Immunologia e immunopatologia - HackMed

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Immunologia

Introduzione

Per immunità si intende uno stato di protezione nei confronti di malattie infettive, che è confe-rito da un insieme di cellule e di molecole di organi e di tessuti che nel loro insieme costituiscono il sistema immunitario.

Per risposta immunitaria si intende una sequenza coordinata di reazioni che il sistema immu-nitario mette in atto una volta che è venuto a contatto con gli agenti infettivi. Gli agenti infettivi, che vengono anche detti patogeni (cioè che causa malattia) sono di quattro principali categorie: virus, batterî, funghi e parassiti.

I virus sono dei parassiti intracellulari obbligati perché sono costituiti esclusivamente da ge-noma virale, DNA o RNA, contenuto in una capsula proteica (capside) e mancano di tutti gli orga-nelli e degli enzimi biosintetici, per cui per riprodursi, cioè per generare nuove particelle virali, hanno bisogno di infettare una cellula e di sopravvivere all’interno della cellula stessa.

Da quanto detto risulta chiaro che il ruolo del sistema immunitario è quello di difenderci dalle malattie infettive, cioè di difenderci dai patogeni.

Tuttavia, alcune cellule del sistema immunitario si attivano anche nei confronti di sostanze di natura non infettiva; inoltre, le funzioni del sistema immunitario vanno anche un po’ al di fuori delle malattie infettive; infatti gli stessi meccanismi che il sistema immunitario mette in atto per difenderci nei confronti degli agenti infettivi, possono anche causare danni tissutali e malattie, in particolare quando la risposta immunitaria non è ben regolata (quando ad esempio è esagerata, come nel caso dell’ipersensibilità) oppure quando i meccanismi di difesa che in condizioni fisiologiche sarebbero diretti verso i patogeni, sono invece diretti verso i costituenti del nostro organismo (malattie autoim-muni). Il sistema immunitario rappresenta anche un ostacolo nei confronti dei trapianti, nei quali il sistema immunitario, riconoscendo come estranei i tessuti trapiantati, mette in moto delle risposte che sono le stesse delle quali si serve per difenderci dai patogeni e che portano alla distruzione (ri-getto) del tessuto trapiantato.

Il sistema immunitario ha anche un ruolo nella difesa verso i tumori.

I meccanismi mediante i quali il sistema immunitario ci difende dalle infezioni sono principal-mente due: meccanismi dell’immunità innata e meccanismi dell’immunità specifica.

L’immunità innata rappresenta la prima linea di difesa verso le infezioni, quella che interviene rapidamente nel giro di pochi minuti; questo perché è basata su meccanismi che già esistono prima dell’infezione e che, o sono sempre operativi o che si attivano in brevissimo tempo.

I componenti dell’immunità innata sono: le barriere fisiche, come la cute o gli epiteli che rive-stono le mucose a livello delle quali i patogeni possono penetrare. Infatti, le principali vie di accesso ai patogeni sono la cute, l’epitelio che riveste il tratto respiratorio, urogenitale, gastrointestinale e il circolo sanguigno; se i patogeni riescono ad oltrepassare queste barriere invadendo i tessuti, ci sono

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altri componenti importanti dell’immunità innata che tendono a contenere l’infezione, cioè a limi-tare la replicazione dei patogeni e sono sia componenti cellulari, sia componenti solubili.

Tra i componenti cellulari, un ruolo fondamentale è svolto dalle cellule fagocitiche, cioè cellule che inglobano e distruggono corpi estranei. Queste cellule, la cui funzione fondamentale è la fagoci-tosi (cioè l’inglobamento all’interno di vescicole e l’uccisione del patogeno), non solo internalizzano i patogeni all’interno di vescicole ma li uccidono all’interno di queste vescicole grazie alla presenza di enzimi e di sostanze tossiche che vengono riversate all’interno delle vescicole stesse. Le cellule fagocitiche si dividono in due classi: fagociti mononucleati e fagociti polimorfonucleati.

I primi sono rappresentati dai monociti, cellule circolanti che ritroviamo nel sangue, mentre la controparte tissutale dei monociti è rappresentata dai macrofagi, cioè la forma differenziata dei mo-nociti che sono migrati dal sangue ai tessuti.

I secondi sono rappresentati dai granulociti neutrofili che si trovano esclusivamente nel san-gue.

In una risposta immunitaria, sia nell’ambito dell’immunità innata che di quella specifica, le cel-lule del sistema immunitario per indurre una determinata azione verso un patogeno, devono prima di tutto devono riconoscere il patogeno, e questo avviene mediante recettori di membrana. Tuttavia, il riconoscimento di un patogeno da parte delle cellule dell’immunità innata e da parte di quelle dell’immunità specifica è estremamente diverso e segna una delle grandi differenze tra l’immunità innata e quella specifica.

Prendendo come esempio il macrofago, questo esprime sulla propria membrana molti recettori diversi, ciascuno in grado di riconoscere strutture che sono condivise da diverse classi di microrga-nismi; ad esempio, ogni macrofago del nostro sistema immunitario, presenta il recettore del lipopo-lisaccaride, una struttura espressa sulla parete di una classe di batterî che vengono detti gram-nega-tivi, ed il lipopolisaccaride è espresso esclusivamente sulle pareti delle cellule batteriche. Un altro esempio è che alcuni macrofagi esprimono il recettore per alcuni carboidrati come il mannosio e il glucano, che sono anche questi presenti solo e soltanto in alcune classi di patogeni e non nelle nostre cellule.

Da quanto detto risultano due cose importanti: innanzitutto, il riconoscimento di un patogeno da parte di un macrofago non è specifico, nel senso che un macrofago mediante tanti recettori diversi può riconoscere tanti patogeni diversi; inoltre, soltanto gli estranei vanno eliminati e l’immunità in-nata tramite i recettori riesce a discriminare quello che è self da quello che non è self, poiché avendo dei recettori che riconoscono soltanto strutture proprie di patogeni si attiverà soltanto nei confronti di questi ultimi.

Altre cellule dell’immunità innata, sono cellule che vengono dette natural killer (NK), cioè cel-lule ad attività citotossica naturale, la cui funzione è quella di uccidere le cellule self infettate dai virus. Pertanto non hanno un’azione diretta sul patogeno, ma vanno proprio ad eliminare il serbatoio dell’infezione, e sono cellule dell’immunità innata che intervengono nelle primissime ore dell’infe-zione, anche perché già possiedono tutti i meccanismi necessari per poter uccidere la cellula infettata dal virus; infatti presentano costitutivamente nel citoplasma dei granuli che contengono sostanze che

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una volta riversate sono in grado di uccidere la cellula self infettata dal virus, o anche da altri patogeni intracellulari che risiedono nel citosol.

L’immunità innata ha anche dei componenti solubili, tra cui uno importantissimo è rappresen-tato da un insieme di proteine plasmatiche che costituiscono il sistema del complemento, un im-portante meccanismo di difesa verso patogeni extracellulari, cioè quei patogeni che si replicano all’esterno delle cellule.

Altri componenti solubili importanti dell’immunità innata sono le citochine, delle glicoproteine a basso peso molecolare, che vengono prodotte e secrete dalle cellule del S.I. dopo che queste sono state attivate dall’infezione. Queste citochine vengono riversate all’esterno e possono agire o sulle stesse cellule che l’hanno prodotte, ma anche su cellule vicine o possono agire anche a distanza (come fanno gli ormoni) condizionando l’attività delle cellule sulle quali vanno ad agire, cioè cellule che sono responsive alle citochine grazie alla presenza di recettori specifici.

Un esempio dell’importanza delle citochine: in presenza del patogeno, il macrofago internalizza il patogeno in delle vescicole per ucciderli; l’infezione però stimola il macrofago a produrre e a river-sare all’esterno delle citochine, cioè dei fattori solubili che hanno la funzione di richiamare dal sangue altre cellule ad attività fagocitica, che sono prima i granulociti neutrofili (che rappresentano il 50-60% delle cellule bianche del sangue) e poi i monociti; questo è un aspetto di quella che viene definita risposta infiammatoria locale, cioè un reclutamento di cellule fagocitiche dal sangue nei tessuti. Questa risposta infiammatoria locale ha un significato importantissimo in queste prime fasi della risposta innata perché cerca di contenere l’infezione, poiché i patogeni sono in grado di replicarsi di continuo; chiaramente questa risposta infiammatoria locale è accompagnata da vasodilatazione e da aumento della permeabilità vascolare, grazie alla produzione di sostanze vasoattive che producono questi effetti.

L’immunità innata non sempre riesce a combattere l’infezione, anzi nella maggior parte dei casi non ce la fa e quindi deve essere indotta l’immunità specifica; in pratica l’immunità innata serve per contenere l’infezione, ma per eliminare definitivamente il patogeno occorre l’immunità specifica. Pertanto tra i due tipi di immunità c’è una stretta collaborazione, in quanto l’immunità innata è in-dispensabile per l’avvio delle risposte specifiche, e le risposte specifiche molto spesso usano come meccanismi per eliminare i patogeni, i meccanismi dell’immunità innata.

L’immunità specifica serve quindi per eliminare l’infezione e, affinché i meccanismi dell’immu-nità specifica vengano messi in moto, occorrono dai 4 ai 7 giorni, quindi l’immunità specifica rap-presenta una fase più tardiva della risposta immunitaria ma è una fase molto molto più efficace ri-spetto all’immunità innata.

L’immunità specifica viene anche detta acquisita, poiché i meccanismi che la mediano che ser-vono per eliminare il patogeno, impiegano più tempo per poter agire. L’immunità specifica è mediata da due classi principali di linfociti B e i linfociti T.

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Differenze tra l’immunità innata e quella specifica

La prima grande differenza riguarda il riconoscimento; ciascun linfocita, sia B che T, esprime sulla propria membrana un unico recettore in grado di riconoscere un unico patogeno, o meglio ciascun linfocita esprime sulla propria membrana numerose copie di un unico recettore (fino a 100mila copie) perché quel linfocita è in grado di riconoscere un unico determinato patogeno. È per questo che un determinato patogeno andrà a stimolare il linfocita che possiede il determinato recet-tore in grado di riconoscerlo.

Un’altra grande differenza, è che i linfociti B e T possono anche attivarsi nei confronti di so-stanze estranee di natura non infettiva; possiamo quindi introdurre il concetto di antigene, cioè qua-lunque sostanza in grado di essere riconosciuta e di attivare i linfociti T o B e di indurre una risposta immunitaria specifica della quale la sostanza diventa poi il bersaglio.

Linfociti T e B

Linfociti B

I linfociti B, dopo aver riconosciuto in modo specifico l’antigene, si attivano in plasmacellule la cui funzione è quella di secernere anticorpi circolanti.

Questi ultimi li ritroviamo nel circolo sanguigno e nelle secrezioni mucose e sono le molecole effettrici che mediano un’immunità che viene detta umorale, che rappresenta un’importante mec-canismo di difesa verso i patogeni extracellulari, cioè che si replicano al di fuori delle cellule. Gli anticorpi eliminano i patogeni mediante diversi meccanismi effettori.

Linfociti T

I linfociti T mediano un altro tipo di immunità che viene detta cellulo-mediata (o cellulare).

Ci sono due grandi classi di linfociti T che mediano funzioni diverse, e che dipendono dai pato-geni in maniera diversa, i CD4+ (diventeranno linfociti T-helper) e i CD8+ (diventeranno linfociti T-citotossici).

Per comprendere meglio questo aspetto, torniamo al discorso del macrofago: quest’ultimo, nell’ambito dell’immunità innata internalizza i patogeni all’interno delle vescicole nelle quali i mi-crorganismi vengono uccisi; in alcuni casi però il macrofago, con i meccanismi dell’immunità innata, non ce la fa ad uccidere i patogeni che ha internalizzato nelle vescicole; infatti non sempre l’immunità innata è in grado di eliminare l’infezione, e in questi casi viene indotta l’immunità specifica; in par-ticolare, dal macrofago, viene stimolata una classe di linfociti T che vengono detti linfociti T-helper (TH) la cui funzione è quella di produrre citochine che vanno a potenziare l’attività microbicida del macrofago (e quindi ad esempio potenziano la sintesi di sostanze tossiche da riversare all’interno delle vescicole necessarie per l’uccisione del patogeno). Questo è quindi un esempio di come l’immu-nità specifica usa i meccanismi dell’immunità innata per eliminare il patogeno; infatti, il linfocita T-helper, non va ad eliminare direttamente il patogeno, ma va a potenziare una funzione dell’immunità innata che è la fagocitosi del patogeno intracellulare.

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L’immunità specifica cellulo·mediata è mediata anche da un’altra classe di linfociti T che invece, una volta che hanno incontrato l’antigene, si attivano e si differenziano in linfociti T-citotossici (CTL). La loro funzione fondamentale è quella di uccidere cellule dell’organismo che sono infettate da patogeni intracellulari che risiedono nel citoplasma, tra cui anche i virus. La stessa funzione dei CTL è svolta dai NK, con diverse differenze però: innanzitutto le NK hanno i granuli e quindi i mec-canismi per uccidere la cellula infettata dal virus, li possiedono già costitutivamente, mentre i CTL per acquisire i granuli contenenti enzimi utili ad uccidere la cellula infettata, devono essere attivati dall’antigene e deve passare minimo una settimana per poter indurre la risposta specifica; altre diffe-renze riguardano il riconoscimento della cellula infettata, che nel caso dei CTL è un riconoscimento specifico, mentre nel caso dei NK è un altro tipo di riconoscimento.

Da quanto detto emerge il concetto che i patogeni all’interno delle cellule possono occupare due distretti particolari: o si trovano all’interno di vescicole, oppure si trovano nel citosol; in realtà, non c’è una distinzione netta tra questi due distretti, infatti alcuni batterî inizialmente internalizzati dall’esterno e racchiusi nelle vescicole, possono anche passare nel citosol come semplice meccanismo di strategia del patogeno stesso per evadere la risposta immunitaria.

Caratteristiche fondamentali delle risposte immunitarie specifiche

1) Specificità: garantisce che microbi diversi evochino risposte specifiche; pertanto ciascun pa-togeno è in grado di essere riconosciuto e di attivare un determinato linfocita che è quello che ha il recettore specifico per quel determinato patogeno. Il recettore dei linfociti in realtà non riconosce tutto il microrganismo (tutto il patogeno), ma un piccolo componente del patogeno (che può essere un componente proteico, un carboidrato, etc.) che viene definito determinante antigenico o epi-topo.

2) Diversificazione: è una caratteristica che consente al S.l. di rispondere ad una vastissima gamma di microbi. Infatti, ciascun microbo viene riconosciuto e attiva un determinato linfocita; que-sto discorso implica che ciascuno di noi deve possedere un numero elevatissimo di linfociti, o meglio di cloni di linfociti, ciascuno dotato di uno stesso recettore per un determinato patogeno. Il numero di cloni linfocitari si aggira attorno al numero di svariati milioni o miliardi (107-109). Tutti questi cloni, sia B che T, formano quello che viene detto repertorio linfocitario.

A tal proposito è stata formulata una teoria che è l’ipotesi della selezione clonale; questa teoria si basa su due presupposti:

Il primo presupposto è che noi abbiamo già preformati tantissimi cloni di linfociti ciascuno do-tato di un recettore diverso per l’antigene; questi diversi cloni di linfociti si generano durante un processo che viene detto di maturazione linfocitaria che avviene o nel midollo osseo (linfociti B) o nel timo (linfociti T). Quando penetra l’antigene, in base alla teoria della selezione clonale, questo non fa altro che selezionare ed attivare quel clone di linfociti che ha il recettore in grado di ricono-scere questo antigene, dopo di che il clone si attiva e ad esempio nel caso dei linfociti B, si ha la differenziazione nelle Plasmacellule secernenti anticorpi.

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Per meglio dire sono i linfociti che aspettano, circolando attivamente negli organi linfoidi, di incontrare l’antigene specifico, perché appena l’incontrano, cioè appena si crea l’interazione tra l’an-tigene e il linfocita, quest’ultimo comincia ad attivarsi e dar luogo ai meccanismi predisposti per eli-minare l’infezione.

Pertanto il secondo presupposto, si basa sul fatto che una volta che i linfociti sono maturi e quindi funzionalmente competenti, vanno alla ricerca dell’antigene, nei linfonodi (che sono gli or-gani linfoidi secondari) dove il linfocita vergine (o naïve) si attiva.

3) Memoria (caratteristica esclusiva dei linfociti B e T): un’altra caratteristica fondamentale dell’immunità specifica è la memoria immunologica, caratteristica che non riguarda le cellule dell’immunità innata; il macrofago infatti non ricorda se ha già incontrato l’antigene, mentre i linfo-citi B e T invece sì. Prendendo come esempio due cloni di linfociti B maturi naïve (che non hanno mai incontrato l’antigene) che sono alla ricerca dell’antigene, uno specifico per l’antigene x e l’altro specifico per l’antigene y. durante una risposta primaria, cioè quando i linfociti incontrano per la prima volta l’antigene, servono circa 5 giorni affinché i linfociti B si differenzino in plasmacellule secernenti anticorpi; durante la risposta primaria, i linfociti B oltre a generare i meccanismi effettori in grado di eliminare la risposta (e cioè generare anticorpi), danno anche origine a dei linfociti B che vengono detti linfociti B della memoria i quali entrano in uno stato quiescente e continuano a cir-colare nell’organismo aspettando che arrivi lo stesso antigene; quando i linfociti B della memoria rincontrano lo stesso antigene, succede che i linfociti B della memoria inducono una produzione anticorpale e quindi una risposta immunitaria, che è molto più potente della risposta primaria e che è anche molto più veloce (avviene in pochissimo tempo). Questo meccanismo è importantissimo perché anche dopo anni, quando queste cellule incontrano lo stesso antigene, danno una risposta secondaria molto più potente, efficace e veloce.

4) Specializzazione: è una caratteristica che consente la generazione di risposte immunitarie per contrastare i diversi tipi di agenti patogeni. Ad esempio, gli anticorpi sono importanti per i pato-geni extracellulari, i linfociti T-helper sono importanti per i patogeni intracellulari localizzati nelle vescicole, mentre i linfociti T citotossici sono efficaci per i patogeni intracellulari che si trovano nel citosol. In questo sta la specializzazione delle risposte specifiche.

5) Le risposte immunitarie specifiche sono anche autolimitate: significa che una volta che l’an-tigene è stato eliminato e quindi l’infezione è stata eliminata, la risposta immunitaria subisce un de-clino e il sistema immunitario torna in uno stato di riposo, di omeostasi. Questo avviene sia nel caso di una risposta primaria che secondaria.

6) Non reattività verso il self: i linfociti sia T che B, sono in grado di attivarsi nei confronti di antigeni estranei, sia di natura infettiva che non infettiva, ma non si attivano nei confronti dei nostri costituenti. Questa mancata responsività nei confronti delle molecole self, viene detta tolleranza im-munologica (al self). Questa è importante perché previene il danneggiamento dell’ospite nel corso delle risposte contro i microbi. La tolleranza immunologica impedisce anche le risposte autoimmuni.

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Fasi di una risposta immunitaria specifica

La prima fase è quella di riconoscimento dell’antigene; il linfociti B e T riconosco l’antigene negli organi linfoidi secondari. I linfociti B maturano nel midollo osseo, i T nel timo; una volta com-pletata la maturazione, quando cioè sono diventati cellule immunocompetenti, iniziano a circolare per poter incontrare l’antigene; l’incontro con l’antigene e l’avvio delle risposte immunitarie avviene negli organi linfoidi secondari, la milza e i linfonodi.

Ma che tipo di antigeni riconoscono i linfociti B e i linfociti T?

Linfociti B: il linfocita B vergine ha un recettore per l’antigene che può riconoscere sia molecole di natura proteica che non proteica (carboidrati, lipidi, etc.), molecole che o possono essere espresse sulla parete dei batterî, oppure possono anche essere molecole solubili, come ad esempio alcuni bat-terî che riversano in circolo dei prodotti che vengono detti tossine, mediante le quali causano malattia e i linfociti B possono riconoscerle, attivarsi e produrre anticorpi verso questi antigeni solubili.

Linfociti T: è piuttosto complesso. I linfociti T con il loro recettore riconoscono soltanto anti-geni di natura proteica. Non riescono però a riconoscere la proteina nella sua struttura terziaria (tri-dimensionale); la proteina (cioè l’antigene) per poter essere riconosciuta dai linfociti T deve essere ridotta in peptidi e quindi processata, degradata.

Inoltre, questi peptidi non devono essere in forma solubile ma devono essere presentati al lin-focita T da altre cellule del sistema immunitario che hanno la funzione di presentare l’antigene ai linfociti T, tanto che vengono dette APC (cellule presentanti l’antigene).

Tra le APC vi è anche il macrofago. Pertanto, succede che il macrofago nell’ambito dell’immu-nità innata internalizza il patogeno nelle vescicole; lo scopo della fagocitosi è quello di uccidere e degradare il patogeno all’interno delle vescicole; raramente il macrofago però riesce ad uccidere il patogeno e quindi ha bisogno che i meccanismi microbicidi vengano potenziati e quindi che venga indotta l’immunità specifica, in particolare i linfociti T-helper. Nell’ambito dell’immunità innata co-munque, anche se il macrofago non ce la fa ad uccidere il patogeno, inizia a degradare le varie strut-ture microbiche e all’interno delle vescicole avviene anche una processazione delle proteine micro-biche che porta alla formazione di tanti peptidi microbici; all’interno della cellula APC (in questo caso il macrofago), questi peptidi antigenici (microbici) si associano a delle molecole self che sono le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) che si stanno generando nel RE, per formare dei complessi che verranno esposti sulla superficie dell’APC e che verranno riconosciuti dal recettore per l’antigene dei linfociti T; il riconoscimento dell’ antigene da parte dei linfociti T è piut-tosto complesso e viene detto riconoscimento ristretto, poiché il linfocita T riconosce il peptide estraneo soltanto quando questo peptide è stato associato all’interno dell’APC con queste molecole del complesso maggiore di istocompatibilità.

In seguito al riconoscimento, parte la seconda fase, cioè quella di attivazione; il primo ed uno degli eventi fondamentali della fase di attivazione è l’espansione clonale, cioè la proliferazione. Quando i patogeni oltrepassano le nostre barriere, si replicano in numero molto elevato, quindi è necessario, affinché la risposta immunitaria sia efficace, che anche quel clone specifico di linfociti vada incontro ad un’espansione clonale (aumento del numero delle cellule effettrici) per dar luogo a

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meccanismi di difesa più efficaci. La fase di attivazione di una risposta immunitaria specifica prevede due eventi importanti: la fase effettrice, cioè la messa in atto dei meccanismi effettori in grado di eliminare il patogeno (ad esempio nel caso di un’attivazione dei linfociti B si avrà generazione di anticorpi circolanti); la generazione di cellule della memoria, che entrano in uno stato quiescente per poi rispondere allo stesso antigene anche dopo molto tempo. Una volta che i meccanismi effettori stanno lavorando, l’antigene verrà distrutto diminuendo di numero e i linfociti o B o T che erano stati attivati dall’antigene muoiono, andando incontro ad apoptosi ed è così che il S.I. ritorna in uno stato di omeostasi e la risposta immunitaria declina.

Apoptosi

È la morte programmata della cellula che avviene in determinati momenti e in determinate situazioni che sono già state decise e quindi non è un evento casuale come la necrosi, cioè un evento che avviene quando una cellula riceve un insulto (ustione, forte infiammazione, etc.) in cui la cellula all’inizio si rigonfia, poi subisce dei danni a livello della membrana plasmatica e va incontro a lisi osmotica riversando all’esterno tutti gli enzimi litici portando a processi infiammatori. La cellula che invece va incontro a processi apoptotici, poiché è un evento geneticamente controllato, ha tutte altre caratteristiche morfologiche e biochimiche; innanzitutto si rimpiccolisce di dimensioni, la sua mem-brana plasmatica non subisce danni ma viene mantenuta la sua integrità e dà luogo a delle gemma-zioni, grazie a cambiamenti del citoscheletro della cellula, che fanno sì che la cellula apoptotica si riduca in corpi apoptotici che mantengono integra la membrana; questi corpi apoptotici vengono quindi internalizzati dai macrofagi, poiché sulla membrana dei corpi apoptotici vengono esposti dei residui di fosfatidilserina, che vengono riconosciuti da recettori presenti sulle cellule dei macrofagi.

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Anatomia degli organi linfoidi Gli organi linfoidi, cioè gli organi linfoidi del S.I. dove si concentrano le cellule del S.I. sono di

due tipi: organi linfoidi primari e organi linfoidi secondari.

Gli organi linfoidi primari sono il midollo osseo e timo, i secondari sono la milza, i linfonodi e il tessuto linfoide associato alle mucose, il cui classico esempio è dato dalle placche del Peyer, un sistema immunitario altamente specializzato ed importante che si trova nella sede di accesso dei pa-togeni. A livello delle placche del Peyer è molto importante infatti la produzione di anticorpi, i quali una volta che vengono riversati nelle secrezioni mucose, impediscono al patogeno di oltrepassare gli epiteli.

Midollo osseo È l’organo in cui nei mammiferi adulti avviene l’emopoiesi (che avviene principalmente nelle

ossa piatte come sterno, ossa iliache e coste). Questa è il processo mediante il quale a partire da una cellula staminale del midollo emopoietico, si generano tutti i tipi di cellule presenti nel sangue, cioè i globuli rossi (o eritrociti o emazie), i globuli bianchi (o leucociti) e le piastrine (o trombociti). I globuli rossi trasportano l’ossigeno dai polmoni ai tessuti, le piastrine sono importanti per la coagu-lazione del sangue e per le risposte infiammatorie. I leucociti comprendono granulociti, che com-prendono neutrofili (50-60%, sono le cellule più rappresentate), eosinofili (3-4%) e basofili (<1 %), linfociti (20-30%), divisi in B e T, e monociti (6-7%) che sono la forma meno differenziata dei ma-crofagi.

In sezione trasversale il midollo osseo, è formato da due compartimenti, un compartimento vascolare ed uno emopoietico. Il primo è formato è formato da una fitta rete di seni vascolari che convergono in una vena centrale che fa fuoriuscire le cellule dal midollo osseo; il secondo è formato dai vari tipi di cellule che si stanno maturando. Oltre ai vari precursori troviamo anche delle cellule stromali (dette anche cellule avventiziali), importanti perché forniscono il microambiente adatto per l’emopoiesi producendo dei fattori solubili, in particolare una famiglia di citochine che vengono detti fattori stimolanti la crescita delle colonie [e.g. eritropoietina (EPO), granulocitopoietine (GM-CSF e G-CSF), fattore stimolante i macrofagi (M-CSF) e interleuchina 3 (IL-3)], che provvedono alla ma-turazione di queste cellule a partire dai vari progenitori.

All’interno del midollo osseo troviamo anche dei grossi adipociti, la cui funzione è meccanica; servono infatti a sostenere la struttura reticolare del midollo osseo e hanno anche una funzione ener-getica.

La cellula staminale è una cellula autorinnovantesi, cioè che sta in un basso ritmo di divisione cellulare che fa sì che questo pool si mantenga; dalla cellula staminale pluripotente si originano due precursori differenziati, un precursore mieloide ed un progenitore linfoide.

Dal progenitore linfoide si originano i linfociti B, che completano la loro maturazione nel mi-dollo osseo, i linfociti T, i cui precursori dal midollo osseo migrano nel timo per continuare la matu-razione, e cellule NK.

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Dal precursore mieloide si originano gli eritroci (cellule della linea eritrociataria), le piastrine (cellule della linea megacariocitica), le cellule della linea granulocitaria (basofili, eosinofili, neutro-fili), e le cellule della linea monocito-macrofagica (monociti e macrofagi).

La differenziazione dai progenitori verso un determinato tipo cellulare, è dovuta principalmente alla concentrazione e al tipo di fattori di crescita (fattori solubili) che non sono altro che una famiglia di citochine (fattori di crescita per le colonie) che inducono lo sviluppo verso un determinato tipo cellulare o verso un altro. Questi fattori di crescita, che vengono detti CSF (fattori di crescita stimo-lanti le colonie), vengono prodotti all’interno del midollo osseo da particolari cellule che vengono dette "cellule stromali"(o avventiziati) che sono molto importanti per creare il microambiente adatto per la differenziazione dei vari tipi cellulari.

Segnali per la differenziazione (per il commissionamento) verso un determinato tipo cellulare arrivano al midollo osseo anche dall’esterno, per esempio in seguito ad un’infezione; infatti durante la risposta immunitaria sia specifica che non, vi è un “consumo” di cellule del sistema immunitario e quindi è l’organismo che, mediante sempre la produzione di fattori solubili, segnala al midollo osseo che c’è bisogno di un determinato tipo cellulare. Questo tipo di emopoiesi viene detta empoiesi in-ducibile e questi fattori che la stimolano possono essere forniti da varie cellule come monociti o lin-fociti, cioè del tipo cellulare del quale si ha bisogno, anche perché l’emopoiesi è un processo continuo importante per mantenere uno stadio di uguaglianza tra il numero di cellule che vengono generate e il numero di cellule che vengono perse.

Tipi di cellule

Dalla linea mieloide si originano gli eritrociti, che hanno la funzione di trasportare l’ossigeno nel sangue, e le piastrine, importanti per il processo di coagulazione e per le risposte infiammatorie locali perché una volta attivate possono produrre dei fattori chemiotattici che reclutano altri cellule nel luogo dell’infezione.

Ci sono poi le cellule della linea granulocita, cioè gli eosinofili, i basofili, e i neutrofili.

I neutrofili sono le cellule bianche più rappresentate nel sangue, ed hanno la funzione di fago-citare ed uccidere sia batterî che funghi. Presentano un nucleo plurilobato e nel citoplasma tanti gra-nuli che contengono enzimi proteolitici, quali l’elastasi, idrolasi, nucleasi, pepsine e lisoenzima.

Gli eosinofili (2-4%), aumentano durante le risposte verso i parassiti (elminti) e nei casi di iper-sensibilità di 1° tipo. Presentano un nucleo bilobato e nel citoplasma tanti granuli che contengono sostanze estremamente forti necessarie a distruggere il robusto tegumento che riveste gli elminti, che non potrebbero essere uccisi per fagocitosi da parte del macrofago-neutrofilo perché troppo grandi. I granuli degli eosinofili contengono la proteina basica maggiore, la proteina cationica, e la perossi-dasi eosinofilica.

I basofili presentano un nucleo lobale, presentano dei granuli contenenti eparina, istamina, e proteasi neutre. I basofili sono presenti nel sangue in una bassissima percentuale (meno dell’1%) e la loro concentrazione aumenta anche in questo caso nelle parassitosi e nelle reazioni allergiche.

Ci sono poi le cellule della linea monocito·macrofagica.

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I monociti presentano un nucleo a ferro di cavallo e rappresentano la forma che ancora non ha portato a termine la sua differenziazione; la porterà a termine quando migrerà nei tessuti per diven-tare macrofago. La funzione fondamentale dei monociti e dei macrofagi è la fagocitosi e la presenta-zione dell’antigene. Hanno infatti la capacità di degradare le proteine in peptidi per poi esporli sulla membrana in modo che il patogeno degradato nelle vescicole possa essere riconosciuto dal linfocita T specifico.

I precursori linfoidi danno origine ai linfociti B, che dopo attivazione antigenica si differen-ziano in plasmacellule secernenti anticorpi, e ai linfociti T, che dopo l’incontro con l’antigene si pos-sono differenziare in 2 tipi: i linfociti T-helper, i quali mediante la produzione di citochine aiutano altre linee cellulari a svolgere le loro funzioni, e i linfociti T-citotossici, che uccidono le cellule infet-tate da patogeni intracellulari che risiedono nel citoplasma, tra cui i virus; le cellule NK, che pur essendo cellule dell’immunità innata hanno la stessa funzione dei CTL.

Oltre questi tipi cellulari, dal progenitore mieloide nel midollo osseo si genera un altro tipo di cellula, che però non ritroviamo nel sangue ma esclusivamente nei tessuti, che sono i mastociti, che hanno un ruolo nelle reazioni allergiche. Sono localizzati prevalentemente nei tessuti connettivi e nelle mucose (sono cellule esclusivamente tissutali). Presentano costituivamente dei granuli che hanno lo stesso contenuto dei basofili, e cioè istamina, eparina e proteasi neutre, ed in seguito all’at-tivazione antigenica il mastocita degranula ed emette istamina aumentando la permeabilità vascolare, secerne prostaglandine, leucotrieni, ed in una fase tardiva dell’attivazione del mastocita quest’ultimo produce anche citochine, che reclutano nel tessuto dove è penetrato l’antigene gli eosinofili e i baso-fili; nel caso ad esempio dell’asma, i danni che si hanno a livello polmonare sono causati soprattutto dalla degradazione degli eosinofili, richiamati dai mastociti.

Un altro tipo di cellula che deriva sempre dal midollo osseo, è la cellula dendritica, che presenta molte ramificazioni. Essa può derivare da diversi precursori, come ad esempio dal precursore mie-loide, ma anche dal linfoide e dai monociti. La sua funzione fondamentale è quella di presentare l’antigene ai linfociti T; essa è infatti la cellula APC per eccellenza ed è fondamentale per l’attivazione dei linfociti T vergini. Pertanto essa non è deputata alla eliminazione del patogeno, ma la sua funzione è quella di internalizzare il patogeno e di degradare le proteine del patogeno in modo da poterle presentare ai linfociti T vergini attivandoli. Nel sangue le cellule dendritiche rappresentano intorno allo 0,1% e sono localizzate principalmente negli organi linfoidi secondari, dove avviene proprio l’at-tivazione dei linfociti T, e nelle mucose delle vie di accesso ai patogeni, dove si trovano come delle sentinelle in modo che quando arriva un antigene lo captano e lo iniziano a processare e tramite il sistema linfatico spostano l’antigene al linfonodo. Un tipo di cellula dendritica molto conosciuta è rappresentato dalle cellule del Langherans, che si trovano nell’epidermide.

Organi linfoidi secondari

Linfonodi

Sono dei piccoli aggregati di tessuto linfoide altamente organizzati, disposti strategicamente lungo il percorso dei vasi del circolo linfatico, la cui funzione è quella di raccogliere la linfa a livello dei tessuti per poi riversarla nel sangue. La linfa è un fluido extracellulare che si forma a livello dei

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tessuti periferici per la continua filtrazione del sangue. Ha un aspetto molto simile al plasma ma ha u n contenuto proteico più basso del plasma ed ha la funzione di scambio di sostanze tra il sangue e le cellule dei tessuti.

A livello dei tessuti periferici, la linfa viene drenata (raccolta) da una fitta rete di capillari linfa-tici, i quali convergono in vasi linfatici di calibro maggiori i quali a loro volta convergono in un vaso linfatico afferente che porta la linfa all’interno del linfonodo. In questo modo la linfa attraversa tutto lo stroma linfonodale, ed entra anche in contatto con le cellule del sistema immunitario che stanno all’interno del linfonodo. Una volta che la linfa ha attraversato tutto il linfonodo, esce dal linfonodo attraverso i vasi linfatici efferenti, i quali si riversano nel dotto toracico, che poi converge nel circolo sanguigno. In questo modo la linfa, una volta che è stata purificata a livello del linfonodo, viene ri-versata nel sangue. Appare evidente che se a livello periferico c’è un antigene, questo se è solubile verrà veicolato dalla linfa nel linfonodo, e se nel linfonodo incontra il linfocita specifico avverrà la risposta immunitaria. I linfonodi pertanto rappresentano un importante organo di filtro per la linfa, che viene "ispezionata" a livello dei linfonodi per la presenza di antigeni estranei. L’antigene però può arrivare al linfonodo anche con le cellule dendritiche; ad esempio a livello dell’epidermide le cellule di Langherans captano l’antigene, ed all’interno delle vescicole iniziano a processarlo, dopo di che entrano nei capillari linfatici e tramite il vaso linfatico afferente arrivano al linfonodo; durante questo tragitto la cellula dendritica subisce delle trasformazioni che la fanno diventare un’ APC professio-nale, cioè possedente tutti i requisiti per poter attivare i linfociti T vergini.

Struttura di un linfonodo

Ciascun linfonodo è rivestito è rivestito da una capsula fibrosa che si addentra all’interno dello stroma linfonodale mediante delle trabecole; lo stroma linfonodale (il parenchima) è costituito da una fitta rete di fibre reticolare e di cellule stromali. Il linfonodo, procedendo dall’esterno all’interno, presenta 3 regioni:

1) una regione più esterna detta corticale,

2) una regione intermedia detta paracorticale,

3) una regione più interna detta midollare.

La corticale viene definita anche area B, poiché vi ritroviamo i linfociti B, i quali sono organizzati a formare dei follicoli, cioè sono aggregati insieme. Questi follicoli possono essere o primari o secon-dari. Si parla di follicolo linfatico primario, quando è formato da linfociti B vergini che stanno ricir-colando per incontrare l’antigene; i follicoli secondari, detti anche centri germinativi, sono costituiti invece da linfociti B che hanno incontrato l’antigene e che quindi si stanno attivando differenziandosi in plasmacellule secernenti anticorpi. I follicoli sia primari che secondari, oltre che dai linfociti B, sono formati anche da un altro tipo di cellula che si chiama Cellula Follicolare Dendritica, che ha un ruolo importante nell’attivazione dei linfociti T, ma che non ha niente a che vedere con la cellula dendritica APC, tanto che non origina nemmeno da precursori nel midollo osseo.

Nell’area invece paracorticale, troviamo linfociti T, tanto che viene detta anche area T, cellule dendritiche e macrofagi. Nell’area midollare, che è organizzata in cordoni, troviamo Plasmacellule secernenti anticorpi, e qualche macrofago.

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All’interno del linfonodo, linfociti T e B hanno quindi due diverse localizzazioni; questa diversa localizzazione dipende dal fatto che le cellule stromali di queste due diverse regioni del linfonodo producono delle citochine, in particolare un gruppo di citochine dette chemochine, che hanno la funzione di dirigere selettivamente un determinato tipo cellulare in quella determinata regione dove viene prodotta la chemochina stessa; ad esempio è stato visto che le cellule stromali a livello del fol-licoli linfatici producono una chemochina che si chiama CXCL13, che ha la funzione di reclutare selettivamente in quella zona i linfociti B e questo è dovuto al fatto che soltanto i linfociti B, e non i T o le cellule dendritiche, presentano un recettore specifico per quella determinata chemochina, me-diante il quale la chemochina può impartire il segnale per far muovere queste cellule verso quella determinata regione. Invece le cellule stromali dell’area paracorticale producono altri due tipi diversi di chemochine, la CCL19 e la CCL21 che hanno la capacità di reclutare selettivamente i linfociti T e le cellule dendritiche nell’area paracorticale, poiché soltanto queste cellule possiedono il recettore specifico per queste chemochine. Le cellule che rispondono alla chemochina si muovono seguendo un gradiente di concentrazione, quindi saranno attratte dal punto in cui la chemochina viene pro-dotta (cioè il punto in cui la concentrazione della chemochina è maggiore). Questo processo, che fa sì che determinati tipi di cellule migrino in determinati organi, oppure si localizzino in aree diverse all’interno di uno stesso organo, viene detto homing linfocitario o accasamento linfocitario.

Ma in che modo i linfociti sia B che T arrivano all’interno del linfonodo?

I linfociti sia B che T entrano all’interno del linfonodo attraverso l’arteria dell’ilo, la quale si dirama in tante arteriole che vengono dette "venule ad endotelio alto", per il caratteristico aspetto rigonfio che hanno le cellule endoteliali di questi vasi, ed è proprio oltrepassando queste cellule en-doteliali che i linfociti passano dal sangue all’interno dello stroma del linfonodo. L’entrata dei linfociti vergini all’interno del linfonodo avviene per un processo di diapedesi, che prevede 3 fasi: una prima fase In cui il linfocita che scorre all’interno del vaso, stabilisce delle interazioni molto blande con le cellule endoteliali dei vasi, che fanno sì che il linfocita è come se rotolasse al di sopra di queste cellule endoteliali; una seconda fase prevede una interazione molto più salda tra il linfocita che sta scorrendo all’interno del vaso e la cellula endoteliale; una terza fase prevede che il linfocita si addentri tra le giunzioni delle cellule endoteliali per oltrepassarle e passare cosi all’interno dello stroma endoteliale. Tutte queste fasi sono mediate da particolari molecole di adesione dei linfociti che interagiscono con i loro rispettivi ligandi espressi sulle cellule endoteliali.

Una volta che il linfocita è entrato nel linfonodo, possono accadere due cose: o incontra l’anti-gene o non lo incontra, anche perché il linfocita è entrato nel linfonodo proprio con lo scopo di incontrare l’antigene. Nel caso in cui il linfocita sia B che T non incontri l’antigene, esce dal vaso linfatico efferente, viene riversato nel dotto toracico, e da qui nel circolo sanguigno per poi rientrare in un altro linfonodo attraverso il vaso linfatico afferente per ispezionare un altro linfonodo. Per compiere questo ciclo di ricircolazione, un linfocita impiega circa un’ora, e quindi in un’intera gior-nata ciascun linfocita può attraversare tanti linfonodi diversi ed anche lo stesso linfonodo più volte; questo continuo transito permette quindi un continuo ispezionamento, per la presenza di antigeni estranei, dei linfonodi da parte dei linfociti.

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Nel caso invece in cui il linfocita sia B che T incontrano l’antigene specifico si attivano; ad esempio, il patogeno entrato a livello delle mucose, una volta entrato viene catturato dalla cellula dendritica; a questo punto, l’antigene in forma solubile o la cellula dendritica, prendono la via linfa-tica per andare al linfonodo, dove il linfocita sia B che T incontrano l’antigene specifico. Per quanto riguarda i linfociti T, questi dopo aver incontrato l’antigene presentato dalle APC, si attivano in Lin-fociti T Effettori e in cellule della memoria; i linfociti T della memoria andranno in circolo per ricir-colare a livello dei tessuti periferici, nel linfonodo stesso e anche a livello delle vie di penetrazione dei patogeni e nel sangue stesso; in questo modo viene garantita una memoria sistemica, in quanto i linfociti della memoria vengono a trovarsi in tutti quei posti in cui una volta che lo stesso antigene rientra, loro prontamente si attivano; i linfociti T effettori invece, fuoriescono dal linfonodo attra-verso il vaso linfatico efferente, dotto toracico, sangue, e arrivano nel tessuto periferico dove è pre-sente l’infezione perché è lì che c’è bisogno di loro per debellare l’infezione stessa, e nel caso in cui si tratti di un linfocita T-helper, questo deve nuovamente reincontrare l’antigene presentato dal ma-crofago, che nell’ambito dell’immunità innata non era stato in grado di uccidere quel patogeno, e i linfociti T-H produrranno citochine che attiveranno ulteriormente il macrofago.

Nel caso si tratti di un CTL, questo migra ugualmente dal linfonodo al sito periferico, dove in-contrerà la cellula infettata dal virus che gli presenterà l’antigene e quindi riverserà i suoi meccanismi citotossici verso questa cellula del sangue.

Nel caso invece dei linfociti B, durante una risposta primaria va incontro al suo differenziamento in plasmacellule secernenti anticorpi e cellule della memoria. Queste ultime effettuano lo stesso tra-gitto visto per le cellule della memoria T, mentre gli anticorpi vengono riversati nel circolo sanguigno e raggiungono il tessuto periferico sede dell’infezione per poter riconoscere l’antigene e poter mettere in atto i vari meccanismi effettori. Le plasmacellule invece restano nell’area midollare del linfonodo.

Milza

È l’organo linfoide secondario dove avvengono le risposte immunitarie verso i patogeni traspor-tati dal sangue. È un organo che pesa circa 150 grammi e si trova dietro allo stomaco nel lato sinistro dell’addome.

Ha due importanti funzioni: è un organo di filtro per il sangue, ed è un organo emocateretico, in quanto la sua funzione è quella di distruggere gli eritrociti invecchiati, ma anche le piastrine.

Nella milza gli antigeni e i linfociti arrivano entrambi con il sangue, ed entrambi entrano nella milza attraverso l’arteria dell’ilo, la quale si dirama in tante arteriole le quali a loro volta si diramano in una fitta rete di capillari che hanno morfologia sinusoidale, ovvero le cellule endoteliali dei vasi presentano degli spazi attraverso i quali il sangue e quindi anche le cellule del sangue e gli antigeni, possono fluire all’interno del parenchima. Questi capillari sfociano in dei seni venosi, i quali convo-gliano il sangue in delle venule che si riversano nella vena splenica che a sua volta riversa il sangue all’esterno dell’organo.

La milza è formata da due compartimenti, la polpa bianca (circa il 25%) e la polpa rossa (75%). La polpa bianca è la parte immunologica dell’organo, cioè è la parte della milza in cui avvengono le risposte immunitarie specifiche; è organizzata in un tessuto linfoide ricco di linfociti T e di cellule

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dendritiche, che formano dei manicotti periarteriolari, i quali vengono detti PALZ. I PALZ stanno in stretta connessione con i follicoli, che sono costituiti da linfociti B e dalla cellula follicolare den-dritica. La polpa bianca è delimitata da una zona detta zona marginale della milza, in cui è presente una sottoclasse di linfociti B, che sono diversi rispetto ai linfociti B convenzionali, in quanto presen-tano un repertorio meno diversificato e rispondono prevalentemente ad antigeni di natura polisac-caridica.

La polpa bianca è immersa nella polpa rossa, che è formata da una fitta rete di capillari sinusoi-dali che sono circondati da manicotti di macrofagi, che si trovano lì per fagocitare e distruggere o gli eritrociti invecchiati che fuoriescono tramite l’endotelio fenestrato, o gli antigeni stessi che sono fluiti dal sangue nel parenchima.

Tessuti linfoidi associati alle mucose delle vie d’accesso dei pa-togeni

In queste sedi sono presenti delle strutture ben organizzate e sono possibili risposte immunitarie molto importanti, in quanto prevengono l’ingresso del patogeno non andando incontro a malattia.

Questo sistema immunitario associato alle mucose viene denominato con il termine generale di MALT (tessuto linfoide associato alle mucose). Quello di cui si hanno le maggiori conoscenze è il tessuto linfoide associato al tratto gastrointestinale, rappresentato dalle Placche del Peyer, le quali sono delle vere e proprie strutture immunologiche che si trovano nella lamina propria dell’intestino tenue, al di sotto dell’epitelio mucoso.

Struttura di una placca del Peyer

All’interno presentano un follicolo linfatico in cui ritroviamo prevalentemente linfociti B; vi ri-troviamo anche le cellule T, che sono localizzate o ai lati del follicolo o nella parte sovrastante il fol-licolo che viene detta cupola. In quest’area troviamo sia linfociti T che cellule dendritiche. Inoltre sono presenti cellule ad endotelio alto e vasi linfatici diretti verso il dotto intestinale. Pertanto anche nella placca del Peyer sono presenti tutti gli elementi utili ad indurre una risposta immunitaria spe-cifica.

Quest’ultima è una risposta anticorpale, poiché gli anticorpi prodotti all’interno di questi folli-coli verranno riversati nel lume intestinale per impedire ai patogeni di oltrepassare l’epitelio e quindi di infettare il tessuto.

Il patogeno che si trova nel lume intestinale, per oltrepassare l’epitelio mucoso formato da en-terociti tenuti insieme da giunzioni serrate, viene trasportato attraverso particolari cellule intercalate tra gli enterociti che vengono dette cellule M (membranose), che presentano una membrana pieghet-tata. Gli antigeni oltrepassano queste cellule M, mediante un processo che viene definito di transci-tosi. La cellula M, oltre ad essere specializzata in questo trasporto, ha anche la caratteristica di pre-sentare nella membrana baso-laterale una tasca in cui sono presenti linfociti, macrofagi e cellule den-dritiche, per cui quando l’antigene viene internalizzato dalla cellula M, viene subito catturato dalle APC e dai linfociti le quali poi si riversano al di sotto della mucosa a livello della placca del Peyer.

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Pertanto le cellule M mediante il processo di transcitosi fanno passare il patogeno dal lume, all’in-terno del tessuto.

Anticorpi

Gli anticorpi vengono anche detti immunoglobuline, e da un punto di vista biochimico sono glicoproteine che ritroviamo nel circolo sanguigno, nelle secrezioni mucose e anche negli spazi ex-tracellulari dei tessuti.

Mediano un’immunità di tipo umorale specifica, che rappresenta il principale meccanismo di difesa verso i patogeni che si replicano al di fuori delle cellule (anche il virus, che è un patogeno intracellulare obbligato, quando viene intercettato nella fase extracellulare, cioè quando sta per pe-netrare nella cellula da infettare, ha bisogno degli anticorpi per poter essere eliminato).

Gli anticorpi vengono secreti dai linfociti B, che riconoscono l’antigene in modo specifico tra-mite un recettore di membrana. Il recettore di membrana per l’antigene dei linfociti B è rappresentato da un anticorpo ancorato alla membrana dei linfociti, detto BCR (B-cell receptor). I linfociti B dopo aver riconosciuto l’antigene in modo specifico tramite un anticorpo di membrana, si differenziano in plasmacellule secernenti anticorpi circolanti che hanno la stessa specificità del recettore, cioè che sono in grado di riconoscere lo stesso antigene che aveva innescato la risposta, e che quindi era stato riconosciuto dal BCR.

Pertanto gli anticorpi esistono in due forme: una forma di membrana, che rappresenta il recet-tore per l’antigene dei linfociti B, ed una forma circolante, che invece media il meccanismo che ci protegge dalle infezioni.

Struttura degli anticorpi Ciascuna molecola anticorpale è costituita da 4 catene polipeptidiche disposte a formare una

struttura a forma di “Y”. Di queste quattro catene (chains), due sono più brevi e vengono dette leg-gere (L, ossia light), che sono identiche fra di loro, mentre le altre due catene sono più lunghe e vengono dette pesanti (H, ossia heavy), le quali sono sempre identiche fra di loro. Ciascuna catena leggera è tenuta insieme alla catena pesante mediante un ponte disolfuro e le due catene pesanti sono tenute insieme a livello della regione a cerniera da due ponti disolfuro.

A partire dall’estremità ammino-terminale, ciascuna catena presenta delle strutture globulari compatte che si ripetono e che hanno una struttura terziaria simile e che vengono dette domini di tipo immunoglobulinico. Ciascun dominio è lungo circa 110 AA, ed è formato da due foglietti β planari, costituiti da nastri (catene) polipeptidici il cui numero può variare da 3 a 5 e che sono disposti in direzione antiparallela; questi foglietti β planari, che rappresentano l’impalcatura del dominio im-muoglobulinico, terminano con delle anse che sporgono sul bordo esterno del dominio. I domini immunoglobulinici non si trovano soltanto nella molecola anticorpale, ma anche in tante altre mo-lecole tra cui proteine di membrana che sono deputate al riconoscimento; inoltre sono presenti anche nel complesso maggiore di istocompatibilità, ma sono anche presenti nel recettore per l ‘antigene dei linfociti T.

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Ciascuna catena sia pesante che leggera, presenta una regione variabile (V) ed una regione co-stante (C). La regione variabile presenta una sequenza aminoacidica che varia tra anticorpo e anti-corpo, mentre la regione costante presenta sequenze abbastanza simili.

La regione variabile, sia della catena L che H, sono formate da un solo dominio di tipo immu-noglobulinico, cosi come la regione costante delle catene leggere, che è sempre formata da un solo dominio di tipo immunoglobulinico, mentre la regione costante delle catene pesanti è fatta da 3/4 domini di tipo immunoglobulinico.

La regione variabile della catena leggera, sovrapponendosi con la regione variabile della catena pesante, forma quello che viene detto sito di legame per l’antigene, cioè quella parte della molecola anticorpale che riconoscerà in modo specifico l’antigene. Ne risulta quindi che una molecola anti-corpale possiederà due siti di legame per l’antigene che sono identici tra loro, ed è quindi in grado di riconoscere due epitopi identici localizzati sulla stessa molecola antigenica.

Distribuzione della variabilità nella regione variabile

Mediante delle curve, che vengono dette curve della variabilità, che sono state ottenute con-frontando le sequenze aminoacidiche delle catene di molti anticorpi, è stato visto che la variabilità aminoacidica è concentrata in 3 brevi tratti del dominio immunoglobulinico che sono lunghi cia-scuno circa 10 AA, mentre le altre parti del dominio presentano una variabilità molto minore. I tratti con variabilità anticorpale elevatissima vengono detto segmenti ipervariabili o regioni determinanti la complementarietà (CDR1, CDR2, CDR3).

Le regioni cornice, quelle in cui la variabilità è minore, corrispondono ai foglietti β-planari del dominio, cioè a quelli che costituiscono l’impalcatura del dominio, mentre le 3 CDR corrispondono alle 3 anse che sporgono all’esterno del dominio e che fiancheggiano le 3 anse del dominio variabile dell’altra catena. Pertanto quando una catena leggera si appaia con la catena pesante, le 3 CDR, cioè le 3 anse della catena leggera, si sovrappongono con le 3 CDR, cioè le 3 anse della catena pesante, per formare la regione che lega l’antigene, ed è per questo motivo che queste regioni intervariabili ven-gono dette regioni determinanti la complementarietà, proprio perché sono complementari alla strut-tura tridimensionale dell’antigene. In questo modo avviene l’interazione antigene-anticorpo.

La regione di legame per l’antigene può avere diverse forme, e questo dipende anche dal tipo di antigene; per esempio un piccolo antigene come un peptide virale, può essere ospitato in una piccola cavità (o in un piccolo solco), mentre un antigene quale può essere una molecola proteica, viene ospitato in una superficie più estesa che può avere una forma ondulata e concava; una CDR può anche dar luogo ad una protrusione che sporge fuori all’interno del dominio e va ad insinuarsi in una cavità della molecola antigenica.

Da quanto detto risulta che la specificità di un determinato anticorpo per il suo antigene, di-pende dalla conformazione tridimensionale sia delle CDR sia dell’epitoto antigenico, e a tal proposito sono state formulate tre teorie per spiegare l’interazione tra l’antigene e l’anticorpo:

1) modello chiave-serratura: in base a questo modello si pensava che l’interazione tra l’anti-corpo e !"antigene fosse dato da un adattamento perfetto delle CDR dell’anticorpo con gli epitopi antigenici, come se fossero due strutture perfettamente rigide. Questo modello è stato

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molto criticato, in quanto a causa di questa forte stringenza tra antigene e anticorpo, i legami antigeni-anticorpo sono poco probabili a causa della forte complementarietà richiesta.

2) modello dell’adattamento indotto: in base a questo modello si pensava che anche se inizial-mente le 3 CDR della molecola anticorpale non si adattassero perfettamente alla conforma-zione dell’epitopo, le CDR potevano comunque andare incontro ad una modificazione con-formazionale per dar luogo ad una migliore interazione tra l’anticorpo e l’antigene. Questo modello può essere comunque criticabile, in quanto un anticorpo potrebbe riconoscere an-che più antigeni diversi, ma comunque spiega un fenomeno che avviene molto i spesso in immunologia, e cioè il fenomeno della cross-reattività, in base al quale un anticorpo che è stato originariamente generato verso un determinato antigene, può anche riconoscere un altro antigene. Questo fenomeno dipende dal fatto che lo stesso epitopo presente su una de-terminata proteina riconosciuta da un anticorpo può essere presente anche su una proteina diversa, pertanto l’anticorpo generato nei confronti di questa prima proteina può cross-rea-gire con un antigene diverso riconoscendo lo stesso epitopo. Un altro motivo alla base della cross-reattività, è che due molecole anche chimicamente diverse possono assumere la stessa conformazione tridimensionale.

3) modello dell’equilibrio; in base a questo modello, ciascun anticorpo esisterebbe in due di-verse conformazioni di due diverse forme isomeriche, ognuna dotata di una diversa confor-mazione a livello del sito di legame per l ‘antigene. Tra questi due diversi isomeri ci sarebbe un equilibrio, nel senso che quando un isomero va a reagire con un suo antigene, si forma una maggiore quantità di questa forma isomerica in modo che ci sia sempre equilibrio tra le due forme.

Tutti e tre i modelli possono essere validi, in quanto le caratteristiche di interazione tra un anti-gene e un anticorpo variano nei diversi complessi antigene-anticorpo.

Quando un peptide virale va ad interagire con le CDR, le maggiori interazioni avvengono con le CDR3, che sono quelle più variabili; le interazioni tra antigeni e anticorpo sono legami assoluta-mente non covalenti, ma legami deboli che possono essere rotti da concentrazioni di pH estreme o da una elevata concentrazione salina; questi legami possono essere forze elettrostaiche, legami idro-geno, forze di van der Waals e legami idrofobici.

Affinità Una misura della forza interazione di un anticorpo con il suo antigene, è data dall’affinità.

L’affinità dipende dalla velocità di associazione, cioè dalla velocità con la quale l ‘antigene si lega all’anticorpo, e dalla velocità di dissociazione, cioè la velocità con cui l’antigene si dissocia dall’anti-corpo. Quindi l’affinità di un anticorpo per un suo antigene misura la forza di interazione di un sin-golo sito anticorpale per il suo epitopo.

L’affinità si misura con la costante di dissociazione (Kd), che è uguale alla concentrazione di antigene che serve per occupare (per saturare) i siti di legame per l’antigene della metà di molecole anticorpali presenti in una determinata soluzione. Anticorpi che hanno una Kd alta, avranno una

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bassa affinità in quanto servirà tanto antigene per saturare le molecole anticorpali. La Kd degli anti-corpi è comunque estremamente bassa, compresa tra 10−7 e 10−10 molare; pertanto gli anticorpi hanno una elevata affinità per l’antigene.

Gli anticorpi tramite la loro regione variabile riconoscono qualunque tipo di molecola biologica, sia semplice, come ormoni o molecole lipidiche, sia macromolecole, come proteine, polisaccaridi, glicolipidi, e riconoscono sia epitopi conformazionali (o determinanti conformazionali) che epitopi lineari; l’importante è che questi epitopi siano esposti all’esterno della molecola che devono ricono-scere e che quindi siano accessibili, in quanto le molecole riconosciute dagli anticorpi, e quindi anche dai linfociti B (essendo l’anticorpo il suo recettore), vengono riconosciute nella struttura terziaria intatta e non necessitano di processazione.

Caratteristiche della regione costante delle catene leggere e delle catene pesanti

La regione costante nelle catene leggere è formata da un solo dominio immunoglobulinico, e non ha funzioni particolari se non quella di mantenere la corretta conformazione della molecola an-ticorpale. Sono state viste alcune differenze strutturali fra le regioni costanti di diverse catene leggere e in base a queste differenze, le catene leggere possono essere di 2 isotipi: κ (kappa) e λ (lambda); chiaramente in ciascuna molecola anticorpale o ci sono 2 catene leggere κ o 2 catene leggere λ e nell’uomo il 65% degli anticorpi presenti è costituito da catene leggere κ.

Per quanto riguarda invece le regioni costanti delle catene pesanti, queste sono formate da più domini immunoglubilinici, o 3 o 4. La regione costante della catena pesante è importantissima perché media le funzioni effettrici della molecola anticorpale, media gli effetti biologici e i meccanismi che portano alla eliminazione del patogeno.

Ora introduciamo un concetto estremamente importante: un anticorpo circolante non è che elimina il patogeno solo perché lo incontra e lo riconosce in modo specifico tramite le regioni varia-bili, ma per eliminarlo, l’anticorpo deve si interagire con il patogeno per garantire la specificità della risposta, ma tramite la regione costante delle catene pesanti, in particolare tramite il dominio CH2 deve interagire con alcuni componenti della immunità innata come ad esempio cellule fagocitiche macrofagi e neutrofili, cellule NK e anche proteine del complemento.

Saranno questi poi i meccanismi che elimineranno il patogeno.

Molecole della immunità specifica quali gli anticorpi eliminano i patogeni servendosi dei mec-canismi della immunità innata; si servono cioè della fagocitosi quando gli anticorpi interagiscono con macrofagi e neutrofili; si servono della citotossicità quando gli anticorpi si legano alle cellule NK; si servono dei meccanismi effettori quando gli anticorpi si legano alle proteine del complemento.

Tutte le conoscenze che abbiamo sulla molecola anticorpale e anche sulla funzione delle diverse funzioni della molecola anticorpale sono dettati da studi basati su taglio proteolitico con impiego di proteasi ed effettutati da George Porter che nel 1969 si è aggiudicato il premio Nobel per aver studiato la molecola anticorpale. Egli aveva visto che, trattando una miscela di anticorpi con la papaina, che è una proteasi che effettua un clivaggio proteolitico al di sopra dei ponti disolfuro che tengono unite le

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due catene pesanti, si ottenevano 2 frammenti identici tra loro detti Fab (frammento legante l’anti-gene) e un terzo frammento detto Fc (frammento cristallizzabile).

Questi domini formano un reticolo che mantiene la capacità di interagire con i componenti dell’immunità innata, quindi tramite questi studi era stato visto che la funzione di riconoscimento antigenico e quella effettrice erano proprie di due parti distinte della molecola anticorpale e anche indipendenti fra loro.

La miscela di anticorpi è stata trattata anche con pepsina la quale taglia la molecola anticorpale sotto ai 2 ponti disolfuro quindi si forma un solo frammento Fab2 che ha maggiore affinità per l’an-tigene rispetto a i normali Fab perché contiene più strutture e siti di legame per antigene, mentre il frammento Fc in presenza di pepsina è ridotto in piccoli frammenti peptidici e quindi non si ritrova più.

Tutti questi meccanismi di clivaggio proteolitico hanno fatto capire la struttura della molecola anticorpale e le varie funzioni delle regioni diverse.

In base a piccole differenze nelle regioni costanti delle catene pesanti, che sono dotate di funzioni effettrici diverse e quindi useranno meccanismi diversi per eliminare il patogeno, nei mammiferi sono state identificate 5 classi anticorpali o isotipi: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM.

La catena pesante di ciascuna delle classe è indicata con la lettera corrispondente dell’alfabeto greco, quindi la catena pesante delle IgA si chiama catena α (alfa), delle IgD si chiama δ (delta), delle IgE catena ε (epsilon), delle IgG catena γ (gamma) e delle IgM si chiama μ (mi). Nell’uomo sono state identificate poi 2 sottoclassi di IgA e 4 sottoclassi di IgG.

Per quanto riguarda delle differenze dal punto di vista strutturale, le IgG e IgE circolano sempre come monomeri quindi formate da una sola unità anticorpale, le IgM invece circolano sempre in forma pentamerica, cioè una molecola di IgM è formata sempre da 5 monomeri tenuti insieme da una catena che viene detta catena joining che tiene uniti i 5 monomeri che formano le IgM.

Le IgA possono essere o monomeriche o dimeriche o trimeriche e addirittura anche tetrameri-che.

Le IgD non circolano ma rappresentano dei recettori transmembrana; infatti in circolo sono presenti solo in piccole quantità con funzione sconosciuta.

Tra il dominio CH1 e CH2 della regione costante della catena pesante molecola anticorpale, si trova una regione detta regione cerniera, la cui funzione è quella di conferire flessibilità alla molecola anticorpale e quindi di permetterle di legare epitopi che possono essere posti a distanze diverse sulla superificie dell’antigene.

Ci sono infatti molti antigeni, specialmente quelli polisaccaridici, che presentano sulla loro membrana tanti epitopi identici ripetuti. Questi antigeni sono detti polivalenti o multivalenti.

Gli antigeni polisaccaridici sono tutti multivalenti mentre le proteine non sono mullivalenti.

IgG può legarsi sulla superficie di un antigene o interagendo con un solo epitopo o al massimo con 2. Una IgM che è pentamerica avrà 10 siti di legame e potrà legarsi a 10 epitopi espressi su un antigene mullivalente. La forza di legame che lega una IgM al suo antigene sarà molto più forte ri-spetto alla forza di legame che lega una IgG al suo antigene.

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La forza complessiva di legame di un anticorpo con il suo antigene è definita avidità ed è data naturalmente dalla somma di tutti i siti combinatori per l’antigene. È una forza di legame molto maggiore rispetto all’affinità che invece misura la forza di interazione tra un singolo sito combinato-rio e il suo epitopo.

Abbiamo detto che gli anticorpi possono esistere sia in forma legata che secreta. Quella secreta la ritroviamo in circolo, negli spazi extracellulari dei tessuti ed extravascolari e poi nelle secrezioni mucose. La forma di membrana la ritroviamo sulla membrana plasmatica dei linfociti B perché rap-presenta il recettore per l’antigene dei linfociti B (BCR).

Il recettore per l’antigene dei linfociti B vergini è rappresentato da una IgM e da una IgD anco-rate alla membrana dei linfociti B e dotate della stessa regione variabile perché mediante queste deve essere riconosciuto lo stesso antigene, in altre parole ciascun linfocita B co-esprime sulla propria membrana IgM e IgD dotate della stessa regione variabile. Le IgM e le IgD non sono mai espresse da sole sulla membrana ma sono espresse in associazione ad altre 2 catene, Igα e Igβ che sono identiche in tutti i cloni di linfociti B perché queste catene Igα e Igβ servono esclusivamente per trasdurre il segnale una volta che l’lgM ha reagito con le le sue catene variabili con l’antigene.

Le catene pesante delle IgM presentano infatti solo un piccolo tratto citoplasmatico che non è adatto per la trasduzione del segnale dopo che gli anticorpi di membrana hanno reagito con l’anti-gene.

Pertanto, le catene IgM e IgD con le 2 catene Igα e Igβ formano il complesso BCR. Quindi il complesso BCR è fatto o da una IgM e la Igα e la Igβ o da IgD e la Igα e la Igβ. Affinché avvenga l’attivazione di un tipo cellulare (questo vale per qualunque cellula che riceva un segnale da un li-gando) è necessario che siano impegnati più recettori: se arriva un antigene multivalente, nell’inte-razione sono impegnate più IgM di membrana e ciò implica una aggregazione di tutte le molecole IgM, Igα e Igβ su un’area specifica della membrana che diventa specializzata per la trasduzione del segnale e quindi avvengono eventi di fosforilazione al livello di queste code citoplasmatiche, e tramite l’attivazione di MAPK e l’attivazione di secondi messaggeri si arriva all’attivazione di fattori di tra-scrizione che portano all’attivazione genica.

Funzioni effettrici degli anticorpi Ci sono diverse modalità con le quali gli anticorpi eliminano i patogeni:

1. La prima modalità è l’opsonizzazione (il rivestimento) e la fagocitosi. Ciò è svolto dagli anticorpi dell’isotipo IgG1 e IgG3. Consiste nel fatto che le IgG attraverso la loro regione variabile riconoscono il patogeno e tramite il loro frammento Fc (regione costante della ca-tena pesante) interagiscono con dei recettori espressi sulla membrana delle cellule fagociti-che, o i macrofagi o i neutrofili. I recettori sono ad alta affinità e grazie a questa interazione viene facilitata sia la fagocitosi del patogeno all’interno di vescicole ma anche l’interazione di questi recettori con gli anticorpi che hanno opsonizzato il patogeno è aumentata da segnali che sono prodotti sempre dagli anticorpi, che potenziano l’attività microbicida della cellula fagocitica, cioè potenziano la produzione di enzimi lisosomiali e di sostanze tossiche che sa-ranno riversale nelle vescicole per uccidere il patogeno.

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Questo meccanismo rappresenta il meccanismo principale di difesa verso patogeni dotati di capsula polisaccaridica che sono resistenti alla fagocitosi perché hanno appunto la capsula. Quando questa è riconosciuta in modo specifico dalle IgD può essere consentita la fagocitosi e a questo punto i patogeni possono essere distrutti nella cellula fagocitica.

Queste reazioni avvengono nella milza che presenta molti macrofagi soprattutto nella polpa rossa, la polpa bianca invece produce gli anticorpi che appunto opsonizzano l’antigene con-sentendo poi la fagocitosi da parte dei macrofagi.

2. La seconda possibilità di azione degli anticorpi è rappresentata dalla citotossicità cellulare anticorpo dipendente, mediata dalle cellule NK, dalle IgG1 e IgG3, e consiste nel fatto che gli anticorpi suddetti possono riconoscere una cellula dell’ospite che ad esempio è stata in-fettata dal virus che presenti antigeni virali.

Le IgG1 e le IgG3 sono riconosciute da particolari recettori a bassa affinità (detti CD16) pre-senti sulla cellula NK. Questa interazione induce la cellula NK a liberare il contenuto dei suoi granuli, che sono delle proteine che inducono apoptosi della cellula bersaglio.

È il frammento Fc dell’anticorpo che viene riconosciuto da specifici recettori per esso pre-senti nelle cellule NK; questi sono recettori a bassa affinità, mentre quelli sul macrofago ne-cessari per la opsonizzazione sono ad alta affinità.

Le NK sono cellule della immunità innata che non presentano recettori specifici per l’anti-gene e quindi questo meccanismo rappresenta il modo attraverso cui la cellula NK può rico-noscere l’antigene, grazie all’anticorpo.

Un altro tipo di citotossicità mediata da anticorpi, è quella mediata da anticorpi del tipo IgE e dagli eosinofili. Le IgE sono anticorpi che si ritrovano in circolo in basse concentrazioni che aumenta solo in casi di infestazioni parassitarie e poi nei casi di ipersensibilità di primo tipo (allergie). Le IgE hanno infatti 2 ruoli: uno come meccanismo di difesa e uno patologico:

- meccanismo protettivo: ci difendono dai parassiti come gli elminti. Le IgE tramite la loro regione variabile riconoscono gli antigeni presenti sugli elminti e il fram-mento Fc delle IgE è riconosciuto da recettori ad alta affinità per il frammento Fc-epsilon espresso sugli eosinofili. Questa interazione attiva l’eosinofilo, il quale con-tiene dei granuli con sostanze quali perossidasi, le quali quando sono riversate all’esterno distruggono il parassita. Anche questo meccanismo è detto di citotossicità anticorpo dipendente mediata dalle IgE e dagli eosinofili.

- meccansimo patologico: un individuo predisposto alle allergie è detto atopico, per-ché ha una predisposizione genetica; quando questo soggetto viene a contatto con l’antigene ambientale, invece di produrre IgG, cioè l’isotipo che viene prodotto da tutti i soggetti normali, produce le IgE che vanno a rivestire i mastociti e i basofili. Infatti anche i mastociti hanno il recettore per il frammento Fc delle IgE. Cosi l’in-dividuo è sensibilizzato e quando questo anche dopo molto tempo entra in contatto con lo stesso antigene, questa va a legarsi con le stesse IgE che a loro volta hanno rivestito il mastocita e inducendo la degranulazione dello stesso con liberazione di istamina e tanti altri mediatori che sono causa della ipersensibilità.

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Le IgE sono presenti in circolo in bassissime concentrazioni, a meno che non ci siano paras-siti o ipersensibilità di primo tipo.

3. Un’altra importante funzione degli anticorpi è l’attivazione del complemento, che è for-mato da proteine plasmatiche importanti per l’eliminazione dei patogeni nella fase extracel-lulare.

Gli anticorpi, dopo aver riconosciuto in modo specifico l’antigene, interagiscono in modo specifico con una prima proteina del sistema del complemento la quale in seguito all’intera-zione si attiva generando mediatori che portano alla lisi dei microbi e alla loro fagocitosi con induzione anche di risposte infiammatorie, cioè con il reclutamento di ulteriori cellule fago-citiche dal sangue. Quindi questa funzione è mediata da anticopri IgG1, IgG3 e dalle IgM pentameriche.

4. Ultima funzione degli anticorpi è la neutralizzazione, che è svolta dalla porzione variabile della catena pesante, ed è rivolta sia ai patogeni interi che a molecole da essi secrete, come le tossine che in alcune malattie infettive (come tetano e difterite) sono la causa della malattia.

In assenza di anticorpi, i patogeni oltrepassano le barriere epiteliali ed entrano nei tessuti infettando le cellule. Possono poi portare a morte la cellula ospite, infettando anche le cellule vicine e propagando quindi l’infezione.

In presenza però di anticopri neutralizzanti, si ha che se questi sono presenti sulle secrezioni mucose che rivestono gli epiteli, e l’anticorpo, interagendo con il patogeno, impedisce al pa-togeno di oltrepassare la barriera epiteliale.

Nell’epitelio dell’apparato respiratorio, sono presenti anticorpi neutralizzanti che bloccano il patogeno impedendo ad essi di entrare e gli immunocomplessi formati dall’antigene e dall’anticorpo, sono poi eliminati tramite gli starnuti; infatti le ciglia spingono questi com-plessi verso l’alto, che poi sono eliminati con lo starnuto.

A livello intestinale invece, questi patogeni vengono rivestiti da anticorpi neutralizzanti, dopo di che sono eliminati attraverso la peristalsi intestinale e quindi con le feci.

