itweet L’analisi Seguedallaprima Io, minoranza perché non ... · IL_MATTINO - NAZIONALE - 39 -...

1
Time: 13/08/17 22:48 IL_MATTINO - NAZIONALE - 39 - 14/08/17 ---- 39 Lunedì 14 agosto 2017 Il Mattino Eugenio Montale Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo possiamo dirti, cio che non siamo, che non vogliamo. Ossi di seppia Silvio Perrella I due non dell’ultimo verso vanno in corsivo, non dimentichiamolo. Perchè in quelle due negazioni c’è lo spirito di un intero secolo: quello appena trascorso, quello che siamo abituati a chiamare Novecento. Non ti dico chi io sia; piuttosto argomento con precisione e disincanto chi non sono, cosa non voglio. Con questa poesia, Montale ha impostato la poesia del no. E l’ha avuta vinta. Solo qualche raro sì è stato pronunciato dopo di lui. Ma va detto che anche quel sì va messo in corsivo. i Io, minoranza perché non ho il tatuaggio Giuseppe Montesano F orse ho cominciato a capire quando dal polsino di quello che sembrava da tutti i segnali un distinto avvocato o un manager è spuntato un serpente gial- lo che ingoiava un topo dalla faccia di donna che gridava «Sì fammi male sì»; o forse quando la signora appena uscita da una chiesa, e che mi era sembrata matro- nale e serissima, ha girato il collo e ho visto sulla spalla una rosa gonfia come un cavolfiore; o forse quando la famiglia elegantissima che si è seduta al tavolino a fianco ha ordinato, e tutti e cinque, il padre cinquantenne, la moglie quaran- tenne e i figli di età varie, hanno lasciato spuntare da petti e spalle e colli e polsi e gambe una marea di macchie in forma di tigri zannute, di volti angelici, di manette che legavano cuoricini e di qualsiasi altra cosa che si possa tatuare nello spazio di una pelle umana. Quando è successo? Forse è un incu- bo? O sarà colpa del troppo caldo afoso e della troppa aria condizionata? Mi sfrego gli occhi, ma i tatuaggi non scompaiono: li vedo sui corpi di suore e maestre, di notai e giornalisti, di salumieri e mana- ger, e non vanno via. Mi sa che devo ac- cettare la cosa: e dichiararmi una riserva indiana, un essere in via di estinzione. Ci saranno posti dove mi accetteranno? Po- trò ancora bere il mio caffè rigorosamen- te caldo anche nell’afa? O il futuro mi pre- para locali in cui campeggerà il cartello con su scritto: «Non si accettano animali, gente che pensa e non tatuati»? Gesu, mi verrebbe da dire con la voce di Woody Allen doppiata da Lionello: Geeesù! C’è qualcosa di inquietante e di stonato, in questi corpi e in queste facce quotidiane su cui pesano come maschere primitive i tatuaggi: qualcosa che è difficile da capi- re. I disegni dei tatuati diventano sempre più grandi, e da segnali seduttivi e provo- cazioni che erano poco fa, diventano co- perte di un Linus aborigeno che però non va in giro nudo: ma con tacchi a spil- lo, short griffati e orologi a imitazione de- gli orologi a produzione limitata. Sono coperte o corazze, quei disegni? Spesso si estendono fino al limite del collo, e in certi casi fioriscono anche oltre quel limi- te, simili alla muffa che in un filmaccio di fantascienza di serie B ha lo scopo di im- padronirsi del genere umano sottomet- tendolo all’extraterrestre malvagio. Chis- sà! E mentre mi trattengo nel bar, strema- to dalle ipotesi e dalla scoperta di essere una minoranza della minoranza della mi- noranza, penso per un momento di con- vertirmi. Cerco di dirmi che i tatuaggi so- no pitture portatili, e che i colori sono bel- li: ma se poi penso al dover carezzare una pelle coperta da una muffa verdastra o giallina, e non teneramente e semplice- mente pelle, mi coglie una strana sensa- zione: brrr! Cerco di dirmi che i tattoo esprimono il bisogno di qualcosa di sel- vaggio in mezzo alla piattezza della vita irreale che facciamo, ma niente da fare: i quadri li preferisco attaccati alle pareti. Eh no, non ci riesco: la conversione al tattoo è rimandata. Resterò nella riserva indiana dei non tatuati forse tra pochissi- mo, guardato con sospetto come se fossi un nemico e sempre innamorato della pelle senza pittura in cui posso vedere quel che i sogni mi dettano e non lo spet- tacolo sempre uguale di un tatuaggio. Ma mentre sto per andarmene, ecco che entra un sogno materializzato: alta, slan- ciata, magnetica, i capelli nerissimi e lo sguardo profondo, e si siede al tavolino a fianco. Ha un tatuaggio sull’avambrac- cio, è vero, ma chi se ne frega! E poi, in fondo, è piccolo, anche in lettere greche, e mi incuriosisce. Mah: devo ripensarci, a questa cosa dei tatuaggi? In fondo un tatuaggio piccolo non darebbe fastidio, anzi sarebbe un elemento sorprendente, e poi non posso vivere sempre come una minoranza! E se mi facessi disegnare da qualche parte una cosetta originale? Eh, ma poi perché da qualche parte? I tatuag- gi belli si mostrano! Che faccio? Gesù, questo caldo è davvero un diavolo tenta- tore. E se mi tatuassi un grazioso, minu- scolo carpe diem? Non sarebbe male… © RIPRODUZIONE RISERVATA GiorgioLaMalfa C irca 10 anni fa, in seguito a una dissennata politica di prestiti immobiliari rischiosissimi da parte dellebancheamericane,partivada- gli Stati Uniti una crisi che per qual- che mese fece temere il collasso completo del sistema economico mondiale. Questo esito catastrofico venne fortunosamente evitato, ancheper la de- cisione del governo americano, dopo l’ini- zialeerroredi lasciarfal- lire una grande banca innestando una crisi di sfiducia generale, di so- stenere l’economia a qualsiasicosto attraver- so la spesa pubblica e la politicamonetaria. Ma il costodella crisi, in termini di disoccupazione, di impoverimento del ceto medio e diaumentodelle diseguaglianzeso- ciali,èstatoaltissimo. Loèstatopar- ticolarmente in Europa dove sono raddoppiati i tassi di disoccupazio- ne e sono stati necessari 10 anni per recuperare il terreno perso – ma non ovunque. Italia, Spagna, Gre- cia, Finlandia ed altri Paesi europei ancora scontano le conseguenze della crisi. Scampati al peggio, oggi molti tendono a considerare come un gran risultato il fatto che la crisi non è stata grave come quella del ’29. Ma questo è un modo per chiu- dere gli occhi e per non trarre alcu- na lezione dall’esperienza vissuta. Laprima lezione è che dovrebbe cadere l’illusione che il capitalismo siaunsistemain séstabile, cheèbe- ne lasciare funzionare senza troppe interferenze. Non è così: il mercato nonregolatoeprivodiun’autorevo- le guida da parte dello Stato tende a produrreondatediespansioneirra- zionale seguite da crisi profonde. Le istituzioni finanziarie sono il vei- colodiquesta falsaeuforia. Imerca- ti non sono onniscienti e non sono in grado di annullare i rischi. Servo- nocontrollielimitazionimoltorigo- rose che solo l’intervento pubblico può garantire. Invece di cercare di porre rimedio ai mali prodotti da unsistemaprivatoprepotente eavi- do, si continua a guardare all’azio- ne dello Stato come alla causa dei problemi. E invece di impegnarsi perché l’intervento pubblico fun- zioni meglio, si continua a auspica- re che il suo ruolo si riduca. La seconda lezione è che, lascia- to a se stesso, il sistema di mercato produceimmaniingiustizie, sianel- le fasi di espansione, sia nelle fasi di crisi. Esso produce disoccupazione e soprattutto determina una distri- buzionedeiredditisemprepiùsqui- librata.Dueannifasuscitòattenzio- ne il libro dell’economista francese Piketty che documentava che tutti i miglioramenti prodotti dalle politi- che sociali nella distribuzione dei redditi nel corso del ‘900 sono stati spazzativiadalcapitalismocontem- poraneo.Se neèdiscussoperunpa- io di mesi e poi si è tornati a parlare di altro. Nelsistemaattualeètroppo faci- le licenziare i lavoratori. E invece si continua ad auspicare la flessibilità dei mercati del lavoro. Sono troppo instabili gli investimenti privati per non richiedere maggiori investi- menti pubblici. E invece si conti- nua a chiedere di ridurre la spesa pubblica. Si enumerano gli sprechi