaturieri dell’Ascolano, del mobile di Pesaro e degli strumenti musi-cali e dei giocattoli di Recanati, nel Mezzogiorno italiano la capacità di esportazione com-plessiva dei distretti si contrae, anche se nell’ambito delle regioni si evidenzia una maggioredipendenza dalle produzioni distrettuali: il caso emblematico è of ferto dal distretto dei mo-bili di Matera, che da solo contribuisce per il 90% alle esportazioni regionali della Basili-cata. Al fine di visualizzare sinteticamente il grado di distrettualità delle produzioni regio-nali, specializzate nei principali segmenti del made in Italy, si rinvia alla figura 3, ove le areedistrettuali vengono raggruppate per province di appartenenza.

Scenari italiani 2007 155

Fig. 1 – Internazionalizzazione del made in Italy : distretti provinciali esportatoriper settore economico

Fonte: nostra elaborazione su dati ICE 2006

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La gerarchizzazione territoriale del made in Italy

Un momento significativo per la valorizzazione delle produzioni italiane e per la dif fu-sione dei valori simboli del made in Italy si ravvisa nella vetrina fieristica: la numerositàdelle fiere e i relativi tematismi consentono infatti di valutare ruolo e spessore dei settorie delle imprese, ma anche di individuare una sorta di gerarchia territoriale, che può farcomprendere il processo cumulativo di sviluppo di alcune compagini territoriali.L’evento fieristico, infatti, si configura come una polarizzazione temporale di risorse, ingrado di favorire e raf forzare il sistema territoriale che or ganizza e ospita la manifesta-zione. Inoltre, sarebbe ragionevole constatare una conver genza tra aree distrettuali pro-

156 Lo sviluppo territoriale

Fig. 2 – Esportazioni distrettuali-regionali del made in Italy

Fonte: nostra elaborazione su dati ICE 2006

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Scenari italiani 2007 157

Settore Meccanica

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Piemonte Veneto Emilia Romagna Toscana Abruzzo

Fig. 3a – Grado di distr ettualità provinciale del made in Italy per settore eco-nomico

Fonte: nostra elaborazione su dati ICE 2006

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158 Lo sviluppo territoriale

Settore Alimentari

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Lombardia Veneto Friuli V.G. Toscana Marche Abruzzo Basilicata

Fig. 3b – Grado di distr ettualità provinciale del made in Italy per settore eco-nomico

Fonte: nostra elaborazione su dati ICE 2006

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duttive e località scelte per l’evento fieristico, volano privilegiato per la dif fusione delleproduzioni locali sui diversi mercati.La ricognizione delle fiere or ganizzate per le attività merceologiche che caratterizzano ilmade in Italy viene schematizzata nella figura 4, che dà anche informazioni diverse ri-spetto a quelle attese. Nelle regioni italiane si palesa una consistente attenzione verso lavetrina delle attività connesse all’alimentazione e quindi al segmento agricolo; seguonopoi mobili e meccanica. Le specializzazioni produttive locali emer gono in poche regioni(Sardegna, Umbria e Marche sono le più rappresentative). Ma soltanto in Lombardia siespone e si valorizza l’intero sistema del made in Italy ; seguono Emilia-Romagna e Pu-glia con sei settori e Veneto e Lazio con cinque. Peraltro, il segmento tessile non vienerappresentato nel grafico per l’unico evento mirato che si svolge a Milano.

Scenari italiani 2007 159

Settore Vetro, Marmo e Pietre

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Fig. 3c – Grado di distrettualità provinciale del made in Italy per settore economico

Fonte: nostra elaborazione su dati ICE 2006

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Volendo trarre alcune osservazioni di sintesi, ma non certo conclusive, soltanto alcune re-gioni italiane riescono a conservare e raf forzare alcune delle capacità or ganizzative ne-cessarie per valorizzare le dif ferenti produzioni che compongono il made in Italy che pe-raltro, vale la pena di ricordare, nelle specifiche attività presenta anche consistenti dif fe-renziali nelle vendite e nei profitti.

160 Lo sviluppo territoriale

Fig. 4 – La gerarchia territoriale del made in Italy attraverso la vetrina fieristica2006

Fonte: nostra elaborazione su dati Fiere Italia (http://athos.mi.camcom.it/fiere/ita)

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La territorializzazione delle politiche comunitarie