Nelle secrezioni mucose gli anticorpi neutralizzanti più importanti sono rappresentati da IgA dimeriche. Gli anticorpi neutralizzanti più importanti quindi sono le IgA. Negli spazi intercellulari dei tessuti, gli anticorpi neutralizzanti sono rappresentati da IgG di tutti e 4 gli isotipi e anche da IgA monomeriche, poi ci sono quelli in circolo rappresentati da IgG2 e IgG4 e da IgA monomeriche.

Nell’apparato gastroenterico sono prodotte dalle placche del Peyer.

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Il sistema del complemento

Il complemento è il sistema di difesa più primitivo e conservato nel corso dell’evoluzione ed è il primo sistema della risposta immunitaria che interviene a seguito di un’infezione.

Esso agisce attraverso una cascata enzimatica ed è costituto da circa 30 proteine, che si trovano o sulla membrana, o in fase fluida, le quali normalmente sono inattive, ma hanno la caratteristica di attivarsi enzimaticamente, poiché molte di esse sono zimogeni (enzimi che vengono attivati a seguito di tagli proteolitici da parte di enzimi attivatori del sistema del complemento e, una volta attivati, possono andare ad attaccare altre proteine a valle). L’attività di tali proteine deve essere altamente regolata poiché, una volta attive, esse andranno a reagire con i rispettivi substrati, dando luogo al fenomeno dell’amplificazione. È necessaria dunque la presenza di:

– proteine regolatrici e recettori del complemento; – proteine per il riconoscimento del patogeno e innesco dell’attivazione della cascata pro-

teolitica.

Il sistema del complemento può attivarsi tramite 3 vie differenti:

– via alternativa; – via classica; – via lectinica (riconoscimento patogeno peculiare, in parte converge con la via classica).

Tali vie differiscono per le modalità di riconoscimento del patogeno e attivazione del sistema del complemento.

La via classica viene definita in questo modo poiché è stata la prima ad essere stata scoperta ma non è la filogeneticamente più antica (la filogeneticamente più antica è la via alternativa).

La via alternativa e la via lectinica si attivano direttamente sulla superficie del patogeno senza la necessità di alcun intermediario, mentre la via classica, nella maggior parte dei casi, per attivarsi ha bisogno che l’immunoglobulina vada a riconoscere il patogeno, formando l’immunocomplesso (patogeno + anticorpo legato).

Funzioni del sistema del complemento:

– eradicazione patogeno; – cooperazione nelle risposte umorali (ruolo nella attivazione linfociti B); – rimozione immunocomplessi.

La via lectinica si attiva grazie ai recettori che riconoscono profili molecolari (PRR). Per profilo molecolare associato a patogeno (PAMP) si intendono una serie di strutture presenti sul microrga-nismo, che vengono riconosciute dai PRR.

I batterî possono essere classificati come gram-positivi e gram-negativi.1

1 La distinzione gram-positivi e gram-negativi è stata effettuata dal medico danese Gram (1853-1938). Il prefisso gram- in-dica la particolare reazione che, in base a una tecnica batteriologica che da lui prende il nome (metodo di Gram), distingue il comportamento di specie batteriche diverse nei confronti di alcuni coloranti basici e di una soluzione iodica: gram-posi-tivi (o gram-resistenti) sono detti quei batterî (stafilococchi, streptococchi) al cui corpo si fissa stabilmente il colorante; gram-negativi i batterî (salmonella, proteo, etc.) in cui il colorante non si fissa stabilmente e viene rimosso con una immer-sione in alcool. 24

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I gram-positivi sono costituiti da una membrana cellulare nella quale sono inserite delle pro-teine integrali di membrana e da una struttura definita peptidoglicano che rappresenta la struttura esterna del batterio, caratterizzata da una distribuzione ripetuta di N-acetil-muramico e N-acetil-glucosammina, tenuti insieme da legami peptidici. Nel peptidoglicano dei gram-positivi troviamo l’acido tecoico e l’acido lipotecoico.

I gram-negativi presentano peptidoglicano molto sottile e una struttura più interna lipopolisac-caridica, costituita da lipide A e polisaccaride.

Le varie strutture dei gram-positivi e gram-negativi vengono sfruttati dall’immunità innata per essere riconosciuti e distinti. Quindi i PRR riconoscono l’acido tecoico, lipotecoico e il lipopolisac-caride.

I PRR sono fondamentali poiché permettono alle cellule della immunità innata di discriminare le varie classi di patogeni e le cellule self dalle non-self.2

Esempi di PRR sono:

– i toll-like receptor (TLR), (11 membri) che possono dimerizzare, e formare altri dimeri, in modo tale da aumentare il grado di specificità, nonostante il numero limitato. I toll-like receptor attivano una via di trasduzione del segnale, che comporta una serie di mo-difiche a livello delle cellule della risposta immunitaria innata, come ad esempio i ma-crofagi. I membri 3-7-9 dei toll-like receptor sono presenti a livello delle vescicole endo-somiali, e vanno a riconoscere l’RNA virale.

– lectina legante mannosio (MBL), che presenta dei dominî in grado di riconoscere i carboidrati presenti a livello dei vari patogeni, e attivare il sistema del complemento (attiva la via lectinica).

Altri PRR hanno invece la funzione di potenziare l’attività fagocitaria dei macrofagi.

Una caratterista importante di questi recettori dell’immunità innata è quella di riconoscere strutture del microrganismo, che sono indispensabili per la vita di quest’ultimo, e che quindi non può modificare, ad esempio il virus senza RNA non possono replicarsi all’interno dell’ospite.

Tutte le vie convergono:

– su una proteina del sistema del complemento, la proteina C3, che è un proenzima. A seguito della sua attivazione si formano dei frammenti di clivaggio;

– sul clivaggio della proteina C5, anch’esso un proenzima (ultima componente con atti-vità proteolitica).

N.B. Per convenzione il frammento che si genera dal taglio proteolitico più grande viene siglato con una lettera b minuscola, mentre quello più piccolo con una a minuscola.

Le tre vie alla fine utilizzano la stessa via terminale.

2 La distinzione self/non self in questo caso avviene in maniera grossolana, a differenza dell’immunità adattativa, che invece è in grado di riconoscere anche singoli amminoacidi.

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Le proteine del complemento vengono classificate con una C seguita da un numero. La C sta per complesso di attacco alla membrana. Il numero non sempre corrisponde all’ordine con cui appaiono nella via classica.

Via classica

Costituita da C1, C2, C3 e C4.

Compaiono nella sequenza proteolitica: C1–C4–C2–C3.

Una volta formato l’immunocomplesso, interviene la C1, la quale è un complesso multimoleco-lare costituito da 3 componenti: C1q, C1r, C1s.

C1r e C1s (presenti due per tipo) hanno attività serin-proteasica, entrambe costituite da due domini: dominio di interazione e dominio catalitico, che normalmente non si trovano associate all’altro monomero, ma separato da esso.

C1q è costituito da 6 catene polipeptidiche, ciascuna formata da una testa globulare, la quale va ad interagire con i dominî costanti delle immunoglobuline, e da uno “stelo” con struttura simile al collagene, ovvero 3 catene che si avvolgono a formare un unico filamento.

È necessario che più teste globulari interagiscano con la porzione Fc dell’immunoglobulina le-gata al patogeno. Potenzialmente una molecola di C1q potrebbe legare 6 Ig, ma ciò non avviene a causa dell’impedimento sterico dovuto alla struttura ingombrante delle Ig. Almeno due teste globu-lari devono legarsi a due Ig, altrimenti una sola interazione non è in grado di attivare il sistema del complemento.

Quando C1 si lega all’Ig, le teste globulari di C1q subiscono un cambiamento conformazionale, che viene trasmesso a C1r e C1s, le quali a loro volta cambiano conformazione, e da una sequenza lineare di partenza, assumono una conformazione a “8”, in modo tale che i dominî catalitici intera-giscano tra di loro, e questo evento permette alla C1r di proteolizzare l’altra molecola di C1r, che a sua volta andrà a proteolizzare il C1s, che a sua volta proteolizza l’altra molecola di C1s. Quindi par-tendo da composti inattivi, si ottengono composti attivati da proteolisi.

Le immunoglobuline in grado di attivare la via classica sono:

– IgM, secrete sottoforma di pentameri, quindi cinque molecole di Ig simultaneamente si legano alla superficie del patogeno, a seguito della quale l’IgM subisce un cambio con-fomazionale, ed espone il sito di legame per C1, in particolare il C1q lega il dominio CH3 dell’IgM, dove sono presenti residui amminoacidi riconosciuti dalla testa globu-lare del C1q. (essendo pentamerico è sufficiente una sola molecola di IgM);

– IgG, secrete sottoforma di monomeri. La testa globulare di C1q riconosce il dominio CH2 dell’IgG.

Nella classifica di efficienza dell’attivazione del sistema del complemento, troviamo al primo posto le IgG3, a seguire le IgG1, IgG2. (Le IgG4 non attivano il sistema del complemento).

A seguire interviene la proteina C4, che lega la C1.

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C4 viene scisso proteoliticamente da C1s, e si generano due frammenti: quello più piccolo, che è diffusibile, ovvero va in soluzione, e quello più grande C4b, il quale può subire due destini: o rima-nere legato al complesso immunocomplesso-C1, oppure, può legare la membrana del patogeno, gra-zie alla presenza di un legame tioestere tra due catene (α-β).

Quando la proteina viene scissa, il legame tioestere diventa altamente instabile e reattivo, e può andare a reagire con gruppi ossidrili o amminici. Nel caso reagisca con i gruppi ossidrilici presenti a livello delle molecole d’acqua in fase fluida, la proteina viene inattivata, mentre se reagisce con i gruppi ossidrilici o amminici presenti a livello di carboidrati o proteine della superficie del patogeno, la proteina sarà in grado di legare il patogeno stesso, e quindi diventare a sua volta sito di legame per un altro componente del sistema del complemento.

Questa proprietà di legare il patogeno, tipica sia della C4, che della C3, rientra nella funzione di opsonine3, ovvero rivestire la superficie di un dato patogeno e fungere da sito di riconoscimento per specifici recettori.

Ciò permette di esplicare una delle funzioni del sistema del complemento, ovvero quella di mar-care il patogeno e permettere il loro riconoscimento da parte dei macrofagi.

Siccome i gruppi ossidrili e amminici sono presenti anche a livello di carboidrati e proteine della cellula ospite, esistono una serie di proteine che impediscono tale legame.

A seguire interviene C2, che lega C4b. C2 viene scissa proteoliticamente da parte di C1s, e si formano due frammenti: C4b2a e C4b2b.4

C4b2a viene chiamato C3 convertasi, poiché in grado di scindere proteoliticamente C3, for-mando C3a e C3b. La componente più piccola è solubile, mentre quella più grande può rimanere adesa al sito dove è avvenuta la attivazione del sistema del complemento. Essa inoltre è in grado di legare il patogeno, senza bisogno di altre componenti del sistema del complemento (quindi è possi-bile trovarlo come frammento singolo legato alla superficie del patogeno).

La C3 conversati rappresenta uno step molto importante, poiché essa è in grado di scindere molteplici molecole C3, che vanno sia a far proseguire l’attivazione del sistema del complemento, che a legarsi alla superficie del patogeno, svolgendo la funzione di opsonine.

La componente è C4b2a. Una volta clivata la proteina C3 si forma un altro complesso, un’altra convertasi C4b2a3b e questa è chiamata C5 convertasi perché è in grado di scindere la proteina successiva, nell’attivazione del sistema del complemento, poi comune anche a altre vie, che è la pro-teina C5. La C3 si legava alla C3 convertasi che la scindeva in C3a e C3b; la parte C3b legandosi a C4b2a formava la C5 convertasi. Il substrato della C5 convertasi è la proteina C5. La C5 convertasi come complesso molecolare è costituita dai componenti C4b, 2a, 3b. Il C3b legato alla superficie del patogeno, che non fa parte della C5 convertasi, non è in grado di portare avanti il proseguo dell’at-

3 Le opsonine [der. del gr. ὄψον, «cibo»] sono sostanze presenti nel siero di sangue degli individui sani, che attivano e ren-dono possibile la fagocitosi dei batterî da parte dei leucociti; le opsonine più importanti sono rappresentate da immuno-globuline e anticorpi specifici, dal complemento e dal sistema properdinico. 4 Eccezione: in questo la componente più grande è a e quella più piccola è b.

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tivazione della via classica del complemento perché manca la parte C4b2a che ha capacità converta-sica, gli manca la capacità di convertire il substrato a valle. Il C3b legato alla membrana è importante come opsonina, non porta avanti poi l’attivazione del sistema del complemento perché ha bisogno dell’attività convertasica. Quindi la C5 convertasi lega la proteina C5 e a sua volta la scinde in due componenti C5a e C5b. Questa è l’ultima proteina che viene scissa proteoliticamente nell’attivazione del sistema del complemento, quelle che interverranno successivamente fanno parte della via termi-nale comune del complemento, identica per tutte e tre le vie, che non viene generata per attività proteolitica ma ci sono altri meccanismi che fanno proseguire l’attivazione. A questo punto il C5 è tagliato in queste due componenti. Il C5a ha un ruolo importante perché è sempre diffusibile, svolge una funzione biologica del complemento che è la risposta infiammatoria che vedremo successiva-mente.

Via lectinica La via lectinica è anticorpo-indipendente. La trattiamo prima della via alternativa perché solo

nella fase iniziale di riconoscimento del patogeno si differenzia dalla via classica, dopo anche questa utilizza delle proteine che abbiamo descritto per la via classica del sistema del complemento. La via lectinica viene attivata da due tipi di strutture: la lectina legante il mannosio e le ficoline. Queste sono famosi recettori di riconoscimento dei profili molecolari che abbiamo accennato prima. In par-ticolare la lectina legante il mannosio (MBL) è costituita da dei dominî globulari, definiti dominî per il riconoscimento dei carboidrati, i quali sono chiamati nella lectina legante il mannosio lectine di tipo c, all’interno presentano queste strutture che sono in grado di riconoscere i carboidrati. Esse riconoscono residui di glucosio, mannosio e N-acetil-galattosammina. Questi residui non sono presenti esclusivamente nella superficie del patogeno ma sono presenti anche nella membrana dell’ospite, ma la loro distribuzione/organizzazione non è uguale. Quindi la lectina legante il man-nosio va a riconoscere residui di mannosio, solo quelli che hanno una particolare distribuzione sulla superficie, sulla membrana cellulare. Questo permette loro di discriminare tra la superficie del pato-geno e la superficie della cellula ospite. Un’altra caratteristica che fa discriminare tra la superficie del patogeno e quella della cellula ospite è il fatto che prevalentemente a livello delle membrane delle cellule dell’ospite, dei mammiferi, questi residui di mannosio sono ricoperti da acido sialico. In que-sto caso non li può riconoscere perché il mannosio presenta un residuo di acido sialico che non per-mette di essere legato dal dominio di riconoscimento dei carboidrati. Nell’eventualità che non fossero ricoperti da acido sialico la lectina legante il mannosio non va a legare il mannosio delle cellule dell’ospite perché è distribuito in maniera differente rispetto alla distribuzione presente sulla super-ficie del batterio. Oltre alla lectina legante il mannosio può essere attivata dalle ficoline, che hanno una struttura simile a quella della lectina legante il mannosio. Esse presentano una testa globulare, che è in grado di legare i carboidrati, e una regione a stelo flessibile, simile al collagene. Questa por-zione, lo stelo, è uguale nella lectina legante il mannosio e nella ficolina, però nell’MBL (lectina le-gante il mannosio) questo dominio globulare è una lectina di tipo c mentre nel caso delle ficoline il dominio globulare ha la struttura dei dominî che sono simili al fibrinogeno. Queste ficoline assu-mono una struttura, le tre teste globulari si associano tra loro a formare più subunità in grado di 28 www.hackmed.org

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riconoscere i carboidrati. Esistono tre tipi di ficoline: ficolina-L, ficolina-H e ficolina-M. La L e l’H soprattutto vengono prodotte a livello del fegato. Queste hanno una specificità, tutte vanno a ricono-scere residui carboidratici ma hanno specificità per diversi carboidrati presenti sulla superficie del patogeno. La ficolina-L soprattutto riconosce la N-aceti-glucosammina e N-acetil-galattosam-mina, quindi zuccheri che contengono residui acetilati. La ficolina-H va a riconoscere soprattutto residui di galattosio e di glucosio. In entrambi i casi, sia la lectina legante il mannosio che le ficoline, vanno a costituire un complesso con delle proteine che vengono definite serin proteasi associate all’MBL, anche nel caso in cui la struttura di riconoscimento è la ficolina e non l’MBL. Queste serin proteasi che si associano alle lectine leganti il mannosio o alle ficoline sono definite MASP e ne co-nosciamo di tre tipi MASP-1, MASP-2, MASP-3. Per MASP-1 non si conosce bene la funzione, la MASP-2 ha attività serin proteasica. Questa struttura disegnata nella diapositiva sia della lectina le-gante il mannosio che delle ficoline con le proteine MASP assomiglia alla proteina C1 che è compo-sta da una molecola di C1q, due molecole di C1r e due molecole di C1s; hanno una struttura simile ma ovviamente la specificità è diversa. Il dominio globulare del C1 va a riconoscere i dominî CH2 e CH3 sull’immunoglobulina legata al microrganismo estraneo, mentre i dominî delle lectine e delle ficoline vanno a riconoscere residui carboidratici sulla superficie del patogeno. In entrambi i casi le MASP vanno a legare la proteina C4, prima proteina del complemento della via classica, quindi an-che loro hanno attività serin proteasica e sono sito di legame per la proteina C4. Anche in questo caso il legame del dominio lectinico o del domino globulare della ficolina che ha contratto fa sì che questo subisca un cambiamento conformazionale che attiva le proteine MASP. Anche in questo caso il MASP va a scindere proteoliticamente la proteina C4, che, una volta scissa diventa sito di legame per la proteina C2, che a sua volta viene scissa. Quindi avremo la formazione della C3 convertasi della via classica che è C4b2a simile a quella della via classica che quindi scinde la proteina C3 in C3a e C3b e anche qui si forma la C5 convertasi, che poi andrà a scindere il C5. La via lectinica si differenzia solo nel punto iniziale di riconoscimento del microrganismo, che avviene attraverso dei recettori che riconoscono i profili molecolari associati ai patogeni.

Via alternativa

Essa utilizza un meccanismo singolare. La via alternativa è costituita dalla proteina C3, che ab-biamo già visto prendere parte anche all’attivazione della via classica, componente abbastanza avan-zato sia della via classica che della via lectinica. Normalmente si trova come enzima inattivo e per scissione proteolitica si forma il frammento attivo. Oltre a questa proteina la via alternativa è costi-tuita dal fattore B, che in questo caso è un monomero, dal fattore D, che è un monomero, e dal fattore P, che è la properdina. Queste sono le proteine, componenti specifiche di questa via. Poi altre componenti sono la proteina C3, comune anche alla via lectinica e alla via classica, e le proteine della via finale comune, che quindi ritroveremo in entrambe le vie. La via alternativa viene attivata perché la proteina C3 si cliva spontaneamente quando è libera, solubile. Quando è in soluzione questa va incontro a quello che viene definito tickover, quindi una bassa scissione proteolitica della proteina. Questa scissione proteolitica a basso regime della proteina C3 fa sempre generare due componenti:

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C3a e C3b. Come abbiamo visto per la proteina C4 nella via classica, la proteina C3 ha un legame tioestere, che quando viene scisso viene scoperto e diventa instabile, non è più protetto. (Dopo il clivaggio di C3 in C3a e C3b, il dominio tioesterico, la parte reattiva che quindi viene scoperta, è su C3b. Lei parla di reazioni che sono della proteina C3 in generale mentre sul libro specifica che queste riguardano il frammento C3b che ha il gruppo tioesterico). Quindi anche in questo caso può andare a reagire con i gruppi ossidrilici dell’acqua oppure ossidrilici e amminici delle superfici delle mem-brane dei patogeni e delle cellule ospiti. Se questa idrolisi che è spontanea, che in questo caso avviene in fase fluida, incontra delle molecole di acqua questo componente si inattiva, c’è solo consumo di questa proteina del sistema del complemento. Se invece questo componente C3, che si è generato casualmente anche se non venga riconosciuto un patogeno o una superficie estranea, si trova nelle vicinanze di una superficie, una membrana, questo va a legarsi sulla membrana, il legame tioestere reagisce con i gruppi amminici e/o ossidrilici delle proteine e dei carboidrati della membrana e si lega sulla membrana. Se quindi la proteina C3 si è idrolizzata spontaneamente vicino alla membrana avremo l’attivazione della via alternativa, mentre se invece questo componente si è attivato in solu-zione e non trova nelle vicinanze di dove si è scisso proteoliticamente gruppi amminici e ossidrilici, reagirà con i gruppi ossidrilici dell’acqua e si inattiverà. Per questa idrolisi spontanea del sistema del complemento le proteine del sistema del complemento vengono sintetizzate costitutivamente dal fe-gato perché spontaneamente questi componenti, non solo il C3 ma anche altri componenti, possono attivarsi proteoliticamente, però per breve tempo. Poi se non trovano una membrana in soluzione vengono inattivati, quindi non determinano la formazione del sistema del complemento. Un altro tipo di attivazione del sistema del complemento è definita inducibile stimolata in seguito a un’infe-zione. In quel caso si attivano molte proteine del sistema del complemento, c’è la tipica azione a cascata, quindi c’è bisogno di una maggior sintesi di proteine del complemento, è sempre mediata dal fegato. La sintesi inducibile è stimolata anche da proteine definite citochine che vengono prodotte dai macrofagi durante le risposte immunitarie innate, servono per potenziare le risposte, oppure sono prodotte da linfociti sia B che T in seguito a contatto con un corpo estraneo. La proteina C3 se si trova vicino alla superficie di un microbo si lega e a questo punto la componente C3b, una volta legata alla superficie del microbo, diventa capace di legare un’altra proteina definita fattore B. Questo fattore B si trova nella forma inattiva però quando è legato alla proteina C3b, complessata sulla su-perficie del microbo diventa substrato di un’altra proteina che è il fattore D, che invece ha attività enzimatica, può scindere proteoliticamente il fattore B. Quindi questa scinde il fattore B in due fram-menti, uno più piccolo Ba, che va in soluzione, e uno più grande Bb, che resta complessato con la proteina, resta legato al frammento C3b. Questo componente C3bBb ha attività convertasica sulla proteina C3, è in grado di scindere C3. Quindi il complesso multimolecolare C3bBb rappresenta la C3 convertasi della via alternativa, diversa dalla C3 convertasi della via classica, che invece era for-mata da C4b2a. Questo complesso C3bBb, dato che normalmente il C3b si forma anche per idrolisi spontanea, ha bisogno anche di un altro componente che costituisce le proteine della via alternativa che è la properdina. Essa serve a stabilizzare questo complesso perché altrimenti esistono diverse proteine che fanno parte della famiglia delle proteine regolatorie che vanno a cercare di scindere questo complesso che si forma sulle membrane, quindi la properdina serve a stabilizzarlo. Una volta che questo complesso è stabilizzato dalla properdina esso andrà a scindere molteplici molecole di C3

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formando sempre C3a e C3b, dove C3b rimarrà legato al complesso C3bBb e andrà a costituire un’al-tra convertasi della via alternativa che è la C5 convertasi. Quindi C3 che si lega al complesso C3bBb va a costituire questa convertasi costituita da C3b Bb C3b che viene definita C5 convertasi perché ha capacità di convertire la proteina C5 in C5a e C5b. Poi altro C3b che viene generato similmente a quanto avviene per la via classica potrà andare a legarsi sulla superficie del patogeno e quindi fungerà anche in questo caso da opsonina. Oppure può amplificare l’attivazione della via alternativa perché può diventare substrato per il fattore D e quindi se è presente il fattore D può andare a formare C3 convertasi e quindi C5 convertasi, quindi può amplificare anche l’attivazione della via alternativa. Se c’è attivazione della via classica può amplificare anche la via classica perché poi C3b può legarsi a C3 convertasi della via classica. Questi due sistemi che si attivano separatamente poi grazie al clivaggio proteolitico del C3b possono auto-amplificarsi nella via alternativa ma può fornire anche C3b come proteina per amplificare la via classica. Quindi aumenta la forza di amplificazione di entrambi. Quindi anche qui troviamo la proteina C5 che viene scissa in C5b e C5a.

A questo punto tutte e tre le vie utilizzano la via finale comune. Non è detta che tutte e tre le vie siano attivate contemporaneamente, può attivarsi anche solo una di esse, ad esempio solo la via clas-sica o solo la via alternativa se il microrganismo non viene riconosciuto dagli anticorpi. Tutte però hanno la stessa sequenza terminale. Le componenti della via terminale, via finale comune, sono: la proteina C5 che abbiamo già visto, C6, C7, C8, C9. La C6 è un monomero, la C7 è un monomero, la C8 è un trimero, costituito da tre subunità; complessivamente ha un peso molecolare di circa 155 kDa. È costituito da due subunità di 64 kDa e una di 22. La C9 di per sé è un monomero ma come vedremo molteplici subunità di questo C9 possono associarsi insieme e vanno a costituire quello che viene definito complesso di attacco alla membrana o MAC, che porta a uno degli effetti del sistema del complemento, quando il complemento si attiva e termina con la via finale comune. Abbiamo visto che a livello del C3b possiamo avere una fase intermedia che comunque ha delle funzioni bio-logiche. Se l’attivazione viene portata a termine fino alla fine avremo la formazione del complesso di attacco alla membrana, anche questo avrà una funzione nell’eradicare il patogeno. Quindi il C5 va a legarsi alla C5 convertasi, che può essere quella della via alternativa ma anche quella della via classica; il C5 viene scisso e il C5b resta associato alla C5 convertasi, ma diventa a sua volta sito di legame per la proteina C6, che, quando è legata alla C5 convertasi associata al C5b, diventa sito di legame per la componente successiva del sistema della via terminale comune del sistema del complemento, che è la proteina C7. Quest’ultima quando va a legarsi al componente C6 C5b e C5 convertasi subisce un cambiamento conformazionale che gli fa esporre un dominio idrofobico. Questo è importante per inserirsi nel doppio strato lipidico. Quando il C7 non è legato a C6 e al complesso C5b e C5 convertasi questo non può legarsi nel doppio strato lipidico perché il sito idrofobico è coperto, ma una volta che interagisce con questo complesso viene scoperto il dominio idrofobico e permette l’inserimento nel doppio strato lipidico. A sua volta questo cambiamento conformazionale fa sì che possa legare il C8. Esso è costituito da tre subunità, una di legame, una idrofobica. La prima sarà soprattutto coinvolta nell’interazione con il componente C7 mentre la catena idrofobica sarà importante per far sì che anche questo componente venga inserito nel doppio strato lipidico. Ancora però l’associazione di questo complesso sulla membrana del patogeno non ha funzioni biologiche, ne assume soltanto

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quando questo complesso recluta il monomero C9. Anche questo è costituito da una regione idrofo-bica e una idrofilica. La prima è importante per l’inserimento nel doppio strato lipidico; è importante che questo C9 polimerizzi. Quindi più molecole di C9 vanno a inserirsi nel doppio strato lipidico, reclutate dal complesso C5b, 6, 7, 8 e vanno a costituire quello che viene definito complesso di at-tacco alla membrana, una sorta di canale dove le regioni idrofobiche sono rivolte verso il doppio strato lipidico mentre le regioni idrofiliche si rivolgono una verso l’altra. Formano proprio un canale che permette l’entrata di acqua e ioni ma non permette l’uscita di proteine, carboidrati ecc. Si crea quindi una pressione osmotica che determina la lisi osmotica della cellaula. Quando quindi questo complesso di attacco alla membrana si forma sulla superficie di patogeni poi determina quella che è una delle funzioni del complemento, non la più importante perché le cellule poi hanno attuato diversi sistemi di difesa, cioè la lisi osmotica del patogeno, quindi la sua uccisione. Questa lisi osmotica del patogeno avviene poco sulle cellule di mammifero perché, oltre proteine regolatorie del comple-mento che impediscono la formazione di questo, hanno anche meccanismi di difesa, sono meno su-scettibili rispetto al patogeno alla lisi osmotica. Entrando gli ioni questo poro che si forma sulla mem-brana dell’ospite può andare a provocare morte per apoptosi. Soprattutto induce entrata di ioni calcio che poi alterano la permeabilità mitocondriale. L’apoptosi è caratterizzata da cambiamenti morfolo-gici e biochimici. Ad esempio si ha flip-flop quindi espone la fosfatidilserina, sono caratterizzate da una condensazione del nucleo e del citoplasma. Quindi una cellula apoptotica sarà più piccola della corrispondente cellula normale. Ad esempio prendendo un macrofago esso sarà molto più piccolo di un macrofago normale e avrà un nucleo con la cromatina molto più condensata, anche per quanto riguarda il citosol che sarà molto più compatto. Il nucleo si frammenta, non c’è più il nucleo della cellula ma ci sono dei corpi apoptotici. Anche la membrana subisce dei cambiamenti, c’è un’invagi-nazione, la formazione di bolle, rigonfiamenti della membrana. La cellula apoptotica quindi presenta delle precise caratteristiche morfologiche che la differenzia. Per quanto riguarda i cambiamenti bio-chimici si ha frammentazione di DNA, formazione di corpi apoptotici e attivazione di caspasi. Una cellula necrotica invece si riconosce rispetto a una cellula che va incontro a lisi osmotica. Nel caso di patogenti o globuli rossi questi vanno incontro a lisi osmotica. Nel caso di cellule apoptotiche si atti-verà un processo di apoptosi mediato dall’afflusso di ioni calcio, che alterano la permeabilità mito-condriale e rilascia proteine tipiche che possono indurre apoptosi, ad esempio citocromo c.

La via classica del sistema del complemento La via classica del sistema del complemento generalmente è attivata grazie a C1, il quale si va a

legare all’immunocomplesso (anticorpo coniugato, ovvero un anticorpo che ha riconosciuto il mi-crorganismo estraneo). La via classica può essere attivata anche in maniera indipendente dagli anti-corpi, ma sempre utilizzando la proteina C1. È stato osservato che la proteina C1 può legarsi a delle strutture di microrganismi, in particolare la proteina C reattiva, che viene prodotta dal fegato in seguito ad infezioni batteriche, può andare a riconoscere il polisaccaride C, detto pure fosfocolina, sulla superficie dei batteri. Quando la proteina C reattiva si lega alla fosfocolina sulla superficie dei batterî, questa proteina C reattiva può essere riconosciuta dalla componente C1 del complemento.

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Nel sistema del complemento normalmente sono le teste globulari che legano l’immunoglobu-lina, in questo caso invece è la porzione dello stelo della proteina C1 che va a legarsi alla proteina C reattiva, che a sua volta si è legata su un microrganismo, in particolare sul polisaccardide C o anche definita fosfocolina del batterio. Abbiamo un meccanismo a cascata simile a quello della via classica, che però differisce nella parte iniziale, cioè nella fase del riconoscimento. Oltre alla proteina C reat-tiva, entrano in gioco anche altre due proteine prodotte dal fegato in seguito ad infezione microbica, e queste mi innescano una risposta immunitaria innata:

1. proteina sierica amiloide; 2. pentrassine (in particolar modo la pentrassina 3).

Questo dimostra che la via classica non è attivata solo ed esclusivamente dall’immunocom-plesso, ma può essere attivata anche indipendentemente dagli anticorpi.

Si è visto che anche alcuni virus possono attivare direttamente la via classica del complemento. Questo è l’ultimo meccanismo di attivazione della via classica.

Regolazione dell’attivazione Tramite una cascata proteolitica si generano dei frammenti e l’attivazione del sistema del com-

plemento che deve essere estremamente regolata. Infatti se questi componenti vanno a legarsi sulle superfici delle cellule ospiti, poi possono insorgere danni. Si verrebbe infatti a formare un foro sulla membrana della cellula. Pertanto se non entrassero in gioco meccanismi di protezione, potremmo avere la lisi, o apoptosi.

Altri componenti possono rivestire la superficie, e anche in questo caso, faranno fagocitare que-ste cellule dalle cellule fagocitiche. Altre componenti generano una risposta infiammatoria.

Per cui se il complemento non viene attivato sarebbe estremamente dannoso, perché si andrebbe incontro ad una delle situazioni descritte sopra.

Da una parte è importante quindi che il complemento si attivi, perche è un meccanismo impor-tante per l’eliminazione del patogeno, dall’altra parte però bisogna impedire, che questi frammenti attivi del complemento, vadano a legarsi alla superficie delle cellule del batterio e non a quelle del soggetto. Anche fisiologicamente, cioè senza la presenza di un’infezione, il complemento può avere un basso livello di attivazione.

C3 spontaneamente va in contro ad idrolisi, e questa proteina se rimane legata alla superficie di cellule di mammifero, genererebbe un danno sulle cellule spettatrici che non sono infettate, pertanto deve essere regolato il sistema del complemento.

La regolazione serve ad impedire che, anche quando il sistema del complemento si attiva in ma-niera completa sulla superficie del microbo, questi componenti attivi vadano a coniugarsi con le cel-lule dell’ospite, e quindi provochino dei danni.

I 4 punti di controllo Abbiamo 4 importanti punti di controllo del sistema del complemento:

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Punto 1 Riguarda esclusivamente l’attivazione della via classica. Questa regolazione è mediata da pro-

teine definite appunto, a causa del ruolo che svolgono, proteine regolatrici. A livello dell’attivazione della componente C1, interviene la proteina regolatrice chiamata C1 inibitore. Questa proteina re-golatrice, ha un’attività serin-proteasica, similmente al complesso C1r-C1s, e in particolare funge da substrato per il complesso C1r-C1s. Quindi se inavvertitamente il componente C1, va a legarsi ad un’immunoglobulina in fase fluida, ovvero non legata alla superficie di un microbo, a questo punto la proteina C1 inibitore, diventa il maggior bersaglio del complesso C1r-C1s. (Normalmente al com-plesso C1r-C1s ci si dovrebbe attaccare la componente C4).

Una volta che il C1r-C1s ha legato il C1 inibitore, a questo punto c’è una scissione, ed il com-plesso che si genera stacca il C1r e il C1s dalla loro localizzazione, che normalmente sarebbe tra le braccia del componente C1q, e quindi in questa maniera restano adesi questi complessi e C1r e C1s restano inattivi.

Se abbiamo un deficit della proteina C1 inibitore, gli individui sono soggetti ad una patologia che è l’edema angioneurotico.

Punto 2

A livello della formazione della C3 convertasi abbiamo il secondo punto di regolazione. In que-sto punto possiamo avere 2 meccanismi di regolazione, validi sia per la via classica, che per la via alternativa. Questi sono legati a delle proteine che possono essere sia solubili, sia legate alla mem-brana.

1. proteine solubili: sono la proteina legante il C4, e il fattore H; Tutte queste proteine hanno la funzione di andare a spiazzare il legame del fram-mento di clivaggio della proteina C2 o della proteina B che determinano rispettiva-mente l’attivazione della via classica o della via alternativa, dal competente C4b o C3b, quindi è favorito il legame con queste proteine che si vanno ad associare con C4b, e quindi impediscono che si formi la C3 convertasi.

2. proteine legate alla membrana: fattore accelerante di degrado, proteina CR1 (che sta per recettore del complemento di tipo 1, quindi funge sia da recettore sia da proteina regolatoria) e in fine la proteina cofattoriale di membrana.

La stessa cosa la troviamo per la via alternativa: se la componente C3b va a legarsi sulla superficie delle cellula dell’ospite, l’espressione di queste proteine al livello della cellula dell’ospite cioè del fattore accelerante di degrado, e del recettore di tipo 1 della proteina cofattoriale di membrana si legano preferenzialmente al C3b e ristaccano il fattore Bb per cui non si può formare la C3 convertasi, e quindi non prosegue la via.

Riassumendo: queste proteine a livello dalla C3 convertasi possono: o favorire il distacco del frammento C2, del frammento Bb, oppure impedire proprio, andando a distaccare la C3.

Se si ha legato solo il C3b, o solo il C4b, queste proteine, cofattoriale di membrana, e CR1, fun-gono da cofattori per il clivaggio del fattore I, proteina solubile.

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Quindi quando il fattore C3b va a legarsi sulla superficie di cellule ospiti, questo prevalentemente è favorito il legame con la proteina cofattoriale di membrana con recettore CR1, e questa interazione fa sì che questa proteina solubile del complemento, il fattore lo vada a degradare, cioè vada a scindere proteoliticamente C3b rendendolo inattivo in maniera tale che non vada a formare la C3 convertasi. Stessa cosa la ritroviamo per il fattore C4b, se questo si va a legare sulla superficie dell’ospite, la pro-teina cofattoriale di membrana e il recettore CR1, interagiscono col frammento C4b e a questo punto il fattore I è in grado di clivarlo.

Il clivaggio genera dei frammenti, tipo il C3bI, ma questo frammenti non sono in grado di atti-vare il sistema del complemento, ma potrebbero sempre avere un ruolo come opsonine.

Punto 3

Si trova a livello della formazione del MAC, e vale per tutte le vie. Questa regolazione può avve-nire sempre attraverso o proteine solubili o proteine di membrana. Una particolare proteina di mem-brana è la proteina CD59, che appunto viene selettivamente espressa sulle cellule dell’ospite ma non su quelle dei batteri. La CD59 va a legarsi al complesso C5b, C6, C7, C8 che si è associato alla mem-brana, e impedisce che la componente C9 possa andarsi a legare e formare quindi il foro sulla super-ficie microbica. In questo caso quindi, una parte del complesso si è inserita nel doppio strato lipidico, però non può avvenire la polimerizzazione della componente C9, quindi non si formerà il foro, e la cellula non andrà in contro a lisi.

Punto 4

L’altro meccanismo di regolazione è attraverso la proteina solubile, proteina S. Questa è in grado di legare il componente C7, impedendo che questo vada ad inserirsi nel doppio strato lipidico e quindi poi permetta l’assemblaggio della proteina C8, e la polimerizzazione in C9. Quindi anche in questo caso, grazie ad un meccanismo diverso, abbiamo lo stesso risultato: non si forma il foro.

L’ultimo punto di regolazione è dato da delle carbossipeptidasi, ne abbiamo 3 tipi.

(N.B. Queste non hanno la funzione di impedire l’attivazione del sistema del complemento o del complesso di attacco alla membrana, quindi non agiscono a livello delle convertasi o a livello della formazione del MAC, ma sono importanti perché con la loro attività carbossipeptidasica vanno a rimuovere l’arginina che si trova nella porzione carbossiterminale dei frammenti piccoli solubili C3a, C4a e C5a. Questi frammenti piccoli solubili sono pure detti anafilotossine, la loro attività viene ridotta grazie a queste peptidasi che vanno a rimuovere un’arginina carbossiterminale, generando dei prodotti che sono meno dannosi per l’ospite, quindi avremo una riduzione della risposta infiam-matoria perché questi prodotti sono meno attivi, e quindi meno potenti).

Funzioni biologiche del complemento

1) formazione del complesso di attacco alla membrana e lisi del microrganismo sul quale si è innescata l’attivazione del sistema del complemento;

2) facilitazione dell’eliminazione del patogeno.

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I componenti C3b e C4b possono andarsi a legare alla membrana del batterio tramite legami tioestere, e questo rivestimento da parte di C3b e C4b li rende più facilmente fagocitabili da fagociti.

3) risposta infiammatoria

Molte cellule tra cui macrofagi e polimorfonucleati, ma anche mastociti, presentano recettori per questi frammenti piccoli del complemento, e una volta legati, possono rilasciare delle molecole che favoriscono il reclutamento di altre cellule fagocitiche, ma inducono pure un aumento della per-meabilità dei vasi quindi arrossamento, calore e formazione di un ponfo. Quindi sono responsabili della risposta infiammatoria.

4) eliminazione degli immunocomplessi

Importante perché se non vengono eliminati possono andarsi a depositare e sono una delle ra-gioni per cui in alcuni casi il sistema del complemento ha degli effetti dannosi per l’ospite

5) possono essere coinvolti nelle risposte immunitarie, in particolare cooperano nell’attivazione dei linfociti B.

Un recettore del complemento, il recettore di tipo 2, viene espresso sulla superficie dei linfociti B e questo recettore di tipo 2 può andare a riconoscere i frammenti del complemento e quindi aiutare la contemporanea attivazione del linfocita B, mediata dal riconoscimento dell’antigene da parte dell’immunoglobulina. Possiamo pertanto definirlo un co-recettore.

Quindi facendo un breve riassunto possiamo dire che le funzioni del complemento sono me-diate dal fatto che alcune cellule esprimono dei recettori per il complemento, questi recettori per il complemento vanno a legare dei frammenti del complemento, in particolare i frammenti più impor-tanti che legano sono C3b e C4b, oppure recettori C3a, C4a, C5a nella risposta infiammatoria.

In questo caso i linfociti B presentano un recettore del complemento che è il recettore di tipo 2, associato ad altre proteine ed insieme vanno a costituire il co-recettore delle cellule B, che sono TAPA-1 e CD19. Questo recettore del complemento di tipo 2 può andare a legare un frammento del’antigene microbico che è stato riconosciuto dall’immunoglobulina espressa sulla membrana del linfocita B.

Se l’antigene è in grado di attivare il sistema del complemento, si forma questo immunocom-plesso, che attiva il sistema del complemento e si genereranno dei prodotti di clivaggio per attivazione della via classica del complemento. Questi prodotti di clivaggio in particolare il prodotto C3b può andarsi a legare al recettore CR2 del complemento espresso sulla superficie del linfocita B, e questo ulteriore riconoscimento ligando-recettore, trasdurrà all’interno del linfocita B un ulteriore segnale che coadiuva il segnale del BCR nell’attivazione del linfocita B. Quindi, quando un antigene viene contemporaneamente riconosciuto dall’immunoglobulina, e questo antigene o determina diretta-mente, o è rivestito da frammenti delle proteine del complemento, questo può essere riconosciuto dal recettore CR2 e quindi abbiamo un doppio segnale:

Segnale 1: mediato dal riconoscimento dell’antigene tramite anticorpo;

Segnale 2: mediato dal fatto che questo antigene a sua volta ha determinato l’attivazione del sistema del complemento e quindi le opsonine lo hanno rivestito, e queste verranno poi riconosciute dai loro specifici recettori.

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I componenti che mediano le funzioni biologiche del complemento:

– C3b e C4b che fungono da opsonine rivestendo la membrana, e anche i loro prodotti di clivaggio C3b, C3bg, C3d e C3f, che sono appunto generati dal clivaggio proteolitico del fattore I.

– Abbiamo anche i frammenti piccoli come C3a, C4a, C5a.

Le funzioni sono mediate o dal MAC, oppure esclusivamente da questi componenti C3b, C4b e i loro prodotti di degradazione C3a, C4a e C5a.

I recettori coinvolti sono:

• CR1 recettore del complemento e proteina regolatrice.

È formato da una singola catena, e ha una specificità per il C3b con maggiore affinità, per C4b con una minor affinità, con il C3d affinità ancora minore. Si trova nei fagociti mononucleati, sui neutrofili, sui linfociti B, sui linfociti T, sugli eritrociti, eosinofili e cellule follicolari dendritiche. A seconda di quale cellula che presenta questo recettore andrà a riconoscere i frammenti, avremo delle funzioni peculiari, scatenate dal riconoscimento di questi frammenti. Se il recettore CR1 è legato ad un fagocita avremo un determinato tipo di effetto, se legato ad un eritrocita ancora un altro tipo e così via.

• CR2 (recettore di tipo 2)

Espresso sui linfociti B e sulle cellule follicolari dendritiche. Quindi in entrambi i casi è impor-tante per l’attivazione del linfocita B, sia direttamente, che tramite le cellule follicolari dendritiche.

• CR3 e CR4 (recettori di tipo 3 e di tipo 4)

Sono costituiti da due catene polipeptidiche. Una catena è un’integrina a sua volta fatta da due catene una di 150 kDa che si differenzia tra i vari recettori, e una catena di tipo β che invece è omologa sia nei recettori CR2 che CR3. Ecco perché CR2 e CR3 sono recettori del complemento che hanno pure la funzione di integrine.

Integrina: molecola di adesione, utilizzata dalle cellule endoteliali per far sì che leghino leucociti, dai leucociti vengono utilizzate per legarsi alle cellule dell’endotelio quindi stravasare a livello dei tessuti o localizzarsi in un determinato punto del tessuto.

I recettori del complemento di tipo 3 e 4 vengono esclusivamente espressi sui fagociti mononu-cleati e sui neutrofili.

• Recettore per la componente C5a, recettore per la componente C3a

Questi tipi di recettore li troviamo soprattutto espressi sulle cellule dell’endotelio, e questo sarà importante similmente all’integrina, per favorire la migrazione delle cellule e la risposta infiamma-toria sui mastociti e sui fagociti o sia macrofagi e polimorfonucleati.

Le funzioni:

1) opsonizzazione

I batterî dotati di capsula generalmente sono molto resistenti alla fagocitosi perché la capsula polisaccaridica impedisce che il batterio venga legato dai macrofagi o dai polimorfonucleati, quindi

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il complemento tramite le proteine C3b e C4b ha la funzione di rivestire il microrganismo e far sì che la fagocitosi venga potenziata.

Il microrganismo induce attivazione del sistema del complemento, o per via classica, o per via alternativa, poi si generano i frammenti C3b e C4b che vengono riconosciuti dai recettori del com-plemento in particolare dal recettore CR1 o CR3. Questo fa sì che il microrganismo sia fagocitato maggiormente. L’unico gap in questa funzione di opsonizzazione è che l’opsonizzazione mediata da proteina C3b e il suo recettore CR1, o CR3, CR4, stimola i macrofagi a fagocitare, ma per la completa attivazione del macrofago, quindi per la produzione di radicali dell’ossigeno, dell’azoto e altri media-tori importanti per degradare il patogeno una volta internalizzato, è necessario che siano presenti pure altri recettori. Per cui possiamo avere o la contemporanea opsonizzazione da parte del comple-mento e dell’immunoglobulina, che porta una completa attivazione del fagocita, oppure è necessario che ci siano pure frammenti piccoli del tipo C5a, che legandosi al recettore espresso nei fagociti, potenziano attività fagocitaria.

2) risposta infiammatoria

Questi frammenti C3a, C4a e C5a, possono andarsi a legare a recettori a livello delle cellule dell’endotelio dei vasi e aumentano la permeabilità del vaso, stimolano aumento del flusso sanguigno e quindi abbiamo una tipica riposta infiammatoria con arrossamento, calore, fuoriuscita di fluidi, che a loro volta rilasciano proteine solubili come le immunoglobuline, che possono a loro volta andare a riconoscere patogeni, abbiamo in oltre stravasazione delle cellule e quindi essudato di cellule infiam-matorie di macrofagi, di polimorfonucleati che verranno rilasciati per tentare di riconoscere il pato-geno ed eliminarlo.

Quando il C5a si lega sulla superficie dei macrofagi stimola anche il burst ossidativo, quindi aumenta la formazione dei radicali dell’ossigeno e dell’azoto.

È importante pure nella neutralizzazione virale perché le opsonine C3b e C4b possono legarsi pure alla superficie del virus, fungere quindi da opsonine e permettere5 o la sua internalizzazione per poi degradarlo, ma anche il C3b che si lega sulla superficie del microbo neutralizza l’attività virale. Quando è rivestito dalle C3b, il virus può non andare ad interagire con i recettori presenti sulla su-perficie della cellula, che gli servono per essere internalizzato. Questa funzione del complemento, la utilizzano pure gli anticorpi, quando sono legati alla superficie di un patogeno, questo può non an-dare a legarsi ai recettori sulle cellule bersaglio, questo mi riduce pure il livello di infezione, fa si che ci siano meno particelle in giro che causano infezione, dà riduzione del livello di infezione virale. Tramite il complesso di attacco alla membrana si può avere lisi di alcuni virus con involucro.

È importante non solo nelle infezioni batteriche ma anche in quelle virali.

3) gli immunocomplessi si formano normalmente durante lo sviluppo di una risposta immu-nitaria tuttavia di solito non si accumulano nell’individuo perché abbiamo il sistema del comple-mento che riesce a distruggerli. Si formano in situazioni di eccesso di antigene, di anticorpo e quando l’antigene non viene eliminato, in questi casi abbiamo accumulo di immunocomplessi, negli altri casi normalmente vengono smaltiti dall’organismo.

5 Ricordare che in questo caso parliamo di virus. 38

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Come avviene lo smaltimento? Abbiamo un’attivazione del sistema del complemento classica, perché attivata dall’immunoglobulina, poi porta alla formazione dei frammenti C3b, che possono essere legati dal recettore del complemento CR1, perché CR1 lo presentano gli eritrociti, i fagociti che possono internalizzare l’immunocomplesso similmente a quanto fanno con il patogeno, per poi scinderlo al loro interno.

Un ruolo importante è svolto dagli eritrociti che legano l’immunocomplesso con il recettore di tipo 1 e lo trasportano al sistema reticolo endoteliale del fegato e della milza, quindi i globuli rossi catturano gli immunocomplessi dalla circolazione e l’importano in queste sedi, dove viene secreto il fattore I che può andare a scindere la proteina C3b nei suoi frammenti di degradazione C3d e C3f. Facendo ciò la proteina C3b non è più substrato della proteina CR1, mentre il frammento che si genera C3d ha un’estrema affinità per il recettore di tipo 3 sempre presente sui fagociti. Per cui il fagocita praticamente lega tramite il frammento di clivaggio, l’immunocomplesso, lo internalizza e lo degrada. Il globulo rosso può ritornare in circolo e riassolvere le sue innumerevoli funzioni.

Se si hanno deficit delle proteine del complemento e soprattutto quelle della via classica, si ha sviluppo di patologie correlate ad alterata eliminazione di questi immunocomplessi. Studiando questi modelli dove mancano alcune proteine del sistema del complemento, si è visto se non si attiva una via quali effetti si hanno. Per esempio se non si attiva la via classica avremo immunocomplessi che non vengono eliminati e si accumulano.

Per quanto riguarda la via alternativa, in caso di deficit, l’individuo va in contro ad infezione da batterî piogeni gram-negativi, quelli che formano il pus.

4) rimozione delle cellule apoptotiche

Queste funzioni sono state scoperte grazie allo studio degli ultimi anni. In una cellula apoptotica uno dei primi eventi è l’esposizione della fosfatidilserina, e anche la formazione dei corpi apoptotici che contengono frammenti del nucleo, quindi pure del DNA. Questi frammenti del DNA sembra che vadano a legarsi sulla membrana plasmatica dei corpi apoptotici e siano il bersaglio della proteina C1q. La conseguenza di questo è che grazie all’intermezzo del complemento si formano le opsonine e quindi vengono fagocitate dai fagociti in collaborazione con la fosfatidilserina che viene ricono-sciuta dai fagociti. Se però non vengono riconosciuti tramite questi meccanismi, i corpi apoptotici sono estremamente pericolosi perché vengono rilasciati in circolo e sono una delle conseguenze di alcune patologie autoimmuni.

5) è importante anche nella modulazione delle risposte adattative.

Favorisce l’attivazione del linfocita B che tramite il recettore CR2.

È anche importante perché l’opsonina va ad aumentare la quantità di frammenti che possono essere associate al complesso maggiore di istocompatibilità e poi vanno ad attivare il linfocita T.

Favorendo il riconoscimento dell’antigene, tramite l’interazione opsonina-recettore del comple-mento, potenzia l’attività di presentazione dell’antigene delle cellule presentanti antigene. Aumenta anche la migrazione delle cellule presentanti l’antigene tramite aumento dell’espressione di molecole di adesione, scatenate dall’interazione di C3a C5a con i rispettivi recettori. Favorendo la migrazione

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porta più cellule presentanti antigene a livello dei linfonodi, e quindi anche in questo caso potenzia attivazione del linfocita sia T che B.

6) Possono influenzare in positivo o in negativo la produzione di citochine, prodotte dalle cel-lule presentanti l’antigene e sono importanti per determinare differenziamento delle sotto popola-zioni di linfociti.

Citochine Sono una famiglia di proteine molto eterogenea, hanno un basso peso molecolare, intorno ai

17-18 kDa, e vengono secrete principalmente dalle cellule del sistema immune, ma non esclusiva-mente da questo, in seguito alla stimolazione antigenica (sia questo un microrganismo, oppure un antigene di diversa natura). Le citochine sono in grado di condizionare il comportamento di altre cellule bersaglio che sono recettore all’attività delle citochine.

All’interno di questa famiglia delle citochine, abbiamo anche altre proteine che hanno un peso molecolare ancora inferiore, il loro nome è chemochine (dall’unione di chemo-, chemiotattiche, e -chine, citochine). La funzione principale delle chemochine sarà quella di mediare la migrazione leu-cocitaria e l’adesione. Le chemochine e i loro recettori sono particolarmente importanti nel determi-nare la struttura degli organi linfoidi.

Un linfonodo è composto infatti da linfociti T, linfociti B, cellule dendritiche, macrofagi.

Come fanno i linfociti a stare nei linfonodi? A livello dei linfonodi abbiamo cellule che producono chemochine. La modulazione dei recettori per le chemochine è un evento importante per favorire la migrazione o la localizzazione dei diversi tipi di cellule del sistema immune a livello dei vari organi o tessuti. Ad esempio, se i linfociti T vogliono stare nel follicolo, esprimeranno un livello elevato di recettore per quelle chemochine prodotte da quelle cellule localizzate in un follicolo, se invece vo-gliono andare in circolo diminuiranno l’espressione di quel recettore e aumenteranno l’espressione di altri recettori che li attirano in altri siti dell’organismo. Questo meccanismo è quindi alla base della costituzione dei vari organi linfoidi.

Le citochine sono importanti per influenzare la funzione e il comportamento di alcune cellule del sistema immune, ed inoltre sono coinvolte nell’immunità innata, ma anche in quella specifica, perché hanno un ruolo sia nell’attivazione, sia nella differenziazione per le funzioni effettrici dei lin-fociti. Le citochine sono proteine secrete6, mentre i recettori per le citochine si trovano sulla mem-brana cellulare. Queste citochine sono peculiari per la loro secrezione, infatti non vengono né imma-gazzinate all’interno della cellula, né secrete di continuo, ma vengono secrete soltanto dopo la stimo-lazione antigenica. La loro secrezione è quindi un fenomeno di breve durata, ed è innescata dal rico-noscimento, dalla stimolazione della cellula che possiede l’immunità innata dell’immunità specifica, dal riconoscimento dell’antigene. Questa secrezione avviene per un periodo di tempo molto limitato, perché poi la loro attività è aspecifica.

6 Non sono proteine di membrana. 40

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La sintesi può essere regolata in 3 modi diversi:

1. vengono trascritte ex novo in seguito alla stimolazione antigenica. Si ha la trasduzione del segnale e i fattori di trascrizione vanno a legarsi al DNA e avviano la trascrizione ex novo dei geni per le citochine;

2. vengono rilasciate in seguito a meccanismi di processazione alternativa dell’RNA mes-saggero;

3. vengono rilasciate anche in seguito a meccanismi post trascrizionali, in particolare la proteolisi da un precursore inattivo. Si genera in questo modo un frammento attivo, a questo punto la proteina può essere secreta.

N.B. Non vengono mai immagazzinate all’interno delle cellule.

A questa regola fa però eccezione una molecola che appartiene sempre al gruppo delle citochine. Si tratta del fattore di necrosi tumorale (TNF). Questo fattore, lo possiamo trovare preformato, o sia immagazzinato, soltanto all’interno dei mastociti.

L’altra peculiarità delle citochine è che esercitano la loro attività legandosi a recettori sulle su-perfici delle cellule bersaglio che possono essere:

– la stessa cellula che l’ha prodotta (attività autocrina). In questo caso ne amplifica gli effetti o produce effetti che la cellula prima non aveva;

– cellule circostanti (azione paracrina); – soltanto alcune citochine, perché di solito hanno una breve emivita, sono poco stabili,

possono andare ad agire su cellule distanti (azione endocrina).

Le citochine hanno un’attività aspecifica, pertanto non possono essere prodotte costitutiva-mente, altrimenti andrebbero a condizionare il comportamento delle cellule anche quando non in-sorge la necessità di farlo. Ad esempio, in caso di una citochina che attiva i macrofagi, se questa ve-nisse prodotta senza che la cellula avesse riconosciuto il macrofago, si attiverebbero in maniera non necessaria i macrofagi, con le conseguenze che ne deriverebbero. Ecco perché la secrezione di cito-chine è estremamente regolata. Gli effetti biologi della citochina, ovvero il suo condizionamento sul comportamento di altre cellule, sono legati al fatto che la citochina va a legarsi su un suo recettore espresso sulla cellula bersaglio, questo induce una trasduzione del segnale con attivazione genica, trascrizione di geni e quindi la sintesi di molecole che saranno responsabili della funzione della pro-teina. Nel caso dei macrofagi ad esempio, la citochina potenzia la produzione di radicali dell’ossigeno (ROS). Questa citochina andrà a far trascrivere l’ossidasi fagocitica. L’effetto della citochina è andare a far trascrivere geni che prima erano silenti.

Recettori delle citochine Dobbiamo tenere presente un’altra cosa importante: anche l’espressione dei recettori è regolata

da segnali che sono esterni alla cellula.

Questi segnali possono essere:

– la stimolazione antigenica;

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– la citochina stessa che può essere prodotta.

Questo perché anche in questo caso è importante che diventino responsive solo le cellule stimo-late dall’antigene e non le cellule spettatrici circostanti.

Attività biologica delle citochine Un altro elemento importante è l’attività biologica delle citochine che può essere:

– pleiotropica: agisce su più tipi cellulari. Questo dipende dall’espressione dei recettori. Quindi tutte quelle cellule che sono in grado di esprimere il recettore per quella cito-china diventeranno responsive per quella citochina;

– ridondante: più citochine possono determinare lo stesso effetto biologico. Questo è svantaggioso per l’utilizzo delle citochine in clinica, perché ad esempio se un effetto è mediato da 3 citochine e ne vado a bloccare soltanto una delle 3, l’effetto comunque persiste perché dato dalle altre 2, è necessario allora bloccarle tutte e 3;

– sinergica: mettendo insieme due citochine l’effetto finale non è determinato dalla somma di ogni singola citochina ma è molto amplificato. Ad esempio l’interferone γ (IFN- γ), di per sé, aumenta l’espressione delle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità, anche il TNF ha lo stesso effetto. Il loro effetto non è semplicemente la somma dei due ma è molto amplificato.

– antagonista: la presenza di due citochine contemporaneamente può determinare nes-suna funzione biologica, perché una va ad inibire l’attività dell’altra.

Tutte queste funzione biologiche sono legate ai recettori della citochina. Un recettore può essere costituito da un’unica catena che ha un dominio che interagisce con il ligando, un dominio che la ancora alla membrana e un dominio intracellulare si associa a della chinasi che fanno poi trasdurre il segnale. Questo può essere in un’unica struttura, ovvero in un’unica catena polipeptidica, oppure queste 3 funzioni possono essere date dall’associazione di più catene polipeptidi, che in alcuni casi per le citochine questa funzione è determinata da più catene. In particolare i recettori per le inter-leuchine presentano una porzione coinvolta nel riconoscimento della citochina, poi presentano l’as-sociazione con una catena, definita catena γ comune, che è quella responsabile della trasduzione del segnale.

Tutti i recettori delle interleuchine 2, 15, 4 hanno una catena che può essere α o β specifica per quell’interleuchina poi hanno associata la catena γ che è quella che trasduce il segnale. Questo ci spiega come più citochine diverse abbiano lo stesso effetto biologico, perché utilizzano la stessa ca-tena. Per quanto riguarda questa catena abbiamo più sottofamiglie:

– i recettori per IL-2 hanno la catena γ comune; – una famiglia ha la catena β comune per la trasduzione del segnale; – la famiglia di IL-6 ha una catena per la trasduzione del segnale.

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Processo di ricombinazione somatica Sia i linfociti B che i linfociti T esprimono sulla loro membrana dei recettori che sono estrema-

mente variabili. Questa variabilità permette ai recettori di andare a riconoscere l’ampia varietà di antigeni estranei con i quali l’organismo viene a contatto ogni giorno. Tale capacità quindi protegge l’organismo dalle infezioni. Questa variabilità la ritroviamo nei recettori dei linfociti B7, che sono delle immunoglobuline di membrana, e questa determina la specificità per l’antigene, infatti va a riconoscere l’antigene estraneo, poi va a riconoscere anche altre molecole che invece gli servono per trasdurre il segnale. Il recettore delle cellule T, invece, è codificato da due catene, una catena β e una catena α, prevalentemente i linfociti T, quelli variabili, sono di tipo αβ e questi recettori presentano un’estrema variabilità. Tale variabilità è concentrata nel sito di legame per l’antigene che si trova nelle regioni variabili dell’immunoglobulina o delle catene β e α del TCR. Questi segmenti variabili poi sono associati a delle regioni costanti, che nel caso dell’immunoglobulina secreta hanno soprattutto funzioni effettrici, quindi sono importanti per eradicare il patogeno. Nel caso dell’immunoglobulina di membrana e del recettore β e α dei linfociti T queste regioni costanti hanno invece la funzione di ancorare il recettore alla superficie cellulare e associarsi a tre catene che poi serviranno per trasdurre il segnale, quindi non svolgono una funzione effettrice ma soprattutto vanno a trasdurre all’interno della cellula dei segnali che poi faranno differenziare le cellule per esplicare le loro caratteristiche più principi. Pertanto sulla base dell’importanza che ha la variabilità nel generare recettori ognuno è in grado di riconoscere un antigene estraneo e quindi di proteggerci dalle infezioni perché se avessimo un numero limitato di recettori essi non sarebbero in grado di riconoscere l’ampia gamma di antigeni estranei con cui noi veniamo a contatto e l’individuo potrebbe anche morire. Dunque l’importanza di questa variabilità ha fatto sì che si è innescato un meccanismo estremamente regolato che potesse generare questa variabilità, tale meccanismo che genera appunto la variabilità nella regione variabile è legato al fatto che le catene sia pesanti che leggere delle immunoglobuline, ma anche del TCR non possono essere codificate da un’unità codificante, da un gene. Se avessimo un gene che codifica per ogni catena polipeptidica del TCR (abbiamo 107 recettori B o T per ogni individuo, quindi 107 catene polipeptidiche) avremmo 107 geni che andrebbero ad occupare gran parte se non tutto il genoma dell’individuo, quindi l’individuo codificherebbe (avrebbe nel genoma) soltanto i geni che codificano per i recettori dei linfociti B e T, ciò sarebbe impossibile visto che il nostro genoma deve poi codificare per tantissime proteine e non può essere impegnato soltanto nell’espressione dei geni delle immuno-globuline. Quindi da una parte servono tanti geni per codificare questo numero enorme di recettori dell’immunoglobuline e dei linfociti T, ma dall’altra parte è necessario non impegnare tutto il ge-noma. Per queste catene non c’è un gene che codifica la catena polipeptidica completa, ma ci sono una serie di segmenti genici che vengono ricongiunti tra di loro a dare origine alla catena polipepti-dica completa e il processo che serve per ricongiungere questi segmenti genici che sono distanti tra di loro vien e detto ricombinazione somatica. L’individuo eredita questi segmenti genici e vengono ricongiunti, ricombinati tra di loro durante il processo di maturazione. Il processo di maturazione è quel processo che fa sì che dalla cellula staminale non competente verso nessuna linea si arrivi alla differenziazione di una cellula matura che sia B o T (la maturazione da cellula staminale coinvolge

7 Il recettore dei linfociti B viene definito BCR, quello degli T invece TCR. 43

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altre cellule come i monociti, i granulociti o altre linee differenziative delle cellule del sistema immu-nitario, ma nel caso specifico stiamo considerando linfociti B e T). Questi segmenti genici sono di-stribuiti, sono segregati spazialmente, su dei loci genici che contengono sia i segmenti genici del re-cettore sia i loci genetici che codificheranno per le catene polipeptidiche degli anticorpi, sia i loci genetici che codificheranno per le catene polipeptidiche del TCR; hanno una distribuzione simile e si trovano localizzati, segregati spazialmente, ovvero tutti i segmenti genici che una volta congiunti tra di loro andranno a codificare per la catena pesante delle immunoglobuline si trovano sul cromo-soma 14 e questo locus, questa porzione di DNA, viene definita come locus della catena pesante perché contiene i segmenti genici che una volta ricongiunti tra di loro attraverso il processo di ri-combinazione somatica daranno origine alla catena pesante delle immunoglobuline. I segmenti ge-nici che codificano per la catena leggera κ della immunoglobuline si trovano sul cromosoma 2 e i segmenti genici che codificano per la catena λ si trovano invece sul cromosoma 22, ogni regione variabile è codificata da molteplici segmenti genici, e in particolare la regione variabile delle catene pesanti è codificata da tre tipi di segmenti:

– i segmenti genici V (V sta per variabilità); – i segmenti genici D (D sta per diversità); – i segmenti genici J (J sta per giunzione).

La regione variabile della catena pesante dell’immunoglobuline sarà determinata dalla giunzione di V, D e J. Mentre per le catene leggere κ e λ la regione variabile è determinata dall’associazione di due tipi di segmenti genici: segmenti V della variabilità e segmenti J della giunzione. Come sono localizzati sul cromosoma questi segmenti genici? Al 5′ troviamo segmenti genici V e questi possono essere fino a 100 segmenti genici V differenti. Ciascun segmento genico V è costituito da circa 300 paia di basi, però tra un segmento V e un altro segmento V può esserci una sequenza di DNA intro-nica (non contiene sequenze di DNA codificante, anche di 2'000 kb [chilobasi]), pertanto sono molto distanziati tra di loro. Queste sequenze introniche come vedremo successivamente sono importanti perché contengono delle sequenze che ci serviranno poi per favorire la ricongiunzione dei segmenti genici tra di loro. Abbiamo un’altra peculiarità di questa zona al 5′ che presenta al 5′ di ogni segmento genico V una sequenza leader che è una sequenza idrofobica di circa 20 residui amminoacidici che serve per il trasporto della proteina dai ribosomi al reticolo endoplasmatico, poi comunque viene tagliata, quindi non la ritroviamo nella catena polipeptidica pesanti. In alcuni casi i segmenti genici V possono essere anche raggruppati in famiglie, alcuni di questi segmenti all’interno dei 100 segmenti hanno delle caratteristiche strutturali simili però comunque generano ognuno dei recettori differenti. Al 3′ dei segmenti genici V sul locus della catena pesante troviamo i segmenti genici D, sono strati al momento scoperti 23 segmenti genici differenti. Ci sono circa 6 segmenti genici J differenti che si trovano a loro volta al 3′ dei segmenti genici D. Al 3′ dei segmenti genici J troviamo un enhancer che servirà per incrementare la trascrizione della catena polipeptidica; ci sono dei segmenti genici siglati con la lettera C che vanno a codificare la regione costante della catena pesante dell’immunoglobuline. Perché ne vediamo più di uno? Quante catene pesanti dell’immunoglobuline conosciamo? Quanti tipi? Cosa significa Cµ, Cδ, Cγ, Cε, Cα? Quali sono gli isotipi delle catene pesanti delle immunoglobu-line? Quali immunoglobuline abbiamo? Le IgM, IgA, IgG, IgE e IgD. Da cosa deriva che sono, ad

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esempio, IgM? Dal fatto che hanno la catena pesante µ, δ, α, γ o ε e quindi sarebbero 5 però ne ab-biamo 9 perché le IgG e le IgA hanno anche delle sottoclassi e sono IgG1, 2, 3, 4 e γ1, 2, 3, 4 e α1, 2 e quindi in tutto abbiamo 9 segmenti genici che vanno a codificare la regione costante dell’immuno-globulina. La regone costante delle catene pesanti è costituita da molteplici dominî costanti che sono 4 per l’IgM e per le IgE, 3 per le IgD, per le IgG e per le IgA. Questo esone della catena pesante contiene in realtà più esoni al suo interno perché conterrà un esone che codifica per il dominio CH1, un esone per CH2, uno per CH3 e uno per CH4 nelle sottoclassi che presentano 4 domini. Il recettore oltre ai dominî CH quando l’immunoglobulina è integrata sulla membrana presenta altri domini: una regione idrofobica e una regione transmembrana e quindi ogni esone C a sua volta contiene due esoni, uno per ciascuno per i dominî CH, un esone codificherà per la regione transmembrana e un esone codificherà per la regione intracitoplasmatica. La scelta di un esone V con un D, con un J darà origine poi alla catena polipeptidica, alla regione variabile completa e associandosi con un esone C darà origine alla catena polipeptidica che sintetizza per le catene pesanti degli anticorpi. Per quanto riguarda le catene κ e le catene λ queste sono più semplici e presentano esclusivamente al 5′ sempre segmenti genici V e se ne conoscono 35 per la catena κ e 30 per la catena λ. C’è una sequenza leader e è sempre presente un enhancer che è importante per incrementare la trascrizione della catena poli-peptidica. Per quanto riguarda la catena κ similmente a quanto abbiamo visto per la catena pesante al 3′ dei segmenti genici V e al 5′ del segmento genico C presenta tutti distanziati tra di loro, ma raggruppati in una zona del locus genetico, segmenti genici J della giunzione che quando riuniti con i segmenti genici V vanno a codificare per la regione variabile della catena leggera delle immunoglo-buline. Mentre la catena λ presenta una distribuzione un po’ più particolare, ogni segmento genico C può presentare al suo 5′ un segmento genico della giunzione, quindi non sono raggruppati in un una zona del cromosoma tra V e C, ma sono distribuiti al 5′ di ogni segmento genico C. la catena leggera quante regioni costanti contiene? Ne contiene soltanto un dominio costante, ha solo un CH1 e che non si integra nella membrana e non ha nemmeno funzioni effettrici e quindi in questo caso c’è un solo segmento genetico che codifica per l’unico dominio della catena leggera delle immuno-globuline e nel caso della catena κ c’è un solo segmento genico, quindi c’è una sola possibilità, la regione costante per tutte le catene variabili κ sarà sempre la stessa. Per quanto riguarda il locus della catena λ ci sono più possibilità, ci sono diversi segmenti costanti C anche se poi non risultano diffe-renze nelle catene leggere, la regione costante non ha funzioni biologiche e nemmeno di riconosci-mento, però abbiamo molteplici segmenti genici, fino a 7 segmenti genici differenti per il locus della catena λ. La regione variabile delle catene pesanti è determinata dalla giunzione di un segmento ge-nico V, dalla giunzione di un segmento genico D e dalla giunzione di un segmento J mentre la catena leggera è codificata esclusivamente dalla giunzione di V e J e questo è importante perché l’unione di questi segmenti genici differenti che sono molteplici può far sì che noi abbiamo un’enorme variabilità del sito di legame dell’anticorpo e dei recettori dei linfociti T anche se poi solo l’unione dei segmenti non sarà sufficiente a generare tutta la variabilità di cui noi effettivamente disponiamo nel nostro organismo. I loci del TCR hanno un’organizzazione simile a quella delle immunoglobuline e in que-sto caso troviamo 3 locus genici per i segmenti genici che poi ricongiunti tra di loro daranno origine alle catene del TCR del recettore dei linfociti T e in particolare abbiamo un locus per la catena β del TCR che si trova sul cromosoma 7, un locus per la catena α che si trova sul cromosoma 14. All’interno

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del locus della catena α troviamo anche dei segmenti genici che codificano per la catena δ del recet-tore dei linfociti T, poi c’è un terzo locus che contiene i segmenti genici che una volta ricongiunti tra di loro genereranno le catene γ del TCR. Il recettore T γδ è un recettore dei linfociti T che presenta appunto le catene γ e δ, il recettore γδ è molto meno variabile del recettore αβ, infatti la maggior parte dei nostri linfociti T che vanno a mediare le risposte immunitarie cellulo-mediate sono linfociti T con recettore αβ, solo una piccola percentuale ha recettori γδ, in realtà si è anche visto che quelle cellule che hanno recettori γδ, quei linfociti T sono un po’ a cavallo tra l’immunità specifica e l’im-munità innata perché hanno un recettore che similmente al recettore α e β va in contro a questo processo di ricombinazione che genera la variabilità, però la loro variabilità è estremamente limitata, non è quindi un’estrema variabilità come quella che troviamo nel recettore αβ, hanno poca variabilità e quindi più simili all’immunità innata però poi il recettore si genera con un meccanismo di ricom-binazione somatica simile a quello dei linfociti T dell’immunità specifica αβ e quindi per questo sono linfociti T ma non dotati di tutte le caratteristiche dei linfociti T αβ che mediano l’immunità specifica. I γδ molto spesso non vanno nemmeno a riconoscere proteine legate al complesso maggiore di isto-compatibilità di classe I e di classe II ma anche a delle strutture differenti, quindi anche la restrizione per MHC non è come quella dei linfociti T αβ. Presentano gli stessi meccanismi di ricombinazione però poi si differenziano dai linfociti T αβ sia per il tipo di riconoscimento che per la variabilità dei loro recettori. Anche in questo caso il locus della catena β del TCR presenta molteplici segmenti genici V che si trovano sempre al 5′, ognuno è sempre preceduto dalla sequenza leader che quindi ha la stessa funzione descritta per le immunoglobuline, sono stati descritti al momento 50 segmenti ge-nici V differenti. La catena β e la catena pesante del recettore, similmente alla catena pesante degli anticorpi, contiene un terzo segmento genico che va a sintetizzare la regione variabile che sono i segmenti della diversità e presenta una organizzazione che è molto simile a quella della catena λ delle immunoglobuline, quindi ogni segmento genico costante presenta in 5′ un segmento genico della diversità e un gruppo di segmenti genici J della giunzione. Sono stati descritti due diversi segmenti genici che codificano per la regione costante e ciascuno è preceduto da un segmento della diversità e da 6 segmenti della giunzione, quindi anche qui abbiamo molteplici possibilità di ricombinazione che generano la regione variabile che poi andrà a riconoscere l’antigene differente che sarà espresso sulla superficie cellulare dei linfociti T. La catena α contiene al suo interno i segmenti genici che codificheranno per la catena pesante δ e anche in questo caso la catena α è la catena leggera quindi avremo segmenti genici V, una porzione che sono circa 45 differenti, poi abbiamo segmenti genici J e per la catena α sono stati descritti 55 segmenti genici J differenti, quindi abbiamo moltissime pos-sibilità di associazione. Questi numeri sono importanti per le possibilità di generare recettori diffe-renti, catene polipeptidiche α, β oppure le catene delle immunoglobuline differenti. Poi abbiamo l’esone che codifica per la regione costante e anche in questo caso il recettore dei linfociti T ha una sola regione costante extracellulare, poi però presenta una regione trasmembrana intracitoplasma-tica, quindi questi dominî C-α C-β1 c-β2 sono raggruppati, disegnati come un segmento unico, ma in realtà sono costituiti da molteplici esoni, ognuno che codifica per un dominio extracellulare, tran-sembrana e intarcitoplasmatico. All’interno ci sono i segmenti genici della catena δ e questa simil-mente alla catena β è una catena pesante e quindi contiene segmenti genici V, segmenti genici D, segmenti genici J e segmenti genici costanti, però tra la catena δ α e β ci sono differenze. Lo stesso

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vale per la catena γ che va a costituire quel recettore meno diversificato, in questo caso sono stati descritti soltanto il locus per la catena γ, il cromosoma 7 contiene solo 5 segmenti genici V differenti, tre segmenti genici J al 5′ del segmento c-γ1, due segmenti al 5′ del segmento c-γ2. Quindi avremo delle possibilità limitate perché uno dei meccanismi che genera la variabilità sarà legato a cosa? Quante combinazioni possiamo avere di regioni variabili differenti? Un numero che deriva dal pro-dotto dei segmenti genici che abbiamo a disposizione. Le possibilità delle regioni variabili sarà deter-minato dal prodotto di D per V per J e questo mi darà un tipo di diversità definita combinatoria, quindi le possibilità di generare recettori differenti sono legate al numero di segmenti genici che quando ricongiunti insieme vanno a costituire la regione variabile delle diverse catene polipeptidiche, quindi nel caso della catena β e α il numero di segmenti è molto elevato e avremo un numero mag-giore di possibilità di generare recettori differenti, mentre per il locus della catena γ e δ il numero delle possibilità è molto inferiore, hanno una variabilità molto limitata rispetto alle catene α e β. Lo stesso vale anche per le immunoglobuline, perché ad esempio nella catena pesante abbiamo cento segmenti genici V diversi, 30 sulla catena γ e 35 sulla catena κ, quindi anche qui abbiamo un diverso numero di segmenti genici V.

