Io Come Docente

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00 numero Anno 1 N. 00 / Febbraio 2012 - Periodico mensile - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011. La nuova Cina Germogli di legalità Studio Letterario ALeF docente PECHINO: gli squilibri della crescita

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Rivista dedicata alla cultura

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Anno 1 N. 00 / Febbraio 2012 - Periodico mensile - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011.

La nuova CinaGermogli di legalità

Studio Letterario ALeF

docente

PeChino: gli squilibri dellacrescita

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docenteSommarioio Come DocenteMensile d’approfondimento culturale a carattere monografico, sviluppato in collaborazione con Lo studio letterario ALeF: www.studioletterario.it

hanno collaborato a questo numero:Renzo CAvALieRi - Giuseppe GAbusi - MARGheRitA spoRteLLi

Tema del numero:

LA CinAPechino fa i conti con gli squilibri della crescita | 4di Giuseppe Gabusi

Germogli di legalità: nuove dimensioni politico-giuridiche | 8di Renzo Cavalieri

Sussurri e grida della nuova Cina | 32Margherita sportelli

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Anno 1 N. 00 / NOVEMBRE 2011 - Periodico settimanale - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011.

La nuova CinaGermogli di legalità

Studio Letterario ALeF

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PECHINO: gli squilibri dellacrescita

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EditorialeCari lettori, care lettrici,

è con piacere che vi presento questa nuova rivista Io come docente che sarà distribuita soltanto online pro-prio per arrivare ad un maggior nu-mero di lettori.

La rivista si avvale del contributo dei più importanti docenti universi-tari italiani che nei prossimi numeri si misureranno su temi di attualità e cultura di grande rilievo ma è rivol-ta allo studente, all’imprenditore, al cittadino insomma che desidera ave-re su alcuni temi che riguardano an-che la sua vita quotidiana un parere che esca un po’ dal coro, dai soliti ar-ticoli di quotidiani e riviste ben con-fezionati. Prima di passare a vedere bene come è fatta la rivista, bisogna dire che i docenti non vogliono fare accademia ma intendono mettere a disposizione del lettore tutto il loro studio, posto che la conoscenza sarà la vera forza delle future generazio-ni.

La rivista uscirà ogni martedì di fine mese da oggi 28 febbraio, tranne la pausa estiva, e dopo l’editoriale con-terà su 3-4 articoli su temi importan-ti, caldi, che ci auguriamo possano suscitare accesi dibattiti; forse sa-ranno posizioni un po’ scomode ma riflettono l’ideologia e il percorso intellettuale dei singoli docenti ed è appunto così, senza tagli, che voglia-mo proporle al lettore.

Si inizia con un tema forte: la Cina, su cui si è già discusso e si discuterà ancora molto, però qui l’angolatura è diversa, non si parla di immigrazione o fatti delittuosi bensì i tre docenti si confrontano con la forte crescita economica del Paese, la democra-zia e quindi è inevitabile il rimando ai diritti umani e infine si illustra un caso di didattica di intercultural ma-nagement. Si può dunque affermare che questi contributi sulla Cina sono una metafora della filosofia editoria-le della rivista, ovvero come qui si cerca di eliminare i tanti luoghi co-muni sul paese asiatico, così in tutti gli altri interventi si cercherà, come dicevamo in apertura, di uscire dai giudizi facili.

Nei numeri successivi i docenti si confronteranno sul bene comune, il benessere e poi via via altri temi di attualità fino ad arrivare a compor-re un’ideale enciclopedia del Ventu-nesimo secolo. Certo l’ambizione è notevole, però cerchiamo di lanciare un sasso nel mare dell’oggettività.

Così, in questo modo, offriamo Io come docente al lettore che speriamo voglia partecipare a questa palestra di idee, al dibattito su i temi in og-getto proprio per uno scambio ricco e articolato dove sarà lui a decidere la fortuna della rivista intervenendo con appunti ma anche suggerimenti .

Buona Lettura!Alessandro Bruciamonti

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¶Pechino fa i conti con gli squilibri della crescitaLa sessione annuale del Congresso nazionale del popolo è tradizio-nalmente anche la sede in cui il governo fa il punto della situazione economica e sociale del Paese, e indica le linee guida della politi-ca economica e sociale per l’anno successivo. Malgrado il rapporto di quest’anno della National Development and Reform Commission contenga il solito elenco degli obiettivi raggiunti, è interessante no-tare la franchezza con cui si riconosce la necessità, come principa-le orientamento dell’azione futura, di “accelerare la trasformazione del modello di sviluppo economico”, evidenziando le principali cri-ticità del sistema. Il rapporto inizia affermando che “la performan-ce economica nel 2010 è stata generalmente stabile, con migliora-menti significativi in qualità ed efficienza”, ma proseguendo nella lettura del testo ci si chiede se questi miglioramenti siano stati più che annullati dagli effetti negativi prodotti dal continuo accumulo di inefficienze degli ultimi anni. Nel 2010, il PIL è stato di 39.800 miliardi di yuan, con una crescita annuale del 10,3% (2,3 punti per-centuali in più rispetto all’obiettivo stabilito). La crescita si è re-gistrata più nel settore industriale (+12,2%) che in quelli agricolo

Giuseppe Gabusi

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Pechino è una delle quattro municipalità con status di provincia della Repubblica popolare cinese ed è sotto il controllo diretto del governo centrale. Pechino è una municipalità sin dalla costituzione della Repubblica popolare cinese.

È riconosciuta come il centro politico, culturale e scientifico della nazione al contrario di Shanghai, che gode dello status di maggiore centro economico.

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¶(+4,3%) e dei servizi (+9,5%). Le casse erariali sono in ottimo stato, con un deficit inferiore di 50 miliardi di yuan rispetto al target. I profitti delle grandi im-prese industriali sono aumenta-ti ben del 49,4% su base annua, i consumi interni del 18,3% (3,3 punti percentuali in più rispetto al piano) e gli investimenti fis-si del 23,8% (3,8 punti percen-tuali in più). Lo stesso surplus commerciale è diminuito del 6,4%. Infine, per la prima volta dal 1998 la crescita del reddito rurale è stata più elevata della crescita del reddito urbano.Ma veniamo ai cinque problemi irrisolti indicati nel rapporto. Innanzitutto, “le fondamenta (…) per una crescita sostenuta dei redditi rurali non sono so-lide”: permangono condizioni di inefficienza, e di insufficien-za delle risorse (terre arabili e acqua per l’irrigazione). In secondo luogo, l’investimento “disordinato” e l’eccesso di ca-pacità produttiva in certi setto-ri si accompagna allo sviluppo “sbilanciato e scoordinato” tra le aree urbane e rurali e tra le diverse regioni. Terzo, il ritorno dell’inflazione, che ormai si ag-gira attorno al 5%, è motivo di preoccupazione, poiché la mag-giore crescita dei prezzi si è re-gistrata nel mercato alimenta-re e in quello immobiliare, due settori molto sensibili per la te-nuta del tessuto sociale. Quar-to, nonostante gli sforzi per di-minuire l’impatto ambientale della crescita cinese, il sistema economico è ancora altamente inquinante, e “deve essere an-cora stabilito un meccanismo permanente per il risparmio energetico e per la riduzione delle emissioni”. Quinto, “i pro-

blemi sociali sono aumentati”, e permane la preoccupazione per questioni quali la sicurez-za alimentare e dei medicinali, l’espropriazione della terra, la demolizione delle case e la ri-collocazione dei residenti, e la sicurezza industriale.Questi problemi devono essere risolti avendo come faro di rife-rimento la teoria dello sviluppo scientifico e dell’armonia socia-le elaborata negli anni dall’at-tuale dirigenza. Ciò significa per il governo passare gradual-mente dalla crescita quantita-tiva ad una crescita qualitativa che abbia più a cuore il benes-sere della popolazione, tanto che The Economist ha parlato di una nuova “ricerca della felici-tà”. A tal proposito, il rapporto elenca nove linee d’azione per il 2011: rafforzare i meccani-smi di controllo dell’inflazione; espandere la domanda interna (con l’obiettivo di una crescita del PIL attorno all’8%); creare le condizioni per il sostegno del reddito rurale; accelerare la ri-strutturazione industriale (mi-gliorando la competitività delle imprese); ridurre le emissioni nocive e migliorare l’efficienza energetica; migliorare i servizi pubblici e i “meccanismi di am-ministrazione sociale”; rinno-vare gli sforzi per superare le difficoltà economiche e (tauto-logicamente) “accrescere l’im-peto e la vitalità dello sviluppo economico e sociale”; espande-re la cooperazione economica internazionale (lottando contro il protezionismo).Anche la Cina, quindi, si tro-va oggi ad affrontare i proble-mi dei costi dello sviluppo, che rappresentano un’eredità del-la turbo-crescita iniziata negli

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Giuseppe Gabusi

╡Giuseppe Gabusi insegna International Political Economy e Political Economy dell’Asia Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino e presso la Facoltà di Scienze Lin-guistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolica di Milano, sede di Brescia. E’ Head of Research (area attori emergent) a T.wai (Torino World Affairs Institute). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo L’importazione del capitalismo. Il ruolo delle istituzioni nello sviluppo economico cinese, Vita & Pen-siero, Milano 2009.

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anni di Jiang Zemin. Questa tra-iettoria economica ha privilegia-to (diversamente dalla crescita degli anni di Deng) gli investi-menti rispetto al risparmio, le città rispetto alle campagne, la grande impresa (spesso statale) rispetto al talento imprendito-riale. Ora è tempo di corregge-re il tiro, prima che l’aumento di questi costi induca molti a

chiedersi quanto valga la pena continuare su questa strada.* articolo apparso su “Orizzon-teCina” aprile 2011, disponibile online all’indirizzo http://www.twai.it/upload/pdf/orizzonteci-na-aprile-2011.pdf.

