La Città e le città della Sicilia antica...

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Ottave Giornate Internazionali di Studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo La Città e le città della Sicilia antica Pisa, Scuola Normale Superiore 18-21 dicembre 2012 ABSTRACTS Martedì 18 dicembre 2012 (Sala Azzurra, Palazzo della Carovana) Sebastiano TUSA (Soprintendenza BB.CC.AA. –Trapani), Gli insediamenti del II Millennio in Sicilia: caratteri e significato È estremamente difficile adattare al quadro fenomenico archeologico siciliano i parametri dei modelli di urbanizzazione in uso per la spiegazione dello sviluppo della città nel Vicino Oriente o nell’area egea. È evidente che il fenomeno dello sviluppo insediamentale in Sicilia tra l’antica, la media e tarda età del bronzo segua percorsi assolutamente diversi in funzione delle ridotte esigenze di articolazione sociale ed economica delle relative genti che ne furono gli artefici. Soltanto nell’età del ferro si assiste, come fenomeno indotto, al palinsesto dell’idea e della forma di città nell’isola grazie agli apporti coloniali soprattutto di origine ellenica. Tuttavia è indubbio che prima del palinsesto urbano ellenico vi siano stati degli sviluppi autonomi nelle forme insediamentali siciliane che hanno permesso una mutazione, sensibile e visibile archeologicamente, della forma del villaggio nel senso di una maggiore regolarizzazione metrica e di una più articolata distribuzione strutturale connessa al moltiplicarsi delle funzioni e delle esigenze che nelle società indigene prendevano corpo. Lo sviluppo non sembra soltanto meccanicamente legato alle esigenze di carattere socio- economico, secondo una ormai superata lettura di stampo squisitamente materialista, ma anche a una evoluzione intrinseca di carattere edilizio spesso parzialmente indirizzata da esigenze ambientali. Tale è la regolarizzazione formale della capanna circolare contrapposta al timido inserimento del modulo quadrangolare nell’insediamento di Mokarta o il diffuso uso del doppio ingresso a forcipe in voga nel tardo bronzo. Il lento processo di sviluppo delle forme dell’insediamento subì, nel corso del II millennio, degli evidenti ‘scossoni’ dovuti a quel fenomeno ormai abbastanza chiarito dell’inserimento della Sicilia nei sistemi mercantili che avevano nell’Egeo e nel Vicino Oriente i loro centri propulsori. Com’è noto, se i prodotti dell’artigianato orientale raggiungono spesso anche mete lontane nel cuore dell’isola, è la fascia costiera, soprattutto orientale e meridionale, ad essere principalmente coinvolta in questa rete di commerci marittimi a partire dagli inizi del II millennio a.C. Tale contiguità ebbe, talvolta, un peso rilevante nella formazione e trasformazione di taluni insediamenti costieri. L’esempio di Thapsos e di Pantalica è emblematico, ma anche dell’ultima fase della vita di Mursia a Pantelleria. Tutto ciò possiamo spiegarlo utilizzando il concetto di acculturazione che vivono i centri costieri, ma che si trasmette anche all’interno seppure in forme più blande che tradiscono una forte resistenza della tradizione autoctona. Le frequentazioni egeo-levantine costituiscono l’anticipazione di ciò che, su più vasta scala territoriale, avverrà a partire dall’VIII secolo a.C. con il palinsesto urbanistico di origine ellenica che imporrà – lentamente ma inesorabilmente – i suoi rigidi, vincenti e razionali schemi ai quali una sterile resistenza, soprattutto dei centri indigeni dell’interno, ritarderà il cammino verso la globalizzazione isolana.

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Ottave Giornate Internazionali di Studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo

La Città e le città della Sicilia antica

Pisa, Scuola Normale Superiore 18-21 dicembre 2012

ABSTRACTS

Martedì 18 dicembre 2012 (Sala Azzurra, Palazzo della Carovana)

Sebastiano Tusa (Soprintendenza BB.CC.AA. –Trapani), Gli insediamenti del II Millennio in Sicilia: caratteri e significato

è estremamente difficile adattare al quadro fenomenico archeologico siciliano i parametri dei modelli di urbanizzazione in uso per la spiegazione dello sviluppo della città nel Vicino Oriente o nell’area egea. è evidente che il fenomeno dello sviluppo insediamentale in Sicilia tra l’antica, la media e tarda età del bronzo segua percorsi assolutamente diversi in funzione delle ridotte esigenze di articolazione sociale ed economica delle relative genti che ne furono gli artefici. Soltanto nell’età del ferro si assiste, come fenomeno indotto, al palinsesto dell’idea e della forma di città nell’isola grazie agli apporti coloniali soprattutto di origine ellenica. Tuttavia è indubbio che prima del palinsesto urbano ellenico vi siano stati degli sviluppi autonomi nelle forme insediamentali siciliane che hanno permesso una mutazione, sensibile e visibile archeologicamente, della forma del villaggio nel senso di una maggiore regolarizzazione metrica e di una più articolata distribuzione strutturale connessa al moltiplicarsi delle funzioni e delle esigenze che nelle società indigene prendevano corpo. Lo sviluppo non sembra soltanto meccanicamente legato alle esigenze di carattere socio-economico, secondo una ormai superata lettura di stampo squisitamente materialista, ma anche a una evoluzione intrinseca di carattere edilizio spesso parzialmente indirizzata da esigenze ambientali. Tale è la regolarizzazione formale della capanna circolare contrapposta al timido inserimento del modulo quadrangolare nell’insediamento di Mokarta o il diffuso uso del doppio ingresso a forcipe in voga nel tardo bronzo. Il lento processo di sviluppo delle forme dell’insediamento subì, nel corso del II millennio, degli evidenti ‘scossoni’ dovuti a quel fenomeno ormai abbastanza chiarito dell’inserimento della Sicilia nei sistemi mercantili che avevano nell’Egeo e nel Vicino Oriente i loro centri propulsori. Com’è noto, se i prodotti dell’artigianato orientale raggiungono spesso anche mete lontane nel cuore dell’isola, è la fascia costiera, soprattutto orientale e meridionale, ad essere principalmente coinvolta in questa rete di commerci marittimi a partire dagli inizi del II millennio a.C. Tale contiguità ebbe, talvolta, un peso rilevante nella formazione e trasformazione di taluni insediamenti costieri. L’esempio di Thapsos e di Pantalica è emblematico, ma anche dell’ultima fase della vita di Mursia a Pantelleria. Tutto ciò possiamo spiegarlo utilizzando il concetto di acculturazione che vivono i centri costieri, ma che si trasmette anche all’interno seppure in forme più blande che tradiscono una forte resistenza della tradizione autoctona. Le frequentazioni egeo-levantine costituiscono l’anticipazione di ciò che, su più vasta scala territoriale, avverrà a partire dall’VIII secolo a.C. con il palinsesto urbanistico di origine ellenica che imporrà – lentamente ma inesorabilmente – i suoi rigidi, vincenti e razionali schemi ai quali una sterile resistenza, soprattutto dei centri indigeni dell’interno, ritarderà il cammino verso la globalizzazione isolana.

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Francesca spaTafora (Parco Archeologico di Himera), Insediamenti indigeni nella Sicilia centro-occidentale: cultura abitativa e organizzazione sociale

I primi secoli del primo millennio – e quindi il passaggio dall’età del Bronzo Finale/Età del Ferro all’ età arcaica - sono segnati, per quanto riguarda le popolazioni autoctone della Sicilia centro-occidentale, da evidenti e progressivi mutamenti che interessano, soprattutto, la cultura abitativa di quelle comunità insediate capillarmente lungo le principali vallate fluviali. In assenza di documentazione letteraria ed epigrafica che possa orientare una possibile lettura in termini socio-politici della variegata realtà locale, è solo attraverso la fonte archeologica – da leggere e interpretare con tutti gli strumenti, anche teorici, oggi disponibili - che possiamo delineare un quadro che rimane pur sempre sfumato in quanto fortemente condizionato dalla parzialità e disomogeneità della documentazione utilizzabile. Tuttavia, nella convinzione che, al di là del semplice dato topografico, la forma degli insediamenti sia la più evidente espressione di qualsiasi collettività nonché la traduzione materiale di ideologie e modi di vivere, è certamente utile esaminare i pochi contesti finora noti sotto il profilo della organizzazione degli spazi urbani e dell’ utilizzazione degli spazi domestici. Ciò al fine di evidenziare se e come, a partire almeno dall’età arcaica, questi semplici parametri possano risultare indicativi di eventuali processi di mediazione culturale con il mondo coloniale che attraverso le sue fondazioni costiere introduce un più ampio concetto di “città” inteso, in una dimensione etica e politica, non solo come spazio residenziale ma soprattutto come spazio civico. A questi importanti parametri è certamente utile accostare, per meglio disegnare la struttura sociale delle comunità locali, alcune significative evidenze desumibili dall’architettura religiosa e dai contesti funerari, così da evidenziare eventuali processi di innovazione o, di contro, atteggiamenti improntati a un evidente scelta di conservatorismo.

Anna Calderone (Università di Messina), Elisabetta TramonTana (Università di Messina), Gli insediamenti indigeni tra il Platani e il Gela: forme di organizzazione abitativa e tipologie edilizie dall’Età del Ferro al V sec. a.C.