Questi segmenti vengono associati tra di loro grazie ad un processo di combinazione somatica è un processo di ricombinazione che viene definita ricombinazione tra segmenti non omologhi per-ché sono tre segmenti diversi V, D e J, oppure J che si ricombinano tra di loro, quindi sono diversi e non sono omologhi. Questo tipo di ricombinazione utilizza degli enzimi, alcuni sono specifici sol-tanto per la giunzione di questi segmenti V e di J, che vengono definite ricombinasi V(D)J, mentre altri sono enzimi di riparo delle rotture del doppio filamento del DNA, quindi non sono enzimi esclusivamente dedicati alla generazione dei recettori, ma vengono utilizzati ogni qual volta nella cellula si hanno delle rotture del doppio filamento del DNA, e tra questi ritroviamo Ku70, Ku80, DNA protein-chinasi, Artemis e DNA ligasi, mentre tra quelli specifici c’è la ricombinasi V(D)J op-pure, con un ruolo un po’ più peculiare, la deossiribonucleotil terminal trasferasi, in sigla TdT. Quell’organizzazione dei geni delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline del TCR non la troviamo solo sui linfociti T e B ma su tutte le cellule dell’organismo, però ad esempio sui macrofagi non troviamo il recettore del linfocita T oppure dell’immunoglobulina di membrana, ma lo ritro-viamo soltanto nei linfociti B e T rispettivamente e questo è legato al fatto che tutti presentano lo stesso assetto, organizzazione genomica dei geni, però poi la ricombinazione è resa possibile soltanto nelle immunoglobuline sui linfociti B, le catene α e β, γ e δ soltanto sui linfociti T. perché c’è questa selezione? Come si fa a selezionare la ricombinazione affinché avvenga solo nei linfociti B o solo nei linfociti T per il TCR e non nelle altre cellule? Uno grazie a queste ricombinasi che sono espresse esclusivamente sulle cellule B e sulle cellule T, e poi grazie ad altri meccanismi che ancora non sono conosciuti completamente e grazie ad altre proteine che vengono dette fattori di accessibilità che fanno sì che questi locus genici, queste strutture della cromatina vengano rese accessibili a questi enzimi soltanto nei linfociti B e nei linfociti T, ma non a livello delle altre cellule, quindi abbiamo degli enzimi che sono espressi specificatamente nei linfociti B e T e non nelle altre cellule, manca l’elemento principale che media la ricombinazione e altro fattore importante, questi geni non ven-gono resi accessibili, anche se ci fossero gli enzimi che sono in grado di andarli a ricongiungere non

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possono raggiungere questa organizzazione dei geni per alterazioni a livello della strutture della cro-matina quali metilazione, acetilazione, modificazioni quindi degli istoni della cromatina. Il processo di ricombinazione sfrutta delle sequenze segnale di ricombinazione che sono espresse a livello degli introni che congiungono i vari segmenti genici V, D e J e queste sequenze segnale di ricombinazione definite RSS presentano delle caratteristiche precise. Alle estremità, se prendiamo il gene V 3′ di cia-scun segmento genico V troviamo una sequenza, un ettamero che ha una sequenza di nucleotidi che presenta guanosine e timine ripetute, GT ripetute e questa sequenza ettamerica è conservata in tutte le sequenze segnale di riconoscimento, poi abbiamo una sequenza definita sequenza spaziatrice di residui di basi che non sono conservate quindi che variano a livello delle diverse sequenze segnale di ricombinazione, poi c’è una sequenza ennamerica che presenta (anche questa estremamente conser-vata) molteplici sequenze A-T. Queste sequenze le ritroviamo al 3′ dei segmenti genici V, al 5′ dei segmenti genici J e per quanto riguarda i segmenti genici D dato che si trovano in posizione inter-media tra i segmenti genici V e J questi li presentano sia al 3′ che al 5′. Queste sequenze sono quelle che faranno si che gli enzimi deputati alla ricombinazione vadano a riconoscere i segmenti da ricon-giungere tra di loro, quindi sono importanti perché determinano la ricombinazione. Queste 23 paia di basi possono essere intercalate da 12 paia di basi. 12 paia di basi corrispondono a un giro dell’elica del DNA, mentre 23 paia di basi corrispondono a due giri della doppia elica del DNA e queste se-quenze di 12-23 sono importanti innanzitutto perché il loro arrotolamento porterà vicino tra di loro due segmenti genici da ricombinare tra di loro, da ricongiungere, si formerà un anello sul cromosoma con queste sequenze che vengono avvicinate tra di loro e ciò le renderà accessibili agli enzimi che poi mediano la ricombinazione. Si stabilisce anche una sequenza di ricombinazione, questi tre segmenti non possono ricongiungersi tra di loro casualmente come vogliono (V non può scegliere di ricombi-narsi con D o con J come preferisce), ma si ricombinano in base ad una sequenza che è stabilita dalle sequenze spaziatrici intermedie e seguono la regola del 12-23, quindi si possono ricombinare due segmenti tra di loro solo se uno dei due ha 12 e l’altro ha 23, nel caso delle catene leggere non abbiamo molti problemi perché i segmenti da ricongiungere sono soltanto due, quindi per forza quei due de-vono ricongiungersi tra di loro,se i giri dell’elica non portassero vicini i segmenti uno che ha 12 e uno che ha 23 accadrebbe che i segmenti genici V si potrebbero ricombinare tra di loro e i segmenti genici J si potrebbero ricombinare tra di loro e questo non deve avvenire, pertanto per impedire che avven-gano ricombinazioni tra segmenti omologhi (V con V, J con J) la ricombinazione segue la regola del 12-23. Quindi un segmento che presenta 12 nucleotidi deve ricombinarsi per forza con un segmento che presenta una sequenza di segnale di riconoscimento di 23 nucleotidi. Per le catene leggere l’unico problema è la ricombinazione tra segmenti omologhi, mentre per la catena pesante (se si ricombi-nassero insieme non verrebbe generata una regione variabile adeguata, queste ricombinazioni de-vono generare una catena produttiva, se fosse improduttiva determinerebbe morte delle cellule e non una maturazione, tanto è vero che avremo un caso per quanto riguarda il TCR in cui presenta sul segmento genico D da una parte spaziatori di 12 e da una parte spaziatori di 23, quindi per quanto riguarda la catena pesante del TCR sono possibili ricombinazioni tra segmenti omologhi. Il segmento genico D che nelle catene pesanti delle immunoglobuline il 5′ presenta segmenti genici di 12 in realtà per quanto riguarda la catena pesante β del TCR presenta al 5′ una sequenza spaziatrice di 12, mentre al 3′ una sequenza spaziatrice di 23, quindi per quanto riguarda il TCR sono possibili ricombinazioni

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di D perché questi segmenti genici possono essere letti nell’ambito di tutti e tre frame di lettura. Non si incontrano mai codoni di stop, quindi sia la giunzione di diversi segmenti D tra di loro porta co-munque all’associazione di un segmento produttivo, quindi in questo caso è possibile perché la sua sequenza nucleotidica può essere letta in tutte e tre i codici di lettura, senza mai generare un codone di stop, quindi porta sempre a un frammento produttivo. Per la catena pesante questa regola del 12-23 stabilisce che prima si ricongiunga D con J e poi solo una volta formato il segmento dj questo può andare a ricombinarsi con il segmento genico V e quindi questa sequenza stabilisce anche l’ordine con cui vengono riarrangiati i vari segmenti genici per dare origine alla regione variabile. (Per chia-rire: per la catena pesante delle immunoglobuline abbiamo 100 segmenti genici V ognuno separato da sequenze genomiche).

I segmenti genici vengono associati tra di loro attraverso il processo di ricombinazione somatica fatto di 4 fasi: formazione di una sinapsi, taglio delle estremità, apertura delle hairpine e processa-mento, giunzione dei segmenti genici tra di loro.

La sinapsi fa sì che le sequenze geniche vengano avvicinate tra di loro dato che sul cromosoma possono essere anche molto distanti tra di loro e quindi le sequenze scelte dagli enzimi ricombinasi devono essere innanzitutto riavvicinate tra di loro in modo che poi possono essere congiunti. Inizial-mente si forma un anello sul cromosoma che è determinato anche dalle sequenze spaziatrici di 12, 23 che con il giro doppio dell’elica avvicinano i segmenti che devono essere ricongiounti tra loro. In questa prima fase sono fondamentali degli enzimi, una trascrizione a basso livello che fa si che la cromatina venga aperta e quindi resa accessibile perché questi segmenti genici possano essere ricon-giunti tra di loro e quindi intervengono le V(D)J ricombinasi che è un tetramero costituto da due molecole di RAG-1, quindi geni attivanti la ricombinazione 1 e da due molecole di geni attivanti la ricombinazione 2 definiti RAG-2. RAG-1 ha l’attività endonucleasica, quindi quella che media il taglio, RAG-2 i rende accessibile la cromatina e tiene ravvicinati tra di loro i segmenti genici fino a che non siano ricongiunti tra di loro, interagisce con altre proteine definite fattori di accessibilità della cromatina e quindi RAG-2 non ha funzione di taglio, ma soprattutto di favorire l’avvicinamento e l’attività endonucleasica di RAG-1. Una volta che RAG-2 ha reso accessibili i segmenti genici da ricongiungere tra di loro RAG-1 effettua un attività endonucleasica, quindi taglia e praticamente ta-glia all’estremità tra il segmento genico codificante e la sequenza spaziatrice, in particolare tra il seg-mento codificante e l’ettamero (tra il segmento genico V e il segmento J). Effettua due tagli, questo taglio mediato da RAG-1 fa si che i due filamenti del DNA che vengono rilasciati, staccati dalla se-quenza intronica vadano a ricongiungersi tra di loro, quindi l’estremità 3′ −OH di un filamento del DNA una volta che è tagliato da RAG-1 va ad associarsi all’estremità 3′ −OH dell’altro filamento, si genera quella che viene definita hairpin (struttura a forcina) perché quando RAG-1 taglia il filamento va a ricongiungersi con il filamento sotto, non restano delle estremità blande, quindi separate tra di loro, ma si vanno a legare tra di loro mentre le sequenze introniche vengono tagliate in maniera precisa e i filamenti del DNA non vanno ad associarsi tra di loro a fare estremità forcina (o hairpin), non si ricongiungono, ma rimangono soltanto una di fronte all’altro. A questo livello è ancora im-portante l’azione di RAG-1 e RAG-2 perché li tengono ravvicinati tra di loro, non li fanno separare,

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poi le sequenze introniche vengono ricongiunte tra di loro e formano un anello circolare di DNA intronico ma che al suo interno può contenere anche sequenze codificanti, di quelle che non sono state coinvolte dalla ricombinazione, ma che erano su quel tratto di DNA e queste vengono eliminate. Mentre le sequenze codificanti vengono processate da altri enzimi che sono coinvolti nel processo di ricombinazione e in particolare il primo enzima che interviene è un’endonucleasi Artemis. Artemis è molto importante: persone che hanno deficit di Artemis hanno delle immunodeficienze e non sono in grado di generare linfociti B e T maturi con i loro recettori sulla superficie cellulare. Svolgono quindi un ruolo cruciale, tant’è vero che la sua assenza sfocia in una patologia, ovvero l’incapacità di generare linfociti B e T maturi e conseguente incapacità di rispondere ai microrganismi. Quindi Ar-temis taglia il DNA e in seguito intervengono la DNA protein-chinasi, la deossiribonucleotil ter-minal trasferasi (TdT) e le ligasi che vanno a ricongiungere questi filamanti di DNA tra di loro in modo da portare vicino il segmento genico V con il segmento J, però Artemis quando taglia visto che ha attività endonucleasica può essere preciso ma anche impreciso. È preciso quando riesce a tagliare esattamente sul segmento genico al 3′ del segmento genico V oppure al 5′ del segmento genico J precisamente in tutte e due le eliche allo stesso punto, ma può essere anche non preciso generando un elica del DNA più lunga e una più corta quindi se Artemis è preciso taglia tutte e due le eliche in questo punto quindi si generano eliche del DNA che finiscono entrambe con una base e quindi i due segmenti verranno ricongiunti tra di loro senza ulteriori necessità, ma se Artemis è imprecisa questa estremità più corta prima deve essere portata alla stessa lunghezza dell’altro filamento di DNA più lungo. Si introdurranno dei nucleotidi che sono complementari ai nucleotidi dell’elica più lunga e questi nucleotidi vengono definiti palindromici perché sono complementari ai nucleotidi della se-quenza del filamento di DNA tagliato lasciato più lungo. Inizialmente Artemis taglia, si generano questi filamenti più lunghi e un filamento più corto che deve essere ridimensionato prima che possa avvenire la giunzione da parte delle ligasi, innanzitutto si avrà una giunzione tra le estremità di queste due code più lunghe, tra basi tra di loro complementari e successivamente verranno aggiunti dalle polimerasi dei nucleotidi complementari, questi nucleotidi complementari vengono definiti nucleo-tidi P o palindromici e sono molto importanti perché vanno a modificare ulteriormente la sequenza del segmento che andrà a codificare per la proteina; sul segmento genico V che avevamo scelto non c’erano questi residui ammionoacidici complementari e quindi generano un ulteriore variabilità. Un ulteriore meccanismo che può avvenire a questo livello è che i due filamenti sono tagliati in maniera precisa oppure erano stati tagliati in maniera imprecisa, ma sono stati aggiunti nucleotidi palindro-mici. Sulle estremità precise dei due filamenti può andare ad agire un altro enzima che è la deossiri-bonucleotil terminal trasferasi che può andare ad aggiungere nucleotidi al 3′ −OH di filamenti di DNA fino a un massimo di 20 che non sono complementari a nessuno stampo, quindi sono proprio di nuova aggiunta e sono definiti nucleotidi N (mentre i nucleotidi P su questo filamento sono com-plementari ai nucleotidi presenti sul filamento più lungo generato da Artemis quando è andata a scindere le estremità) per far sì che il segmento V possa ricongiungersi con il segmento genico J i nucleotidi n sono completamente diversi e non hanno nessuno stampo. Questa processazione delle estremità terminali a 3′ del segmento genico V e al 5′ del segmento genico J è importante perché introducendo nuove sequenze di basi poi quando verrà codificata la proteina queste nuove sequenze di basi genereranno una sequenza amminoacidica differente che non avremmo avuto se avessimo

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ricongiunto semplicemente il segmento genico V con il segmento J, quindi si genera un’ulteriore diversità detta diversità giunzionale. Una volta che le estremità sono state processate dalla deossiri-bonucleotil terminal trasferasi oppure dalle polimerasi che hanno aggiunto i nucleotidi complemen-tari, intervengono gli enzimi di riparazione del DNA, quindi la DNA protein-chinasi attiva si lega insieme a ku70, ku80 sull’estremità e fa sì che la DNA ligasi poi possa legare l’estremità 3′ −OH del filamento V con l’estremità del segmento J e dare quindi origine ad un esone codificante in cui non sono più presenti le sequenze introniche e potrà a questo punto trascrivere per la regione variabile della catena leggera.

La TdT aggiunge nucleotidi solo quando non si crea un filamento più lungo e un filamento più corto sull’estremità della stessa lunghezza, mentre vengono aggiunti dalle polimerasi per portarli alla stessa lunghezza e poi vengono eventualmente aggiunti dalla deossiribonucleotil terminal trasferasi. La sequenza segnale viene eliminata e abbiamo generato il nuovo segmento genico che poi codifi-cherà per la regione variabile dell’immunoglobulina oppure delle catene α e β del TCR. Questo anello di giunzione non può essere sempre generato in maniera precisa e poi eliminato, in alcuni casi è necessario un processo ulteriore perché molto spesso lo schema di lettura dei segmenti genici V e dei segmenti J non è dallo stesso verso, uno viene trascritto dal 5′ al 3′ l’altro si trova rigirato, sempre dal 5′ 3′ però sul cromosoma si trova rigirato, in questo caso non si genera una sequenza segnale di ri-combinazione, un cerchio come nel caso in cui lo schema di lettura è nella stessa direzione, ma ini-zialmente vengono scissi sempre a livello dell’ettamero con le sequenze introniche, però restano al 3′ del segmento J, non sono inizialmente eliminate perché i segmenti sono invertiti, però avviene sol-tanto in un numero di casi estremamente basso, solo per questa inversione dello schema di lettura per i segmenti genici della catena κ. Dopo verrano ulteriormente tagliati e scissi dall’RNA messaggero che poi andrà a essere trascritto per codificare la catena polipeptidica completa. Una volta che i seg-menti genici V e J sono ricongiunti tra di loro un elemento importante è il fatto che questo fa avvici-nare i promotori agli enhancer e quindi questa giunzione fa sì che sia avviata una trascrizione estre-mamente elevata dei geni che codificano per le immunoglobuline quindi c’è una trascrizione molto aumentata. Questo è anche un grosso problema se in questi processi di ricombinazione vengono in-seriti dei geni che non fanno parte dei segmenti genici delle immunoglobuline, questa aumentata trascrizione fa sì che questi geni vengano trascritti rapidamente ed è quello che succede se tra i seg-menti genici che vengono ricombinati vengono inclusi degli oncogeni, questi vengono rapidamente trascritti dall’aumentato tasso, che è necessario per sintetizzare le immunoglobuline, può derivare lo sviluppo di tumori a livello della linea linfoide, quindi elevata combinazione e elevata trascrizione è importante per la generazione dei geni dei recettori però se vengono inseriti anche degli oncogeni può portare a problematiche. Un primo meccanismo di diversificazione dei recettori è dato dalla diversità combinatoria, quindi dalla scelta casuale di un segmento genico V, di un D e di un J e questa diversità è importante ma non esclusiva, non riesce il prodotto di questi segmenti genici a generare i 107 recettori differenti (in realtà le possibilità sono anche 1011, ma le specificità antigeniche diverse effettivamente trovate sono 107). Se facciamo il prodotto dei segmenti variabili della catena pesante V, D e J per i segmenti V e J della catena leggera arriviamo intorno a 104 combinazioni differenti. Anche se queste le associamo, prodotto di V per D per J con il prodotto di J, quindi con la possibilità di catene di regioni variabili della catena leggera differente, anche sommando questa associazione

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non arriviamo a generare una diversità di 107 specificità antigeniche diverse. In questo contesto è importante la diversità giunzionale, senza la diversificazione mediata dai nucleotidi aggiunti dalla TdT o i nucleotidi palindromici, se facciamo il prodotto arriviamo a 104 mentre in questa maniera sono possibili 1011 combinazioni diverse. In realtà non tutte 1011 catene polipeptidiche diverse che si possono generare le ritroviamo nell’organismo perché poi questi recettori devono subire un processo di selezione, quindi devono essere utili, devono andare a riconoscere soltanto antigeni estranei e non antigeni self; una volta che abbiamo fatto il calcolo delle combinazioni, queste devono poi anche generare una catena produttiva, devono essere tradotte senza incontrare codoni di stop, quindi le possibilità anche se teoricamente possono arrivare a 1011 catene pesanti e leggere per le immunoglo-buline, quindi 1016 recettori TCRαβ diversi in realtà ne riscontriamo un numero molto più basso nel nostro organismo. La diversità giunzionale quindi può essere data dall’aggiunta di nucleotidi N da parte della deossiribonucleotilterminal trasferasi, dall’aggiunta di nucleotidi P palindromici, ma può essere determinata anche dalla rimozione di nucleotidi a causa di endonucleasi che per errore elimi-nano i nucleotidi nelle sequenze da ricongiungere, quindi dall’eliminazione di nucleotidi dalla giun-zione tra i segmenti J e V oppure nel caso delle catene pesanti anche tra D e J e tra V e J. In base a quali e a quanti residui amminoacidici vengono eliminati avrò delle sequenze amminoacidiche di-verse, quindi un recettore con una specificità diversa, perché la specificità è data anche da un singolo amminoacido che varia sul sito di legame per l’antigene, l’aggiunta e la rimozione di nucleotidi cam-bia il codice di lettura, quindi la sequenza amminoacidica e pertanto varia anche la specificità dell’an-tigene. La rimozione di nucleotidi può portare anche a un alterato schema di lettura se non è per multipli di 3 e pertanto non si generare nessuna catena polipeptidica produttiva oppure può portare anche a dei codoni di stop e quindi la catena polipeptidica in quel caso non viene più generata, però si genera ulteriore variabilità. La variabilità dei recettori è legato anche all’espressione della deossir-bonucleotilterminaltrasferasi. Questo enzima non lo ritroviamo espresso dalla cellula staminale mul-tipotente fino alla cellula T matura sempre allo stesso livello e sempre espresso, quando questo en-zima sarà espresso e avverrà il processo di ricombinazione potrà andare ad aggiungere i nucleotidi P e quindi generare variabiltà, se questo enzima non è espresso nella diversità giunzionale non ritro-viamo l’aggiunta di nucleotidi P, quindi questi meccanismi poi incidono diversamente sulla ricom-binazione delle varie catene polipeptidiche, quando espressa la TdT porterà ad un’ulteriore diversi-ficazione data dai nucleotidi N, quando invece non è espressa la TdT noi non li ritroviamo. In parti-colare l’aggiunta dei nucleotidi n la ritroviamo soprattutto nelle catene pesanti, non la ritroviamo nelle catene leggere. Conoscere le sequenze amminoacidiche e il fatto che vengono aggiunti nucleo-tidi e quindi che ogni regione variabile di un anticorpo è diversa dall’altra per quanto riguarda la sequenza amminoacidica è molto importante nell’identificare la clonalità dei tumori. Soltanto se un tumore si genera dalla stessa cellula avrà la stesse sequenze variabili sulla regione, se è un linfoma di tipo ctb sulla regione variabile degli anticorpi, se invece è generato da più cloni e quindi non è clonale ogni cellula avrà una regione variabile con una sua sequenza amminoacidica e di basi ben caratteri-stica. Questa diversità oltre a generare la variabilità che è necessaria per il riconoscimento dell’anti-gene mi permette di identificare se un determinato tumore ad esempio alle cellule B deriva da una clonale o non clonale, quindi deriva da un’unica cellula che si è moltiplicata, oppure da molteplici cellule che si sono trasformate, tutto ciò ha un’implicazione clinica molto importante.

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Processo di maturazione Questi meccanismi di ricombinazione avvengono durante il processo di maturazione, quindi

durante la differenziazione della cellula staminale multipotente verso la cellula B matura o verso la cellula T matura. La cellula B o T matura è quella cellula che esprime recettore per l’antigene e è in grado di andare a riconoscere l’antigene e di differenziarsi e di esplicare le sue funzioni effettrici, però deve essere anche utile, deve avere anche un recettore che non sia in grado di riconoscere l’antigene self, ma solo l’antigene estraneo. Il processo di maturazione è quel processo che porta allo sviluppo delle cellule mature a partire dal precursore immaturo. Conoscere la differenziazione dei linfociti B e T ha dei risvolti clinici, sapere quali sono le fasi di maturazione, come avviene il riarrangiamento dei geni, è importante nel tarttamento dei tumori e dei linfomi, delle lucemie (nel caso dei linfociti T). Sapere quali sono i precursori e qual è la cellula che mi fa differenziare, ovvero qual è la cellula staminale a linfocita T maturo mi rende possibile la ricostituzione del repertorio linfocitario durante i trapianti di midollo osseo. La maturazione dei linfociti B avviene a livello del midollo osseo, nelle prime fasi dello sviluppo, i linfocitici B subiscono un primo processo di maturazione a livello del fegato fetale, poi più tardivamente durante la gestazione e anche dopo la nascita invece il sito mag-giore di linfopoiesi per quanto riguarda il B è il midollo osseo, il T invece matura nel timo. A carat-terizzare la maturazione linfocitaria abbiamo innanzitutto l’espressione dei geni del recettore e la loro verifica, ogni stadio dopo un piccolo pezzetto di riarrangiamento di segmenti genici, questi vengono valutati se sono stati produttivi o non produttivi, perché dobbiamo avere alla fine una cellula che sia in grado di riconoscere antigeni estranei sulla superficie della cellula. Un primo fine della matura-zione è l’espressione dei recettori sulla superficie di queste cellule e durante il processo di matura-zione sono coinvolti sia dei fattori intrinseci, quindi dei fattori trascrizionali che sintetizza la cellula stessa, ma anche dei fattori estrinseci che vengono prodotti da altre cellule, in particolare nel caso dei linfociti B fattori che vengono prodotti dalle cellule stromali del midollo osseo. Durante la matu-razione c’è una fase che è indipendente dall’antigene, quindi avviene anche in assenza completa di antigene, mentre la valutazione del recettore che è stato sintetizzato, quindi i processi di selezione dipendono dall’antigene. Poi una volta che il linfocita è maturo diventerà una cellula responsiva all’antigene non self. Quindi fattori di crescita, interazione con le cellule dello stroma midollare sono importanti per far sì che a partire da una cellula staminale riusciamo ad arrivare ad una cellula matura in grado di riconoscere l’antigene estraneo. Queste caratteristiche vengono acquisite mano a mano, quindi mano a mano la cellula acquisisce le caratteristiche della cellula matura e perde quella della cellula immatura, quindi è un processo progressivo che attraversa diversi stadi che sono la cellula staminale, il prolinfocita, il prelinfocita (quando esprime un prerecettore) e poi il linfocita immaturo che non è ancora stato selezionato. Questi stadi sono ben distinti e ognuno di questi stadi può essere identificato in ogni momento anche su un pool di cellule differenti, perché ognuno sarà caratterizzato dall’espressione sia di molecole di membrana che di fattori trascrizionali di proteine intracellulari, quindi ogni stadio può essere identificato per l’espressione di queste diverse molecole sia di mem-brana che di superficie. Se abbiamo un accumulo di prolinfociti ad esempio, mi permette di caratte-rizzare lo stadio a cui, se non abbiamo lo sviluppo di linfociti B maturi ma abbiamo un accumulo di

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cellule pro-B grazie al fatto che noi conosciamo i marker che esprimono queste cellule sappiamo a quali stadi di sviluppo si sono bloccate le cellule.

(Domanda d’esame: Come faccio a dire che è un pro-B rispetto a un pre-B? Assenza di pre-BCR)

Inizialmente c’è lo sviluppo della cellula matura che esprime il recettore per l’antigene e questo è fortemente dipendente dal contatto con le cellule stromali midollari, poi la cellula matura verifica il recettore che ha sintetizzato e se è utile o inutile, quindi se è in grado di riconoscere l’antigene self (è inutile). Alla cellula in caso viene richiesto di riprovare a sintetizzare un recettore utile oppure “ti mando a morte” perché altrimenti sarebbe soltanto dannosa per l’organismo stesso. Pertanto prima c’è un processo di selezione, poi può uscire dal midollo osseo e va in circolo, il linfocita B finisce la sua maturazione a livello della milza e dopo di che circola continuamente tra i vari organi linfoidi alla ricerca dell’antigene estraneo e si attiva. Innanzitutto il precursore che darà origine ai linfociti è la cellula staminale ematopoietica (HSC), il primo precursore indirizzato verso la linea linfoide è il progenitore linfoide comune che deriva da una cellula progenitrice multipotente la quale si è diffe-renziata dalla cellula staminale ematopoietica. Però questa cellula progenitrice pluripotente ancora può dare origine sia alla linea linfoide, quindi cellule B e T, ma anche alla linea mieloide e quindi ancora non è condizionato verso una specifica linea, mentre il progenitore linfoide comune perde la capacità di produrre cellule mieloidi.

Il primo progenitore della linea linfoide è il progenitore linfoide comune. La cellula progeni-trice multipotente interagisce innanzitutto con la cellula stromale del midollo osseo, e un’altra inte-razione fondamentale è quella che avviene tra questa chinasi FLT3 con il suo ligando che è espresso sulle cellule dello stroma, questa interazione ligando-recettore va a indurre l’espressione del recettore dell’IL-7 sul primo progenitore della linea linfoide, quando la cellula esprime anche il recettore per l’interleuchina-7 a questo punto non è più un progenitore multipotente, è già iniziata a indirizzarsi verso la linea linfoide, non potrà più dare origine alle cellule mieloidi, ma soltanto alle cellule linfoidi. I segnali trasdotti dall’interazione della cellula stromale (stroma midollare) con il progenitore multi-potente inducono la trascrizione di due fattori di trascrizione che sono cruciali nella maturazione delle cellule B che sono Ikaros e p1, questi p1 e Ikaros insieme all’interazione del recettore dell’inter-leuchina-7 con l’interleuchina-7 che a sua volta viene prodotta dalle cellule stromali del midollo osseo fa sì che la cellula vada ad esprimere due fattori di trascrizione E2A e EBF. Questi due fattori quando vengono espressi commissionano in maniera irreversibile la cellula verso la linea dei linfociti B, la cellula a questo punto, quando esprime questi due fattori non è più in grado di differenziarsi verso la linea T. sono quindi fattori che determinano il commissionamento B e impediscono che la cellula possa differenziarsi verso la linea T o verso le cellule natural killer. È importante anche un’interazione tra il fattore delle cellule stromali SCF e una tirosin-chinasi KIT che viene espressa sui progenitori linfoidi, in particolare quando la cellula ha sintetizzato questi due fattori di trascrizione E2A ed EBF questa cellula si direziona irreversibilmente verso il primo progenitore della linea dei linfociti di B, che viene definito cellula pro-B perché da questo punto in poi presenta delle molecole di superficie e dei fattori di trascrizione che non gli permettono più di differenziarsi in altri tipi di cellula, ma non presenta ancora l’immunoglobulina di membrana, il recettore dei linfociti B. la caratterizziamo come cellula pro-B perché nel frattempo questi due fattori di trascrizione E2A ed EBF hanno anche indotto

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la trascrizione di un altro fattore di trascrizione che è PAX 5 che è fondamentale nel commissiona-mento perché induce l’espressione di due molecole che sono tipiche delle cellule B che sono la mole-cola CD19 e Igα e l’Igβ che andranno poi a costituire il recettore delle cellule B. ancora la cellula non esprime nessuna catena del recettore del linfocita B, quindi nessuna catena dell’immunoglobulina, però possiamo definire quella cellula un precursore di cellule B perché esprime la molecola CD19 l’Igα e l’Igβ e esprime anche PAX 5 e EBF e E2A che sono tipici anche questi della differenziazione, nella maturazione delle cellule B, pertanto quando sono espressi questi fattori la cellula non può dif-ferenziarsi in linfocita T e sono importanti perché poi andranno a indurre a loro volta la trascrizione delle proteine RAG-1 e RAG-2 che ci servono per avviare la ricombinazione dei segmenti genici delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. Quindi questi precursori li caratterizziamo grazie al fatto che non esprimono nessuna catena del recettore, il precursore pro-B inizia a esprimere una molecola di membrana che è tipica della linea dei linfociti B che è la molecola CD19 e poi ci sono una serie di interazioni tra cellule stromali e precursori che inducono la trascrizione di fattori di trascri-zione che serviranno a sintetizzare delle proteine che sono tipiche della differenziazione delle cellule B.

(Domanda d’esame: Quali sono i fattori di trascrizione che condizionano la differenziazione dei linfociti B, il condizionamento della cellula staminale multipotente verso la linea B così che non sia in grado di fabbricare altri tipi di cellule? E2A e EBF. Da chi sono indotti? Da interazioni tra recettori presenti sulle cellule stromali del midollo osseo che forniscono recettori espressi sulla loro superficie e anche molecole solubili come IL-7 e chemochina CXCL12.)

L’IL-7 è importante perché i progenitori linfoidi comuni esprimono il recettore per l’IL-7. Que-ste cellule inducono l’espressione di fattori di trascrizione, E2A e P1 che a loro volta inducono l’espressione di un altro fattore di trascrizione crucialissimo che è EBF. La cooperazione di E2A e EBF commissiona i progenitori linfoidi comuni in modo irreversibile a differenziarsi verso la cellula pro-B.

Come capisco che quella cellula è un precursore pro-B e non un progenitore multipotente o progenitore linfoide comune? Ho il CD19, il Cα e inizia il riarrangiamento dei geni del recettore. Quindi la maturazione è condizionata da: interazioni recettori-ligandi tra le cellule stromali e i pre-cursori in differenziazione; da fattori di trascrizione indotti, i quali sono importanti perché fanno in modo di far sintetizzare le proteine necessarie per il proseguimento della maturazione e l’espansione clonale dei diversi tipi di progenitori e sono importanti perché fanno esprimere in membrana dei marcatori che sono tipici dei vari stadi maturativi e quindi permettono di poter contraddistinguere ogni stadio maturativo perché presentano o fattori di trascrizione o delle molecole di superficie che li differenziano. Qual è l’implicazione di questi fattori di trascrizione? quando l’IL-7 agisce, si lega al suo recettore di tipo 1, costituito da una catena γ, comune a diverse interleuchine, e una catena α responsabile dell’interazione con una IL-7. Questa interazione attiva i fattori di trascrizione STAT5 che da un lato vanno ad indurre l’espressione di geni importanti per la proliferazione del precursore che sono n-Myc e c-Myc e quindi si ha un gran numero di precursori che possono portare alla diffe-renziazione di cellule mature, dall’altro inducono l’espressione di fattori di trascrizione. L’IL-7, in-fatti, tramite cooperazione con P1 e E2A e poi con EBF, che a loro volta fanno anche un feedback

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positivo, (infatti EBF induce la sua stessa trascrizione), induce l’espressione di PAX 5 che poi è un fattore di trascrizione che stimola la differenziazione dei geni. Quindi si parla di condizionamento delle cellule verso la linea B e questo fattore di trascrizione andrà ad inibire un altro fattore di trascri-zione che è importante per la generazione dei linfociti T che è Notch-1. Quindi quando la cellula esprime questo fattore di trascrizione non può più essere precursore linfocitario della linea T. E2A e EBF sono anche importanti per innescare la ricombinazione dei segmenti genici. Infatti nel primo progenitore che si chiama cellula pro-B precoce, si avvia il riarrangiamento, in particolare dei seg-menti D con i segmenti J perché la regola che stabilisce la sequenza dei riarrangiamenti è quella del 12-23. Il proseguo della maturazione ha diversi punti di controllo perché alla fine la cellula deve esprimere sulla superficie recettori utili, in grado di riconoscere l’antigene e non sempre la ricombi-nazione porta alla formazione di una catena polipeptidica produttiva soprattutto perché l’aggiunta o la rimozione di nucleotidi in quelle sequenze può portare alla formazione di codino di stop. I seg-menti genici che costituiscono la catena pesante delle immunoglobuline in realtà possono essere lette in tutte e 3 le cornici di lettura, quindi non si incontra mai un codone di stop analizzando le sequenze di questi frammenti. La cellula non ha bisogno di molti controlli perché il riarrangiamento di un D con un J sicuramente non formerà codoni di stop e si sintetizza una catena polipeptidica produttiva.

Dopo il riarrangiamento, sempre allo stadio di cellula pro-B precoce, avviene il riarrangiamento di uno dei segmenti V con l’esone riarrangiato DJ e quindi si forma l’esone che codifica per la regione variabile V(D)J. Ora la cellula ha bisogno di controllare che la congiunzione di questi segmenti ha codificato per una catena polipeptidica produttiva quindi l’esone si associa con gli esoni che codifi-cano per la catena pesante. Questo però è un processo non diretto, ma avviene per step. Prima si forma il segmento DJ poi si ha la ricombinazione di un segmento V e quindi avremo V(D)J e l’esone verrà trascritto inizialmente contenendo anche le sequenze che non sono state interessate da riarran-giamento e le sequenze introniche. Si forma un trascritto di RNA primario che contiene l’esone V(D)J e a valle i segmenti J non riarrangiati e gli esoni che codificano per una regione costante che rimane separato dall’esone V(D)J. Questo trascritto verrà processato e verranno aggiunte code di poli A al 3′ e si ha RNA messaggero che verrà tradotto e si sintetizza la catena pesante dell’immunoglobulina matura. La catena deve essere verificata per vedere il corretto assemblaggio. Sulla base di cosa viene verificato il recettore? deve essere in grado di riconoscere l’antigene e non deve essere cross reattivo nei confronti dell’antigene self. Il recettore da cosa è costituito? È una immunoglobulina completa, quindi da due catene pesanti e due catene leggere. Fin ora ho codificato solo la catena pesante, la catena leggera ancora non viene sintetizzata. Nel citosol si può valutare se la catena pesante è in grado di riconoscere l’antigene? NO. Quindi si deve trovare un modo affinché questa catena polipeptidica venga espressa sulla superficie cellulare. La catena inizialmente si riarrangia con l’esone per la catena pesante μ e questa catena polipeptidica viene riassemblata a formare un pre-recettore che non ha catene leggere quindi viene costruito usando due catene surrogate delle catene leggere che vanno a far assemblare la catena polipeptidica dell’immunoblobulina matura (assomiglia al recettore com-plessivo finale). Queste catene surrogate sono la catena V e λ5. V va a costituire il facsimile della regione variabile della catena leggera mentre λ5 va a costituire il facsimile del dominio immunoglo-bulinico costante della catena leggera. Così la cellula può esprimere il pro-recettore della cellula B. A questo pre-recettore vengono associate le Igα e Igβ che non sono coinvolte nel riconoscimento

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dell’antigene. Contengono una sequenza ITAM nella porzione intracitoplasmatica che è dominio che ha una tirosina importante per la fosforilazione e la trasduzione del segnale.

Igα, Igβ e CD19: la loro espressione sulla superficie cellulare è indotta da EBF e PAX 5.

Si deve valutare se il riarrangiamento del pre-recettore è stato produttivo. Questo recettore non può riconoscere l’antigene perché è fatto da catene surrogate. Inoltre, non si conosce che ligando leghi la catena pesante, ma è importante che dimerizzi con un altro pre-recettore. Nei dominî ammi-noterminali della catena pesante delle immunoglobuline ci sono sequenze che vanno ad interagire con i dominî V e λ5. La dimerizzazione è un facsimile del ligando del recettore importante per la trasduzione del segnale all’interno. L’espressione del pre-recettore da parte della cellula pre-B innesca l’esclusione allelica, fenomeno che impedisce che i geni dell’immunoglobulina vengano riarrangiati sull’altro allele. Solo uno dei due alleli può dare un riarrangiamento produttivo, altrimenti si avreb-bero linfociti B con catena pesante in cui il riarrangiamento è avvenuto sul primo allele e dei recettori con catene pesanti in cui il riarrangiamento ha interessato i segmenti genici del secondo allele. I re-cettori avrebbero specificità diverse da quelle delle catene catene pesanti e questo non è possibile. Quindi, se la cellula riarrangia in modo produttivo, si impedisce che i geni dell’immunoglobulina possano riarrangiarsi sull’altro allele e questo è detto fenomeno dell’esclusione allelica. Come si de-termina? Da una regolazione epigenetica: si ha l’apertura della struttura della cromatina e si va a verificare lo stato di metilazione/demetilazione, acetilazione/deacetilazione degli istoni. L’esclusione allelica dipende anche dai livelli di espressione delle proteine RAG-2 e RAG-1 che sono cruciali per determinare la ricombinazione dei segmenti genici. Quando si è sintetizzato in modo produttivo, l’espressione di RAG-1 e 2 viene down-regolata e si vede che viene degradata la RAG-2 che è quella molecola che si lega alla RAG-1 e va a stimolare la ricombinazione. Dunque questo fenomeno dell’esclusione allelica si attua mediante regolazione dell’espressione delle ricombinasi e alterazione della struttura della cromatina in modo tale che questa non sia accessibile agli enzimi della ricombi-nazione.

Se il riarrangiamento sul primo allele non è riuscito a generare una proteina produttiva, allora si ha il riarrangiamento sul secondo allele. Quindi si ricorre ad ogni meccanismo al fine di generare un linfocita B maturo, recettore funzionante. Se il riarrangiamento alla fine non fosse riproduttivo la cellula andrebbe incontro a morte per apoptosi e quel precursore non forma una cellula matura che esprime un recettore. Sui loci genici delle immunoglobuline non è detto che un riarrangiamento V(D)J che non è stato produttivo porti direttamente ad apoptosi perché ci sono diverse possibilità di ricombinazione dei segmenti genici. La ricombinazione è l’unione di un V con un D e un J. Tutti i D e J che si combinano vengono letti nelle tre cornici di lettura e quindi non si formano codini di stop, qualsiasi segmento D si ricombini con J. Quando vado ad aggiungere V vengono aggiunti nucleotidi e il nuovo segmento V(D)J potrebbe formare un codone di stop, oppure si potrebbe sintetizzare una catena polipeptidica non produttiva. La cellula, prima di riarrangiare sull’altro allele, sceglie un altro segmento V da riarrangiare con il segmento DJ e questo lo fa tante volte finchè ha a disposizione segmenti genici, se le ricombinazioni lasciano segmenti genici che si posso ricongiungere. Se si sono eliminati con il DNA intronico tutti i segmenti genici interposti, la cellula non può fare altri tentativi, ne ha solo uno. Questo vale per entrambi gli alleli. Si ha il 55% di generare una catena corretta. Dopo

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che il riarrangiamento è stato produttivo si devono impedire riarrangiamenti sull’altro cromosoma. La cellula può avere il primo allele che ha dato riarrangiamento produttivo e il secondo allele viene escluso dal riarrangiamento; il primo allele che non ha dato riarrangiamento produttivo, ma lo ha dato il secondo; oppure nessuno dei due alleli ha dato riarrangiamento produttivo.

Le sequenze ITAM inducono segnali di sopravvivenza quindi favoriscono l’espressione di pro-teine antiapoptotiche. Infatti questa cellula ha correttamente riarrangiato la catena e può proseguire con la maturazione. Viene bloccata la trascrizione delle catene polipeptidiche surrogate perché d’ora in poi si avvia il riarrangiamento della catena leggera e non sarà più necessario che queste molecole vengano espresse perché servono solo a far si che questa catena polipeptidica citoplasmatica venga espressa sulla superficie cellulare. I segnali indotti dal pre-recettore stimolano il riarrangiamento della catena leggera κ. La cellula pre-B nello stesso tempo va incontro ad un’ampia proliferazione cellulare. Bisogna precisare che ad ogni step differenziativo si aumenta il numero di precursori che hanno acquisito quelle caratteristiche perché molte vanno incontro a morte negli step successivi e non riusciremmo alla fine a formare cellule mature immunocompetenti. La cellula pre-B grande che esprime il pre-recettore prolifera e forma una cellula pre-B piccola che comincia il riarrangiamento delle catene leggere sulle quali si hanno meno problemi perché costituite solo dal segmento genico V e J, non ci sono segmenti genici della diversità. La catena leggera sarà semplicemente determinata dalla giunzione di un segmento V con un J. Ci sarà, come già visto, la formazione di un trascritto primario, poi un RNA messaggero poi la formazione del polipeptide con regione variabile e costante. Questa catena si associa con la catena μ sintetizzata nello stadio tra pro-B e pre-B e va a costituire il recettore della cellula B definita immatura. Questa catena leggera deve andare incontro a verifica, si deve vedere se la catena leggera è produttiva e se quando si associa con la pesante la cellula B riesce a riconoscere l’antigene e non è reattiva verso gli antigeni self. Si ha processo di selezione. La catena leggera subisce diversi riarrangiamenti ripetuti perché per la catena leggera ci sono molti più seg-menti V e J. Prima che si decida che un allele non sia in grado di sintetizzare una catena produttiva si fanno molte ricombinazioni. Ciò è importante sia per il fenomeno di esclusione allelica ma anche per un altro meccanismo di selezione che verrà usato dai linfociti per essere salvati se riconoscono un antigene self. La catena leggera ha più possibilità di ricombinazione perché si può avere l’isotopo κ o l’isotopo λ. Di solito nell’uomo prevalgono (65%) le catene leggere con l’isotopo κ. Alterazioni di questo rapporto è segno di leucemie. All’inizio c’è il riarrangiamento dell’isotopo κ sul primo cro-mosoma, se è produttivo si avrà una immunoglobulina completa e la sua espressione sulla superficie cellulare. Se non è produttivo si riarrangia sul secondo cromosoma. Se non è produttivo di nuovo, si riarrangia sul primo cromosoma della catena λ e se non è ancora produttivo sul secondo cromosoma. Si effettuano più tentativi, se nessuno di questi funziona la cellula va in apoptosi. Una immunoglo-bulina o esprime due κ o due λ. Anche in questo caso c’è il fenomeno dell’esclusione isotipica meno spinto rispetto all’allelica che si ha per la catena pesante ed è regolato sia da meccanismi epigenetici (che determinano l’accessibilità della cromatina che a sua volta determina la possibilità di trascri-zione), sia dall’espressione degli enzimi della ricombinasi. Allo stadio di cellula pre-B, dopo costitu-zione del pre-recettore, l’espressione delle proteine RAG viene down-regolata. Queste vengono espresse solo quando si ha la ricombinazione dei segmenti genici e invece vengono down-regolate

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quando non si ha riarrangiamento, ma la cellula sta controllando il riarrangiamento avvenuto nello stadio precedente e si ha il fenomeno dell’esclusione allelica o isotipica.

Espressione della deossiribonucleotil terminal transferasi: l’enzima non è trascritto sempre fino alla produzione della catena leggera ma la sua espressione è bloccata allo stadio di cellula pre-B. Questo determina che la catena pesante andrà incontro ad un fenomeno di diversificazione mediato dall’aggiunta di nucleotidi non complementari ad uno stampo, mentre la catena leggera non potrà usare questo meccanismo, ma avrà come processo di diversificazione solo l’aggiunta di nucleotidi palindromici, complementari allo stampo.

Per passare dallo stadio di cellula B immatura a matura questa deve assumere la competenza funzionale. Consiste nella coespressione di IgM e IgD, e la competenza funzionale viene acquisita non nel midollo osseo ma nella milza. Prima di uscire dal midollo va incontro a processo di selezione e può subire 4 differenti destini:

1) Se la cellula non ha nessuna cross reattività nei confronti dell’antigene self nel midollo allora esce e va a completare la sua differenziazione nella milza.

2) Se invece l’immunuglobulina riesce a legare antigeni multivalenti, sempre self, nel mi-dollo subisce due destini: l’effetto finale è la sua delezione per apoptosi, ma prima può tentare di riarrangiare la catena leggera in modo da generare un recettore che non sia cross reattivo nei confronti del self. Questo fenomeno si chiama editing recettoriale. Questo meccanismo fa sì che vengano di nuovo espresse le RAG-1 e 2 che vanno a riar-rangiare i segmenti genici in modo da formare una nuova regione variabile VJ. Le pos-sibilità a monte e a valle dei segmenti V e J non deleti con la precedente ricombinazione permettono di fare diversi tentativi fin quando non sarà cross reattivo. Se l’ultimo ten-tativo possibile non funziona muore per apoptosi, se invece funziona e non lega antigeni self allora continua la maturazione nella milza. Tutto ciò avviene sulla catena leggera perché la pesante è complessa, è costituita da una ricombinazione DJ e poi V(D)J e que-sto rende difficoltoso il nuovo riarrangiamento.

3) Altro possibile destino: anergia. Scenario in cui una cellula B presenta sulla superficie immunoglobuline, ma quando interagisce con un antigene non è in grado di attivarsi. La cellula si trova in uno stato anergico. Diventa cellula anergica quando riconosce un antigene non multivalente e self, ma l’antigene non riesce ad indurre un segnale abba-stanza forte nella cellula e questo porta ad apoptosi, editing cellulare per apoptosi. Di-venta una cellula che non risponde all’antigene self e ciò dipende dal fatto che la cellula riduce l’espressione della sua immunoglobulina di membrana, anche se riconosce l’an-tigene self non è in grado di tradurre un segnale sufficiente a determinare l’attivazione delle cellula B. Altro meccanismo in cui una cellula B lega l’antigene ma non risponde è dato dal fatto che vengono degradate le tirosin-chinasi associate al recettore che serve per trasdurre il segnale. Manca la quantità sufficiente di recettore per riconoscere l’an-tigene e trasdurre il segnale all’interno e mancano le molecole che inducono la trasdu-zione del segnale all’interno della cellula. Ci sono anche altre carenze legate ai linfociti B.

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4) Altro destino legato al fatto che la cellula potrebbe avere recettori che non testano l’an-tigene perché magari l’antigene nel midollo non è presente o ha delle concentrazioni che sono insufficienti per legarsi all’immunoglogulina in superficie. Questa cellula con-tinua la maturazione, non diventa anergica, non fa apoptosi e non riarrangia le catene però è una cellula ignorante cioè ha recettore non testato per vedere se sa riconoscere antigeni self. Potenzialmente è cellula autoreattiva nel nostro organismo, potenzial-mente può riconoscere l’antigene specifico e generare una malattia autoimmune contro gli antigeni self. È molto più dannosa la cellula ignorante che la cellula anergica per quanto concerne le malattie autoimmuni.

Nella milza si ha l’ultimo stadio di maturazione. Si trovano tre diversi tipi di cellule B:

1. Cellule B-1 che presentano recettori di superficie ma non hanno estrema variabilità. Si trovano nei peritonei e nel sangue periferico, esprimono IgM e CD5 positivo. La diffe-renziazione avviene soprattutto nel fegato fetale;

2. Cellula B-2 follicolare, importante per la cooperazione con i linfociti T. 3. Cellule B-2 marginali, riconoscono soprattutto antigeni lipidici e polisaccaridi. Non

hanno bisogno della cooperazione con le cellule T però indurranno una risposta immu-nitaria di tipo umorale non dotata di scambio di classe e memoria immunologica, ca-ratteristica di una cellula che affina la sua specificità. L’incontro con l’antigene sarà sem-pre come se fosse la prima volta.

La cellula B arrivata alla milza diventa follicolare, ha bisogno di coespressione di IgM e IgD. Si può andare incontro ad uno splicing alternativo dell’RNA messaggero quindi i siti di poliadenilazione possono essere aggiunti al sito del primo esone che codifica per la catena pesante δ. I siti di poliade-nilazione vengono aggiunti o al 3′ dell’esone che codifica per la catena μ oppure al 3′ del segmento genico, fatto di più esoni, che codificano per la catena pesante δ. Se i siti vengono aggiunti dopo l’esone per la catena μ si avrà la processazione e l’espressione della proteina pesante μ, alternativa-mente si avrà l’espressione della catena pesante δ. Si ha lo splicing alternativo in entrambi i segmenti genici della catena pensante, abbiamo la possibilità che la cellula coesprima i recettori per le IgM e IgD. In questo caso i due tipi di anticorpi avranno stessa specificità perché l’esone V(D)J riarrangiato è lo stesso. Il linfocita esprime IgD e IgM con la stessa specificità antigienica sulla superficie cellulare. In ogni clone di linfociti B, anche in seguito all’attivazione mediata da antigeni proteici e in seguito allo scambio di classe, la cellula B della memoria può esprimere isotipi anticorpali diversi dall’IgM e dall’IgD, quindi può esprimere anche IgA e IgE e IgG. La regione variabile sarà sempre identica; se partiamo da un clone specifico per l’antigene x questo modificherà la catena pesante ma manterrà sempre la specificità antigienica, pur variando le regioni costanti. Cloni di linfociti diversi avranno specificità diversa per l’antigene estraneo.

Linfociti T La maturazione è determinata da eventi proliferativi e differenziativi molteplici, indotti da fat-

tori di trascrizione che si legano a specifici recettori durante la progressione. Le caratteristiche della

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cellula immatura vengono perse durante la differenziazione e le caratteristiche di quella matura ven-gono acquisite mano a mano. Anche per i linfociti T si hanno stadi caratterizzati dall’espressione di particolari regioni del recettore dei linfociti T e dall’espressione di fattori di trascrizione tipici che commissionano la differenziazione. La sede di maturazione è il timo. Si suddivide la maturazione in tre fasi:

1. il progenitore precoce delle cellule T va a colonizzare il timo; 2. il precursore verrà indirizzato tramite interazione con le cellule stromali del timo; 3. espressione di particolari fattori di trascrizione che fanno si che la cellula venga com-

missionata esclusivamente verso la linea T. In questo caso vengono chiamati stadi di cellule doppio negative.

Questo precursore non esprime due molecole essenziali che sono CD4 e CD8 però non esprime nemmeno i recettori per queste molecole e nemmeno la molecola CD3 e il suo recettore che sono tipiche della cellula T matura e immunocompetente. Comunque esprimono marcatori di superficie che contraddistinguono ogni stadio differenziativo. Le cellule T nel timo, a partire da un precursore precoce, potranno differenziarsi in cellule T αβ (con recettore costituito da una catena α e β; vanno incontro a riarrangiamento; hanno la massima variabilità) e in cellule T che presentano catene γ e δ (hanno minor variabilità; non riconoscono complessi MHC peptidi ma riconoscono ammidi, polia-nioni e altre strutture non ristrette per MHC di classe prima o seconda;sono cellule a cavallo tra l’immunità innata e specifica perché il recettore non è variabile e non necessita di riconoscimento tramite le molecole MHC). Sono due linee linfocitarie con due recettori diversi. Quindi dal precur-sore delle cellule T avremo cellule T αβ e cellule T γδ. A loro volta le αβ possono differenziarsi in una sottopopolazione, cellule CD4 o CD8, mentre l’ultimo step maturativo delle cellule γδ sarà differen-ziarsi nella cellula matura γδ. Le cellule T riconoscono l’antigene solo quando questo è associato a molecole del complesso maggiore di istocompatibilità. I linfociti T andranno incontro ad una accu-rata selezione. Nel caso dei linfociti B si valuta se sanno riconoscere l’antigene e con quale affinità riconoscono l’antigene. Invece per i linfociti T per vedere se hanno riarrangiato bene il loro recettore si deve valutare l’antigene associato a molecole MHC di prima e seconda classe ed in base al tipo di MHC che riconoscono le αβ si differenziano in CD4 e CD8. Quindi ci sono ulteriori step che rendono articolata la differenziazione. Si ha:

1. commissionamento a dare origine alle cellule T e non più ad altri tipi di cellule; 2. scelta di differenziarsi in cellula αβ o γδ; 3. all’interno delle αβ vedere la capacità di riconoscere l’antigene complessato MHC.

Questo processo avviene nel timo, organo linfoide primario che si trova nel mediastino, ante-riormente al cuore e costituito da due lobi. Ogni lobo è diviso in lobuli. Ogni lobulo è costituito da una regione esterna, detta corticale e una regione più interna e centrale all’interno del lobulo, detta midollare. Nella zona corticale prevalentemente ci sono cellule stromali (epiteliali corticali) che for-mano con i prolungamenti una intelaiatura in cui sono intrappolati i precursori delle cellule T che sono detti timociti. In più ci sono rari macrofagi. Nella midollare trovo cellule epiteliali della midol-lare, diverse da quelle della corticale, cellule dendritiche e macrofagi. Le cellule hanno diverso ruolo

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nella differenziazione di timociti. Elemento importante è capire qual è il primo precursore delle cel-lule T a livello del midollo. Nel caso in cui io faccia un trapianto di midollo, se conosco precisamente i precursori delle cellule T matura io posso isolare e prendere quel particolare tipo di precursore per rigenerare la popolazione di cellule T. In vitro, sia il precursore linfoide comune, sia il progenitore multipotente possono dare differenziazione in cellula T. In vivo si complica perché questi precursori sono poco rappresentati e non si riesce ad isolarli e il microambiente influenza notevolmente. In vivo il progenitore più efficiente è il progenitore linfoide T precoce (DN1). Questo progenitore deriva dal progenitore linfoide comune. La cellula staminale ematopoietica si differenzia in progenitore multipotente che forma questo precursore linfoide comune. Questo precursore esce dal midollo os-seo, va in circolo e raggiunge il timo passando nelle venule localizzate a livello della giunzione tra la corticale e la midollare. Questo precursore è il più efficiente e interagisce con le cellule stromali del timo inducendo l’espressione di fattori di trascrizione sul progenitore che in modo definitivo si dif-ferenzierà verso la linea T. Infatti questo progenitore che arriva nel timo è ancora in grado di origi-nare altre cellule linfoidi e non è definitivamente commissionato verso differenziazione nella cellula T. Importanti fattori di trascrizione sono i recettori Notch, in particolare Notch-1 importante per far sì che il progenitore dia origine alla linea T. I recettori Notch sono una famiglia di cui si hanno 4 membri diversi: Notch-1, Notch-2, Notch-3 e Notch-4 e sono espressi sulla superficie cellulare dove interagiscono con ligandi posti sulla superficie delle cellule dello stroma timico. I ligandi a loro volta non hanno un solo recettore Notch ma più famiglie: δ-Like ligand 4 (DLL4), recettori Jagged 1 e 2. Questo recettore Notch, quando lega il ligando, gli viene scissa da parte di proteasi della membrana plasmatica una porzione detta Notch intracellulare che va a traslocare nel nucleo e va ad attivare la trascrizione di proteine coinvolte nell’indurre l’espressione di molecole che sono cruciali nella diffe-renziazione. Notch non è importante solo nel commissionare irreversibilmente il precursore verso la linea T, ma determina la scelta, se la cellula T diventa αβ o γδ e in questo caso intervengono i diversi membri della famiglia dei Notch. Notch-1 indirizza verso differenziamento T invece che verso mo-nociti e soprattutto il suo ligando nell’indurre questa funzione sarà DLL4. Nella scelta αβ o γδ inter-vengono altri membri. Oltre a Notch, un altro importante fattore di trascrizione è GATA-3. Il primo precursore è commissionato verso la linea T. Dopo il precursore precoce ci sono gli stadi di sviluppo DN2, DN3, DN4. DN1 è la prima cellula, precursore precoce. Non esprime nessun marcatore e non ha riarrangiato nessun segmento genico per le catene αβ, sono tutte in conformazione germinativa. È caratterizzata dall’induzione dell’espressione di Notch, modulata grazie all’IL-7 che si lega al recet-tore. Questo precursore esprime la molecola CD44 mentre non esprime ancora CD25 ed esprime la tirosin-chinasi KIT che si lega al fattore delle cellule stromali e induce eventi di traduzione del se-gnale che portano ad espressione di proteine importanti nella differenziazione. Stadio successivo in cui non c’è riarrangiamento di nessun segmento genico è il doppio negativo 2 (DN2) in cui inizia a esprimere CD25 che è cruciale per il differenziamento. A questo livello inizia il riarrangiamento della catena pesante del TCR e si ha la regola del 12-23, D si ricombina con J. Non si ha ancora ricombi-nazione della regione variabile. Tra lo stadio DN2 e DN3 il segmento V si combina con DJ e si forma il segmento V(D)J, si ha formazione di un trascritto primario dove la regione costante è mantenuta separata dalla regione riarrangiata V(D)J, la formazione dell’RNA messaggero e poi processazione e sintesi della catena pesante del recettore, catena β citoplasmatica. La cellula mantiene l’espressione

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del CD25 ma down-regola l’espressione del CD44. Questa è una molecola che si lega all’acido ialu-ronico ed è importante per far si che il precursore vada a interagire con le cellule dello stroma timico. La cellula T riceve segnali dalle cellule stromali e la cellula, commissionata verso la linea T, si distac-cherà dalle cellule stromali e non avrà bisogno dei loro segnali quindi down-regola l’espressione del CD44. La CD25 sintetizza per la catena α del recettore per l’IL-2 e la catena α del recettore induce segnali di sopravvivenza per produzione di molecole anti apoptotiche per il precursore. Dunque per-mette di continuare la differenziazione. La catena β sintetizzata deve essere valutata per vedere se il riarrangiamento è stato produttivo. Quindi si sintetizza un pre-recettore con le catene leggere surro-gate. La catena β si associa con la catena surrogata pre-T α e nella differenziazione vengono espresse anche le catene che costituiscono il complesso corecettoriale dei recettori dei linfociti T che sono CD3 e le catene ζ (zeta). Il recettore del linfocita T ha bisogno di altre catene che si associano a lui stesso perché presenta porzioni intracitoplasmatiche e che sono troppo piccole per associarsi a tiro-sin-chinasi e trasdurre il segnale. La trasduzione è mediata da altre molecole che si associano al re-cettore. Il recettore delle cellule T è costituito quindi da una catena α e una catena β. Queste mediano tramite le loro regioni variabili il riconoscimento dell’antigene. La porzione intracitoplasmatica di queste catene α e β è troppo corta e non ha sequenze di fosforilazione di tirosina per trasdurre un segnale che attiva geni per produrre proteine e attivarsi. Quindi il recettore si aggrega con altre pro-teine, 3 tipi di catene polipeptidiche diverse che sono le catene γ, ε e δ che vanno a costituire due dimeri e costituiscono il complesso CD3 (fatto dall’associazione di una catena ε con una catena γ, ossia εγ, e dall’associazione di una ε con una δ, ossia εδ). Sulla porzione extracellulare queste mole-cole hanno un dominio immunoglobulinico, che è conservato, quindi tutte le catene ε, γ e δ presen-tano la stessa sequenza amminoacidica. Presenta una porzione idrofobica transmembrana e una coda intracitoplasmatica costruita intorno a 48 residuo amminoacidici, costituito a sua volta da una se-quenza ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif) che contiene una tirosina, due am-minoacidi, tirosina–x–x–leucina (dove x indica un AA non specifico), isoleucina, tirosina. Questo è un dominio ITAM. I residui di tirosina possono essere fosforilati da tirosin-chinasi e si può reclutare nel dominio altre chinasi che si legano alla tirosina fosforilata. Queste si attiveranno e andranno a trasdurre il segnale fino al nucleo.

I linfociti T citotossici si legano alla cellula infettata e secernono nella cellula sostanze, perforine, granzimi che inducono apoptosi. Le sostanze non le ha quando ancora non ha riconosciuto l’anti-gene, ma le sintetizza dopo riconoscimento e la trasduzione serve ad attivare geni prima silenti per produrre queste sostanze, come effetto finale molto semplificato, per eliminare l’antigene. Altre ca-tene importanti sono le catene ζ, che presentano piccola regione (9 AA) nella parte extra cellulare e una lunga coda intracitoplasmatica (90-110 AA e contiene 3 sequenze ITAM). Le catene ζ nel recet-tore funzionale si trovano all’interno della catena α e β del recettore perché sono cariche positive mentre il recettore ha un residuo amminoacidico carico negativamente e sentono il legame dell’an-tigene legato dal recettore. Le catene servono per trasdurre il segnale e a livello della cellula pre-T si esprime già tutto il complesso CD3, εδ, εγ e le catene ζ, insieme alla catena β riarrangiata e alla α è surrogata. Nel prerecettore la dimerizzazione serve a trasdurre un segnale nella cellula pre-T o DN3 e la dimerizzazione è un segnale di sopravvivenza, induce l’esclusione allelica. Induce l’espressione delle molecole CD4 e CD8. Dopo l’espressione di questo pre-recettore da cellula doppio negativa che

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non esprimeva CD4 e CD8 passo a cellula doppio positiva che esprimerà contemporaneamente sia CD4 che CD8 e il segnale trasdotto da questo pre-recettore blocca la sintesi delle catene surrogate PTα perché si è innescato il riarrangiamento della catena leggera α e si avrà una cellula CD4 e CD8 positiva che esprime un recettore α β completo con riarrangiamento della catena leggera α. Se il pre-recettore non viene espresso sulla superficie cellulare prevalgono segnali che inducono la morte cel-lulare e il precursore si ferma. La scelta è di differenziarsi in αβ o γδ quindi dove si decide e perché?

Commissionamento di linea e selezione del repertorio linfocitario

Le cellule αβ devono anche valutare il riarrangiamento delle catene α e β del recettore, ciò ha portato all’espressione di un recettore utile. Un recettore utile è in grado di riconoscere antigeni estranei, non riconosce antigeni self. Dobbiamo valutare ancora quelli che sono i processi di com-missionamento di linea e selezione del repertorio linfocitario. Ma abbiamo già detto che a livello del timo il timocita può scegliere se diventare un linfocita T αβ o T γδ.

La scelta viene effettuata allo stato di doppio negativo 2 (DN2), quando iniziano i riarrangia-menti. Si è visto che iniziano i riarrangiamenti contemporaneamente su 3 loci genici: locus della ca-tena β, locus della catena α e locus della catena δ del TCR. Questi riarrangiamenti porteranno alla coronazione di un segmento V(D)J coniugato con la regione costante. Genereranno contemporanea-mente una catena β, una catena γ e una catena δ. Per quanto riguarda le cellule αβ queste subiranno il primo processo di verifica della produttività del riarrangiamento come un prerecettore tramite una catena β e delle catene sostitutive. Mentre le cellule γδ verificano la loro produttività nel riarrangia-mento come cellule che presentano recettore γδ (non hanno la forma di prerecettore). È noto che questa scelta è determinata dal tipo di segnale e anche in questo contesto i recettori Notch sono cru-cialissimi per determinare la scelta se una cellula diventerà una αβ o γδ. Si è visto che un segnale forte di Notch induce la differenziazione in senso γδ, un segnale debole la differenziazione in senso αβ. Ancora prima dell’intensità del segnale mediato dal recettore γδ o dal recettore catena β riarrangiata in maniera produttiva c’è un fattore di trascrizione che determina la decisione. In particolare è stato visto che è la coppia di interazioni di recettori Notch leganti Notch che influenza il commissiona-mento.

Se Notch 1 lega δ-Like ligand 4 (DLL4) prevarrà la differenziazione dei timociti in senso αβ mentre se verrà espresso un altro recettore della famiglia Notch 3 questo andrà a legarsi a un altro recettore della famiglia Jagged 2 e questo determinerà la differenziazione in senso γδ. I ligandi DLL4, Jagged 2 e Jagged 1 sono espressi costitutivamente dalle cellule dello stroma timico della corticale timica. Però i recettori Notch non sono espressi costitutivamente, ma la cellula staminale ematopoie-tica sembra che esprima Notch 1, Notch 2 ma non esprime Notch 3; la cellula staminale è pluripo-tente quando ha soltanto Notch 1 di questi due recettori della famiglia Notch che sono coinvolti nel commissionamento e può legarsi a ligandi (δ2, Jagged 2 o 1). Questa interazione Notch 1 DLL4 può indurre la differenziazione sia αβ che γδ. Poi questa interazione fa si che il signaling di Notch intra-cellulare faccia esprimere sui timociti anche Notch e quindi può andarsi a legare a sua volta sui suoi

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ligandi presenti sulle cellule stromali. Più va avanti la maturazione più avremo un maggiore livello di espressione del ligando di Notch 3 e quindi questo potrà interagire con recettore Jagged e stimolare la differenziazione in senso γδ. È importante il signaling di Notch per determinare il commissiona-mento; ma anche quale cellula riesce a riarrangiare in maniera produttiva prima un recettore sulla superfice cellulare, perché i recettori servono per commissionare la linea cellulare αβ o γδ ma poi è importante che la cellula esprima un pre-recettore e questo recettore viene variato se il riarrangia-mento è produttivo può continuare la maturazione oppure se non è produttivo o prova altri riarran-giamenti o viene indotto a morte. Il signaling di Notch e l’espressione del recettore sulla superfice cellulare fanno si che questi timociti in maturazione possano essere direzionati verso la linea αβ o γδ. In realtà abbiamo visto che i γδ sono una piccola percentuale quindi nel timo prevalentemente si differenziano αβ. Questo lo spieghiamo sulla base del fatto che mentre le cellule γδ per esprimere un recettore che valuti il corretto riarrangiamento devono sintetizzare sia loci per la catena γ che δ, i linfociti T αβ esprimono un prerecettore costituito solo dal riarrangiamento della catena β. I precur-sori che si riarrangiano verso la linea αβ sono favoriti devono fare riarrangiamento produttivo solo sul locus della catena β del recettore e quindi esprimono prima il recettore αβ rispetto ai γδ. Se hanno correttamente riarrangiato la catena β viene stimolato il riarrangiamento della catena α e quando si riarrangia la catena α dato che contiene segmenti genici della catena δ in quel caso poi le cellule non hanno più possibilità di riarrangiarsi in senso γδ. L interazione iniziale tra timociti e i suoi ligandi: Notch 1 con Jagged 1 può indurre αβ γδ e questa interazione induce l espressione di Notch 3 che se interagisce con il suo ligando Jagged 2 sposta la differenziazione in senso γδ. Se non riesce a interagire favorisce la differenziazione αβ. Sulla base di quale cellule riescono a innescare il riarrangiamento produttivo dei segmenti per la catena β o per la catena γ avremo di nuovo il condizionamento pre-valente, se la cellula è in grado di segnali di sopravvivenza verrà impedito il riarrangiamento delle cellule in senso γδ se invece riuscirà a riarrangiare in maniera produttiva le catene γ e δ prima che il precursore riesca a riarrangiare la catena β allora la cellula si differenzia in γδ.

