INSEGNAREDUCANDO. N ° 33 - marzo aprile 2014

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Da subito è nata la voglia di organizzare degli appunta- menti annuali a Barbiana, luogo simbolo del pensiero condiviso che diventa scrittura collettiva. Ogni seminario è stato una festa. Il gruppo iniziale che aveva avuto que- sto sogno, era eterogeneo: ogni persona apparteneva a gruppi diversi, con altrettante etichette, loghi o chiusure. Ma questo spazio è sempre andato oltre a queste picco- lezze ed è diventato un filo rosso che univa. Se si é capaci di non restare intrappolati nei propri confini, se si desidera veramente mettersi in ricerca, si inizia in pochi ... e poi ci si moltiplica. Oggi INSEGNAREDUCANDO è diventata una rete di collegamento, un pensiero in multivisione, dove ognuno può essere maestro e allievo nello stesso istante. I numeri raccontano la storia: si è partiti in 60 circa e oggi, a sfogliare uno degli ultimi numeri online(su issuu.com), eravamo più di 2.000 persone. Ma questa è soprattutto una bella storia di cuore, che racconta come il pensiero libero attraversi mille ostacoli senza perdere la sua freschezza, perchè è capace di arricchirsi, aprendosi senza paura a mille occasioni di ap- prendimento. Un messaggio di speranza per chi opera nella rigidità buia e miope di molte istituzioni che hanno perso la bussola del loro viaggio. Il sito, che sta prendendo forma, si chiama, naturalmente, www.insegnareducando.it e sarà pubblico da maggio. Nasce con un’unico obiettivo: essere luogo di pensiero “a piedi scalzi”, in peer, imparando gli uni dagli altri. Nessuno arrivato, nessuno saccente. Tutti in cammino. Grazie a tutti voi che in questi anni ci avete incoraggiato ad andare avanti e continuate a farlo. G.L. 1 Per educare un bambino ci vuole ci vuole un villaggio un villaggio n° 33 marzo/aprile 2014 Cari colleghi, Vi annunciamo con tanta felicità che questa news si tra- sforma e spicca il volo! Abbiamo accolto la sollecitazione di diversi lettori e abbiamo deciso: questo PENSATOIO online, erroneamente chiamato giornalino, news e via dicendo, non può restare chiuso in un piccolo gruppo! Nasce così, tra altri luoghi di pensiero, uno spazio virtuale dedicato, un SITO che raccoglierà le riflessioni e permet- terà lo scambio, il confronto e l’incontro. Perchè questa è stata la mission di INSEGNAREDUCANDO, dalla sua com- parsa. Ripercorriamo all’indietro i suoi passi. E’ nato in sordina, tre anni e mezzo fa da un gruppo di insegnanti che provenivano da tutt'Italia e che accom- pagnavano le classi ad un Campus sulla cittadinanza re- sponsabile. Da quel confronto è nato il primo germoglio: il desiderio di tenersi in contatto, di scambiarsi buone prassi, di sostenere insieme un pensiero “alto” sull’edu- care-insegnando a scuola. Fin dal primo numero, INSE- GNAREDUCANDO ha dato voce a una riflessione attenta a tenere collegati cuore e intelligenza, due elementi imprescindibili che il gruppo degli insegnanti riconosceva come motore e bussola della propria mission. Il cuore al centro. L'intelligenza al suo servizio. Con questi due fari potevamo provare ad addentrarci nelle stanze buie delle nostre istituzioni scolastiche, quelle dell'abbandono e della dispersione, e attraversare il dubbio, la fatica e gli inciampi. E potevamo narrare e disseminare le meraviglie di tante esperienze silenziose di vero apprendimento che spesso, per troppa umiltà, o perché ai potenti di turno non interessa, restano chiuse in angoli dimenticati. Pensare Insieme e spiccare il volo! Pensare Insieme e spiccare il volo!

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Una voce diversa nel mondo della scuola. La proposta di chi si impegna in prima linea per creare una comunità educante.

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Da subito è nata la voglia di organizzare degli appunta-menti annuali a Barbiana, luogo simbolo del pensierocondiviso che diventa scrittura collettiva. Ogni seminarioè stato una festa. Il gruppo iniziale che aveva avuto que-sto sogno, era eterogeneo: ogni persona apparteneva agruppi diversi, con altrettante etichette, loghi o chiusure.Ma questo spazio è sempre andato oltre a queste picco-lezze ed è diventato un filo rosso che univa. Se si é capacidi non restare intrappolati nei propri confini, se si desideraveramente mettersi in ricerca, si inizia in pochi ... e poi cisi moltiplica. Oggi INSEGNAREDUCANDO è diventata unarete di collegamento, un pensiero in multivisione, doveognuno può essere maestro e allievo nello stesso istante. I numeri raccontano la storia: si è partiti in 60 circa e oggi,a sfogliare uno degli ultimi numeri online(su issuu.com),eravamo più di 2.000 persone. Ma questa è soprattutto una bella storia di cuore, cheracconta come il pensiero libero attraversi mille ostacolisenza perdere la sua freschezza, perchè è capace di arricchirsi, aprendosi senza paura a mille occasioni di ap-prendimento. Un messaggio di speranza per chi operanella rigidità buia e miope di molte istituzioni che hannoperso la bussola del loro viaggio. Il sito, che sta prendendo forma, si chiama, naturalmente,www.insegnareducando.it e sarà pubblico da maggio. Nasce con un’unico obiettivo: essere luogo di pensiero“a piedi scalzi”, in peer, imparando gli uni dagli altri. Nessuno arrivato, nessuno saccente. Tutti in cammino.Grazie a tutti voi che in questi anni ci avete incoraggiatoad andare avanti e continuate a farlo. G.L.