pubblici ma si dimenticano le fab- briche che chiudono buttando sul- la strada i lavoratori, perché le ban- che hanno finanziato imprenditori incapaciotruffaldini dicuinonpar- la nessuno. Bisogna idolatrare il mercato, anche quando sbaglia. La distribuzione del redditi è sempre più ingiusta e invece di pensare di usare bene il sistema fiscale, si favo- leggia a destra e sinistra di una ali- quotaunica che ovviamente favori- rebbe soprattutto i redditi più alti. È rimasta solo la Chiesa a parlare di questi argomenti, mentre la politi- ca non se ne vuole e non se ne sa occupare. La terza lezione, la piùamarapernoieuro- pei, è che le istituzioni comuni sviluppate nel corso del secondo do- poguerra, dal mercato comunedegliAnniCin- quantaallamonetauni- ca del trattato di Maa- stricht, sono state asso- lutamente incapaci di fronteggiarelacrisi.Hanno predica- to e predicano tuttora le dottrine più sbagliate: il rigore della finanza pubblica, anche quando solo gli in- vestimentipubblici consentirebbe- ro di attenuare la disoccupazione e la flessibilità del mercato del lavoro anche quando le imprese cercano in tutti i modi di proteggere i profitti liberandosi della mano d’opera. La Commissione europea è ri- masta attaccata ai suoi parametri, accettandone qualche violazione pur di non affrontare il problema di fondoecioèchenonsipuògoverna- re un’area di 400 milioni di abitanti avendo come solo strumento il fre- no. Non ha saputo né restituire una certa flessibilità ai Paesi membri perconsentire lorodiaffrontare ali- vello nazionale i problemi della di- soccupazione, né assumersi essa un ruolo centrale di sostegno della ripresa. LaBancacentraleeuropea,crea- ta al momento passare alla moneta unica,inpienacrisipost2007,hafat- to, almeno fino al 2112, politiche chehanno accentuatola crisi:ha te- nuto alti i tassi di interesse ed ha ignorato i danni di una troppo alta quotazione dell’euro. Quando ha cambiato orientamento, lo ha fatto assai più tardi di altre banche cen- trali. Ha spinto la Grecia a chiudere lebanche per bloccarneogni vellei- tàdiautonomiadalleregoledell’eu- ro. Minaccerebbe di fare lo stesso contro chiunque osasse mettere in discussioneilconservatorismoeco- nomico e sociale su cui si fonda la filosofia europea. L’amara conclusione è che gli stati nazionali – non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Inghilterra – han- noreagito molto meglio delle istitu- zioni comuni europee la cui perfor- mance è stata pessima. Ciò vale in particolare per l’area dell’euro che doveva rappresentare il test più im- portante dell’utilità della più stretta unione fra i popoli europei. Dopo diche sonostateaccusate di“popu- lismo” le opinioni pubbliche che, al momento del voto, hanno segnala- to di non voler accettare le conse- guenze negative di queste politi- che. Sonostateapprese osonoincor- so di apprendimento queste tre le- zioni? Neanche per sogno. E dun- que,prima odopo si ripeteranno gli errori che hanno portato alla crisi del 2007. In forme diverse, ma si ri- peteranno, a meno che non si rie- sca a reagire con quello spirito col- lettivochedopoil 1929consentì i fa- mosimagnificitrentaannidisvilup- poediriequilibriosocialedelsecon- do dopoguerra. Ma allora gli Stati UnitielesseroFranklin DelanoRoo- sevelt,mentrenéinEuropanéinIta- lia si vede ancora una forza politica che sappia interpretare moderna- mente le lezioni della storia recen- te. © RIPRODUZIONE RISERVATA Perché in Europa le politiche anti-crisi non possono funzionare L’analisi Il divano c ommenti del Mattino FONDATO NEL 1892 Direttore Responsabile Alessandro Barbano Vicedirettore Federico Monga Uff. Redattore capo centrale Antonello Velardi (responsabile) Francesco De Core (vicario) Vittorio Del Tufo, Aldo Balestra, Antonella Laudisi Presidente e Amm. delegato Albino Majore Consiglieri Azzurra Caltagirone Alvise Zanardi IL MATTINO S.p.A. Sede legale via Barberini, 28 - 00187 Roma. Redazione, amministrazione, preparazione via Chiatamone, 65 - 80121 Napoli - Tel. 081/7947.111. Centro stampa Stampa Napoli 2015 srl, ASI Caivano, località Pascarola (NA). © Copyright IL MATTINO S.p.A. - Tutti i diritti sono riservati. Concessionaria di Pubblicità PIEMME S.p.A. via Arcoleo n.58 (palazzo Il Mattino) - 80121 Napoli, Tel.081/2473111 - Fax 081/2473220. Copie arretrate versione digitale: Tel.081/7947240. Registrazione Tribunale di Napoli al numero 338 dell’aprile 1950. Certificato ADS n.8143 del 06/04/2016 Segue dalla prima Anna Trieste S i tratta di replicare l’esperimento già fatto l’anno scorso, quando sul seafront più liberato del mondo venne piazzata una copia quasi identica del campanile della chiesa del Carmine ma nella sua versione nuova, quella avvolta dalle impalcature per il restauro, solo che al posto dei ponteggi teneva le “lu- celle” di Natale e almeno lui, al calar del- la sera, si illuminava. Ora, a prescindere dall’opinione estetica che ognuno può legittimamente avere sul manufatto, che esattamente come l’albero dell’an- no scorso avrà il compito di animare le serate dicembrine dei napoletani crean- do selfie, sorrisi, felicità e, si spera, posti di lavoro, la verità è che come ogni ogget- to fallico di grandi dimensioni, più che il “cuorno” gigante, a creare zizzania è l’atavica lotta tutta ideologica imperan- te da anni nell’intellighenzia napoleta- na tra chi Napoli la vuole cambiare e chi no. Non è una cosa tanto originale, eh; già Massimo Troisi e Lello Arena la mise- ro in scena, in “No grazie il caffè mi ren- de nervoso”, dove proprio in una lettera al Mattino veniva formalizzata da parte di “Funiculì Funiculà” la minaccia di morte nei confronti di chiunque si fosse azzardato a partecipare al primo Festi- val della Nuova Napoli. E le fazioni in campo oggi sono sostanzialmente le stesse di trentacinque anni fa: quelli che vorrebbero una Napoli più moderna, elegante e europea, e quelli cui invece Napoli va benissimo così se solo se si potessero risolvere quelle piccole sbava- ture dei trasporti che non trasportano e delle telecamere di sorveglianza che non sorvegliano quando si spara per la strada. I primi, in preda alla stessa furia ico- noclasta dei calvinisti, bollando il tutto come ignoranza, folklore e oleografia vorrebbero abolire tutto ciò che ha a che fare con la tradizione popolare e dun- que anche pizze, mandolini, babà e san- gennari, salvo poi tenere ben cucito nel- la cravatta di Marinella un “curniciello” di vero corallo perché essendo dei veri intellettuali sanno benissimo che come diceva Eduardo «Essere superstiziosi è da ignoranti ma non crederci porta ma- le». I secondi, affezionati anche per ra- gioni personali e di necessità economi- co/professionale a quei simboli forse in- fantili ma pur sempre identitari, sono pronti a combattere per loro come i san- fedisti con l’immagine di san Gennaro azzeccata in fronte nella rivoluzione del ‘99 e rifiutano qualsiasi festa pubblica nelle piazze napoletane che non abbia in scaletta almeno una tammurriata e due tarantelle. In mezzo, anzi tutt’intorno a quella lingua di terra sul mare che ormai è di- ventata una specie di Gaza tra illumini- sti e oscurantisti, c’è la Napoli vera. E i napoletani. Che sostanzialmente del di- battito se ne fottono, tanto per andare sul lungomare e poter vedere questo “cuorno” gigante, se tutto va bene si do- vranno organizzare logisticamente già da mo’, tra treni, metropolitane, bus e parcheggi milionari. E che anzi, se pro- prio le élite acculturate della città non riescono a mettersi d’accordo sulla giu- stezza e l’opportunità del mega “cuor- no”, quasi quasi stanno maturando un pensiero: «Ma se proprio questo cuorno non vi piace e non sapete cosa farvene ma perché non lo facciamo piezz’ piezz’ e ce lo date un poco a noi in periferia? Così magari può essere che quest’anno pure noi a Natale vediamo qualche lu- ce». E gli vogliamo dare torto? © RIPRODUZIONE RISERVATA Le scomuniche del corno e la Napoli vera Segue dalla prima