Anche in questo contesto di nuovo interviene il segnale che trasduce questo recettore nei γδ o prerecettore nei αβ. È importante per continuare il commissionamento: un segnale forte (perché co-munque il TCR γδ è un TCR che è costituito da entrambe le catene) favorisce la differenziazione in senso γδ, invece un segnale debole innesca un riarrangiamento in senso αβ. Queste differenziazioni nel timo avvengono in compartimenti ben definiti, la cellula doppio negativa la ritroviamo nella giun-zione cortico-midollare, poi iniziano la migrazione verso la regione sottocapsulare del timo. In questi stadi iniziali l’unica cosa che noi vediamo è un espansione clonale del timocita del precursore precoce delle cellule T. A livello della regione subcapsulare della porzione corticale del timo avviano i riar-rangiamenti, diventano DN4 esprimono il prerecettore e queste cellule continuano a migrare verso la midollare. La migrazione dei precursori verso la midollare è importante perché a livello della cor-ticale ci sono cellule stromali timiche mentre nella midollare troviamo sia macrofagi che cellule den-dritiche non soltanto cellule epiteliali, le quali poi vedremo esprimono una caratteristica peculiare. Quindi entrano nella corticale, vanno verso la regione subcapsulare e da li migrano verso la midol-lare. Durante questo percorso dalla subcapsulare alla midollare, i timociti vanno incontro al processo di selezione e commissionamento.

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Selezione I timociti doppio positivi cominciano ad interagire con le cellule epiteliali della corticale timica

per decidere se diventeranno CD4 o CD8. La cellula doppio positiva, che ha riarrangiato corretta-mente in maniera produttiva il recettore ed esprime contemporaneamente le molecole CD4 e CD8, potrà subire diversi destini:

– potrà avere riarrangiato un recettore αβ che non è in grado di interagire per niente con le molecole MHC presenti a livello delle cellule epiteliali della midollare. Tutte quelle cellule che hanno costruito un recettore che non è in grado di interagire con le molecole MHC sia di classe I che di classe II presentato dalle cellule epiteliali midollari vengono indotte a morte, poiché non riconoscendo il complesso MHC non sono utili.

– Tutte quelle cellule che hanno recettori che riconoscono il complesso MHC peptide, presentato dalle cellule epiteliali della midollare, con una bassa avidità vengono salvate.

– Le cellule che riconoscono il complesso MHC con elevata affinità vengono indotte a morte tramite apoptosi.

Un primo stadio di selezione sia negativa che positiva la subiscono a livello di cellula doppio positiva. Poi queste cellule migrano verso la midollare timica.

Selezione negativa A livello della midollare subiscono un altro step di selezione negativa, tutte le cellule che prose-

guono verso la midollare possono interagire ancora una volta con i complessi MHC peptide ma que-ste cellule esprimono un fattore di trascrizione autoimmune regulator (AIRE) che fa si che degli an-tigeni tessuto specifici (ad esempio l’insulina prodotta dalle cellule del pancreas che ha una produ-zione tissutale specifica) vengano comunque espressi a livello delle cellule epiteliali timiche. Altri-menti i nostri linfociti in maturazione verrebbero selezionati esclusivamente per degli antigeni self ubiquitari che si trovano a livello del timo, ma per gli antigeni che non si trovano nel timo avremo delle cellule ignoranti non sappiamo se sono cross reattive o meno verso l’antigene self. Fa sì che durante la maturazione timica le cellule T verifichino se sono reattive verso particolari tipi di antigeni self che però sono espressi soltanto in dei tessuti periferici che non hanno accesso, se non fosse per il fattore di trascrizione, a livello del timo. Tutti quei linfociti T che riconoscono i complessi MHC peptide self periferico (espresso sotto la base della regolazione di questo fattore di trascrizione) quelli che hanno bassa affinità vengono salvati dalla morte per apoptosi, quelli che lo riconoscono con un elevata avidità, similmente a quanto avviene a livello della corticale, vanno incontro a morte cellulare per apoptosi. A livello del timo io seleziono le cellule per antigeni self ubiquitari la cui espressione è presente sia a livello dei tessuti periferici sia a livello del timo per piccole molecole che arrivano dalla circolazione a livello del timo ma anche per degli antigeni che sono espressi esclusivamente in peri-feria grazie a questo autoimmune regulator, infatti quando ci sono deficit che questo fattore di tra-scrizione non funziona a livello del timo non ho la selezione verso antigeni periferici e posso avere nel mio repertorio linfocitario cellule che cross reagiscono verso il self. La carenza di questo fattore di trascrizione porta delle malattie endocrine sistemiche. Questo fattore di trascrizione è espresso soprattutto a livello delle cellule epiteliali solo della midollare e non della corticale. A livello della

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midollare intervengono nei processi di selezione negativa, definita anche tolleranza centrale, le cellule dendritiche e i macrofagi. In questo contesto di riconoscimento del complesso MHC peptide avviene anche l’interazione con la molecola CD4 e CD8 cellule che sono doppio positive.

Selezione positiva

Sono stati formulati due modelli: un modello probabilistico o stocastico diceva che le cellule T CD4 positive e CD8 positive che riconoscono sulla cellula epiteliale midollare il complesso MHC peptide, la molecola cd4 interagisce con MHC di classe seconda, si differenziano in cellule CD4 po-sitive. Quelle cellule che invece riconoscono complessi MHC peptidi presentati da MHC di classe prima diventano cellule CD8 positive. Era basato sulla probabilità: se una cellula si lega ad un com-plesso MHC di classe prima peptide e quindi il TCR interagisce con una molecola MHC di classe 1 questa poi si svilupperà in una molecola CD8 positiva; se il recettore interagisce con un complesso MHC di classe seconda si differenzierà in cellula CD4 positiva. Questo modello è abolito perché si dovrebbe avere un 50 e 50 di probabilità di differenziamento in CD4 e CD8 ma noi abbiamo 65% di CD4 positive e 35% di CD8 positive.

È stato quindi ben presto sostituito dal modello istruttivo o educativo: la cellula in base all’in-terazione decide in cosa differenziarsi. L’interazione del CD4 con MHC 2 che determina un tipo di segnale all’interno della cellula che farà decidere se diventare CD4 o CD8. Si è visto che non è tanto il fatto che CD8 riconosce MHC di classe prima che determina la differenziazione in senso CD8, ma è proprio il segnale che CD4 e CD8 trasducono all’interno della cellula che determina se quella cellula diventerà singolo positiva CD4 o CD8 e quindi perderà una delle due espressioni.

È stato dimostrato costruendo dei recettori dimerici se la porzione extracellulare della molecola CD8 immettiamo la coda intra citoplasmatica della molecola CD4 vediamo che il recettore dimerico diventa CD4, la porzione citoplasmatica si lega a delle tirosin-chinasi in particolare alle LCK che determina la differenziazione, e si è visto che la porzione intra citoplasmatica della molecola CD4 attiva in maniera forte la tirosin-chinasi LCK e questo induce la differenziazione in senso CD4. Men-tre la porzione intra citoplasmatica della molecola CD8 riesce ad attivare debolmente LCK e quindi la cellula diventa CD8 positiva. Questo segnale è legato al fatto che durante la loro progressione que-ste cellule doppio positive inizialmente esprimono livelli di CD4 e CD8 equivalenti in seguito la mo-lecola CD4 viene espressa ad alti livelli e cd8 viene espressa a bassi livelli. Da una parte CD4 attiva fortemente LCK, ma anche il livello di espressione del recettore influenza l’entità del segnale tra-smesso all’interno. Oltre a LCK sono anche importanti anche in questo contesto i fattori di trascri-zione che vengono indotti. Non è tanto l’interazione ma il differente segnale che le due molecole riescono a trasdurre all’interno della cellula a determinare la differenziazione. Il commissionamento è legato a questo segnale. C’è un’altra ipotesi: sembra che quando CD4 interagisce con TCR il segnale continua nel tempo con CD8 il segnale finisce immediatamente, è stato ipotizzato che possa essere coinvolta l’IL-7.

A livello del timo le cellule che hanno una elevata affinità per il complesso MHC peptide si svi-luppano in cellule T regolatorie o vanno in apoptosi (selezione negativa). Queste cellule sono CD4 positive, CD25 positive e sono FoxP3 positive, ruolo positivo nelle malattie autoimmuni controllano l’attivazione incontrollata dei linfociti T verso antigeni self. Le cellule della midollare timica sono

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coinvolte nella selezione negativa, nella corticale selezione positiva e in parte negativa, solo le cellule epiteliali determinano la selezione, mentre nella midollare sono coinvolte nella selezione negativa anche le cellule dendritiche e i macrofagi. L’interazione dei timociti con queste cellule innesca dei segnali di sopravvivenza nei timociti che altrimenti morirebbero.

Attivazione e differenziazione dei linfociti T

Sia le risposte umorali, sia le risposte cellulo-mediate, comunque hanno come evento cardine l’espansione clonale delle cellule specifiche. Perché è importante l’espansione clonale delle cellule specifiche? Perché voi considerate che, quando escono dal timo, le cellule T, sia CD4 che CD8, una su ogni 105-106 cellule, è specifica per l’antigene, quindi c’è una bassa percentuale di cellule specifiche. Mentre invece successivamente al riconoscimento dell’antigene specifico, sia come cellule effettrici che come cellule della memoria, noi avremo una cellula, per quanto riguarda i CD8, da 3 a 10 cellule specifiche per quell’antigene, quindi aumenta enormemente la rappresentazione di tali cellule effet-trici e della memoria presenti per quell’antigene. La fase più importante è quella dell’espansione clo-nale, quindi quella della generazione di un gran numero di cellule T effettrici, che possono eliminare l’antigene e che poi restino come cellule della memoria, già specifiche per quell’antigene, quindi in grado di attivarsi rapidamente ed in maniera specifica per quell’antigene; mentre una cellula che non ha mai incontrato l’antigene impiega molto più tempo a sviluppare meccanismi effettori. Considerate che ci vogliono 7-10 giorni ad una cellula T naïve per indurre meccanismi effettori per contrastare quell’antigene, mentre nell’arco di 3 giorni la cellula della memoria già è attiva ed in grado di contra-stare l’infezione, quindi questo è molto importante, la generazione di quelle cellule specifiche. E que-sta espansione clonale è mediata dal riconoscimento dell’antigene, quindi una risposta immunitaria, in questa immagine è rappresentata una risposta immunitaria cellulo mediata, ma la stessa immagine, le stesse fasi caratterizzano la risposta immunitaria umorale, la risposta può essere suddivisa in di-verse parti, quindi:

1) riconoscimento dell’antigene; 2) attivazione della cellula T; 3) espansione clonale della cellula T, che come vi dicevo è l’elemento cruciale per far sì che

poi di differenzi una risposta sia umorale sia cellulo mediata; 4) generazione di cellule effettrici in grado di eradicare l’infezione microbica e la genera-

zione di cellule della memoria.

Questo lo ritroviamo sia per quanto riguarda il CD4 che il CD8.

L’espansione clonale come potete vedere è sempre scatenata dal riconoscimento del complesso MHC-peptide da parte del recettore del linfocita T, ma questo solo riconoscimento non è sufficiente a scatenate l’attivazione dei linfociti T, servono anche altre molecole, ed in particolare dei segnali accessori sia legati alle molecole corecettoriali, sia alle molecole costimolatorie, che a loro volta tutti questi segnali, queste interazioni tra la cellula presentante l’antigene e il linfocita, indurrà la produ-zione di mediatori solubili che andando a legarsi a recettori sulla cellula T ne andranno a determinare l’espansione clonale e la differenziazione in cellula effettrice.

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Quindi iniziamo a valutare quali sono queste interazioni tra il linfocita T e la cellula presentante l’antigene, che poi sono importanti nel determinare lo sviluppo della risposta immunitaria.

Innanzitutto prima di valutare queste interazioni, come si muovono queste cellule per indurre una risposta immunitaria?

Le cellule T mature escono dal timo e ricircolano continuamente attraverso gli organi linfoidi secondari, quindi linfonodi e la milza, alla ricerca, vanno a sorvegliare gli antigeni che vanno in questi organi. Quindi alla milza arriveranno prevalentemente antigeni dalla circolazione sanguigna, mentre a livello dei linfonodi arriveranno invece antigeni che sono penetrati attraverso la cute e sono quindi trasportati agli organi linfoidi. Quindi i linfociti continuamente entrano attraverso le cellule dell’epi-telio presenti a livello per esempio della corticale del linfonodo e qui verificano se sono presenti per-ché portati dalla circolazione sanguigna, oppure dalle cellule presentanti l’antigene a livello dell’or-gano linfoide secondario, antigeni estranei verso cui sono specifici, verso cui hanno recettori per l’antigene. Se il linfocita T presenta un recettore specifico per l’antigene, resterà localizzato a livello dell’organo linfoide, o nel linfonodo o nella milza, e si attiverà il processo di attivazione linfocitaria e di differenziazione di cellule T. se invece la cellula T non riconosce antigeni nell’organi linfoide, in quanto non ha recettore specifico per l’antigene, riesce dal linfonodo, va in circolo e prosegue la sua ricircolazione. Quindi continuamente le cellule T che hanno maturato a livello del timo, vanno in circolo, entrano a livello degli organi linfoidi a valutare se sono presenti antigeni estranei.

Se come vi dicevo è presente l’antigene estraneo allora la cellula si differenzia in cellula effettrice e in cellula della memoria, però a livello dell’organo linfoide avviene sola la differenziazione dalla cellula T naïve alla cellula T effettrice, che può essere CD4 o CD8, ma l’eliminazione dell’antigene avviene a livello dei tessuti periferici. Quindi questa cellula differenziata a livello dell’organo linfoide, poi va in circolo, acquisisce quindi caratteristiche che fanno sì che piuttosto che migrare verso gli organi linfoidi secondari, la facciano migrare verso i tessuti periferici e localizzarsi in queste sedi, in modo che a livello di quel tessuto infetto, va di nuovo, quindi c’è una seconda fase di riconoscimento dell’antigene, attivazione delle cellula effettrice, la quale però a questo punto presenta tutti i mecca-nismi necessari per eliminare quel tipo di antigene; il CD8 andrà ad uccidere la cellula infettata dal virus, CD4 invece prevalentemente produrrà citochine che coadiuvano l’azione del fagocita o del linfocita stesso, e quindi i T effettori soprattutto migrano a livello dei tessuti infetti ed eradicano l’antigene, quindi l’attivazione e la differenziazione avviene a livello degli organi linfoidi nella risposta immunitaria sia umorale sia cellulo-mediata, l’eliminazione dell’antigene avviene a livello dei tessuti infetti per migrazione delle cellule T effettrici in queste sedi.

Nel caso della risposta immunitaria umorale non saranno le cellule effettrici che migrano ma sarà il loro prodotto, quindi anticorpi nella forma secreta, che raggiungono tessuti e sedi di infezioni, riconoscono l’antigene e innescano i meccanismi di eliminazione dell’antigene.

Quindi tutte queste fasi, ad uno ad uno, a partire dal riconoscimento dell’antigene, che andremo a valutare in dettaglio, fino ai meccanismi di eliminazione del microrganismo.

Per quanto riguarda una panoramica delle cellule che andremo ad analizzare nel proseguo, come linfociti T effettori ne esistono:

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Linfociti T CD8 sono linfociti T naïve, quando riconoscono l’antigene e si differenziano diven-tano linfociti T citotossici e la loro funzione principale è quella di uccidere le cellule infettate dal virus o da batterî intracellulari che però siano fuoriusciti dal fagosoma e quindi si trovino localizzati all’in-terno del citosol.

Mentre le cellule CD4 come avevamo accennato possono differenziarsi in diverse sottopopola-zioni, TH1, TH2 e TH17, che sono coinvolti nell’eliminazione di differenti tipi di patogeni; cellule T helper follicolari che hanno la funzione di coadiuvare la differenziazione delle cellule B a livello del follicolo, e sono diciamo uno stipite che è peculiare ma può avere le caratteristiche dei TH1 e dei TH2 per quanto riguarda la produzione delle citochine, però si trova esclusivamente a livello dei follicoli degli organi linfoidi; poi ci sono le cellule CD4 regolatorie, di cui una popolazione di sviluppa a livello del timo, mentre alcune si differenziano in periferia, e loro hanno la funzione di controllare l’attiva-zione delle cellule T, soprattutto vero antigeni self.

Tra le cellule TH1, TH2 e TH17, le TH1 sono principalmente coinvolte nell’eliminazione di microbi che vengono internalizzati dai macrofagi e riescono a sfuggire all’eliminazione da parte del macro-fago; le cellule TH2 come vedremo sono prevalentemente coinvolte nelle infezioni di elminti e paras-siti; le cellule TH17 sono prevalentemente coinvolte nelle eliminazioni di batterî extra cellulari o fun-ghi. Quindi ognuna è coinvolta nella risoluzione di particolari tipi di infezioni, dalle quali sono anche stimolate.

Come si avvia una risposta immunitaria? È importante che le cellule naïve che escono dal timo migrino verso gli organi linfoidi; quando arrivano all’interno del linfonodo, le cellule T vanno ad interagire con le cellule presentanti l’antigene ed inizialmente l’interazione che avviene tra queste due cellule è un’interazione non specifica tra molecole di adesione che sono i ligandi delle molecole di adesione espressi sulla cellula presentante l’antigene e sulla cellula T. quindi inizialmente la cellula T per valutare se il suo TCR, se il suo recettore, è specifico per il complesso MHC peptide, che esprime quella cellula presentante l’antigene, interagisce tramite l’integrina LFA1 che va a riconoscere il suo ligando che è ICAM 1. La cellula presentante l’antigene oltre esprimere il ICAM 1 esprime altre mo-lecole di adesione, che sono ICAM 2, il IC-sign e il CD58, che possono interagire con in rispettivi ligandi che sono CD2 e il ICAM 3, LFA1 può legare sia ICAM 1 che ICAM 2 sulla cellula presentante l’antigene. Questa prima interazione è importante perché il recettore per i linfociti T deve andare a riconoscere il complesso MHC peptide, però questa interazione tra il recettore dei linfociti T e la molecola MHC peptide è un’interazione a bassa affinità, quindi serve che le due cellule siano tenute in contatto tra di loro per far sì che il recettore possa andare ad interagire con il complesso MHC peptide.

Che cosa succede? Succede che se questo recettore dei linfociti T è specifico per il complesso MHC peptide, questo invierà un segnale all’interno della cellula che modifica il TCR ed andrà a mo-dificare l’affinità dell’integrina LFA1 per ICAM 1, ed indurrà una trasduzione del segnale che farà sì che LFA1 diventerà più affine per ICAM 1, quindi le due cellule vengono mantenute attaccate tra di loro in adesione, perché poi devono avvenire tutta un’ulteriore serie di interazioni tra ligandi e recet-tori affinché il linfociti T possa attivarsi.

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Se invece questo recettore dei linfociti T non è specifico per il complesso MHC peptide non trasdurrà all’interno della cellula nessun segnale quindi questa interazione è un’interazione abba-stanza debole e le due cellule si distaccheranno quindi il linfocita T proseguirà la sua ricircolazione tra il sangue, la linfa e gli organi linfoidi per valutare la presenza di antigeni estranei. Se invece l’in-terazione, prevede un recettore specifico, per aumentata affinità di LFA1 per ICAM 1 le due cellule restano adese tra di loro.

Prima di vedere il processo di attivazione, vi ricordo un attimo come è fatto il complesso TCR e come agisce con la molecola del complesso maggiore di istocompatibilità. Le catene α e β del recettore dei linfociti T presentano una regione ammino terminale variabile, all’interno di questi dominî Vα e Vβ sono presenti tre regioni che vengono definite regioni ipervariabili e vengono anche definite re-gioni che determinano la complementarietà (CDR) e sono nel linfocita T, nella catena β ce ne sono addirittura quattro, però la quarta regione non è importante nell’interazione con il complesso MHC peptide ma interagisce con una porzione esterna del complesso MHC, è importante nell’attivazione dei super-antigeni, quindi diciamo che non è coinvolta nell’attivazione di antigeni presentati da mo-lecole MHC di classe I o di classe II. Quindi queste tre CDR – CDR1, CDR2 e CDR3 – sono le regioni ipervariabili, vi ricordate che le avete viste sulle immunoglobuline, dove sono sulla struttura del do-minio queste CDR?

Come si descrive un dominio immunoglobulinico? Un dominio immunoglobulinico è costituito da circa 110 residui amminoacidici, questi 110 residui amminoacidi, a 60, tra di loro, presentano due residui di cisteina che servono per stabilire legami disolfuro intracatena. Questi 110 residui ammi-noacidici si ripiegano a formare una struttura di strisce β antiparallele, questi nastri β sono legati tra di loro dà delle anse, nella regione variabile amminoterminale, queste anse (che ne ritroviamo 3 nel dominio Vα e 3 nel dominio Vβ), sono le anse che contengono le regioni ipervariabili, o anche CDR, e in queste anse ci sono 10 residui amminoacidici che variano tra un recettore e l’altro, che determi-nano la variabilità del repertorio anticorpale. Quindi 10 residui amminoacidici si differenzieranno da un recettore all’altro e determineranno la specificità di quel recettore per quel determinato anti-gene piuttosto che un altro.

Come si generano questi residui amminoacidici variabili? Grazie ai processi di ricombinazione e in particolare a livello della CDR3 è la zona in cui avviene l’aggiunta di nucleotidi N e P. Quindi proprio nella giunzione tra DJ e V(D)J, che si vanno ad aggiungere questi nucleotidi durante la ri-combinazione, questi segmenti V, D e J sono variabili tra un recettore e l’altro; quindi la CDR3 è quella che presenta la maggior variabilità perché è quella che viene ripiegata a livello dei punti di giunzione.

Queste CDR sono importanti perché queste anse sono quelle che sono responsabili del ricono-scimento, in questo caso, del complesso MHC peptide, e in particolare si è visto che un CDR1 del dominio di β e una CDR1 de dominio di α vanno ad interagire con le estremità del peptide legato alla tasca della molecola MHC di classe prima; mentre la CDR2 è soprattutto coinvolta nelle intera-zioni con i residui amminoacidici polimorfi delle α eliche delle MHC; mentre la CDR3 va ad intera-gire proprio con il peptide, proprio a livello della porzione centrale del peptide. Quindi la CDR3 che è quella più variabile è quella che è proprio coinvolta con i residui amminoacidici del peptide che

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sporgono anche dalla tasca della molecola MHC peptide, è quindi la più variabile ma anche la più importante nell’interazione con il peptide che quindi determina poi la specificità del recettore del linfocita T.

Quindi il TCR si posiziona sul complesso MHC peptide in maniera obliqua, in modo da far sì che le CDR1 vadano a riconoscere i residui amminoacidici sulle estremità del peptide, le CDR2 rico-noscano le α eliche delle MHC e la CDR3 si localizzi sopra alla porzione centrale del frammento peptidico legato dalla molecola MHC di classe prima o di classe seconda.

Quindi queste regioni sono importanti perché determinano le regioni variabili del TCR che in-teragiscono con il complesso MHC peptide; il fatto della variabilità sta concentrato nella CDR3 che è quella che poi dall’interazione con la porzione centrale del peptide è importante per far sì che si abbia la massima variabilità dei recettori dei linfociti T, per avere la massima capacità di riconoscere residui amminoacidici che si differenziano anche per un solo residuo amminoacidico. Questo com-plesso MHC peptide poi però non viene riconosciuto esclusivamente dalle catene α e β del complesso recettoriale dei linfociti T, ma viene anche riconosciuto dalle molecole CD4 e CD8.

In particolare il CD4 va a riconoscere MHC-II nella porzione β2, e il contrario per la molecola CD8; anche questa interazione come vedremo è molto importante nell’attivazione, tanto è vero che vedremo che la molecola CD4 e CD8 sono quelli che vengono definiti corecettori perché appunto fanno parte del recettore, non sono direttamente coinvolte nel riconoscimento dell’antigene estra-neo, e quindi non saranno direttamente coinvolti nella specificità del linfocita T, perché non vanno a riconoscere l’antigene, ma riconoscono il complesso antigene MHC, in particolare l’MHC quindi fungono da corecettore per riconoscere il complesso che contiene l’antigene estraneo.

Vedete il CD4 e il CD8 hanno una struttura diversa: il CD4 è un monomero transmembrana, entrambi contengono le catene intracitoplasmatiche che sono costituite da residui amminoacidici basici, poi una regione transmembrana idrofobica e CD4 è costituito da 4 residui immunoglobulinici extracellulari che poi gli ultimi due, quelli amminoterminali, sono quelli coinvolti nell’interazione con l’MHC di classe II. Il CD8 lo possiamo trovare come un omodimero o un eterodimero, quindi lo potremo trovare come α-α oppure come α-β, presenta una sola regione extracellulare, una regione transmembrana e anche in questo caso delle regioni intracitoplasmatiche con residui amminoacidici basici; le regioni intracitoplasmatiche serviranno come regioni di aggancio per la tirosin-chinasi, che poi medieranno la trasduzione del segnale. Questa interazione tra CD4 e CD8 è importante.

Considerate che nell’attivazione del linfocita T sono necessarie tre tipi di interazioni:

1. TCR che va a riconoscere il complesso MHC peptide, questo ne determina la specificità, perché va a riconoscere in maniera specifica l’antigene estraneo;

2. Corecettore CD4/CD8 che va a riconoscere il complesso recettoriale, non mi garantisce la specificità, ma è importante per l’attivazione, senza il corecettore il linfocita T non può attivarsi;

3. E poi, anche se mediante recettore e corecettore posso innescare l’attivazione del linfo-cita T, questa cellula T non induce un’attivazione vera nel linfocita T se mancano un altro gruppo di molecole che vengono definite ligandi delle molecole costimolatorie.

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Quali sono i recettori delle molecole costimolatorie? Sono il CD28 che viene espresso dal linfo-cita T, questo CD28 quando va a riconoscere il ligando sulla cellula presentante l’antigene, mi deter-mina il secondo segnale di attivazione, senza questa seconda interazione tra CD28 e molecole costi-molatorie, il linfocita T anche se riconosce l’antigene verso cui è specifico, non riesce ad attivarsi, quindi ad espandersi clonalmente e differenziarsi in cellule effettrici, ma anzi diventa una cellula anergica, non in grado di rispondere all’antigene anche in qualsivoglia gli venga presentato in asso-ciazione alle molecole costimolatorie.

Quindi per l’attivazione dei linfociti T, quali sono le interazioni tra linfociti T e APC (cellule presentanti l’antigene)?

– Interazione con le integrine che servono per far avvicinare le due cellule e poi il contatto tra queste due cellule sarà necessario affinché la cellula si differenzi in cellula T effettrice;

– TCR con MHC, questo è regolato dalla specificità; – CD4 e CD8 con la rispettiva; – Le molecole costimolatorie che si legano al ligando CD28, le molecole costimolatorie

sono B7-1 e B7-2.

B7-1 e B7-2 prodotte dalle APC, quindi le esprimono le cellule dendritiche, le possono espri-mere i linfociti B e i macrofagi. Però queste 3 APC non le esprimono tutte alla stessa maniera queste molecole costimolatorie:

Le cellule dendritiche esprimono costitutivamente bassi livelli di B7-2 ma non esprimono B7-1, fino a che non riconoscono l’antigene, i macrofagi e linfociti B prima che riconoscono l’antigene non ne esprimono nessuna delle due, quindi particolarmente importanti nell’attivazione dei linfociti T naïve sono le cellule dendritiche; mentre i linfociti T effettori sono meno esigenti, non richiedono le molecole costimolatorie perché sono già specifici per quell’antigene.

Questo secondo meccanismo delle molecole costimolatorie è anche un meccanismo del sistema immunitario perché se ogni qualvolta il linfocita T fosse in grado di attivarsi mediante un complesso MHC peptide, cosa succederebbe siccome le molecole MHC peptide presentano prevalentemente antigeni self? Si potrebbe attivare quando gli vengono presentati antigeni self, quindi andare incontro a risposte immunitarie inappropriate. Quindi il linfocita T naïve richiede questi segnali per far sì che lui si attivi soltanto quando l’APC è stata effettivamente infettata e quindi aumenta l’espressione delle molecole costimolatorie. Questa è una garanzia affinché il linfocita T si attivi solo quando APC è realmente infettata e quindi produce le molecole costimolatorie. Mentre il linfocita T effettore già è specifico per quell’antigene quindi andrà a riconoscere solo l’antigene che proviene dal microrgani-smo che presenta l’antigene estraneo verso cui lui si è già differenziato.

Quando è che vengono espresse le molecole B7-1 e B7-2 dalle APC?

Le cellule dendritiche costitutivamente esprimono B7-2, ma aumentano enormemente la loro espressione quando la cellula APC riconosce il patogeno mediante recettori, ed in particolare un re-cettore molto importante nell’induzione dell’espressione delle molecole costimolatorie, quindi nell’aumentare l’espressione di B7-2 ed indurre quella di B7-1, sono i recettori toll-like.

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Quindi quando la cellula dendritica riconosce con i suoi recettori toll-like il microrganismo av-via una serie di eventi di trasduzione del segnale che, tra le tante cose, fanno aumentare l’espressione delle molecole costimolatorie, quindi in parte il microrganismo stimola l’espressione di queste mo-lecole costimolatorie e quindi i toll-like receptor sono particolarmente importanti nell’indurre l’espressione delle molecole costimolatorie, poi vedremo che ci sono anche altri fattori che poten-ziano l’espressione di queste molecole costimolatorie.

Prima di vedere quali sono gli altri fattori andiamo a vedere le caratteristiche delle molecole costimolatorie: sono una famiglia di molecole che non tutte hanno la funzione attivatoria dei linfociti T, alcune hanno anche un ruolo inibitorio. Quindi B7-1 e B7-2 possono andarsi a legare al recettore CD28 e in questo caso la cellula riceve un segnale di attivazione, di costimolazione dei linfociti T naïve, poi B7-1 e B7-2 possono essere legate da un altro recettore, espresso sulla superficie delle cellule T, che viene definito recettore inibitorio CTLA-4 (Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4), mentre CD28 viene espresso costitutivamente, l’espressione di CTLA-4 viene indotta dall’attivazione stessa, questa molecola che va a legarsi poi a B7-1 e B7-2 non induce l’attivazione del linfocita T, ma invece induce la sua inattivazione. Quindi questa molecola viene indotta nelle fasi tardive della risposta immunita-ria perché in quel caso c’è bisogno che il linfocita T che ha riconosciuto l’antigene e che si è differen-ziato, una volta eliminato l’antigene, viene portato in uno stato quiescente, quindi il sistema immu-nitario viene portato all’omeostasi, quindi è importante nelle fasi tardive per riportare il sistema im-munitario all’omeostasi, quindi impedire l’attivazione continua della cellula T, ma ha anche un ruolo importante quando viene espressa dopo l’attivazione, questa molecola è importante per indurre aner-gia. Perché può indurre anergia? Può indurre anergia perché la molecola CD28 ha un’affinità molto minore per le molecole B7-1 e B7-2 rispetto alla molecola CTLA-4, le quali B7-1 e B7-2 appunto sono circa cinquanta volte più affine alla molecole CTLA-4 rispetto alla molecola CD28.

Quindi quando siamo in presenza di un’infezione, questa infezione stimolerà un aumento dell’espressione delle molecole B7-1 e B7-2 sulla APC, e quindi anche se avessimo contemporanea-mente l’espressione di CTLA-4 e di CD28, un aumento dell’espressione delle molecole B7-1 e B7-2, favorirà l’interazione con CD28, anche perché CTLA-4 viene indotta quindi non ce l’abbiamo costi-tutiva.

Quando invece i livelli di espressione delle molecole B7-1 e B7-2 sono bassi con nel caso di una APC con un antigene self, quindi quando non è stimolata dai toll-like receptor, avrà solo dei bassi livelli di B7-2, in tal caso sarà favorita l’interazione con CTLA-4 perché è molto più affine per la molecola B7-1 e B7-2 rispetto a CD28, quindi questo indurrà un segnale inibitorio di attivazione del linfocita T.

Come fa CTLA-4 ad indurre un segnale inibitorio?

Come vedremo CD28 è legato alle tirosin-chinasi che inducono un’attivazione del segnale ed una trasduzione di geni che saranno importanti anche per l’attivazione e soprattutto inizialmente per l’espansione clonale della cellula T; il CTLA-4 utilizza diversi meccanismi per impedire l’attivazione della cellula T.

Se CTLA-4 si lega alla molecola B7 innanzitutto l’interazione di CTLA-4 con B7 piuttosto che CD28, ha proprio una funzione competitiva, se si lega CTLA-4 a B7 verrà trasdotto il segnale da parte

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di CTLA-4 e sarà impedita la trasduzione di geni per l’attivazione, ma quindi non soltanto per un impegno di B7 da parte di CTLA-4 il recettore CD28 non riesce a trovare il suo ligando sulle cellule T, ma c’è proprio un meccanismo specifico, in particolare si è visto che CTLA-4 rimuove le tirosin-chinasi dalle catene che mediano la trasduzione del segnale da parte del recettore dei linfociti T e ha anche attività fosfatasica verso le tirosin-chinasi presenti nella porzione intracitoplasmatica della mo-lecola CD28, quindi impedisce che venga trasdotto il segnale all’interno della cellula e quindi impe-disce che il linfocita T possa attivarsi. Si è visto poi che CTLA-4 ha anche un meccanismo specifico, che riesca anche a ridurre l’espressione delle molecole B7, ovvero quando è presente CTLA-4 che si lega a B7-1 o B7-2 riduce l’espressione delle molecole B7 sulla cellula APC, quindi se il linfocita T non si lega con B7 non può attivarsi, e quindi utilizza diversi meccanismi per inibire l’attivazione del linfocita T. poi considerate che CTLA-4 ha molte implicazioni terapeutiche, si stanno tentando di-versi approcci utilizzando molecole che impediscono, degli anticorpi anti-CTLA-4, per bloccare l’at-tivazione di questa molecola, quindi per cercare di ripristinare l’attivazione del linfocita T, come nel caso delle cellule tumorali dove appunto il CTLA-4 va ad inibire l’attivazione delle cellule T e quindi le cellule T non possono eliminare le cellule tumorali; soltanto che poi ci sono sempre degli svantaggi, perché se da un lato favoriamo l’attivazione del linfocita T e lo sviluppo delle cellule tumorali, però poi dall’altro bloccando l’attività del CTLA-4 si hanno linfociti T autoreattivi e quindi reazioni au-toimmuni, oppure risposte dei linfociti T verso cellule di trapianto, perché comunque il processo di rigetto è mediato dall’azione dei linfociti T verso le cellule del ricevente. Quindi tante importanti implicazioni però poi bisogna sempre valutare in quanto si rischia l’innesco di altre patologie.

Quando è che vengono indotte queste molecole costimolatorie? Abbiamo detto dopo il ricono-scimento con l’antigene ma anche da altre interazioni, ad esempio la produzione di IL-12 da parte delle APC favorisce l’espressione delle molecole B7, ma anche come vedremo, il linfocita T attivato può andare ad esprimere una molecola, CD40 ligando (CD40L), che se va a legare il CD40 che è costitutivamente espresso nelle cellule APC, questo fa sì che vengano espresse le molecole costimo-latorie.

Quindi l’espressione delle molecole costimolatorie è mediato da:

– Riconoscimento del patogeno da parte dei toll-like receptor – Citochine, IL-12, ma anche l’interferone γ (IFN-γ) – Interazione del CD40L che lo esprimono i linfociti T attivati dall’antigene con CD40

che invece viene espresso costitutivamente dalle APC, quindi la sua espressione è poi modulata.

La modulazione dell’espressione di B7-1 e B7-2 attraverso citochine e CD40L, viene chiamata anche fenomeno di resting, perché fa sì che le APC potenzino la loro attività di costimolazione delle cellule T che altrimenti senza questo segnale non si attiverebbero.

Lo step successivo sarà la trasduzione del segnale mediata da recettori dei linfociti T e dalla mo-lecola costimolatoria.

Le reazioni che devono avvenire tra le cellule presentanti l’antigene e i linfociti T affinché la cellula T possa attivarsi sono innanzi tutto il riconoscimento specifico del complesso MHC peptide dalle catene α e β del recettore del linfocita T.

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Perché le catene α e β? Perché per complesso recettoriale T intendiamo un complesso dove le catene α e β vanno a riconoscere MHC peptide mentre altre molecole che costituiscono il complesso CD3 peptide (cluster di differenziazione) e le catene ζ saranno importanti per trasdurre il segnale all’interno della cellula e contengono quelli che vengono definiti dominî ITAM.

Le catene ζ del TCR o anche il complesso CD3 possono interagire con le catene α e β del recet-tore in quanto il recettore presenta un residuo di lisina ed arginina caricati positivamente nella por-zione trans-membrana idrofobica mentre le catene ζ e le catene CD3 contengono un residuo di acido aspartico caricato negativamente. Questa interazione di carica sarà importante per trasdurre il se-gnale all’interno della cellula.

Poi c’è l’interazione del CD4 con il complesso maggiore di istocompatibilità di classe 2 con il dominio β 2 e poi l’interazione da CD28 a B7-1 e B7-2 dove CD28, CD3 e le catene ζ sono importanti in seno anche al CD4 per la trasduzione del segnale.

Il TCR α e β importante per il riconoscimento dell’antigene poi ci sono tutta una serie di inte-razioni tra altre molecole quali le TIA2 e TIA3 che invece vanno a legare ICAM-1 e ICAM-2 in recettori importanti di adesione cellulare facendo sì che la cellula T e l’APC interagiscano e restino unite tra di loro per un tempo sufficiente per determinare l’attivazione del linfocita T stesso.

Quindi complessivamente abbiamo un primo segnale dato dal TCR al CD4 che determina l’at-tivazione come vedremo in seguito un secondo segnale del CD28 che lega B7-1 e B7-2 e soprattutto la trasduzione del segnale da questo recettore sarà importante per la sopravvivenza delle cellule T-antigene specifiche poi vedremo il processo di tutta un’altra serie di molecole solubili rilasciate dalle cellule presentanti l’antigene che sarà importante per innescare il differenziamento (lo definiamo an-che terzo segnale).

La trasduzione del segnale si origina sempre in seguito all’interazione di un ligando con un re-cettore poi questa trasduzione genera tutta una serie di eventi biochimici intracellulari che portano ad una differente regolazione dell’espressine genica.

Quindi ligando-recettore → attivazione di tirosin-chinasi o serin/treonin chinasi e questa è la fase citosolica della traduzione del segnale e questi eventi hanno la proprietà di andate ad attivare dei fattori di trascrizione i quali migreranno al nucleo → (fase nucleare della trasduzione) qui si avrà la attivazione di geni che prima erano silenti che vengono trascritti e avranno diversi effetti nella cellula: dall’espasione clonale, alla proliferazione,dall’entrata nel ciclo cellulare, all’arresto del ciclo cellulare, alla morte per apoptosi, quindi le conseguenze di questa attivazione genica possono essere molteplici.

Come questo riconoscimento dei linfociti T da parte del TCR, come il complesso MHC peptide trasduce il segnale all’interno della cellula?

In alcuni casi di molecole come le chemochine che sono responsabili soprattutto della migra-zione cellulare o anche nel caso di cellule che secernono granuli all’esterno della cellula, la trasduzione può portare a non avere una fase nucleare ma altera soltanto la struttura del citoscheletro in modo da far migrare la cellula oppure fargli secernere i granuli.

La trasduzione del segnale inoltre può avvenire grazie a dei recettori che nella loro porzione intracitoplasmatica presentano anche le sequenze in grado di andare a trasdurre il segnale, oppure

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può produrre dei recettori che non hanno di per se attività tirosin-chinasica, oppure può essere scar-dinata dal legame con i recettori che si trovano a livello cellulare o può attivarsi grazie ai recettori che sono collegati a delle proteine G legati soprattutto a funzioni quali la migrazione cellulare.

Oppure nel caso dei ligandi di Notch il legame può portare a generazione di un frammento attivo della porzione intracellulare di Notch che trasloca al nucleo e va ad indurre la trascrizione di certi geni che sono quindi sotto la regolazione dello stesso.

Un’altra cosa che va ricordata è che la traduzione del segnale avviene grazie al fatto che vengono fosforilati dei residui di tirosina serina o treonina e quindi sulla base di quale residuo verrà fosforilato avremo delle protein-chinasi che sono specifiche per il residuo fosforilato, avremo quindi diversi tipi di molecole che possono essere tradotte. I residui di tirosina che vengono fosforilati vanno a costi-tuire dei dominî che sono siti di ancoraggio per altre tirosine laterali di enzimi nella cascata di tra-sduzione del segnale.

Per quanto riguarda la trasduzione mediata dal TCR incontreremo tre tipi di famiglie coinvolte nella trasduzione: le chinasi della famiglia SRC, costituite da un dominio con attività chinasica, che quindi può andare a fosforilare a sua volta altre protein-chinasi, poi un dominio definito SH2 costi-tuito da circa 100 residui amminoacidici che possono andare a riconoscere le tirosine quando sono fosforilate quindi si legheranno ad un enzima con un residuo di tirosina fosforilata.

Poi possiedono un dominio SH3 che lega peptidi ricchi in proline, quindi questa famiglia SRC può interagire con peptidi di famiglie differenti,poi hanno un dominio che riesce ad interagire con altre proteine per trasdurre il segnale.

Le chinasi invece della famiglia SYK-chinasi hanno un dominio con attività tirosin-chinasica però presentano dominio di tipo SH2 quindi in grado di reagire solo con enzimi che presentano residui di tirosina fosforilata ma non potrà interagire al contrario delle SRC chinasi con dominî ricchi in residui di prolina.

Poi ci sono le chinasi della famiglia TEC che invece presentano sempre un dominio con attività chinasica e sono quindi importanti per la trasduzione del segnale potendo andare a fosforilare residui di tirosina, presentano anche dominî SH2 e possono quindi interagire con proteine che presentano residui di tirosina fosforilata e anche con peptidi ricchi in prolina. Inoltre hanno un terzo dominio PH con cui possono interagire anche con i lipidi, quindi queste sono le principali famiglie di chinasi che abbiamo nella trasduzione del segnale.

Oltre a queste proteine che hanno attività chinasica ci sono altre famiglie importanti nella fun-zione di trasduzione del segnale e sono le proteine adattatrici, sono quelle proteine che servono per far interagire tra loro diverse proteine che trasducono il segnale all’interno della cellula, vanno cioè a formare quelli che vengono definiti segnalosomi, ovvero complessi dove diverse molecole di tra-sduzione del segnale vengono aggregate tra di loro e attivate in questo complesso per poi avviare una certa trasduzione genica.

Tra le proteine adattatrici noi possiamo trovare proteine che sono inserite nel doppio strato lipidico ed in particolare ricordiamo la proteina LAT attivatore della trasduzione. Questa è una pro-teina trans membrana che si inserisce nel doppio strato lipidico e contiene sempre dei dominî che

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possono essere fosforilati e quindi poi essere in grado di reclutare altre proteine, chinasi che servono per la trasduzione del segnale.

Altre proteine adattatrici sono SLP-76 e GADS che però non hanno dominî con attività china-sica ma hanno invece dei dominî SH2 per fosfotirosina ed SH3 per residui ricchi in prolina. Queste saranno importanti con un’altra proteina adattatrice LAT anch’essa in grado di legarsi tramite do-minio SH2 a questi residui di fosfotirosina.

Ripassate quelle che sono le caratteristiche generali delle molecole che trasducono il segnale ve-diamo ora cosa succede nel linfocita T.

Il TCR tramite la molecola CD4, tramite le catene del complesso CD3 e le catene ζ trasduce il segnale all’interno della cellula per poi imboccare una delle tre vie di trasduzione del segnale.

Ma non soltanto il TCR trasduce il segnale all’interno della cellula ma anche CD28 che andrà a legarsi a B7-1 e B7-2 ed anche lei contiene delle proteine adattatrici ed una fosfatidilinositolo-3-chinasi, anch’essa una proteina tirosin-chinasi che contiene una porzione in grado di piegarsi, ed anche loro per ora diciamo sono coinvolte nella trasduzione del segnale. Questo per far vedere il quadro generale.

Le tre vie di trasduzione sono una mediata dalla fosfolipasi C-γ-1, una mediata dallo ione calcio e l’ultima mediata dall’attivazione delle proteine G tramite CR2 e SOS che attiva le proteine RAS che porta quindi poi all’espressione di un particolare fattore di trascrizione.

Ma il recettore che va a legare il ligando come fa a trasdurre il segnale all’interno della cellula? ci sono due meccanismi principali: o perche c’è un cross-linking quindi più recettori si aggregano tra di loro e questo fa si che venga trasdotto all’interno della cellula un segnale, oppure c’è un cambia-mento conformazionale del recettore con conseguente cambiamento strutturale nella porzione in-tracellulare del recettore stesso e questo innesca la trasduzione del segnale.

Per quanto riguarda però i linfociti T l’ipotesi del cross-linking non è possibile perche il TCR va a riconoscere i complessi MHC peptide, ma questi complessi sono poco rappresentati sulla cellula presentante l’antigene quindi la probabilità che un TCR vada a legarsi a più complessi MHC peptidi vicini non è sostenibile.

Quindi ad ora l’ipotesi più accreditata è che ci sia un cambiamento conformazionale del recet-tore stesso. Questo cambiamento conformazionale fa si che una tirosin-chinasi della famiglia SRC che viene definita LC-K associata alla coda citoplasmatica della molecola CD4 (o CD8 nei linfociti B) venga attivata. Un’ipotesi sull’attivazione di questa molecola oltre al cambiamento conformazionale riguarda l’interazione con una tirosin fosfatasi, la CD45, che andrebbe a rimuovere i gruppi fosfato che inattivano (chiudono) LC-K, rendendola in conformazione aperta, in grado quindi di fosforilare le catene di tirosina presenti in CD3 e ζ.

Comunque in seguito al’interazione del TCR con l’MHC peptide e CD4 con complesso sempre MHC peptide LCK viene quindi attivata, e una volta che viene attivata questa va a fosforilare le tiro-sine presenti nelle sequenze che sono presenti nelle ICAM, presenti in CD3 e ζ.

In questo senso la trasduzione del segnale da parte delle TCR può essere modulata perché a seconda di quanti residui di tirosina va a fosforilare l’intensità del segnale può essere maggiore o

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minore. Le tirosin-chinasi poi che vanno a legarsi a questi residui di tirosina devono riconoscere almeno due residui di tirosina fosforilati. Una volta fosforilati questi diventano siti di ancoraggio per una tirosinchinasi della famiglia Syk-chinasi, ZAP70 che presenta dominî di tipo SH2 quindi in gradi di interagire con residui ti tirosina se fosforilatied è proprio la sequenza di questi 100 amminoacidi che costituiscono il dominio SH2 che va a stabilire la specificità dell’interazione. Una volta che ZAP70 si lega a questi residui di fosfotirosina anche lei diventa bersaglio dell’attività tirosinchinasica di LCK che quindi va a fosforilare anche ZAP70. ZAP70 è la molecola cruciale per la trasduzione del segnale nei linfociti T, infatti una volta attivata va a fosforilare i residui di tirosina presenti sulla porzione citoplasmatica della proteina adattatrice LAT, la quale a sua volta da fosforilata diventa sito di anco-raggio e richiamo per altre proteine adattatrici, può quindi determinare l’interazione di diverse pro-teine, in particolare la fosfolipasi C-γ-1, la quale una volta legata a LAT verrà anch’essa fosforilata da ZAP70, attivandola, ma anche altre proteine adattatrici, GRB2 e SOS.

In questa maniera quindi abbiamo attivato la fosfolipasi C, C-γ-1 che poi parteciperà ad una via di trasduzione del segnale mediante un suo specifico fattore di trascrizione che poi vedremo, e abbiamo inoltre attivato la via delle RAS-MAP-chinasi attraverso il reclutamento di GRB2 e SOS. Questa prima serie di eventi di trasduzione del segnale fa si che in questa zona della cellula venga a formarsi quella che viene definita sinapsi immunologica. La sinapsi immunologica è una zona dove la cellula presentante l’antigene ed il linfocita T sono a stretto contatto tra di loro. Nella zona centrale di quest’ultima, che viene definita c-SMAC, la distanza tra queste due cellule è di 20 nm, mentre la porzione laterale di 40 nm. Quindi le due cellule sono in stretto contatto tra loro e questo sarà im-portante negli stadi successivi perché l’attività dei linfociti T-helper o T-citotossici è mediata dal ri-lascio di citochine per il T-helper o dal rilascio di granuli citotossici che contengono perforina e granzimi da parte dei linfociti T-citotossici e questa zona di contatto fa sì che queste molecole ven-gano direzionate specificatamente verso la cellula bersaglio e non vada ad interagire con altre cellule circostanti, serve quindi affinché le molecole vengano mandate solo alla cellula bersaglio.

Infatti le citochine non sono altamente specifiche e per questo il fatto che vengano secrete pro-prio nella zona di contatto dell’antigene fa si che la loro azione venga indirizzata solo verso la cellula bersaglio e non vada a finire su una cellula non infettata da un antigene vicina.

Un altro elemento importante della sinapsi è che avvicina i recettori che devono andare ad in-teragire con i rispettivi ligandi della cellula presentante l’antigene, favorendo anche la formazione di quello che viene definito segnalosoma, ovvero una zona dove sono concentrate le molecole che poi tradurranno un segnale all’interno della cellula, rendendo quindi il riconoscimento più efficace. Le tirosin-chinasi che si fosforilano potrebbero stare lontane, quindi sono necessari meccanismi che portano in stretta vicinanza tra di loro queste molecole in modo che una possa andare a fosforilare l’altra e questo avviene sia grazie appunto a queste sinapsi immunologiche sia all’attività del citosche-letro cellulare, in grado di muovere le proteine dentro la cellula e quindi di avvicinarle rendendo possibile la fosforilazione.

La sinapsi immunologica però presenta una caratteristica peculiare: all’interno della zona cen-trale prevalentemente noi troveremo recettori dei linfociti T per il complesso MHC peptide, CD4 che

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si andrà a legare a MHC-II, CD28 e quindi a B7-1 e B7-2, mentre la porzione più esterna,quella defi-nita p-SMAC, vedrà invece interazione tra integrine LFA-1 e ICAM-1, LFA-3 e ICAM-2 quindi le molecole proprie vengono portate all’interno della sinapsi,mente le molecole coinvolte esclusiva-mente nell’adesione cellulare vengono portate verso l’esterno della sinapsi.

Un’altra caratteristica della sinapsi immunologica è anche la composizione chimica della mem-brana, costituita da cosiddetti RAFT lipidici, molto ricca quindi in colesterolo e sfingolipidi, RAFT lipidici che sono proprio come delle zattere di trasduzione del segnale, ricchi di recettori importanti per trasdurre il segnale all’interno della cellula. Quindi i segnali inviati dal TCR sono importanti per iniziare la trasduzione del segnale e anche per costruire questa sinapsi immunologica.

Quindi continuano gli eventi di fosforilazione: RAS e GTP, GRB2 e SOS vanno ad attivare RAS-GDP con una proteina di scambio, proteine che normalmente si trovano slegate al GDP ed in forma inattiva per diventare attive una volta legate al GTP diventano attive, queste proteine presentano anche un dominio che le fa ancorare alla membrana plasmatica.

Quindi quando RAS grazie all’attività di GRB2 e SOS viene attivata diventa RAS-GDP ed andrà ad attivare un’altra volta delle proteine di scambio, in particolare RAF, quindi questa proteina, sem-pre di scambi GTP-GDP andrà a fosforilare la proteina MEK-1 una proteina delle MAP (maptogene activating protein) chinasi, con la funzione di andare a fosforilare questa volta non la tirosina ma serina e treonina di ERK-1 ed ERK-2. ERK-1 ed ERK-2 andranno ad attivare dei fattori di trascri-zione che porterà a numerose risposte cellulari. Le ERK attivano questo fattore di trascrizione detto ELK sempre per fosforilazione, il quale quindi trasloca al nucleo ed avvia la trascrizione del gene FOS. FOS da solo però non costituisce un fattore di trascrizione, è un protoncogene, per attivarsi deve coniugarsi con un’altra proteina, C-JUN fosforilato, che si ottiene sempre mediante l’attivazione di SOS e GRB2 della proteina 7 di scambio GTP-GDP RAC. Ovvero RAC-GDP viene attivata in RAC-GTP la quale attiva un altro membro della famiglia delle MAP-chinasi, JNK.

JNK va ad attivare il fattore trascrizionale citosolico JUN, il quale fosforilato trasloca come detto nel nucleo dove si associa a FOS, il complesso FOS-JUN è il primo fattore di trascrizione cruciale per la azione trascrizionale dei linfociti T, AP-1.

Un’altra via che veniva attivata era quella della fosfolipasi-c-γ1. Questa va a scindere il fosfatidil-inositolo 1-4-5 trifosfato (PIP3) in diacil-glicerolo (DAG) e inositolo trifosfato (IP3). L’inositolo tri-fosfato va a stimolare il reticolo endoplasmatico a rilasciare ioni calcio mentre il diacil glicerolo attiva la protein-chinasi C, la quale normalmente va a fosforilare la tirosina di proteine attivandole.

La protein-chinasi C va in particolare a fosforilare il fattore IKB che insieme alle proteine REL va a costituire il fattore di trascrizione NFKB, inattivo a livello del citosol, ma grazie alla protein-chinasi C questa va a fosforilare questo fattore IKB in tirosina, cosi da diventare substrato per le molecole di ubiquitina, lo vanno cioè ad ubichinare e lo portano nell’autosoma per la sua degrada-zione, la molecola di IKB fosforilata viene così scissa dalle molecole REL, questa scissione fa sì che le REL nuovamente libere scoprano un sito di traslocazione nucleare, traslocando così a livello del nu-cleo, per andarsi a legare sulla sequenza promotrice dei geni che verranno trascritti in seguito all’at-tivazione di T.

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L’ultimo fattore di trascrizione è il fattore NFAT, anche lui a livello citoplasmatico viene attivato grazie all’interazione del calcio con la calmodulina, che si lega alla calcineurina e questa va a defosfo-rilare una serina, facendo sì che divenga scoperta la sequenza di traslocazione nucleare, così anch’essa trasloca nel nucleo e va a legarsi alle sequenze promotrici dei suoi geni specifici attivandone la tra-scrizione.

Una delle prime molecole che verrà trascritta in seguito alla trasduzione del segnale è il gene dell’interleuchina 2, quindi tutta questa serie di eventi di trasduzione del segnale porta all’attivazione di geni che erano silenti.

Anche CD28 attiva la trasduzione del segnale tramite due protein-chinasi, PI3K e AKT, che sono responsabili soprattutto della sopravvivenza cellulare, vanno cioè ad indurre la trascrizione di geni in funzione anti-apoptotica, inoltre aumenta anche la stabilità dell’RNA messaggero per l’IL-2. Infine aiuta il differenziamento dei linfociti T in cellule della memoria e in T effettori.

Quindi quali sono le molecole che l’attivazione di T va a trascrivere? Cosa succede cioè dopo la trasduzione del segnale? In base ai geni che si attiveranno dipenderà il destino del linfocita T.

Una delle prime cose a succedere è la trascrizione di c-Fos, importante per legarsi a JUN, for-mando il complesso AP-1 che si lega ai promotori dei geni dell’interleuchina 2.

Poi a partire da 2 ore con un massimo intorno alle 8-12 ore viene trascritta l’interleuchina 2, una citochina. Poi sempre tra le 12 e le 24 ore viene indotta l’espressione della molecola CD69 e sempre nelle prime 24 ore viene sintetizzata anche IL-2Rα (catena α del recettore dell’IL-2).

Quindi le prime molecole ad essere sintetizzate sono l’interleuchina 2 ed il suo recettore.

CD69 invece è una molecola importante per la ritenzione dei linfociti a livello linfonodale: va a legarsi infatti al recettore S1PR1, che è il recettore per la sfingosina-1-fosfato e questo legame che si viene a formare porta ad una down-regolazione di questo recettore, che se attivo tenderebbe a far spostare la cellula verso una maggior concentrazione di sfingosina 1 fosfato, presente in bassa con-centrazione nei linfonodi. Quindi un’inattivazione di questo recettore mi porta ad uno stanziamento dei linfociti nei linfonodi fino ad un completo differenziamento cellulare.

Ma anche il recettore per l’interleuchina 2 è ugualmente importante perché normalmente le cel-lule T-naïve esprimono un recettore con una costante di dissociazione di 109 con quindi una bassa affinità. Questo recettore a bassa affinità è presente nel linfocita T quiescente che quindi può legare l’IL-2 che viene prodotta, però solo in caso di elevate concentrazioni di IL-2, quindi la cellula è poco reattiva.

In seguito all’attivazione viene sintetizzata la catena α di questo recettore, che di per sé ha una bassa affinità, ma si associa al recettore βγ costituendo un complesso recettoriale αβγ con una co-stante di dissociazione di 10−11, quindi un’elevata affinità per IL-2, facendo sì che anche concentra-zioni bassissime di IL-2 riescono a stimolare la cellula. Questo meccanismo di controllo fa si che solo le cellule che hanno riconosciuto l’antigene essendo le uniche con la catena α diventino maggior-mente responsive alla concentrazione di IL-2.

Poi viene sintetizzato il CD40L (importante per le funzioni effettrici della cellula T), con un picco di espressione tra le 24 e le 48 ore e solo dopo 5-6 giorni viene sintetizzata la molecola CTLA-

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4 che è il recettore che può legarsi a B7-1 e B7-2 con funzione inibitoria e non attivatoria. A questo punto la cellula va soprattutto incontro a divisione cellulare e differenziazione a cellula effettrice.

Quali sono le funzioni dell’IL-2? Scatenerà le fasi successive della differenziazione di T.

Innanzitutto induce espansione clonale. Come fa? Facendo entrare le cellule in fase G0 alla fase G1 grazie all’innesco di espressione di cicline e inibisce l’espressione di p-27 e molecole simili che inibiscono il ciclo cellulare.

È importante anche per la sopravvivenza delle cellule T siccome aumenta l’espressione delle proteine anti apoptotiche BCL-2 e BCL-6, e questa è la sua funzione principale, soprattutto nei lin-fociti T regolatori.

Altre funzioni sono anche indurre l’espansione clonale dei linfociti B (non correlata quindi all’attivazione di T), indurre espansione clonale delle cellula NK (natural killer) ovvero le cellule dell’immunità innata e indurre l’espressione di citochine quali l’IFN-γ e l’IL-4 importanti per indurre il segnale 3 dell’attivazione dei linfociti T.

Se manca il CD28 la cellula va in anergia o muore di apoptosi, ma perché? Perché non può più sintetizzare le molecole antiapoptotiche. Questo è il ruolo principale del CD28.

Quindi il seguito all’attivazione di questa risposta primaria si ha la fase di espansione clonale, ovvero si riproducono in seguito alla prima stimolazione antigenica e si riscontra dopo 7 giorni, poi si ha un calo dove si avviano anche le T effetrici con una riduzione di espansione clonale con l’intro-duzione anche di cellule della memoria che sopravviveranno per lungo tempo nell’organismo. I 7 giorni sono necessari per l’attivazione e l’espansione clonale e poi per la generazione successiva di cellule della memoria.

Le cellule T CD4+ in quali sottopopolazioni possono differenziarsi? A seconda del tipo di anti-gene in tre importanti popolazioni: CD4+ TH1, CD4+ TH2 e CD4+ TH17.

La scoperta di questa differenziazione dei CD4 è importante per l’immunologia siccome si sa-peva che a seconda del tipo di microrganismo si sviluppava un certi tipo di risposta cellulo-mediata ma non si sapeva il motivo, questa scoperta determina la specificità di una risposta cellulo-mediata.

Il microrganismo è in grado di stimolare una risposta cellulo-mediata chimica caratteristica che è anche la piu appropriata per eliminarlo. I microrganismi intracellulari sono soprattutto importanti nel mediare la differenziazione delle cellule T helper generiche in TH1. Cosa fanno le TH1? Pratica-mente producono IFN-γ e queste cellule collaboreranno quindi nella eliminazione dei microorgani-smi attivando i macrofagi o producendo anticorpi con funzione opsonizzante e quindi che favori-scono la fagocitosi.

Microrganismi e parassiti come gli artropodi inducono differenziazione in senso TH2, a loro volta caratterizzate dalla produzione di IL-4, IL-5 e IL-13 e dato che la funzione de T-helper è “aiu-tare” altre cellule questi aiuteranno i linfociti B a produrre anticorpi, soprattutto IgG.

Poi grazie all’IL-5 i TH2 favoriranno l’attivazione e la differenziazione dei mastociti e degli eosi-nofili. Mastociti, eosinofili ed anticorpi IgE sono i meccanismi immunitari piu efficaci per eliminare i parassiti, troppo grossi per essere fagocitati dai macrofagi, per questo i TH1 non sarebbero efficenti.

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L’ultima popolazione di T effettori che si può differenziare da una cellula T-CD4 è quella dei T helper 17. Questi si differenziano soprattutto in caso di batterî extracellulari o di funghi, con un ruolo patogenetico soprattutto nell’autoimmunità organo-genetica specifica come le malattie infiammato-rie intestinali e queste cooperano soprattutto con i neutrofili e con i monociti quindi la loro funzione sarà di attivare questi tipi cellulari.

Ma in che modo i cosiddetti TH0 (pre-differenziazione) decidono in che senso differenziarsi? Che fattori lo determinano?

I fattori che determinano sono soprattutto intanto il tipo di microrganismo: a seconda del tipo di infezione avrò una differenziazione in un determinato senso. Ma come? Grazie alla stimolazione e produzione di citochine: se ho IFN-γ e IL-12 le cellule si differenzieranno in senso TH1, se invece IL-4 in senso TH2, mentre TGF-β, IL-1β, IL-6 e IL-21 avrò una differenziazione in senso TH17.

Quindi le citochine sono elementi che inducono il commissionamento della cellula CD4 naïve in un senso di differenziazione. Ma sono coinvolti anche fattori di trascrizione attivati dalle citochine ed i cambiamenti epigenetici a livello dei geni delle citochine, responsabili della differenziazione nelle diverse popolazioni. Sono poi differenziati anche dall’espressione di particolari recettori, quindi per ogni linea differenziativa dobbiamo sapere il tipo di microrganismo e quindi le citochine prodotte, poi quali sono i fattori di trascrizione che vengono attivati in che modo (cambiamenti epigenetici) e poi anche le molecole di superficie.

Infine le molecole prodotte, in quanto le citochine prodotte (IFN-γ, introdossina, TNF per TH1; IL-4, IL-5, IL-13 per il TH2; IL-17, IL-22, IL-26 il TH17) poi saranno responsabili delle diverse fun-zioni. Anche i recettori sono importanti perché definiranno il diverso comportamento e la diversa migrazione nei vari siti delle diverse popolazioni.

Come avviene la differenziazione? Bisogna ricordarsi che in realtà in un primo momento la dif-ferenziazione da TH0 è in 5 popolazioni: TH1, TH2, TH17, TH regolatori, TH follicolari.

A questo stadio parliamo dei primi tre perché sono quelli coinvolti nell’eliminazione dei vari tipi di infezione. I TH follicolari (TFH) li considereremo nell’immunità umorale. I TH regolatori hanno la funzione di regolare l’attivazione delle cellule T e quindi li prenderemo in considerazione quando parleremo della tolleranza.

Questo processo di differenziazione possiamo dividerlo in tre parti: una prima fase di induzione, una fase di indirizzamento o commissionamento e una fase di amplificazione.

La prima fase è quella che avviene nella attivazione del linfocita T: la cellula dendritica riconosce l’antigene attraverso i suoi recettori e lo presenta al T naïve. A seconda della cellula dendritica che presenta l’antigene e dal tipo di microrganismo presentato verranno prodotte delle citochine speci-fiche, cruciali per determinare l’induzione.

Le cellule dendritiche principali sono le convenzionali e plasmacitoidi. Le convenzionali rico-noscono soprattutto batterî extra- ed intracellulari ed esprimono elevati livelli di toll-like receptor, diversi TLR sulla loro superficie e anche TLR intracitoplasmatici a livello dei fagolisosomi. Le pla-smacitoidi invece sono importanti nella mediazione delle risposte infiammatorie, e rispetto alle con-venzionali esprimono livelli molto piu elevati di recettori toll-like, in particolare 3, 7, 8 e 9 a livello

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dei lisosomi. Questi recettori sono importanti per il riconoscimento di virus e microbi intracellulari, importanti questi nella risposta virale invece che infiammatoria.

Ci sono diverse popolazioni che non descriviamo ma che si differenziano per quantità e per il tipo di recettori che esprimono e per le citochine che producono.

È importante anche se il microrganismo è riconosciuto da altri tipi cellulari, come le cellule na-tural killer, grandi produttrici di IFN-γ, e quindi se il microrganismo è riconosciuto contemporanea-mente dalla cellula presentante l’antigene e anche dalle NK avremo citochine prodotte dalla DC in particolare IL-12 e citochine prodotte da NK come IFN-γ, quindi avremo un microambiente diffe-rente.

Un altro elemento che condiziona la risposta al microrganismo è il suo assetto genetico, quindi varia anche radicalmente da individuo ad individuo per il microrganismo.

Il patogeno può essere riconosciuto anche da basofili e mastociti, i basofili producono IFN-γ e i mastociti invece IL-4, quindi se il microrganismo viene riconosciuto contemporaneamente da ma-stociti e DC abbiamo un microambiente, se invece viene riconosciuto da NK e DC il microambiente formato sarà diverso.

Queste citochine una volta prodotte cosa fanno? Innanzi tutto il riconoscimento dell’antigene da parte del TCR induce una cascata di eventi di trasduzione del segnale che portano alla produzione di citochine. Poi a loro volta le citochine prodotte in questa prima fase vanno a legarsi a dei recettori espressi sulla superficie cellulare che attivano a loro volta la trascrizione, quindi inducono a loro volta la produzione di determinate citochine. Questa produzione di citochine indotta dalle citochine “pri-marie” e dai segnali del TCR va ad indirizzare la popolazione verso una determinata differenziazione.

Se ad esempio verrà prodotto IFN-γ le mie cellule prenderanno la differenziazione irreversibil-mente verso TH1 se invece prodotto prevalentemente IL-4 prenderanno la differenziazione TH2 quindi poi la quantità di citochina prodotta mano a mano va a indurre il condizionamento definitivo verso una determinata linea.

Le citochine quindi commissionano l’indirizzamento verso una determinata popolazione. A queste citochine vanno aggiunte pero anche le modificazioni epigenetiche ovvero quelle modifica-zioni della struttura della cromatina che fanno si che vengano trascritti i geni specifici per quella popolazione in cui mi sto specializzando mentre vengano resi inaccessibili i geni che codificano per citochine per altre sottopopolazioni.

Così produco solo le citochine che condizionano verso una linea differenziativa specifica.

Quali possono essere le modificazioni della cromatina che favoriscono l’espressione genica, per-ché la struttura della cromatina può influenzare l’espressione genica? Perché la struttura troppo com-patta non permette l’attacco del tutto il macchinario di trascrizione mentre una struttura aperta lo permette. E quali sono le modificazioni agli istoni che possono favorire o meno questa aggredibilità? L’acetilazione (aggiunge residui carichi positivamente, facendo staccare l’istone dal DNA carico ne-gativamente), la deacetilazione (il contrario) e la metilazione (può avere duplici ruoli, un gene me-tilato può diventare più o meno trascrivibile rispetto al gene non metilato, non ha quindi un ruolo

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assoluto). Queste modificazioni sono anche mantenute durante le divisioni cellulari, quindi vengono mantenute anche nelle cellule figlie.

Le alterazioni epigenetiche sono quindi cruciali per la differenziazione del T naïve.

Vediamo ora le citochine e i fattori di trascrizione coinvolti nella differenziazione in senso TH1: batterî intracellulari, parassiti come la leishmania o virus vengono riconosciuti dalle DC e queste grazie al riconoscimento tramite TLR di superficie attivano la trasduzione del segnale ed iniziano a secernere IL-12.

Questi tipi di microrganismi possono stimolare anche le cellule NK che produrranno IFN-γ. E quindi entrambi potrebbero andarsi a legare sulla cellula T naïve (attivata, quindi con i processi de-scritti prima in corso). Le cellule T naïve non riescono ancora a produrre IFN-γ, quindi l’IFN-γ pro-dotto dalle cellule NK che hanno riconosciuto un antigene va a legarsi sulle cellule T naïve e questo legame induce una dimerizzazione del recettore con attivazione delle JAK-chinasi i quali poi attivano il fattore di trascrizione STAT-1. STAT-1 poi trasloca nel nucleo e qui va ad attivare il fattore di trascrizione T-bet, cruciale per la differenziazione in senso TH1. Contemporaneamente l’IL-12 pro-dotta dalle cellule presentanti l’antigene si lega al suo recettore sulla superficie cellulare e pero nor-malmente per la cellula T naïve il recettore per l’IL-2 è costituito da due catene, α e β, la catena β espressa costitutivamente, la catena α usata come accettore per l’IL-12 viene prodotta dall’attivazione, quindi tra gli eventi, tra le proteine che l’attivazione del linfocita T fa trascrivere tramite i segnali del TCR c’è anche la catena α del recettore per l’IL-2. L’IL-12 anche questa attiva attraverso una via JAK; JAK e STAT e deve però attivare il fattore di trascrizione STAT-4. STAT-4 a sua volta induce l’espressione di T-bet e dell’IFN-γ: quindi sia tramite l’IFN-γ che l’IL-12 la cellula T produce IFN-γ, importante per la differenziazione in senso TH1. Poi a sua volta l’IFN-γ prodotto dalle cellule T in differenziazione fungerà da amplificazione, ovvero facendo sì che a questo punto la cellula si auto stimoli a continuare irreversibilmente la differenziazione in senso TH1 sfruttando il proprio IFN-γ.

T-bet non è però importante solo per questo motivo, ma anche perché va ad indurre delle mo-dificazioni della cromatina rendendo accessibili i geni che codificano per l’IFN-γ, trascrivibili, inoltre va ad indurre alterazioni della cromatina a livello dei geni che sintetizzano le citochine coinvolte nella differenziazione delle altre popolazioni (TH2 e TH17). Questo fattore è cruciale grazie a questo doppio ruolo.

Gli stimoli che inducono l’IL-12 sono: innanzi tutto il riconoscimento del microbo da parte dei recettori delle cellule presentanti l’antigene, poi l’IFN-γ con il suo legame con il recettore di superficie della DC stimola la produzione della IL-12 e un’altra interazione importante che induce la produ-zione della IL-12 è quella tra CD40 e il CD40L. Il CD40L è espresso solo in seguito alla attivazione del linfocita T, tra le 24 e 48 ore. Tutti questi sono segnali che potenziano la produzione della IL-12.

Anche la differenziazione in senso TH2 è sempre condizionata da citochine, fattori di trascrizioni e modificazioni epigenetiche (acetilazione de acetilazione degli istoni) e quindi se il microrganismo è un artropode o un allergene (antigene ambientale) non avremo un attivazione di risposta immuni-taria innata, quindi senza produzione di IL-12 e IFN-γ quindi il TH0 non potrà andare a differenziarsi in TH1 ma si troverà in un microambiente ricco di IL-4, prodotta dai linfociti T in seguito alla pro-duzione di IL-2 inoltre viene prodotta a bassi livelli anche da mastociti ed eosinofili. Quindi l’IL-4 si

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legherà al suo recettore e andrà a stimolare l’espressione del fattore di trascrizione STAT-6 che in-durrà la produzione di IL-4.

Non si sa se siano proprio i segnali del TCR che lo inducono ma per la differenziazione dei TH2 è importante anche l’attivazione del fattore di trascrizione GATA-3 che a sua volta va a legarsi alla regione cromatica dell’interleuchina 4 quindi viene prodotta ancora più IL-4 e anche in questo caso quindi come per i TH1 abbiamo una amplificazione che porta ad un’auto sostentamento della diffe-renziazione in senso TH2 una volta iniziata. L’ultimo elemento importante è quindi GATA-3 per quanto riguarda la modificazione epigenetica. Va a modificare la struttura dei geni che codificano per IL-4 rendendola aperta mentre va a rendere inaccessibili i geni per l’IFN-γ. Inoltre va anche ad inibire l’espressione della catena α per l’IL-12impedendo la differenziazione in senso TH1.

Queste cellule TH2 quindi produrranno diverse citochine: IL-4, IL-5, IL-13 che saranno poi re-sponsabili delle loro funzioni cellulari effettrici.

