Dispensa immunologia

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Dispensa di immunologia  Riassunti del libro   Ab ba s  Immunologia   

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Riassunti di immunologia

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Dispensa diimmunologia Riassunti del libro “  Abbas – Immunologia”  

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Capitolo 1. Proprietà delle risposte

immunitarie, p.2 1.1 Immunità innata e adattativa, p.2

1.2 Tipologie di risposta adattativa, p.3

1.3 Elementi comuni delle risposte adattative, p.3

1.4 Componenti cellulari della risposta

adattativa, p.3

1.5 Riassunto delle risposte immunitarie ai

microbi, p.4

Capitolo 2. Immunità innata, p.5

2.1 Caratteristiche generali, p.52.1.1 Recettori per PAMP

2.2 Componenti dell’immunità innata, p.72.2.1 Barriere epiteliali

2.2.2 Fagociti e risposte infiammatorie

2.2.3 Cellule NK 

2.2.4 Proteine circolanti

Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitarioadattativo, p.12

3.1 Cellule del sistema immunitario

adattativo, p.123.1.1 Linfociti

3.1.2 APC

3.2 Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi, p.143.2.1 Midollo osse

3.2.2 Timo

3.2.3 Linfonodi e sistema linfatico

3.2.4 Milza

3.2.5 Sistema immunitario cutaneo

3.2.6 Sistema immunitario mucosale

3.3 Vie e meccanismi di homing e ricircolo

linfocitario, p.163.3.1 Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T

3.3.2 Migrazione ai siti infiammatori

3.3.3 Migrazione delle cellule della memoia

3.3.4 Homing dei linfociti B

Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni, p.174.1 Produzione e distribuzione degli

anticorpi, p.17

4.2 Struttura molecolare, p.184.2.1 Interazione con l’antigene 

4.2.2 Riconoscimento dell’antigene 

Capitolo 5. Complesso maggiore di

istocompatibilità, p.215.1 Scoperta dell’MHC, p.215.1.1 Scoperta nel topo

5.1.2 Scoperta nell’uomo 

5.2 Struttura delle molecole MHC, p.225.2.1 Molecole MHC di classe I

5.2.2 Molecole MHC di classe II

5.3 Legame con il peptide, p.23

5.4 Organizzazione genomica ed espressione

dell’MHC, p.23

Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione

ai linfociti T, p.246.1 APC, p.256.1.1 Presentazione ai linfociti T naive

6.1.2 Presentazione ai linfociti T differenziati

6.2 Biologia del processamento antigenico, p.26

6.2.1 Processamento per la presentazione MHC II

6.2.2 Processamento per la presentazione MHC I

6.3 Significato della presentazione in

complessi, p.29

6.4 Presentazione di antigeni lipidici dellemolecole CD1, p.29

Capitolo 7. Recettori antigenici e molecole accessorie

dei linfociti T, p.297.1 αβ-TCR per antigeni MHC-associati, p.307.1.1 Ruolo del TCR nel riconoscimento dell’antigene 

7.2 Proteine CD3 e ζ del complesso TCR, p.317.2.1 Struttura

7.2.2 Funzione

7.3 Recettori antigenici dei linfociti γδ, p.31

7.4 Recettori antigenici delle cellule NK-T, p.32

7.5 Corecettori e recettori costimolanti nelle

cellule T, p.327.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione delle

cellule T MHC- ristrette7.5.2 Recettori costimolanti ed inibitori della famiglia CD28

7.5.3 CD2 e la famiglia SLAM di recettori costimolanti

7.5.4 Altre molecole accessorie dei linfociti T

Capitolo 8. Sviluppo linfocitario, p.34

8.1 Riarrangiamento dei geni recettoriali, p.358.1.1 Organizzazione dei loci per le IG

8.1.2 Organizzazione dei loci per TCR 

8.1.3 Ricombinazione V(D)J

8.2 Sviluppo dei linfociti B, p.37

8.3 Maturazione dei linfociti T, p.398.3.1 Ruolo del timo

8.3.2 Stadi di maturazione linfocitaria

8.3.3 Processi di selezione

8.3.4 Linfociti T γδ 

8.3.5 Cellule NK-T

Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T, p.419.1 Attivazione dei linfociti CD4, p.41

9.2 Attivazione dei linfociti CD8, p.41

9.3 Molecole costimolatorie, p.41

9.4 Trasduzione del segnale, p.42

9.5 Attenuazione della risposta, p.45

Capitolo 10. Attivazione delle cellule B e produzione di

anticorpi, p.4510.1 Caratteristiche generali della risposta

umorale, p.45

10.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione

antigene-indotta, p.4610.2.1 Trasduzione del segnale

10.2.2 Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le

cellule B

10.2.3 Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni

10.3 Risposte anticorpali helper-dipendenti ad

antigeni proteici, p.4810.3.1 Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti

10.3.2 Attivazione degli helper 

10.3.3 Presentazione dell’antigene dalle cellule B e migrazione  

10.3.4 Effetto aptene-carrier 

10.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipendente

10.3.6 Reazione del centro germinativo

10.3.7 Switching dell’isotipo delle catene pesanti 

10.3.8 Maturazione dell’affinità  

10.3.9 Differenziazione dei linfoc iti B in plasmacellule secernenti

anticorpi

10.3.10 Generazione di cellule della memoria e risposte umo rali

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secondarie

10.4 Risposte anticorpali ad antigeni T-

indipendenti, p.53

10.5 Feedback anticorpale: regolazione della

risposta umorale, p.54

Capitolo 11. Tolleranza immunologica, p.54 

11.1Caratteristiche generali e meccanismi della

tolleranza, p.54

11.2 Tolleranza dei linfociti T, p.55

11.2.1 Tolleranza centrale nei linfociti T11.2.2 Tolleranza periferica nei linfociti T

11.3 Tolleranza dei linfociti B, p.5711.3.1 Tolleranza centrale nei linfociti B

11.3.2 Tolleranza periferica nei linfociti B

11.4 Tolleranza indotta da antigeni proteici

estranei, p.58

11.5Omeostasi del sistema immunitario:

terminazione delle normali risposte immuni, p.58

Capitolo 12. Citochine, p.5912.1 Recettori, p.59

12.2 Citochine che regolano l'immunità

innata, p.60

12.3 Citochine che mediano la risposta

adattativa, p.6112.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi, p.63

Capitolo 13. Meccanismi effettori dell'immunità cellulo-

mediata, p.6313.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate, p.63

13.2 Linfociti CD4 effettori, p.6413.2.1 Risposte immunitarie mediate da th1

13.2.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2

13.3.Risposte mediate dai linficiti CD8

effettori:CTL, p.65

13.4 Linfociti T della memoria, p.66

Capitolo 14. Meccanismi effettori dell’immunità

umorale, p.6614.1 Caratteristiche generali dell’immunità

umorale, p.66

14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine, p.67

14.3 Opsonizzazione anticorpo-mediata e

fagocitosi, p.6714.3.1 Fagociti e recettori Fc

14.3.2 Citotossicità cellulomediata anticorpo dipendente

14.4 Il sistema del complemento, p.6814.4.1 Vie di attivazione del complemento

14.4.2 Recettori per proteine del complemento

14.4.3 Regolazione dell’attivazione del complemento  

14.4.4 Funzioni del complemento

14.4.5 Evasione del complemento

14.5 Funzione degli anticorpi in siti anatomici

specifici, p.72

14.5.1 Immunità mucosale14.5.2 Immunità neonatale

Capitolo 15. Immunità ai microbi, p.7315.1 Caratteristiche generali, p.73

15.2 Immunità ai batteri extracellulari, p.7315.2.1 Immunità innata ai batteri extracellulari

15.2.2 Immunità adattativa ai batteri extracellulari

15.2.3 Effetti dannosi delle risposte immunitarie

15.2.4 Evasione immunitaria dei batteri extracellulari

15.3 Immunità ai batteri intracellulari, p.7415.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari

15.3.2 Immunità adattativa ai batteri intracellulari

15.3.3 Evasione immunitaria dei batteri intracellulari

15.4 Immunità ai funghi, p.7515.4.1 Immunità innata ed adattativa ai funghi

15.5 Immunità ai virus, p.76 15.5.1 Immunità innata ai virus

15.5.2 Immunità adattativa ai virus

15.5.3 Evasione immunitaria dei virus

15.6 Immunità ai parassiti, p.7715.6.1 Immunità innata ai parassiti

15.6.2 Immunità adattativa ai parassiti

Capitolo 16. Immunologia dei trapianti, p.77 

16.1Risposta al trapianto allogenico, p.7716.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni.

16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreattivi

16.2 Meccanismi effettori del rigetto, p.78

16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da

allotrapianto, p.7916.3.1 Ridurre l'immonogenicità.

16.3.2 Immunosoppressione

16.3.3 Induzione di tolleranza.

16.4 Trapianti, p.80

Capitolo 17. Immunità e tumori, p.8017.1 Antigeni tumorali, p.81

17.2 Risposta immunitaria, p.8217.2.1 Risposta innata

17.2.2 Risposta specifica.

17.3 Elusione delle risposte immunitarie, p.83

17.4 Immunoterapia dei tumori, p.83

Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie:

ipersensibilità ed autoimmunità, p.84

18.1 Patologie causate da anticorpi, p.85

18.2 Patologie causate da linfociti T, p.85

18.3 Patogenesi dell’autoimmunità, p.86

Capitolo 19. Ipersensibilità immediata, p.8719.1 Produzione di IgE, p.88

19.2 Legame delle IgE a mastociti e basofili, p.89

19.3 Ruolo di mastociti, basofili ed

eosinofili, p.8919.3.1 Mediatori derivati dai mastociti

19.4 Reazioni dell’ipersensibilità immediata, p.91

19.5 Suscettibilità genetica, p.9219.6 Patologie allergiche nell’uomo, p.92

Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed

acquisite, p.93

20.1 Immunodeficienze congenite, p.9320.1.1 Difetti dell’immunità innata  

20.1.2 Immunodeficienze gravi combinate

20.1.3 Deficienze anticorpali: difetti nello sviluppo e nell’attivazione

dei linfociti B

20.1.4 Difetti nell’attivazione e nella funzione dei lin fociti T  

20.1.5 Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassiatelangectasia

Appendice. Schema delle citochine, p.97

A.1 Risposta innata, p.97A.2 Risposta adattativa, p.100

A.3 Citochine ematopoietiche, p.101

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Capitolo 1. Proprietà delle risposte immunitarie 

1.1 Immunità innata e adattativa 

Le cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono il sistema immunitario e la lor o

risposta collettiva e coor dinata all’introduzione di sostanze estranee è detta risposta immunitaria.Una definizione più precisa di risposta immunitaria è reazione a componenti microbiche così come

a macromolecole (proteine/polisaccaridi) e  piccole molecole che vengono riconosciute come estranee,

senza tener conto delle conseguenze fisiopatologiche di tale r eazione. L’immunità innata fornisce la prima linea di difesa contro i microbi. Questi meccanismi r eagis-

cono solamente ai microbi e rispondono essenzialmente nello stesso modo alle infezioni ripetute. I

 principali componenti dell’immunità innata sono: 

1. Barriere fisiche e chimiche 

2. Cellule fagocitiche, cioè neutrofili e macrofagi, e natural killer 

3. Proteine plasmatiche, tra le quali quelle del complemento 

4. Citochine, che regolano e coordinano molte delle attività delle cellule dell’immunità innata 

Esistono risposte immunitarie che sono stimolate invece dall’esposizione ad agenti infettivi e che au-

mentano in grandezza ed efficacia ad ogni successiva esposizione: si tratta dell’immunità acquisi-ta/adattativa. L’immunità acquisita è in grado di riconoscere un grande numero di sostanze mi-

crobiche e non, e la capacità di riconoscimento è talmente alta da giustificare il titolo diimmunità specifica. I  principali agenti dell’immunità acquisita sono i linfociti e i loro  prodotti disecr ezione, come gli anticorpi. Le sostanze estranee in grado di indurre risposte immunitarie

specifiche sono dette antigeni. 

Evoluzione del sistema

immunitario 

I meccanismi specializzati di difesa che costituiscono la risposta adattativa sono esclusivi dei

vertebrati. 

•  Diverse cellule degli invertebrati rispondono ai microbi circondandoli e distruggendoli;

queste cellule ricordano i fagociti e, a seconda della specie, sono state chiamate fagociti ameboidi,

emociti, coelomociti o leucociti del sangue. 

•  Gli invertebrati non contengono linfociti antigene-specifici e non producono

immunoglob- uline o proteine del complemento: contengono tuttavia molecole solubili che

legano e lisano i microbi. 

•  I fagociti in alcuni invertebrati possono secernere citochine che somigliano a quelle derivanti

dai macrofagi nei vertebrati.  

•  Tutti gli organismi pluricellulari esprimono i toll-like receptor, responsabili dell’avvio  delle

reazioni di difesa 

•  Gli invertebrati sono in grado di riconoscere trapianti di tessuto estraneo, attività che nei

vertebrati è dipendente dalla risposta immunitaria adattativa.  Negli invertebrati queste r eazioni

sono mediate da cellule di tipo fagocitico che però non sono in grado di generare una

memoria  per il tes- suto trapiantato. Queste evidenze indicano che anche gli invertebrati sono

in grado di esprimere molecole (forse precursori del MHC) per  distinguere il self dal non self. 

La svolta nell’evoluzione immunitaria si ha con la comparsa di recettori  antigenici riarrangiati so-

maticamente, evento che accade con i  pesci più evoluti. Buona parte dei componenti del sistemaimmunitario adattativo sembra essere apparsa in un tempo breve e in maniera coordinata nei ver -tebrati dotati di mandibola. Dal momento della comparsa degli antigeni generati  per  ricombinazione

genica il sistema immunitario si è evoluto costantemente: si  passa da un singolo tipo di anticorpo

nei  pesci fino agli otto dei mammiferi. 

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1.2 Tipologie di risposta adattativa 

Immunità umorale L’immunità umorale è mediata da molecole presenti nel sangue e nelle secr ezioni

dette anticorpi, prodotte da cellule dette linfociti B. L’immunità umorale è la  principale difesa contr o

microbi extracellulari e le loro tossine in quanto gli anticorpi secreti possono legare e assistere nell’elim-

inazione di queste molecole tossiche. Gli anticorpi di loro sono specializzati e differenti tipi di anticorpi

 possono attivare diversi meccanismi. 

Immunità cellulo-mediata L’immunità cellulo-mediata è legata ai linfociti T. Microbi intracellulariche sopravvivono e  proliferano all’interno di fagociti o altre cellule sono inaccessibili  per gli anticorpi:

 per  queste infezioni la difesa è legata all’immunità cellulo mediata che ne  promuove la distruzione.  

Immunizzazione L’immunità protettiva nei confronti di un microbo può essere indotta dalla rispos-

ta dell’ospite o dal trasferimento di anticorpi/linfociti specifici. L’immunità indotta dall’esposizione

diretta all’antigene è detta immunità attiva in quanto l’individuo immunizzato gioca un ruolo atti-vo; l’inoculazione di anticorpi/linfociti specifici crea invece un tipo di immunità che non  pr evede

l’esposizione dell’immunizzato  all’antigene: si  parla di immunità passiva. Un esempio di immunità

 passiva naturale è il trasferimento di anticorpi materni al feto. In ambito clinico l’immunità  ad un

microbo viene sempre misurata in maniera indiretta, cercando la  presenza dei  prodotti dell’immunità 

o amministrando derivati purificati del microbo e misurando la reazione indotta. 

1.3 Elementi comuni delle risposte adattative 

•  Specificità e diversità. Le risposte sono specifiche  per i diversi antigeni; le  parti degli antigeni

che vengono specificamente riconosciute dai singoli linfociti sono dette determinanti od epitopi.I singoli linfociti esprimono sulle loro membrane recettori che sono in grado di riconoscere le sottilidifferenze tra gli antigeni. Il numero totale di epitopi riconoscibili, detto repertorio linfocitario, è

enorme: si stima tra 107 e 109 . 

• Memoria. L’esposizionead un antigene migliora la capacità di risposta del sistema: le risposte alle

infezioni successive sono solitamente più rapide, ampie e spesso qualitativamente diverse dalla

risposta primaria. La memoria immunologica è in  parte dovuta all’espansione  dei cloni linfocitari

specifici per  quell’antigene e in  parte alla produzione delle cellule della memoria. 

•  Espansione clonale. I linfociti proliferano molto dopo esposizione ad un antigene. Il termine es- pansione clonale indica che la crescita è limitata alle cellule che esprimono recettori per  l’antigene. 

•  Specializzazione. Immunità umorale e cellulo-mediata sono stimolate da classi microbiche di-

verse (o diverse fasi dell’infezione).  

•  Contrazione ed omeostasi. Tutte le risposte immunitarie devono svanire nel tempo, facendo

ritornare il sistema immunitario allo stato basale, cioè alla sua condizione di omeostasi. La

riduzione/contrazione della reazione è dovuta soprattutto al fatto che le risposte innescate dagli

antigeni distruggono gli antigeni stessi, el iminando dunque lo stimolo. 

•  Non reattività al self . I linfociti non reagiscono a molecole self  grazie alla proprietà della tolleran-

za. La tolleranza viene mantenuta eliminando i linfociti autoreattivi: riduzioni di questa capacità

sono alla base delle malattie autoimmuni. 

1.4 Componenti cellulari della risposta adattativa 

Le cellule principali del sistema immunitario sono i linfociti, le APC e le cellule ef fettrici. I linfociti sono cellule che riconoscono gli antigeni estranei e mediano quindi l’immunità innata e

quella umorale. Esistono diverse popolazioni linfocitarie che differiscono nel modo in cui riconoscono

il non-self: 

•  Linfociti B. Questi linfociti sono gli unici in grado di produrre anticorpi. Riconoscono gli

antigeni extracellulari e si differenziano in  plasmacellule secernenti gli anticorpi: mediano dunque

l’immunità umorale. 

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•  Linfociti T. Questi linfociti mediano la risposta cellulo-mediata in quanto riconoscono antigeni

intracellulari e si attivano  per  distruggere microbi e cellule infettate. I linfociti T non  pr oducono

anticorpi e hanno una specificità ristretta  per gli antigeni: riconoscono solo antigeni peptidici

attaccati a  proteine codificate dall’MHC. I linfociti T consistono di popolazioni funzionalmente

distinte, tra le quali quelle codificate meglio sono le cellule T-Helper e le cellule T-Citotossiche. 

 –   Le cellule T -Helper  in risposta ad un’infezione secernono citochine che servono a stimolar e

la  proliferazione e la differenziazione delle cellule T stesse e l’attivazione di altre cellule tra cui

cellule B, macrofagi ed altri leucociti.  –   I linfociti T citotossici agiscono uccidendo le cellule che producono antigeni non-self. 

L’avvio e lo sviluppo dell’immunità adattativa richiede il sequestro e la presentazione degli antigeni

ai linfociti da parte delle APC. Le APC più specializzate sono le cellule dendritiche, che catturano gli

antigeni in arrivo dall’ambiente esterno e lo trasportano agli organi linfoidi per   presentarlo ai linfociti

T naive (vergini ed aspecifici) per  iniziare la risposta immunitaria. L’attivazione   dei linfociti da parte degli antigeni porta all’attivazione di vari meccanismi. L’elimi-

nazione dell’antigene richiede spesso la  partecipazione di cellule dette effettrici in quanto mediatrici

dell’effetto finale della risposta immunitaria. Linfociti T attivati, fagociti mononucleati e altri leucociti

funzionano da cellule effettrici in differenti risposte immunitarie. 

1.5 Riassunto delle risposte immunitarieai microbi Risposta precoce dell’immunità innata L’immunità innata blocca l’ingresso di microbi e ne limita

l’espansione qualora riuscissero a passare. I  principali tratti a rischio sono la cute, il tratto GI e

quello respiratorio: sono tutti ricoperti di epitelio continuo che fornisce una barriera efficace. Se il

microbo sfonda la  barriera trova i macrofagi che esprimono sulle loro membrane recettori che legano e

fagocitano il microbo o attivano altre cellule. I macrofagi attivati  producono ROS e enzimi lisosomiali

 per  distruggere il microbo, ma secernono anche citochine che promuovono il reclutamento di altri

leucociti. Le citochine sono responsabili di molti aspetti delle reazioni immunitarie e sono quindi

molecole messaggere. L’accumulo locale di leucociti e la loro attivazione  per  distruggere i microbi è

 parte di ciò che causa l’infiammazione. La risposta innata ad alcuni virus consiste nella pr oduzione

di citochine antivirali dette interferoni e nell’attivazione di cellule NK. I microbi che resistono a questo primo intervento possono entrare nel sangue dove vengono ri-

conosciuti dalle proteine circolanti dell’immunità innata: tra di esse le  più importanti sono quellefacenti parte del sistema del complemento. Il complemento può essere attivato direttamente dai

microbi (via alternativa) con il risultato dello stimolo infiammatorio e della fagocitosi del  patogeno,

oppure può essere attivato dagli anticorpi (via classica). 

Risposta adattativa La risposta adattativa ruota intorno a tre strategie: 

1. Anticorpi. Gli anticorpi secreti legano i microbi extracellulari, bloccandone la capacità infettiva e

 promuovendone la distruzione. 

2. Fagociti. I fagociti digeriscono e uccidono i microbi e le cellule T-Helper li favoriscono in questo. 

3. Linfociti T -Citotossici. I linfociti T -Citotossici uccidono le cellule infette inaccessibili agli anticorpi.

L’immunità adattativa produce un grande numero di linfociti durante la maturazione e, a seguito di stimolo antigenico, seleziona i  più utili  per  combattere il microbo: questo aumenta l’efficacia del

sistema. Il numero di linfociti naive  per ogni antigene è  basso (uno  per  milione) e la quantità di antigene è

spesso anch’essa limitata: esistono meccanismi specializzati nel catturare e concentrare microbi nel-la giusta posizione per  una stimolazione ottimale. Le cellule dendritiche sono le APC che portano gli

antigeni ai linfociti naive C D4+  e C D8+  e quindi fanno iniziare la risposta adattativa. Queste cellule cat-turano i microbi, ne digeriscono le proteine in  peptidi e li esprimono sulla loro superficie in associazione

a molecole MHC: si dirigono poi ai linfonodi dove stazionano. I linfociti specifici per  un gran numero di antigeni esistono già  prima dell’esposizione e, quando entra

l’antigene, questo seleziona e attiva cellule specifiche: questa è la  base dell’ipotesi della selezione 

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clonale. L’attivazione dei linfociti T -Naive richiede il riconoscimento del complesso antigene-MHC delle

cellule dendritiche: questo passaggio garantisce specificità all’immunità e non autoreattività. I linfociti C D4+  attivati proliferano e si differenziano i cellule effettrici le cui funzioni sono mediate 

dalle citochine secrete. Una delle prime azioni è la secrezione di interleuchina-2 (IL-2), un fattore

di crescita che agisce sui linfociti antigene-attivati e ne stimola l’espansione clonale. Queste cel-

lule effettrici lasciano l’organo linfoide dove sono state generate e migrano ai siti di infezione e

infiammazione. Ai siti di infiammazione le cellule effettrici compiono vari atti: alcune secernono

interferon-γ, un potente attivatore macrofagico. Altri CD4+ attivati secernono citochine che sti-

molano la produzione di IgE e attivano gli eosinofili, cioè leucociti in grado di uccidere parassititroppo grandi  per  essere fagocitati. 

I linfociti C D8+  attivati proliferano e differenziano in linfociti T-Citotossici che uccidono le cellule infette nel citoplasma. 

I linfociti B attivati proliferano e si differenziano in cellule che secernono diverse classi di anticorpi

con diverse funzioni. La risposta dei linfociti B agli antigeni proteici richiede segnali di attivazione

dai linfociti T C D4+  Helper. Parte della progenie dei cloni di cellule B si differenzia in plasmacellule

che producono anticorpi; gli antigeni polisaccaridici e lipidici stimolano soprattutto la  produzione di

IgM, mentre quelli proteici, grazie all’interazione delle cellule helper, inducono la  produzione di IgG,

IgA ed IgE. La risposta umorale agisce su vari fronti. Gli anticorpi si legano ai microbi impedendo lor o

di infettare cellule sane. Le IgG avvolgono i microbi e li destinano alla fagocitosi, in quanto i fagociti

(neutrofili e macrofili) riconoscono le code delle IgG. IgG e IgM attivano il complemento lungo la via

classica, e il complemento promuove la fagocitosi e la distruzione dei microbi. Le IgG sono trasportateattivamente attraverso la  placenta e  proteggono i neonati fino alla maturazione del sistema. La maggior 

 parte degli anticorpi ha emivita intorno alle tre settimane, anche se le cellule della memoria vivono per 

anni.

Capitolo 2. Immunità innata 

L’immunità innata è il meccanismo filogeneticamente più antico di difesa dai microbi e si è evoluta

con essi  per  difendere tutti i microorganismi pluricellulari. I ruoli di questo tipo di immunità sono

fondamentalmente due: 

1. Iniziare le risposte ai microbi che prevengono, controllano ed eliminano le infezioni. Questo ruolo

è fondamentale in quanto se viene eliminata l’immunità innata e mantenuta la sola adattativa

l’organismo risulta comunque molto più suscettibile alle infezioni. 

2. Stimolare le risposte adattative e influenzarne meccanismi ed ef ficacia. 

Alcune componenti dell’immunità innata sono sempre funzionanti, anche prima dell’infezione: queste

componenti sono le barriere fornite dalle superfici epiteliali della cute, del tratto GI e di quello r espira-

torio. Altre componenti sono inattive ma  pronte a rispondere rapidamente ai microbi: queste includono

i fagociti e il sistema del complemento. 

2.1 Caratteristiche generali 

•  L’immunità innata riconosce strutture caratteristiche dei microbi patogeni e per  questo non

 presenti sulle cellule dei mammiferi: il numero di caratteristiche riconoscibili è limitato. Le

sostanze microbiche che stimolano l’immunità vengono definite PAMPs, acronimo di PathogenAssociated Molecular Patterns, mentre i recettori che le legano sono definiti pattern recognition

receptors. Tra i PAMPs  principali si includono: 

 –   Acidi nucleici esclusivamente non-self, tra cui ds-RNA o con sequenze non-self, tra cui

sequenze non metilate di CpG DNA.

 –   Proteine che iniziano con  N-for milmetionina 

 –   LPS, acidi teicoici e oligosaccaridi ricchi in mannosio 

Grazie alla specificità  per  strutture microbiche l’immunità innata non potrà mai reagire contro

il self ;  per  contrasto l’immunità adattativa non reagisce contro il self  solamente perchè i linfociti

autoreattivi vengono eliminati:  per  questo motivo l’immunità adattativa è alla base delle malattie

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autoimmuni mentre quella innata non presenta questo pr oblema. 

•  L’immunità innata riconosce strutture microbiche fondamentali alla sopravvivenza del  patogeno,

in modo da evitare che questo possa disfarsene  per  evitare il controllo immunitario. 

•  I recettori per i PAMPs includono sia molecole associate alla cellula sulle membrane cellulari che

proteine solubili nel sangue e nei fluidi extracellulari. In generale l’attivazione di questi r ecettori

 produce una trasduzione del segnale che attiva funzioni infiammatorie e antimicrobiche oppur e

facilita l’assorbimento del microbo all’interno delle cellule. 

•  I recettori per i PAMPs sono codificati da DNA non riarrangiato somaticamente, quindi il numer odi combinazioni possibili è  basso: sono riconoscibili circa 1000 pattern molecolari. L’immunità

adattativa, sfruttando un riarrangiamento somatico dei geni, è invece in grado di riconoscer e

almeno 107  pattern molecolari diversi. In sostanza dunque l’immunità innata riconosce classi dimicrobi, mentre quella adattativa riconosce antigeni diversi dei diversi microbi e  perfino antigeni

diversi dello stesso microbo. 

•  L’immunità innata riconosce anche le cellule host danneggiate o stressate in quanto queste es-

 primono molecole normalmente rare nelle cellule sane. Tra queste molecole vanno inserite le HSP

(Heat Shock Protein), alcune molecole simil MHC-1e alcuni fosfolipidi di membrana. In questo mo-

do l’immunità innata può contribuire all’eliminazione di cellule infette anche se i prodotti micr obici

non sono esposti in super ficie. 

2.1.1 Recettori per PAMP 

La classe più importante, anche se non l’unica, di recettori PAMPs è quella dei TLRs. 

Toll-Like receptors Toll è un gene identificato inizialmente nella Drosophila la cui  proteina

media risposte antimicrobiche. Esistono undici diversi TLR  nell’uomo, chiamati TLR1-11, etutti con- tengono un dominio TIR  (Toll/Il-1 receptor) nel lato citoplasmatico che è fondamentale

 per la tras- duzione del segnale. Le  più importanti classi di cellule che esprimono i TLR  sono imacrofagi, le cellule dendritiche, i neutrofili, le cellule delle mucose epiteliali e le cellule endoteliali. ITLR si tr ovano sulle membrane cellulari in genere, sia membrane plasmatiche che intracellulari:

 possono dunque ri- conoscere infezioni in varie posizioni. I TLR  3,7,8 e 9 si collocano sul RE e sulle

membrane endosomiali dove riconoscono acidi nucleici esogeni; le tipologie di acido nucleico

riconosciute non sono esclusive microbiche, ma la  posizione lo è: questi TLR  riconoscono l’infezione

dunque non sulla base del  pr odotto ma su quella della sua collocazione cellulare. L’attivazione di un

TLR in genere attiva diversi pathway di segnalazione che terminano nell’attivazione di vari fattori di

trascrizione. La segnalazione inizia con il legame ligando-recettore che porta alla dimerizzazione deiTLR e il reclutamento di  proteine adat- tatrici contenenti un secondo dominio TIR; questo

reclutamento facilita quello di varie protein kinasi che fosforilano diversi fattori di trascrizione, tra iquali i più importanti sono:  

•  κB e AP-1, che stimolano la  produzione di citochine infiammatorie, chemochine e molecole

di adesione endoteliale. 

• IRF-3 e IRF-7 che stimolano l’espressione dei geni dell’interferone α/ β. 

Lectine tipo C Le lectine tipo C sono molecole C a++ -dipendenti che legano carboidrati e che sono

espresse principalmente su macrofagi, cellule dendritiche ed altri leucociti. Queste molecole

riconoscono strutture di carboidrati non presenti sulle cellule di mammifero: tra di esse quella

 più nota è il recettore per il mannosio. 

Recettori scavenger Molecole con la caratteristica comune di mediare l’uptake  di lipoproteine

ossi- date all’interno delle cellule. 

Recettori per N-formil-met/leu/phe Questi recettori riconoscono  piccoli peptidi contenenti

r esidui di  N-formilmetionile che sono caratteristici delle proteine batteriche (ma anche delle proteine

sintetiz- zate nel mitocondrio). Questi recettori sono espressi su neutrofili (FPR) e macrofagi (FPRL1): inentram-  bi i casi consentono ai fagociti di riconoscere e rispondere alle  proteine batteriche. Il

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funzionamento di questi recettori è quello di un recettore associato a proteina G: si attiva la via delfosfatidilinositolo e si promuovono riarrangiamenti del citoscheletr o. 

NLRs Sono una famiglia di molecole citoplasmatiche che fungono da sensori intracellulari diinfezione  batterica. Molte NLRs riconoscono il  peptidoglicano comunemente presente nelle pareti

 batteriche; a seguito del riconoscimento si ha il reclutamento della protein kinasi RICK  che inizia lacascata che termina con l’attivazione dei fattori di trascrizione κB e AP-1 (gli stessi dei TLR, quindi

 produzione di citochine e altri mediatori). 

Proteine CARD Il dominio CARD (Caspase Activation and Recruitment Domain) è contenuto inr e- cettori citoplasmatici che legano RNA virale e che attivano cascate segnalatorie che terminano

con l’attivazione  dei fattori di trascrizione IRF-3 e κB  che stimolano l’espressione di interferoni

antivirali di tipo I. 

2.2 Componenti dell’immunità innata 

Le  principali cellule effettrici dell’immunità innata sono neutrofili, fagociti mononucleati ecellule NK . Alcune di queste cellule, soprattutto macrofagi e NK, secernono citochine in grado diattivare i fagociti e stimolare l’infiammazione. L’infiammazione  è la reazione cellulare

dell’immunità innata e consiste nel reclutamento di leucociti e nell’uscita dai vasi di molte proteine

 plasmatiche verso il sito di infezione. L’infiammazione può anche danneggiare tessuti normali. Le proteine circolanti legate all’immunità innata sono invece quelle del complemento e altre che

riconoscono strutture microbiche, come le lectine leganti il mannosio. 

2.2.1 Barriere epiteliali 

Le tre principali sedi di contatto con l’ambiente esterno sono la cute, il tratto GI e quello r espiratorio.

Tutte e tre sono protette da un epitelio continuo: se questa continuità viene persa la suscettibilità alle

infezioni aumenta. Gli epiteli, come alcuni leucociti, producono peptidi antimicrobici, soprattutto defensine e catelici-

dine. 

Defensine Le defensine sono piccoli peptidi caratterizzati da tre ponti disolfuro; esistono tre famigliedi defensine (α,  β e φ)  distinte sulla base della posizione dei  ponti. Grandi produttrici di defensine

α sono le cellule del Paneth nell’intestino, questo  per  limitare il numero di microbi nel lume. Alcune

defensine sono prodotte in modo costitutivo ma la loro secrezione può essere stimolata da citochine o

 prodotti microbici. In altre cellule le defensine sono invece prodotte solo in risposta ad uno stimolo.

L’azione protettiva delle defensine include sia tossicità diretta  per i microbi che attivazione delle cellule

coinvolte nelle risposte infiammatorie. 

Catelicidine  Le catelicidine sono espresse dai neutrofili e dai vari epiteli. Un  precursore di 18kD

viene trascritto e digerito proteoliticamente in due peptidi, entrambi protettivi. Il frammento C- ter  -minale, detto LL-37, ha tossicità diretta  per  molti organismi e attiva diverse risposte leucocitarie,

oltre alla capacità di legare e neutralizzare LPS. L’altro frammento potrebbe anch’esso avere attività

antimicrobiche ma il suo ruolo è meno chiar o. 

Gli epiteli delle barriere e le cavità sierose contengono certi tipi di linfociti, tra i quali i linfociti T -intraepiteliali e il tipo B-1 delle cellule B che riconoscono e rispondono ai microbi comunemente in-

contrati. Alcune popolazioni dei linfociti T e B hanno bassa diversità perchè c’è  poca ricombinazione

genica: queste riconoscono strutture comunemente espresse dalle specie microbiche, in  pratica ri-

conoscono i PAMPs. I linfociti T-intraepiteliali sono presenti nell’epidermide della cute e negli epiteli

delle mucose: queste cellule hanno ruolo immunitario in quanto secernono citochine, attivano i fagociti

e uccidono le cellule infette. La cavità peritoneale contiene invece la popolazione B-1 dei linfociti B,

i cui recettori antigenici sono immunoglobuline; molte cellule B-1  producono anticorpi specifici verso

antigeni polisaccaridici e lipidici, tipo LPS. Individui normali hanno infatti anticorpi verso questi bat-teri, spesso presenti nell’intestino, senza avere alcun segno di infezione: questi anticorpi sono detti

anticorpi naturali e sono in gran parte prodotti dalle cellule B-1. Una terza popolazione di cellule

 presente sotto molti epiteli è quella dei mastociti che rispondono alle infezioni secernendo citochine e

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mediatori lipidici dell’infiammazione. 

2.2.2 Fagociti e risposte infiammatorie  

I fagociti, cioè neutrofili e macrofagi, sono cellule il cui ruolo primario è identificare, ingerire e

distruggere i microbi. La loro risposta funzionale consiste in una serie di step: 

1. Reclutamento al sito di infezione 

2. Riconoscimento  

3. Ingestione 

4. Distruzione 

In aggiunta a questo i fagociti producono citochine che svolgono importanti ruoli nelle risposte innateed adattative e nella riparazione dei tessuti.  

Neutrofili I neutrofili, detti anche leucociti polimorfonucleati, sono la popolazione più abbondante

dei globuli bianchi circolanti. Si tratta di cellule sferiche con diametro 12−15µm il cui nucleo si  presentasegmentato in tre/cinque lobuli. Il citoplasma contiene due tipi di granuli; il tipo  più abbondante è

 pieno di enzimi quali lisozima, collagenasi ed elastasi: questo granulo si colora molto  poco e infatti i

neutrofili appaiono con citoplasma chiaro. Il resto dei granuli è formato da lisosomi contenenti enzimimicrobicidi tra i quali defensine e catelicidine. I neutrofili vengono prodotti nel midollo osseo e

originano dalla stessa linea dei fagociti mononucleati. Un uomo adulto produce più di 1011 neutrofili al 

giorno, ciascuno dei quali circola nel sangue  per  circa sei ore. Se un neutrofilo circolante non

viene reclutato entro queste sei ore va incontro ad apoptosi e viene fagocitato dai macrofagi

residenti in milza e fegato. 

Fagociti mononucleati Queste cellule originano nel midollo osseo, circolano nel sangue e infine

mat- urano e diventano attive nei vari tessuti. La  prima cellula che entra nel sangue periferico

dopo aver lasciato il midollo è indifferenziata e  prende il nome di monocita. Una volta entrati neitessuti i monoc- iti maturano e diventano macrofagi, che assumono diverse forme dopo

l’attivazione da parte di stimoli esterni quali i microbi. I macrofagi attivati si  possono fondere tra

loro a formare cellule giganti multin- ucleate. La nomenclatura dei macrofagi varia a seconda deltessuto  per  indicarne la  posizione: nel SNC si  parla di cellule della microglia, nel fegato di cellule

del Kupffer, nel  polmone di macrofagi alveolari e nell’osso  di osteoclasti. Le cellule di tipomacrofagico sono le  più antiche filogeneticamente nel mediar e l’immunità innata: sono presenti

ad esempio nella Drosophila e anche nelle piante. I macrofagi rispon- dono alle infezioni

rapidamente quanto i neutrofili ma hanno un emivita molto più lunga, grazie anche al fatto che a

differenza di questi ultimi possono dividersi al sito infiammatorio. Per  questo motivo i

macrofagi sono le cellulle effettrici dominanti dopo uno o due giorni dall’infezione. 

Cellule dendritiche Le cellule dendritiche presentano lunghe proiezioni membranose e capacità

fagocitiche e sono largamente distribuite nei tessuti linfoidi, nelle mucose e nel  parenchima degliorgani. Queste cellule derivano da precursori nel midollo osseo e la maggior parte è legata alla

linea dei fagociti mononucleati. Le cellule dendritiche esprimono recettori PAMPs e rispondono

secernendo citochine. 

Reclutamento dei leucociti ai siti di infezione  Neutrofili e monociti vengono reclutati  per legame con molecole di adesione sulle cellule endoteliali e per  chemotassi. Il reclutamento è un processo a più step, ciascuno dei quali orchestrato da diverse molecole. 

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Rolling In risposta a microbi e citochine le cellule endoteliali delle venule postcapillari

aumentano l’espressione superficiale di  proteine chiamate selectine. I fattori di stimolo più

importanti sono il TNF e l’interleuchina1  (entrambi citochine). Due tipi di selectine sono

espressi: la selectina P, che è già  pronta in granuli e viene distribuita rapidamente, e laselectina E, che viene sintetizzata in risposta agli stimoli e viene resa disponibile entro un

 paio d’ore. Una terza selectina, chiamata selectina L, viene espressa sui linfociti e altrileucociti e media invece il direzionamento dei linfociti T naive verso i linfonodi. I leucociti

esprimono i ligandi  per le selectine sulle punte dei microvilli. Il legame selectina-ligando è a

 bassa affinità e  presenta grande rapidità di distacco grazie alla spinta del sangue: ilrisultato è che i leucociti non si  bloccano ma iniziano a rotolare sulla super ficie

endoteliale rallentando la loro corsa. 

Attivazione Le chemochine sono piccole citochine secrete dai macrofagi tissutali, dalle

cellule en- doteliali e da altre tipologie cellulari in risposta a TNF e IL-1. La loro funzione

 principale è stimo- lare la chemotassi. Le chemochine prodotte al sito di infezione

vengono trasportate sulla faccia luminale delle venule postcapillari dove si accumulano inalte concentrazioni. In questa sede le chemochine legano specifici recettori espressi sulla

superficie dei leucociti rotolanti. I leucociti es-  primono una famiglia di molecole di adesione

dette integrine che normalmente sono in uno stato di  bassa affinità. L’attivazione  deirecettori  per le chemochine produce due effetti: l’aumento  del- l’affinità delle integrine  per i loro ligandi e il loro accumulo superficiale in modo da aumentar e l’efficacia del legame delleucocita alla superficie endoteliale. 

Adesione Le citochine (TNF e IL-1) oltre all’attivazione delle integrine aumentano l’espressione en-

doteliale dei loro ligandi, in  particolare VCAM-1 (Vascular  Cell Adhesion Molecule, il ligando

dell’integrina  VLA-4) e ICAM-1 (Intercellular  Cell Adhesion Molecule, il ligando per le inte-

grine LFA-1 e Mac- 1). Il risultato finale è che i leucociti si attaccano saldamente

all’endotelio, riorganizzano il loro citoscheletro e si allontanano dalla superficie endoteliale. 

Trasmigrazione Le chemochine stimolano i leucociti adesi a migrare attraverso gli spazi endoteliali

lungo il gradiente chimico; altre proteine, tra cui CD31, giocano un ruolo in questo passaggio. I

leucociti presumibilmente producono enzimi che li aiutano nell’attraversare la  barriera. L’accumulo di leucociti nei tessuti è uno dei componenti fondamentali dell’infiammazione. Il  pr ocesso

di trasmigrazione è basato sull’espressione di varie moleole di adesione e varie chemochine; ad esempio

la migrazione dei neutrofili si  basa sul legame LFA-1/ICAM-1 e sui recettori per le chemochine CXCR1

e CXCR2, entrambi leganti CXCL8 mentre i monociti utilizzano il legame VLA-4/VCAM-1 e il r ecet-

tore CCR2 legante CCL2. La  progressione temporale di espressione di questi elementi garantisce che

vengano prima reclutati i neutrofili (ore/giorni) e poi i monociti (gior ni/settimane).  

Fagocitosi dei microbi La fagocitosi è un processo attivo di inglobamento di grandi particelle (di-

ametro oltre i 0.5µm). L’uccisione dei microbi avviene all’interno delle vescicole formate  per  fagocitosi,

in modo da proteggere il fagocita dai  processi potenzialmente dannosi. Il  primo passo nella fagocitosi è il riconoscimento del microbo. Neutrofili e macrofagi riconoscono

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solo cellule non self   perchè esprimono recettori specifici per i microbi, recettori tra i quali si contano

quelli  per i PAMPs, le lectine tipo C e gli scavenger. Un secondo gruppo di recettori riconosce pr oteine

dell’host che ricoprono i microbi: queste proteine sono dette opsonine e comprendono anticorpi,  pr o-

teine del complemento e lectine. Il processo che porta alla copertura del microbo con opsonine è detto

opsonizzazione. Uno dei metodi più efficaci di opsonizzare i microbi è ricoprirli di anticorpi; queste

molecole hanno da un lato una regione che lega l’antigene e dall’altro una regione, detta regione Fc,

che interagisce con le cellule effettrici del sistema immunitario. I fagociti esprimono recettori ad alta

affinità (FcγRI) per gli anticorpi IgG:  poichè gli anticorpi sono prodotti della difesa adattativa, si ha qui

un caso particolare in cui l’immunità adattativa attiva quella innata. Quando un microbo o una particella lega un recettore sul fagocita la membrana plasmatica si

redistribuisce e si estende intorno al microbo per poi chiudersi attorno ad esso formando una vescicola

detta fagosoma. Il fagosoma viene portato all’interno della cellula dove si svolgerà l’uccisione del

microbo da un lato e la  presentazione ai linfociti T dall’altro. 

Uccisione dei microbi fagocitati La fusione del fagosoma con i lisosomi crea un fagolisosoma dove

si concentrano quasi tutti i meccanismi microbicidi. I principali meccanismi sono: 

• Produzione di enzimi proteolitici nel fagolisosoma. Tra i più importanti nei neutrofili è l’elastasi,una serina proteasi. Un secondo enzima importante è la catepsina G: topi KO mostrano incapacità

di uccidere i batteri se mancano queste molecole. 

• Conversione dell’ossigeno molecolare in ROS che distruggono i microbi. Il principale enzima coin-volto è l’ossidasi  fagocitica, un enzima indotto da molti stimoli tra cui interferone e segnali dai

TLRs. Questo enzima converte l’ossigeno in radicali liberi con NADPH come cofattore nel  pr ocesso

chiamato burst respiratorio. L’ossidasi agisce inoltre come pompa protonica generando un gradi-

ente elettrochimico tra le membrane del vacuolo: questo crea il pH necessario per  attivare elastasie catepsina G. La malattia granulomatosa cronica è il risultato di una deficienza ereditata di

uno dei componenti del sistema dell’ossidasi. 

• Oltre ai ROS vengono prodotti intermedi reattivi dell’azoto, in  particolare ossido nitrico (NO)grazie all’azione della ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS). Nel fagolisosoma NO si combina con 

 perossido o superossido di idrogeno per  produrre molecole altamente reattive in grado di uccider e

i microbi. 

Una forte attivazione di neutrofili e macrofagi può danneggiare i tessuti normali dell’ospite  per  rilas-cio degli enzimi lisosomiali, di ROS e di NO: se questi prodotti entrano nell’ambiente extracellular e

diventano estremamente pericolosi. 

Funzioni accessorie dei macrofagi attivati Oltre all’uccisione fisica dei microbi i macrofagi attivati

servono molte altre funzioni di difesa. In aggiunta al TNF e all’IL1 già citate i macrofagi  pr oducono

IL-12 che stimola le cellule  NK e le T a produrre interferone gamma. Alte concentrazioni di LPS in-

ducono patologia sistemica caratterizzata da coagulazione disseminata, collasso vascolare e anor malità

metaboliche: tutti risultati di alti livelli di citochine secrete dai macrofagi attivati. I macrofagi attivati

 producono infine fattori di crescita  per  fibroblasti e cellule endoteliali  per  aiutare il rimodellamento

tissutale che segue le infezioni o i danni in generale. 

2.2.3 Cellule NK  Le cellule  NK  fanno parte di una linea di cellule legata ai linfociti e riconoscono le cellule infette o

stressate rispondendo con uccisione diretta o con la secrezione di citochine infiammatorie. Queste

cellule costituiscono fino al 20% delle cellule mononucleate di sangue e milza e sono rare negli altri tes-suti linfoidi. Oltre all’uccisione diretta queste sono una grande fonte di interferone gamma che attiva

i macrofagi  per far  uccider loro i microbi ingeriti. Le cellule  NK sono derivate da precursori midollari e

appaiono come grandi linfociti pieni di granuli citoplasmatici; queste cellule non sono linfociti T o B e

non subiscono riarrangiamento somatico: usano recettori codificati nel DNA germinale. 

Attivazione L’attivazione delle cellule  NK è regolata dal  bilancio tra i segnali in arrivo dai r ecettori

attivanti e da quelli inibenti. In generale i segnali attivanti devono essere bloccati da quelli inibitori per 

evitare l’attivazione della NK e l’attacco a cellule normali. Molti dei recettori sulle cellule NK riconoscono

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molecole MHC-1; queste molecole espongono vari  peptidi tra cui quelli derivanti dai microbi  per  il

riconoscimento da parte dei linfociti T C D8+ (le cellule  NK  usano però recettori di tipo diverso dailinfociti T per il riconoscimento). 

I recettori attivanti rilevano un vasto gruppo di molecole espresse da cellule stressate, infette o

trasformate. Uno dei recettori più studiati è NKG2D che lega una famiglia di  proteine simil MHC

che si trovano nelle cellule infettate da virus e in quelle tumorali. Un altro tipo di recettore, CD16,

lega le  porzioni Fc di alcune classi di IgG e  pertanto porta la cellula  NK  ad uccidere cellule ricoperte

di anticorpi (opsonizzate). Quando la segnalazione ha inizio si attivano cascate kinasi-dipendenti che

 portano all’avvio dell’attività citotossica verso le cellule portanti il ligando e alla produzione di citochine. I recettori inibitori si legano a molecole MHC-1 normalmente espresse nelle cellule sane. L’avvio  di

questi pathway porta all’attivazione di fosfatasi che competono con le kinasi stimolate dalle vie attivanti:

in questo modo le cellule sane sono protette dall’uccisioneNK-mediata. Il più vasto gruppo di r ecettori

inibitori è quello dei KIRs (Killer cell Immunoglobulin-like Receptor) che legano appunto molecole MHC.

Un secondo importante recettore è CD94/NKG2A che lega una molecola MHC detta HLA-E. Lo sviluppo e le attività delle  NK  sono stimolate anche da citochine, in  particolare IL-15 e IL-12 

 prodotte dai macrofagi sono fattori di crescita  per  queste cellule. 

Citotossicità Il meccanismo di uccisione delle NK è  praticamente lo stesso dei linfociti T -Citotossici.

Quando vengono attivate si ha esocitosi di  proteine nelle vicinanze delle cellule bersaglio; una  pr oteina,

detta perforina, facilita l’ingresso delle altre, dette granzimi, all’interno del citoplasma della cellula.

I granzimi sono enzimi in grado di iniziare l’apoptosi nella cellula bersaglio. Le cellule  NK  possonouccidere cellule infette prima che i linfociti T -Citotossici specifici diventino completamente attivi, quindi

nei  primi giorni di infezione. Durante le  prime fasi infettive le NK  vengono stimolate dalle citochine

dell’immunità innata, quali IL-12 e IL-15, inoltre l’interferone da esse secreto attiva i macrofagi  per  la

digestione dei microbi. 