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Per educare un bambino

ci vuole ci vuole un villaggioun villaggio

n° 33marzo/aprile

2014

Cari colleghi,Vi annunciamo con tanta felicità che questa news si tra-sforma e spicca il volo! Abbiamo accolto la sollecitazionedi diversi lettori e abbiamo deciso: questo PENSATOIO online, erroneamente chiamato giornalino, news e via dicendo, non può restare chiuso in un piccolo gruppo!Nasce così, tra altri luoghi di pensiero, uno spazio virtualededicato, un SITO che raccoglierà le riflessioni e permet-terà lo scambio, il confronto e l’incontro. Perchè questaè stata la mission di INSEGNAREDUCANDO, dalla sua com-parsa. Ripercorriamo all’indietro i suoi passi.E’ nato in sordina, tre anni e mezzo fa da un gruppo di insegnanti che provenivano da tutt'Italia e che accom-pagnavano le classi ad un Campus sulla cittadinanza re-sponsabile. Da quel confronto è nato il primo germoglio:il desiderio di tenersi in contatto, di scambiarsi buoneprassi, di sostenere insieme un pensiero “alto” sull’edu-care-insegnando a scuola. Fin dal primo numero, INSE-GNAREDUCANDO ha dato voce a una riflessione attentaa tenere collegati cuore e intelligenza, due elementi imprescindibili che il gruppo degli insegnanti riconoscevacome motore e bussola della propria mission. Il cuore alcentro. L'intelligenza al suo servizio. Con questi due fari potevamo provare ad addentrarci nelle stanze buie dellenostre istituzioni scolastiche, quelle dell'abbandono edella dispersione, e attraversare il dubbio, la fatica e gliinciampi. E potevamo narrare e disseminare le meravigliedi tante esperienze silenziose di vero apprendimento chespesso, per troppa umiltà, o perché ai potenti di turno noninteressa, restano chiuse in angoli dimenticati.

Pensare Insieme e spiccare il volo!Pensare Insieme e spiccare il volo!

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La DISPERSIONE SCOLASTICA, secondo i tanti profes-sionisti presenti a questi laboratori, è intimamente legata al vissuto del dolore, non solo a quello dei ragazzi che a poco a poco spariscono e la scuolaperde, ma anche a quello di tanti insegnanti ed edu-catori che provano a stare loro accanto in modo si-gnificativo, inventandosi di tutto per agganciarli, ma si sentono “soli” in questa battaglia.Come riportato da Cesare Moreno in apertura dellaseconda sessione di METIS a Genova, riprendendo lenarrazioni dei gruppi del precedente incontro: “Gliinsegnanti e gli allievi vivono spesso disagi gravi su-biti sia per eventi esterni alla scuola, sia per modalitàistituzionali sbagliate o scorrette. In uno dei METIS cisiamo trovati diverse scuole coinvolte in gravissimifatti di sangue. Noi non abbiamo fatto o detto nulladi speciale, abbiamo semplicemente accolto questiracconti e ci siamo detti a vicenda che tutto questofa parte de “l’assurdo che è nel mondo”. Il nostroprimo compito è imparare a sopravvivere a questi‘attacchi’. Solo in questo modo, possiamo svilup-pare un pensiero e trovare il modo di realizzareazioni adeguate non tanto a ridurre l’assurdo quantoa ridurre il suo impatto sulle comunità educative incui operiamo”.Essere consapevoli del valore di un pensiero condi-viso, non è cosa comune. Oggi va di moda ben altro.Accompagnando i gruppi di METIS abbiamo vistoemergere un’idea nuova: è solo condividendo le nostre fragilità che possiamo permetterci di trovarestrade di senso da percorrere, insieme, in gruppo, percontrastare davvero la dispersione scolastica.

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METIS: METIS: un laboratorio a piedi scalziun laboratorio a piedi scalzi

Dallo smarrimento della dispersione ... al ritrovarci.

PER EDUCARE UN BAMBINO CI VUOLE UN VILLAGGIO.

Ecco cos’è successo a METIS, in otto città italiane. Semplicemente questo. Si è riunito un villaggio per PENSARE a come educare un bambino.Il villaggio era composto da vari professionisti pro-venienti da zone geografiche diverse d’Italia. Il bambino erano i nostri bambini, adolescenti egiovani, quegli allievi che tentiamo di accompa-gnare in un cammino di crescita a scuola.METIS è stato un laboratorio a piedi scalzi, senzalectio magistralis o pulpiti. In cerchio, in multivisione, ascoltando reciprochefragilità, ritrovando fili e orme nell’esperienza diciascuno e confrontandole con quelle dei Maestridi Strada che hanno accompagnato tanti ragazziad attraversare l’assurdo del mondo, grazie adun’autentica relazione educativa, l’unico modoper “uscirne vivi”.Questo inserto vi racconta pasaggi importantidella riflessione sulla DISPERSIONE SCOLASTICA av-venuta durante due sessioni di lavoro di tre giorniciascuna. Insegnanti ed educatori insieme sonostati i veri protagonisti di una riflessione condivisa in gruppi di narrazione, dove ognuno hapotuto raccontarsi, rileggersi e risignificarsi attraverso il gruppo stesso che è stato il luogo dell’elaborazione di un pensiero “nuovo”.La nota più interessante è che in tutti i gruppi si èparlato del DOLORE.

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Come nasce la dispersione scola-stica? Quali i segnali? Noi insegnanti possiamo prevenire ilfenomeno o ariginarlo? Come?