Uno studio analitico dei numerosi insediamenti indigeni che ricadono nell’ampia porzione della Sicilia centro-meridionale compresa tra il bacino del fiume Platani ad Ovest e il bacino del fiume Gela ad Est, costituisce il presupposto della relazione. Sulla base della ricostruzione degli assetti insediativi definitisi in quest’area a partire dalla protostoria e sino alla conquista romana già proposta in altre sedi, che ha evidenziato fenomeni e dinamiche di notevole interesse sia nella distribuzione regionale e sub-regionale degli insediamenti, sia nel rapporto tra un insediamento e l’altro, sia in quello tra i centri abitati e i relativi territori di pertinenza, viene ora affrontato l’aspetto specifico delle forme e dei sistemi di organizzazione degli abitati meglio noti. Ci si propone in particolare di evidenziare i modelli peculiari di definizione, occupazione e destinazione funzionale degli spazi, visti nella loro correlazione con l’articolazione sociale delle comunità e il loro specifico livello di complessità e sviluppo, e di ricostruire la generale linea evolutiva della cultura abitativa che ha caratterizzato le genti locali nel lungo arco cronologico compreso tra l’età del Ferro e il V sec. a.C. Gli elementi di conoscenza che soprattutto le recenti acquisizioni hanno fornito, permettono di riconoscere un quadro piuttosto complesso e sfaccettato, che nell’ambito di una generalizzata tendenza all’occupazione dei pianori sommitali delle alture ben difese naturalmente, appare caratterizzato da modelli di occupazione, tipologie edilizie e

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tecniche costruttive spesso assai differenti da un sito ad un altro, evidentemente in rapporto a tradizioni locali diverse e al diverso grado di sviluppo delle varie comunità autoctone, e che anche sotto l’influsso della cultura urbanistica greca muta in maniera tutt’altro che omogenea, in dipendenza dalla diversità dei tempi e dei modi del contatto tra i coloni e gli indigeni, e dalla differente volontà o capacità, da parte di questi, di recepire schemi urbanistici, tipologie architettoniche, tecniche costruttive estranei al loro patrimonio locale.

Lorenzo nigro (Università di Roma ‘La Sapienza’), Mozia: lo spazio urbano dalle origini alla distruzione dionigiana

Gli scavi dell'Università ‘La Sapienza’ a Mozia nell’ultimo decennio hanno permesso di rileggere la topografia e lo sviluppo urbano della fondazione fenicia nell’Isola di San Pantaleo, rivelando un nuovo luogo di culto all’interno di un ampio complesso sacro nell’area del c.d. Kothon. Gli scavi nell’abitato alle pendici sud-orientali e occidentali dell’acropoli e lungo il perimetro settentrionale dell’isola hanno offerto nuovi elementi non solo per delineare i punti salienti della struttura urbanistica, ma anche per indagare la forma e le funzioni dello spazio interno alla città. Infine, i lavori sulle mura hanno consentito di rivalutare il valore simbolico delle fortificazioni che, a Mozia, caratterizzano il passaggio dal modello urbnano fenicio a quello cartaginese.

Maria Luisa famà (Parco Archeologico Isole dello Stagnone) Da Erice a Birgi tra l’VIII e il VI secolo a.C.

Nell’epoca cruciale che si apre con la fondazione fenicia di Mozia e la contemporanea occupazione del prospiciente sito di Birgi, e si conclude con la definitiva configurazione urbana della piccola isola dello Stagnone e il contestuale incremento demografico del sito ‘gemello’ costiero, il territorio in questione si configura come una sorta di ‘nicchia’ geografica e culturale in cui interagiscono pacificamente le genti allogene - con la probabile compresenza di un gruppo proveniente dalla Grecia - e le popolazioni indigene. La condizione ‘dominante’ del santuario marinaro di Erice, che sembra già da allora costituire un polo unificante nell’ambito dei rapporti tra queste genti diverse, si rivela oggi più chiara, grazie anche all’analisi e all’edizione dei materiali provenienti dal santuario, conservati nel Museo Pepoli di Trapani. Il contributo è incentrato sulla presentazione dei dati archeologici a confronto con le fonti.

Caterina greCo (Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa 'V. Tusa'), Solunto arcaica, vent’anni dopo

Tra il 1992-1993 le nuove indagini intraprese dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, all’epoca territorialmente competente per gli scavi soluntini, riaprivano il discorso sull’estensione e la caratterizzazione tipologica della necropoli e da qui sulla localizzazione dell’insediamento di Solunto arcaica. A distanza di un ventennio, le scoperte recenti di un nuovo lembo di necropoli arcaica e soprattutto i progressi della ricerca sistematica condotta nella vicina Palermo e a Mozia forniscono l’occasione per rileggere gli scarsi dati topografici relativi al primo stanziamento fenicio soluntino in un

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quadro articolato di rapporti dinamici, tra le stesse fondazioni fenicie e tra queste e gli altri insediamenti greci e indigeni della Sicilia occidentale, attraverso il quale si delinea il carattere prevalente di modello 'emporico' della colonizzazione fenicia. Di questo modello si indagano rispettivamente analogie e differenze con esempi di insediamenti in altre aree del Mediterraneo toccate dalla diaspora fenicia, mentre il peculiare contesto siciliano, con l’emergere delle diverse finalità e modalità strutturali che configurano le colonie greche d’Occidente, offre elementi per analizzare il fronteggiarsi di differenti tipi di ‘città’.

Adriana fresina (Parco Archeologico di Solunto), Solunto in età ellenistico-romana

Rossella giglio (Soprintendenza BB.CC.AA. – Trapani), Lilibeo: novità archeologiche

Gli esiti delle ricerche archeologiche condotte dalla metà degli anni novanta del Novecento a Lilibeo, odierna Marsala, pur se non integralmente edite e tuttora in corso di studio, permettono di delineare un primo quadro di sintesi, grazie anche alle fonti e alle novità epigrafiche. Infatti, le nuove indagini hanno parzialmente modificato alcuni dati da tempo acquisiti nella letteratura archeologica sulla storia di questo importante centro della Sicilia occidentale nel percorso delle trasformazioni dall’età della fondazione fino ad epoca medievale. La città, sorta su una pianura ricca di sorgenti, nel suo insieme è arricchita dal suo paesaggio naturale (il mare, con l’antistante laguna dello Stagnone e le sue isole, e l’arcipelago delle Egadi a ovest; più lontana, Pantelleria e l’Africa a sud). Dalla fondazione (inizio-metà IV secolo a.C.) alla, appena successiva, erezione delle fortificazioni (mura e fossati) che difesero Lilibeo fino alla conclusione della prima guerra punica, verso l’entroterra, la città si sviluppò sul promontorio di Capo Boeo, verso cui confluirono lo spazio economico (i porti, con i luoghi della produzione e del commercio), il paesaggio sociale (quartieri d’abitazione e proprietà privata), le infrastrutture (mura, viabilità, acquedotti, cloache) e le aree verdi (gli horti). Dalle ricerche archeologiche condotte nell’attuale Parco archeologico è evidente la monumentalità della Lilibeo romana e la volontà da parte di Roma di conservarne l’importanza sotto il suo controllo: dai dati provenienti da diverse campagne di scavo (1999-2011), è evidente che la città è ormai verso il mare (forse attraverso un arco trionfale o, più probabilmente, una porta monumentale) e il decumano massimo fu, in almeno due occasioni, oggetto di manutenzione, come attestato da alcune epigrafi, ancora in corso di studio. Degne di nota quella di un magistrato, pr(aetor) desig(natus), da ricercare fra i personaggi della cerchia di Sesto Pompeo negli anni del suo controllo sulla Sicilia, e quella di un ricco liberto, Publio Stertinio Threpto, che finanzia il restauro dell’asse stradale definita Platia Aelia, in onore, con ogni probabilità, dell’imperatore Adriano (primo quarto II secolo d.C.). La lastra è connessa alla messa in opera di una gigantesca struttura fognaria, da dove proviene inoltre un’epigrafe onoraria dedicata ad un Marco Rubellino (fine II-inizi III secolo d.C.), e che è possibile riferire ad una delle più significative trasformazioni dell’assetto urbanistico, documentate anche da edifici privati di una certa rilevanza monumentale, presenti nell’area delle note insulae I, II, III dove sicuramente erano presenti anche edifici religiosi, come il luogo di culto dedicato a Iside, rimesso in luce nel 2008 e un fanum hercoleum, noto da una epigrafe. Più complesso il caso dell’edilizia pubblica, perché i dati desumibili dalle indagini archeologiche non sono purtroppo perfettamente leggibili; è verosimile dedurre l’esistenza di edifici pubblici da alcuni labili elementi provenienti da ricerche recenti e dalla rassegna della ricerca ottocentesca, nell’attuale centro storico, dove la stratigrafia archeologica è purtroppo rimaneggiata.