Nell’ultimo Rapporto della Società Geografica Italiana (2006), interamente dedicatoalla questione europea, si sottolineava come la «svolta» di Lisbona avesse complessi-vamente mutato il telaio di riferimento delle politiche regionali europee, agendo coneffetti dirompenti anche sugli orientamenti e sulle strategie territoriali. Lo stessoSchema di sviluppo spaziale eur opeo mostrava ormai tutta la propria genericità e ina-deguatezza rispetto agli elementi posti al centro della strategia di Lisbona (e di Göte-borg), che imponevano un ripensamento delle posizioni dell’Unione Europea sui temidello sviluppo territoriale.Tutto ciò ha dato impulso a un rilevante lavoro di riflessione sulla «territorializzazione»delle politiche per la società della conoscenza e per l’innovazione che, sotto la Presidenzatedesca dell’Unione (primavera 2007), si dovrebbe concretizzare a Lipsia nella firmacongiunta di una Territorial Agenda for the European Union da parte dei ministri respon-sabili dello sviluppo territoriale dei 27 paesi membri.È interessante osservare che, rispetto al recente passato, nei documenti uf ficiali (osemi-ufficiali come questo) il riferimento è alle competenze in materia di territorialdevelopment e non più di spatial planning: sta emergendo, cioè, in modo netto la con-sapevolezza della natura multidimensionale dei processi di sviluppo e della necessitàdi mettere a punto approcci integrati per af frontarli. La pianificazione spaziale , cheevoca essenzialmente il governo delle trasformazioni fisico-funzionali dei territori, la-scia quindi spazio alle politiche territoriali , la cui ambizione è, piuttosto, quella diguidare i processi di sviluppo territoriale nelle loro diverse dimensioni: economica,sociale, spaziale.La base di riferimento conoscitivo della Territorial Agenda è rappresentata da un ponde-roso studio messo a punto da un gruppo di lavoro inter governativo: Towards a StrongerEuropean Territorial Cohesion in the Light of Lisbon and Gothenbur g Ambitions (on linenel sito http://www.bmvbs.de/territorial-agenda).

Un’agenda per la diversità territoriale

Il concetto chiave attorno al quale ruota l’impostazione del documento è la diversità ter-ritoriale, declinata in ragione delle diverse modalità con cui si possono individuare le dif-ferenze espresse dal territorio europeo. Alla scala continentale, anzitutto, le evidenze por-tano tuttora a riconoscere il prevalere di un modello centro-periferia, con un core euro-peo, che rappresenta il 14% della superficie dell’Unione, in cui si concentra oltre il 46%del prodotto interno lordo comunitario; e una «periferia», che sembra tuttavia mostrare

4. Le politiche territoriali

L’Europa e l’Italia dopo Lisbona:la «diversità territoriale» come potenziale di sviluppo

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dinamiche capaci, in una tendenza di lungo periodo, di attenuare il rapporto di domi-nanza. A questo, seppur parziale, riequilibrio contribuiscono le performances di molte re-gioni settentrionali, anzitutto tra i paesi scandinavi, per i principali indicatori relativi allestrategie di Lisbona e Götebor g e altre aree esterne al core continentale che si segnalanoper la loro vitalità, come le regioni dell’Arco latino e mediterraneo, tra l’Andalusia e ilCentro Italia.Scendendo a un maggior dettaglio geografico, si rivelano elementi di grande varietà, chesi esprimono nell’emer gere di regioni urbane funzionali in relazione con aree rurali intendenziale declino, nell’eterogenea distribuzione degli indicatori di densità della popola-zione e accessibilità, nelle peculiarità dei territori insulari e, infine, nell’intensità di rela-zioni espressa dalle attività di cooperazione transfrontaliera (fig. 1).Il documento promosso dalla Presidenza tedesca interpreta dunque il tema della di-versità territoriale affrontandolo nella sua duplice natura: da un lato come un poten-ziale da capitalizzare in quanto opportunità di sviluppo; dall’altro come sfida, da af-frontare con le politiche finalizzate alla riduzione dei divari economico-sociali tra leregioni, a partire da quello tra Est e Ovest della nuova Europa a 27 membri. I cam-biamenti strutturali delle economie nazionali dovuti alla transizione all’economia dimercato, nonché i programmi di aiuto dell’Unione Europea, hanno contribuito signi-ficativamente, a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo passato, a un gene-rale trend di crescita dei nuovi paesi membri. Un andamento positivo contribuisce acolmare il divario: se le economie dei «nuovi» dodici crescono più velocemente ri-spetto ai «vecchi» quindici, è naturale ipotizzare nel lungo periodo una conver genza.In particolare, secondo i dati della Banca Mondiale, nel quinquennio 2001-2005 iltasso di crescita medio del PIL dei 12 nuovi paesi membri dell’UE ha superato il4,7%, mentre i paesi della ex Europa a 15 hanno di poco superato il 2% (in partico-lare grazie agli elevati tassi di crescita di pochi paesi: Grecia, Irlanda, Spagna e Lus-semburgo). I dati per la Lettonia, ad esempio, indicano una crescita di oltre l’8,5%nel 2004, mentre Lituania ed Estonia superano abbondantemente il 7% e Slovacchia ePolonia sperimenterebbero una crescita intorno al 5,5%. Nonostante questa perfor-mance positiva degli ex paesi candidati, il divario è ancora significativo e ha una po-sizione centrale nelle criticità espresse dai documenti proposti dalla Presidenza diturno; è semplice immaginare le ragioni per cui, dalla prospettiva tedesca, questa «di-rettrice» del divario socioeconomico sia prioritaria rispetto ai problemi delle regionimediterranee, peraltro già oggetto di intervento dei Fondi strutturali nei precedentiperiodi di programmazione.L’obiettivo della programmazione, in particolare per quello che riguarda i Fondi struttu-rali per il periodo 2007-2103, è la realizzazione della coesione territoriale, considerata intutte le strategie e le dichiarazioni politiche e che il documento della Presidenza tedescadefinisce operativamente in termini di:– concentrazione delle politiche di sviluppo territoriale, a livello regionale e nazionale,

a favore di un efficace sfruttamento del potenziale regionale (fondato proprio sulle di-versità territoriali e culturali tra le regioni europee) e del «capitale territoriale»;