Estratto da “OrizzonteCina” aprile 2011www.twai.it

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germogli di legalità nuoVe dimensioni Politico-giuridicheTra virus e GermoGli

Una quindicina di anni fa, grazie all’interessamento di Maria Weber, pubblicavo un working paper sulla riforma del diritto cinese nella collana dell’Istituto di Studi economici e sociali sull’Asia orientale dell’Università Bocconi. Decisi di intitolarlo «Il virus della legalità».La tesi che sostenevo allora era, in estrema sintesi, la seguente.Dall’avvio della riforma economica, il legislatore cinese ha inne-stato progressivamente nell’ordinamento una disciplina normativa sempre più moderna dei rapporti economici e sociali, adattando alle proprie esigenze i modelli legislativi occidentali dominanti. Nel farlo, ha importato la terminologia, le tecniche, gli istituti principali della western legal tradition, l’organizzazione del processo, delle professioni legali e dell’insegnamento giuridico, e in qualche modo anche la cultura del diritto e dei diritti che vi sta alla base. Da po-litica, gradualmente la regola diventa legale, nel senso che la sua produzione, interpretazione e applicazione vengono affidate a un apparato di fonti, istituzioni e procedimenti funzionanti secondo lo-giche e tecniche giuridiche, e il metodo di governo si fa più certo, o almeno più prevedibile, più trasparente, più uniforme, e in defi-nitiva economicamente più efficace di quello utilizzato in passato. Addirittura, il diritto comincia a essere inteso come fonte di legitti-mazione di un potere politico la cui aura carismatica rivoluzionaria

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germogli di legalità nuoVe dimensioni Politico-giuridiche

Renzo Cavalieri

diviene via via più flebile. Nel contempo, grazie alle nuove leggi, gli spazi di libertà e di augermogli Cina II bozze _mercati finanziari 13/05/10 09:52 Pagina 53 tonomia dei cittadini cinesi non soltanto crescono, in termini quantitativi e qualitativi, ma vengono tutelati in un modo precedentemente sconosciuto, ossia appunto attraverso l’applicazione della legge e l’esecuzione delle sentenze: mentre la legalità si afferma come metodo primario di governo, si sviluppa una nozione innovativa dei diritti soggettivi intesi, tecnicamente, come interessi giuridicamente protetti.Poiché mi sembrava esserci un conflitto, una contraddizione di fon-do tra la rigidità “meccanica” del metodo legalistico e la fluidità

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╡funzionale del rule of poli-tics di stile maoista, tra l’a-spirazione alla certezza, alla trasparenza, all’uniformità della norma e l’arbitrarietà e la singolarità della deci-sione politica, e in definiti-va tra il principio di legalità e quello del ruolo guida del Partito Comunista, inferivo che con questa massiccia recezione di principi, tec-niche ed enunciazioni re-toriche del diritto occiden-tale, la dirigenza cinese si era assunta il rischio di un contagio, ideologico e orga-nizzativo che, prima o poi, avrebbe potuto rivelarsi fa-tale per il sistema di potere istituito con la rivoluzione ed ereditato da quella che, nel 1996, era la cosiddetta «terza generazione» trion-fante della dirigenza co-munista. Prima o poi, per garantire un corretto ed ef-ficiente funzionamento del sistema, si sarebbe dovuto intervenire su questioni di grande delicatezza politica, come quella della divisio-ne e del bilanciamento dei poteri e dell’indipendenza della magistratura, o quella della libertà di esercizio delle professioni legali.

Prima o poi, la Cina avrebbe dovuto porsi il problema se perpetuare il sistema di potere leninista-maoista o trasformarlo per adattarlo alle esigenze della legalità. Non che ritenessi probabile un’evolu-zione in senso propriamente democratico e multipartitico della Re-

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Grazie allo sviluppo dei passati decenni, Shanghai è un centro economico, finanziario, commerciale e delle comunicazioni di primaria importanza della Repubblica Popolare Cinese. Il suo porto, il primo del paese, è uno dei più trafficati al mondo con Singapore e Rotterdam. Nel 2010 ha superato Singapore come volume di traffico.

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nuoVe dimensioniPudong, il moderno distretto finanziario

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pubblica Popolare Cinese (RPC) – anzi, già allora con-testavo la credibilità dell’assioma per cui allo sviluppo economico non può che corrispondere fatalmente un processo di democratizzazione politica – ma ritenevo comunque che le contraddizioni innestate inserendo formanti giuridici tanto innovativi ed “esigenti” avreb-bero reso necessaria una profonda riconversione del sistema tradizionale di legittimazione e controllo del Partito Comunista.Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. In quin-dici anni la struttura socioeconomica cinese è stata ri-voluzionata. E, a dispetto di chi sostiene che in Cina sia sinora mancata una riforma politica, anche tutti i rap-porti politici fondamentali – da quello tra i cittadini e le istituzioni a quello tra lo Stato e il Partito Comunista, da quello tra Pechino e le periferie a quello tra la Cina e la comunità internazionale – sono radicalmente mutati. Anche il diritto cinese è cambiato: la legge vi ha acqui-stato una centralità sistematica senza precedenti, l’or-dinamento giuridico nel suo complesso ha raggiunto un altissimo livello di qualità tecnica e la tutela dei diritti e delle libertà individuali concessi dalle nuove leggi ai cittadini cinesi è divenuta più efficace.Nel frattempo, anche da noi molte cose sono cambiate. Le idee di democrazia e di legalità che sino a pochi anni fa costituivano se non necessariamente la prassi, certo l’aspirazione e la cifra simbolica della nostra cultura politica, sono entrate in una crisi profonda, dalla qua-le non è affatto chiaro come potranno uscire3. Nozioni epocali come quelle della democrazia rappresentativa, della divisione dei poteri, dell’uguaglianza di fronte alla legge, della libertà di espressione, sono fortemente in-debolite dalla tendenza globale e inarrestabile alla con-centrazione dei poteri e alla loro fusione. All’atteggia-mento di superiorità che, nonostante tutta la retorica sull’abbandono dell’eurocentrismo, non avevamo mai smesso di avere nei confronti dei sistemi politici extra-europei, si è sostituito un senso di inadeguatezza e di declino. Lo sviluppo della Cina, in particolare, ha dimo-strato non soltanto che l’innalzamento del tenore di vita materiale non significa necessariamente l’adozione del modello di organizzazione politica delle società liberal-democratiche, ma che oggi è perfettamente ipotizzabi-le un modello più efficiente di quello occidentale, nel quale vengono recepiti molti degli elementi fondanti del sistema capitalistico maturo, ma che è invece im-permeabile ad alcune soluzioni considerate dannose o pericolose per la stabilità sociale.Sotto il profilo giuridico, la recezione dei presupposti teorici e delle formule istituzionali del diritto occiden-Pudong, il moderno distretto finanziario

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tale – che pure è stata massiccia – non è stata realizzata all’ingrosso, ma secondo precisi criteri selettivi. Molti diritti sono stati riconosciuti, altri no: si è liberalizzato il diritto di intraprendere attività economiche4, ma non quello di associarsi in sindacati indipendenti5; si è rinnovato il diritto civilee commerciale6, ma assai meno quello penale7; si è ammesso il GERMO-GLI DI LEGALITÀ 55 germogli Cina II bozze _mercati finanziari 13/05/10 09:52 Pagina 55 proliferare delle voci della società civile, ma non quello dei partiti politici8. E non sono stati messi in discussione i dogmi dell’unità dei poteri statali e della supremazia del Partito Comunista, intesa come potere di dettare agli organi dello Stato la propria linea guida in qualsiasi forma, giuridica ma anche metagiuridica9.E il virus della legalità, dunque? Apparentemente esso non ha danneggia-to l’organismo ospite come si poteva pensare; anzi, per molti aspetti lo ha rafforzato e aiutato a uscire da una fase di grave crisi di identità ideologica e di legittimità politica. Tuttavia ha contribuito in misura determinante a modificarne la struttura cellulare, innescando una trasformazione profon-

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da e probabilmente irreversibile della cultura politica cinese. È anche grazie a quel virus che in Cina è oggi possibile il germogliare di forme di pluralismo e di partecipazione che danno il titolo a questo lavoro.

rule of law e rule by law Con un emendamento costituzionale di enorme importanza sistematica, il 15 marzo 1999 l’Assemblea nazionale popolare, il parlamento cinese, sanciva, me-diante l’aggiunta di un comma all’Art. 5 della Costituzione del 1982, l’adozione del principio di legalità quale metodo e fine di governo: «La Repubblica Popo-lare Cinese attua il governo dello Stato mediante la legge per costruire uno Stato socialista di diritto (shehuizhuyi fazhi guojia)»10. Così, dopo vent’anni di sperimentazione, il virus della legalità veniva formalmente inoculato nell’or-dinamento cinese. Ma che cosa significa governo mediante la legge? È cor-retto tradurre fazhi con legalità? Con rule of law? Nella tradizione giuridica occidentale, legalità significa innanzitutto conformità alla legge e il principio di legalità è quello in base al quale i pubblici poteri sono soggetti alla legge. Tuttavia, in Occidente la storia della legalità si fonde e si confonde con l’evolu-zione del sistema politico democratico e del costituzionalismo11. Nella nostra visione del diritto, nemmeno il legislatore – che è eletto democraticamente e che dunque si ritiene rappresenti nel migliore, o nel meno peggiore dei modi,