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Importanti notizie si possono dedurre dalle fortificazioni, note in più esempi. Da vari settori della città provengono lacerti di attività produttive e commerciali.In tutti questi esempi è comunque documentato un primo parziale abbandono collocabile verso la fine del IV secolo e gli inizi del V secolo d.C., mentre solo alla fine del VI secolo d.C. si data il definitivo abbandono. Un importante cambiamento di destinazione d’uso dei quartieri vicini alla costa è documentato dalla presenza di sepolture e da una piccola struttura absidata, ad uso funerario, connessa a due tombe decorate con iscrizioni dipinte, importanti testimonianze epigrafiche della storia del cristianesimo bizantino in Sicilia. La definitiva destinazione ad uso cimiteriale dell’area si attesta nel corso del VI secolo d.C. e perdura fino agli inizi del secolo successivo. Gli scavi hanno dimostrato che alla fine dell’impero romano la città non subisce la totale distruzione da parte vandala ma si trasforma sotto il nuovo impulso politico, edilizio e religioso del Cristianesimo, che occupa gli spazi pubblici e vi impianta edifici chiesastici e necropoli, in ossequio alla volontà delle gerarchie ecclesiastiche di creare nuovi luoghi di costruzione sociale in alternativa a quelli della romanità pagana. La contrazione demografica e la rarefazione del tessuto urbano è quella narrata, alla metà del XII secolo da Idrisi che attribuisce al Conte Ruggero un intervento fortificatorio ed una ripresa della città.

Francesca spaTafora (Parco Archeologico di Himera), Palermo fenicio-punica: urbanistica e società

Delle tre città fondate dai Fenici nella cuspide nord-occidentale dell’isola, Palermo è certamente quella maggiormente problematica in relazione alla possibilità di una lettura organica delle sue diverse fasi di vita: trattandosi, infatti, di un tessuto urbano pluristratificato e ininterrottamente utilizzato fino ai nostri giorni, si riducono notevolmente le occasioni di rinvenimento di contesti integri che possano suggerire considerazioni di carattere generale anche su temi ben delineati sotto il profilo teorico, soprattutto per quanto attiene le più antiche fasi di vita della città punica. è da annotare, tra l’altro, come la consistente presenza di manufatti di produzione greca nei contesti più antichi, relativi soprattutto alla necropoli posta a Ovest dell’abitato, abbia reso ancora più ambigua la fisionomia dell’insediamento, per diverso tempo immaginato sotto la diretta e marcata influenza dalle colonie greche d’occidente. Solo di recente è stato possibile rilevare concretamente il carattere punico di alcuni aspetti sostanziali per la vita di una comunità, permettendo di delineare a contorni meno indefiniti la fisionomia della città che sembra mantenere, attraverso i secoli, una sua speciifica impronta identitaria di matrice fenicio-punica. In questo senso, elementi significativi provengono dalla vasta necropoli occidentale ma anche dall’area dell’abitato antico e dalle zone immediatamente esterne alla città murata, anche se obiettivamente scarna rimane la documentazione utile per tratteggiare l’organizzazione sociale della comunità o per immaginarne, seppure a contorni sfumati, struttura politica e istituzioni civiche. Utile, comunque, per meglio comprendere una realtà complessa come quella di Panormo, può risultare una lettura dell’ambito territoriale in cui è inserita la realtà urbana, tenendo conto della composita identità di una zona di confine in cui le 'diversità', attraverso complessi fenomeni di mediazione culturale, innescano dinamiche assai articolate che, spesso, danno luogo a forme culturali caratterizzate da evidenti forme di ibridismo.

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Martine fourmonT (Institut de recherche sur l’architecture antique, CNRS, Paris) Selinunte punica: fra Siracusa e Cartagine (409-250 a.C.)

Le ricerche portate avanti a Selinunte negli ultimi decenni consentono di cogliere con più chiarezza le modifiche riguardanti la città dopo il 409 a.C., data della sua prima distruzione, e durante gli anni ascrivibili alla sua integrazione all’eparchia cartaginese. Saranno presi in esame la forma assunta dalla città, le permanenze e le novità della sua ‘parure’ urbanistica, monumentale e domestica, con confronto con altri siti. L’analisi dei materiali ceramici indica la chiara partecipazione di Selinunte ai traffici commerciali sulla rotta di Cartagine, nonché un forte rapporto ‘culturale’ con Lilibeo. Saranno, quindi, prese in esame alcune delle tesi recentemente espresse sulla ‘punicità’ di Selinunte.

Beatrice lieTz (Collège de France, Paris), Donata zirone (Scuola Normale Superiore), Erice, fonti storiche e archeologiche

L’esame delle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche sulla città di Erice, nonostante la penuria di nuovi dati, è stato recentemente ripreso da alcuni significativi contributi, soprattutto per quanto riguarda il periodo dell’eparchia e la storia del santuario. Se quest’ultimo godette di lunga vita e di una vasta diffusione in ambito mediterraneo (con testimonianze dal V sec. a.C. fino al III sec. d.C.), Erice sembra essere esistita come polis solo a partire dalla fine del V sec. a.C. (probabilmente sotto l’egemonia di Segesta), aver vissuto una fase punica nel corso del IV-III sec. a.C. ed aver cessato di esistere come centro indipendente poco dopo la conquista romana. La ricerca archeologica a Erice ha riguardato negli ultimi decenni soprattutto il sistema difensivo, che comprende strutture di maggiore consistenza monumentale. Oltre alla cinta muraria posta a protezione dal lato occidentale della città, recenti studi topografici hanno riguardato anche altre emergenze archeologiche del territorio, connesse alla funzione strategico–militare del sito durante l’antichità. Altre ricerche, tuttora in corso, riguardano la necropoli e la topografia urbana. Al fine di sistematizzare ed integrare i dati tradizionalmente acquisiti e sedimentati nella storia degli studi con i più recenti e promettenti spunti di ricerca, si propone una disamina critica e sistematica della produzione bibliografica relativa alla ricerca storica e archeologica, quale ideale aggiornamento alla voce Erice della Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole Tirreniche (1989).

Mercoledì 19 dicembre 2012 (Aula Ulisse Dini, Palazzo del Castelletto)

Maria Giulia amadasi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Realtà politiche e istituzionali nelle città fenicio-puniche in Sicilia: quali dati?

Fin dai primi studi specifici sugli insediamenti stabili fenici in Sicilia ci si è posto il problema della loro organizzazione politica e delle istituzioni che vi erano presenti. Da questo punto di vista le fonti scritte dirette sono praticamente mute. Se conosciamo alcune istituzioni religiose (il cui funzionamento, come peraltro altrove nell’Occidente e nell’Oriente fenicio e punico, ricostruiamo in modo abbastanza approssimativo e astratto), le istituzioni politiche, specie per il primo periodo dello stabilirsi di Fenici in Sicilia, ci sono praticamente ignote: si conclude, perciò, genericamente che «[l’]esperienza politica di Mozia o di Palermo

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nella fase pre-cartaginese non sarà stata certamente dissimile da quella di tutti gli altri centri fenici d’Occidente» (S.F. Bondì). A capo di ogni centro si suppone vi fosse una coppia di sufeti, affiancata, come a Cartagine, da un’assemblea popolare, da un senato cittadino e da un consiglio degli anziani. L’autonomia dei singoli centri, dal momento dell’impiego della moneta, è dimostrata dalla presenza delle monetazioni cittadine. La presenza in Sicilia di sufeti non è attestata, se non in un caso del III sec. a. C:, da testi scritti, mentre lo è almeno dal IV sec. a.C. (e forse già dal V sec. a. C.) a Cartagine, e più tardi da altre città dell’Africa e della Sardegna. In Sicilia due sufeti erano nominati nella formula di datazione di un’iscrizione ora perduta da Erice, una dedica ad Astarte, di cui resta solo una copia quasi indecifrabile di Antonio Cordici, senza che sia possibile stabilire di quale effettivo centro fossero i capi. Sull’amministrazione della Sicilia nel periodo dell’ ‘eparchia’ di Cartagine danno informazioni legende monetali, con nomi di funzioni o indicazioni topografiche, tuttora in parte discusse. Su queste basi (formule di datazione delle iscrizioni, legende di monete e possibili confronti con altri insediamenti fenici e, nel caso, l’aiuto di testimonianze letterarie), si cercherà di mettere in risalto i problemi e le ipotesi riguardanti l’organizzazione politica e l’amministrazione dei territori fenicio-punici della Sicilia, nel periodo precedente l’affermazione di Cartagine e in quello successivo del predominio della ‘capitale’ africana, mettendo in risalto soprattutto i problemi posti dall’esiguità di fonti dirette.

Giuseppe Voza (Soprintendenza BB.CC.AA. – Siracusa) Siracusa antica. Problemi di topografia e urbanistica

I problemi della topografia e dell’urbanistica di Siracusa antica sono inquadrati nella storia della relativa ricerca archeologica. Su alcuni di essi si tenta di fare il punto, soprattutto su quelli che sono stati oggetto di attenzione da parte delle piú recenti pubblicazioni. Nel quadro delle attuali conoscenze si sono esaminati, in particolare, il problema del collegamento di Ortigia con la terraferma, la questione di alcune fondamentali indicazioni topografiche che si desumono dalle fonti scritte, e in generale, la possibilità di dare un contributo alla definizione dello sviluppo urbano da età greca arcaica a quella romana.