– realizzazione di strategie per un miglior posizionamento delle regioni nel contesto eu-ropeo, rafforzando il loro profilo e la cooperazione transeuropea, finalizzata all’inter-connessione e all’integrazione territoriale;

162 Le politiche territoriali

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– promozione della coerenza tra le politiche UE (orizzontali e verticali) aventi impattosul territorio, perché supportino lo sviluppo sostenibile a livello nazionale e regionale.

In questo contesto, sono individuate sei priorità, che i rappresentanti dei paesi dell’U-nione si impegnano a seguire:– realizzare politiche per le aree urbane, in un’ottica policentrica, come motori per lo

sviluppo;

Scenari italiani 2007 163

Fig. 1 – Aree di cooperazione transfrontaliera 2007-2013 INTERREG IV B

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– rafforzare il partenariato urbano-rurale, assicurando i servizi adeguati a uno sviluppoterritoriale bilanciato;

– promuovere i clusters trans-nazionali di attività competitive e innovative; – rafforzare le reti di trasporto, ener getiche e ICT , assicurando il collegamento con le

reti secondarie; – gestire il rischio naturale e tecnologico; – rafforzare le strutture ecologiche e le risorse culturali.Coerentemente con gli orientamenti strategici recenti della Commissione Europea, la de-terminante chiave per la promozione dello sviluppo è individuata nel sistema urbano eu-ropeo. La centralità della questione urbana nelle politiche europee può essere rintracciatafin dai primi periodi di programmazione dei Fondi strutturali, pur senza riferimenti espli-citi, nel rispetto delle competenze delle istituzioni europee e nazionali. I documenti e i progetti di raf forzamento delle politiche comunitarie della cosiddettaAgenda 2000 , nonché la programmazione dei Fondi strutturali del periodo 2000-2006,fanno dunque esplicitamente riferimento alle città, seppure nell’ambito degli interventidell’Obiettivo 2 in favore delle aree urbane con problemi strutturali. Nel 1998 vede laluce la comunicazione della Commissione Quadro d’azione per uno sviluppo urbano so-stenibile nell’Unione Eur opea, nella quale sono previsti strumenti finanziari e azionivolte al raggiungimento di obiettivi di prosperità economica, sostenibilità ambientale edefficienza amministrativa.Più recentemente, nel luglio 2006, è stata approvata la comunicazione della Commis-sione al Parlamento Europeo La politica di coesione e le città: il contributo delle città edegli agglomerati urbani alla crescita e all’occupazione all’interno delle r egioni (2006).Prendendo atto dell’importanza assunta dalla dimensione urbana nei documenti delle pre-sidenze di turno e nelle relazioni del Parlamento Europeo sul processo di allargamento, laCommissione propone una strategia in favore delle «città» e delle «aree urbane» fondatasu cinque pilastri:– il raf forzamento dell’attrattività delle città, da ottenere attraverso l’accessibilità alle

reti di mobilità, ai servizi collettivi e all’of ferta educativa e all’interno di un ambienteurbano di qualità;

– il sostegno all’innovazione, da un lato prevedendo azioni a favore delle PMI e dellemicroimprese (promozione della cooperazione con gli enti di ricerca, accesso allefonti di finanziamento), dall’altro attribuendo esplicitamente alle città il ruolo di attoridi primo piano nel perseguimento degli obiettivi di Lisbona;

– il miglioramento delle condizioni occupazionali, con un ef ficace contrasto delle diffe-renze di età e di genere nell’accesso al mercato del lavoro e investimenti nella forma-zione e istruzione della popolazione;

– la riduzione delle disparità intraurbane, promuovendo l’integrazione sociale e le pariopportunità e rafforzando la sicurezza dei cittadini;

– la promozione della governance, in termini di cooperazione tra città e tra i diversi li-velli di governo, secondo gli ordinamenti degli Stati membri; perseguimento dello svi-luppo urbano sostenibile; partecipazione dei cittadini; promozione di reti tra ammini-strazioni locali e regionali finalizzate allo scambio di esperienze, quali quelle svilup-pate dal programma URBACT.

164 Le politiche territoriali

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Si vede come, con le diverse proposte contenute nei documenti di indirizzo politico, learee urbane abbiano acquistato un sempre maggiore ruolo di protagoniste, che si riflettenell’orientamento di piani e programmi e nella predisposizione di strumenti ad hoc. D’al-tra parte, vale la pena ricordarlo, nelle aree urbane risiede oltre il 70% della popolazioneeuropea (ma il 40% vive in centri con meno di 50 mila abitanti che strutturano di fatto larete urbana policentrica delle regioni europee).