2.2.4 Proteine circolanti 

Sistema del complemento 

Il sistema del complemento consiste in  parecchie proteine plasmatiche che vengono attivate dai

microbi e il cui ruolo è distruggere il  patogeno e generare infiammazione. Il riconoscimento avviene

secondo tre vie: classica, alternativa e lectina dipendente. La via classica sfrutta una proteina, dettaC1, che riconosce gli anticorpi IgM, IgG1 e IgG3 legati alla superficie di un microbo. La via alternativa,

filogeneticamente più antica ma scoperta dopo, è innescata dal riconoscimento diretto delle strut-

ture microbiche ed è dunque parte dell’immunità innata. La via lectino-dipendente è innescata dauna proteina detta MBL (Mannose-Binding  Protein)  che riconosce i residui di questo zucchero: una

volta avvenuto il riconoscimento si  porta ad attivare una delle proteine della via classica in assenza di

anticorpi grazie ad una serina proteasi associata. Il riconoscimento risulta nel reclutamento sequenziale di altre proteine in complessi di  proteasi. La

 proteina centrale del complemento, C3, viene spezzata e il suo segmento maggiore, C3b, viene deposi-

tato sul microbo riconosciuto: questo serve da opsonina  per   promuovere la fagocitosi. Il segmento

minore, C3a, viene rilasciato e promuove l’infiammazione  agendo da chemoattrattore  per i neutr ofili.

C3b lega altre proteine del complemento  per  formare una proteasi che spezza la  proteina C5 in C5a

e C5b. C5a stimola l’afflusso di neutrofili al sito di infezione mentre C5b inizia la formazione di un

complesso delle proteine C6, C7, C8 e C9 che vengono assemblate in un poro di membrana che causa

la lisi della cellula bersaglio. 

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Pentrassine Molte delle proteine che riconoscono i microbi fanno parte della famiglia delle pentras-sine, all’interno della quale si include la proteina C reattiva (CRP), l’amiloide P serico (SAP) e la

 pentrassi-na PTX3. Le concentrazioni plasmatiche di CRP sono molto basse negli individui sani ma

 possono aumentare di mille volte durante le infezioni: questo aumento è dovuto all’azione stimolante di

IL-6 ed IL-1 sul fegato. In generale la sintesi delle pentrassine è aumentata da queste interleuchine e si

 parla di reattivi di fase acuta. Sia CRP che SAP si legano a diverse specie differenti di  batteri e funghi.

CRP è un opsonina e  può anche attivare il complemento lungo la via classica. 

Collectine e ficoline Le collectine sono una famiglia di  proteine all’interno della quale tre riconoscono

 pattern molecolari nel sistema immunitario innato: si tratta di MBL, SP-A ed SP-D. MBL è un opsonina

che attiva il complemento lungo la via della lectina oltre che media una fagocitosi diretta. Le  pr oteine

surfactanti A e D si trovano negli alveoli del  polmone e agiscono anch’esse come opsonine  per  facilitare

la fagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. Le ficoline sono proteine plasmatiche simili alle collectine

ma con la differenza che non possiedono un dominio lectina tipo C (calcio dipendente).

Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitario adattativo 

Le cellule del sistema immunitario adattativo sono normalmente presenti come cellule circolanti nel

sangue e nella linfa, come aggregati negli organi linfoidi e come cellule sparse praticamente in ogni

tessuto. Le caratteristiche salienti di questo sistema sono 

• Presenza di tessuti specializzati, detti organi linfoidi periferici, che concentrano gli antigeni in

ingresso. Gli antigeni vengono trasportati qui dalle APC per il riconoscimento da parte dei linfociti. 

•  I linfociti naive migrano attraverso gli organi linfoidi periferici dove riconoscono gli antigeni e

iniziano le risposte immunitarie. Linfociti effettori e della memoria si sviluppano dalla  pr ogenie

dei linfociti naive stimolati in questo modo. 

• Linfociti effettori e della memoria circolano nel sangue verso i siti di ingresso antigenico dove

vengono efficacemente trattenuti. 

3.1 Cellule del sistema immunitario adattativo 

3.1.1 Linfociti 

I linfociti sono le uniche cellule in grado di riconoscere e distinguere i vari determinanti antigenici e

sono  per  questo le uniche responsabili della specificità e della memoria del sistema. A dimostrazionedel ruolo linfocitario: 

•  Si può ottenere immunità protettiva per  trasferimento da individui immuni a individui suscettibili

di linfociti e loro derivati. 

• Alcune immunodeficienze, sia congenite che acquisite, sono associate a riduzione linfocitaria.  

•  La stimolazione in vitro dei linfociti produce reazioni simili a quelle in vivo. 

•  I recettori specifici per gli antigeni sono prodotti dai linfociti e da nessun’altra cellula. 

I linfociti consistono di diverse famiglie differenti in funzionalità e in  prodotti proteici, tuttavia molto

simili dal  punto di vista mor fologico. I linfociti B, le cellule che producono anticorpi, sono così chiamati perchè negli uccelli maturano

nella borsa di Fabrizio.  Nei mammiferi i  primi stadi di maturazione di queste cellule si svolgono in-

vece nel midollo osseo. I linfociti T sono così chiamati  per via dei loro  precursori che originano nel

midollo ma migrano e maturano nel timo. I linfociti B e T consistono  poi di sottogruppi con funzioni

e caratteristiche fenotipiche distinte. I maggiori gruppi dei B sono le cellule B follicolari, le cellule B

marginali e le cellule B-1; per i linfociti T i maggiori sottogruppi sono i linfociti T-Helper e i linfociti

T-Citotossici cui recentemente si sono aggiunti i linfociti T C D4+  regolatori. I linfociti B e T hanno recettori antigenici distribuiti in modo clonale, esistono cioè molti cloni di

queste cellule con diverse specificità. I geni che codificano i recettori sono formati per  ricombinazione

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di segmenti di DNA durante la maturazione: essendo questo un evento in  parte random il numero di

combinazioni generabile è nell’ordine dei milioni. Alcuni sottogruppi, ad esempio le cellule B-1, sono

limitati nell’uso dei loro segmenti di DNA e quindi il loro repertorio è molto limitato. Le proteine di membrana espresse dalle varie popolazioni linfocitarie possono essere usate  per  dis-

tinguere le varie classi. Ad esempio molti linfociti T-Helper presentano la molecola CD4 mentre moltidei T-Citotossici presenta la molecola CD8. La nomenclatura dei markers linfocitari usa il numero CD,

dove CD sta per  Cluster di Dif ferenziazione. 

Classe  Funzione  Recettor e/specificità  Markers Linfociti T αβ C D4+  helper   Attivazione macr ofagi 

Differenziazione linfociti B TCR  αβ Complessi peptide-MHCII 

C D3+ , C D4+ , C D8− 

C D8+ citotox  Uccisione diretta di cellule infette e tumorali 

TCR  αβ Complessi peptide-MHCI 

C D3+ , C D4− , C D8+ 

Regolatori  Regolazione/tolleranza  TCR  αβ  C D3+ , C D4+ , C D25+ Linfociti T γδ  Helper e citotossica  TCR  αβ  C D3+ , altri CD variabili Linfociti B  Produzione Ig  Ig  Recettori Fc, MHCII, CD19 e 21 Cellule NK   Citotossicità dir etta  Rec. attivanti e inibitori  C D16+ Cellule NK-T  Regolazione  TCR  αβ  per  lipidi-CD1  C D16+ , C D3+ 

Sviluppo e attivazione dei linfociti Ilinfociti, come

ognicellula

del sangue dopo la nascita,

originano da cellule staminali nel midollo osseo. Tutte le  popolazioni vanno  poi incontro aduna complessa maturazione durante la quale esprimono i recettori antigenici e acquisiscono legiuste caratteristiche morfofunzionali. I linfociti B maturano in  parte nel midollo osseo, entrano incircolo, popolano gli or gani linfoidi periferici e completano li la loro maturazione. I linfociti Tmaturano completamente nel timo ed entrano  poi in circolo  per   popolare anch’essi  gli organi

linfoidi periferici. Le cellule B e T mature sono dette linfociti naive. A seguito di attivazione

antigenica, i linfociti vanno  poi incontro a successive modifiche fenotipiche e funzionali. L’attivazione   dei linfociti è composta di una serie di step della quale il  primo è la sintesi di

nuove proteine, tra le quali recettori  per le citochine e citochine, passo richiesto  per i cambiamenti

successivi. Le cellule naive vanno incontro a proliferazione in un processo detto espansione

clonale: il numero di cellule T specifiche può aumentare di 5·105 mentre quello di cellule B di 5·103 .In associazione all’espan- sione clonale si ha anche il differenziamento in cellule effettrici, la cui

funzione è eliminare l’antigene. Alcuni linfociti stimolati si differenziano in cellule della memoria,la cui funzione è invece mediare la risposta secondaria a esposizioni successive allo stesso

antigene. Le caratteristiche fondamentali delle varie fasi linfocitarie sono: 

•  Linfociti naive. I linfociti naive sono linfociti T o B maturi che non hanno mai

incontrato un antigene: questa condizione può durare al massimo tre mesi prima diattivare l’apoptosi. Questi linfociti sono difficili da riconoscere morfologicamente ma ingenerale sono abbastanza  piccoli. Il loro ciclo cellulare è  bloccato in fase G0 e si sbloccherà

solo a seguito di stimolazione. La sopravvivenza dei linfociti naive dipende dall’attività  deirecettori antigenici,  pr obabilmente stimolati da auto antigeni, e dalle citochine.

Probabilmente i naive riconoscono debolmente vari antigeni self in modo da garantirsi

una sopravvivenza a livello  basale. Le citochine sono fondamentali e i naive esprimono

recettori in modo costituitivo: fondamentale è in  particolar e IL-7 e il fattore attivante le

cellule B (BAFF). •  Linfociti effettori. A seguito di attivazione i linfociti naive diventano più grandi,

 proliferano e  prendono il nome di linfoblasti. Alcune di queste cellule differenziano  poi inlinfociti effettori, tra i  quali si inseriscono i linfociti T -Helper, i linfociti T -Citotossici e lecellule B secernenti anticorpi. Le cellule helper, solitamente C D4+  , esprimono in superficie

molecole come CD40L e secernono citochine che interagiscono con macrofagi e linfociti B.Sia le cellule effettrici C D4+  che le C D8+ presentano proteine che ne indicano la recente 

attivazione, tra cui CD25 e molecole MHC-II. Dato importante è che la maggior parte deilinfociti T effettori ha vita breve e non si rinnova. Molte delle cellule B secernenti anticorpi

sono riconoscibili morfologicamente come plasmacellule: si tratta di cellule con citoplasma

ricco e con un RE sviluppato. Si stima che in queste cellule metà dell’RNA  messaggero siadedicato agli anticorpi. 

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•  Cellule della memoria. Le cellule della memoria possono sopravvivere  per  anni dopo

l’elimi- nazione dell’antigene e  possono essere identificate dalla loro espressione di  proteine

superficiali. I linfociti B della memoria esprimono certe classi di Ig di membrana, tipo IgG,

IgE o IgA, mentre le cellule B naive esprimono solo IgM e IgD. Inoltre nell’uomo  la maggior 

 parte dei linfociti T naive esprime un’isoforma della proteina superficiale CD45 di 200kD

mentre le cellule della memoria la esprimono di 180kD in quanto soggetta a splicing. Lecellule della memoria sono eter ogenee; 

alcune, dette cellule T della memoria centrali, migrano preferenzialmente nei linfonodi, altre, dettecellule della memoria effettrici, circolano nel sangue o risiedono nelle mucose. 

3.1.2 APC 

Una APC è una cellula che presenta gli antigeni ai linfociti T. Le  principali APC sono le cellule

dendritiche. Un tipo specializzato di APC, detto cellula dendritica follicolare, presenta gli antigeni

ai linfociti B durante fasi  particolari delle risposte umorali. Le APC collegano le risposte innate alle

risposte adattative, e fanno parte dunque di entrambi i sistemi. 

Cellule dendritiche Le cellule dendritiche derivano da precursori midollari e si trovano in molti or -gani, dove catturano gli antigeni estranei e li trasportano agli organi linfoidi periferici. Le cellule

dendritiche presentano diversi recettori superficiali, tra i quali i TLR , che riconoscono i PAMPs etrasducono segnali di attivazione intracellulari. Una volta attivate queste cellule diventano mobili

e migrano ai tessuti linfodi periferici, dove  presentano l’antigene ai linfociti T. 

Fagociti mononucleati I macrofagi contenenti microbi ne  presentano gli antigeni alle cellule T dif-

ferenziate effettrici, le quali attivano  poi i macrofagi  per  uccidere i microbi stessi. Questo processo è

il  più importante meccanismo di immunità cellulo mediata nei confronti dei microbi intracellulari. La

funzione dei fagociti mononucleati è la fagocitosi e la produzione delle citochine che reclutano eattivano altre cellule nell’ambito della risposta innata; in ambito adattativo i macrofagi hanno ruolo

nella digestione ad esempio dei  patogeni opsonizzati. 

Cellule dendritiche follicolari Le FDC sono presenti nei follicoli linfatici di linfonodi, milza e tessuti

linfoidi delle mucose e non sono derivate da precursori midollari. Le FDC intrappolano gli antigeni in

complesso con gli anticorpi o i prodotti del complemento e li presentano  per il riconoscimento da partedei linfociti B. 

3.2 Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi 

 Nei mammiferi adulti i tessuti linfoidi primari, cioè generativi, sono il midollo osseo e il timo; i

tessuti linfoidi secondari sono invece i linfonodi, la milza, il sistema immunitario cutaneo e quello

delle mucose. Aggregati poco definiti di linfociti si trovano  poi nel connettivo e in quasi ogni altr oorgano ad eccezione del SNC.

3.2.1 Midollo osseo 

Il midollo osseo è l’unica sede di ematopoiesi nell’adulto; gravi danni a questo tessuto o forte richi-

esta di nuove cellule ematiche causano il reclutamento di milza e fegato come sede di ematopoiesiextramidollare. 

Tutte le cellule ematiche originano da una comune cellula staminale ematopoietica, che si dif-

ferenzia  poi lungo particolari linee. Le cellule staminali mancano dei marker delle cellule differen-

ziate, ed esprimono invece due proteine dette CD34 e Sca-1 (Stem Cell Antigen -1). La  pr oliferazione

e la maturazione dei vari  precursori cellulari nel midollo sono stimolate dalle citochine. Le citochine

ematopoietiche vengono prodotte dalle cellule stromali e dai macrofagi del midollo, creando così

un ambiente locale ematopoietico. 

3.2.2 Timo 

Il timo è la sede di maturazione delle cellule T e ha parenchima diviso in corticale e midollare. La

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corticale appare come una densa regione fatta di linfociti T, mentre la midollare è meno densamente

 popolata. I linfociti nel timo, detti anche timociti, sono linfociti T a vari stadi di maturazione; in

generale le cellule più immature sono verso la corticale, e le più pronte sono verso la midollar e. 

3.2.3 Linfonodi e sistema linfatico 

Il fluido interstiziale riassorbito, la linfa, scorre lungo i vasi linfatici i quali drenano nei seni sottocap-

sulari dei linfonodi. I vasi linfatici efferenti dei vari linfonodi si congiungono poi per  terminare nel dotto

toracico che scarica la linfa nella vena cava superiore, riconsegnando al flusso ematico. Il volume dilinfa prodotta al giorno è circa due litri. 

Le cellule dendritiche catturano gli antigeni microbici ed entrano nei vasi linfatici (altri antigeni

entrano invece in forma libera); i linfonodi agiscono da filtro e sondano la linfa: tutti gli antigeni e le

citochine infiammatorie raggiungono dunque questi tessuti. Giunte nei linfonodi, le cellule dendritiche

 presentano gli antigeni ai linfociti T naive  per  iniziare le risposte immunitarie adattative. Ogni linfonodo è avvolto da una capsula fibrosa perforata da parecchi vasi linfatici in arrivo, che

svuotano la loro linfa nel seno sottocapsulare. Oltre il seno la corteccia esterna presenta aggregati di

cellule detti follicoli, alcuni dei quali contenenti un’area centrale detta centro germinativo. I follicoli

 privi di centro germinale sono detti primari, quelli dotati sono detti secondari. I follicoli sono zone

costituite da linfociti B; i follicoli  primari contengono principalmente linfociti B naive, quindi maturi,

mentre i centri germinali sono sedi di sviluppo che appaiono in seguito a stimolazione antigenica.I linfociti T sono collocati principalmente in  profondità, nei cordoni paracorticali. Il 70% di questi è

C D4+  mentre i C D8+  sono più rari anche se le  proporzioni possono variare molto durante le infezioni. La segregazione anatomica delle diverse tipologie di linfociti è dipendente da citochine. I linfociti T

e B naive vengono consegnati al nodo attraverso un’arteria,  in  particolare entrano nel tessuto attraver  -so vasi specializzati detti venule ad endotelio alto. I linfociti T naive esprimono il recettore CCR7

che lega le chemochine CCL19 e CCL21 prodotte nelle regioni delle cellule T. Le cellule dendritiche

esprimono anch’esse  CCR7 e per  questo migrano nella stessa regione delle cellule T. I linfociti B

naive esprimono invece il recettore CXCR5 che riconosce la chemochina CXCL13, prodotta esclusiva-

mente nei follicoli. La segregazione anatomica garantisce che ogni  popolazione sia in contatto con la

corretta APC: cellule dendritiche  per i T, FDC per i B. A seguito di stimolazione antigenica i linfociti B

e T perdono i loro confini anatomici e diventano liberi di migrare r ecipr ocamente. 

3.2.4 Milza 

La milza, organo di 150g nell’adulto, appare suddivisa in  polpa bianca e  polpa rossa. Le regioni

ricche in linfociti dell’organo sono la polpa bianca e si  presentano organizzate intorno ad un’arteriola

centrale. L’arteria centrale è circondata da un manicotto di linfociti, quasi tutti T, che forma la guaina

linfoide periarteriolare. Numerosi piccoli rami dell’arteriola centrale passano attraverso le guaine e

drenano in un seno vascolare detto seno marginale. Oltre il seno marginale esiste una regione distinta,detta zona marginale, che forma il limite della polpa bianca ed è costituita da linfociti B e macrofagi

specializzati. La segregazione dei linfociti T nelle guaine e dei B nei follicoli e nelle zone marginali è un

 processo dipendente da citochine e chemochine come nel caso dei linfonodi: CXCR5/CXCL13 per i B,

CCR7/CCL19-CCL21  per i T. 

La milza è anche un importante organo per la filtrazione del sangue. Rami arteriolari dell’arteriasplenica terminano in una vasta rete di sinusoidi al cui interno sono presenti molti eritrociti, macr ofagi

e cellule dendritiche oltre a linfociti e  plasmacellule: è questa la polpa rossa. La  polpa rossa purifica

il sangue dai microbi e dai globuli rossi danneggiati. La milza è la principale sede di digestione deimicrobi opsonizzati: individui che ne sono  privi sono quindi particolarmente suscettibili a infezioni

da preumococco e meningococco, batteri  per i quali l’opsonizzazione è la  principale via di eliminazione.  

3.2.5 Sistema immunitario cutaneo 

Le  principali popolazioni cellulari dell’epidermide sono cheratinociti, melanociti, cellule del Langer  -hans epidermiche e cellule T intraepiteliali. Le cellule del Langerhans sono le cellule dendritiche

immature del sistema immunitario cutaneo: formano una sorta di rete continua capace di catturar e

antigeni. Quando queste cellule incontrano un antigene diventano mobili, iniziano ad esprimere il

recettore CCR7 e seguono le chemochine fino ad arrivare ai linfonodi. 

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3.2.6 Sistema immunitario mucosale 

 Nella mucosa del tratto GI i linfociti sono reperibili in tre regioni principali: lo strato epiteliale, nellalamina propria come elementi sparsi o nella lamina propria in gruppi organizzati come le placche

del Peyer. La maggior parte di quelli epiteliali è di tipo T, quasi tutti C D8+ . La lamina propria in-

testinale contiene una popolazione mista di cellule che include linfociti T per la maggior parte C D4+

con fenotipo di cellula attiva; esiste anche un grande numero di linfociti B attivati e  plasmacellule, maanche macrofagi, cellule dendritiche, eosinofili e mastociti.  

In aggiunta ai linfociti sparsi esistono queste regioni organizzate tra le quali le  più importanti sonole  placche del Peyer. Le regioni centrali di questi follicoli sono ricche in cellule B e spesso contengono

centri germinali; le  placche del Peyer presentano inoltre alcune cellule T C D4+ . Follicoli simili alle

 placche sono frequenti nell’appendice e in  buona parte dei tratti GI e respiratori. Le tonsille faringee

sono infine follicoli linfoidi analoghi alle  placche.  

3.3 Vie e meccanismi di homing e ricircolo linfocitario 

I linfociti naive si muovono dalla circolazione ai linfonodi e viceversa  per   parecchie volte, finchè non

incontrano l’antigene che sono in grado di riconoscere. Questo ricircolo linfocitario  permette al

 piccolo numero di linfociti naive di cercare il loro specifico antigene attraverso il corpo. Alcuni linfociti

attivati migreranno  poi verso particolari tessuti, come ad esempio la  pelle o l’intestino: questo  pr ocesso

di migrazione selettiva è detto homing. 

I meccanismi di migrazione linfocitaria sono simili a quelli di migrazione degli altri leucociti ai sitiinfiammatori. Le molecole di adesione espresse sui linfociti sono spesso dette recettori homing e i

loro ligandi espressi dalle cellule endoteliali sono detti adressine. Le chemochine coinvolte nel traf fico

linfocitario sono prodotte in maniera costituiva dagli organi linfatici secondari e in maniera inducibile

ai siti di infezione. Il meccanismo di homing è estremamente efficente, e il flusso netto di linfociti attraverso i linfonodi

è pari a 25 · 109 unità giornaliere. Un’infiammazione periferica è in grado di generare un significativo

calo nell’afflusso linfocitario ai linfonodi e un contemporaneo aumento di quello ai siti infiammatori:questo meccanismo transiente coinvolge gli interferoni alfa e  beta. 

3.3.1 Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T 

I linfociti T naive migrano nello stroma dei linfonodi attraverso venule postcapillari modificate dette ad

endotelio alto, le quali esprimono molecole di adesione e chemochine particolari. La sequenza di eventiè sempre la stessa per  qualsiasi passaggio, in  particolar e: 

1. Il rolling è in questo caso mediato dalla selectina-L che lega una adressina (PNAd, Peripheral  Node Addressin) sul’endotelio delle venule ad endotelio alto. 

2. L’adesione stabile è mediata dalle integrine LFA-1 e VLA-4. 

3. L’affinità delle integrine è aumentata dalle chemochine CCL19 e CCL21, delle quali in  particolar ela  prima è costitutivamente espressa dalle venule ad endotelio alto. Per  entrambe queste molecole

il recettore è CCR7. 

Le cellule naive andate incontro ad homing ma che non hanno incontrato l’antigene ritornano al flusso

sanguigno in un processo dipendente da un chemoattrattore detto sfingosina 1-fosfato (S1P); questamolecola è concentrata nel sangue e nei linfonodi rispetto ai tessuti. S1P lega un recettore (S1P1)

accoppiato a proteina G specifico e i segnali che si generano stimolano il movimento delle cellule T

naive lungo il gradiente S1P, quindi al di fuori del  parenchima nodale. I linfociti T naive cir colanti

esprimono  poco il recettore  per S1P in quanto essendo la molecola concentrata nel sangue si ha in-

ternalizzazione del recettore.  Quando un naive entra nel linfonodo servono  poi ore per  ripristinare il

recettore e quindi si ha tempo di interagire con le APC. A seguito dell’attivazione il linfocita riduce l’e-

spressione di S1P1 e rimane nel linfonodo per  alcuni giorni, il tempo di differenziarsi; a differ enziazione

avvenuta S1P1 torna ad essere espresso e la cellula lascia il linfonodo in direzione dei tessuti periferici. La migrazione delle cellule T naive nella milza è meno regolata, e il trasferimento è guidato da

fattori passivi piuttosto che dal coinvolgimento di selectine, integrine o chemochine. Pur essendo una

migrazione meno efficiente, il numero di linfociti di  passaggio  per la milza è enorme: almeno metà del

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totale attraversa l’organo ogni gior no.  

3.3.2 Migrazione ai siti infiammatori 

Un aspetto fondamentale della differenziazione dei naive in effettori è il cambiamento dei recettori  per  le

chemochine e delle molecole di adesione: questo ne cambia il comportamento migratorio. L’espr essione

delle molecole coinvolte nell’homing delle cellule naive cala subito dopo l’attivazione antigenica: le

cellule effettrici in questo modo non sono più costrette a stare nel linfonodo. L’uscita  dal nodo è

guidata anche dalla via di S1P e del suo recettore S1P1. Le cellule effettrici esprimono molecole diadesione e recettori  per  chemochine che legano molecole tipicamente presenti sulle cellule endoteliali

ai siti infiammatori. Alcune cellule effettrici hanno propensione per tessuti particolari, e la selettività è acquisita nel

 processo di differenziazione. In questo modo il sistema adattativo dirige cellule specializzate alle lor o

sedi preferenziali in modo da gestire infezioni di tipo  particolare. Ad esempio le cellule effettrici della

 pelle esprimono il ligando CLA-1 per la selectina E, e i recettori CCR4 e CCR10  per le chemochine

CCL17 e CCL27, tutte molecole tipiche della cute infiammata. 

3.3.3 Migrazione delle cellule della memoria 

Sono state definite due tipologie di cellule della memoria: centrali ed effettrici. Le cellule centrali tipi-

camente migrano agli organi linfoidi secondari mentre le effettrici ai tessuti periferici. In generale

le cellule dirette ai tessuti periferici rispondono a stimolazione antigenica con una rapida pr oduzionedi citochine mentre quelle dirette ai tessuti linfoidi secondari tendono a proliferare di  più e a for nir e

funzioni di supporto alle cellule B. 

3.3.4 Homing dei linfociti B 

I linfociti B immaturi abbandonano il midollo e entrano nella milza dove maturano come cellule B

follicolari o cellule B marginali. Quando le cellule B follicolari maturano queste migrano nella polpa

 bianca in risposta ad una chemochina, CXCL13, che lega il recettore CXCR5 e alle chemochine CCL19

e CCL21 che legano il recettore CCR7. Quando la maturazione è completa nella polpa bianca i linfociti

B naive rientrano in circolo e si dirigono ai linfonodi. L’homing  dei B naive ai linfonodi coinvolge molecole già viste: la selectina-L, CCR7, LFA1 (che

lega PNAd), CCL19, CCL21 e ICAM-1. In aggiunta i naive esprimono il recettore CXCR4 che lega la

chemochina CXCL12. Una volta entrati nello stroma degli organi linfoidi secondari i linfociti B migrano

nei follicoli grazie alla chemochina CXCL13 (ma nel caso delle placche del Peyer la molecola è CXCR5).

Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni 

Gli anticorpi sono proteine circolanti prodotte nei vertebrati in risposta all’esposizione a struttur e

estranee. Queste molecole possono esistere in due for me: 

• legate alla membrana dei linfociti B con funzione di r ecettori 

• secrete in circolo dove agiscono neutralizzando tossine e  prevenendo l’ingresso di agenti patogeni 

Assieme al complesso maggiore di istocompatibilità e ai recettori  per  l’antigene dei linfociti T, costituis-

cono le tre classi di molecole coinvolte nel riconoscimento dell’antigene. Le funzioni effettrici anticorpo

mediate mirano all’eliminazione dell’antigene mediante processi diversi tra i quali l’opsonizzazione,  la

citotossicità diretta, l’attivazione del complemento e l’ipersensibilità immediata che attiva i mastociti.  

4.1 Produzione e distribuzione degli anticorpi 

Le uniche cellule in grado di  produrre gli anticorpi sono i linfociti B in seguito ad esposizione con

l’antigene. Le  prime fasi avvengono principalmente negli organi linfoidi, soprattutto milza e tessuti

linfoidi associati a mucose, anche se  plasmacellule di lunga durata si ritrovano nel midollo osseo. Una

volta attivati i linfociti B diventano plasmacellule in grado di secernere anticorpi e tali cellule riescono

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a persistere per  lungo tempo. Un uomo adulto produce ogni giorno circa 2-3 g di anticorpi che tuttavia

hanno una emivita molto breve, pari a circa tre settimane. Almeno i due terzi di questi anticorpi fanno

 parte della classe delle IgA. Gli anticorpi una volta prodotti spesso si attaccano a cellule effettrici del

sistema immunitario quali cellule NK, fagociti mononucleati e mastociti. 

4.2 Struttura molecolare 

Prima di  passare alla struttura vera e  propria è opportuno fare una parentesi sugli anticorpi mono-

clonali: questi sono stati essenziali per  comprendere la struttura di tutti gli anticorpi. Visto che ogni

linfocita B  produce anticorpi con un’unica specificità, e  purtroppo questi hanno emivita molto br eve,

 per  studiare la struttura degli anticorpi sono stati creati linfociti B immortali detti “ibridomi”.  Queste

cellule sono state ottenute mediante fusione di linfociti B con cellule di mieloma multiplo, tumor emonoclonale delle plasmacellule. Gli anticorpi prodotti da tali cellule sono detti “anticorpi monoclon-

ali”. Per  osservare la struttura di un anticorpo di uno specifico antigene, si immunizza un ratto contale antigene e se ne isolano i linfociti B  prodotti, utilizzati  poi per la creazione dell ibridoma. Ogni ib-

ridoma darà  poi origine a progenie di ibridomi specifici per tali antigene. Per  confermarne la specificità

si effettuano saggi immunologici con l’antigene  in questione. Questa scoperta degli ibridomi è stata

utilizzata in molte applicazioni e tra le più comuni ricordiamo: 

• classificazione dei linfociti in  base al fenotipo espresso mediante legame con anticorpi specifici. 

• immunodiagnosidi molte malattie sistemiche mediante riconoscimento in circolo di determinatiantigeni 

• diagnosi di tumori 

• terapia ad esempio di artriti reumatoide o tumore alla mammella 

• evidenziare presenza di citochine mediante valutazione se l’anticorpo stimola o inibisce una de-

terminata cellula. 

Essendo gli anticorpi monoclonali proteine estranee al nostro organismo, questi creavano un certo

grado di resistenza. Sono stati creati i cosiddetti anticorpi umanizzati mediante inserimento geneticodel segmento che codifica  per i siti di legami specifici dell antigene all’interno del segmento di DNAche codifica l’impalcatura  dell’anticorpo. L’anticorpo ha cosi sembianze “umane” ma sito di legame

specifico. Le immunoglobuline appartengono alla famiglia delle gammaglobuline (gamma  per la velocita

elettroforetica e globuline  per la solubilità). Tutti gli anticorpi condividono la stessa struttura di  basee differiscono solo nel sito di legame antigenico in cui vi è elevatissima variabilità. Una molecola

anticorpale ha una struttura simmetrica composta da due catene leggere e due pesanti. Queste 

catene sono costituite dai cosiddetti domini Ig costituiti da una serie di circa 110 amminoacidi disposti

a “sandwich”. Ogni dominio è costituito da due β  foglietti costituiti da 5 nastri polipeptidici uniti da α

eliche e  ponti di solfuro. Molte  proteine nel nostro organismo che mediano processi di riconoscimento

sfruttano i domini Ig e tali  proteine vengono classificate come appartenenti alla superfamiglia delle

immunoglobuline.

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Sia le catene pesanti che quelle leggere posseggono una regione variabile V amino terminale e una

regione costante C carbossiterminale.  Nelle catene pesanti la regione V è composta da un dominio Ig

e la regione C da tre domini Ig. Nelle catene leggere sia la V che la C da un dominio Ig. Le estr emita

C delle catene pesanti sono legate covalentemente tra di loro nella regione CH2 tra due cisteine vicino

alla regione “hinge” o cerniera. Queste regioni C sono quelle che tengono ancorate le Ig ai linfociti B

e sono le responsabili della maggior parte delle interazioni con le cellule effettrici. Le interazioni con le

cellule effettrici (es linfociti citotossici) sono ristrette a queste regioni che non hanno niente a che far e

con il riconoscimento dell’antigene, evento legato alle regioni V. Le regioni C delle catene leggere sonolegate alle regioni C delle catene pesanti ma non interagiscono né all’ancoraggio né alle interazioni con

altre cellule. Se si tratta un Ig con la papaina questa viene tagliata a livello della cerniera e si formano tr e

 pezzi separati: due  pezzi identici detti Fab sono costituiti ciascuno da una catena leggera legata a una

catena pesante; tali segmenti hanno mantenuto la capacità di legare l’antigene. Il terzo pezzo detto Fc è

costuito da due segmenti identici di catena pesante Ch2 e Ch3 legati da ponti di solfuro; tale segmento

non ha capacita di legare antigeni. 

Regioni variabili V Ogni anticorpo ha due catene leggere e due pesanti che vanno a delimitare duesiti di legame  per  due antigeni. La maggior parte delle differenze tra due anticorpi risiede in tre piccoli

segmenti delle due regioni variabili: questi tre segmenti detti regioni ipervariabili sono situati nelle

anse che connettono i β  foglietti adiacenti nel dominio Ig e hanno una lunghezza di circa 10 amminoaci-

di. Le tre regioni ipervariabili dette CDR1, CDR2, CDR3, della catena pesante si associano a quelle

della catena leggera per  formare quella struttura tridimensionale che costituisce il sito di legame per 

l’antigene.  Le sequenza adiacenti a tali regioni sono altamente conservate e mantengono la forma dei

domini Ig pressochè identica nei diversi anticorpi. 

Regioni costanti C Gli anticorpi sono divisi in classi e sottoclassi in  base alle differenze nella strut-

tura presenti nelle regioni costanti delle catene pesanti. Le diverse classi anticorporali, dette isotipi,

sono IgA, IgE, IgM, IgG e IgD. IgA e IgG sono ulteriormente divise in IgA 1 e 2 e IgG 1, 2, 3 e 4. Le catene pesanti di uno stessi isotipo hanno la medesima sequenza amminoacidica e tali catene

vengono nominate con la lettere greca corrispondente al loro isotipo (α, ε,  γ, µ, δ). Isotipi diversi

svolgono funzioni diverse, infatti abbiamo visto essere le regioni C delle catene pesanti a determinar e

il tipo di interazione e quindi di risposta delle cellule effettrici. Gli anticorpi sono capaci nonostante

la loro forma a Y di legare antigeni situati a 180 gradi tra loro grazie alla loro flessibilità dovuta a duefattori: 

• capacità dei domini Vh (v delle catene pesanti) di ruotare attorno al corrispondente dominio Ch 

• flessibilità della regione cerniera tra Ch1 e Ch2 

Esistono due tipi di catene leggere, una κ  e una λ. Ciascun anticorpo è omogeneo per le due catene,ovvero non contiene mai una catena κ  e una λ  ma sempre due catene dello stesso tipo.  Nell’uomo il 60% delle Ig è formato da catene κ.  In  pazienti con tumori delle cellule B ovviamente questo rapporto

varia e dunque si usa questo dato per  valutare la  presenza di eventuali neoplasie. Abbiamo detto che le

catene pesanti sono costituite da tre domini Ig, e che gli anticorpi esistono in forma secreta o in for ma

di membrana; la sequenza amminoacidica C terminale dell’ultimo dominio Ig delle catene pesanti è

quella che determina se un anticorpo sarà di secrezione o di membrana. La  porzione carbossiterminale

è idrofila, negli anticorpi di membrana in aggiunta vi è una regione transmembrana idrofobica seguitada una regione intracellulare carica positvamente che la ancora alla membrana. Le IgG e IgE secrete

sono semplici monomeri ovvero due catene leggere e due pesanti. Le IgD non esistono in forma

secreta, mentre le IgA sono spesso dimeri (4e4)e IgM sono o pentameri o esameri dotate di un

 peptide addizionale detto catena  j deputato a stabilizzare il complesso. 

4.2.1 Interazione con l’antigene  

Un antigene è una qualsiasi molecola che possa legarsi a un anticorpo o a un linfocita T. Gli anticorpi

 possono legarsi praticamente a qualsiasi tipo di molecola mentre i linfociti principalmente a peptidi,

tuttavia solo determinati antigeni riescono ad attivare i linfociti e questi sono definiti immunogeni. Ad

esempio perchè si attivi un linfocita B serve che sia una macromolecola, composti di  piccole dimensioni

 possono si legarvisi ma non attivarlo; è neccessario che questi piccoli antigeni definiti apteni siano

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accompagnati da una macromolecola definita carrier. Il complesso aptene-carrier  è molto piu grande

della regione di legame dell’anticorpo  di conseguenza l’anticorpo  si lega solo a una regione definitadeterminante o epitopo. Se un antigene presenta piu determinanti identici contemporaneamente è

detto polivalente. Se i determinanti sono ben separati più anticorpi identici potranno legarsi allo stesso

antigene senza influenzarsi, se gli epitopi sono molto vicini ecco che compare un grado di interferenza. I

determinanti costituiti dalla semplice sequenza amminoacidica sono detto determinanti lineari, quelli

invece costituiti da una struttura tridimensionale sono detti determinanti conformazionali e sono

dovuti alla disposizione spaziale e non lineare degli amminoacidi. Modificazioni quali glicosilazione ecc

 possono, alterando la struttura proteica, creare nuovi epitopi detti determinanti neo-antigenici. Il riconoscimento dell’antigene da parte dell’aticorpo è costituito da legami non covalenti re-

versibili quali forze di van der  Waals e interazioni idrofobiche. La forza di tale legame tra Ig e il

suo antigene è detta affinità ed è espressa da una costante di dissociazione Kd: minore è la K  e

maggiore è la affinità. Un siero umano contiene una miscela di anticorpi  per lo stesso antigene con

affinità differenti. Antigeni polivalenti posseggono piu siti di legame e la forza di legame sarà differ ente

da quella di un singolo legame: tale forza complessiva è detta avidità. In questo modo un Ig con  bassa

affinità può comunque avere una grande avidità. Un antigene polivalente si associa con gli anticor  - pi e, a una determinata concentrazione detta zona di equivalenza, vanno a formare una rete dettaimmunocomplesso. Aumentando le concentrazioni di antigene o anticorpo tali immunocomplessi si

rompono in complessi più piccoli a causa della competitività.

4.2.2 Riconoscimento dell’antigene 

Gli anticorpi riconoscono una ampia varietà di antigeni e la loro efficienza è  possibile grazie alle

 proprietà delle loro regioni V: 

•  Specificità: Gli anticorpi sono estremamente specifici essendo in grado di distinguere minime

differenze nella struttura chimica degli Ag, addirittura la variazione di un singolo residuo am-

minoacidico. Tuttavia alcuni possono legarsi anche a un Ag normalmente non correlati a causa

della cosiddetta cross-reattività, tale fenomeno può essere la cause dell’insorgenza di malattie

immunitarie. 

•  Diversificazione: Un individuo è in grado di generare un numero enorme di anticorpi differenti e

l’insieme complessivo dei diversi isotipi è detto repertorio anticorpale. 

•  Maturazione dell’affinità: In seguito a stimolazione dall’antigene i linfociti B sono in grado di

 produrre anticorpi con maggiore affinità di quelli che erano già in circolo  per lo stesso antigene. 

Abbiamo detto che è la porzione Fc a determinare la funzione effettrice. Tuttavia si è visto che i

sistemi effettori sono attivati dalla porzione Fc solo se l’anticorpo è contemporaneamente legato nella

 porzione Fab, inoltre  per  attivare i recettori Fc (FcR) delle cellule effettrici servono almeno due molecole

anticorporali legate a “ponte”per ciascuna cellula.  Nelle cellule B sono normalmente espressi le IgMe IgD, queste una volta legato l’antigene possono andare incontro a una modificazione della Fc dettaswitching isotopico che fa variare la regione C ma non la V, quindi varia l’effetto ma non il ligando.

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Capitolo 5. Complesso maggioredi istocompatibilità 

Il sistema umorale combatte gli antigeni extracellulari in due modi: ne  blocca l’azione e ne  pr omuove

l’eliminazione.  Nel caso di antigeni extracellulari abbiamo visto che il testimone passa ai linfociti T che

tuttavia necessitano di recettori esposti sulle cellule bersaglio che presentino l’antigene ai  propri r ecet-

tori.Questa funzione è svolta dal complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Vi sono due principali

 prodotti genici dell’MHC :le molecole MHC di classe I che presentano gli Ag ai linfociti citotossici e le

molecole di classe 2 che li presentano ai linfociti helper. 

5.1 Scoperta dell’MHC 

5.1.1 Scoperta nel topo 

Alcuni geni sono rappresentati da una unica sequenza di DNA identica in tutta la  popolazione e tali sono

geni non-polimorfici e in genere sono presenti in modo omozigote su entrambi i cromosomi; altri geni

esistono in forme alternative, ciascuna variante è detta allele, e vengono chiamati geni polimorfici.Individui detti imbred sono omozigoti di ogni locus genico e in ogni ceppo di tali individui ogni topo

è geneticamente identico a un ogni altro: questi organismi si ottengono tramite ripetuti incroci tra

individui consanguinei. Trapianti cutanei all interno di un stesso ceppo imbred venivano accettati, mentre tra ceppi venivano

rifiutati. I geni responsabili di tale rigetto sono detti geni di istocompatibilità; mediante trapianti tra

ceppi che differivano un un solo locus è stato possibile identificare quello responsabile del rigetto ed

è stato chiamato locus maggiore di istocompatibilità: esso era legato a un gene sul cromosoma 17

che codificava l’antigene 2 quindi venne chiamato H2. Successivamente si è visto che tale r egione

conteneva diversi geni correlati con la istocompatibilità, venne quindi ribattezzata complesso maggiore

di istocompatibilità. Qual è il ruolo dell’MHC? I trapianti cutanei non sono qualcosa di naturale, quindi il vero ruolo del

complesso rimase un mistero per  molto tempo dopo la sua scoperta. Ceppi allogenici per MHC avevano

grosse differenze nella capacità di sintesi di anticorpi specifici: i geni rilevanti in tali differenze, chiamati

geni della risposta immunitaria Ir, furono anche essi mappati all’interno del MHC, chiarendone

definitivamente il ruolo biologico. 

5.1.2 Scoperta nell’uomo 

Le molecole umane del MHC sono chiamate antigeni leucocitari umani (HLA) corrispondono alle H2

del topo. Sieri di  pazienti contenenti anticorpi contro antigeni espressi da individui allogenici sono

detto alloantisieri, gli anticorpi alloanticorpi e gli antigeni alloantigeni. Questi antigeni sono i nostriHLA .I  primi tre geni definiti sono HLA-A, HLA-B, HLA-C: questi sono identificati come geni MHC

di classe I e sono gli omologhi dell’ H2 del topo responsabili del rigetto nel trapianto(non-self). I geni

Ir del topo responsabili della produzione di anticorpi, nell’uomo corrispondono ai geni MHC di classe

II e sono HLA-DR , HLA-DP, HLA- DQ. 

 Nell’uomo  il cromosoma che contiene tutto il complesso maggiore di istocompatibilità è il cromosoma 6. 

In generale le proprietà dei geni dell’MHC  possono riassumersi in: 

• Codifica di due gruppi di  proteine (I e II) strutturalmente distinte ma omologhe 

• Sono i geni con il  più alto grado di  polimorfismo dell’intero genoma:  per HLA-B esistono almeno 250 alleli differ enti 

• Sono geni espressi in codominanza in modo da massimizzare il numero di molecole MHC sintetiz-

zabili 

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Il set di alleli MHC di un individuo è definito aplotipo. 

5.2 Struttura delle molecole MHC 

Tutte le molecole Mhc hanno in comune determinate caratteristiche: 

• Sono tutte formate da una tasca extracellulare per  legare il peptide e da una coppia di domini Ig

ancorati alla cellula. •  La tasca è costituita da doppie α  eliche poggiate su un pavimento costituito da otto β  foglietti. Le

regioni variabili sono situate all’interno di questa tasca. 

•  I domini Ig sono non-polimorfici e sono i reponsabili delle interazioni e legame con i linfociti T. 

5.2.1 Molecole MHC di classe I 

Queste molecole sono espresse su tutte le cellule nucleate .Sono costituite da due catene polipep-

tidiche legate non covalentemente, una catena α codificata da MHC e una β non codificata da MHC

detta β  microglobulina. La catena α è per  due terzi extracellulare mentre la  parte carbossiterminale è

all’interno della cellula. La  parte esterna è costiuita da tre segmenti α1, α2 e α3. I segmenti ammino

terminali α1 e α2 sono i siti in cui vi sono le regioni polimorfe e vanno a contribuire nella for mazione

della tasca. La regione α3 è conservata identica e contiene un’ansa  per il legame con i CD8. La catenaβ non contribuisce né alla tasca né all’ansa  di ancoraggio: essa è legata non covalentemente con la

regione α3. Affinche il complesso di classe I possa essere esposto sulla superficie necessita che sia in

tal modo assemblato e che inoltre sia legato ad un peptide antigenico. 

5.2.2 Molecole MHC di classe II 

Queste molecole sono espresse solo dalle cellule del sistema immunitario. Le molecole di classe II

sono formate da due catene, anche esse una α e una β , entrambe codificate da geni MHC  polimor fi.

Queste molecole sono perfettamente simmetriche: tasca e  pavimento sono formati  per  metà dal seg-

mento α1 e per  metà dal segmento β1 ed è su tali regioni che abbiamo i residui polimorfi . Le catene α2

e β2 sono costanti e un’ansa di β2 funge da legame con i linfociti CD4. Questi due segmenti continuano poi al livello citoplasmatico con una coda idr ofila.

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5.3 Legame con il peptide 

Tutte le proteine immunogeniche danno origine a peptidi che si legano alle MHC. Ogni molecola di MHC

 può legare peptidi diversi in tempi diversi. Le molecole MHC legano peptidi diversi, tuttavia il linfocita

T può riconoscere solo uno dei  peptidi legati: la specificità dunque non risiede nella molecola di MHC

ma nel recettore dei linfociti T. I  peptidi che si legano alla stessa MHC hanno caratteristiche strutturali comuni e residui ammi-

noacidici molto simili. Il legame tra peptide e MHC è un legame che si dissocia molto lentamente così

da dare il tempo ai linfociti specifici di arrivare nel sito di legame e riconoscere l’antigene. Le molecole

MHC non distinguono tra self e non quindi espongono entrambi, sta ai linfociti T riconoscere i self. Gli antigeni proteici vengono tagliati all’interno delle cellule che presentano l’antigene ed esposti

dalle MHC. Le MHC nel  pavimento della tasca presentano delle “nicchie” nelle quali specifici r esidui

amminoacidici dell’antigene possono infilarsi: sono i cosiddetti residui àncora, generalmente uno o

due  per   peptide.Tra peptide e MHC si instaura un legame non covalente. Il  passo successivo è l’inter  -azione con il linfocita T: la  parte del  peptide esposta deve essere riconosciuta dei recettori  per  l’antigene

dei linfocitiT specifici. I recettori dei linfociti non riconoscono soltanto l’antigene ma anche i r esidui

 polimorfi delle α  eliche stesse delle MHC. Grazie all’elevato polimorfismo delle MHC abbiamo la  possi-

 bilità di riconoscere e legare moltissimi antigeni microbici riducendo la  possibilità che questi possano

sfuggire al sistema immunitario. 

5.4 Organizzazione genomica ed espressione dell’MHC. 

L’MHC è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6 e la β2-microglobulinasul cromosoma 15.I geni per HLA-A, B e C quindi di classe I sono più telomerici mentre quelli di classe II sono più

ceentromerici nel locus HLA. Correlati ai locus di classe II vi sono i geni che codificano per  svariate

 proteine coinvolte nella presentazione dell’antigene:  

•  TAP: eterodimero che trasporta peptidi dal citosol al RE dove verranno associate alle MHC I

•  Proteasoma: degrada le  proteine a peptidi.  

•  HLA-DM coinvolto nel legame tra petpide e MHC II

• Geni che codificano per  proteine del complemento e tre citochine complessivamente chiamati MHC di classe III. 

• Geni a tipo classe I situati tra HLA-A e HLA-C che codificano proteine espresse in associazione

alla β2- microglobulina chiamate molecole di classe IB,fra cui HLA-G importante nelriconoscimento da parte delle NK. 

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Lo straordinario polimorfismo delle molecole MHC si è generato  per  conversione genica e non per 

mutazioni puntiformi, ovvero mediante sostituzione di intere sequenze geniche con altre

 pr ovenienti da geni vicini senza però reciproca ricombinazione. Abbiamo detto che le molecole di classe I sono espresse costitutivamente su quasi tutte le

cellule nucleate, i loro effettori, ovvero i linfociti CD8 che hanno lo scopo di uccidere le cellule infettate,

devono essere in grado infatti di uccidere qualsiasi cellula infettata, quindi le molecole di classe I presentano microbi intracellulari. Le molecole di classe II invece sono espresse solo su cellule

dendritiche, linfociti B e macrofagi. Le molecole di classe II forniscono un sistema  per   presentare peptidi derivati da micror  - ganismi extracellulari ai linfociti C D4+  helper che hanno il compito diattivare i linfociti B a produrr e anticorpi e i macrofagi a eliminare i microbi extracellulari fagocitati. 

L’espressione di queste molecole di MHC è aumentata in  presenza di citochine:  

•  IFNα IFNγ, IFNβ ,TNF e LT  prodotti precocemente durante la risposta innata vanno adaumentar e l’espressione delle MHC di classe I. Questo è uno dei meccanismi con il quale laimmunità innata stimola la specifica. 

•  Le molecole di classe II sono stimolate principalmente da IFNγ  prodotte da cellule  NK elinfociti attivati,è dunque una amplificazione dell’immunità innata stessa. 

Le citochine vanno ad aumentare la espressione delle MHC andando a stimolare la velocità ditrascrizione mediante fattori di trascrizione. Diversi di questi sono assemblati nella proteina CIITA

che agisce soprattutto sulle MHC II. Alterazioni di tali fattori di trascrizione sono la  base dialcune malattie immunitarie tra cui la sindrome del linfocita nudo.

Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione ai

linfociti T 

Le caratteristiche più importanti del riconoscimento antigenico da parte dei linfociti T sono: 

•  Riconoscimento (quasi) esclusivo di strutture peptidiche. I linfociti B sono invece in grado di

riconoscere peptidi, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e  piccole molecole. 

•  Riconoscimento di specifiche sequenze peptidiche. I linfociti B riconoscono invece struttur emolecolari tridimensionali; i linfociti T sono quindi in grado di discriminare tra antigeni diversi anche

 per  un solo aminoacido. 

•  Totale dipendenza dalle APC. I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle molecole MHC espresse dalle APC. 

•  Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self 

MHC. La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin- focitiche esprimono recettori  per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono queste

molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte integrante

dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self: questo processo

è alla base del rigetto dei trapianti. 

•  I linfociti C D4+

  riconoscono MHC II, i linfociti C D8+

  riconoscono MHC I. La ragione è che CD4 legadirettamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I. 

•  I C D4+  legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i C D8+  legano

soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel  pathway seguito dalle APC  per  presentare questi due tipi di antigeni.  

Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato  per gli antigeni

lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il

compito di  presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristr etta. 

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6.1 APC 

Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta

antigene specifica di queste cellule richiede la  partecipazione delle APC che catturano, trasformano e

 presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T: 

• Convertono antigeni proteici in  peptidi e li  presentano associati come complessi MHC. La conver  -sione prente il nome di processing. 

• Alcune APC forniscono stimoli accessori  per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per 

una piena risposta dei linfociti, specialmente i C D4+  naive. 

La funzione di  presentazione è stimolata dall’esposizionea prodotti microbici. Le cellule dendritiche e i macrofagi esprimono TLR  che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costi-

molanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macr ofagi

attivati esprimono recettori  per  chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione. Per  indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico  per via sperimentale è necessario

somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti. Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o

sostanze che ne mimano le caratteristiche. Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per  attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche

sono le  più efficaci nell’attivare i naive C D4+  e C D8+  . I macrofagi presentano antigeni ai C D4+  giàdifferenziati (effettori) mentre i linfociti B  presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte

umorali. Cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e  possonodunque attivare i linfociti T C D4+ : sono pertanto definite APC professionali. 

6.1.1 Presentazione ai linfociti T naive 

Le cellule dendritiche sono presenti in quasi tutti i tessuti e si identificano  per le  proiezioni membra-

nose. Tutte queste cellule probabilmente nascono da precursori midollari e quasi tutte sono legate alla

linea dei fagociti mononucleati. Il  prototipo di cellula dendritica epiteliale è la cellula di Langerhans

dell’epidermide: queste cellule occupano fino al 25% della superficie dell’epidermide pur essendo l’%

del totale. Normalmente queste cellule sono in condizione di riposo; in risposta all’incontro di un com- ponente microbico queste cellule maturano mentre migrano ai linfonodi diventando efficaci APC. Le

cellule dendritiche mature risiedono nella zona T del linfonodo, dove  presentano gli antigeni ai linfociti

T. Le risposte dei C D4+  iniziano nei tessuti linfoidi periferici, dove gli antigeni vengono trasportati dopo essere stati catturati. Le APC immature esprimono recettori di membrana che legano i microbi:

grazie a questi riescono a catturare e  processare l’antigene. Le cellule dendritiche attivate perdono

la loro aderenza  per gli epiteli e iniziano ad esprimere il recettore  per  chemochine CCR7: questo le

farà guidare verso la zona T del linfonodo (era lo stesso recettore che guidava i linfociti T naive verso

la regione corretta). Il legame con l’antigene converte le cellule dendritiche da cellule la cui funzione ècatturare a cellule la cui funzione è  presentare gli antigeni: le cellule dendritiche attivate esprimono altilivelli di molecole MHC II. Le cellule dendritiche sono le migliori APC per via di alcune loro caratteristiche: 

• Sono strategicamente posizionate lungo le più comuni vie di ingresso di  patogeni. 

• Esprimono recettori utili a legare i microbi. 

• Migrano di  preferenza nelle stesse regioni di linfonodo all’interno delle quali circolano i linfociti T naive. 

• Esprimono ad alti livelli i costimolanti. 

Gli antigeni possono arrivare al linfonodo anche in soluzione nel  plasma: una volta a destinazione

verranno processati dai macrofagi e dalle cellule dendritiche r esidenti. Il  processo di accumulo degli antigeni è  potenziato da due accorgimenti anatomici. Il  primo è rap-

 presentato dalle collezioni di tessuto linfoide secondario che caratterizzano le superfici mucosali dei

tratti GI e respiratorio; le collezioni di tessuto definite in modo più chiaro sono le  placche del Peyer 

dell’intestino e le tonsille faringee. Il secondo accorgimento è il costante controllo del sangue da parte

della milza, all’interno della quale risiedono APC apposite. 

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Le cellule dendritiche possono ingerire cellule infette o tumorali e  presentare gli antigeni di queste

cellule ai linfociti T C D8+  . Le cellule dendritiche hanno la speciale abilità di ingerire queste cellule e di

 presentarne gli antigeni su molecole MHCI: questa via è diversa dalla solita (normalmente le sostanze

fagocitate finiscono su MHCII e riconosciute dai CD8+ ) e prende il nome di cross-presentazione. 

6.1.2 Presentazione ai linfociti T differenziati 

 Nell’immunità cellulomediata i macrofagi presentano gli antigeni delle cellule fagocitate ai linfociti T

differenziati, i quali attivano i macrofagi  per  uccidere i microbi. I monociti circolanti sono in gradodi migrare ai siti di infezione dove differenziano in macrofagi  per  fagocitare e distruggere i microbi. Le

cellule C D4+  amplificano le attività microbicide. Quasi tutti i macrofagi esprimono MHC II a bassi livelliinsieme ai costimolanti: questi livelli vengono aumentati dall’interferone gamma. 

 Nelle risposte umorali i linfociti B internalizzano gli antigeni proteici solubili e li  presentano ai

linfociti T helper: questa funzione è necessaria per la  produzione di anticorpi dipendente dagli Helper . Tutte le cellule nucleate possono presentare peptidi (derivanti da antigeni proteici citosolici) associati a

MHCI e attivare così i linfociti T C D8+  : tutte le cellule nucleate esprimono infatti MHC I. Per  il

sistema immunitario è fondamentale infatti la  possibilità di riconoscere antigeni citosolici contenuti

all’interno di qualsiasi tipo di cellula. Le cellule endoteliali vascolari esprimono inoltre MHC II e possono presentare antigeni alle cellule T in aderenza alle  par eti. 

6.2 Biologia del processamento antigenico Le vie di  processamento e  presentazione non sfruttano alcun organello cellulare esclusivo: le vie di

 presentazione, sia MHCI che MHCII, sono dunque adattamenti di funzioni cellulari di  base. Gli antigeni proteici presenti nelle vescicole acide delle APC generano peptidi MHCII-associati mentr e gliantigeni citosolici generano peptidi MHCI-associati. Questa segregazione delle vie è dovuta alla

completa separazione nella biosintesi delle molecole MHCI e MHCII. 

6.2.1 Processamento per la presentazione MHC II 

La generazione dei  peptidi  per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede la degradazione

 proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita. 

•  Endocitosi delle proteine extracellulari nelle vescicole dell’APC  

Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali  per  riconoscer e

strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori  per la  porzione Fc degli an-

ticorpi e recettori  per la  proteina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni

 proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a

pH acido che contengono enzimi proteolitici. 

•  Processamento delle proteine all’interno di endosomi e lisosomi 

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La degradazione delle proteine nelle vescicole è mediata dalle proteasi contenute, le quali lavorano ot-

timamente al  basso  pH di queste strutture. Molti enzimi differenti partecipano alla degradazione: le

 più abbondanti proteasi sono catepsine, enzimi ad ampio spettro d’azione. Raramente proteine cito-

 plasmatiche e di membrana possono entrare in questa via: di solito si tratta di digestioni enzimatiche

dei componenti citoplasmatici, cioè si tratta di autofagia. In questi casi particolari le  proteine vengono

intrappolate in vescicole derivanti dal RE chiamate autofagosomi, vescicole fuse  poi con i lisosomi. 

•  Biosintesi e trasporto di MHCII agli endosomi 

Le molecole MHC II vengono sintetizzate nel RE e trasportate agli endosomi in associazione ad una

 proteina detta catena invariante (Ii ) che occupa le sedi di legame con il  peptide. Le catene α e β  delle

molecole MHC II vengono sintetizzate in maniera coordinata e si associano tra loro nel RE. I dimeri

nascenti sono strutturalmente instabili e il loro folding viene assistito dalle chaperonine. La catena

invariante si associa ai dimeri sempre all’interno del RE; questa molecola si trova in una posizione tale

da impedire alle nuove molecole di legare antigeni eventualmente presenti nel RE. La catena invariante

 promuove inoltre il folding corretto e dirige le molecole neoformate verso gli endosomi e i lisosomi.

Le molecole di MHC II vengono a questo punto secrete dal Golgi all’interno di vescicole dirette agli

endosomi: queste si fonderanno  poi insieme con il risultato che le molecole a questo punto si tr overanno

nella stessa vescicola che contiene i  peptidi generati dalla proteolisi. La fusione delle vescicole porta 

alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa

struttura contiene tutto quello che serve per  l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIICsono dunque 

1. Enzimi pr oteolitici 

2. Molecole MHCII 

3. Catena invariante Ii 

4. Peptidi di derivazione antigenica 

5. Molecola HLA-DM 

•  Associazionedei  peptidi alle molecole MHC II

All’interno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecolaHLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invari-

ante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancorain grado di  bloccare il legame con i  peptidi. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questamolecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differ enze:

non è  polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla superficie cellulare. In

 breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il  peptide

digerito. Le molecole di MHCII  presentano una sede aperta di legame peptidico,  per  questo grandi peptidi o

anche proteine intere possono legarsi e venire  poi tagliate alla lunghezza giusta  per il riconoscimento: ilrisultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi. 

•  Espressione dei complessi sulla super ficie 

Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il  peptide, e questi complessi vengono ind-

irizzati alla superficie  per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate

 possono essere poste all’esterno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi comp-

lessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infattiun meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è  possibile dunque che i linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattutto molecole self? Questo è  possibile  perchè i linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anchemeno di cento,  per  generare una risposta specifica; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di

tutti i complessi espressi. Come è  possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self 

 presentate? Questa seconda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole

self  non esistono normalmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo. 

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6.2.2 Processamento per la presentazione MHC I 

I  peptidi associati a MHCI sono prodotti  per  degradazione di  proteine citosoliche: vengono poi

trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti. 

• Fonti di antigeni citosolici 

Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari.  Nelle cellule tumorali

molti geni  possono produrre proteine antigeniche che vengono riconosciute da CTL MHC I ristr etti. 

•  Degradazione proteolitica delle proteine citosoliche 

Il meccanismo principale di degradazione è la  proteolisi ad opera del proteasoma. Il  proteasoma è

un complesso enzimatico multiproteico che si trova nel citoplasma della maggior parte delle cellule.

Esistono varie forme di  proteasoma, uno semplice da sette subunità e 700kD e uno più grande, da 1500kD, probabilmente il più importante  per  questi scopi. Due subunità catalitiche presenti in molti

dei proteasomi da 1500kD sono codificate nel MHC e  prendono il nome di LMP2 e LMP7. Il pr otea-

soma ha funzione housekeeping in quanto degrada le  proteine danneggiate, non correttamente foldate o

ormai inutili: tutte questi bersagli di degradazione vengono marcati dall’ubiquitina. L’interferonegamma aumenta la trascrizione e la sintesi di LMP2 e LMP7, aumentando dunque l’attività del  pr o-

teasoma: in questo modo aumenta l’efficacia della presentazione antigenica. Il fatto che questa via di

 presentazione sfrutti il  proteasoma è un esempio dell’adattamento a funzioni immunitarie di struttur e

già esistenti. In aggiunta al metodo del  proteasoma esistono antigeni proteici che apparentemente non

richiedono questo enzima e nemmeno ubiquitinazione: probabilmente esistono altre vie non meglio

definite che sfruttano direttamente il RE. 

•  Trasporto dei  peptidi dal citosol al RE 

Due geni all’interno del MHC codificano proteine che mediano il trasporto ATP dipendente di composti a

 basso peso molecolare attraverso lemembrane cellulari. Questi geni in  particolare codificano  per  due

catene di un eterodimero detto trasportatore associato al processing dell’antigene (TAP). La  pr oteinaTAP si trova sulla membrana del RE dove media il trasporto dei  peptidi: l’optimum si ha per il trasporto

di catene lunghe da sei a trenta aminoacidi, perfette per il legame con l’MHC. Sul lato luminale del RE,

TAP è legata in maniera non covalente alle neomolecole MHCI da una proteina linker detta tapasina:

le molecole di MHC sono dunque nella posizione migliore per  ricevere i peptidi. 

•  Assemblaggio dei complessi nel RE 

La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con il peptide. Le catene α e β2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie

chaperonine. All’interno del reticolo i dimeri scarichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina; a

seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corr etta da parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il  peptide a

questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene

trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di  peptide i dimeri sono instabili e non possono esser e

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trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a degradazione in situ. 

•  Espressione superficiale dei complessi 

I complessi in uscita dal RE vengono mobilitati sulla membrana grazie all’esocitosi di vescicole. Una

volta posti nella sede definitiva i complessi vengono riconosciuti dai linfociti C D8+ . 

6.3 Significato della presentazione in complessi 

Le vie di  presentazione di classe I e II esplorano le  proteine disponibili  per la  presentazione ai linfociti

T; la maggior parte di queste proteine sono self: quelle estranee sono relativamente rare. I linfociti

esaminano tutte le molecole presentate in cerca di quelle esterne  per  rispondervi attivamente. Le

molecole di MHC controllano sia lo spazio extracellulare che quello citosolico, in quanto i microbi

 possono risiedere in entrambe le sedi. La  presentazione delle proteine vescicolari o citosoliche da parte dell’MHC II o I rispettivamentedetermina quale sottogruppo delle cellule T risponderà a quei determinati antigeni. Gli antigeni extra-

cellulari seguono solitamente il pathway dell’MHC II e attivano quindi i linfociti T C D4+ : queste cellule 

funzionano come aiutanti  per  stimolare i meccanismi effettori, quali anticorpi e fagociti. Gli antigeniintracellulari invece sono inaccessibili ad anticorpi e fagociti e stimolano una via diversa: vengono

caricati su MHC I e stimolano i linfociti T C D8+ , la cui funzione è uccidere la cellula che li ha attivati.Questa via garantisce che qualsiasi cellula, poichè MHC I viene espresso in ogni cellula nucleata, possa

impedire la diffusione di microbi facendosi eliminare dal sistema immunitario. La specificità dei linfociti T è essenziale alle loro funzioni, in gran parte mediate da interazioni dirette tra

cellule o da citochine a breve raggio. Le APC non solo  presentano gli antigeni ai linfociti T ma sono

anche il  bersaglio delle loro funzioni effettrici: ad esempio i macrofagi presentano l’antigene ai C D4+  i

quali li attivano consentendo loro di distruggere il microbo. Le molecole di MHC determinano l’immunogenicità di un antigene in due modi: 

•  Immunodominanza. Gli epitopi di  proteine complesse che generano una risposta più forte nelle

cellule T sono i  peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole diMHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle cellule Tsarà specifica verso uno o due sequenze aminoacidiche dette epitopi immunodominanti. 

•  Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di  particolari alleli MHC II in

un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. I geni della rispostaimmunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la

capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici. 

6.4 Presentazione di antigeni lipidici delle molecole CD1 

Rare popolazioni di linfociti T, detti cellule NK-T, sono in grado di riconoscere antigeni lipidici e gli-

colipidici. Questi linfociti hanno parecchie proprietà strane, ad esempio marker caratteristici sia delle

cellule T che delle NK, e  poca diversità nei loro recettori  per gli antigeni. Le cellule  NK-T riconoscono lipidi e glicolipidi presentati sulla molecola simil MHCI detta CD1.

Esistono molte varianti di questa molecola, ma seguono tutte la stessa via di  presentazione. Le molecole

neosintetizzate caricano lipidi cellulari e li  portano sulla superficie cellulare; da qui i complessi CD1-

lipide vanno incontro ad endocitosi in endosomi e lisosomi: le molecole CD1 acquisiscono dunque

lipidi antigenici durante il riciclo e li  presentano senza apparente processamento. Le cellule NK-Tsvolgerebbero un ruolo in  particolare nella difesa dai micobatteri.

Capitolo 7. Recettori antigenici e molecole accessorie dei

linfociti T 

I linfociti T hanno una doppia specificità:  per i residui di MHC e per  l’antigene. Il recettore che

riconosce questi complessi MHC-antigene prende il nome di TCR  (T -Cell Receptor) ed è distribuito

in maniera clonale, cioè cloni di cellule T con diverse specificità avranno diversi TCR. Le cascate biochimiche di segnalazione iniziate dal TCR  non sono da esso trasdotte: questo compito viene svolto

dalle proteine invarianti CD3 e ζ , che insieme al recettore formano il cosiddetto complesso TCR . La

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segnalazione è dunque legata a elementi estremamente variabili (il TCR) e a elementi costanti. Le cellule T esprimono altri recettori di membrana che non riconoscono l’antigene ma che con-

tribuiscono alla risposta: in generale si  parla di molecole accessorie. Il ruolo fisiologico è per  alcune

di facilitare la segnalazione del complesso TCR, per  altre di fornire secondi segnali che attivano

completamente le cellule. Altre molecole accessorie ancora servono a stabilizzare il legame con le

APC, in modo da garantire il tempo necessario alla trasduzione del segnale. 

7.1 αβ-TCR per antigeni MHC-associati 

Il recettore antigenico sia dei linfociti C D4+  che dei C D8+  è un eterodimero costituito da una catena α

e una β tra loro unite da un ponte disolfuro. Entrambe le catene sono costituite da un dominio

simil-Ig N terminale variabile, uno simil Ig costante, un dominio transmembrana e una piccola

regione citoplasmatica; la  porzione extracellulare è dunque simile alla porzione legante l’antigene di un

anticorpo, con una regione variabile e una costante sulla catena leggera e una variabile e una costantesulla catena pesante. Le regioni variabili V delle catene del TCR  contengono piccole frazioni sulle quali la grande variabilità èconcentrata: si  parla di CDR , o Complementarity Determing Regions. Tre CDR  sulla catena α  sono

giustapposte a tre regioni simili sulla catena β  a formare la  parte del recettore che riconosce i complessi

 peptide-MHC. La regione variabile della catena β  contiene  poi una quarta regione ipervariabile che è il

sito di legame  per i cosiddetti superantigeni. Ogni catena del TCR è codificata da più segmenti geniciche subiscono riarrangiamento somatico durante la maturazione dei linfociti. In entrambe le catene

la terza regione ipervariabile è composta da sequenze codificate dai segmenti genici V e J (catena α) o

dai segmenti V, D, J (catena β). Le regioni costanti C di entrambe le catene formano cerniere che contengono i residui di cisteina per  i 

 ponti disolfuro. I TCR e gli anticorpi sono strutturalmente simili, ma vi sono delle profonde differenze. I TCR  non

esistono in froma secreta e non hanno funzioni effettrici da soli, inoltre non subiscono variazioni

nella regione C e non hanno maturazione della loro af finità. 

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7.1.1 Ruolodel TCR  nel riconoscimento dell’antigene 

Il riconoscimento è mediato dalle regioni determinanti la complementarietà, o CDR, formate da en-

trambe le catene del TCR. Queste catene formano un singolo recettore eterodimerico responsabile siadella specificità per il peptide che  per  l’MHC. Il sito di legame  per  l’antigene  è formato dalle sei CDR  sulle due catene che formano un’inter faccia

molto simile a quella degli anticorpi. Il contatto tra il TCR e il complesso peptide-MHC è limitato a uno o

due aminoacidi: le cellule T riconoscono dunque i loro substrati sulla base di differenze minime. 

L’affinità del TCR per i complessi è  bassa, molto più di quella della maggior parte degli anticorpi.Questa bassa affinità è  probabilmente la ragione  per cui sono necessarie le molecole di adesione per 

avere una risposta biologica. Il TCR e le sue molecole accessorie sul linfocita T si muovono in maniera

coordinata ai loro ligandi sulle membrane delle APC per  creare una struttura sopramolecolare dettasinapsi immunologica. 

7.2 Proteine CD3 e ζ  del complesso TCR  

Le  proteine CD3 e ζ  trasducono il segnale che porta all’attivazione del linfocita dietro stimolo del TCR.

La molecola CD3 è in realtà un insieme di tre proteine designate γ, δ e ε. Le tre proteine CD3 e la ζ

sono sempre uguali in tutte le cellule T: non hanno infatti ruolo nel riconoscimento ma solo nella

trasduzione del segnale. 

7.2.1 Struttura 

Le tre proteine CD3 sono omologhe tra loro, e le regioni extracellulari di tutte contengono un singo-lo dominio simil-Ig: queste tre proteine sono dunque membri della superfamiglia delle Ig. I domini

citoplasmatici variano da 44 a 81 aminoacidi di lunghezza e ciascuno contiene una copia di una se-quenza conservata detta ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif) che gioca un ruolo

fondamentale nella segnalazione da parte del complesso. La catena ζ ha una piccola regione extracellulare, una transmembrana e una lunga regione cito-

 plasmatica contentente tre ITAM.L’espressione del complesso TCR  richiede la sintesi di tutti i suoi componenti.  Nei linfociti T maturi

infatti l’intero complesso viene prodotto nel RE e trasportato sulla membrana. 

7.2.2 Funzione 

Il  primo evento intracellulare a seguito del riconoscimento antigenico è la fosforilazione dei residui di

tirosina contenuti nei domini ITAM di CD3 e ζ  da parte di kinasi quali Lck  o Fyn. Lck si associa alle

code citoplasmatiche di CD4 e CD8, Fyn a CD3. Le fosfotirosine così create diventano siti di attacco per 

una tirosin kinasi, ZAP-70, che viene reclutata dalla catena ζ e  porterà alla variazione dell’espr essione

genica delle cellule T. 

7.3 Recettori antigenici dei linfociti γδ 

Il γδTCR è un secondo tipo di eterodimero espresso in un piccolo set di linfociti T αβ-negativi; questo

recettore è comunque associato alle  proteine CD3 e ζ . La maggioranza delle cellule con questo r ecettor e

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non esprimono CD4 o CD8. Le cellule che esprimono questo recettore sono linearmente distinte da quelle che esprimono il  più

comune αβTCR: in totale meno del 5% dei linfociti esprime questa struttura. Queste cellule, insiemealle cellule NK-T, i linfociti B di tipo B-1 e le cellule MZ B,  potrebbero rappresentare un importante

collegamento tra l’immunità innata e quella adattativa. Le cellule con recettore γδ non riconosconogli antigeni peptidici MHC-associati e non sono MHC ristrette; alcune riconoscono piccole molecole

fosforilate o lipidi comuni nei  batteri, altre riconoscono proteine che non richiedono processamento o

collaborazione delle APC. Il ruolo di queste cellule è comunque  poco definito in quanto topi deficitari

non si mostrano particolarmente immunodeficienti o maggiormente suscettibili alle infezioni batteriche. 

7.4 Recettori antigenici delle cellule NK-T 

Una piccola popolazione di linfociti T esprime i markers tipici delle cellule NK : si tratta delle cellule

 NK-T. Le catene alfa del TCR di queste cellule hanno una diversità limitata e sono caratterizzate da un

riarrangiamento caratteristico nell’uomo; queste cellule fanno ancora una volta da ponte tra l’immunità

innata e quella adattativa. Tutte i TCR  delle cellule  NK-T riconoscono lipidi legati alle molecole simil-MHCI CD1. Queste cellule

 producono rapidamente citochine quali IL-4 e IFN-γ a seguito della stimolazione. 

7.5 Corecettori e recettori costimolanti nelle cellule T 

I corecettori sono una categoria di  proteine di membrana che amplificano il segnale di TCR; queste

strutture legano le molecole di MHC. I costimolanti conducono anch’essi dei segnali che attivano le

cellule T, ma r iconoscono molecole sulle APC che non sono parte del complesso MHC-peptide. 

7.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione delle cellule T MHC- ristrette 

Le cellule T αβ mature esprimono CD4 o CD8, ma mai entrambi. Queste strutture interagiscono con

entrambe le classi di MHC quando i TCR  della cellula riconoscono i complessi MHC-peptide dell’APC.

La funzione principale è nella trasduzione del segnale al momento del riconoscimento, ma  possono  

anche aumentare l’efficacia del legame tra cellula T ed APC. Nel pool dei linfociti maturi circa il 65% esprime CD4 e il 35% CD8. 

Struttura Entrambi i corecettori sono glicoproteine transmembrana facenti parte della super famiglia

Ig. CD4 viene espresso come monomero e  presenta quattro domini simil-Ig extracellulari, una r egione

transmembrana e una coda basica citoplasmatica. I due domini simil-Ig amino terminali del CD4

legano il dominio β2 non polimorfico dell’MHCII. Le molecole CD8 esistono quasi sempre sotto forma di eterodimeri di due catene dette CD8α e

CD8β. Entrambe presentano un singolo dominio Ig extracellulare, una regione transmembrana e la

coda citoplasmatica basica. Il dominio Ig di CD8 lega il dominio α2 non polimorfico delle molecole di

MHCI. 

Funzione La separazione delle risposte dei linfociti C D4+  e C D8+  è dovuta alla capacità di queste

molecole di legare solamente una classe di MHC e non l’altra. 

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•  CD4 è in grado di legare MHCII e viene espresso sui linfociti i cui TCR  riconoscono i complessi

 peptidici di questo tipo. Quasi tutti i linfociti C D4+  sono cellule di supporto che  pr oduconocitochine. 

•  CD8 è in grado di legare le molecole MHCI. Quasi tutti i linfociti C D8+  sono linfociti citotossici il cuiruolo è sradicare le infezioni intracellulari. Esistono linfociti C D4+  con funzioni citotossiche ma sonocomunque MHCII ristr etti. 

CD4 e CD8  partecipano ai  primi eventi segnalatori dopo il riconoscimento del complesso MHC-peptide.Queste funzioni sono mediate da una tirosin chinasi specifica dei linfociti T che prende il nome di

Lck : questo enzima è associato in modo non covalente alle code sia del CD4 che del CD8. Quando un

linfocita riconosce il complesso MHC l’interazione di CD4/8 con l’MHC  porta il corecettore e la sua Lck 

nelle vicinanze del CTR; Lck  a questo punto fosforila i domini ITAM delle proteine CD3 e ζ e da il via

alla segnalazione. 

7.5.2 Recettori costimolanti ed inibitori della famiglia CD28 

CD28 è una proteina che trasduce il segnale in associazione ai segnali in arrivo dal complesso TCR  per 

attivare le cellule T naive. I linfociti T naive in generale necessitano di due segnali extracellulari

distinti  per   proliferare e differenziare; il  primo deriva dal legame dell’antigene al recettore e garan-

tisce la specificità della risposta. Il secondo segnale viene fornito da molecole che vengono definite in

generale costimolatori. I costimolatori meglio definiti  per i linfociti T sono chiamati B7-1 (CD80) e B7-2 (CD86) e sono

espressi sulle cellule dendritiche, sui macrofagi e sui linfociti B; queste molecole hanno specifici r e-

cettori sul linfocita. Il  primo recettore  per B7 scoperto fu la molecola CD28, espressa su quasi tutti i

C D4+  e su metà dei C D8+ . Il legarsi delle molecole B7 delle APC a CD28 fornisce al linfocita il segnale per  esprimere proteine anti apoptosi,  per   produrre fattori di crescita e citochine e per   pr omuovere

 proliferazione e differ enziazione.  

Un secondo recettore  per  molecole B7 venne successivamente scoperto e chiamato CTLA-4; questa

struttura è omologa a CD28 e viene espressa sui linfociti recentemente attivati: la sua funzione è inibire

l’attivazione controbilanciando i segnali in arrivo dal complesso TCR e da CD28. Molte altre struttur e

sono state scoperte in grado di legare le molecole B7 e sono equamente divise tra vie di attivazione e vie

di ter minazione. 

7.5.3 CD2 e la famiglia SLAM di recettori costimolanti 

Un’importante famiglia di  proteine che gioca un ruolo nell’attivazione delle cellule T ed NK è un gruppodi  proteine strutturalmente legate ad un recettore detto CD2. Questo recettore contiene due domini

Ig extracellulari, una regione di membrana e una lunga coda citoplasmatica.  Nell’uomo  il principale

ligando è la molecola LFA-3 (Leukocyte Function-associated Antigen 3) che è espressa in molte cellule

ematopoietiche e non. CD2 è esempio di molecola accessoria che funziona sia come una molecola di

adesione che come trasduttore del segnale. Un sottogruppo distinto di  protine CD2 è detto SLAM (Signaling L ymphocytic Activation Molecule). LeSLAM sono proteine integrali di membrana con due domini Ig extracellulari e una coda citoplas-

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matica che contiene un dominio detto ITSM (Immunoreceptor Tyrosin-based Switch Motif); il dominio

si lega ad un adattatore detto SAP (SLAM Associated Protein) che contiene un dominio SH2 in grado

di fare da ponte tra SLAM e Fyn, una chinasi. Un importante membro della famiglia SLAM è 2B4,mutazioni in questa molecola possono seriamente danneggiare il sistema immunitario. 

7.5.4 Altre molecole accessorie dei linfociti T 

CD44 è una glicoproteina espressa in varie cellule, tra cui linfociti T maturi, timociti, cellule B, gran-

ulociti, macrofagi, eritrociti e fibroblasti. Questa molecola lega lo ialuronato e questa proprietà èresponsabile della detenzione dei linfociti T nei siti extravascolari di infezione. Le cellule C D4+  attivate esprimono una proteina della famiglia del TNF detta CD40L, che lega CD40 dei linfociti B e di altre cellule e le attiva. CD40L è quindi un importante mediatore delle funzioni helper di questi linfociti. I linfociti attivati esprimono anche il FAS ligand; l’attivazione  di FAS da parte di FASL  porta

all’apoptosi ed è importante per  eliminare le cellule T iperstimolate.

Capitolo 8. Sviluppo linfocitario e riarrangiamento ed

espressione dei geni dei recettori antigenici 

La maturazione consiste in una serie di eventi che avvengono negli organi linfoidi generativi o primari: 

1. Orientamento verso linfociti T o B. A partire da cellule staminali dette HSC (Hematopoietic Stem

Cells) nel midollo osseo e nel fegato fetale si ha la maturazione a CLP (progenitore linfoide comune)

che  poi a seconda degli stimoli ricevuti dai recettori di membrana si differenzierà in linfocita B o

T. I linfociti T terminano la loro maturazione all’interno del timo. 

2. Riarrangiamento dei geni per il recettore. Elemento chiave della maturazione linfocitaria che

avviene nei linfociti B immaturi nel midollo osseo e nei linfociti T immaturi nel timo. A partir eda un numero modesto di geni grazie a tagli, ricongiungimenti ed aggiunte si genera un numer oelevatissimo di esoni differenti che codificano per il recettore, tutto questo prima dell’incontro con

l’antigene. 

3. Selezione dei linfociti “utili” ed eliminazione di quelli pericolosi. Le cellule che non esprimono un

recettore o  pre-recettore corretto muoiono  per  apoptosi; quelle che sono in grado di legare con bassa avidità gli MHC vengono portate avanti nella maturazione dalla selezione positiva; quelle

che legano con elevata avidità antigeni self  vengono eliminate dalla selezione negativa fenomeno

detto delezione clonale; Possono anche andare incontro a un successivo riarrangiamento del

recettore detto editing recettoriale. 

4. Proliferazione. 

5. Differenziazione in sottogruppi (CD4, CD8, etc). 

Orientamento verso le linee B e T L’orientamento dipende dalle istruzioni ricevute dalla super ficie

della cellula seguite dall’induzione di specifici fattori trascrizionali. Lo stadio precoce dello sviluppo

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è caratterizzato dalla proliferazione stimolata soprattutto dall’IL-7 prodotta dalle cellule stromali di

midollo e timo. Mutazioni nel recettore  per  questa citochina portano ad immunodeficienze quali le

SCID. 

8.1 Riarrangiamento dei geni recettoriali 

I geni che codificano per il recettore  per l ’antigene sono generati  per  riarrangiamento di regioni diverse

del gene che codifica per la regione variabile(V) con segmenti di geni della diversità (D) e quelli della

ricongiunzione(J).Tale processo è detto ricombinazione V(D)J. 

8.1.1 Organizzazione dei loci per le IG 

Esistono tre loci genici separati su cromosomi diversi che codificano per le tre catene delle IG (pesante,

λ, κ).  Ciascun locus contiene una regione costante (C) che codifica la  parte C delle catene e una r egione

V che codifica la  parte variabile composta da copie multiple di segmenti V e J, nel locus per la catena 

pesante sono presenti anche segmenti D.  Nell’uomo nei segmenti o geni V al 5’ di ognuno vi è una

sequenza L che codifica  per  un peptide leader che caratterizza tutte le  proteine neo-sintetizzate e

svolge un ruolo essenziale nell’indirizzamento verso l’ER . Nel 3’  della regione V cioè tra i geni V e

quelli C vi sono segmenti J e nei loci per le catene pesanti vi sono anche dei segmenti D. La regione C

della catena pesante è costituita da circa 9 geni C, solo 3 o 4  bastano  per  codificare l’intera regione C

della catena pesante e altri 2 per la regione carbossi-terminale di membrana.  Nel locus  per le cateneleggere vi è un unico esone C che basta da solo a codificare l’intera regione C della catena leggera. Nelle

catene leggere il dominio V è codificato dai segmenti V e J mentre quelle pesanti da V(D)J. 

8.1.2 Organizzazione dei loci per TCR  

L’organizzazione è molto simile a quella  per le Ig. I geni che codificano per le catene α, β e γ sono su

cromosomi separati, mentre quello  per la catena δ è contenuto in quello  per la catena α. La struttura

di questi è uguale a quella detta prima: regione V con segmenti V, J e D solo nelle catene β e δ e una

regione C con 2 geni nelle catene β, γ e uno solo nelle altre due. Ciascun gene V è  preceduto in 5’ da

una sequenza L che codifica per il peptide leader.

8.1.3 Ricombinazione V(D)J 

La ricombinazione V(D)J dà origine alla specificità e variabilità del recettore e consiste nell’unione di

segmenti V, D(se  presente) e J presi a caso. Siccome i segmenti scelti si trovano lontani sul cr omo-

soma devono essere effettuate rotture e riallacciamenti. Durante la ricombinazione sono aggiunti o

rimossi nucleotidi che aumentano enormemente la variabilità dell’ esone V(D)J. Il risultante esone

V(D)J codificherà la regione variabile, in associazione con le regione C che sono invece costanti.Tale

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ricombinazione è effettuata da un complesso detto ricombinasi. 

Il complesso della ricombinasi riconosce specifiche sequenze dette RSS situate nel 3’ del segmento Ve 5’ del segmento J; tali sequenze sono costituite da una sequenza altamente conservata di 7 nucleotidi

detta eptamero distaccata da una sequenza spaziatrice d 12 o 23 nucleotidi da una seconda sequenza

conservata di 9 nucleotidi detta nonamero. Un enzima specifico una volta avvicinati i due eptameri

(uno adiacente a V e uno adiacente a J) taglia l’elica tra il segmento V e J e il rispettivo eptamer o,

successivamente segue l’unione dei due segmenti codificanti e l’eliminazione del frammento contentente

le RSS sotto forma di anello. In alcuni casi gli eptameri sono situati entrambi a destra sia di V che di Jin tal caso è necessaria una inversione del Dna intermedio e le RSS tagliate non vengono eliminate ma

rimangono nel cromosoma. La ricombinazione tra due segmenti si verifica solo uno è fiancheggiato dauno spaziatore di 12 e l ’altro di 23: è la cosiddetta regola 12/23. 

Il processo di ricombinazione V(D)J si  può riassumere in quattro eventi fondamentali: 

1. sinapsi: i due segmenti codificanti e le RSS adiacenti vengono in contatto tra loro grazie allaformazione di un anello sul cr omosoma. 

2. taglio: rottura del doppio filamento di Dna. 

3. codifica e processazione: le estremità tagliate vengono modificate mediante aggiunta o rimozione

di nucleotidi. 

4. unione:le estremità codificanti vengono unite in un processo detto NHEJ (Non Homolgous End  Joining). 

In tali  processi svolgono un ruolo centrale due proteine dette Rag-1 e Rag-2 che formano il complesso

ricombinasi V(D)J. Rag-1 e Rag-2 mantengono uniti i segmenti genici durnte la ricombinazione e  poi

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Rag-1 riconosce le sequenze tra l’eptamero e la sequenza codificante e le taglia. Il taglio viene ef fettuato

solo su una delle eliche e l’estremità tagliata si lega all’altra formando una struttura a forcina dettahairpin. L’altra estremità da origine a una terminazione blunt ancora legata alle RSS e non  pr oces-

sata. Le due hairpin chiuse, una del V e l’altra di J si trovano a essere una di fronte all’altra e vengono

a essere modificate con aggiunta di nucleotidi. I geni per Rag sono attivi solo nei linfociti immaturi,in fase proliferativa o matura sono silenti proprio per  minimizzare il rischio di rotture inapropriate del

Dna. Le hairpin vengono aperte e modificate da un enzima detto Artemis, attivato da Dna-Pk (pr otein

chinasi DNA dipendenti) a sua volta attivato dalle due proteine Ku70 e Ku80 che svolgono un ruolo

chiave nel riparo della r ottura. 

Generazione della diversità linfocitaria L’enorme diversificazione dei linfociti B e T è dovuta so-

 prattutto al riarrangiamento dei geni per il recettore (IG e TCR). Questa diversificazione è dovuta a una

diversità combinatoria dovuta semplicemente alle diverse combinazioni possibili tra i diversi segmenti

V,J e D e a una diversità giunzionale data dalla aggiunta e rimozione di nucleotidi dai segmenti V, J

e D. Quest’ultima è mediata da diversi meccanismi: 

• primo meccanismo è la rimozione di nucleotidi dalla sequenza germinale alle estremità del gene a

opera di una endonucleasi. 

• un secondo è la aggiunta di nuove sequenze nucleotidiche alle giunzioni scisse da Artemis. Se

la scissione è asimmetrica i nucleotidi aggiunti devono essere complementari a quelli del tratto

 parallelo e tali nucleotidi sono detti nucleotidi P. • ultimo meccanismo di diversità giunzionale è la aggiunta casuale di un massimo di 20 nucleotidi

non codificati da alcuno stampo detti nucleotidi  N mediata da un’enzima chiamato TdT. 

La massima diversificazione si ha nella regione CDR3 delle Ig e TCR  che si forma nei siti di ricom-

 binazione V(D)J. Proprio  per la sua elevata specificità la sequenza dei nucleotidi contenuta in questaregione funziona come marcatore clonale specifico: in questo modo nei tumori linfocitari si  può stabilire

quale clone è la causa. 

8.2 Sviluppo dei linfociti B 

Durante la maturazione, le cellule della linea linfocitaria B passano attraverso stadi distinti caratter  -izzati da markers specifici e Ig caratteristiche. Il precusore più precoce destinato a diventare linfocita B

è detto linfocita pro-B; queste cellule non producono alcuna Ig e  possono essere distinte  per  l’espr es-

sione di molecole di superficie quali CD19 e CD10. Le  proteine Rag sono espresse  per la  prima volta a

questo stadio e la prima ricombinazione nei geni delle Ig ha luogo nel locus della catena pesante. I

 passi di questa prima ricombinazione sono: 

1. Avvicinamento di un segmento D e un segmento J con eliminazione del DNA interposto 

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2. Aggiunta di un gene V 5’  all’unità DJ appena creata: tutto i segmenti V e D interposti vengono

eliminati 

3. Aggiunta di nucleotidi da parte di TdT 

4. Trascrizione di VDJ (se l’aggiunta di nucleotidi ha generato una sequenza pr oduttiva) 

Se il riarrangiamento della catena pesante ha successo la cellula smette di essere chiamata linfocita

 pro-B e  passa alla fase di linfocita pre-B. I linfociti pre-B sono cellule B in sviluppo che esprimono la

 proteina Igµ ma che devono ancora riarrangiare il locus  per la catena leggera. La catena pesante µ èinfatti associata con le  proteine λ5e VpreB dette surrogati delle catene leggere. L’insieme di catena

 pesante, catene leggere surrogate e  proteine trasduttrici dette Igα e Igβ formano quello che  pr ende

il nome di recettore pre-B.  Nelle cellule con riarrangiamenti in frame del locus IgH è il  pre-BCR  a

fornire i segnali di transizione da fase pro-B a fase pre-B. I segnali in arrivo da questo recettore sono

responsabili dell’espansione in termini numerici di questa popolazione linfocitaria.  Numerose molecole segnalatrici sono necessarie sia al BCR  che al  pre-BCR  per  superare il check-

 point. Una tirosin chinasi detta Btk  (Bruton’s tyrosine kinase) è attivata a valle di questi recettori ed è

necessaria  per la sopravvivenza e la maturazione della cellula oltre la fase di linfocita pre-B. Mutazioni

nel gene Btk   portano alla patologia detta agammaglobulinemiaX-linked. Il complesso pre-BCR regola i successivi riarrangiamenti dei geni Ig in due modi. In  primo luogo se

una proteina µ viene prodotta da un locus ricombinato in un cromosoma il  pre-BCR blocca la ricom-

binazione sull’altro cromosoma omologo. Se il  primo arrangiamento non è invece produttivo viene

consentita la ricombinazione V(D)J sull’omologo.Grazie a questa attività in ogni clone solo un allele è

espresso mentre l’altro è in configurazione germinale e non è utilizzato: ci si riferisce a questo pr ocesso

con il termine di esclusione allelica. Il secondo sistema in cui il pre-BCR regola la ricombinazione è lo

stimolo al riarrangiamento del gene per la catena leggera.  Nel successivo stadio di maturazione si ha il riarrangiamento dei geni delle catene leggere che  pr o-

ducono le rispettive proteine: queste vanno ad associarsi alla catena pesante µ formando l’IgM  com-

 pleta. La cellula a questo punto esprime IgM e viene detta cellula B immatura. La  produzione di una

catena leggera κ   inibisce il riarrangiamento del locus  per la catena λ  e viceversa: le Ig hanno dunquesempre la stessa catena leggera grazie a questo processo detto di esclusione dell’isotipo della catena

leggera. 

Sottogruppi diversi di linfociti B sviluppano a partire da progenitori diversi. Le HSC derivate dalfegato fetale sono precursori delle cellule B tipo B-1; le HSC derivate dal midollo danno invece origine 

alla maggior parte dei linfociti B. Questo secondo gruppo di cellule passa rapidamente attraverso duestadi che lo orienta verso lo sviluppo o di cellule B della zona marginale o di cellule B follicolari. La

maggior parte dei linfocti B maturi è di tipo follicolare e coesprime le catene pesanti µ e δ:  presentanodunque sia IgD che IgM nella forma di membrana. L’espressione simultanea delle due diverse catene

 pesanti è dovuta a splicing alternativo dello stesso mRNA. La coespressione di IgD ed IgM si accompa-

gna all’acquisizione di competenza funzionale e abilità di ricircolo: a questo punto si  parla dunque di

linfocita B maturo. I linfociti B maturi naive sono capaci di rispondere agli antigeni e sono destinati a

morire in  pochi mesi se non incontrano l’antigene per il quale hanno grande af finità. 

Selezione dei linfociti B maturi La selezione nei linfociti T maturi è molto ben definita e  pr ecisa,

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mentr e nell’ambito dei linfociti B è un processo molto meno rigido. Le cellule B immature che ri-

conoscono antigeni self con troppa avidità vengono indotte a cambiare la loro specificità tramite il

 processo di editing recettoriale. In questo processo si ha riattivazione dei geni Rag, con una seconda

ricombinazione dei geni della catena leggera: normalmente viene modificata la catena leggera κ e questoaltera la specificità del recettore. Se l’editing fallisce si ha selezione negativa, un processo r esponsabile

almeno in  parte del mantenimento della tolleranza dei linfociti B; il riconoscimento dell’antigene in

questo caso porta a morte apoptotica. Quando la transizione a linfocita B maturo I gD+ IgM + è com-

 pletata, il riconoscimento dell’antigenenon porta più ad apoptosi o a editing ma a proliferazione e

differ enziazione.  

Linfociti B-1 e linfociti della zona marginale Molte delle cellule B-1 esprimono la molecola CD5 che

 può essere usata come marker; nell’adulto grandi quantità di queste cellule si trovano nel  peritoneo e

nelle mucose. Questi linfociti secernono spontaneamente IgM che spesso reagiscono con  polisaccaridi

e lipidi: questi anticorpi sono detti anticorpi naturali in quanto prodotti senza immunizzazione, anchese si sospetta che sia la flora intestinale ad indurne la  pr oduzione. 

I linfociti della zona marginale si trovano nella milza e rispondono ad antigeni polisaccaridici generan-

do anticorpi naturali. Il marker  per  queste cellule è CD21. 

8.3 Maturazione dei linfociti T 

8.3.1 Ruolodel timo Il timo è il più importante sito di maturazione dei linfociti T e a dimostrazione di questo: 

1. Se viene rimosso il timo in un topo neonato questo non sviluppa linfociti T maturi 

2. L’assenza  congenita di timo, come nella sindrome di DiGeorge, porta a un ridotto numero di

linfociti T in circolo e nei tessuti linfoidi e a pesanti carenze di risposte mediate da questo tipo di

cellula 

Il timo involve spontaneamente con l’avanzare dell’età, ma  poichè i linfociti T della memoria hanno una

vita anche di oltre vent’anni il bisogno di nuovi linfociti T diminuisce negli anziani.I linfociti T in fase di sviluppo nel timo sono detti timociti e non esprimono TCR e nemmeno CD4 o

CD8.  Nella corteccia timica queste cellule esprimono  per la  prima volta il TCR (αβ o γδ) e per  quelle che

esprimono il tipo αβ  inizia anche la maturazione verso il sottogruppo C D4+ 

o C D8+ 

. L’ambiente del timofornisce gli stimoli necessari  per la  proliferazione e la maturazione dei timociti; molti di questi stimoliarrivano direttamente dalle cellule del timo, cioè cellule epiteliali, macrofagi o cellule dendritiche. La

migrazione dei timociti in questo tipo di ambiente garantisce interazioni fisiche con le altre cellule,

 passaggio necessario  per la maturazione. Due tipologie di molecole  prodotte dalle cellule timiche non

linfoidi sono importanti  per la maturazione: 

•  Le molecole MHC di classe I e II espresse su cellule epiteliali e dendritiche. Le interazioni tra i

timociti in maturazione e queste molecole sono essenziali  per la selezione del repertorio linfoci-

tario. 

• Citochine e chemochine secrete dalle cellule stromali. La  più importante è IL-7, inoltre le chemo-

chine CCL19 e CCL21, legandosi al recettore CCR7, guidano i timociti nell’attraversamento del

timo. 

8.3.2 Stadi di maturazione linfocitaria

I timociti corticali più immaturi, di recente giunti dal midollo, contengono i geni per il TCR  inconfigurazione terminale e quindi non esprimono TCR, CD3 o catene ζ e nemmeno CD4 o CD8: questecellule vengono dette timociti doppio negativi o cellule pro-T. Come nel caso dei linfociti pro-B, le

 proteine Rag vengono espresse  per la  prima volta in questa fase: il riarrangiamento dei geni  porta allatransizione verso la fase pre-T e il seguente sviluppo del linfocita αβ. Il riarrangiamento, se svolto

con successo, porta alla traduzione di una catena beta funzionante che viene espressa sulla super ficie

della cellula in associazione con una proteina invariante detta pre-Tα. L’insieme di catena beta, catenainvariante pre-Tα, proteine CD3 e  proteina ζ  prende il nome di complesso pre-TCR . I segnali dal  pr e-

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TCR  mediano la sopravvivenza dei timociti e la loro espansione proliferativa; i segnali mediano inoltr el’inizio  della ricombinazione del locus per la catena alfa e guidano la transizione da fase doppio negativaa fase doppio positiva. I segnali del  pre-TCR inibiscono inoltre ulteriori riarrangiamenti della catena βlimitando l’accessibilità della cromatina. 

 Nello stadio successivo di maturazione i timociti esprimono sia CD4 che CD8 e sono dunque detti

timociti doppio positivi. Questi timociti esprimono inoltre il recettore  per  chemochine CCR7 e quindi

migrano verso la midollare del timo. A questa fase la cellula esprime l’eterodimero completo αβ del TCR.

In caso di incapacità di riarrangiare la catena α del TCR il timocita muore  per  apoptosi. Importante,

il riarrangiamento del gene  per la catena alfa causa la delezione del locus δ: questa cellula non potràquindi mai più diventare un linfocita γδ. In virtù della neo acquisita capacità di rispondere agli antigeni,

i timociti doppio positivi subiscono selezione positiva o negativa: le cellule che subiscono il  pr ocesso

maturano in linfociti C D4+ o C D8+ , quindi diventano timociti singolo positivi. I timociti singolo

 positivi entrano nella midollare e lasciano infine il timo per  andare a popolare i tessuti linfoidi periferici. 

8.3.3 Processi di selezione 

Il repertorio linfocitario immaturo non selezionato consiste di linfociti T i cui recettori possono ri-

conoscere qualsiasi antigene peptidico presentato su una molecola MHC qualsiasi. In ogni individuo gli

unici linfociti T utili sono quelli specifici per i peptidi non-self presentati dalle molecole MHC self;  par  -allelamente, i linfociti T che riconoscono antigeni self con troppa avidità sono potenzialmente pericolosi

 perchè possono innescare processi autoimmuni. 

Quando i timociti doppio positivi esprimono  per la  prima volta il TCR  questo incontra peptidi self  presentati su molecole MHC delle cellule timiche epiteliali. La selezione positiva è il  processo per 

cui i timociti i cui TCR  riconoscono blandamente questi peptidi e le molecole MHC associate vengono

stimolati a sopravvivere. La selezione negativa è invece il processo in cui i timociti i cui TCR  riconoscono

troppo avidamente i  peptidi self o le molecole MHC vengono eliminati  per   prevenire reazioni contr o

l’organismo stesso. 

Selezione positiva Se il TCR di un timocita riconosce le molecole MHC I associate al  peptide e allo

stesso tempo il CD8 interagisce con l’MHC,  questo riceve segnali che ne evitano la morte e pr omuovono

il  proseguimento della maturazione. Per   procedere il linfocita doppio positivo può continuare ad es-

 primere CD8 e il TCR ma  può smettere di esprimere CD4; il risultato è un linfocita T C D8+ MHC Iristretto. Un  processo totalmente analogo avviene  per   produrre un linfocita C D4+  MHC II ristr etto.

Durante la transizione da doppio positivo a singolo positivo gli helper diventano C D4+ 

C D8− 

mentre icitotossici C D4− C D8+ . 

Selezione negativa La conseguenza di un riconoscimento troppo avido è lo scatenarsi dell’apoptosi:

questo processo elimina i linfociti T autoreattivi e garantisce la tolleranza al self. La tolleranza indotta

nei timociti dal riconoscimento degli antigeni self nel timo è detta tolleranza centrale, per  differ enziarla

dalla tolleranza periferica indotta nei linfociti già maturati. La selezione negativa può avvenire sia

nella fase doppio negativa che nella fase singolo positiva.  Nella midollare, le cellule epiteliali del timo

esprimono una proteina nucleare detta AIRE che induce l’espressione di  parecchi geni tessuto-specifici

in modo da rendere questi peptidi disponibili per la  pr esentazione. 