Gli adolescenti che vanno male ascuola non per forza appartengonoa contesti sociali poveri e la disper-sione non ha a che fare con deficitintellettivi o deprivazioni culturali.Chi non va a scuola si chiude incasa e si chiude al mondo.L'allarme degli adolescenti dal 2000in poi è quindi la chiusura e la sceltadi non accedere alla conoscenza eal sapere.Ma che significa apprendere?L’apprendimento è un'esperienzaumana complicata che mette in di-scussione gli equilibri.Katia Provantini, psicologa, presi-dente della cooperativa Minotaurodi Milano, ha fatto parte del pensa-toio di METIS, portando la sua rifles-sione nata in anni di esperienza asostegno di ragazzi preadolescentie adolescenti.Il suo libro, “SCUOLA MEDIA: Manuale di sopravvivenza. Cosaoccorre sapere per non farsi travol-gere” ci racconta cosa accade achi compie un cammino di appren-dimento e come è importante l’alleanza educativa tra gli adultinei processi di apprendimento.

“Giorgio ogni mattina si finge malato per non

andare a scuola; Beatrice incomincia a dire bugie;

Alina sostiene di studiare ma poi prende brutti voti; Rino

diventa scontroso e i genitori scoprono che è vittima

di bullismo; Marica si sente orribile ed è

spaventata dalle trasformazioni del proprio corpo.

L'arrivo della prima media è un momento emozio-

nante, desiderato e insieme temuto, che segna la fine

dell'infanzia: chi varca la soglia della nuova scuola non

è più un bambino o non lo rimarrà a lungo. Sono tan-

tissime le novità che testimoniano la crescita: nuovi

professori e nuovi compagni, materie mai studiate

prima, per molti l'agognato cellulare e le chiavi di

casa. A tutto ciò si accompagna un misto di ansiosa

trepidazione, di eccitazione e paura; in particolare

paura di non farcela, perché è giunto il momento di

lasciarsi alle spalle alcuni aspetti rassicuranti dell'infazia,

e si sa che trasformarsi prima in adolescenti e poi in

adulti sereni richiederà impegno, coraggio e una certa

dose di fortuna.

A suscitare ansia è innanzitutto il corpo: finora non ha

rappresentato un problema, non ci si è dovuti preoc-

cupare di abbellirlo o caratterizzarlo per

entrare in relazione con gli altri; ora, quasi all'improv-

viso, si trasforma e sembra troppo grasso, troppo

magro, troppo infantile, troppo brutto. I genitori -

in genere spiazzati e quasi intimoriti dalla nuova fase

di crescita dei loro figli - non sono sempre pronti a so-

stenere queste inedite spinte di emancipazione. Così

aumentano i controlli e limitano le «sperimentazioni»

proprio nel momento in cui per i ragazzi

diviene fondamentale dimostrare di non essere più

troppo attaccati e dipendenti da mamma e papà.

Non meno complicata è la questione «corpo

mentale». Molti bambini vivono le elementari con se-

renità, gratificati da insegnanti e genitori, e perciò sono

convinti di essere intelligenti e dotati; alle medie capita

invece che si sentano studenti mediocri e precari. Così

i compiti si trasformano in un lungo incubo famigliare:

alcuni genitori si sottopongono a turni di studio este-

nuanti, altri accusano di incompetenza gli insegnanti

(e l'alleanza scuola-famiglia diventa una chimera),

altri segretamente temono nei figli difetti irrimediabili...

Katia Provantini

ApprendereApprenderenegli anni della burrascanegli anni della burrasca

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Affrontare l’incerto...Affrontare l’incerto...

“L'esperienza di apprendimento comporta unaumento di sentimenti di precarietà e di insta-bilità. La conoscenza di nuovi concetti puòdeterminare dei cambiamenti nel nostromodo di pensare di guardare il mondo, diffi-cilmente prevedibili. Possiamo avere la perce-zione di conoscerci, prima di nuoviapprendimenti, ma non siamo in grado di va-lutare completamente come diventeremopoi. Apprendere implica infatti il rischio di ve-dersi trasformati, di divenire qualcosa di di-verso da quello che si è nel presente. Puòaccadere di scoprirsi competenti e capacioppure a disagio o in difficoltà. Comporta infine l'accettazione di limiti che sisperimentano inesorabilmente e che possonoriguardare le caratteristiche oggettive dellarealtà che stiamo indagando piuttosto che le

nostre conoscenze, abilità…”Apprendere significa, allora, scommettere sulfatto che, ampliando le tue conoscenze, puoidiventare una persona serena . Per l'adulto, il moto dell’apprendere può essereaccettato perché, se anche crea dolore, èuna piccola parte della propria esperienza.Nell'adolescente invece, l'incertezza che si attraversa nella fase dell'apprendimento diventa angosciante o troppo preoccupanteda poter essere affrontata. Essere messo difronte i propri limiti, attiva sentimenti di inade-guatezza e solitudine, mette di fronte al rischiodi non essere adeguati a quello che gli altri(adulti e anche i pari) si aspettano.

Quali sono le aree in cui l'adolescente porta lesue incertezze? (Continua a pag.5)

Appunti dalla relazione di KATIA PROVANTINI a METIS GENOVA marzo 2014

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Non c’è verso! Non si impegna!Non vuole proprio provarci!

Non studia, non sta neanche attento alle spiegazioni!

Se ne frega, ecco, mi spiace dirlo, ma è così!

Se non si impegna, non posso di certo aiutarlo.

Ma ... cosa accadein quella “testa vuota”?

Chi lavora accanto ai ragazzi in dispersione scolastica

cerca a tutti i costi la strada per aprire una breccia

e far scoprire la bellezza dell’apprendimento.

E così facendo, impara ad andare oltre alla

relazione asimmetrica del docente-discente e...

scopre un dato importantissimo: chi non vuole apprendere ha PAURA DI APPRENDERE.