La dimensione territoriale come dominante delle nuove politiche di coesione

Mentre si scrive inizia il nuovo periodo di programmazione di sette anni, tra il 2007 e il2013. La dimensione territoriale delle politiche sembra esserne la chiave di lettura priori-taria. Tuttavia, «al momento non esiste una governance territoriale efficace e strutturata»(come si legge in Towards a Stronger European Territorial Cohesion..., p. 49, nostra tra-duzione), nel senso che il processo di formazione delle politiche a livello europeo nontiene ancora conto in modo esplicito della loro dimensione territoriale.Integrare la dimensione territoriale nel processo di formazione delle policies europee im-plica però la considerazione di almeno tre punti di vista:– un punto di vista operativo, concentrandosi sui temi spaziali rilevanti mediante il ri-

corso a ricerche e fonti di informazione estese all’intero territorio dell’Unione (c’è unriferimento esplicito al programma ESPON);

– un punto di vista negoziale, aprendosi all’interazione con gli attori e i principali stake-holders;

– un punto di vista valutativo, prestando la dovuta attenzione alla «valutazione di im-patto territoriale» (TIA) dei progetti e delle politiche.

Punto di partenza è stabilire lo stato dell’arte e i problemi all’ordine del giorno delle prin-cipali politiche comunitarie (la loro «agenda»), distinguendo i temi per i quali il territorioappare maggiormente chiamato in causa.

Le priorità nazionali: il Quadro Strategico Nazionale e il territorio italiano come «infra-struttura di contesto». Un nuovo modello per le politiche territoriali nazionali

Il varo della nuova legislatura ha coinciso in buona misura con la maturazione del nuovoscenario di programmazione comunitaria per il periodo 2007-2013. Ciò ha portato a un’i-nevitabile accentuazione del dibattito politico sull’ef ficacia della precedente fase dellepolitiche regionali «nazionali», vale a dire quelle condotte attraverso il ricorso congiuntoalle risorse comunitarie e al Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS).Nell’ambito del precedente Rapporto, non si è mancato di riferire delle dif ferenti posi-zioni manifestatesi nei confronti dell’esperienza della «nuova programmazione», che di-vergono tanto nei giudizi sull’ef ficacia delle politiche di sviluppo dei territori quanto neimetodi e nei criteri di valutazione adottati.

Scenari italiani 2007 165

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In modo molto schematico, possiamo indicare tra i fautori della prosecuzione di que-st’esperienza quanti colgono nelle esperienze dei patti territoriali, dei programmi inte-grati territoriali e, più in generale, delle politiche territoriali negoziate, i segni di unadiscontinuità nell’agire amministrativo, nelle capacità progettuali e nella mobilita-zione delle società locali. Il formarsi, cioè, di una capacità istituzionale che non è mi-surabile attraverso indicatori diretti, ma che rappresenta una garanzia di ef ficacia perle future politiche di sviluppo regionale. Questa linea interpretativa attribuisce le re-sponsabilità del fallito aggancio delle regioni meridionali rispetto al tasso di crescitadel Nord a una «addizionalità mancata», vale a dire al fatto che la spesa ordinaria inconto capitale a favore del Mezzogiorno non avrebbe raggiunto l’obiettivo del 30%della spesa nazionale, impedendo dunque allo sforzo finanziario profuso attraverso ifondi europei di innescare il motore dello sviluppo. Le Regioni e lo Stato non avreb-bero, quindi, onorato del tutto i propri impegni di cofinanziamento, a fronte delle ri-sorse comunitarie.Per contro, non mancano le critiche aspre fondate sulla valutazione di indicatori macroe-conomici (il prodotto interno lordo, il rapporto tra investimenti fissi lordi e il PIL, gli in-vestimenti in costruzioni, il tasso di occupazione della forza lavoro eccetera) e sull’osser-vazione puntuale dei progetti finanziati, e in parte realizzati, di cui si sottolinea lo scarsopeso specifico in termini di valore strategico e di concentrazione delle risorse finanziarie.Le politiche territoriali «nazionali» si trovano quindi, in questo momento, di fronte allanecessità di ripensare il modello d’intervento adottato nel corso dell’ultimo decennio se-condo una prospettiva più sensibile ai risultati che alla mera ef ficienza della spesa. In ef-fetti, le raccomandazioni provenienti dalla Commissione circa la necessità di concentrarela spesa su pochi obiettivi «strategici» sembra restituire alle politiche territoriali quelruolo di big push, teorizzato dai vecchi modelli normativi di sviluppo regionale, che in-vece, nella parcellizzazione degli interventi, parevano avere smarrito. Alcuni elementi di maggior dettaglio sulla fase che si sta aprendo possono essere colti al-l’interno di tre esperienze rilevanti condotte dall’amministrazione centrale. La prima ri-guarda la redazione del Quadro Strategico Nazionale (QSN) per la politica di coesione,richiesto dalle autorità di Bruxelles per dare il via all’attuazione dei Programmi OperativiRegionali che molte Regioni hanno già approntato. La seconda prende in considerazionela fase di avvio di un percorso legislativo orientato al sostegno della competitività delleattività produttive e dei settori potenzialmente trainanti per l’economia nazionale. Laterza si colloca invece su un piano non direttamente operativo, ma nondimeno individuaun livello di riflessione sulle politiche di assetto territoriale che, finalmente, assume la di-mensione nazionale come riferimento complessivo e necessario elemento di confrontogeopolitico con la dimensione europea.