Cellule T effettrici

Differenziaziamento TH1, TH2 e TH17

TH1 e TH2

L’IFN-γ (interferone γ) e l’IL-12 (interleuchina 12) sono le due citochine cruciali per la diffe-renziazione in senso TH1 e L’IFN-γ inoltre impedisce la differenziazione in senso TH2. Le due cito-chine agiscono legandosi ai recettori: L’IFN-γ ha bisogno di una dimerizzazione del recettore per trasdurre il segnale all’interno della cellula e va ad attivare il fattore di trascrizione STAT-1 che a sua volta attiva il fattore di trascrizione chiave per la differenziazione in senso TH1 che è il T-bet. Come distinguiamo le cellule TH1 dalle TH2? Dalle citochine che vengono prodotte dalle cellule presentanti l’antigene L’IFN-γ e IL-12, che sono le stesse poi prodotte dalle TH1 e i fattori di trascrizione STAT-1 e T-bet. T-bet è quello che determina la polarizzazione definitiva TH1 in quanto è lo stesso fattore di trascrizione che contemporaneamente:

1. altera, modificandola epigeneticamente, la struttura dei geni del IFN-γ facendo si che vengano mantenuti accessibili per una trascrizione. Il ruolo più importante di T-bet è infatti quello di aumentare l’espressione di IFN-γ

2. rende inaccessibili con una conformazione della cromatina compatta i geni che codifi-cano per l’IL-4 che è una citochina importante nella differenziazione in senso TH2. Di-minuisce anche la trascrizione della IL-5.

L’altra citochina importante è l’IL-12 che ha un recettore dimerico con 2 subunità differenti: β1 che viene espresso nelle cellule T e β2 che viene indotto in seguito all’attivazione, in particolare la subunità β2 viene a sua volta indotta dal T-bet. Quindi T-bet modula anche l’espressione dei recettori per l’IL-12. Una volta che l’IL-12 può legarsi al recettore questa va ad attivare il fattore di trascrizione STAT-4 che a sua volta induce l’espressione di IFN-γ. In questo contesto avremo quindi aumento di IFN-γ indotto da T-bet e STAT-4 e riduzione di IL-4 e IL-5 che determinano la differenziazione in

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senso TH1 e impediscono quella in senso TH2 grazie a T-bet che impedisce la trascrizione dei geni per IL-4 e IL-5.

L’IL-4 insieme ai segnali indotti dal TCR attiva STAT-6 il quale induce l’espressione di GATA-3 la quale attiva la trascrizione dell’IL-4 e dell’IL-5 mentre down-regola la trascrizione di IFN-γ. GATA-3 poi si autoamplifica perché viene anche trascritto da IL-4 e dai segnali TCR stesso. Il TCR è il recettore transmembrana dei linfociti che riconosce gli antigeni presentati dal complesso MHC: il segnale del TCR è anche importante per indurre il fattore di trascrizione c-Maf che a sua volta va ad indurre l’espressione dell’IL-4. Quindi tramite GATA-3 e c-Maf si ha una amplificazione della produzione dell’IL-4 che poi autoamplifica la differenziazione polarizzando definitivamente le cellule in senso TH2. GATA-3 similmente a T-bet va a modificare epigeneticamente la cromatina rendendo i geni per l’IL-4 trascrivibili mentre quelli per IFN-γ no. GATA-3 induce inoltre una down-regola-zione dell’espressione sia dell’IL-12 che del suo recettore facendo in modo che le cellule non siano più responsive a questa citochina prodotta dalle cellule dendritiche: questo fa sì che sia abbia una polarizzazione in senso TH2, oppure in prevalenza di IFN-γ e IL-12 in senso TH1. Questi non sono però i segnali esclusivi che determinano la differenziazione ma altri fattori la influenzano: questi sono la quantità di antigene e la sequenza dell’antigene.

Se la quantità di antigene è bassa questo determina una differenziazione in senso TH2 perché il segnale trasdotto è debole. Un peptide generato da un antigene che formi con il complesso MHC un determinante che interagisce con il recettore dei linfociti T (TCR) con una bassa affinità, induce sem-pre una differenziazione in senso TH2. Quando invece la concentrazione dell’antigene è alta allora sulla superficie del linfocita ci saranno molteplici complessi MHC-peptide e questo porterà alla tra-sduzione di un segnale forte intracellulare che indurrà la differenziazione in senso TH1: per quanto riguarda la sequenza dell’antigene, se l’affinità tra il complesso MHC-peptide e il recettore dei linfo-citi è alta si avrà una differenziazione TH1.

Anche la via di penetrazione dell’antigene è importante: si è visto che alcuni antigeni classifi-cati come antigeni per il differenziamento TH1 se somministrati attraverso la mucosa sottile del pol-mone possono indurre un TH2 (esempio: micobatterio). Questo perché a seconda delle cellule den-dritiche gli APC che vanno a riconoscere questo organismo determinano un microambiente di cito-chine che si riflette sulla differenziazione di una popolazione invece che un’altra. Anche il patrimonio genico dell’organismo stimola un tipo di differenziazione invece che un altro. Quindi insieme al tipo di citochine prodotte dall’antigene anche la quantità, sequenza e via di presentazione dell’antigene sono importanti nell’indurre un tipo di differenziamento.

Un altro fattore per la modulazione della differenziazione T-helper, ma non l’unico (questi altri non sono ancora conosciutissimi, WNT e mTOR), è anche Notch e i suoi ligandi. Per quanto riguarda Notch sappiamo che il lipopolisaccaride della parete dei batterî gram negativi (ed altri patogeni) può andare a stimolare, quando viene riconosciuto dai toll-like receptors, l’espressione dei ligandi di Notch, δ-like ligand 1 e δ-Like ligand 4 sulla cellula presentante l’antigene. L’espressione di questi ligandi va a legarsi ai recettori Notch espressi sulla superficie cellulare e vengono attivate delle metallo proteasi e presenilina che clivano Notch in questo dominio transmembrana generando una porzione intracitoplasmatica che può andare a migrare a livello del nucleo: questo frammento attivo si va ad

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associare ai membri attivi del fattore di trascrizione NFKB, a P50 e P65 che sono le proteine REL. Legandosi a queste proteine Notch va ad attivare i geni che sintetizzano IFN-γ. La produzione di IFN-γ quindi è stimolata dallo stesso (via STAT-1 e T-bet) e dal frammento attivo di Notch che agisce in favore di un differenziamento TH1. Si pensa che Notch possa andare a stimolare la produzione di IFN-γ anche in modo indiretto favorendo l’esocitosi dei granuli ma non si hanno conoscenza defini-tive al riguardo. Notch può stimolare anche la differenziazione di TH2 quando interagisce con i li-gandi Jagged-1 e Jagged-2 la cui comparsa è determinata da alcuni antigeni specifici. In queste inte-razioni quindi (i recettori Notch sono quattro membri 1-2-3-4) i ligandi δ-like1 e δ-like4 attivano preferenzialmente sulle cellule TH0 Notch-3 che è importante nell’attivazione dei geni per IFN-γ, mentre i ligandi Jagged-1 e Jagged-2 (la cui comparsa è stimolata da alcuni parassiti) vi è l’attivazione di Notch-1 e 2. Anche nel caso dei ligandi Jagged, Notch subisce un clivaggio proteolitico da parte di metallo proteasi e presenilina ed il frammento attivo si lega al fattore RBPJ il quale insieme a un cofattore attiva l’esone-1-a di GATA3 inducendone la trascrizione. GATA-3 determina polarizza-zione in senso TH2.

(I recettori Notch sono importanti anche per la differenziazione delle cellule T a livello del timo, condizionano il commissionamento αβ e γδ.)

I CD4+ possono andare a differenziarsi in 5 sottopopolazioni: TH1, TH2, TH17 che sono diretta-mente coinvolte nell’eliminazione del patogeno mentre T-regolatori sono coinvolti nel regolare l’at-tivazione dei linfociti T e quindi evitare che si sviluppino malattie autoimmuni, e T-helper follicolari sono cruciali per la differenziazione delle cellule B a livello del follicolo nel linfonodo e sono quindi importanti nelle risposte umorali.

TH17

La differenziazione in senso TH17 è mediata soprattutto da batterî extracellulari o funghi: questi vengono riconosciuti dalle cellule dendritiche ed in particolare sembra che nell’attivazione di queste cellule da parte di questi fattori sia coinvolto un recettore dell’immunità innata, un PRR, che viene definito lectina-1 e appartiene alla famiglia di recettori lectinici di tipo C. A seconda del recettore che riconosce il patogeno verranno prodotte delle citochine differenti: questa lectina-1 fa produrre alle cellule dendritiche IL-6 e IL-1 e l’aumento della concentrazione di queste interleuchine dipende an-che dal fatto che la cellula dendritica non scatena una reazione immunitaria innata che produce IL-12, quindi ci troveremo in un microambiente costituito prevalentemente da IL-2 che la producono i linfociti T attivati, IL-1 e IL-6.

È importante anche un’altra citochina (prodotta da cellule ancora non note) che è il fattore di crescita trasformante β, il TGF-β. Questo fattore, in presenza di IL-6 e IL-1 (che sono citochine pro-infiammatorie), induce la polarizzazione in senso TH17. In assenza di queste citochine invece induce la differenziazione di cellule T-regolatrici attivando il fattore di trascrizione FOX-P3: le cellule T-regolatorie produrranno prevalentemente IL-10 e TGF-β che sono anche definite citochine con atti-vità immuno soppressiva perché sopprimono la funzione di altre cellule. Come avviene la differen-ziazione in senso TH17? L’IL-1 e anche la 6 va a legarsi ai suoi recettori espressi sulla superfice cellulare e induce una cascata di eventi di trasduzione del segnale mediata sempre dalle Janus-chinasi (JAK) e dai membri STAT. In particolare STAT-3 va a legarsi al promotore per il gene della IL-21. Il TGF-β

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invece trasduce i segnali che vanno ad attivare il fattore di trascrizione ROR-γ-T: ROR fa parte dei recettori per l’acido retinoico e questa isoforma γ è espressa in particolare sulla cellule T. ROR-γ-T induce l’espressione dell’IL-21. TGF-β è importante perché impedisce la differenziazione in senso TH1 e TH2. L’IL-21 va a creare un circuito di autoamplificazione (come IL-4 e IFN-γ): va a legarsi ai suoi recettori espressi sulla cellula T in differenziazione e potenzia la differenziazione in senso TH17. Per questo tipo di differenziazione è importante anche l’IL-23 anche se ancora non si sa bene se sia più coinvolta nell’espansione del numero di cellule piuttosto che proprio nell’indurre la differenzia-zione. Queste cellule saranno poi caratterizzate dalla produzione di IL-17 e IL-22, le citochine che saranno poi responsabili delle loro funzioni effettrici. Quindi IL-1, IL-6 e TGF-β insieme alla IL-21 e IL-23 vanno ad attivare STAT-3 e ROR-γ-T che inducono la differenziazione in senso TH17.

Il microambiente di citochine prodotte condiziona il tipo di differenziazione: nel caso di TH2 producono IL-4 (solo questa interleuchina è importante per la stessa differenziazione), IL-5, IL-13, ma anche in particolare l’IL-10 che svolge un ruolo inibitorio nella differenziazione in senso TH1 insieme al TGF-β prodotto dalle cellule T-regolatorie. Mentre TH1 producono IFN-γ che inibisce la differenziazione in senso TH2 con i meccanismi che abbiamo descritto. L’IL-4 e l’IFN-γ insieme ini-biscono la differenziazione in senso TH17. Non c’è un passaggio netto dal TH0 al TH1, TH2 e TH17.

Ci sono altre sottopopolazioni di cellule T-regolatorie definite TR1-3 le quali sono indotte dalla presenza di IL-10 e producono citochine immunosoppressorie ma delle quali non si conosce ancora bene la via di differenziazione.

Una volta che si sono differenziate le cellule T-effettrici, sempre grazie all’attivazione dei fattori di trascrizione, vanno a modificare il loro spettro di espressione delle molecole che si trovano sulla superficie perché mentre le cellule T-naïve hanno come obiettivo quello di andare nei linfonodi alla ricerca dell’antigene estraneo verso il quale hanno il recettore specifico, le cellule T-effettrici vanno nei tessuti periferici per riconoscere l’antigene estraneo che ha innescato la loro attivazione a livello degli organi linfoidi eliminandolo in queste sedi. Quindi i linfociti T-effettori innanzitutto modifi-cheranno l’espressione dello spettro dei recettori per le chemochine, i linfociti T vergini naïve espri-meranno soprattutto il CCR-7 e L-selectina che gli permetterà di essere attirati a livello degli organi linfoidi mentre le cellule T-effettrici esprimeranno soprattutto integrine con una maggiore affinità (tipo la LFA-1) e molecole di adesione come VLA-4 che si lega a ICAM-1. Queste integrine e mole-cole di adesione faranno si che la cellula T migrerà preferenzialmente verso i tessuti infettati attra-versando l’epitelio vascolare periferico: avendo perso l’espressione di CCR-7 e L-selectina non mi-greranno invece negli organi linfoidi secondari o centrali. Un’altra molecola di cui cambiano l’espres-sione e che ci permette di distinguere alcune cellule T-effettori da altre cellule T della memoria o da quelle vergini è la molecola CD45. In particolare quelle vergini esprimono una isoforma CD45RA+ mentre le effettrici esprimono l’isoforma CD45RO+.

Quindi come cambia il livello di espressione nelle cellule T naïve che diventano T-effettrici?

– La cellula T naïve esprime la L-selectina mentre la cellula T-effettrice attivata non la esprime più

– VLA-4 non era espresso sulle cellule T-naïve mentre è presente sulle T-effettrici attivate

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– LFA-1 era espressa sulle cellule T-naïve (abbiamo visto che LFA-1 era anche la prima interazione tra T e le APC durante l’attivazione) e viene espressa di più sulle cellule T attivate

– CD2 è un’altra molecola di adesione importante per l’adesione tra T e APC il cui livello di espressione aumenta

– CD4 recettore viene mantenuto – CD44 che si lega all’acido ialuronico, interazione importante tra le cellule dei tessuti

infiammati e cellule T attivate, viene espresso di più – CD45RA si trova sulle naïve, mentre la isoforma CD45RO sulle T-effettrici – S1PR1 è un recettore per la sfingosina-1-fosfato importante perché trattiene le cellule T

a livello dei linfonodi e viene espresso di più nelle cellule T naïve. S1PR1 si lega all’anti-gene CD69 che viene espresso in seguito all’attivazione ed in questo modo viene down-regolato permettendo alle cellule T di rimanere nei linfonodi. Quando CD69 è poco presente si hanno più S1PR1 che migrano nelle zone più ricche di sfingosina-1-fosfato ovvero a livello periferico.

Differenziamento citotossiche

Per quanto riguarda la differenziazione CTL quando escono dal timo le cellule CD8+ ancora non hanno acquisito la capacità funzionale e non sono in grado di uccidere la cellula infettata dal virus o la cellula tumorale. Questa capacità la acquisiscono in seguito alla differenziazione, in seguito al ri-conoscimento dell’antigene estraneo. Quando si attivano i CD8? I CD4 riconoscono il complesso MHC-peptide con MHC di tipo II: gli antigeni presentati dal MHC-II sono dei microrganismi che sono stati endocitati tramite fagocitosi, pinocitosi o endocitosi mediata da recettori. Le cellule CD8 riconoscono antigeni associati a MHC di tipo I, ovvero cellule APC che sono state infettate (mecca-nismo cross priming dove le APC internalizzano l’agente estraneo e poi lo processano per presentare gli antigeni) o anche frammenti peptidici di proteine intracellulari neosintetizzate dai virus che sfrut-tano l’apparato neosintetico della cellula oppure frammenti peptidici di proteine self che sono state trasformate in tumorali oppure possono essere dei batterî extracellulari internalizzati dagli endosomi che però fuoriescono dall’endosoma e si trovano nel citosol. Quindi associati all’ MHC di classe I troviamo frammenti di antigeni proteici che si trovano nel citosol e MHC-I è riconosciuto dalle CD8 che ha recettore di dominio α3. Gli antigeni che si trovano nel compartimento extracellulare sono spinti ad associarsi con MHC-II riconosciuto dalle CD4. Un virus può infettare qualsiasi cellula nu-cleata e la cellula che presenta l’antigene a CD8 sarà sempre una cellula presentante l’antigene che possiamo distinguere come tale poiché sa processare e presentare l’antigene e complessarlo all’ MHC oltre a produrre segnali per l’attivazione T. Per CD4+ il segnale fondamentale è il legame del CD28 espresso sul linfocita T con la molecola B7-1 e B7-2 espresse sulle cellule presentanti l’antigene: B7-2 a bassi livelli è espressa costitutivamente e B7-1 lo induce la stimolazione attraverso i toll-like re-ceptors. Non tutte le cellule che possono presentare frammenti al CD8+ riusciranno anche ad avere sulla loro superficie le molecole B7-1 e B7-2. Nel caso in cui il microrganismo induca una forte ri-sposta immunitaria innata quindi venga riconosciuto attraverso i toll-like receptors, venga inoculato

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all’organismo in associazione con dei coadiuvanti quindi delle sostanze che potenziano la risposta immunitaria innata, in quel caso la nostra cellula presentante l’antigene sarà anche in grado di co-esprimere le molecole B7-1 e B7-2 e di indurre segnali importanti per la differenziazione della cellula T in senso CD8+. In alcuni casi la cellula che presenta questi frammenti peptidici in associazione con MHC di classe I non è in grado di indurre l’espressione delle molecole co-stimolatorie e di fornire citochine al linfocita CD8 che determinano la sua attivazione.

Nel caso di infezioni virali latenti, quando i CD8 si attivano verso cellule di un altro organismo che abbiamo trapiantato o quando la cellula presentante l’antigene non sia professionale (per profes-sionale si intende una vera e propria cellula atta a presentare l’antigene) abbiamo la mancanza di un secondo segnale per l’attivazione delle CD8. Questo secondo segnale in questo caso viene fornito dalle cellule T CD4+. Quindi in un caso i linfociti T CD8+ possono differenziarsi da soli quando il microrganismo che vanno a riconoscere stimola fortemente l’immunità innata e l’espressione di B7-1 e B7-2, oppure tramite il fenomeno di cross priming: anche se la cellula che presenta l’antigene non è una cellula professionale e non esprime molecole co-stimolatorie questa può essere fagocitata dalla cellula presentante l’antigene e in questo caso la cellula CD8 avrà i due segnali per potersi attivare. In tutti quei casi in cui la cellula presentante l’antigene non riesce a indurre il secondo segnale alla cellula T CD8+ subentra la CD4+ in due maniere:

1. fornisce le citochine al linfocita T CD8+ che gli servono per la differenziazione soprat-tutto IL-2, che serve per l’espansione clonale, e IFN-γ: CD8 è in grado ora di differen-ziarsi in CTL;

2. il linfocita T CD4 dopo 4-48h dalla attivazione esprime sulla sua superficie cellulare il CD40L: questo ligando può interagire con il CD40 espresso dalle cellule presentanti l’antigene e quindi dalle cellule dendritiche, dai macrofagi, dai linfociti T, e questa inte-razione induce l’espressione delle molecole co-stimolatorie B7-1 e B7-2. Questa intera-zione tra CD40 e CD40L fa produrre citochine alle cellule presentanti l’antigene, la IL-12. La combinazione di queste due risposte indotte dalla interazione ligando-recettore del CD40 è un fenomeno detto licensing. Il linfocita T CD4 interagisce con la cellula presentante l’antigene con molecole di adesione come LFA-1 con CAM-1, con CD2 con CD58, MHC di classe I e peptide riconosciuto dal TCRαβ, CD8 che riconosce il dominio α3 delle molecole MHC di classe I, e CD28 che riconosce B7-1 e B7-2. Il TCR in questo caso è associato alle catene Z e alle catene del complesso CD3 quindi trasdurrà il segnale e CD8 sarà associato nella porzione intracitoplasmatica con la tirosin-chinasi LCK.

In cosa consiste la differenziazione della cellula T in CTL? La differenziazione di CD8 è unica e va in senso CTL, mentre quella di CD4 va verso varie sottopopolazioni. La acquisizione della com-petenza funzionale consiste nella capacità delle cellule T di presentare nel loro citosol dei granuli che contengono perforine, granzain, serglicine e granulisina, sostanze responsabili dell’uccisione delle cellule bersaglio. Mentre T-helper acquisiscono capacità di produrre citochine che poi andranno a influenzare il comportamento di altre cellule, i linfociti CD8 acquisiscono la formazione di granuli intracitoplasmatici.

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Nel linfonodo avviene la differenziazione da CD8 a CTL che poi migrano in periferia per rico-noscere la cellula infettata che ha innescato la loro differenziazione: qui la uccidono. Nei primi giorni dopo l’infezione si ha una espansione clonale delle cellule T CD8+ che acquisiscono la capacità di sintetizzare perforine, granzimi, IFN-γ, IL-2, TNF: dopo alcune settimane dall’infezione si ha la morte delle cellule T-effettrici e la differenziazione delle CD8 in cellule della memoria.

Una cellula T naïve che riconosce il suo antigene, che sia CD4 o CD8, subisce un duplice destino: intanto si differenzia in cellula T-effettrice che sarà deputata direttamente all’eliminazione dell’anti-gene, e poi le T-effettrici quando l’antigene viene eliminato e mancano i fattori di sopravvivenza vanno incontro ad un processo di morte cellulare per apoptosi necessario per far si che il sistema immunitario venga riportato all’omeostasi. Le T-effettrici vanno incontro a morte però lo sviluppo della risposta immunitaria cellulo- mediata porta alla differenziazione di linfociti T della memoria.

Questi linfociti si differenziano anche loro per l’espressione di marcatori di superficie e in par-ticolare queste cellule sono caratterizzate da una bassa espressione di CD25 (la cui espressione è in-vece alta nei linfociti T-effettori dove CD25 è la catena α del recettore per l’IL-2), una bassa espres-sione della molecola CD69 e una alta espressione della CD127 e CD44 importante per le interazioni con l’acido ialuronico presente sulle cellule dei tessuti periferici. I marcatori sono più o meno gli stessi dei linfociti T-effettori e delle cellule T della memoria ma sono espressi in modo quantitativa-mente diversi: anche le T naïve hanno CD127 alto, CD25 basso e presentano una isoforma del CD45 diversa e CD44 viene espresso a bassi livelli. Da un punto di vista della differenziazione i linfociti T della memoria c’è da fare una distinzione: si è visto che questi possono generarsi sia per un processo diretto che per una via differenziativa indiretta ovvero queste cellule della memoria possono diffe-renziarsi dai linfociti T-effettori e questi si differenziano in linfociti T della memoria. Oppure pos-sono differenziarsi a partire dai linfociti T naïve: quindi il linfocita T-effettore si differenzia in linfo-cita T naïve, il linfocita T della memoria si differenzia in T naïve. In questo caso è il linfocita T-effettore che darà origine al linfocita della memoria, mentre nella via indiretta subiscono un processo di differenziazione parallelo: le cellule T della memoria e T-effettori si differenziano dalla cellula T attivata dall’antigene naïve. Non si conoscono ancora i meccanismi e se prevale la differenziazione dal T-effettore o dal T della memoria. Quale è la peculiarità delle cellule T della memoria? Queste sopravvivono per tutta la vita nell’organismo. Sono importanti nel difenderci dai microbi giornalieri perché già sono differenziate e pronte a rispondere in maniera specifica e rapida all’antigene estraneo, in 1-3 giorni sono funzionali. Sono inoltre presenti in numero molto più elevato, i linfociti T naïve sono in ordine di 1 linfocita ogni 105 specifico per un determinato antigene, mentre per i CD8 arri-viamo a 1 su 3 (per T-helper era 1 ogni 103). Queste cellule sono denominate anche staminali perché in grado di autorigenerarsi, si mantengono in vita grazie ad un moderato tasso di riproduzione cel-lulare e a dei segnali delle chemochine: i CD4 dipendono dall’ IL-7 per la loro sopravvivenza mentre i CD8 dalla IL-11 (le T naïve si espandono grazie alla IL-2). Un’ altra caratteristica di queste cellule T della memoria è che a loro volta possono dividersi in due sottopopolazioni principali: le cellule T della memoria centrale e della memoria periferica. Quelle della memoria centrale sono caratterizzate dall’espressione del CCR7 e della L-SE lectina: queste cellule migrano a livello degli organi linfoidi e sono dotate di una capacità di proliferazione elevata in seguito alla riattivazione, importanti per ri-

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generare un grande numero di cellule effettrici. Quelle periferiche della memoria invece si localiz-zano in periferia a livello dei tessuti e alcune sono proprio le cellule che si sono differenziate in TH1 che mantengono il fenotipo TH1, TH2, TH17 mentre altre sono cellule capaci di differenziarsi rapida-mente in TH1, TH2, TH17. Al contrario delle centrali hanno una bassa capacità di proliferazione (po-trebbero quindi essere insufficienti per combattere l’agente estraneo) ma sono più rapide nel ricono-scimento dell’organismo e nell’attivazione di cellule effettrici più adeguate per eradicarlo.

Sviluppo delle funzioni effettrici delle sottopopolazioni Possiamo suddividere le risposte immunitarie cellulo mediate in tre grossi tronconi.

1. Le risposte cellulo mediate verso microrganismi internalizzati all’interno di vesci-cole sulle cellule presentanti l’antigene e questi soprattutto saranno responsabili dell’attivazione dei linfociti TH1 oppure i batterî o i funghi saranno importanti soprat-tutto nell’attivazione delle cellule CD4, TH17. La funzione di queste cellule T sarà la pro-duzione di citochine che avranno diverse conseguenze: le citochine prodotte dai TH1 soprattutto l’IFN-γ avrà la funzione di andare ad attivare i macrofagi i quali saranno responsabili dell’eliminazione del patogeno. Le cellule TH17 producendo IL-17 e IL-22 indurranno una infiammazione con reclutamento di neutrofili i quali saranno respon-sabili dell’uccisione dei microrganismi.

2. Risposta immunitaria cellulo-mediata scatenata dagli elminti o dagli artropodi in generale. Questi patogeni attivano linfociti TH2 i quali produrranno citochine che favo-riscono lo scambio delle immunoglobuline verso l’isotipo IgE che a loro volta saranno in grado, quando riconoscono il patogeno, di attivare gli eosinofili che rilasceranno le proteine contenute al loro interno citotossiche per il patogeno.

3. Risposta immunitaria cellulo-mediata mediata dai linfociti T CD8+ che soprattutto saranno rivolti verso microbi intracellulari, virus, batterî fuoriusciti dall’endosoma o cellule trasformate tumorali. La loro funzione effettrice è soprattutto eliminare la cellula trasformata o infettata. Anche le NK (natural killer) lavorano in questo contesto ma sono cellule della immunità innata quindi non riconoscono in maniera specifica l’anti-gene associato al complesso MHC-I ma hanno recettori di riconoscimento dei profili molecolari (riconoscono classi di patogeni).

A livello degli organi linfoidi secondari, nei linfonodi e nelle milza, avviene l’attivazione e la differenziazione delle cellule T in senso TH1, TH2, CTL le quali però per eliminare il patogeno devono essere in grado di migrare in periferia e riconoscere il complesso MHC-peptide. Le cellule T-effettrici, quindi sia CD4, CD8, TH1, TH2, TH17, hanno una minore necessità di molecole co-stimolatorie ri-spetto alle T naïve: T naïve senza le molecole co-stimolatorie non si attivano e diventano anergici, le T-effettrici riescono ad attivarsi riconoscendo solo il complesso MHC-peptide. In periferia quindi non è più necessario che la cellula T vada a riconoscere le molecole B7-1 e B7-2. Mentre a livello degli organi linfoidi sono le cellule dendritiche a presentare l’antigene perché già costitutivamente espri-mono B7-2 e B7-1 invece la producono subito dopo, a livello periferico le cellule presentanti l’anti-gene non necessariamente devono essere le cellule dendritiche ma possono essere anche i macrofagi

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o linfociti B (anche i linfociti B si attivano a livello degli organi linfoidi).In periferia qualsiasi cellula presentante l’antigene attiva le T-effettrici mentre a livello centrale solo le APC professionali che for-niscano entrambi i segnali alle cellule T in differenziazione attivano. Quindi le T differenziate mi-grano in periferia, riconoscono il complesso MHC-peptide e determinano le cellule CD4 una risposta infiammatoria con la uccisione dei microbi, le CD8 soprattutto l’uccisione delle cellule bersaglio.

Queste diverse sottopopolazioni di cellule TH1, TH2, TH17 si differenziano non soltanto per le citochine che producono e per i fattori di trascrizione che inducono, ma anche per l’espressione delle molecole di superficie quindi sia per i ligandi delle integrine che per i recettori delle chemochine: ciò è importante perché farà si che TH1, TH2, TH17 a seconda dei recettori per le chemochine che espri-mono verranno attirati in diversi tessuti periferici. La loro localizzazione infatti dipende dallo spettro di recettori per le chemochine che producono. Ad esempio T-bet è importante perché attiva anche delle glicosil-trasferasi che fanno sintetizzare dei residui glucidici che sono i ligandi della E e della P-selectina che sono espresse a livello dei tessuti endoteliali dei tessuti periferici. Esempio: il linfocita T-effettore esprime il ligando della E-selectina che si lega alla E-selectina (o alla P) delle cellule endo-teliali. L’espressione delle selectine viene modulata dalle citochine prodotte in seguito all’infezione microbica: nel tessuto periferico il microrganismo che viene riconosciuto dal macrofago o dalla APC induce la produzione di citochine quali TNF e IL-1 le quali stimolano sia la produzione di chemo-chine che si vanno a legare ai proteoglicani a livello delle cellule endoteliali diventando siti di ricono-scimento per i ligandi presenti sui linfociti, sia aumentano l’affinità delle integrine espresse sull’en-dotelio dei vasi e aumentano dell’espressione della E/P-selectina. La cellula T attivata tramite il le-game con le selectine si lega ai vasi endoteliali e poi intervengono i recettori per le chemochine: in particolare i TH1 esprimono CCR5 e CXCR3 e le integrine LFA-1 e VLA-4 che si legano ai ligandi per le integrine presenti sulla superficie dell’endotelio. Inizialmente le cellule T migrano a livello dei focolai infiammatori indipendentemente dalla loro specificità per l’antigene perché essendosi diffe-renziati in T-effettori loro esprimeranno le integrine LFA-1 e VLA-4 che si legano ai loro ligandi con maggiore affinità, poi i ligandi per la E/P-selectina: poi una volta che hanno migrato nel tessuto in-fetto i linfociti T vanno a legarsi al complesso MHC-peptide. Se questo linfocita T-effettore è specifico per quell’antigene verrà trattenuto a livello del tessuto periferico infetto, altrimenti continuerà la sua migrazione. Oltre alla migrazione di cellule specifiche o non, le citochine TNF e IL-1, prodotte in seguito all’infezione sotto lo stimolo del riconoscimento del patogeno da parte del macrofago, indu-cono un reclutamento di macrofagi e polimorfonucleati in quella zona. Quella iniziale è detta infiam-mazione leucocitaria perché c’è una ri-circolazione dei linfociti T nei tessuti infetti.

Recettori per le chemochine e i loro ligandi:

– TH1: recettore CCR5 e CXCR3 che si lega alla chemochina CXCL10 la quale induce il reclutamento dei linfociti T-effettori quando l’interazione di questo recettore avviene con concentrazioni elevate di questa chemochina. La chemochina CXCL10 viene in-dotta in seguito al riconoscimento del patogeno da macrofagi di cellule dendritiche che producono TNF e IL-1. CCR5 si lega ad altre chemochine quali CCL4, CCL3, CCL5, CCL8 che invece sono responsabili del reclutamento di diversi tipi di leucociti.

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– TH2: recettori CCR8 e CCR3 che si legano a CCL8, CCL1 e sono importanti per il reclu-tamento dei monociti, o nel caso di CCR3 del reclutamento di diversi tipi di leucociti dove quindi abbiamo sempre una risposta mediata da diversi tipi di macrofagi, poli-morfonucleati e altri tipi di cellule. In particolare esprimono CCR2 (o CCR3?), CCR4 che sono importanti nel reclutamento dei basofili e degli eosinofili. Le cellule TH2 come già detto sono importanti nelle infezioni da elminti e parassiti che indurranno la pro-duzione di chemochine quali CCL23, CCL25, CCL27 che soprattutto reclutano basofili ed eosinofili dei linfociti della sottopopolazione TH2

– TH17: recettori CCL6 che si lega a CCL20 che è importante nel reclutamento di neutro-fili.

Funzioni delle TH1 C’è una prima fase in cui le cellule T CD4 riconoscono l’antigene, producono le citochine e le

chemochine e inducono il reclutamento dei linfociti. Una volta che i linfociti hanno migrato a livello dei tessuti periferici, sia cellule T specifiche per quell’antigene che non, le cellule T riconoscono il complesso MHC-peptide: quelle specifiche per quell’antigene rimangono in sede le altre continuano a migrare. A questo punto sia la cellula T che la cellula presentante l’antigene si attivano a vicenda grazie alle citochine prodotte e alle interazioni tra i ligandi e le molecole di adesione. In particolare le cellule TH1 produrranno IFN-γ il quale andrà ad attivare il macrofago: il macrofago risponderà all’ IFN-γ attivandosi maggiormente rispetto a quella che è l’attivazione del macrofago indotta dal pato-geno. Il macrofago è una cellula della immunità innata e come tale si attiva grazie al riconoscimento del patogeno da parte dei recettori dell’immunità innata, come i toll-like receptors, e grazie alla pro-duzione di citochine qual TNF-α prodotto dai macrofagi e IFN-γ prodotto dalle NK. In periferia nella immunità cellulo-mediata invece il macrofago viene attivato grazie all’interazione del CD40, che esprime costitutivamente, con il CD40L espresso dalla cellula TH1 e grazie all’IFN-γ prodotto sempre dalla TH1. In generale quindi i linfociti T potenziano l’attivazione del macrofago direzionando la loro funzione al fine di eradicare il patogeno, e con la produzione di citochine inducono una risposta infiammatoria in modo da reclutare un maggior numero di cellule che possono uccidere il patogeno. Fondamentalmente le risposte TH1, TH2, TH17 rispettano le funzioni delle citochine che producono. TH1 produce IFN-γ e le sue funzioni sono legate alla produzione di esso: l’IFN-γ è una glicoproteina, un omodimero di 50 kDa, secreta dai TH1 ma anche dalle cellule T CD8+ (che in seguito al riconosci-mento dell’antigene presentano anche IL-18 e IL-12) e dalle NK in seguito al riconoscimento del microrganismo o in seguito alla loro attivazione da parte dell’IL-12. IFN-γ è prodotto quindi sia da cellule dell’immunità innata, le NK, sia da quelle dell’immunità cellulo-mediata TH1 e CD8+. Il recet-tore per l’IFN-γ è costituito da due catene omologhe e viene espresso da linfociti, mastociti, monociti, cellule endoteliali, e media attraverso STAT-1. Le funzioni dell’IFN-γ sono:

– importante per la differenziazione delle CD4 naïve in cellule T-effettrici TH1 – induce l’espressione di diverse molecole di adesione – induce l’attivazione dei macrofagi andando a potenziare l’attività microbicida

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– aumento dell’espressione dell’ossidasi fagocitica e quindi la produzione di radicali dell’ossigeno (ROS)

– aumento dell’espressione dell’enzima NO sintetasi e quindi la produzione di radicali dell’azoto

– agisce sulle cellule presentanti l’antigene (macrofagi e cellule dendritiche) andando ad aumentare sia l’espressione di molecole MHC sia la capacità di presentare l’antigene: di conseguenza si aumenta l’attivazione dei linfociti T. L’ IFN-γ trasforma il proteosoma in immuno-proteosoma: sostituisce delle subunità LMT2 e LMT7 del proteosoma con LMP2 e LMP7. Questa trasformazione è importante perché permette all’immuno-pro-teosoma di generare dei frammenti peptidici che siano particolarmente affini alle mole-cole del MHC

– agisce anche sui linfociti B sui quali determina lo scambio della catena pesante che da IgM passa a IgG e gli anticorpi dell’isotipo IgG sono importanti nella opsonizzazione8 del patogeno. Un’altra funzione degli anticorpi IgG (quindi dell’IFN-γ) è anche quella di attivare il sistema del complemento potenziando l’eliminazione del patogeno

– attiva le NK e i neutrofili – induce l’espressione di molecole di adesione favorendo la migrazione delle cellule nei

tessuti – aumento della sintesi degli enzimi lisosomiali

Quindi quali saranno le funzioni delle TH1? Principalmente attivare il macrofago attraverso le produzione di IFN-γ e potenziarne l’attività fagocitica e microbicida. TH1 producono anche TNF-α e TNF-β, citochine a basse concentrazioni che inducono l’espressione di molecole di adesione a li-vello delle cellule endoteliali dei vasi e aumentano l’affinità delle integrine presenti sulla superficie dei leucociti: in questo modo TH1 favoriscono il reclutamento di cellule nelle zone infette. Poi tramite la produzione di IL-2 si induce una proliferazione delle cellule T-effettrici specifiche importante sia perché si così ha un maggior numero di cellule in grado di riconoscere l’antigene, sia perché la diffe-renziazione delle cellule T della memoria dipende dal numero di T-effettrici che si sono differenziate. Grazie alla produzione della chemochina CXCL2 si reclutano macrofagi nel sito di infezione. Grazi all’espressione del FasL sulle cellule T, può avvenire l’interazione con Fas a livello delle cellule infet-tate provocandone la morte (apoptosi recettore mediata) e la liberazione del patogeno all’esterno. Qui verrà riconosciuto da altre cellule migrate nella zona infetta. Le cellule TH1 attivate possono pro-durre anche IL-3 e il fattore di crescita delle colonie dei granulociti e monociti: viene indotta la dif-ferenziazione delle cellule della linea mieloide nella linea di granulociti e monociti. I macrofagi infine a loro volta potenziano la differenziazione in senso TH1 producendo citochine ed esprimendo mole-cole di superficie.

8 L’azione propria delle opsonine, che consiste nel rendere possibile la fagocitosi e che si manifesta quando le opsonine sono state adsorbite dai corpi (batterî, ecc.) poi fagocitati. 96

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Funzioni delle TH2

I linfociti TH2 sono caratterizzati dalla produzione di IL-4, IL-5, IL-13.

L’IL-4 è una glicoproteina (tutte le citochine nominate hanno un basso peso molecolare): viene secreta come un monomero di 15-19 kDa, prodotta dalle cellule TH2 ma non esclusivamente, anche dai mastociti e dai basofili. I mastociti sono importanti nella produzione di IL-4 per la differenzia-zione in senso TH2. Il recettore per l’IL-4 è un recettore di tipo 1 molto simile a quello della IL-2, e trasduce un segnale attraverso l’attivazione della Janus-chinasi 3 e STAT-6 più il fattore insulina re-sponsivo di tipo 2. Le funzioni biologiche dell’IL-4 sono:

– agire sulle cellule T vergine per lo sviluppo delle TH2 (quando non prodotta dalle TH2 già differenziate)

– insieme alla IL-13 indurre sul linfocita B lo scambio isotipico verso anticorpi della classe IgE e IgG4 (prima erano IgM). Le IgE sono importanti nelle infezioni da parassiti, le IgG4 non hanno ruolo prettamente opsonizzante ma soprattutto neutralizzante.

– insieme alla IL-13 induce un aumento della peristalsi a livello intestinale e un aumento della secrezione di muco (favorisce l’eliminazione dell’agente estraneo). Sempre insieme inducono il reclutamento degli eosinofili: questo è importante per lo svolgimento delle funzioni effettrici perché sono gli eosinofili i responsabili dell’uccisione dei parassiti che hanno indotto lo sviluppo delle TH2.

– insieme alla IL-13 è importante nell’indurre l’attivazione alternativa dei macrofagi. Viene chiamata alternativa perché i linfociti TH1 producendo IFN-γ e CD40L inducono l’attivazione classica che ha lo scopo di aumentare l’attività microbicida del macrofago, mentre queste citochine prodotte dalle cellule TH2 hanno soprattutto la funzione di ini-bire l’attivazione classica per indurre attivazione alternativa legata alla riparazione del danno tissutale.

L’IL-5 è un’altra citochina prodotta dalle TH2, come un omodimero di 45 kDa, e dai mastociti attivati. Il suo recettore è un recettore di tipo 1 e appartiene alla sottofamiglia dei recettori del gene CSF. L’IL-5 ha soprattutto la funzione di attivare gli eosinofili, indurre la loro crescita e differenzia-zione a livello del midollo osseo. È un fattore che induce anche la crescita delle cellule B e induce scambio di classe verso la classe IgA. Le funzioni delle TH2 ricalcheranno le funzioni biologiche delle citochine prodotte. Quindi producendo IL-4 le TH2 indurranno la differenziazione delle cellule B che produrranno plasmacellule, cellule che producono anticorpi dell’isotipo IgG4 nell’uomo (e IgG1 nel topo), e anticorpi dell’isotipo IgE che saranno importanti sia nell’attivazione degli eosinofili che nella degranulazione dei mastociti. Anticorpi neutralizzanti, produzione di anticorpi IgE i quali possono rivestire il patogeno e l’anticorpo IgE legato al parassita può essere legato a recettori FCεRI9 che sono espressi sulla superficie dei mastociti o degli eosinofili. Quando l’anticorpo IgE legato al parassita viene legato anche dai recettori FcεRI, i mastociti rilasciano granuli che contengono mediatori: alcuni di questi mediatori sono definiti pre-formati perché sono già presenti nei granuli. I granuli conten-gono istamina, proteasi neutre, condroitinsolfato. La funzione dell’istamina è quella di indurre vaso

9 Si legge: “Fc epsilon R uno”, non I! È numero romano! 97

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dilatazione, broncocostrizione e aumento della peristalsi intestinale: induce un aumento della per-meabilità dei vasi e fa reclutare cellule della serie dove si è avuta la degranulazione dei granuli, quindi induce una risposta infiammatoria. In seguito all’attivazione i mastociti rilasciano anche mediatori di nuova sintesi che sono mediatori che derivano dall’acido arachidonico, quindi prostaglandine e leucotrieni i quali hanno sempre attività vasodilatatrice e broncocostrittrice e anche attività chemio-tattica. Producono anche citochine che possono essere pro-infiammatorie quali TNF ma anche cito-chine come l’IL-5 che inducono reclutamento degli eosinofili.

Quindi la TH2 attraverso le IgE induce una degranulazione dei mastociti e quindi una risposta infiammatoria. Il danno tissutale è dovuto anche al rilascio di questi mediatori. Poi attraverso l’IL-5 induce reclutamento degli eosinofili che esprimono recettore FcεRI che può legare immunoglobulina IgE legata al parassita: questo recettore prima si pensava che da solo fosse in grado di trasdurre un segnale che determinasse il rilascio di sostanze contenute all’interno degli eosinofili, ma in realtà si è visto che non è in grado di trasdurre un segnale di attivazione all’interno della cellula ma che il rico-noscimento specifico del patogeno in cooperazione con l’IL-5 prodotta dalle cellule TH2, induce l’at-tivazione degli eosinofili che a questo punto rilasciano la proteina basica maggiore, la proteina catio-nica e la perossidasi eosinofila. Queste tre sostanze sono estremamente tossiche per il parassita. Il parassita (o elminta) se venisse fagocitato dai macrofagi non subirebbe danni: innanzitutto è difficile che venga fagocitato perché è di grandi dimensioni, ed il suo tegumento è spesso perciò anche se avvenisse l’internalizzazione i radicali dell’ossigeno, dell’azoto e gli enzimi lisosomiali non riuscireb-bero ad ucciderlo. Infine il macrofago che viene attivato in via alternativa dalla IL-4 e IL-13 non ha attività microbicida ma lo scopo di produrre IL-10 e TGF-β, prolina, poliammine.

IL-10 e TGF-β sono citochine antinfiammatorie, impediscono o inibiscono la risposta infiam-matoria: queste citochine inibiscono la produzione di IL-12 e la funzione APC delle cellule dendriti-che, down-regolano l’espressione delle molecole MHC. Queste citochine impediscono la differenzia-zione in senso TH1 e produrre IFN-γ che attiva i macrofagi che producono IL-12. TGF-β prodotto dal macrofago inoltre stimola nei macrofagi stessi la sintesi di fattori di crescita: il fattore di crescita delle piastrine, dei fibroblasti, aumenta la sintesi di collagene, di fibrina, quindi tessuto fibrotico e induce anche l’espressione di fattori che inducono la crescita dei vasi (neoangiogenesi). Questi fattori espressi dai macrofagi attivati alternativamente partecipano quindi alla riparazione tissutale.

Funzioni delle TH17

TH17 si differenziano in seguito a infezioni da batterî e funghi e le citochine prodotte sono IL-17 e IL-22 hanno la funzione di stimolare una risposta infiammatoria mediata dai neutrofili.

L’IL-17 infatti stimola i leucociti a produrre chemochine ma anche citochine quali TNF, IL-1 e IL-6 che sono pro-infiammatorie e quindi inducono il reclutamento di neutrofili, principalmente monociti. L’IL-17 stimola anche le cellule endoteliali a produrre il fattore di crescita delle colonie dei granulociti: stimola inoltre le cellule dell’endotelio a produrre dei peptidi antimicrobici quali le de-

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fensine che hanno la funzione di andare a uccidere i batterî o i funghi provocando pori sulla mem-brana plasmatica che inducono l’ingresso di ioni e acqua all’interno senza la fuoriuscita delle proteine che sono cariche negativamente e quindi la lisi osmotica del patogeno.

Le TH17 producono anche IL-22 dove in alcuni casi si è visto che questa citochina può indurre delle alterazioni del danno tissutale, ma soprattutto quella che è la funzione principale della IL-22 sembra essere quella di potenziare la funzione barriera delle cellule epiteliali in modo da impedire l’ingresso dei patogeni (IL-22 agisce producendo peptidi antimicrobici). Le TH17 sono coinvolte in molte patologie quali la psoriasi, malattie infiammatorie intestinali.

Funzioni delle CD8 Le CD8 uccidono cellule infettate da virus e cellule tumorali. Una volta differenziate, similmente

alle CD4+, migrano dagli organi linfoidi secondari in periferia e quindi riconoscono l’antigene che ha indotto la loro differenziazione.

Anche le CTL, come le CD4 attive, non sono dipendenti dalla co-stimolazione (lo sono invece le T naïve): possono riconoscere in assenza di co-stimolazione la cellula bersaglio che presenta lo stesso antigene che ne ha indotto la polarizzazione. Prevalentemente in periferia la cellula CTL inte-ragirà tramite la molecola LFA-1 con iCAM-1, dove LFA-1 ha aumentato la sua affinità nelle cellule T-effettrici, MHC di classe I e antigene sarà riconosciuto dalle catene α e β del TCR e il CD8 ricono-scerà MHC-I. La fase inziale delle cellule CTL è appunto il riconoscimento dell’antigene e la forma-zione della sinapsi immunologica.

Che cose è una sinapsi immunologica? Quella zona di stretto contatto tra la cellula bersaglio o presentante l’antigene e la cellula T. In questa zona di contatto la distanza della zona centrale dove sono presenti i recettori è di 20 nanometri, nella zona più laterale di 40 nanometri. La sinapsi immu-nologica è molto importante perché costituita da residui sulla membrana di colesterolo e glicosfin-golipidi che addensano le molecole coinvolte nel riconoscimento dell’antigene. Un altro elemento importante è che a livello di questa sinapsi immunologica si induce l’attivazione di proteine del cito-scheletro quali ad esempio la talina che inducono un ri-organizzamento del citoscheletro, in partico-lare dei microtubuli. Questo è importante perché fa si che i granuli contenuti dai linfociti T citotossici siano concentrati e rilasciati nella zona di stretto contatto con la cellula bersaglio: questi granuli con-tengono molecole che non sono specifiche per l’antigene e possono andare ad uccidere qualsiasi cel-lula nei dintorni, è importante quindi che vengano direzionati. La cellula CD8 ha una attività molto potente una volta riconosciuta la cellula bersaglio e può andare ad uccidere molte cellule: riconosce il complesso MHC-peptide, rilascia i granuli, che vengono internalizzati dalla cellula bersaglio indu-cendo apoptosi, e poi si distacca per andare a riconoscere altre cellule. Non è necessario che il CTL resti attaccato alla cellula bersaglio.

Come uccide la cellula citotossica? Con il contenuto dei suoi granuli (perforina, granzimi, etc.) i CTL non uccidono per lisi osmotica ma inducono apoptosi. La perforina non viene rilasciata sin-golarmente ma sotto forma di un complesso con il granzyme che è tenuto insieme dalla serglicina. Il granulo viene internalizzato per endocitosi dalla cellula bersaglio e una volta all’interno la serglicina

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che funge da molecola di riconoscimento dell’endocitosi, e la perforina crea dei fori ma a livello della membrana dell’endosoma permettendo il rilascio dei granzimi nel citoplasma della cellula bersaglio. I granzyme sono delle cistein-proteasi che agiscono sia su BID che sulla procaspasi attivandoli: BID è un membro della famiglia degli BCL2 con funzione pro-apoptotica, va ad associarsi con BAX e BAK che sono sempre proteine pro-apoptotiche, e induce una alterazione della permeabilità della membrana mitocondriale la quale rilascia le proteine pro-apoptotiche contenute al suo interno tra le quali il citocromo c. Una volta rilasciato questo citocromo c forma un complesso definito apopto-soma con la procaspasi-9 e con APAF-1 (apoptotic protease activating factor-1) in presenza anche dell’ATP: questo apoptosoma ha la funzione di andare a scindere la procaspasi-9 clivandola e atti-vandola in caspasi-9. La caspasi-9 va ad attivare la caspasi-3 che è una caspasi effettrice che va ad attivare diverse endonucleasi che andranno poi a degradare il DNA in frammenti di 200 paia di basi. La caspasi 3 andrà anche a degradare altre proteine citosoliche alterando la struttura del citoscheletro della cellula inducendo una condensazione non solo del nucleo ma anche del citosol.

Quindi in cosa si differenzia l’apoptosi mediata da CTL da quella non mediata? Si differenzia per il fatto che l’attivazione di BID e della pro-caspasi-3 è determinata dai granzyme che sono delle cistein-proteasi con attività simile alle caspasi stesse. Nella apoptosi è la caspasi-8 che va ad attivare la pro-caspasi-3 attivandola, in questo caso è il granzyme. Oltre i granzyme che inducono apoptosi caspasi-dipendete ci sono anche altre forme di granzyme quali il granzyme-a che induce apoptosi caspasi indipendente andando ad alterare sia la permeabilità della membrana mitocondriale incre-mentando la produzione dei radicali dell’ossigeno oppure anche attivando la laminina che con un complesso attivato a livello del reticolo endoplasmatico poi frammenta altre proteine bersaglio che inducono la degradazione del DNA e alterano la struttura nucleare e l’integrità della cellula. I linfociti T citotossici non uccidono soltanto tramite la perforine, serglicina e granzyme ma anche tramite una via recettore mediata grazie ai recettori della famiglia del TNF.

Questi recettori sono il ligando di Fas (FasL) e il Fas: le cellule T citotossiche in seguito all’atti-vazione possono esprimere FasL il quale può andare a legare Fas espresso sulle cellule bersaglio il quale recluta nel suo dominio di morte la proteina adattatrice FADD, la quale recluta e poi cliva proteoliticamente (eliminazione del dominio pro-caspasico) generandone la forma attiva la caspasi-8. La caspasi-8 attiva va ad attivare la pro-caspasi-10 la quale va ad attivare proteoliticamente la ca-spasi-3: la caspasi-3 similmente a quello che abbiamo detto prima va a clivare diversi substrati che sono associati col processo di morte apoptotica (endonucleasi che frammentano il DNA, proteine del citoscheletro che alterano la struttura della cellula, esposizione della fosfatidilserina).

Meccanismi cellulari e molecolari che regolano l’attiva-zione di una risposta immunitaria umorale

Le risposte umorali sono mediate da linfociti B, e portano allo sviluppo di linfociti B della me-moria e di plasmacellule che producono anticorpi. Nelle risposte umorali l’effettore è rappresentato dagli anticorpi, che vengono tradotti dalle cellule B attivate dall’antigene, mentre per quanto riguarda

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l’immunità cellula mediata l’effettore è rappresentato dalla cellula T differenziata che acquisisce ca-pacita di eliminare l’antigene estraneo attivando altre cellule aspecifiche dell’immunità innata (ma-crofagi eosinofili). Per quanto riguarda la risposta umorale, l’effettore è l’anticorpo prodotto dal lin-focita B in seguito a riconoscimento dell’antigene. La risposta umorale può essere innescata da due tipi di antigene, e queste due tipi di risposta si differenziano enormemente per le loro caratteristiche:

Antigeni timo-dipendenti: definiti così perché per portare all’attivazione della cellula B e pro-durre anticorpi necessitano di cooperazione di cellule T helper del timo. Senza di esse non riescono ad attivarsi, a produrre anticorpi in forma secreta e cellule della memoria pronte nel rispondere a successivi contatti con lo stesso antigene. In questo contesto il primo segnale innescato dall’antigene viene riconosciuto dal BCR e quindi dall’immunoglobulina di membrana mentre il secondo segnale per l’attivazione viene innescato da una cellula T helper, già precedentemente attivata dallo stesso tipo di antigene. Questo tipo di antigeni sono di natura proteica.

Antigeni timo-indipendenti: sono di natura non proteica, ma possono essere di qualsiasi na-tura (polisaccaridi, glicolipidi carboidrati). La differenza dai precedenti è che i proteici generalmente presentano un solo epitopo e quindi non sono in grado di attivare completamente il linfocita B, men-tre quelli del secondo tipo presentano molteplici epitopi, che hanno struttura ripetuta. Questi epitopi fanno sì che si possa innescare l’attivazione del linfocita B anche se normalmente l’attivazione non è esclusivamente mediata da questi tipo di antigeni, ma collaborano anche recettori per i profili mole-colari associati a patogeni. Antigeni di questo tipo sono, ad esempio, il lipopolisaccaride della parete dei batterî gram-negativi, che può essere riconosciuto sia da anticorpi specifici per il microrganismo, sia da toll-like receptor (TLR) che vengono espressi dalle cellule B. Inoltre, questi antigeni, oltre ad avere epitopi ripetuti, possono anche stimolare recettori di riconoscimento dei profili molecolari as-sociati a patogeni. Nel caso di antigeni timo-indipendenti abbiamo comunque un doppio segnale: uno forte, innescato dal cross linking, e uno debole, innescato dal toll-like receptor.

Attivazione della risposta umorale La risposta umorale, similmente alla risposta cellulo-mediata, consiste di diverse fasi: innanzi-

tutto c’è il riconoscimento dell’antigene da parte del linfocita B maturo quiescente, quel linfocita B che esprime sulla membrana le IgM e IgD. Questo porta all’attivazione del linfocita B, il cui stadio di attivazione può essere influenzato anche da altri stimoli oltre il riconoscimento dell’antigene. A que-sta fase segue poi la loro espansione clonale e la differenziazione in cellule che secernono anticorpi. Per quanto riguarda gli antigeni di natura proteica, ciò porta alla costituzione di plasmacellule che producono anticorpi: inizialmente IGM, ma successivamente questo tipo di antigene timo-dipen-dente può indurre anche scambio isotipico (produrre diversi isotipi di anticorpi), in modo da gene-rare quell’anticorpo che è più abile a far determinare quel tipo di patogeno, che ha le caratteristiche effettrici migliori per eliminare un determinato tipo di antigene. Man mano che l’attivazione procede si generano anticorpi che nel sito di legame per l’antigene modificano alcuni residui amminoacidici in modo da essere il più affine possibile per l’antigene che ne ha scatenato l’attivazione. Quindi mano

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a mano che procede la differenziazione, i linfociti B subiscono un processo che viene definito matu-razione dell’affinità e sono in grado di secernere anticorpi che sono sempre più affini per quell’anti-gene, che ne ha innescato l’attivazione. Poi si ha la generazione di cellule della memoria che restano nell’organismo e intervengono in successive attivazioni dello stesso antigene con risposta più rapida ed efficace. Scambio isotipico, maturazione dell’affinità, e produzione di linfociti B della memoria, non le ritroviamo per antigeni timo-indipendenti, in quanto i primi dipendono dalla coattivazione di linfociti T helper, questi no. (In casi eccezionali si può avere solo un leggero scambio isotipico).

Risposte anticorpali

Le risposte anticorpali primarie si hanno in seguito alla prima esposizione all’antigene, hanno intensità di produzione di plasmacellule che producono anticorpi molto bassa, e tempo di produ-zione delle cellule effettrici, e quindi di anticorpi in forma secreta, molto più lunga rispetto la secon-daria. Questo perché devono avvenire tutti i processi di differenziazione, mentre nella secondaria si sono generati i B della memoria che saranno già pronti, avendo modificato l’affinità del recettore (saranno anche più specifici rispetto i linfociti B naïve e di numero e intensità molto maggiore). Si ha anche una produzione di anticorpi non soltanto IgM e IgD ma anche altre sottoclassi. (Questo solo per antigeni di natura proteica, gli altri danno solo risposte primarie). Questi tipi di risposta coinvol-gono anche diversi tipi di linfociti B, in particolare per i timo-dipendenti si vanno ad attivare soprat-tutto le cellule B follicolari, che portano ad una serie di reazioni a livello dei follicoli che si trasfor-mano anche in veri e propri centri germinativi, e producono diversi tipi di anticorpi e molecole IgG, IgA, IgE con maggiore affinità per l’antigene, e inducono anche lo sviluppo di cellule definite pla-smacellule a lunga sopravvivenza. Di esse alcune restano negli organi linfoidi dove si sono generate, mentre altre abbandonano i centri germinativi e ricircolano tra il sangue e gli organi linfoidi. Possono produrre quindi anticorpi specifici per quel determinato antigene, sono così già pronti per eliminarlo anche dopo lungo tempo ad un eventuale re-incontro.

Gli antigeni di natura non proteica invece inducono alla produzione di sole plasmacellule a breve sopravvivenza, che non migrano a livello del midollo osseo ma risiedono negli organi linfoidi secondari.

In particolare i timo-indipendenti vengono riconosciuti dalle cellule B della zona marginale e dalle cellule B1, che appartengono a quelle che completano la differenziazione quando il B immaturo migra nella milza e acquisisce quindi la competenza funzionale.

Linfonodo Il linfonodo presenta nella regione più superficiale una capsula di collagene che racchiude nella

regione sottostante una parte corticale e una midollare. A livello della corticale abbiamo una zona che presenta follicoli dove si localizzano i linfociti B, poi i follicoli possono differenziarsi in follicolo linfatico primario, e follicolo con centro germinativo secondario in seguito all’attivazione linfocitaria B verso antigeni di natura proteica, poi ci sono zone a livello sempre della corticale dove ci sono

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linfociti T che vengono definite anche aree T, verso la midollare troviamo macrofagi cellule dendri-tiche e plasmacellule a breve o lunga sopravvivenza. Il linfonodo è costituito da diversi vasi linfatici afferenti, importanti per la migrazione sia dei linfociti B che dei linfociti T, e sono importanti anche come siti di ingresso per gli antigeni. Poi vi è un’arteria e vena linfatica e i vasi linfatici efferenti dal quale usciranno le cellule che devono poter uscire dal linfonodo. I linfonodi sono caratterizzati in varie aree determinate dalle chemochine che vengono prodotte dalle cellule del follicolo e dai recet-tori per le chemochine che esprimono le cellule del sistema immunitario. Quindi a livello del follicolo viene prodotta dalle cellule follicolari una chemochina che è CXCL13, e i linfociti B presentano sulla loro superficie un recettore che è CXCR5, recettore che riconosce le chemochine CXCL13, per que-sto motivo i linfociti B tenderanno a disporsi all’interno del linfonodo nel follicolo, perche sono ri-chiamati dal gradiente di concentrazione delle chemochine. I linfociti T non entrano nei follicoli ma si localizzano nell’area circostante, area T, perche le cellule dendritiche che sono li producono 2 che-mochine che sono CCL19, e CCL21, che si legano ai recettori delle cellule T CCR7.

Attivazione dei linfociti B verso antigeni di natura pro-teica

Per considerare questo tipo di attivazione dobbiamo considerare separatamente l’attivazione delle cellule B e T. Abbiamo detto che antigeni di natura proteica dipendono dalle cellule T per com-pletare l’attivazione. Perché il B riceva l’aiuto dello T entrambe devono attivarsi riconoscendo l’anti-gene proteico e devono essere in grado di interagire tra di loro. Generalmente le B e T naïve quiescenti sono in genere poco rappresentate all’interno della popolazione dei linfociti. La cellula B specifica per un antigene: ad esempio, x è rappresentata 1 su 105, e lo stesso per la T, e perché le 2 si incontrino devono essere favoriti dei processi che fanno si che esse interagiscano. Ciò è garantito da processi di migrazione e dall’organo linfoide. L’attivazione degli B avviene nel linfonodo o nella milza. Inizial-mente quindi il linfocita B riconosce l’antigene verso cui è specifico e anche lo T riconosce lo stesso antigene, queste due fasi (le due attivazioni) avvengono inizialmente separatamente. L’attivazione avviene in due zone separate dell’organo linfoide, in particolare quella dello B all’interno del follicolo dove sono localizzati, mentre quella dello T avviene a livello dell’area T.

Attivazione dei linfociti T La cellula dendritica capta l’antigene, lo processa, lo associa a molecole del complesso maggiore

di istompatibilità e lo esprime sulla superficie cellulare. Questa cellula dendritica può captare l’anti-gene o nel follicolo o nel tessuto, in tal caso dovrà trasportarlo attraverso la circolazione linfatica a livello del follicolo e presentarlo al linfocita T helper, il quale anche in questa sede ha bisogno di alcuni segnali per attivarsi: il CD4 del linfocita riconoscerà il complesso MHC-peptide, e la molecola CD28 del linfocita T helper riconosce le molecole co-stimolatorie B7-1 e B7-2 presenti su quella dendritica. Sono necessari questi 2 segnali per innescare l’attivazione della cellula T, la quale come nell’immunità cellulo-mediata, porta a produzione di IL-2, la quale a sua volta provoca espansione clonale e espressione della molecola CD40L, che è molto importante in questo caso, inoltre induce

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anche una modulazione dei recettori per le interleuchine, provocando la down-regolazione di CCR7 e up-regolazione di CXCR5, inizialmente a bassi livelli. Questa regolazione serve per spostarsi dall’area T verso il follicolo. A questo livello il T helper è già attivato e può produrre citochine e esprimere fattori di trascrizione importanti per il proseguo dell’attivazione del linfocita B.

Attivazione dei linfociti B Anche esso riconosce l’antigene, (di natura proteica), che per arrivare al follicolo può seguire

diverse vie, può penetrare attraverso la barriera epiteliale, oppure se è un antigene che è in circolo può arrivare all’organo linfoide tramite i vasi linfatici afferenti. L’antigene che si trova nei vasi per arrivare al follicolo può seguire diverse vie: se è un antigene a basso peso molecolare può uscire at-traverso i condotti e arrivare a livello del follicolo dove potrà essere riconosciuto dai linfociti B naïve; se è di maggiore dimensione (>70 kDa) non riesce ad attraversare i condotti e arrivare al follicolo, ma viene catturato dai macrofagi del seno sottocapsulare che poi lo trasportano nel follicolo. Antigeni ancora maggiori di 70 kDa non catturati dai macrofagi possono essere catturati dalle cellule dendri-tiche a livello della midollare del linfonodo. Le cellule dendritiche per catturarlo usano recettori che esprimono sulla superficie cellulare: esprimono recettori per il complemento CR2, il quale che può legare CR3 che a loro volta possono legare l’antigene di natura proteica e trasportarlo nel follicolo, è bene precisare che l’antigene non è processato ma riconosciuto. A livello della milza possono arrivare antigeni presenti nel sangue, che possono essere trasportati anche da cellule plasmacitoidi o catturati da cellule B della zona marginale e trasferiti al follicolo (questo è quando è nel sangue). Una volta che l’antigene è arrivato a livello del follicolo esso viene riconosciuto tramite il BCR, un’immunoglobu-lina di membrana, e il linfocita B naïve esprime IgM e IgD, il quale è coniugato a due catene Igα e Igβ che hanno residui di tirosina ITAM importanti per la trasduzione del segnale. Questa trasdu-zione per quanto riguarda gli antigeni di natura proteica non ha le proprietà di indurre la prolifera-zione e la produzione di cellule B in quanto l’antigene presenta un unico epitopo, quindi il ricono-scimento da parte del BCR e la trasduzione del segnale che questo innesca non riesce a fare proliferare e differenziare il linfocita B. La trasduzione del segnale dal BCR è però importante per indurre dei cambiamenti all’interno della cellula B, che favoriscano interazione con la cellula T (cambiando l’espressione di molecole in superficie). Al contrario la trasduzione del segnale innescata da antigeni timo-indipendenti è in grado di far proliferare e differenziare la cellula B in una plasmacellula in grado di creare anticorpi.

Anche l’attivazione del linfocita B è mediata da proteine, quelle della famiglia Src e Syk, e l’at-tivazione dei fattori di trascrizione si sovrappone a quella dei linfociti T ad eccezione del fatto che vengono utilizzati membri differenti durante le fasi iniziali dell’attivazione. Le chinasi attivate dal Src sono Lyn, Fyn, e Blk, delle Src chinasi simili a Lck, le quali una volta attivate vanno a fosforilare i dominî tirosinici ITAM delle catene Igα e Igβ. Queste reclutano una tirosin-chinasi della famiglia delle Syk, la quale attiva SLP-65/BNLK, poi la trasduzione prosegue come quella per gli T. La trasdu-zione serve ad indurre la formazione di molecole che mediano la sopravvivenza e la proliferazione cellulare, viene mediata quindi la espressione di citochine, interleuchina 2, 4, 5 che mediano la pro-liferazione, e verrà indotta l’espressione di molecole antiapoptotiche BCL-2 e BCL-XL, a cui seguirà 104 www.hackmed.org

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anche un aumento dell’espressione B7-1 e B7-2, molecole co-stimolatorie, che forniscono il secondo segnale per l’attivazione delle cellule T che il linfocita B naïve non esprime. Viene indotta l’espres-sione di citochine indispensabili per la sopravvivenza quali BAFF, e viene aumentata l’espressione del CCR7 e down regolarizzata quella del CXCR5, così che le cellule B vengono preparate a uscire dal follicolo. Un segnale co-accessorio viene determinato dai recettori del complemento, oltre all’at-tivazione mediata dal BCR la via di trasduzione è potenziata anche dai recettori del complemento; i linfociti B presentano il recettore CR2/CD21 che legano il frammento di degradazione del C3b, in-nescando l’attivazione del sistema del complemento, che può avvenire in questo caso per via alterna-tiva e per via lectinica. La superficie del microbo mi attiva la via alternativa e la lectinica. Il patogeno quindi contemporaneamente se l’antigene che innesca l’attivazione del B è un microrganismo può essere riconosciuto dall’immunoglobulina di membrana e dal recettore del complemento di tipo 2 (CR2), il quale è associato a CD19 e TAPA-1; queste due molecole servono perché poi trasducono all’interno della cellula un ulteriore segnale di attivazione (nella porzione citoplasmatica di CD19 c’è un dominio ITAM che può essere fosforilato quando le chinasi della famiglia delle Src: Lyn, Fyn e Blk fosforilano le sequenze Igα e Igβ, le quali possono attivare Syk che può fosforilare questo dominio CD19 quando CR2 è legato al C3d legato al patogeno, tutto ciò può attivare la fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) che induce segnali di sopravvivenza e attivazione del linfocita B). Il microbo può es-sere riconosciuto anche dai TLR, gli B esprimono solo alcuni elementi di questa famiglia: TLR7 e TLR9, quest’ultimo in particolare è importante perché riconosce sequenze CpG non metilate dai patogeni. Una volta ricevuti questi segnali il linfocita B modifica la sua struttura per poter migrare verso il linfocita T specifico per lo stesso antigene. Per quanto riguarda gli antigeni non proteici la cosa più importante non è la trasduzione del segnale, in quanto essa modifica solo alcune caratteri-stiche che servono per interagire con le T, la cosa più importante è l’internalizzazione, la sua proces-sazione e la presentazione al complesso MHC-peptide, importante perche solo in questa forma l’an-tigene è riconoscibile dal linfocita T.

Interazione tra linfocita TFH e linfocita B Il linfocita T inizialmente riconosce il linfocita B che gli presenta il complesso MHC-peptide,

poi avviene l’interazione tra CD28 del linfocita T con B7-1 e B7-2 espresso dal linfocita B attivato dall’antigene. Quindi interviene anche l’interazione CD40L con CD40 dove i linfociti B esprimono costitutivamente la molecola CD40 mentre soltanto i linfociti T attivati esprimono CD40L. Il linfo-cita T è importante per tutta questa serie di interazioni che innescano l’attivazione del linfocita B, e anche per la produzione di citochine che legandosi proprio a dei recettori sulla superficie dei linfociti B saranno importanti per la attivazione di essi. In seguito a questo riconoscimento congiunto dello stesso peptide da parte del linfocita T la cellula B può attivarsi completamente, riesce a ricevere il secondo segnale che gli mancava dalla cellula T, che è mediato dalle molecole costimolatorie, dalle molecole CD40, CD40L e dalle citochine prodotte dal linfocita T attivato. Questo linfocita T helper a livello del linfonodo non è né un TH1, né TH2, né TH17, ma un tipo di linfocita chiamati T helper che poi entrerà anch’esso nel follicolo venendo chiamato quindi T helper follicolare (TFH).

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Destini della cellula B La cellula B da questo incontro può avere 2 destini diversi:

1) Una parte migra verso la zona più midollare del linfonodo e costituisce i cordoni di linfociti B extrafollicolari, i quali subiscono un ulteriore processo di differenziazione in plasmacellule, che andranno poi ai linfociti B della memoria. Queste cellule che si differenziano hanno delle caratteri-stiche: le plasmacellule sono cellule in grado di esprimere anticorpi in forma secreta, che potranno migrare dagli organi linfoidi, andare in periferia e riconoscere l’antigene ed eliminarlo. Questa pla-smacellula innanzitutto modifica la componente carbossiterminale dell’immunoglobulina aggiun-gendo una coda idrofilica che fa sì che la molecola venga secreta, e elimina il dominio carbossitermi-nale che presenta la regione idrofobica, presenta inoltre un abbondante citoplasma rispetto al linfo-cita B normale. Le plasmacellule però producono un bassissimo scambio di classe, processo di matu-razione dell’affinità. Vengono soprattutto a formarsi plasmacellule a breve sopravvivenza, plasmacel-lule che non sono in grado di migrare a livello del midollo osseo e di persistere per la produzione di anticorpi per un certo antigene. Però nonostante questa pecca sono importanti per le immunoglo-buline in forma secreta, prevalentemente rappresentato dalle IgM, e perché producono anche un breve numero di cellule B della memoria. Questi anticorpi che vengono prodotti saranno poi impor-tanti per la differenziazione completa per il processo di maturazione dell’affinità che avviene a livello del follicolo.

2) Una parte riesce a ritornare al follicolo, qui danno origine a una serie di processi che portano allo scambio isotipico e alla maturazione dell’affinità, formazione di linfociti B della memoria e pla-smacellule a lunga sopravvivenza. Perché avvengano tutti questi processi essa deve tornare al folli-colo, esprimere dei recettori CXCR5 a livelli elevati.