Federica Cordano (Università di Milano), Istituzioni pubbliche a Camarina ed Akrai

Sulla base della documentazione epigrafica di età ellenistico-romana da Camarina, Akrai e centri limitrofi, saranno condotte un’analisi della distribuzione dei cittadini in collegamento con la forma della città e una verifica dei modi nei quali tale appartenenza veniva espressa, nell’onomastica personale e tramite riferimenti topografici. L’una e l’altra, naturalmente, saranno inserite nel quadro delle principali e ben note istituzioni civili e religiose.

Stefano Vassallo (Soprintendenza BB.CC.AA. – Palermo), Riflessioni sull’organizzazione degli spazi nella città di Himera

A cinquant’anni dall’inizio delle ricerche archeologiche sistematiche, condotte ad Himera dall’Università di Palermo, in collaborazione con la Soprintendenza di Palermo, è oggi possibile presentare un quadro per molti aspetti soddisfacente dell’antica topografia del sito e della suddivisione degli spazi urbani dell’antica colonia.

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Attraverso l’analisi dei dati archeologici si può, infatti, riconoscere un percorso attendibile delle scelte operate dagli Imeresi nel definire le diverse aree urbane ed extraurbane in relazione alle complesse funzioni in cui si articolò la nuova polis. Su un’area estesa circa 120 ettari, caratterizzata da una geomorfologia molto irregolare e disomogenea, i coloni furono capaci di configurare e organizzare i diversi spazi peculiari della città (abitazioni, aree pubbliche, santuari, sistema difensivo e aree cimiteriali) in modo tale da adeguarsi ai non facili limiti imposti dal terreno, ma allo stesso tempo non derogando a ruoli e funzioni di quelle componenti essenziali della vita sociale, politica ed economica connessa alle dinamiche di una grande città greca. Un lucido esempio di questa capacità di adattamento alla natura dei luoghi è dato dalla sistemazione urbanistica arcaica, pensata dopo tre o quattro generazioni di coloni e realizzata progettando due impianti, che pur essendo del tutto autonomi tra di loro e diversi per dimensioni e orientamenti, appaiono del tutto complementari al disegno generale dello spazio cittadino. Una trasformazione radicale dell’abitato che, tuttavia, non sconvolse l’assetto di alcuni degli elementi peculiari della fisionomia della colonia, fin dai primi decenni di vita, quali la grande area sacra del santuario di Atena e l’agora, di recente localizzata a ridosso del fiume e della sua foce. Attraverso l’analisi dei diversi elementi topografici del sito coloniale, si cercherà di evidenziare come l’organizzazone della città, nel suo graduale crescere e strutturarsi, parallelamente al suo sviluppo economico e sociale, sia stato frutto di precise scelte politiche. In questo senso, la carenza di fonti storiche su Himera, può essere in parte compensata da un’attenta valutazione dei dati archeologici, che offrono, comunque, una buona chiave di lettura di vicende e trasformazioni di cui la Storia non ha lasciato alcuna traccia.

Oscar BelVedere (Università di Palermo), Thermae Himeraeae. Nuovi scavi nell’edificio termale romano

Nell’intervento si ripropongono alcune considerazioni sulla trasformazione delle città siciliane in colonie romane, con particolare riferimento a Thermae Himeraeae. La riorganizzazione dei centri civici con la trasformazione delle agorai ellenistiche in foro romano comportò anche una attività edilizia, che introdusse tipologie architettoniche e sistemi decorativi di derivazione italica, con l’impiego di maestranze provenienti dalla penisola. Il culto imperiale connotò fortemente lo spazio pubblico, soprattutto con l’introduzione delle piazze chiuse, come ad Agrigento, ovvero con la costruzione di sacelli o di basiliche, come documentato a Termini. Ma la trasformazione non si limitò allo spazio pubblico del foro: tipologie architettoniche come il tholus macelli e l’anfiteatro mutarono fortemente il paesaggio urbano termitano nel I sec. d.C., nella città alta, mentre la costruzione delle terme, nella città bassa, rappresentò un altro importante segno del passaggio di Thermae da città ellenistica a colonia romana. Le ricerche degli ultimi anni hanno interessato soprattutto le terme, in occasione del progetto di recupero e restauro dell’edificio secentesco. I saggi hanno dimostrato che, a differenza da quanto si pensava e anche da noi sostenuto, nelle strutture moderne non si conserva alcun resto murario dell’edificio romano, che invece si trova a una profondità che va da m 2,50 a 4,00 sotto il piano di calpestio dell’attuale edificio. Le ricerche hanno messo in luce un breve tratto del bordo di una vasca circolare, su cui sembra si impostino a intervalli regolari dei pilastri, circondata da un corridoio anulare, su cui si sono impostate le strutture dell’edificio moderno. Il rinvenimento del capitello di una lesena e altri elementi decorativi fanno propendere per una datazione nella prima età imperiale. Si tratterebbe di una prima

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conferma dell’esattezza delle piante di Houel e Gargotta, che disegnano una grande vasca circolare al centro dell’edificio. La trasformazione di Thermae in città romana avvenne, quindi, abbastanza rapidamente. La nuova proposta di datazione dell’anfiteatro in età giulio-claudia, piuttosto che in età flavio-traianea, confermerebbe la rapidità di questo processo, che addirittura sarebbe stato portato a compimento entro il I sec. d.C., se non addirittura entro l’età giulio-claudia.

Antonietta Brugnone (Università di Palermo), Istituzioni e strutture politiche di Himera e Termini Imerese

I documenti epigrafici rinvenuti nel corso degli scavi condotti a Himera a partire dagli anni ’60 del secolo scorso gettano nuova luce sulle istituzioni della città. Da questi documenti e da quelli, noti da tempo, provenienti da Termini Imerese vorrei prendere le mosse per svolgere alcune considerazioni sulla molteplicità degli apporti che contribuiscono alla formazione dell’orizzonte religioso e dell’organizzazione civile e politica degli Imeresi nelle diverse fasi della loro storia. I dati disponibili, seppur frammentari, contribuiscono a delineare un quadro articolato delle relazioni tra le diverse componenti del corpo civico imerese e fanno emergere la centralità dei rapporti della polis siceliota con le popolazioni greche e non greche dell’area tirrenica.

(Sala Azzurra, Palazzo della Carovana)

Rosalba panVini (Università di Catania), Il quadro urbanistico di Gela tra la fine del VI ed il V secolo a.C.: nuovi dati archeologici e fonti storiche

Le conoscenze relative al quadro urbanistico dell’antica città di Gela, relative al VI-V secolo a.C., sono state aggiornate grazie alla prosecuzione delle ricerche archeologiche condotte nell’ultimo ventennio in più punti della collina, sia nell’area di Molino a Vento, sede dell’acropoli, sia nell’area di Capo Soprano, nota soprattutto per la presenza dei quartieri civili di età ellenistica, cinti dal poderoso e coevo muro di fortificazione in doppia tecnica muraria. Naturalmente i dati ricavati nel corso delle indagini sono stati messi in relazione, ove possibile, con le notizie riferite dalle fonti storiche. Sull’acropoli sono stati riportati alla luce i resti di ambienti arcaici ed una nuova stipe dell’Athenaion arcaico (Tempio B), che ha restituito materiali eccezionali. Sempre sull’acropoli, ma nel tratto occidentale, al di sotto della Chiesa Madre, sono state rintracciate le fondazioni di un tempio, forse l’Heraion. I resti dell’emporio arcaico della città sono emersi in località Bosco Littorio, dove è stata esplorata una vasta porzione del complesso arcaico, composto da ambienti perimetrati da muri costruiti in mattoni crudi. Proprio nell’area esterna ad uno di tali ambienti sono state rinvenute le tre are fittili con decorazione figurata a rilievo, di rara ed originale fattura, che costituiscono una documentazione rilevante dell’abilità degli ateliers locali. Edifici di culto demetriaci e complessi artigianali sono venuti alla luce nelle aree esterne al muro di fortificazione, mentre un settore di un quartiere arcaico (VI-V secolo a.C.) con ambienti in mattoni crudi è affiorato, sempre all’esterno del muro di cinta, nell’area di Capo Soprano: esso è probabilmente da mettere in relazione con quanto raccontato da Diodoro (V, 9,1) a proposito dell’arrivo a Gela di un gruppo di coloni Lindii, costretti a fuggire da Rodi per motivi politici.