Il Quadro Strategico Nazionale (QSN)

Al momento, il Quadro Strategico Nazionale è ancora oggetto di discussione tra gli uf ficidella Commissione e le autorità nazionali – un aspetto, questo, che rallenta il processo dieffettiva attuazione della nuova politica di coesione. In ef fetti, alcune Regioni hanno già

166 Le politiche territoriali

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elaborato i propri Programmi Operativi in conformità ai Quadri Strategici Regionali e, inqualche caso, hanno già avuto un placet informale da parte di Bruxelles – è il caso delPiemonte – ma la mancata approvazione da parte di Bruxelles del QSN impedisce di pas-sare alla fase operativa.In ogni caso, il QSN fornisce un’analisi di contesto piuttosto accurata rispetto alle princi-pali cause della crisi di competitività del paese, individuando almeno quattro fattori fon-damentali:– le difficoltà dello Stato nell’of frire e nel promuovere servizi collettivi e nel garantire

condizioni generali di concorrenza; – un livello inadeguato di competenze della popolazione attiva; – una scarsa innovazione imprenditoriale legata, oltre che ai primi due richiamati fat-

tori, a un sistema della ricerca debole; – una dif ficoltà specifica del mercato dei capitali sia nel sostenere l’innovazione im-

prenditoriale, sia nel raggiungere livelli di efficienza atti ad accompagnare le decisionidi investimento e crescita dimensionale delle imprese.

È a questi fattori di dif ficoltà, comuni a tutto il paese, ma particolarmente gravi nel Mez-zogiorno, che rivolge attenzione la politica regionale per il 2007-2013, delineata nel Qua-dro secondo le seguenti priorità: – miglioramento e valorizzazione delle risorse umane; – promozione, valorizzazione e dif fusione della ricerca e dell’innovazione per la com-

petitività;– uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali per lo sviluppo; – inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale; – valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo; – reti e collegamenti per la mobilità; – competitività dei sistemi produttivi e occupazione; – competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani; – apertura internazionale e attrazione di investimenti, consumi e risorse; – governance, capacità istituzionale e mercati concorrenziali ef ficaci.Si deve rilevare che, almeno per quello che riguarda la loro enunciazione, le priorità delQuadro Strategico Nazionale fanno sovente riferimento al ruolo del territorio: «la dimen-sione della politica regionale 2007-2013 trova la sua declinazione nell’ambito delle sin-gole priorità, con la forte attenzione rivolta alla costruzione di una programmazione eprogettazione territoriale, basata quindi sulla valorizzazione delle specifiche identità epotenzialità rintracciabili nelle aree urbane e rurali e nei sistemi produttivi locali. Tantomaggiore è il grado di complementarità e integrazione nei servizi che la politica pro-muove in un dato territorio, tanto maggiore è l’ef fetto sulla competitività e l’occupa-zione» (p. 25). All’interno delle varie priorità, tale dimensione viene declinata in modo non sempreesplicito, ma non è arduo individuarne gli elementi salienti. La prima e la seconda priorità definite dal QSN seguono gli orientamenti proposti dallastrategia comunitaria per gli obiettivi di Lisbona, rilevando la scarsa capacità innovativadel settore privato, in termini di investimenti e risultati, la scarsa interazione tra imprese emondo della ricerca e le criticità che riguardano la produzione e la capacità di attrazionedi personale altamente qualificato.