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╡la volontà popolare – ha la facoltà di violare i diritti fondamentali dell’uo-mo, la cui tutela giuridica costitui-sce anzi proprio un compito prima-rio dello Stato e un limite assoluto al suo potere. È proprio per garan-tire più compiutamente tale tutela che il potere statale viene suddiviso in tre distinte componenti, quella legislativa, quella esecutiva e quel-la giudiziaria, separate e bilanciate tra loro.Nella Cina comunista invece, come nel modello sovietico di riferimen-to, la nozione di legalità nasce e si sviluppa con caratteristiche parzial-mente diverse: deve infatti fare i conti con altri principi fondamenta-li dell’ordinamento socialista, quali quello della dittatura democratica del proletariato o quello del ruolo guida del Partito Comunista, che a differenza del principio di legalità, che si manifesta per mezzo di leggi generali e astratte, operano su un piano speciale e concreto, sia per mezzo di regolamenti e procedure formalizzati, sia per mezzo di altri strumenti di pressione, condiziona-mento personale e sanzione sociale non sempre e non interamente for-malizzati.La subordinazione degli organi del-lo Stato alla direzione politica del Partito presuppone che non vi sia separazione né bilanciamento tra i poteri, che all’opposto sono consi-derati come un potere unitario, af-fidato a una piramide di assemblee

rappresentative popolari (renmin daibiaohui) al cui vertice è posto l’organo parlamentare, l’Assemblea nazionale del popolo.Sono le assemblee popolari che no-

minano, controllano ed eventual-mente esonerano i dirigenti di tut-ta la pubblica amministrazione ai vari livelli, e tra questi sono inclusi i procuratori e i giudici, che dunque non godono né di indipendenza né

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di autonomia. Non esiste nemmeno un controllo di costituzionalità del-le leggi da parte di una corte costi-tuzionale o comunque di un orga-no diverso da quello legislativo. Il

ruolo guida del Partito nella deter-minazione della politica nazionale fa anche sì che l’organo legislativo supremo, l’Assemblea nazionale e il suo Comitato permanente, non sia composto da deputati eletti di-

rettamente dal popolo, ma dai de-legati delle assemblee regionali, e che svolga una funzione eminente-mente formale di ratifica delle de-cisioni adottate dal Partito12. È so-prattutto nella formazione di quelle decisioni, e non in sede di dibattito parlamentare, che viene realizzato il contemperamento degli interessi politici nazionali; e se è vero che negli ultimi anni l’Assemblea ha dato cenni di una certa vitalità, ri-mane il fatto che la sua attività ha molto poco in comune con quella di un parlamento occidentale.Nella visione socialista cinese la funzione del diritto positivo, quan-do non è retorica, è insomma so-stanzialmente strumentale. Il le-gislatore e il giudice non sono che meri esecutori, o meglio, formaliz-zatori della volontà politica del Par-tito; la politica non trova un limite definito nel diritto ed è piuttosto il diritto a essere gestito e utilizzato dalla politica come metodo di go-verno, oppure come strumento di repressione13. Tuttavia, dopo i lun-ghi anni del maoismo più radicale e della più completa latitanza istitu-zionale14, la leadership riformista cinese ha progressivamente affida-to al principio di legalità un ruolo sempre più importante, garantendo al diritto spazi crescenti di autono-mia dalla politica. A partire dall’ini-zio degli anni Ottanta, gli organi di governo e la stampa cinesi hanno cominciato a fare un uso frequente

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╡ed enfatico del termine fazhi, letteralmente «sistema legale», allargando-ne il significato formale di «ordinamento giuridico» sino a comprendervi (per esempio nell’espressione shehuizhuyi fazhi jianshe, «costruzione del diritto socialista») un’idea basilare di legalità, intesa come regola per l’e-sercizio corretto dei pubblici poteri15.Costruire un diritto socialista significava allora principalmente riorganiz-zare l’apparato istituzionale statale, ridotto in macerie dalla rivoluzione culturale maoista. Significava ricominciare a scrivere le leggi, a esercitare la funzione giurisdizionale e a insegnare e studiare il diritto; significava stabilire un metodo uniforme e trasparente per disciplinare l’attività della pubblica amministrazione e i rapporti tra organi centrali e periferici dello Stato; e soprattutto significava riaffermare la separazione delle compe-tenze istituzionali dello Stato e delle località da quelle politiche, di coordi-namento e controllo, del Partito Comunista; significava insomma imporre alla politica del Partito di farsi politica dello Stato e dunque legge (fa) dello Stato.Furono anni di intensa legificazione, soprattutto a livello locale, e sebbene gli atti normativi emanati a quell’epoca fossero spesso ancora sperimenta-li o provvisori, brevi e vaghissimi, e non si fosse ancora formata una classe di giuristi in grado di gestire adeguatamente la nuova normativa, gli or-gani centrali e periferici dello Stato cominciarono a operare sempre più regolarmente in base a norme giuridiche conoscibili, generali e astratte, e

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la società cinese stessa prese a “le-galizzarsi”, nel senso che il diritto, il suo linguaggio, le sue tecniche, i suoi istituti e le sue professioni cominciarono a divenirne una com-ponente imprescindibile. All’enun-ciazione di diritti sempre più estesi corrispose anche, sul piano sociolo-gico, una loro rivendicazione sem-pre più assertiva. La tradizionale avversione – prima confuciana e poi maoista – nei confronti dell’uti-lizzo del diritto come strumento di controllo sociale e della risoluzio-ne aggiudicativa delle controversie cedette il posto a una concezione e a una fruizione del diritto molto più simili a quelle occidentali, e il nu-mero delle cause giudiziarie civili e amministrative crebbe in misura esponenziale16. Fu grazie allo svi-luppo e alla depoliticizzazione del-le istituzioni giuridiche intervenuti nel primo decennio di riforma che, nel linguaggio della dottrina giuri-dica cinese degli anni Novanta co-minciò a essere utilizzato sempre più frequentemente un termine omofono del fazhi «sistema legale»: fazhi, «governo della legge», forma abbreviata dell’espressione, di an-tichissima origine legista, yifa zhi-guo, «governare il paese per mez-zo della legge»17. Nel giro di poco tempo, tale termine sarebbe entra-to prepotentemente nel linguaggio ufficiale come in quello comune, in quello accademico come in quello dei media. Tradurre questo fazhi

(che è anche utilizzato dal legisla-tore costituzionale nel menzionato emendamento del 1999) come «go-verno della legge» o rule of law ri-schia di essere eccessivo e di trarre in inganno l’osservatore occidenta-le che, come si accennava sopra, tende ad attribuire a quell’espres-sione i contenuti dettati dalla pro-pria esperienza storica e culturale. Meglio dunque mantenere l’accen-to sull’utilizzo strumentale che il Partito Comunista fa del diritto e renderlo come rule by law, governo «per mezzo» della legge. Comun-que, al di là delle questioni etimo-logiche – che non riguardano tanto il fenomeno in atto in Cina quanto la nostra capacità di comprender-lo –, l’affermazione del principio di legalità ha rappresentato indubbia-mente uno dei fenomeni più inno-vativi e più decisamente “politici” della trasformazione della società cinese contemporanea.Tale fenomeno è innanzitutto con-sistito in uno straordinario svilup-po quantitativo e qualitativo della legislazione. Sebbene i numeri as-soluti dell’attività legislativa sia-no piuttosto modesti rispetto agli standard dei paesi occidentali, l’o-pera compiuta in questi anni è sta-ta colossale: partendo dalla tabula rasa maoista, è stato realizzato un corpus estesissimo di leggi, decreti e atti normativi secondari, naziona-li e locali, che disciplina ormai tut-te le sfere della vita associativa, dai

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╡rapporti personali a quelli patrimoniali, dall’organizzazione delle pubbliche amministrazioni alle relazioni internazionali18. Ormai non c’è più settore del diritto cinese che non sia stato oggetto di si-gnificativi interventi legislativi19; e ciò che è persino più importan-te è il fatto che tutti questi atti normativi – a differenza di quanto accadeva in passato, quando era diffusa la pratica dei regolamenti “interni” o confidenziali – sono pubblicati e conoscibili al pubblico.Gli atti normativi emanati in questi anni a livello centrale e locale hanno generato nuovi diritti e nuovi obblighi, organici alla trasfor-mazione socioeconomica e a essa necessari. Qui però rileva soprat-tutto il fatto che ognuno di essi ha determinato una progressiva riduzione degli spazi di discrezionalità della burocrazia statale e del Partito: se ancora nei primi anni della riforma erano i burocrati a determinare la misura del giusto e dell’ingiusto e a concedere graziosamente, singolarmente e discrezionalmente, privilegi, esen-zioni e immunità, lentamente questa funzione si è trasferita a fun-zionari e giudici tenuti al rispetto della legge dello Stato. Un esempio tipico di tale fenomeno è rappresentato dal caso del-la disciplina legale dell’impresa privata20. Quando, a partire dal 1988, il legislatore ammise a titolo generale la costituzione di so-cietà di capitale private, l’imprenditoria privata costituiva già una realtà economica matura da un decennio e si era sviluppata nella pressoché totale assenza di un quadro normativo proprio grazie alla flessibilità e alla discrezionalità amministrativa, allo sperimen-talismo e, non di rado, anche alla corruzione. Prima di allora, l’e-sercizio di imprese private era già possibile, ma era il risultato di un opaco negoziato tra le amministrazioni e gli imprenditori ed era privo di qualsiasi tutela che non fosse quella politico-clientelare: a es-sere nuovo, in quel caso come in molti altri, non era la fine di un dogma (in questo caso, quello della proprietà pubblica dei mezzi di produzione), già ampiamente demolito dagli effetti della riforma socioeconomica, ma il fatto che la libertà dei privati di intraprendere un’attività economica fosse formalizzata nella legge e dunque trasformata in un vero e proprio diritto soggettivo.È questo, in effetti, il fenomeno a cui si fa principalmente riferimento quan-do si parla della legalità in Cina. In questa prospettiva, non è tanto la na-tura o il contenuto dei nuovi diritti e delle nuove libertà introdotti dalla legislazione a essere importante, quanto il fatto che tali diritti e libertà siano formalizzati e protetti per mezzo di strumenti legali, “per mezzo della legge”.Ed è in questo stesso punto che le diverse concezioni del fazhi convergo-no: non possono infatti esistere diritti senza una piena legalità, perché