8.3.4 Linfociti T γδ 

Questo tipo di linfociti ha una linea di sviluppo totalmente a parte: una esclude l’altra. La diversità delrepertorio di queste cellule è limitata perchè vengono usati solo  pochi dei segmenti V, D e J disponibili: 

questi linfociti servono infatti a difendersi da un numero limitato di microbi il cui incontro è molto

frequente alle  barriere epiteliali. 

8.3.5 Cellule NK-T 

Le cellule  NK-T esprimono TCR  αβ non MHC ristretto ma CD1 ristretto: riconoscono infatti antigeni

lipidici legati a questa molecola. 

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Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T 

I linfociti T maturi che non hanno mai incontrato l’antigene si concentrano negli organi linfoidi sec-

ondari dove hanno la  possibilità di riconoscere antigeni presentati dalle MHC di cellule dentritiche

mature e quindi di attivarsi. Una volta attivate seguono i processi di espansione e la differenziazione

in cellule effettrici o della memoria. Sia i linfociti T naive che le cellule dentritiche mature sono attratti

nelle aree T per  azione di chemochine che interagiscono con i recettori CCR7. Una volta avvenuto l’in-contro, il riconoscimento dell’antigene presentato dalle MHC e l’interazione tra le  proteine B7 espr esse

dalla cellula dendritica e il corecettore CD28 determinano l’attivazione dei linfociti T. Una volta attivato illinfocita inizia a secernere IL-2 (interleuchina 2), una citochina autocrina che avvia l’espansione

clonale. Alcuni linfociti T lasciano gli organi linfoidi ed entrano in circolo, altri rimangono lì per  aiutar e i linfociti B a differenziarsi in  plasmacellule. Le risposte T terminano principalmente  per  apoptosi dei

linfociti T attivati dovuta alla eliminazione dell’antigeneche li depriva dello stimolo di sopravvivenza. 

9.1 Attivazione dei linfociti CD4 

L’attivazione  presuppone che antigene e linfociti naive si trovino nello stesso tessuto linfoide. L’anti-

gene raggiunge i linfonodi mediante drenaggio linfatico oppure raggiunge la milza attraverso il cir colo

ematico. L’antigene si sposta trasportato dalle cellule dendritiche e viene presentato in associazione

alle molecole MHC di classe II per  l’attivazione dei CD4. Per  l’attivazione  dei linfociti CD4 sono necessari due segnali: riconoscimento dell’antigene  as-sociato a MHC e molecole costimolatorie B7-1 e B7-2. Per la  proliferazione è necessaria inoltre la

autosecrezione di IL-2; affinchè vi sia secrezione di Il-2 e  parallela espressione del suo recettore è  pri-

ma necessario che il linfocita abbia riconosciuto l’antigene. In questo modo abbiamo  pr oliferazione

delle sole cellule specifiche e necessarie, proliferazione che coinvolge dunque un unico clone cellular e edefinita espansione clonale. Con l’eliminazione  degli antigeni la maggior parte dei T attivati muor e

riportando il numero di linfociti a condizioni basali. 

9.2 Attivazione dei linfociti CD8 

Affinchè vi sia attivazione questa volta serve che l’antigene sia  presentato da molecole MHC di classe I. Ilinfociti T CD8 hanno il compito di eliminare cellule infettate. Le risposte da questo gruppo di linfociti

sono sollecitate da peptidi microbici presenti nel citosol delle cellule infette: questo pone un  pr oblema perchè gli antigeni riconosciuti possono essere prodotti anche all’interno di una cellula che non è una

APC  professionale; le cellule dendritiche hanno però la speciale capacità di catturare e ingerire le cellule

infette o tumorali e di  presentarne gli antigeni ai CD8 naive in un processo detto cross-presentazione. L’attivazione dei CD8 è facilitata dall’azione dei CD4: nel caso di una forte risposta innata quest’ulti- maè superflua ma diventa indispensabile  per  risposte a infezioni latenti,tumori ecc. I linfociti T helper 

 producono citochine che stimolano la differenziazione dei CD4, inoltre esprimono la  proteina CD40L

che viene riconosciuta dal recettore CD40 sulle APC: questo ne aumenta l’efficacia nello stimolare la

differenziazione dei CD8. Alla  pari dei CD4, anche i CD8 vanno incontro ad espansione clonale tuttavia in modo molto più

massiccio: si  passa da un linfocita specifico ogni 106 linfociti a uno ogni dieci. In seguito all’espansione

si ha la differenziazione in cellule effettrici CTL caratterizzate dalla presenza di granuli citoplasmatici

legati alla membrana contenenti proteine citolitiche quali la perforina e granzimi. Inoltre sono in

grado di  produrre citochine tra cui IFN-γ  e TNF. Due fattori di trascrizione sono richiesti  per  questanuova espressione genica: T-Bet e Eom. 

9.3 Molecole costimolatorie 

La differenziazione e  proliferazione dei linfociti T naive richiedono molecole costimolatorie espresse dalle

APC: in assenza di costimolazione, anche in caso di incontro con l’antigene,  i linfociti T muoiono per 

apoptosi in quanto incapaci di rispondere. La molecola meglio caratterizzata sui linfociti T è il recettore

di membrana CD28 che lega le glicoproteine costimolatorie B7-1 e B7-2 espresse sulle APC; B7-2 è

espressa costitutivamente mentre B7-1 solo in cellule attivate. Prodotti microbici che legano il TLR ecitochine, soprattutto IFN-γ, aumentano l’espressione delle B7, così come l’interazione CD40L:CD40.  

Le cellule dendritiche sono quelle che presentano la maggior espressione di queste glicoproteine e

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quindi rappresentano le cellule più potenti nell’attivare i linfociti T naive. Molti adiuvanti hanno come

funzione lo stimolare l’espressione di molecole costimolatorie sulle APC. L’assenza  di molecole costimolatorie sulle APC contribuisce alla tolleranza verso gli antigeni self,

 poichè ogni APC  presenta antigeni self ai linfociti T è  proprio la mancanza di molecole costimolatorie

che assicura che le cellule T non si attivino in associazione alla selezione negativa durante la fase di

maturazione. I linfociti T effettori e della memoria sono meno dipendenti dalla costimolazione di B7 e

sono quindi in grado di rispondere ad APC in tessuti non linfoidi in cui non sono espresse le B7. Ilcontrollo delle funzioni delle cellule T effettrici è effettuato da linfociti T regolatori deputati a inibire le

funzioni ef fettrici. Il meccanismo di azione pro attivatorio dell’interazione CD28:B7 è compreso in modo parziale. I

segnali prodotti aumentano la  produzione di citochine, specialmente l’autocrina  IL-2, inoltre si ha

l’aumentata espressione della proteina anti apoptotica Bcl-x. Oltre alle molecole attivatrici CD28 esistono anche molecole costimolatorie inibitrici sempre ap-

 partenenti alla famiglia delle CD28, primo esempio la CTLA-4. Questa lega sempre molecole B7 tut-

tavia funge da regolatore negativo nella attivazione. Altra molecola inibitoria è PD-1 che lega molecole

appartenenti alla famiglia delle B7 chiamate B7-DC e B7-H1 andando a regolare negativamente l’at-

tivazione del linfocita. Ultimo recettore costimolatore è chiamato ICOS e lega il ligando di ICOS con

 particolare rilevanza nell’attivare funzioni effettrici quali la  produzione di IL-10 e IL-4. L’attivazione di

CD28 è cruciale  per  dare inizio alla risposta dei linfociti CD4 mentre quella di ICOS per le cellule T

effettrici. Si ipotizza che CTLA-4 inibisca rispote acute negli organi linfoidi mentre PD-1 quelle croniche equelle in tessuti non linfoidi. 

9.4 Trasduzione del segnale 

La trasduzione del segnale in cellule naive attiva geni normalmente silenti i cui  prodotti sono r espons-

abili della risposta e delle funzioni del linfocita attivato. Prima abbiamo visto come citochine e molecole

costimolatorie fossero un punto chiave nell’espansione clonale e nella differenziazione: l’attivazione del

TCR è responsabile invece della specificità. 

Il TCR  non possiede attività enzimatica intrinseca e si trova associato al complesso CD3 e alla catena ζ formando il complesso del TCR  che possiede, nel versante citoplasmatico, strutture dette domini

ITAM: la fosforilazione di questi domini dà inizio alla trasduzione del segnale. Si assiste all’attivazione

di via di trasduzione parallele che confluiscono nell’attivazione di determinati fattori di trascrizione;le

vie sono principalmente tr e: 

•  la via della calcineurina che attiva  NFAT

•  la via della PKC che attiva NF-κ B 

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•  la via delle MAP chinasi che attivano AP-1 

Queste tre vie sono a loro volta attivate mediante specifiche tirosin chinasi che mediano il segnale tra TCR e gli enzimi sopra citati. 

Tirosin chinasi Una volta formato il complesso del TCR  quando il recettore si lega all’antigene e

MHC una tirosin chinasi chiamata Lck  associata a CD4 e CD8 si sposta vicino alle sequenze ITAM del

complesso CD3 e della catena ζ  attivandosi e fosforilando le tirosine in esse contenute. Queste tir osinefosforlate fungono da ancoraggio  per  un’altra tirosin chinasi chiamata ZAP -70 che una volta legatasi

viene anche essa fosforilata da Lck  attivandosi e andando a fosforilare numerosi substrati che fungono

da proteine adattatrici di altre molecole coinvolte nella trasduzione del segnale. Altro gruppo di chinasi

importanti sono le PI-3 chinasi attivate dalla costimolazione di CD28: questi enzimi catalizzano la

generazione di fosfatidil inositolo tre fosfato (PIP3 ) a partire dal PIP2 di membrana. Le attività delle

chinasi citate sono regolate da specifiche tirosine fosfatasi reclutate dal complesso TCR e chiamate

SHP-1 e SHP-2 che inibiscono la trasduzione del segnale e un’altra è la SHIP. 

Formazione della sinapsi immunologica La regione di contatto tra il linfocita T e la sua APC pr ende ilnome di sinapsi immunologica. Le molecole che vengono subito spostate verso il centro di questa

struttura sono il complesso TCR, i corecettori CD4 o CD8, i recettori  per i costimolatori (CD28) e vari

enzimi associati. La segnalazione viene avviata all’interno di questa struttura sovramolecolar e. 

Reclutamento e attivazione delle proteine adattatrici ZAP-70 si  porta a fosforilare parecchie  pr o-

teine adattatrici in grado di legarsi a molecole segnalatorie. Le  proteine adattatrici presentano domini

ricurrenti di tipo SH2 o SH3 che consentono loro di formare cluster  di enzimi in tempi rapidi. Un

evento chiave dell’attivazione del linfocita T è la fosforilazione da parte di ZAP-70 della proteina adatta-trice LAT, la quale è in grado di legarsi direttamente alla fosfolipasi Cγ 1; la fosfolipasi è una molecola

fondamentale che recluta altre proteine tra le quali SLP-76 e Grb-2. 

Via della MAP chinasi La via Ras è iniziata a seguito del legame del TCR e porta all’attivazione di ERK,

membro fondamentale della famiglia delle MAP kinasi che porta alla mobilitazione di diversi fattori di

trascrizione. Ras nella sua forma inattiva è legato ad una molecola di GDP che, quando viene sostituita

da una di GTP, è responsabile dell’attivazione.  L’attivazione di Ras coinvolge le  proteine LAT e Grb-2,

in quanto la catena di eventi è la seguente: 

1. Fosforilazione di LAT da parte di ZAP-70 

2. Reclutamento di Grb-2 su LAT

3. Reclutamento del fattore Sos da parte di Grb-2/LAT

4. Scambio di GTP per GDP su Ras grazie alla catalisi di Sos 

5. Attivazione delle MAP kinasi 

Esistono tre MAP kinasi principali nei linfociti T, delle quali il  prototipo è ERK . L’attivazione  di ERK  lo

 porta a traslocare nel nucleo e a fosforilare una proteina detta Elk , la quale stimola la trascrizione di

Fos, un componente del fattore di trascrizione AP-1. In  parallelo all’attivazione lungo la via Ras si ha il reclutamento di una piccola proteina detta Vav, laquale scambia GTP per GDP su una proteina detta Rac. Rac in forma attiva inizia una cascatasegnalatoria parallela che termina nell’attivazione della MAP kinasi JNK  che si  porta a fosforilare c-Jun,il secondo membro del fattore di trascrizione AP-1. 

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Segnali calcio e fosfolipasi dipendenti La fosfolipasi Cγ 1 è un enzima citosolico reclutato da LATfosforilata e fosforilato da ZAP-70 e altre chinasi. La fosfolipasi fosforilata si  porta ad idrolizzare il

fosfolipide di membrana PIP2  producendo così IP3 e DAG. Il ruolo fisiologico di IP3 è l’aumento del cal-

cio citoplasmatico  per  apertura di canali nel reticolo endoplasmatico; questa fuoriuscita dal r eticolo

attiva i canali CRAC che facilitano l’arrivo di altro calcio dal reparto extracellulare (difetti nel gene che

codifica Orai, componente del canale CRAC, sono alla base di alcune rare immunodeficienze umane).Il calcio citoplasmatico agisce da molecola segnalatoria legandosi a varie calmoduline delle quali una

fondamentale è la calcineurina. Il DAG attiva invece l’enzima PKC che è coinvolto nell’attivazione e

nella traslocazione nucleare di NF-κ B. 

Attivazione dei fattori di trascrizione I fattori di trascrizione che sono attivati nei linfociti T a seguito

del riconoscimento antigenico sembrano critici per  quasi tutte le risposte di queste cellule e sono: 

NFAT Questo fattore è richiesto  per  l’espressione di IL-2, IL-4, e TNF. Questo fattore è  presente in for -ma inattiva serina-fosforilata nei linfociti T a riposo. La sua attivazione è legata alla calcineurina, che

defosforila la molecola e ne svela la sequenza di localizzazione nuclear e. 

AP-1 Questo fattore in realtà è una famiglia di molecole leganti DNA. La molecola meglio compr esa èquella formata dalle subunità c-Jun e Fos. AP-1 sembra essere un punto di convergenza di

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 parecchie vie segnalatorie attivate dal riconoscimento antigenico. 

NF-κ B Questo fattore è essenziale  per la sintesi di  parecchie citochine.  Nei linfociti a riposo la molecola è presente in complesso con inibitori specifici (Iκ B) che ne  bloccano l’ingresso nel nucleo; i segnali del TCR causano l’ubiquitinazione degli inibitori, quindi la loro degradazione e quindi il ripristino della capacità

del fattore di entrare nel nucleo. 

9.5 Attenuazione della risposta 

I meccanismi inibitori sono mediati da varie strategie quali il reclutamento delle fosfatasi SHP-1, l’at-

tivazione dei recettori inibitori di famiglia CD28 e il reclutamento di  proteine dette E3 ubiquitin ligasi

che degradano certe molecole. 

Recettori inibitori Il  prototipo del recettore inibitorio è CTLA-4, di cui  però si sa  poco del mecca-

nismo di azione. Normalmente questa molecola è sequestrata in vescicole intracellulari che vengono

rapidamente mobilitate con la formazione della sinapsi immunologica.  Nella sinapsi CTLA-4  potrebbe

competere con CD28 per  legare le molecole B7 o reclutare fosfatasi che bloccano l’attivazione dei domini

ITAM.L’altro recettore inibitorio di interesse è PD-1, indotto in linfociti B, T e monociti a seguito dell’at-

tivazione. PD-1 ha due ligandi, PD-L1 e PD-L2, omologhi ai B7 ed espressi su cellule dendritiche

attivate, monociti e altre cellule. Il recettore contiene sul lato citoplasmatico dei domini ITIM che

contribuiscono al reclutamento delle fosfatasi SHP-1 e SHP-2 che attenuano il segnale. 

Capitolo 10. Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi 

10.1 Caratteristiche generali della risposta

morale 

•  Il processo di attivazione delle cellule B è sequenziale. I linfociti B maturi e in grado di risponder e

agli antigeni si sviluppano da precursori midollari prima di incontrare l’antigene e  popolano poi i tissuti linfoidi periferici, sede della futura interazione antigenica. Gli antigeni legano le IgM eIgD di membrana sui linfociti naive e li attivano; l’attivazione può avvenire sia in dipendenza che

in indipendenza dai linfociti T. L’attivazione può portare a proliferazione, cioè all’espansione delclone antigene specifico, e a differenziazione, cioè alla generazione di  plasmacellule e cellule della

memoria. Alcune  cellule B attivate iniziano a produrre anticorpi diversi da IgM e IgD in un

fenomeno detto switching (switching dell’isotipo della catena pesante). I linfociti in grado di

 produrre anticorpi con la  più alta affinità per  l’antigene vengono inoltre preferenzialmente espansi: si parla di maturazione dell’affinità. Un singolo linfocita può, in sette giorni, dare origine a

quattromila plasmacellule che producono oltre 1012 anticorpi al gior no. 

•  Le risposte anticorpali agli antigeni proteici richiedono i linfociti T helper C D4+  che riconoscono

gli antigeni e hanno ruolo fondamentale nell’attivazione dei B. Per  questo motivo le  proteine sono

classificate come antigeni timo dipendenti. 

•  Le risposte anticorpali agli antigeni multivalenti, con epitopi polisaccaridici e lipidici, non richiedono i linfociti helper. Per  questo motivo gli antigeni polisaccaridici e lipidici sono definiti timo indipen- denti. 

•  I linfociti attivati differenziano in plasmacellule, alcune delle quali continuano a produrre an-ticorpi  per  anni, e in cellule della memoria. Le risposte umorali originano agli organi linfoidi

 periferici, ma alcune plasmacellule migrano da questi al midollo osseo dove si stabiliscono per 

anni producendo bassi livelli di anticorpi che forniscono protezione immediata  per i microbi daessi riconosciuti. 

•  Lo switching degli isotipi e la maturazione dell’affinità sono tipici delle risposte T -dipendenti agli

antigeni proteici. Lo switching è stimolato direttamente dai segnali in arrivo dalle cellule T, tra i

quali la molecola CD40L e varie citochine. La maturazione riguarda la generazione di mutazioni

somatiche ad alta frequenza in geni Ig V riarrangiati e la consequente selezione delle cellule Bcon grande affinità  per  l’antigene originale. La natura della risposta umorale varia inoltre in

funzione del distretto anatomico: ad esempio i tessuti linfoidi mucosali sono adattati a  produrr e

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grandi quantità di IgA.

•  Le risposte anticorpali primarie e secondarie differiscono quantitativamente e qualitativamente.Le risposte primarie derivano dall’attivazione di cellule B naive, le secondarie dalla stimolazione di

cloni espansi delle cellule della memoria;  per  questo motivo le risposte secondarie sono più rapide elegate a quantità maggiori di anticorpi. In aggiunta a questo sia lo switching che la maturazioneaumentano con ripetute esposizioni allo stesso antigene. 

•  Set differenti di linfociti rispondono preferenzialmente a diverse tipologie di antigene. Le cellule B

follicolari degli organi linfoidi periferici preferiscono gli antigeni proteici; le cellule della zona

marginale della milza riconoscono antigeni multivalenti. 

10.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione antigene-

indotta 

I linfociti circolano attraverso i follicoli degli organi linfoidi periferici in cerca del loro antigene.

L’in- gresso nei follicoli è guidato dalla chemochina CXCL13  prodotta dalle cellule dendritiche

follicolari e da quelle stromali; questa molecola si lega al recettore CXCR5 e attrae i linfociti nella

giusta sede. La sopravvivenza dei linfociti follicolari dipende dai segnali in arrivo dal B cell receptor 

(BCR) ma anche da quelli mediati da una citochina detta BAFF (appartenente alla famiglia delTNF); BAFF e il ligando correlato, APRIL,  possono attivare altri due recettori, TACI e BCMA, che

hanno ruolo nelle fasi  più tardive della maturazione. Gli antigeni entrano negli organi linfoidi tramite le APC o in forma solubile e attivano i linfociti grazie

all’interazione con il BCR. Questo recettore ha due ruoli nella fase di attivazione: 

1. L’accumulo di recettori antigene-indotto rende possibile la segnalazione biochimica 

2. Il recettore lega e internalizza l’antigene  per   processarlo in  peptidi  per la  presentazione ai linfociti T helper  

10.2.1 Trasduzione del segnale 

I recettori dei linfociti B naive, cioè IgM e IgD, hanno code citoplasmatiche troppo corte per  trasdurr e ilsegnale, il compito viene infatti svolto da altre due molecole dette Igα e Igβ. Queste molecole sono tra

loro legate da ponti disolfuro e sono associate in modo non covalente alla membrana; sono ancherichieste  per  l’espressione superficiale delle molecole Ig e insieme ad esse formano il complesso recet-

toriale delle cellule B (complesso BCR). Igα e Igβ sono dunque analoghe a CD3 e ζ per i linfociti T. I

domini citoplasmatici di queste due molecole contengono i motivi ITAM già visti per le cellule T e sono

anche blandamente associati a tirosin chinasi della famiglia Src. 

Il cross-linking delle Ig di membrana porta le chinasi citoplasmatiche ad avvicinarsi e questo le attiva

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facendo loro fosforilare i domini ITAM. La fosforilazione di ITAM fornisce un sito di attacco  per i domini

SH2 della tirosin chinasi Syk , l’equivalente nelle cellule B di ZAP-70 dei linfociti T. Syk  attivata va a

fosforilare dei residui di tirosina su una proteina adattatrice detta SLP-65 facilitando il r eclutamento

su questa di altri domini SH2 di vari enzimi. Le principali molecole che interagiscono con SLP-65 sono: 

1. Il fattore SOS viene reclutato da SLP-65 e catalizza la sostituzione di GDP in GTP sulla proteina

RAS e sulla proteina RAC. Queste proteine in forma GTP-legata attivano la via della chinasi JNK-

MAP. 

2. Una fosfolipasi, PLCγ 2, viene attivata quando si lega a SLP-65 e viene fosforilata da Syk e Btk. Questo enzima si  porta a demolire il fosfatidilinositolo di membrana (PIP2) generando inositolo 3-fosfato e diacilglicerolo. L’inositolo mobilita il calcio, il DAG in  presenza di calcio attiva la

 protein chinasi C che fosforila varie altre  pr oteine. 

3. La  protein chinasi C fosforila una proteina detta CARMA1 contentente un dominio CARD che ne

media le interazioni con le altre proteine. Le attività di CARMA1 culminano infine con l’attivazione delcomplesso IKK  (IκB chinasi); il complesso è critico  per  l’attivazione  di NF-κB in quanto è in grado difosforilare IκBα, un inibitore di  NF-κB,  e destinarlo al  proteasoma: in questo modo  NF-κ B è libero dientrare nel nucleo. 

4. Questa serie di cascate porta all’attivazione di fattori di trascrizione che inducono l’espressione di

geni i cui  prodotti sono richiesti  per le risposte delle cellule B. 

Queste vie di segnalazione funzionano con qualsiasi recettore Ig, in quanto tutti si associano ad Igα e Igβ per  poter trasdurre il segnale. 

10.2.2 Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le cellule B 

I linfociti B esprimono un recettore  per la proteina del complemento C3d che prende il nome di

CR2 o CD21. Il complesso C3d+antigene o quello C3d+antigene+anticorpo lega il linfocita in modo che

l’Ig  riconosca l’antigene e CR2 riconosca la  proteina del complemento. CR2 è espresso sotto forma di

complesso con altre due proteine, CD19 e CD81: questo complesso viene spesso chiamato complesso

corecettoriale delle cellule B  perchè lega C3d allo stesso momento in cui BCR lega l’antigene. Il

legame di C3d al corecettore porta CD19 in  prossimità delle chinasi associate al BCR e la coda di CD19

diventa in questo modo fosforilata; la fosforilazione risulta nel reclutamento della chinasi Lyn, che può

amplificare il segnale di BCR  fosforilando direttamente i domini ITAM. CD19 fosforilata attiva anchealtre vie di segnalazione, tra le quali una legata a P IP3 , che aumentano ulteriormente i pathway aperti

dalle Ig. Il risultato netto è un grande stimolo della risposta della cellula B stimolata. 

10.2.3 Risposte funzionalidei linfociti B agli antigeni 

Il riconoscimento dell’antigene stimola l’ingresso delle cellule nella fase G1 del ciclo cellulare, uscendo

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così dalla precedente fase G0. La sopravvivenza delle cellule B viene migliorata grazie all’induzione di

vari geni anti apoptotici. I linfociti B attivati mostrano un’aumentata espressione di molecole

MHCII e di costimolanti (B7-2 prima e B7-1 dopo, ed è questa la ragione  per cui sono in grado di

attivare i linfociti helper). L’espressione dei recettori  per le citochine derivanti dai linfociti T viene

anch’essa aumentata in modo da rendere le cellule B recettive, inoltre cambia anche l’espressione dei

recettori  per le chemochine in modo da permettere la mobilitazione.  L’importanza  del BCR  nelle risposte è diversa a seconda dell’antigene.   Gli antigeni multivalenti

hanno di solito parecchi epitopi uguali sulla stessa molecola e sono quindi in grado di stimolare in

modo efficace il linfocita. Gli antigeni peptidici sono invece spesso dotati di un solo epitopo e quindinon sono in grado di stimolare il linfocita: in questo caso il BCR si limita ad internalizzare l’antigene

 per  presentarlo al linfocita helper, il quale  poi si occuperà di attivare la cellula B. 

10.3 Risposte anticorpali helper-dipendenti ad antigeni proteici 

Le  prime fasi delle risposte helper  -dipendenti avvengono ai  bordi delle zone T e dei follicoli  primari erisultano nella proliferazione delle cellule B, nella secrezione di anticorpi iniziale e in un limitato

switching. Le fasi  più tardive avvengono invece nei centri germinativi all’interno dei follicoli linfoidi e

risultano nella maturazione dell’affinità, nella generazione di cellule della memoria e nello switching

 più evidente. 

10.3.1 Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti 

1. Assunzione dell’antigene dalle cellule dendritiche e  presentazione ai linfociti T helper. 

2. Attivazione degli helper e espressione di CD40L e citochine. 

3. Migrazione degli helper verso il follicolo grazie alle chemochine. 

4. Attivazione delle cellule B da antigeni solubili o  presentati dalle cellule dendritiche. 

5. Processamento e  presentazione dell’antigene delle cellule B e migrazione verso la zona T grazie ai

recettori  per  chemochine. 

6. Interazione tra cellule B e T e attivazione delle prime grazie a CD40L e citochine. 

7. Inizio dello switching e della secrezione di Ig. 

8. Migrazione delle cellule B attive verso il follicolo, formazione di centri germinali nel follicolo.  Nei centri germinali si ha marcato switching, mutazioni somatiche, maturazione dell’affinità e

generazione delle cellule della memoria. 

9. Generazione di  plasmacellule a lunga vita che migreranno  poi nel midollo osseo. 

10.3.2 Attivazione degli helper 

Le cellule che  per   prime riconoscono l’antigene sono le cellule dendritiche, che lo  processano e lo

caricano sulle molecole MHCII  per  farlo riconoscere ai linfociti C D4+  naive. Le cellule dendritiche sono

inoltre stimolate a produrre B7-1 e B7-2 che forniranno secondi segnali  per  l’attivazione degli helper . Ilinfociti attivati dalle cellule dendritiche sono indotti a proliferare, esprimere CD40L e secer ner evarie citochine. Queste cellule modificano inoltre il loro set di recettori  per  chemochine, aumentandol’espressione di CXCR5 e diminuendo quella di CCR7; in questo modo la cellula segue il gradiende di

concentrazione di CXCL13, prodotto dalle cellule dendritiche follicolari, che la  porta nel follicolo. 

10.3.3 Presentazione dell’antigene dalle cellule B e migrazione 

Il BCR è un recettore ad alta affinità in grado di internalizzare efficacemente l’antigene  per  endocitosi

rendendolo disponibile al  processamento e al caricamento sull’MHCII. Sono molti i segnali secondari

che permettono ad un linfocita B di rispondere ad antigeni proteici dannosi e non a quelli innocui: 

1. L’aiuto dagli helper viene fornito solo da linfociti T che hanno risposto a cellule dendritiche che

esprimono B7; l’espressione di B7 è a sua volta indotta dal coinvolgimento del TCR  che riconosce

strutture non-self. 

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2. I linfociti B  percepiscono direttamente i patogeni grazie alla presenza di uno o  più TLR, tra i quali TLR4, TLR5 e TLR9. 

I linfociti B antigene attivati downregolano l’espressione di CXCR5 e aumentano l’espressione di CCR7:

questo comportamento, opposto a quello dei linfociti T C D4+ , li attira verso l’interfaccia T -B dellinfonodo. In una qualsiasi risposta umorale le cellule B specifiche  per  l’antigene che ha iniziato la risposta

vengono attivate preferenzialmente; esistono varie ragioni per  giustificare questo fatto: 

1. Solo i linfociti B le cui molecole Ig legano l’antigene possono ricevere i segnali di attivazione. 

2. I linfociti B sono in grado di  presentare il loro antigene a concentrazioni anche 106 volte minori

rispetto all’antigene che non riconoscono in quanto l’internalizzazione via BCR è estr emamente

ef ficiente. 

3. I linfociti B nei coniugati cellula T -cellula B sono esposti ai segnali portati da CD40L e da alte

concentrazioni di citochine T -derivate, in  parte  per via della formazione delle sinapsi immuno-

logiche. 

10.3.4 Effetto aptene-carrier 

Gli apteni, come il dinitrofenolo, sono piccole molecole che possono legare anticorpi specifici ma non

sono immunogeni da soli. Se un aptene si lega ad una proteina carrier il loro complesso diventa peròimmunogeno. Tre sono le caratteristiche importanti delle risposte anticorpali verso questi complessi:  

1. Sono necessarie sia cellule B specifiche  per  l’aptene che  per il carrier . 

2. Per  avere risposta carrier e aptene devono essere fisicamente associati, la somministrazione sep-

arata non fornisce r eazione. 

3. L’interazione  è MHCII ristretta, cioè gli helper collaborano solo con i linfociti B che esprimono

queste molecole che vengono riconosciute come self dai T. 

I linfociti aptene-specifici legano l’antigene attraverso il determinante dell’aptene,  lo internalizzano e

 presentano i peptidi derivati dalla proteina carrier ai linfociti T carrier  -specifici: i due linfociti cooperanti

riconoscono dunque due epitopi diversi dello stesso antigene. L’effetto carrier  -aptene è alla base dello

sviluppo dei vaccini coniugati. 

10.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipendente 

I linfociti helper attivati esprimono una molecola detta CD40L, il cui recettore è CD40, espresso suilinfociti B che presentano l’antigene:  l’interazione tra i due è alla base dell’attivazione. CD40 è un

membro della famiglia dei recettori TNF; CD40L è una proteina trimerica. CD40 è espresso in modo

costituivo dalle cellule B mentre il suo ligando viene espresso dagli helper  solo dopo che questi sono

stati attivati. Il legame tra ligando e recettore induce alterazioni conformazionali dei trimeri di CD40 e

questo causa l’associazione di una proteina citosolica detta TRAF; TRAF inizia una cascata enzimatica

che porta all’attivazione e alla traslocazione nucleare dei fattori di trascrizione, tra i quali NF-κ B e

AP-1. L’induzione  dei fattori di trascrizione CD40-dipendente è cruciale  per la formazione dei centri

germinativi e anche  per  l’espressione di un gene codificante la deaminasi attivazione-indotta (AID),

un enzima critico  per lo switching e le mutazioni somatiche. Questo sistema di risposta cellular econtatto-mediata è il meccanismo generale di attivazione di cellule bersaglio da parte degli helper e non

è dunque unico per la  produzione di anticorpi. 

Il virus di Epstein-Barr (EBV) infetta i linfociti B e ne induce proliferazione che può portare a linfoma.

La coda citoplasmatica di una proteina trasformante del virus, LMP1, si associa alle stesse molecole

TRAF attivate da CD40 e in questo modo stimola la  proliferazione dei linfociti. 

I linfociti helper attivati secernono citochine che agiscono insieme a CD40L per  stimolare la  pr olif-

erazione e la  produzione di anticorpi di diversi isotipi. Le citochine servono  per  due scopi principali in

ambito di risposte anticorpali: 

1. Aumentano la  proliferazione e la differenziazione delle cellule B 

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2. Promuovono lo switching verso differenti isotipi delle catene pesanti 

Il riconoscimento dell’antigene nei linfociti B aumenta l’espressione dei recettori per le citochine, molecole

 presenti ad alte concentrazioni nelle sedi di contatto con il linfocita helper. Le citochine helper  -derivate,

soprattutto IL-2, IL-4 e IL-21, potenziano proliferazione e differenziazione dei linfociti B, allo stesso

modo delle citochine BAFF e APRIL della famiglia del TNF. La citochina IL-6, prodotta da macr ofa-

gi, linfociti T e altre cellule, è invece un fattore di crescita  per  cellule B già differenziate e secer nenti

anticorpi. L’attivazione contribuisce all’iniziale formazione di foci extrafollicolari di cellule B attivate che pos-

sono andare incontro a differenziazione e switching dell’isotipo. Ognuno dei foci formati contiene

qualche centinaio di  plasmablasti e  plasmacellule, i cui anticorpi prodotti possono contribuire a for -mare immunocomplessi che hanno un ruolo nell’iniziare la reazione di formazione del centro ger minale. 

10.3.6 Reazione del centro germinativo 

L’iniziale risposta agli antigeni dei linfociti B si ha nella zona tra i follicoli linfoidi e le zone T; dopo

quattro-sette giorni dall’esposizione alcuni dei linfociti B attivati migrano in  profondità del follicolo e 

iniziano a proliferare rapidamente, formando il centro germinativo. All’interno del centro germinativo

la zona scura contiene cellule B rapidissime a proliferare: in cinque giorni un singolo linfocita può

generare cinquemila cellule figlie. Ogni centro germinativo contiene cellule derivate da un unico clone o

al massimo da un paio. La  progenie, formata da cellule più piccole, va incontro a differenziazione eselezione nella zona chiara del centr o. 

L’architettura dei follicoli linfoidi e dei centri germinativi dipende dalla presenza delle cellule den-

dritiche follicolari. Le FDC si trovano solo nei follicoli ed esprimono recettori  per il complemento (CR1,

CR2 e CR3) e per Fc ma non esprimono molecole MHCII. Le lunghe code citoplasmatiche di queste cel-

lule formano un’impalcatura attorno alla quale si forma il centro germinativo. Le cellule B  pr oliferanti

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si  posizionano nella zona scura del centro, che presenta poche FDC, mentre la  progenie si distribuisce

nelle zone più esterne. La formazione del centro germinativo è impedita in soggetti con difetti nello sviluppo dei linfociti T o conmutazioni in CD40 o CD40L; questo fenomeno è dovuto al fatto che il centro viene costruito solo a

 partire da cellule B attivate, e l’interazione CD40:CD40L è fondamentale nelle prime fasi dell’attivazione. 

10.3.7 Switching dell’isotipo delle catene pesanti 

In risposta a CD40 e alle citochine, alcune delle cellule figlie dei linfociti B attivati (che esprimono soloIgD ed IgM) vanno incontro a switching, portando alla produzione di altre catene pesanti quali γ, α, ε.

In soggetti KO per  CD40 si nota come lo switching sia deficitario e le risposte anticorpali siano dominate

da anticorpi IgM. Le citochine hanno ruolo essenziale nello switching di  particolari isotipi. IL-4 è il  principale agente

inducente la  produzione di IgE, mentre la  produzione di IgG2 nel topo è dipendente dall’interferone γ

secreto da linfociti T e cellule NK. 

Il  principale meccanismo grazie al quale CD40 induce lo switching è lo stimolo alla trascrizione del

gene AID. Il gene AID viene dunque trascritto dietro stimolo di CD40, sono però le varie citochine

a indurre i fattori di trascrizione che identificano quale catena pesante sarà il target dello switching

mediato da AID. Lo switching in risposta a diverse tipologie di microbo è regolato dal tipo di cellula helper che viene

attivata dai microbi stessi, ad esempio: • Batteri con capsule ricche in  polisaccaridi stimolano la  produzione di IgM i quali  poi favoriscono ilcomplemento, la fagocitosi e l’opsonizzazione. 

•  Gli antigeni polisaccaridici, che non necessitano l’aiuto degli helper, stimolano IgM. 

•  Molti virus e  batteri stimolano la  produzione di IgG, che bloccano l’ingresso dei  patogeni nellacellula e ne facilitano la fagocitosi. Virus e  batteri attivano gli helper  del sottogruppo TH 1 che

 producono interferone γ, il principale induttore di switching a catena γ  nelle cellule B. 

•  I  parassiti elmintici generano risposte di tipo  principalmente IgE, anticorpi che partecipano al-

l’uccisione eosinofilo-mediata dei  patogeni. Gli anticorpi IgE sono anche alla base delle r eazioni

allergiche. Gli elminti attivano gli helper  del sottogruppo TH 2 i quali producono IL-4,  principale

induttore di switching verso la catena pesante ε. 

In aggiunta a questo meccanismo, anche la sede anatomica influenza lo switching. I linfociti B delle

mucose producono soprattutto IgA, l’anticorpo più efficace nell’essere trasportato attraverso gli epiteli;

lo switch è stimolato dal transforming growth factor  β (TGF-β )  prodotto da parecchie cellule nelle

mucose. Il recettore TACI (substrato sia per APRIL che  per BAFF) ha anch’esso un ruolo critico nelloswitch verso IgA. Il  principale meccanismo molecolare di switching è un processo detto ricombinazione switch in cuiil segmento genico riarrangiato VDJ di una cellula B si ricombina con un gene della regione C a

valle mentre il DNA in mezzo viene eliminato. Questi eventi ricombinatori coinvolgono sequenze

nucleotidiche dette regioni switch  poste negli introni J-C alle estremità 5’ di ogni locus CH ; queste

regioni sono lunghe 1-10kb, contengono numerose ripetizioni di GC e si trovano a monte di ogni gene

codificante catene pesanti ad eccezione del gene δ. A monte di ogni regione di switch c’è  un piccolo

esone detto esone I (per  iniziatore della trascrizione) preceduto da un promotore. CD40 e le citochine

stimolano lo switching rendendo più accessibile il DNA di una specifica regione C e inducendo  poi latrascrizione attraverso l’esone I, la regione di switch e l’esone CH . Questi trascritti, detti trascritti

germinali, non codificano proteine ma hanno un ruolo fondamentale nello switch. La trascrizione germinale è accompagnata dall’accessibilità di un particolare gene C a rotture e

riparazioni del DNA; come risultato l’esone riarrangiato VDJ giusto a monte della regione di switch µ si

accoppia con la regione C a valle trascrizionalmente attiva. L’enzima chiave richiesto  per lo switching è la deaminasi attivazione-indotta (AID). AID è una

DNA deaminasi che converte la citosina in uracile all’interno di template di DNA a singolo filamento.

La trascrizione produce sempre una piccola bolla di DNA a singolo filamento mentre il complesso della

 polimerasi scorre lungo il filamento codificante; dato che il DNA nella bolla è a singolo filamento ecco

che può subire l’azione di AID. Un enzima detto uracil N-glicosilasi rimuove a questo punto i r esidui

di uracile creati da AID generando siti abasici che vengono eliminati dall’endonucleasi Ape1. I  buchi

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su entrambi i filamenti contribuiscono alle rotture sia alla regione Sµ che al locus a valle coinvolto nello

switching di quel particolare isotipo. L’esistenza di rotture nelle due regioni di switch causa la delezione

del DNA interposto e l’unione delle due giunzioni da parte dei sistemi di riparazione di questo tipo di

danno. 

10.3.8 Maturazione dell’af finità 

Il  processo di maturazione dell’affinità genera anticorpi con crescente capacità di legare gli antigeni equindi di neutralizzare i microbi. I linfociti helper  e le interazioni CD40:CD40L sono richieste per 

 procedere e quindi la maturazione avviene solo in risposta ad antigeni proteici T-dipendenti.  Nella zona scura proliferativa dei centri germinativi i geni IgV vanno incontro a mutazioni puntifor- mi

ad un tasso di una ogni 103 coppie di geni, cioè da mille a diecimila volte  più frequentemente delnormale: questo significa che ci sarà una mutazione nelle regioni V in media ogni divisione cellulare.Le mutazioni nel gene continuano anche nella progenie, quindi ogni clone di cellula B  può accumular e

 parecchie mutazioni nella sua vita al centro germinativo. I meccanismi di mutazione somatica sono  poco conosciuti. Si sa che il DNA Ig VDJ diventa altamente

mutabile probabilmente a seguito di legame con fattori mutageni.  Non si sa se i centri germinativi

forniscano segnali contatto-mediati o citochine  per  stimolare le mutazioni ma si sa che l’enzima AID è

fondamentale. I residui di uracile creati da AID  possono essere convertiti a residui di timina o  possono

essere eliminati dalla glicosilasi, in ogni caso favorendo la mutazione. 

In sostanza si crede che le ripetute esposizioni all’antigene generino parecchie mutazioni, di cui lamaggior parte inutili mentre alcune effettivamente portano ad un anticorpo più efficace: il  passo

successivo è dunque la selezione delle cellule che producono gli anticorpi migliori. Le cellule dendritiche follicolari dei centri germinativi presentano gli antigeni, e le cellule B che sono ingrado di legarli con alta affinità vengono selezionate  per la sopravvivenza. La  prima fase di risposta

all’antigene è la  produzione di anticorpi, alcuni dei quali formano complessi con l’antigene e attivano il

complemento. Le FDC hanno recettori  per la  porzione Fc dell’anticorpo  e per i  prodotti di attivazione

del complemento; questi recettori legano e  presentano gli antigeni complessati con anticorpi o  pr odotti

del complemento.  Nel frattempo i linfociti B dei centri germinativi che hanno subito le mutazioni

migrano verso la zona ricca di FDC: queste cellule moriranno di apoptosi se non verranno salvate dal 

riconoscimento dell’antigene.   In questo modo le cellule che riconoscono in maniera specifica l’antigene

mostrato sulle FDC sono selezionate  per  vivere. L’aumento della produzione di anticorpi va di  pari

 passo con l’eliminazione dell’antigene che sarà sempre più raro sulle FDC: si ha dunque necessità di

linfociti B sempre più specifici per la sopravvivenza perchè dovranno avere un’affinità sempre più alta per  legare i pochi antigeni rimasti. Le mutazioni somatiche avvengono nella zona scura basale del centro germinativo nei centr oblasti che

contengono l’enzima AID; terminata la mutazione le cellule migrano verso la zona chiara apicale dovevengono selezionate dalle FDC e  possono andare incontro ad un ulteriore switching. Le cellule escono

infine dal centro germinativo e diventano cellule della memoria o  plasmacellule ad altissima af finità. 

10.3.9 Differenziazione dei linfociti B in plasmacellule secernenti anticorpi 

La sintesi degli anticorpi, come la  proliferazione dei linfociti B, è stimolata da segnali mediati da CD40 edalle citochine. Molte citochine, tra le quali IL2, IL4 e IL6, sono state individuate come stimolatrici di

questo  pr ocesso. All’interno degli organi linfoidi le  plasmacellule si trovano soprattutto in sede extrafollicolare, come la

 polpa rossa della milza o la midollare del linfonodo. Le  plasmacellule sono linfociti B differenziati inmaniera terminale e destinate alla sola produzione di anticorpi. Lo sviluppo di queste cellule dipende

all’induzione  di un fattore di trascrizione detto BLIMP-1. Esistono due tipologie di  plasmacellula. Le

plasmacellule a vita breve vengono ritrovate negli organi linfoidi secondari e nei tessuti non linfoidi

 periferici. A seguito della reazione del centro germinale alcune plasmacellule ottengono la capacità di

dirigersi al midollo osseo dove vengono mantenute grazie al recettore BCMA, e queste cellule prendono il

nome di plasmacellule a vita lunga. Tipicamente dopo due o tre settimane dall’infezione da parte di un

antigene T -dipendente il midollo diventa una sede chiave di  produzione di anticorpi. Le  plasmacellule

midollari continuano a secernere antibodi  per  mesi o anni dopo la scomparsa dell’antigene  per  for nir e protezione immediata in caso di nuovo incontro; quasi la metà degli anticorpi circolanti di un adulto è

 prodotto da plasmacellule a vita lunga. Gli anticorpi secreti entrano nella circolazione e nelle secr ezioni

delle mucose ma le cellule che li hanno prodotti non sono cir colanti. 

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Le molecole Ig secrete e di membrana differiscono per via della loro regione carbossi terminale. Ad

esempio nelle IgM secrete il dominio Cµ 4 è seguito da una coda contenente aminoacidi polari.  Nelle IgMdi membrana invece lo stesso dominio è seguito da una sequenza più corta e idrofobica transmembrana eda una coda citoplasmatica di tre aminoacidi. La transizione da Ig di membrana a secreta rifletteuna variazione nel  processing dell’RNA messaggero  per la catena pesante. Il trascritto primario di

tutte le cellule B  produttrici di IgM contiene infatti VDJ, i quattro esoni Cµ per i domini costanti e

due esoni  per i domini citoplasmatici e transmembrana. Il  processing dell’RNA  determina se gli esonitransmembrana e citoplasmatico saranno o meno inclusi nell’mRNA finale. In sostanza tutti i linfociti B

 possono sintetizzare anticorpi sia di membrana che di secrezione; con il  procedere della differ enziazionela quantità di anticorpi di secrezione tende però ad aumentare. I segnali che regolano il  processo dello

splicing alternativo non sono conosciuti. Nota: la forma secretoria della catena pesante δ è rar amente

espressa, infatti le IgD sono tipicamente proteine di membrana. 

10.3.10 Generazione di cellule della memoria e risposte umorali secondarie 

Alcuni dei linfociti B attivati acquisiscono l’abilità di sopravvivere  per  lunghi periodi appar entemente

senza stimolazione antigenica: sono le cellule della memoria. Alcune di queste cellule possono ri-

manere negli organi linfoidi mentre altre ricircolano tra la milza ed i linfonodi. Le cellule della memoria

tipicamente portano recettori antigenici ad alta affinità e molecole Ig di isotipi switch con  più fr equenza

dei linfociti naive. Molte delle caratteristiche delle risposte umorali secondarie riflettono la  precedente attivazione dei

linfociti B da parte degli helper C D4+ . Lo switching delle catene pesanti è tipico delle risposte secondariein quanto indotto dai linfociti helper  e dalle loro citochine. La maturazione dell’affinità è anch’essa sec-

ondaria all’attivazione T -dipendente dei linfociti B. Per  neutralizzare molti microbi e le loro tossine sono

richiesti anticorpi ad alta affinità; un vaccino effettivo contro tali microorganismi deve dunque indurr ematurazione dell’affinità e  produzione di cellule della memoria: entrambi questi processi avverranno

solo in caso di attivazione degli helper.  Nel caso di infezioni batteriche in cui l’antigene bersaglio è un 

 polisaccaride (incapace di stimolare i linfociti T), si sfrutta il sistema aptene-carrier e si  parla di vaccini

coniugati. 

10.4 Risposte anticorpaliad antigeni T-indipendenti 

Gli anticorpi prodotti in questo tipo di risposte hanno generalmente bassa affinità e sono soprattutto IgM con un limitato switch verso alcuni sottotipi di IgG. I  più importanti antigeni TI sono polisaccaridi, glicolipidi ed acidi nucleici, tutti in grado di

indurre produzione specifica di anticorpi in animali privi di linfociti T. Tutti questi antigeni non possono

essere processati sulle molecole MHC e quindi essere riconosciuti dagli helper. La maggior parte degli

antigeni TI è polivalente, e questo induce cross-linking massimale del complesso BCR  sui linfociti B,

 portando ad attivazione senza aiuto degli helper. In aggiunta molti polisaccaridi attivano il complemento

seguendo la via alternativa, generando C3d che lega l’antigene e aumenta l’attivazione dei linfociti B.

Le risposte delle cellule B dipendono infine dai segnali in arrivo dai recettori della famiglia BAFF cherispondono a fattori di crescita prodotti dalle cellule dendritiche, dai macrofagi e dai TLR. Le risposte agli antigeni TI sono diverse a seconda del sito anatomico; possono avere inizio nella

milza, nel midollo, nel  peritoneo o nelle mucose. I macrofagi in associazione alla milza sono  particolar  -

mente efficienti nell’intrappolare polisaccaridi. Le cellule B della zona marginale sono un sottogruppodelle cellule B che risponde soprattutto ai  polisaccaridi producendo IgM. Un’altra linea di cellule B che

risponde bene agli antigeni TI è quella delle cellule B B-1, in gran parte derivate dalle cellule staminali

del fegato fetale e sono esposte all’antigene principalmente nel  peritoneo e nelle mucose. Il senso pratico degli antigeni TI è che molti polisaccaridi parietali dei  batteri vi appartengono;

individui con deficienze congenite o acquisite dell’immunità umorale sono infatti molto suscettibili adinfezioni di batteri capsulati, quali Pneumococcus, Meningococcus e Haemophilus. In aggiunta gli

antigeni TI contribuiscono alla generazione degli anticorpi naturali, normalmente presenti in cir colo eapparentemente indotti senza esposizione ai  patogeni. La maggior parte degli anticorpi naturali ha

 bassa affinità ed è  prodotta dalle cellule B di tipo B-1 del  peritoneo stimolate dai  batteri del tratto GI. Alcuni antigeni TI inducono isotipi diversi da IgM.  Nell’uomo l’anticorpo principale indotto dal

 polisaccaride di capsula del  pneumococco è IgG2. In assenza di cellule T, BAFF e APRIL  possono

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indurre nelle cellule di origine mieloide (cellule dendritiche, macrofagi) la sintesi di AID per  dar luogo

allo switch.  Nonostante l’incapacità  di attivare gli helper, molti vaccini polisaccaridici producono immunità  pr o-

tettiva di lunga durata. Risposte secondarie rapide e ampie tipiche della memoria si sviluppano per 

esposizione secondaria a questi antigeni. Il fenomeno della memoria IgM è stato dimostrato e in topi euomo è  possibile evidenziare le cellule B della memoria  per  antigeni TI; nell’uomo queste cellule

esprimono alti livelli di CD27 e IgM o IgD. 

