LA CASANA - gruppocarige.it · Autorizzazione n. 439 del 30-10-1958 del Tribunale di Genova...

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Periodico quadrimestrale della Banca Carige S.p.A. Genova - Italia n. 3 - 2015 - anno LVII Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA Spedizione in abbonamento postale - 70% DCB Genova - Tassa pagata / Taxe perçue LA CASANA

Transcript of LA CASANA - gruppocarige.it · Autorizzazione n. 439 del 30-10-1958 del Tribunale di Genova...

Periodico quadrimestraledella Banca Carige S.p.A. Genova - Italia n. 3 - 2015 - anno LVII

Tariffa regime libero: Poste Italiane SpASpedizione in abbonamento postale - 70%DCB Genova - Tassa pagata / Taxe perçue

LA CASANA

LA CASANA

Direttore responsabileAntonello Amato

Redazione e segreteriaAlfredo Majo, Francesca Lilla

Realizzazione e stampaElcograf Spavia Mondadori 15 - Verona

Progetto graficoMeloria ComunicazioneGenova - Milano

impaginazioneStudio Huen di Robert Emil Huen - Milano

Referenze fotografiche

Albenga (SV)Nino Amendola (pag 13,15) Genova Archivio fotografico Accademia Ligustica (pag 24)Archivio Fotografico Kappa Elle (pag 34, 35,36,37,38,39)Archivio Fotografico Linda Kaiser (pag 10,11,12,14,15)Foto Studio Leoni (pag 18,20,21,44,45,46,47) Archivio Fotografico Fulvio Magurno (pag 22,27)Francesco Manias (pag 24)Archivio Fotografico Palazzo Bianco Museo di Strada Nuova (pag 41)Ciro Piscitelli (pag 25)Levanto (SP)Archivio Fotografico Comune di Levanto (pag 28,30,31,32,33)Milano Museo Diocesano (pag 42)Torino Lorenzo Giordano (pag 6,7,8,9)Tovo San Giacomo (SV)Archivio Museo dell’Orologio da Torre (pag 14)

Il disegno a pagina 17 è stato realizzato da Nadia Viganò

Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di giudizio. La collaborazione alla rivista avviene solo per invito. La riproduzione totale o parziale degli articoli non è vietata purché siano citati la fonte e gli autori.

Per comunicazioni relative al cambio d’indirizzo si prega di scrivere una e-mail a: [email protected]

Autorizzazione n. 439 del 30-10-1958 del Tribunale di GenovaInternational Standard Serial NumberiT ISSN 0008-719X

Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Di questo numero sono state tirate 37.500 copieFinito di stampare nel mese di gennaio 2016

Banca Carige Spa -16123 Genovavia Cassa di Risparmio 15tel. 010 5793380

[email protected]

N 3 - 2015

In copertinaRossella Gilli, Genova, 2015.Olio su tela, 180 x 230 cm.

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sommario

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palcoscenici22 Da Mengs a Magurno: ritratti d’artista nelle collezioni della Ligustica di Giulio Sommariva

emozioni

sapori28 Levanto “Cittàslow”, un modo nuovo del vivere quotidiano di Gian Antonio Dall’Aglio34 La via dello Champagne di Kappa Elle

visioni40 Alessandro Magnasco, il pittore illuminato di Roberta Olcese44 Arte e gioielli per un “Invito a Palazzo” speciale di Bettina Bush

48 echi carige

56 notizie in pillole a cura di Guido Conforti

idee

2 Dentro la grande cornice dell’educazione finanziaria di Monica Zunino

persone

6 Alex Webb: fotografo come se fossi un romanziere di Eliana Quattrini

orizzonti

storie10 Museo dell’Orologio da Torre, il tempo ritrovato di Linda Kaiser16 Giuliano Vassalli: cittadino di Genova e d’Europa di Matteo Lo Presti

cartoline18 L’oratorio di San Filippo Neri, scrigno d’arte nel cuore di Genova di Giovanna Benetti

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U n uomo in mutande dentro una banca. Anche così si può parlare ai giovani di economia e finanza, con una “fotografia” di cosa può

accadere a lasciarsi andare senza controllo alle lusinghe degli acquisti facili: offerte, scon-ti, rate a tasse zero, benefit e così via fino a ritrovarsi circondati da cose non necessarie e senza più un soldo e indebitati. In mutande, appunto. Nel salone di rap-presentanza di Banca Carige, così come nelle sedi di altri istituti in giro per l’Italia, è un attore a spogliarsi progressiva-mente fino a restare con solo i boxer addosso, nello spetta-colo Econosofia. Fa sorridere e ridere, ma capita davvero di farsi prendere la mano dalla filosofia del “compri, spendi, consumi e ti diverti”. Va bene usare i soldi per inseguire i de-sideri, va bene investire sul fu-turo e rischiare qualche volta, ma sapendo sempre bene che cosa si sta facendo, tenendo presente che dall’altra parte non c’è Babbo Natale. Ecco

perché l’educazione finanziaria serve. Serve a districarsi nei rapporti con la finanza. Serve a gestire il risparmio, a orientarsi fra i sistemi di pagamento, per fare scelte su pensioni e in-vestimenti, che riguardano il presente e il futu-ro. A non vincolarsi in indebitamenti eccessivi o effettuare investimenti inappropriati.

L’indagine Ocse 2012 sull’al-fabetizzazione finanziaria dei quindicenni europei colloca i giovani italiani agli ultimi po-sti, affermando di fatto che non hanno conoscenze sufficienti in un sistema che è sempre più complesso e chiede agli adul-ti di oggi e ai giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro la capacità di sce-gliere fra le diverse opzioni fi-nanziarie, valutare i rischi de-gli investimenti e la capacità di indebitamento, appunto per non rimanere in mutande, come accade al personaggio della pièce teatrale.Paperon de’ Paperoni, il pennu-to multimiliardario e taccagno (o meglio “parsimonioso” come si autodefinisce) nato dalla ma-

dentro la grandecornice

dell'educazionefinanziaria

di monica zunino

Monica Zunino

Nata a Genova dove vive e lavora, giorna-lista professionista dal 1992, ha lavorato nel-la redazione del “Cor-riere Mercantile” fino alla sospensione delle pubblicazioni alla fine dello scorso luglio. Si occupa soprattutto di economia locale, rac-contando le aziende, il porto e il lavoro. Ha anche scritto sul “Cor-riere della sera” e per l’inserto Nord Ovest del “Sole 24 Ore”.Attualmente collabora con Ansa Genova e “Affari&Finanza” di Re-pubblica.

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idee

tita di Carl Barks, usato spesso come “testimo-nial” per insegnare ai più giovani i rudimenti dell’economia in un mondo complesso, in una serie di storie su Topolino a settembre ha rac-contato come ha guadagnato i primi milioni. E contemporaneamente, da esperto d’eccezio-ne, che gestisce un patrimonio immenso, ha fatto lezione di economia, spiegando termini come liquidità, mercato, tasso, mutuo, spread che forse spiegati con parole semplici da un papero con il cilindro e la palandrana un po’ lisa, suonano più comprensibili. Paperone in-carna il concetto del risparmio, ma non esita a

correre rischi per aggiudicarsi affari o trovare tesori in tutto il mondo, con entusiasmo, otti-mismo e divertimento. Osare, seguire i sogni, ma conoscendo gli strumenti di base per quan-to riguarda l’economia, e senza scialacquare.Meglio cominciare subito, da giovani, ma non è mai troppo tardi. L’educazione finanziaria è importante per le famiglie, i pensionati, gli studenti, per tutti i cittadini. Temi come la pre-videnza, il risparmio, la pianificazione, il bu-dget familiare, la lettura di un estratto conto, possono essere ostici e non particolarmente attraenti sulla carta, ma sono parte integrante

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della vita di tutti i giorni e per questo è impor-tante imparare a destreggiarsi. Cosa che non è poi così difficile come sembra, superata la diffidenza iniziale. C’è chi si appassiona, e ne fa un mestiere, ma senza arrivare a que-sti estremi, serve prendere confidenza con la materia. Il prima dato è che non sono temi “lontani”, come invece sono spesso percepi-ti. Imparare gli strumenti per ottimizzare e ge-stire le risorse finanziarie è una necessità. E se la pensione sembra ancora lontana ai più giovani, sarebbe bello se invece iniziassero a pensare adesso a qualcosa che peserà sul loro futuro in modo molto concreto.

Le mutande fanno ride-re e pensare. Parlano della quotidianità, fatta di conti che faticano a tornare, di soldi fatico-samente messi da parte, di possibili sconfina-menti nelle dipendenze, anche quelle subdole come lo shopping com-pulsivo, che tocca gio-vani e meno giovani. Feduf, la Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio, costituita su iniziativa dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, ha come sco-po proprio diffondere la conoscenza ed “edu-care” alla cittadinanza economica consapevole e attiva, partendo dai ragazzi fino ad arrivare agli adulti. E Consob, la Commissione nazionale per le società e la Bor-sa, riserva sul suo sito un’intera sezione all’e-ducazione finanziaria, una sorta di guida per conoscere meglio i pro-dotti finanziari e quindi orientarsi nelle scelte di investimento dei rispar-mi. Lo spiegamento di

forze del mondo bancario e finanziario, so-stenuto anche dai ministeri competenti è impo-nente, per fornire a tutti gli italiani una mag-giore dimestichezza con i temi che riguardano il denaro. Dentro la grande cornice dell’educazione fi-nanziaria stanno moltissime cose. La defini-zione dell’Ocse è: “Un processo attraverso il quale i consumatori, risparmiatori, investitori migliorano la loro capacità di comprensio-ne dei prodotti finanziari e dei concetti che ne sono alla base e attraverso istruzioni, in-formazioni e consigli sviluppano attitudini e conoscenze atte a comprendere i rischi e le

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idee

opportunità di fare scelte informate dove rice-vere supporto e aiuto per realizzare tali scelte e quali azioni intraprendere per migliorare il proprio stato e il livello di protezione”. Dentro quindi c’è dalla migliore gestione della pa-ghetta dei più giovani a quella del bilancio familiare, dalla spesa al risparmio, dalle di-pendenze fino all’estremo dell’usura.Le associazioni degli utenti e dei consumatori fanno parte della partita per educare gli ita-liani, insegnare fin dall’età più tenera ad evi-tare trappole nella gestione degli investimenti, dei risparmi e delle spese. L’usura è la faccia più spregevole e pesante, un fenomeno ripu-

gnante che ogni anno fa seicentomila vittime in Italia, persone che per mandare avanti l’a-zienda o la famiglia sottoscrivono prestiti a condizioni impossibili da rispettare e perdono ogni cosa. Ma senza arrivare a questi estre-mi, c’è un mondo quotidiano di rapporti da saper gestire, per tutti. E infine, accanto all’e-ducazione finanziaria sarebbe utile mettere l’educazione fiscale, perché le tasse servono a far funzionare i servizi pubblici e l’evasione sottrae risorse alla comunità. Ma questo è un altro, complesso, capitolo, che fa i conti con l’educazione civica e anche con semplifica-zione degli adempimenti tributari.

L’incontro di educazione finanziaria con alcuni giovani studenti nel salone di rappresentanza di Banca Carige.

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alex Webb:fotografo

come se fossi un romanziere

Il Caffè degli Specchi è il posto giusto per Alex Webb, fotografo dell’agenzia Magnum in giro per la Liguria a cui sta per dedicare un libro, promosso da Banca Carige. Gente che passa, riflessi, legno antico, storia e cronaca che si incontrano. È il momento di scattare, ma anche di spiegare come si decide qual è l’attimo da fer-mare e come ha scelto i luo-ghi per fare il ritratto di una terra. Per capirla è stato tra i fiori, nei campi di basilico, sui gozzi con i pescatori, in por-to con i camalli, nelle cave di ardesia. Sempre con l’occhio del fotografo di strada, nato a San Francisco nel 1952.

È la prima volta che viene in Liguria?La terza, anche se per la verità i primi due passaggi non sono stati altrettanto consapevoli. La prima volta avevo 5 anni. Mio padre era editore e per il suo la-voro venne a Genova e Napoli. Doveva incontrare alcuni scrittori con cui era in contatto e decise di fare il viaggio con tutta la famiglia. Non ricordo quasi niente di quelle giornate. La seconda volta sono venuto do-dici anni fa. Avevano pubblicato un mio libro a Torino e tornai in Italia con mia moglie Rebecca

Norris, anche lei fotografa. Eravamo ospiti di ami-ci che ci proposero un fine settimana in un paese sulla costa. Questa volta, la terza, sono venuto qui seguendo un programma preciso stilato insieme a chi conosce bene la regione, per realizzare un libro fotografico sulla Liguria.

Chi ha scelto?Sono stati gli editori del libro a fornirmi una lista di soggetti. Lo dico con la massima sincerità, anche perché questo metodo non è in contrasto con il mio modo di lavorare.

di eliana quattrini

persone

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Come descriverebbe il suo metodo di lavoro?La mia pratica consiste nell’interpretazione visuale di quello che guardo.

Vuol dire che improvvisa?No, non si tratta di improvvisazione, a meno che non accada qualcosa di particolare, di imprevedi-bile. Ogni luogo ha un’identità specifica, un suo significato intimo che rivela a chi lo osserva con attenzione.

Cosa l’ha colpita in Liguria?Questa mattina, molto presto, eravamo a Pra’ per visitare le serre dove si coltiva il basilico. Abbia-mo incontrato alcuni contadini di quasi 90 anni. Il modo, la serietà, la concentrazione con cui mostra-vano a noi le tecniche di raccolta di quelle piccole piantine, erano straordinari.

Ha parlato con loro?Un po’. Ma con la traduzione è un po’ complicato. Non c’era bisogno di tante parole, comunque. Il loro atteggiamento, il modo in cui muovevano le mani, erano eccezionali.

Come avete proseguito?Siamo andati a Voltri per vedere come fanno la focaccia e poi ad Acquasanta, dove per la prima volta ho visto nascere un foglio di carta. Affasci-nante. Ma la giornata non era ancora finita. Ab-biamo proseguito per Campoligure dove lavorano la filigrana, alla drogheria Torielli, ai Macelli per lo stoccafisso, infine qui al Caffè degli Specchi. Un programma fittissimo che domani ci porta a Ca-mogli, dove incontreremo i pescatori. Se il mare lo permette ci portano in barca insieme a loro.

Che carattere ha, secondo la sua impressione, la popolazione ligure?Il paesaggio in cui vive è incredibile. Non è fa-cile trovare una striscia di terra così stretta fra le alte montagne e il mare. Questa immagine forte, mi sembra abbia prodotto un carattere che lo è altrettanto. Genova è bella, incanta, ma sembra anche una città complicata, segnata da tanti stili architettonici diversi in cui convivono il passato e la modernità. Un vero miscuglio, come si può trovare a Barcellona. Nello stesso tempo comunica qualco-sa di molto profondo, da scoprire con calma. Fra le

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sue strade, soprattutto nel centro storico, si respira forte il senso della città medievale, piena di storia.

Altre tappe sono state Villa Hanbury, La Spezia con la coltivazione dei mitili, Sanremo, la piana di Albenga, il porto. Dodici giorni in tutto. Che colore ha la Liguria?All’inizio di questa esperienza, quando eravamo nell’estremo Ponente, il cielo era di un blu così inten-so, così vivo, fresco, davvero raro da vedere. Quin-di se dovessi scegliere un colore per la Liguria direi blu. Genova invece ha una luce più morbida, piena di grigi, verdi. Direi che risalta soprattutto il giallo.

Ma il carattere dei liguri lo ha capito?Cadrei in generalizzazioni. Mi hanno detto che i liguri sono avari come gli scozzesi, ma chi parlava era ligure. Mi hanno detto che si lamentano sempre, e forse questo dipende proprio dal poco spazio in cui si sono trovati a vivere, tra i monti e il mare.

Ha fotografato più i luoghi o le persone?Le persone nel loro ambiente. Quel che mi interessa è proprio il legame tra l’uomo e il posto in cui si trova a vivere.