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la nozione stessa di diritto soggettivo presuppone quella di un apparato giuridico efficace finalizzato alla sua tutela, e non può nemmeno esservi una legalità senza pienezza dei diritti, perché la nozione stessa di legalità presuppone un limite autoimposto all’autorità dello Stato (e a maggior ra-gione a quella del Partito).In Cina questa interazione è particolarmente evidente nel diritto ammini-strativo, laddove viene lentamente ad affermarsi un principio dirompente rispetto alla tradizione storica e all’ideologia del comunismo cinese: quello in base al quale gli atti della «burocrazia celeste », sino soltanto a ieri in-sindacabili, debbono essere conformi alla legge (yifa xingzheng xingwei) e possono sempre essere oggetto di contestazioni e ricorsi giudiziali da parte dei cittadini21. Emblematicamente, la prima legge (sulla procedura amministrativa) con cui veniva consentito ai cittadini il ricorso ai tribunali contro gli atti illegittimi della pubblica amministrazione venne approvata nel 1989, nello stesso anno cioè in cui l’esercito reprimeva le dimostrazioni

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legalità socialista cinese

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legalità socialista cinese

studentesche di piazza Tian’anmen. Si trattava del primo tassello di un grande progetto di ristrutturazione dell’ap-parato dello Stato e degli enti locali che sarebbe stato realizzato negli anni successivi per mezzo di numerosi in-terventi legislativi culminati, nel 2007, in un decreto leg-ge sulla trasparenza degli atti amministrativi (zhengfu xinxi gongkai tiaoli)22. Se agli inizi di tale percorso la volontà – o quanto meno la capacità – di rendere davvero la pubblica amministrazione giuridicamente responsabi-le dei propri atti sembrò alquanato di voler seriamente perseguire l’obiettivo di una modernizzazione istituzio-nale nella quale il diritto riveste il ruolo di regola e limite dell’azione degli organi della pubblica amministrazione e degli enti pubblici24.

CriTiCiTà e limiTi della leGaliTà soCialisTa Cinese

“Governare il paese per mezzo della legge” significa, come si accennava sopra, delimitare i confini dell’au-torità statale. Ma significa anche fissare e formalizzare il perimetro delle libertà e dei diritti individuali. Ora, è evidente che tale perimetro si sta estendendo parallela-mente al rinnovamento e all’apertura al mondo esterno della società cinese. Persone, capitali, beni, informazio-ni circolano con grande facilità, anche oltre le frontiere nazionali, e i pilastri su cui tradizionalmente si fondava il sistema di potere del Partito Comunista stanno crol-lando uno ad uno: la proprietà dei mezzi di produzione è stata largamente privatizzata, la pianificazione statale ha cessato di dirigere direttamente e gerarchicamente l’economia (benché la capacità di indirizzo governativo rimanga sensibilmente maggiore di quella dei sistemi oc-cidentali) e il centralismo democratico, evidentemente inadatto a gestire una società dinamica e pluralistica, ha dovuto essere trasformato in un sistema di organizzazio-ne e trasmissione del potere di tipo nuovo, meno rigido e gerarchico, nel quale i cittadini godono di un alto livello di autonomia e la legge dello Stato svolge una funzione fondamentale di direzione e coordinamento.Uno dei fenomeni che sta maggiormente cambiando il volto delle società cinese e che più incide sugli argomen-ti di cui stiamo trattando è quello dello smantellamento del sistema maoista della «ciotola di riso di ferro» (tie-fanwan)25. In quel sistema gli individui erano vincolati per tutta la vita alle loro unità produttive di base (dan-wei), le quali fornivano loro non soltanto il posto di lavo-ro, ma tutti i servizi fondamentali, dall’educazione alla sanità, dall’alloggio alla previdenza, e svolgevano anche una funzione fondamentale di controllo diretto della po-polazione da parte del sistema Stato-partito, soprattutto

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╡nelle aree urbane. Con il procede-re della riforma gran parte di quei servizi e di quella funzione sono stati affidati agli enti locali o a sog-getti privati o semiprivati, oppure sono semplicemente cessati, e se ancora non è chiaro quale strada imboccherà la Cina per ciò che ri-guarda l’istituzione di un sistema nazionale di welfare, è invece evi-dente che l’allentamento del con-trollo delle unità di base sulla vita degli individui ha effettivamente comportato lo sprigionarsi di vigo-rose manifestazioni dell’autonomia individuale, tutte enunciate e rego-late dalla legge. Questo processo epocale di arretramento dell’ap-parato pubblico, nel quale i prece-denti meccanismi di controllo, ma anche di protezione sociale, ven-gono abbandonati e i rapporti so-ciali vengono orientati verso forme nuove di autonomia individuale, è riflesso in tutte le componenti del diritto cinese contemporaneo.Un caso emblematico è quello dell’evoluzione del diritto dei con-tratti, che se in una prima fase ri-fletteva ancora l’idea maoista del contratto come atto di natura semi-amministrativa, momento termina-le di un processo di pianificazione imperativa o direttiva, nel quale le parti erano obbligate a incorpora-re gli ordini di piano e lo spazio di autonomia negoziale era minimo, con l’approvazione della legge del 1999 viene a fondarsi sulla liber-tà negoziale delle parti, espressa-

mente tutelata dalla legge contro qualunque illecita interferenza da parte di qualsiasi soggetto terzo26. Ma vi sono innumerevoli altri casi che dimostrano l’enorme amplia-mento dell’autonomia individuale realizzatosi nell’ultimo ventennio, relativi non soltanto alla sfera eco-nomica, ma anche all’educazione, alla residenza, alla cultura, allo stile di vita e, persino, a materie personalissime: si pensi, per fare un solo esempio, che soltanto dal 2003, grazie a una modifica della normativa sulla registrazione del matrimonio, l’autorizzazione della danwei di appartenenza dei nuben-di non è più un requisito obbliga-torio per contrarre validamente il vincolo matrimoniale27. Le nuove leggi hanno generato e continuano a generare nuovi diritti di libertà, la cui tutela è teoricamente garantita dall’impegno dell’autorità politica al rispetto del fazhi, ma che sono comunque pur sempre inquadrati in un sistema ideologico e politico socialista e dunque non presenta-no le caratteristiche di assolutezza e inviolabilità tipiche dei sistemi giuridici occidentali. All’opposto, l’ordinamento cinese attribuisce ai diritti individuali soltanto lo spazio necessario all’efficienza del siste-ma economico complessivo e alla crescita del benessere della collet-tività, e nonostante il lento emer-gere, nell’accademia giuridica, di un «nuovo costituzionalismo»28, la dottrina dominante tende ancora a

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fare riferimento al compimento dei propri obblighi e dei propri doveri come a una condizione imprescindibile per il godimento dei diritti da parte dei cittadini29. Del resto, è innanzitutto la Costituzione a fare riferimento a questa re-latività dei diritti laddove recita: «Nell’esercitare le proprie libertà e i propri diritti i cittadini della Repubblica Popolare Cinese non devono nuocere agli interessi statali, sociali e collettivi, né ai legittimi interessi o alla libertà di altri cittadini» (Art. 51). Così, se è vero che la Costitu-zione e le leggi affermano un’ampia varietà di libertà e di diritti, politici (elettorali, di espressione, stampa, riunione, associazione, manifesta-zione e critica della pubblica amministrazione e dei suoi funzionari) e personali (inviolabilità della persona e della sua dignità, del domicilio,

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╡della corrispondenza, libertà religio-sa), non appena l’interesse pubblico diviene prevalente si ritiene che tali diritti possano essere sacrificati o di-sattesi, e quello stesso fazhi che di-spensa nella società cinese tanti nuo-vi diritti e libertà, diventa facilmente un efficace strumento di controllo, di sfruttamento o di repressione.Ciò avviene innanzitutto nel caso dei soggetti “antisociali”, che sebbene oggi non siano più etichettati dalla legge come “controrivoluzionari”, continuano a essere considerati un ostacolo allo sviluppo armonioso del paese30. Tra questi sono compresi per esempio, a seconda dei casi e dei momenti, gli attivisti politici e sinda-cali che tentano di concretizzare il diritto di associazione istituendo for-me organizzate di dissenso, i religiosi che reclamano il diritto di praticare il proprio culto, i giornalisti e i blog-gers colpevoli di forme di espressione ritenute politicamente o moralmente devianti, i cittadini appartenenti a minoranze etniche e linguistiche che lottano per la conservazione della propria identità31.È sul trattamento di questi soggetti che si concentra la maggioranza del-le critiche della comunità internazio-nale sul mancato rispetto dei diritti umani da parte del governo cinese32. Nonostante l’impegno al rispetto dei diritti umani sia stato declamato dal-le autorità cinesi da diversi anni e sia stato persino formalizzato in sede co-stituzionale nel 2004 con una modi-fica dell’Art. 33 («Lo Stato rispetta e protegge i diritti umani»33), infatti, appare del tutto evidente che i diritti costituzionali di questi cittadini con-tinuano a essere violati in ossequio al pubblico interesse.Ma vi è anche un’altra categoria, for-se meno appariscente della prima,