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Tra gli obiettivi specifici troviamo dunque Migliorare il governo dell’attuazione,l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione, formazione e lavor o e il rapporto con ilterritorio, per cui si raccomanda una costante analisi delle «tendenze dei sistemi lo-cali» (p. 60), dei mercati e delle imprese, favorendo l’interazione tra i soggetti e conil territorio per consentire al sistema della formazione di contribuire alle iniziative disviluppo locale. Il tema dell’interazione è ripreso nella definizione dell’obiettivo ge-nerale della seconda priorità, nella quale si prevede tra l’altro il raf forzamento dellereti di cooperazione tra imprese, «per contribuire alla competitività e alla crescitaeconomica». Coerentemente con le indicazioni dei documenti uf ficiali dell’UnioneEuropea e con una ormai crescente letteratura scientifica sul tema dell’innovazioned’impresa, l’enfasi è posta sulla massima cooperazione tra gli attori del mondo dellaricerca scientifica e le attività produttive, sull’individuazione di strumenti finanziariinnovativi, sulla formazione dei lavoratori e sulla rimozione del digital divide che ri-guarda ancora porzioni di territorio nazionale e fasce specifiche della popolazione.L’attivazione di relazioni sinergiche tra università, industria e settore pubblico è pro-posta in letteratura da modelli di varia ispirazione, dagli studi su scienza, tecnologiae innovazione (il modello della «T ripla Elica» formalizzato da Leydesdorf f), alle ri-cerche sul ruolo dei sistemi regionali e nazionali di innovazione nella promozionedello sviluppo regionale. Si deve tuttavia ricordare che, perché l’interazione possaavvenire e produrre risultati, è indispensabile un allineamento tra le necessità tecno-logiche delle imprese e la propensione del mondo accademico a realizzare attività diricerca fortemente applicate. Il sottodimensionamento del sistema accademico ita-liano e l’assenza di mobilità geografica, e soprattutto tra univeristà e impresa, di ri-cercatori e docenti sono tra gli ostacoli strutturali tipici del caso italiano, che ri-schiano di compromettere qualsiasi iniziativa volta a innescare processi interattivi dicreazione della conoscenza.Di carattere ambientale e in linea con le conclusioni del Consiglio Europeo di Götebor gla terza priorità, Uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali per lo sviluppo . Lapriorità si articola in un obiettivo generale ( Garantire le condizioni di sostenibilità am-bientale dello sviluppo e livelli adeguati di servizi ambientali per la popolazione e le im-prese) e in quattro obiettivi specifici: l’ener gia rinnovabile e il risparmio ener getico; lagestione delle risorse idriche, la difesa del suolo e la prevenzione dei rischi naturali; lagestione dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati; e la cooperazione territoriale incampo ambientale per la definizione di strategie coordinate e di lungo periodo per il con-trasto delle pressioni delle attività umane sull’ambiente.Il tema della competitività dei territori è af frontato nelle priorità 4 e 5 del QSN: la primaè volta principalmente a intervenire sulla rimozione di elementi del disagio sociale, qualil’emarginazione nelle aree urbane degradate e nelle aree rurali e montane scarsamenteabitate; la seconda è orientata esplicitamente alla valorizzazione delle risorse (culturali,paesaggistiche, naturali) del territorio per renderlo più attrattivo e migliorare la qualitàdella vita dei cittadini. Si adotta un approccio integrato e sostenibile, con esplicito riferi-mento alle «reti ecologiche», ai beni culturali quali «vantaggio comparato» delle regioniitaliane; si parla di valorizzazione del «capitale sociale», di riqualificazione, senza trala-sciare la possibilità di mettere in valore le risorse mobilitate in termini di of ferta turistica.È certamente immediato, per chi tratti i temi della geografia economica, fare riferimento

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a metodi e modelli che hanno af frontato la valorizzazione delle risorse territoriali (di mi-lieu, diremmo) e della competitività/sostenibilità; si tratta piuttosto di osservare e – even-tualmente – valutare con quali modalità gli orientamenti proposti saranno poi messi inpratica dalle amministrazioni regionali.Sono ancora più espliciti i legami con i temi geoeconomici degli obiettivi connessi allepriorità 7 e 8. Si parla nuovamente in modo esplicito di «sistemi locali», di strategie utilial loro sostegno e valorizzazione, di integrazione tra le politiche, di «governance», di co-involgimento del partenariato socioeconomico nello sviluppo locale. Alcuni obiettivi generali e specifici enunciati dal documento strategico nazionale sonoinfine dedicati al sostegno alle attività produttive: anche in questo caso la strategia appareanzitutto volta a intervenire indirettamente sul territorio per migliorarne la competitività,dotandolo di servizi capaci di offrire un valore aggiunto alle imprese che vi trovano loca-lizzazione. Sono pertanto previste attività di promozione dell’internazionalizzazione, fa-cilitazione dell’accesso al credito e investimenti nel mercato del lavoro. La promozione delle aree urbane è pensata secondo logiche analoghe, con una strategiadeclinata secondo le parole chiave della competitività, dell’innovazione e dell’attrattività.

Il disegno di legge Industria 2015

Accanto ai documenti-cardine della programmazione del governo centrale, vale la penamenzionare il documento di sintesi del disegno di legge Industria 2015 , preparato dalMinistero per lo Sviluppo Economico. Esso rappresenta una novità nell’azione del Mini-stero (nella scorsa legislatura era il Ministero delle Attività Produttive), che introduce, ac-canto ad aspetti di un certo interesse, anche elementi discutibili, almeno per la prospet-tiva da noi assunta.La causa della perdita di competitività del sistema produttivo nazionale è individuatanella rigidità del modello di specializzazione settoriale e nella ridotta dimensione azien-dale.Il rafforzamento del sistema produttivo italiano, attraverso il rilancio delle unità manifat-turiere di piccola e media dimensione e la promozione dell’innovazione tecnologica, èperseguito con l’attivazione di tre strumenti: – le reti di impresa; – due nuovi Fondi (Fondo per la competitività e Fondo per la finanza d’impresa); – i progetti di innovazione industriale.La logica di intervento proposta è duplice. Da un lato, in siner gia con le attività di ri-forma e modernizzazione del sistema-paese (liberalizzazioni, concorrenza eccetera), sidovranno attuare «meccanismi di sostegno generalizzati, anche a carattere automatico,per favorire la ricerca, la riduzione dei costi d’impresa, la promozione di investimenti, lacrescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio territoriale» (p. 6).Dall’altro saranno attivati incentivi finalizzati al raggiungimento di obiettivi strategici,realizzati individuando settori e filiere produttive per i quali si valuta una forte capacitàdi impatto sullo sviluppo (ad esempio l’ef ficienza energetica, la mobilità sostenibile, lescienze della vita eccetera).