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Gianfranco Adornato (Scuola Normale Superiore), Akragas: da Fazello alle recenti indagini

Il presente intervento intende mettere a fuoco alcuni aspetti essenziali relativi alla fondazione di Akragas. Lungi dal tracciare una sistematica rilettura della documentazione bibliografica dall’opera di Fazello (1558) ai giorni nostri, saranno enucleati e discussi nodi critici sul momento dell’impianto della polis, grazie anche a una rinnovata analisi delle fonti letterarie (non soltanto i celebri passi di Tucidide e Polibio, ma soprattutto la II Olimpica e l’Encomio di Pindaro, e la produzione scoliastica, oggetto di trattazione da parte di Musti 1992) e della documentazione archeologica relative a questo arco cronologico. Sempre alla prima fase della polis verrà dedicato un secondo contributo sul periodo della tirannide di Falaride (ca. 571/0-555/4 a.C.), caratterizzata da una fase di prosperità (costruzioni di templi e fortificazioni) e di espansione territoriale – da Leontinoi fino alla costa settentrionale della Sicilia, secondo il noto episodio ambientato a Himera, in un capitolo della Rhetorica di Aristotele, secondo quanto riportano le fonti letterarie. Contro questo approccio positivistico nella ricostruzione della figura ‘storica’ di Falaride e della città di Akragas, ancora attuale (da ultimo La Torre 2011), si cercherà di definire con maggiore accuratezza il quadro storico e archeologico entro cui inserire aspetti geopolitici e diplomatici. Un’ultima sezione prenderà in analisi i culti e la distribuzione del sacro all’interno della polis, con una focalizzazione sul Tempio A, l’edificio templare lapideo più antico di Akragas, attribuito da Fazello a Eracle.

Michel gras (Maison René Ginouvès de l’Archéologie et de l’Ethnologie, Paris), Megara Hyblaea. Dalla città alla società

Megara Hyblaea, città greca della costa orientale della Sicilia, è scavata dal 1873. Gli scavi italiani (di Cavallari, Orsi e della Soprintendenza di Siracusa) e francesi (Ecole française de Rome, dal 1949) hanno consentito una ricerca di ampio respiro su un sito non occupato dopo l’antichità e oggi deserto anche se le necropoli sono ormai inserite nella zona industriale di Augusta-Priolo. Ci sono stati scavi programmati (per la città) e scavi di salvataggio (per le necropoli). I dati a disposizione per l’età arcaica, dalla fondazione nell’VIII secolo a.C. all’abbandono della città nel 483 (Erodoto, VII, 156) consentono di aprire una larga riflessione di natura storica. Infatti la pubblicazione dei dati dello spazio urbano (Mégara 1, 1976 ; Mégara 5, 2004) e quelli della necropoli (Mégara 6 in preparazione avanzata) permettono di cercare quale società si nasconde dietro i dati materiali acquisiti dagli scavi. L’intervento, che non torna su quanto scritto in Megara 5, sarà centrato sui criteri sociali che hanno presieduto alla spartizione dei lotti urbani e alla trasmissione di tali lotti. Si cercerà di capire come una città nuova, senza condizionamenti pesanti, organizza il suo spazio. Tale riflessione richiede di tornare su dei concetti importanti e complessi di storia greca come l’isomoiria e il genos, con la loro pesante storiografia, da Fustel de Coulanges in poi. Inserendo tale analisi nel contesto storico delle poleis di Sicilia, orientale e non soltanto, e della fondazione di subcolonie, a cominciare da quella di Selinunte, un secolo dopo la fondazione della madrepatria.

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Caterina greCo (Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa 'V. Tusa'), Selinunte: l’esperienza della città

Selinunte costituisce, nella Sicilia di epoca arcaica, il più grandioso esperimento di città greca, e tra le massime e più complete espressioni della cultura urbanistica ellenica in Occidente. Dopo gli studi fondamentali dedicati da Dieter Mertens allo sviluppo dell’insediamento urbano nelle sue componenti costitutive, le nuove ricerche condotte da Clemente Marconi nel settore meridionale dell’acropoli e all’interno del peribolo del grande santuario poliade rilanciano il tema della cronologia della più antica fondazione selinuntina e con esso delle tappe di elaborazione del nucleo urbano e della sua manifestazione più appariscente e significativa sul piano sociale e religioso, l’architettura templare. Parallelamente, gli scavi tedeschi sulle pendici orientali della collina di Manuzza, nei pressi del corso del Gorgo Cottone, mettendo in luce un vasto settore dei quartieri artigianali di età arcaica e classica, hanno aperto nuovi squarci di conoscenza sull’organizzazione produttiva della città greca e sull’articolazione funzionale dell’abitato. Per la lettura complessiva dell’insediamento, nei suoi lineamenti morfologici e topografici, è inoltre di grande interesse la diversa modalità di approccio recentemente proposta per la zona dei santuari extraurbani occidentali, gravitanti intorno al nucleo fondante del megaron di Demetra Malophoros. Ma è soprattutto il ruolo assolto da Selinunte, colonia di ‘frontiera’ in un territorio animato dalle diverse etnie (indigene, sicano-elime, fenicie) a definire la forma della città come esperimento di ‘perimetrazione dello spazio dell’identità civica’, in un percorso storico di lungo periodo che non si interrompe bruscamente e totalmente con la distruzione del 409 a.C.

Paola pelagaTTi (Accademia dei Lincei), Maria Costanza lenTini (Parco Archeologico di Naxos), Jari pakkanen (Royal Holloway, University of London) Naxos tra continuità e trasformazione: dati sulla città del V secolo a.C.

In questi ultimi anni ricerche regolari sono state condotte, sia in estensione, sia in profondità nel sito urbano di Naxos, la più antica colonia di Sicilia. Queste si sono concentrate nell’area cruciale che si estendeva attorno al porto. Hanno, infatti, interessato sia i terreni della penisola di Schisò prossimi al Castello che restituiscono ben leggibili le fasi urbane sin dalle origini, sia le propaggini orientali della Collina di Larunchi, dove sono tornati in luce i resti dei neoria di età classica e della contigua agora. Le scoperte sono decisive per delineare lo sviluppo della città e le dinamiche insediative, intrigate e complesse, tenuto conto del breve arco di vita della città, compreso tra gli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., data di fondazione (Thuc. 6.3.1), e il 403 a.C., data della distruzione da parte di Dionigi I di Siracusa (Diod. Sic. 14.15.2). Tale complessità si rivela anche per la città di V secolo a.C., la fase urbana sin qui più nota ed investigata di Naxos. L’impianto è in questa fase del tipo a griglia di strade ortogonali. Lo scopre P. Pelagatti mettendo a punto una planimetria fondamentale per le ricerche successive, e in particolare per le presenti. J. Pakkanen, infatti, conduce nel 2012 una campagna di rilevamento topografico integrale con impiego di total station. I risultati intervengono direttamente sulla planimetria, precisandone articolazioni e orientamento. I risultati delle indagini di scavo condotte sia lungo la plateia A (campagne 2011-2012), sia all’interno del complesso dei neoria (campagne 2003-2006) permettono d’altro canto di seguire la dinamica di sviluppo del piano urbano, evidenziandone trasformazioni ed elementi conservativi, di continuità con la precedente sistemazione arcaica, focalizzando insieme taluni aspetti dell’architettura urbana di carattere domestico, e nel caso dei neoria di carattere civile.

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Giovanna Maria BaCCi (Museo Archeologico Regionale – Messina), Zancle - Messana, aggiornamenti sull’impianto urbano

Resti riferibili all’insediamento della fine dell’VIII-VI a.C. ed all’abitato di età classica sono stati rilevati con particolare densità nel tratto di pianura alluvionale situato a ridosso dell’istmo della penisola di S. Raineri che protegge l’insenatura portuale, ma l’abitato nel suo complesso ha impegnato fin dai primi decenni un’area assai più estesa. Mentre il limite sud dell’abitato viene definito dal vasto bacino del Torrente Camaro o Zaera, in direzione nord-est la situazione appare meno chiara, coinvolgendo in ogni caso il bacino del Torrente Portalegni, il cui corso sfociava in età antica all’interno del porto passando a nord della Cattedrale di fondazione normanna. Recenti scoperte nei pressi della Piazza Duomo, in una zona in genere considerata esterna alla città di epoca arcaico - classica, sono indicative di una occupazione non intensiva di tutta l’area impegnata dai coloni al momento della ktisis, e la cui urbanizzazione sembra essere stata completata nel corso del VI secolo a.C. L’abitato possedeva un impianto planimetrico regolare, orientato in senso est/ovest, nord/sud, più precisamente nord-ovest/sud-est e sud-ovest/nord-est, definito nei tratti essenziali fin dai primi decenni della fondazione, con assi stradali, stenopoi, in direzione est - ovest, probabilmente attraversati da plateiai in direzione nord – sud, ed isolati perpendicolari alla linea di costa e all’incirca paralleli al corso dei torrenti. Si è anche rilevata la persistenza degli orientamenti nelle diverse fasi edilizie, dall’età arcaica fino almeno alle soglie dell’età imperiale. Messina ha restituito due aree sacre la cui istituzione appare pianificata fin dalle primissime fasi di vita della polis. Al santuario all’estremità della penisola di S. Raineri identificato da Paolo Orsi nel 1926, si è aggiunta nel 2007 la scoperta, presso l’ isolato Z, al centro dell’abitato e nel punto di innesto tra la piana e la penisola, di un complesso databile tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII sec., nel quale si è proposto di vedere un riflesso dei riti connessi alla fondazione della polis e delle cerimonie ricordate nel noto frammento di Callimaco dedicato alla fondazione di Zancle. Il complesso rituale è sormontato da due tempietti in poligonale della fine del VII secolo a.C., finora gli unici edifici a carattere sacro rinvenuti a Messina. In età più avanzata il peso specifico dell’abitato tende a spostarsi verso nord: la presenza di una agorà di avanzata età ellenistica è stata ipotizzata nei pressi della Piazza Duomo, mentre in età imperiale l’abitato, ridotto di estensione, appare definitivamente attestato sulla baia del porto.