Come ha preparato questo viaggio?Non ho letto praticamente niente, o meglio molto poco. Ho solo dato un’occhiata a qualche gui-da. Sono arrivato qui partendo da un ambiente completamente diverso. Non c’è stato un avvici-namento lento, piuttosto un tuffo improvviso in un mondo nuovo. La fotografia è sempre la reazione visiva a uno stimolo interiore.

A cosa pensa quando scatta?Cerco di non pensare a niente. Il meglio è avere un

atteggiamento sempli-ce, senza sovrastrutture, più vicino possibile alle risposte naturali, spon-tanee che provoca in me ciò che vedo e vivo standoci dentro per un po’, anche per poco. L’importante è quello che ho davanti agli oc-chi, non cosa ne penso. Cerco di non giudicare mai. Mi concentro sulla

luce, le forme, gli sguardi, i colori. Ogni dettaglio è importante e può essere rivelatore.

Ci sono fotografie da non fare? Penso al bambi-no morto sulla spiaggia di Bodrum, ad esempio.So che qui in Italia ci sono state polemiche sulla sua pubblicazione, e io non sono d’accordo con le critiche che sono state avanzate. È una fotogra-fia importante, che spiega qualcosa di ciò che sta accadendo nel mondo. Senza quell’immagine avremmo perso la possibilità di registrare un mo-mento di storia. Mi rendo conto che è un tema molto complicato e le reazioni dipendono anche dalle leggi vigenti in ogni nazione. Negli Stati Uniti non ci sarebbe stata tutta questa discussione. Credo fermamente nei principi democratici e nella libera espressione. Invito tutti a pensare che una fotografia non è mai la persona ritratta, ma solo la sua rappresentazione.

Cosa è bene non pubblicare?Solo le fotografie disgustose. Esistono, è vero. Pun-tare l’obiettivo dritto su una persona che non vuole essere ripresa, può essere offensivo, può violare la sua intimità. Io preferisco le scene nel loro comples-so, non punto quasi mai una persona in particolare, perché cerco di cogliere il sentimento di un luogo nella sua complessità, fatta di tanti elementi diversi.

Quando ha iniziato a fotografare?Ho iniziato a 10 anni, guardando mio padre. Quando il suo lavoro di editore era in crisi, e ac-cadeva spesso, allora si metteva a fotografare. Poi, da ragazzino, ho seguito l’Apeiron Work-shop a Millerton, nello stato di New York, che mi ha fornito una formazione professionale. Ma non ero ancora così coinvolto da questa attività.

persone

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I componenti della mia famiglia praticavano di-verse attività, anche ar-tistiche, che stimolava-no la mia curiosità: mia madre scolpiva, mio padre frequentava gli scrittori, mio fratello era più versato alle scienze e studiava ornitologia. A un certo punto, verso i 15 anni, sono torna-to alla fotografia con più convinzione e ho iniziato a scattare centinaia di immagini, senza sapere se sarei mai riuscito a vivere di quel lavoro. Finché, nel 1974, sono diventato fotografo professionista con l’assunzione all’agenzia Magnum.

Cosa le piace di questo mestiere?Mi piace esplorare il mondo con la macchina fo-tografica. C’è sempre qualcosa che mi sorprende, qualcosa che rivela il modo in cui l’uomo si relazio-na con il mondo, la società in cui cresce.

Parla come un romanziere.Ho studiato letteratura all’Università di Harvard e i romanzi hanno ispirato molto spesso le mie fotografie. Avevo in mente il realismo magico su-damericano quando scattavo le mie fotografie in Messico o anche ad Haiti, una delle esperienze più incisive e importanti che abbia fatto.

Perché?Provengo da un ambiente medio, benestante. Non sono mai stato povero e non avevo mai visto persone vivere con così poco, praticamente sen-za niente. Haiti ha una storia particolare, fatta di continui soprusi, di un isolamento a cui si è dovuta adattare tutta la popolazione, in condizioni che non hanno eguali nel mondo. Ci sono andato nel 1976 ed era la prima volta che facevo fotografie fuori dagli Stati Uniti. Sono rimasto colpito, quasi scioccato, da un posto così intensamente tragico e nello stesso tempo così completamente vitale. Successivamente sono stato in Messico e in tante altre nazioni. Forse ora sono pronto a fotografare di nuovo gli Stati Uniti, riuscendo magari a capi-re qualcosa di più della strana nazione da cui provengo.

Le piace fotografare le star del cinema?L’ho fatto, ma non mi interessa. Non c’è sponta-neità, è tutto controllato, tutto finto. Preferisco le situazioni aperte, libere.

Ci sono artisti italiani che la hanno influenzata?Uno in particolare: Giorgio De Chirico. Non ho dubbi. Ho sempre osservato i suoi quadri con grande attenzione. Alcune delle immagini che ho scattato in Messico, così surreali, ricordano un po’ le sue atmosfere. O almeno avevo in mente, sullo sfondo del mio pensiero, proprio le atmosfere dei suoi dipinti quando le ho scattate.

Alex WebbNato a San Francisco nel 1952, è un fo-tografo dell’agenzia Magnum. Nel corso della sua carriera ha pubblicato undici libri e collaborato con le riviste «Geo», «Time», «The New York Times Magazi-ne», tra le altre. Nel 1972 ha frequen-tato l’Apeiron Workshop di fotografia a Millerton, New York. Nel 1974 si è lau-reato in Storia e Letteratura all’Università di Harvard. Nel 1976 è entrato a fare parte dell’Agenzia Magnum come foto-grafo professionista. Molte sono state le personali dedicate alla sua arte, ospitate dal Walker Art Center, Museum of Photo-graphic Arts, International Center of Pho-tography, Museum of Contemporary Art di San Diego, Whitney Museum of Amer-ican Art di New York, tra gli altri. Vive a Brooklyn con la moglie Rebecca Norris, anche lei fotografa.

Orizzonti

Tovo San Giacomo, Museo dell’Orologio da Torre G. B. Bergallo: orologio con telaio in fusione di ghisa e torrette a forma di lira, firmato Giovanni Battista Bergallo, Bardino Nuovo, 1904.

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di linda kaiser

museo dell'orologio

da torre, il temporitrovato

storie

I NTRODUZIONENella frazione Bardino Nuovo di Tovo San Giacomo, nell’entroterra savonese della Riviera delle Palme,

visse e operò già dalla metà dell’800, sino all’anno 1984, la famiglia Bergallo, artefice dell’omonima fabbrica di orologi da torre, che venivano installati in tutto il Ponente ligure e in molte località dell’Italia nord-occidentale.Nel corso della loro secolare attività, i Bergallo raccolsero decine di esemplari di orologi monu-mentali, parti di essi e materiale documentario

e iconografico, conservato nella Casa-Officina, in via San Sebastiano.Il Museo è sorto per volontà dell’ultimo oro-logiaio, Giovanni Bergallo (scomparso nel 1996), che il 22 maggio 1991 chiese pubbli-camente ai suoi concittadini di realizzarlo, per raccogliere le testimonianze dell’arte orologia-ia tramandata dalla sua famiglia.L’istituzione, incentrata sul tema forte del tempo, segue oggi un duplice filone museale: da una parte, c’è la rappresentazione della continuità produttiva e della storia di un’impresa familiare

“Il custode fa sempre bella figura quando tiene l’orologio preciso con l’ora della radio”, così si legge nelle istruzioni per i temperatori degli orologi da torre

della “Premiata Fabbrica grossa orologeria Fratelli Bergallo”, gli oriolaj

di Bardino Nuovo che, a metà ’900, sono arrivati alla terza generazione

di costruttori e meccanici del tempo.

Orizzonti

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dal XIX secolo ai giorni nostri, attraverso l’e-voluzione della civiltà industriale e della tec-nologia; dall’altra, c’è la testimonianza della cultura materiale, legata alla storia di una famiglia istruita.È significativo, ad esempio, che sposino la maestra elementare a Bardino Nuovo sia il fi-glio di Giovanni (1841-1918) – il capostipite degli orologiai Bergallo –, Giovanni Battista (1876-1948), sia suo nipote Giovanni (1904-1996), che nei minuziosi diari della vita lavo-rativa registra le trasformazioni dell’epoca e l’ambivalente rapporto di ammirazione e invi-dia con la comunità locale: la prima abitazio-ne del paese a essere raggiunta dall’energia elettrica nel 1926 è la Casa-Officina Bergallo, la prima bicicletta di Bardino Nuovo è dei Ber-gallo, come la prima motocicletta.

FONDAZIONEIl Comune di Tovo San Giacomo, con la deli-berazione n. 10 del 3 aprile 1996, procedette all’istituzione del primo Museo italiano di orolo-geria monumentale e alla sua realizzazione nel vecchio Palazzo Comunale di Bardino Nuovo.

L’apertura al pubblico avvenne il 7 aprile 1997.Nella fase iniziale, vennero esposti una par-te della collezione di orologi monumentali di proprietà Bergallo, risalenti a un periodo che dal XVIII secolo arriva agli inizi del XX; alcune sezioni della ingente documentazione tecnica e di archivio conservata nella Casa-Officina Bergallo, e i risultati di parte dell’attività di ri-cerca svolta dall’Amministrazione Comunale.Ad aprile del 2011, dopo lunghi lavori di re-stauro, iniziati nel 2001 e proseguiti in diversi lotti, il museo è stato riaperto al pubblico con una superficie espositiva raddoppiata e un al-lestimento rinnovato.

CONTENUTINel Museo è raccolta una trentina di orologi da torre di diverso formato e tipologia. Circa la metà proviene dalla Casa-Officina della fa-miglia Bergallo e documenta la sua attività tra il 1860 e il 1980; gli altri esemplari risalgono all’inizio del XVIII secolo fino ai giorni nostri e derivano anche da donazioni di enti e privati.Fanno parte dell’esposizione meccanismi ed elementi di orologeria, come perni, pignoni,

Tovo San Giacomo, Museo dell’Orologio da Torre G. B. Bergallo: la Sala Bergallo (sopra). Orologio a gabbia in ferro battuto, firmato Carlo Pedraglio, Como, 1861, dono degli eredi Panzeri di Montano Lucino (pagina a fianco).

storie

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ruote, lancette, carrucole, numeri e pesi; ma-teriali iconografici, fotografici e documenti, come diari, appunti di lavorazione, conti e preventivi; filmati, nei quali l’ultimo orologia-io, Giovanni Bergallo, racconta la storia della fabbrica di famiglia.

MISSIONIn un paese dell’entroterra savonese non dota-to di particolari attrattive, il Museo dell’Orolo-gio da Torre, che rappresenta una specificità unica a livello nazionale, caratterizzata da una serie di motivi di interesse, consolida gli obiettivi di salvaguardia, conservazione, re-stauro e valorizzazione della tipologia storica dell’orologeria monumentale da torre. Inoltre, il Museo continua a raccogliere e selezionare in tutta Italia questi oggetti, incrementando così la propria missione di testimone del tempo e della sua misurazione.

ATTIVITÀIl Museo svolge attività di ricerca, studio e di-vulgazione sulla storia della fabbrica Bergallo, partecipando a mostre e workshop e promuo-vendo pubblicazioni tematiche. Sono attivi il laboratorio di restauro e recupero degli oro-logi, coordinato da Sergio Bendo, e le con-sulenze tecniche e scientifiche di una serie di esperti del settore, che hanno contribuito alla catalogazione sistematica dei pezzi.Il Museo collabora anche con istituzioni cul-turali territoriali e nazionali, per promuovere progetti tesi alla valorizzazione della propria storia ed è utilizzato come luogo per eventi di diverso genere, dai concerti di musica da camera alle performance teatrali, dalle presen-tazioni di libri alle cene a tema.Vi si tengono anche laboratori didattici per scuo-le e privati, a cura della Cooperativa Sociale Arcadia, di Ceriale in provincia di Savona (che dal 2013 si occupa anche della gestione del Museo), e laboratori di restauro riservati a spe-cialisti, come quelli di Orologiko Forum.

RELAZIONE CON IL TERRITORIOIl progetto museale si inserisce in quello più ge-nerale denominato “Il Paese del Tempo”, che intende portare il pubblico anche all’affascinan-

te Casa-Officina, tipico esempio di architettura visionaria, con la sua facciata costellata di lan-cette, ruote dentate e orologi, per far conoscere sempre di più e meglio la località dell’entroterra savonese come attrazione turistica e culturale, tematica e alternativa, ai tradizionali percorsi che attraversano la Riviera Ligure.Per i visitatori, i turisti, gli studiosi, gli operatori culturali e dell’informazione italiani e stranieri la connotazione del Museo come espressione dell’arte orologiaia italiana nelle sue diverse forme trova riscontro nella serie di strumenti di presentazione tecnico-scientifica (didascalie in italiano e inglese) e di consultazione dei pez-zi della collezione, che completa anche sotto il profilo didattico la lettura dei meccanismi esposti.Inoltre, alcuni pezzi del Museo sono tempora-neamente in mostra nelle strutture ricettive del territorio come elementi di richiamo itineranti dell’istituzione museale.

PERCORSO DI VISITALa visita al Museo dell’Orologio da Torre si svolge secondo un percorso guidato, che dalle sei sale del piano terra prosegue alle sette del primo piano.Tutto il piano terreno è caratterizzato dal colore “giallo Bergallo”, lo stesso dell’intonaco della

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Casa-Officina. Si ini-zia dalla Sala Eventi, ex cantina dell’edifi-cio nel quale oggi è ospitato il Museo. In questo spazio poli-valente il restauro ha privilegiato l’uso della pietra e dei mattoni a vista. La Sala del Campanile ricostruisce in miniatura una torre campanaria con i pesi che servivano a dare la carica agli orologi. Si attraversano, poi, la Stanza dell’Orologino e la Saletta dei Piccoli Orologi e si raggiun-ge l’Officina, dove è ricostruita una piccola parte dell’ambiente di lavoro dei Bergallo, con arredi e macchi-nari, arnesi da fabbro e meccanico e attrezzi per la lavorazione del legno. Nella Saletta della Pendola si tratta delle pendole da salo-ne, prodotte per molti anni dai Bergallo, che vi inserivano i meccanismi acquistati in Francia a Morbier già all’inizio del ‘900 ed erano vendu-te alle famiglie più facoltose.Il piano superiore è contraddistinto dalle pareti di colore rosso, con il quale venivano decorati i con-trappesi degli orologi Bergallo dopo il 1918. La Biblioteca contiene tutte le carte e i libri – donati dagli eredi della famiglia – che erano conservati nel sottotetto della Casa-Officina e che sono sotto-posti al vincolo archivistico da parte della Soprin-tendenza. Sono consultabili a richiesta anche volu-mi tecnici e di storia dell’orologeria. Nella Saletta dell’Orologio a lira sono esposti estratti dell’ac-curato diario giornaliero tenuto dai Bergallo, altri documenti e pannelli fotografici che illustrano i sopralluoghi per le riparazioni, soprattutto in Ligu-ria, Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta, tra la fine del XIX secolo e la prima guerra mondiale. Nella

Stanza degli Ingranag-gi e dei Pendoli i pan-nelli metallici mostrano i campionari anche di altri artigiani, con pez-zi tagliati e battuti a mano; pesi, con la lente del pendolo nei diversi materiali; minuterie; car-rucole; lancette mono-lancia, anteriori al XIX secolo, quando il tem-po veniva segnato sol-tanto con le ore. La Sala degli Orologi a gabbia espone i pezzi più an-tichi, caratterizzati dalla struttura squadrata, rea-lizzata con aste di ferro battuto unite fra loro in una forma a parallele-pipedo. Alcuni di que-sti orologi provengono dalla donazione degli eredi Panzeri di Mon-tano Lucino (Como). La Sala Morbier prende il nome dall’omonimo pa-ese francese, dal quale derivano i meccani-

smi che i Bergallo acquistavano per le pendole. Nella Saletta delle Carrucole è conservato un campionario di varie tipologie e materiali, prove-niente dai campanili di tutta Italia. Infine, la Sala Bergallo contiene documentazione con immagini e filmati e quattro esemplari di orologi da torre di epoche diverse, a testimonianza dell’evoluzione della capacità costruttiva dal 1861 ai primi de-cenni del ‘900.Il Laboratorio di Restauro, non compreso nel per-corso di visita, garantisce anche la funzionalità di tutti i pezzi esposti da parte del gruppo di meccanici e orologiai che, in qualità di volontari civici, collaborano alle attività del Museo.Lo spazio esterno occupato dal Giardino del Tempo, guarnito con elementi e parti di oro-logi, ruote dentate e ingranaggi, si affaccia verso la vallata e il mare, in una sorta di scan-sione panoramica spazio-temporale.