Transcript of itweet L’analisi Seguedallaprima Io, minoranza perché non ... · IL_MATTINO - NAZIONALE - 39 -...

Page 1: itweet L’analisi Seguedallaprima Io, minoranza perché non ... · IL_MATTINO - NAZIONALE - 39 - 14/08/17 ---- Lunedì 14 agosto 2017 39 IlMattino ... cini sul lungomare non finiscono

Time: 13/08/17 22:48 IL_MATTINO - NAZIONALE - 39 - 14/08/17 ----

39Lunedì 14 agosto 2017IlMattino

Procedure indegnedi un paese civile

FrancescoCustodeEMAIL

Sono stato convocato, per le atte-se immissioni in ruolo, alle 17.00circa del 1 agosto, per le 7.30 delmattino del giorno dopo, senzache qualcuno si preoccupasse didare un margine di tempo uma-no per organizzarsi. Lascio miamoglie e i miei due bambini e perarrivare in tempo, prendo l’ulti-moaereoutiledaOlbiaperFiumi-cino,perchéperNapolinonc’era-no più voli. Di corsa prendo lacoincidenzaperRoma,quindiuntreno per Napoli, una notte in al-bergo. Sveglia alle 5:00 e alle 7:00ero già all’I.P.I.A. di Ponticelli.Caldo torrido, confusione, ap-prossimazione, toni arroganti daparte dei funzionari che gestiva-no la cosa. Si prosegue nella scel-ta degli ambiti dal 21° posto finoall’ 92° (105 i convocati). A questopunto,comesenientefosse,civie-

ne comunicato che da Salernoper delle sentenze TAR (in attesaancora del giudizio di merito) de-vono essere inseriti altri candida-tiinGAE,lagraduatoriaadesauri-mento.Ecivienechiestodirichia-mareicolleghicheavevanogiàfir-mato l’immissione in ruolo, (co-me se potessimo avere un ruoloistituzionaleperrichiamareindie-tro i nostri colleghi) che intanto,ignari di tutto, erano andati via,qualcuno a casa, qualcuno già inristoranteafesteggiareconifami-liari. A noi che, rimasti li dopo il90esimo,giàsentivamolafrustra-zione di una grande beffa! Unabeffa che stavamo subendo per ilpressapochismo e l’incompeten-zadichiinquelmomentorappre-sentavalanostraIstituzione,quel-la della Pubblica Istruzione. Daquelmomento nonsi è capito piùniente: strilli, confusione, insulti,arrivo la Polizia di Stato, tutto darifare. Alle ore 15.30 con un caldotorridoedigiuniveniamomanda-ti a casa, per aspettare in serata lenuove convocazioni. Verso le ore