10.5 Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale da parte dei re-

cettori Fc 

Gli anticorpi secreti inibiscono la continua attivazione delle cellule B formando complessi antigene-

anticorpo che si legano in simultanea ai recettori antigenici ed ai recettori Fc sui linfociti B antigene

specifici: questa è la spiegazione del fenomeno di feedback anticorpale, cioè della downregolazione

della produzione di anticorpi da parte delle IgG secrete. Gli anticorpi IgG inibiscono i linfociti for -mando appunto complessi che si legano ad un recettore  per la forzione Fc della molecola chiamato

recettore Fcγ II (Fcγ RIIB o CD32). Il dominio citoplasmatico del recettore contiene un dominio a sei

amminoacidi condiviso con altri recettori di questo tiipo che mediano segnali negativi;  per  analogia

con gli ITAM questo dominio viene chiamato ITIM (Immunoreceptor Tyrosin-based Inhibition Motif).

Quando il recettore viene stimolato il dominio ITIM viene fosforilato formando un sito di attacco per 

l’inositolo 5-fosfatasi SHIP; SHIP idrolizza un fosfato su PIP3 e in questo modo termina la risposta dellinfocita all’antigene.  Il complesso antigene anticorpo interagisce simultaneamente sia con il r ecettor e

antigenico che con quello  per la  porzione Fc,  portando la fosfatasi inibitoria vicina al recettore anti-

genico da bloccare. L’importanza dell’inibizione attraverso FcγRIIB è dimostrata nei topi KO per  questo

gene. Un  polimorfisfmo in questo gene è stato collegato al lupus eritematoso sistemico nell’uomo. I linfociti B esprimono un altro recettore inibitorio detto CD22, una lectina che lega acido sialico. Il

ligando naturale non è conosciuto e non si sa come si attivi ma si sa che topi KO mostrano una enor me 

attivazione dei linfociti B. Il lato citoplasmatico della molecola contiene un ITIM che da fosforilato lega

la tirosin fosfatasi SHP-1; questa fosfatasi si  porta a rimuovere un fosfato sui domini ITAM e quindi

 blocca il segnale del BCR. 

Capitolo 11. Tolleranza immunologica 

La tolleranza immunologica è definita come la mancanza di risposta ad un antigene indotta dalla

precedente esposizione a quello stesso antigene. Quando un linfocita incontra un antigene puòessere attivato, e quindi dare risposta immunitaria, o disattivarsi/morire dando luogo alla tolleranza.

Gli antigeni in grado di dare tolleranza vengono chiamati tollerogeni  per  distinguerli dagli immunogeni.

La tolleranza verso i propri antigeni, o self tolleranza, è infine una proprietà fondamentale del sistemaimmunitario.  La tolleranza immunitaria è fondamentale  per  diverse ragioni: 

•  Gli individui normali tollerano i loro antigeni perchè i linfociti autoreattivi vengono uccisi, inattivati ocambiano la loro specificità.  

• Antigeni estranei possono essere somministrati in modo da inibire le risposte immunitarie in-

ducendo tolleranza in linfociti specifici. 

•  L’induzione della tolleranza immunologica può essere sfruttata  per  un approccio terapeutico nel

 prevenire risposte immunitarie dannose. 

11.1 Caratteristiche generali e meccanismi della tolleranza 

•  La tolleranza risulta dal riconoscimento degli antigeni da parte di linfociti specifici. I  primi studi sul

tema dimostrarono che si  può indurre tolleranza facendo riconoscere gli antigeni durante la vitafetale o neonatale. Ad esempio se un topo adulto A riceve un trapianto di  pelle da un topo Bgeneticamente diverso si avrà reazione immunitaria  per via del mancato riconoscimento dell’MHC; seinvece il topo A riceve cellule del sangue di B durante la vita fetale non si ha rigetto (il feto èimmunodeficiente) e un piccolo numero di soggetti sopravvive normalmente come chimera, accettando

innesti anche da adulto. 

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•  L’auto tolleranza può essere indotta in linfociti self-reattivi immaturi nei siti linfoidi centrali

(tolleranza  centrale) o in linfociti maturi in siti periferici (tolleranza  periferica). La tolleran- zacentrale assicura che il repertorio di linfociti maturi non riconosca gli antigeni self   pr esenti negliorgani linfoidi primari tuttavia non può contare nella mancata risposta ad antigeni espr essi solamente

in  periferia: questo tipo di tolleranza è mantenuta da meccanismi periferici. 

•  La tolleranza centrale si ha perchè tutti i linfociti in maturazione passano in una fase in cui incon-

trano antigeni che portano alla morte cellulare o all’espressione di nuovi recettori o a variazioni nelle

funzionalità. I soli antigeni nel timo e nel midollo sono antigeni self in quanto quelli estranei sonotrasportati agli organi linfoidi periferici: i linfociti in sviluppo incontrano solo antigeni self  ad alte

concentrazioni. Questa interazione ha dunque vari  possibili esiti: 

 –   Morte per  apoptosi, detta delezione clonale 

 –   Cambio dei recettori, detto editing r ecettoriale 

 –   Differenziazione di alcune cellule CD4+ in cellule T regolatorie che migrano in  periferia per 

 prevenire le reazioni al self. 

•  La tolleranza periferica si ha quando il linfocita maturo che riconosce il self  diventa incapace diriconoscere tale antigene, o quando viene indotto all’apoptosi o ne viene ridotta l’emivita. La

tolleranza periferica come detto serve a garantire la non risposta ad antigeni non presenti negli organi

linfoidi primari. 

• Alcuni antigeni self   possono essere totalmene ignorati dal sistema immunitario, così che i linfociti

incontrano l’antigene ma non vi rispondono e rimangono dunque circolanti e funzionali.  Non si sa nulladi questo meccanismo. 

11.2 Tolleranza dei linfociti T 

La tolleranza dei linfociti helper  è un modo efficace per   prevenire risposte immunitarie agli antigeni

 proteici: molte terapie  per  indurre tolleranza ai tessuti trapiantati hanno come bersaglio queste cellule.

Molto poco è invece noto della tolleranza nei linfociti citotossici. 

11.2.1 Tolleranza centrale nei linfociti T 

Durante la maturazione nel timo molte delle cellule T che riconoscono gli antigeni con troppa avidità

vengono eliminate grazie al  processo di selezione negativa (capitolo 8). I due fattori principali chedeterminano la selezione negativa dei timociti autoreattivi sono la concentrazione dell’antigene nel

timo e l’af finità dei TCR  del timocita  per tali antigeni. Gli antigeni self  vengono processati e  presentati

sulle molecole MHC dalle APC del timo; questi antigeni includono molte proteine circolanti o associate

alle cellule. Alcune proteine inizialmente credute espresse solo nei tessuti periferici sono invece pr esenti

nelle cellule epiteliali timiche sotto controllo del gene regolatore autoimmune (AIRE). La  pr oteina

AIRE funziona come fattore di trascrizione  per   promuovere l’espressione di antigeni selezionati nel

timo. Il  processo di selezione interessa sia le cellule MHCI ristrette che quelle MHCII ristrette ed è

dunque importante sia per le  popolazioni CD4+ che CD8+ . L’importanza della selezione negativa è evidente nelle patologie autoimmuni che si sviluppano a seguito

di fallimenti di tale pr ocesso: 

•  La sindrome autoimmune poliendocrina raccoglie una serie di malattie causate da mutazioni nel

gene AIRE ed è caratterizzata da danni anticorpo e linfocita-mediati a organi endocrini multipli. •  Topi con mutazioni nella chinasi TCR-associata ZAP-70 sviluppano artriti e altre manifestazioni diautoimmunità. La ragione è che la mutazione diminuisce il segnale TCR-indotto quanto basta  per interferire con la selezione negativa facendo scappare linfociti autor eattivi. 

Alcuni dei linfociti T CD4+ che riconoscono gli antigeni self nel timo non vengono eliminati ma

differenziano invece in cellule regolatrici che lasciano il timo e inibiscono risposte ai tessuti self  in

 periferia. Difetti nella proteina AIRE non sembrano prevenire lo sviluppo di queste cellule: questo

suggerisce che i requisiti  per il loro sviluppo siano diversi, anche se quel che determina la scelta tra

morte e destino regolativo resta sconosciuto. 

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11.2.2 Tolleranza periferica nei linfociti T 

I meccanismi di tolleranza periferica sono responsabili  per la mancata reazione ad antigeni self tes-

suto specifici che non sono abbondanti nel timo. La tolleranza è dovuta ad anergia, delezione o

soppressione delle cellule T, ma non è noto se su ogni cellula agisca uno solo di questi metodi o tutti

insieme. 

Anergia indotta da riconoscimento di antigeni self  L’esposizione di cellule CD4+ ad un antigenesenza costimolazione o immunità innata  può rendere tali cellule incapaci di rispondere. La  piena

attivazione delle cellule T richiede il segnale dal TCR e il riconoscimento dei costimolatori, principal-

mente B7-1 e B7-2, da parte di CD28. Una segnalazione prolungata del solo TCR   può portare adanergia: questa situazione è  plausibile  per gli antigeni self  che non generano immunità innata o forte

costimolazione. Evidenze sperimentali dell’anergia: 

• Cellule CD4+ esposte in vitro a complessi sintetici MHC+peptide in assenza di costimolanti ri-

mangono disponibili ma non sono in grado di rispondere all’antigene.  L’anergia può essere evitata  per aggiunta di APC attivate in coltura o se i recettori  per i costimolanti vengono attivati con gli anticorpi.  

•  L’anergia può essere ottenuta somministrando antigeni non self in maniera da farli riconoscer e

evitando costimolazione o infiammazione. Un metodo è trasferire linfociti T con TCR  specifico  per  un

antigene conosciuto in un topo normale da un topo transgenico. Se l’antigene è amministrato  per viasottocutanea con adiuvanti i linfociti antigene specifici proliferano nei linfonodi di zona, diventano

effettori, migrano nei follicoli linfoidi e interagiscono con le cellule B. Se l’antigene viene

somministrato in forma acquosa senza adiuvanti i linfociti mostrano una abilità ridotta di  proliferare,

differenziare e migrare. 

•  Un antigene, come una glicoproteina virale, può essere espressa nei tessuti di un topo transgenico. Se iltopo esprimente l’antigene viene incrociato con un topo normale che esprime il TCR  antigene specifico

come transgene, molti linfociti T incontreranno l’antigene self. Queste cellule diventano anergiche e perdono la capacità di rispondere all’antigene virale. Presumibilmente anche qui si tratta di livelliinadeguati di costimolazione. 

•  Un antigene proteico può anche essere espresso come self  antigene sistemico, associato alle cellule o

secreto in topi transgenici. Se un linfocita incontra questi antigeni perde la sua capacità dirispondervi. 

L’anergia è il risultato di alterazioni biochimiche o genetiche che riducono la capacità del linfocita di

rispondere. Sono numerose le alterazioni biochimiche ritenute necessarie  per  mantenere questo statodi mancata risposta: 

1. Le cellule anergiche mostrano un blocco nella trasduzione del segnale del TCR .  Non si sa a

cosa sia dovuto, a volte sembra legato a una sottoespressione del TCR, a volte al reclutamento di

molecole inibitorie quali le fosfatasi. 

2. Gli antigeni self  potrebbero attivare ubiquitina-ligasi cellulari che potrebbero ubiquitinare le  pr o-

teine TCR  associate portandole a degradazione: il risultato è ancora una volta una riduzione del

segnale del TCR. 

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3. Quando il linfocita riconosce l’antigene self  potrebbe attivare i recettori  inibitori della famiglia di

CD28, le cui funzioni sono di terminare la risposta. I due recettori il cui ruolo nella tolleranza self  è

meglio descritto sono CTLA-4 e PD-1. In  particolare CTLA-4 compete con CD28  per i costimolanti B7escludendolo dalla sinapsi immunitaria, inoltre porta diversi segnali inibitori che bloccano quelli che

attivano il TCR. PD-1 riconosce invece due ligandi espressi sulle APC e su altre cellule e questo

riconoscimento porta all’inattivazione del linfocita T. 

Le cellule dendritiche residenti nei tessuti linfoidi e non possono presentare gli antigeni self ai linfociti T

 per  mantenere la tolleranza: le cellule dendritiche mature presentano infatti pochissimi costimolatori.

Le cellule dendritiche attivate sono dunque le  principali APC per  scatenare la risposta dei linfociti T,mentre quelle a riposo potrebbero avere ruolo tollerogenico. 

Soppressione dei linfociti autoreattivi da parte delle cellule T regolatrici La maggior parte delle

cellule T regolatrici esprimono alti livelli di recettore  per  IL-2 e CD25 ma non altri markers di at-

tivazione. Queste cellule sono generate principalmente  per  riconoscimento del self nel timo, ma si

sviluppano occasionalmente anche in  periferia. La genesi e la sopravvivenza di queste cellule è dipen-

dente dalle citochine TGF-β e IL-2 e dalla costimolazione B7:CD28. Un fattore di trascrizione chiamato

FoxP3 è critico per lo sviluppo e la funzionalità della maggior parte di queste cellule. Le cellule T regolatrici riconoscono gli antigeni self e da essi sono generate. Un meccanismo di con-

trollo delle risposte immunitarie di queste cellule è la secrezione della citochina immunosoppressiva

IL-10, che inibisce la funzione di macrofagi e cellule dendritiche. Altri esperimenti indicano che questecellule lavorano  per  contatto diretto con le APC o con i linfociti rispondenti, ma non si sa come eseguono

la soppressione. 

Delezione dei linfociti T per apoptosi I linfociti T che riconoscono il self  senza infiammazione o

che sono ripetutamente stimolati muoiono per  apoptosi: questo tipo di morte è stata chiamata morte

cellulare attivazione-indotta. La morte apoptotica può avvenire secondo due vie  biochimiche: via

recettoriale e via mitocondriale (Pinton). 

•  I linfociti T che riconoscono il self  senza costimolazione o senza una risposta innata ad accompag-narli possono attivare la proteina pro-apoptotica Bim, imboccando così la via mitocondriale  per 

l’apoptosi.  Nelle normali risposte linfocitarie i segnali del TCR  stimolano l’espressione di proteine anti

apoptotiche della famiglia di Bcl-2 che promuovono la sopravvivenza e la  pr oliferazione della

cellula. Bim  può essere attivata dal riconoscimento del self in assenza di costimolazione o fattori dicrescita e attiva a sua volta proteine effettrici che fanno scattare la morte  pr ogrammata. In assenza diforte stimolazione infatti non ci sono fattori di crescita e gli effetti di Bim non sono bilanciati dalle

 proteine antiapoptotiche. 

•  Il ripetuto stimolo ai linfociti determina l’espressione dei recettori di morte e dei loro ligandi, e

l’attivazione  di tali recettori porta a morte apoptotica.  Nelle cellule CD4+ il recettore di morte

fondamentale è Fas, il cui ligando è FasL. A seguito di molte attivazioni FasL viene espresso sullasuperficie cellulare e si va a legare a Fas sulla superficie della cellula stessa o di quelle adiacenti.

L’interazione Fas:FasL attiva la cascata delle caspasi che porta a morte la cellula. Mutazioni in Fas oFasL portano a malattie autoimmuni simili al lupus. 

11.3 Tolleranza dei linfociti B 

11.3.1 Tolleranza centrale nei linfociti B 

I linfociti B immaturi che riconoscono gli antigeni self nel midollo osseo con alta affinità possono

cambiare la loro specificità o essere eliminati. Se il linfocita riconosce antigeni presenti ad alte dosi especialmente se multivalenti, reagisce attivando i geni RAG1 e RAG2 ed esprime una nuova catena

leggera dell’Ig, ottenendo così una diversa specificità. Questo processo è detto editing recettoriale

(capitolo 8) ed è fondamentale nell’eliminare l’autoreattività: se questa via fallisce il linfocita viene

eliminato. Un riconoscimento più blando degli antigeni self   porta invece ad anergia piuttosto che a

morte. 

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11.3.2 Tolleranza periferica nei linfociti B 

I linfociti B maturi che riconoscono il self in  periferia in assenza di helper possono essere resi inof fensivi o portati a morte  per  apoptosi. L’incontro con l’antigene  self  riduce la sopravvivenza del linfocita e ne

 promuove la  porte lungo la via mitocondriale. I linfociti che incontrano il self in  periferia mostrano

minor capacità di migrare nei follicoli: probabilmente il riconoscimento cronico dell’antigene  portaalla sottoespressione del recettore CXCR5  per  chemochine che normalmente porta i linfociti B nei

follicoli. Le cellule escluse dai follicoli non ricevono i segnali sufficienti  per  sopravvivere e muoiono. Le

cellule B anergiche che incontrano una cellula helper antigene specifica possono  poi andare incontro amorte grazie al FasL dei linfociti T che attiva il recettore Fas. Si sospetta che molte malattie causate da anticorpi contro il self  siano legate a fallimenti della toller  -anza dei linfociti B, ma non se ne sa molto. Individui normali non producono autoanticorpi patogenici

ad alta affinità contro antigeni self, e questo potrebbe essere legato alla delezione o alla tolleranza

degli helper anche in  presenza di linfociti B funzionanti. In questi casi difetti nel mantenimento della

tolleranza T possono risultare nella produzione di autoanticorpi. 

11.4 Tolleranza indotta da antigeni proteici estranei 

Antigeni estranei possono essere somministrati in modo da indurre tolleranza piuttosto che rispostaimmunitaria. In generale gli antigeni consegnati  per via sottocutanea o intradermica con adiuvanti

favoriscono l’immunità; dosi massicce di antigene  per via sistemica senza adiuvanti tendono invece

ad indurre tolleranza. La ragione è che gli adiuvanti stimolano la risposta innata e l’espressione deicostimolatori sulle APC. La somministrazione orale di un antigene proteico spesso porta a soppressione delle risposte immu-

nitarie umorali e cellulomediate verso l’antigene: si  parla di tolleranza orale. Questo fenomeno potrebbe

essere necessario  per  evitare risposte immuni agli antigeni del cibo o ai  batteri commensali dell’intesti-

no. Diverse dosi di antigeni per via orale possono indurre anergia o indurre cellule producenti citochine

che inibiscono le risposte. 

11.5 Omeostasi del sistema immunitario: terminazione delle normali risposte

immuni 

L’attivazione e la morte dei linfociti sono aspetti importanti  per  mantenerne costante il numero durante

la vita nonostante la  produzione continua di nuove cellule. Le risposte immunitarie agli antigeni estranei sono autolimitanti e si affievoliscono durante l’e-

liminazione degli antigeni facendo tornare il sistema allo stato basale di attività. A seguito della fase

di eliminazione vi è una fase di contrazione in cui la maggior parte delle cellule che hanno risposto

all’antigene vengono perdute; questa fase è dovuta soprattutto alla morte  per  apoptosi dei linfociti atti-

vati. Gli antigeni, i costimolatori e le citochine prodotte nelle risposte immunitarie prevengono l’apoptosi

del linfocita soprattutto stimolando l’espressione di  proteine anti-apoptotiche (soprattutto quelle della

famiglia di Bcl-2). Quando viene eliminato l’antigene vengono dunque a mancanare i necessari stimoli

alla sopravvivenza e si scatena l’apoptosi, che è  principalmente il risultato dell’attivazione di sensori di

morte come Bim e della riduzione di  proteine  per la sopravvivenza quali Bcl-2 e Bcl-x. A seguito del

ritorno alla normalità l’unico segno di una risposta precedente è la  persistenza di cellule della memoria

quiescenti ma dalla lunga vita media. Gli antigeni hanno anche la capacità di scatenare meccanismi attivi  per  terminare la risposta immu-

nitaria; due di questi meccanismi sono stati già visti come legati alla tolleranza periferica dei linfocitiT. Le cellule T attive esprimono CTLA-4, il quale interagisce con le molecole B7  per  inibire la continua proliferazione linfocitaria; CTLA-4 appare dopo tre o quattro giorni dall’attivazione  e  può dunque avere

ruolo nel declino della risposta linfocitaria. Altri recettori inibitori, ad esempio PD-1, possono servire a

funzioni analoghe. Le cellule T attivate possono inoltre esprimere recettori di morte come Fas o ligandi

 per  questi recettori, così che le interazioni possano portare ad apoptosi. Le risposte dei linfociti B sono inoltre attivamente controllate poichè gli anticorpi IgG  prodotti dalle

cellule B formano complessi con gli antigeni che si legano ai recettori Fc sul linfocita inibendolo: si

tratta del  processo di feedback degli anticorpi ( capitolo 10) Un altro meccanismo di regolazione  per le risposte immunitarie adattative prende il nome di ipotesi

network . Quest’idea è  basata sul fatto che i recettori antigenici sui linfociti sono estremamente vari e

che ognuno ha diversa specificità basata su sequenze diverse di aminoacidi. Queste sequenze uniche

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formano determinanti detti idiotipi che possono essere riconosciuti da altri linfociti come complemen-

tari, o anti idiotipici: in altre parole i linfociti sono in grado di rispondere ai recettori di altri linfociti.

Secondo questa ipotesi dunque le varie interazioni tra idiotipi e anti-idiotipi portano ad un sistema di

stato stazionario che caratterizza l’omeostasi.  Non si sa con certezza se questa cosa accada sul serio.

Capitolo 12. Citochine 

Le citochine sono proteine prodotte dalle cellule dell'immunità sia innata che specifica in risposta ad antigeni.Unospecifico antigene(es intra o extracellulare)stimola la produzione di citochine specifiche che attivano precise rispostedifensive.Le citochine nella fase di attivazione stimolano proliferazione e differenziazione,mentre nella fase effettrice attivano lecellule deputate all'eliminazione del microrganismo. Alcune inoltre stimolano il processo di ematopoiesi.Nonostante traloro abbiamo moltissime differenze condividono alcune proprietà biologiche.La loro secrezione è un evento di breve durata e generalmente autolimitante. Non vengono immagazzinate ma prodotte ex-novo ogni volta mediante nuova sintesi o meccanismi di modifiche post-trascrizionali.Le loro attività sono  pleiotropiche,ovvero una citochina agisce su diversi tipi cellulari e ridondanti ,ovvero lo stessoeffetto può essere indotto da diverse citochine.Le citochine possono influenzare la sintesi e le attvità di altre citochine agendo in sinergia o in antagonismo. Le loroazioni possono essere locali o sistemiche a seconda che la secrezione sia autocrina ,paracrina o endocrina.Svolgono le loro azioni legandosi a specifici recettori sulla cellula bersaglio con elevata affinità così che una bassa

espressione di recettori sia sufficiente.I livelli di espressione dei recettori possono variare in risposta a segnali esterni. Nelcaso dei linfociti ad esempio è il riconoscimento dell'antigene ad aumentarne l'espressività. La risposta cellulare in seguitoa legame con citochine consiste generalmente in modificazioni dell'espressione genica spesso attivando geni silenti,inoltrespecifiche citochine dette chemochine inducono modificazioni di affinità di specifici recettori senza interagire con latrascrizione.La risposta cellulare a citochine è fortemente controllata da meccanismi a feedback -negativo comefosfatasi,molecole che bloccano chinasi,inibizione dell'interazione dei fattori di trascrizione e attivazione di recettoriinattivi che competono con le citochine.

Classificazione: 

Citochine che regolano l'immunità innata: prodotte soprattutto dai macrofagi in risposta ad agenti infettivi che si legano aiTLR(LPS,Rna virale ecc).Queste agiscono sulle cellule endoteliali e leucociti per richiamare e attivare la risposta adattativae mediano l'infiammazione. Sono responsabili dello shock settico. TNF,IFN-γ,IL-1 e IL-12 le principali.

Citochine che regolano l'immunità adattativa:sono prodotte soprattutto dai linfociti T e stimolano crescita edifferenziamento delle diverse popolazioni linfocitarie e l'attivazione delle cellule effettrici. Responsabili del dannotissutale e infiammazione granulomatosa. IFN-γ,IL-2,IL-4 e IL-5 le principali.

Citochine che stimolano l'emopoiesi: prodotte da cellule stromali del midollo osseo e leucociti e stimolano crescita edifferenziazione dei leucociti immaturi.

12.1 Recettori 

Tutti i recettori per le citochine sono composti da una o più proteine transmembrana contenenti un dominio extracellulare per il legame con la citochina e uno intracellulare per l'attivazione del segnale responsabile della ridondanza dellecitochine.I recettori sono classificati mediante omologia strutturale:

- Recettori di tipo 1:definiti anche dell'emopoietina legano citochine di tipo 1 ovvero che si ripiegani in quattro catene ad αelica.Questi recettori attivano la via del Jack-STAT.

-Recettori di tipi 2:condividono mole analogie con quelli di tipo 1 ma cambiano le citochine leganti. Importante la famigliadelle IFN.

-Recettori della famiglia di IL-1:condividono una sequenza citoplasmatica detta TIR.

-Recettori per il TNF: 

-Recettori a sette domini transmembrana:sono accoppiati a proteine G.

- Recettori per la superfaglia delle Ig. 

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12.2 Citochine che regolano l'immunità innata.

-TNF(fattore di necrosi tumorale):

La principale sorgente è costituita dai fagociti mononucleati attivati.Lo stimolo più efficace è il legame ai TLR di

componenti microbiche.L' IFN-γ prodotto dai linfociti T e Nk potenzia la produzione di TNF.Questo viene prodotto come proteina non glicosilata associata alla membrana e poi in seguito a scissione mediata a TACE viene secreto sotto forma ditronco di piramide .Esistono 2 recettori per TNF ,TNFR1 e TNFR2,l'1è espresso su quasi tutti i tipi cellulari,il 2 solo sullecellule del sistema immunitario.Il legame ligando recettore provoca l'associazione citoplasmatica del recettore con le

 proteine TRAF che inducono l'attivazione del fattore NF-κ B e AP-1 che codificano per una serie di proteine coinvolte nellarisposta infiammatoria e nell'azione antiapoptotica.Infatti l'interazione di TNF può anche scatenare apoptosi se legata alrecet tore poiché è presente a livello citoplasmatico un cosiddetto dominio di morte che porta all'apoptosi.I suoi prodottigenici sono in competizione con quelli di Ap-1.Il ruolo biologico di TNF è quello di indurre il reclutamento di neutrofili e monociti nel sito di infezione.Esso stimola lecellule endoteliali a esprimere molecole di adesione,le più imporanti sono le selettine e i ligandi per le integrinelinfocitarie.Inoltre stimola queste cellule e i macrofagi alla produzione di chemochine che aumentano l'affinità delleintegrine per i ligandi endoteliali.

 Nelle reazioni infiammatorie il TNF svolge un ruolo centrale tanto che quelle dannose per l'ospite come quelle autoimmuni

 possono essere minimizzate con anticorpi anti TNF.Se secreto in grandi quantità è in grado di entrare in circolo e scatenare numerose reazioni:-A livello ipotalamico sviluppa l'insorgenza della febbre stimolandolo a secernere prostaglandine-A livello epatico stimola la sintesi di proteine della fase acuta quali fibrinogeno e proteina amieloide.

A concentrazioni elevate-A livello muscolare e adiposo causa un deperimento fisico detto cachesia andando a inibire l'appetito.-Può causare trombosi vascolare inibendo i fattori anticoagulanti e promuovendo la sintesi del  fattoretissutale.Questa sua capacità di causare necrosi tissutale è proprio quella che gli ha dato il nome.

Il cosiddetto shock settico caratterizato da collasso cardiocircolatorio,coagulazione intravascolare e alterazioni metabolicheè proprio dovuto in caso di sepsi gravi da una abnorme produzione di TNF.

Alla famiglia dei TNF appartengono altri ligandi implicati in processi di attivazine cellulare come

Fas,CD40,BAFF , APRIL e RANK.

-Interleuchina 1: Ha moltissime cose in comune a TNF,i principali produttori sono i fagociti mononucleati e in aggiunta anche neutrofili ecellule endoteliali.Le attività biologiche sono pressochè identiche se non che IL-1 non è in grado di indurre apoptosi e alivello sistemico da sola non riesce a scatenare shock settico.Il recettore è invece differente ed è rappresentato dei recettori ditipo IL-1.Esitono due forme secrete di IL-1,α e  β,quest'ultima necessita dell'enzima ICE per essere generata.L'interazionecon il recettore fa associare una proteina adattarice al dominio TIR che poi andrà ad attivare i fattori di trascrizione AP-1 e

 NF-κ B.Esiste un antagonista naturale alla IL-1 prodotto dai fagociti detto IL-1 ra utilizzato nella terapia soprattuttodell'artrite reumatoide giovanile.

-Chemochine: 

Sono le citochine responsabili del direzionamento dei linfociti e della migrazione dal circolo ai tessuti.Alcune sono prodotte in risposta a una infezione e richiamano i linfociti nel focolaio,altre sono espresse

costituitivamente e regolano il normale traffico leucocitario.Esistono 50 chemochine raggrupate in 4famiglie:CC,CXC,C,CX3C.CC e CXC sono prodotte dai linfociti e cellule tissutali principalmente in risposta a citochineinfiammatorie quali TNF e IL-1 o attraverso l'attivazione di TLR.I recettori per le chemochine sono costituiti da 7 dominitransmembrana associati a una proteina G.Le chemochine coinvolte alla risposta infiammatoria sono prodotte da linfociti T e vanno ad aumentare l'affinità delleintegrine linfocitarie per i lignadi endoteliali.TNF e IL-1 stimolano la produzione sia delle chemochineche dei ligandi per le integrine.Le chemochine regolano anche il normale processo di migrazione celllulare agli organi linfoidi.Essenziale ad esempio per l'incontro APC linfocita.Molte infezioni virali codificano recettori per chemochine che le sequestrano e che quindirappresentano un valido meccanismo di elusione del sistema immunitario.Es herpes virus,citomegalovirus ecc.Inoltre celluleatipiche possono esprimere il cosiddetto recettore D6 che tuttavia è un falso recettore poiché non invia alcun segnale

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intracellulre.

-Interleuchina 12: 

Principale mediatore delle risposte innate a microrganismi intracellulari.Svoge inoltre un ruolo fondamentale in quellecellulo mediate favorendo la produzione di IFN-γ da par te di NK e linfociti T e promuove il differenziamento dei CD4 ath1 che producono IFN-γ.Essa appartiene a una famiglia di 5 citochine le quali collaborano con lei ,da ricordare IL-23 per i

Th 17.Le principali sorgenti di IL-12 sono i fagociti mononucleati e le APC attivate.La sua sintesi è indotta dall'attivazionedi TLR e da infezioni intracellulari,alternativamente dal legame con CD40L espresso dai linfociti T CD4 o con IFN-γ.Il recettore per IL-12 appartiene ai recettori di tipo 1 quindi attiva la via Jack STAT principalmente STAT4.Il-12 induce cellule Nk e linfociti T a produrre IFN-γ che andrà ad attivare nei macrofagi meccanismi battericidi.IL-12assieme a IFN-γ induce il differenziamento in Th1 dei CD4 le quali a loro vola producono IFN-γ.IL-12 potenzia inoltrel'attività citotossica dei CTL.Risulta evidente come questa citochina rappresenti un importante punto di collegamento tra immunità innata ed adattativastimolandole entrambe.

-Interferoni di tipo 1. Gli IFN 1 (NB IFN-γ non vi appartiene)sono una grande famiglia che mediano le fasi precoci della risposta innata a

infezioni virali.Sono codificati da geni sul cromosoma 9.Il recettore per gli IFN1 appartiene ai recettori di tipo 2 associati aJack1 e Tyk 2 che attivano STAT1 e STAT 2 che attivano IRF9 che causa la trascrizione di geni detti ISRE.Esistonotuttavia altre vie di trasduzione.La produzione di IFN è scatenata dal riconoscimentodi Rna virale da parte di TLR associate alle membrane endosomiali e RIG-1 e MDA a livello citoplasmatico e attivanoIRF che ne induce l'espressione.Gli IFN vanno a inibire la replicazione virale mediante trascrizione di enzimi che degradano l'Rna virale,inoltre potenzianol'espressione di molecole MHC di classe 1 .Stimolano inoltre la sintesi di recettori per IL-12 potenziando la differenziazionein Th1 e ne promuovono il sequestro nei linfonodi.IFN inibisce infine la proliferazione di molte cellule tra le quali ilinfociti.

Interleuchina10: 

Rappresenta uno dei principali inibitori delle risposte dell'ospite.Viene prodotta principalmente dai linfocti regolatori e

macrofagi attivati.Il suo recettore appartiene ai recettori di classe 2.Agisce sui macrofagi attivati bloccandone le attivitàin modo da riportare il sistema immunitario allo stato di quiescienza.Lo fa inibendo la produzione di IL-12 e inibendol'espressione delle molecole MHC 2 e costimolatorie.

Interleuchina 6: 

Prodotta dai fagociti mononucleati è coinvolta nell'immunità sia specifica che innata.Viene prodotta principalmentein risposta a TNF e IL-1 e con essi si rende responsabile dell'artrite reumatoide.Stimola la produzione di proteinedlla fase acuta dal fegato e la differenziazione dei neutrofili.Stimola la crescita dei

linfociti B e la proliferazione delle plasmacellule neoplastiche.Per questa proprietà è molto utile nella produzione di ibridomi.

 Riassumendo TNF e IL-1 e chemochine agiscono nelle infezioni extracellulari sull'endotelio e sui linfociti per facilitaremigrazione,Il-12 e IFN-γ in quelle intracellulari attivando i macrofagi e la produzione di IFN-γ. 

12.3 Citochine che mediano la risposta adattativa. 

 Nella fase di attivazione dell risposta immunitaria specifica le citochine stimolano la proliferazione edifferenziazione dei linfociti attivati dagli antigeni.La produzione di citochine è la risposta principale dei linfociti Tdopo aver riconosciuto l'antigene.

Interleuchina 2: 

Importante fattore di crescita,sopravvivenza e differenziazione dei linfociti T.Agisce principalmente sulle cellule che la producono o su quelle vicine.L'espressione del suo anticorpo è stimolata dal processo di attivazione dei linfociti naivemediato dal riconoscimento dell'antigene.Nel caso dei linfociti regolatori essi esprimo costantemente i recettori per IL-

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2.Quest'ultima è indispensabile per la loro sopravvivenza e quindi anche per la salvaguardia delle risposte immunitariecontro antigeni self controllate da questi ultimi.Negli altri linfociti IL-2 stimola proliferazione e sopravvivenza inducendola sintesi della proteina anti-apoptotica Bcl-2 e promuovendone l'entrata nel ciclo cellulare.Ugualmente nelle Nk dove nestimola anche l'attività citotossica generando le cosiddette cellule killer attivate da linfochine.Induce infine proliferazionee sintesi di anticorpi nei linfocit B.

Interleuchina 4. 

Viene principalmente prodotta dai linfociti Th2 ed è la principale citochina responsabile dello scambio

isotopico verso le IgE nei linfociti B. Le IgE sono i principali effettori verso elminti o artropodi,infezioni verso le quali siattivano Th2.Le IgE sono inoltre responsabili delle allergie(ipersensibilità immediata).IL-4 induce lo sviluppo dei CD4verso i Th2 e ne induce la proliferazione inibendo invece lo sviluppo dei Th1.IL-4 assieme a IL-13 costituisce l'attivazione

alternativa dei macrofagi.Si ipotizza inoltre stimoli la peristalsi

Interleuchina 13. 

Questa è associata alla IL-4 ed è prodotta sempre dai Th2 nelle infezioni da elminti e artropodi.Essa promuove la fibrosinelle fasi di riparazione nei processi infiammatori cronici,stimola la produzione di muco e induce lo scambio di classeverso IgE nei linfociti B. Contribuisce dunque significatamente nella patogenesi dell'asma cronico.

Interleuchina 5 

Citochina di tipo 1 prodotta anch'essa dai Th2 ha come principale azione la stimolazione alla proliferarzione edifferenziazione degli eosinofili.

Interferone γ. 

Rappresenta la principale citochina per l'attivazione dei macrofagi e svolge importanti funzioni sia nella immunità innatache cellulo-mediata contro i microrganismi intracellulari.La sua azione principale è quella di attivare le celluleeffettrici,non rappresenta lui stesso una citochina antivirale.Viene prodotta dalle cellule Nk,CD8 e CD4th1 di cui nerappresenta la principale funzione.Le cellule Nk la producono nell'ambito della risposta innata in seguiti a molecoleattivatrici presenti su cellule danneggiate o infettate oppure in risposta aIL-12.Nella risposta adattativa è prodotta dai linfociti T in risposta al ricoscimento dell 'antigene e potenziata daIL-12.Il recettore appartiene ai recettori di tipo 2.Una volta prodotto IFN γ attiva i macrofagi a uccidere i microrganismi fagocitati assieme al legame CD40L- CD40.IFNγ promuove inoltre la differenziazione dei linfociti T naive verso i Th1 attraverso l'attivazione del fattore di trascrizioneT-bet e inibisce quella dverso Th2.Questa promozione è effettuata anche mediante stimolazione dei fagociti a produrre

IL-12.Verso i linfociti B IFN γ  promuove lo scambio isotopico verso determinate sottoclassi di IgG come le IgG2 e inibiscequello verso sottoclassi IL-4 dipendenti come le IgE.Le IgG indotte da IFN γ si legano ai recettori  per Fcγ espressi suifagociti e attivano il complemento.IFN γ stimola infine le APC nell'espansione delle MHC di classe 1, e 2 e di molecolecostimolatorie.Complessivamente dunque promuove le reazioni infiammatorie in cui l'azione macrofagica è prevalente einibisce quelle in cui prevale l'azione eosinofila.

TGF-β:fattore di crescita trasformante. 

Assieme a IL-10 è il secondo importante inibitore del sistema immunitario.Possiede tuttavia anche capacità pro-infiammatorie.Viene prodotto da linfociti T stimolati dall'antigene (in particolare da una sottopopolazione detta Th3oregolazivi)e macrofagi attivati.Viene sintetizzato come precursore poi attivati proteoliticamente.Il suo recettore è costituitoda 2 proteine ALK5 e TGF-βR2 che trasducono il segnale attraverso una serina/treonina chinasi che attiva dei fattori detti

Smad .TGF-β inibisce la proliferazione e differenziazione dei linfociti T e l'attivazione dei macrofagi.In questo modo svolgel'importante ruolo di attenuare e terminare le risposte immunitarie e infiammatorie.Può bloccare la differenziazione in th1 eth2 promuovendo inoltre quella verso th17 che sono linfociti porinfiammatori.Agendo sui linfociti B promuove lo scambioisotopico verso le IgA che sono quelle coinvolte nelle risposte immunitarie a livello delle mucose.Regola infine il processodi riparo del danno tissutale mediante stimolazione nei macrofagi e fibroblasi alla sintesi di collagene.Per tutte queste suecapacità possiede capacità sia oncogeniche che antitumorali.

Altre citochine: 

Lt prodotta dai linfociti T mostra omologia con TNF e interviene nella regolazione dell'infiammazione acuta attivandocellule endoteliali e neutrofili fungendo da ponte tra l'infiammazione e l'attivazione dei linfociti T.Tuttia questa non èrilevabile in circolo e non è dunque in grado di indurre danni a livello sistemico come invece fa TNF.LT è necessaria per lo sviluppo degli organi linfoidi.BAFF e APRIL appartengono alla famiglia di TNF e sono strettamente correlati con la sopravvivenza dei linfociti B

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IL-17 è prodotta da i linfociti Th17 e comprende 6 citochine con proprietà di difensa nella infezioni batteriche ma anche ingrado di promuovere gravi danni tissutali durante reazioni di ipersensitività.

 Riassumendo microrganismi intracellulari stimolano i Th1 a produrre IFN γ che attiva i macrofagi all'eliminazione deibatteri intracellulari e stimola la produzione di anticorpi.Tutto amplificato da IL-12. Microrganismi extracellulare

 pluricellulari stimolano i Th2 a produrre IL-4 e IL-5 stimolando la produzione di IgE. 

12.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi. Siccome durante le risposte immunitarie vi è il comsumo di leucociti in periferia,è necessario che vi sia una temporaneanuova produzione di leucociti a livello centrale.Temporanea perchè deve solo riportare il numero a valori normali.Questastimolazione è svolta da determinate citochine chiamate CSF(colony stimulating factors) 

Ligando c-Kit: 

Le cellule staminali esrimono un recettore codificato dal proto-oncocene c-Kit.La citochina che interagisce con talerecettore è prodotta principalmente dalle cellule stromali del midollo

GM-CSF,M-CSF,G-CSF 

G-CSF:Appartiene al gruppo dei fattori di crescita, che hanno il compito di indurre differenziazione delle cellulestaminali totipotenti, determinando anche l'attivazione dei corrispondenti elementi maturi.

Tutti i fattori di crescita inoltre sinergizzano le azioni di molte altre citochine, come IL-1, IL-4, IL-5, IL-6. Viene prodotto da linfociti T, fibroblasti, cellule endoteliali,monociti e, come dimostrato recentemente, dai linfociti B. Le sue principali funzioni si possono così riassumere:a- attività sui precursori dei granulociti neutrofili;

 b- attivazione dei neutrofili e loro attività fagocitaria;c- stimolazione dell'ADCC (nei neutrofili).

GM-CSF:EE'' iill f f aattttoor r ee ssttiimmoollaannttee llee ccoolloonniiee mmaaccr r oof f aaggiicchhee--ggr r aannuulloocciittaar r iiee..PPr r ooddoottttoo p pr r eevvaalleenntteemmeennttee ddaa lliinnf f oocciitt ii TTaattttiivvaattii,, f f ii b br r oo b bllaassttii,, cceelllluullee eennddootteelliiaallii ee lliinnf f oocciitt ii BB,, èè iinn ggr r aaddoo ddii ssttiimmoollaar r ee llaa  p pr r oodduuzziioonnee ssiiaa ddii ggr r aannuulloocciitt ii cchhee ddiimmaaccr r oof f aaggii,, nnoonncchhèè llaa lloor r oo aattttiivviittàà.. EEccccoonnee ddii sseegguuiittoo llee p pr r iinnccii p paallii f f uunnzziioonnii::aa-- p pr r oolliif f eer r aazziioonnee ddeellllee ccoolloonniiee ggr r aannuulloocciittiicchhee ee mmaaccr r oof f aaggiicchhee;;

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Vengono utilizzate per il recupero delle funzionalità midollari in pazienti sottoposti a chemio o trapianto di midollo.

Eritropoietina(Epo) 

Promuove la produzione di globuli rossi ed è prodotta dal rene in seguito a ipossia.

Capitolo 13. Meccanismi effettori dell'immunità cellulo-mediata. La risposta cellulo-mediata è la funzione effetttrice dei linfociti T e serve come meccanismo di difesa contro imicrorganismi che sopravvivono all 'interno delle cellule.Tale risposta viene attivata dal riconoscimento degli antigeni

espressi sulla superficie delle cellule infettate da parte dei linfociti T .Molte reazioni mediate dai linfociti T sonoimportanti anche nel rigetto da trapianto e malattie autoimmuni.La risposta consiste nello sviluppo di Linfociti T effettori a partire da linfociti T naive negli organi linfoidi secondari esuccessiva migrazione di questi nel focolaio di infiammazione .Qui avviene l'attivazione di questi linfociti T effettori che

 porta all'eliminazione del microrganismo o della cellula infettata.

13.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate 

La risposta cellulo-mediata verso microrganismi fagocitati e collocati nei fagosomi è mediata dai linfociti CD4 Th1.Avendo molti microrganismi sviluppato la capacità di sopravvivere all'interno dei fagociti è resa necessaria questacooperazione con i TH1 che rappresenta un punto di communicazione tra immunità innata ed ascuisita. La risposta versomicrorganismi che invece sopravvivono nel citosol (soprattutto virus) è mediata dai linfociti CD8 detti CTL che vanno aduccidere l'intera cellula infettata.

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La reazione verso gli elminti è mediata dai linfociti CD4 Th2.Alcune risposte intracellulari innate sono date dallecellule Nk.L'attivazione macrofagica e la risposta infiammatoria mediata dai linfociti T possono provocare un dannotissutale,reazione detta ipersensibilità di tipo ritardato o DTH e rappresenta il principale meccanismo di dannotissutale in malattie autoimmuni.

13.2 Linfociti CD4 effettori. 

Esistono distinte popolazioni di linfociti TCD4 che si distinguoni sia per il tipo di citochine prodotte che per le funzionieffettrici.

Sottopopolazion i Th1 e TH 2. 

Le sottopopolazioni meglio definite sono le Th1 e Th2:IFN-γ contraddistignue i TH1 mentre IL-4 e IL-5 i TH2.Questecitochine determinano le funzioni effettrici delle due sottopopolazioni ,inoltre partecipano attivamente al loro sviluppo edespansione.Queste citochine fanno si che la risposta sia polarizzata verso una sola delle due sottopopolazioni favorendonelo sviluppo e attivazione della propria e inibendo quello dell'altra. Entrambe le popolazioni originano da precursori comunie sono proprio queste citochine a rappresentare lo stimolo che determina in quale popolazione si differenzieranno:

-Th1:la differenziazione a Th1 è stimolata dalla presenza di batteri intracellulari.Queste infezioni vanno attivare le risposteimmunitarie innate e la consequente produzione di citochine come IL-12 ,IL 18 e interferoni di tipo 1.Il principale segnale determinante è il riconoscimento dell'antigene associato a IL-12 e IFN-γ. Alcuni microrganismi legano i TLR macrofagici e attivano direttamente la secrezione di queste citochine. Altristimolano le Nk a produrre IFN-γ che poi stimola i macrofagi a produrre IL12.I linfociti possono ulteriormente potenziare la produzione di citochine da parte dei macrofagi e attivare rispostesupplementari mediante l'interazione CD40-CD40.Il fine ultimo delle cellule TH1 è quello di attivare i macrofagiall'eliminazione del microrganismo mediante secrezione di IFN-γ e legame CD40l-CD40. Il riconoscimento dell'antigene(quindi stimolo del complesso TCR=tcr+CD28) e la contemporanea stimolazione di IFN-γ

attiva il fattore di trascrizione STAT1 che ativa il fattore T-bet che induce la produzione di IFN-γ.La stimolazione con IL-2indispensabile per innescare la risposta attiva il fattore STAT4 che anch' esso andrà a indurre T-bet e quindi la produzionedi IFN-γ. 

-Th2:la differenziazione avviene in risposta ad elminti.Il fattore scatenante è IL-4 che attiva STAT6 che assieme alsegnale inviato dal TCR in seguito al ricoscimento dell'antigene mi va ad attivare il fattore di trascrizione GATA-3

quale attiva l'esspressione di geni per IL-4,IL-5,IL13,inoltre rende la differenziazione unidirezionale andando a inibirela sintesi della catena per il recettore di IL-12.Le prime molecole di IL-4 necessarie per dare via all'attivazione si

 presume siano secrete dal linfocita a partire dalla loro iniziale attivazione e se poi l'antigene stimolante persiste laconcentrazione di IL-4 aumenta e innesca il processo di differenziazione.Quindi alte concentrazioni di antigene anchesenza adiuvanti riescono a portare la differenziazione verso Th2.

Sottopopolazione Th17:  

Recentemente identificata la sottopopolazione Th17 è distinta dalle due sopracitate tant'è che le citochine prodotte da Th1 eTh2 vanno a inibire la differenziazione in Th17.Questa popolazione produce IL-17,IL22.Si differenziano a partire daglistessi progenitori di TH1e2 in seguito a stimolazione dell'antigene e in presenza di TGF-β,IL-6 e IL-1.Si è ipotizzato cheIL-6 sia prodotta precocemente dal tessuto danneggiato che sia da sola sufficiente ad innescare la differenziazione mediatadai fattori di trascrizione ROR γt e STAT3.La citochinaIL-23 favorisce il mantenimento e la sopravvivenza dei TH17 e dunque in mancanza di T regolatori si instaura una risposta

infiammatoria la cui durata dipende da Il-6 e Il-23.Lo scopo principale dei Th17 è di proteggere contro infezioni batteriche

extracellulari e fungine.Si è scoperto essere la causa della sclerosi multipla(anche se proprio il Prof Zamboni a Ferraraavrebbe confutato tale ipotesi trovandovi la cura) in cui ondate di Th17 danneggiavano la mielina cerebrale.

13.2.1 Risposte immunitarie mediate da th1

La principale funzione dei Th1 è la difesa mediata contro microrganismi intracellulari.L' IFN-γ prodotto attiva le attivitàmicrobicidiche dei fagociti e stimola inoltre la produzione di IgG opsonizzanti che fissano il complemento e facilitano lafagocitosi.I linfociti T esprimono dei recettori per chemochine e molecole di adesione che ne indirizzanol'azione.Inizialmente i macrofagi durante la reazione infiammatoria secernono TNF e IL-1 che stimolano le celluleendoteliali nel focolaio di infezione a esprimere selectine e liganti per integrine in grado di riconoscere i recettori di homing 

espressi sui linfociti T. Durante la maturazione i Th1 acqistano capacità di esprimere i recettori per  E e P selettina,inoltresolo i Th1 esprimono recettori per le chemochine CXCR3 e CXCR5 che assicurano loro la corretta migrazione verso il

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focolaio infettivo. Una volta migrati e attivati dall'antigene loro stessi producono grandi quantita di citochine e chemochine per facilitare il complessivo processo di migrazione.Il passaggio dal circolo al focolaio è indipendente dalla specificità per l'antigene e assicura la massima possibilità di avere linfociti “utili”.I linfociti che riconoscono l'antigene ricevono segnai cheaumentano l'affinità per le integrine soprattutto VLA-4 e VLA-5 rimanendo trattenuti in sede extravascolare mentre gli altriritornano in circolo.In sede i linfociti Th1 attivano i macrofagi per mezzo sia di segnali provenienti dall'interazione conIFN-γ sia dall'interazione CD40L-CD40(CD40L è espresso solo dopo l'attivazione).L' IFN-γ attiva STAT-1 e IRF-1 metreCD40 attiva i fattori AP-1 e NK-κ B.Questi fattori ditrascrizione vanno ad attivare enzimi che creano intermedi reattivi dell'ossigeno come ossido di azoto ed enzimi lisosomiali

che uccidono i microrganismi.Tali intermedi tuttavia creano un certo danno tissutale che viene però riparato medianterimozione delle componenti danneggiate,formazione di nuovi capillari e sintesi di collagene.Tutti effettuati dai macrofagiattivati.I macrofagi attivati innescano inoltre un processo infiammatorio mediante secrezione di TNF e IL-1,chemochine emediatori lipidici finalizzato a richiamare neutrofili e monociti.