Massimo frasCa (Università di Catania), Leontinoi greca alla luce dei dati archeologici

Tra le città fondate dai Greci in Occidente Leontinoi ha una fisionomia del tutto particolare. La sua collocazione su due aspre colline (San Mauro e Metapiccola) distanti dal mare e i rapporti di coabitazione con gli indigeni già stanziati sul luogo scelto dai Calcidesi per la nuova polis, messi in evidenza dalle fonti letterarie, sono elementi che la distinguono da tutte le altre fondazioni greche della Sicilia. Su Leontinoi disponiamo di un nucleo di notizie letterarie abbastanza consistente, se paragonato a quello di altre città siceliote, che si condensano in particolare su alcuni momenti della sua lunga storia: la fondazione e le relazioni con gli indigeni, i rapporti con-flittuali con Siracusa nel corso del V sec. a.C., l’uccisione di Ieronimo avvenuta nella stessa Leontinoi, preludio alla conquista romana di Marcello. La comunicazione si soffermerà sugli aspetti più controversi della documentazione archeologica emersa nel corso di più di un secolo di ricerche a Leontinoi, cercando di met-

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tere in evidenza le convergenze con i dati letterari e le eventuali forzature operate dagli ar-cheologi, nel tentativo di trovare nelle notizie letterarie risposte ai problemi storici posti dai rinvenimenti archeologici.

Giovedì 20 dicembre 2012 (Sala Azzurra, palazzo della Carovana)

Mauro Moggi (Università di Siena), Megara Iblea e Selinunte: peculiarità delle fondazioni megaresi in Sicilia

Si tratta dell’ennesima rilettura delle fonti letterarie relative alle fondazioni di Megara Iblea e di Selinunte, dalla quale emergono due indicazioni che sembrano avere un certo peso: - a. la narrazione tucididea appare lineare e coerente in sé, nonché del tutto originale rispetto alle altre storie concernenti le ktiseis elleniche in Sicilia; certo, in casi di questo genere si può sempre dire che la storia se non è vera è ben trovata e propendere più o meno apertamente per questa seconda soluzione; tuttavia, anche la possibile attendibilità sostanziale non è da escludere a priori e chi la esclude dovrebbe assumersi l’onere di dimostrare, con prove convincenti, il carattere artificioso e inattendibile della tradizione che ci è pervenuta; - b. l’originalità della rappresentazione dell’apoikia primaria (e in parte anche di quella secondaria) nella fattispecie sconsiglia caldamente di far ricorso all’ipotesi di un cliché narrativo, elaborato sulla base delle iniziative coloniali di epoca classica, che accomunerebbe tutti gli episodi sostanzialmente riconducibili al modello ‘apecistico’. A questo punto, se le cose stanno così e tenendo presente anche il ruolo di rilievo attribuito alla fondazione di Megara nel primo saggio destinato a demolire tale modello, una conseguenza appare obbligata e ineludibile: quella di verificare se le nuove proposte di interpretazione del fenomeno coloniale greco dei secoli VIII e VII a,C. in Occidente sono valide e accettabili.

Mario lomBardo (Università del Salento), Le fondazioni rodio-cretesi e le loro istituzioni

Alla luce dei caratteri e dei limiti, quantitativi e qualitativi, della documentazione disponibile, si svilupperanno, innanzitutto, alcune riflessioni sulle prospettive problematiche ed ermeneutiche entro cui impostare e mettere a fuoco la tematica suggerita nel titolo della relazione, guardando da un lato alla nozione di ‘istituzioni’ – e alla possibilità di leggerla in riferimento a quella di politeia e/o a quella di nomima -, dall’altro all’espressione ‘colonie rodio-cretesi’ e ai suoi più o meno definiti e definibili orizzonti, metropolitani e ‘coloniali’, di referenzialità. Ci si chiederà quindi se, e in quale ottica, sia possibile interrogarsi utilmente sulle ‘istituzioni’ (politeia/nomima) delle ‘colonie rodio-cretesi’. Due le prospettive percorribili, benché entrambe, come si potrà vedere, non prive di difficoltà: guardando alle ‘colonie rodio-cretesi’ in quanto tali, e andando alla ricerca di elementi di conferma (o meno) dell’origine/provenienza di esse dall’uno e/o dall’altro di quei determinati ambienti metropolitani, o, viceversa, di indizi dell’esistenza (o meno), negli orizzonti metropolitani di provenienza, di realtà ‘istituzionali’ già definite, e trasferite nelle ‘colonie’; e/o guardando, in un’ottica più ampia, alle esperienze e alle realtà istituzionali delle poleis siceliote alle quali la tradizione attribuisce origini rodio-cretesi (Gela e Agrigento),

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ma anche di quelle nella cui vicenda storica queste ultime ebbero moodo di interferire in maniera significativa (Camarina, Minoa, Imera, Siracusa), e chiedendosi se sia possibile individuare, in tali esperienze e realtà, elementi di peculiarità tali da rendere ammissibile l’ipotesi di una loro specifica categorizzazione, almeno del tipo di quella che emerge nella nozione tucididea di nomima chalkidikà.

Maurizio giangiulio (Università di Trento), La memoria della città nelle colonie greche di Sicilia

Ugo fanTasia (Università di Parma), La potenza navale di Siracusa nel V secolo a.C.

Nel dibattito della primavera del 415 fra Nicia e Alcibiade, che verte in parte sulla corretta valutazione della capacità militare della Sicilia e in particolare di Siracusa, troviamo solo un generico accenno alla sua potenza navale. Ciò può stupire se si pensa alle tradizioni, diffuse nella Grecia del V secolo, sulla possente flotta di cui Siracusa disponeva nell’età dei tiranni e alle altre notizie relative al periodo intermedio, e pone il problema della percezione della realtà siciliana che affiora da quel dibattito. Tuttavia, un’attenta lettura delle informazioni fornite da Tucidide per gli anni anteriori al 415 e un accurato riesame delle altre testimonianze consentono, pur con le inevitabili incertezze dovute al carattere episodico e lacunoso della documentazione, di pervenire alla conclusione che solo all’immediata vigilia della grande spedizione ateniese Siracusa aveva riportato il suo potenziale navale al livello massimo, quantificabile in circa sessanta triremi, verosimilmente raggiunto in età ieroniana.

Donatella erdas (Scuola Normale Superiore), Fondazione, forme di governo, moneta: la città nelle politeiai aristoteliche di Sicilia

Delle politeiai attribuite ad Aristotele è sopravvissuto un piccolo gruppo di frammenti relativi a città della Sicilia antica. Le poleis di cui si ha attestazione sono Siracusa in primo luogo, Agrigento, Gela, Eracla Minoa e Himera. Dall’insieme dei dati presenti nei frammenti emergono alcuni elementi comuni (il momento della ktisis, i mutamenti di governo, l’uso della moneta) che si delineano come tratti distintivi della città, e in particolare delle città di Sicilia. Indispensabili confronti con la Politica e con altre opere del Peripato contribuiscono a delineare con maggiore chiarezza l’orizzonte culturale entro il quale le poleis siceliote si collocano nell’ottica aristotelica.

Leone porCiani (Università di Pavia), Cnido e le Lipari: per una lettura storica di Diodoro 5.9

L’impresa occidentale dei Rodio-Cnidî in Sicilia e a Lipari viene riletta sulla base del confronto con altre migrazioni coloniali che, nel VI secolo a.C., si dirigono dall’area egeo-anatolica verso il Tirreno. Si chiariscono così alcuni aspetti della tradizione sui greci a Lipari, e in particolare alcuni momenti della scansione storica presente in Diod. V, 9; emergono inoltre significative reti di contatto fra le metropoli cui le diverse linee di movimento coloniale fanno capo.

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Antonino pinzone (Università di Messina), La città e l’amministrazione della Sicilia romana

Fermo restando che l’uso del termine richiede la cautela e le precisazioni imposte dalle idee contrarie oggi circolanti tra gli studiosi, il processo di ‘romanizzazione’ della Sicilia si può dire se non completato, arrivato ad un forte grado di maturazione per le città siciliane solo in età augustea, con le riforme da noi conosciute soprattutto grazie alle notizie che ci fornisce Plinio nella Naturalis Historia. In precedenza si assiste ad un lento progredire di tale processo, mai tra l’altro univocamente direzionato, sia dal punto di vista amministrativo e istituzionale, che da quello economico, sociale, culturale. Accanto a momenti e situazioni in cui il fenomeno appare accentuato, ne esistono altri in cui invece il processo non sembra agire. Nel corso della relazione ci si soffermerà su alcuni casi particolarmente significativi.