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La logica dei «progetti di innovazione industriale», così come enunciata dal documentoIndustria 2015, appare di natura prevalentemente dirigista nella definizione delle aree diintervento: i progetti saranno infatti individuati sulla base di un documento sulle lineestrategiche che stabilirà gli obiettivi «con un chiaro ed evidente impatto macroeconomicodi rilievo nazionale» (p. 8). Varrebbe la pena richiamare i contributi della letteratura sultema dell’innovazione tecnologica, che ricordano i caratteri di interdisciplinarità delle at-tività di ricerca e sviluppo e come l’innovazione sia, per sua natura, un processo open en-ded, che non è possibile ingabbiare entro confini e definizioni; se va apprezzato l’indi-rizzo verso una sinergia tra enti locali, imprese, università e centri di ricerca nella realiz-zazione dei «progetti di innovazione industriale», appare rischioso che questi siano orien-tati tematicamente, dall’alto verso il basso, con un documento strategico nazionale.La natura settoriale, peraltro, non ammette alcun accenno al ruolo del territorio, richia-mato ormai costantemente nei documenti strategici prodotti dalle istituzioni europee;piuttosto qui si concede al massimo che le Regioni «sulla base delle loro vocazioni pro-duttive e delle loro competenze» possano «partecipare e dare il loro contributo ai progettidi rilievo nazionale» (p. 6), contributo che al momento non appare di chiara definizionenei suoi contenuti.

Il territorio italiano come «infrastruttura di contesto»

La dimensione territoriale ha dunque acquisito una centralità indiscutibile all’internodelle strategie elaborate dalle agenzie governative nazionali. Queste si sono impegnatenella definizione di politiche di investimento imperniate sul duplice asse dell’iniziativaeuropea e della nuova programmazione, attraverso una progressiva integrazione tra le ri-sorse dei Fondi strutturali e quelle del Fondo per le Aree Sottoutilizzate.Nei precedenti Rapporti il tema della politica nazionale di assetto territoriale nazionale èstato sovente evocato, sottolineando come, dopo l’esperienza incompiuta del Progetto’80, su di esso le autorità del governo centrale si siano rivelate sostanzialmente inadem-pienti rispetto al dettato costituzionale.Tuttavia, molte iniziative a partire dall’ultimo scorcio degli anni 1990 sembrano testimo-niare una più convinta assunzione di responsabilità da parte del Ministero delle Infra-strutture (prima dei Lavori Pubblici). Certamente, l’azione di pungolo delle istituzionieuropee non è stata estranea al recupero di questa dimensione, grazie alla diffusione degliorientamenti contenuti nello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo.Più di recente, il Ministero delle Infrastrutture ha allestito una campagna di analisi e di ri-flessioni di prospettiva in occasione dell’elaborazione del QSN, che ha avuto come esitoun rapporto in due volumi presentato a Roma nella primavera 2007. Il lavoro, frutto di ungruppo di riflessione composito, si richiama espressamente all’esperienza delle proie-zioni territoriali del Progetto ’80, che non a caso sono state ristampate per l’occasione.L’obiettivo principale è fornire alla programmazione degli investimenti contenuta nel QSN inecessari scenari territoriali, concepiti come combinazione di tre sistemi geografici: – i contesti insediativi a elevato valore aggiunto, come strutture di appoggio della co-

esione e della competitività territoriale;

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– le reti relazionali strategiche (costituite dalle infrastrutture, ma anche dalle interdipen-denze funzionali e organizzativi tra le città);

– i «poli di commutazione» tra i flussi di rilevanza strategica per il paese.Queste tre componenti geografiche dovrebbero indirizzare gli investimenti della politicadi coesione 2007-2013 verso la produzione di beni pubblici e di servizi collettivi di cuil’Italia ha un grande bisogno per af frontare la competizione globale e per migliorare ilgrado di coesione territoriale interna.Da questa documentazione emer ge una geografia di riferimento per le politiche che puòessere sintetizzata dalla compresenza di tre elementi: – le piattaforme pr oduttive territoriali , rappresentate dalle realtà distrettuali che

hanno saputo modificare la propria struttura in funzione dell’«allungamento» dellereti di produzione e delle sollecitazioni provenienti dai paesi a più basso costo deifattori; qui si gioca ancora un ruolo rilevante delle politiche pubbliche nel campodell’accessibilità alle grandi reti e, aggiungeremmo, dell’innovazione e del trasferi-mento tecnologico;

– i territori urbani di snodo , elementi che fungono da commutatori tra i flussi interna-zionali e i territori locali, che spesso sono i protagonisti dell’innovazione e che costi-tuiscono, con la trama più minuta delle città medie, la spina dorsale del paese;

– i fasci infrastrutturali di connessione , visti come combinazione delle diverse reti diflussi, compresi quelli della conoscenza (collegamenti fisici, centri logistici, reti digi-tali e a banda larga integrate con i centri di eccellenza di R&S).