Tovo San Giacomo, frazione Bardino Nuovo (SV): la Casa-Officina Bergallo (sopra). Museo dell’Orologio da Torre G. B. Bergallo: ambiente al piano terra. Particolare delle ruote in bronzo e in ferro di un orologio (pagina a fianco).

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALEGiuliano Confalonieri, Il tempo scandito. Gli orologi da tor-re della “Bottega Bergallo”, Comune di Tovo San Giacomo (Savona), 1997.Comune di Tovo San Giacomo, La Casa degli Orologi, vi-deo VHS, 30 min., in italiano, Savona, AGB Video, 1997.Luigi Barlocco, Marisa Addomine, Daniele Pons (a cura di), Gli Orologi da Torre del Museo Bergallo. Catalogo scienti-fico, Marco Sabatelli Editore, Savona, 2015.Norma Disconzi Bendo, Quadranti e Sfere di un viaggio nel tempo che nasce dai racconti di Giovanni Bergallo, l’ultimo orologiaio di Bardino, per capire come funziona un orologio da torre e non solo…, Marco Sabatelli Editore, Savona, 2015.Comune di Tovo San Giacomo, Museo dell’Orologio da Torre G. B. Bergallo/G. B. Bergallo Tower Clock Museum Turmuhr Museum G. B. Bergallo/Musée de l’Horloge de Clo-cher G. B. Bergallo [guida alla visita in italiano, inglese, tedesco e francese], Comune di Tovo San Giacomo, 2015.

NOTIZIE PRATICHE

Indirizzo e recapitiMuseo dell’Orologio da Torre G. B. BergalloPiazza Canonico Giuseppe Folco 1017020 Tovo San Giacomo – frazione Bardino Nuovo (SV)Tel. 019 648545 – 019 [email protected]

Come si raggiungeIn auto: Autostrada A10 Genova-Ventimiglia, uscita Finale Ligure, seguire la Strada Statale 490 del Melogno fino a Cà del Moro, imboccare la prima strada a sinistra (via Co-stino) e seguire indicazioni per Bardino Nuovo e il Museo. Autostrada A10 Genova-Ventimiglia, uscita Pietra Ligure, seguire la Strada Provinciale 4 fino a Tovo San Giaco-mo-Bardino Nuovo.

Orari e norme di visitaIngresso a pagamento con visita guidata. Riduzioni per gruppi e studenti. Ingresso gratuito per i cittadini residenti di Tovo San Giacomo.

Apertura: dal 1° ottobre al 31 maggio: venerdì, sabato e domenica, ore 15.00 – 18.00; dal 1° giugno al 31 agosto: venerdì, sabato e domenica, ore 17.00 – 21.00; dal 1° al 30 settembre: venerdì, sabato e domenica, ore 16.00 – 20.00.

Servizi aggiuntiviSala conferenze, bookshop, attività didattiche, visite guida-te per gruppi, laboratorio di restauro.

DATI INFORMATIVI ESSENZIALI

Impresa di riferimentoBergalloDenominazione ufficiale Museo dell’Orologio da Torre G. B. BergalloTipologia della strutturaMuseo d’impresaOrdinamento giuridicoMuseo CivicoCategoria merceologicaOrologiSuperficie espositiva260 mqAnno di fondazione impresa1861Anno di fondazione museo1996Inaugurazione ufficiale7 aprile 1997Autori della progettazioneCoordinatore del progetto: Luigi Barlocco; progetto di alle-stimento: arch. Luca Forno; sviluppo operativo: arch. Casto-re Sirimarco, soprintendente comunale alla progettazioneNumero annuo di visitatori1.500Nome e qualifica del responsabileLuigi Barlocco, coordinatore del progetto

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di matteo lo presti

giuliano vassallicittadino di

genova e d'europa“Giuliano Vassalli, una delle più significative personalità della seconda metà del Novecento

nel campo delle scienze giuridiche, protagonista illustre della realtà culturale italiana

e internazionale, che con il suo insegnamento e la sua dottrina ha contribuito alla formazione di generazioni di penalisti; mai dimenticando Genova, considerata da sempre la sua seconda

città, dove rinsaldava i legami di amicizia e affetto dell’infanzia e dell’adolescenza, con i rapporti

umani e di lavoro della maturità”.

Q ueste belle e semplici parole furono dettate nel luglio del 2002 dal sin-daco Giuseppe Pericu a suggello del conferimento della cittadinanza

onoraria a Giuliano Vassalli, celebre giurista e uomo politico di cui ricorre quest’anno il centena-rio della nascita. A Genova, città nella cui Università il padre Filip-po era docente di Diritto Penale, Vassalli aveva fre-quentato i banchi del liceo Vittorino da Feltre di via Maragliano. Il giovane Giuliano frequentò la prima classe del liceo classico riportando ottime votazioni nelle materie umanistiche: italiano 7, latino 8, gre-co 8, storia 8, filosofia 9. Leggermente inferiori i

voti delle materie scientifiche: matematica e fisica 7, scienze 6, educazione fisica sufficiente. Ricordò poi in anni lontani che la fascinazione verso una materia non semplice come la filosofia gli fosse de-rivata da un docente di eccezione, don Giacomo Lercaro, futuro cardinale di Bologna e severo anta-gonista del suo concittadino Cardinale Giuseppe Siri. Abitò il professor Vassalli in corso Mentana e ri-cordava i luminari e le forti personalità politiche che ebbe modo di conoscere a Genova: Paolo Emilio Bensa, Augusto Occhialini, Gino Loria, Adelchi Ba-ratono, Giuseppe Rensi, Achille Pellizzari.Per uno strano caso del destino Giuliano Vassalli era nato a Perugia il 25 aprile del 1915, data che

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avrebbe ricordato l’anniversario di quella Liberazio-ne a cui egli stesso un giorno avrebbe contribuito in maniera importante. Ripercorrere la vita di Vassalli è infatti disegnare il viaggio suggestivo e corag-gioso di un’Italia che con i suoi uomini migliori è approdata alle sponde sicure della democrazia. Nato in una famiglia di tradizioni antifasciste, do-cente giovanissimo di Diritto Penale all’Università di Genova, dopo l’8 settembre 1943 era divenuto membro della giunta militare del CNL e nel gen-naio 1944 aveva organizzato con falsi documenti l’evasione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carce-re romano di Regina Coeli: una incredibile beffa per i nazisti. Catturato poche set-timane dopo fu gravemente torturato, costretto a mangiare “come i cani” in una scodella con le mani legate dietro la schiena. Aveva gli occhi pieni di lacrime, Giuliano Vassalli, quando ricordava le torture che aveva subito nel 1944 in via Tasso dal colonnello Kap-pler. Per pochi giorni era riu-scito a scampare alla strage delle Fosse Ardeatine e sottrat-to alla morte da uno scambio di prigionieri che, con l’aiuto di Pio XII, si era riusciti ad organizzare. Arrogante e mi-naccioso Kappler gli urlò alle spalle: “non si illuda profes-sore ci rincontreremo ancora”. Si incontrarono, in effetti, ma al processo per giudicare i crimini e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine di cui Kappler era stato infame protagonista.“Animato da malinconico amore per il diritto pe-nale e la giustizia”, come egli amava dire, la sua vita si distinse per il vivace impegno politico e cul-turale che si affiancò a profondi studi giuridici. Della sua esperienza come docente di Diritto Pe-nale, nel 1943, ricordava insigni colleghi come Agostino Capocaccia, Mario Casanova, Dome-nico Maccaggi, medico legale e poi senatore socialista. Così come pieno di commozione era il ricordo di Giovanni Tarello, maestro di Filosofia e Teoria Generale del Diritto morto assai giovane negli anni Ottanta del secolo scorso.

La sua vita pubblica ha attraversato numerose esperienze: fu ministro di Grazia e Giustizia, poi presidente della Corte Costituzionale, e prima de-putato e poi senatore. Sotto la sua guida fu varato nel 1989 il nuovo Codice di Procedura Penale, che voleva soprattutto equiparare i diritti dell’accu-sa e quelli della difesa. Si batté perché entrasse in vigore anche in Italia lo Statuto della Corte Penale Internazionale che riconoscesse la responsabilità individuale di capi di Stato e di Governo e i li-miti posti all’inderogabilità dell’ordine superiore,

in nome della sua manifesta illegalità nel commettere ge-nocidio o delitti contro l’uma-nità, e perché fosse garantita continuità di rapporti tra la Corte e l’ONU.L’impegno politico di Vassal-li lo vide militante socialista, aderente alla scissione so-cialdemocratica di Palazzo Barberini nel 1947 per poi rientrare nel PSI. Secondo molti commentatori il suo es-sere uomo coerentemente an-tifascista e anticomunista gli costò l’elezione al Quirinale. Nel 1978 come Presidente della Repubblica gli fu infatti preferito Sandro Pertini che risultò più gradito all’ala sini-stra del Parlamento. Inutilmen-te Craxi, quando si dimise Cossiga, cercò di riproporre

la candidatura Vassalli. Si disse che era malato, invece, con grande onestà, Vassalli sapeva che sul suo nome non c’erano i voti necessari e impose al leader socialista di ritirare il suo nome.Strenuo oppositore di ogni tentativo di legittima-zione e riabilitazione di personalità legate alla dittatura fascista, Vassalli era in merito sempre la-pidario e, in punta di diritto, ricordava che “nes-sun paese europeo ha mai premiato i collabora-zionisti del nazismo”. Nel 2009, quando morì, il Presidente Napolitano scrisse di lui: “Giuliano Vassalli personalità tra le maggiori della nostra vita democratica si è distinto come grande giurista, come coraggioso combat-tente della libertà, come appassionato militante fe-dele agli ideali e alla storia del socialismo italiano”.

Giuliano Vassalli

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di giovanna benetti

l'oratorio di san filippo neri, scrigno d'arte nel cuore di genova

A Genova, in via Lomellini, nel centro storico, a due passi dalla stazione

ferroviaria Porta Principe, c’è un luogo di ritrovo per i cittadini non solo della

zona, ma anche del resto del capoluogo.

È l’oratorio San Filippo Neri, un punto di accoglienza per tutte le genti da-gli usi, costumi, religioni, ceti sociali ed età diverse, improntato sulla cari-

tà, la cristiana gaiezza e l’alta spiritualità. Tutto ciò grazie ai Padri Filippini, i componenti della Congregazione dell’Oratorio fondata da San Filippo Neri, che sono sei (quattro sacerdoti e due in formazione, cinque dei quali liguri e un polacco). È stato proprio Filippo Neri l’ideatore del termine oratorio, parola-come mi racconta padre Andrea Decaroli seguace del fondatore che si occupa con grande impegno in partico-lare dei ragazzi- polisemantica intesa sia come struttura architettonica, sia come proposta reli-giosa, sia come aspetto di animazione ricrea-tiva. A Roma, nel 1500, dove Filippo abitava, il gruppo di fedeli che cominciarono a seguirlo

si riunirono dapprima nella sua camera, poi in varie chiese della città per pregare o cantare. Successivamente, spargendosi la voce di questi incontri e divenendo sempre più numerosi i par-tecipanti, venne a costituirsi una struttura organi-ca con dei sacerdoti. Si incontravano nella chie-sa di Santa Maria in Vallicella. Ed è qui che nel 1575 nacque la Congregazione dell’Oratorio.A questa prima casa se ne aggiunsero altre in Italia e poi nel resto del mondo che sull’esempio della prima, portano avanti attività di volonta-riato, di formazione religiosa e artistico-cultura-le. Sono autonome, governate dall’assemblea dei Padri e dal Preposito (il Padre superiore), anche se la casa romana rimane un punto di riferimento. Caratteristiche dei Padri Filippini sono tuttora: umiltà, povertà, preghiera, casti-tà, obbedienza, ascolto, unite all’amore per la

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libertà e l’equilibrio tra vita attiva e spirituale, tra iniziativa individua-le e convivenza comu-nitaria. Ritornando a Genova, il 26 maggio scorso in occasione dei 500 anni dalla nascita del santo la chiesa e l’ora-torio gremiti dimostra-no l’attaccamento del-la gente per i padri. Fu Camillo Pallavicini, imprenditore genovese che aveva accumulato grandi ricchezze a Pa-lermo, che era diven-tato prete a 60 anni e che aveva frequentato l’oratorio nell’isola, che pensò di aprirne uno nella sua città. La morte lo raggiunse prima che riuscisse nell’intento, però i suoi successori portarono avanti la sua idea grazie a un note-vole legato. Nel 1645 l’arcivesco-vo di Genova diede il via libera per fonda-re in città una nuova congregazione. Dap-prima i Filippini, ab-bastanza numerosi, furono ospiti dei Pal-lavicini nella chiesa gentilizia di San Pan-crazio. Ma la terribi-le peste del 1656 si portò via 16 padri su 18. Poco dopo, nel 1659, si incominciò a costruire una picco-la chiesa. L’attuale fu iniziata nel 1673 e ultimata tre anni dopo e consacrata solo nel

1721. L’oratorio geno-vese fa parte di tutto un complesso sorto dalla metà del ‘600 costitu-ito dall’oratorio stesso, dalla omonima chiesa e dalla Casa dei Pa-dri. Fu costruita prima la chiesa, poi la Casa e per ultimo l’oratorio. Il tutto è conservato nel suo aspetto originale (che rappresenta una notevole testimonian-za della cultura tardo-borrominiana in città), anche se l’esproprio napoleonico e suc-cessivamente quello italiano (la legge di espropriazione delle Congregazioni religio-se) hanno fatto sì che molti beni siano andati perduti e manchi so-prattutto l’archivio. Nel sito in cui ora si trova il complesso c’e-rano le case di due fa-miglie nobili, i Lomelli-ni e gli Adorno. Parte della Chiesa, infatti, è stata costruita dove un tempo si trovava il palazzo Adorno. Al posto della stanza da letto di Caterina Ador-no Fieschi (divenuta poi Santa Caterina da Genova) è situata ora la cappella a lei dedicata. All’interno della chiesa ad uni-ca navata con volta a botte e 4 cappelle laterali il tardo baroc-co genovese si espri-me nella ricchezza di affreschi, negli intagli

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A fianco: l’altare con la statua dell’Immacolata del Puget. Sotto: la volta dell’Oratorio.

di legno e di marmo e nella sovrabbondanza di stucchi dorati. Da visitare inoltre pregevoli opere di Domenico Piola, Domenico Parodi e il gruppo ligneo della Pietà di Antonio Maria Maragliano. Riguardo all’oratorio lo si finì di costruire intorno al 1750 e sembra che l’ar-chitetto sia stato Giovanni Battista Montaldo. A pianta ellittica in stile rococò è rivestito di stucchi dorati con la volta e l’abside stupenda-mente affrescati. Se si sale sul piano più alto della tribuna (che ho avuto la possibilità di raggiungere grazie ad un altro gentilissimo padre che mi ha fat-to da cicerone, Mauro De Gioia) l’effetto è impressionante. Infatti all’interno l’unità dell’in-sieme è pensata, come riporta la guida alla chiesa della Sagep, come “spazio scenogra-

fico al quale fa da fondale di riferimento la tribuna a due piani dietro l’altare sul quale fu collocato più tardi il gruppo marmoreo con la statua dell’Immacolata del Puget (1762)” in marmo di Carrara. La statua era stata eseguita per i Lomellini che a loro volta la donarono ai Filippini. Interessanti sono gli affreschi di Gia-como Boni e una tela (San Filippo in estasi) di Simon Dubois. In oratorio non si celebrano le messe, ma è tuttora sede di concerti grazie alla sua ottima acustica e dal 1866 e per 70 anni assieme ad un’ala del convento fu sede del Conservatorio Paganini.