Una paura fottuta!

Katia Provantini ci aiuta ad entrare nelle dinamiche

dell’apprendere per capire i meccanismi che innescano la rinuncia e l’abbandono.

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Fotografia da http://www.amando.it/mamma/adolescenza/figli-adolescenti.html

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Appunti dalla relazione di KATIA PROVANTINI a METIS GENOVA marzo 2014

A scuola si va col corpoA scuola si va col corpo

A scuola si va col corpo e questo è il primo pro-blema. In adolescenza il corpo comunica.Avere uno stile infantile blocca la relazione so-ciale perché viene letto dagli altri come unoche non è ancora pronto.L'abbigliamento e il corpo in quest'età diconoagli altri che si sta passando una fase di cre-scita e si è “all’altezza della situazione”.Un tempo il crescere era rappresentato dalFARE. Oggi si chiede all'adolescente di com-piere un'operazione puramente mentale. Ma il compito evolutivo che un adolescentemette al primo posto è altro (come faccio a farvedere a mio padre che... come posso far ca-pire ai miei amici che sono … quindi... ). Intorno alla relazione dell'apprendimento si gio-cano le relazioni.A volte l'apprendimento pone in dissociazioneil ragazzo rispetto ai suoi obiettivi di crescita.E accade che le caratteristiche delle materie scolastiche si incastrano malissimo nel compitoevolutivo del l'adolescente.Osserviamo ad esempio la matematica: è ras-sicurante, è ordine. Per alcuni ragazzi questo è un elemento di

grande forza e piace. Per altri questo aspettoè mal tollerato perché dà l'impressione diun'imposizione infantile, di sottostare ad unaregola (oppure di dover mettere ordine…enon sempre si può riordinare un passato tumul-tuoso che fa male).Un altro esempio: la lezione ripetuta pedisse-quamente viene vissuta malissimo dal maschioadolescente che non può tollerare di fare lafigura del passivo, del sottomesso.L'italiano è visto molto bene da alcuni ragazzicreativi e aperti; non viene tollerato da chinon vuole far emergere una dimensione per-sonale, non vuole svelarsi. Allora si ripete a memoria, pedissequamente.Perché “io non ho parole abbastanza belle eposso solo aderire alle parole di un altro”, dellibro. Di fronte ad una domanda che esula, l'adole-scente che si sente messo a nudo, non riescead appellarsi a nessuna immagine, con la cer-tezza che chi sta di fronte e lo guarda abbiacapito tutto: “che non valgo nulla, che sonofragile e incompleto”.

(Continua a pag. 6)

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(Continua da pag. 4)

Fotografia da http://iltraguardo.wordpress.complessa/

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KATIA PROVANTINI - SCUOLA MEDIA: MANUALE DI SOPRAVVIVENZA - MONDADORI 2014

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Ecco allora il segreto che facilital’apprendere:l’essere accompagnati da ADULTIche fanno esperire la BELLEZZA delconoscere e non sottolineano il deficit e l’errore, ma insegnano la METACOGNIZIONE.In che modo? Quando l’adulto racconta cosa glisuccede nella testa mentre impara,il ragazzo inizia a capire i processimentali che sottendono all’appren-dimento e si impratichisce a poco apoco di tecniche più semplici chegli permettono di avvicinarsi all’ ap-prendimento senza paura. Quando l’esperienza scolastica non è giudicante, non presentamuri, cattedre, distanze, ma dà unsenso di pace, fa sentire di essereaccompagnati nella conoscenza, eaiuta a capire i collegamenti tra isaperi delle discipline e la propriavita, allora la SCUOLA assume un INTERESSE vero e il ragazzo ap-prende attraverso la RELAZIONE che“SIGNIFICA” ovvero “dà significato”a ciò che egli vive.

Rendere accoglienteRendere accoglienteil sapereil sapere

“La progressione nella conoscenza si può

immaginare così, come una risposta o un

adattamento a tutto ciò che incrociamo e ci

viene presentato”.

“In tutto questo giocano un ruolo importante

le modalità di base che ciascuno tende ad

attivare di fronte a una difficoltà, gli atteggia-

menti di coloro che ci osservano o condivi-

dono lo stesso momento difficile, le nostre

opinioni circa le capacità che possediamo,

ciò che ci attendiamo dagli altri e dalla vita

in generale”.

Quando il contenuto è distante, anche se

prezioso, nasce un sentimento di estraneità.

Allora l’adulto competente non può più met-

tersi di fronte ai ragazzi come il conoscitore

della materia, ma deve trovare il modo di

rendere accogliente quella materia.

Se i contenuti non sono importanti di per sé,

diventa importante il processo, condividere

gli obiettivi con gli studenti, resinificare il

percorso grazie all'ascolto, all'accoglienza e

alla decodifica dei processi mentali che ac-

cadono in chi apprende.

“Gli studi sugli stili di attribuzione (la modalità

di ciascuno di individuare le cause dei suc-

cessi o degli insuccessi) mostrano che i ragazzi

con difficoltà di studio tendono a considerare

perlopiù spiegazioni immodificabili o che

coinvolgono le scelte o le attribuzioni di

“terzi”; sono fattori indipendenti dalla loro vo-

lontà (Non sono portato, il compito era

troppo difficile, non sono stato aiutato, non ho

avuto fortuna) e per questo credono di non

poterci far nulla. La loro posizione di fronte agli

eventi è passiva, raramente considerano di

poter determinare un cambiamento e co-

munque non saprebbero come riuscirci”.