Andrea giardina (Scuola Normale Superiore), La città tardoantica in Sicilia

Maria Ida P. gulleTTa (Scuola Normale Superiore), «La città bella». Città di Sicilia negli apparati decorativi delle fonti cartografiche (XVI-XVIII secolo)

L’intervento si colloca all’interno di una letteratura recente sugli apparati figurativi delle mappe (Wintley 2009; Valenti, Valerio 2010; Valerio 2011; per le allegorie geografiche femminili v. anche Rossi 2005; Rossi, Rizzo 2008; cfr. Maffei 2012 e http://dinamico2.unibg.it/ripa-iconologia/index.html) e costituisce il naturale proseguimento di un’indagine svolta sulla cartografia storica della Sicilia (Gulletta 2009, Gulletta 2010, Gulletta 2011): se ne farà un cenno, in merito al ruolo non solamente estetico di cartigli allegorici: elementi di un lessico – quello delle immagini – mai casuale, ma sempre fortemente evocativo, elaborato sul patrimonio classico e condizionato da libri di emblemi (Henkel, Schöne 1978; http://www.emblems.arts.gla.ac.uk), ai fini di stimolare la memoria visiva, dilatare lo spazio descritto e amplificare il messaggio della carta nel solco della tradizione orteliana. Stato dell’Arte: nel complesso rapporto fra pittura e cartografia, il tema dell’iconografia urbana si definisce in maniera autonoma intorno agli anni Ottanta (v. da ultimo De Seta 2011; cfr. http://www.iconografiaurbana.it [Napoli 2000], http://asict.arte.unipi.it [Pisa 2006]). Si tratta di una letteratura interdisciplinare e complessa, per il confine labile tra analisi artistica (immagini evocative) e urbanistica (manufatti architettonici). Le fasi formative del ritratto di città (italiana ed europea) si limiteranno a una panoramica dei momenti chiave, che introducano l’iconografia urbana di Sicilia nella sua specifica esegesi figurativa. L. Dufour, C. Polto, E. Iachello e P. Militello – nomi già fondamentali nella letteratura sulla cartografia a stampa dell’isola – definiscono anche lo stato dell’arte sull’immagine urbana ’manoscritta’; segnaliamo soprattutto l’esposizione – suggestiva per tema e titolo, Theatrum Siciliae Urbium – curata da C. Polto (2004) e il volume Ritratti di città con il quale P. Militello (2008) chiude sui secoli XVI e XVII un percorso iniziato all’interno della scuola catanese per l’imago urbis di Sicilia elaborata fra XVIII e XIX secolo. «Città belle» di Sicilia: le circa 1800 immagini esaminate – provenienti da cartografia a stampa e manoscritta (di natura militare o descrittiva) – costituiscono un numero non esaustivo ma tanto più significativo in quanto unici risultano molti particolari illustrativi individuati; nonché per l’emergere di realtà urbane diverse rispetto a quelle proposte all’interno della letteratura tradizionale che privilegia (per il maggior numero di attestazioni

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pervenute) Palermo capitale, Siracusa antica, crisi e riconciliazioni fra Catania e il suo Vulcano; non ultime le due città-falce, Trapani e Messina. Celebrazioni di bellezza colta nella sua globalità, troppo spesso lette nella funzione strategica di presenze/assenze di riquadri a contorno dell’isola. Proveremo ad azzerare il protagonismo storiografico di questa realtà urbana, riconducendo al livello iniziale di esegesi illustrativa le città di Sicilia (non solo costiere, quindi, e non solo militari) e interpretando la Terra di città attraverso il messaggio evocativo dei ritratti.

Venerdì 21 dicembre (Sala Azzurra, Palazzo della Carovana)

Filippo BaTTisToni (Kommission für alte Geschichte, München), Duvo “Andre", duoviri o strategoiv: questioni cronologiche

Uno tra i problemi che nascono dal dossier dei rendiconti tauromenitani di più difficile risoluzione è costituito dalla cronologia assoluta dei documenti. Al contrario una datazione più precisa avrebbe conseguenze importanti per una più esatta comprensione dei dati forniti dalle iscrizioni e per la storia di Tauromenion e, più in generale, della Sicilia al tempo della provincia romana. Senza poter fornire una soluzione definitiva al problema, verranno presentati gli elementi necessari per impostare la discussione (raffronti prosopografici etc.). In particolare si riprenderà lo studio della lista degli strateghi (IG XIV 421), ampliando, in senso anche critico e con nuove osservazioni, le ipotesi recentemente presentate (ZPE 179, 2011).

Lorenzo Campagna (Università di Messina), I rendiconti finanziari di Tauromenion: alla ricerca del contesto monumentale

Nella storia degli studi sui rendiconti tauromenitani si è sempre attribuito un interesse molto marginale alle questioni riguardanti il contesto monumentale, come dimostrano sia il carattere sommario e sbrigativo delle descrizioni dei supporti delle iscrizioni, sia la varietà dei termini adottati per definirli, alcuni dei quali, ‘stele’ o ‘tavola’, addirittura improbabili. È in effetti sorprendente come – almeno in apparenza – non sia stato compreso o chiaramente evidenziato un dato essenziale circa la reale natura delle epigrafi: il fatto, cioè, che si tratti di blocchi di una o più strutture murarie, con la conseguenza che anche le ipotesi talora formulate riguardo la loro originaria collocazione sono molto vaghe e del tutto generiche. È invece del tutto evidente come per una corretta interpretazione delle iscrizioni non si possa più prescindere dall’integrazione tra lo studio epigrafico ed un esame degli aspetti archeologici finalizzato a sottrarre quanto più è possibile le iscrizioni alla loro condizione di disiecta membra. Assai significativi in tal senso sono innanzitutto i risultati finora ottenuti dall’analisi delle caratteristiche tecniche dei blocchi, condotta entro il quadro più ampio delle pratiche costruttive impiegate nella città antica: l’individuazione del tipo e della probabile funzione della o delle strutture murarie su cui sono state incise le iscrizioni ha offerto nuovi elementi di riflessione su aspetti basilari come la distribuzione dei testi sulla superficie muraria, la loro estensione originaria, nonché modalità e tempi della trascrizione su pietra. Strettamente correlata a questi aspetti è la questione del contesto topografico; a tal proposito, i dati di rinvenimento dei blocchi, venuti in luce in circostanze e tempi diversi ma soprattutto sempre in giaciture secondarie, forniscono indicazioni assai limitate. È tuttavia possibile valorizzare tali indicazioni alla luce dei più recenti sviluppi delle ricerche

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sulla topografia di Tauromenion, che proprio sull’estensione e l’articolazione degli spazi pubblici della città hanno sensibilmente modificato il quadro delle conoscenze pregresse. Sebbene i dati attualmente noti non consentano di pervenire a soluzioni definitive, ci si può almeno spingere a formulare un’ipotesi più fondata. La possibilità di ricollocare in termini meno approssimativi i rendiconti nello spazio pubblico cittadino offre una chiave di lettura nuova per la valutazione del significato delle iscrizioni e del loro ruolo entro tale spazio e rappresenta, d’altra parte, un tassello importante nella non facile ricostruzione del paesaggio urbano della Tauromenion ellenistica.

Paul iVersen (Case Western Reserve University), La macchina di Anticitera e i calendari di Siracusa e Taormina

Nel 1901, un gruppo di pescatori di spugne ritrovò al largo dell’isola greca di Anticitera un meccanismo bronzeo ad ingranaggi, affondato in mare, insieme alla nave che lo trasportava, tra l’80 e il 50 a. C.: la cosiddetta ‘Macchina di Anticitera’. Nonostante il metallo sia oggi gravemente corroso e alquanto fragile, moderne tecnologie hanno permesso il riconoscimento e l’analisi, nella parte posteriore della macchina, di un calendario lunisolare greco, basato sul ciclo di Metone (di 235 mesi), e probabilmente anche sul ciclo di Callippo (di 76 anni). Gli studiosi che hanno pubblicato questi risultati (Freeth, Jones, et al., Nature 2008), sostengono che il calendario lunisolare possa essere appartenuto a Corinto, ad una delle sue colonie, inclusa Siracusa, o ad una città dell’Epiro nella Grecia nord-occidentale. Affermano inoltre che questo calendario lunisolare iniziasse un mese dopo l’equinozio autunnale, o approssimativamente in ottobre. La mia presentazione intende tracciare una visione d’insieme sulla Macchina di Anticitera e sui calendari lunisolari greci e nel contempo dimostrare che, sebbene connesso, il calendario inciso sulla Macchina non può essere quello di Siracusa. Si argomenterà poi l’alta probabilità che il calendario di Taormina derivi in gran parte da quello di Siracusa. Infine, nell’esporre queste idee, verrà discussa l’etimologia di alcuni dei nomi dei mesi e le loro più probabili stagioni.

Jonathan W. prag (Merton College, Oxford University), The bronze honorific for Nemenios from Halaesa: institutional aspects reconsidered

As part of ongoing work to produce a new edition of the two copies of the bronze honorific for Nemenios Daphnis, first published in 2009 by Giacomo Scibona, this paper will present discussion of a number of aspects of the text, including the formulation of the decree, the synbouleutai (and associated demotics), the various honours decreed, the tamiai, and the engraving clause.