19:00 arriva la riconvocazione(ore7:30dal21°al105°).Dinuovosveglia alle 4:30 arrivo alle 7:00 aPonticelli. Si inizia, arriva il diri-gente scolastico che con voce ar-rogantecidicecheèilresponsabi-le della sicurezza e dobbiamouscirefuoritutti,deverestaresolochi firma l’accettazione. Tumultogenerale, perché si deve seguireper capire poi l’ambito restante epoter decidere con un minimo dianticipo il proprio destino. Alle11:30unacollega,credoall’8°me-sedigravidanza,bloccatuttoper-ché l’ambito Salerno è finito (ilgiorno prima aveva potuto sce-gliere Salerno ma con i nuoviGAE tutto era cambiato, dovevascegliere Caserta o Benevento).Ancoratantaconfusione,chiama-noiCarabinieri.IlMaresciallodo-po un’ora di trattative comunicache si è trovata una soluzione. Sisbloccaesiprosegue,adifferenzadel giorno prima, il tutto finisceallaposizione87.Iosonoallaposi-zione94,lenostresperanzediave-re un ruolo che il giorno prima

era garantito, sfuma. Grande de-lusione per le nostre aspettative,ci spetta dare la brutta notizia acasaallamoglieeaifiglicheaspet-tavano con ansia. La mia lettera èun po’ lunga, ma è il racconto diciòchehovistoinquestiduegior-ni. E sinceramente non mi è sem-brato degno di un “paese civile”.

Corno o peperoncino?pensiamo alla città

EnricoNapolitanoNAPOLI

Lepolemichesu corniepeperon-cini sul lungomare non finisconomai. Bene! Pubblicità gratuita.Perché tutte le forze attive di que-sta città non martellano con lastessa intensità le istituzioni ri-guardo: strade pulite; rispetto aldecoro e silenzio di vie e piazze“in”della movida notturna; off li-mits alle auto e moto del centrostorico e luoghi turistici; tolleran-zazeroabancarelleabusiveovun-que; alberi e giardini curati; villa

comunale che ridiventi “villa”enon discarica; monumenti ridatialladignità;tolleranzazeroaizoz-zoni ed agli incivili con presenzecontinue di autorità; pensilinebus decorose e funzionanti; tra-sporti pubblici degni di un paesecivile...insomma,far ridiventareNapoli capitale di civiltà e di bel-lezza? Se Napoli fosse così, sem-pre, allora ben vengano polemi-che. Corni e peperoncini, in per-fetta tradizione napoletana, han-noilpotereancestraledisovrasta-re tutto o’ burdello nascondendomali più difficili da estirpare e da-re motivazioni agli intellettuali ecittadini sensibili per mettersi inluce con argomenti salottieri daradical-chic.Sarannoun’ulterio-re sfregio? Chissà!Forse saranno arte provocatoria,com’è nella natura dell’arte stes-sa. Basta vedere e rivedere tanteinstallazioni artistiche sparseovunquenelmondo.Disicurosa-ranno una provocazione e attire-rannoancorapiùturisti.Delrestoil turismo è l’ unica attività in atti-vo a Napoli.

EugenioMontale

Non chiederci la parola che squadri da ogni latol’animo nostro informe, e a lettere di fuocolo dichiari e risplenda come un crocoperduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,agli altri ed a se stesso amico,e l’ombra sua non cura che la canicolastampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.Codesto solo possiamo dirti,cio che non siamo, che non vogliamo.

Ossi di seppiaSilvioPerrella

I due non dell’ultimo verso vanno incorsivo, non dimentichiamolo.

Perchè in quelle due negazioni c’è lospirito di un intero secolo: quello appenatrascorso, quello che siamo abituati achiamare Novecento.Non ti dico chi io sia; piuttostoargomento con precisione e disincantochi non sono, cosa non voglio. Conquesta poesia, Montale ha impostato lapoesia del no. E l’ha avuta vinta. Soloqualche raro sì è stato pronunciato dopodi lui. Ma va detto che anche quel sì vamesso in corsivo.

FolcoQuilici

Q uestegiornatedifortevento,diban-diererosseedimaltempo,dovreb-

bero sconsigliare tutti a sfidare il mare,soprattutto azzardandosi ad andaresott’acqua. L’immersione è una praticache richiede prudenza e per la quale so-nofondamentalieineludibilicondizionimeteorologicheottimali.

Bisogna capire che andare sott’ac-qua è un’azione innaturale per l’uomo,anche se sembra molto facile. È propriol’apparente facilità a nascondere seri ri-schi. Purtroppo in tanti lo dimenticano.Le tragedie nascono dall’imprudenza,perché portare degli adolescenti o deibambini con sé durante le immersioni èuna decisione irresponsabile. L’ho fattoancheio,moltiannifa,conmiofigliopic-colo, quando aveva appena sei anni. Èun gravissimo errore che non ho ripetu-tomaipiù.Sott’acquaipericolisonoinfi-niti.Èunaltromondo.

È facile andare, ma è molto più facile

sbagliare.In tantianni di immersionimisono salvato ancheda situazioni perico-loseperchépropriodaragazzohovissu-to esperienze serie, molto rischiose, du-rante le quali ho avuto molta paura. Lapaura è un’ottima consigliera e unastraordinariaistruttrice.Miècapitatoal-leEolie, perchéle prime immersioni piùbellelehofatteproprioinquell’arcipela-go meraviglioso. Da allora è cresciuto inmeunfortesensodiresponsabilitàversomestessoeversochimiaccompagnava.Lacoscienzadelrischiochecorrevoèna-ta proprio dall’esperienza. Solo l’espe-rienza è capace di generare il senso dellimiteequindilaprudenza.

Purtroppo,adessotuttosembrapossi-bile,facile,praticabile,allaportatapersi-no dei principianti. Tutto si riduce a tec-nicachenonèesperienza,anzipuòdan-neggiare l’esperienza che resta l’unicostrumentoche,attraversoprudenzaeco-noscenza, può produrre sicurezza in unambiente innaturale per l’uomo che ènatopercamminaresullaterra.