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Aurelio Caminati

Beppe Delle Piane

Edoardo Alfieri Eugenio Carmi

Flavio Costantini

Gianfranco Fasce

Giannetto Fieschi

Luisella Carretta

Mario Chianese Sandro Cherchi

Stefano D’Amico

Stefano Grondona

Walter Di Giusto

Piergiorgio Colombara

Lorenzo Garaventa Giuliano Galletta

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di giulio sommariva

da mengs a magurno: ritratti

d'artista nelle collezioni

della ligusticaMemore degli straordinari esempi rubensiani e vandyckiani di primo

Seicento, il ritratto ha accompagnato la storia della Repubblica di Genova,

tra XVII e XVIII secolo, quale strumento dalle molteplici valenze per l’orgogliosa

e ambiziosa aristocrazia cittadina.

A nche le collezioni dell’Accademia Ligustica riflettono questa tradizione: ritratti di munifici mecenati e di arti-sti talentuosi, di aristocratiche pittrici

dilettanti e di pittori, scultori, incisori di professio-ne, rievocano i volti dei protagonisti della storia dell’istituzione dalla sua fondazione nel 1751. Una sequenza di volti e di capigliature, di abiti e di posture che consente di cogliere l’evoluzione formale e tipologica del ritratto e, nel contempo,

le trasformazioni della moda dalla seconda metà del XVIII secolo ai nostri giorni.La galleria parte dall’androne ottagonale del Pa-lazzo dell’Accademia, edificato su progetto di Carlo Barabino nel 1831, dove i visitatori sono accolti dalle statue in marmo a figura intera di quattro grandi artisti genovesi: Luca Cambiaso e Filippo Parodi (Luigi Orengo, 1935), Bernar-do Strozzi e Bernardo Schiaffino (Guido Gallet-ti, 1939); ritratti immaginari, realizzati proprio

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a celebrazione dei fasti del passato, rievocati dalle effigi di due grandi pittori, Cambiaso e Strozzi, e di due altrettanto celebri scultori, Pa-rodi e Schiaffino.Sul secondo ballatoio è collocato il busto bron-zeo del pittore Nicolò Barabino (A. Allegretti 1894) e lungo le pareti della loggia al secon-do piano sono allineati i busti in marmo di altri artisti legati all’Accademia: Carlo Barabino (G. B.Cevasco, 1844), Ernesto Rayper (G. Monte-verde, 1874), Pietro Resasco (A. Allegro, 1874) e Raffaele Granara (V. Lavezzari, 1885). Ritratti posti nella loggia che dava accesso alle aule per volontà degli accademici, certo per ricorda-re colleghi e amici, ma anche per presentare ai giovani allievi prestigiosi modelli da imitare. Nel vestibolo del Museo il visitatore incontra poi

dodici ritratti di maestri della pittura genovese eseguiti da Carlo Giuseppe Ratti, pittore e storiografo savonese, acca-demico di merito dal 1766 e direttore della scuola di pittura dal 1775 al 1795, e donati dallo stesso all’Accademia: Luca Cambiaso, Giovanni Bat-tista Paggi, Bernardo Castel-lo, Giovanni Battista Carlone, Gio. Benedetto Castiglione, Domenico Piola, Andrea Car-lone, Alessandro Magnasco, Gio. Enrico Waymer, Carlo Antonio Tavella, Lorenzo De Ferrari, Domenico Parodi. Alcu-ni derivano da autoritratti noti (Luca Cambiaso, Gio Enrico Waymer, Domenico Parodi), di altri non sono note le fonti; tutti dovevano evocare l’illustre passato dell’arte nella Serenis-sima Repubblica di Genova. Il donatore era stato certamente suggestionato dall’imponente raccolta di ritratti di artisti con-servata presso l’Accademia di San Luca a Roma come pure da quella dell’Accademia fio-rentina, ora conservata agli Uffizi. I ritratti di quanti ave-vano fatto grande la scuola

genovese dalla metà del Cinquecento al primo Settecento, dovevano segnare una ideale conti-nuità con quella gloriosa tradizione della quale l’Accademia Ligustica intendeva raccogliere l’e-redità e, nello stesso tempo, costituire autorevoli “exempla” da proporre ai giovani allievi come modelli da emulare e superare. A sottolinearne il significato, sulla parete è trascritta una citazione dalla Guida artistica per la città di Genova di Federico Alizeri: “… e adornava le pareti della lor sala co’ ritratti de’ più valenti artisti genovesi, quasi ad accendere l’emulazione ne’ teneri petti”.Accanto a loro, rimando allusivo agli altri pro-tagonisti della fondazione dell’Accademia, i patrizi genovesi, campeggia il grande, ma-gnificente, Ritratto del duca Paolo Gerolamo Grimaldi, in una copia eseguita da Francisco

Anton Raphael Mengs, Autoritratto, olio su tela.

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Museo dell’Accademia Ligustica, sala dei ritratti.

Xavier dos Ramos dall’originale di Anton von Maron. Proseguendo nella visita uno splendi-do e malinconico Autoritratto di Anton Rapha-el Mengs, databile agli anni 1775-1776, ma pervenuto nelle collezioni dell’Accademia solo nel 1884, riporta l’attenzione sugli artisti. L’ope-ra, che raffigura l’artista come docente, avvolto in una spolverina dal grande colletto e con la mano appoggiata sulla cartella per i disegni, è uno dei più significativi autoritratti eseguiti dal pittore e si colloca pienamente all’interno della grande ritrattistica di gusto neoclassico degli ul-timi decenni del secolo, sia per la forte presen-za realistica dell’immagine, sia per la sobrietà dell’impianto, del tutto alieno dalla magnilo-quenza della ritrattistica ufficiale del tempo. Lungo il percorso espositivo, una sala intera-

mente dedicata ai ritratti di artisti, propone una sequenza di personaggi attivi in accademia come allievi o docenti dalla sua fondazione fino ai giorni nostri. La serie permette di cogliere le trasformazioni del ritratto da quelli più formali e accademici di fine Settecento, uno per tutti l’e-legante Autoritratto di Antonietta Costa Galera, aristocratica pittrice dilettante, a quelli meno for-mali, quasi scanzonati del tardo Ottocento - Fran-cesco Gandolfi e Giuseppe Pennasilico -, fino all’intenso Autoritratto di Raimondo Sirotti, dona-to all’Accademia Ligustica dall’artista nel 2014, in occasione del suo ottantesimo compleanno.Nell’ultimo scorcio del 2015 la collezione di ri-tratti della Ligustica si è arricchita di trenta imma-gini di artisti liguri, “effigiati” da Fulvio Magurno, fotografo siciliano di origine e genovese di ado-

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zione, già protagonista della mostra «Frammenti di Nudo in Accademia», curata da Anna Orlan-do e da chi scrive nel 2011. Si tratta di opere realizzate in gran parte negli anni 1997-1998 e in anni successivi, fino al 2013 che ritraggono artisti diversi per origine, formazione e attività: Edoardo Alfieri, Lorenzo Garaventa, Giannet-to Fieschi, Aurelio Caminati, Sandro Cherchi, Martino Oberto, Gianfranco Fasce, Emanuele Luzzati, Flavio Costantini, Eugenio Carmi, Mario Chianese, Raimondo Sirotti, Beppe Delle Piane, Plinio Mesciulam, Milena Milani, Gianfranco Zappettini, Giuliano Menegon, Piergiorgio Co-lombara, Giovanni Job, Anna Oberto, Walter Di Giusto, Maurizio Lazzaretto, Stefano Gron-dona, Stefano D’Amico, Giulio Paolini, Luisella Carretta, Angelo Pretolani, Giuliano Galletta, Luca Vitone, Cesare Viel. Alcuni sono legati di-rettamente alla Ligustica per esserne stati allievi – Cherchi, Fasce, Carretta, Garaventa, o per la loro attività di docenti – Alfieri, Garaventa, Fieschi, Chianese, Sirotti, Viel –, o ancora per

la loro ascrizione fra le fila degli Accademici di Merito, Alfieri, Garaventa, Fieschi, Cherchi, Fasce, Mesciulam, D’Amico. Tutti, in ogni caso, liguri di origine o di adozione, sono stati e sono ancora protagonisti indiscussi delle vicende ar-tistiche di quel territorio richiamato nell’epiteto un po’ desueto - “Ligustica” - che identifica l’Ac-cademia genovese. Volti che affiorano dall’o-scurità silente, come in una tela del Seicento, senza nulla concedere, o quasi nulla salvo rare eccezioni, alle suggestioni ambientali. Volti in-tensi, pensosi, enigmatici, inquietanti; frammenti di volti, come Luzzati o Mesciulam; profili in con-troluce, come Carmi, Chianese, o Fasce; trenta immagini, colte da Magurno nel corso di lunghe frequentazioni o incontri fugaci con gli artisti ef-figiati e virtuosisticamente stampate in bianco e nero, compongono una sequenza che racconta, con il linguaggio essenziale di un artista raffina-to, altrettanti interpreti dell’arte in Italia e comple-ta l’ideale “galleria” voluta da Carlo Giuseppe Ratti alla fondazione dell’Accademia.

Il vestibolo del Museo dell’Accademia Ligustica con i ritratti di artisti genovesi donati da Carlo Giuseppe Ratti.

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Giulio Paolini

Luca Vitone

Martino Oberto Maurizio Nazzaretto Milena Milani

Plinio Mesciulan

Raimondo Sirotti Angelo Pretolani

Anna Oberto

Cesare Viel

Emanuele Luzzati Giuliano Menegon

Gianfranco Zappettini

Giovanni Job

emozioni

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Fuochi e luci per la Festa del Mare.

sapori

di gian antonio daLL'AGLIO

levanto "cittàslow",UN MODO NUOVO DEL VIVERE QUOTIDIANO

In qualunque buona libreria è possibile trovare almeno un volume che abbia

per titolo o nel titolo un “elogio della lentezza”. Perché ogni tanto

qualcuno decide che “andare piano”, sia in senso fisico che spirituale,

sia un valore, una qualità, una virtù, un elemento di saggezza.

V ien da riflettere sui vantaggi del pensiero lento, un pensiero che as-secondi i tempi naturali della più affascinante macchina esistente in

natura, il cervello umano, che sono poi i tempi naturali di Homo sapiens, un animale a cui Dio sive Natura ha dato due gambe per spostarsi (e non quattro ruote o due ali), una voce e un udito che funzionano bene solo sino a qualche decina di metri di distanza, due occhi per vedere sino a un pochino più in là.La lingua italiana contemporanea ama infarcirsi di termini inglesi, vuoi per ragioni di dominanza poli-tica, economica e culturale delle nazioni di lingua inglese, vuoi per autoctono provincialismo; sta di fatto che questo concetto positivo di lentezza

pare venga espresso più efficacemente se si usa il vocabolo inglese “slow”. Universalmente noto è Slow Food, italiano d’origine ma ormai totalmen-te internazionale nelle opere e nei progetti. Forse meno note del Cibo Lento ma altrettanto importanti per la costruzione di una società in armonia con sé stessa e col mondo sono le “città lente”, o per usare la terminologia ufficiale, le “Cittàslow”.

CITTÀ LENTE DEL MONDOEsiste un’associazione “lenta” che riunisce circa duecento città sparse in trenta nazioni dei cinque continenti: il Movimento Cittàslow è nato nel 1999 dall’intuizione dell’allora sindaco di Greve in Chianti (FI), fatta propria dai sindaci delle città di Bra (CN), di Orvieto (TR) e di Positano (SA), e accolta da

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emozioni

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Carlin Petrini, Presidente di Slow Food. Come si legge nel sito dell’asso-ciazione, l’obiettivo è “allargare la filosofia di Slow Food alle comu-nità locali e al governo delle città, applicando i concetti dell’ecoga-stronomia alla pratica del vivere quotidiano”. Per diventare e rimane-re membri dell’associa-zione, le città devono essere abitati di gente “curiosa del tempo ri-trovato, dove l’uomo è protagonista del lento, benefico succedersi del-le stagioni”; persone – e amministratori pubblici - che pongano attenzione alla propria salute fisica e alla genuinità dei pro-dotti agroalimentari del loro territorio; le città devono essere ricche di tradizioni artigiane, opere d’arte, piazze per incontrarsi, luoghi dove si fa cultura, botteghe, caffè e ristoranti attenti alle tradizioni della cucina locale, devono avere nel loro territorio “luoghi dello spirito” e paesaggi na-turali ben preservati; la popolazione deve vivere con spontaneità i riti religiosi, rispettare le tradizioni e apprezzare la gioia di un vivere lento e quieto. Oggettivamente difficile che tutto questo possa accadere in una metropoli, più facile che tutto ciò funzioni in centri urbani di minori dimensioni. Sta di fatto che un’ottantina di queste duecento città “lente” sono in Italia, fatto comprensibile tenendo conto che l’associazione è nata qui.

LEVANTO LENTA E RITROVATAUna sola però è in Liguria: è Levanto, centro princi-pale di quella meraviglia della natura e della fatica umana che è la Riviera Spezzina, quel tratto di bor-ghi antichi, rocce, alberi, vigneti, mare e sole che sono le “Dieci Terre” da Deiva a Portovenere, di cui le Cinque più famose sono solo una parte, ché tutto il resto è affascinante allo stesso modo.