 DTH:il danno tissutale e l'infiammazione causati dai Th1 e macrofagi attivati sono i segni caratteristici delle cosiddettereazioni di ipersensibilità di tipo ritardato o DTH.Queste appartengono alle malattie infiammatorie immuno-mediate.Unavolta attivato il sistema cellulo -mediato nel caso lo stesso antigene si r ipresenti detto richiamo questo stimolerà la rispostaimmunitaria in modo massiccio e andrà a provocare appunto una reazione DTH.La caratteristica risposta DTH evolvenell'arco di 24-48 ore.Dopo 4 ore dal contatto con l'antigene i neutrofili si raccolgono attorno alle venule post-capillare;dopo2 ore anche linfociti T e macrofagi.Le cellule endoteliali diventano permeabili alle macromolecole plasmatiche. L'accumulodi fibrina e linfociti T a livello extravascolare determina un rigonfiamento della zona e successivo indurimento evidenti acirca 18 ore dal richiamo e raggiungono la massima entità nelle 24-48 ore successive. La rezione DTH è utilizzata per diagnosticare eventuali infezioni pregresse a determinati antigeni.Nel caso si sfruttino antigeni ubiquitari è normale la

reazione DTH e dunque una sua assenza evidenzia un deficit immunologico noto come anergia. Nel caso in cui i macrofagiattivati non riescano comunque a eliminare i microrganismi fagocitati in quel caso può instaurarsi una reazione DTH cronicacausando oltre al danno tissutale anche deposito di tessuto connettivo(fibrosi)come ad esempio nella tubercolosi;si aggiungela formazione di noduli di tessuto infiammatorio formato dai macrofagi che circondano l'antigene detti granulomi. 

13.2.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2.

La risposta immunitaria mediata dai Th2 ha la principale funzione di promuovere la produzione di IgE eattivare le risposte immunitari mediate da mastociti e eosinofili nei confronti di infezioni elmintiche.Gli elminti sono troppograndi per essere fagocitiati e troppo resistenti per i comuni microbicidi.I Th2 secernono Il-4 e Il- 13 che stimolano la produzione di IgE che opsonizzano il parassita e interagiscono con i recettori Fc ε dei mastociti che

 possono degranulare i loro contenuti:ammine vasoattive,TNF,e mediatori lipidici tutti in grado di produrre infiammazione.I Th2 producono inoltre IL-5 la quale va ad attivare direttamente gli eosinofili in contatto con l'elmina che iniziano a

secernere  proteina basica maggiore e proteina cationica maggiore è in grado di intaccare i robusti elminti.Il-13 e IL-4 sono anche in grado di attivare i macrofagi M2 mediante la “attivazione alternativa”(quindi non la“classica”mediante IFN-γ che attiva i macrofagi M1)a esprimere i recettori per il mannosio ed enzimi che promuovono lasintesi di collagene,fibrosi e citochine antiinfiammatorie. Questi contribuiscono allaformazione dei granulomi e al rimodellamento dl tessuto danneggiato.IL-13 pare stimoli anch ela produzione di mucomentre IL-4 la peristalsi intestinale.L'homing selettivo dei Th2 è mediato da particolari recettori per chemochine CCR3,4 e 8 che legano particolari citochineespresse nei focolai di infezione da elminti o nel corso di allergie.Le risposte di tipo TH2 sono infatti la principale causa di allergia.

13.3.Risposte mediate dai linficiti CD8 effettori:CTL 

I CTL CD8 sono linfociti T effettori che eliminano le cellule infettate da microrganismi intracellulari.La modalità disviluppo è simile ai CD4:vi è stimolazione dei CD8 naive con l'antigene nel linfonodo,si assiste a una

 proliferazione,differenziazio e migrazione nel sito di infezione alla ricerca delle cellule infettate e successiva uccisione diquest'ultime.L'uccisione di una cellula è antigene -specifica e contatto-dipendente.I CTL uccidono solo le cellule che presentano associatoa Mhc di classe 1 l'antigene che ne ha indotto la differenziazione nel linfonodo.Affinchè vi sia la liberazione dei granulicitotossici i CTL devono legarsi alla cellula bersaglio.I punti di ancoraggio sono il legame TCR antigene-Mhc,il legame delcofattore CD8 e l'adesina LFA-1 che si lega a ICAM-1 espresso sul bersaglio.Questi legami vanno a definire la cosiddetta

 sinapsi immunologica che rappresenta un punto di contatto tre le due membrane.Il legame LFA-1 e ICAM-1 va a costituireuno spazio isolato in questo anello di contatto nel quale si possono identificare due regioni:la regione di trasduzione del 

 segnale e quella del dominio secretorio.I CTL esprimono anche recettori KIR  tipici delle NK che riconoscono MHC diclasse 1 anche in assenza di peptide e inviano segnali inibitori alle CTL in modo da salvaguardare cellule non infettate e glistessi CTL.I CTL esprimono inoltre il recettore NKG2D che riconosce molecole MHC modificate magari da tumori odall'infezione.Entro pochi minuti dal riconoscimento la cellula bersaglio va incontro ad alterazioni che la porteranno nell'arco di 2-6 ore

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alla morte.Nel frattempo le CTL si distacca dal bersaglio.Il CTL trasmette il cosiddetto colpo letale costituito dal rilascio digranuli contenenti vari enzimi tra cui granzimiA,BeC,perforina,serglicina,granulisina,catepsina B. 

La perforina e la granulisina associate ai granzimi e alla serglicina perforano la membrana e distruggono le proteine.Lacatepsina B impedisce l'autodegradazione.Un secondo meccanismo di uccisione sfrutta il legame tra FasL espresso dai CTL attivati e il suo recettore espresso davari tipi cellulari attivando una caspasi che induce apoptosi cellulare e degradazione del Dna con conseguenteeliminazione della potenziale sorgente infettante.

13.4 Linfociti T della memoria 

Le risposte immunitarie portano alla produzione di linfociti T della memoria a partire da intermedi sia di CD4 che diCD8.Possono derivare da Th1 o Th2 gia differenziati o meno e da CD8.I linfociti T della memoria si possono dividere indue popolazioni:

Linfociti T di memoria centrali:che esprimono CCR7 e L-selettina e ch quindi migrano nei linfonodi dove nonsvolgono particolari funzioni effettrici ma piuttosto in caso di riincontro dell'antigene danno via a una decisa

 proliferazione che darà origine a una numerosa progenie effettrice.

Linfociti T di memoria effettrici:questi non esrpimo né CCR7 né L selettina e dunque continuano a migrare attraverso itessuti periferici e una volta riattivati secernono IFN-γ senza però proliferare attivamente.La rispota vera e propria dunque è attuata da queste ma dipende direttamente dal grado di proliferazione attuato a monte daquelli centrali.

Le cellule della memoria possono permanere per anni e questo mantenimento dipende da citochine costitutivamente presenti nei tessuti.La principale è IL-7 necessaria anche per il mantenimento dei linfociti naive.Per i linfociti dimemoria Cd8 pare sia richiesta anche IL-15.Queste citochine assicurano un basso ma costante livello proliferativoindipendente dal riconscimento antigene-MHC.

Capitolo 14. Meccanismi effettori dell’immunità umorale 

L’immunità umorale  è mediata dagli anticorpi di secrezione nel suo ruolo di difesa da microbi

extr a- cellulari e tossine microbiche. I tipi di organismi che vengono combattuti con questo tipo

di difesa sono batteri extracellulari, funghi e occasionalmente parassiti intracellulari obbligati nelmomento di esposizione al di fuori della cellula. 

14.1 Caratteristiche generali dell’immunità umorale  

Le funzioni principali degli anticorpi sono la neutralizzazione e l’eliminazione di microbi infettivi

e tossine microbiche. Le caratteristiche principali di questi meccanismi sono: 

1. Gli anticorpi sono prodotti dai linfociti B e dalle plasmacellule negli organi linfoidi e nelmidollo, ma la loro azione si svolge a siti distanti da quelli di  produzione. Gli anticorpi sono

inoltre at- tivamente trasportati attraverso la  placenta nella circolazione del feto in sviluppo.

Per  contrasto nell’immunità cellulomediata i linfociti T non sono trasportati nelle secrezioni

delle mucose e non sono in grado di varcare la  barriera placentar e. 

2. Gli anticorpi possono derivare sia da plasmacellule a lunga vita che a breve a seguito

dell’atti- vazione di linfociti B naive o della memoria. La  prima esposizione all’antigene portaall’attivazione dei linfociti B naive e alla loro differenziazione in plasmacellule o cellule della

memoria. Una suc- cessiva esposizione porta all’attivazione delle cellule della memoria e a

una più ampia e rapida risposta anticorpale. Le  plasmacellule derivate prima nelle risposte

immunitarie di solito hanno vita breve mentre quelle più tardive e con swtich dell’isotipo

tendono a migrare nel midollo e a  persistere per anni; in un individuo sano almeno la metà

delle IgG circolanti sono dovute alla  produzione da parte di queste cellule a lunga vita

midollari. 

3. Molte delle funzioni effettrici degli anticorpi sono mediate dalle regioni costanti delle catene

 pe- santi; diverse catene possono avere diverse funzioni effettrici. Il sistema umorale èspecializzato in modo tale che diversi microbi o antigeni stimolino lo switch da parte dei

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linfociti verso il tipo di Ig migliore per combatterli. I  principali stimoli allo switch sono lecitochine derivate dagli helper insieme a CD40L; diversi tipi di microbi stimolano la

dif f er enziazione  degli helper in diversi sottogruppi, ad esem pioT  H 1oT H 2, che producono

citochine diverse e inducono switch diversi, esempi: 

(a) I virus e molti batteri stimolano le risposteT  H 1con produzione di I gG che leganofagociti, natural killer e attivano il complemento. 

(b) I  parassiti elmintici stimolano risposteT  H 2con produzione di Ig E che legano e attivano

mastociti e  basofili  le cui citochine attivano gli eosinofili, particolarmente ef ficaci 

nell’eliminar e questi patogeni. 

4. Anche se molte delle funzioni ef f ettrici  sono mediate dalle regioni costanti, tutte sono

scatenate dal legame dell’antigene alle regioni variabili. 

14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine

Gli anticorpi contro microbi e tossine bloccano il legame di questi a recettori cellulari in modo da

neu- tralizzarne l’infettività. Molti microbi entrano nella cellula ospite legando particolari molecole disu per  - ficie a proteine o lipidi di membrana; gli anticorpi che legano queste strutture microbiche

inter feriscono con la loro capacità di interagire con i recettori cellulari e  possono dunque prevenire

l’inf ezione a causa dell’ingombro sterico. In alcuni casi bastano pochissime molecole di anticorpo per avere variazioni conformazionali nelle molecole del  patogeno che interagiscono con la cellula: si può avere dunque un effetto allosterico dovuto agli anticorpi. Molte tossine microbiche mediano

inoltre i loro effetti  patologi- ci sempre legando specifici recettori cellulari: gli anticorpi anti-tossine

 bloccano stericamente queste interazioni e impediscono alla tossina di danneggiare l’os pite. La neutralizzazione anticorpo mediata di microbi e tossine richiede solamente le regioni

leganti l’antigene dell’anticorpo, quindi può essere mediata da qualsiasi isotipo circolante o nelle

secr ezioni mucosali. La maggior parte degli anticorpi neutralizzanti nel sangue è di tipo IgG, mentre

nelle mucose la maggior parte è IgA. Gli anticorpi più ef ficaci nell’atto della neutralizzazione sono quelli

a più alta af finità, quelli cioè risultanti dal processo di maturazione. 

14.3 Opsonizzazione anticorpo-mediata e fagocitosi

Le IgG ricoprono, cioè opsonizzano, i microbi e ne promuovono la fagocitosi legandosi ai recettoriFc dei fagociti. I fagociti mononucleati e i neutr ofili ingeriscono i microbi come preludio

all’uccisione e degradazione; queste cellule esprimono di loro una varietà di TLR  che legano

direttamente i microbi, anche in assenza di anticorpi, fornendo uno dei meccanismi dell’immunità 

innata. I microbi possono essere opsonizzati anche dal prodotto di attivazione del complemento C3b

e fagocitati grazie al r ecettor e per questa molecola presente sui leucociti. Il  processo di copertura delmicrobo è detto opsonizzazione e le sostanze in grado di farlo, tra le quali gli anticorpi e le

 proteine del complemento, sono dette opsonine. 

14.3.1 Fagociti e recettori Fc

Recettori Fc per diversi isotipi delle catene pesanti degli anticorpi sono espressi su molte popolazioni leucocitarie; di questi

recettori i più importanti nella fagocitosi delle particelle opsonizzate sono quelli per le catene pesanti delle IgG, dettirecettoriF cγ. Esistono tre recetto riF cγcon diverse affinità   per le varie sottoclassi di IgG. Il principale recettoreF cγè

dettoF cγRIe lega fortemente ne ll’uomo sia IgG1 che IgG3.F cγRIè composto da una catena alfa contenente la regione  che lega Fc in associazione con un omodimero di una proteina segnalatrice detta catenaF cRγ, omologa alla catenaζdel

TCR.Le sottoclassi di IgG che legano in modo più efficace i recettori sono le opsonine più efficienti per promuovere la

fagocitosi: IgG1 ed IgG3.F cγRIlega gli anticorpi leg ati agli antigeni in modo più efficace rispetto agli anticorpi liberi.

Inoltre l’attivazione del recettore richiede che questo si raggruppi nel piano della membrana, qualcosa che può succedere

solo se l’attivazione è mediata da un antigene legato ad IgG. Il legame del recettore Fc sul fagocita con l’antigene

opsonizzato porta alla fagocitosi della particella e alla sua internalizzazione in un fagosoma che si porta a fondersi con illisosoma generando un fagolisosoma.Il legame di particelle opsonizzate al recettore attiva i fagociti grazie al segnale trasdotto dalla catena F cR γ; questa catena

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contiene dei domini ITAM sul suoi lato citoplasmatico. L’accumulo dei recet- tori dovuto all’antigene opsonizzato porta

all’attivazione di una chinasi che fosforila il dominio ITAM contribuendo al reclutamento e all’attivazione della tirosinchinasi Syk e la conseguente apertura di vie di segnalazione. L’induzione del segnale delF cγRIfa scattare la produ zione di diverse molecole microbicide.

1. Inizia la produzione dell’ossidasi fagocitica che catalizza la produzione di ROS citotossici per i microbi fagocitati.

2. Inizia la secrezione di enzimi idrolitici e ROS all’esterno del fagocita in modo da poter uccidere microbi extracellularitroppo grandi per la fagocitosi

L’espressione diF cγRIsui macrofagi è stim olata dall’interferon-γ. Gli isotipi anticorp ali che meglio legano i recettoriF

cγsono prodotti dallo s witching indotto dallo stesso inteferone, inoltre questo stimola direttamente le attivita microbicidedei fagociti.Il recettoreF cγRI I Bè un recettore inibit orio (→10.5) già visto nel co ntesto dei segnali inibitori per i linfociti B; si

trova espresso in molte altre cellule immunitarie e presenta anch’esso un dominio ITIM. Nei fagociti la sua attivazione va ad  attenuare la segnalazione da parte dei recettori attivanti tra i quali ancheF cγRI. Un trattamento em pirico ma utile per 

molte malattie autoimmuni è la somministrazione intravenosa di IgG che inducono l’espressione nei fagociti diF cγRI I Be

quindi la consegn a di segnali inibitori che mitigano l’infiammazione.  

14.3.2 Citotossicità cellulomediata anticorpo dipendente

Le cellule NK e altri leucociti legano le cellule opsonizzate con i recettori Fc e le distruggono nel processo di citotossicitàcellulo mediata anticor  po dipendente (ADCC). Le NK usano il loro recettore per Fc, cioè F cγRI I I, per legare le cellule

opsonizzate: questo è un recettore in grado di legare solo i complessi e mai l’anticorpo monomerico. L’attivazione del

recettore porta le NK a sintetizzare e secernere citochinequali l’interferon-γoltre che a scaricare i contenuti dei loro granuli

che mediano l’uccisione delle cellule bersaglio. 

Eliminazione degli elminti anticorpo mediataI parassiti elmintic i (vermi) sono troppo grossi per essere fagocitati e resistonoai prodotti microbicidi di neutrofili e macrofagi ma possono essere uccisi da una proteina estremamente basica (detta

 proteina basica principale) contenuta nei granuli degli eosinofili. Le IgG e le IgA che ricoprono gli elminti possono legarsiai recettori Fc degli eosinofili causan- done la degranulazione e il rilascio della proteina. In aggiunta le IgE riconoscono gli

antigeni superficiali degli elminti e possono dar vita alla degranulazione locale dei mastociti le cui chemochine e citochine possono attrarre gli eosinofli nella sede di infezione. 

14.4 Il sistema del complemento

Il sistema del complemento è costituito da proteine sieriche e di membrana che interagiscono tra l’oro e con altre molecole  immunitarie in modo regolato per generare prodotti la cui funzione è eliminare i microbi; le proteine del complemento sonoin generale proteine plasmatiche normalmente inattive. Le principali caratteristiche di questo sistema sono:

1. L’attivazione del complemento richiede la  proteolisi sequenziale di vari enzimi per generare nuovi complessi conattività proteolitica. Le proteine che acquisiscono attività catalitica a seguito di azione di una proteasi sono dette zimogeni.

2. I prodotti dell’attivazione del complemento sono covalentemente attaccati alle superfici dei microbi o agli anticorpi a

loro volta legati a microbi o ad antigeni. La piena attivazione e le funzioni biologiche del complemento sono limitate allesuperfici microbiche o ai siti dove gli anticorpi legano gli antigeni e non capitano mai nel sangue.

3. L’attivazione del complemento è inibita da proteine regolatrici presenti normalmente sulle cellule dell’ospite ma assenti  su quelle microbiche. Queste proteine minimizzano i danni derivanti dal complemento all’host e allo stesso tempo

 permettono l’attivazione del sistema a danno dei microbi. 

14.4.1 Vie di attivazione del complemento

Esistono tre vie di attivazione del complemento: quella classica mediata da certi isotipi di anticorpi, quella alternativa3mediata direttamente dai microbi e quella della lectina attivata dall’riconoscimento di residui di mannosio. Le vie di

attivazione convergono nello spezzare la proteina più abbondante del complemento, C3. La via alternativa e della lettina

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sono meccanismi effettori dell’immunità innata mentre quella classica è un componente fondamentale della risposta umorale

adattativa.L’evento centrale nell’attivazione del complemento è la proteolisi di C3 a generare prodotti biologi- camente attivi e ilseguente legame covalente di uno di questi, C3b, alle superfici microbiche o all’an- ticorpo legato all’antigene. L’enzima

C3 convertasi spezza C3 nei due frammenti C3a e C3b, mentre l’enzima C5 convertasi fa lo stesso con C5; i frammentisono nominati “a” per il più piccolo e “b” per il più grande.  C3b diviene covalentemente legato al microbo o all’anticorpo nella sede di attivazione del comple- mento. Tutte le funzioni

 biologiche del complemento dipendono dalla rottura proteolitica di C3. Le vie di attivazione differiscono nel modo in cuiC3b viene prodotto, ma seguono una sequenza comune a partire dalla rottura di C5.

La via alternativaQuesta via risulta nella proteolisi di C3 e nel legame stabile di C3b alle superfici microbiche senza

intervento di un anticorpo. La proteina C3 contiene un legame tioestere reattivo se- polto sotto un ampio dominio dettodomino tioestere. Quando C3 viene spezzata, C3b subisce modifiche conformazionali che espongono il legame tioest ere.

 Normalmente nel plasma C3 viene continuamente spezzata a bassi regimi per generare C3b nel processo detto di“tickover”. Una piccola quantità di C3b può dunque legarsi alle superfici cellulari attraverso il legame tioestere che reagiscecon gruppi am- minici o polisaccaridici di proteine o polisaccaridi. Se questi legami non si formano C3b rimane in fasefluida e il legame tioestere viene velocemente idrolizzato rendendo la proteina inattiva: l’attivazione del complemento non

 può procedere.Quando C3b subisce le modifiche conformazionali espone anche un sito di legame per una proteina plasmatica detta fattore

B. Il fattore B legato viene a sua volta spezzato da una serina proteasi plasmat- ica detta fattore D: questo genera unframmento Ba e un frammento Bb che rimane attaccato a C3b. Il complesso C3bBb è la C3 convertasi della via alternativa:spezza più molecole di C3 che generano C3b che rimane attaccato alla cellula e C3a che viene invece rilasciato.Se il complesso C3bBb viene formato su cellule di mammifero viene rapidamente degradato grazie a diverse proteine; lamancanza di queste proteine sui microbi consente l’attivazione della convertasi. In aggiunta un’altra proteina della via

alternativa, la properdina, può legarsi e stabilizzare il complesso e questo è favorito sulle cellule microbiche: la properdinaè l’unico regolatore positivo conosciuto per il complemento. Alcune delle molecole di C3b generate in questo modo si legano alla convertasi stessa con formazione di un complesso checontiene un misto di una molecola di Bb e due di C3b: questo è la C5 convertasi della via alternativa che spezza C5iniziando gli ultimi step del’attivazione del complemento. 

La via classica La via classica è in iziata dal legame della proteina del complemento C1 ai dominiC H 2 delle IgG o aiCH 3delle IgM che hanno legato un antigene. Nell’uomo le IgG più efficaci in questo amboto sono IgG1 ed IgG3. La

 proteina C1 è un complesso composto da C1q, C1r e C1s; C1q lega l’anticorpo mentre le altre due subunità sono proteasi.La subunità C1q lega in modo specifico le regioni Fc delle catene pesantiµe di alcuneγ. Ogni regione Fc de lla Ig ha unsingolo sito di legame per C1q e ogni C1q deve legare almeno due catene pesanti per essere attivata: questo spiega perchè ilcomplemento si attiva solo per anticopi legati ad antigeni e non per quelli liberi. La struttura pentamerica delle IgM puòlegare due molecole C1q alla volta e questa è una delle ragioni per cui questo anticorpo è più efficare nel legare il

complemento rispetto ad IgG.C1r e C1s sono serina proteasi. L’attivazione di C1q porta all’attivazione enzimatica di C1r che spez- za e attiva C1s. Laforma attiva di C1s spezza la proteina successiva della cascata, C4, generando C4a e C4b. C4 è omologa a C3 e C4b ha unlegame tioestere interno simile a C3b che è in grado di legare complessi antigene-anticorpo: questo garantisce chel’attivazione proceda solo in caso controllato. La proteina successiva, C2, poi complessa con C4b legata alla cellula eviene spezzata da una molecola C1s vicina in un frammento C2a solubile e uno C2b che rimane associato a C4b. Il

complesso risul- tante C4b2b è la C3 convertasi della via classica. Il legame di questo complesso a C3 è mediato dalframmento C4b mentre la proteolisi è catalizzata da C2b. La rottura di C3 risulta nella rimozione del frammento C3amentre C3b può formare legami covalenti con le superfici cellulari o con l’anticorpo dove il complemento è stato attivato.Quando C3b è stato depositato questo può legare il fattore B e generare altra C3 convertasi lungo la via alternativa;l’effetto finale è l’amplificazione e centinaia o migliaia di C3b finiscono con il depositarsi. Alcune delle molecole di C3b generate lungo la via classica si legano alla convertasi e formano il complesso C4b2b3bche funziona da C5 convertasi classica.Esiste una insolita via anticorpo indipendente della via classica nelle infezioni da pneumococco. I macrofagi splenicimarginali esprimono una lectina di superficie detta SIGN-R1 che lega polisaccaridi pneumococcici e C1q; il legame del

 batterio o del polisaccaride alla lectina attiva la via classica e promuove la copertura del pneumococco con C3b.

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La via della lectina La via della lectina è ativata in assenza di anticorpi dal legame di polisaccaridi microbici a lectinecircolanti, come la lectina plasmatica legante mannosio (MBL) o le ficoline. Queste lectine solubili sono membri di una

famiglia di collectine e strutturalmente somigliano a C1q. MBL lega il mannosio insieme a serina proteasi MBL associate(MASP) come MASP-1, MASP-2 e MASP-3. Queste proteasi formano complessi tetramerici simili a quelli formati da C1r e C1s e MASP-2 si porta a spezzare C4 e C2. Gli eventi seguenti sono identici a quelli della via classica.

Passi successivi dell’attivazioneLa C5 convertasi g enerate nelle varie vie da il via agli ultimi passi dell’attivazione delcomplemento che culminano nella formazione del complesso di attacco alla mem- brana (MAC). La convertasi genera unframmento C5a che viene rilasciato e uno C5b che rimane at- taccato alle proteine del complemento depositate sullasuperficie cellulare. Le rimanenti proteine della cascate del complemento (C6, C7 e C8) sono strutturalmente correlate enon hanno attività enzimatica.

C5b mantiene transientemente una conformazione in grado di legare C6 e C7. La componente C7 del risultantecomplesso C5b,6,7 è idrofobica e si inserisce nel doppio strato fosfolipidico della membrana dove diventa un recettore adalta affinità per C8. C8 è un trimero composto da tre diverse catene, una delle quali lega il complesso C5b,6,7 e forma un

eterodimero con la seconda catena; la terza si inserisce invece nel doppio strato fosfolipidico. Il complesso così creato,C5b-8 ha limitata capacità di lisare le cellule. La formazione del MAC è ottenuta dal legame di C9 al complesso. C9 èuna proteina del siero che polimerizza al sito dove è legato il complesso C5b-8 e forma pori nelle membrane

 plasmatiche; questi pori permettono il passaggio di acqua e ioni e quindi la rottura delle cellule sulle quali MAC èdepositato.

14.4.2 Recettori per proteine del complemento

Il recettore complemento di tipo 1 (CR1 o CD35), funziona principalmente per promuovere la fagocitosi delle particellecoperte da C3b o C4b. Questo recettore ad alta affinità per C3b e C4b è espresso soprattutto sulle cellule del sangue ma

anche sulle cellule dendritiche follicolari. I fagociti usano questo recettore per fagocitare le particelle opsonizzate. Il legameligando-recettore trasduce inoltre segnali che attivano i meccanismi microbicidi del fagocita, soprattutto se anche il recettoreFcγè simultaneamente attivato. La funzione di CR1 negli eritrociti è invece di catturare gli immunocomplessi per consegnarli a milza e fegato dove vengono rimossi dai fagociti.

Il recettore complemento di tipo 2 (CR2 o CD21) stimola le risposte immunitarie umorali migliorando l’attivazione deilinfociti B e promuovendo la ritenzione dei complessi antigene-anticorpo nei centri germinativi. CR2 si trova nei

linfociti B e nelle cellule dendritiche follicolari. Il recettore lega i prodotti di degradazione di C3b, cioè C3d, C3dg e iC3b,che vengono generati dalla proteolisi mediata dal fattore I. Nei linfociti il recettore è espresso come parte di un complessotrimolecolare che include anche CD9 e TAPA-1; questo complesso consegna segnali al linfocita che ne migliorano larisposta all’antigene. Nell’uomo questo recettore è il bersaglio del virus di Epstein-Barr, causa della mononucleosiinfettiva come anche di molti tumori maligni.

Il recettore complemento di tipo tre (Mac-1, CR3) è un integrina con funzione recettoriale per il frammento iC3b.Mac-1 è espresso su neutrofili, fagociti e mastociti e sulle cellule NK. Il recettore consiste in una catena alfa legata non

covalentemente ad una beta. Mac-1 sui neutrofili e sui monociti promuove la fagocitosi dei micr obi opsonizzati con iC3b,inoltre lega la molecola ICAM-1 promuovendo l’adesione stabile dei leucociti all’endotelio anche senza attivazione del

complemento: questo porta a reclutamento leucocitario ai siti di infezione e danno tissutale.Il recettore complemento di tipo quattro (CR4) è un’altra integrina con la stessa catena beta di Mac -1 ma diversa catena

alfa. Le funzioni sono simili a quelle di Mac-1.

Il recettore del complemento della famiglia delle immunoglobuline (CRIg) è espresso sui macrofagi del fegato, cioèsulle cellule del Kupffer. Si tratta di un recettore che lega i frammenti C3b e iC3b ed è fondamentale per la clearance dei batteri opsonizzati e di altri patogeni ematici.

SIGN-R1 è una lectina dei macrofagi marginali che riconosce polisaccaridi derivanti da preumococ- chi e lega ancheC1q: è fondamentale nella clearance di questo tipo di batteri.

14.4.3 Regolazione dell’attivazione del complemento 

La regolazione del complemento è mediata da parecchie proteine circolanti e di membrana di cui

molte appartengono alla famiglia RCA (Regulators of  Complement Activity) e sono codificate da geni

omologhi collocati adiacenti nel genoma. La regolazione del complemento è necessaria per due

motivi: 

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1. Il sistema si attiva spontaneamente in maniera blanda, ma se lasciato continuare potrebbe

dan- neggiare cellule e tessuti nor mali. 

2. Quando il sistema viene attivato opportunamente è necessario controllarlo perchè ladegradazione delle varie proteine potrebbe farle dif fonder e verso le cellule vicine e danneggiarle. 

Molti meccanismi di controllo sono tesi a impedire la formazione o l’attività della C3 convertasi

nelle prime fasi di attivazione, o analogamente della C5 convertasi o infine del MAC. L’attività proteolitica di C1r  e C1s è inibita da una proteina detta C1 inibitore (C1 INH), una

serina  proteasi che mima i normali substrati di questi enzimi. Se C1q lega un anticorpo ecomincia l’atti- vazione, C1 INH diventa bersaglio della attività enzimatica: l’inibitor e  viene

spezzato e diviene legato  covalentemente alle  proteine del complemento, con il risultato che ilcomplessoC1r 2 −C1s 2 si dissocia da C1q e la via classica viene inibita. 

Una patologia autosomica dominante, l’edema angioneurotico ereditario, è dovuto a una carenza

di C1 INH. Le manifestazioni cliniche comprendono accumuli intermittenti acuti di fluido nella

cute e nelle mucose che causano dolori addominali, vomito, diarrea e ostruzione delle vie aeree.

In questi  pazienti i livelli  plasmatici di C1 INH sono ridotti a meno del 30% del normale:

l’attivazione di C1 non è controllata e nemmeno il complemento in generale. 

L’assemblaggio delle C3 e C5 convertasi è inibito da proteine regolatrici che legano C3b e

C4b sulle super fici cellulari. Se C3b si lega alla super ficie  di una cellula normale dimammifero viene legato da parecchie proteine, tra cui MCP (Membrane Cofactor Protein), ilrecettore complemento tipo 1 (CR1), DAF (Decay Accelerating Factor) e fattore H. C4b in maniera simile viene legato da DAF,

CR 1, da C4BP (C4 Bingind Protein). Tutte queste proteine inibiscono per  via competitiva illegame degli altri componenti del complesso convertasi, bloccando ulteriori progressi nella cascata

di attivazione. Ovviamente queste proteine sono espresse nelle cellule di mammifero ma non in

quelle batteriche.  

DAF è una proteina di membrana legata a lipidi espressa su cellule endoteliali ed eritrociti. Lacarenza dell’enzime richiesto a formare i legami proteina-lipide porta al f allimento  nella sua

espressione ed è alla base della patologia detta emoglobinuria parossistica notturna. La  patologia ècaratterizzata da episodi ricorrenti di emolisi intravascolare, almeno in parte legati all’attivazione

incontrollata del complemento a danno dei globuli rossi: si ha così anemia emolitica cronica etrombosi venosa. 

C3b associato alle cellule viene degradato per  via  proteolitica dal fattore I, una serina proteasi

 plas- matica attiva solo in presenza di altre proteine regolatrici. MCP, il fattore H, C4BP e CR1sono tutti cofattori per  la degradazione mediata da fattore I di C3b e C4b. L’azione di questo

fattore  pr oduce i frammenti C3b, C3dg e iC3b che non attivano il complemento ma sono

comunque riconosciuti dai recettori su fagociti e linfociti B. La formazione del MAC è inibita dalla proteina CD59 che f unziona  incorporando in se stessa il

MAC in fase di assemblaggio subito dopo l’inserzione del complesso C5b-8, in pratica inibisce

l’aggiunta di C9. L’assemblaggio di MAC è inibito inoltre da proteine plasmatiche quali la

 proteina S che lega il complesso C5b,6,7 impedendone l’inserimento nella membrana. 

14.4.4 Funzioni del complemento

Opsonizzazione e fagocitosiI microbi sui quali il complemento è stato attivato diventano ricoperti

da C3b, iC3b o C4b e fagocitati dal legame di queste proteine a recettori specifici su macrofagi eneutr ofili. C3b e C4b legano CR1 mentre iC3b lega Mac-1 e CR-4. Preso singolarmente CR1 non

è suf ficiente a indurre fagocitosi, ma lo diventa se gli stessi microbi sono coperti da IgG che

simultaneamente attivano i recettori Fcγ.  La fagocitosi C3b e iC3b dipendente è un meccanismo

fondamentale di difesa sia per  l’immunità innata che per  l’adattativa. Esempio di questa via è ladifesa contro pneumococchi e meningococchi. Questi batteri vengono legati dagli anticorpi IgM iquali attivano la via classica del complemento causando la clearance dei  patogeni nella milza:

questo è anche il motivo per cui i soggetti privi di milza sono più a rischio in queste infezioni.  

Stimolazione delle risposte infiammatorieI frammenti C5a, C4a e C3a inducono risposte

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infi- ammatorie acute attivando mastociti e neutr ofili. Tutti e tre questi peptidi legano i mastociti

causan- done degranulazione e rilascio di mediatori vasoattivi quali l’istamina; questi peptidi sono

anche detti anafilatossine perchè scatenano risposte caratteristiche dell’anafilassi.  Nei neutrofili

C5a stimola in- oltre la motilità, l’adesione alle cellule endoteliali e (ad alte dosi) il  burst

respiratorio con pr oduzione di ROS; questa molecola potrebbe inoltre agire direttamente

sull’endotelio  e indurre un aumento di  permeabilità e l’espressione della selectina P che

 promuove il legame dei neutr ofili. Gli effetti  pr oin- fiammatori  di C5a, C4a e C3a sono mediati

da recettori specifici tra i quali il  più studiato è quello  per C5a. Questo recettore è di tipo

accoppiato a proteina G e viene espresso su moltissime tipologie cellulari. 

Citolisi complemento-mediataLa citolisi è media ta da MAC. La maggior parte dei  patogeni

ha sviluppato spesse pareti o capsule per impedire l’accesso a MAC alle loro membrane, per 

questo in realtà il sistema protegge verso pochissimi tipi di  batteri, tra i quali le  Neisserie. 

Altre funzioni del complementoLegandosi ai comp lessi antigene anticorpo le  proteine del

comple- mento ne promuovono solubilizzazione e clearance fagocitaria. Piccole quantità di questi

complessi si formano frequentemente in circolo e se lasciate accumulare rischiano di  portare a

reazioni infiamma- torie e danni tissutali. La formazione di questi immunocomplessi richiede

interazioni tra le  porzioni Fc di molecole Ig vicine: il complemento evita questo grazie all’ingombro

sterico delle sue componenti. 

La  proteina C3d generata da C3 lega CR2 sui linfociti B facilitandone l’attivazione e l’avviodelle risposte immunitarie umorali. C3d viene generata quando il complemento è attivato da un

antigene o da un complesso antigene-anticorpo. I linfociti B  possono legare l’antigene grazie alleloro Ig ma possono legare anche C3d grazie a CR2, potenziando in tal modo la segnalazione. 

14.4.5 Evasione del complemento

I meccanismi di evasione sfruttati dai microbi possono essere divisi in tre categorie:

1. Reclutamento delle proteine regolatrici dell’host. Molti patogeni esprimono acid i sialici che

reclu- tano il fattore H inibendo così la via alternativa (il fattore H separa C3b da Bb). Alcuni

 patogeni sottraggono acido sialico dalle cellule dell’host mentre altri hanno evoluto metodi di

 produzione autonomi.

2. Produzione di proteine specifiche che mimano quelle regolatrici umane.E.Coliproduce una pro -

teina che lega C1q e impedisce il legame con C1r e C1s.S.Aureusproduce la proteina SCIN

che inibisce la C3 convertasi.

3. Inibizione dell’infiammazione complemento-mediata grazie a prodotti di geni microbici.

14.5 Funzione degli anticorpi in siti anatomici specifici  

14.5.1 Immunità mucosale

IgA è la più importante classe di anticorpi in questo ambito. I tratti GI e respiratorio sono le

 più importanti sedi di ingresso di microbi. Nelle secrezioni mucosali le IgA legano i microbi e

le tossine nel lume e le neutralizzano impedendone l’ingresso. Il sistema immunitario mucosale

è una collezione di linfociti e altre cellule organizzato in strutture anatomiche distinte sotto gli

epiteli dei tratti GI e respiratorio. Si stima che un adulto produca due grammi di IgA al

giorno, cioè il 70% del totale. Lo switch all’isotipo IgA è stimolato da citochine della famiglia

del TNF tra le quali BAFF. La r agione dell’abbondanza di IgA nelle mucose è che lo switch

avviene in modo più efficiente in questi tessuti mucosali, inoltre i plasmablasti IgA hanno

 particolare propensione per la lamina propria intestinale.

Le IgA secrete sono trasportate attraverso le cellule epiteliali grazie a un recettore Fc IgA

specifico detto recettore poli-Ig. Questo recettore è sintetizzato dalle cellule epiteliali delle

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mucose ed espresso sulle superfici basali e laterali. Quando l’IgA si lega al recettore questo

viene endocitato e trasportato attivamente dall’altra parte dove viene poi spezzato per via

 proteolitica e si ha il rilascio dell’IgA in asso - ciazione ad un residuo del recettore detto

componente secretorio. Questo recettore funziona soprattutto per le IgA ma è capace di

trasportare anche le IgM e questo ne giustifica il nome.  

14.5.2 Immunità neonatale

I neonati non hanno la capacità di rispondere ai microbi per parecchi mesi dopo la nascita e la

loro principale linea di difesa è l’immunità passiva dovuta agli anticorpi materni. Le IgG

materne sono trasportate dalla placenta mentre un mix di IgA ed IgG viene trasportato nel

latte. Le IgA ed IgG ingerite possono neutralizzare i patogeni che tentano di colonizzare i

visceri, e le stesse IgG sono poi trasportate in circolo; in sostanza un neonato contiene

essenzialmente le stesse IgG della madre.

Il trasporto delle IgG attraverso la placenta è mediato da un recettore detto recettore Fc

neona- tale, unico in quanto assomiglia alle molecole MHCI. Nel periodo postnalate il recettore

funziona nel proteggere gli anticorpi plasmatici dal catabolismo; si lega alle IgG circolanti,

 promuove l’endocitosi dei complessi e in questo modo protegge l’anticorpo internalizzato dalla

degradazione intracellulare, riciclandolo poi di nuovo in circolo.

Capitolo 15. Immunità ai microbi 

15.1 Caratteristiche generali 

1. La difesa contro i microbi è mediata sia dall’immunità innata che dall’immunità adattativa.

Il sistema innato fornisce la  prima linea di difesa mentre quello adattativo fornisce una risposta

 più sostenuta e vigorosa. Molti microbi hanno evoluto sistemi per sfuggire alle risposte

innate. Le risposte adattative sono generalmente più potenti per varie ragioni, tra le quali

l’espansione del pool antigene-specifico dei linfociti e la specializzazione. 

2. Il sistema immunitario risponde a microbi diversi in modo distinto e specializzato per 

massimiz- zare l’ef ficacia. 3. La sopravvivenza e la  patogenicità del microbo nell’ospite sono influenzate in modo critico

dalla capacità del  patogeno di sfuggire o resistere al sistema immunitario. 

4. In molte infezioni il danno tissutale e la patologia possono essere causate dalla risposta

dell’host  più che dal microbo in se. 

15.2 Immunità ai batteri extracellulari

I batteri extracellulari sono in grado di replicare al di fuori della cellula ospite. La patologia è

causata da due meccanismi principali:

1. Induzione dell’infiammazione. Questo è il meccanismo per cui molti cocchi piogeni

causano infezioni suppurative nell’uomo. 

2. Produzione di tossine. Le tossine possono essere endotossine, cioè componenti delle pareti

del batterio, o esotossine, cioè prodotti di secrezione attiva.

15.2.1 Immunità innata ai batteri extracellulari 

I principali meccanismi sono l’attivazione del complemento, la fagocitosi e la risposta

infiammatoria. Il peptidoglicano dei batteri Gram+ attiva la via alternativa del

complemento promuovendo la formazione della C3 convertasi. Il LPS attiva anch’esso la

via alternativa in assenza di anticorpi. I batteri che esp- rimono mannosio sulla loro

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superficie possono legare la lectina attivando il complemento lungo questa via. Uno dei

risultati dell’attivazione del complemento è l’opsonizzazione dei batteri, inoltre

l’assemblag- gio del MAC è in grado di uccidere direttamente batteri quali le Neisserie. I

 prodotti del complemento sono inoltre potenti pro-infiammatori che causano il reclutamento

e l’attivazione dei leucociti. I fagociti usano vari recettori, tra cui quelli per il mannosio e i

TLR, per riconoscere i batteri e sfruttano quelli Fc e per il complemento per legare cellule

opsonizzate. In aggiunta i f agociti secernono citochine, che inducono filtrazione leucocitaria

ai siti di infezione, quindi infiammazione. I danni tissutali sono il lato patologico di questo

comportamento, inoltre le citochine sono anche responsabili delle manifestazioni sistemiche,

tra le quali febbre e sintesi di proteine di fase acuta.

15.2.2 Immunità adattativa ai batteri extracellulari

L’immunità umorale è la risposta protettiva principale ai batteri extracellulari e alle loro

tossine. Le risposte anticorpali sono dirette contro gli antigeni della parete o direttamente

alle tossine che possono essere polisaccaridiche o proteiche. Le tossine polisaccaridiche sono

 prototipi di antigeni timo indipen- denti, e una funzione principale dell’immunità umorale è

la difesa contro batteri la cui parete è ricca di polisaccaridi. I meccanismi principali sono

neutralizzazione, opsonizzazione, fagocitosi e attivazione del complemento. La

neutralizzazione è mediata da IgG ed IgA, l’opsonizzazione da IgG e l’attivazione del

complemento da IgM ed IgG. Gli antigeni proteici attivano inoltre i linfociti T helper che producono citochine per stimolare la sintesi di anticorpi, l’infiammazione e l’attività

fagocitica.

15.2.3 Effetti dannosi delle risposte immunitarie

I principali ef fetti collaterali delle risposte a batteri extracellulari sono l’infiammazione e lo

shock settico. Le reazioni infiammatorie, dovute agli stessi meccanismi che sradicano

l’infezione, sono normalmente controllate e autolimitanti. Lo shock settico è la conseg uenza

di infezioni disseminate da parte di batteri Gram- (e qualche Gram+) ed è caratterizzato da

collasso cardiocircolatorio e coagulazione intravascolare disseminata. La fase precoce è

causata dalle citochine macrofagiche prodotte soprattutto in rispos ta all’LPS; TNF è la

 principale citochina mediatrice dello shock, ma anche IFN-γe IL-12 hanno ruol o. Alcune

tossine batterische stimolano tutti i linfociti T in un individuo che esprimono una particolarefamiglia genica di recettori: sono i superantigeni. La loro importanza sta nel fatto che

 possono attivare moltissimi linfociti, con conseguente iperproduzione di citochine e shock.

Una complicazione tardiva della risposta umorale può essere la generazione di anticorpi

 patogeni. La febbre reumatica è la sequela di un’infezione faringea da parte di alcuni

streptococchiβ-emolitici; l’in- fezione porta alla produzione di anticorpi contro una proteina

della parete batterica ma alcuni di questi cross-reagiscono con proteine del sarcolemma

cardiaco con conseguente endocardite. La glomerulone- frite streptococcica è la sequela

anch’essa di infezioni con streptococchiβ -emolitici in cui gli a nticorpi formano complessi

che si vanno a depositare nel rene causando la nefrite.

15.2.4 Evasione immunitaria dei batteri extracellulari

Il principale meccanismo di evasione dell’immunità umorale è la variazione genetica degliantigeni superficiali. Esempio è il principale antigene dei pili di batteri tipo gonococco ed

escherichia: la pilina. I geni che la codificano subiscono pesante conversione e la progenie

di uno di questi organismi può produrre più di un milione di varianti che garantiscono

l’evasione all’attacco degli anticorpi anti- pilina. Altre vie di evasione sono l’inibizione

dell’attivazione del complemento o la resistenza alla fagocitosi.

15.3 Immunità ai batteri intracellulari

I batteri intracellulari facoltativi possono sopravvivere e anche replicare nei fagociti: è

necessaria l’immunità cellulo-mediata.

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15.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari

Questa risposta è mediata soprattutto da fagociti e natural killer. I fagociti, prima neutrofili e

 poi macrofagi, ingeriscono e cercano di distruggere questi microbi che però resistono al loro

interno. I batteri intracellulari attivano le NK inducendo l’espressione di molecole NK -

attivanti o stimolando le cellule dendritiche e i macrofagi a produrre IL-12. Le cellule NK 

 producono IFN-γche a sua volta attiv a i macrofagi e promuove l’uccisione dei batteri

fagocitati. Le cellule NK forniscono una prima linea di difesa, ma solitamente questa

immunità fallisce nello sradicare queste infezioni.

15.3.2 Immunità adattativa ai batteri intracellulari

L’immunità cellulo-mediata consiste di due tipi di reazione:

1. Attivazione dei macrofagi grazie ai segnali dei linfociti T quali CD40L o IFN-γ 

2. Lisi delle cellule infette da parte dei linfociti citotossici

Sia le celluleC D4 + che leC D8 + rispondono agli antigeni proteici dei microbi fagocitati che

sono presen- tati come peptidi sulle molecole MHCII o I. Le celluleC D4 + differenziano in

effettoriT H 1dietro stimolo di IL-12 prodotta dai macrofagi e dalle cellule dendritiche. I

linfociti T esprimono CD40L e secernono IFN-γe questi due stimoli attivano i macrofagi per  produrre varie sostanze microbicide. L’interferone stimola inoltre la produzione di isotipi

anticorpali che attivano il complemento e opsonizzano i batteri per aiutarne la fagocitosi.

I batteri fagocitati stimolano i linfocitiC D8 + se gli antigeni passano dal fagosom a al citosol

o se

il batterio scappa dal fagosoma. Nel citoplasma i meccanismi microbicidi del fagocita sono

inutili e l’infezione va estirpata uccidendo la cellula.  

L’attivazione macrofagica si ha in risposta a microbi intracellulari che possono anc he causare

danno tissutale. Il danno può essere il risultato di ipersensibilità ritardata. I batteri

intracellulari si sono evo- luti per resistere all’uccisione, e persistono spesso per lunghi

 periodi causando stimolazione antigenica cronica dei linfociti e attivazione dei macrofagi

che possono risultare nella formazione di granulomi. La formazione di granulomi, principalesegno istologico per alcune patologie, serve a evitare la diffusione dei microbi ma è anche

causa di pesanti disfunzioni tissutali.

Le differenze individuali nei pattern di risposta linfocitaria ai microbi intracellulari sono

determi- nanti importanti per la progressione e l’esito della malattia: esempio è la lebbra.

Esistono due forme di lebbra, lepromatosa o tubercoloide. Nella forma lepromatosa i

 pazienti hanno alti titoli di anticor -  pi specifici ma deboli risposte cellulomediate; l’esito

evidente è la formazione di lesioni distruttive di cute e tessuti annessi. I pazienti con lebbra

tubercolosa hanno invece forte immunità cellulomediata e pochi anticorpi: si sviluppano

danni ai nervi periferici ma la distruzione tissutale è molto minore. La differenza tra le due

 patologie è il modo in cui l’organismo risponde.  

15.3.3 Evasione immunitaria dei batteri intracellulari

I meccanismi includono l’inibizione della fusione del fagolisosoma o la fuga nel citosol. La

resistenza al- l’eliminazione per fagocitosi è la ragione per la quale questi batteri tendono a

causare infezioni croniche che durano anni.

15.4 Immunità ai funghi

Sono diversi i funghi che infettano l’uomo e possono vivere sia in ambiente extracellulare che

dentro i fagociti: le risposte sono dunque spesso combinazioni di quelle per batteri intra ed

extracellulari. La differenza è che si sa poch issimo dell’attività antifungina delle varie

sostanze.

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15.4.1 Immunità innata ed adattativa ai funghi

I principali mediatori dell’immunità innata ai funghi sono neutrofili e macrofagi. I neutrofili

 probabil- mente liberano sostanze antifungine come i ROS e fagocitano i funghi.

L’immunità cellulomediata è il meccanismo principale di protezione per queste in fezioni.

15.5 Immunità ai virus15.5.1 Immunità innata ai virus

I principali meccanismi sono l’inbizione dell’infezione grazie agli interferoni di tipo I e

l’uccisione diretta delle cellule infette grazie alle NK. Sono molti i meccanismi biochimici

che portano alla sintesi degli IFN, ad esempio il riconoscimento di genomi esogeni grazie ai

TLR o l’attivazione di chinasi citoplasmatiche. La funzione dell’interferone di tipo I è

l’inbizione della replicazione virale sia in cellule infette che sane attivando uno stato

antivirale. Una molecola chiave indotta dall’interferone è PKR, una chinasi che deve legare

dsRNA per essere attivata, un tipo di acido nucleico presente nelle sole cellule infette.

L’attivazione di PKR blocca la sintesi proteica e causa quindi la morte della cellula. Le

cellule NK riescono invece a riconoscere le cellule infette e ad ucciderle prima che

l’immunità adattativa si scateni. 

15.5.2 Immunità adattativa ai virus

Gli anticorpi bloccano il legame del virus ai recettori cellulari e i linfociti T citotossici

uccidono le cellule infette. Gli anticorpi sono efficaci solo durante la fase extracellulare

della vita virale, cioè prima dell’infezione o nel passaggio da cellula a cellula. Gli anticorpi

di isotipo IgA sono importanti per questa risposta nell’ambito delle mucose. Ruoli

aggiuntivi degli anticorpi sono l’opsonizzazione pro-fagocitosi e l’attivazione del

complemento.

L’importanza dell’immunità umorale è evidente in quanto la resistenza ad un virus è spesso

speci- fica per quel tipo sierologico di virus: ad esempio esporsi al virus dell’influenza di un

certo tipo non immunizza per gli altri. Quando il virus entra in una cellula diventa

irraggiungibile per l’anticorpo: i vaccini dunque possono prevenire un’infezione ma maicurarne una già in atto.