“Un altro aspetto interessante sembra distin-

guere i ragazzi che si sono convinti di non

poter divenire dei buoni studenti (…) Si tratta

di ciò che pensano della propria mente…

Pensano che l’intelligenza sia un’entità sta-

tica e immodificabile, data una volta per

sempre. Visti i trascorsi scolastici, sono

propensi a pensare di non averne ricevuta

in quantità sufficiente”.

(Continua da pag. 5)

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Il messaggio di Danilo DolciIl messaggio di Danilo Dolci

Immedesimarsi in uno di questi bambini...Sapere che la Maestra c’è. Anche lei è appesa allo stesso filo, è lì con te. Osserva tutti, incoraggia, sorride, tiene il filocon due mani come un abbraccio...Se non ci fosse??? Che differenza!Quante “inondazioni” attraversiamo noi e i nostri allievi? Avere accanto qualcuno o essere noi “accanto”, fa un enorme differenza.

Questa è una foto scattata nel 1959 sul fiume Panaro. I bambini sono accompagnati dalle Maestre nell’attraversamento dell’inondazione, verso la scuola. Un’immagine che parla da sè.

Non c’è nascondimento, non c’è distanza, c’è ACCOMPAGNAMENTO. Insieme si attraversa il disagio, insieme lo si risignifica, insieme ne si esce.

Ecco il significato profondo del testo di Danilo Dolci che diventa il manifesto di METIS, un pensatoio diffuso a livello nazionale

sulle Metodologie Educative Territoriali per l’Inclusione Sociale.

C'è chi insegnaguidando gli altri come cavallipasso per passo:

forse c'è chi si sente soddisfattocosì guidato.

C'è chi insegna lodandoquanto trova di buono e divertendo:

c'è pure chi si sente soddisfattoessendo incoraggiato.

C'è pure chi educa,senza nasconderel'assurdo ch'è nel mondo,

aperto ad ognisviluppo ma cercandod'essere franco all'altro come a sé,sognando gli altri come ora non sono:ciascuno cresce solo se sognato.

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“Se fossero cancellati tutti i trattati di pedagogia, di sociologia dell’educazione, tutte le circolari

ministeriali e non avessimo alcun principio a cui appellarci, basterebbero i concetti di cura ed incuria a

guidarci nel lavoro educativo”. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha

fatto la tua rosa così importante”. (Il Piccolo Principe)

La cura rende la cosa, la persona curata, unica per sé;

l’educazione punta o dovrebbe puntare a far emergere

l’unicità di una persona. L’UNICO non emerge da ciòche si apprende, ma dal modo in cui questo

accade: dipende dal modo in cui ti guardo e ti curo”.Cesare Moreno http://www.maestridistrada.net

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Appunti dalla relazione finale di CESARE MORENO a METIS GENOVA marzo 2014

“La difficoltà dell’educazione è emotiva e nonderiva dalla desiderabilità delle mete che pro-poniamo, ma dal fatto che nella psiche dimolti giovani uscire dalla propria situazioneviene percepito come pericoloso”. “Spesso lanostra scuola si presenta come un ponte dicorde, precario e sconnesso, su un fiume inpiena, mentre nella mente dei giovani forse appare uno scenario apocalittico, comequello che si ritrova in certe fiabe, tra lingue di fuoco e draghi volanti.Di questo disagio dobbiamo fare tesoro per

poter capire gli inciampi e le intemperanze deinostri allievi. Questi giovani non si sentono suffi-cientemente protetti per compiere dei passi in

avanti”. (Carla Melazzini)Allora possiamo comprendere come sia inutile larigidità discente e sia ben più efficace una rela-zione educativa fondata sulla solidarietà umana.La paura è di ogni essere, insegnante o allievo.Se entrambi abbiamo paura, possiamo parlarnee trovare strade per uscirne insieme. Nella relazione educativa vera accade che:“...all’asimmetria si oppone il fondo comune diumanità: la condizione di accompagnamento, di“essere con”, è incontrare l’altro a partire da ciòche abbiamo in comune: la vulnerabilità... È apartire dal riconoscimento della mia vulnerabilitàche io posso impegnarmi ad esistere”.

(A. Zielinski, 2007).

Carla Melazzini, Maestra di Strada, ha preso appunti su ciò che accadevaa scuola, con gli allievi più difficili, ogni giorno, per anni.Condivideva quelle riflessioni con gli altri Maestri, per trovare il mododi riportare i ragazzi dispersi al di làdella loro stessa prigione mentale: quella che li convinceva a dire: “IO NON SONO FATTO PER LA SCUOLA”.La sua riflessione ci insegna una cosafondamentale: ciò che permette di ARGINARE la dispersione scolastica è LA CURA. Essa avviene prima di tutto nella Comunità Educante degli adulti che siinteressano di ciò che accade, che non chiudono gli occhi, ma PROVANO A CONFRONTARSI e capire.Il feed back narrativo degli adulti cheriflettono insieme sulla realtà, diventa lostrumento necessario per in-segnareovvero lasciare un segno, trasformarela fatica in un’occasione di apprendi-mento per tutti.

«Solo lentamente ci siamo resi conto di quanto la nostra presenza e la nostra azione, proprio perché accogliente,

potesse essere percepita come pericolosa, aprendo prospettive di relazioni e di vita sentite come inaccessibili (...)

Noi ci stiamo rendendo conto solo oggi, dopo diversi anni,

che a questi ragazzi spesso chiediamo di scavalcare un ponte su un abisso»

Carla Melazzini “Insegnare al Principe di Danimarca” - 2011, pp. 152 e 210 -Selerio Ed.

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Attraversare l’assurdo Attraversare l’assurdo

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Non chiudere il cuore.Non chiudere il cuore.Come mai è così difficile affrontare la dispersione scolastica o

anche solo parlarne?Come mai è così raro incontrare gruppi di pensiero come quello di METIS?