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Indice delle figure

IL RAPPORTO

Fig. 1 Il modello di circolazione turistica di Umberto Toschi (1948) 10Fig. 2 Riscontri toponomastici delle attività turistiche nella cartografia IGM 13Fig. 3 Tipologia dell’offerta turistica territoriale 19Fig. 4 Evoluzione delle presenze complessive per tipologia di località 21Fig. 5 Consistenza delle presenze complessive per tipologia di località 22Fig. 6 Presenze turistiche per provincia 27Fig. 7 Regime delle presenze turistiche (2005) 29Fig. 8 Tendenza delle presenze complessive per le principali nazionalità dei turisti stranieri 30Fig. 9 Incidenza del turismo straniero per provincia 31Fig. 10 Indice di utilizzazione lorda alberghiera per procincia 32Fig. 11 Stagionalità nell’indice di utilizzazione lorda alberghiera 33Fig. 12 Visitatori totali nei musei, monumenti e aree archeologiche 38Fig. 13 Santuari segnalati nella cartografia IGM 40Fig. 14 Espansione del centro di San Giovanni Rotondo 41Fig. 15 Presenze turistiche nella stagione estiva per provincia 43Fig. 16 Tipologia dei posti-barca per regione 46Fig. 17 Evoluzione del numero di posti-barca 47Fig. 18 Presenze turistiche nella stagione invernale per provincia 49Fig. 19 Comuni con aree protette nei loro territori 59Fig. 20 Enogastronomia e promozione turistica 63Fig. 21 Intensità delle attività teatrali e musicali per provincia 66Fig. 22 Intensità degli eventi sportivi per regione 67Fig. 23 Manifestazioni fieristiche 69Fig. 24 Presenze complessive negli esercizi alberghieri e complementari per provincia 74Fig. 25 Evoluzione della ricettività alberghiera 76Fig. 26 Indice di qualità alberghiera per provincia 78Fig. 27 Evoluzione dell’indice di qualità alberghiera 79Fig. 28 Per una misura del rapporto turismo/seconde case 81Fig. 29 Densità territoriale delle attività turistiche per ambito comunale al 1971 88Fig. 30 Densità territoriale delle attività turistiche per ambito comunale al 2001 89Fig. 31 Intensità sociale delle attività turistiche per ambito comunale al 1971 90Fig. 32 Intensità sociale delle attività turistiche per ambito comunale al 2001 91Fig. 33 Pressione turistica per ambito comunale al 1971 92Fig. 34 Pressione turistica per ambito comunale al 2001 93Fig. 35 Loghi e claim regionali 106Fig. 36 Turismo internazionale. Primi flussi in uscita dai paesi europei 110

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LE DINAMICHE

1. Il contesto geopolitico

Fig. 1 Proiezioni verso oriente dell’energia che è possibile distribuire dal Caspio attraversoil corridoio afghano, in relazione al flusso attivato dall’Iran (nostra elaborazione dafonti diverse) 132

Fig. 2 La cooperazione militare statunitense nella regione orientale 133

2. La qualità della vita

Fig. 1 Andamento della produzione dei rifiuti urbani, anni 1996-2005 140

Fig. 2 Produzione di rifiuti urbani per macroarea geografica, anni 2001-2005 141

Fig. 3 Produzione pro capite di rifiuti urbani per regione nel 2005 (kg/abitante/anno) 142

Fig. 4 Andamento della raccolta differenziata, negli anni 2001-2005 146

Fig. 5 Raccolta differenziata per regioni nel 2005 (%) 148

Fig. 6 Raccolta differenziata pro capite per regione 2002-2005 149

3. Lo sviluppo territoriale

Fig. 1 Internazionalizzazione del made in Italy: distretti provinciali esportatori per settore economico 155

Fig. 2 Esportazioni distrettuali-regionali del made in Italy 156

Fig. 3 Grado di distrettualità provinciale del made in Italy per settore economico 157-159

Fig. 4 La gerarchia territoriale del made in Italy attraverso la vetrina fieristica 2006 160

4. Le politiche territoriali

Fig. 1 Aree di cooperazione transfrontaliera 2007-2013 INTERREG IV B 163

174 Indice delle figure

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«Scenari italiani»: i Rapporti annuali della Società Geografica Italiana

2003 L’altrove tra noi. Dati, analisi e valutazioni sul fenomeno migratorio in Italia

2004 Trasporti in Italia: oggi e domani. Dati, analisi e valutazioni su qualità e quantità dell’attrezzatura del territorio italiano [esaurito]

2005 L’Italia nel Mediterraneo. Gli spazi della collaborazione e dello sviluppo[esaurito]

2006 Europa. Un territorio per l’Unione

2007 Turismo e territorio. L’Italia in competizione

Il Rapporto 2008 riguarderà il sistema urbano e metropolitano in Italia

finito di stampare nel 2007 - brigati glauco - genova-pontedecimo

impianti ctpservice - vado ligure (sv)

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