Damoltiannic’èunrischioinpiù.Latecnica, anzi gli strumenti tecnologici,tutta l’attrezzatura dei sub, rispetto alpassato,èmoltomigliorata,esembrafor-nire maggiori protezioni. Paradossal-mente, proprio tutta la tecnologia di cuici si circonda per approntare le immer-sionistimolanol’imprudenza,perunfal-sosensodisicurezza,diprotezione,diin-fallibilità. Invece, quando si è troppo si-curi di sé i pericoli si moltiplicano. Pro-prioinunmiorecenteviaggio(nontantorecente, considerata la mia età) ho vistopersone che non erano mai andatesott’acqua che, dopo appena tre giornidiaddestramento,pensavanodiaverim-paratotuttoesiesponevanoarischienor-mi che io non avrei mai corso, neancheda giovane, quando l’esperienzanon haancora costruito la corazza interiore e lamuta esterna per affrontare il ventre delmare. Amate il mare, vivetelo con alle-gria,maimparateatemerlo,perchénonèsolograndebellezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

[email protected]

Lapostadei lettori

i

Io, minoranza perché non ho il tatuaggioGiuseppeMontesano

F orse ho cominciato a capire quandodal polsino di quello che sembrava

da tutti i segnali un distinto avvocato oun manager è spuntato un serpente gial-lo che ingoiava un topo dalla faccia didonna che gridava «Sì fammi male sì»; oforse quando la signora appena uscita dauna chiesa, e che mi era sembrata matro-nale e serissima, ha girato il collo e hovisto sulla spalla una rosa gonfia comeun cavolfiore; o forse quando la famigliaelegantissima che si è seduta al tavolinoa fianco ha ordinato, e tutti e cinque, ilpadre cinquantenne, la moglie quaran-tenne e i figli di età varie, hanno lasciatospuntare da petti e spalle e colli e polsi egambe una marea di macchie in forma ditigri zannute, di volti angelici, di manetteche legavano cuoricini e di qualsiasi altracosa che si possa tatuare nello spazio diuna pelle umana.

Quando è successo? Forse è un incu-bo? O sarà colpa del troppo caldo afoso edella troppa aria condizionata? Mi sfregogli occhi, ma i tatuaggi non scompaiono:li vedo sui corpi di suore e maestre, dinotai e giornalisti, di salumieri e mana-ger, e non vanno via. Mi sa che devo ac-cettare la cosa: e dichiararmi una riservaindiana, un essere in via di estinzione. Cisaranno posti dove mi accetteranno? Po-trò ancora bere il mio caffè rigorosamen-

te caldo anche nell’afa? O il futuro mi pre-para locali in cui campeggerà il cartellocon su scritto: «Non si accettano animali,gente che pensa e non tatuati»? Gesu, miverrebbe da dire con la voce di WoodyAllen doppiata da Lionello: Geeesù! C’èqualcosa di inquietante e di stonato, inquesti corpi e in queste facce quotidianesu cui pesano come maschere primitive itatuaggi: qualcosa che è difficile da capi-re.

I disegni dei tatuati diventano semprepiù grandi, e da segnali seduttivi e provo-cazioni che erano poco fa, diventano co-perte di un Linus aborigeno che perònon va in giro nudo: ma con tacchi a spil-lo, short griffati e orologi a imitazione de-gli orologi a produzione limitata. Sonocoperte o corazze, quei disegni? Spessosi estendono fino al limite del collo, e incerticasi fioriscono anche oltre quel limi-te, simili alla muffa che in un filmaccio difantascienza di serie B ha lo scopo di im-padronirsi del genere umano sottomet-tendolo all’extraterrestre malvagio. Chis-sà! E mentre mi trattengo nel bar, strema-to dalle ipotesi e dalla scoperta di essereunaminoranza della minoranzadella mi-noranza, penso per un momento di con-vertirmi. Cerco di dirmi che i tatuaggi so-nopitture portatili, eche i colorisono bel-li: ma se poi penso al dover carezzare unapelle coperta da una muffa verdastra ogiallina, e non teneramente e semplice-

mente pelle, mi coglie una strana sensa-zione: brrr! Cerco di dirmi che i tattooesprimono il bisogno di qualcosa di sel-vaggio in mezzo alla piattezza della vitairreale che facciamo, ma niente da fare: iquadri li preferisco attaccati alle pareti.Eh no, non ci riesco: la conversione altattoo è rimandata. Resterò nella riservaindiana dei non tatuati forse tra pochissi-mo, guardato con sospetto come se fossiun nemico e sempre innamorato dellapelle senza pittura in cui posso vederequel che i sogni mi dettano e non lo spet-tacolo sempre uguale di un tatuaggio.Ma mentre sto per andarmene, ecco cheentra un sogno materializzato: alta, slan-ciata, magnetica, i capelli nerissimi e losguardo profondo, e si siede al tavolino afianco. Ha un tatuaggio sull’avambrac-cio, è vero, ma chi se ne frega! E poi, infondo, è piccolo, anche in lettere greche,e mi incuriosisce. Mah: devo ripensarci,a questa cosa dei tatuaggi? In fondo untatuaggio piccolo non darebbe fastidio,anzi sarebbe un elemento sorprendente,e poi non posso vivere sempre come unaminoranza! E se mi facessi disegnare daqualche parte una cosetta originale? Eh,ma poi perché da qualche parte? I tatuag-gi belli si mostrano! Che faccio? Gesù,questo caldo è davvero un diavolo tenta-tore. E se mi tatuassi un grazioso, minu-scolo carpe diem? Non sarebbe male…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

i tweet

GiorgioLaMalfa

C irca10annifa, inseguitoaunadissennata politica di prestiti

immobiliari rischiosissimi da partedellebancheamericane,partivada-gliStatiUnitiunacrisicheperqual-che mese fece temere il collassocompleto del sistema economicomondiale.Questoesitocatastroficovenne fortunosamenteevitato,ancheperlade-cisione del governoamericano, dopo l’ini-zialeerroredilasciarfal-lire una grande bancainnestando una crisi disfiduciagenerale,diso-stenere l’economia aqualsiasicostoattraver-solaspesapubblicaelapoliticamonetaria.Mailcostodellacrisi, in termini di disoccupazione,di impoverimentodelceto medio ediaumentodellediseguaglianzeso-ciali,èstatoaltissimo.Loèstatopar-ticolarmente in Europa dove sonoraddoppiati i tassi di disoccupazio-neesonostatinecessari10anniperrecuperare il terreno perso – manon ovunque. Italia, Spagna, Gre-cia, Finlandia ed altri Paesi europeiancora scontano le conseguenzedella crisi. Scampati al peggio, oggimolti tendono a considerare comeun gran risultato il fatto che la crisinon è stata grave come quella del’29.Maquestoèunmodoperchiu-dere gli occhi e per non trarre alcu-nalezionedall’esperienzavissuta.