per la quale l’affermazione della lega-lità non ha comportato un reale am-pliamento dei diritti. È composta da quelle decine di milioni di individui emarginati, migranti e irrilevanti che con l’abolizione delle danwei hanno perso il lavoro, l’alloggio e l’assisten-za sanitaria precipitando in un som-merso privo di ammortizzatori, i cui interessi sono stati sacrificati a favo-re di quelli delle componenti più ra-pidamente integrabili della società. È composta dalle masse di cittadini che hanno subito espropri, demolizioni o deportazioni nel quadro dei grandi progetti infrastrutturali e urbanistici che hanno trasformato il volto della Cina, o dalla forza lavoro migrante, sfruttata da un’imprenditoria spre-giudicata e collegata al potere politi-co, alla quale l’autonomia individuale è stata concessa soprattutto per po-tersi spostare per il paese alla ricerca di un’occupazione precaria e irrego-lare, privata di qualunque protezione sociale dalla disgregazione dell’orga-nizzazione socialista34. Questa parte più debole della società cinese non solo non è stata premiata dalle scel-te normative operate dal legislatore riformista cinese, ma in generale ha sinora avuto scarsissimo accesso alla tutela giuridica dei diritti enunciati dalla legge e ha subìto muta gli effet-ti della riconversione socioeconomi-ca. Nei momenti in cui queste masse sfruttate alzano la voce, mettendo a repentaglio la sicurezza pubblica o l’efficienza produttiva, la legge tende a intervenire contro di loro, e ciò in particolar modo quando quelle voci siano dirette o organizzate da sog-getti antisociali.Negli ultimi anni, tuttavia, si sono av-vertiti i segni di un cambiamento, sia sotto il profilo normativo, sia sotto il profilo dell’applicazione del diritto.

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Innanzitutto, molti degli atti normativi più recenti sembrano tenere in mag-gior considerazione i settori svantag-giati della società, riconoscendone e tutelandone in maniera più decisa e più precisa i diritti fondamentali e in-tegrandoli il più possibile nella società “armoniosa”: emblematica, in questo senso, la legge sui contratti di lavoro del 2007, il cui fine precipuo è quello di far emergere il lavoro nero e dotare tutti i lavoratori di una tutela contrat-tuale minima.Questo orientamento della politica le-gislativa cinese è dovuto a vari fattori politici, socioculturali e tecnico-giu-ridici. Riflette la scelta, effettuata dal governo comunista con l’inizio del nuo-vo millennio, di riequilibrare e unifor-mare la crescita economica e di ridur-re le sperequazioni sociali, riprende impegni assunti sul piano internazio-nale per mezzo di accordi e trattati, e rappresenta più in generale un portato della maturazione della società cine-se. Anche il cambiamento in atto nel modo di formazione delle leggi, che è oggi assai più complesso e partecipati-vo di quanto non fosse prima, ha inciso sull’espressione del legislatore: ormai vi partecipano non soltanto il Partito e il governo, ma anche le parti socia-li, l’accademia, l’opinione pubblica e in diversi casi sono intervenuti nel pro-cesso formativo persino soggetti stra-nieri35. Finanche il parlamento, che per tanto tempo non aveva svolto che un ruolo di ratifica di decisioni prese internamente dal Partito e che rimane fortemente deficitario dal punto di vi-

sta della legittimazione democratica, ha cominciato a esprimersi con mag-gior vigore, discutendo accesamente i progetti legislativi, modificandone il testo e in qualche caso rinviandone pure la programmata approvazione.Un altro elemento che contribuisce a determinare la graduale inclusione dei settori emarginati nell’orbita della le-galità è il fazhi stesso, ossia la crescen-te diffusione nella società cinese degli strumenti e delle tecniche giuridiche e la parallela riduzione della distanza – sino a ieri abissale – che separa la law in the books dalla law in action. In particolare, è la categoria degli av-vocati che sta giocando una funzione sempre più centrale. Nel 1996 una nuova legge li ha affrancati dalla loro dipendenza dalla pubblica amministra-zione e, da allora, la categoria ha acqui-stato un’autonomia e una competenza tecnica tali da riuscire a imporre all’in-tero sistema, in primo luogo ai giudici, una più rigorosa aderenza alle norme di legge e un più attento formalismo. Nella giustizia civile la dialettica tra la magistratura e l’avvocatura si gioca or-mai ad armi pari, perché se è vero che nel sistema cinese il potere del giudice è più ampio e discrezionale di quello a cui siamo abituati in Occidente e più direttamente condizionato dalla politi-ca, è anche vero che gli avvocati difen-dono clienti economicamente sempre più forti e portatori di interessi sempre maggiori, e sono dunque a loro volta in grado di esercitare una pressione politica non indifferente sulla gestione dell’attività giurisdizionale.

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╡Per quanto riguarda quella penale, in-vece, la situazione è alquanto diversa. Qui il conflitto tra il principio di lega-lità e quello del ruolo guida del Par-tito Comunista è forte, e lo scrutinio dell’attività giudiziaria da parte di un ceto di avvocati autonomo e agguerrito non viene considerato ammissibile. Ma è proprio questo il contesto nel quale il virus della legalità assume la sua forma patogena e sembra poter germogliare la nuova legalità a cui si riferisce il ti-tolo di questo scritto.Il caso Sun Zhigang, la nascita e la re-pressione della lega per la tutela dei diritti Gongmeng, l’emergere di una categoria coraggiosa di avvocati per la tutela dei diritti (weiquan lüshi), altri fenomeni ed episodi simili – sui quali si rinvia al saggio di Flora Sapio con-tenuto in questo volume – sono esempi di un fenomeno del tutto nuovo e ca-rico di implicazioni, la cui caratteristi-ca comune è quella di mettere in luce la sempre più evidente contraddizione tra la teoria dello Stato di diritto e la prassi del potere del Partito Comuni-sta, tra il governo (per mezzo) della legge e il governo dell’uomo.Ciò che infatti caratterizza queste forme di dissenso e le rende particolarmente pericolose non è soltanto la natura pri-vata della categoria professionale che le sta conducendo e le sta tecnicamen-te strutturando nel modo più corretto ed equilibrato possibile, ma proprio il fatto che questi “dissidenti” si limitano ad appellarsi al rispetto della legalità, aderendo nel modo più rigoroso e for-

male alla legge ed evidenziando in tal modo la contraddizione di fondo in cui si muove l’azione governativa.Il governo cinese, vincolato dalla sua stessa retorica sull’importanza dello stato di diritto e oggetto di nuove forme di scrutinio da parte dell’opinione pub-blica, non può infatti più permettersi con la facilità di un tempo di reprimere arbitrariamente chi, in pratica, chiede soltanto una giusta applicazione delle norme legali. E i giudici cinesi si tro-vano in una situazione sempre più im-barazzante, schiacciati tra la tendenza a un’applicazione tecnica della legge e le resistenze derivanti da un sistema di controllo politico della loro attività che ancora riflette il modello organizzati-vo leninista dell’unità dei poteri dello Stato36.La magistratura cinese è un potere ge-rarchico, organizzato in modo piuttosto simile a quello in cui, in molti sistemi giuridici occidentali, sono organizzati gli organi della pubblica accusa. I giu-dici non dispongono di alcuna garanzia di autonomia o di inamovibilità e l’avo-cazione dei processi, la revisione del-le sentenze e altre forme di ingeren-za delle gerarchie interne sull’operato del singolo magistrato sono frequenti, come lo sono le dirette interferenze dei funzionari del Partito Comunista, realizzate sia attraverso strumenti in-formali, sia per mezzo di appositi mec-canismi istituzionali. I giudici debbono rispettare il ruolo «direttivo» delle com-missioni politico-giuridiche (zhengfa weiyuanhui) del Partito, mentre ogni

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aspetto della vita concreta delle corti – dal bilancio ai rapporti di lavoro, dagli alloggi all’educazione – è controllato dagli organi locali del governo.Le decisioni giudiziali sono dunque strutturalmente viziate, soprattutto nei casi di controversie politicamen-te o economicamente importanti o tra soggetti di diverse regioni del paese.

Un effetto particolarmente grave di tale situazione è la vistosa difficoltà di eseguire le sentenze in luoghi diversi da quelli in cui sono state pronuncia-te, a causa della scarsa collaboratività, quando non dell’ostruzionismo delle amministrazioni locali coinvolte37. Per effetto del radicamento del fazhi, la ca-pacità di interferenza dell’esecutivo e

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del Partito sulle decisioni giudiziarie si sta riducendo, e non sono pochi i casi in cui i giudici hanno avuto il coraggio di prendere delle decisio-ni legalmente corrette contrastanti con la volontà politica. Ma si tratta di un processo lento, anche perché l’idea di fondo che la decisione giu-diziale possa o debba essere indiriz-zata dal potere politico rimane forte.Il caso della massaggiatrice dell’Hu-bei Deng Yujiao, dibattutissimo sui media cinesi nell’estate del 2009, è assolutamente emblematico del perpetuarsi, in una forma nuova, di questo atteggiamento.

L’arresto della donna, accusata dell’omicidio di un alto funziona-rio locale e del ferimento di un suo collaboratore che avevano tentato di violentarla, ha suscitato una for-te reazione nell’opinione pubblica cinese, che vi ha visto l’ennesimo esempio di ingiustizia e di conniven-za di fronte all’immoralità e alla pre-potenza dei funzionari.