Levanto ha un centro storico curato, ricco di opere d’arte e monu-menti storici e ragione-volmente privo di quegli orrori edilizi che tanto piacevano agli edifica-tori urbani della secon-da metà del XX secolo; ha una bella spiaggia, ha un entroterra di col-line percorse da brevi torrenti e coperte di bo-schi e di campagne col-tivate tra le quali spun-tano tetti e campanili di diciotto piccoli borghi rurali di impianto me-dievale, onusti di storia contadina. Un sacco di belle cose che però sino a una quindicina d’anni fa servivano a poco: coi borghi e le colline in crescente ab-bandono, Levanto era la classica cittadina ri-vierasca ligure con una

stagione turistica limitata ai due, tre mesi dell’estate e la maggior parte della popolazione impiegata nelle grandi industrie e aziende statali dello Spez-zino (dalla Oto Melara alle Poste). L’ingresso nel Movimento Cittàslow ha permesso ai cittadini levantesi di accorgersi che la vera Levanto è una città – anzi no, è un mondo – completa-mente differente da quello che era diventata nei decenni del Dopoguerra: i cittadini di Levanto si sono improvvisamente resi conto della ricchezza del loro territorio. Grazie a Cittàslow qui si è svilup-pato un turismo ecocompatibile che dura otto-nove mesi all’anno, c’è stato un faticoso ma esaltante recupero dell’entroterra e dei suoi sentieri che oggi formano una ben strutturata rete di 80 chilometri di percorsi escursionistici; grazie ad essi si sono potuti recuperare i borghi rurali abbandonati, restaurare le case, magari dipingendone le porte come opere d’arte, ricominciare a coltivare le campagne, svi-luppare l’agricoltura locale. Per pulire i sentieri sono state re-istituite le comandate, le giornate in cui i val-ligiani lavoravano per la comunità, chi contribuiva

Il mare si festeggia anche portando in processione i grandi Crocifissi.

sapori

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con robuste braccia, chi forniva gli attrezzi, chi metteva l’asino... oggi i volontari fanno lo stesso. Grazie a fondi europei gestiti dalla Regione nu-merosi levantesi giovani hanno potuto ristrutturare le vecchie case, cascine e mulini degli antenati per trasformarli in B&B e agriturismi di pregio, dove le vecchie macine per la farina sapiente-mente conservate rac-contano agli ospiti – in stragrande parte stranie-ri, nel 2014 su 288.000 presenze turistiche nel comune di Levanto, ben 215.000 erano stranieri, il 75% – la storia di un mondo che non c’è più ma non è morto, si è solo trasformato; sulle fasce anti-che tra i B&B e i boschi si è sviluppata un’agricoltu-ra ridotta per quantità ma di pregio per qualità, che rifornisce di prodotti tipici1 veramente “a chilometro zero” i negozi e i ristoranti del centro, giù sul mare. Si è così sviluppato un sistema di accoglienza dif-fusa nel centro urbano e soprattutto nell’entroterra che ha ridato slancio alle manifestazioni culturali e tradizionali, che sono diventate anche occasio-ni di incontro tra levantesi e foresti; credo che per qualcuno sia stato anche commovente vedere gli anziani che aprivano le loro case e le loro cantine per accogliere i turisti, invitarli ad assaggiare i prodotti della cam-pagna, l’olio e il vino, raccontare le tradizio-ni. Venne anche istituita una “Strada dei Sapori di Levanto” tutta interna al comune; il suo sito vinse un premio come miglior sito turistico; non si volle organizzarlo come sito di commercio elettronico perché la fi-losofia di fondo non è semplicemente quella di vendere i propri prodotti ma di invitare i poten-

ziali acquirenti a venire a Levanto, per acquista-re, certo, ma anche per conoscere di persona il territorio dove i prodotti nascono e la gente che li produce. E tutto ciò è “lento”! Cittàslow porta a mettere in atto le pratiche virtuose che portano al miglioramento della qualità della vita, una qualità che non è necessariamente legata al tenore econo-mico, piuttosto al tenore morale ed emotivo.A dispetto dei luoghi comuni sui liguri scontrosi e brontoloni, gli abitanti di Levanto si sono dimostrati molto disponibili verso i forestieri, molto ospitali e desiderosi di comunicare agli altri la bellezza del-la loro terra. Per fare un solo esempio, pochi anni fa è venuta una troupe della tv brasiliana Rede Globo a fare un servizio sulla Cittàslow: velocissi-

La musica del Festival Massimo Amfiteatrof riempie la bella chiesa di Sant’Andrea. In basso: volteggiar di vessilli e bandiere quasi come nel Medioevo.

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ma è stata l’organizzazione dell’ospitalità sino al preparare la farinata per mangiarla tutti insieme; da allora sono sensibilmente aumentati i turisti bra-siliani nella provincia di La Spezia. Sarà un caso? Per sovrappiù, il mare è stato scoperto dai surfer di tutto il mondo; certo qui non ci sono le onde delle Hawaii ma la baia in cui è raccolta Levanto riesce a generare onde sufficientemente appassionanti in tutte le stagioni, specie nei mesi più freddi e vento-si, quando il mare si popola di strane figure nere che saltabeccano sulle onde...e vi cadono dentro. E per chi ama muovere le gambe c’è poi la pista ciclopedonale aperta sino a Bonassola e Framura sul tracciato della vecchia linea ferroviaria che cor-re a ridosso del mare (gallerie comprese).Il fiore all’occhiello tra i servizi erogati direttamen-te dal Comune è la raccolta differenziata porta a porta, che ha notevolmente innalzato la quantità di rifiuti riciclabili raccolti (nel 2014 ha superato il 70%) e dà lavoro a sette persone del Comu-ne e otto di una cooperativa di giovani. E anche questo è “slow”, praticare una politica del lavoro che aumenta il numero delle persone impiegate anziché diminuirle considerandole un costo da tagliare. Tanto più che come premio per essere un comune “riciclone”, Levanto ha ottenuto sussidi dalla Regione, che vengono investiti nel settore e si aggiungono a ciò che si ricava vendendo il materiale riciclabile raccolto.C’è chi è venuto dall’estero a studiare il “modello Levanto”, ciò che si mette in pratica e si vive in questa cittadina di mare e di collina dove si gira in bici, ci si saluta per strada e c’è chi si licenzia

dal posto fisso per por-tare le barche vivendo il proprio mare e la pro-pria città senza stress e patemi d’animo, magari girando scalzo per stra-da come i pescatori di una volta.

Note1. Giova ricordare che oltre ai prodotti tipici dell’agro-alimentare ligure (dalle ac-ciughe al miele, dalle olive alle marmellate), ai vini della DOC Colline di Levanto e dell’IGT Liguria di Levante e all’olio extravergine d’oliva DOP Riviera Ligure di Levan-

te, nell’Atlante regionale dei Prodotti tradizionali di Liguria Levanto annovera altri prodotti peculiari del suo territorio: la castagna brodasca, la susina fiaschetta “da u cü amau” e il celebre gattafin, un grosso raviolo fritto pieno di erbet-te di campo, bietole, cipolla, uova, formaggio: è un pasto completo, che prende il nome – pare, ma non v’è certezza – dalla cava di marmo nella località La Gatta, i cui cavatori si nutrivano con questa “finezza” preparata dalle loro mogli. La ricetta è stata registrata presso la Camera di Commercio e probabilmente già esisteva nel XVI secolo.

RingraziamentiA Massimo Affaticati, addetto stampa del Comune di Levan-to, per la documentazione, le informazioni, i gattafin e la “lentovisita” di Levanto.Ad Antonio Zoppi, presidente della Cooperativa Agricoltori Vallata di Levanto per la visita alla sede della cooperativa con frantoio e cantina.A Luigina Peselli, titolare del Laboratorio del Pesto e del suo punto vendita fornito d’ogni bendidio.A Rodolfo Bonnet pasticciere e alla famiglia Bianchi, quin-ta generazione di proprietari della storica Pasticceria Bian-chi del 1899, per la visita al laboratorio e per i canestrelli.

Sitografiawww.comune.levanto.sp.it www.cittaslow.org/section/associazione www.saporidilevanto.itwww.coopagricoltorilevanto.itwww.illaboratoriodelpesto.itwww.vivereconlentezza.it http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/libri/elogio_del-la_lentezza_solo_con_ritmi_amp_8203_normali_il_cervel-lo_torna_a_creare/897072.shtml

BibliografiaLamberto Maffei, Elogio della lentezza, Il Mulino, Bologna, 2014.Carl Honoré, Elogio della lentezza: rallentare per vivere meglio, BUR Rizzoli, Milano, 2014.

I boschi e i borghi antichi della vallata di Levanto.

sapori

L’antico mulino di Lizza osserva tranquillo i marciatori della Mangialunga.

Surfando sulle onde... quasi come i Beach Boys.

Tutti insieme sulla pista ciclabile a picco sul mare.

Arrivano anche dall’estero per cimentarsi nella Traversata del Golfo.

Bagnanti e pescatori condividono la spiaggia e il porticciolo.

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Reims, Ruinart: le Crayère, le “cattedrali di gesso sotterranee”,dove lo Champagne riposa e invecchia per anni.

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di kappa elle

la via dello champagne

“Lo bevo quando sono felice e quando sono triste. A volte lo bevo quando sono

sola. Quando sono in compagnia lo ritengo doveroso. Mi ci trastullo

se non ho fame e lo bevo quando ce l’ho. Altrimenti non lo tocco mai, a meno

che non abbia sete”.Madame Elisabeth Bollinger al London Daily Mail

17 ottobre 1961

L EGGENDE E STORIE DI MONACIDal 4 luglio 2015 i “Coteaux, Mai-sons et Caves de Champagne” (colli-

ne, case e cave) sono stati iscritti sulla Lista del Pa-trimonio dell’Umanità dell’Unesco, nella categoria “Paesaggio organicamente evoluto”.La leggenda vuole che lo Champagne sia stato inventato nel XVII secolo dal monaco benedettino Don Pierre Pérignon (1638-1715) nell’abbazia di Haut-villers, oggi circondata da un piccolo borgo nel dipartimento della Marna, nella regione francese della Champa-gne-Ardenne. La storia

racconta, invece, che si parlava già di spuman-tizzazione nel XIV secolo, in un’opera di un altro benedettino, Don Francesco Scacchi di Fabriano.In ogni caso, il famoso méthode champenoise fu codificato grazie alle scoperte e alle esperienze dei vignaioli francesi, che con l’aggiunta di lieviti e zuccheri riuscivano a trasformare i vini fermi in

prodotti frizzanti. L’uso del tappo di sughero e della bottiglia con un vetro più spesso, che potesse sopportare senza scoppiare l’ele-vata pressione dovuta all’anidride carbonica durante la seconda fermentazione, fece il resto.Dom Pérignon riuscì a produrre un vino bian-

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co dall’uva nera e, con una miscela di diverse an-nate, vitigni e provenienze, creò le prime cuvée di Champagne. Il mito entra nella storia.

UN TERRITORIO PARTICOLAREQuesta seducente regione, la zona vitivinicola più settentrionale della Francia, meta di veri e propri pellegrinaggi da parte dei cultori della materia e appassionati di tutto il mondo, vanta un pa-esaggio spettacolare, in un territorio di produ-zione a denominazio-ne Champagne (AOC - Appellation d’Origine Contrôlée) che, a circa 150 chilometri a est di Parigi, si estende per più di 34.000 ettari ed è suddiviso in cin-que dipartimenti. I tre principali sono la Mon-tagne de Reims, con i pendii che si alzano a sud dell’omonima città; la Vallée de la Marne, segnata dallo scorrere del principale affluente della Senna, e la Côte des Blancs, a sud del fiume. In queste tre zone si concentrano i 17 villaggi, che godono storicamen-te della denominazione grand cru, cioè che hanno vigneti classificati 100 punti, il massimo. I filari si distendono a perdita d’occhio tra i 90 e i 300 metri di altitudine, su versanti esposti a sud, sud-est ed est, con pendenze medie del 12%, che raggiun-gono anche il 60%. Un paesaggio d’eccellenza.

CITTÀ E GALLERIE SOTTERRANEENelle città di Reims – dove è d’obbligo visitare la Cattedrale di Notre Dame, una vera enciclopedia del gotico francese, patrimonio mondiale dell’Une-sco – e di Épernay si trovano le sedi della mag-gior parte delle case di Champagne, con le loro cantine storiche e, soprattutto, le gallerie sotterranee scavate nella roccia di gesso. Utilizzate nel passato come magazzini per i cibi o per le merci di con-trabbando, sono state anche un provvidenziale rifu-gio per le persone, in particolare durante i 1.500

giorni di bombardamenti della prima guerra mon-diale, quando ospitarono scuole, chiese, ospedali e teatri. Si diramano per 250 chilometri, con i loro labirintici cunicoli che risalgono al periodo gallo-ro-mano (IV secolo d. C.), e sono usate ancora oggi come deposito delle bottiglie per l’affinamento, grazie alla stabilità termica costante – intorno ai

10-12°C –, a un tasso di umidità perfetto – 80-90% – e a una totale assenza di vibrazioni e sono aperte ai visitatori.Il terroir della Champa-gne deve il suo carattere al clima – piovosità co-stante e moderata, dato il duplice influsso conti-nentale e oceanico –, all’orografia, ma anche al terreno. In prevalenza calcareo, come lo sono i sedimenti affioranti (gesso, marna e calca-re propriamente detto), il sottosuolo favorisce il drenaggio e, a livello di gusto, la mineralità tipi-ca di alcuni vini. Il ventre caldo della terra.

IL PROTAGONISTA, IL VINOQuasi tutto lo Champagne viene prodotto da un uvaggio dei tre vitigni principali ammessi da una legge del 22 luglio 1927, che sono di gran lunga i più diffusi: il pinot noir e il pinot meunier (entrambi a bacca nera), con lo chardonnay (a bacca bian-ca) danno i migliori risultati, rispettivamente, nelle tre zone evidenziate, da nord a sud (Montagne, Vallée e Côte). Il pinot noir infonde all’assemblag-gio forza e potenza, il pinot meunier morbidezza e note fruttate, lo chardonnay freschezza, finezza ed eleganza, oltre a note floreali, agrumate e talvolta minerali.Degustare e bere lo Champagne, magari un mille-simato che esprime un’annata eccelsa, o un rosé (con una percentuale di vino rosso di Champagne), oppure un blanc de blancs (prodotto da sole uve bianche) o un blanc de noirs (da sole uve nere), o anche un monocru (da un unico villaggio di ori-gine) può essere un’esperienza sublime, oltre che

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un rituale piacevole. La bottiglia viene presentata e stappata, il vino scivola nei calici, le bollicine salgono in superficie, le impressioni gusto-olfattive pervadono di freschezza e pienezza la nostra me-moria sensoriale: ogni Champagne è unico e deve mantenere nel tempo il proprio stile, secondo la vi-sione della casa produttrice, orchestrata insieme a vigneron e chef de cave. Una vera opera d’arte.

RUINART, “LA PIÙ ANTICA CASA DI CHAMPAGNE”Un buon punto di partenza per un itinerario nella re-gione è Ruinart, a Reims. Fondata nel 1729, vanta il titolo di la plus ancienne maison de Champagne. Alla sua origine c’è l’intuizione di un monaco bene-dettino, Dom Thierry Ruinart (1657-1709): all’epo-ca di Luigi XIV, scopre che il vin de bulles (vino con le bollicine), nato dalle vigne della sua provincia, è apprezzato a Versailles. Il 1° settembre 1729 il nipote Nicolas Ruinart, commerciante di drapperie in Reims come il padre (fratello del monaco), apre a 33 anni il suo primo registro contabile dedicato a questo vino. Nasce così la storia imprenditoriale dello Champagne: Nicolas abbandona i tessuti e vende sempre più bottiglie. Suo figlio Claude acqui-sta nel 1768 le cave di gesso di epoca gallo-roma-na, scavate sotto la città di Reims, per conservarvi il vino. Oggi la casa ap-partiene al gruppo del lusso LVMH e conserva soltanto 8 chilometri di gallerie su tre livelli più quattro cave.La visita alle Crayère, le “cattedrali di gesso sotterranee”, classificate come monumento stori-co sin dal 1931, com-porta la discesa di molte scale, per raggiungere le quote di -20 e -35 m. Qui il vino va incontro a

una lenta maturazione in bottiglia e l’aria è fresca e assai umida, mentre la luce fioca proviene da lam-padine al sodio, che non emettono raggi ultravioletti e non danneggiano lo Champagne, che riposa in bottiglie trasparenti. Entrare nel grande vano della cava più profonda è quasi un’esperienza mistica: il pozzo è stato scavato a mano e le vene di ges-so assumono forme e disegni diversi. Il silenzio e l’isolamento creano intimità. Sembra di essere nella grotta di Aladino, dove il tesoro più prezioso sono i più vecchi millesimati, quelli del 1947.

VEUVE CLICQUOT PONSARDIN, UNA STORIA AL FEMMINILEAnch’essa di proprietà del gruppo LVMH dal 1986, la maison Veuve Clicquot Ponsardin nasce grazie a Philippe Clicquot, commerciante tessile con la passione dello Champagne, che nel 1772 apre un négoce de vin à l’enseigne Clicquot e ben presto esporta il vino all’estero. Nel 1798 si asso-cia con il figlio François, che si è appena sposato con Barbe-Nicole Ponsardin e che nel 1805 la-scerà vedova a soli 27 anni. Madame Clicquot, intelligente, determinata e lun-gimirante, assume la direzione dell’azienda e di-venta una delle prime donne imprenditrici dei tem-pi moderni. Nonostante le difficoltà causate dalle

guerre napoleoniche, nel 1810 produce il primo Champagne Mil-lesimato al mondo; nel 1811 una vendemmia straordinaria, attribuita al passaggio della “Co-meta di Napoleone”, favorisce la produzione del “Vino della Come-ta”; nel 1814 conquista il mercato russo e quasi non riesce a far fronte agli ordini; nel 1816 acquista appezzamenti

Le colline della Vallée de la Marne (pag. a fianco). Reims, Veuve Clicquot Ponsardin; Épernay, Maison de Castellane (in alto). Ay, Bollinger (sopra).