Laprimalezioneèchedovrebbecadere l’illusione che il capitalismosiaunsistemainséstabile,cheèbe-nelasciarefunzionaresenzatroppeinterferenze. Non è così: il mercatononregolatoeprivodiun’autorevo-leguidadapartedelloStatotendeaprodurreondatediespansioneirra-zionale seguite da crisi profonde.Leistituzionifinanziariesonoilvei-colodiquestafalsaeuforia.Imerca-ti non sono onniscienti e non sonoingradodiannullareirischi.Servo-nocontrollielimitazionimoltorigo-rose che solo l’intervento pubblicopuò garantire. Invece di cercare diporre rimedio ai mali prodotti daunsistemaprivatoprepotenteeavi-do, si continua a guardare all’azio-ne dello Stato come alla causa deiproblemi. E invece di impegnarsiperché l’intervento pubblico fun-zionimeglio,sicontinuaaauspica-recheilsuoruolosiriduca.

Lasecondalezioneèche,lascia-to a se stesso, il sistema di mercatoproduceimmaniingiustizie,sianel-lefasidi espansione,sianelle fasidicrisi. Esso produce disoccupazionee soprattutto determina una distri-buzionedeiredditisemprepiùsqui-librata.Dueannifasuscitòattenzio-ne il libro dell’economista francesePiketty che documentava che tutti imiglioramenti prodottidalle politi-che sociali nella distribuzione deiredditi nel corso del ‘900 sono statispazzativiadalcapitalismocontem-poraneo.Seneèdiscussoperunpa-io di mesi e poi si è tornati a parlaredialtro.

Nelsistemaattualeètroppofaci-le licenziare i lavoratori. E invece sicontinua ad auspicare la flessibilitàdeimercatidel lavoro.Sono troppoinstabili gli investimenti privati pernon richiedere maggiori investi-menti pubblici. E invece si conti-nua a chiedere di ridurre la spesapubblica. Si enumerano gli sprechipubblici ma si dimenticano le fab-briche che chiudono buttando sul-lastrada i lavoratori, perché leban-che hanno finanziato imprenditoriincapaciotruffaldinidicuinonpar-la nessuno. Bisogna idolatrare ilmercato,anche quando sbaglia. La

distribuzione del redditi è semprepiù ingiusta e invece di pensare diusarebeneilsistemafiscale,sifavo-leggia a destra e sinistra di una ali-quotaunicacheovviamentefavori-rebbesoprattuttoiredditipiùalti.Èrimasta solo la Chiesa a parlare diquesti argomenti, mentre la politi-ca non se ne vuole e non se ne saoccupare.

La terza lezione, lapiùamarapernoieuro-pei, è che le istituzionicomuni sviluppate nelcorso del secondo do-poguerra, dal mercatocomunedegliAnniCin-quantaallamonetauni-ca del trattato di Maa-stricht,sonostateasso-lutamente incapaci di

fronteggiarelacrisi.Hannopredica-to e predicano tuttora le dottrinepiù sbagliate: il rigore della finanzapubblica,anchequandosologliin-vestimentipubbliciconsentirebbe-ro di attenuare la disoccupazione ela flessibilità del mercato del lavoroanche quando le imprese cercanointutti imodidiproteggereiprofittiliberandosidellamanod’opera.

La Commissione europea è ri-masta attaccata ai suoi parametri,accettandone qualche violazionepurdinonaffrontareilproblemadifondoecioèchenonsipuògoverna-re un’area di 400 milioni di abitantiavendo come solo strumento il fre-no.Nonhasaputonérestituireunacerta flessibilità ai Paesi membriperconsentirelorodiaffrontareali-vello nazionale i problemi della di-soccupazione, né assumersi essaun ruolo centrale di sostegno dellaripresa.

LaBancacentraleeuropea,crea-taal momento passare alla monetaunica,inpienacrisipost2007,hafat-to, almeno fino al 2112, politichechehannoaccentuatolacrisi:hate-nuto alti i tassi di interesse ed haignorato i danni di una troppo altaquotazione dell’euro. Quando hacambiato orientamento, lo ha fattoassai più tardi di altre banche cen-trali. Haspinto laGrecia a chiuderelebancheperbloccarneognivellei-tàdiautonomiadalleregoledell’eu-ro. Minaccerebbe di fare lo stessocontro chiunque osasse mettere indiscussioneilconservatorismoeco-nomico e sociale su cui si fonda lafilosofiaeuropea.

L’amara conclusione è che glistati nazionali – non solo gli StatiUniti,maanchel’Inghilterra–han-noreagitomoltomegliodelleistitu-zionicomunieuropeelacuiperfor-mance è stata pessima. Ciò vale inparticolare per l’area dell’euro chedovevarappresentareiltestpiùim-portantedell’utilità dellapiùstrettaunione fra i popoli europei. Dopodichesonostateaccusatedi“popu-lismo”leopinionipubblicheche,almomentodelvoto,hannosegnala-to di non voler accettare le conse-guenze negative di queste politi-che.

Sonostateappreseosonoincor-so di apprendimento queste tre le-zioni? Neanche per sogno. E dun-que,primaodoposiripeterannoglierrori che hanno portato alla crisidel 2007. In forme diverse, ma si ri-peteranno, a meno che non si rie-sca a reagire con quello spirito col-lettivochedopoil1929consentìifa-mosimagnificitrentaannidisvilup-poediriequilibriosocialedelsecon-do dopoguerra. Ma allora gli StatiUnitielesseroFranklinDelanoRoo-sevelt,mentrenéinEuropanéinIta-lia si vede ancora una forza politicache sappia interpretare moderna-mente le lezioni della storia recen-te.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Perché in Europa le politicheanti-crisi non possono funzionare

L’analisi

Il divano

i

FrancescoCocco?@FrancescoCoccoTChissà perché si è tantopronti a riconoscerelo stato di necessitàa chi si fa la casa abusivae a chi fuggeda guerra e fame no

AlessandroMasala?@ShooterHatesYouMeno male che Trumpdoveva essereil presidente forte che nonfa sconti a nessuno.Mai vista una presidenzacosì molle e caotica

MauroCalise

C ioè con l’obbligo di fare quello che,fino al giorno prima, tutti avevano

giurato che mai e poi mai avrebbero fat-to. E a quel punto non è per niente certoche ci riusciranno. Allora, come la met-tiamo?Anzi,comelametteranno?Ome-glio, costituzione alla mano, come lametterà? Perché lo sanno tutti benissi-mo–anche sefannofinta di nonsaperlo– a quel punto il boccino passerà nellemanidelCapodelloStato.Esaràunboc-cinobollente.