La massiccia mobilitazione del «popolo della rete», che di Deng Yujiao aveva fatto un’eroina e un simbolo della lotta ai funzionari corrotti, ha spinto l’autorità giudiziaria a rilasciare la donna, a derubricare l’accusa di omicidio in eccesso di legit-tima difesa e a emettere rapidamente una condanna mite, capace di ac-contentare un po’ tutte le parti coinvolte. Il caso, che è stato considerato una riprova evidente del ruolo fondamentale di garanzia e scrutinio ormai assunto dalla società civile nell’affermazione della legalità, dimostra tut-tavia anche quanto la magistratura cinese sia sensibile alle pressioni della politica, aprendo inquietanti prospettive quanto alla malleabilità degli organi giudiziari (e di quelli politici che li controllano) di fronte alle pressioni dell’opinio-ne pubblica38.

In fondo, i grandi quesiti che si pongono alla Cina sono ormai molto simili, quando non analoghi, a quelli che deve affrontare l’Occidente: i temi sono il rapporto tra politica, diritto e informazione, le forme di partecipazione popolare alle scelte del

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╡renzo CavalieriProfessore associato di Diritto privato comparato e di Diritto dell’A-sia Orientale, Università di Venezia Ca’ Foscari; professore di Diritto cinese presso la Pontificia Università Lateranense; Accademico Fon-datore della Classe Asiatica dell’Accademia Ambrosiana; Professo-rial Research Associate della School of Oriental and African Studies. Tra le sue pubblicazioni: La legge e il rito: lineamenti di storia del diritto cinese (1999); L’adesione della Cina alla WTO (2003); Com-mercio internazionale e investimenti esteri in Cina (2006); Germogli di società civile in Cina (2010). www.leggicinesi.it/default.asp

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governo, i criteri di rappresen-tanza e di bilanciamento degli interessi sociali, la tutela delle componenti deboli della società e dell’ambiente naturale, la li-bertà di informazione.

Il modo in cui la Cina tende ad affrontare questi problemi però appare del tutto originale. La questione della legittimazione democratica del potere politi-co non vi riveste la stessa cen-tralità che ha in Occidente: una progressiva riforma del sistema elettorale verso forme di parte-cipazione democratica più im-mediata e diretta è in agenda, ma non è considerata una pri-orità, mentre l’ammissione di forme di aggregazione politica realmente autonome dal Partito è fuori discussione.

Piuttosto, lo sforzo innovativo è dedicato a istituire e attuare cri-teri meritocratici e tecnocratici sempre più efficienti per l’attri-buzione dei ruoli sociali e la se-lezione dei governanti, e in que-sto processo il diritto ha preso a svolgere un ruolo primario.

Mentre noi siamo ancora pri-gionieri di una retorica della le-gittimazione politica popolare e della libera informazione che tende ad apparire sempre più vacua e superata, la Cina lavo-ra alacremente all’istituzione di un sistema istituzionale “di tipo nuovo”, nel quale la guida poli-tica del Partito e il principio di legalità sono dinamicamente in-trecciati e bilanciati tra loro nel supremo interesse della cresci-ta socioeconomica nazionale.

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¶sussurri e grida della nuoVa cinaUna indagine sUgli orientamenti di valore cinesi nella modernità attraverso esperienze di didattica di intercUltUral management

cina: non solo moda, ma modello di ciViltà

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A partire dalla metà di questo pri-mo decennio degli anni 2000, sol-lecitato dall’onda di un ormai con-clamato miracolo economico che ha investito il Paese, lo studio della lingua e della cultura cinese nelle università italiane ha subito un for-te impulso, affiancato dalle neces-sità di formazione dei settori della produzione e dei servizi, imprepa-rati ad affrontare una differenza culturale percepita come sensibi-le. Sono così proliferati anche Ma-ster e percorsi di formazione post-laurea, presso Scuole di Impresa e di Alta Formazione, collegate alle università e ai centri di ricerca con focus sul Paese di Mezzo e sui mer-cati asiatici.Contemporaneamente, con il pro-gressivo sviluppo dell’economia e del ruolo della Cina negli equilibri geo-politici e nell’Asia – Pacifico, il Paese ha avviato un restyling di immagine volto alla valorizzazione della sua cultura e alla diffusione della sua lingua nel mondo. E poi-ché il primo e più ingente patri-monio cinese è quello del wen 文, carattere unico con il quale sotto-linea la coerenza e organicità se-mantica tra lingua e civiltà, è il wen che oggi la Cina intende esportare nel mondo, dopo aver importato in questi anni ogni sorta di know-how

tecnologico, mostrandosi predispo-sta nel presente alla esportazione non solo di merci, ma anche di in-telligenza e creatività.Questo processo è iniziato con me-todo cinese, sistematico e capillare, attraverso la fondazione di Istituti Confucio, associati alle principali università estere, non trascurando quelle italiane. La stessa denomi-nazione degli istituti a Confucio, il saggio del VI secolo avanti Cristo, che ha ispirato gli orientamenti di valore dominanti della civiltà cine-se, è un chiaro riferimento al ra-dicamento della società cinese ai propri principi fondativi.Lo studio xue 学 , quale fonte di coltivazione della persona umana, un umanesimo fondato su principi di autorità ma al contempo di re-ciprocità shu 恕, il focus sulla re-lazione umana e sulla vocazione sociale dell’uomo, che sono tutti valori confuciani, potrebbero con-trastare con una nuova Cina più spregiudicata e individualista, im-pegnata nella gloria dell’arricchir-si – per parafrasare la celebre svol-ta segnata da Deng Xiaoping, con lo slogan “arricchirsi è glorioso” – e con una proiezione aggressiva della nuova economia socialista di mercato.Quanto a colei che scrive, studio la

sussurri e grida della nuoVa cinaUna indagine sUgli orientamenti di valore cinesi nella modernità attraverso esperienze di didattica di intercUltUral management

Margherita Sportelli

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Cina da trent’anni, ovvero da tem-pi ancora incontaminati dalla moda del cinese, nei quali non era faci-le essere orientalisti senza essere considerati studiosi eccentrici o in-dividui improduttivi, che non doves-sero in qualche modo guadagnarsi il pane attraverso una professione o l’acquisizione di una utile compe-tenza. E in questi trent’anni i senti-menti che hanno accompagnato la mia relazione con il mondo cinese sono stati quelli che accompagna-no un grande amore, variando dal-la passione alla rabbia e viceversa. Essi mi hanno accompagnato dalle meditazioni sotto le zanzariere ne-gli anni ottanta, in una campagna incontaminata che presto sarebbe stata aggredita dalla modernità, fino al tumulto della urbanizzazio-ne di oggi, quando per calpestare la terra gialla, come i cinesi chia-mano il proprio Paese, per riap-propriarmene, appena atterrata a Shanghai faccio un bagno di folla tentando di riconquistare la città a piedi fino al Bund, ove il fiume Azzurro torna a rivelarsi, grigio di polveri, ferito.E poi gli occhi liquidi dei cinesi, persi nel ricordo di una storia così antica, eppure vividi di improvvisi balenii, che dietro le pupille acquo-se, nere e profonde, svelano l’intel-ligenza della sopravvivenza, un ra-dicamento ineluttabile alla propria identità, l’orgoglio di una apparte-nenza.Come comunicare il cuore della Cina, la sua pancia, il suo pudore

e la sua riservatezza, la sua sfron-tatezza e la sua voglia di riscatto dalle umiliazioni del Novecento, la capacità di cambiamento, il mira-colo della crescita e il radicamento dei valori, inscritti nel dna della na-zione? La sua capacità di resisten-za passiva e la lunga marcia di un popolo contadino verso il futuro, la consapevolezza dei rischi della esposizione alla modernità eppure la fiducia in essa?

appellaTivi di relazione e prinCipi di riservaTez-za nella ComuniCazione Con i Cinesi

Spiegare la Cina è una impresa im-possibile, che mi riesce più attra-verso l’energia della passione che quella dei ragionamenti. Eppure è il mandato accademico e scien-tifico che mi è dato nei master di Intercultural Management come nei percorsi professionalizzanti dedicati alle competenze di comu-nicazione e negoziazione con i ci-nesi. Nel mese di ottobre del 2009 giunsi alla Scuola di Alta Forma-zione SIAF di Volterra, collegata alla Scuola Sant’Anna di Pisa, per la mia consueta sessione formativa post-laurea dedicata agli orienta-menti di valore dei cinesi nella co-municazione e nei comportamenti organizzativi.Ero giunta nel campus silenzioso tra le colline senesi, con la consa-pevolezza di dover dire molto e di avere poco tempo.