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di terreno oggi classificati grand cru; perfeziona la qualità degli assemblaggi; inventa la prima table de remuage per inclinare le bottiglie. Quando, nel 1866, la Grande Dame dello Champagne si spe-gne a 89 anni, lascia il segno: con una produzio-ne di 17 milioni di bottiglie all’anno, la maison è attualmente la seconda al mondo (dopo Moët & Chandon).Per visitare le Crayère del XII-XIII secolo, si scen-dono 75 scalini e si arriva a 35 m sottoterra. Nei 24 chilometri di cave e gallerie, dove è facilissimo perdere l’orientamento, ogni crayère ha un numero e, dal 1909, vengono affisse le placche comme-morative per chi ha lavorato in azienda per almeno 40 anni. Le luci coreografiche di diversi colori ben evidenziano i segni dello scalpello sulle pareti di gesso, gli archi squadrati nella pietra, le forme a piramide dei vani, le cataste di bottiglie allineate e polverose. Il tesoro dei tesori è custodito dietro le sbarre della Cripta d’Åland, che dal 2010 con-serva le bottiglie di Champagne del 1811 ancora buone da bere, ritrovate nel Mar Baltico, in una nave a 50 metri di profondità. La Scala dei Mille-simati, dal 1899 al 2006, riconduce in superficie il visitatore.

MAISON DE CASTELLANE, IL VISCONTE E LA BELLE ÉPOQUENella Valle della Marna, si può visitare, a Épernay, la maison de Castellane, fondata nel 1895 dal Vi-sconte Florens de Castellane, discendente di una delle più antiche famiglie di Francia. Quest’uomo marketing ante litteram sceglie come logo la croce rossa di Sant’Andrea, un omaggio allo stendardo del più illustre reggimento della regione. Sin dal 1902, con i primi disegni di Leonetto Cappiello, de Castel-lane sviluppa il mecenatismo dell’arte dei manifesti, mentre il suo prodotto si diffonde nella Parigi della Belle Époque. La sede della maison, che dal 1999 fa parte del gruppo Laurent-Perrier, è all’interno di un monumento storico, con una torre alta 66 metri, costruita nel 1905 da Auguste Toudoire.

La visita alle cantine, che si snodano sottoterra per 6 chilometri, con il corridoio più lungo di un chilo-metro, segue un percorso didattico con manichini e cartelli esplicativi. Nella luce fioca, ogni tanto, pare di vedere qualcuno con cui interloquire e, in-vece, è rigidamente bloccato nella sua funzione di cantiniere, imbottigliatore, ecc. L’itinerario museale risulta molto chiaro per chi non conosca le fasi di lavorazione dello Champagne.

BOLLINGER, LO CHAMPAGNE DI JAMES BONDVicino a Épernay, nel borgo di Ay, ha sede Bollin-ger, una raffinata azienda famigliare rimasta indi-pendente, fondata nel 1829 e resa particolarmente famosa dai film con James Bond. La maison rappre-senta soltanto l’1% del comparto, produce 3 milioni di bottiglie all’anno e si definisce un living museum dello Champagne. L’impresa nasce dall’associa-zione del nobile Athanase Hennequin, Conte di Vil-lermont, ufficiale di Marina promosso Ammiraglio durante la guerra d’indipendenza americana, con due rappresentanti di una casa di Champagne lo-cale, il capocantina Paul Renaudin e Joseph Bollin-ger, figlio di un nobile tedesco, specializzatosi nel commercio del vino. Insieme costituiscono une mai-son de commerce de Champagne. Joseph sposa nel 1837 Louise-Charlotte de Villermont, figlia del suo socio, e da allora si succedono in azienda cin-que generazioni di discendenti di questa coppia. A Georges Bollinger segue Jacques, che nel 1923 sposa la scozzese Elisabeth Law de Lauriston-Bou-bers, pronipote del co-fondatore della Compagnia delle Indie. Rimasta prematuramente vedova nel 1941, lei, conosciuta come Lily o Mrs Jacques, di-venta una delle grandi signore dello Champagne e un’icona di eleganza, dirigendo l’azienda per 30 anni, fino al 1971.La visita inizia all’esterno del palazzo residenziale di Lily, con il giardino vitato. Dopo un breve giro nelle vigne vecchie, si entra in diversi edifici del villaggio, che sembra fermo nel tempo, con i suoi

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colori pastellati, i cani che abbaiano in lontanan-za, i trattori, il profumo della campagna, i filari che salgono sulle colline fino al cielo. Davvero qui life can be perfect, secondo la filosofia della maison. Si possono vedere i 350 contenitori di acciaio per la microvinificazione, le oltre 3.000 botti antiche nelle quali i vini attraversano il tempo e il labora-torio del bottaio. Poi si scende sottoterra, tra -10 e -20 metri: nel labirinto segreto di 6 chilometri di gallerie riposano 700.000 bottiglie di Magnum (1,5 l), chiuse dal tappo di sughero e classificate villaggio per villaggio, vintage per vintage. Le spe-ciali cuvée e le riserve con i grand cru sono come una pittura, i cui colori cambiano continuamente.

POMMERY, L’AMORE PER L’ARTEVarcare a Reims il grande cancello con la scritta Pommery significa entrare in un’antica dimora, con edifici costruiti in stile neo-gotico elisabettiano. La maison, fondata nel 1836, nasce come Pommery & Greno nel 1856, dalla partnership di Alexandre Louis Pommery con Narcisse Greno, e ha come og-getto principale il commercio della lana. Quando, nel 1858, Alexandre si spegne, la vedova Louise Pommery si fa forza per i due figli e si dedica con grande passione alla produzione di Champagne, sviluppando i mercati esteri, valorizzando il mar-chio e puntando sul lusso.Nel 1874 fa ideare il primo brut millesimato della storia. Inventa il marketing diretto e le public rela-tion, organizzando per prima le visite all’azienda e alle cantine (oggi Pommery vanta 130.000 vi-sitatori all’anno). Attenta all’estetica del paesaggio urbano e amante dell’arte, Madame Pommery pre-corre la moda del mece-natismo imprenditoriale con donazioni pubbli-che e commissionando nel 1882 allo scultore Gustave Navlet quattro bassorilievi monumenta-li, ricavati direttamente nel gesso delle pareti delle cantine, un vero e proprio museo sot-terraneo. Dal 2002 la maison entra nel gruppo Vranken e il presidente Paul-Francois Vranken,

con sua moglie Nathalie, continua a sostenere l’arte contemporanea, organizzando esposizioni annuali all’insegna del colore blu dell’etichetta tradizionale.Con 116 gradini si accede al mondo fantastico delle cantine, a 30 metri sottoterra: 18 chilometri di gallerie, realizzate in 10 anni di lavori (1868-78), ognuna delle quali porta il nome di una città con-quistata come nuovo mercato, ospitano attualmente 25 milioni di bottiglie in affinamento e collegano 120 cave di gesso di origine gallo-romana. Qui, in ragione della mostra in corso, la visita è una con-tinua sorpresa ed è ricca di colpi di scena.

G. H. MUMM, UN MUSEO SOTTERRANEOLa maison Mumm è stata fondata a Reims nel 1827 dai tre fratelli tedeschi Gottlieb, Jacobus e Philipp, figli di Peter Arnold Mumm, discendente da una nobile famiglia risalente al XII secolo, che nel 1761 aveva istituito a Colonia un commercio di vini. Grazie al successore di uno dei fondatori, l’erudito e lungimirante Georges Hermann – le cui iniziali si leggono nel marchio –, la casa è carat-terizzata dal 1876 dal simbolo del cordone rosso intorno al collo della bottiglia e si chiama Cordon Rouge anche lo Champagne Mumm più famoso, blend di uve da più di 40 villaggi e annate di-verse. Anche qui l’anima dell’azienda, dal 2005 proprietà del gruppo Pernod Ricard, si coglie sotto-terra, dove a -14 m sono stati scavati, a partire dal 1827, 25 chilometri di gallerie, che ospitano un milione di bottiglie per chilometro. Il culmine della visita è la bottiglia più antica di Cordon Rouge, del 1893, custodita come un tesoro archeologico. Il percorso si conclude con il museo, una lunga

galleria scenografica, resa ancora più sugge-stiva dalle luci basse, che espone e docu-menta i diversi attrezzi della produzione dello Champagne. La storia, come sempre, predi-spone a comprendere ancora meglio la suc-cessiva degustazione e il valore della tradizione in un prodotto di eccel-lenza che caratterizza lo spirito francese.

Reims, Pommery; Reims, G. H. Mumm: la galleria- museo (pag. a fianco). Le visite guidate si concludono con una degustazione di Champagne (sopra).

emozioni

alessandro magnasco, il

pittore illuminatoUna mostra tra Parigi e Genova

celebra le opere degli ultimi anni di vita dell’artista genovese, collezioni

ed esposizioni nei musei internazionali.

P arigi è sempre stata un punto di lan-cio per Magnasco. Non stupisce quindi che i Musei di Strada Nuo-va a Genova, e il Museo Luxoro di

Nervi abbiano accettato l’invito insolito dell’anti-quario Maurizio Canesso, a prestare quattro dei più importanti quadri dell’artista genovese per la mostra monografica “Alessandro Magnasco (1667-1749). Gli anni della maturità di un pitto-re anticonformista” in corso alla Galerie Canes-so a Parigi fino al 31 gennaio. L’esposizione riunisce 24 dipinti eseguiti da Ma-gnasco in tarda età, una volta rientrato nella sua città natale dopo lunghi periodi a Milano e Firen-ze. “Si tratta di opere molto importanti” spiega Fausta Franchini Guelfi, studiosa per il pittore che aggiunge “Magnasco esprime un tratto illumina-to, riporta sulla tela le idee che ha sviluppato a Milano a contatto con gli intellettuali del tempo da Muratori a Maggi”. La mostra proseguirà poi a Genova dal 25 febbraio 2016, arricchita da due quadri tra cui il celebre “Funerale degli Ebrei”

oggi proprietà del Louvre realizzato per essere esposto in coppia con un’altra opera, “Omaggio a Plutone”. Entrambe le tele sono appartenute al collezionista veneziano Italico Brass per poi pas-sare nelle collezioni Basevi e Bagnasco. Il primo dubbio a sorgere in questa nuova colla-borazione pubblico-privato è di “etica museale”: “i musei francesi per legge non possono prestare opere a istituti privati” osserva Piero Boccardo di-rettore del Polo Museale di Strada Nuova. E in Italia? “È a discrezione della Soprintendenza. Noi abbiamo accettato spinti dalla serietà del proget-to, basti pensare che i dipinti sono selezionati da Fausta Franchini Guelfi, massima autorità per Magnasco. E poi c’è un precedente importante, Canesso ha esposto anni fa le nature morte na-poletane del Museo di Capodimonte”. Continua Boccardo, senza nascondere un certo entusiasmo all’idea di riportare Magnasco a Palazzo Bianco. E spiega: “la prima grande mostra è stata nel 1949, per la riapertura di Palazzo Bianco risarcito dei danni bellici e rinnovato nell’allestimento. Que-sta iniziativa cade proprio alla conclusione dei nuovi lavori che, nel rispetto dell’esistente, hanno

visioni

41 La cioccolata, olio su tela, cm 57x73. Coll. part.

di roberta olcese

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adeguato e potenziato le prerogative espositive”. L’esposizione si avvale di opere uniche per qua-lità, realizzate dopo gli anni ’20 del ‘700. A partire dal famoso “Trattenimento in un giardino di Albaro”, un’opera singolare per le dimensioni, quasi due metri di lunghezza per un’altezza di 86 cm. In occasione della mostra è stata adat-tata una cornice coeva al quadro, è una novità come spiega Boccardo: “dagli archivi di Palaz-zo Bianco risulta che il quadro sia sempre stato esposto solo con il listello che gli ha dato un forte significato di critica sociale, mostra una società decadente e in crisi. La luce della cornice oggi lo ammorbidisce.” Boccardo ha studiato a lungo il quadro tanto da individuarne il committente, Agostino Saluzzo, personaggio illuminato che ha permesso all’artista di usare toni così anticipatori e critici nella prospettiva presa da Villa Paradiso.

Ma qual è la grandezza di Magnasco, la qualità che lo rende pittore internazionale, cercato da col-lezionisti raffinati ed esposto nei musei fin dalla fine del XIX secolo? “Magnasco raggiunge, soprattutto nelle opere tardive, vie straordinarie di stile pittori-co, affronta iconografie uniche in pittura”, rispon-de Franchini Guelfi.Non tutti amano la schiettezza dell’artista capace di usare colori poco brillanti, descrivere soggetti volga-ri, mostrare frati che si spulciano. ”Ci vuole un gusto raffinato per apprezzarlo”, dichiara lapidaria la stu-diosa e il suo pensiero va ad Angelo Costa, colle-zionista illuminato che comprò due allegorie tardive di Magnasco: “Riposo di Diana fra rovine architetto-niche e “Riposo di Sileno fra rovine architettoniche” che poi nel 1978 sarebbero state acquistate da Banca Carige. “Era un grande collezionista sono andata a trovarlo nel ‘66 quando facevo la tesi su

Magnasco, gli ho sem-plicemente telefonato e lui con schiettezza mi ha ricevuto in un intero ap-partamento adibito per i suoi quadri, una pina-coteca straordinaria di pittura genovese del Sei-cento e del Settecento”, conclude la studiosa.

emozioni

Trattenimento in un giardino d’Albaro, olio su tela, cm 86x198x3. Genova Palazzo Bianco.

Il furto sacrilego, olio su tela, cm176x236,5. Milano, Quadreria Arcivescovile.

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MAURIZIO CANESSOGALERIE CANESSO Parigi - LuganoAntiquario

Quali sono i pittori genovesi sul mercato internazionale?Solo alcuni pittori sono conosciuti e Alessandro Ma-gnasco è tra questi insieme a Bernardo Strozzi, Vale-rio Castello, il Grechetto. E poi Luca Cambiaso, un genio della pittura del Cinquecento, è stato lanciato dal collezionista americano William Suida.

Ci sono molte opere genovesi sul mercato internazionale?Si, gli artisti hanno sempre viaggiato. Tanti stranieri sono andati a Genova e hanno comprato, poi, al ritorno, hanno portato indietro molte tele.

Cosa cercano i collezionisti?L’attenzione non si basa sul pittore ma sulla qualità pit-torica del dipinto. Tutto dipende dal singolo oggetto e non dal nome.

E Magnasco?Il suo percorso è diverso dagli altri, non ha avuto una carriera genovese. Ha trascorso parte della sua vita a Milano, solo alla fine è ritornato a Genova e ha dipinto queste opere meravigliose che esponiamo.

Perché è apprezzato?Fa piacere come muove il pennello, esprime i concetti in modo sapiente, anche se i soggetti dei suoi quadri dipendevano dai desideri del committente. Queste opere andavano sempre su un chiodo, mai in giro per il mercato.

GUIDO WANNENESCASA D’ASTE WANNENES Genova - Milano - RomaAmministratore delegato

Quali sono i pittori genovesi sul mercato?I nomi più importanti sono quelli di Bernardo Strozzi e Gregorio De Ferrari.

E Alessandro Magnasco?Più che pittore genovese, Magnasco è considerato un pittore di respiro internazionale, basti pensare che il più grande collezionista Italico Brass era veneziano.

Cosa cercano i collezionisti?Oggi tutto dipende dalla qualità, la linea del mer-cato internazionale vale anche per l’Italia: meglio il capolavoro di un minore che un’opera media di un grande artista.

Su quali artisti genovesi punterebbe?Penso a Gio Andrea De Ferrari, ancora sottostimato che in asta da noi ha superato i 200mila euro o un altro grande artista come Gioacchino Assereto.

Ci sono molte opere di pittori genovesi sul mercato in Italia?Ce ne sono ancora tante. Molto dipende dai legami familiari, in Sicilia è facile trovarne. E poi negli anni ’60, ’70 e ’80 i pittori genovesi sono stati collezionati anche fuori Genova.