Intendiamoci.Nellatravagliatastoriadellanostrademocrazia,neabbiamovi-stedipeggiori.Questanonèlaprimavol-ta in cui i partiti si trovano impotenti, in-capaciditrovarelaquadra,didecidereachi spetti il timone per uscire dalla tem-pesta e portare in salvo la Repubblica. Ègià successo, ripetutamente, in passato.In tutte queste occasioni, ci ha salvato lafisarmonica.Ilmeccanismopercuisial-larga – nell’immagine di Giuliano Ama-to – il ruolo del Quirinale, che fa da sup-plente e da garante al vuoto di iniziativapoliticadelleleadershipdeipartiti.Lage-stione di Napolitano resta, in proposito,esemplare,ehafattoscrivereamoltigiu-risti di una trasformazione del nostro si-stema,rendendolomoltosimilealsemi-presidenzialismo francese. Oggi, quellastagioneapparemoltolontana.Masonopassati meno di sei anni, e si stannocreando di nuovo le condizioni per unritorno del presenzialismo presidenzia-le.

La prima condizione favorevole è il

declino della figura del Premier, e l’as-senza di un candidato forte e visibilepronto a balzare su quel podio. QuandoBerlusconi era al massimo della propriapopolarità, o quando Renzi sembravadestinatoaoccupareatempoindetermi-natola scena,erafisiologico cheil Quiri-nale facesse uno, o due passi indietro. Ilcontrario di quello che succede – e, pro-babilmente, succederà – quando invecela presidenza del Consiglio non riesce areggersi in sella. Fu questa la situazionepropizia–anzi,secondomolti,obbligata– perché Giorgio Napolitano prendesseil toro per le corna e guidasse il blitz cheportò Mario Monti a Palazzo Chigi, nelpieno della tormenta finanziaria chescuotevail Paese. Però,perchéla mano-vra riuscisse, fu necessario un requisitoimportantissimo.Perriuscireagoverna-re le reazioni incandescenti delle forzepolitichechesisentivanomesseallapor-ta,ilpresidentedellaRepubblicaaveva–e avrà – bisogno di un altissimo tasso dipopolarità personale. Una legittimazio-nepopolarechelopotessefarecompor-tarepropriocomeunPresidentefrance-se. Un passaggio molto delicato, vistochenon abbiamo in Italia una investitu-ra diretta. Ma che, nel caso di Napolita-no,funzionòaperfezione.Graziealcapi-talediconsensiaccumulatoneimesiim-mediatamenteprecedenti.

Come gli storici ricordano – i politici,si sa, hanno la memoria corta – appenaun anno prima il Quirinale si era mossocon ben altra cautela. Quando Fini, do-po un lungo tiraemolla, ruppe con il Ca-valiere e mise insieme un drappello di

parlamentari col quale poteva metterloinminoranza,nonebbedaNapolitanoilvialiberaperunoshow-downimmedia-to.E,neltempocheintercorseprimadelvoto, Berlusconi ebbe buon gioco a ri-prendersi una parte dei propri transfu-ghi.ComemaiilQuirinalepassò,nelvol-geredi pochi mesi, da un atteggiamentodi cautela a una scelta così decisionista?La risposta più convincente sta nell’abi-lissima regia con cui Napolitano presi-diò–epresenziò–lecelebrazionideicen-tocinquant’anni d’Italia. Un evento che–secondoileghisti–nonsisarebbenem-menocelebrato, eche si trasformò in unentusiastico tripudio di partecipazionepatriottica. Il merito di questo successofu di Giorgio Napolitano. Che divenne,rapidamente, il simbolo dell’unità delpaese, e il referente bipartisan di quantivolevano che restasse comunque insie-me.

Mattarella–secondomoltiosservato-ri–hauncaratteremoltodiversodaquel-lo del suo predecessore. Ma in politica, itemperamenti sono spesso forgiati daglieventi. E pochi elementi, in verità, nellabiografia di Napolitano avrebbero fattopresagire il brusco cambio di passo concui,nello statodi necessità,prese in ma-noleredinidellapoliticaitaliana.Sapre-mo presto se, con Mattarella, assistere-mo a un cambiamento analogo. Il suounderstatement, e la pacata severità delsuostile,glisonogiàvalsiungradimentodiffuso e consolidato. Si avvicina il mo-mentoincuidovràmetterloarischio,eafrutto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Io ho rischiato la vita, ma lasciamo stare i bambiniSeguedallaprima

RobertoGervaso

Q uantibruttisognimiriportanoallarealtà!- La migliore vendetta è il perdono.

Obliopermettendo.- È difficile conoscere se stessi perché ci cre-

diamomiglioridiquelchesiamo.- Non c’è nessuna differenza fra il ricco echi

sta arricchendo. Vogliono entrambi più dena-ro.

- Una coppia che si è appena innamoratanon è meno goffa di una che, non amandosipiù,sirivede.

-Dio,chehaprodottoinserielamaggiorpar-tedellecreature,nehaplasmatealcuneconcri-teriartigianali.Quelle portanolasuasigla;que-ste,lasuafirma.Eccoperchésonopiùbelle.

-Lechiacchieresonoilsaledellastupidità.- Non è un genio, ma preferisce passare per

scioccochepermediocre.- Si può anche pensare con chiarezza, ma

parlareescrivereconchiarezzapuòesserefata-le.

- E se Adamo avesse mangiato la mela solopernondispiacereachiglielaoffriva?

- L’intuizione è una scintilla che scocca piùnelcuorechenelcervello.

- L’aforisma è il frutto o di un’intuizione ful-minanteodiunariflessioneprofonda.

- Le stelle ci guardano senza chiedersi per-chéleguardiamo.

- Pubblicità: una donna che promette i suoifavori.Grandepubblicità:unadonnachelicon-cede.

- Chi considera il sesso un peccato, o non sacos’è il peccato o non ha mai conosciuto il ses-so.

-L’umoristafailsolleticoallavitaperrender-lamenoarcigna.

-Nessunuomoconosce cosìbeneunadon-nacomeun’altradonna.

- Ci si bacia sulla bocca non perché sia piùeccitante,maperchéèpiùcomodo.