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Margherita Sportelli

Quel giorno però il destino mi avrebbe dato una mano: in aula ci sareb-be stata Zhou Yin.Giovane cinese con una solida educazione di base, lavora in Lombardia per un gruppo cinese di import – export nel settore del tessile abbiglia-mento e ha sposato un giovane italiano.Zhou Yin è prima a giungere in aula tra i suoi compagni e trovandomi alle prese con il pc, ove avrei inserito la mia presentazione didattica, mi saluta: – Buongiorno professoressa, le porto un caffé? Sorrido e mi chiedo quando sia stata l’ultima volta che mi sia stato of-ferto di portarmi un caffè in un contesto universitario. Sorrido ancora e ringrazio, ma no, due caffè alle nove del mattino per me sono dav-

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vero troppi, ho già fatto colazione ma grazie mille per il pensiero gen-tile. Attendiamo che la classe si sia composta e comincio. Sono conten-ta che oggi ci sia in aula una testi-mone del suo Paese, che avvalori o riproponga una analisi critica della materia che esporrò.Zhou Yin è sottile e ha lunghi ca-pelli neri, ascolta attenta e prende appunti, confessa che dell’Italia le piacciono la mentalità aperta e la cultura, come la qualità della vita, ma che la infastidiscono i pregiudi-zi dei media sul suo Paese e sulla sua gente: i cinesi? tutti immigrati, contraffattori e mafiosi. Ma i cinesi sono anche grandi lavoratori, parsi-moniosi e profondamente attaccati ai valori della famiglia e della co-munità, ove tengono in gran conto la relazione umana e il rispetto del prossimo. Amano i bambini, il gio-co e la buona tavola, anche se al di fuori del proprio gruppo sembrano chiusi e riservati. E lo sono infatti, ma spesso ciò avviene perché lavo-rano molto e non hanno tempo per coltivare altre relazioni se non quel-le all’interno della comunità sociale ed economica di appartenenza.Questo mi spiega Zhou Yin e lo so, lo condivido, la sua testimonian-za in aula però sarà più efficace e reale di qualsiasi teoria io possa proporre. Chi ha paura della Cina? Se qualcuno ne avesse, la grazia di Zhou Yin e la sua garbata fermezza opporranno una solida muraglia a

qualsiasi pregiudizio.Accanto le siede Cecilia, ha conse-guito una laurea triennale alla Fa-coltà di Scienze Politiche di Milano, è reduce da un anno e mezzo tra-scorso a Shanghai a studiare la lin-gua, della Cina le piacciono la fre-nesia e le opportunità che offre, le resta però un profondo sentimento di inadeguatezza, la consapevolez-za che ha molta strada da percor-rere, ma lì vede un futuro possibile che in Italia non riesce a immagi-nare.Zhou Yin ha proiettato il suo futuro in Italia, Cecilia qui non vede futuro e prova un misto di risenti-mento e rabbia, per le opportunità di lavoro e di vita che il suo paese le nega. La Cina per lei è allora non solo un’attrazione, il fascino della lingua, la prospettiva di una evolu-zione, ma una sfida accettata in as-senza di un’altra scelta.Chiamo gli studenti informalmente per nome, mantengo il “lei” più per rispetto che per distacco. Chiamerò i miei studenti Cecilia, Fabrizio, Sil-via, Serena, Simone, ma per Zhou Yin le cose si complicano. Il cogno-me è Zhou, il nome è Yin, i cinesi hanno la consuetudine di chiamar-si sempre per cognome, anche tra amici, il nome proprio resta all’in-terno della famiglia, è denomina-zione troppo intima e privata, sal-damente custodita nella intimità genitore-figlio. I cinesi d’altronde sono riservati o hanxu 含蓄, come si direbbe con

36 1. Bond, M. H., The Handbook of Chinese Psychology, Oxford University Press, New York, 1996, pp. 283 – 293.

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parola appropriata del lessico cine-se, che traduce un valore culturale fortissimo e conferisce loro la vo-cazione alla manifestazione solo in-diretta dei propri sentimenti, delle emozioni e persino delle opinioni.Su questa caratteristica della co-municazione cinese, sulla sua pre-ferenza per i messaggi allusi piut-tosto che per l’espressione diretta delle idee, per le associazioni sim-boliche e le risonanze semiotiche piuttosto che per i processi lineari sono stati spesi fiumi di inchiostro.Per descrivere la misura dell’orien-tamento valoriale di una cultura verso la comunicazione implicita o esplicita, verbale o non verbale, il modello dell’antropologo E.T. Hall ha distinto tra le dimensioni di high e low context (HC e LC) .A Zhou Yin – che dunque sarebbe l’unica a essere chiamata per co-gnome, ma che conosce le nostre abitudini, e che non desidero di-scriminare rispetto agli studenti italiani, ma della quale al contempo non voglio offendere la sensibilità culturale arrogandomi il diritto di violare lo spazio sacro della riser-vatezza onomastica – chiedo allora semplicemente come preferisca es-sere chiamata.Lei mi risponde: – Mi chiami xiao Zhou, professores-sa.Sa di non aver bisogno di spiegar-mi perché: ha sancito la giusta di-stanza, quella che andrà bene per

lei e per me. Xiao Zhou significa “piccola” Zhou. L’appellativo che mi chiede tributa a me seniority e autorevolezza, la giusta anzianità e l’esperienza della docente, a sé l’af-fetto e la benevolenza che un allie-vo richiede al proprio maestro: pic-cola Zhou, come dire “cara” Zhou.

modelli di ComuniCazio-ne in Cina: un Caso di di-daTTiCa di inTerCulTural manaGemenT

Poi cominciamo. L’esercizio di aper-tura si chiama DIE : è l’acronimo di “describe”, “interpret” e “evalua-te”, dalla lingua inglese.Chiedo cioè agli studenti di de-scrivere, interpretare e valutare un’immagine che abbia un valore culturale, in quest’ordine, cercan-do di prestare soprattutto atten-zione alla sequenza, senza cedere alla tentazione del processo cogni-tivo di procedere a un’immediata identificazione funzionale, prima di soffermarsi sulla descrizione di quanto essi vedono, nei dettagli vi-sibilmente oggettivi.L’immagine in questione è quella di un uomo dal torso nudo, che por-ta “scritti sul corpo”, con vivido in-chiostro nero di china, caratteri ci-nesi in grande numero e apparente disordine e alcune lettere dell’alfa-beto latino.Gli studenti eseguono il mandato con cura, lavorando in coppie. Ce-

Margherita Sportelli

2. Hall, E. T., Beyond Culture, Doubleday, New York, 1976..3. Per approfondimenti sull’esercizio DIE si veda: Bennett, M.J., Bennett, M.J., Stillings, K. Intercultural Communiction Workshop: Facilitators guide, Portland State University 1988.

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cilia lo è con xiao Zhou: parlano fit-to tra loro, si confrontano.Scopriranno, a conclusione dell’e-sercizio, che si tratta della immagi-ne fotografata di Zhang Huan, un artista cinese contemporaneo, noto performer ed esecutore di body art, ormai famoso nel suo Paese come in gran parte d’occidente, residen-te sia a Shanghai e sia a New York, interprete delle nuove generazioni di cinesi abitatori del mondo.Per quanto alcuni tra i partecipanti abbiano appreso gli elementi fon-damentali della lingua cinese nel proprio corso di studi, nessuno è in grado di “leggere” con precisione l’immagine, xiao Zhou ne sarà alla fine l’interprete.Sul capo il carattere del Buddha Fo佛e i due di guannian 观念, parola che traduce “le idee e le opinioni”. Poco sotto, sempre sulla fronte, campeggia il motto ren wei shang 忍为上, la tolleranza è un valore su-periore. Sulla guancia destra, kou-cai bu hao 口才不好 sancisce che l’eloquenza, al contrario, non è un valore.Sotto la clavicola destra, leggiamo la domanda “hai dei sogni?”, ni you mengxiang ma? 你 有梦想吗?, men-tre sul fianco destro dell’uomo com-paiono i tre caratteri Kafuka 卡夫卡, che traslitterano il nome Kafka del noto scrittore. Sul braccio destro, dall’esterno verso l’interno, compa-iono le dichiarazioni: “sono uno stu-pido” (xianzai wo shi benren 现在

我是笨人) e “non ho soldi e neppure tempo” (wo mei qian ye meiyou shi-jian 我没钱也没有时间) a sancire una condizione di privazione assoluta di qualsiasi qualità e bene. Sotto la clavicola sinistra, le scrit-te baoyuan tai duo! 抱怨太多!e tai ruan de xin 太软的心 rispettivamente significano “ci si lamenta troppo!” e avere “un cuore troppo morbido”, mentre il braccio porta la prover-biale citazione che “ i diamanti non mutano”, zuanshi hengjiu yuan 钻石恒久远. Sul cuore, nel quadrante sinistro del busto, in posizione in-feriore rispetto alla clavicola, pro-prio sotto la scritta “avere un cuore troppo morbido” c’è scritto anche yi pin ru xi 一贫如洗, con il significato di “spiantato, povero in canna”, cui sotto si contrappone fuyu 富裕, che equivale ad “avere una vita agiata, essere benestanti”, allusa denun-cia di una società di sperequazioni sociali e di enorme divario dei red-diti e allusione forse anche al fatto che tai ruan de xin, un cuore troppo morbido e un eccesso di virtù tradi-zionali, si traduca alla fine in yi pin ru xi, ovvero in una condizione di povertà materiale.Sul ventre, sotto l’ombelico, qi chen dantian 气沉丹田, ci dice che “il qi af-fonda profondamente nel dantian”, campo del cinabro, luogo della fisio-logia taoista e sede del soffio vitale, il qi appunto. Sempre all’altezza del ventre, ma questa volta sopra l’om-belico, appare la scritta kuanrong

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bieren 宽容别人, “essere tollerante verso il prossimo”, che traduce uno dei precetti sociali fondanti del con-fucianesimo, ovvero la capacità di relazione con gli altri ispirata da un cuore benevolente (ren 仁).Immediatamente sotto il cuore, ma nel quadrante destro del bu-sto, campeggia l’aggettivo shizai 实

在,con il significato di “essere one-sto”, schietto e genuino, e traduce le qualità della autenticità e del-la integrità. E subito sotto shizai, ugualmente confuciana è la scritta feichang shanliang 非常善良 (lett. essere molto buono e onesto), che si riferisce attraverso la stessa scel-ta linguistica alle qualità dell’uomo

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perbene, la rettitudine dei compor-tamenti e l’onestà delle intenzioni.Procedendo ancora verso il basso, all’altezza della pancia, chuantong shengyi 传统生意, le vie tradizionali del commercio, si sovrappongono a wangluo jianshe 网络建设, la costru-zione del web.