Destino cellule T e follicoli Anche alcune di queste cellule T attivate in seguito al contatto acquistano la capacità di migrare

al follicolo, innescando la reazione nel centro germinativo delle risposte immunitarie umorali. Il follicolo con centro germinativo è distinguibile da un punto di vista istologico perché presenta una zona mantellare in cui ci sono cellule B naïve. Poi c’è una zona chiamata zona chiara, dove troviamo cellule non in proliferazione ma attivate comunque dall’antigene, qui ci sono anche le T follicolari e le dendritiche follicolari, che non sono cellule dendritiche uguali alle altre, in quanto non hanno capacità di fagocitosi e di presentazione dell’antigene in associazione a molecole del complesso mag-giore di istocompatibilità, vengono chiamate così perche esprimono lunghi prolungamenti dal loro corpo centrale ma non sono cellule dendritiche a tutti gli effetti. Poi c’è una zona scura in cui tro-viamo linfociti B in attiva proliferazione, chiamati anche centrociti. Abbiamo visto che lo B attivato e il T helper migrano al follicolo. Le caratteristiche di questo T helper nel suo stadio follicolare sono: un aumento del recettore CXCR5, l’espressione di un fattore di trascrizione cruciale che è BCL-6, che mantiene inoltre dei livelli di espressione di proteine che sono tipiche dello sviluppo TH1, TH2, TH17, down-regola l’espressione di BLIMP-1, importante affinché venga impedito che essa si tra-sformi in plasmacellula. La cellula T follicolare invece assume dei marcatori che la fanno differenziare

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dalla cellula prefollicolare e dalla cellula T CD4 positiva attivata dalla cellula dendritica. Si è visto che le cellule T follicolari si differenziano perché presentano BCL-6, un fattore di trascrizione importante. Le prefollicolari esprimono invece PD-1 e ICOS, prostimolatorie. Quando diventano follicolari hanno maggiore espressione di ICOS, PD-1, CD40L e presentano un marcatore tipico, il CD57, au-mentano l’espressione CXCR5, BCL-6, un fattore di trascrizione importante per i processi che av-vengono nel centro germinativo. I T helper follicolari sono caratterizzati da una certa produzione di citochine, l’interleuchina 21 e 24, e da bassa produzione di quelle proprie dei TH1 e TH2. Le interazioni che determinano la loro differenziazione sono l’interazione MHC con il TCR, CXCR5 con chemo-china CXCL13, BCL-6 e recettori con IL-6 e IL-21. Inoltre le interazioni ICOS con ICOS-L espresso da cellule presentanti l’antigene sono crucialissime per far assumere alla cellula una differenziazione in senso T helper follicolare. Quindi i marker che caratterizzano le follicolari sono PD-1, ICOS, IL-21, CXCR5 e BCL-6. Le interazioni importanti sono tra il TCR e le MHC-II, tra le molecole co-stimolatorie B7-1, B7-2 con il CD28, CD40 con CD40L, ICOS con ICOS-L, e giocano un ruolo im-portante le proteine della famiglia SLAM, che si legano con l’interazione fra SLAM e SLAM receptor, e la proteina SLAM a livello del T helper follicolare si lega alla proteina SAP. Tutte queste interazioni attivano BCL-6. Poi c’è da nominare il c-Maf, importante per la produzione di IL-4, e l’IRF4. Questi fattori di trascrizione sono cruciali.

Processi nel centro germinativo A livello del centro germinativo avvengono tutti i passaggi della attivazione delle cellule T: scam-

bio di classe, maturazione dell’affinità e differenziazione delle plasmacellule. Da un punto di vista molecolare abbiamo l’interazione con CD40L, con il linfocita T helper che va anche a innescare l’espressione di enzimi che non erano presenti sul linfocita B, in particolare fa sintetizzare un enzima definito citidina deaminasi indotta dall’attivazione (AID). È cruciale per far avvenire lo scambio di classe a livello del centro germinativo. Questo processo come avviene? Noi sappiamo che il linfocita B esprime un’immunoglobulina di membrana IgM e IgD costituito da un segmento V(D)J che co-difica per la regione variabile, unito a un esone che codifica per la catena pesante μ. Lo scambio di classe avviene tramite l’interazione CD40 e CD40L, insieme anche alle citochine prodotte dai linfo-citi T helper. Il CD40 è importante perche induce l’espressione di questi enzimi che inducono lo scambio, mentre le citochine vanno ad attivare il segmento genico che va scambiato con l’esone C. Gli esoni presentano alla regione 5′ regioni chiamate di scambio, che sono il target delle citochine prodotte dai linfociti T helper attivati. Se il linfocita T helper produce per esempio interferone γ esso andrà ad attivare la regione di scambio che si trova a monte dell’esone che codifica per la catena γ. Questa regione di scambio è costituita anche da una sequenza iniziatrice ancora più a monte. La citochina fa aprire il DNA a livello di questa regione di scambio e fa avviare la trascrizione, il trascritto che si genera prodotto dalla citochina e quindi dall’IFN-γ, è germinativo e non produce nessun tra-scritto primario e nessuna proteina. Questo trascritto primario fa si che possa essere scambiato l’esone della regione costante C con quello μ. A questo punto abbiamo la produzione di anticorpo IgG.

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Dettagliatamente: le citochine vanno ad attivare regioni di scambio e vanno a indurre la tra-scrizione a livello degli esoni che si trovano nelle sequenze iniziatrici a livello delle regioni di scambio, e inducono la formazione di un trascritto germinativo che non codifica per nessuna proteina ma ha l’unica funzione di andare a far aprire la doppia elica del DNA, e va a legarsi all’elica del DNA codi-ficante. Questo legame di questo trascritto primario fa si che l’elica del DNA non codificante formi un loop R. AID è importante perché trasforma le citosine in uracile, quest’ultimo a livello del DNA quando questa sequenza viene trascritta può essere o trasformato in timina producendo una muta-zione citosina-timina, oppure viene rimosso l’uracile da un altro enzima sempre indotto dall’intera-zione tra CD40 e CD40L, che è l’uracil N-glicosilasi, che rimuove questi residui di uracile creando in questo loop una sequenza che è priva di basi, questi siti abasici sono tagliati, viene così ad aprirsi la doppia elica del DNA grazie ad un altro enzima sempre indotto dall’interazione CD40, CD40L che è APE 1 (Human Apurinic/apyrimidinic Endonuclease), un’endonucleasi, che quindi taglia il fram-mento del DNA (non si sa bene come riesca ad agire a livello dell’esone del trascritto primario della catena μ e di quello della catena con la quale va ricombinata la regione variabile dell’anticorpo), quindi questo taglio fa sì che questo esone che codifica per la catena pesante (in questo caso γ) possa essere ricongiunto con l’esone V(D)J che ha arrangiato, mentre l’esone della catena pesante μ venga “depeso”. A questo punto c’è la formazione della catena pesante IgG, la quale può essere sia di mem-brana che secreta.

Questo processo avviene soltanto a livello del centro germinativo e è mediato appunto dalle citochine emessa dai T helper follicolari e dall’interazione con il CD40L.

Maturazione dell’affinità Altro processo che avviene nel centro germinativo è la maturazione dell’affinità, le cellule B che

migrano dalla zona di confine al follicolo vanno incontro a processo di proliferazione elevato, du-rante il quale subiscono a un fenomeno definito ipermutazione somatica, il tasso di mutazione a livello delle zone variabili è molto più elevato di quello che si osserva per qualsiasi proteina. Si è osservato che in seguito all’attivazione dei linfociti B queste mutazioni puntiformi erano molto più elevate a livello della zona CDR3, quella che determina la complementarietà, e mentre subito dopo la prima immunizzazione il livello di mutazione era abbastanza alto, questo aumenta enormemente con immunizzazione successiva, quindi mano a mano che l’individuo è a contatto con lo stesso anti-gene esso può maturare una specificità ancora maggiore, per via di questo fenomeno di mutazione. Esso però è casuale, non è detto che una mutazione mi porti per forza a un’immunoglobulina che riconosce l’antigene, esso potrebbe portare anche a una che non riesce più a riconoscere l’antigene, o che ci riesce ma con un affinità minore di quella dell’anticorpo che avevo prima del processo di mutazione somatica.

La maturazione dell’affinità quindi consiste in due fasi: nella prima casualmente ci sono muta-zioni a livello della regione variabile degli anticorpi, che poi devono essere selezionati per far si che vengano fatti differenziare soltanto quei linfociti B che hanno mutato il recettore più affine per l’an-tigene estraneo.

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Specifiche della maturazione dell’affinità e completa-mento della maturazione

Da un punto di vista molecolare lo scambio di classe sappiamo che avviene per un processo chiamato ricombinazione per scambio, in cui la porzione V(D)J è già ricombinata e quindi c’è solo uno scambio delle catene pesanti sulla stessa regione variabile. Al contrario questo processo della maturazione dell’affinità è un processo di mutazione casuale, i meccanismi non si conoscono ancora bene, ma si sa che questo processo di mutazione è mediato sempre dall’enzima AID indotto dall’in-terazione CD40 e CD40L. In questo caso AID provoca delle mutazioni perché è una deaminasi, va a deaminare le citosine in uracile, che poi vengono trasformate in timina, quindi può provocare una mutazione C-T, ma si può anche creare per l’attività dell’uracil N-glicosilasi anche un sito abasico che verrà sostituito con un altro nucleotide, quindi possiamo avere anche altri tipi di mutazioni. Una volta che l’immunoglobulina è mutata per verificare la sua specificità, i centrociti migrano dalla zona scura (nella quale avviene il processo di proliferazione spinta) verso la zona chiara (che contiene cellule follicolari e linfociti T helper), le cellule follicolari a questo livello vanno a presentare l’antigene al linfocita B che ha subito la mutazione somatica: è presentato non sottoforma di complesso MHC-peptide, ma sottoforma di immunocomplesso, l’antigene che arriva nel follicolo può essere captato dalle immunoglobuline prodotte dalle cellule mature presenti nei cordoni extrafollicolari e poi essere legato da recettori Fc degli anticorpi presenti sulle cellule follicolari dendritiche, o può essere pre-sentato sottoforma di complesso tramite le proteine del complemento. Quindi l’antigene può essere presentato: dalle cellule follicolari dendritiche nella sua forma attiva; al linfocita B, che produrrà an-ticorpi per l’antigene in struttura quaternaria. La cellula follicolare presenta l’antigene non degradato, ma sottoforma di immunocomplesso, o con le immunoglobuline prodotte nella prima fase dai linfo-citi B extrafollicolari, oppure tramite l’attivazione del complemento, per cui le cellule follicolari den-dritiche presentano anche loro il recettore CR2. Le cellule B che hanno subito una mutazione casuale che ha portato a dei recettori con minore affinità per l’antigene verranno indotte a morte per apop-tosi, perche la loro interazione con l’immunocomplesso è sfavorita rispetto a quelli che hanno affinità maggiore per l’immunocomplesso. Inoltre potrebbe anche succedere che dato il fatto che la presenza dell’antigene è estremamente bassa, le cellule T follicolari non riescono a presentare grandi quantità di antigene ai linfociti B. Inoltre il T helper follicolare potrebbe esprimere il ligando di Fas (FasL) e legare Fas alla cellula B e indurre morte. Subita la maturazione la cellula B prosegue la sua differen-ziazione e si trasforma in cellula B della memoria e plasmacellula a lunga sopravvivenza, le quali migrano a livello del midollo osseo e producono il miglior tipo di anticorpo per quell’antigene.

Un’alta produzione di BCL-6 è inibita da acetilazione, inibizione che favorisce la trasformazione in plasmacellule.

La migrazione è regolata sempre dalle chemochina, nella zona scura ci sono alti livelli di CXCR4 che si lega a CXCL12, migrano nella chiara quelli con CXCR5 che legano CXCL12. Mano a mano che l’antigene è minore le cellule B sono più affini.

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Immunopatologia

Introduzione all’immunopatologia Obiettivo: capire come mai si sviluppano le malattie autoimmuni, le quali sono una forma di

patologia, legata al fatto che esiste un’alterata risposta immunitaria. Per capire le cause delle patologie autoimmuni, bisogna però prima valutare i meccanismi che fanno sì che esse non si sviluppino.

Le malattie autoimmuni sono delle reazioni del sistema immunitario verso gli antigeni self.

Tolleranza Normalmente le malattie autoimmuni non si sviluppano perché il sistema immunitario è carat-

terizzato dalla tolleranza. La tolleranza immunologica è quella condizione in cui i linfociti T non sono responsivi ad un antigene che hanno precedentemente incontrato.

Quando un linfocita incontra un antigene può avere diverse funzioni:

1. innanzitutto, un linfocita, che incontra un antigene, può attivarsi a quello stesso anti-gene e quindi sviluppare una risposta immunitaria, che può essere umorale o cellulo-mediata, in base

2. oppure, il linfocita può essere inattivato od indotto a morte, ossia eliminato dal reper-torio linfocitario.

Quegli antigeni che preferenzialmente inducono una risposta immunitaria sono definiti immu-nogeni, mentre quelli che preferenzialmente inducono tolleranza – cioè inattivano od eliminano le cellule che riconoscono l’antigene – vengono definiti tollerogeni. La classificazione, però, non è ri-stretta: un antigene infatti può essere tollerogeno o immunogeno a seconda dei diversi fattori che lo influenzano (in quale stato viene presentato l’antigene, che tipo di cellula lo riconosce, in quale stato si trova la cellula che riconosce l’antigene, la via di somministrazione dell’antigene ecc.). Prevalente-mente, un antigene estraneo scatena una risposta immunitaria e quindi è un immunogeno, mentre un antigene self, prevalentemente, induce tolleranza.

Perché abbiamo bisogno della tolleranza verso gli antigeni self dell’organismo? Perché, altrimenti, si scatenerebbe una risposta immunitaria verso le cellule self dell’organismo.

Come vengono sviluppati i recettori per i linfociti T e B? Tramite ricombinazione somatica a par-tire da un corredo di geni, che avviene secondo un modo casuale. Inoltre, durante la maturazione, l’antigene non è presente. E ciò fa sì che si possano sviluppare cellule con recettori cross-reattivi verso antigeni self dell’individuo.

Tolleranza centrale

Durante la maturazione, avviene un processo definito tolleranza centrale. La tolleranza centrale ha il fine di non far maturare quelle cellule di B e T che durante il loro sviluppo, negli organi linfoidi,

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hanno generato dei recettori reattivi verso il self. La tolleranza centrale agisce sul linfocita immaturo, presente negli organi linfoidi (timo per linfociti T, midollo osseo per linfociti B).

Per quanto riguarda i linfociti T, la tolleranza centrale è basata sull’apoptosi o sullo sviluppo delle cellule T-regolatorie; mentre, per quanto riguarda i linfociti B, oltre l’apoptosi, può anche avve-nire un meccanismo di tolleranza definito editing recettoriale dei linfociti B.

Un altro processo, che si verifica a livello degli organi linfoidi, è l’anergia, cioè la non responsi-vità rispetto all’antigene self incontrato a livello centrale. Questo tipo di tolleranza coinvolge sola-mente i linfociti immaturi, quali divengono maturi solo dopo che sono stati selezionati a livello cen-trale. Un’altra peculiarità di questa tolleranza è che sono rivolti ad antigeni self espressi ubiquitaria-mente, quindi in diversi tessuti dell’organismo, che sono trasportati dal sangue a livello degli organi linfoidi, oppure, per quando riguarda i linfociti T, tutti quegli antigeni che hanno una distribuzione tessuto-specifica, che però sono sotto il controllo del fattore di regolazione trascrizionale AIRE, che fa sì che alcuni antigeni tessuto-specifici vengano espressi a livello del timo. Quindi, a livello del timo o del midollo osseo, si seleziona un repertorio di linfociti T che non riconosce antigeni self però il repertorio, selezionato a livello degli organi linfoidi primari, non può coprire la tolleranza dei linfociti verso tutti gli antigeni del nostro organismo, infatti ci sono antigeni che non riescono a raggiungere gli organi linfoidi primari e che hanno un’espressione tessuto-specifica. In seguito a questa prima selezione, avremo un repertorio di cellule T e B che vanno in circolo e che, per cause di forza mag-giore, non hanno incontrato alcuni antigeni, che invece sono espressi a livello di tessuti periferici. Perciò, avremo un certo numero di cellule che presentano ancora delle cellule autoreattive, cioè che possono reagire verso il self.

Tolleranza periferica dei linfociti T

Per far sì che le cellule T non rispondano agli antigeni self, si ha un tipo di tolleranza definita periferica. Essa avviene esclusivamente in tessuti periferici e prevede l’incontro dell’antigene da parte dei linfociti maturi. Questa tolleranza periferica può essere indotta sia da antigeni self, sia da antigeni estranei.

Quella verso gli antigeni self sarà importante per impedire lo sviluppo delle malattie autoim-muni, quindi la reattività di questi linfociti verso componenti dell’organismo stesso.

Mentre la tolleranza, indotta in periferia, verso l’antigene estraneo sarà negativa, perché un an-tigene somministrato in determinate condizione non fa sviluppare una risposta immunitaria. In al-cuni casi, però, può essere sfruttato per indurre tolleranza verso alcuni tipi di sostanze, ad esempio, per indurre tolleranza allo scopo delle vaccinazioni ed impedire sviluppo delle malattie.

La tolleranza periferica sfrutta dei meccanismi peculiari per la soppressione delle risposte dei linfociti T che vanno dall’anergia (non responsività dei linfociti), all’induzione della delezione clo-nale, tramite un processo di morte cellulare programmata (apoptosi) oppure, soprattutto per i linfo-citi T, l’induzione delle cellule T-soppressive e delle cellule T-regolatorie, che, attraverso la loro atti-vità, vanno ad inibire l’attività delle cellule T stesse. Queste cellule T che si regolano in periferia sono diverse da quelle che si sviluppano al livello del timo (cellule T-reg naturali) e vengono dette T-reg inducibili.

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Come fanno i linfociti a stabilire se quello che si presenta è un antigene self o è un antigene estra-neo? La scelta tra attivazione e tolleranza deriva soprattutto da 3 caratteristiche:

1. dalle proprietà dell’antigene; 2. dallo stato di maturazione del linfocita, che incontra in quel momento l’antigene; 3. dal tipo di segnale ricevuto.

1) Per quanto riguarda le proprietà dell’antigene, l’organismo riconosce se un antigene è self o estraneo dalla concentrazione dell’antigene presente in un determinato momento. Un antigene self è un antigene che, normalmente, è espresso costitutivamente nell’organismo e quindi la sua presenza è continua nel tempo ed ha concentrazioni abbastanza elevate nell’organismo, sono cioè ampiamente espressi ad elevate concentrazioni.

Mentre un antigene estraneo, di solito, si presenta al nostro sistema immunitario improvvisa-mente e la sua concentrazione, a livello dell’organismo, aumenta in modo esponenziale (infatti i mi-crorganismi si replicano con andamento esponenziale, ogni 20 minuti). Un antigene che nel nostro organismo si presenta immediatamente e con un aumento della concentrazione esponenziale nel tempo, quindi passando da basse ad elevate concentrazioni, è segno per il nostro organismo di un’in-fezione.

2) Anche lo stato di maturazione dei linfociti influenza l’immunogenicità o la tolleranza, per-ché generalmente i linfociti immaturi, quando vanno a riconoscere gli antigeni self, se li riconoscono con un’elevata affinità, vanno incontro a dei processi di delezione (di tolleranza) e vengono eliminati dal repertorio.

Mentre i linfociti T maturi, che riconoscono con elevata affinità l’antigene estraneo vengono attivati. Ricapitolando, a seconda dello stadio di maturazione della cellula, lo stesso tipo di segnale induce un destino differente se la cellula è matura o immatura. Un segnale forte, nell’immaturo, porta alla tolleranza, e all’apoptosi ed un segnale debole porta a sopravvivenza, un segnale forte, nel maturo, porta ad attivazione ed un segnale debole non riesce a farlo attivare.

3) Normalmente, se l’antigene è estraneo, esso induce l’attivazione della risposta immunitaria innata, che sia attraverso le citochine sia attraverso la regolazione dell’espressione delle molecole co-stimolatorie, fornisce il secondo segnale di attivazione al linfocita T il quale potrà attivarsi.

In assenza di risposta immunitaria innata, quindi in assenza di molecole co-stimolatorie e cito-chine la cellula, al contrario, non riesce ad attivarsi. Solo col primo segnale nel linfocita T e nel B riescono ad attivarsi, quindi la presenza di un’infezione ed una risposta immunitaria innata fanno sì che la cellula possa decidere se l’antigene è self e quindi diventare tollerante o se, al contrario, si debba attivare.

Tolleranza centrale dei linfociti T

Per tolleranza centrale intendiamo quello stato in cui i linfociti maturi, se riconoscono l’anti-gene con bassa affinità, si sviluppano ed avremo cellule T che completano la maturazione nel timo e poi vanno in periferia. Oppure nel timo, se i timociti hanno sviluppato recettori che riconoscono con alta affinità gli antigeni self vanno incontro all’apoptosi. Mentre timociti che riconoscono antigeni con un’affinità intermedia, verso gli antigeni self, inducono lo sviluppo delle cellule T-reg andando

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ad up-regolare i fattore di trascrizione FoxP3 e l’espressione delle molecole CD25 e quindi si svilup-pano cellule T-reg inducibili.

Tolleranza centrale dei linfociti B Per quanto riguarda i linfociti B, a livello centrale, se riconoscono antigeni self multivalenti, essi

vanno incontro all’ editing recettoriale o all’induzione del processo apoptotico. Se riconoscono anti-geni self solubili non multivalenti queste cellule vanno incontro ad un processo di inattivazione fun-zionale ma restano nel repertorio e vanno incontro ad anergia.

Tolleranza periferica dei linfociti T Per quanto riguarda la tolleranza periferica, normalmente una cellula presentante l’antigene

presenta l’antigene al linfocita T, il quale lo riconosce, tramite recettore del linfocita T, tramite CD4 o CD8 (che va a riconoscere il complesso maggiore di istocompatibilità di classe seconda o di classe prima) e B7-1 e B7-2, espressi sulla cellula presentante l’antigene, che legano CD28, e si innesca, tramite tutti questi segnali, l’attivazione delle cellule T, la loro differenziazione in cellula effettrice e cellule della memoria.

Quand’è che le cellule T che riconoscono antigeni self vengono rese tolleranti?

Vi sono 3 meccanismi peculiari:

1. anergia; 2. soppressione; 3. delezione.

1) Per anergia intendiamo lo sviluppo di un repertorio di cellule T, che sono presenti nel reper-torio, ma che non riescono a rispondere all’antigene, che hanno precedentemente incontrato.

2) Per soppressione si intende un meccanismo di tolleranza mediato da linfociti T-regolatori. Ci sono cellule T cross-reattive che vanno a reagire contro il self, però la loro attività è tenuta sotto controllo dall’attività di altri linfociti, i T-reg, che vanno ad inibire l’attivazione di cellule T cross-reattive verso il self.

3) Nella delezione clonale, i linfociti T, che riconoscono antigeni self, vengono indotti a morte.

Quali sono e condizioni per cui il linfocita T cross-reattivo verso il self sceglie l’anergia?

Dopo la selezione a livello centrale, le cellule vanno in periferia e possono avere ancora una cross-reattività verso quegli antigeni che non hanno incontrato a livello timico e quindi vanno in-contro a delezione clonale, anergia, sviluppo delle cellule T-reg, ma anche ad un ultimo meccanismo di induzione della tolleranza periferica, che è legata al fatto che alcuni antigeni sono localizzati in siti immunologicamente privilegiati. Tale condizione fa sì che le cellule T siano tolleranti verso questi tipi di antigeni, localizzati in siti immunologicamente privilegiati.

L’anergia è una condizione per cui il linfocita T, che ha riconosciuto un antigene self, diventa non responsivo, ma rimane presente nel repertorio linfocitario, non venendo deleto. L’anergia si ha per due condizioni principali:

a) per assenza di molecole co-stimolatorie sulle cellule presentanti l’antigene;

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b) per ingaggio da parte delle molecole co-stimolatorie presenti sulle cellule presentanti l’antigene da recettori inibitori, quali il CTLA-4 o il PD-1.

Quali sono i meccanismi per cui la cellula va in anergia?

Quando un linfocita T riconosce un complesso MHC peptide self su una superficie di una cellula presentante l’antigene, ma questa non esprime molecole B7-1 e B7-2, la cellula T diventa non respon-siva.

Con quali meccanismi la cellula diventa non responsiva?

Con 4 meccanismi particolari.

1) Innanzitutto, il linfocita T che riconosce il complesso MHC-peptide, in assenza delle molecole co-stimolatorie, down-regola l’espressione dei recettori TCR, espressi sulla su-perficie cellulare e quindi avviene una riduzione del segnale intracellulare, trasdotto dal recettore delle cellule T.

2) Sempre per quanto riguarda la riduzione del segnale trasdotto dal TCR, i linfociti T che riconoscono il complesso MHC-peptide, in assenza di molecole co-stimolatorie, pos-sono anche attivare delle tirosin-fosfatasi, che vanno ad inibire le fosforilazione delle catene CD3 associate al complesso TCR e quindi il segnale non verrà trasdotto all’in-terno della cellula.

3) Un ulteriore meccanismo, sempre indotto dall’assenza delle molecole co-stimolatorie, è legato al fatto che il segnale del CD28 induce l’attivazione di alcune vie di trasduzione del segnale.10 La mancata attivazione della via delle RAS MAP chinasi fa sì che si abbia anche una riduzione di fattori di trascrizione che vengono traslocati nel nucleo, impor-tanti per l’attivazione delle cellule T stesse.

4) Un ulteriore meccanismo che utilizzano le cellule T per andare in anergia è legato al CTLA-4.

La mancanza del segnale co-stimolatorio induce l’attivazione di ubiquitina ligasi E3. La funzione dell’ubiquitina ligasi E3 è quella di legare alcuni substrati e di portarli al proteosoma per la sua de-gradazione. Se manca CD28 vengono attivate diverse ligasi E3, le quali ubiquitinano le cellule per la loro degradazione nel proteosoma, e quindi fa sì che i componenti della trasduzione del segnale per i linfociti T vengano anche degradati a livello del proteosoma, con conseguente riduzione delle catene delle molecole che possono trasdurre il segnale a livello della cellula per degradazione a livello del proteosoma.

Oltre alla ligasi CBL, che si attiva quando non vi è legame con CD28 è presente la ligasi GREIL, che viene indotta quando manca l’interazione CD28 con B7-1 B7-2 e la sua espressione viene down-regolata quando CD28, al contrario, si lega a B7-1 B7-2. La ligasi GREIL ha una funzione simile alle ligasi E3 e CBL e quindi fa sì che le catene Z del complesso CD3 vengano “targhettate” da questa

10 CD28 che si lega a B7-1 e B7-2 attiva delle chinasi che inducono segnali di sopravvivenza e attiva la via delle RAS MAP chinasi, entrambe le vie sono importanti perché favoriscono la sopravvivenza, aumentando l’espressione delle proteine con funzione antiapoptotica Bcl-2 e Bcl-xL inducono l’espressione dei recettori per IL-2, etc. 114

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ligasi nel proteosoma per la loro degradazione, quindi viene ridotta la possibilità del TCR di trasdurre il segnale all’interno della cellula e quindi di raggiungere una soglia di attivazione nelle cellule T.

Quindi, l’ultimo meccanismo con cui una cellula T che riconosce un antigene self va incontro ad un’inattivazione non funzionale è reclutando molecole inibitorie.

Quand’è che B7-1 e B7-2 possono legarsi a CTLA-4 invece che a CD28? Che differenza c’è tra le due molecole?

CD28 ha un’affinità che va dalle 20 alle 50 volte più bassa per le molecole B7-1 e B7-2 rispetto a CTLA-4, quindi quando i livelli di espressione delle molecole co-stimolatorie sono basse perché l’an-tigene self e quindi esso non sarà in grado di indurre una risposta immunitaria innata, attraverso i toll-like receptor l’inattivazione sulle cellule APC.

In particolare B7-2 viene espressa costitutivamente a bassi livelli sulle cellule dendritiche, mentre B7-1 invece viene indotta solo in seguito all’attivazione. Quindi normalmente le cellule quie-scenti, immature e che non hanno incontrato un microrganismo esprimono dei livelli bassissimi di B7-2 e non esprimono B7-1. Mentre i linfociti B ed i macrofagi non esprimono né B7-1 né B7-2, a meno che non incontrino un organismo che stimoli la risposta immunitaria innata, quindi la loro espressione e la produzione di citochine, che favoriscano la loro espressione.

Quali sono i modi con cui un T può potenziare la capacità di espressione delle molecole co-stimo-latorie? Interferoni ed interazione CD40 con CD40L, (CD40 è espresso costitutivamente dalle cellule APC), toll-like.

Tutte le molecole co-stimolatorie sono indotte da un’infezione o da un’attivazione linfocitaria, altrimenti sono espresse a bassi livelli o, addirittura, non vengono espresse. CTLA-4 ha un’affinità molto maggiore per B7-1 e B7-2 anche quando queste vengono espresse a bassi livelli. Se quindi siamo in assenza di infezioni e la cellula presentante l’antigene è una cellula immatura ed esprime bassi livelli di B7-2, prevalentemente esso andrà a legarsi a CTLA-4 piuttosto che a CD28 e questa interazione induce 2 effetti principali:

1. Innanzitutto il CTLA-4 se si lega esso stesso a B7 impedisce che CD28 vada a legarsi a B7, quindi impedisce che, anche se sono espresse le molecole co-stimolatorie, i linfocita T possa attivarsi.

2. Poi, all’interno delle porzioni intracitoplasmatiche del CTLA-4 sono presenti anche do-minî ITIM (Immunoreceptor Tyrosine-based Inhibition Motif), che favoriscono il reclu-tamento di fosfatasi e quindi l’interazione di B7 con CTLA-4 va anche ad indurre il reclutamento di tirosin-fosfatasi che vanno a defosforilare gli eventuali siti che possono essere stati fosforilati, in seguito ad interazione dell’antigene con il complesso MHC-peptide.

Un’ultima funzione con la quale il CTLA-4 rende la cellula T anergica, avviene quando il CTLA-4 lega B7 e down-regola in questo modo i livelli di espressione di B7 sulla cellula presentante l’anti-gene, quindi l’interazione fa sì che venga ridotto maggiormente il numero di molecole co-stimolato-rie espresse sulle cellule presentanti l’antigene. Questo meccanismo di riduzione dell’espressione delle molecole B7 sulle cellule dendritiche viene sfruttato, non esclusivamente per il fenomeno

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dell’anergia, ma anche per la regolazione dell’attivazione indotta dalle cellule T-reg, le quali espri-mono anche loro la cellula CTLA-4.

PD-1 e PD-2

Oltre a CTLA-4 possono interagire con le molecole B7-1 e B7-2 anche altre molecole inibitorie, quali PD-1 e PD-2. PD-L1 si ritrova su APC ma anche su altri tipi di cellule, PD-L2 è soprattutto associato alle cellule dendritiche. Mentre CTLA-4 ha un ruolo di indurre anergia sia a livello degli organi linfoidi secondari sia nei tessuti periferici, la molecola PD-1 è coinvolta nell’induzione di aner-gia negli antigeni che vengono riconosciuti esclusivamente a livello periferico.

Linfociti T-regolatori

Questi linfociti T-reg sono presenti in due popolazioni: T-reg naturali, che si sviluppano a li-vello del timo quando i linfociti T riconoscono l’antigene self con un’affinità intermedia (perché a bassa attività si sviluppano, ad elevata attività vanno incontro ad apoptosi) oppure vengono indotti dal riconoscimento dell’antigene a livello dei tessuti periferici.

A livello dei tessuti periferici possono svilupparsi linfociti T-regolatori che riconoscono antigeni self o che riconoscono antigeni estranei, mentre a livello centrale, sono presenti soltanto antigeni self, quindi i linfociti T-reg che si differenziano a livello centrale saranno specifici per antigeni self, mentre quelli che si sviluppano in periferia possono differenziarsi grazie al riconoscimento di antigeni self o di antigeni estranei. I linfociti T-reg naturali utilizzano soprattutto un meccanismo di regolazione contatto-dipendente.

Questi vengono definiti T-reg inducibili e i meccanismi con cui essi sopprimono l’attivazione delle cellule T sono diverse. I T-reg inducibili utilizzano soprattutto la produzione di fattori solubili, che producono queste cellule che vanno ad inibire l’attivazione delle cellule T e in maniera minore i meccanismi che sono contatto-dipendenti. I linfociti T-reg naturali utilizzano un meccanismo di re-golazione contatto-indipendente.

La cellula T-reg specifica si sviluppa grazie all’espressione del fattore di trascrizione FoxP3 e la loro differenziazione è legata soprattutto alla produzione della citochina TGF-β. Da cellule CD4 si passa a cellule T-reg.

Quali sono le caratteristiche di queste cellule T-reg? Come si riconoscono? Come le distinguiamo da TH1, TH2 o TH17? Innanzitutto, perché le T-reg esprimono un livello molto alto della molecola CD25. CD25 è un cluster di differenziazione che identifica la catena α del recettore di IL-2.

Che cosa fa questa catena α sui linfociti T CD4 o naïve? Viene indotta in seguito all’attivazione e quando si lega al recettore β-γ, che invece è espresso costitutivamente, induce un’aumentata affinità delle cellule per l’IL-2 stessa. La catena α è quella che nel recettore β-γ determina la specificità esclu-siva per IL-2, mentre la catena β può riconoscere IL-2 ed IL-15. Quindi, CD25 è proprio il recettore che genera la maggior affinità per l’IL-2 ed ha la specificità assoluta per IL-2. Queste cellule, espri-mendo questa catena, sono estremamente dipendenti per la loro sopravvivenza e differenziazione per l’IL-2 stessa.

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Poi esprimono la molecola inibitoria CTLA-4 ed esprimono CD27, che ha recettori per IL-7, a bassissimi livelli (sono poco dipendenti dall’IL-7 per la loro sopravvivenza) e soprattutto producono recettore per le chemochine CCL6, quindi la loro migrazione verso gli organi e tessuti periferici e linfonodi.

Soprattutto, producono due citochine che sono il TGF-β e IL-10, che saranno responsabili di alcuni meccanismi con cui regolano l’attività delle cellule T che riconoscono antigeni self o estranei.

I principali fattori di trascrizione che caratterizzano questa popolazione sono FoxP3 e STAT-5. STAT-5 media la trasduzione del segnale attraverso IL-2. L’IL-2, attraverso STAT-5, riduce l’espres-sione di FoxP3, il quale viene indotto anche da TGF-β. Quindi TGF-β ed IL-2 sono importanti per l’induzione della differenziazione e per il mantenimento di questa popolazione di cellule T-reg.

Tali caratteristiche permettono una distinzione tra essi e le cellule naïve ed effettrici, le quali non esprimono un alto livello di CD25, non esprimono la molecola CTLA-4, ma la inducono dopo l’atti-vazione dopo circa 24 ore in seguito all’attivazione delle cellule T naïve, mentre i T-reg lo esprimono costitutivamente.

I linfociti T naïve producono principalmente IL-2 e dipendono nella loro crescita da IL-7, men-tre i T-effettori possono produrre diverse citochine, a seconda della sottopopolazione di CD4, pre-sentano recettori per le chemochine che caratterizzano le diverse sottopopolazioni e per la crescita i linfociti della memoria sono dipendenti da IL-7 ed IL-15 e le cellule-effettrici da IL-2 e da IL-4. I fattori di trascrizione per le cellule T naïve e della memoria non sono quindi FoxP3 e le STAT-5, che invece sono tipici fattori di trascrizione che caratterizzano le cellule T-reg.

Come funzionano le cellule T regolatrici? Possono funzionare attraverso una modalità contatto-dipendente oppure attraverso la produzione di fattori di citochine che secernono, in particolare, pro-ducono IL-10 e TGF-β.

Come fanno queste citochine ad inibire l’attività delle cellule che riconoscono antigeni self?

TGF-β

Il TGF-β è una famiglia di proteine, sintetizzate come degli omodimeri, normalmente presenti in una forma latente ed inattiva e vengono attivate grazie all’associazione con altri polipeptidi, grazie all’attività di diverse proteasi. Il TGF-β è secreto oltre che dalle cellule T-reg anche da altre cellule, come i fagociti mononucleati attivati.

a) La funzione del TGF-β è quella di andare a sopprimere l’attività di diverse cellule del sistema immunitario. Ad esempio, inibisce l’attività dei macrofagi. I macrofagi vengono attivati classica-mente tramite IFN-γ e CD40L da parte dei TH1. Il TGF-β, che va ad inibire l’attività dei macrofagi, può essere prodotto o dai linfociti T-reg o dai macrofagi alternativamente attivati M2, indotti dalle citochine TH2, quindi da IL-4 e da IL-13.

b) Il TGF-β inibisce anche neutrofili e cellule endoteliali. Andando ad inibire queste cellule, va ad inibire anche la risposta immunitaria infiammatoria.

c) Inibisce anche la funzione effettrice dei linfociti T stessi e quindi T-regolatori andranno ad inibire la proliferazione e le funzioni effettrici di diverse sottopopolazioni di diverse cellule T, grazie all’attività antiproliferativa.

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d) È il fattore determinante per la differenziazione dei T-reg, però quando il TGF-β si trova in presenza di IL-1 ed IL-6, invece di determinare la differenziazione delle cellule T verso le T-reg, in-duce la differenziazione delle cellule CD4 positive verso il t-helper17.

Quindi, il TGF-β ha un ruolo diverso a seconda del contesto di citochine nel quale si trova. Se è presente una forte risposta immunitaria innata, quindi il microrganismo stimola la produzione di citochine infiammatorie e proinfiammatorie IL-1 ed IL-6, le cellule T CD4 si differenziano in t-hel-per17. Se invece non siamo in presenza di una risposta immunitaria innata, in quanto l’antigene è self, le cellule T CD4 si differenzieranno preferenzialmente in cellule T-reg.

e) Grazie al fatto che il TGF-β viene prodotto da macrofagi alternativamente attivati, questa citochina ha anche la funzione di modulare la riparazione tissutale, in quanto stimola i macrofagi e i fibroblasti a secernere degli enzimi coinvolti nella generazione di tessuto fibroso, nell’indurre pro-duzione che favoriscano la neoangiogenesi dei vasi e di stimolare anche le piastrine (processo per riparazione tissutale).

Quindi i linfociti T-reg, inducendo la produzione di TGF-β, andranno prevalentemente ad ini-bire la proliferazione e le funzioni effettrici dei linfociti T e dato che bloccano l’attivazione dei ma-crofagi classicamente attivati, andranno ad inibire le funzioni delle cellule TH1, perché, se non si at-tivano i macrofagi, i TH1, che invece attivano i macrofagi e l’inattivazione dell’agente patogeno, non verranno indotti.

Interleuchina 10

L’altra citochina che producono le cellule T-reg è l’interleuchina 10 (IL-10), che è una citochina immunosoppressiva, appartenente ad una famiglia molto ampia (interleuchina 19-20-22-24-26-27).

Viene sintetizzata come omodimero, con ciascuna subunità di 17 kDa. Questa citochina è pro-dotta da diversi tipi di cellule, innanzitutto dalle cellule T-reg, ma anche da cellule dendritiche, da cheratinociti, dalle cellule TH1 e TH2 attivate. È importante nella regolazione della differenziazione di TH1 e TH2. Infatti, se viene prodotto da TH1 va ad inibire la differenziazione in senso TH2, al contrario, se viene prodotto da TH2 va ad inibire la differenziazione in senso TH1. Quindi, l’IL-10 regola anche il bilancio delle cellule TH1 e TH2. L’IL-10 viene prodotta anche dai macrofagi attivati e su questi influenza, una volta prodotta, la loro stessa attivazione.

a) Le attività biologiche dell’IL-10 sono da ascrivere al fatto che questa citochina va ad inibire la sintesi dell’IL-12. [Ricorda che IL-12 e IFN-γ sono due citochine cruciali, che inducono la diffe-renziazione di T-CD4 naïve in senso TH1.] Il fatto che IL-10 sopprima la produzione di IL-12 da parte delle cellule presentanti l’antigene e da parte dei macrofagi, impedisce che le cellule T CD4 naïve possano differenziarsi in cellule TH1 e quindi inibisce l’attivazione dei macrofagi, perché non poten-dosi differenziare le cellule del TH1, queste non possono produrre IFN-γ e CD40L, che va ad attivare i macrofagi. Impedisce anche la differenziazione in senso TH1 di tutte quelle funzioni mediate da TH1 e per questo riesce a veicolare anche le risposte immunitarie, perché impedisce l’attivazione delle cellule TH1.

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b) Agisce anche a livello della cellula presentante l’antigene andando ad inibire l’espressione delle molecole MHC-II, questo fa sì che la cellula presentante l’antigene diventi meno efficiente nel presentare l’antigene.

c) Inibisce anche l’espressione delle molecole costimolatorie, sia quelle che si trovano sulle cel-lule presentanti l’antigene, sia quelle che si trovano sui macrofagi.

Tutte le azioni dell’IL-10 sono rivolte a ridurre l’efficienza della cellula presentante l’antigene nel presentare l’antigene alle cellule T, agendo sia sulle molecole del complesso maggiore di istocompa-tibilità e anche a livello delle molecole co-stimolatorie, quindi a livello delle cellule del primo segnale e sia di quelle del secondo segnale di attivazione, e poi inibendo anche la produzione di IL-12, che va a creare il microambiente fondamentale per la differenziazione delle cellule T-CD4 verso le cellule TH1.

Complessivamente, possiamo dire che l’IL-10 inibisce le risposte innate e cellulo-mediate verso microrganismi intracellulari e inibisce l’attivazione delle cellule T.

Questo è il meccanismo che i T-reg utilizzano per indurre tolleranza periferica o per inibire le risposte di T nel controllo delle risposte immunitarie cellulo-mediate.

Meccanismo contatto-dipendente

I linfociti T-reg utilizzano però anche un meccanismo contatto-dipendente, tale meccanismo è sfruttato soprattutto dai T-reg naturali. Si utilizza grazie al fatto che i linfociti T-reg esprimono la molecola inibitoria CTLA-4 e quindi similmente a quanto visto in precedenza, CTLA-4 legandosi a CD80 e CD86, quindi alle molecole costimolatorie B7-1 e B7-2, va a ridurre l’espressione delle mo-lecole co-stimolatorie, perché tale interazione fa sì che questo complesso venga endocitato dalla cel-lula T-reg e quindi l’espressione delle molecole B7-1 e B7-2 viene down-regolata sulle cellule presen-tanti l’antigene.

L’interazione di CTLA-4 con CD80 CD86 va ad inibire la produzione di citochine pro-infiam-matorie, quali IL-6 e TNF-α, quindi la cellula perde la sua capacità pro-infiammatoria, importante per attivare risposte immunitarie cellulo-mediate.

Infine, l’interazione CTLA-4 e CD80 CD86 può anche andare ad indurre l’espressione di un enzima che è IDO (indoleamina 2,3-diossigenasi), il quale va a trasformare il triptofano in chinure-nina. Questa trasformazione fa sì che le cellule non abbiano più capacità di attivazione. La mancanza di triptofano a livello delle cellule provoca un’intossicazione metabolica della cellula T stessa. La chinurenina ha anche un’attività pro-apoptotica, favorisce quindi anche l’apoptosi.

Apoptosi

L’ultimo meccanismo di induzione di tolleranza periferica è l’apoptosi, la delezione clonale.

Quindi, fino a questo momento abbiamo visto dei meccanismi che non eliminano le cellule au-toreattive, ma le mantengono in uno stadio di inattivazione, o perché vengono inattivati i meccanismi di attivazione della cellula T stessa, come avviene per l’anergia, o perché le cellule T autoreattive ven-gono tenute sotto controllo dalle cellule T-reg.

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A livello periferico, l’apoptosi può essere indotta in due situazioni, con due meccanismi mole-colari differenti.

1) Processo mitocondrio-mediato. Quando le cellule T vanno a riconoscere cellule presentanti l’antigene che mancano di molecole co-stimolatorie B7-1 e B7-2, queste verranno indotte a morte per apoptosi, perché il secondo segnale di attivazione, nelle cellule T, induce un segnale di down-regolazione da parte delle proteine anti-apoptotiche Bcl-2 e Bcl-xL.

Se manca il segnale di co-stimolazione, succede che nella cellula T viene down-regolata la rego-lazione di Bcl-2 e Bcl-xL che prevengono l’induzione dell’apoptosi. In quelle condizioni in cui manca il segnale co-stimolatorio, verranno a prevalere, all’interno della cellula le proteine con funzione pro-apoptotica, prevalendo su quelle con funzione anti-apoptotica, infatti l’induzione o l’inibizione dell’apoptosi sta sotto la regolazione dei livelli di espressione di queste proteine. Se viene down-re-golata l’espressione delle proteine antiapoptotiche, prevarrà il livello dell’espressione delle proteine pro-apoptotiche e quindi la cellula andrà incontro al processo di morte cellulare per apoptosi; al con-trario, se viene down-regolata l’espressione delle proteine proapoptotiche la cellula sopravvivrà.

Queste proteine pro- ed anti- apoptotiche agiscono a livello mitocondriale ed in particolare, si è visto che quando manca il segnale co-stimolatorio, viene rilasciata anche la proteina BIM, che si trova associata con le proteine del citoscheletro. Questa proteina BIM viene rilasciata e va a formare dei complessi con le proteine BAX e BAK a livello mitocondriale, formando dei pori, a livello della mem-brana mitocondriale. Dato che al contempo il segnale costimolatorio ha down-regolato l’espressione delle proteine Bcl-2 e Bcl-xL si formeranno questi oligomeri sulla membrana mitocondriale costituiti dalle proteine BAX, BAK e BIM.

BAX, BAK, BIM, BAD, BID sono tutti membri che vengono definiti pro-apoptotici, che sono una famiglia con funzione pro-apoptotica (in particolare fanno parte della famiglia di BCL2 e pos-sono anche venir definiti BH3oli, poiché presentano solamente il dominio BH3). Queste proteine hanno la funzione di alterare la permeabilità della membrana mitocondriale, formando dei dimeri tra membri pro-apoptotici della famiglia di Bcl-2 oppure associandosi con proteine che si trovano già nella membrana mitocondriale, quali le voltaggio dipendenti, anioni, canali, la ciclofillina ed altre proteine contenute a livello della membrana mitocondriale.

Nel caso dell’assenza del segnale costimolatorio, viene down-regolata l’espressione delle pro-teine anti-apoptotiche e viene indotta l’espressione di BIM, ciò fa in modo che si formino dei pori a livello della membrana mitocondriale e quindi questi pori fanno sì che vengano rilasciati i citocromo c e altre proteine con funzione pro-apoptotica, che sono contenute nello spazio tra la membrana mitocondriale esterna e la membrana mitocondriale interna. Il citocromo c può andare a costituire un complesso, che va ad attivare prima la caspasi-9 e poi la caspasi-3. La caspasi-3 va ad indurre la frammentazione del nucleo del DNA, andando ad attivare diverse endonucleasi, oppure va ad in-durre la degradazione di altre proteine del citoscheletro e quindi è responsabile dei cambiamenti della struttura della membrana e della morfologia cellulare stessa. Però vengono rilasciate anche altre pro-teine che sono AIF ed endonucleasi che vanno a frammentare il DNA dallo spazio intermembrana.

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In questo modo, la cellula T, che non riceve più segnali di sopravvivenza, per una down-regola-zione delle molecole co-stimolatorie, andrà incontro a morte cellulare per apoptosi mitocondrio-mediata.

2) Però i linfociti T possono anche andare incontro, se vanno a riconoscere antigeni self in pe-riferia, ad un processo di apoptosi, definita recettore-mediata.

Mentre quella mitocondrio-mediata viene indotta per assenza di riconoscimento delle molecole co-stimolatorie, quella recettore mediata viene indotta dalla ripetuta attivazione delle cellule T. La stimolazione continua delle cellule T fa produrre grandi quantità di IL-2 alle cellule T attivate. Questa IL-2 va ad indurre l’espressione del FasL. Questa interazione tra FasL e Fas va ad indurre morte cel-lulare attraverso una via definita recettore-dipendente. L’interazione di FasL con Fas è un’interazione (che prevede il Fas trimerico sulla superficie della cellula) che va ad attivare la caspasi-8, la quali attiva la caspasi-3, che, a sua volta, va ad attivare la frammentazione del nucleo e le alterazioni a livello della morfologia cellulare e l’induzione dell’apoptosi, la quale risulterà anche nella formazione di corpi apoptotici e nell’esposizione della fosfatidil-serina dall’interno della membrana verso la superficie esterne, che poi farà sì che le cellule apoptotiche vengano riconosciute dai macrofagi che hanno il recettore per la fosfatidil-serina e vengano quindi fagocitate ed eliminate dalla circolazione.

Tolleranza nei siti immunologicamente privilegiati L’ultimo meccanismo con cui viene mantenuta la tolleranza sono i siti immunologicamente pri-

vilegiati, cioè alcuni siti, quali il cervello, l’occhio, ma anche il testicolo e l’ovaio, perché gli antigeni presenti in questi siti non vengono incontrati da linfociti T ed essi non sono selezionati per la loro cross-reattività verso questi tipi di antigeni.

I meccanismi con cui viene mantenuta la tolleranza verso questi siti immunologicamente privi-legiati sono ancora in analisi. Inizialmente, si pensava che fosse soprattutto legata al fatto che i linfo-citi T non arrivano a questi siti immunologicamente privilegiati e gli antigeni di questi siti immuno-logicamente privilegiati non fuoriescono da questi siti e c’è tolleranza, ma più che tolleranza c’è “ignoranza”, i linfociti T non hanno cioè mai incontrato questi antigeni, quindi non hanno testato la cross-reattività del loro recettore. In realtà, si è visto che questi antigeni possono uscire da questi siti immunologicamente privilegiati, quando soprattutto c’è presenza di citochine con attività immuno-soppressiva, ad esempio il TGF-β, che inibisce la delezione delle cellule T.

Un altro meccanismo con cui viene mantenuta la tolleranza di questi antigeni è legato al fatto che molto spesso le cellule presenti in questi siti immunologicamente privilegiati esprimono il FasL e quindi, se i linfociti T, che penetrano in questo sito immunologicamente privilegiato, hanno Fas, vengono indotti alla morte, piuttosto che selezionati per questo tipo di antigeni self e quindi le cellule T sono tolleranti verso gli antigeni presenti in particolari siti.

Il cervello presenta anche la barriera ematoencefalica, la quale non può permettere il passaggio di fluidi extracellulari e quindi l’interazione dei linfociti T “ignoranti” con questi antigeni presenti a livello di questi siti immunologicamente privilegiati.

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Antigene immunogenico e tolleranza In questa tabella sono riportate alcune caratteristiche sia della tipologia e della quantità di anti-

gene che della via di ingresso dell’antigene che fanno si che quella proteina sia immunogenica oppure possa indurre tolleranza. E questo soprattutto magari riguarda quelli che sono gli antigeni estranei però è proprio un meccanismo di tolleranza degli antigeni estranei che può essere sfruttato per favo-rire la risposta immunitaria verso un determinato tipo di antigene.

Innanzitutto vedete che una persistenza dell’antigene breve fa si che l’antigene sia un antigene immunogenico,mentre la persistenza prolungata dell’antigene e quindi una stimolazione continua del sistema immunitario, soprattutto induce tolleranza.

Poi vedete che la via di ingresso dell’antigene è particolare:

– un antigene somministrato per via cutanea o intradermica in assenza di adiuvanti in-duce una risposta tollero genica, mentre in presenza di adiuvanti è immunogeno e quindi induce una risposta immunitaria.

– un antigene somministrato per via endovenosa o via mucosale o anche per via orale, in assenza di adiuvanti induce una tolleranza verso quel tipo di antigene, quindi quando il nostro sistema immunitario viene a contatto con un antigene che è stato precedente-mente inoculato per via orale sarà tollerante verso quell’antigene e non riuscirà ad in-durre una risposta immunitaria.

Quello che poi è importante sono i livelli di molecole costimolatorie presentate dalle cellule pre-sentanti l’antigene, perché elevati livelli favoriscono l’attivcazione linfocitaria mentre bassi livelli di molecole costimolatorie e di citochine inibiscono la risposta immunitaria e quindi fanno si che quell’antigene determini una tolleranza piuttosto che una risposta immunitaria. Quindi l’utilizzo di adiuvanti come ad esempio l’utilizzo di antagonisti dei recettori toll-like è un modo per indurre im-munogenicità in proteine che sono troppo immunogeni che.

Un ultimo aspetto prima di passare ad esaminare le malattie autoimmuni è quello di valutare la tolleranza dei linfociti T. Al rigurado dei linfociti B non sia hanno ancora informazioni molto chiare di come agiscono in periferia, invece a livello centrale si conoscono molto bene. Si hanno maggiori conoscenze a livello dei linfociti T e di come agiscono in periferia. Comunque sia ci sono delle pecu-liarità per quanto riguarda la tolleranza periferica per quanto riguarda i linfociti B.

Per quanto riguarda la tolleranza centrale un antigene self multivalente può indurre:

Innanzitutto editing recettoriale quindi modificazioni della struttura del recettore di mem-brana;se questo risulta in un recettore che non è più cross reattivo a livello del midollo osseo la cellula allora maturerà; se queste ripetute modificazioni nella regione variabile della catena leggera generano comunque sempre dei recettori che sono cross reattivi verso il self allora la cellula andrà incontro a morte cellulare per apoptosi, anche se in questa figura la fanno vedere separata ma in realtà l’apoptosi è una conseguenza di un editing recettoriale che non ha riportato uno sviluppo di un recettore non cross reattivo.

Oppure a livello del midollo se un linfocita B riconosce un antigene self solubile questo non indurrà il cross legame dei recettori di membrana e quindi questa cellula andrà incontro ad uno stato

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non funzionale definito anergia indotta da una riduzione dell’espressione del recettore e anche da un blocco della trasduzione del segnale; quindi la cellula diventerà anergica nel caso in cui riconoscerà un antigene self solubile a livello del midollo osseo.

Per quanto riguarda in periferia sappiamo che innanzitutto un meccanismo di tolleranza peri-ferica per i linfociti B in periferia è legato al fatto che siano presenti o assenti le cellule T helper spe-cifiche per quell’antigene, poiché se c’è un linfocita B autoreattivo e mancano le cellule T helper spe-cifiche per quello stesso antigene, quella cellula B andrà incontro a delezione o anergia poiché man-cano le cellule T che riescono a costimolarle per attivarle. Infatti per l’attivazione dei linfociti B è necessario il secondo segnale fornito dalle cellule T helper, quindi la mancanza delle T helper impe-disce l’attivazione del linfocita B autoreattivo. Il linfocita T deve essere stato a sua volta selezionato per l’antigene self attraverso una tolleranza sia centrale che periferica.

Poi le cellule B che riconoscono con elevata affinità l’antigene di periferia,soprattutto un anti-gene self che stimola ripetutamente la cellula B in periferia, questo processo induce soprattutto morte cellulare per apoptosi delle cellule, poiché queste cellule stimolate ripetutamente dall’antigene self si è visto che diventano dipendenti da fattori di sopravvivenza quali (BAF e CRIS) che sono prodotti a livello dei follicoli; però a questo punto queste cellule che hanno questa estrema richiesta di fattori di sopravvivenza, vanno a competere con le cellule B naïve vergini che invece hanno una dipendenza minore da questi fattori di sopravvivenza;quindi le cellule ripetutamente stimolate dall’antigene self saranno svantaggiate rispetto ai linfociti B naïve e quindi andranno più facilmente a morte perche sono svantaggiate rispetto alle cellule B naïve quiescenti che hanno una minor dipendenza di questi fattori di sopravvivenza. Queste cellule andranno incontro a morte per apoptosi oppure a uno stadio di risposta non funzionale. L’apoptosi può essere anche indotta dal fatto che a livello degli organi linfoidi secondari i linfociti B vanno incontro alla maturazione dell’affinità e questa porta a mutazioni che coinvolgono la regione variabile dell’anticorpo,che potrebbe portare anche a mutazioni che ge-nerano anticorpi che sono cross reattivi verso il self e vengono selezionate a livello del centro germi-nativo e in questo caso vengono indotte a morte cellulare per apoptosi in seguito a riconoscimento di FasL espressi sui linfociti T helper a livello dei follicoli.

Un altro meccanismo di tolleranza periferica per i linfociti B è legato a dei recettori inibitori. Un linfocita B che riconosce un antigene self con bassa affinità in periferia può anche attivare l’espres-sione di recettori inibitori come il CD22 che vanno a reclutare nella loro porzione introcitoplasmatica delle fosfatasi che vanno poi a rimuovere i gruppi fosfato a livello delle catene Igα e Igβ del recettore delle immunoglobuline e quindi trasducono un segnale, impediscono la trasduzione del segnale e vanno a inibire la trasduzione del segnale. In questa maniera mantengono la tolleranza periferica. Ancora non sappiamo con quali segnali vengono indotti questi recettori inibitori però sappiamo che possono indurre tolleranza a livello periferico per quanto riguarda i linfociti B.

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Malattie autoimmuni Sia per i linfociti B che per i linfociti T esistono molteplici meccanismi di tolleranza sia centrale

che periferica che possono impedire che l’individuo vada ad indurre una risposta immunitaria verso gli antigeni self. Cosa sono le malattie autoimmuni? Sono delle patologie o autoimmunità che sono innescate da una risposta immunitaria dell’organismo verso gli antigeni self. Da che cosa dipendono quindi le malattie autoimmunitarie? Da un mancato funzionamento dei meccanismi di tolleranza: quindi o l’individuo è incapace di indurre una tolleranza centrale o vengono alterati i meccanismi della tolleranza periferica e in questo contesto è molto importante anche in che modo viene presen-tato l’antigene, se in una forma immunogenica o tollerogenica. Quando è che si avrà lo sviluppo dell’autoimmunità?

Le malattie autoimmuni sono delle malattie che sono molto complesse e legate da diversi mec-canismi, ci sono infatti sia fattori genetici che determinano la predisposizione a sviluppare in un soggetto una malattia autoimmune che dei fattori ambientali. Questi due fattori possono causare o l’incapacità dell’individuo di selezionare le cellule verso gli antigeni self o indurre una rottura dei meccanismi di tolleranza periferica. I meccanismi associati prevalentemente allo sviluppo di malattie autoimmuni sono innanzitutto difetti nella selezione negativa dei linfociti T e B, oppure per quanto riguarda i linfociti B anche difetti nell’editing recettoriale (a livello centrale).

A livello periferico avremo anergia o induzione dell’apoptosi o linfociti T regolatori e quindi difetti o carenza in queste cose potranno portare allo sviluppo di malattie autoimmuni. Oppure anche un alterata espressione di recettori inibitori come CD22, CTLA-4, PD-1 che mantengono la tolle-ranza a livello periferico dei linfociti B. Oppure dei fattori che inducono l’attivazione delle cellule presentanti l’antigene che poi andranno ad attivare i linfociti autoreattivi.

Le malattie autoimmuni sono quindi legate a una base genetica e ad una base ambientale.

Tra i fattori ambientali abbiamo le infezioni che sono un elemento molto importante; si è visto infatti che gemelli monozigoti hanno una predisposizione ad indurre il diabete di tipo 1 del 33-35%, mentre gli eterozigoti del 3-5%. Ma si è visto che non è detto che entrambi i gemelli monozigoti sviluppino la patologia allo stesso momento e alcuni la malattia la sviluppano molto tardivamente o non la sviluppano per niente: per cui lo sviluppo della malattia si è visto che doveva essere legato anche all’interazione con l’ambiente circostante che è differente per i due gemelli e che li condiziona.

Oltre ai fattori ambientali, si è visto che l’infezione gioca un ruolo fondamentale: infatti si è visto che se allevavamo un animale in assenza di patogeni, il topo non sviluppava la patologia e quindi l’infezione era un elemento cruciale per favorire lo sviluppo delle malattie autoimmuni. Un altro elemento importante è legato agli ormoni, dato che si sviluppano di più nelle donne che nei maschi.

Ci deve essere sempre e comunque però una predisposizione genetica: sono quindi monofat-toriali; la componente genetica che altererà la tolleranza centrale e periferica, le infezioni che faranno si che l’antigene venga presentato in una forma immunogenica o che si abbia la produzione di mole-cole costimolatorie come le citochine che andranno ad attivare i linfociti B (se geneticamente pro-grammanti verso il self).

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Le malattie autoimmuni possono essere classificate in:

– organo specifiche; – sistemiche.

A seconda di dove si trova l’antigene self, se è espresso solo in particolari tipi di tessuti come l’insulina che coinvolge solo recettori a livello del pancreas e quindi avremo il diabete mellito di tipo 1; oppure altre patologie organospecifiche sono il morbo di Crohn (intestino), sindrome di Goodpa-sture o la malattia di Basedow-Graves o la tiroidite di Hashimoto (anche detta tiroidite cronica autoimmune) o la miastenia grave (cellule muscolari).

Alcune malattie sistemiche sono: l’artrite reumatoide (mediata da anticorpi IgG che vengono riconosciuti da autoanticorpi verso questi IgG), o il lupus eritematoso sistemico (dove vengono an-ticorpi verso proteine del nucleo, verso la cromatina o verso gli istoni; si manifesta con artrite reu-matoide, trombocitopenia, glomerulonefrite). Questi antigeni si possono trovare a livello di tutto l’organismo e scatenare quindi una malattia sistemica.

Il tipo di danno e le manifestazioni clinico-patologiche possono essere classificate:

– danno mediato da anticorpi; – danno mediato dai linfociti B.

Gli anticorpi a loro volta possono andare a riconoscere antigeni espressi in una particolare cel-lula o tessuto o antigeni solubili self. Le malattie mediate da anticorpi possono quindi essere suddivise in base a ciò da cui vengono mediate:

• solubili → malattia mediata da immunocomplessi solubili e in circolo (quando l’antigene self è presente in circolo come nel lupus), definite anche reazione di ipersensibilita di terzo tipo: danno legato alla formazione di complesso antigene-anticorpo che poi si andrà a depositare in vari tessuti o organi e poi attiverà il sistema del complemento che provocherà un danno tissutale). Sono più spesso sistemiche!

• se l’antigene è presente in un particolare cellula o tessuto → si svilupperà una malattia da anticorpi o ipersensibilita di secondo tipo (gli auto-anticorpi sono rivolti ad e.g. verso i globuli rossi).

• danno mediato da cellule T o ipersensibilita di quarto tipo: in questo caso il danneg-giamento di un organo o di piu organi è legato al fatto che si attivano linfociti T CD4 che producono citochine che causano una risposta infiammatoria;oppure linfociti T CD8 che vanno ad uccidere cellule self dell’organismo(come avviene nel caso del diabete di tipo 1 dove le cellule β del pancreas vengono lisate da linfociti T citotossici).

Un’altra caratteristica delle malattie autoimmuni è la loro cronicità poiché una volta indotte si auto perpetuano e si amplificano poiché gli antigeni self non vengono eliminati, come invece succede per gli antigeni estranei che vengono eliminati tramite la risposta immunitaria. L’antigene self invece persiste nel nostro organismo e viene prodotto in quantità costanti (non c’è un picco come negli agenti estranei).

Queste malattie si aggravano sempre di più perché innanzitutto c’è la produzione di citochine da parte di cellule presentanti l’antigene attivate dai linfociti T autoreattivi che fa si che il numero di

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cellule autoreattive si espanda nel tempo. Nelle malattie autoimmuni si osserva anche un fenomeno di epitope spreading (o espansione epitopica), che è un fenomeno importante per la cronicizzazione e per l’aggravamento.

Il danno dei linfociti T fatto alle cellule self che vengono lisate fa si che queste cellule possano rilasciare altri antigeni che andranno ad attivare dei cloni autoreattivi di cellule T (più c’è danno tissutale più vengono rilasciati antigeni che avevano al loro interno sequestrati che andranno a sti-molare altri cloni di cellule T autoreattive). Questo aggrava enormemente la patologia e la amplifica.

Alterazioni genetiche che portano alla predisposizione a sviluppare malattie autoimmuni

All’interno dei fattori genetici sono soltanto casi rari quelli in cui l’alterazione di un solo gene cioè il polimorfismo di un solo gene induce la malattia autoimmune. In tutti gli altri casi le malattie autoimmuni sono poligeniche; significa che sono polimorfismi di diversi geni che determinano la predisposizione genetica di quell’individuo a sviluppare una malattia autoimmune: quindi un pa-ziente che presenterà una malattia autoimmune, osserveremo che in quell’individuo ci sono diversi polimorfismi di diversi geni che sono responsabili del fatto che non venga indotta tolleranza genica o tolleranza centrale.

Quindi il polimorfismo di un gene noi lo ritroveremo in diverse malattie: più malattie presen-tano alterazioni dello stesso gene e allo stesso tempo un individuo ha molteplici geni alterati.

Polimorfismi di geni che conducono a malattie autoimmuni sono tutti quei geni che sono re-sponsabili di indurre tolleranza centrale o tolleranza periferica. In particolare sono coinvolti geni per le citochine (TNF, IFN-γ) oppure STAT 4 che è un fattore di trascrizione importante che è attivato dal recettore per IL-12 e che va ad indurre la produzione di IFN-γ o STAT 3 (che induce la differen-ziazione dei T helper in T helper 17 e quindi induce l’IL-17 E l’IL-22.

Oppure oltre citochine o recettori per le citochine, vi possono essere anche difetti gneetici per i recettori dell’IL-2 o per i recettori dell’IL-10 o del TGF-β (IL-10 e TGF-β sono citochine immuno-soppressive) o recettori per l’IL-1.

Inoltre i geni responsabili delle malattie autoimmuni sono stati classificati in famiglie. Alcuni geni sono quei geni che sono coinvolti nell’eliminazione della presentazione dell’antigene e in questa famiglia ritroviamo le proteine del complemento come C1, C2, C4, la lectina legante il mannosio che sono importanti poiché contribuiscono all’eliminazione degli immunocomplessi, funzione princi-pale della via classica del complemento (C1q che cliva tramite C1r C1s, C4 che cliva C2, che cliva C3 e si forma C3b che viene riconosciuto dal recettore cr1 presente sui globuli rossi,i quali legano gli immunocomplessi e li traportano al sistema reticolo endoteliale del fegato e della milza dove inter-viene il fattore I che scinde C3b in C3d e C3dg, e C3d viene riconosciuto dal recettore CR3 nel fegato e nella milza il quale stacca l’immunocomplesso,lo internalizza nei fagociti del fegato e della milza e lo degrada.deficit a livello delle proteine della via classica del complemento fanno si che gli immuno-complessi non vengano eliminati e possano accumularsi cosi che antigeni self potranno essere pre-sentati alle cellule autoreattive e quindi indurre lo sviluppo della malattia autoimmune;se le cellule

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autoreattive sono in basso numero alla fine non si avrà nemmeno una malattia autoimmune, ma se sono in alto numero tutto ciò fa si che si generi una malattia autoimmune o che si possa sviluppare più facilmente.

Un altro gene è il gene (AIRE) sta per autoimmune regulator ed è importante poiché è un fattore di trascrizione e viene espresso a livello delle cellule epiteliali timiche e fa si che a livello del timo vengano espressi degli antigeni che sono tessuto-specifichi; quindi se manca il gene AIRE o vi è un difetto, il repertorio di cellule T sviluppatesi nel timo non verrà selezionato e non verranno eliminati dal repertorio quelle cellule T che potevano riconoscere antigeni tessuto-specifichi (e un particolare antigene tessuto-specifico nel timo è l’insulina).

CTLA-4 e PD-1 sono responsabili della produzione dell’anergia e della tolleranza periferica dei linfociti T, BAF è la molecola che induce un segnale di sopravvivenza importante nella tolleranza periferica dei linfociti B. Polimorfismi di geni inducono l’apoptosi come Fas e FasL, oppure BCL-2 con una proteina antiapoptotica, TEN induce soprattutto apoptosi. Si può avere un deficit a livello dei geni che determinano lo sviluppo o la regolazione della funzione dei linfociti T regolatori. Sono quindi polimorfismi a livello di diversi geni che sono coinvolti o nella presentazione dell’antigene o nell’attivazione dei linfociti B o T, di molecole costimolatorie o di trasduzione del segnale, o di poli-morfismi dei geni che regolano la tolleranza periferica a livello di apoptosi, anergia e linfociti T rego-latori.

Ad esempio ritroviamo una fosfatasi PTPN22 nel diabete di tipo 1, ma anche nell’artrite reu-matoide e anche nella malattia infiammatoria intestinale.

Il diabete di tipo 1 è caratterizzato non solo dal polimorfismo del gene per la fosfatasi, ma anche per il polimorfismo del gene per CTLA-4 e anche dal polimorfismo per il recettore dell’IL-2α.

Poi c’è anche questo gruppo di geni che sono ad e.g. recettori NOD che sono recettori intraci-toplasmatici che riconoscono l’acido N-acetil-muramico dei batterî, cioè che riconoscono i patogeni a livello cellulare e il loro deficit porta d un alterato riconoscimento dei patogeni e quindi all’attiva-zione delle cellule presentanti l’antigene e quindi allo sviluppo di una risposta infiammatoria e in particolare intestinale.

Poi ci sono comunque anche alcuni ma molto rari geni associati all’autoimmunità ma che sono monogenici ma sono estremamente rare, ma sono molto più penetranti e possono essere a causa del gene AIRE, di proteine del complemento, la famiglia inibitoria delle proteine CTLA-4, Fas e FasL o di FoxP3 e quindi dello sviluppo delle cellule T regolatorie e del loro recettore.

Deficit solo del gene AIRE possono portare alla sindrome poliendocrina autoimmune (APS).

Quello che però ha invece un’associazione ancora maggiore con le malattie autoimmuni sono deficit a livello che complesso maggiore di istocompatibilità – che nell’uomo è detto HLA (Human leukocyte antigen) – che inducono una predisposizione del 50% allo sviluppo di una malattia autoim-mune.

La probabilità di sviluppare una malattia è di 100-200 volte superiore ad un individuo che non presenta quell’allele. Per e.g. individui che presentano l’allele p27 delle molecole di istocompatibilità hanno una probabilità di sviluppare una malattia 100-200 volte superiore a chi non lo possiede.

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Oppure vi è una correlazione molto alta tra la possibilità di sviluppare il diabete di tipo 1 e la presenza di alleli HLA come DR-3 e DR-1 e DR-4 e DR-2. Ma in realtà si è visto che non è proprio la presenza di HLA DR che determina la probabilità di sviluppare una malattia, ma l’aplotipo di alleli che sono coereditati insieme come DQ-2 e DQ-8 che vengono ereditati insieme a gli alleli DR → aplotipi in linkage disequilibrium.

Ad esempio, l’artrite reumatoide è associata a DRB-1 e DRB-2, la sclerosi multipla a DRB-1, o la celiachia a DQ-1 e DB-1.

Valutare gli alleli HLA può farci capire la probabilità di sviluppo dell’individuo di una determi-nata patologa autoimmune.

Perché gli alleli MHC sono importanti nello sviluppo della patologia autoimmune? Poiché sono importanti nel presentare frammenti peptidici di antigeni proteici ai linfociti T, con un’interazione tra residui ancora del frammento peptidico e residui amminoacidici del complesso MHC.

Fattori ambientali Non sono sufficienti solo basi genetiche ma vi sono anche componenti ambientali tra cui gio-

cano un ruolo importante le infezioni.

Le infezioni possono contribuire in 3 maniere diverse:

1) il primo modo è legato al fatto che un infezione può andare ad essere legato da molecole presentanti l’antigene e può indurre la produzione di citochine che vanno a indurre la riespressione di molecole costimolatorie da parte di cellule presentanti l’antigene quiescenti (che altrimenti senza un secondo segnale sarebbero rimaste anergiche e quiescenti). Quindi l’infezione stimolando cellule dell’immunità innata tramite toll-like receptors potrà far esprimere le molecole costimolatorie e potrà produrre citochine che andranno a far riesprimere molecole costimolatorie e quindi ci sarà quella che viene definita un attivazione by stand poiché il patogeno attiva le cellule T specifiche però con-temporaneamente la risposta immunitaria innata può andar a far esprimere molecole costimolatorie alle cellule APC quiescenti circostanti e se nel sito sono presenti linfociti T reattivi, il loro riconosci-mento può determinare la rottura dei meccanismi di tolleranza periferica e lo sviluppo della ma-lattia autoimmune.

2) Il secondo meccanismo viene definito mimetismo molecolare perché il sistema immunitario tramite molecole APC va a riconoscere la proteina del patogeno e crea una risposta immunitaria attivando linfociti T ce si attivano e si differenziano.

Se però la proteina microbica presenta dei determinanti che sono presenti anche sulle proteine self, succede che il nostro sistema immunitario monta una risposta immune verso la proteina estra-nea però poi i meccanismi effettori e cioè linfociti T e anticorpi andranno a riconoscere anche pro-teine self determinando un danno tissutale (un e.g. è dato dalle infezioni da streptococco le quali proteine possono presentare degli epitopi con le proteine del miocardio e quindi l’infezione da strep-tococco causa miocardite nei soggetti ovviamente predisposti).

Queste patologie indotte da mimetismo molecolare sono molto meno gravi, poiché risolta l’in-fezione il sistema immunitario viene riportato all’omeostasi e all’inattività e quindi non saranno più 128 www.hackmed.org

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in grado di reagire contro le proteine self; quindi il decorso di queste patologie è meno grave poiché non si auto perpetua.

3) il terzo meccanismo è determinato dall’ipotesi toll. È legata al fatto che il DNA dell’ospite può contenere delle sequenze CpG non metilate che normalmente le ritroviamo nel DNA batterico ed è infatti uno dei meccanismi con cui i toll-like receptors 9 riconoscono i batterî una volta che sono al loro interno.