Anna Maria presTianni giallomBardo (Università di Messina) , Considerazioni sulle due tabelle bronzee da Alesa contenenti il decreto in onore di Nemenio

L’indagine ha per oggetto due tabelle bronzee rinvenute durante scavi recenti condotti nel sito di Alesa (Santa Maria delle Palate, comune di Tusa, ME), in un elegante contesto di abitazione privata, situata in prossimità della cd. Via Sacra. Le due tabelle, databili sulla base del contesto di ritrovamento e dei dati paleografici tra I a.C. - I d.C. , contengono il testo, in lingua e caratteri greci, di un decreto onorifico per tal Nemenios di Nemenios, e benché risultino destinate

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l’una all’esposizione in luogo pubblico e sacro, l’altra all’onorato, sono state ritrovate insieme. A decretare gli onori sono organi (halia e boule) di un problematico koinon dei sacerdoti di Apollo. Risulta indispensabile istituire ampi confronti con il testo di analoghe iscrizioni onorarie e non solo di Sicilia, per comprendere le peculiarità che l’iscrizione contiene, peculiarità che risultano significative nella storia delle trasformazioni istituzionali delle città di Sicilia in età tardoellenistica e romana.

Carmine ampolo (Scuola Normale Superiore), Alessandro CorreTTi (Scuola Normale Superiore), Riccardo guglielmino (Università del Salento), Chiara miChelini (Scuola Normale Superiore), Maria Cecilia parra (Università di Pisa), Maria Adelaide Vaggioli (Scuola Normale Superiore), Entella: istituzioni e aspetti della forma urbana

La relazione intende riesaminare il complesso di dati, vecchi e nuovi, della lunga ricerca archeologica condotta sulla Rocca di Entella dall’équipe della Scuola Normale Superiore. La disamina si articolerà per grandi fasi e per grandi temi caratterizzanti la definizione della forma urbana. Si cercherà in tal modo di ricomporre in un quadro sintetico ma organico la documentazione resa frammentaria dai limiti posti ad una ricerca liberamente pianificata sia da profonde trasformazioni geomorfologiche che da vincoli giuridici moderni: ‘frammenti’ di fortificazioni, di accessi alla città e di viabilità connessa, di aree pubbliche a destinazione sacra e a destinazione ‘civile’, di aree di abitato, potranno così ‘emergere’ e meglio articolarsi in termini diacronici, contribuendo al tentativo di avviare una lettura più organica della città tra la fine del VI e il I sec. d.C. Il quadro archeologico sarà sostanziato dai dati storici ed epigrafici – i quali rendono Entella, come noto, un caso privilegiato per la conoscenza delle istituzioni di una città della Sicilia Occidentale in particolare nel III sec. a.C.

Carmine ampolo (Scuola Normale Superiore), Maria Cecilia parra (Università di Pisa), Segesta: organizzazione civica e spazi urbani

Tempio e teatro costituiscono da sempre il polo pressoché esclusivo di attenzione della ricerca storico-archeologica a Segesta: due monumenti ‘svincolati’ da un tessuto urbanistico, noto soltanto per membra disiecta, che si è cercato di recuperare e ricomporre, in tempi relativamente recenti, svolgendo indagini su singoli contesti, di varia epoca e funzione, ovvero tentando letture urbanistiche secondo metodi di indagine tradizionale propri della topografia urbana. Attraverso un riesame complessivo di dati noti, vecchi e nuovi, si tenterà di riesaminare e di inserire in un quadro organico aspetti della forma urbana e delle istituzioni ad essa connesse nelle varie fasi di vita, quali permettono di cogliere sia i risultati delle indagini archeologiche, sia le fonti storiche ed epigrafiche, intrecciate secondo un corretto approccio. Tra tempio e teatro, l’agora – nota ormai in modo articolato dalle indagini dirette e coordinate dagli AA. – potrà svolgere, nell’analisi presentata, un ruolo di ‘cerniera’, soprattutto per il quadro delineabile in relazione alle fasi ellenistiche e romane. In particolare si fornirà un quadro delle istituzioni della città ellenistica e romana quale emerge dalle iscrizioni greche e latine.

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Gabriella Tigano (Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina), Alesa Arconidea: impianto urbano ed edilizia pubblica alla luce delle ricerche più recenti

Le ricerche condotte di recente ad Alesa Arconidea consentono di leggere in modo del tutto nuovo la storia urbanistica di questa città della Sicilia greco-romana, fondata alla fine del V sec.a.C., quale proiezione strategica sul mare del centro indigeno ellenizzato di Erbita, distrutta da un violento terremoto nel corso del IV sec.d.C., ma ancora sede di abitato tra il tardo-antico e l’età bizantina. La relazione intende offrire una prima messa a punto dei risultati conseguiti, con particolare riferimento all’impianto urbano della città ellenistico-romana, visto nella sua dimensione diacronica e alla principale area pubblica. Dati archeologici e fonti storiche offrono spunti per riflessioni sulla storia politica, economica e sociale nel lungo periodo, con particolare riferimento a quello che fu il momento di maggiore prosperità, ossia il tardo ellenismo, quando la città acquistò l’aspetto monumentale che noi conosciamo attraverso gli scavi.

Antonino faCella (Scuola Normale Superiore), Halaesa. Aspetti storico-istituzionali

Grazie ad una documentazione nutrita e multiforme (letteraria, epigrafica, numismatica ed archeologica), e che non cessa di arricchirsi, possiamo dirci relativamente ben informati su non pochi aspetti della storia politica e istituzionale di Alesa Arconidea. Essi si rivelano di grande utilità per cogliere, e definire in diacronia, importanti coordinate della fisionomia poleica di questo antico centro. Nel rispetto dei tempi previsti per l’esposizione, e nei limiti di quanto ricavabile dalla documentazione in nostro possesso, verranno delineate sinteticamente alcune tematiche relative a tali aspetti: il carattere di polis assunto da Alesa sin dalla fondazione; la sua precoce (se non immediata) autonomia territoriale e politica dalla madrepatria Erbita; tipologia e caratteristiche di organi istituzionali e magistrature civiche di Alesa in età ellenistica e tardo-repubblicana; composizione e ruolo politico e civile delle élites locali; culto di Apollo come divinità poliade. Si cercherà inoltre di valutare criticamente le ipotesi avanzate da alcuni studiosi sulla partecipazione di Alesa, nel corso della sua storia plurisecolare, ad istituzioni a carattere sovrapoleico eo federale, e sul ruolo eventualmente rivestito dalla città in questi organismi.

Hans Peter isler (Universität Zürich), Iaitas (Monte Iato), città ellenizzata nell’interno della Sicilia occidentale

La relazione si propone di discutere lo status di città, nel senso della tradizione antica, dell’insediamento antico sul Monte Iato. Le attività di scavo e di ricerca dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Zurigo a partire dal 1971 hanno portato alla conoscenza anche particolareggiata di un centro antico anteriormente poco noto. Sulla base delle testimonianze archeologiche e delle rare fonti epigrafiche e numismatiche sarà possibile chiarire la questione dell’organizzazione economica e politica dell’insediamento in maniera differenziata secondo i periodi di vita di questa città.

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Malcolm Bell (University of Virginia), L’agora di Morgantina c. 250 a. C.: commercio interstatale e innovazioni urbanistiche

Verso la fine della prima metà del III sec. a. C., la coordinata costruzione di nuovi edifici pubblici nell’agora di Morgantina ha causato sia la demolizione di una fila di sei botteghe che l’abbandono di uno scarico aperto associato con l’adiacente attività commerciale. Sigillati dalla nuova e più alta quota di calpestio, i depositi creati dai cambiamenti urbanistici contengono reperti che danno luce su diversi aspetti del commercio locale nella prima metà del secolo, e in particolare sull’importazione durante gli anni della prima guerra punica di una quantità notevole di anfore di tipologia punica contenenti pesce salato. Il grande programma edilizio adottato per l’agora in questo momento di transizione offre un forte contrasto con le rustiche botteghe e con lo scarico di rifiuti ubicato al centro dello spazio pubblico. Certi monumenti che compongono il nuovo programma sono caratterizzati da disegni insoliti e innovativi. Era proprio lo scenografico Ekklesiasterion poligonale che ha soppiantato le botteghe e lo scarico, e studi recenti della Casa Fontana nell’angolo nord-est dell’agora l’hanno rivelato quale progetto di originalità architettonica e di audacia nella sua dipendenza dall’acqua piovana. Il nuovo assetto dell’agora è ben documentato; quello che manca per adesso è un’indicazione che il commercio con il mondo punico sia continuato nella seconda metà del III sec.

Dieter Mertens (Deutsches Archäologisches Institut Rom) Le città della Magna Grecia - un confronto

Intesa come confronto con le analoghe fenomenologie nelle città siceliote, la relazione cerca di indagare le città della Magna Grecia, allo stato attuale, soprattutto in relazione a due temi: - partendo dalle esperienze di Megara Hyblaea e, più recentemente, Selinunte nella loro interdipendenza evolutiva, si ripropone la questione della distribuzione dello spazio abitativo all’interno delle scansioni regolari delle piante urbane caratteristiche, con le loro specifiche peculiarità, anche per le città magno-greche, almeno dal sec. VI a.C. - inoltre si riprende, sempre sulle base delle esperienze più recenti, il tema della relazione spaziale – e dunque anche funzionale – tra le aree pubbliche per eccellenza presenti all’interno delle mura, vale a dire il santuario/i urbano/i e l’agora, soprattutto nella loro veste monumentale di VI sec.

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