C’è un ingrediente nella dispersione, che tutti vorremmo evitare: IL DOLORE.

Essere capaci di stare accanto a chi fa fatica richiede molto equilibrio. Siamo tentati di rinunciare...

Ma il compito dell’insegnante è accompagnare chi apprende, non abbandonarlo!

Sofferenza e dispersione sono strettamente legate. Ecco il nodo centrale.

Se riusciamo a leggere con empatia cosa accade nella dispersione,

troviamo il dolore. Esso può essere rosso, come l’aggressività

oppure bianco come il silenzio dell’hikikomoro, può essere maculato,

come le alternanze di assenze e presenze di chi non sa che fare,

può essere buio come il suicidio.La dispersione è la voce del dolore

di chi si allontana e anche di chi lo lascia allontanare,

di chi prova a cercare, di chi non riesce, di chi non torna,

di chi vorrebbe capire, di chi si interroga.

La dispesione è il nostro dolore profondo di adulti

che facciamo fatica ad accompagnare i ragazzi

attraverso l’assurdo che c’è nel mondo, insegnando loro che non c’è solo quello,

che insieme possiamo attraversarlo e trovare strade per andare oltre.

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Stare nel dolore è difficilissimo.

Allora diventa particolarmente si-

gnificativa la lettura del libro di

Bruno Bettelheim che dal fondo di

un campo di sterminio invita se

stesso, per sopravvivere, a non

chiudere né il cuore né la

ragione.

Un monito per tutti noi.

“Quei prigionieri che riuscivano a

non chiudere ermeticamente il

proprio cuore, né la ragione, né i

sentimenti né le facoltà percet-

tive, ma rimanevano coscienti dei

propri atteggiamenti interiori

anche quando non potevano

permettersi di influirvi, ebbene,

questi prigionieri sopravvissero, e

arrivarono a comprendere le

condizioni in cui vivevano. Arriva-

rono anche a rendersi conto di

ciò che prima non avevano in-

tuito: che essi conservavano an-

cora l'ultima, se non la massima,

delle libertà umane: quella di sce-

gliere l'atteggiamento da assu-

mere in qualsiasi circostanza.

SOPRAVVIVERE

Bruno Bettelheim - Feltrinelli 2008

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Appunti dalla relazione finale di CESARE MORENO a METIS GENOVA marzo 2014

“Quale immagine ti viene in mente se pensiagli adulti che lottano contro la dispersionescolastica?Un tecnico di laboratorio ha rispostoall’istante: -Orlando a Roncisvalle, perchénessuno andò in suo soccorso.Verificando la citazione scopriamo un falso ricordo: nessuno andò in soccorso di Orlandoperché lui non suonò l’Olifante per tempo. Perché non l’abbia fatto rimane inspiegato senon facendo l’ipotesi che avesse intuito la congiura in corso e che non chiedere soc-corso sia stato il vero modo di difendere il suore. A volte chi si impegna in situazioni difficili si trova proprio in questa situazione: nella necessità di non dover chiedere aiuto perevitare ulteriori smacchi. A volte non chie-diamo aiuto perché non lo sappiamo fare eci sembra una debolezza. Perchè certe situa-zioni ci toccano dentro. Non è facile pren-dere contatto con i propri inciampi interni:insicurezza, senso di inadeguatezza, senso dicolpa, ansia, paura, senso di frustrazione…Nella scuola è assai poco diffusa la praticadel riflettere insieme: “E’ più facile e diffuso

erigere barriere difensive e gerarchiche per proteggersi dal coinvolgimento emotivo…inevita-bile”. (Melazzini, 2006)“Si indossano così ‘armature’ simboliche, come laroutinizzazione, la rimozione delle componenti emo-tive, l’attribuzione di responsabilità a agenti esterni,massima attenzione agli obiettivi formali…”

(Parrello, 2013) Aggrapparsi ad una professionalità rigida ed arroc-cata nei propri linguaggi non aiuta. Prima o poi lapersona si trova in una situazione difficile di ineffica-cia educativa e burn-out personale, ovvero la morteprofessionale... e non potrà svolgere il proprio ruolo.

Insegnanti soliInsegnanti soli

... come Orlando a Roncisvalle?... come Orlando a Roncisvalle?

Perché Orlando non suonò per tempo l’Olifante? A volte, quando lavoriamo in contesti difficili,

ci troviamo proprio in questa situazione: non chiediamo aiutoforse perché non lo sappiamo fare e “chiedere aiuto” ci appare una debolezza...Dobbiamo allora ricordare Don Milani:

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia.Sortirne tutti insieme è la politica”.Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, pp. 9-20

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Molti insegnanti che accompagnano i ragazzi attraverso la fatica, sentono una profonda solitudine, quasi un isolamento

come se Collegio Docenti e Consigli di Classe fossero insiemi vuoti. Questi docenti lamentano che l’Istituzione scolastica esalta la produttività,

la velocità, la formalità, ma non incoraggia il pensiero educativo... Così accade che chi lotta contro la dispersione, si senta disperso.

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fragilità che ci spinge a riconoscerci l’un l’altro?Ci serve ricercare l’unità per vincere su un nemico ola solidarietà per tollerare sconfitte e frustrazioni?

… e quando restiamo soli?La riflessività è una attività gruppale che non assorbe l’individuo, ma al contrario serve a sostenerlo anche quando resta solo”.