E di Magnasco?Passa con buona frequenza, ma le opere che spicca-no sono poche. Ricordo che abbiamo venduto una “Scena di interno” per circa 100mila euro, se non fosse stata notificata avrebbe raggiunto facilmente i 200/250mila Euro.

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visioni

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arte e gioielli per un "invito

a palazzo" speciale

di bettina bush

Anello con zaffiri, diamanti e smeraldi di Cartier.

Tra eleganza e cultura la XIV edizione della manifestazione ABI, ha registrato

un nuovo record di visitatori alla sede di Banca Carige.

Circa trentacinque tonnellate di acciaio e ben venti serrature sincronizzate

non da uno, ma da tre orologi.

Q uesti i dati tecnici più importanti del-la spettacolare porta del caveau di Banca Carige che, in via eccezio-nale, è stata

aperta al grande pubblico lo scorso 3 ottobre per “In-vito a Palazzo”.Un appuntamento arrivato alla XIV edizione per cele-brare la giornata naziona-le dell’Associazione Ban-caria Italiana, occasione in cui mostrare il prezioso patrimonio, soprattutto ope-re d’arte, delle banche ita-liane. “È un’iniziativa a cui aderiamo dalla sua nascita non solo qui a Genova ma anche a Milano, dove in Banca Cesare Ponti il pub-

blico può ammirare un’opera importante di Hayez, Maria Stuarda che sale al patibolo, e a Palermo, nel Palazzo del Monte di Pietà - spiega con grande

soddisfazione il Presidente di Carige, Cesare Castel-barco Albani. A Genova per questa occasione ab-biamo deciso di aprire anche il nostro caveau, un luogo con caratteristiche veramente particolari, in una mostra in cui dialoga-no i nostri gioielli di arte e cultura con gioielli veri. È un’iniziativa che definirei una forma di umanizzazio-ne della banca, in cui mo-striamo i luoghi del nostro istituto normalmente meno accessibili”.

emozioni

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Qui per un giorno hanno brillato alcuni dei gioielli più famosi del mondo, raccolti nella mostra “Arte ed eleganza. Importanti gioielli da Christie’s Gine-vra”, 28 lotti, oggetti unici, per i materiali preziosi, per il design e per la loro storia, selezionati dalla famosa casa d’aste Christie’s prima di esser battuti a Ginevra il 10 novembre. Un evento importante che ha superato i 110 milioni di dollari di vendite, stabilendo anche un record grazie ai 28 milioni di dollari per un solo lotto, il Pink Diamond, un diamante rosa di 16 carati, venduto a un privato di origine asiatica, che lo ha voluto battezzare Sweet Josephine. L’anteprima di Genova è stata seguita da oltre milleseicento visitatori, entrati nel caveau in piccoli gruppi di una cinquantina di persone, segnando un altro record di presenze per Invito a Palazzo, che quest’anno per Gruppo Carige ha registrato un aumento di pubblico del 55% rispetto al 2014. Numeri raggiunti anche per la voglia di conoscere questo spazio pensato e costruito per essere uno dei posti più sicuri, a una ventina di metri sottoter-ra, con vicino solo il mare, per custodire tra le sue

pareti più di 6 mila cassette di sicurezza, simili a un mosaico che al posto delle tessere presenta tan-te scatole, da quelle più piccole, di pochi centime-tri, fino alle grandi, oltre due metri. Un luogo dove si respira un’atmosfera lontana dal normale scorre-re del tempo, dove le giornate sono scandite solo dalla chiusura e dall’apertura di quella immensa porta arrivata a Genova negli anni Sessanta diret-tamente dalla ditta che l’aveva costruita, la famosa Lips Vago di Milano, dopo un viaggio di una venti-na di ore per percorre poco più di cento chilometri e ancora oggi una delle blindate più grandi in Ita-lia, realizzata per proteggere e separare il grande salone ottagonale dal resto del mondo. Presenti in mostra per l’occasione alcune delle fir-me più famose della storia del gioiello. Basta no-minare Cartier con la famosa pantera voluta dalla Duchessa di Windsor e diventata uno dei simboli della maison, questa volta disegnata per un anello con zaffiro, smeraldo e diamanti dal valore di 80 mila euro; poi Bulgari, Van Cleef & Arpels, solo per citarne alcuni, che hanno firmato oggetti del desiderio di indiscussa eleganza mista a un alone

Da sinistra: gioielli con diamanti. Spilla, orologio e orecchini di Cartier.

visioni

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di grande fascino che resiste agli umori tempo: “Oggi l’Italia non è un paese di grandi compratori anche se in Italia si trovano ancora le cose più belle che vanno in asta - spiega Tiziana Appetiti di Christie’s - si tratta di gioielli importanti che arrivano dalla cassaforte e non dalla vetrina, che conservano una grande storia alle spalle. I gioielli per esser considerati importanti oggi devono ave-re almeno una di queste caratteristiche: unicità, qualità e firma, se poi le hanno tutt’e tre insieme, allora rappresentano un bene rifugio eccellente, con un valore destinato ad aumentare nel tempo: ce ne saranno sempre meno, saranno meno di-sponibili e diventeranno sempre più ambiti”. Og-getti preziosi, spesso realizzati con pietre rare per purezza e dimensione, che poi custodiscono sto-rie di persone non comuni; molti di questi accom-pagnati da passaggi di proprietà quasi segreti, o da lunghi periodi di silenzio per poi ritornare rintracciabili, spesso con nuovi proprietari. Identi-tà complicate che in alcuni casi li rendono pezzi veramente unici. Basta guardare gli orecchini art deco, di Cartier, con diamanti di 3 carati, prove-nienti dalla collezione personale della Principessa Salimah Aga Khan, valutati oltre 50 mila euro. Oppure l’anello con uno zaffiro birmano sui 48 carati, non scaldato, un’altra rarità, questo stimato sui 500 mila euro. Ancora più alto, oltre il milio-

ne di euro, il valore di una coppia di orecchini pendenti con diamanti della migliore qualità, re-alizzata dall’italiana Massoni, anche il lotto più caro esposto a Genova. Tra i più spettacolari un bracciale di diamanti di Bulgari, dopo anni Cin-quanta che si può scomporre e ricomporre per un doppio uso, per diventare un paio di orecchini e una spilla, questo sui 145 mila euro. Indispensa-bile, per una serata veramente particolare di altri tempi, la preziosa borsetta da trucco di Ventrella, 700 grammi in oro e pietre preziose, diamanti e zaffiri, stile anni Quaranta che seguono un delica-to motivo floreale. Aperta rivela uno specchio e sei piccoli compartimenti, tutto per circa 11 mila euro. Poi orecchini e anello di smeraldi colombia-ni con design di De Grisogono che superano i 100 mila euro. Sempre De Grisogono per l’anel-lo con diamante di oltre 7 carati sui 360 mila euro. Quasi 500 mila euro per il girocollo fatto da cinque fili di perle fatti rispettivamente da 97, 94, 92, 90 e 87 perle naturali ordinate pazien-temente per grandezza, con chiusura in diamanti che supera i 400 mila euro. Per non parlare degli orecchini di Bulgari, smeraldi e ametiste circon-dati da diamanti, da 35 mila euro. Essenziale, la croce di inizio Novecento realizzata con 11 diamanti sui 27 mila euro, un esempio di quando la semplicità diventa grande eleganza.

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CARRARA E SAVONA: DUE POLISTRATEGICI PER LO SVILUPPO

DEL GRUPPO BANCA CARIGE

G li ultimi mesi del 2015 hanno visto l’attuazione del progetto di incorporazione delle Casse di Risparmio di Savona e Carrara nel Gruppo Banca Carige. La fusione nella Capogruppo delle due Controllate rientra nel programma di razionalizzazione ed

efficientamento strutturale delineato dal Piano Industriale 2015-2019. Con l’operazione di aggregazione, le sedi di Savona e Carrara diventeranno rispettivamente Le Direzioni delle nuove Aree Territoriali Ponente e Levante di Banca Carige, estendendo le proprie competenze territoriali anche alle province di Imperia, per il Ponente, e di la Spezia e dell’area del Tigullio, per il Levante. Il Gruppo Banca Carige ribadisce, quindi, la centralità dei poli di Carrara e Savona nell’am-bito delle proprie strategie di sviluppo. Con le nuove direzioni Ponente, sovrintesa da Alessio Berta, e Levante, diretta da Graziella Bonacini, le due sedi raddoppiano in pratica il numero delle filiali coordinate, con un ampliamento dei territori di pertinenza che consente di valoriz-zare le professionalità esistenti. La razionalizzazione dei costi di struttura realizzata grazie all’operazione di fusione, col rag-giungimento di economie di scala ottimali, consentirà il rilancio commerciale dei marchi Cassa di Risparmio di Savona e Cassa di Risparmio di Carrara. Questi continueranno a contraddistin-guere le agenzie e la cultura operativa delle due reti nel tradizionale impegno a sostegno delle imprese e famiglie del territorio. Il supporto diretto delle strutture centrali di un grande gruppo bancario comporterà un miglioramento del servizio offerto alla clientela in termini di tempi e costi per l’erogazione del credito nonché di fruibilità dei servizi della banca. La Casse di Risparmio di Carrara e di Savona proseguono quindi oggi la propria storia in una nuova veste, determinata dal cambiamento epocale che ha investito il sistema bancario negli ultimi anni, e, a oltre 170 anni dalla fondazione, iniziano una nuova vita affrontando le sfide del futuro più forti ed efficienti.

BANCA CESARE PONTI ESTENDE I SUOI SERVIZI

DI “PRIVATE BANKING” ALL’INTERO GRUPPO BANCA CARIGE

B anca Cesare Ponti sarà il polo private per tutto il Gruppo Banca Carige. Lo ha deciso il Consiglio di Amministrazione della Capogruppo che ha varato nel mese di ottobre il nuovo Piano Industriale che prevede l’estensione a tutta la clientela private

dei servizi finanziari offerti dalla propria Controllata alla propria clientela primaria, principal-mente nell’area lombarda.

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Il progetto punta ad offrire a tutti coloro che affidano il proprio patrimonio al Gruppo Banca Carige una consulenza sempre più focalizzata, e ad alto valore aggiunto, necessaria per af-frontare la crescente complessità dei mercati finanziari. Tutti i clienti private avranno così la possibilità di accedere ad un servizio di consulenza a 360 gradi, con prodotti ancor più personalizzati sulle proprie esigenze di investimento, una gamma di fondi molto più ampia tra cui poter scegliere e una serie di servizi aggiuntivi a livello di consulenza fiscale, immobiliare e per l’acquisto o vendita di altri beni d’investimento. Al loro servizio verranno insomma messe l’esperienza e le competenze di una boutique finanziaria che, con un marchio solido e prestigioso, opera da quasi 150 anni sulla piazza finanziaria più importante d’Italia.

Daniele Piccolo

DANIELE PICCOLO È IL NUOVO DIRETTORE GENERALE DI BANCA CESARE PONTI

N ell’ambito del progetto di valoriz-zazione delle attività di private banking, definita dal Piano Indu-

striale recentemente ap-provato, il 1° dicembre il Consiglio di Ammini-strazione della Banca Cesare Ponti, su con-forme designazione di Banca Carige, ha no-minato Daniele Piccolo, Direttore Generale.Piccolo, 52 anni, ha ri-coperto ruoli di vertice nel settore. Dal 2007 ha ricoperto il ruolo di Condirettore Generale di Banca Albertini Syz con la responsabilità del ser-vizio di private banking. La maggior parte della

sua carriera si è svolta nel Gruppo Credito Emiliano dove, prima del passaggio in Ban-ca Albertini Syz, era Vice Presidente di Ban-ca Euromobiliare (Suisse) SA, Amministratore Delegato di Istifid Spa e responsabile del-le Relazioni Esterne e Investor Relations del Gruppo Credem.Il nuovo Direttore Generale ha sostituito l’Amministratore Delegato Claudio Gar-giullo, a cui è andato il ringraziamento del Consiglio di Amministrazione per l’impe-

gno profuso nella defi-nizione delle linee stra-tegiche del nuovo Piano Industriale di rilancio della Banca.Gargiullo conserva la carica di Consigliere di Amministrazione di Ban-ca Cesare Ponti, oltre a quella di Chief Com-mercial Officer di Ban-ca Carige, con ruolo di coordinamento commer-ciale delle Controllate del Gruppo (ivi compre-sa Banca Cesare Ponti), e di Direttore Generale di Banca Carige Italia.

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UN NUOVO“CENTROPRIVATE”

A CHIAVARI

U n nuovo “Centro Pri-vate”, dedicato alla primaria clientela del

Tigullio, è stato inaugurato lo scorso 6 ottobre a Chiavari. A fare gli onori di casa nella nuova sede di Corso Dante, 24, è stato il Presidente di Ban-ca Carige, Cesare Castelbarco Albani, che ha salutato il Sinda-co di Chiavari Roberto Levaggi e numerose Autorità cittadine.I nuovi locali sono frutto di una scelta strategica che vede nel segmento private una delle leve prioritarie di sviluppo. Da qui la decisione di offrire alla cliente-la selezionata del Chiavarese, territorio di profondo radica-mento per Banca Carige, uffici confortevoli e riservati, in grado di creare un clima ottimale per fornire una consulenza appro-fondita e qualificata. In occasione dell’inaugurazio-ne, nei locali del nuovo centro private è stata allestita anche una mostra fotografica dal ti-tolo “Sguardi sul mondo” che raccoglie scatti di Luca Nicolac-ci, Monica Devoto e Graziella Gianelli, dipendenti della Ban-ca con capacità artistiche non comuni, che hanno immortalano volti e sguardi da varie parti del mondo in una galleria di ritratti particolarmente suggestiva.

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IL PRESIDENTE DELL’ABIIN VISITA ALLA SEDE

DI BANCA CARIGE

I n occasione della sua presenza a Genova, lo scorso 18 novembre, il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Antonio Patuelli, ha visitato la sede di Banca Carige, su invito del Presidente Cesare

Castelbarco, accolto dai consiglieri di Amministrazione e dai sindaci di Banca Carige. Con affabilità e disponibilità, il Presidente dell’ABI si è inoltre intrattenu-to con la stampa e le televisioni, rispondendo alle numerose domande riguardanti i temi che in questo periodo il sistema bancario italiano è chiamato ad affrontare.

Da sinistra: Cesare Castelbarco Albani, Presidente di Banca Carige,con Antonio Patuelli, Presidente dell’ABI.

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“IL VOLO DELLA MENTE,

LA LEGGEREZZA DEL VIAGGIO”

È il titolo della mostra di Rossella Gilli, curata da Fortunato D’Amico e Maria Flora Giubilei e promossa da Banca

Carige presso la Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi.Alla cerimonia inaugurale del 21 novembre, presentata dai curatori, dalla Dirigente del Set-tore Musei e Biblioteche del Comune di Geno-va, Cristiana Benetti Alessandrini e dal Diret-tore Mercato di Banca Cesare Ponti, Mauro Ferrero, hanno partecipato oltre un centinaio di appassionati che hanno potuto apprezzare in anteprima i circa cinquanta tra dipinti, scul-ture e gioielli, opera dell’artista milaneseStorica dell’arte con un passato di gallerista specializzata in grafica antica, Rossella Gil-li trasferisce su grandi tele e su fogli di carta

impressi da lastre corrose le sue conoscenze tecniche e la capacità di decodificare i segni artistici di antichi pittori e scultori per racconta-re l’energia e la forza primitiva della natura. Il suo dialogo con le opere della Galleria d’Arte Moderna comincia con un omaggio a Geno-va. Della città sceglie un’icona della contem-

poraneità ideata da Renzo Piano per gli spazi del Porto Antico: la biosfera, sorta di gigante-sca incubatrice per vita vegetale e animale la cui trasparenza non nasconde il Matitone.La mostra, allestita con ordine progressivo sui tre piani del museo, si snoda tra evocazioni di grattacieli, musei, stazioni, guglie, minareti e luoghi sacri per antichità e per spirito (dal Colosseo alla basilica di San Marco, da No-tre Dame alla moschea dei Librai) rivelando le essenze cromatiche sprigionate dagli elementi primordiali di quei luoghi per poi liberarle in potenti visioni simboliste. Da Parigi a Milano, da Marrakech a New York sino alle periferie d’Oriente, i luoghi ritrat-ti hanno un’espressività frugale e intensa che appartiene al movimento dinamico di questo tempo e che rappresenta senz’altro l’aspetto più apprezzato di questo viaggio leggero che Rossella Gilli compie nel Galleria genovese.