Xiao Zhou, da testimone interpreta puntualmente: – L’uomo si chiede come possa af-frontare la modernità, con qua-li strumenti, cosa portare del suo passato nel mondo a venire, quali valori scegliere. E come correg-gere le mancanze. È un’immagine dell’uomo cinese – un uomo nuo-vo – che si domanda: che cosa mi manca per essere capace di proiet-tarmi con la mia umanità in questo tempo? Ma è anche la condizione universa-le dell’uomo in dubbio, la sua con-dizione esistenziale in bilico tra una pluralità di valori, le norme della sua religione e le nuove frontiere della tecnologia e della scienza, tra la dimensione della sensibilità so-ciale e della tolleranza e le nuove frontiere del successo e dell’arric-chimento individuale, anche a co-sto di qualche compromesso.

Terminate descrizione e interpreta-zione, resta da effettuare una valu-tazione, ovvero da rispondere alla domanda: quest’immagine ci pia-ce? Cecilia ne è entusiasta, quella figura problematica le restituisce l’immagine di una Cina contempo-ranea, internazionale, proiettata nel futuro, a xiao Zhou non dispia-ce, ne apprezza il sincretismo, la

mescolanza degli elementi, ma alla fine leggo nei suoi occhi una per-plessità, ideologica? Le resta uno sconcerto, che la vocazione cinese alla riservatezza le impedisce di rendere pubblico.La invito, se lo desidera, a dirci li-beramente che cosa le dispiaccia, perché è proprio quello lo scopo dell’esercizio: snidare le resistenze culturali. E alla fine xiao Zhou ci svela che quel che la disturba non sono le idee veicolate dai caratteri, ma piuttosto un’immagine di uomo che, per i suoi gusti e per il suo senso del pudore, è troppo nuda, imbarazzante, anche se l’uomo è ritratto a mezzo busto, ha le mani castamente intrecciate sul pube e si tratta di un’opera d’arte. Xiao Zhou, infrangendo la barriera della propria riservatezza e legittiman-dosi dunque a non essere hanxu 含蓄, dà prova inconfutabile del per-durare di questo orientamento di valore nel presente ma al contem-po testimonia che, se i cinesi sono riservati, ciò non vuol dire che essi siano chiusi.

Lo stesso esercizio è stato som-ministrato a numerosi gruppi di studenti, ultimi tra i quali quelli italiani che hanno frequentato il secondo anno del Corso di Laurea Triennale in Scienza e Tecnica del-la Mediazione Linguistica nell’An-no Accademico 2010 – 2011 presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere della Università del Sa-lento, nell’ambito dell’insegna-mento di Lingua e cultura – Lingua Cinese III con prova scritta.

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Gli studenti hanno descritto, interpretato e valutato l’immagine come segue:

Descrizione: Uomo orientale a torso nudo, con corpo interamente ricoper-to di sino-grammi, alcuni segni di punteggiatura e lettere alfabetiche.

Interpretazione: Il soggetto sembra esprimere i suoi pensieri in maniera spontanea ma silenziosa. La presenza di alcuni punti interrogativi ne è una conferma. La disposizione libera della scrittura sul corpo sottolinea alcuni caratteri in particolare, che emergono in dimensioni maggiori e più marcati.Il messaggio veicolato dal corpo è forse l’espressione di una protesta che l’individuo preferisce esprimere su se stesso piuttosto che attraverso un confronto con il mondo esterno.La macchia posta all’altezza del cuore è uno degli elementi che incuriosisce di più, e il punto interrogativo che vi compare accanto rafforza l’idea che l’uomo si stia ponendo delle domande. Il carattere cinese del cuore compa-re simmetricamente sulla parte destra del petto, e proprio xin 心 è uno dei caratteri più marcati.La volontà di tacere torna alla mente se si volge lo sguardo al carattere guan 关 (“chiudere”), all’altezza del collo, sede delle corde vocali e quindi della voce.Lo sguardo fiero ma rassegnato appare dissonante rispetto al messaggio.

Valutazione: Apprezziamo la volontà di espressione veicolata dall’immagi-ne, anche nella rinuncia alle parole.

Per quanto gli studenti italiani possano aver interpretato con correttezza parziale il carattere guan sul collo dell’artista, che dovrebbe infatti essere associato a un altro carattere in posizione a esso inferiore, ma meno visi-bile nell’incavo del collo, a comporre probabilmente la parola guanjian 关键,con il significato invece di “nodo, punto cruciale” – che cambierebbe l’interpretazione, stando a significare al contrario che l’artista “dà voce” con forza ai suoi dubbi sui valori del presente a confronto con quelli del passato – quel che più ci appare di dover sottolineare ai fini della nostra indagine è che, nell’analisi della stesso soggetto, una studentessa cinese percepisce come troppo esplicita e spregiudicata (e quindi “non hanxu” o “troppo poco hanxu”) un’immagine che al contrario gli studenti italiani in-terpretano come estremamente silente e sussurrata (e quindi hanxu).

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ComuniCazione pubbliCiTaria, Corpi e Tabù

Nella tradizione dell’arte figurativa cinese è rilevabile l’assenza del corpo, nascosto dall’ampiezza dei drappi e dalla ricchezza dei motivi decorativi. L’arte contemporanea di contro libera il corpo e lo esibisce: esso diventa mezzo espressivo eccellente e assume una centralità mai ricevuta in pas-sato. Tuttavia, quel che si manifesta nell’ambito delle correnti artistiche di avanguardia e che ha funzione di rottura e di crisi, non risulta ancora accettabile per il gusto dell’uomo cinese medio, anche colto, e può addi-rittura offendere il senso del pudore femminile. La nudità è generalmente considerata esibizionista e disapprovata non solo sul piano morale ma an-che su quello della eleganza e dell’estetica.La donna cinese, per esempio, anche in abito da sera non scopre le spalle e in un campus universitario presentarsi in aula per un summer course, anche con una temperatura di quarantadue gradi, con top a bretelle è con-siderato poco decoroso.Riprova della dovuta attenzione a questo orientamento di valore è l’attento studio dell’advertising condotto da molte aziende del settore della cosmesi. Ampie campagne pubblicitarie sono dedicate dalle marche occidentali più prestigiose ai prodotto per il viso, puntando generalmente sulle proprietà “sbiancanti” del prodotto, in considerazione del gusto cinese che considera eccezionalmente attrattiva una pelle bianca, ma molte meno ai prodotti per la cosmesi del corpo, che si collegano invece alla percezione del benessere e del prendersi cura di sé, piuttosto che alla bellezza tout court.

zhanG huan, l’arTe sulla pelle

Infine, un sintetico profilo è doveroso dedicare a Zhang Huan, soggetto ignaro delle nostre ricerche didattiche e interculturali.Artista ormai molto noto e apprezzato in Cina, nacque nel 1965 nella pro-vincia centro-orientale dello Henan. A partire dalle provocatorie perfor-mance degli anni Novanta all’interno della comunità artistica dello East Village, a Pechino, che gli erano valse anche censure e contrasti da parte delle autorità di governo, al glorioso periodo newyorkese, dal 1998 al 2005, fino al ritorno a Shanghai, ormai star internazionale dell’arte, Zhang Huan è uno dei più interessanti artisti cinesi contemporanei. Oggi anche la fase rappresentata dal soggetto della nostra analisi, quella dell’arte calligrafata sulla pelle, che culminò nel 2000 con l’opera Family Tree, appare superata.Family Tree presentava una sequenza fotografica di grandi dimensioni, ove il volto dell’artista si ricopriva progressivamente di caratteri fino ad appa-

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╡marGheriTa sporTellidocente di Lingua e Cultura Cinese della Scuola di Formazione Per-manente della Fondazione Italia Cina (Milano), professore a contrat-to della Università degli Studi di Trento (Corso di Laurea magistrale in Mediazione Linguistica, Turismo e Culture), professore a contrat-to della Università del Salento (Lecce, Corso di Laurea triennale in Scienza e Tecnica della Mediazione Linguistica).È esperta di mediazione e intercultural management e conduce at-tività di formazione nelle Scuole di Impresa, nel settore della comu-nicazione e negoziazione con la Cina e internazionalizzazione azien-dale. È curatrice con Bettina Gehrke della rubrica “La finestra sul mon-do”, in Economia & Management, rivista della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Luigi Bocconi di Milano.

Margherita Sportelli¶rirvi del tutto annerito e quindi a scomparirvi. I sino-grammi ripor-tavano i nomi degli antenati della famiglia e invadendo interamen-te il volto in sequenze successive simboleggiavano il lento perdersi dell’uomo nel proprio albero genealogico, fino a risalire alle sorgenti del proprio passato e a perdersi in quelle origini.La ricerca artistica di Zhang Huan, indipendentemente dalle modali-tà espressive, ha sempre fluttuato tra passato e presente, tradizione e contemporaneità, istanze dell’individuo soggetto e dell’uomo so-ciale, “collettivo”, rappresentando una sintesi di estremo interesse dei più importanti snodi valoriali della civiltà cinese.Le più recenti performance, presentate recentemente anche al PAC (Padiglione di Arte Contemporanea) di Milano nel luglio 2010, se-gnano la svolta della conversione al buddismo dell’artista con il suo Ashman. L’ultimo progetto scultoreo rappresenta un Buddha mo-numentale realizzato con la cenere d’incenso raccolta nei templi di Shanghai, che lentamente si sgretola sotto i nostri occhi, con i cambiamenti del tempo e dell’umidità, con un soffio repentino di un visitatore distratto, in un processo irreversibile che testimonia la caducità della vita, della memoria, della stessa preghiera e una con-dizione di precarietà che inesorabilmente ci attraversa, con i sogni, le speranze, l’arte.Gloria di un artista, ascesa di una nazione che si guardano allo spec-chio e riflettono una tradizione nella quale l’uomo è richiamato a ri-trovare la giusta distanza da tutte le sue conquiste, per riappropriar-si della sua misura di uomo e della appartenenza alla sua civiltà.

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