Nell’ospite sono però a concentrazioni molto minori.ma nel caso in cui una cellula B sia specifica per il DNA e questo soprattutto quando c’è un forte fenomeno di apoptosi e i corpi apoptotici non vengono bene smaltiti dai fagociti (come nel caso in cui ci sono deficit alle proteine del complemento che vanno a rimuovere gli immunocomplessi e le cellule apoptotiche) e quindi questo DNA potrebbe essere rilasciato all’esterno ed essere riconosciuto da cloni di linfociti B specifici che legheranno il DNA, lo internalizzano e lo processano e a livello degli endosomi possono essere riconosciute dai recettori TLR-9 espressi dagli endosomi i quali andranno ad attivare la trasduzione del segnale e la produzione di citochine, di molecole costimolatorie (potenziando la capacità delle cellule dell’immu-nità innata di attivare le cellule dell’immunità specifica).

4) l’ultimo meccanismo è legato al fatto che ci sono degli antigeni che si trovano nei siti immu-nologicamente privilegiati;verso questo antigeni l’individuo presenta dei linfociti che possono essere cross reattivi ma che non sono stati selezionati perché questi antigeni normalmente non vengono incontrati dall’individuo poiché sono localizzati in questi siti, oppure perché questi antigeni anche se rilasciati vengono rilasciati in maniera peculiare talvolta anche con citochine inibitorie e che quindi non inducono lo sviluppo della tolleranza verso questi antigeni, ma restano cellule autoreattive in circolo.

In caso di infezione o di traumi se avviene un danno tissutale che fa rilasciare questi antigeni localizzati nei siti immunologicamente privilegiati, questi antigeni posso andare in circolo ed attivare linfociti autoreattivi verso questi tipi di antigene.

Malattie autoimmuni organo specifiche

Un classico esempio è quello della oalmia dove un danno a livello degli occhi induce un rilascio di antigeni sequestrati che vengono trasportati a livello degli organi linfoidi, dove vengono presentati dalle cellule dendritiche e riconosciuti dalle cellule T che si attivano e si differenziano in cellule T effettrici specifiche per gli antigeni dell’occhio. Queste cellule T effettrici possono migrare a livello dell’occhio, poiché possono migrare in tutti i tessuti e andare a distruggerlo. Il danno è peculiare non riguarda il solo occhio colpito dal trauma ma entrambi gli occhi.

Le malattie autoimmuni possono anche portare ad una perdita della funzionalità dell’organo oppure ad una distruzione degli organi e dei tessuti. Ad esempio, nella malattia di Basedow-Graves vengono prodotti anticorpi verso l’ormone TSH: se l’ormone TSH si lega al suo recettore vi è una sorta di controllo feedback positivo e così quando la tiroide ha prodotto troppi ormoni viene stimo-lata l’ipofisi che inibisce la secrezione di TSH. In questa malattia quando si sono formati anticorpi contro i recettori del TSH, questi recettori andranno a legarsi al recettore del TSH e stimoleranno la produzione degli ormoni tiroidei T3 e T4, e anche se vanno a regolare l’ipofisi, la ghiandola tiroidea

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sarà comunque sempre stimolata perché non c’è più un meccanismo a feedback negativo e questo porterà ad un ipertiroidismo.

La miastenia grave è determinata dalla produzione di anticorpi per il recettore dell’acetilcolina che viene rilasciata nell’impulso, si lega ai recettori e va a mediare la contrazione muscolare. Una volta eliminata l’acetilcolina non c’è più la contrazione muscolare. Mentre nel caso della malattia vengono prodotti anticorpi verso i recettori dell’acetilcolina e questi andranno a legarsi ai recettori per l’acetilcolina espressi sulla fibra muscolare e questo attiverà il sistema del complemento con un danno tissutale tramite la risposta infiammatoria oppure può portare ad un’internalizzazione dei re-cettori per l’acetilcolina legati all’anticorpo (immunocomplesso) tramite un processo di endocitosi e in questo modo la cellula non andrà più incontro a una contrazione muscolare poiché non vi sono più i recettori.

Queste due malattie sono malattie autoimmuni organo specifiche.

Malattie autoimmuni sistemiche

Per quanto riguarda invece malattie sistemiche un e.g. è il lupus eritematoso sistemico che è associato sia a stimoli ambientali che a predisposizione genetica. In particolare si è visto che la pre-disposizione genetica è legata agli alleli DR-2 e DR-3 che fanno parte del complesso MHC e c’è anche un deficit di proteine del complemento come C1-q, C2 e C4; vi è anche inoltre un polimorfismo per quanto riguarda il recettore inibitorio FCγ-r2. Per quanto riguarda i fattori ambientali si è visto che l’esposizione a raggi ultravioletti può influenzare lo sviluppo di questa patologia autoimmune in sog-getti predisposti: è legata quindi all’ipotesi toll, poiché l’esposizione a raggi ultravioletti può provo-care il rilascio di corpi apoptotici e se non vengono adeguatamente rimosso a causa di deficit del’in-dividuo a proteine del complemento, questi antigeni nucleari possono rimanere disponibili per essere riconosciuti dai linfociti T e B che scateneranno la risposta immunitaria, tramite auto anticorpi anti nucleo, i quali si è visto che formato l’immunocomplesso insieme alle proteine nucleari possono es-sere riconosciuti dal BCR presenti sulle cellule B autoreattive, essere internalizzate e il DNA nucleare può essere a sua volta riconosciuto dai toll-like receptors 9 espressi negli endosomi e quindi indurre l’attivazione da parte dei toll della cellula B (gli forniscono il secondo stimolo per l’attivazione).

Allo stesso tempo questi immunocomplessi possono essere anche internalizzati da cellule den-dritiche plasmacitoidi che a loro volta presentano a livello della membrana degli endosomi recettori toll-like 9 che stimolano la cellula dendritica plasmacitoide che produce l’interferone 1 che una volta prodotta può andare ad attivare i linfociti B e la loro differenziazione che produrranno autoanticorpi verso gli antigeni nucleari.

Queste conoscenze sono importanti in queste patologie poiché sono stati introdotti nella clinica l’utilizzo di anticorpi anti interferone 1, che bloccano l’attivazione di linfociti B e quindi la produ-zione di anticorpi e quindi il danno dato da questa patologia. Un altro meccanismo nuovo è inibire la trasduzione del segnale da parte del toll-like receptor 9 che è il secondo segnale che serve per l’atti-vazione del linfocita B. Un altro approccio è dato dall’utilizzo di anticorpi anti CD20, che è un marker tipico del linfocita B; questi anticorpi così si vanno legare a questi recettori così da indurre la citotos-sicità delle cellule B uccidendole e così in mancanza di cellule B autoreattive si avranno meno danni.

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Un altro esempio è il diabete di tipo 1 che è una malattia organo specifica, legata dal punto di vista genetico agli alleli DR-3 E DR-4 ma associata al fatto che vengono coereditati insieme a DQ-2 e DQ-8. Questa patologia è legata quindi sia all’attivazione delle cellule citotossiche cross reattive con-tro le cellule che producono insulina a livello del pancreas determinandone la lisi, sia da cellule TH1 che producono interferone γ che attivano quindi i macrofagi e una risposta infiammatoria; è anche legata ad anticorpi diretti verso le proteine dell’insulina → sono quindi interessati sia meccanismi dell’immunità cellulo-mediata (CD4 e CD8 dipendente) che meccanismi umorali. I nuovi approcci terapeutici utilizzati sono la somministrazione di peptidi diabetogeni che cercano di indurre la pro-duzione di insulina.

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Reazioni di ipersensibilità Inizialmente si definiva come una condizione patologica innescata da una risposta immunitaria

esagerata. In realtà non è proprio corretto, è più corretto usare questo termine per indicare una rea-zione immunitaria inappropriata. Le reazioni di ipersensibilità sono determinate da una risposta umorale o cellulo-mediata rivolta ad antigeni non patogeni, ma innocui. Quindi il paradosso sta nel fatto che l’antigene, di per sé, nella maggior parte della popolazione, non provoca alcun effetto perché non è un microrganismo, mentre in alcuni individui questo antigene causa una risposta immunitaria che determina un danno all’ospite e quindi una patologia. Le cellule responsabili sono i mastociti, eosinofili, basofili, neutrofili e le cellule mononucleate.

Queste reazioni sono classificate in quattro tipi sulla base innanzitutto del tempo di insorgenza della reazione di ipersensibilità dal contatto con l’antigene:

– immediate (primo tipo);

– intermedie (secondo e terzo tipo);

– ritardate (quarto tipo);

Oppure possono essere classificate sulla base della dipendenza o meno dagli anticorpi (Primo, secondo e terzo tipo sono dipendenti dagli anticorpi mentre il quarto tipo è cellulo-mediata).

Oppure sul tipo di cellule responsabili della reazione (mastociti nel primo tipo, cellule NK ma-crofaghe nel secondo tipo e nel terzo, macrofagi e cellule citotossiche nel quarto tipo);

Oppure sulla base delle manifestazioni clinico patologiche.

1° tipo: immediata/reazione allergica Si attivano dopo pochi secondi dal contatto con l’allergene e nell’arco di alcune ore si ha il picco

o la risoluzione totale della reazione. Sono scatenate da antigeni detti anche allergeni: sostanze inno-cue come fosfora e pelo degli animali, punture di alcuni insetti, farmaci, pollini, feci degli acari della polvere, cibi etc. che per altri individui sono totalmente innocue.

Sono mediate da anticorpi IgE.

Cellule che intervengono: mastociti, basofili, eosinofili.

Manifestazione più grave: shock anafilattico.

Tutti questi quattro tipi di reazione prevedono una prima fase di sensibilizzazione all’antigene e una seconda fase definita “di scatenamento” dove si manifestano le alterazioni clinico-patologiche. Nella prima fase si ha la produzione di anticorpi IgE che si legano su mastociti e basofili e al contatto successivo con gli allergeni per cui sono specifici, determinano il rilascio di mediatori contenuti nelle mast cells e nei basofili e l’attivazione degli eosinofili.

2° e 3° tipo: intermedia Iniziano nel giro di ore dal contatto con l’antigene e si risolvono in 24h.

Riguardano anticorpi IgM o IgG.

Le cellule coinvolte possono essere natural killer, macrofagi e neutrofili.

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In quelle di secondo tipo gli anticorpi riconoscono antigeni espressi sulle membrane dei tessuti dell’organismo, oppure sulle membrane di alcune cellule, come gli eritrociti.

In quelle di terzo tipo gli anticorpi riconoscono antigeni self soluti in circolo. In entrambi i casi si formano immunocomplessi antigene-anticorpo. In quelle di secondo tipo questi complessi sa-ranno legati alla membrana di una cellula o di un tessuto, in quelle di terzo tipo saranno solubili.

Le conseguenze saranno differenti: in quelle di secondo tipo avremo prevalentemente un danno tissutale, emolisi dei globuli rossi per attivazione del sistema del complemento, citotossicità mediata dalla cellule NK. Si hanno nelle reazioni di trasfusione (antigene estraneo), nell’eritroblastosi fetale (caratterizzata da incompatibilità del fattore Rh tra la madre e il feto).

In quelle di terzo tipo gli immunocomplessi si depositano su tessuti vergini che non hanno a che vedere con l’antigene che ha indotto la reazione. L’immunocomplesso porterà quindi una risposta infiammatoria; se si deposita nelle articolazioni avremo un’artrite, se si deposita a livello dei vasi avremo delle vasculite. Le reazioni possono essere localizzate o sistemiche; tra quelle sistemiche ab-biamo le reazioni autoimmuni (antigene self) o la malattia da siero (antigene estraneo).

Quindi sia in quella di secondo tipo che terzo tipo posso avere antigene self o estraneo (tipo trasfusione tra individui di due gruppi sanguigni diversi).

4 tipo: ritardata Da 48h esposizione. È cellulo-mediata. Non sono coinvolti anticorpi, anche se ci potrebbe essere

una piccola quantità di IgM per reclutare le cellule nella sede di reazione. Questo tempo di attivazione lungo è dovuto al fatto che è mediata da cellule che devono riconoscere l’antigene sui macrofagi e attivarsi per indurre la reazione.

E.g.: tutte quelle reazioni che spesso vengono confuse per una reazione allergica (dermatite da contatto, reazione al nickel, tinture dei capelli, sostanze velenose diverse piante). Oppure reazione alla tubercolina.

Vengono suddivise anche sulla base dei linfociti T helper coinvolti:

– TH1: inducono l’attivazione macrofagi che attivano TH1 che con IFN-γ, riattiva il ma-crofago che rilascia chemochine e citochine. E.g. Reazione alla tubercolina e dermatite da contatto.

– TH2: portano ad asma cronico, rinite cronica allergica. Inducono l’attivazione di eosi-nofili e di mastociti e quindi in questo caso diventato reazioni di quarto tipo, ma solo in quanto sono croniche.

– CTL: dermatiti allergiche da contatto con l’antigene che viene internalizzato nella cel-lula a livello citoplasmatico (MHC-I e CD8+ che si differenziano in CTL). In genere in-vece nelle altre dermatiti l’antigene viene internalizzato e mantenuto negli endosomi (attivazione CD4+ e MHC-II). Anche nel rigetto del trapianto questa reazione.

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Ipersensibilità di primo tipo Sono presenti due fasi: sensibilizzazione e di scatenamento.

Qui nella fase di sensibilizzazione si producono anticorpi IgE: l’allergene viene riconosciuto dal linfocita B e induce contemporaneamente anche la differenziazione delle cellule nella popolazione TH2 (producono IL-4, IL-5, IL-9, IL-13. Soprattutto IL-4 e IL-13 sono importanti per indurre lo scam-bio della catena pesante delle immunoglobuline da IgM a IgE). Quindi i TH2 sono funzionali alla produzione di anticorpi IgE. Immediatamente la cellula B attivata si differenzia in plasmacellula che produce IgE in forma secreta. Essi, una volta prodotti in forma secreta, si legano su recettori presen-tati soprattutto da mastociti, basofili e in piccola parte dagli eosinofili (FcεRI). Si parla allora di ma-stocita o basofilo “armato”, che presenta cioè già gli anticorpi specifici per l’antigene.

In seguito alle successive esposizioni, l’antigene si legherà su IgE già legati sui mastociti e sui basofili. Queste IgE legate ai recettori, riescono a cross-linkare e legare più epitopi dell’antigene e questo determina una trasduzione del segnale nel mastocita che rilascerà le sostanze che contiene. Alcune sono già preformate nei granuli (amine vasoattive quali istamina), vengono rilasciate entro pochi secondi dal cross-linking e sono responsabili della “reazione più immediata della reazione di ipersensibilità immediata”, altre sono prodotte in seguito alla trasduzione segnale (mediatori lipidici e citochine) e vanno a definire la “reazione tardiva della reazione di ipersensibilità immediata”.

Circa il 40% della popolazione che viene a contatto con queste sostanze può sviluppare patologie allergiche. Si è scoperto che c’è stato un incremento con l’industrializzazione.

Reazione allergiche mediate da IgE:

Anafilassi sistemica innescata da farmaci, siero, veleno di insetti e alcuni alimenti. Questi aller-geni sono comunemente internalizzati con via endovenosa, vanno direttamente nel sangue. Oppure ci sono antigeni alimentari, come gli alimenti con guscio. Edemi, aumento permeabilità dei vasi, au-mento pressione, edema del laringe e soffocamento.

Reazioni locali determinate da vari tipi di alimenti. Vomito, prurito, diarrea, orticaria e rara-mente, solo se vanno in circolo, provocano anafilassi.

Rinocongiuntivite stagionale.

Orticaria acuta.

Asma: broncocostrizione, infiammazione delle vie aeree, edema della mucosa nasale.

Individui con predisposizione a diventare sensibilizzati agli allergeni grazie alla produzione di anticorpi IgE sono detti atopici. Ancora non si conoscono tutte ragione per cui in certi individui l’allergene possa determinare la reazione e in altri individui no. In ogni caso l’atopia è legata a fattori genetici ereditati e a fattori ambientali.

1> μg/mℓ di IgE nel siero individuo normale (nell’atopico >1000 μg/mℓ). Nell’individuo nor-male il contatto con queste sostanza provoca produzione di IgM e IgG e solo queste basse quantità di IgE. Quest’ultimo è uno degli elementi cruciali perché anche l’individuo normale ha i mastociti legati ai recettori FcεRI ma saranno poco rappresentati. Nel soggetto atopico sono presenti alte quan-tità di IgE specifiche per quell’allergene e quindi i suoi recettori saranno legati a un numero maggiore

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di IgE per quell’antigene; dunque quando entra l’allergene, questo induce un cross-linking dei recet-tori. Nei soggetti normali è difficile che questo avvenga, per la minore concentrazione di IgE.

Fattori che determinano la produzione di queste alte quantità di IgE

– natura antigene; – via d’ingresso dell’antigene; – predisposizione dei soggetti a generare una risposta TH2 (ereditarietà) e quindi produ-

zione di citochine che favoriscono il cross-linking; – fattori ambientali; – la grande produzione di anticorpi IgE non è influenzata dalla specificità dell’antigene o

dalla forma e dalla carica allergene, ma è influenzato dal tipo e dose dell’allergene. Ba-stano concentrazioni molto basse di antigene per scatenare la reazione di ipersensibilità immediata.

– vie di ingresso dell’allergene (quelli inalati determinano la reazione di ipersensibilità di primo tipo, per quelli introdotti per via endovenosa è più difficile). La via d’ingresso dell’allergene influenza la presentazione dell’antigene e quindi la differenziazione delle cellule T helper CD4 naïve in TH1, TH2, o TH17.

– meccanismi di presentazione.

Allergeni Proteine nel siero come alcuni vaccini, oppure pollini delle piante, noci, crostacei, uova, fagioli,

latte, prodotti degli insetti, muffe, pelo e fosfora animali, farmaci (penicillina, sulfamidici, anestetici locali). Si tratta sempre di proteine o gruppi chimici coniugati a proteine (farmaci).

La maggior parte degli allergeni sono proteine a basso peso molecolare, vengono a contatto con l’individuo a basse dosi ed hanno elevata solubilità: di solito vengono trasportate da particelle essic-cate (per esempio le feci dell’acaro polvere sono coniugate a particelle essiccate e vengono traspor-tate). Elevata solubilità: a contatto con le mucose dell’individuo vengono rapidamente rilasciati e quindi sono solubili a livello delle mucose. Questo fornisce loro una elevata stabilità.

Gli allergeni devono favorire l’attivazione dei T CD4 verso la sottopopolazione TH2 che produce IL-4 e IL-13, che determinano lo scambio di classe verso gli anticorpi IgE.

Inizialmente si pensava che la caratteristica peculiare dell’allergene fosse essere una proteasi; alcuni allergeni hanno anche attività proteolitica, tipo le proteine degli acari della polvere (si deter-mina la degradazione delle giunzioni cellulari a livello della mucosa e così l’antigene, anche se pre-sente a piccole dosi, può passare nella sottomucosa ed essere trasportato dalle cellule dendritiche al linfonodo dove attiva le cellule T naïve e le fa differenziare in TH2 che producono IgE che poi si legano ai recettori FcεRI ed in seguito a successivi contatti con l’antigene si arriva alla degranulazione dei mastociti); altri allergeni invece non sono proteasi ma inibitori enzimatici.

Antigeni glicosilati: soprattutto quelli alimentari. La glicosilazione fa sì che l’allergene venga introdotto senza essere poi degradato proteoliticamente nella via orale e nel tubo digerente.

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Differenziazione nei linfociti TH1/TH2 Reazioni immuni mediate da IgE dipendono:

• Segnali che promuovono la differenziazione in TH2 (citochine, proprietà intrinseche, dose, via di presentazione)

• Segnali costimolatori e citochine TH2 che stimolano i linfociti B verso la produzione di IgE (CD40-CD40L per attivare la sintesi degli enzimi coinvolti nello scambio di classe anticorpale; IL-4 e IL-3 per lo scambio isotipico verso IgE).

È importante ai fini della differenziazione:

1) microambiente in cui avviene l’interazione tra la cellula dendritica e la cellula T CD4 naïve per indurre la differenziazione delle varie popolazioni linfocitarie. Microrganismi che inducono una forte risposta immunitaria innata, stimolano la produzione di IL-12 da parte delle cellule dendritiche, di IFN-γ dalla cellule NK e questo induce la differenziazione delle T CD4 naïve in TH1.

Invece gli allergeni sono sostanze che generalmente non inducono una forte risposta immuni-taria innata perché sono antigeni che normalmente non sono associati a patogeni. Quindi in questo caso avremo un ambiente costituito prevalentemente da IL-4 che induce la differenziazione verso TH2.

2) localizzazione della via di ingresso dell’allergene: nel caso di allergeni che entrano attra-verso la mucosa e la cute, le cellule dendritiche sono stimolate da un microambiente costituito da particolari sostanze delle cellule epiteliali delle mucose (epidermide, mucosa intestinale, mucosa re-spiratoria). Vitamine, citochine possono influenzare la differenziazione, quindi non è solo il tipo di antigene a fare la differenza, ma anche tutte le altre sostanze che possono essere presenti nell’am-biente durante la fase di riconoscimento. OX40 ligando, molecole co-stimolatorie, linfopoietina ti-mica stromale (cellule epiteliali dell’epidermide e mucose), TGF-β e acido retinoico → tutte sostanze del microambiente che fanno sì che le cellule dendritiche, a contatto con questi allergeni, producano prevalentemente IL-10 e quindi inducano la soppressione nello sviluppo delle cellule T helper in TH1, lo sviluppo di cellule T regolatorie e la produzione di cellule TH2. Il sistema immunitario innato e specifico in questi tessuti induce prevalentemente la differenziazione in senso TH2 piuttosto che TH1.

Soprattutto nella mucosa intestinale, i batterî commensali influenzano la capacità della cellule dendritiche di indurre lo sviluppo in TH1 o TH2. I batterî fanno sì che le cellule restino immature e non siano in grado di indurre l’espressione delle molecole co-stimolatorie. Sono anche meno suscet-tibili a legare i profili molecolari associati ai patogeni con i rispettivi recettori. I TH2 producendo IL-2 e IL-4 portano alla sintesi di IgE ma producendo IL-3, IL-5 e IL-13 sono responsabili anche di manifestazioni clinico patologiche reclutando eosinofili che producono un danno tissutale e media-tori che amplificano la risposta. IL-5 induce anche la differenziazione degli eosinofili a livello del midollo. IL-13 determina la produzione di muco.

3) natura dell’interazione MHC-peptide: influenzata sia dalla quantità che dalla sequenza dell’antigene. Quando l’antigene è a bassa dose (tipo gli allergeni introdotti nell’organismo), verrà presentato a basse concentrazioni sulla superficie della cellula dendritica e stimolerà prevalentemente

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una differenziazione in senso TH2. Invece un antigene presente ad alte concentrazioni sarà espresso ad elevati livelli sulla superficie della cellula dendritica e questo indurrà la differenziazione in TH1.

Se l’antigene forma un complesso riconosciuto più debolmente dai recettori dei linfociti T que-sto favorirà una differenziazione in TH2. Se il complesso sarà riconosciuto con alta affinità dal recet-tore dei linfociti T, questo stimolerà la differenziazione in TH1.

4) il microambiente con cui la cellula dendritica presenta l’antigene alla cellula T naïve in-fluenza la differenziazione della cellula T naïve nelle diverse sottopopolazioni di linfociti T helper.

Amplificazione Una volta innescate, le reazioni possono essere amplificate: IgE si legano ai recettori FcεRI dei

mastociti. I mastociti con l’interazione con il CD40 (importante per lo scambio di classe) espresso sul linfocita B e con la produzione di IL-4, determinano un’amplificazione della risposta inducendo una produzione di maggiori quantità di IgE.

Gli anticorpi IgE si possono legare ai recettori FcεRI della cellula dendritica che può captare l’antigene, internalizzarlo, processarlo e presentarlo ai linfociti T helper naïve.

In questa aumentata produzione di IgE hanno un ruolo anche gli eosinofili: presentano recettore FcεRI ma anche molecole dell’MHC-II. Anche gli eosinofili quindi possono fungere dal cellule pre-sentanti antigene per il linfocita T e determinare la produzione di IgE da parte del linfocita B sotto lo stimolo di IL-4.

Normalmente lo stimolo irritante può indurre produzione di chemochine che richiamano gli eosinofili dalla circolazione sanguigna alla mucosa a contatto con allergene. Ciò attiva le mast cells che producono IL-5, fattore chemotattico per eosinofili, che vengono reclutati nella zona per presen-tare le molecole ai linfociti T e alle molecole del MHC.

Atopia – Livelli maggiori di IgE; – Livelli maggiori di eosinofili; – Livelli maggiori di linfociti T allergene-specifici. Questo determina anche una maggiore

quantità di IL-4; – Linfociti T allergene-specifici producono una maggior quantità di IL-4 rispetto ai linfo-

citi di un individuo non atopico. Dunque avremo anche: – Maggiore produzione di IgE.

Fattori genetici che condizionano lo sviluppo di atopia

Fattori genetici per atopia: geni associati all’asma.11

– Cluster genico12 per le citochine sul cromosoma 5q (e.g. IL-4, IL-5, IL-13 per la diffe-renziazione del TH2 e l’attivazione e il reclutamento di eosinofili, oppure recettori β-

11 Vedi tabella 19-4 a pag. 438 del libro. 12 Un cluster genico è un gruppo di due o più geni che codificano per la stessa proteina o per proteine simili tra di loro, disposti su un singolo cromosoma. I geni di un cluster si trovano tutti a breve distanza l’uno dall’altro sul cromosoma.

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adrenergici responsabili, per esempio, della contrazione della muscolatura liscia bron-chiale);

– alleli del MHC di classe II; individui con particolare alleli di MHC-II possono più facil-mente presentare frammenti peptidici dell’allergene ai linfociti T ed indurre la reazione.

– Catena β del recettore FcεRI. Determinano la capacità di reclutare immunoglobuline e l’attivazione del mastocita;

– Fattore cell stam, IFN-γ, STAT6; – Catena α del recettore IL-4. Quindi ci possono essere alterazioni che determinano una

maggiore produzione di IL-4 e quindi maggiore differenziamento verso i TH2. – Mancanza della subunità 40 del recettore dell’IL-12: impedimento alla differenziazione

verso TH1; – ADAM33; – DPP10; – PHF11; – ORMDL3; – Recettore IL-1 di tipo 1; – Fosfodiesterasi; – Filaggrina; – Geni TIM: per controllo della differenziazione TH1/TH2.

Fattori ambientali Ambiente igienico o non igienico (si intende il venire o meno a contatto con i microrganismi):

individui che vivono in ambienti meno igienici sviluppano con meno frequenza queste reazioni; in-dividui dei paesi industrializzati, più igienici, le sviluppano con più frequenza. Questa teoria veniva definita “ipotesi dell’igiene” ma adesso si definisce ipotesi della controregolazione. Con l’ipotesi dell’igiene si sosteneva che il sistema immunitario del bambino fosse soprattutto orientato alla diffe-renziazione verso TH2; quindi se il bambino nella prima infanzia veniva a contatto con microrganismi che inducevano la differenziazione in TH1, era meno suscettibile, in età adulta, a sviluppare ipersen-sibilità 1° tipo (determinata da TH2). È vera non come ipotesi infettiva ma come ipotesi della contro-regolazione (il nostro sistema immunitario non è orientato in senso TH2 e se va incontro alle infezioni si orienta in senso TH1). Il nostro organismo viene a contatto durante i primi mesi di vita con dei microrganismi infettivi e quindi le cellule possono produrre citochine regolatorie (IL-10 e TGF-β) che impediscono la differenziazione verso TH1 e TH2 (e quindi il fatto che il soggetto possa sviluppare reazioni di ipersensibilità venendo a contatto con sostanze innocue). Quindi è importante l’infen-zione, non tanto per orientare il sistema immunitario, ma per produrre citochine regolatorie che impediranno la differenziazione in TH2 quando le cellule dendritiche presenteranno le sostanze in-nocue ai linfociti T CD4.

Anche una precoce colonizzazione di batterî nell’intestino riduce la probabilità di sviluppare rea-zioni di ipersensibilità di tipo 1.

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La dieta come fattore ambientale non ha alcuna influenza, mentre l’inquinamento ha una corre-lazione con le reazioni: alcune particelle di scarico del diesel possono contribuire a sviluppare rea-zioni in soggetti predisposti (cioè che hanno gli alleli GSTP1 e GSTPM1). Ma questo è ancora in fase di studio, quello che è accertato è l’importanza delle reazioni nella prima infanzia.

Riassumendo: l’esposizione alle malattie infettive, l’inquinamento ambientale, i livelli di allergeni, i cambiamenti dietetici sono fattori ambientali ma solo i primi due hanno una reale influenza sulla predisposizione dell’individuo all’atopia.

A seguito di infezioni nella prima infanzia si producono citochine con attività inibitoria come TGF-β, IL-10 che vengono prodotte anche dalle cellule T regolatrici. Esse possono influenzare:

– differenziazione verso i TH2, bloccando la produzione di anticorpi IgE e tutte le conse-guenze legate all’attivazione del TH2 (rimodellamento tissutale, alterazioni delle cellule endoteliali, attivazione dei basofili, eosinofili e mast cells che può essere sia diretta che indiretta).

– influenzano capacità delle cellule dendritiche ed inibiscono le cellule T.

Reazioni di ipersensibilità di primo tipo Le reazioni di ipersensibilità si svolgono in due fasi:

1. sensibilizzazione, al primo contatto con l’allergene e porta alla produzione di una grande quantità di anticorpi IgE e tutti i fattori correlati.

2. scatenamento, con i contatti successivi, legata al fatto che nella prima fase si siano for-mati anticorpi IgE specifici per quell’allergene e che questi si siano legati ai recettori FcεRI presenti sulla superficie dei mastociti.

Fase di scatenamento

Le cellule

Le cellule coinvolte nella manifestazioni clinico-patologiche delle reazioni di ipersensibilità di primo tipo sono:

– Mastociti, hanno localizzazione tissutale. Queste cellule presentano granuli al loro in-terno, in particolare hanno un nucleo circolare con molti granuli contenenti sostanze responsabili delle manifestazioni clinico-patologiche, mediatori preformati, e corpi li-pidici. I granuli sono proteoglicani acidi (si colorano con coloranti basici, appaiono vio-lastri all’interno del citoplasma del mastocita). Si ritrovano nei connettivi, nelle mucosa, a livello dei vasi, negli organi linfoidi, nervi e distretti subepiteliali. Migrano dal midollo come precursori immaturi e terminano la maturazione a livello dei tessuti. I mastociti hanno un’emivita molto lunga (da settimane a mesi).

– Basofili, sono simili ai mastociti ma circolanti. Contengono anch’essi granuli al loro interno formati da proteoglicani acidi e si trovano soprattutto nel sangue. Escono dal midollo già come cellule mature (come gli eosinofili). La loro emivita è di qualche giorno.

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– Eosinofili, si trovano nelle mucose ma possono ricircolare; si colorano con coloranti acidi, appaiono con granuli di colore violaceo, contenendo al loro interno proteine ba-siche. Emivita da giorni a settimane.

Esprimono tutti e tre il recettore FcεRI importante per il legame dell’anticorpo IgE specifico per un determinato allergene: i mastociti e i basofili ne esprimono livelli elevati, gli eosinofili ne espri-mono bassi livelli. Si è anche visto che il recettore non presenta una catena del recettore FcεRI im-portante nella trasduzione del segnale. A causa di ciò la loro funzione non è ancora ben chiara.

Queste tre cellule si differenziano anche per il contenuto dei granuli:

– Mastociti, contengono soprattutto eparina, istamina, condroitinsolfato e proteasi neu-tre

– Basofili, contengono istamina, condroitinsolfato e proteasi neutre – Eosinofili, contengono la proteina basica maggiore, proteina cationica, perossidasi,

idrolasi, lisofosfolipasi.

La diversità del contenuto fa sì che a seconda di quale popolazione venga attivata avremo mani-festazioni clinico patologiche diverse.

I mastociti e i basofili contengono istamina, proteasi neutre, carbossipeptidasi però possono sin-tetizzare dopo l’attivazione fattori lipidici quali le prostaglandine, i leucotrieni, fattori attivanti le pia-strine e sintetizzare citochine quali IL-3, IL-4, TNF, ecc.

Gli eosinofili possono sintetizzare ex novo mediatori lipidici, leucotrieni, citochine (IL-3, IL-5) e chemochine (IL-8, IL-10, ecc). Hanno una maggiore attività chemiotattica per la maggior espres-sione di chemochine.

I mastociti si possono distinguere in due sottopopolazioni (per la localizzazione, per la dipen-denza dai linfociti T e per il contenuto dei loro granuli):

– mastociti che si trovano nei connettivi, nella cute e sottomucosa intestinale, indipen-denti dai linfociti T per lo sviluppo, che contengono proteasi neutre (triptasi, chimasi, carbossipeptidasi, catepsina G), e presentano alti livelli di istamina.

– nelle mucose, soprattutto negli alveoli e nell’intestino, dipendono dagli T e contengono come proteasi neutre la triptasi, con produzione di bassi livelli di istamina.

Quindi a livello delle mucose si avranno delle risposte diverse dai connettivi o dalla mucosa intestinale (dove sono presenti più istamina e altre proteasi neutre). La risposta si differenzia quindi anche in base alla sede in cui è entrato l’allergene a causa del contenuto dei granuli dei mastociti.

I recettori

Per attivare la risposta di ipersensibilità le IgE, durante la fase di sensibilizzazione (nel momento in cui vengono prodotte in grandi quantità) si devono legare ai recettori FcεRI espressi da mastociti, basofili e eosinofili (ma senza catena β): è un recettore ad alta affinità per le IgE, formato da una catena α che nella porzione extracellulare ha due dominî di tipo immunoglobulinico, che contengono il sito di legame per l’anticorpo IgE. Hanno poi anche una catena citoplasmatica. Alla catena α, im-portante nel riconoscimento dell’immunoglobulina, sono associate la catena β e due catene γ, impor-

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tanti per la trasduzione del segnale quando l’IgE cross-lega l’antigene estraneo multivalente. La ca-tena β è formata da un ripiegamento che attraversa quattro volte il doppio strato fosfolipidico della membrana dei mastociti o dei basofili e nella sua porzione amminoterminale intracitoplasmatica presenta la tirosin-chinasi della famiglia SARK e anche un dominio ITAM. Le due catene γ presen-tano anch’esse residui ITAM con residui di tirosina che possono essere fosforilati.

Negli eosinofili manca la catena β, pur presentando le catene γ. La β presenta associata una ti-rosin-chinasi importante per l’avvio della trasduzione del segnale, per questo non è chiara la funzione di queste cellule in questa risposta.

Le catene γ invece non sono peculiari solo del recettore FcεRI ma si trovano in tutti i recettori Fc per le immunoglobuline, quindi anche nei recettori Fc per le IgG, presenti soprattutto nei fagociti, che mediano le risposte ai patogeni.

Un altro tipo di recettore per le immunoglobuline IgE, ma a bassa affinità, è FcεRII. Questo recettore non è espresso negli eosinofili ma a livello delle cellule B, dei macrofagi alveolari e degli eosinofili. Questo recettore lega un anticorpo IgE in zona extracellulare e può anche essere scisso proteoliticamente. La sua funzione ancora non è ancora completamente nota: si pensava fosse coin-volto nel modulare i livelli d’espressione degli anticorpi IgE ma in realtà sperimentalmente si hanno livelli di IgE normali anche in assenza di questo recettore.

Meccanismo della fase di scatenamento

Quando gli IgE si sono formati durante la fase di sensibilizzazione vanno a legarsi ai recettori FcεRI sulla superficie del mastocita e durante la fase di sensibilizzazione non si manifesta alcuna rea-zione clinico-patologica.

Nei successivi incontri con lo stesso antigene è necessario che questo sia multivalente. Un anti-gene con un singolo epitopo infatti non riesce a cross-legare più IgE legati ai loro recettori e non induce una efficace attivazione del mastocita (non attiva una trasduzione del segnale efficiente).

Nell’ipersensibilità non è l’anticorpo in circolo a legare l’antigene per poi complessarsi con il suo recettore, ma sono le IgE legate già ai loro recettori sulla superficie dei mastociti (mastociti armati) che vanno a legare l’antigene per scatenare poi l’attivazione del mastocita stesso. Quindi se l’IgE riconosce l’allergene in soluzione non si ha alcuna manifestazione clinico-patologica.

A questo punto si ha la trasduzione del segnale:

1) La chinasi Lyn associata alla catena β del recettore, una volta che le IgE hanno cross-legato l’allergene, si attiva e avvia la fosforilazione dei residui di tirosina delle sequenze ITAM presenti sia sulla catena β che sulle catene γ.

2) Una volta fosforilate reclutano la tirosin-chinasi Syk (vedi anche attivazione del linfocita B) che viene fosforilata da Lyn (anche per questa tirosin-chinasi ci sono due dominî SH2, quindi ci devono essere due residui di tirosina fosforilati affinché possa legarsi ed attivarsi).

3) La tirosin-chinasi Syk fosforilata da Lyn va a reclutare e fosforilare LAT, una proteina adat-tatrice che a sua volta recluta altre proteine adattatrici: la fosfolipasi C-γ, che scinde inositoli di mem-brana in fosfatidil-inositolo trifosfato e diacilglicerolo. Il primo indurrà a livello del RE, legandosi ai suoi recettori, il rilascio di calcio, il secondo invece attiverà la protein-chinasi C. Questa può essere

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attivata anche dalla dalla tirosin-chinasi Tyn che attiva GRB2 che a sua volta attiva la PI3K (P 3-chinasi).

4) La protein-chinasi C attivata ha diverse funzioni: una di queste è quella di fosforilare le catene leggere della miosina e far sì che i granuli contenuti dai mastociti, con mediatori già preformati al loro interno, possano andarsi a fondere con la membrana plasmatica ed essere esocitati all’esterno. Questa funzione deve essere coadiuvata dall’azione di complessi di proteine SNARE: queste vengono di solito attivate, quando c’è un aumento di calcio, dalle sinaptotagmina (proteine Ca2+-dipendenti). Questi complessi riescono a far fondere la membrana del granulo con quella plasmatica del mastocita determinando il rilascio dei mediatori preformati. Poiché questi mediatori sono preformati questi eventi intervengono entro pochi minuti dall’interazione dell’allergene con le IgE legate al loro recet-tore sul mastocita. Questa prima via di trasduzione del segnale avviene dunque rapidamente, por-tando al rilascio di sostanze che sono già presenti nei granuli, ed è responsabile delle reazioni imme-diate dell’ipersensibilità. Questa si sviluppa entro pochi minuti e si risolve nell’ambito di due ore.

5) L’attivazione dell’inositolo trifosfato e il rilascio di calcio è importante perché fa sì che LAT attivi Grb2 e SOS, proteine adattatrici, che attivano la via delle RAS MAP-chinasi (proteine di scam-bio).

6) Le Ras-MapK attivano la fosfolipasi A2 che scinde i fosfolipidi di membrana generando acido arachidonico.

7) L’acido arachidonico può prendere due strade:

a) lipossigenasi, che porteranno alla formazione dei leucotrieni. b) ciclossigenasi, che porteranno alla formazione delle prostaglandine (soprattutto D2 nei

mastociti). Quindi grazie a questa trasduzione del segnale vengono sintetizzati media-tori lipidici.

In realtà il calcio e l’attivazione delle Ras MapK va ad indurre l’attivazione dei fattori di trascri-zione, NFAT, NFκb e AP-1 che legandosi ai promotori dei geni silenti per le citochine ne attivano la trascrizione. Questi però non indurranno l’espressione dell’IL-2 a differenza di ciò che avviene nei linfociti T. Questo è possibile perché i geni bersaglio di determinati fattori di trascrizione hanno un’espressione selettiva sui diversi tipi di cellula: non tutti i tipi di cellula possono attivare la trascri-zione di quei determinati geni mediati da fattori di trascrizione. Quindi i linfociti T hanno il promo-tore per l’IL-2 accessibile a questi fattori di trascrizione, sui mastociti invece non ci sono siti accessi-bili per i geni che codificano l’IL-2. Questo meccanismo è importante per gli effetti biologici delle citochine: l’espressione risente di una trascrizione cellulo-specifica.

La produzione di citochine è ex novo e richiede perciò tempi più lunghi, andando a caratterizzare la risposta tardiva o fase tardiva delle reazioni di ipersensibilità di primo tipo.

Tra le citochine secrete c’è il TNF, IL-1, IL-6 (pro-infiammatorie), IL-4, IL-5, IL-3 ecc.

Il TNF è l’unica citochina che può essere immagazzinata all’interno della cellula, ma solo nei mastociti e a bassi livelli. Quindi la prima fase di produzione di TNF da parte dei mastociti è deter-

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minata anche dalla secrezione della citochina pre-formata. L’attivazione dei mastociti può essere po-tenziata anche da altre sostanze che determinano un’attivazione non IgE mediata: va ad amplificare l’attivazione del mastocita da parte delle IgE.

Il mastocita può degranulare anche quando la mastocellula lega le anafilotossine C3a, C4a e C5a, frammenti di clivaggio delle proteine del complemento. In presenza di attivazione del sistema del complemento si può avere degranulazione. È proprio questa attivazione ad essere responsabile dell’ipersensibilità non IgE mediata. Se questa reazione avviene in presenza di allergene amplifica i danni mediati dalla degranulazione di mastocellule mediata da IgE.

I mediatori chimici

Mastociti

Le prime ad essere rilasciate sono quelle dei granuli (mediatori chimici preformati):

1) Istamina, ammina biogena facente parte delle ammine vasoattive, con un basso peso mole-colare e presenza di un gruppo NH2 appunto. Può avere diversi effetti legandosi a diversi tipi di recettore, ce ne sono 4 tipi (H1, H2, H3, H4) che sono espressi in modo diverso in base alla cellula. In base a quale recettore legherà l’istamina e in base all’espressione selettiva di quel recettore in una determinata cellula rispetto ad un’altra si avranno manifestazioni patologiche differenti. Di solito si lega al recettore H1 (antistaminici inibiscono H1). I recettori attivano una trasduzione del segnale che porta alla produzione di mediatori responsabili dell’azione dell’istamina. Quando si lega a recet-tori H1 espressi su cellule endoteliali provocherà un’apertura degli spazi tra le cellula con fuoriuscita di plasma nei tessuti e aumento della permeabilità vascolare. Può anche stimolare a livello delle cel-lula della muscolatura liscia la produzione di prostacicline e ossido nitrico che fanno rilasciare la muscolatura liscia dei vasi provocando una vasodilatazione. Dal punto di vista patologico avremo un rigonfiamento (edema) per rilascio di fluidi e arrossamento. L’istamina si può legare anche su recet-tori presenti sulle ghiandole esocrine favorendone la secrezione e come effetto si avrà aumento della produzione di muco. I recettori H1 si trovano anche a livello del SNC e al livello del derma potrà stimolare le fibre nervose sensitive provocando un enorme prurito con conseguente aumento di va-sodilatazione e arrossamento (tipico delle reazioni di ipersensibilità). Se l’istamina si lega a livello delle cellule muscolari lisce dell’intestino indurrà una costrizione che aumenta la peristalsi intestinale (effetto rivolto a cercare di eliminare l’antigene estraneo: stimola il vomito e la diarrea; di solito av-viene in caso di allergia alimentare). Per antigeni inalati l’istamina stimolerà le cellule muscolari lisce dei bronchi che porteranno a broncospasmo (tosse e starnuti). Le manifestazioni più gravi sono rap-presentate dall’asma. Legandosi ad H2 si riscontrano effetti sovrapponibili a quelli di H1 (aumento permeabilità dei vasi, vasodilatazione, stimolazione ghiandole esocrine) ma presenta anche un ruolo inibitorio. Riconoscendo questo recettore sui mastociti e sui basofili l’istamina va ad inibire la loro degranulazione (feedback negativo). L’istamina si va a legare anche a cellule immuni: i recettori H1 sono espressi anche da cellule dendritiche e da linfociti T. L’istamina assume un ruolo antinfiamma-torio e immunomodulatorio. Legandosi alle cellule dendritiche ne aumenta la capacità di presentare l’antigene e aumenta l’attivazione delle cellule del sottotipo TH1 (TH2 favoriscono la produzione di IgE che amplificano la risposta). Legandosi ai linfociti T porta all’aumento di produzione di TH1 che porterà però alla produzione di interferone-γ, sbilanciando l’equilibrio TH1/TH2 per down-regolare

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TH2 e attenuare la risposta di ipersensibilità. L’allergene non induce infatti una risposta immunitaria innata e quindi in grado di produrre IL-12 e interferone-γ che portano alla differenziazione di TH1 (ed è questo che fa si che si abbia reazione nei soggetti predisposti).

2) Proteine, sono la triptasi e la chimasi (a seconda del tipo di mastocita). Le triptasi sono pro-teasi neutre che degradano il fibrinogeno e attivano le collagenasi provocando un danno tissutale. Le chimasi invece contribuiscono quando presenti (sono tipiche soprattutto a livello dei mastociti della cute) a degradare la membrana basale dell’epidermide e a stimolare la secrezione di muco.

3) Proteoglicani, hanno struttura che presenta un glicano e diverse catene laterali cariche ne-gativamente. La loro funzione è quella di stabilire una sequenza nel rilascio dei mediatori trattenendo i mediatori carichi positivamente.

Ci sono però anche mediatori sintetizzati ex novo:

1) Prostaglandine e leucotrieni, mediatori lipidici, inducono contrazione della muscolatura liscia, broncocostrizione, secrezione mucosa e inducono permeabilità basale. Hanno però anche at-tività chemiotattica, reclutano cioè basofili, cellule TH2 e eosinofili. I basofili rilasciano mediatori si-mili ai mastociti (istamina, proteasi e mediatori lipidici, citochine), le cellule TH2 invece ampliano la risposta di sensibilità, mentre gli eosinofili sono responsabili di danni ai tessuti.

2) Fattore attivante le piastrine (PAF), mediatore lipidico, che attira neutrofili, eosinofili e piastrine, incrementa la produzione di prostaglandine e leucotrieni e possiede inoltre attività che-miotattica verso altri tipi di leucociti: viene così aumentata la risposta infiammatoria e l’attività a livello basale e muscolare. Poiché entrambi si formano a partire da acido arachidonico quando si somministra aspirina questa va ad inibire la ciclossigenasi, lasciando funzionante la via della lipossi-genasi. L’acido arachidonico imbocca questa via e quindi gli effetti saranno ancora peggiori: l’acido arachidonico produrrà maggiori quantità di leucotrieni.

3) Citochine, sono responsabili della fase tardiva. Soprattutto viene prodotto TNF, IL-1 e IL-6, citochine pro-infiammatorie, vanno a stimolare l’aumento delle molecole di adesione a livello dell’en-dotelio dei vasi, aumentano l’espressione e l’affinità dei ligandi a livello dei leucociti, stimolano la produzione delle chemochine. Quindi reclutano i leucociti dalla circolazione verso la sede dove si è avuta l’attivazione dei mastociti. Aumentano enormemente l’infiammazione, il TNF può anche in-durre morte per apoptosi. Viene prodotta anche IL-4 importante per la differenziazione dei CD4 naïve in TH2, induce lo scambio di classe verso gli anticorpi IgE con la mediazione di IL-13, anch’essa prodotta in questa reazione. Aumentano la produzione di muco, stimolano la peristalsi intestinale, aumentano la produzione degli anticorpi IgE, amplificando la risposta. Producono anche IL-3, IL-5, GM-CSF. L’IL-5 è una citochina, prodotta anche dai TH2 (anche nelle infezioni da parassiti è presente lo stesso meccanismo), che induce il differenziamento degli eosinofili a livello midollare e la loro attivazione a livello periferico. Il fatto che gli eosinofili vengano stimolati da IL-5 fa si che non ci siano troppi esemplari in circolo che rilasciando i loro granuli potrebbero portare danni tissutali. IL-3 e GM-CSF partecipano anch’essi alla maturazione degli eosinofili che andranno poi a produrre chemochine con il compito di reclutare monociti, macrofagi, neutrofili, eosinofili nella sede di atti-vazione del mastocita.

Complessivamente il mastocita attivato rilascia:

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– Ammine vasoattive, con conseguente vasodilatazione, aumento della permeabilità va-scolare, aumento della peristalsi, broncocostrizione.

– Proteine, quali triptasi e chimasi, coinvolte nel danno tissutale. – Mediatori lipidici, come prostaglandine, leucotrieni e fattore attivante le piastrine. – Citochine (ma anche i mediatori lipidici) responsabili dell’infiammazione (recluta-

mento leucociti).

In questa reazione vengono reclutati anche gli eosinofili. Una volta reclutati nella sede grazie a IL-5 possono rilasciare come sostanze pre-formate:

– la perossidasi eosinofila, che in caso di infezione di parassiti uccidono l’agente estraneo, mentre in assenza di questo provocano danno tissutale. Insieme alla collagenasi distrug-gono la matrice connettivale. Questo mediatore stimola inoltre i mastociti a liberare istamina, aggravando la reazione.

– la proteina basica maggiore e la proteina cationica, provocano danno tissutale e in-crementano la produzione di istamina.

I mediatori sintetizzati ex novo sono invece:

– Leucotrieni, CT4, D4 ecc, provocano contrazione della muscolatura liscia, secrezione di muco e aumento della permeabilità basale, e in più reclutano anche leucociti in asso-ciazione al fattore attivante le piastrine.

– Chemochine, come CXCL8 che favorisce reclutamento leucocitario, TGF-α e TGF-β che inducono proliferazione dell’epitelio, formazione di miofibroblasti e quindi rimo-dellamento tissutale.

– Citochine TH2 che amplificano la risposta. Sono inoltre importanti perché inducono l’apoptosi delle cellule TH1, inducendo la sintesi di IDO che porta alla produzione di chirunenine. In questo modo gli eosinofili oltre a indurre danno tissutale amplificano la risposta infiammatoria incrementano il numero di cellule TH2.

Complessivamente, grazie all’attivazione dei mastociti, dei basofili e al reclutamento degli eosinofili, si avranno dei danni tessutali e aumento dell’infiammazione.

Gli eosinofili possono anche legare gli anticorpi IgE ma il loro ruolo in questo non è ben chiaro. Nell’uccisione dei parassiti sappiamo che gli eosinofili sono coinvolti tramite il legame del recettore FcεRI con l’immunoglobulina legata al parassita ma è comunque importante l’IL-5 per permettere l’attivazione della cellula.

Si ha una fase precoce caratterizzata dal rilascio di istamina, prostaglandine e leucotrieni con vasodilatazione, broncocostrizione e secrezione di muco. Entro mezz’ora questa risposta ha il suo picco massimo ed è caratterizzata da edema e arrossamento.

In seguito alla produzione del PAF e di alcuni mediatori lipidici, ma soprattuto grazie alle cito-chine prodotta dai mastociti e dai basofili, vengono reclutati gli eosinofili responsabili della fase tar-diva, caratterizzata da edema, arrossamento e la formazione del ponfo (legato al reclutamento di leucociti). Questa insorge di solito entro le due ore successive al contatto con l’antigene e si risolve nell’arco di 24 ore.

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La reazione immediata è quella che viene utilizzata nei prick test: vengono somministrati degli allergeni sottocute tramite scarnificamento. Come controllo si somministra istamina a quantità note e sulla base della quantità di istamina che viene scarnificata sottocute e, in base anche alla dimensione del ponfo che si forma, si stabilisce la positività entro 15 minuti dalla scarnificazione. Se il ponfo ha un diametro maggiore di 3 mm la reazione viene considerata positiva.

Manifestazioni clinico-patologiche L’entità e le manifestazioni clinico-patologiche sono legate alla via di ingresso dell’allergene e

alla sua dose:

1) se un antigene penetra per via endovenosa in dose elevata (puntura d’insetto) provoca una stimolazione dei mastociti presenti a livello dei tessuti connettivi di tutto l’organismo provocando un massiccio e generalizzato rilascio di istamina. Ciò indurrà permeabilità dei vasi che porterà ad una caduta della pressione arteriosa, costrizione a livello dei bronchi, vasodilatazione a livello della glottide (soffocamento) portando infine anche a shock anafilattico.

2) se l’antigene viene ingerito si ha un effetto meno grave, va a stimolare i mastociti dei connet-tivi e delle mucose portando o anafilassi sistemica o eczema atopico/orticaria atopica qualora l’anti-gene passi nei vasi (si generano ponfi a livello della cute).

3) se l’antigene penetra per via sottocutanea e ha una dose bassa andrà a stimolare soprattutto i mastociti del tessuto connettivo: si avrà una reazione localizzata a livello della cute con vasodilata-zione, fuoriuscita di fluidi nel tessuto sottostante con formazione di ponfo e arrossamenti che in una fase tardiva potrà vedere il reclutamento dei leucociti.

4) se l’antigene viene inalato va a stimolare i mastociti delle mucose delle vie aree: l’effetto è diverso in base alla zona di arrivo dell’antigene. A livello delle vie aree superiori stimola soprattutto i mastociti della muscolatura liscia portando a produzione di muco e irritazione nasale. A livello delle vie aree inferiori la stimolazione dei mastociti indurrà una contrazione della muscolatura liscia, au-mento di muco, tosse e starnuti e in situazioni più gravi può portare anche ad asma (costrizione della muscolatura che in seguito alla produzione dei mediatori va incontro ad iperplasia e ipertrofia con ostruzione dei bronchi). Nella risposta acuta dell’asma sono presenti soprattuto istamina e mediatori infiammatori (prostaglandine, leucotrieni) che provocano ipersecrezione di muco e contrazione della muscolatura liscia. Ma se l’allergene non viene eliminato il rilascio di mediatori porterà ad un reclu-tamento di cellule TH2 e eosinofili che in questa sede porteranno risposta cronica, asma allergico-cronico, caratterizzata dalla secrezione di citochine da parte di TH2 che amplificano la risposta (più IgE portano ad una maggiore espressione dei recettori FcεRI con maggiore attivazione del mastocita) e anche danno tissutale per degranulazione degli eosinofili. Nella risposta cronica gli effetti sono le-gati alla produzione di citochine e di mediatori, mentre nella risposta acuta l’effetto è legato soprat-tutto al rilascio di mediatori da parte dei mastociti a livello bronchiale.

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Approcci terapeutici

Approccio sintomatico

– antistaminici o β-bloccanti, bloccano i mediatori ma non sempre portano a beneficio (imediatori lipidici hanno effetti sovrapponibili all’istamina).

– inibitori delle lipossigenasi.– corticosteroidi, inibiscono la produzione di citochine (inibiscono la risposta infiamma-

toria).– adrenalina, in caso di anafilassi sistemica, che inibisce la caduta della pressione e la con-

trazione della muscolatura liscia dei vasi e dei bronchi.

Approccio immunologico

– terapia desensibilizzante, si somministrano piccole dosi di allergene ripetutamente neltempo, a dosi scalari. Inibisce lo sviluppo delle reazioni di ipersensibilità ma non è pos-sibile in tutti gli individui e per tutti i tipi di allergeni. Questa terapia fa si che i CD4naïve si differenzino in cellule TH1 che producono IgG (si favorisce lo scambio di classe). Ciò diminuisce anche la reattività dei basofili e delle mastocellule e inoltre, producendoanticorpi IgG che non possono legarsi al recettore FcεRI, i mastociti che possono atti-varsi sono in numero sempre minore. Inoltre basse dosi di allergene producono TGF-βe IL-10 che portano allo sviluppo delle cellule T regolatrici. Quindi questa terapia portaad una tolleranza verso l’allergene. Viene anche utilizzata nel caso in cui un soggettodebba essere trattato con un farmaco cui è allergico: in questo caso vengono date dosielevate in un tempo breve, ma la desensibilizzazione è solo momentanea.

– terapia per equilibrare il rapporto TH1/TH2, somministrando citochine che favori-scono la differenziazione in TH1 piuttosto che in TH2, quindi IL-10, IFN-γ, IL-2 e TGF-β, che induce lo sviluppo degli T regolatori.

– anticorpi anti-citochine TH2, ma dato che l’effetto delle citochine è ridondante i risul-tati non sono molto positivi.

– inoculazione di frammenti peptidici, insorge il problema che ogni individuo presentaalleli MHC diversi.

– oligonucleotidi, importanti per la produzione di IL-12 e l’interferone-γ per indirizzarela differenziazione in senso TH1.

– anticorpi anti-IgE per impedire che questi si leghino al recettore favorendo il bloccag-gio dell’attivazione del mastocita.

– anticorpi anti-IL-5 per inibire la maturazione e il reclutamento degli eosinofili.

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Ipersensibilità di secondo tipo [Avevamo classificato le malattie immunologiche ed in particolare le ipersensibilità in 4 tipi, ab-

biamo visto come si sviluppa il primo tipo e oggi proseguiamo con gli altri tre tipi di reazioni di iper-sensibilità delle quali quella di II tipo e III tipo sono mediate da anticorpi.]

In particolare l’ipersensibilità di II tipo è mediata da anticorpi ma a differenza di quella di I tipo gli anticorpi non sono dell’isotipo IgE ma sono IgM o IgG, viene anche detta “citotossicità”.

In questo caso gli anticorpi vanno a legarsi a cellule o tessuti dell’organismo tant’è vero che tal-volta viene anche considerata come un attacco verso le cellule proprie del sistema immunitario. Gli anticorpi che la mediano sono anticorpi IgM o IgG e questi anticorpi posso essere acquisiti in 4 ma-niere diverse: possono essere acquisiti da un altro individuo e in questo caso, l’esempio più tipico di questa reazione di ipersensibilità è la malattia emolitica del neonato dove il feto riceve gli anticorpi dalla madre, quindi anche in questo tipo di reazione c’è una fase sempre di sensibilizzazione e poi una fase che invece induce il danno tissutale che è tipico delle reazioni di ipersensibilità, quindi c’è una fase di sensibilizzazione e le fasi successive inducono la reazione di ipersensibilità. Gli anticorpi possono quindi essere acquisiti direttamente dalla madre nel caso della malattia emolitica del neo-nato, oppure possono esser generati direttamente dall’individuo verso particolari antigeni, tipo gli antigeni dei gruppi sanguigni, quindi in questo caso l’individuo produce degli anticorpi verso pro-teine e carboidrati che sono presenti nelle cellule e nei tessuti dell’organismo stesso. Gli anticorpi possono esser generati per una risposta anticorpale verso alcuni farmaci che vengono iniettati nel nostro organismo e che vanno a coniugarsi con proteine espresse sulle cellule dell’ospite; oppure gli anticorpi possono esser generati grazie a una risposta anticorpale che viene generata verso antigeni self dell’organismo stesso e quindi in questo caso le reazioni di ipersensibilità di II tipo ricadono nelle malattie autoimmuni e l’isotipo è IgM o IgG, come isotipo dell’anticorpo, non sono mediate da altri tipi di anticorpi.

Quindi è possibile dire che ci sono 4 vie diverse per cui si possono avere degli anticorpi diretti verso cellule o tessuti dell’organismo stesso che poi provocano un danno tissutale legato alla presenza di questi anticorpi che riconoscono gli antigeni su cellule e tessuti dell’organismo.

Il danno che si ottiene in questo tipo di reazioni è mediato appunto dal fatto che l’anticorpo si lega sulle cellule e tessuti del nostro organismo e questo che cosa determina? Praticamente si forma un immunocomplesso antigene-anticorpo su cellule e tessuti e questo può determinare un danno perché attiva la via classica del complemento e porta alla lisi diretta.

Quindi c’è l’attivazione del sistema del complemento che si lega sulle cellule e tessuti del nostro organismo e questo può portare alla formazione del MAC e quindi al danno cellulare diretto, questo è un primo meccanismo di danno cellulare; oppure il danno può esser mediato sempre grazie al fatto che si attiva il sistema del complemento ma il sistema del complemento porta anche alla formazione, quando vengono scisse proteoliticamente le proteine della cascata della via classica del complemento, dei frammenti a basso peso molecolare che vengono definite anafilotossine, C3a, C4a e C5a il cui ruolo è richiamare leucociti nella sede dove è avvenuta l’attivazione del sistema del complemento e questi leucociti che vengono richiamati vanno a indurre una risposta infiammatoria con i relativi

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danni tissutali che possono essere mediati dai fagociti che arrivano nel punto dove c’è stata attiva-zione del sistema del complemento cercano di fagocitare l’immunocomplesso ma essendo coniugato a cellule o tessuti non ci riescono e questo processo viene definito anche fagocitosi frusta, e però al contempo macrofagi e neutrofili rilasciano i loro enzimi che erano contenuti al loro interno ed erano stati sintetizzati in seguito al riconoscimento dell’immunocomplesso, quindi rilasciano proteasi con-tenute nei lisosomi, rilasciano radicali dell’ossigeno e dell’azoto che se vengono secreti all’interno delle cellule (nei fagociti) hanno ruolo nell’eradicazione del patogeno, ma se vengono rilasciati nei tessuti circostanti provocano un danno tissutale, e quindi infiammazione e danno tissutale legato al fatto che componenti C3a C4a e C5a, e soprattutto però il C5a è quello che ha la funzione più impor-tante anche nell’attivare e nel richiamare neutrofili, richiamano i neutrofili nella sede di infezione i quali con i recettori Fc, recettori per il complemento cercano di legare l’immunocomplesso, non riu-scendoci rilasciano il loro contenuto sul tessuto circostante inducendo un danno. Oppure l’anticorpo sempre che determina l’attivazione del sistema del complemento può essere fagocitato essere ricono-sciuto dai recettori per il complemento o dai recettori per la porzione Fc degli anticorpi e quindi la cellula fagocita internalizza il complesso e lo uccide per fagocitosi. Questa “opsonizzazione/fagoci-tosi” può portare o a fagocitosi dell’immunocomplesso ma anche a un altro tipo di morte cellulare che viene detta citotossicità cellulare anticorpo-dipendente. Quindi quando l’anticorpo che si è ge-nerato nelle reazioni di ipersensibilità, un IgM o un IgG, si va a legare sulla superficie del patogeno o della cellula in questo caso del tessuto dell’ospite questo immunocomplesso e in particolare gli anti-corpi IgG possono essere riconosciuti dal recettore CD16 espresso sulle cellule Natural Killer e queste a loro volta tendono a rilasciare i loro granuli per andare ad uccidere la cellula bersaglio. Quindi complessivamente il danno legato alla produzione di anticorpi IgM o IgG verso cellule o tessuti del nostro corpo può esser determinato alla lisi mediata da attivazione della via classica del comple-mento, alla risposta infiammatoria generata nei componenti C3a C4a e C5a sempre determinata dall’attivazione della via classica del complemento aggravata dal fatto che i fagociti reclutati nella sede non riescono in questo caso a internalizzare l’immunocomplesso e quindi rilasciano il contenuto dei loro granuli sul tessuto circostante provocando un danno tissutale ulteriore oltre la risposta infiam-matoria. Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente, scatenata dal riconoscimento diretto dei recet-tori Fc presenti sulle cellule Natural Killer che vanno a riconoscere l’immunocomplesso e quindi rilasciano i loro granuli e a opsonizzazione dell’immunocomplesso da parte dei macrofagi che se è troppo grande si ha una “fagocitosi-frusta” non riescono a internalizzare il complesso e quindi il contenuto dei macrofagi e dei neutrofili viene rilasciato all’esterno provocando danno tissutale. Tutti i tipi di queste reazioni di ipersensibilità sono una risposta immunitaria inappropriata verso antigeni noti che però provoca dei danni a livello dei tessuti, quindi l’effetto finale in tutti e 4 i tipi di reazione di ipersensibilità è il danno ai tessuti dell’ospite. Un ultimo meccanismo nelle reazioni di ipersensi-bilità di II tipo è legato al fatto che gli anticorpi posso andare ad alterare la funzionalità di alcuni organi e in questo caso questo tipo di danno si ha soprattutto quando gli anticorpi vengono prodotti verso antigeni self, quindi in questo caso questa alterata funzionalità, o una aumentata funzionalità o una inibizione della funzione, mediata dalla produzione di anticorpi verso un componente self, sono appunto tipiche delle malattie autoimmuni, quindi in questo caso la miastenia grave e nel caso dell’acetilcolina, che c’è un’inibizione o un’iperfuzionalità dell’organo stesso nel quale gli anticorpi

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vengono prodotti. In questo tipo di reazioni possono essere descritti 3 esempi che le rappresentano nel modo migliore, che sono le reazioni alle trasfusioni, l’anemia emolitica del neonato e la reazione di ipersensibilità ai farmaci.

Nel caso delle reazioni alla trasfusioni sui globuli rossi del nostro organismo sono presenti dei carboidrati e delle proteine che presentano numerose varianti alleliche, quindi cosa succederà? Se viene trasfuso del sangue tra due individui ci saranno delle differenze tra queste forme alleliche che vengono riconosciute come estranee, come antigeni estranei, e verso questo tipo di antigene si avrà una reazione di ipersensibilità di II tipo. In particolare un tipo di reazione alle trasfusioni si ha verso gli antigeni dei gruppi AB0. I gruppi sanguigni vengono distinti in base alla presenza o meno sul globulo rosso di particolari carboidrati coniugati a proteine che vengono definiti “antigeni dei gruppi sanguingi” e ogni individuo poi ha degli anticorpi che vengono definiti “isoemaglutinine plasmati-che” dirette verso l’antigene che l’individuo non presenta. Tra gli antigeni dei gruppi sanguigni i più importanti sono gli AB0 e il fattore Rh, ma ne esistono comunque altri che possono causare delle reazioni da trasfusione. Come sono fatti gli antigeni dei gruppi sanguigni? Ogni individuo presenta una porzione che è soprattutto proteica e che si associa a una porzione carboidratica, la quale è co-stituita da una acetilgalattosammina, da un Galattosio e da una residuo di N-acetil-glucosammina. Quasi tutti gli individui presentano un enzima, la fucosil-trasferasi che va aggiunge un gruppo di fucosio. Allora questa prima porzione di zuccheri (galattosio, N-acetil-glucosammina e N-acetil-ga-lattosammina) va a costituire l’“antigene 0” che tutti gli individui presentano. La maggior parte degli individui poi presenta l’enzima fucosil-trasferasi che aggiunge un gruppo carboidratico di fucosio in questo glicano costituito da galattosio, N-acetil-glucosammina e N-acetil-galattosammina, e quindi tutti gli individui presentano quello che viene definito “antigene H”, che appunto al glicano viene aggiunto questo residuo di fucosio. Poi non tutti gli individui però riescono ad aggiungere altri resi-dui carboidratici che sono codificati da un enzima che è presente sul cromosoma 9. Questo enzima sul cromosoma 9 è una glicosil-trasferasi e in particolare ne esistono 3 varianti alleliche che possono esser presenti nei diversi individui. Quindi una variante allelica di questa glicosil-trasferasi è quella che viene definita “allele 0”. Questo “allele 0” codifica per un enzima che non ha attività enzimatica, quindi gli individui che hanno questo “allele 0” non riescono ad aggiungere nessun gruppo carboi-dratico al “glicano H” e quindi questi individui che contengono l’“allele 0” sintetizzano una glicosil-trasferasi che non ha attività enzimatica e che quindi non riesce ad aggiungere nessun residuo car-boidratico al “glicano H”, quindi questi individui verranno definiti “individui di gruppo 0” perché presentano questo “allele 0”. Poi alcuni individui hanno un “allele A”. Gli individui che hanno questo “allele A” codificano per una glicosiltrasferasi che riesce ad aggiungere un residuo di N-acetil-galat-tosammina al residuo di galattosio e all’estremità terminale. Questi individui che presentano l’“allele A” vengono definiti “individui di gruppo A”. Poi vedremo però che tra genotipo e fenotipo c’è una differenza. Poi ci sono degli individui che possono presentare l’“allele B” che codifica per un enzima che ha attività glicosiltrasferasica e questo “allele B” codifica per un enzima che aggiunge un gruppo di galattosio. Gli individui che presentano questo allele vengono definiti “individui di gruppo B”. In realtà bisogna fare una distinzione se sono omozigoti o eterozigoti, quindi individui omozigoti per l’allele A e individui eterozigoti che hanno almeno un allele A in realtà vengono definiti di fenotipo A, di “gruppo A”, individui che sono omozigoti per l’allele B o che hanno almeno un allele B vengono

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definiti di “gruppo B”, individui che presentano entrambe le forme alleliche vengono definiti di “gruppo AB”, mentre gli omozigti che contengono l’allele 0 venngono definiti di “gruppo 0”, di fe-notipo 0. Quindi noi potremmo avere 4 diversi fenotipi, A, B, AB e 0 legati agli omozigoti e agli eterozigoti dove appunto l’allele 0 recessivo e l’allele A e B sono dominanti. Gli individui che presen-tano questi gruppi sanguigni sapete che hanno anticorpi per il gruppo sanguigno che non possie-dono, perché l’individuo di gruppo A ha anticorpi anti-B anche se non ha mai fatto trasfusioni in precedenza? La ragione è legata al fatto che ci sono dei microorganismi della flora batterica intestinale e anche alcuni microorganismi ambientali che presentano dei residui carboidratici simili a questi dei gruppi sanguigni. Quindi succederà che un individuo di gruppo A presenterà sulla superficie dei suoi globuli rossi l’antigene A e quindi sarà tollerante verso questo antigene perché lo presenta lui, però i microorganismi della flora intestinale che portano gli antigeni simil di AB innescheranno invece una risposta anticorpale e quindi gli anticorpi che vengono prodotti sono antigeni carboidratici, quindi quali isotipi di anticorpi potranno esser prodotti se sono carboidrati? Solo IgM, lo scambio di classe non si ha per carboidrati, si ha per antigeni proteici, e quindi produrranno anticorpi IgM verso l’an-tigene di gruppo sanguigno che non possiedono perché l’antigene risulta estraneo anche se in realtà è self dato che lo presentano i microorganismi della normale flora intestinale, però non avendocelo sulle loro cellule, verso quelli producono anticorpi. Quindi individui di gruppo A avranno anticorpi anti-B, gli individui di gruppo B avranno gli anticorpi anti-A, gli individui di gruppo AB non avranno anticorpi perché presentano sia A che B e quindi anche se sono presenti microorganismi della flora batterica intestinale sono tolleranti sia verso A che verso B, gli individui di gruppo 0 avranno gli anticorpi per entrambi i gruppi sanguigni (anti-A e anti-B). Quindi se si va a fare una trasfusione di sangue tra individui di gruppo sanguigno incompatibili questa porta a una reazione alla trasfusione perché praticamente il nostro organismo è già sensibilizzato per quell’antigene, già presenta anticorpi per quell’antigene. Queste reazioni alle trasfusioni possono essere di 2 tipi, a “esordio immediato” o ad “esordio ritardato”, questo dipende dalle incompatibilità che abbiamo.

Se è verso gli antigeni di gruppo AB0 avremo una reazione ad esordio immediato, se invece sono generati anticorpi per altri antigeni di gruppi sanguigni, per i quali gli anticorpi vengono pro-dotti solo in seguito a sensibilizzazione, allora le reazioni saranno a esordio ritardato.

Vediamo qualche esempio. Nel caso di una reazione trasfusionale, se noi in un individuo di gruppo 0 infondiamo il sangue di gruppo A, il soggetto di gruppo 0 ha anticorpi anti-A e anti-B, quindi con gli anticorpi anti-A andrà a riconoscere l’antigene A presente nel sangue che noi trasfon-diamo e quindi gli anticorpi anti-A andranno a legare l’antigene A sul globulo rosso e attiveranno la via classica del complemento il cui effetto finale è la lisi del globulo rosso. Questa lisi avviene sempre con i globuli rossi perché essendo privi di nucleo hanno meccanismi di compensazione meno raffi-nati delle cellule nucleate (dove la lisi mediata da una alterazione della pressione osmotica quindi avviene molto più raramente, eventualmente il complemento nelle cellule nucleate media l’apoptosi ma non la lisi). La lisi nei globuli rossi è un evento che avviene frequentemente. Quando noi trasfon-diamo il sangue di un gruppo sanguigno diverso in un individuo questo va incontro ad una reazione trasfusionale immediata perché già ci sono gli anticorpi anti-antigeni presenti sui globuli rossi del sangue trasfuso. Questa reazione alle trasfusioni può essere classificata in due maniere, da una parte da un danno mediato dalla ipersensibilità di II tipo, ma dall’altra part può esser considerata anche

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una trapianto perché noi andiamo a trasferire delle cellule da un individuo donatore a un individuo ricevente che sono le cellule del sangue, quindi questa reazione a possiamo classificare come mecca-nismo di danno all’ospite come una reazione di ipersensibilità di II tipo però in realtà è anche consi-derato un trapianto perché trasferiamo cellule, globuli rossi da un individuo donatore ad un altro soggetto che diventa il ricevente. Questa reazione è immediata e soprattutto è legata al fatto che i globuli rossi vengono lisati dal sistema del complemento e quindi entro poche ore dall’attivazione del sistema del complemento si ritrova emoglobina libera nel plasma. Questa emoglobina libera nel plasma causa diversi effetti perché può esser filtrata a livello del rene andando a provocare emoglo-binuria la quale è molto dannosa per la funzionalità renale e questi livelli elevati di emoglobinuria possono portare alla necrosi delle cellule tubulari del rene, quindi proprio alterazioni funzionali e necrosi delle cellule tubulari renali, tant’è vero che normalmente si aumenta il flusso dell’urina som-ministrando dei diuretici per far si che non venga accumulata l’emoglobina libera nel plasma che può accumularsi nel rene e essere dannosa. L’emoglobina viene poi anche convertita in bilirubina e questa ugualmente ossia il residuo di porfirina nell’emoglobina viene degradato in bilirubina e la anche la bilirubina è estremamente tossica ad ante concentrazioni. Quindi alla fine questa attivazione del si-stema del complemento porterà anche al rilascio di citochine pro-infiammatorie quali il TNF, l’IL-1 (interleuchina-1) e quindi avremo febbre, brividi, nausea, dolori e questa aumentata produzione di citochine pro-infiammatorie poi emoglobinuria e bilirubina con effetti tossici e quindi anche danni a livello renale. Un’altra conseguenza che si ha è che la massiccia emolisi dei globuli rossi va a provo-care anche una coagulazione intravascolare disseminata e il paradosso è che avendo una coagulazione intravascolare disseminata succede che vengono consumati rapidamente i fattori della coagulazione sena che questi possano al contempo essere rigenerati, risintetizzati, quindi il soggetto può andare incontro anche ad emorragie e i fattori della coagulazione vengono consumati per questa coagula-zione intravascolare disseminata ma al contempo non riescono a esser risintetizzati e quindi nono-stante la coagulazione intravascolare disseminata il soggetto può andare incontro a emorragie. Que-ste sono le conseguenze legate a una trasfusione incompatibile per i gruppi sanguigni AB0.