Da dove cominciare?Se non sapete da dove cominciare chiedeteviquale cosa manchi alla vostra vita professionale eche sia indiscutibilmente utile e cominciate a prati-care l’indispensabile... a casaccio! Per esempio praticate gentilezza a casaccio, op-pure praticate atti di bellezza senza preoccuparviche siano o no privi di senso. E osservate i cambia-menti imercettibili che accadono...Non preoccupatevi di spiegare a tutti perchè agitecosì, anzi, quando avete l’urgenza di raccontare lavostra esperienza, siate prudenti e ricordate che …Il cuore ha le sue prigioni che l’intelligenza nonapre.”.“Nel seminario METIS siamo riusciti a concentrare,con risultati accettabili, un processo che nel nostrolavoro normale richiede diversi mesi. Questo è statopossibile perchè abbiamo messo in campo un’infra-struttura ‘esperta’ costituita dai conduttori digruppo, che è riuscita a contenere la complessità. Guardatevi quindi dall’improvvisare gruppi di pen-siero perchè non sareste in grado di controllare lecomplesse dinamiche che nel gruppo si sviluppano. In un gruppo di questo tipo i partecipanti devono es-sere pronti a lavorare partendo proprio dalle proprie

fragilità”.

Appunti dalla relazione finale di CESARE MORENO a METIS GENOVA marzo 2014

La forza del GRUPPOLa forza del GRUPPO

Reti solidali, reti mentali, reti istituzionali.

“Nella pratica dei Maestri di strada vienemessa in evidenza la particolare qualità dellereti che intendiamo costruire: in origine c’è edeve essere coltivata la solidarietà umanacome fattore che spinge a costruire legami, Illegame deve essere tenuto in vita con una at-tività di pensiero e solo alla fine può esserci, oanche no, una struttura contrattuale ed istitu-zionale. Prima lavoriamo per far uscire ciascunodall’”armatura difensiva della professione” esolo dopo un complesso processo, rico-struiamo una rete centrata sulla solidarietàpiuttosto che sulle necessità ‘difensive’”.

Gruppi di pensiero.“Il pensiero a cui facciamo riferimento è unpensiero complesso in cui si intrecciano inmodo unico ed irripetibile, emozioni, cono-scenze, relazioni. Un pensiero che vieneespresso dal gruppo e non pre-esiste ad essoe che istituisce il gruppo stesso. I gruppi di lavoro pur producendo risultati nonhanno obiettivi prefissati se non quello di spe-rimentare e collaudare la possibilità di intera-zione creativa tra le persone. E proprio perquesto sono produttivi di apprendimento,nuove idee, proposte”

Un’esperienza che deve sostenerci nella difficoltà. “Il gruppo è onnipotente? Ci interessa l’unione che fa la forza, o la

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Un gruppo di pensiero è il segreto che rende possibile un vero processo educativo. Come costruirlo?

Per poter apprendere insieme, gli uni dagli altri, è necessaria un’ impalcatura di sostegno senza la quale il processo non si sviluppa.

Impariamo da chi utilizza proprio la narrazione in gruppo per combattere da anni la dispersione scolastica, con ottimi risultati.

Ecco alcuni suggerimenti di Cesare Moreno.

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Francesca Campagna - Sabato, 22 Febbraio 2014 - http://www.elbareport.it e http://fravolacolcuore.com

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“Quando una società scialacquatrice ha necessità estrema di denaro, lo sottrae alle scuole.

Questo è uno dei più iniqui delitti dell’umanità e il più assurdo degli errori”.

Maria Montessori

“L’Amore è contagioso e terapeutico. Adesso ne ho le prove.Niente dettagli: nomi, cose, fatti, date o progetti, no. Nonserve.Dirò solo che sono andata in una Scuola Elementare perchémi piacerebbe che il modo di fare comunicazione sui socialaiutasse i bambini a trovare ulteriori forme espressive, orien-tate alla sintesi dei pensieri e alla vividezza dei contenuti. Cisono andata anche perché vorrei che il territorio fosse sem-pre di più raccontato e scritto da chi lo ama e lo vive e chi,meglio dei bambini, può farlo. Mi sono presentata a quelcancello scolastico con la voglia di mettere in comunica-zione il mondo della letteratura tradizionale con questenuove opportunità di condivisione e reinterpretazione. L’hofatto perché mi piacciono le novità perché credo nel valoreconcretamente rivoluzionario delle piccole cose.Lo spunto me lo ha dato il twifavola organizzato da twittera-tura che prenderà in considerazione le favole di Gianni Ro-dari. Ho pensato: perché no? Perché non nelleeducareScuole dell’Elba? Perché non insegnare ai bambinia riscrivere testi a loro molto cari attraverso lo sprone alla sin-tesi dei 140 caratteri di twitter? Adesso sono felice più chemai di esserci andata, perché ho scoperto un ambientepieno di creatività e di coraggio,

abitato da Maestre che a dispetto dei tagli e delle difficoltà a noi note in tema di Istruzione, interpretanocon grande entusiasmo e ricchezza di contenuti il pro-prio lavoro.Sono uscita frastornata.Ero contenta. Forse un filo commossa. Che ci possofare se l’Amore mi commuove, in tutte le sue forme,perché è la capacita di dare, punto e basta, senzama, senza se. E loro, le maestre, danno. A getto conti-nuo. In una profusione di stimoli e progetti. Ho immagi-nato i bambini, mi sono sentita io una bambina checorre lungo la rampa di scale per arrivare presto, pre-stissimo a quell’abbraccio quotidiano con la Maestra.Una maestra che, guarda caso, inizia per M comeMamma, che mescola amore, attenzione, cura, sensodi responsabilità e impegno.Mi sono stretta nella giacca e sono andata verso lamacchina. Ho percorso le scale in discesa, di corsa.Correvo e lasciavo andare pensieri. Uno su tutti: la gra-titudine, quella piena, rotonda.Si, perché l’ Amore è contagioso, l’Amore è terapeu-tico.PS l’Amore è anche poco avvezzo alla ribalta: allechiacchiere preferisce il fare, se ne sta nell’ombra ope-roso e appassionato, impegnato, tenace, resistenteagli strappi del quotidiano disincanto. C’è in questa ri-servatezza una rara umiltà che apprezzo e mi colpisce.Questo scritto è per Rita, Rossana, Ivana, Luisella e tuttele tante, tantissime persone, che all’ombra dei riflettorilavorano perché nel concreto, nel quotidiano, nel pic-colo, un Paese migliore sia realtà”.