-L’amoreesigefedeltà;l’amicizia,stima.- Rovista nel naso comese cercasse un teso-

ro.-Lagentenonamaguardarsidentroperpau-

radiriconoscersi.-Lapioggia,bagnandomiilviso,miaccarez-

zailcuore.-Soffiamosullabracedeinostridesideri,spe-

randochenonsiriaccendano.-A.R.chiacchieramolto,maparlapoco.- Tutti abbiamo sofferto per amore. Eppure,

com’èdifficilecapirechisoffreperamore!- I sogni muoiono all’alba. E il tramonto ne

celebraleesequie.- Il mare in tempesta mi dà un senso di vio-

lenzacosmica;lamontagnaimmobile,diango-sciosaeternità.

- È più facile che vi tradisca di nuovo la don-nachevihanegatoun’infedeltàdiquellachevel’haconfessata.

-Ilgolososaquellochenonperde.- La castità rafforza il carattere, rendendolo

insopportabile.- Il sole si alza dopo avere messo a letto la

luna.© RIPRODUZIONE RISERVATA

c ommenti del Mattino

FONDATONEL1892

Direttore ResponsabileAlessandro Barbano

VicedirettoreFederico Monga

Uff. Redattore capo centraleAntonello Velardi (responsabile) Francesco De Core (vicario)

Vittorio Del Tufo, Aldo Balestra, Antonella Laudisi

Presidente e Amm. delegatoAlbino Majore

ConsiglieriAzzurra CaltagironeAlvise Zanardi

ILMATTINOS.p.A.Sede legaleviaBarberini, 28- 00187Roma.Redazione,amministrazione,preparazioneviaChiatamone,65-80121Napoli -Tel.081/7947.111.CentrostampaStampaNapoli2015srl,ASICaivano, localitàPascarola (NA).© Copyright ILMATTINOS.p.A. -Tutti i diritti sonoriservati.Concessionaria diPubblicitàPIEMMES.p.A.viaArcoleon.58(palazzo IlMattino) - 80121Napoli, Tel.081/2473111-Fax081/2473220.Copiearretrateversionedigitale:Tel.081/7947240.Registrazione Tribunaledi Napolial numero338dell’aprile1950.CertificatoADSn.8143del 06/04/2016

Seguedallaprima

Anna Trieste

S i tratta di replicare l’esperimentogià fatto l’anno scorso, quando sul

seafront più liberato del mondo vennepiazzata una copia quasi identica delcampanile della chiesa del Carmine manella sua versione nuova, quella avvoltadalle impalcature per il restauro, soloche al posto dei ponteggi teneva le “lu-celle” di Natale e almeno lui, al calar del-la sera, si illuminava. Ora, a prescinderedall’opinione estetica che ognuno puòlegittimamente avere sul manufatto,che esattamente come l’albero dell’an-no scorso avrà il compito di animare leserate dicembrine dei napoletani crean-do selfie, sorrisi, felicità e, si spera, postidi lavoro, la verità è che come ogni ogget-to fallico di grandi dimensioni, più che il“cuorno” gigante, a creare zizzania èl’atavica lotta tutta ideologica imperan-te da anni nell’intellighenzia napoleta-na tra chi Napoli la vuole cambiare e chino.

Non è una cosa tanto originale, eh;già Massimo Troisi e Lello Arena la mise-ro in scena, in “No grazie il caffè mi ren-de nervoso”, dove proprio in una letteraal Mattino veniva formalizzata da parte

di “Funiculì Funiculà” la minaccia dimorte nei confronti di chiunque si fosseazzardato a partecipare al primo Festi-val della Nuova Napoli. E le fazioni incampo oggi sono sostanzialmente lestesse di trentacinque anni fa: quelli chevorrebbero una Napoli più moderna,elegante e europea, e quelli cui inveceNapoli va benissimo così se solo se sipotessero risolvere quelle piccole sbava-ture dei trasporti che non trasportano edelle telecamere di sorveglianza chenon sorvegliano quando si spara per lastrada.

I primi, in preda alla stessa furia ico-noclasta dei calvinisti, bollando il tuttocome ignoranza, folklore e oleografiavorrebbero abolire tutto ciò che ha a chefare con la tradizione popolare e dun-que anche pizze, mandolini, babà e san-gennari, salvo poi tenere ben cucito nel-la cravatta di Marinella un “curniciello”di vero corallo perché essendo dei veriintellettuali sanno benissimo che comediceva Eduardo «Essere superstiziosi èda ignoranti ma non crederci porta ma-le». I secondi, affezionati anche per ra-gioni personali e di necessità economi-co/professionale a quei simboli forse in-fantili ma pur sempre identitari, sono

pronti a combattere per loro come i san-fedisti con l’immagine di san Gennaroazzeccata in fronte nella rivoluzione del‘99 e rifiutano qualsiasi festa pubblicanelle piazze napoletane che non abbiain scaletta almeno una tammurriata edue tarantelle.

In mezzo, anzi tutt’intorno a quellalingua di terra sul mare che ormai è di-ventata una specie di Gaza tra illumini-sti e oscurantisti, c’è la Napoli vera. E inapoletani. Che sostanzialmente del di-battito se ne fottono, tanto per andaresul lungomare e poter vedere questo“cuorno” gigante, se tutto va bene si do-vranno organizzare logisticamente giàda mo’, tra treni, metropolitane, bus eparcheggi milionari. E che anzi, se pro-prio le élite acculturate della città nonriescono a mettersi d’accordo sulla giu-stezza e l’opportunità del mega “cuor-no”, quasi quasi stanno maturando unpensiero: «Ma se proprio questo cuornonon vi piace e non sapete cosa farvenema perché non lo facciamo piezz’ piezz’e ce lo date un poco a noi in periferia?Così magari può essere che quest’annopure noi a Natale vediamo qualche lu-ce». E gli vogliamo dare torto?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le scomuniche del corno e la Napoli veraSeguedallaprima

Conoscere se stessiper nonsentirsi migliori

Seguedallaprima

c ommenti del Mattino

Se l’instabilità bussa alla porta del QuirinaleSeguedallaprima

Vittorio Zucconi?@vittoriozucconiLa profonda corruzionemorale di un presidenteUSA che non osachiamare col loro nomei neonazisti americani#HeilDonald

ValentinaComiato?@Vale_LS_Questa strana regolasecondo la qualeper arricchirti devi lavorare,per lavorare devi studiaree per studiaredevi essere già ricco

stefaniaorlando?@stefyorlandoIl vento spazzerà viale nuvole e i cattivi pensierispariranno in un istante,lasciando il postoalle cose più belle