Rossella Gilli. Sullo sfondo il suo dipinto: Genova, 2015. Olio su tela, 180x230 cm.

Tour Eiffel (Parigi ) 2009. Olio su tela, 150x130 cm.

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ETTORE DE CONCILIIS

A ROMA

L a sede romana di Banca Carige Italia, in via Leonida Bissolati 59, ospita una selezione di quadri del pittore Ettore De

Conciliis. Le sue pitture sono legate al paesag-gio, filtrato da un’interpretazione intimista dell’ar-tista nell’osservare la natura, soggetto a lui molto caro, così come gli è cara la natura umana. Il De Conciliis fa sua “la bellezza salverà il mondo”, celebre espressione di Dostoevskij, aggiungen-do che “anche l’uomo deve fare la sua parte per salvare la bellezza”. Un segno tangibile di questo impegno è anche la possibilità offerta al pubblico di poter apprezzare da vicino il lavoro degli artisti. Nel corso dell’inaugurazione della mostra, i numerosi ospiti intervenuti hanno potuto complimentarsi personalmente con l’artista, nella splendida cornice della terrazza della sede, af-facciata sulla Città Eterna.

“SICILIADA AMARE”

U na finestra affacciata sull’infinito è l’im-magine che Banca Carige Italia ha scelto per promuovere la mostra “Sici-

lia da amare: il volto di un’umanità”, ospitata nei locali della storica sede di Palermo in piazza Monte di Pietà. Tra le tante opere di pregio sele-zionate da Chiara Modica Donà delle Rose, la foto di Rosa Mundi ci ha colpito immediatamen-te per la sua capacità di raffigurare un territorio che abbraccia culture diverse e le integra in una sintesi originale. È questa tensione verso l’infinito, con l’obiettivo aperto verso prospettive in fuga, nel tentativo di superarsi, che colpisce in questa rassegna fotografica. In essa il mare, la natura, le architetture, la gente di Sicilia sono i protago-nisti di un racconto che parla di mondi lontani e allo stesso tempo presenti, di una dimensione fantastica che diventa concreta in un’isola che unisce, e nella sua solarità attira, due Continenti. Le opere di Rosa Mundi, Giovanni Chiaramon-te, Sebastiano Favitta e gli schizzi architettonici

di Vito Corte nella loro raffinatezza e originalità esprimono così i sentimenti più profondi di questa terra che si identificano, come suggerisce il titolo scelto per la mostra, col senso autentico dell’uma-nità. La mostra che Banca Carige Italia ospita a Palermo ci parla quindi di qualcosa di profondo e di vero, di sentimenti e valori di cui oggi si sen-te un profondo bisogno, nell’arte come in ogni campo dell’agire umano.

“Viaggiatori solitari” di Rosa Mundi.

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L A RIFORMA FISCALE: AVVIO DI UN PERCORSO

O PROMESSA MANCATA?

Nell’auditorium della Sede di Confindustria Ge-nova, il 17 novembre scorso, Banca Carige in collaborazione con l’Associazione Italiana Gio-vani Avvocati, Confindustria Genova e gli Ordini Professionali degli Avvocati e dei Commercialisti ha organizzato un convegno dal tema: “La Ri-forma fiscale: avvio di un percorso o promessa mancata?”. Illustri relatori come il Professor Ma-rongiu, il Professor Mucciarelli, l’Avvocato Man-zitti, l’Avvocato De Capitani, l’Avvocato Mereu, il Dottor Valdata e il Dottor Scala della Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate hanno af-frontato un tema di estrema attualità. Il contesto

sociale, economico e amministrativo in cui le imprese si trovano ad operare sta attraversando un’importante trasformazione e anche la normati-va tributaria viene interpellata sulle tante esigen-ze che emergono dal tessuto economico. Il tema delle riforme è pertanto di grande attualità non solo nell’ambito istituzionale ma anche in quello fiscale dove le ultime misure legislative puntano a cogliere e interpretare alcuni segnali provenienti anche dal mondo produttivo.

I GIOVANI DI CONFINDUSTRIAGENOVA INCONTRANO

CARIGE

Il 3 novembre scorso nel salone di rappresentanza di Banca Carige, il Presidente Cesare Castelbarco

Sede di Confindustria Genova, sala auditorium.

Gruppo Giovani di Confindustria, nel salone di rapppresentanza di Banca Carige.

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P ORTE APERTE ALLA FILIALE DI PADOVA PER GLI

AUGURI DI NATALE

Nella serata di giovedì 17 dicembre 2015, la filiale di Padova ha aperto le porte alla clientela per un originale scambio di auguri nei locali solitamente adibiti alle operazioni bancarie e finanziarie.

Ad accogliere i numerosissimi partecipanti c’e-rano, oltre alla direttrice Luigina Baratti con tutti i suoi collaboratori, la soprano Stefania Miotto accompagnata al pianoforte da Silvia Carta. Nel corso della piacevole serata la Miotto si è esibita in famose arie operistiche e da altri brani popolari e della tradizione natalizia. I cambi d’abito della soprano hanno imprezio-sito l’esibizione e affascinato il pubblico che ha brindato in filiale all’avvicinarsi del Natale.

La filiale di Padova e la soprano Stefania Miotto a destra.

Albani ha risposto ai quesiti di sessanta giovani im-prenditori liguri sul ruolo dell’istituto di credito e sul sostegno della banca alle imprese.Un’occasione importante ed unica di confronto fra la banca e i giovani con le loro idee innovati-ve in un ambito un po’ diverso dal solito, seguen-do un “format” che prevede un dialogo informale.

I MPRESA AGRICOLA,IMPRESA GIOVANE

Il 15 dicembre la Confederazione Italiana Agri-coltori – Sezione Liguria, ha organizzato un convegno in Banca Carige a Genova, dedica-to ai giovani che si avvicinano all’agricoltura.

L’incontro aveva lo scopo di fornire ai giovani imprenditori una prima informativa sulle caratte-ristiche necessarie per accedere al fondo di un milione di euro stanziato dalla Comunità Euro-pea per questo settore.All’incontro sono intervenuti in rappresentanza di Banca Carige Stefano Vallerga e Luciano Musumeci dell’Ufficio Prodotti e Pricing che hanno sottolineato come il Gruppo Banca Cari-ge da tempo ha predisposto una linea di servizi dedicati all’imprenditore agricolo.Grazie alla capillare rete di vendita del Gruppo, i clienti possono trovare facilmente un riferimento per la consulenza su tali finanziamenti, sia per quanto riguarda le esigenze di liquidità più a breve termine, sia per prodotti più strutturati, a medio termine, con tasso di mercato oppure a tasso agevolato da parte dello Stato.

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di guido conforti

notizie in pillole

F ERRARI A WALL STREET

Dal 21 ottobre il titolo Ferrari è quotato alla Borsa americana di Wall Street, collocato a un valore iniziale di 52 dollari per azione. Dal 4 gennaio 2016 il titolo è quotato anche alla Borsa di Milano.

I TALIA PIU’ COMPETITIVA

La dodicesima edizione del rap-porto Doing Business della Banca Mondiale (dal titolo ‘Andare oltre l’efficienza’) porta buone notizie per l’Italia, che migliora il proprio ranking di competitività rispetto agli altri Paesi. Doing Business misura 11 aree di interesse per lo sviluppo di attività economiche, che riguardano la fase di avvio di un’impresa, i permessi di costru-zione, le registrazioni immobiliari, i costi dell’energia elettrica e del credito, la tutela degli investitori di minoranza, l’imposizione fiscale, il commercio internazionale, il rispetto dei contratti e la regola-zione delle insolvenze. Il mercato del lavoro è monitorato dal Rap-porto, ma non è compreso nel calcolo del ranking.Nel Rapporto 2015 l’Italia risa-le dal 65° al 56° posto, grazie soprattutto ai miglioramenti inter-venuti nella legislazione vigente per l’avvio di nuove imprese (procedure, tempi e costi) e nel-la tutela dei soci di minoranza.

E XPO BAROMETRO

Dal 5 giugno al 31 ottobre, ExpoBarometro ha misurato quo-tidianamente la social experien-ce di Expo, ovvero le reazioni esplicite alla visita dell’evento così come emerge dai post pub-blicati in lingua italiana dai visi-tatori su Twitter ogni giorno.

Dopo una prima fase caratteriz-zata da un trend altalenante, è progressivamente emerso un at-teggiamento positivo, cresciuto man mano che le persone hanno avuto modo di visitare il sito espo-sitivo (valore di ExpoBarometro a giugno: 72,2; luglio: 76,2; agosto: 78,9), fino a settembre (76,1). Ad ottobre, in prossimità della chiusura di Expo, si è veri-ficata una ripresa, in cui la mag-gior parte dei giorni si registrava-no valori superiori ad 80.Prendendo in considerazione i giorni della settimana, comples-sivamente il venerdì ha fatto re-gistrare valori di ExpoBarometro più positivi (78,6), mentre il mar-tedì e la domenica registrano i valori più negativi (tra 74 e 75). Per quanto riguarda i picchi regi-strati da ExpoBarometro, i giorni che hanno fatto registrare valori più positivi sono stati il 28 luglio (84,0) in cui è stato presentato il calendario della Serie A, il 18 agosto (84,1) in concomitanza con la festa del gelato, il 2 otto-bre (86,1) con l’Hip Hop Night e e il 16 ottobre (85,5) in cui si è celebrato il World Food Day con la presenza del presidente Mattarella e del segretario ge-nerale dell’Onu Ban Ki-moon. I valori meno positivi si sono re-gistrati in concomitanza della presenza di personaggi famosi, quali Vladimir Putin (63,3), Mi-chelle Obama (53,1) ed Elisa (54,9), probabilmente a causa dei disagi dovuti alle misure di sicurezza adottate, e del giorno di chiusura, il 31 ottobre (40,7) a causa della nostalgia e del-la tristezza per la conclusione dell’esposizione.

F UN ZONE

L’americana Activision, azienda leader nel mercato dei videogio-chi, ha rilevato la King Digital Entertaiment dell’imprenditore ita-

liano Riccardo Zacconi per 5,9 miliardi di dollari. Candy Crash, il gioco più popolare della King, ha 480 milioni di giocatori attivi ogni mese ed è la terza commu-nity più grande al mondo dopo Facebook e Youtube.

S EMPRE PIÙ CITTADINI EXTRACOMUNITARI

Al 1° gennaio 2015 i citta-dini extracomunitari regolar-mente presenti in Italia erano 3.929.916, con un aumen-to di 55mila unità (+1,4%). I paesi più rappresentati sono: Marocco (518.357), Albania (498.419), Cina (332.189), Ucraina (236.682) e Filippine (169.046). Tuttavia, si registra una lieve flessione del numero di nuovi permessi di soggiorno concessi: durante il 2014 ne sono stati rilasciati 248.323, circa il 3% in meno rispetto al 2013, con forte contrazione per i motivi di lavoro. In calo gli ingressi delle donne (-14%) men-tre, al contrario, sono in aumen-to quelli degli uomini (+7,5%).A raddoppiare in termini assoluti sono invece i permessi per asilo e protezione umanitaria, passati da 19.146 a 47.873. In termi-ni relativi arrivano a rappresen-tare il 19,3% dei nuovi ingressi.Molto forte la componente gio-vanile: i minori stranieri rappre-sentano il 24% dei cittadini non comunitari regolarmente sog-giornanti.

N EGOZIO AMAZON

Amazon non è più esclusivamen-te on line. A Seattle ha aperto una libre-ria in cui si trovano i libri che in base alle richieste del mercato registrate sulla piattaforma ri-scuotono le preferenze dei lettori sul territorio.

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Vuoi acquistare casa, ristrutturarla o portare il tuo mutuo in Carige? È il momento di farlo grazie agli spread dei mutui Carige. Se vuoi comprare casa, c�è Carige Mutuo Migliorcasa con spread a partire da 1,10%. Se vuoi ristrutturare casa c�è Carige RistrutturaFacile con spread 0,99%. Chiedi una consulenza in �liale, Carige ha la soluzione per te.Messaggio pubblicitario con �nalità promozionale. Condizioni valide �no al 29/02/2016, salvo esaurimento plafond. Per le condizioni contrattuali occorre fare riferimento ai fogli informativi disponibili nei punti vendita del Gruppo Banca Carige e su www.gruppocarige.it. Questa comunicazione non costituisce un�offerta al pubblico. Carige Mutuo Migliorcasa "Carige Mutuo MigliorCasa", mutuo fondiario con vincoli di LTV massimo 50% (loan to value = rapporto tra importo �nanziato e valore dell'immobile accertato dal perito) e R/R massimo 25% (rapporto rata/reddito) rimborsabile in massimo 30 anni (360 rate mensili effettive). La concessione del �nanziamento è subordinata alla valutazione del merito creditizio. Esempio rappresentativo di mutuo a tasso variabile prima casa: importo totale del credito (importo �nanziato) 100.000 euro, durata 15 anni, parametro al 30.11.2015 (Euribor 3 mesi 360) - 0,100%, spread 1,350%, spese istruttoria 700 euro, spese perizia 270 euro, spese assicurazione incendio e scoppio 70 euro, spese incasso rata mensili 2,50 euro, imposta sostitutiva 0,25%, TAN 1,250%, TAEG 1,495%, rata mensile 609,55 euro. Esempio rappresentativo di mutuo a tasso �sso prima casa: importo totale del credito (importo �nanziato) 100.000 euro, durata 15 anni, parametro al 30.11.2015 (IRS 15 anni) 1,238%, spread 1,350%, spese istruttoria 700 euro, spese perizia 270 euro, spese assicurazione incendio e scoppio 70 euro, spese incasso rata mensili 2,50 euro, imposta sostitutiva 0,25%, TAN 2,588%,TAEG 2,863%, rata mensile 670,94 euro. Valori TAEG calcolati al 01/12/2015. Carige RistrutturaFacile Durata �no a 10 anni: IRS 10 anni+ spread 0,99 per i primi 36 mesi, poi spread 2,00 su Euribor 3 mesi o IRS (TAEG 2,195%) durata �no a 15 anni: IRS 15 anni+ spread 0,99 per i primi 36 mesi, poi spread 2,15 su Euribor 3 mesi o IRS (TAEG 2,455%) durata �no a 20 anni: IRS 20 anni+ spread 0,99 per i primi 36 mesi, poi spread 2,25 su Euribor 3 mesi o IRS (TAEG 2,604%). Le condizioni esposte sono soggette ai cambiamenti derivanti dal variare delle condizioni di mercato �no al momento dell'eventuale perfezionamento del contratto. L'eventuale concessione del mutuo è subordinata alla valutazione del merito creditizio da parte della banca. Il TAEG indicato è riferito all'intera durata del mutuo utilizzando il valore più elevato tra il tasso �sso dei primi 36 mesi e il tasso variabile della durata residua. Per il calcolo del TAEG sono state considerate le seguenti spese: spese istruttoria 500 euro, spese perizia 270 euro, spese assicurazione incendio 0,35 euro ogni 1.000 euro di valore dell'immobile assicurato (a carico del cliente qualora non già presente), spese incasso rata 2,50 euro, imposta sostitutiva 0,25% (2,00% nel caso di ristrutturazione di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze per i quali non ricorrano le condizioni cosiddette "prima casa"). Valori TAEG calcolati al 01/12/2015.