L’eliminazione di virus intracellulari è mediata dai linfociti citotossici che uccidono la cellula

infetta. Quasi tutti i linfociti citotossici sonoC D8 + che risconoscono antigeni citosolici in

associazione a MHCI. Se la cellula che presenta l’antigene non è una APC professionista

 può essere fagocitata da una di queste per attivare meglio i linfocitiC D8 + naive: si parla di

cross-priming o cross-presentazione. La piena differenziazione a linfociti citotossici richiede

l’immunità innata o le citochine prodotte dagli helper o i costimolatori sulle cellule infette.  

Le risposte immunitarie alle infezioni virali possono produrre danni per azione dei linfociti

citotossici o per altre vie. Una consequenza di alcune infezioni a lungo termine, tipo epatite

B, è la formazione di immunocomplessi che si depositano nei vasi e portano a vasculite

sistemica.

15.5.3 Evasione immunitaria dei virus

1. Alterazioni degli antigeni per non essere più bersaglio immunitario. Gli antigeni più alterati

sono le glicoproteine superficiali e i meccanismi più frequenti sono mutazioni puntiformi o

riassortimento dell’RNA nei virus con tale genoma.  

2. Inibizione della presentazione antigenica su MHCI. In questo modo i linfocitiC D8 + non

riconoscono più la cellula infettata, ma c’è da dire che le NK sono fortemente stimolate da

cellule che non presentano queste molecole.

3. Produzione di molecole che inibiscono la risposta immunitaria. Alcuni virus (ad esempio

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 poxvirus) producono proteine leganti citochine che funzionano da antagonisti competitivi.

Altri virus pro- ducono molecole simil MHCI che competono per la presentazione, altri

molecole che inibiscono l’attivazione dei macrofagi.  

4. Blocco delle risposte citotossiche in infezioni croniche. Alcuni virus potrebbero aver 

imparato a sfruttare i normali meccanismi di regolazione immunitaria e ad attivarli a

 piacimento.

5. Infezione e uccisione/inattivazione delle cellule immunocompetenti.

15.6 Immunità ai parassiti

Molti parassiti hanno cicli vitali complessi, parte dei quali non avvengono nell’uomo.

L’infezione si ha di solito per morsi di ospiti intermediari o per condivisione di un particolare

habitat. Molte delle infezioni da parassita sono croniche per via della debole immunità

innata e dell’abilità del parassita di evadere le risposte.  

15.6.1 Immunità innata ai parassiti

Quasi tutti questi organismi evadono la risposta innata perchè sono ben adattati al resistere ai

mec- canismi di difesa. Il meccanismo principale è la fagocitosi, e i fagociti tentano anchela secrezione di sostanze microbicide per l’uccisione di parassiti troppo grossi per 

l’ingestione. Molti elminti hanno spesse corazze che li rendono resistenti ad attacchi esterni.

15.6.2 Immunità adattativa ai parassiti

I parassiti sono molto diversi tra loro, così come le risposte che scatenano. La principale difesa

contro i protozoi che sopravvivono all’interno dei macrofagi è l’immunità cellulomediata, in

 par ticolare l’atti- vazione macrofagica tramite citochine derivate dalle celluleT H 1. La

difesa dalle infezioni elmintiche è invece mediata dall’attivazione delle celluleT H 2che

 portano alla prod uzione di IgE e all’attivazione degli eosinofili.  

Capitolo 16. Immunologia dei trapianti Per trapianto si intende il trasferimento di cellule,tessuti oppure organi da un individuo detto donatore a uno dettoricevente.Il fallimento di tale trasferimento è detto rigetto,è stato dimostrato che questo è causato da una rispostaimmunitaria specifica.

trapianto autologo : trapianto da un individuo allo stesso individuo(quindi cambiando solo la sede)singenico: tra due individui geneticamente identici.allogenico : tra due individui della stessa specie ma geneticamente differenti.xenogenico: tra individui di specie differenti. 

Le molecole riconosciute come estranee nel trapianto allogenico sono dette alloantigeni,quelle in quelli xenogenicixenoantigeni. 

I linfociti e anticorpi che reagiscono contro tali molecole sono detti alloreattivi e xenoreattivi. Lo studio del rigetto ai trapianti ha portato a importanti scoperte sia per aiutare la riuscita di molti interventi che nellacomprensione del funzionamento del sistema immunitario

16.1Risposta al trapianto allogenico. 16.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni. Le molecole MHC sono le responsabili della maggior parte delle reazioni di rigetto.Esse vengono presentate per ilriconoscimento ai linfociti T in due modi differenti:-nel modo diretto:ovvero esposte sulle APC del donatore e riconosciute dai linfociti T del ricevente.-nel modo indiretto:ovvero vengono processate come normali proteine antigeniche dalle APC del ricevente ed espresse dalle

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MHC del donatore come semplicissimi peptiti e riconosciute dai linfociti T del ricevente.

Riconoscimento diretto. 

Il riconoscimento diretto è il risultato della cross-reattività dei linfociti T verso MHC allogenici.Il risultato è che invece diriconoscere un complesso MHC self-antigene non self riconosce un MHCnon self- antigene self.Questo è dovuto al fattoche durante lo sviluppo nel t imo la selezione positiva e successivamente la negativa selezionano linfociti T capaci dilegare le MHC self con bassa affinità ed eliminano quelle che le legano con affinità elevata o che non le legano.Tuttaviaquesto processo non garantisce l'eliminazione di linfociti T che possono legare MHC estranee(le chiameremo

allogeniche).Si viene a creare un repertorio maturo con intrinseca bassa affinità per MHC self ma al contempo includelinfociti T capaci di legare MHC allogenici con alta affinità.Abbiamo visto che i sistemi di tolleranza inattivano o eliminano i linfociti T che rispondono a MHCself legate a peptidi self. L'obbiettivo è riconoscere MHC self con peptidi non self specifici..Essendo tale riconoscimentodovuto a interazioni allosteriche o tra singoli amminoacdi è possibile che linfociti T riconoscano MHC allogenici legati a

 peptidi self scambiandoli per MHC self legati a peptidi estranei specifici. Questo perchè o l'MHC allogenico da solo mimala struttura di MHCself-antigene estraneo(in questo caso l'antigene serve solo da stabilizzatore),o l'intero complesso MHCallogenico-antigene self ha complessivamente stessa struttura di MHC-self- antigene estraneo specifico. In questo casovista l'enormità degli antigeni presentabili,una singola cellula allogenica,la qualche esprime circa 10^5 MHC potràesprimere 10^5 antigeni differenti e quindi essere riconosciuta da 10^5 cloni differenti di linfociti T.

Riconoscimento indiretto 

Le molecole MHC essendo comunque proteine possono venir processate ed espresse dalle APC del ricevente come se sitrattasse di semplicissimi antigeni microbici legati a MHC2.Per il fenomeno della cross-presentazione  possono venireanche presentate da MHC1 ai CD8.In questo caso sono le intere cellule del donatore a venire fagocitate da APC

 professionali e poi viene presentato un antigene processato.

16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreattivi

Abbiamo visto come sia la via diretta che indiretta vadano ad attivare i linfociti T alloreattivi.Il punto fondamentalesappiamo essere l'esistenza di APC che presentino questi antigeni allogenici.Una volta attivati i i linfociti alloreattivimigrano nel sito di trapianto e ne causano il rigetto.Il contributo maggiore lo danno i linfociti CD4 che differenziati incellule effettrici secernono citochine che danneggiano il trapianto con una reazione simile a quella di DTH.I linfociti CD8 attivati dalla via diretta da APC del donatore esprimenti MHC1 si differenziano in CTL che eliminano lecellule che esprimono MHC allogenici di classe 1; mentre quelli attivati dalla via indiretta sono ristretti per MHC self 

quindi non possono eliminare le cellule estranee ma solo cellule dell'ospite che esprimo antigeni del donatore.Queste risposte vengono studiate in vitro mediante la MLR(reazione linfocitaria mista).Tale processo è usato come processo predittivo nel rigetto in un trapianto e si basa sull'incontro delle popolazioni linfocitarie dei due individui enell'osservazione se si assiste o meno a proliferazione. La produzione di alloanticorpi è molto limitata e consiste nellaazione dei linfociti B la quale mima l'azione delle APC presentando frammenti di MHC allogenico ai linfociti T helper attivandoli a produrre anticorpi contro dagli antigeni.

Particolarmente interessante è la mancanza di rigetto del feto da parte di madri incinte.Il feto esprime molecole MHC paterne e come tali vengono riconosciute come allogenici per la madre,Tuttavia non accade alcun rigetto.Le ipotesi sonomultiple ma le più accreditate sono 2:

-le cellule trofoblastiche,ovvero quelle nella zona di comunicazione placenta-madre sono prive diMHC e nel caso le esprimessero sono comunque prive di molecole costimolatorie.

-la decidua potrebbe essere un sito immunologicamente privilegiato in cui cellule deciduali inibiscono le funzioni dimacrofagi e linfociti secernendo TGF-β. É inoltre provato che nel feto le risposte immunitarie dipendono dai livelli di triptofano e si è formulata l'ipotesi che bassilivelli di triptofano nella placenta le inibiscano.

16.2 Meccanismi effettori del rigetto

Il rigetto da trapianto è classificato in base alle caratteristiche istopatologiche e cinetiche iniperacuto,acuto accelerato,acuto e cronico.Rigetto iperacuto:è caratterizzato dall'occlusione trombotica dei vasi del trapianto e inizia entro pochi minuti dallaformazione dell'anastomosi.Il tutto è mediato da anticorpi preesistenti nel ricevente che si legano all'endotelio del trapiantoattivando il complemento il quale provoca trombosi vascolare e danno tissutale.Si ha l'esposizione di proteine della

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membrana basale che attivano le piastrine e innescanoil meccanismo di adesione e aggregazione piastrinica.Nei primi giorni il rigetto è mediato da alloanticorpi IgM diretti

 principalmente verso gli antigeni della famiglia ABO presenti sulla superficie dei globuli rossi e delle cellule endoteliali.Inquesto caso si assistito a un trapianto tra due soggetti appartenenti a gruppi sanguigni differenti.Oggigiorno questo

 problema è superato e il rigettoiperacuto è mediato più che altro da alloanticorpi IgG diretti contro alloantigeni come MHC.Questi si sono formati inseguito a precedenti trasfusioni ,trapianti o gravidanze multiple ovvero ogni contatto con cellule contenenti MHC diversidai propri.

Rigetto acuto:Il rigetto acuto è un processo di danno sia vascolare che parenchimale mediato sia da anticorpi che dalinfociti T e inizia dopo circa una settimana dal trapianto.In questo caso glianticorpi non sono preesistenti bensì vengono sviluppati dalla risposta immunitaria umorale ed è per questo che il tempo dirisposta è più lento.Il quadro istologico è caratterizzato da necrosi transmurale e infiammazione acuta dei vasi del trapiantosenza tuttavia il verificarsi di trombosi come nel caso del rigetto iperacuto.Sia linfociti CD4 che CD8 contribiscono alrigetto acuto:i CD8 nella lisi delle cellule endoteliali e i CD4 nella infiammazione e e nelle reazioni DHT.

Rigetto cronico e vasculopatia:i trapianti che sopravvivono più di 6 mesi sviluppano una lenta occlusione arteriosa risultatodi una proliferazione delle cellule muscolari lisce.Queste modificazioni prendono il nome di vasculopatie del trapianto.Questa proliferazione è dovuta a una serie di interazioni tra citochine e fattori di crescita prodotti macrofagi e celluleendoteliali stimolati da linfociti T alloreattivi.Con il progredire della ischemia il parenchina viene sostituito da tessutofibroso ;questo processo fibrotico viene anche chiamato rigetto cronico.

16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da allotrapianto.

Fisiologicamente se il ricevente di un trapianto ha un sistema immunitario funzionante il trapianto va in contro a qualcheforma di rigetto.Alcune strategie usate nella pratica per prevenire tale rigetto consistono nell'induzione di momentaneeimmunosoppressioni. Attualmente uno degli obbietti principali in trapiantologia è quello di indurre uno stato di tolleranzaspecifiche senza bisogno di immunosoppressioni.Prima abbiamo visto quali potevano essere le cause delrigetto,conoscendole è dunque possibile attuare una forma di prevenzione per ridurre l'immunogenicità dell allotrapianto.

16.3.1 Ridurre l'immonogenicità. 

Alcuni test vengono effettuati per verificare la compatibilità donatore-ricevente:

-tipizzazione del gruppo sanguingo ABO.Questo test è effettuato per prevenire l'insorgenza di rigetto iperacuto dato da IgM.

-Tipizzazione tissutale:tipizzazione HLA:ridurre al minimo le differenze alleliche HLA espresse dalle cellule del donatore ericevente.Solo la tipizzazione HLA-A,B e DR sono importanti.

-Screening per la presenza di anticorpi preformati:viene mischiato il siero del ricevente con quello di diversi donatori e sivaluta la PRA,ovvero la percentuale di anticorpo reattivo che è la percentuale di cellule del donatore contro le quali il

 paziente reagisce.

-Crossmatching:è il test sopracitato specifico tuttavia solo tra un donatore e il ricevente.La negatività a tale test è essenziale per il trapianto.

16.3.2 ImmunosoppressioneIl principio base su cui si basa questa tecnica è quello di inibire o uccidere il linfociti Tmomentaneamente.

-L'uso di farmaci immunosoppressori è il metodo più usato e tra i più comuni sono da ricordareciclosporina e FK-506 entrambi importanti inibitori della calcineurina.La calcineurina è essenziale per la trasmissione del segnale di IL-2 e altre citochine.Bloccando la calcineurina si va a inibireattivazione e proliferazione dei linfociti T.

-Altri inibitori della proliferazione vanno ad agire su mTor e la prima scoperta è stata larapamicina.

-Un altro metodo è quelli di utilizzare tossine che uccidono i linfociti T in proliferazione e il primo usato è l'aziatropina ma

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vista la sua tossicità il più comunemente usato è il MMF.

-Sono stati creati anche anticorpi che uccidono o inibiscono i linfociti T ad esempio OKT3 si lega al CD3 oppure un'altroriconosce e blocca la subunità CD25.

-Ultima via è quella di bloccare le vie costimolatorie dei linfociti T ad esempio con CTLA-4 solubile o con bloccanti diCD28.

In associazione ai farmaci T bloccanti sono regolarmente usati farmaci antinfiammatori tra cui i potenti sono icorticosteroidi,i quali agiscono bloccando la sintesi e la secrezione di citochine soprattutto TNF e IL-1.

Ovviamente l'immunosoppressione prolungata richiesta per una sopravvivenza a lungo termine d un trapianto aumenteràmolto la suscettibilità a infezioni virali e quindi a tumori virali.Per questa ragione a soggetti trapiantati vengonosomministrate terapie antivirali come profilassi.In soggetti trapiantati,i linfomi a cellule B e a cellule della cute sono i piùfrequenti.

16.3.3 Induzione di tolleranza.L'induzione di tolleranza costituisce un enorme vantaggio rispetto all'immunosoppressione in quanto diminuisce lasuscettibilità a infezioni e anche di evoluzione di rigetto cronico. Essa consiste nell'induzione di anergia periferica e delezionedi cellule T alloreattive.Sono in corso inoltre studi

 per la creazione di linfociti T regolatori specifici per gli alloantigeni del trapianto.

16.4 Trapianti

Il trapianto xenogeno rappresenterebbe un importantissimo serbatoio vista la scarsità di donatori di trapianti. Tuttavia uno dei principali ostacoli per l'utilizzo di tali trapianti proviene dalla presentza di anticorpi naturali che mediano il rigetto iperacutoindirizzati verso determinanti carboidratici espressi sulle cellule di specie non concordanti.Per l'uomo ad esempio untrapianto di organi di scimpanzè risulterebbe poco immunogenico tuttavia l'ostacolo qui è rappresentato dalle grosse diversitàanatomiche.La miglior compatibilità anatomica si ha con il maiale che risulta cosil'animale prediletto per gli xenotrapianti.Nel caso di xenotrapianti si osserva lo stesso rigetto iperacuto che si osserva negliallotrapianti.

Un particolare tipo di trapianto è quello della trasfusione sanguigna.In questo caso bisogna fare particolarmente attenzione

alla compatibilità ABO.Questi antigeni ABO sono presenti su tutte le cellule compresi i globuli rossi.Una trasfusione disangue non compatibile provoca lisi dei globuli rossi estranei che comporta comparsa di reazioni trasfusionali che possonoessere letali per il paziente.Un'esempio è la presenza di emoglobina libera che causa grossi danni renali.

Di particolare rilevanza infine il trapianto di midollo osseo in quanto l'unico che possa essere effettuato in vivo.Esso consistenel trapianto di cellule staminali pluripotenti attraverso inoculo di cellule raccolte per aspirazione dal midollo osseo.Questo trapianto è particolarmente utile per correggere deficit del sistema ematopoietico o immunitario;oppure per correggere deficit o anomalie ereditarie in enzimi o proteine.Prima di effettuare tale trapianto è necessario sopprimere il più possibile le difese immunitarie dell'ospite.Di particolarerischio è l'insorgenza del cosiddetto GVHD che consiste nella reazione dei linfociti T maturi contenuti nell'inoculo contro glialloantigeni del paziente.Si presenta in quanto il paziente essendo immunocompromesso non è in grado di rigettare talicellule che dunque possono svolgere questa azione di distruzione.Si può assistere a una GVHD acuta caratterizzata dallamorte di cellule epiteliali epatiche ,di cute e del tratto gastrointestinale che può essere letale;oppure di GVHD cronica in cuisi ha fibrosi e atrofia di questi stessi organi senza apparente morte cellulare che comunque nella forma più grave può anche

essa essere fatale.Per questo motivo si cerca di eliminare ogni forma di linfociti T maturi dall'inoculo.Questa reazione distruttiva è tuttavia utilizzata anche nella cura di neoplasie del midollo osseo(leucemie) e di tumori solididisseminati sfruttando questi linfociti T estranei per uccidere le cellule proliferanti anomale.I riceventi di trapianto di midolloosseo sono spesso accompagnati da immunodeficeza clinica probabilmente dovuta alle tecniche preparatorie al trapianto.

Capitolo 17. Immunità e tumori. I tumori maligni rappresentano un problema prioritario per la salute della popolazione poiché rappresentano uno dei

 principali fattori di morte.Essi sono dovuti alla proliferazione incontrollata di determinate cellule trasformate.Le risposteimmunitarie svolgono la cosiddetta immunosorveglianza che consiste nel riconoscimento ed eliminazione delle celluletrasformate mediante riconoscimento di specifici antigeni segnale da esse espressi.Tuttavia queste cellule hanno specifichecapacità di eludere il sistema immunitario ed è tale caratteristica a rendere possibile l'insorgenza di tumori.

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Dunque abbiamo detto che le cellule tumorali esprimono antigeni riconosciuti come estranei dall'ospite,proprio questo è alla base della immunogenicità dei tumori.Tuttavia le risposte imunitarie spesso non riescono a eradicare il tumore.Le ragioni diquesto fallimento sono multiple:

-Essendo le cellule tumorali derivati di cellule “nor mali” dell'ospite esse possono esprimere pochi antigeni riconosciuticome non-self e quindi passare inosservate.-La rapidità di crescita delle cellule tumorali è spesso superiore a quella di eliminazione del sistema immunitario.-Molti tumori hanno messo a punto sistemi di elusione delle risposte immunitarie.Sono stati effettuati studi che hanno reso possibile l'attivazione del sistema immunitario contro un determinato tumore per via esogena.

17.1 Antigeni tumorali.  Nei tumori umani sono stati ritrovati antigeni riconosciuti sia dai linfociti T che daiB.L'identificazione di antigeni tumorali è essenziale per lo sviluppo di vaccini e anticorpi.Gli antigeni espressi solo dalle cellule tumorali sono detti TSA,quelli espressi costitutivamente da tutte le cellule sono dettiTAA e nei tumori si vede una espressione sregolata di codesti.Gli antigeni tumorali possono derivare da molti processi differenti e causare tumori differenti.

Prodotti di geni mutati

Alcuni antigeni tumorali sono il risultato di una mutazione di geni normali che vanno quindi a esprimere proteineoncogeniche.Possono essere il risultato di mutazioni a carico di proto-oncogeni o geni oncosoppressori come le proteine Ras,p53,Bcr-Abl.Tali proteine se alterate non riescono più a controllare il ciclo cellulare e vengono processate ed esposte associate aMHC1 oppure l'intera cellula può essere fagocitata ed gli antigeni esposti d MHC2.Gli antigeni tumorali possono essere il risultato anche di mutazioni casuali a carico di geni non implicati nel controllo delciclo cellulare.Le dimostrazioni sono state che cellule trattate con cancerogeni identici sviluppavano tumori diversiesprimenti antigeni diversi. Vuol dire che il cancerogeno va a modificare casualmente geni.Le proteine risultanti vengonosintetizzate nel citosol e presentate mediante molecole MHC di classe 1 alle CTL.Antigeni sviluppati in seguito a trapianto di tumori indotti da cancerogeni sono detti TSTA.In seguito a somministrazione ditali cellule in topi che avevano gia sviluppato quel tumore e che era stato espiantao,si assisteva alla mancata comparsanuovamente di tumore. Ugualmente se si impiantavano i linfociti TCD8 derivati da un topo portatore di tumore in un altro

 portatore dello stesso,si assisteva all'annientamento del tumore. Questa è la prima dimostrazione dell'esistenza dell'immunitàanti tumorale,oltre che un utile strumento per la lotta ai tumori mediante creazione di cloni CD8 specifici.

Proteine cellulari espresse in modo anomalo.

Alcuni antigeni tumorali sono proteine normali,normalmente espresse a bassi livelli o addirittura non espresse che in celluletumorali sono invece espresse in modo anomalo.Ricordiamoci sempre che non sono queste proteine a indurre il tumore orappresentarne meccanismo effettivo,sono solo un risultato di mutazioni che hanno portato poi alla trasformazione tumoralee che vengono utilizzate dal sistema immunitario come segnali di neoplasia.Dunque una di queste proteine normalmente espressa a bassi livelli è la tirosinasi.Cloni di linfocitiT ottenuti da pazienti con melanoma riconoscono peptidi derivati dalla tirosinasi.Il fatto che tali linfociti rispondano a un antigene self senza venire eliminato dalla selezione negativa o esserne indottotollerante è dato dal fatto che tale antigene in condizioni fisiologiche è espresso talmente poco e talmente poche cellule danon essere nemeno riconosciuta dal sistema immunitario e da non indurre tolleranza.Altre proteine espresse dalle cellule tumorali sono risultato di geni normamente silenti,che però nelle cellule tumorali

vengono attivati senza comunque modificazioni della sequenza.Quindi sono proteine appartenenti al patrimonio di cellulenormali.

Antigeni prodotti da virus oncogeni.

I prodotti dei virus oncogeni si comportano da antigeni ed evocano risposte immunitarie.In quetso caso molte delle proteineche fungono da antigene svolgono anche un ruolo cruciale nella immortalizzazione della cellula.Molti virus sono implicatinello sviluppo di una serie di tumori nell'uomo. Es Epstein -Bar o Papiloma virus.Le proteine antigeniche codificate dal Dnavirale vengono processate e presentate da Mhc di classe1.L'immunosorveglianza agisce in questo caso uccidendo le celluleinfettate.

Epstein-Barr virus:virus che appartiene alla famiglia degli herpes virus e che infetta i linfociti B causandone unaincontrollata replicazione.é trasmesso tramite saliva ed è ubiquitario nella popolazione mondiale.Esistono due tipi di

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inbfezione:litica e latente.La prima è caratterizzata dalla lisi della cellula infettata mentre la seconda no.Molti antigeniespressi dal Dna virale sono rilevati dal sistema immunitario.Vi sono 6 antigeni nucleari detti EBNA,due espressi sullamembrana detti LMP,e altri espressi all'interno della cellula detti VCA.Alcuni di questi sono cruciali per laimmortalizzazione delle celulle colpite.L'infezione da EBV è uno dei fattori eziologici nello sviluppo di tumori malignicome ad esempio il linfoma di Burkit. In soggetti giovani e sani si sviluppa la mononucleosi infettiva che poi rimrrà latente

 per tutta la vita. Sono state stabilizzate in vitro linee cellulari di CTL in grado di lisare cellule infettate da EBV.Lamutazione alla base dellinfoma di Burkitt è la traslocazione del gene MYC al locus per le Ig portandone a una produzione e trascrizione

sregolata.Tuttavia in alcuni casi è sufficiente la semplice trascrizione del genoma virale senza ulteriori traslocazione per l'insorgenza del tumore. Ovviamente deficit immunitari come malaria o HIV costituiscono un importante legame tral'infezione da EBV e l'insorgenza di tumore.

Antigeni oncofetali.

Gli antigeni oncofetali sono proteine altamente espresse dalle cellule fetali in via di sviluppo assenti poi nei tessuti adulti.Siritiene che i geni corrispondenti vengano repressi durante lo sviluppo ma durante la trasformazione maligna venganoriattivati.Tali antigeni sono infatti espressi in cellule neoplastiche.C'è da puntualizzare che essi sono anche normalmente

 presenti in alcuni tessuti adulti.I due antigeni meglio caratterizzati sono CEA eAFP.CEA fa parte della famiglie delle Ig ed è espressa sulla membtanacellulare in molti carcinomi di colon,pancreas,stomaco e mammella.AFP è una proteina solubile normalmente non presentenel siero che invece è presente in tumori epatici o gastrici.

Antigeni costituiti da glicoproteine o glicolipidi alterati.

La maggior parte dei tumori esprime livelli elevati di glicoproteine o glicolipidi anomali.Queste forme alterate costituisconoimportanti fattori neoplastici essendo essenziali per invasione e metastasi neoplastica.Anticorpi monoclali utilizzati interapia ha come bersaglio proprio tali antigeni.Tra i principali glicolipidi alterati vi sono GM2,GD2,GD3.Tra leglicoproteine abbiamo le mucine alterate in cui le catene laterali sono modificate a casua della modificazione degli enzimiche le sintetizzano.

Antigeni di differenziazione tissutale.

Molecole normalmente presenti sulle cellule di origine che permangono anche nelle cellule differenziate.

17.2 Risposta immunitaria

17.2.1Risposta innata Cellule NK:sebbene il loro ruolo in vivo non sia stato ancora ben chiarito in vitro è stato dimostrato che queste sono ingrado di uccidere molti tipi di cellule tumorali,in particolare quelle cellule che non presentano MHC 1 sulla loro superficie equindi mancano del segnale inibitorio su NK.Inoltre molte cellule tumorali esprimono altri segnali attivatori delle NK comeMICA,MICB, eULB iquali vengono riconosciuti dal recettore attivatorio NKG2D espresso sulle NK.L'azione delle NK è fortemente potenziatain presenza di citochine come IL-2 e IL-12.

 Macrofagi:in vitro i macrofagi sono in grado di uccidere numerose cellule tumorali nello stesso modo in cui uccidono imicrorganismi patogeni.La loro attivazione è mediata da IFN-γ.Essi producono inoltre TNF che abbiamo visto

 promuovere l'uccisione di cellule tumorali mediante trombosi dei vasi che le irrorano.

17.2.2 Risposta specifica.

Linfociti T:il principale meccanismo dell'immunità anti-tumorale è l'uccisione delle cellule tumorali da parte dei linfociti TCD8 CTL.Questi uccidono le cellule potenzialmente dannose che esprimono i peptidi mutati sulle MHC1.Poichè la maggior 

 parte delle cellule maligne sono cellule normali,queste non esprimono le molecole costimolatorie necessarie all'attivazionedei linfociti T quindi necessitano di molecole presentanti tali antigeni come le APC che svolgono la cosiddetta cross-

 presentazione.Tale processo o la stimolazione dei CD4 sono indispensabili per l'attivazione,Linee di APC specifichevengono coltivate in vitro a partire da soggettti affetti da tumore per essere utilizzate come vaccini.I linfociti CD4 svolgonoun ruolo soprattutto nella produzione di citochine quali TNF e IFN-γ che aumentano l'espressione di MHC1 e altre chemediano il corretto sviluppo dei CD8.

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Anticorpi:Gli anticorpi possono uccidere le cellule maligne mediante attivazione del complemento oppure tramitecitotossicità cellulare attivando NK e macrofagi contenenti recettori per Fc.In vivo i risultati sono comunque ancora scarsi.

17.3 Elusione delle risposte immunitarie.

 Nei tumori maligni vi sono diversi meccanismi che consentono alle cellule tumorali di eludere le risposte immunitarie(tumor escape).Viene a crearsi una pressione selettiva nei confronti di tali cellule detta tumor editing,la quale promuove lo sviluppodi varianti con r idotta immunogenicità.I meccanismi attuati per eludele l'immunità sono molteplici:

-Gli antigeni tumorali possono indurre tolleranza immunologica o perchè sono antigeni self già incontrati che hanno solovariato frequenza di espressione o perchè tali cellule tumorali riescono a presentarli in forma tollerogenica.

-I linfociti T regolatori ,i quali aumentano in caso di tumore,vanno a inibire l'attività dei linfociti Ttumore-specifici.

-Antigeni riconosciuti come tumore-specifici dai linfociti T ,in seguito a mutazioni avvenute nelle numerosissime mitosi,cessano di essere espressi.Si può inoltre assistere a diminuita espressione di MHC,microglobulina e componentidell'apparato di presentazione dell'antigene.

-Mancata espressione di molecole costimolatorie necessarie per attivazione di CD8 e CD4.Vengono a essere indispensabilile APC che però spesso hanno capacità captative ridotte.

-Cellule tumorali possono sopprimere le risposte tumore-specifiche ad esempio mediante secrezione di TGF-β che abbiamo

visto inibire proliferazione e attivazione di macrofagi e linfociti.Alcuni tumori esprmono inoltre il ligando Fas(FasL) chericonosce il dominio di morte Fas presente sui linfociti e ne induce l'apoptosi.

17.4 Immunoterapia dei tumori

 Nella lotta contro i tumori attualmente le principali terapie utilizzate consistono nel blocco delle cellule in corso di divisionecellulare.Ovviamente tale processo non distingue cellule tumorali da cellule sane ed è quindi particolarmente invasivo edannoso.Un metodo molto più specifico e efficace consiste nel riuscire a indirizzare le risposte immunitarie verso le celluletumorali.Questo processo è ottenuto mediante due principali principi:stimolare le risposte immunitarie dell'ospite oppureimmunizzare l'ospite passivamente con anticorpi e linfociti T.

Prendiamo in considerazione la prima strada;andiamo a vedere i diversi processi che si possono intraprendere:

-immunizzazione con cellule o antigeni tumorali:Per aiutare il lavoro dei linfociti T si possono somministrare celluletumorali uccise o antigeni tumorali quindi entrambi innocui a livello proliferativo per aumentare le risposteimmunitarie.Ultimamente si procede anche alla somministrazione di APC coltivate in vitro con l'antigene tumore-specificoche rendono la presentazione ancor più efficace.Altra tecnica innovativa è la somministrazione di vaccini a Dna,ovvero

 plasmidi contenenti Dna complementare a quello virale oncogeno che codifica quindi per gli stessi antigeni tumorali senza pero stimolare proliferazione e immortalizzazione.Tuttavia tali vaccini sono particolarmente utili nella prevenzione dei tumori, ma ancora spesso incapaci di stimolare unarisposta immunitaria abbastanza potente da eradicare il tumore gia espanso.

-potenziamento dell'immunità anti-tumorale con citochine e costimolanti:vista la difficoltà di attivazione dei linfociti Tdurante il tumore si procede alla stimolazione dei linfociti tumore- specifici mediante fornitura di citochine sia per infusione

diretta che indirettamente mediante trasfettazione di geni codificanti citochine nelle cellule tumorali per indirizzare gli e ffettidel sistema immunitario.L'altro meccanismo è quello di trasfettare i geni codificanti le molecole costimolatorie mancanti,necessarie all'attivazione dei linfociti T.Le citochine maggiormente utilizzate sono IL-2eIL-12(stimola CTL e NK),IFN-γ,TNF e soprattutto GM-CSF.

-blocco dei circuiti inibitori:bloccando soprattutto CTLA-4 che normalmente inibisce le risposte immunitarie,tuttavia siosservano spesso sviluppi di risposte autoimmuni poiché CTLA-4 è coinvolto nel mantenimento alla tolleranza al self -stimolazione aspecifica del sistema immunitario:somministrazione soprattutto topica di sostanze infiammatorie o agenti chefunzionano come attivatori poloclonali dei linfociti. Molti batteri svolgono bene questo ruolo in particolare il bacilloBCG.Anche anticorpi verso CD3 sono in grado di attivare ottimamente i linfociti T.

Il secondo meccanismo consiste nel somministrare direttamente linfociti T o anticorpi al paziente attuando una cosiddetta

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immunoterapia passiva.

-Terapia cellulare adottiva:trasferimento di leucociti tumore-specifici in pazienti affetti da tumori.Le cellule t rasferitevengono ottenute a partire da cellule del paziente principalmente provenienti da due fonti: leucociti circolanti detti LAK coltivati ad alte concentrazioni di IL-2 e reimpiantati oppure leucociti provenienti dall'infiltrato infiammatorio detti TIL.

-Effetto Graft versus leukemia(GVF):in pazienti affetti da leucemia vengono impiantati leucociti provenienti da un donatoreche siano alloreattivi nei confronti delle molecole MHC del ricevente quindi anche delle cellule tumorali.

-Terapia con anticorpi tumore-specifici:Gli anticorpi monoclonali possono eliminare le cellule tumorali con gli stessimeccanismi usati per eliminare i microrganismi,quindi opsonizzazione,attivazione del complemento,fagocitosi e inoltre

 possono anche lisare direttamente la cellula tumorale.Tuttavia essendo tali anticorpi derivati da ibridomi di topo spesso siassisteva alla formazione di anticorpi anti-anticorpo.Si superava tale problema con l'uso di anticorpi umanizzati.Gli anticorpivengono spesso accoppiati a molecole tossiche o farmaci anti-tumorali per promuovere il rilascio specifico di questi incorrispondenza delle cellule tumorali. Tali complessi prendono il nome di Immunotossine.Queste iniettate per via sistemicavengono endocitate dalle cellule tumorali e le tossine vengono liberate. Tuttavia affinchè tale processo funzioni serve unaelevatissima specificità degli anticorpi e si rischia l'attacco delle tossine contro cellule normali. Inoltre possono insorgereanticorpi anti-tossine che le eliminano prima dell'azione oppure che l'intera immunotossina venga fagocitata da fagociti

 presentanti il recettore Fc appropriato.Specifici anticorpi sono stati creati contro specifici idiotipi delle cellule B senza pero grandi risultati.Altri contro i fattoriVEGFche mediano la formazione di nuovi vasi che alimentino i tumori.

Paradossalmente il sistema immunitario oltre a rappresentare un importante sistema di lotta contro i tumori ne rappresentaanche una importante fonte.Molti tumori nascono infatti a seguito di processi infiammatori cronici ,angiogenesi erimodellamento tissutale mediati proprio dall'immunità innata.

Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie: ipersen-

sibilità ed autoimmunità 

Le risposte immunitarie possono essere patologiche a causa di  parecchie e diverseanor malità. 

1. Autoimmunità. Le reazioni immunitarie contro le cellule dello stesso organismo sono

dette autoimmuni. 

2. Reazioni contro i microbi. Le risposte contro gli antigeni microbici possono causaremalattia se eccessive o se l’infezione  è insolitamente persistente. La formazione diimmunocomplessi può portare ad accumulo nei tessuti e scatenare infiammazione, così come

le risposte dei linfociti T ai microbi persistenti. Raramente un anticorpo o una cellula T  può

cross-reagire con i tessuti dell’host. 

3. Reazioni contro antigeni ambientali. Il 20% della popolazione risponde in modo

normale a sostanze innocue dell’ambiente. Le reazioni contro tali sostanze possonoessere causate sia dall’ipersensibilità immediata che da quella ritardata.  

Il  problema nelle patologie di ipersensibilità è l’attivazione incontrollata ed inappropriata delglistessi meccanismi normalmente utilizzati nelle infezioni; poichè gli stimoli  per  queste risposte

aberranti sono spesso difficili o impossibili da eliminare, le patologie di questo tipo sono tipicamente

croniche. Le  patologie da ipersensibilità si dividono fondamentalmente in quattro categorie a seconda

della loro causa: 

Ipersensibilità  Causa Tipo I (Immediata)  IgE Tipo II  Anticorpi Tipo III  Immunocomplessi Tipo IV  Linfociti T 

Molte delle patologie da ipersensibilità sono mediate dai TH 1: i linfociti T causano direttamente

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l’infi- ammazione o stimolano la  produzione di anticorpi che danneggiano i tessuti e quindi liinfiammano. Per  contrasto le reazioni allergiche (ipersensibilità immediata) sono prototipi di

 patologie TH2 mediate nelle quali il linfocita T stimola la  produzione di anticorpi di tipo IgE. 

18.1 Patologie causate da anticorpi 

Le  patologie mediate dagli anticorpi possono essere dovute sia all’atto delle Ig di legarsi a quel

che riconoscono sia alla formazione e deposito di complessi antigene-anticorpo. 

 Nelle  patologie dovute al legame degli anticorpi agli antigeni tissutali sono tre i meccanismi

 pato- genici: 

1. Gli anticorpi possono opsonizzare le cellule attivando i fagociti  per la loro distruzione:

questo è il  principale meccanismo nell’anemia emolitica autoimmune e nella

trombocitopenia porpora autoimmune. 

2. Gli anticorpi possono reclutare neutrofili e macrofagi i quali legano Ig o  proteine delcomple- mento con i loro recettori e con i loro  prodotti mediano infiammazione acuta edanno tissutale: questo è il principale meccanismo nella glomerulonefrite anticorpo mediata. 

3. Gli anticorpi possono legarsi a normali recettori  cellulari interferendone con la

funzionalità e causando malattia senza infiammazione o danno tissutale: questo è il

 principale meccanismo dell’ipertiroidismo o malattia di Graves.  Nelle  patologie dovute alla formazione e al deposito di complessi si nota che il quadro riflette il

sito di formazione del complesso e non l’antigene: queste patologie sono dunque spesso sistemiche

e non presentano particolare specificità tissutale o d’organo. I complessi antigene-anticorpo sono

 pr odotti costantemente durante le normali risposte immunitarie, diventano causa di malattia soloquando sono prodotti in quantità eccessive, non vengono eliminati e si accumulano nei tessuti. Icapillari renali 

sono tra i siti  più comuni di deposito degli immunocomplessi  per via della loro funzione di filtrazione. Il

deposito sulle pareti dei vasi  porta ad infiammazione mediata sia dal complemento che dalle varie cel-

lule che riconoscono il frammento Fc; molte malattie immunologiche sistemiche hanno questo aspetto

alla base, il  prototipo è il lupus erimatoso sistemico. Le manifestazioni cliniche di questa patologia

includono glomerulonefrite ed artrite che sono da attribuire alla formazione di immunocomplessi tra

DNA self o nucleoproteine e anticorpi specifici. 

18.2 Patologie causate da linfociti T

I linfociti T danneggiano i tessuti tramite l’ipersensibilità ritardata o tramite l’uccisione cellulare dir etta.Le reazioni di ipersensibilità sono stimolate sia dai C D4+ sottogruppo TH1 che dai C D8+  in quanto

entrambi secernono citochine che attivano i macrofagi (IFN-γ) e inducono infiammazione (TNF). In

alcune patologie T -mediate i linfociti T C D8+  citotossici uccidono le cellule bersaglio che  presentano

antigeni MHC1-associati. 

Malattie causate da ipersensibilità  Nelle reazioni di ipersensibilità il danno tissutale deriva dai

 prodotti dei macrofagi attivati, quali enzimi lisosomiali, ROS, NO e citochine infiammatorie. Reazioni

croniche di questo tipo spesso producono fibrosi  per via della secrezione di citochine e di fattori dicrescita. Molte  patologie autoimmuni organo specifiche sono causate da reazioni di ipersensibilità

indotte dai linfociti T autoreattivi, tra le più importanti:  

1. Il diabete mellito di tipo 1 è dovuto alla presenza di linfociti e macrofagi intorno alle isole del Langerhans i quali distruggono le cellule β  produttrici di insulina. 

2. La sclerosi multipla è dovuta all’azione di linfociti T C D4+ sotto gruppo TH 1/TH 17 che r eagiscono

ad antigeni self  della mielina nel SNC. 

3. L’artrite reumatoide è  probabilmente1 legata a linfociti T che riconoscono il collagene delle

cartilagini. 

Le risposte immunitarie cellulomediate possono portare a danno tissutale al sito di infezione: è il caso

della tubercolosi, in cui le risposte dei linfociti T e dei macrofagi risultano in fibrosi e infiammazione

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del  parenchima polmonare con conseguente perdita di funzionalità. 

Malattie causate da linfociti T citotossici I linfociti citotossici possono danneggiare i tessuti ucci-

dendo cellule infette il cui virus non avrebbe effetti citopatici. Alcuni virus danneggiano direttamente le

cellule infette e vengono definiti citopatici, altri sono innocui all’ospite e vengono definiti non citopati-

ci. I linfociti non possono riconoscere a priori la categoria cui appartiene un virus e quindi uccidonoanche le cellule infettate da patogeni non citopatici. Alcune forme di epatite nell’uomo sono dovute a

questo tipo di meccanismo.  

18.3 Patogenesi dell’autoimmunità 

Gli eventi chiave nello sviluppo di una risposta autoimmune sono: 

1. Riconoscimento dell’antigene self  da parte dei linfociti autor eattivi 

2. Attivazione, proliferazione e differenziazione in cellule ef fettrici 

3. Danno tissutale da parte delle cellule effettrici e dei loro  pr odotti 

L’autoimmunità è un evento comune: dal 2 al 5% della popolazione ne soffre. Le caratteristiche più

importanti di questo fenomeno sono: 

•  L’autoimmunità è il risultato del malfunzionamento o del  blocco dei meccanismi normalmente

responsabili della tolleranza nei linfociti B, T o entrambi. L’attenzione si focalizza soprattutto

sui linfociti T per  due motivi: sono regolatori fondamentali di tutte le risposte immunitarie alle

 proteine, inoltre sono dipendenti dall’MHC nella loro funzionalità, e questo complesso è legato a

 parecchie patologie genetiche.

•  I fattori principlai che contribuiscono allo sviluppo dell’autoimmunità sono la suscettibilità ge-

netica e gli eventi scatenanti ambientali, quali le infezioni. 

•  Le patologie autoimmuni possono essere sia sistemiche che organo specifiche. 

•  I meccanismi effettori delle patologie autoimmuni sono vari: immunocomplessi, autoanticorpi,

linfociti T autoreattivi sono i principali.  

•  Le reazioni autoimmuni verso un antigene che danneggiano i tessuti possono risultare nell’alter  -azione degli antigeni di quel tessuto e quindi nell’attivazione di altri linfociti: è il fenomeno della

diffusione dell’epitopo. Questo meccanismo spiega come mai le malattie autoimmuni siano

spesso croniche e progressive. 

Suscettibilità genetica all’autoimmunità Le malattie autoimmuni hanno forte componente ge-

netica; il diabete mellito di tipo 1 ad esempio ha concordanza 50% nei gemelli monozigotici e 5/6% in

quelli dizigotici. La maggior parte di queste patologie è poligenica e affligge individui che ereditano più

 polimorfismi genetici. Il primo gene associato alla patologia ad essere identificato nel diabete è un gene

MHC II, il che conferma come la malattia sia causata dai linfociti MHC II ristretti C D4+ . Tra i geni

associati all’autoimmunità le associazioni più forti sono in quelli che mappano nell’MHC, in  particolar e

quelli di classe II. Lo studio dei geni HLA in  pazienti affetti da varie patologie mostra che alcuni alleli

sono in essi più frequenti che nella popolazione normale. L’associazione più forte è tra la spondiloliteanchilosante e l’allele B27 dell’HLA di classe I. 

Malattia  Allele HLA  Rischio r elativo Artrite r eumatoide  DR4  4 Diabete mellito insulino dipendente  DR3 

DR4 DR3/DR4 

5 5-6 25 

Sclerosi multipla  DR2  4 Lupus eritematoso sistemico  DR2/DR3  5 Pemphigus vulgaris [???]  DR4  14 Spondilolite anchilosante  B27  90-100 

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Le caratteristiche principali dell’associazione patologia-HLA sono: 

•  L’associazione di una patologia all’HLA  può essere identificata mappando un locus, ma l’associ-

azione reale potrebbe esserci con alleli linked a quello mappato e ereditati insieme. Ad esempio

un soggetto con un particolare allele HLA-DR  potrebbe avere una maggior probabilità di ereditar e

un particolare allele HLA-DQ: si tratta degli effetti del linkage disequilibrium. 

•  In molte patologie autoimmuni le molecole di HLA associate a malattia differiscono da quelle sane

nelle sedi di legame al  peptide: questo conferma il concetto che le molecole MHC influenzano

l’autoimmunità controllando la selezione e l’attivazione dei linfociti T. 

• Sequenze associate a patologia di HLA sono riscontrabili in individui sani: l’espressione di un

certo gene HLA non è dunque mai causa da sola di malattia, ma è solo uno dei tanti fattori. 

 Non sono solo i geni MHC a determinare la suscettibilità genetica all’autoimmunità, ne esistono infatti

moltissimi altri esempi: 

•  Topi KO per CTLA-4, il recettore inibitorio dei linfociti T per B7, sviluppano autoimmunità fa-

tali con distruzione di cuore, pancreas ed altri organi. CTLA-4 normalmente induce e mantiene

l’anergia dei linfociti T agli antigeni self, se questa funzione viene compromessa si ha la  patologia.  

• Mutazioni nel gene AIRE  portano nell’uomo alla sindrome autoimmune poliendocrina, carat-

terizzata da distruzione di  parecchi organi endocrini. AIRE è richiesta  per la  presentazione di

 proteine tessuto-specifiche sulle cellule epiteliali del timo, quindi  per la selezione negativa dei

linfociti T autor eattivi. 

•  Topi mancanti di IL-2 (o del recettore) sviluppano splenomegalia, linfadenopatia, anemia

emolitica autoimmune e autoanticorpi anti DNA  perchè mancano di cellule T regolatrici:

queste cellule necessitano di questa citochina per  sopravvivere e funzionare. 

• Carenze genetiche di  parecchie proteine del complemento sono associate a patologie

autoimmuni simili al lupus. 

•  Topi con mutazioni omozigoti ai geni per  Fas o FasL hanno fornito la  prova che la mancanza

di apoptosi porta a malattie autoimmuni.  

Ruolo delle infezioni Nei  pazienti lo scatenarsi delle malattie autoimmuni è spesso associato o pr e- ceduto da infezioni.  Nella maggior parte dei casi i microorganismi infettanti non sono presenti

nelle infezioni o in generale quando si scatena l’autoimmunità: non sono dunque responsabili

dir ettamente e la  patologia è solamente il risultato delle risposte immunitarie scatenate o disturbate

dal  patogeno. I principali meccanismi di  promozione autoimmune delle infezioni sono: 

1. Induzione di risposte innate locali che richiamano leucociti e attivano le APC: queste

secernono citochine attivanti i linfociti T. L’infezione finisce dunque  per  scatenare l’attivazione 

di linfociti T non specifici per il patogeno infettante. 

2. I microbi infettanti possono contenere antigeni crossreattivi, cioè simili agli antigeni self: il patogeno mima dunque antigeni dell’host. Esempio di questa strategia è la febbre reumatica

derivante dalle infezioni da streptococco: si formano anticorpi anti streptococco che reagiscono

anche a  pr oteine del miocardio. 

3. I microbi possono attivare i TLR  delle cellule dendritiche, portando a produzione di citochine, oi linfociti B autoreattivi, portando alla formazione di autoanticorpi. 

Altri fattori Alterazioni anatomiche, a causa di infezioni, ischemie o traumi, possono esporreantigeni self  normalmente nascosti: esempi sono le  proteine intraoculari o lo sperma. Gli ormoni

 possono inoltr e avere un qualche ruolo: molte malattie autoimmuni mostrano un’incidenza maggiore nelle donne, anche se non si sa esattamente il motivo. 

Capitolo 19. Ipersensibilità immediata 

Alcune malattie umane sono causate da risposte immunitarie ad antigeni ambientali che portano alla

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differenziazione C D4+ TH2 e alla produzione di anticorpi IgE specifici per  questi antigeni che vanno a

legarsi ai recettori Fc di mastociti e basofili; l’attivazione di queste cellule causa un rapido rilascio di

vari mediatori che causano collettivamente aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione,broncocostrizione e contrazione della muscolatura liscia viscerale: tutti questi effetti vanno sotto

il nome di ipersensibilità immediata. In ambito clinico queste reazioni sono comunemente detteallergiche. Le allergie sono le  più comuni alterazioni del sistema immunitario e affliggono intorno al 20% della popolazione. 

Tutte le reazioni di ipersensibilità immediata condividono caratteristiche comuni:  

•  Il principale evento è l’attivazione delle cellule TH2 con  produzione di anticorpi IgE. 

•  La sequenza di eventi tipica di queste reazioni è: 

 –   Esposizione all’antigene 

 –   Attivazione dei TH2 e dei linfociti B antigene specifici 

 –   Produzione di IgE 

 –   Legame delle IgE ai recettori Fc di mastociti e  basofili (sensibilizzazione) 

 –   Attivazione dei mastociti  per  successiva esposizione allo stesso antigene 

 –   Rilascio dei mediatori e manifestazione patologica 

• Esiste una forte predisposizione genetica per lo sviluppo di aller gie. 

•  Gli antigeni che scatenano l’ipersensibilità, detti  allergeni, sono proteine ambientali o molecole

comuni. 

•  Le citochine prodotte dai TH 2 sono responsabili di molte caratteristiche dell’ipersensibilità imme-

diata. 

•  Le manifestazioni cliniche e  patologiche consistono in reazioni vascolari e muscolari che si svilup-

 pano rapidamente (reazione immediata) e nell’infiammazione (reazione tardiva). Mediatori

differenti sono responsabili delle diverse componenti di reazione immediata e tar diva. 

•  Le reazioni si manifestano in modi diversi, tra i quali le allergie della cute e delle mucose, le

allergie alimentari, l’asma e l’anafilassi sistemica.  Nella forma sistemica più estrema, l’anafilassi,

i mediatori derivati dai mastociti possono restringere le vie aeree al  punto di  portare a morte per asfissia. 