La reazione alla trasfusione può essere anche una reazione con esordio tardivo. Queste reazioni ad esordio tardivo non sono legate ad un’incompatibilità per i gruppi sanguigni AB0, ma sono legate a delle incompatibilità verso antigeni di gruppi sanguigni tipo il fattore Rh, Daf, Reil e tutti gli altri antigeni che costituiscono i gruppi sanguigni. Le differenze sono legate sempre al fatto che gli indi-vidui presentano diverse forme alleliche, e queste minime differenze fra individui comunque possono portare a riconoscimento come estraneo della forma allelica di un individuo quando si trasfonde il sangue ad un altro individuo. Quindi in questo caso quando noi trasfondiamo il sangue Rh+ ad un individuo Rh−, per esempio, o ad un soggetto che differisce per gli altri antigeni che vi dicevo, succede che questi antigeni vengono riconosciuti dai linfociti B e dai cloni di linfociti B specifici, questi subi-scono il processo di attivazione del linfocita B normale che porta alla produzione di cellule della Me-moria e di anticorpi specifici per quel determinato antigene. Gli anticorpo IgM che vengono prodotti andranno ad eliminare l’antigene inoculato con la trasfusione di sangue e le cellule della memoria rimarranno nell’organismo e ad una successiva trasfusione con un sangue incompatibile per questi antigeni dei gruppi sanguigni (non AB0) verranno attivate rapidamente e produrranno una risposta

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anticorpale secondaria, quindi saranno di isotipo IgG; quindi questa reazione trasfusionale è ritar-data perché nel caso della prima iniezione dell’allergene ci vogliono dai 6 ai 10 giorni per produrre anticorpi e/o per avere anche un minimo switch di classe, nel caso delle risposte secondarie comun-que ci vogliono 3-4 giorni per avere la produzione di anticorpi IgG, mentre le isoemoagglutinine sono presenti nel sangue degli individui, questi anticorpi vengono risintetizzati in seguito a contatto con l’antigene e quindi è ritardata. Quali sono le manifestazioni? Qui sono molto meno gravi le ma-nifestazioni perché gli anticorpi prodotti sono prevalentemente anticorpi IgG. IgM e le IgG hanno la stessa capacità di attivare il sistema del complemento? No! Le IgM sono più efficaci perché vengono secrete in forma pentamerica e quindi più di un antigene può essere cross-legato da più teste globulari del dominio della proteina C1q IgM essendo pentamerica ha 5 siti di legame per le teste globulari della proteina C1 del complemento e quindi sono molto più efficaci, mentre di IgG ce ne vogliono almeno 2 per attivare il sistema del complemento. Quindi in questo caso avremo una lisi incompleta dei globuli rossi, mentre l’effetto principale nelle reazioni per incompatibilità AB0 è la lisi dei globuli rossi mediata per attivazione della via classica del complemento, in questo caso le IgG non sono così efficaci nell’attivare il sistema del complemento e quindi la lisi sarà incompleta e molte cellule ver-ranno opsonizzate da queste immunoglobuline e determineranno l’attivazione del sistema del com-plemento però verranno eliminate grazie all’opsonizzazione e al riconoscimento da parte dei fagociti, quindi i fagociti che presentano recettori Fc e recettori per le proteine del complemento riconoscono questi globuli rossi rivestiti di anticorpi i quali possono esser riconosciuti direttamente tramite recet-tori Fc presenti sui fagociti oppure possono esser riconosciuti tramite frammento C3b o iC3b del complemento e rispettivi recettori quali CR1, CR3, CR4 e quindi in quel caso esser distrutte per fa-gocitosi da parte dei macrofagi. Quindi in questo caso non abbiamo dei livelli estremamente elevati (come nelle reazioni immediate) di emoglobina e quindi avremo bassi livelli di emoglobina e avremo dei lievi aumenti di bilirubina e quindi un lieve ittero, anemie più lievi e comunque sempre l’attiva-zione del complemento può portare a rilascio di citochine pro-infiammatorie, ma gli effetti sono estremamente più lievi rispetto a una reazione trasfusionale dove c’è una coagulazione vascolare dis-seminata che può portare anche a morte se non si interviene rapidamente. Poi sempre per quanto riguarda l’incompatibilità tra gruppi sanguigni abbiamo anche un altro fatto che determina reazioni di ipersensibilità che è il fattore Rh. Il fattore Rh è una proteina polimorfa di cui si conoscono circa 30 alleli diversi, gli antigeni del gruppo Rh sono codificati da 5 alleli di cui l’allele B è quello che prevalentemente (15% dei soggetti) presenta delle alterazioni o non viene espresso, è quello che in realtà è determinante in alcuni tipi di reazioni perché c’è questo 15% di soggetti che non presenta la proteina Rh sui globuli rossi. Si possono così distinguere dei soggetti che definiamo Rh positivi (Rh+) che presentano la proteina Rh sul globulo rosso, e soggetti Rh negativi (Rh−) che non presentano la proteina Rh sul globulo rosso. Questo fattore Rh determina l’anemia emolitica del neonato (“malattia del bambino blu” o “eritroblastosi fetale”). Succede che se una madre Rh−, che quindi non presenta il fattore Rh, nella prima gravidanza genera un feto Rh+ in questo caso non succede nulla solitamente perché ci vuole la sensibilizzazione. In questo caso la sensibilizzazione è particolarmente importante perché il neonato riceve anticorpi IgG dalla madre, e anche se la madre viene sensibilizzata durante il corso della prima gravidanza, i primi anticorpi che produce sono IgM, e quindi anche se ne produce

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un pochino che ci possono essere degli scambi di sangue queste IgM non possono comunque attra-versare la placenta e raggiungere il feto e provocare un danno al feto. Gli anticorpi sono presenti perché la madre li trasferisce al feto e vanno poi a provocare un danno nel feto quindi il feto acquisisce gli anticorpi da un altro individuo che è la madre. Quindi nel caso della prima gravidanza nella mag-gioranza dei casi non succede niente perché anche se ci fossero dei piccoli scambi di sangue (che ci possono essere) innanzitutto il numero dei globuli rossi del feto possono passare alla madre sono in basso numero e quindi non potrebbero nemmeno stimolare efficacemente il linfocita B, e anche nell’eventualità che poi venissero stimolati i linfociti B, prevalentemente la madre produce anticorpi IgM che non attraversano la placenta e quindi non provocano danno al feto. Mentre durante il parto ci sono dei grossi scambi di sangue tra madre e feto e quindi i globuli rossi fetali possono entrare nella circolazione materna e andare a sensibilizzare i linfociti della madre specifici per l’Rh che rico-noscendo l’Rh sul feto e non essendo tolleranti in quanto la madre non presenta i fattore Rh, attivano il linfociti B che si differenzia in plasmacellula e in cellula B della memoria. La plasmacellula produrrà anticorpi IgM che vanno a eliminare l’antigene e quindi i globuli rossi del feto entrati nella circola-zione materna e quindi daranno una protezione temporanea alla madre. Le cellule B della memoria specifiche per il fattore Rh che si sono generate, nel caso di una seconda gravidanza della stessa donna Rh− di un feto Rh+, in questo caso anche quei piccoli scambi di sangue che avvengono tra madre e feto attiveranno i linfociti B della memoria che sono estremamente più efficienti nel riconoscimento dell’antigene e producono una maggior quantità di anticorpi e le cellule B della memoria vanno in-contro allo scambio di classe e quindi producono anticorpi IgG i quali attraversano la placenta e vanno a riconoscere l’antigene Rh sui globuli rossi del feto e inducono la lisi mediata da attivazione della via classica del complemento. Ecco perché viene chiamata anche malattia del bambino blu, per-ché vengono distrutti i globuli rossi del feto e con tutte le conseguenze, anche in questo caso si ha un aumento della emoglobina libera che si trasforma in bilirubina che per i bambini è particolarmente tossica perché può attraversare la barriera emato-encefalica, ed essendo liposolubile va a depositarsi a livello del cervello con delle conseguenze cerebrali molto gravi. Quindi oltre la lisi dei globuli c’è anche il fatto che la bilirubina essendo liposolubile e poiché nel bambino la barriera emato-encefalica non è ancora completamente matura e quindi non in grado di proteggerlo dal passaggio delle so-stanze, può avvenire la deposizione della bilirubina a livello cerebrale e questo è estremamente tossico nel neonato. Come si interviene in questo tipo di patologia? Innanzitutto, se noi sappiamo che la madre è Rh− e alla prima gravidanza il feto è Rh+, durante il momento del parto si possono sommi-nistrare anticorpi anti-Rh che vengono definiti “anticorpi anti-rhoGAM” (perché Rh è il fattore rhoGAM). Questi anticorpi anti-Rh impediscono che i linfociti B naïve della madre vengano sensi-bilizzati dall’Rh e che quindi si generino cellule B della memoria e che alla successiva gravidanza la madre sarà come alla prima gravidanza, non avrà cellule della memoria per Rh. Come funzionano gli anticorpi anti-rhoGAM? Sembra che vadano a rivestire i globuli rossi, ne determinano la distru-zione, impedendo che i linfociti B possano riconoscere gli antigeni Rh, ma sembra anche che possano sfruttare il feedback inibitorio anticorpale da parte dei recettori FcγRII, i recettori inibitori per la proteina γ; e così nel caso che abbiamo una madre Rh− con una gravidanza con un feto Rh+ al mo-

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mento del parto si somministrano gli anticorpi e si previene che in gravidanze future la donna pro-duca anticorpi che possano andare a distruggere i globuli rossi del feto. Vanno somministrati entro 24-48 ore, o i globuli rossi fetali vanno a stimolare i linfociti B della madre.

Nella situazione in cui la madre è Rh negativo e il feto Rh positivo, si ha risposta immunitaria. Negli scambi di sangue fra madre e feto che possono avvenire, di solito in condizioni patologiche piuttosto che fisiologiche, si vengono a formare anticorpi anti Rh. Prelevando il sangue dalla madre, e separando il siero, si può vedere se ci sono anticorpi anti Rh. Perché la presenza di anticorpi anti Rh indica che la madre sta sviluppando una reazione umorale verso Rh del feto e la presenza di Ig materne si possono rilevare su globuli rossi, attraverso il test di Coombs. Di fronte alla situazione in cui la madre sta producendo anticorpi anti Rh nel feto, il trattamento da eseguire dipenderà dalla gravità della situazione. Si può pensare di fare una trasfusione dopo la nascita, oppure si può utiliz-zare la fototerapia con raggi UV per eliminare l’antigene. L’antigene che essendo liposolubile può depositarsi a livello del cervello e generare gravi danni cerebrali. Nel caso di reazioni molto più gravi, vanno fatte trasfusioni di sangue. Alcune possono essere fatte durante la gravidanza, intrauterine, cosi da scambiare il sangue del feto con quello Rh negativo. In questa maniera anticorpi anti Rh non possono andare a distruggere i globuli rossi del feto. O ancora, se si rileva che la madre ha anticorpi anti Rh, da donna può essere trattata con plasmaferesi. Prima di tutto viene separata la parte corpu-scolata da quella plasmatica del sangue.

La plasmaferesi consiste nel togliere sangue alla madre, in realtà la parte plasmatica contenente anticorpi. Le cellule del sangue vengono poi inoculate, ri-trasfuse nella madre, ma in presenza di albumina anziché anticorpi anti Rh. Le plasmaferesi possono essere fatte nel corso della gravidanza. Quindi tutto ciò avviene sempre se la madre in condizioni patologiche produce durante la prima gravidanza anticorpi anti Rh o nel caso in cui non si sia valutata l’incompatibilità fra madre e feto durante la prima gravidanza. Perché se si fosse intervenuti tramite anticorpi anti-rhoGAM, nel corso della prima gravidanza non si avrebbero avuti problemi nelle gravidanze successive. L’ultimo tipo di ipersensibilità di secondo tipo che esaminiamo è l’anemia indotta da farmaci. Alcuni farmaci come ad esempio la penicillina, quando vengono somministrati nel nostro organismo possono legarsi a trans peptidasi batteriche che cosi vengono inattivate. Il batterio è cosi incapace di risintettizare la capsula e di replicarsi nel nostro organismo. La penicillina può in alcuni casi andare a legarsi alla superficie di eritrociti umani e degenerare, coniugandosi alle proteine dar origine a nuovi epitopi sulla superficie del globulo rosso. Questi nuovi epitopi generati dalla penicillina coniugata a proteine self potranno essere riconosciuti dalle nostre cellule dell’immunità specifica. In particolare attivare linfociti B e indurre la produzione di anticorpi nuovo epitopo. Questo nuovo epitopo può innescare direttamente l’attivazione del linfocita B con produzione dell’anticorpo, oppure nel caso in cui la penicillina viene somministrata per bloccare un infezione batterica, il batterio al contempo può atti-vare il sistema del complemento. Il sistema del complemento può, legandosi alla superficie del pato-geno, generare frammenti di clivaggio C3b, i quali possono determinare un riconoscimento da parte dei recettori dei frammenti C3b espressi sui fagociti. In particolare il macrofago. Il macrofago po-trebbe internalizzare l’eritrocita con penicillina coniugata alla proteina self dell’eritrocita. Grazie al fatto che contemporaneamente il batterio ha scatenato l’attivazione del sistema del complemento e

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si sono generati frammenti di clivaggio, che possono essere riconosciuti da recettori presenti sul fa-gocita. Tutto ciò può determinare l’internalizzazione dell’eritrocita con la proteina. Il fagocita inter-nalizza l’eritrocita che contiene penicillina legata alla superficie dell’eritrocita e cosi fa frammentare il complesso, ed esprimere frammenti peptidici di questi nuovi epitopi sul complesso maggiore di istocompatibilità e promuovere l’attivazione delle cellule T. Le quali si differenziano in TH2 in quanto inducono produzione di anticorpi specifici per l’epitopo della proteina. In questa maniera possono formarsi anticorpi diretti verso la penicillina coniugata al globulo rosso. Le conseguenze in questo caso saranno che gli anticorpi legati al nuovo epitopo, determinato dal legame della penicillina alla proteina dell’eritrocita, verranno legati dagli anticorpi e gli anticorpi potranno determinare l’attiva-zione della via classica del complemento con la formazione del complesso di attacco alla membrana e la lisi del globulo rosso. Oppure potranno portare tramite la formazione di frammenti C3b al loro riconoscimento, da parte dei fagociti, e alla distruzione dei globuli rossi ma per fagocitosi. Le conse-guenze di questa reazione sono molto meno gravi perché essendo legate alla presenza di un farmaco somministrato, quando il farmaco non viene più somministrato, il soggetto non va più incontro a anemia emolitica indotta da farmaci. Le conseguenze delle reazioni di ipersensibilità di secondo tipo, dipendono da come vengono acquisiti gli anticorpi. Gli anticorpi vanno a legarsi alla matrice dei tessuti, oppure a cellule che attivano il sistema del complemento. Nel caso dei globuli rossi si avrà emolisi del globulo rosso con conseguente anemia, e conseguenze dovute al rilascio dell’emoglobina. Nel caso in cui invece l’antigene sia espresso sulla superficie di cellule differenti dai globuli rossi si avrà risposta infiammatoria determinata dall’attivazione del sistema del complemento che recluta tramite la produzione di C3, C4a e C5a neutrofili e macrofagi i quali a loro volta riconoscono l’im-munocomplesso sia con recettori FC che recettori del complemento. Si attivano rilasciano il conte-nuto dei loro granuli, ma a loro volta contribuiscono alla risposta infiammatoria perché il riconosci-mento innesca la produzione di citochine Pro infiammatorie TNF, IL-1 IL-6, che implementano for-temente la risposta infiammatoria e il danno tissutale. Ci sono alcuni esempi di malattie causate da anticorpi, però in questo caso, molte delle patologie riportate sono causate da anticorpi diretti verso antigeni self. Il danno è determinato da ipersensibilità di secondo tipo, dal legame dell’anticorpo sulla superficie di tutti i globuli rossi e piastrine. In realtà l’anticorpo è prodotto dall’antigene self. Invece nelle patologie descritte prima le reazioni sono verso antigeni estranei non sono self. Tra queste ri-troviamo anemia emolitica autoimmune, la miastenia grave, dove il recettore per l’acetilcolina e gli anticorpi vengono prodotti per l’acetilcolina, malattia di Graves, dove gli anticorpi sono specifici per il recettore per TSH, o ancora diabete insulino resistente dove gli anticorpi sono diretti per il recettore per l’insulina.

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Ipersensibilità di terzo tipo Le reazioni di ipersensibilità di terzo tipo sono anche queste mediate da anticorpi, però a diffe-

renza di quelle di secondo tipo qui gli anticorpi sono esclusivamente IgG non IgM. In particolare gli anticorpi IgG si legano a antigeni solubili e l’immunocomplesso che si forma, antigene solubile e anticorpo, provoca un danno a un tessuto che in questo caso è innocente. A seconda di dove va a depositarsi l’immunocomplesso il tessuto sarà danneggiato. Il tessuto potrebbe anche non c’entrare nulla con l’antigene che è stato riconosciuto dall’anticorpo. In questo caso l’immunocomplesso ge-nerato dall’antigene non solubile e il danno che osserviamo è dovuto al fatto che l’immunocomplesso va a depositarsi su qualche tessuto dell’organismo. Gli immunocomplessi sono complessi costituiti da antigene e anticropo. E questi normalmente si devono formare per eliminare l’antigene estraneo. Questi immunocomplessi si formano sempre quando si ha reazione immunitaria. Gli immunocom-plessi vengono rimossi grazie al fatto che complesso antigene anticorpo attiva il sistema del comple-mento, via classica del complemento, e questo porta alla formazione di frammentini di clivaggio della proteina C3 che sono C3b. C3b ha anche la funzione di opsonizzare l’antigene, può legarsi non sol-tanto all’immunocomplesso ma anche sulla superficie dell’antigene. C3b può essere riconosciuto da recettori CR1 per il complemento presente sulla superficie dei globuli rossi. Normalmente i globuli rossi legano l’immunocomplesso che ha attivato il sistema del complemento, tramite C3b e CR1 e i globuli rossi li trasportano al sistema reticolo endoteliale di fegato e milza. A livello di fegato e milza è presente un altro fattore, il fattore I che va a scindere il frammento C3b in prodotti di clivaggio, particolare si genera C3d. I recettori del complemento sono CR3 e CR4. In particolare i fagociti di fegato e milza presentano CR3 e CR4, mentre non lo presentano i globuli rossi. I fagociti si inglobano l’immuno comlpesso che i globuli rossi hanno portato dalla circolazione dal fegato e dalla milza. Lo staccano dal globulo rosso lo inernalizzano e lo degradano. Il globulo rosso torna in circolo. Il globulo rosso è importante perché trasporta immunocomplessi portandoli a fegato e milza dove si hanno fagociti. Gli immunocomplessi non vengono rimossi quando non finiscono per attivare il sistema del complemento, in particolare nelle fasi iniziali della risposta immunitaria. Perché in queste fasi iniziali la quantità di anticorpi prodotti è più bassa e si formano cosi immunocomplessi più piccoli che sfug-gono al riconoscimento. Cosi sebbene vi siano fagociti che potrebbero internalizzarli e degradarli, quando sono di piccole dimensioni riescono a sfuggire e non innescano il sistema del complemento. Mentre nella fase intermedia della risposta, quando la quantità di anticorpo è elevata e nella fase terminale, quando l’antigene viene eliminato si ha eccesso di anticorpi, in questo caso di formano immunocomplessi di medie o grandi dimensioni eliminati facilmente, perché fissano meglio il si-stema del complemento perché vi sono più dominî che legano la proteina C1 inibitore, e quindi essere trasportati al fegato e alla milza. La concentrazione di anticorpo e antigene è uno degli elementi che determinano se l’immunocomplesso verrà eliminato o meno. Non è l’unico fattore perché vi sono altri fattori che determinano se l’immunocomplesso patogenetico venga rimosso. La carica dell’im-munocomplesso per esempio. Perché se l’immunocomplesso è caricato positivamente questo più fa-cilmente riesce a legare membrane cariche negativamente, esempio il glomerulo renale. Questo com-plesso tramite interazione elettrostatica fra carica positiva e negativa riesce a depositarsi a livello delle membrane e poi non essere rimosso. Ma anche anche l’antigene può avere alta affinità per alcune

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membrane rispetto ad altre. L’immunocomplesso può non essere rimosso efficacemente. Oppure an-che la quantità di epitopo dell’antigene è importante ai fini che questo venga o meno legato dall’an-ticorpo rimosso efficacemente. Altri fenomeni vanno ricercati nella capacità dei fagociti. Una alta attività fagocitica porterà ad accumulo di immunocomplesso, una spiccata efficiente attività fagoci-taria porterà ad una più efficiente eliminazione dell’immunocomplesso. In assenza di alcune proteine del complemento come C1q, C1, C4, C2 gli immunocomplessi non vengono rimossi e si accumulano. Deficit di C1, C2 e C4, sono deficit che rientrano nei fattori genetici che interessano le malattie au-toimmuni, non eliminavano facilmente l’immunocomplesso. Quando gli immunocomplessi sono ri-mossi efficacemente non avremo reazioni di ipersensibilità di terzo tipo, quando gli immunocom-plessi non vengono eliminati, questi immunocomplessi potranno indurre danni. Può dipendere da dove l’immunocomplesso andrà a localizzarsi. Potrà portare a reazione di ipersensibilità localizzata se l’immunocomplesso va a depositarsi esclusivamente su un organo oppure malattia, ipersensibilità di terzo tipo sistemica se gli immunocomplessi vanno a depositarsi a livello di tutto l’organismo. Gli immunocomplessi di solito si localizzano a livello di articolazioni, di vasi e possono portare artriti per esempio. La reazione sarà anche dipendente dalla quantità di immunocomplesso. Tanto mag-giore è la quantità, maggiore sarà la reazione che si svilupperà.

Descriviamo due esempi: il primo è la reazione di Arthus, esempio di ipersensibilità di terzo tipo, però reazione sperimentale. Esempio di malattia organo specifica. La reazione di Arthus av-viene, quando un individuo presenta aticorpi IgG verso un determinato tipo di antigene. Se noi ino-culiamo sotto cute l’antigene verso cui il soggetto presenta anticorpi IgG specifici per quell’antigene, gli anticorpi IgG verranno reclutati dalla circolazione dell’inoculo dell’antigene e andranno a costi-tuire l’immunocomplesso. Questo immunocomplesso attiverà il sistema del complemento il quale attraverso la produzione di frammenti piccoli, C3 C4a e C5a indurrà risposta infiammatoria con au-mento della permeabilità vascolare, reclutamento di leucociti nella sede dell’immunocomplesso. In particolare il frammento C5a recluta prevalentemente neutrofili e C3a e C5a andrà a indurre la de-gradazione di mastociti con rilascio di ammine vasoattive e mediatori lipidici, quindi vasodilatazione. Contemporaneamente C5a indurrà richiamo di neutrofili e quindi anche risposta mediata da fagociti. Si avrà infiammazione localizzata nella sede dell’inoculazione dell’antigene con fuoriuscita di liquidi e proteine, con arrossamento e calore e occlusione del vaso, coagulazione.

L’esempio di ipersensibilità di terzo tipo sistemico invece è quella che viene definita malattia da siero. Oggi la malattia da siero non si ha più, ma patologie quali la dierite, la scarlattina, il tetano e altre malattie infettive venivano trattate inoculando un siero di cavallo immunizzato con tossine o batteri. Il cavallo produceva anticorpi specifici per il tetano, scarlattina. Il soggetto da una parte ve-deva eliminato il patogeno, ma dall’altra parte la somministrazione di siero di cavallo, nell’arco di 7-10 giorni andava a indurre nell’individuo risposta immunitaria, producendo anticorpi anti proteine di cavallo. Nell’individuo vengono riconosciute come estranee e si ha risposta anticorpale. Si forma-vano immunocomplessi presenti anche ad elevate concentrazioni, che si depositano. A seconda della quantità di immunocomplessi prodotti e dove si andavano a localizzare originavano a nefriti ad esempio. Il deposito dell’immunocomplesso nei vasi, arterie, o glomerulo renale provoca attivazione della via classica del complemento e reclutamento di fagociti che tentano di fagocitare l’immuno-

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complesso, ma quest’ultimo localizzato a livello della membrana, cosi il fagocita non riesce a inter-nalizzarlo e rilascia radicali di ossigeno, azoto e quindi danno tissutale e infiammazione per recluta-mento di leucociti, innescato dalla produzioni di C3a, C4a e C5a che poi portano a produzione di citochine, con risposta infiammatoria da parte di fagociti. Malattie da siero si osservano quando si somministrano certi farmaci ad individui come ad esempio streptochinasi per cercare di rimuovere coaguli in pazienti con infarto del miocardio. I pazienti mostrano risposta anticorpale verso strepto-chinasi che può causare reazione di ipersensibilità di terzo tipo. Si osservano anche nel caso di trat-tamenti da anticorpi, in alcune patologie. Ad esempio nell’artrite rematoide per cercare di uccidere linfociti B somministrando antigeni cosi che non si producano più anticorpi che provocano danno. Nel caso in cui si ha somministrazione di anticorpi, questi anticorpi causano risposta immunitaria nell’individuo, che produce anticorpi che formano immunocomplesso che provoca danno. Gli anti-corpi oggi utilizzati in terapia cercano di essere umanizzati, più la proteina è simile all’uomo meno causa malattia da siero. Oggi il siero viene utilizzato solo nella puntura da serpente.

Ipersensibilità di quarto tipo

L’ultimo tipo di ipersensibilità coinvolge una reazione cellulo-mediata. Coinvolge l’attivazione delle cellule T CD4 positive, TH1 e TH17 e in parte TH2 nelle infiammazioni croniche, nell’asma cro-nica e nell’eczema cronico. Coinvolge le cellule T CD8 positive. Come tutte le reazioni di ipersensi-bilità, non avviene al primo contatto, ma ha bisogno di una fase di sensibilizzazione, scatenate so-prattutto da linfociti T della memoria. Questa reazione si ha durante la fase effettrice di una risposta immunitaria secondaria. Il danno che osserviamo da questo tipo di reazioni è determinato dalla pro-duzione di citochine. In questo caso è mediata dai linfociti T CD4 e T CD8 e quindi i T CD8 potranno indurre la produzione di citochine, che inducono una risposta infiammatoria, cioè reclutamento di neutrofili e monociti che provocano un danno a livello dei tessuti oppure una citotossicità diretta mediata dalle cellule T CD8 positive. Questa reazione di quarto tipo ha la tempistica più lunga di comparsa. Inizia ad evidenziarsi a 24 ore ed ha un picco tra le 48 e le 72 ore, mentre le altre reazioni erano immediate entro pochi secondi con un picco a 2 ore. Viene definita reazione di ipersensibilità ritardata: ipersensibilità perché è mediata da linfociti T, ritardata perché ha una comparsa tra le 48 e 72 ore. Può avvenire in seguito ad una risposta immunitaria cellulo-mediata fisiologica, nel caso dell’eliminazione del patogeno, nelle fasi tardive l’attivazione del macrofago può provocare un rila-scio all’esterno e causare un danno tissutale. Il danno tissutale in questo caso si sviluppa fisiologica-mente per eliminare un patogeno intracellulare, quando l’infezione è persistente, oppure può avve-nire in caso di antigeni ambientali o di natura chimica. In questo caso l’antigene è innocuo ma la risposta immunitaria che si sviluppa provoca un danno tissutale. L’ipersensibilità di quarto tipo è di tre tipologie:

– da contatto, scatenata soprattutto da antigeni ambientali di natura chimica; – di tipo tubercolinico, innescata in seguito all’infezione o alla prova della tubercolina; – reazione granulomatosa che si sviluppa nel giro di 21/28 giorni legata ad una infezione

da patogeni che non vengono facilmente eliminati. La stimolazione cronica innesca la formazione del granuloma.

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Esempi di malattie autoimmuni come sclerosi multipla, artrite reumatoide, tiroidite sono legate a reazioni di ipersensibilità di quarto tipo, in questo caso l’antigene è di tipo self. Il danno da iper-sensibilità di quarto tipo si ritrova anche nel rigetto dei trapianti. Si osserva come reazione un eri-tema, infiltrazione cellulare con un indurimento, vescicole, reazione localizzata a livello dell’epider-mide o nel polmone nel caso della infezione da Mycobacterium tuberculosis (bacillo di Koch). Ci sono diversi antigeni che attivano risposte di ipersensibilità di quarto tipo come batterî intracellulari, al-cuni funghi, parassiti intracellulari, microrganismi in grado di attivare una risposta TH1 e TH17. An-che alcuni virus e antigeni ambientali da contatto provocano queste reazioni.

La fase di sensibilizzazione è una classica risposta immunitaria cellulo-mediata. L’antigene viene presentato dalle cellule presentanti l’antigene. Ad esempio il nichel a contatto con la cute provoca un prurito che fa sì che il nichel possa penetrare attraverso la cute ed essere captato dalle cellule presen-tanti l’antigene, in particolare svolgono un ruolo importante le cellule del Langerhans, i macrofagi presentanti l’antigene e le cellule endoteliali dei vasi che presentano le MHC di classe seconda e pos-sono presentare l’antigene a linfociti T CD8+. Nella fase di sensibilizzazione la cellula presentante l’antigene arriva a linfonodi regionali e attiva le cellule T CD4 positive che si differenziano nelle cel-lule TH1, TH17, TH2 o T CD8, a seconda della natura dell’allergene. La cellula T CD4 positiva dunque si sensibilizza all’allergene. Nel secondo contatto con lo stesso allergene le cellule presentanti l’anti-gene presentano l’antigene alle cellule TDH, cellule T della memoria sensibilizzate. Queste produ-cono citochine come IFN-γ, TNF, IL-2, IL-3 e G-CSF, chemochine come IL-8, che hanno la funzione di reclutamento dei leucociti. L’IFN-γ va ad attivare i macrofagi, l’attivazione consiste nella sintesi della ossidasi fagocitica, produzione di radicali liberi dell’ossigeno, induzione dell’espressione dell’os-sidonitrico-sintetasi (sintesi dei radicali liberi dell’ossigeno e dell’azoto). Quindi aumenta la produ-zione di mediatori tossici e induce la produzione di citochine da parte del macrofago. Stimola l’au-mento dell’espressione delle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di classe 1 e 2. Aumenta la capacità di processazione del macrofago stesso. Il macrofago diventa più capace di pre-sentare l’antigene alle cellule TH1 che aumentano la produzione di citochine. Vengono prodotte che-mochine importanti nel reclutamento di macrofagi. Nelle prime 4 o 5 ore vengono reclutati preva-lentemente neutrofili. L’infiltrato viene poi costituito da macrofagi. Producono anche IL-3 e GM-CSF, quindi oltre che a reclutare macrofagi e neutrofili inducono anche un’aumentata produzione di monociti a livello del midollo, stimolando le ematopoiesi. Si ha così lo sviluppo della reazione e que-ste sostanze prodotte dal macrofago possono essere rilasciate nel tessuto e provocare danno tissutale.

La reazione alla tubercolina è un esempio di ipersensibilizzazione di quarto tipo. Viene fatta per verificare se il soggetto è stato vaccinato o ha avuto precedentemente un’infezione da Mycobac-terium tuberculosis. Consiste nell’introduzione nel tessuto sottocutaneo di un derivato proteico pu-rificato del Mycobacterium tuberculosis. Se il soggetto è già stato sensibilizzato da una precedente vaccinazione o infezione da parte di questo batterio, le cellule T sensibilizzate vengono reclutate dalla circolazione sulla sede di inoculazione dell’antigene e avvieranno la produzione di citochine. Si ha una risposta infiammatoria. Nelle prime 4 ore verranno reclutati fagociti neutrofili, successivamente monociti. Le chemochine inducono anche un aumento della permeabilità vascolare con la fuoriuscita di fluidi, arrossamento per vasodilatazione e infiltrato di cellule fatto da monociti e linfociti T helper. Si ha la classica formazione arrossata e indurita che inizia a comparire a 24 ore ed ha il picco tra 48 e 160 www.hackmed.org

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72 ore. La verifica della positività è valutata a 72 ore dall’inoculazione. Può avvenire anche il deposito di fibrina che provoca l’indurimento.

Nella reazione da contatto l’antigene è di natura chimica, non sempre una proteina. Gli antigeni che penetrano attraverso la pelle si devono coniugare con proteine self dell’organismo. Questi com-plessi proteina coniugato vengono riconosciuti dalle cellule APC, trasportati dai linfonodi drenanti che determinano l’attivazione dei linfociti T nella fase di sensibilizzazione. Nei successivi contatti, le cellule del Langerhans presentano l’antigene ai linfociti T helper sensibilizzati. La reazione si diffe-renzia per l’antigene che la produce. Le cellule TH1 producono IFN-γ e TNF-α che stimolano le cellule endoteliali del vaso che potranno contribuire nel riconoscere il complesso tra l’antigene estraneo e la proteina self, vengono prodotte chemochine che inducono reclutamento di leucociti. Anche in que-sto caso si ha risposta infiammatoria caratterizzata da rilascio di ossido nitrico, radicali liberi dell’os-sigeno, enzimi lisosomiali, TNF e IL-1 che reclutano ulteriori cellule nella sede di infiammazione.

Il granuloma si sviluppa solo quando c’è una reazione di quarto tipo provocata da un patogeno che non viene efficacemente eliminato dai macrofagi che lo hanno internalizzato. I macrofagi man-tengono il patogeno al loro interno e la risposta immunitaria cellulo-mediata non riesce a eradicare il patogeno. Il macrofago e la cellula TH1 vicendevolmente continuano ad attivarsi e a produrre che-mochine, si crea un ambiente ricco di citochine. Il patogeno non viene efficacemente eliminato. I macrofagi estremamente attivati aderiscono tra loro a formare cellule epiteliodi, aumentano notevol-mente il loro contenuto citoplasmatico e formano cellule giganti multinucleate. Si forma un granu-loma che presenta al centro batterî che non vengono eliminati e intorno ci sono cellule epiteliodi e giganti multinucleate, linfociti TH1 e TH17 che cercano di mantenere l’infezione all’interno di questo granuloma che può andare ad alterare la funzione dell’organo in cui si forma (nel polmone nel caso del Mycobacterium tuberculosis).

Un altro esempio di dermatite da contatto può essere legato al pentadecacatecolo, sostanza che può attivare le cellule T CD8 positive perché estremamente liposolubile, riesce ad attraversare la membrana plasmatica. Diventa come una proteina intracellulare, può entrare nella via di processa-zione e presentazione di classe prima ed essere associata a molecole del complesso maggiore di isto-compatibilità di prima classe. Può attivare anche cellule T CD8 positive a differenziarsi in cellule CTL che una volta richiamate nella sede di introduzione dell’allergene possono provocare la lisi delle cel-lule che presentano l’antigene.

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Immunologia dei trapianti Il trapianto viene utilizzato per sostituzione di organi o tessuti danneggiati. Si possono trapian-

tare cellule, organi o tessuti. La persona che riceve il trapianto è il ricevente, la persona che dona le cellule, organi o tessuti è il donatore.

I trapianti possono essere classificati come:

a) trapianti ortotopici, se l’organo viene trasferito nella sua stessa sede anatomica; b) trapianti eterotopici, se l’organo viene trasferito in una diversa sede anatomica.

I trapianti possono essere definiti sulla base degli individui che si prendono per effettuare il tra-pianto:

a) se gli individui sono compatibili, geneticamente identici, i trapianti sono definiti singe-nici e non vengono rigettati;

b) se il trapianto viene effettuato tra due individui che sono geneticamente diversi, però della stessa specie, il trapianto è definito trapianto allogenico;

c) se si vogliono trapiantare degli organi tra specie differenti, il trapianto è definito xeno-trapianto.

I linfociti vengono quindi definiti singenici, allogenici o xenogenici e anche gli anticorpi. Negli ultimi anni molti individui sopravvivono grazie al trapianto di rene, fegato, cuore o polmone. Il tra-pianto sta avendo più successo perché si conoscono i meccanismi che provocano il rigetto. Si possono attuare terapie di immunosoppressione che impediscono il rigetto in alcuni casi.

I soggetti ustionati volevano essere trapiantati con la cute di altri donatori casuali. Da questa sperimantazione si conoscono i trapianti. Se si prende la cute di un topo di ceppo A e si trasferisce su un topo di ceppo B, geneticamente diverso, viene sempre rigettata nell’arco di 14 giorni. Se il rice-vente che aveva rigettato il trapianto di cute veniva ritrapiantato con la cute di un topo di ceppo A questo rigettava la cute trapiantata molto più rapidamente della prima volta (tra 3 e 7 giorni). Il ri-getto del trapianto è regolato da una risposta adattativa che ha una memoria immunologica. Se al ricevente di ceppo B venivano inoculati linfociti di un topo che aveva già rigettato un trapianto di ceppo A, questo trapianto veniva rigettato rapidamente. Questo fa notare che il trapianto è legato ad una risposta immunitaria adattativa specifica e che ha memoria immunologica, mediata da linfociti T, perché l’inoculazione di linfociti T fa rigettare molto più rapidamente la cute trapiantata in un topo di ceppo B che riceve per la prima volta il trapianto. I responsabili del rigetto del trapianto sono le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità perché effettuando trapianti di cute tra due topi geneticamente identici il trapianto non veniva mai rigettato, trapianto singenico. Se si effettuava trapianto tra donatore e ricevente con molecole MHC diverse, il trapianto veniva completamente rigettato, trapianto allogenico. Gli MHC sono geni polimorfi presenti in diverse forme alleliche che sono espresse in diversi individui. Un individuo può esprimere 2 alleli MHC, questi vengono espressi in maniera codominante. Un individuo ha 6 MHC di classe prima, da 6 a 20 di classe seconda. Il trapianto di cute da un donatore alla sua prole non viene rigettato. Il trapianto dalla prole al ceppo parentale viene rigettato. Si può fare un trapianto dalla madre o dal padre al figlio ma non viceversa,

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ciò vale per il trapianto di organi. Il trapianto di midollo non è possibile da padre o madre a figlio perché serve una compatibilità più alta.

Il rigetto del trapianto viene principalmente mediato dalle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità. Questi alloantigeni, molecole MHC estranee tra donatore e ricevente da parte del ricevente, vengono riconosciuti secondo due modalità:

– presentazione diretta; – presentazione indiretta.

Nel caso della presentazione diretta, i linfociti T alloreattivi vanno a riconoscere direttamente le molecole MHC e il peptide self sulla cellula presentante l’antigene del donatore. I linfociti T del ricevente, reattivi verso le molecole MHC del donatore, vanno a riconoscere il complesso MHC-peptide sulla cellula presentante l’antigene del donatore. Questo riconoscimento dell’MHC non self da parte dei linfociti è legato al fatto che durante la selezione positiva nel timo, i linfociti sono sele-zionati perché riconoscano con bassa affinità i complessi MHC self-peptide estraneo. Le MHC estra-nee non vengono presentate ai linfociti durante la selezione positiva, sfuggono alla selezione i linfociti che riconoscono MHC allogeniche estranee. Con la selezione negativa nel timo vengono eliminati quei linfociti T che riconoscono con elevata affinità MHC self-peptide self. Le molecole MHC allo-geniche anche in questo caso non vengono presentate nel timo, questi linfociti non vengono selezio-nati. Abbiamo pertanto linfociti che riconoscono MHC estranee. La presentazione diretta può avve-nire per un fenomeno di cross reattività. La molecola MHC allogenica costituisce una struttura che somiglia a quella costituita dall’MHC self e dall’antigene estraneo verso cui abbiamo linfociti T spe-cifici. In questo caso i linfociti T possono andarsi a legare all’MHC direttamente e riconoscerla sulle APC del donatore. In questo determinante il peptide può essere incluso o non incluso. La struttura che assomiglia all’MHC self-peptide estraneo può essere determinata soltanto da residui amminoa-cidici dell’MHC allogenica oppure può essere determinata sia da residui amminoacidici dell’MHC allogenica che da peptidi che sono associati alle molecole MHC. Il peptide self può far parte o no del determinante riconosciuto dall’MHC. Può avvenire direttamente il riconoscimento da parte dei lin-fociti T autoreattivi e delle MHC allogeniche. L’MHC estraneo somiglia al determinante creato dall’MHC self e il peptide estraneo verso il quale presentiamo cloni di linfociti specifici. In questo riconoscimento diretto si possono attivare numerosi linfociti T alloreattivi perché ogni molecola MHC presentando residui polimorfici può creare un determinante riconisciuto da un clone dei lin-fociti T. Le APC presentano una bassa percentuale di complessi MHC self-antigene sulla loro super-ficie, ne bastano pochi per l’attivazione dei linfociti T. La reazione è molto forte perché fino al 2% di linfociti possono riconoscere queste MHC allogeniche-peptide self, perché essendo allogenica ogni residuo amminoacidico polimorfo andrà a costituire un determinante che somiglia al determinante MHC self-peptide estraneo verso il quale sono presenti linfociti T che sarebbero specifici per gli an-tigeni estranei nel ricevente. Il numero di linfociti T che possono attivarsi è enorme perché ogni re-siduo polimorfico va a costituire un determinante che verrà riconosciuto da un clone di linfociti T, si attiveranno diversi cloni, ognuno specifico per un residuo amminoacidico polimorfo per quella molecola di MHC allogenica, l’attivazione è massiccia, si ha un danno.

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Gli alloantigeni possono essere presentati in una via indiretta. L’MHC del donatore viene con-siderata alla stregua di qualsiasi altro peptide antigenico estraneo quindi viene captata dalle cellule APC del ricevente che fagocitano le molecole MHC del donatore, le processano e le associano alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità. Può avvenire sia su molecole MHC di classe seconda che di classe prima quando avviene il fenomeno del cross priming, quando la cellula viene processata ed entra a far parte della via intracellulare. L’attivazione del linfocita T alloreattivo è de-terminata dall’APC del ricevente che processa frammenti peptidici del donatore e li associa sulle sue molecole MHC self del ricevente. Nella via di presentazione indiretta sono responsabili del rigetto anche gli antigeni di istocompatibilità minore, altre proteine polimorfe che presentano differenze tra due individui. Il trapianto da un donatore che presenta una particolare proteina ad un ricevente che non la presenta viene rigettato. L’attivazione della risposta immunitaria verso il trapianto può avve-nire dunque tramite la presentazione diretta o indiretta.

Nella presentazione diretta, le cellule APC con complesso MHC-peptide allogenico del donatore possono migrare dall’organo trapiantato agli organi linfoidi, ai linfonodi drenanti. Possono qui atti-vare i cloni di linfociti T autoreattivi che si differenziano e si attivano a seconda del tipo di presenta-zione. Queste cellule differenziate in cellule effettrici migrano dall’organo linfoide all’organo trapian-tato. In questo caso il linfocita T CD8 uccide le cellule bersaglio sul trapianto perché specifico per il complesso MHC del donatore con il peptide, può determinare la lisi della cellula bersaglio. Se sono cellule T CD4 producono citochine che inducono una risposta infiammatoria e un danno tissutale.

Nella presentazione indiretta le cellule APC del ricevente possono andare a infiltrare il tessuto trapiantato, riconoscono le molecole MHC estranee, le internalizzano e durante la migrazione verso linfonodi, le processano e le presentano in associazione a molecole del complesso maggiore di isto-compatibilità, arrivano negli organi linfoidi dove attivano CD4 e CD8. Generalmente vengono asso-ciati i frammenti a molecole MHC di classe seconda. Può accadere che vengano associati a molecole MHC di classe prima nel caso di cross presentazione, si possono dunque attivare cellule T CD8 po-sitive. Si differenziano poi le cellule effettrici che ritornano nell’organo trapiantato. In questo caso i T CD4 producono una risposta infiammatoria determinata dal rilascio di citochine, mentre i T CD8 non possono uccidere le cellule dell’organo trapiantato perché non possono riconoscere l’MHC del donatore, essendo state attivate dall’MHC del ricevente. I linfociti citotossici dunque, gli effettori, possono solo produrre citochine stimolando la risposta infiammatoria, amplificandola. Le cellule APC del trapianto possono anche essere chiamate leucociti viaggiatori che possono arrivare ai linfo-nodi del ricevente attivando le cellule T CD4 e T CD8.

La compatibilità tra donatore e ricevente viene valutata tramite la reazione linfocitaria mista. Si preleva il sangue da due donatori per vedere se c’è compatibilità. Le cellule di uno dei due soggetti vengono inattivate per la replicazione. Se uniamo le cellule di due soggetti incompatibili tra di loro, si ha l’attivazione delle cellule alloreattive del donatore y verso quelle del donatore x e viceversa. Non sapremo quale delle due persone è alloreattiva perché i linfociti di entrambe le popolazioni prolife-rano. Per valutare se c’è la compatibilità, le cellule di uno dei due soggetti vengono inattivate, irradiate e non sono quindi in grado di proliferare. Se le APC del donatore y presentano molecole MHC che il donatore x riconosce come estranee, vengono riconosciute, si ha un’espansione delle cellule del

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donatore x. Il donatore x è dunque alloreattivo incompatibile con le cellule del donatore y perché i linfociti T si sono attivati e si espandono. Per valutare la proliferazione, si valuta l’incorporazione della timidina triziata a livello del DNA, si può così determinare l’attivazione delle cellule T CD4 positive. Quando le cellule proliferano incorporano la timidina triziata, aumenta l’incorporazione di timidina triziata durante l’espansione delle cellule T che sono cross reattive rispetto alle MHC del donatore y. Per quanto riguarda le cellule citotossiche, si valuta la compatibilità marcando le cellule con 51Cr. La reazione linfocitaria mista è un esempio di reazione in vitro per valutare la compatibilità tra due soggetti.

I rigetti sono classificati in tre tipi in base alla tempistica:

1. rigetto iperacuto: si sviluppa nell’arco di minuti o poche ore in seguito all’anastomosi di vasi

2. rigetto acuto: si sviluppa nel giro di giorni o settimane (ora grazie alle terapie immuno-soppressive si sviluppa nel giro di anni soprattutto quando si riduce la terapia, il 90% di trapianti va a buon fine grazie all’immunosoppressione che ha diminuito i casi di rigetto acuto)

3. rigetto cronico: si sviluppa nell’arco di mesi o anni dal trapianto, il più pericoloso, la sopravvivenza rimane intorno al 60%, non ci sono stati molti miglioramenti nell’arco degli anni.

Questi rigetti sono causati da diversi tipi di reazioni immunitarie.

1) Il rigetto iperacuto è quello che avviene meno frequentemente ora, perché era frequente nel passato quando venivano fatti trapianti tra soggetti che presentavano antigeni dei gruppi sanguigni differenti. È legato ad una incompatibilità non di molecole MHC ma di gruppo sanguigno tra dona-tore e ricevente. Il rigetto iperacuto avviene dunque solo in casi particolari come nelle donne che hanno avuto più gravidanze, che hanno sviluppato anticorpi. Il rigetto mediato da anticorpi verso i gruppi sanguigni è un rigetto mediato da IgM. I casi di rigetto iperacuto, grazie alla compatibilità dei gruppi sanguigni, sono fortemente ridotti. Gli anticorpi IgM andavano a legarsi su antigeni dei gruppi sanguigni espressi sulla superficie di tutte le cellule, non solo sui globuli rossi ma anche sull’endotelio dei vasi. Si attiva il sistema del complemento che induce un danno a livello dell’endo-telio dei vasi. Le cellule endoteliali danneggiate rilasciano fattori che influenzano la coagulazione del sangue: il fattore di von Willebrand stimola la coagulazione del sangue, le particelle lipidiche indu-cono una attivazione piastrinica, gli eparansolfati non legano più l’antitrombina 3 e si ha un’attiva-zione forte della coagulazione sanguigna. Ne consegue una trombosi del vaso dovuta alla coagula-zione del sangue, si formano trombi che occludono i vasi provocando necrosi dei tessuti.

2) Il rigetto acuto è mediato dall’attivazione dell’immunità cellulo-mediata, attivazione delle cellule T CD4, dei linfociti citotossici, può essere coinvolta anche la risposta umorale. Ne risulta un danno a livello delle cellule del parenchima con infiammazione degli interstizi a livello dell’endotelio, non si ha necrosi. Questo rigetto avviene in tempi più lunghi poiché sono coinvolti tutti i tipi di risposta immunitaria, sia cellulo-mediata che umorale, che prevede la produzione ex novo di anti-corpi in seguito all’attivazione dei linfociti B.

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3) Il rigetto cronico è determinato soprattutto da una reazione infiammatoria cronica che va ad indurre la proliferazione delle cellule dell’endotelio dei vasi, c’è un restringimento del vaso, c’è un’ostruzione dei vasi, dei bronchi, dei dotti biliari a livello del fegato a seconda dell’organo trapian-tato. Questo è legato al fatto che le cellule T CD4 producono citochine che attivano macrofagi che stimolano la produzione di tessuti fibrosi, sostanze di riparazione tissutale, fattori amniogenetici, che inducono l’infiammazione cronica con un’ostruzione per proliferazione delle cellule della parete mu-scolare del vaso.

Per prevenire il rigetto del trapianto si usano le terapie immunosoppressive rivolte ad inibire l’attivazione del linfocita T. Si previene l’attivazione dei linfociti T verso le cellule del trapianto ma si rende l’individuo molto più suscettibile alle infezioni da virus, da batterî e a tumori. La terapia im-munosoppressiva più usata sfrutta la ciclosporina o l’FK 506 che agiscono in maniera simile. La ci-closporina si lega alla ciclopiridina che va a bloccare il legame della calcineurina. L’FK 506 si lega alla proteina FKBP, anche questo inibisce la calcineurina, fosfatasi che defosforila NFAT che non trasloca nel nucleo e si ha un blocco della produzione di IL-2. Si utilizzano anche la rapamicina che inibisce la proliferazione dei linfociti T. Altre sostanze sono l’azatioprina e il micofenolato mofetile (MMF) che uccidono i linfociti T alloreattivi, queste sono tossiche anche per le cellule del midollo, in parti-colare l’aziatropina, sono meno usate. Si agisce anche bloccando la costimolazione, necessaria per l’attivazione dei linfociti T. Si usano in questo caso molecole di CTLA-4 che legate a immunoglobu-line umanizzate vanno a legarsi al D7, quindi impediscono che il CD28 possa legarsi al B7 e costimo-lare il linfocita T nella produzione di IL-2. Sono usati anticorpi rivolti al recettore dell’IL-2, che im-pediscono il legame di IL-2 al suo recettore e quindi la proliferazione. Si usano anche anticorpi contro i recettori dei linfociti T, come l’anti-TCR, che impedisce la trasduzione del segnale del linfocita T.

Si stanno osservando metodi che agiscono sulle molecole inibitorie quali PD-1 presente sulla cellule T e PDL1 e PDL2 espresse sulle cellule APC.

Ci sono altri inibitori che agiscono direttamente sulle vie di trasduzione del segnale come GH3, proteina tirosin-chinasi attivata in seguito all’interazione dell’IL-2 con il suo recettore. Un altro an-ticorpo immunosoppressore è il CD40L che si lega ad anticorpi anti-CD40L. La sopravvivenza ai trapianti è fortemente aumentata con l’introduzione della ciclosporina come agente immunosoppri-mente. Dal 50% di sopravvivenza a 5 anni dal trapianto si è arrivati sopra all’80%.

Il trapianto di cellule staminali ed ematopoietiche ha caratteristiche diverse rispetto a quelle dei trapianti d’organo. Nel trapianto di cellule staminali ed ematopoietiche multipotenti, queste ven-gono prelevate aspirando il midollo osseo da un donatore che viene poi inoculato nel ricevente. La compatibilità deve essere la maggiore possibile. Anche soggetti immunologicamente poco compe-tenti rigettano i trapianti se non c’è una compatibilità estremamente alta degli alleli HLA. Le cellule staminali possono essere reclutate o tramite aspirazione del midollo osseo o prelevate dal sangue periferico in seguito a trattamento dei donatori con fattore CSF che mobilizza le cellule staminali dal midollo osseo e le manda in circolo. Normalmente il trapianto di cellule staminali viene fatto per curare leucemie, in quanto trapiantando le cellule staminali da un donatore queste vanno ad uccidere le cellule leucemiche o per correggere difetti causati da mutazioni di geni di globuli rossi o linfociti.

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Nella talassemia può essere fatto un trapianto di midollo per curarla. Quando veniva fatto un tra-pianto da un figlio a un genitore, questo induceva un rigetto del trapianto. Questa resistenza ibrida è legata al fatto che il ricevente presenta cellule natural killer che possono andarsi ad attivare verso le cellule del donatore che vanno a ricostituire il midollo perché a livello delle cellule midollari non vengono espresse le molecole MHC di classe prima. Le cellule natural killer si attivano quando rico-noscono cellule che non presentano le molecole MHC di classe prima. Se presentano MHC di classe prima, l’attivazione delle cellule natural killer viene inibita. In questo caso la compatibilità deve essere estremamente elevata.

Periodo ischemico Riguardo l’attivazione dei linfociti T per via diretta o indiretta nel trapianto, dovrebbe sorgere

una domanda: come fanno le APC che presentano l’antigene che alla fine è una molecola MHC allo-genica ad attivare i linfociti T senza il secondo segnale? In realtà si è visto che normalmente le cellule dendritiche esprimono costitutivamente entrambi i fattori ma a scarso livello, le maggiori espressioni di B7-1 e B7-2 sono date dal riconoscimento molecolare di antigeni patogici (immunità innata) tanto che parlando di tolleranza s’è detto che APC non esprimono molecole costimolatorie e inducono quindi tolleranza e non attivazione.

In questo caso c’è un fenomeno periodo ischemico che consiste sulla base di quanto tempo il trapianto vien tenuto in giro prima di essere reimpiantato nell’ospite. Durante il periodo ischemico le cellule vanno incontro a ischemia quindi morte cellulare con presentazione dei profili molecolari associati al danno (DAMP) similmente ai PAMP questi possono legare i loro recettori TLR e indurre tramite trasduzione del segnale mediata da TLR l’espressione delle molecole costimolatorie, più è breve il periodo ischemico maggiore è la possibilità di attecchimento del trapianto, in quanto meno tempo porta a una minore espressione di DAMP e quindi minore espressione di molecole costimo-latorie. Periodo ischemico e DAMP sono meccanismi importanti nell’espressione delle molecole co-stimolatorie.

Parliamo di nuovo di trapianto di midollo osseo, in paricolare del fenomeno della resistenza ibrida, Nel trapianto la compatibilità per gli alleli HLA può essere tenuta sotto controllo con immu-nosopressori. Nel trapianto di midollo è necessaria una compatibilità che sia il più completa possibile dei loci MHC per evitare il rigetto che si verifica anche nel topo ibrido che poteva accettare un tra-pianto di cute da parte dei genitori, fenomeno legato al fatto che il ricevente presenta NK che sulle cellule del midollo osseo trasfuse non presentano MHC del ricevente ma del donatore, quindi le NK, mancando il secondo segnale inibitorio, si attivano distruggendo cellule trapiantate.

Graft versus Host Desease (GvHD) Nel trapianto del midollo osseo similmente al trapianto d’organo le manifestazioni clinico-pa-

tologiche sono legate alle caratteristiche del rigetto in particolare nel trapianto di midollo osseo così come nel trapianto di alcuni organi (fegato, polmoni, intestino) si può incorrere nella Gra versus

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Host Disease (GvHD) quella che è la malattia del trapianto verso l’ospite, normalmente è il ricevente che rigetta il trapianto, induce danno verso le cellule trapiantate, in questo caso sono le cellule tra-piantate che danneggiano l’ospite, questa è legata al fatto che nei trapianti vengono mantenuti i lin-fociti T e sono presenti in numero elevato poiché sono importanti nella ricostituzione del midollo osseo del ricevente, anche negli organi di cu sopra sono presenti molti linfociti T maturi che generano questa patologia, se in un trapianto di cellule staminali emopoietiche si ricevono anche cellule T ma-ture queste sono attivate dalle cellule dendritiche del ricevente e la loro attivazione porta a un danno tissutale estremamente diffuso (GvHD) se le cellule dendritiche del ricevente sono state completa-mente deprecate dalla distruzione del midollo osseo prima del trapianto in tal caso le cellule T del donatore non sono attivate perché possono essere riconosciute solo le cellule dello stesso donatore. GvHD può essere acuta o cronica similmente al rigetto: la forma acuta è caratterizzata come tipo di danno dall’attacco delle cellule dell’ospite da parte di linfociti T, morte delle cellule epiteliale per apoptsi di cute fegato e tratto intestinale con un danno che può essere anche letale. Per quanto ri-guarda la forma cronica non è caratterizzata dalla morte cellulare ma soprattutto da fibrosi atrofia, mediata soprattutto dal le cellule NK, linfociti T CD8 positivi e citochine. Ancora non si sa se la forma cronica sia conseguenza della forma acuta, per un meccanismo di riparazione, o avvenga indipen-dentemente da questa. Questa GvHD sia acuta che cronica potrebbe essere ridotta riducendo il nu-mero di cellule T mature nelle cellule trapiantate, specie per quanto riguarda il midollo osseo. Questo ha ridotto enormemente la GvHD ma meno linfociti T diminuiscono la funzionalità del trapianto ossia la possibilità di uccidere le cellule leucemiche dell’ospite, probabilmente per mancanza di fattori prodotti dalle cellule T, di fatti si era pensato di somministrare fattori di crescita o citochine, altra problematica è che un trapianto di midollo con minor numero di cellule T riesce a ricostituire con più difficoltà il midollo del ricevente, le cellule T sono quindi necessarie per una efficiente ricostru-zione del midollo osseo.

Xenotrapianto

Avevamo accennato a un altro tipo di trapianto, lo xenotrapianto, trapianto tra due soggetti geneticamente diversi da specie differenti (e.g. maiale-uomo) questo tipo di trapianto interessa molto data la scarsa disponibilità di organi. Ma essendo di specie differenti si va incontro a un rigetto del trapianto legato a una manifestazione del rigetto iperacuto mediato da anticorpi verso gruppi san-guigni. Gli uomini esprimono una fucosil-transferasi che aggiunge un gruppo di fucosio al glicano 0, nel maiale α-galattosio transferasi; perciò antigeni differenti che portano a un risposta in grado di generare anticorpi nell’ospite che vanno a riconoscere proteine estranee dell’organo trapiantato del maiale quindi rigetto iperacuto mediato da anticorpi, successiva attivazione sistema complemento con danneggiamento endotelio, aggregazione piastrinica e trombosi, in più, altra problematica è le-gata al fatto che mentre il sistema del complemento nell’uomo può essere inibito da proteine regola-trici in questo caso le proteine regolatrici sono differenti tra uomo e maiale quindi non c’è corretta regolazione.

Tra uomo e scimmia sarebbero più compatibili ma ci sono problematiche etiche. Si studia per maiali transgenici in cui abbiamo modificato questi elementi per favorire il trapianto. 168 www.hackmed.org

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Immunità dei tumori

Fasi della differenzazione tumorale I tumori sono complessi di cellule resistenti al processo apoptotico e con uno scorretto controllo

del ciclo cellulare. Nel 1950 si formulò la teoria dell’immunosorveglianza, potenzialmente il sistema immunitario può riconoscere e distruggere cellule tumorali, osservazioni hanno disastrato che la teo-ria non era valida e si passò alla teoria del cancer immunoediting che consta di tre fasi nella differen-ziazione tumorale:

1. Fase di eliminazione dove rientra teoria immunosorveglianza secondo cui, quando cel-lule si trasformano in cellule tumorali possono essere riconosciute ed eliminate.

2. Alcune cellule trasformate possono diventare resistenti a eliminazione da parte del si-stema immunitario queste vanno a costituire la seconda fase di equilibrio.

3. Con il tempo grazie alla pressione selettiva del sistema immunitario si vanno a modifi-care ulteriormente e si formeranno altre varianti ancora più efficienti nello sfuggire al sistema immunitario, quando le varianti si sono accumulate le cellule potranno repli-carsi e dare inizio alla fase di fuga, nella quale saranno in grado di difendersi con mec-canismi di evasione dal sistema immunitario e originare lo sviluppo del tumore (proli-ferazione e metastatizzazione)

Marker tumorali Inizialmente nei tumori gli antigeni responsabili dell’induzione del tumore erano classificati in

due famiglie: antigeni tumore specifici (TSA) o antigeni tumore associati (ATA)13:

– TSA sono presenti solo nelle cellule tumorali, derivano da mutazioni geniche di proteine self che quindi generano nuovi peptidi che si possono associare a MHC.

– ATA sono antigeni presenti nelle cellule dell’organismo che però in seguito allo svi-luppo del tumore modificano la loro espressione, ossia, o sono espressi in stadi di svi-luppo nei quali non dovrebbero essere presenti (in uno stadio di differenzazione non tipico della molecola), oppure sono antigeni che modificano il loro livello di espressione.

Quelli specifici posso essere oncogeni od oncosoppressori che sono andati in contro a muta-zioni, questi generano proteine importanti sia per il fenotipo neoplastico che per la tumorgenesi. Sono mutazioni ad esempio di RAS o P210, l’oncosoppressore mutato produce proteina alterata che dà origine al fenotipo neoplastico e ne permette il mantenimento, altro esempio è il p53, mutata nel 50% dei tumori. Gli oncogeni, non sono mutati ma solo iperespressi ed esempio HER2/neu, questo, è un recettore per il fattore di crescita EGF che costituisce il marker tipico dei carcinomi della mam-mella, vengono difatti utilizzati degli anticorpi anti-HER2/neu per trattare questo tipo di carcinoma.

Le mutazioni possono essere puntiformi, delezioni, inserzioni e inserzioni di geni virali, possono avvenire negli oncosoppressori ma anche in altre proteine self, dovute al contatto con elementi car-cinogeni, le mutazioni delle proteine self non riguardano una sola proteina, quindi i vari tumori non presentano una mutazione “stabile” su una proteina, al contrario la sede della mutazione varierà per

13 Ad oggi si tende a distinguere gli antigeni in base alla loro struttura. 169

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ogni individuo, di conseguenza non può esserci un anticorpo in grado di combatterlo (cosa che non interessa la mutazione di oncosoppressori)

N.B. L’iperespressione degli oncogeni sebbene non sia una mutazione rappresenta un elemento costante di un certo tipo di tumori.

Altri antigeni, silenti nella maggior parte dei tessuti normali ed espressi a livello dei testicoli e della placenta sono gli antigeni tumorali testicolari, tra questi la famiglia MAGE, nel caso di alcuni tumori può essere espressa sulle varie popolazioni di cellule.

Mentre gli antigeni derivanti da mutazioni riescono a essere processati dai linfociti T (attraverso MHC), verso gli antigeni self (vedi tumorale testicolare) il sistema immunitario è tollerante, in questo caso quindi il tumore si sviluppa più facilmente.

Altri esempio di marker tumorali sono:

– Tirosinasi, una proteina espressa normalmente dai melanociti a bassissimi livelli viene espressa ad elevata concentrazione nel melanoma, anche in questo caso, i tumori indotti da questo aumento sono poco immunogenici e in grado di fuggire dalla risposta immu-nitaria, esso è un antigene self.

– Antigeni oncofetali tipo carcinoembrionale (CEA) o l’α-fetoproteina, questi sono espressi in molti tumori ma non sono considerabili marker tumorali in quanto possono essere prodotte durante risposte infiammatorie, un loro aumento necessita di successive indagini, normalmente sono espressi nella vita fetale, nella prima fase della gravidanza e poi sono silenziati nell’adulto, possono comunque indicare tumore a intestino, fegato, pancreas, stomaco.

– I gangliosidi GM-2 GD-2 nei melanomi. – Antigeni carboidratici glicoproteici CA-125 CA-199 normalmente espressi nella vita

fetale, probabili segno di situazione neoplastica in vita adulta. – Antigeni prodotti di virus oncogeni, processati dal sistema immunitario (esempio pa-

pilloma virus mediante proteine 6-7). L’azione del sistema immunitario su questi tu-mori è molto efficiente, sono stati inoltre sviluppati vaccini che proteggono dalle pro-teine specifiche del papilloma virus.

– Antigeni di differenzazione presenti in tessuti di origine differenti ad esempio CD20 premette di identificare che il tumore è indotto da cellule B.

Risposte immunitarie contro il tumore Le risposte immunitarie verso le cellule tumorali può essere costituita da immunità innata (ma-

crofagi, cellule NK) o immunità cellula specifiche (T citotossiche) e anche immunità umorale, sui macrofagi il ruolo dipende dalla popolazione attivata:

Immunità innata La funzione dei macrofagi varia in base alla popolazione attivata:

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– M1 (attivati da IFN-γ e da linfociti T tramite interazione CD40L) hanno soprattuttoun’attività antitumorale, uccidendo cellule tumorali mediante radicali O e N e produ-zione TNF (in grado di indurre apoptosi nelle cellule tumorali), producono poi IFN-γattivando cellule NK e T citotossici.

– M2 sono anche classificati come Macrofagi Tumori Associati, in quel caso queste cellulefavoriscono la trasformazione tumorale, producono attori quali VEGF che induce laformazione di vasi e quindi metastatizzazione del tumore, producono anche citochineimmunosoppressive IL-10 (sopprime differenziazione TH1-TH2, stimola formazione diT regolatori, inibisce anche la capacità di presentare l’antigene, inibisce la produzionedi IL-12).

– Cellule NK sono molto efficienti ma il loro effetto è comunque basso per la scarsa spe-cificità, riconoscono infatti il segnale attivatorio e il segnale inibitorio (MHC-I), quandoquesta è assente rilascia quindi il contenuto del granulo (perforine, granzyme), le celluleNK sono potenziate da IL-2 e IFN-γ: Lymphokine-Activated Killer che, con il loro recet-tore NKG2D attivatore, possono legare MIC-A, MIC-B e ULB particolarmente espressia livello delle cellule tumorali, in particolar modo attivate perché la riduzione delle mo-lecole MHC-I è un meccanismo di evasione della risposta immunitario utilizzato da vi-rus e cellule tumorali.

Immunità specifica Forte ruolo dei T citotossici efficaci sopratutto nell’immunosorveglianza per tumori indotti da

virus, poiché le proteine virali verranno associate a MHC-I e quindi saranno riconoscibili da linfociti T. Un problema si ha a livello dei tumori, nell’attivazione dei linfociti T: mentre il virus stimola me-diante TLR endocitici riconosciuti da TLR 7, 3 e 9 molto spesso antigeni tumorali non inducono espressione delle molecole costimolatorie quindi molto spesso è necessario il processo di cross pri-ming la cellula tumorale è internalizzata dalla APC che associa frammenti peptidici di questa cellula con molecole MHC-I e MHC-II, in questo caso saranno presenti entrambi i segnali per attivazione del linfocita. Grazie a questo fenomeno posso essere attivati anche T-helper che tramite interazione CD40L possono fornire citochine IL-2 e IFN-γ.

Immunità umorale Gli anticorpi agiscono legandosi all’antigene sulla cellula tumorale su cui è specifico e indurrà

ci tossicità anticorpo-dipendente oppure può indurre attivazione del sistema del complemento.

Meccanismi di evasione tumorale

I tumori hanno evoluto molteplici meccanismi per evadere al sistema immunitario: intrinseci, propri della cellula tumorale o estrinseci mediante i quali la cellule sfugge al sistema mediante altre cellule reclutate da tumore.

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Intrinseci

1) Variazione antigeniche, tumorali di modo che non possa essere riconosciuta, le cellule tu-morali vanno infatti in contro a una vasta gamma di modificazioni.

2) Down-regolazione MHC-I non potendo quindi esprimere antigene a linfocita T, anche se inquesto caso interverranno le cellule NK

3) Riduzione espressione molecole costimolatorie: B7-1 o B7-2 fa si che il sistema immunitariodiventi tollerante verso la cellula tumorale. (con poche molecole costimolatorie si lega prevalente-mente CTLA-4 che ha maggiore affinità)

4) Produzione elevata di glicocalice che maschera antigene sulla superficie impedendone il cor-retto riconoscimento (mascheramento tumorale).

5) Modulazione antigenica determinata da anticorpi che il sistema immunitario sviluppa con-tro antigeni tumorali, il legame degli anticorpi può determinare endocitosi del complesso anticorpo-antigene portando una down-regulation dello stesso antigene tumorale, diventando non più immu-nogenica.

6) Inibizione attivazione linfociti T mediante fattori secreti idrosolubili: IL-10, TGF-β, indolea-mina 2,3-diossigenasi (IDO); o molecole di adesione: PDL-1, ligando di PD-1 molecola inibitoria espressa da linfocita T. Riguardo la molecole idrosolubili: IDO catabolizza il triptofano fondamentale per la proliferazione delle cellule T, IL-10 è un immunosoppressore [vedi sopra], TGF-β è anch’esso un immunosoppressore, inibendo proliferazione di diverse cellule del sistema immunitario,induce produzione di EVGF favorisce il rimodellamento tissutale e angiogenesi (prodotto da T-helper e ma-crofagi).

7) Molto spesso inducono anche il FasL inducendo quindi morte cellulare per apoptosi dellecellule T.

8) Varie alterazione a livello di geni che regolano il sistema apoptotico rendendo la cellula resi-stente all’induzione del meccanismo stesso.

Estrinseci

I meccanismi estrinseci sono mediati da cellule che favoriscono l’evasione dal sistema immuni-tario, quindi:

1) T regolatori (IL-10, TGF-β, CTLA-4 quindi anche tramite meccanismo contatto dipen-dente).

2) Macrofagi e cellule di derivazione mieloide, con meccanismi sovrapponibili, i macrofagi M2sono indotti da IL-4 e IL-13 e una vasta gamma di molecole, producono IL-1 e TGF-β quindi inibi-scono infiammazione e differenzazione delle cellule TH1, TGF-β favorisce crescita del tessuto fibroso e un ampliamento della vascolarizzazione per il nutrimento del tumore e la sua meta statizzazione; le cellule di derivazione mieloide, non soltanto derivazione della linea monocitica ma anche da cellule dendritiche, per alcuni aspetti si sovrappongono ai macrofagi M2, producono IL-2 arginasi e enzima inducibile dell’ossido nitrico, importanti nella formazione di specie reattive che inducono un danno tissutale che blocca azione dei linfociti T, producono poi IDO [vedi sopra], la loro differenzazione è

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indotta da prostaglandine di secondo tipo, prodotta da macrofagi o dalla stessa cellula tumorale, EVGF, IL-6.

Approcci di immunoterapia attiva consistono nel vaccinare il soggetto per evitare la prolifera-zione del tumore, in questo contesto si utilizzano le cellule tumorali uccise insieme ad adiuvanti, le cellule tumorali forniscono antigene contro cui sviluppare anticorpo e l’adiuvante per indurre l’atti-vazione dei linfociti T e la generazione dei linfociti della memoria. Ultimamente ci si concentra su vaccini basati su cellule dendritiche se queste sono incubate con cellule tumorali e poi reintrodotte nell’individuo queste possono creare una risposta immunitaria nell’individuo.

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