Francesca Campagna

DOVE EDUCARE È DAVVERO E-DUCEREDOVE EDUCARE È DAVVERO E-DUCERE

Che sorpresa trovare in rete un articolo controcorrenteche parla in modo commovente dell’impegno degli insegnanti a scuola. Lo stupore è maggiore quandoleggiamo che l’autrice è una Marketing Manager. Il suo occhio esterno coglie l’entusiasmo, la ricchezzadella proposta fatta col cuore e la relazione, i veri segreti della scuola educativa.

Francesca Campagna non è

un’insegnante,

neanche un’educatrice. Diciamo

che non centra niente con la

scuola. Lei lavora del mondo

della comunicazione da 15 anni

presso un Hotel dell’Isola d’Elba e

ha maturato

“una personale visione del

social media marketing,

incentrato sui contenuti e

sulle persone, sulle relazioni e sullo

scambio” e che la porta

a comprendere

“l’importanza di regalare

percorsi di senso

che vadano al di là del

“mangiare e del dormire”

a chi si rivolge a lei

per viaggiare (col cuore).

Un giorno le viene un’idea:

portare nelle scuole

“il modo di fare comunicazione

sui social per

far raccontare il territorio

dai bimbi che lo vivono”.

Così entra in una scuola e...

leggete la sua meraviglia!

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Per Informazioni e contatti:

Grazia LiprandiAngelo Elia

3315753853www.insegnareducando.it

[email protected]@insegnareducando.it

Cari colleghi, eccoci in chiusura di questo numero.La nostra speranza è che le riflessioni diquesto pensatoio, nate in gruppo,possano essere discusse, ragionate,confrontate nella vostra scuola, concolleghi incontrati nel vostro percorso. Visitate il sito www.insegnaredicando.itIscrivetevi alla mailinglist per ricevereautomaticamente i prossimi numeri ele iniziative che verranno promosse.A tutti buon lavoro per queste ultime settimane di scuola!

La redazione

Senza cattedra, zaino e votiSenza cattedra, zaino e voti

Tratto da:http://comune-info.net/2014/04/senza-cattedra

Fotografia da: www.loschermo.it

“Solo la merenda e un paio di quaderni per i compiti:

lo zaino ha un peso piuma alla scuola primaria di

Classe dell’Emilia Romagna.

La mattina, quando si arriva, ci si siede nell’agorà e si

discute di quello che si farà durante la giornata.

La cattedra, nelle aule, non c’è. E nemmeno i banchi.

Ci sono i tavoli, isole per gruppi di alunni. Qui, infatti, la

condivisione è tutto. E il lavoro di gruppo è di casa.

Ma perché un progetto così innovativo attecchisce in

una scuola del forese, nella minuscola Classe a pochi

chilometri da Ravenna?

Merito di Rita Gentili, un’insegnante illuminata che

dopo essersi innamorata, aver proposto ed essere riu-

scita ad ottenere di aderire alla rete nazionale “Senza

Zaino” – partita da Marco Orsi, dirigente scolastico di

Lucca – non tornerebbe più indietro:

No, la scuola tradizionale mai più.

La storia che l’insegnante racconta a romagna-

mamma.it inizia sei anni fa, quando in attesa della rea-

lizzazione del nuovo plesso scolastico, Rita partecipa

a un corso di formazione dedicato all’organizzazione

degli spazi. Ed è lì, a Bologna, che conosce Orsi,

venendo a conoscenza del metodo da lui lanciato

sull’onda di alcune esperienze scolastiche in Nord

Europa. Quando torna a casa, si catapulta dalle

colleghe: “Chiesi loro se fossero disposte a cambiare

approccio, a studiare, a mettersi in gioco. E loro non

esitarono a dirmi di sì. Così partì la nostra avventura”.

Complessa, visto che il primo anno dopo l’avvio del

progetto viene dedicato per intero alla formazione del

corpo insegnanti. Le maestre di Classe si appassionano

a tal punto da dare indicazioni precise al Comune per

la costruzione e l’arredamento della aule.

Sì, perché Senza Zaino significa anche arredi molto

diversi da quelli che vediamo normalmente in una

scuola. Significa i tappeti con le sedute che caratte-

rizzano l’agorà dove ci si dà il buongiorno, significa pa-

reti colorate come se le classi fossero camerette,

significa una cartellonistica particolare per fissare gli

apprendimenti. Significa, anche, laboratori: di italiano,

di matematica.

Il tutto per agevolare un metodo didattico alternativo,

diverso: “Senza Zaino considera il bambino nella sua

globalità e cerca di attivare tutte le intelligenze possi-

bili affinché ognuno trovi la sua strada per crescere.

Senza Zaino è una scuola accogliente e condivisa: i

materiali sono tutti a disposizione e lo spirito è quello di

una comunità”. Le regole, infatti, non vengono decise

e imposte dall’alto ma discusse e poi scritte insieme ai

bambini. Nel caso non funzionino, vengono ritrattate

e cambiate. Dietro, c’è uno stile pedagogico montes-

soriano: “Per andare in bagno, non c’è bisogno di

chiederlo. I bambini, senza disturbare, si alzano e ci

vanno in tutta autonomia”. 12 aprile 2014