19.1 Produzione di IgE 

Le IgE sono le immunoglobuline più efficaci nel legare i recettori Fc dei mastociti e nell’attivarli.  Negli

individui allergici la  produzione di IgE in risposta ad allergeni ambientali è alta, mentre in quelli nor mali

di solito vengono prodotte IgM ed IgG. 

Natura degli allergeni Gli antigeni che stimolano le risposte di ipersensibilità immediata sono  pr o-

teine o molecole legate a proteine alle quali l’individuo allergico è cronicamente esposto. Due sono le

caratteristiche importanti degli aller geni: 

•  Esposizione cronica 

•  Non stimolano la risposta immunitaria innata, la quale promuoverebbe l’attivazione macr ofag-

ica con secrezione di IL-12 che induce lo sviluppo di risposta TH1. 

L’attivazione cronica o ripetuta dei linfociti T in assenza di immunità innata porta le cellule C D4+

verso la via TH2 in quanto i linfociti stessi producono IL-4, la  più importante citochina nell’induzione

di TH 2. Le reazioni di ipersensibilità immediata sono dipendenti dai linfociti T, pertanto gli antigeni

T-indipendenti (ad esempio i  polisaccaridi), non possono scatenarle a meno che non si associno a proteine sfruttando l’ef fetto aptene-carrier. 

L’esposizione  ripetuta ad un particolare antigene è necessaria per lo sviluppo di una reazione aller gi-

ca in quanto lo switch ad IgE e la sensibilizzazione dei mastociti deve verificarsi  per  poter avere questo

tipo di risposta. L’esempio più evidente è quello della puntura d’ape; le  proteine del veleno dell’insetto

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non danno problemi al  primo incontro in quanto l’individuo non ha ancora IgE specifiche: una risposta

 può invece instaurarsi agli incontri successivi, e anche una sola puntura può a questo punto portar ead anafilassi fatale. 

Attivazione dei TH2 Le cellule dendritiche epiteliali catturano gli allergeni trasportandoli ai linfonodi

dove vengono presentati ai linfociti T naive che differenziano in cellule T effettrici del sottogruppo TH2.

Le cellule TH2 differenziate promuovono lo switch ad IgE soprattutto tramite la secrezione di IL-4 ed IL- 13. Queste cellule sono coinvolte anche in altri aspetti della risposta immediata; l’IL-5 secreta attiva gli eosinofili mentre IL-13 oltre allo switch stimola le cellule epiteliali (ad esempio delle vie aeree) a produrr e

 più muco. Oltre a stimolare la  produzione di IgE, le cellule TH 2 contribuiscono all’infiammazione della

reazione tardiva: vengono infatti accumulate ai siti di infezione in risposta alle chemochine in quantoesprimono i recettori CCR4 e CCR3. 

Attivazione dei linfociti B e switch I linfociti B specifici per gli allergeni vengono attivati dalle cellule

TH2 sotto l’influenza di CD40L e di altre citochine, soprattutto IL-4: si ha a questo punto anche lo

switch all’isotipo IgE (quindi catena pesante ε). Le IgE allergene-specifiche prodotte dai linfociti B

entrano in circolo e si legano ai recettori Fc dei mastociti tissutali che diventano così sensibili e  pr onti

a reagire ad un secondo incontro con l’antigene. 

19.2 Legame delle IgE a mastociti e basofiliMastociti e  basofili esprimono un recettore Fc ad alta affinità specifico per le catene pesanti ε: il re-

cettore FcεRI. Le IgE funzionano come recettori  antigenici sulla superficie delle cellule dell’ipersen-

sibilità immediata: questa funzione è mediata dal legame dell’anticorpo al recettore FcεRI. I mastociti

tissutali in tutti gli individui sono normalmente ricoperti di IgE legate al recettore, ma negli individui

allergici molte di queste Ig sono specifiche per uno o alcuni antigeni: l’esposizione a questi antigeniè dunque in grado di fare un cross-link sui recettori e attivare la cellula. 

Ogni recettore FcεRI è composto da una catena α che media il legame con l’IgE  e da una catena β

e due catene γ  che mediano la segnalazione. La catena beta contiene un singolo ITAM, mentre le due

catene gamma, omologhe alla catena ζ del TCR, ne contengono uno a testa. La fosforilazione di una

tirosina sui domini ITAM delle tre catene del recettore inizia la segnalazione richiesta  per  l’attivazione

dei mastociti. L’espressione del recettore FcεRI è stimolata dalle IgE in un meccanismo che amplifica

dunque questo tipo di r eazioni.

19.3 Ruolo di mastociti, basofili ed eosinofili

Mastociti, basofili ed eosinofili sono le cellule effettrici dell’ipersensibilità immediata e delle patolo-

gie allergiche. Tutti e tre i tipi di cellula contengono granuli i cui contenuti sono i mediatori princi-

 pali di queste reazioni e tutti sono in grado di  produrre mediatori lipidici e citochine che inducono

infiammazione. 

Proprietà di mastociti e basofili  Normalmente i mastociti maturi non si trovano in circolo in

quanto i  progenitori migrano nei tessuti periferici come cellule immature e differenziano in situ. Es-istono due principali sottogruppi di mastociti che differiscono per  collocazione anatomica, contenuto

dei granuli ed attività.  Nei roditori un sottogruppo si trova nella mucosa del tratto GI; queste cellule

hanno poca istamina nei granuli e molto coindrotin solfato. Lo sviluppo di questi mastociti mucosalidipende in vivo dalla citochina IL-3  prodotta dai linfociti T. La controparte umana di questi mastociti

mucosali di solito si identifica  per la presenza di triptasi nei granuli ma assenza di altre  pr oteasi

neutre. Un secondo sottogruppo di mastociti si trova nel  polmone e nella sierosa delle cavità corporee

e viene definito gruppo dei mastociti tissutali. Il maggior proteoglicano nei loro granuli è l’eparina,

e  producono inoltre molta istamina. Questi mastociti tissutali mostrano pochissima dipendenza dai

linfociti T.  Nell’uomo  il sottogruppo si identifica  per la  presenza di  parecchie proteasi neutre nei gran-

uli: triptasi, chimasi, proteasi simil catepsina-G e carbossipeptidasi. La suddivisione in sottogruppi è

alla base di differenze funzionali. I mastociti mucosali sono presumibilmente coinvolti nelle r eazioni

di ipersensibilità immediata che coinvolgono le vie aeree e altre mucose, mentre quelli tissutali sono

coinvolti nelle reazioni cutanee.  I basofili maturi circolano nel sangue e costituiscono meno dell’1% dei globuli bianchi totali.

 Normalmente non sono presenti nei tessuti ma  possono essere richiamati nelle sedi di infiammazione.

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I basofili sono capaci di sintetizzare molti dei mediatori prodotti dai mastociti e, come questi, esprimono

il recettore FcεRI  per  legare le IgE e quindi possono essere attivati nello stesso modo. 

Attivazione dei mastociti L’esposizione all’antigene  in un soggetto allergico è in grado di r ealizzare

un cross-link tra un numero sufficiente di IgE e attivare il mastocita; negli individui non aller gici

le IgE associate al mastocita sono specifiche  per  molti antigeni diversi e quindi un singolo antigene

difficilmente riuscira ad attivare la cellula. L’attivazione  del mastocita ha tre effetti biologici: 

1. Secrezione dei contenuti dei granuli per  esocitosi 

2. Sintesi e secrezione di mediatori lipidici 

3. Sintesi e secrezione di citochine

La tirosin chinasi Lyn è associata in modo costituitivo alla catena beta del FcεRI. Quando il r ecettor esubisce cross-link la chinasi si  porta a fosforilare i domini ITAM delle catene beta e gamma:questo attira la tirosin chinasi Syk ai domini della catena gamma e la rende attiva. Syk  attiva èr esponsabile della fosforilazione e dell’attivazione di molte delle proteine della cascata disegnalazione. Una pr oteina adattatrice esseziale attivata da Syk è LAT (Linker  for  activation of Tcells). Uno degli enzimi r eclutati da LAT è l’isoforma gamma della fosfolipasi C (PLCγ) che catalizza larottura di P IP2 a dare I P3 e DAG. I P3 causa l’aumento  del calcio citoplasmatico mentre DAG attiva

la protein chinasi C. Una seconda proteina adattatrice fondamentale che viene fosforilata da Fyn èla  proteina Gab2: questa si  porta ad attivare la fosfoinositide-3 chinasi che porta anch’essa all’attivazione di PKC. La fusione dei granuli dei mastociti alla membrana plasmatica è mediata da membri della famiglia

proteica SNARE. La formazione di complessi SNARE è regolata da molte molecole accessorie tra le quali

le guanosin-fosfatasi Rab3 e le chinasi e fosfatasi Rab-associate. Nei mastociti a riposo questi enzimi

inibiscono la fusione dei granuli alla membrana plasmatica; l’attivazione di PKC  blocca le funzioni

regolatorie e  permette la fusione. La sintesi di mediatori lipidici è controllata dall’attivazione della fosfolipasi A2 da parte di due

segnali: il calcio citoplasmatico e la fosforilazione da parte di ERK . ERK  a sua volta è attivata come

conseguenza della cascata iniziata dai domini ITAM del recettore. Una volta attivata, la fosfolipasi

idrolizza i fosfolipidi di membrana  per  rilasciare substrati che saranno convertiti a mediatori da vari

enzimi. Il principale substrato è l’acido arachidonico, convertito a vari mediatori da cicloossigenasi e

lipoossigenasi. La  produzione di citochine nei mastociti è il risultato della trascrizione dei geni corrispondenti. Il

reclutamento e l’attivazione  di  parecchie molecole adattatrici e chinasi in risposta ai segnali r ecetto-

riali porta alla traslocazione nucleare del fattore nucleare dei linfociti T attivati (NFAT) e del fat-

tore nucleare κ B, oltre all’attivazione della proteina AP-1. Questi fattori di trascrizione stimolano la

trascrizione di diverse citochine: IL-4, IL-5, IL-6, IL-13 e TNF, ma non IL-2. L’attivazione dei mastociti è regolata da parecchi recettori  inibitori che contengono domini ITIM.

Uno di questi recettori inibitori è FcγRIIb che si aggrega a FcεRI e viene anch’esso fosforilato da L yn:

questo porta al reclutamento della fosfatasi SHIP che inibisce la normale segnalazione. I mastociti possono essere attivati direttamente anche da altre sostanze biologiche in modo indipen-

dente da FcεRI. Alcuni mastociti e  basofili rispondono ad esempio a chemochine derivanti da fagociti

mononucleati, ad esempio MIP-1α, e a chemochine T -derivate. Alcuni elementi del complemento, so-

 prattutto C5a, stimolano inoltre la degranulazione dei mastociti tramite recettori appositi. Molti neu-

ropeptidi, tra i quali la sostanza P e la somatostatina, inducono infine rilascio di istamina da parte deimastociti. L’attivazione di queste cellule non è un fenomeno tutto o nulla ma  presenta diversi gradi che

corrispondono a presentazioni cliniche variabili. 

19.3.1 Mediatori derivati dai mastociti 

I mediatori si  possono dividere in mediatori preformati (ammine biogene e macromolecole dei granuli) e mediatori neosintetizzati (mediatori lipidici e citochine). 

Ammine biogene  Nei mastociti umani il  principale mediatore di questa famiglia è l’istamina.  L’is-tamina agisce legandosi a recettori sulle cellule bersaglio; differenti tipi cellulari esprimono r ecettori

diversi (H1, H2, H3) riconoscibili  per la loro risposta farmacologica. Le azioni legate all’istamina sono

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di breve durata perchè questa viene rimossa da un sistema di trasporto ammina-specifico. L’istamina

inizia una serie di eventi intracellulari come la rottura di P IP2 a IP3 e DAG. Il legame di questa ammi-

na alle cellule dell’endotelio ne causa contrazione con conseguente aumento degli spazi endoteliali,aumento della permeabilità vascolare e fuoriuscita di plasma verso i tessuti. L’istamina stimola

inoltre le cellule endoteliali a sintetizzare miorilassanti e vasodilatatori quali la  prostaciclina o l’ossido

nitrico e quindi causa vasodilatazione. L’istamina infine causa costrizione della muscolatura liscia in-

testinale e  bronchiale. La  broncocostrizione nell’asma è  però più prolungata degli effetti dell’istamina,

suggerendo che altri mediatori siano importanti in alcune forme di ipersensibilità immediata. 

Enzimi granulari e proteoglicani Le serine proteasi neutre, tra le quali triptasi e chimasi [?],

sono i costituenti più abbondanti dei granuli dei mastociti e contribuiscono ai danni tissutali. La 

triptasi in  particolare si sa essere presente esclusivamente nei mastociti e il suo ritrovamento è segno

di attivazione di queste cellule. In vitro questo enzima spezza il fibrinogeno ed attiva la collagenasi. I proteoglicani, tra i quali eparina e condroitin solfato, sono altri importanti contenuti dei granuli.

Queste molecole sono contenute in associazione agli altri enzimi: i vari mediatori sono rilasciati dai

 proteoglicani a diverse velocità e quindi queste molecole controllano la cinetica delle reazioni di

ipersensibilità immediata. 

Mediatori lipidici Il  più importante mediatore derivato dall’acido arachidonico lungo la via delle ci-

cloossigenasi è la prostaglandina D2 : questa molecola agisce come vasodilatatore e  br oncocostrittor e

ma  promuove anche la chemotassi e l’accumulo dei neutrofili ai siti infiammatori. La sintesi di questa prostaglandina può essere evitata bloccando la cicloossigenasi con aspirina o altri FANS. 

I  più importanti mediatori derivati dall’acido arachidonico lungo la via delle lipoossigenasi sonoi  leucotrieni, in  particolare LT C4 e i suoi prodotti di degradazione LT D4 e LT E4 . Queste molecole

legano recettori specifici sulle cellule muscolari lisce e causano una broncocostrizione pr olungata. Un terzo tipo di mediatore lipidico prodotto nei mastociti è il fattore attivante le piastrine (PAF) che

ha effetti di  broncocostrizione diretta: le sue azioni biologiche sono però limitate perchè viene degradato

 per via enzimatica. 

Citochine Le citochine prodotte dai mastociti e dai  basofili sono TNF, IL-1, IL-4, IL-5, IL-6, IL-13 MIP-1α  e MIP-1β. Queste molecole sono responsabili soprattutto della fase tardiva della r eazione.

Il NTF attiva l’espressione endoteliale di molecole di adesione e, insieme alle chemochine, giustifica

l’infiltrazione di neutrofili e monociti. 

Gli eosinofili sono abbondanti negli infiltrati infiammatori della fase tardiva e contribuiscono a molti

 processi patologici. Le citochine prodotte dai linfociti TH 2 promuovono l’attivazione di queste cellule e

il loro reclutamento: in  particolare IL-5 è un forte attivatore e migliora la capacità degli eosinofili di

rilasciare i loro granuli. Gli eosinofili legano le cellule endoteliali che esprimono la selectina-E e il

ligando  per  l’integrina  VLA-4. Il reclutamento ai siti infiammatori dipende inoltre dalla chemochina

CCL11 prodotta dalle cellule epiteliali che si lega al recettore CCR3. I contenuti dei granuli degli

eosinofili contengono idrolasi specifiche così come proteine particolarmente tossiche agli elminti, tra

le quali la proteina basica principale. Gli eosinofili attivati producono inoltre mediatori lipidici tra i

quali PAF, prostaglandine e leucotrieni. 

19.4 Reazioni dell’ipersensibilità immediata

 

Reazione immediata Quando un individuo sensibile subisce un’iniezione intradermica dell’antigene

 per il quale ha prodotto IgE, il sito di ingresso diventa immediatamente rosso  per via dei vasi sanguigni

dilatati e si gonfia a causa dell’uscita di  plasma dalle venule. Il gonfiore prende il nome di pomfo [che

cazzo di  parola è?] e  può interessare un’area di diversi centimetri di diametro. Successivamente i vasi

ai margini del  pomfo si dilatano e  producono un caratteristico arrossamento. La reazione pomfoide

completa appare in cinque o dieci minuti e tipicamente svanisce in meno di un’ora. Questa reazione è

dipendente da IgE e mastociti: i mastociti dell’area del  pomfo hanno infatti rilasciato i loro mediatori

 preformati, quindi hanno svuotato i granuli. Un mediatore fondamentale è l’istamina, che lega i r ecet-

tori sulle cellule endoteliali venulari facendo loro sintetizzare prostaglandine, ossido nitrico e PAF che

causano vasodilatazione e fuoriuscita di  plasma. 

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Reazione tardiva La reazione immediata è seguita dopo alcune ore da quella tardiva che consiste

nell’accumulo di leucociti, cioè neutrofili, eosinofili, basofili e cellule TH 2. L’infiammazione raggiunge il

 picco in 24 ore e poi declina. I mastociti produconi citochine, tra le quali il TNF, che possono stimolar el’espressione di molecole endoteliali di adesione leucocitaria, tra le quali la selectina-E e ICAM-1.Questa fase della reazione può avvenire anche senza evidenza di una reazione immediata, ad esempio

nell’asma. 

19.5 Suscettibilità genetica

La sintesi abnorme di IgE è spesso familiare con una chiara trasmissione autosomica dominante,anche se il  pattern completo di ereditarietà è comunque multigenico. Uno dei loci interessati si tr ova

sul cromosoma 5q, vicino al cluster genico che codifica  per   parecchie citochine. Polimorfismi nel

gene che codifica IL-13 sono associati fortemente all’asma.  La tendenza a produrre IgE contro alcuni

antigeni, ad esempio alcuni pollini, può inoltre essere legata a particolari alleli di MHC di classe II.

Alcuni geni i cui  prodotti regolano la risposta immunitaria innata sono associati ad allergia ed asma:tra essi CD14, un componente per il recettore di LPS, e Tim-1, probabilmente coinvolto nell’influenzare

la differenziazione degli helper. Forti risposte immunitarie innate stimolano lo sviluppo di TH 1, quindi

se vengono diminuite si favorisce TH2 e l’ipersensibilità. 

19.6 Patologie allergiche nell’uomo 

Le più comuni forme di  patologie allergiche sono la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma bronchiale,l’eczema e le allergie alimentari. Le caratteristiche cliniche e  patologiche dipendono dal sito anatomi-

co di reazione: antigeni inalati causano rinite o asma, antigeni ingeriti causano vomito o diarr ea,

antigeni iniettati causano effetti sistemici. 

Anafilassi sistemica L’anafilassi è caratterizzata da edema in molti tessuti e crollo della  pr essione

sanguigna a causa della vasodilatazione. Gli allergeni attivano i mastociti in molti tessuti, e i mediatori

guadagnano così accesso al letto vascolare. Il calo del tono vascolare e la fuga di  plasma risultano in

cun crollo pressorio che porta a shock anafilattico spesso fatale. Gli effetti cardiovascolari sono accom-

 pagnati da costrizione delle vie aeree, edema laringeo, ipermotilità intestinale e orticaria. Il trattamento

d’elezione è l’epinefrina sistemica, che contrasta gli effetto broncocostrittori e vasodilatatori. 

Asma bronchiale L’asma è una patologia infiammatoria causata da ripetute ipersensibilità immediatee tardive nel  polmone. Circa il 70% dei casi è dovuto all’ipersensibilità immediata IgE mediata mentr eil 30% ha altre cause a volte scatenate da stimoli non immunitari. Gli eventi patofisiologici dell’asma

sono legati alle citochine prodotte da mastociti ed eosinofili che costringono le vie aeree. La terapia ha

al momento due bersagli: l’infiammazione e il rilassamento della muscolatura liscia dei  br onchi. 

Allergie alimentari Le manifestazioni cliniche comprendono iper peristalsi, ipersecrezione di fluido

intestinale, vomito e diarrea, a volte orticaria e anafilassi sistemica. Le allergie sono associate a molti

tipi di cibo, ma tra i più comuni ci sono arachidi e molluschi. 

Allergie cutanee Le due manifestazioni evidenti sono orticaria ed eczema. L’orticaria, essenzialmente

una reazione pomfoide acuta, può persistere  per  or e. 

In immunologia clinica spesso si  prova a limitare l’instaurarsi di reazioni allergiche con trattamentiche riducono la quantità di IgE nel soggetto. Un approccio, la desensibilizzazione, prevede la ripetuta

esposizione a limitate quantità di antigene  per via sottocutanea: il risultato empirico è l’aumento del

titolo di IgG e la diminuzione del titolo di IgE. Questo tipo di approccio è usato  per la  prevenzione di

reazioni anafilattiche acute (ad esempio veleni) o per   poter somministrare farmaci vitali (ad esempio

 pennicillina). 

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Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed acquisite 

Le immunodeficienze si dividono in due grandi categorie. Le immunodeficienze congenite o primi-

tive sono il risultato di difetti genetici e conferiscono un’aumentata sensibilità alle infezioni; queste

 patologie si manifestano precocemente ma occasionalmente danno manifestazione clinica in età più

avanzata. Le immunodeficienze secondarie o acquisite si sviluppano a seguito di malnutrizione,cancro, uso di farmaci immunosoppressivi o infezioni delle cellule del sistema immunitario (da

HIV in  primis). Le caratteristiche generali delle immunodeficienze sono: 

• Aumento della sensibilità alle infezioni. Difetti nell’immunità umorale espongono a rischio di

infezioni batteriche, mentre difetti in quella cellulo mediata espongono a rischio di infezioni virali

o da parte di  batteri intracellulari. 

• Aumento del rischio di cancro. Molte delle neoplasie che insorgono in queste condizioni sono

dovute a virus oncogeni, ad esempio il virus di Epstein-Barr . 

•  Le immunodeficienze possono insorgere sia per  difetti nella maturazione/attivazione dei linfociti

che  per  difetti nei meccanismi effettori di immunità innata o adattativa. 

20.1 Immunodeficienze congenite 

In diverse immunodeficienze l’anormalità principale può trovarsi indiversi componenti del sistema im-munitario innato, o a diversi stadi della maturazione dei linfociti, o nelle risposte dei linfociti maturi

alla stimolazione antigenica. 

•  Le anormalità ereditarie dell’immunità innata affligono di solito i fagociti o il complemento. 

•  Le anomalie dello sviluppo linfocitario possono derivare da mutazioni nei geni codificanti alcuni

degli enzimi fondamentali. 

•  Le anormalità nello sviluppo e nella funzione dei linfociti B sfociano in carente produzione di

anticorpi e suscettibilità ai  batteri extracellulari. Queste patologie sono identificate tramite (non

tutti i criteri valgono per ogni  patologia): 

 –   bassi titoli di Ig nel sier o 

 –   assenza di risposta alla vaccinazione  –   ridotto numero di linfociti B in circolo o nei tessuti linfoidi, assenza di  plasmacellule  

•  Le anormalità nella maturazione e nella funzione dei linfociti T portano a immunità cellulo-mediata

carente e aumento del rischio di infezioni intracellulari. Queste patologie sono identificate tramite: 

 –   Ridotto numero di linfociti T nel sangue periferico 

 –   Poca risposta proliferativa ad attivatori policlonali 

 –   Mancanza di risposte di ipersensibilità di tipo ritardato (IV) a antigeni micr obici 

20.1.1 Difetti dell’immunità innata 

I disordini congeniti dei fagociti e del sistema del complemento sfociano in infezioni ricorrenti, in  par  -ticolare da batteri Neisseriae, e spesso contribuiscono al rischio di patologie autoimmuni, soprattuttolupus eritematoso sistemico. 

Malattia granulomatosa cronica La malattia granulomatosa cronica è una malattia rara [1 : 106 ]della quale i due terzi dei casi presenta uno schema di ereditarietà di tipo X-linked recessivo. La

 patologia è causata da mutazioni nei componenti del complesso enzimatico dell’ossidasi fagocitica.

La forma più comune è causata da una mutazione codificante la subunità alfa del citocromo  b558  :

questa mutazione porta a difetti nella produzione di superossidi, cioè i ROS responsabili dell’attività

microbicida del fagocita. La mancanza di superossidi rende i fagociti incapaci di uccidere i microbi

fagocitati: si hanno infezioni ricorrenti di funghi e batteri a partire dalla prima infanzia. Le infezioni non 

vengono controllate dai fagociti e quindi stimolano risposte immunitarie cellulomediate croniche

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che portano a formazione di granulomi di macrofagi attivati. La  patologia è spesso fatale anche se

vengono adottate forti terapie antibiotiche. L’interferone gamma stimola la trascrizione del gene phox- 91 e di altri componenti del complesso dell’ossidasi: se la  produzione viene ripristinata ad un valore di

circa il 10% del normale si ha già un grande miglioramento nella resistenza alle infezioni; l’inter fer one

gamma è la terapia di elezione  per  questo tipo di  patologia.  

Deficienze nell’adesione leucocitaria La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo 1 è una patologia autosomica recessiva  caratterizzata da frequenti infezioni batteriche e fungine e

carenza nella guarigione delle ferite. In questi pazienti le funzioni leucocitarie dipendenti dall’adesione

sono anormali. La  base molecolare è l’assenza o la carente espressione delle integrine β2 , tra le quali

LFA-1 e Mac-1; queste proteine partecipano all’adesione dei leucociti alle altre cellule, soprattuttocellule endoteliali ed APC. 

La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo 2 è clinicamente simile alla  pr ecedente

ma non si ha difetto nelle integrine. LAD-2 risulta invece dall’assenza di SLEX, un ligando necessario

 per il legame con le selectine E e P dell’endotelio. 

Sindrome di Chédiak-Higashi La sindrome di CH è una patologia autosomica recessiva caratteriz-

zata da ricorrenti infezioni di batteri piogeni, parziale albinismo oculocutaneo e infiltrazioni in vari

organi di linfociti non neoplastici. Neurtrofili, monociti e linfociti dei  pazienti affetti contengono lisoso-

mi giganti. La malattia è causata da mutazioni nel gene che codifica la  proteina LYST che gestisce il

traffico lisosomiale: la fusione fagosoma lisosoma diventa difettosa (da cui le ricorrenti infezioni), non siforma il melanosoma nei melanociti (da cui l’albinismo) e si formano anormalità lisosomiali nelle cellule

nervose. I lisosomi giganti si formano durante la maturazione dai  precursori mieloidi: queste cellule

 possono presentare carenze negli enzimi lisosomiali microbicidi ma anche difetti nella chemotassi e

nella fagocitosi. Le cellule  NK  mostrano ridotta funzionalità, probabilmente a causa delle anor malità

nei granuli citoplasmatici che contengono gli enzimi per la loro citotossicità. 

Difetti ereditari nei pathway del TLR e della segnalazione di NF-κ B Alcune immunodeficienze sono

causate da difetti nelle vie di segnalazione a valle dei TLR. Mutazioni nell’inibitore della κ B chinasi γ , detto anche NEMO, contribuiscono alla condizione X-linked recessiva  detta displasia ectodermica

anidrotica con immunodeficienza (zumpapà zumpapà).  NEMO è fondamentale  per  l’attivazione di

 NF-κB, se viene compromesso la differenziazione delle strutture di derivazione ectodermica è anor male

e le funzioni immunitarie ne escono danneggiate. Questi pazienti soffrono di infezioni da parte di  batteri piogeni capsulati, così come di  patogeni intracellulari.  

20.1.2 Immunodeficienze gravi combinate

I disordini che colpiscono sia l’immunità cellulomediata che quella umorale sono detti immun-

odeficienze gravi combinate o SCID (Severe Combined ImmunoDeficiencies). Queste patologie sono

caratterizzate da carenze di linfociti T e B o solo dei linfociti T: nel secondo caso il danno all’immunità

umorale si ha  per via dei linfociti T helper malfunzionanti. I  bambini malati di SCID normalmente

hanno infezioni entro il primo anno di vita e muoiono se non trattati. 

Difetti nei recettori per le citochine: X-linked Circa il 50% dei casi di SCID è X-linked e dovuto

a mutazioni nel gene codificante la catena γ  comune condivisa dai recettori  per le interleuchine IL-2,

IL4, IL-7, IL-9 e IL-15. Queste condizioni sono caratterizzate da problemi alla maturazione dei linfocitiT e delle  NK  senza cali nel numero dei linfociti B: il  problema all’immunità umorale  è dunque legato

solamente agli helper. La  patologia è dovuta all’incapacità della citochina IL-7 di stimolare la crescita

dei timociti immaturi, e all’incapacità della citochina IL-15 di far  proliferare le cellule NK. 

Difetti nei recettori per le citochine: autosomiche Alcuni pazienti con un quadro patologico uguale

alle SCID X-linked mostrano ereditarietà autosomica recessiva. Le mutazioni si hanno a carico della

catenaα del recettore  per  IL-7. 

Difetti nel riciclo delle purine Circa il 50% dei casi di SCID mostra eredità autosomica recessiva, emolti di questi casi sono legati a difetti nell’enzima adenosina deaminasi (ADA), che ha ruolo nel riciclo

delle purine. L’enzima catalizza la deaminazione dell’adenosina a 2’-deossiadenosina e dell’inosina a 2’-deossiadenosina. Il difetto porta all’accumulo di deossiadenosina e dei suoi precursori che hanno

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molti effetti tossici, tra i quali l’inibizione  della sintesi di DNA. I linfociti in fase di sviluppo sono

meno efficienti delle altre cellule nel degradare dATP a 2-deossiadenosina e quindi sono particolarmente

sensibili alla carenza di ADA. Una forma più rara di SCID è dovuta alla carenza di un altro enzima, la

purina nucleoside fosforilasi (PNP), anch’esso coinvolto nel catabolismo delle purine. PNP catalizza

la conversione dell’inosina in ipoxantina e della guanosina a guanina: il difetto porta ad accumulo di

deossiguanosina e deossiguanina con effetti tossici sui linfociti immaturi, soprattutto i T. 

Difetti nella ricombinazione V(D)J Mutazioni nei geni RAG1, RAG2 o ARTEMIS rappresentano la

causa di un gran numero di forme autosomiche recessive di SCID. Mutazioni ipomorfiche in questi geni

 portano a condizioni di ristretta generazione di linfociti B e T, immunodeficienze e autoimmunità, come

nella sindrome di Omenn. 

Difetti nel checkpoint pre-TCR  Rare forme di SCID sono state collegate a mutazioni nei geni codif-

icanti CD45 e le catene δ  o ε  di CD3. Un’altra forma rara è causata dalla mutazione del gene Orai1,componente dei canali CRAC. L’attivazione  dei recettori  per  l’antigene,  così come dei recettori  pr e-

antigenici porta all’attivazione dell’isoforma γ  della fosfolipasi C (PLCγ)e al rilascio IP3 dipendente

di calcio dal RE e dai mitocondri. Il rilascio di calcio è compensato dai canali CRAC che facilitano il

flusso di calcio dal pool extracellulare e questo processo è cruciale  per  l’attivazione linfocitaria. 

Difetti nello sviluppo del timo: sindrome di DiGeorge Il difetto congenito si mostra come ipoplasia

o agenesi del timo e  porta a difetti nella maturazione dei linfociti T, ad assenza delle ghiandole

paratiroidi (quindi anormale omeostasi del calcio e tetania) e sviluppo anomalo di volto e grandi

vasi. La  patologia è causata da una delezione nel cromosoma 22q11.2. L’immunodeficienza  può

essere spiegata a causa della delezione del gene TBX1 che mappa in quella regione. In questa sindr ome

i  linfociti T nel sangue periferico sono assenti o molto ridotti e le cellule non rispondono agli attivatori

 policlonali. L’immunodeficienza può essere corretta con trapianto di timo fetale o di midollo osseo

ma normalmente non è necessaria perchè la funzionalità immunitaria tende a migliorare con gli anni.Le ragioni del miglioramento spontaneo possono essere la  presenza di tessuto timico ectopico o

l’esistenza di una sede extratimica di maturazione linfocitariaancora non scoperta. 

20.1.3 Deficienze anticorpali: difetti nello sviluppo e nell’attivazione dei linfociti B  

Agammaglobulinemia X-linked La  patologia è caratterizzata dall’assenza  di gammaglobuline nel sangue ed è tra le immunodeficienze congenite più comuni. Il difetto è il fallimento dei linfociti B di

maturare oltre lo stadio di cellula pre-B a causa di mutazioni nel gene codificante la tirosin chinasi di

Bruton (Btk ). Btk è coinvolta nella trasduzione del segnale dal  pre-BCR, segnale richiesto  per la soprav-

vivenza e la differenziazione delle cellule pre-B. I pazienti affetti normalmente hanno Ig sieriche basse

o assenti, pochi linfociti B nel sangue periferico e nei tessuti linfoidi, mancano di centri germinativi nei

linfonodi e di  plasmacellule nei tessuti. Le complicazioni infettive dell’agammaglobulinemia x-linked

sono molto ridotte dalle iniezioni periodiche di preparati di gamma globuline: questi  preparaticontengono anticorpi preformati contro patogeni comuni e quindi forniscono un’efficace immunità

passiva. 

Agammaglobulinemie autosomiche Forme autosomiche recessive di agammaglobulinemia sono

state descritte. I geni mutanti comprendono il gene µ della catena pesante delle IgM, il gene Igα che

codifica un componente segnalatorio sia del  pre-BCR che del BCR, e il gene BLNK  che codifica una proteina adattatrice importante. 

Deficienze selettive di isotipi di Ig La  più comune è la deficienza selettiva di IgA [1 : 700] che è

inoltre la  più comune immunodeficienza primaria conosciuta. Le caratteristiche cliniche sono variabili.

Molti  pazienti sono normali, altri hanno infezioni occasionali e diarrea, altri hanno gravi infezioni con

danno permanente ad intestino e vie aeree. Il difetto in questi pazienti è il blocco nella differ enziazione

delle cellule B a plasmacellule secernenti IgA. I geni delle catene pesanti alfa e l’espressione delle IgAdi membrana sono normali. In una piccola porzione di  pazienti le mutazioni sono state individuate inTACI, uno dei tre tipi di recettore  per le citochine BAFF ed APRIL. 

Le deficienze selettive delle sottoclassi di IgG sono patologie in cui il titolo delle IgG è normale

ma le concentrazioni di una o  più sottoclassi sono sotto la norma. La deficienza delle IgG3 è la  più

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comune negli adulti, delle IgG2 nei  bambini. Alcuni individui presentano infezioni batteriche ricorrenti

ma la maggior parte non ha problemi clinici. 

Difetti nella differenziazione: immunodeficienze variabili comuni Le immunodeficienze variabili

comuni sono un gruppo eterogeneo di disordini definito dalla riduzione dei livelli di Ig nel siero: la diag-

nosi viene fatta  per  esclusione. Linfociti T maturi sono presenti in questi pazienti ma le  plasmacellule

mancano e questo suggerisce un blocco nella differenziazione. Una piccola porzione di  pazienti affetti

condivide una delezione del gene ICOS, mentre una causa più comune è la  presenza di mutazioni in

TACI. 

Sindromi iper-IgM La sindrome iper-IgM X-Linked è un raro disordine associato con il difetto

dello switch verso gli isotipi IgA ed IgG; questi isotipi sono dunque carenti nel sangue e si ha

compensazione da parte delle IgM. Il difetto è causato da mutazioni nel gene che codifica CD40L: le

forme mutate non stimolano i linfociti B a subire lo switch. I  pazienti affetti mostrano anche difetti

nell’immunità cellulo mediata e un’enorme sensibilità alle infezioni da parte del fungo Pneumocystis

 jir oveci. Rari casi di sindrome iper -IgM mostrano ereditarietà autosomica dominante. In questi casi il

difetto può essere in CD40 o in AID, l’enzima coinvolto nello switching della catena pesante. 

20.1.4 Difetti nell’attivazione e nella funzione dei linfociti T 

Difetti nell’espressione di MHC II: sindrome del linfocita nudo La sindrome del linfocita nudo è un

gruppo di  patologie autosomiche recessive  in cui i  pazienti esprimono bassi livelli (o non esprimono

affatto) HLA-DP, HLA-DQ o HLA-DR  su linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche. L’espressione delle

molecole di MHC I è normale.  Nella maggior parte dei casi le sindromi sono dovute a mutazioni nei geni

che codificano proteine regolanti la trascrizione dell’MHC II. Ad esempio mutazioni nel fattore RFX5

o in CIITA  portano a ridotta espressione di MHC II e quindi all’impossibilità di attivare i linfociti

C D4+ . La mancata presentazione dell’antigenepuò portare a problemi nella selezione positiva nel timo

o a difetti nell’attivazione delle cellule in  periferia. La  patologia appare entro il primo anno di vita ed

è tipicamente fatale se non trattata con trapianto di midollo osseo. 

Difetti nell’espressione di MHC I Sono state descritte anche deficienze autosomiche recessive  di

MHC I associate a riduzione di funzionalità e numero di linfociti T C D8+ . In alcuni casi la  patologia è

dovuta a mtuazioni nei geni codificanti le subunità TAP-1 e TAP2 del complesso TAP responsabile del

traffico di  peptidi dal citosol al RE. I  pazienti  privi di TAP mostrano poche molecole MHC I e soffr ono

soprattutto di infezioni del tratto respiratorio ma non di infezioni virali, dato discordante considerato

che la  principale funzione dei linfociti citotossici è la difesa dai virus. 

Difetti nella trasduzione del TCR  Esempi comprendono la limitata espressione o funzionalità del

complesso TCR  a causa di mutazioni nei geni CD3 ε e γ, oppure la segnalazione difettosa a causa di

mutazioni nel gene ZAP-70 o ancora la mancata espressione dei recettori IL-2. I pazienti af fetti possono

avere deficienze soprattutto nella funzione delle cellule T o avere immunodeficienze miste T e B. 

Sindrome di Wiskott-Aldrich  La sindrome di Wiskott-Aldrich è una patologia X-linked caratterizzata

da eczema, trombocitopenia e aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche. Alcune delle anor malità possono essere ricondotte a difetti nell’attivazione dei linfociti T.  Nelle fasi iniziali della malattia il

numero di linfociti è normale e il principale difetto è l’incapacità di  produrre anticorpi verso antigeni T -

indipendenti. L’avanzare dell’età porta a una riduzione del numero di linfociti e ad un’immunodeficienza 

 più grave. Il gene difettoso codifica la proteina WASP che interagisce con  parecchie altre  pr oteine,

incluse quelle adattatrici a valle del recettore antigenico. 

Sindrome linfoproliferativa X-linked La sindrome linfoproliferativa X-linked è un disordine legato

all’incapacità di eliminare il virus di Epstein-Barr e  porta a mononucleosi fulminante e a

sviluppo di tumori ai linfociti B e ipogammaglobulinemiaassociata.  Nell’80% dei casi il  problema

è dovuto ad una mutazione nel gene che codifica la  proteina SAP, che lega una famiglia di  proteine

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super ficiali coinvolta nell’attivazione di NK e linfociti B e T (tra le quali la molecola SLAM). SAP collega

le  pr oteine SLAM e 2B4 alla kinasi FynT: se manca si ha attenuazione del  processo di attivazione.

 Nel r estante 20% dei casi il difetto risiede invece nel gene che codifica XIAP: il risultato è un aumento del processo

apoptotico dei linfociti T e delle cellule  NK-T che porta a una evidente riduzione del numero di queste

cellule nel  paziente. 

Sindromi della linfoistiocitosi emofagocitica La famiglia delle sindromi di linfoistiocitosi

emofagocit- ica sono caratterizzate da attivazione incontrollata di linfociti citotossici e macrofagi in cuila secr ezione granulare da parte dei C D8+  e delle  NK è difettosa. Una caratteristica tardiva masorprendente è l’ingestione dei globuli rossi da parte dei macrofagi attivati (emofagocitosi). Mutazioni neigeni RAB27A e MUNC13-14 sono alla base della compromissione della fusione dei granuli con lamembrana plasmatica e contribuiscono a varie forme di queste patologie. 

20.1.5 Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassia telangectasia

L’atassia telangectasia è una patologia autosomica recessiva  caratterizzata da anomalie nella

deam- bulazione (atassia), malformazioni vascolari (telangectasie), deficin neurologici, aumentata

incidenza tumorale e immunodeficienza. I  più comuni difetti umorali sono carenze di IgA ed IgG2. Idifetti nei linfociti T sono associati ad ipoplasia del timo. I  pazienti subiscono infezioni batteriche

alle vie aer ee superiori ed inferiori, fenomeni autoimmuni multipli e neoplasie sempre più frequenticon l’avanzare dell’età. Il gene responsabile della malattia si trova sul cromosoma 11 e codifica laproteina ATM che è in grado di attivare i checkpoint del ciclo cellulare e l’apoptosi  in risposta arotture del doppio filamento del DNA. 

Appendice. Schema delle citochine 

A.1 Risposta innata

• TNF - Tumor Necrosis Factor 

 –   Fonti principali: fagociti attivati,  NK e mastociti. 

 –   Struttura e recettore: inizialmente proteina di membrana,  poi tagliata  per via  proteolitica in

un peptide che forma omotrimeri riconosciuti dai recettori TNF-RI e TNF-RII. 

 –   Meccanismo d’azione: reclutamento di fattori TRAF che attivano i fattori di trascrizione NF-κ B e AP-1; occasionalmente attivazione delle caspasi e apoptosi. 

 –   Attività biologiche: 

∗  Stimolazione delle cellule endoteliali a esprimere molecoledi adesione ∗  Stimolazione delle cellule endoteliali e dei macrofagi a secernere chemochine per la mi-

grazione leucocitaria 

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∗  Stimolazione delle attività microbicide di macrofagi e neutr ofili 

 –   Attività collaterali: 

∗  Induzione della febbre per via ipotalamica grazie ad aumento della sintesi delle pr ostaglan-

dine 

∗  Aumento della produzione epatica di  proteine della fase acuta ∗  Distruzione di cellule muscolari e adipose ∗  Inibizione della contrattilità miocardica e del tono vascolar e ∗  Trombosi intravascolare  per   perdità delle proprietà anticoagulanti dell’endotelio ∗  Profondi disturbi metabolici con crollo della glicemia a livelli letali ∗  Shock settico 

• Interleuchina 1

 –   Fonti principali: fagociti attivati,  NK e mastociti. 

 –   Struttura e recettore: due forme, IL-1α e IL-1β, con funzioni identiche ed entrambe secrete

come precursori. Il  precursore della forma alfa è attivo, quello della forma beta lo diventa

dopo pr oteolisi. 

 –   Meccanismo d’azione: reclutamento di MyD88 ai domini TIR del recettore che porta al r eclu-

tamento di IRAK1,4 e di TRAF-6 che in vari  passaggi attivano  NF-κ B.  –   Attività biologiche: 

∗  Stimolazione delle cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione 

 –   Attività collaterali: 

∗  Induzione della febbre ∗  Aumento della produzione epatica di  proteine della fase acuta ∗  Produzione di neutrofili e  piastrine nel midollo direttamente o attraverso lo stimolo alla

 produzione di IL-6 

• Chemochine 

 –   Fonti principali: leucociti, cellule endoteliali, epiteliali e fibroblasti. Stimolo da TNF e IL-1. 

 –   Struttura e recettore: le due famiglie più importanti sono le chemochine CC (residui di cis-

teina consecutivi) e le chemochine CXC (residui di cisteina con un residuo interposto). I r ecet- torisono di tipo accoppiato a preoteina G: esistono dieci diversi recettori  per le CC (CCR1-10) e sei

 per le CXC (CXCR1-6). 

 –   Meccanismo d’azione: attivazione di vari enzimi cellulari che mediano le configurazioni del

citoscheletro e l’affinità delle integrine. 

 –   Attività biologiche: 

∗  Reclutamento delle cellule immunitarie ai siti di infezione ∗  Regolazione del traffico linfocitario e leucocitario attraverso gli organi linfoidi periferici ∗  Promozione di angiogenesi e della guarigione delle ferite (soprattutto CXC) ∗  Sviluppo di vari organi non linfatici 

• Interleuchina 12 

 –   Fonti principali: cellule dendritiche attivate e macr ofagi 

 –   Struttura e recettore: Eterodimero delle subunità p35 e  p40, recettore della famiglia dei

recettori di tipo I. 

 –   Meccanismo d’azione:  Il recettore segnala attraverso la via Jak-STAT, cioè le chinasi Jak si portano ad attivare i fattori di trascrizione STAT. 

 –   Attività biologiche: 

∗  Stimolazione della produzione di IFN-γ da parte delle cellule NK e dei linfociti T ∗  Promozione della differenziazione dei C D4+ helper al sottogruppo TH1 che produce l’IFN-γ 

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∗  Miglioramento delle funzioni citotossiche delle NK attive e dei linfociti C D8+ 

 –   Nota: IL-12 è  prodotta da cellule dell’immunità innata ma attiva anche cellule dell’immunità

adattativa, quindi svolge ruolo di  ponte tra i due sistemi. 

• Interferoni di tipo I 

 –   Fonti principali: cellule dendritiche e fagociti. Stimolo da acidi nucleici virali. 

 –   Struttura e recettore: gli IFN-I includono IFN-α, IFN-β , IFN-ε, IFN-κ  e IFN-ω, tutti codificati dageni sul cromosoma 9. Tutti gli IFN-I si legano ad un recettore della famiglia dei r ecettori di tipoII composto da due subunità: IFNAR1 e IFNAR2. 

 –   Meccanismo d’azione:  gli IFN-I stimolano la via Jak-STAT per  indurre la trascrizione di vari

geni. Lo stesso recettore stimola anche la via delle MAP kinasi e delle PI-3 kinasi. 

 –   Attività biologiche: ∗  Inibizione della replicazione virale (effetto paracrino, con induzione dello stato antivirale

nelle cellule vicine) 

∗  Aumento dell’espressione di molecole MHC I ∗  Stimolo allo sviluppo di cellule TH1

∗  Sequestro dei linfociti nei linfonodi ∗  Inibizione generica della proliferazione di molti tipi di cellula 

• Interleuchina 10 

 –   Fonti principali: macrofagi attivati e linfociti T r egolatori 

 –   Struttura e recettore: citochina dimerica che lega recettori di tipo II associati alle kinasi Jak1

e Jak2. 

 –   Meccanismo d’azione: Attivazione della via Jak-STAT. 

 –   Attività biologiche: 

∗  Inibizione della produzione di IL-12 da parte di macrofagi attivati e cellule dendritiche ∗  Inibizione dell’espressione di costimolatori e di molecole MHC II su macrofagi e cellule

dendritiche  

 –   Nota: citochina inibitoria, in coppia con il TGF. • Altre citochine dell’immunità innata 

 –   IL-6, prodotta da fagociti, cellule endoteliali e fibroblasti, stimola la sintesi delle  pr oteine

di fase acuta e la  produzione di neutrofili. Ha ruolo anche nell’immunità adattativa poichè

stimola la crescita dei linfociti B. 

 –   IL-15, prodotta soprattutto dai fagociti, è un importante fattore di crescita e sopravvivenza

 per  linfociti T e cellule NK. 

 –   IL-18, strutturalmente legata a IL-1, stimola la  produzione di IFN-γ da parte dei linfociti

 promuovendone il differenziamento a TH1. 

 –   IL-23 e IL-27fanno da ponte tra le due immunità. 

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A.2 Risposta adattativa

• Interleuchina 2 

 –   Fonti principali: linfociti C D4+ 

 –   Struttura e recettore: recettore indotto da attivazione in naive ed effettori, sempre presente inlinfociti T r egolatori. 

 –   Meccanismo d’azione: via Jak-STAT

 –   Attività biologiche: 

∗  Sopravvivenza e funzionalità delle cellule T r egolatrici ∗  Stimolo alla sopravvivenza, proliferazione e differenziazione dei linfociti T attivati dall’anti-

gene 

∗  Promozione alla proliferazione e differenziazione delle cellule  NK  

• Interleuchina 4 

 –   Fonti principali: linfociti T C D4+ attivati e mastociti 

 –   Meccanismo d’azione: via Jak-STAT

 –   Attività biologiche: 

∗  Stimolo allo switching verso l’isotipo IgE ∗  Stimolo allo sviluppo di cellule TH2 a partire da C D4+ naive 

∗  Fattore di crescita per  cellule TH2 differ enziate 

∗  Inibizione dello sviluppo di cellule TH1 e TH17

• Interleuchina 5 

 –   Fonti principali: cellule TH2 e mastociti 

 –   Meccanismo d’azione: via Jak-STAT

 –   Attività biologiche: ∗  Attivazione degli eosinofili ∗  Stimolo alla crescita e alla differenziazione degli eosinofili  

• Interleuchina 13 

 –   Fonti principali: soprattutto C D4+ TH2 ma anche C D8+  e NK-T durante le aller gie 

 –   Meccanismo d’azione: via Jak-STAT

 –   Attività biologiche: 

∗  Promozione della fibrosi nella riparazione tissutale degli stati infiammatori cr onici ∗  Stimolo alla produzione di muco nel  polmone 

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∗  Stimolo allo switching a IgE ∗  Promozione dell’infiammazione  per  espressione di molecole di adesione endoteliale e cito-

chine 

• Interferone γ 

 –   Fonti principali: cellule NK, linfociti TH1 e C D8+ . Stimolo di IL-12 o diretto dai microbi. 

 –   Meccanismo d’azione: via Jak-STAT

 –   Attività biologiche: 

∗  Attivazione dei macrofagi  per  l’uccisione dei microbi fagocitati (insieme a CD40L) ∗  Promozione della differenziazione a TH1

∗  Inibizione della differenziazione a TH2

∗  Promozione dello switch a certi isotipi IgG ∗  Inibizione dello switch a IgE ∗  Stimolo dell’espressione di molecole MHC I e MHC II

• TGF-β 

 –   Fonti principali: linfociti T antigene-stimolati, fagociti LPS-attivati. 

 –   Attività biologiche: ∗  Inibizione della proliferazione e delle funzioni effettrici dei linfociti T e dell’attivazione dei

macr ofagi. 

∗  Regolazione della differenziazione verso alcuni sottogruppi di linfociti T e  blocco dello

sviluppo sia di TH1 che di TH2. ∗  Stimolazione della produzione di anticorpi IgA tramite switching. ∗  Regolazione della riparazione tissutale 

• Altre citochine  

 –   Linfotossina: praticamente fa le funzioni del TNF. 

 –   IL-17: promuove il danno tissutale nelle patologie da ipersensibilità. I ruoli fisiologici sono

stimolo ai macrofagi a produrre IL-1 e TNF e altre chemochine.  –   IL-21 gli effetti sono di solito sinergistici con altre citochine e non hanno grande ruolo da soli. 

A.3 Citochine ematopoietiche 

• Stem Cell Factor