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marzo 2012 il Cantico 1 il Cantico online DIRETTORE RESPONSABILE: Argia Passoni. REDAZIONE: Argia Passoni, Graziella Baldo, Lucia Baldo, Giorgio Grillini, Maria Rosaria Restivo, Lorenzo Di Giuseppe. GRAFICA: Maurizio Magli. EDITORE - DIREZIONE AMM.VA: Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa - 00165 Roma- Viale delle Mura Aurelie, 8 www.coopfratejacopa.it – [email protected] – http://ilcantico.fratejacopa.net - Codice Fiscale e Partita Iva: 09588331000 Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione: 19167 La collaborazione è gratuita. Manoscritti e foto non sono restituiti anche se non pubblicati. Tutti i diritti riservati. SOMMARIO TEMPO DI QUARESIMA; IN CAMMINO - p. Lorenzo Di Giuseppe 2 FIRMA IL TUO 5X1000 PER LA COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA 3 “ECCE HOMO” - Maria Grazia Chatel 3 MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2012 - Benedetto XVI 4 SAN FRANCESCO E IL MONDO - Tratto da una relazione di P. Cherubino Bigi 7 EDUCARE I GIOVANI ALLA VITA - A cura di Rita Montante 8 SCUOLA DI PACE “L’AMBIENTE E L’UNIVERSO FRANCESCANO” - ETICA E TUTELA DELL’AMBIENTE - Prof. José Antonio Merino 9 SUCCEDE NEL MONDO: ALBANIA: ORFANI PER TUTTA LA VITA - Marjola Rukaj 14 NIGERIA: UN RIFUGIO PER I BAMBINI AFRICANI ACCUSATI DI STREGONERIA - (Ag. Fides) 15 DAVOS: “IL NOBEL DELLA VERGOGNA” - (Misna) 16 GESÙ NOSTRO CONTEMPORANEO. CONVEGNO INTERNAZIONALE - A cura di Graziella Baldo 17 ELOGIO DELLA DEBOLEZZA - Enzo Bianchi 20 SCUOLA DI PACE - RIFLESSIONI SUL BENE COMUNE - Dott. Paolo Evangelisti 21 “TAO JIE. A SIMPLE LIFE” - Andrea Piersanti 25 COMUNICAZIONE INDIRETTA E FRATERNITÀ - Lucia Baldo 26 LA SUA PAROLA SEMINATA SUL TAPPETO DI CASA - Francesco Masina 27 “LA BOTTEGA DELLA SARTA - A cura di Viviana Picchiarelli 28 IL CANTICO 28

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marzo 2012 il Cantico 1

il Canticoonline

DIRETTORE RESPONSABILE: Argia Passoni.

REDAZIONE: Argia Passoni, Graziella Baldo, Lucia Baldo, Giorgio Grillini, Maria Rosaria Restivo, Lorenzo Di Giuseppe.GRAFICA: Maurizio Magli.

EDITORE - DIREZIONE AMM.VA: Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa - 00165 Roma- Viale delle Mura Aurelie, 8www.coopfratejacopa.it – [email protected] – http://ilcantico.fratejacopa.net - Codice Fiscale e Partita Iva: 09588331000Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione: 19167

La collaborazione è gratuita. Manoscritti e foto non sono restituiti anche se non pubblicati.Tutti i diritti riservati.

SOMMARIOTEMPO DI QUARESIMA; IN CAMMINO - p. Lorenzo Di Giuseppe 2

FIRMA IL TUO 5X1000 PER LA COOPERATIVA SOCIALE FRATE JACOPA 3

“ECCE HOMO” - Maria Grazia Chatel 3

MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2012 - Benedetto XVI 4

SAN FRANCESCO E IL MONDO - Tratto da una relazione di P. Cherubino Bigi 7

EDUCARE I GIOVANI ALLA VITA - A cura di Rita Montante 8

SCUOLA DI PACE “L’AMBIENTE E L’UNIVERSO FRANCESCANO” -ETICA E TUTELA DELL’AMBIENTE - Prof. José Antonio Merino 9

SUCCEDE NEL MONDO:ALBANIA: ORFANI PER TUTTA LA VITA - Marjola Rukaj 14

NIGERIA: UN RIFUGIO PER I BAMBINI AFRICANI ACCUSATI DI STREGONERIA - (Ag. Fides) 15

DAVOS: “IL NOBEL DELLA VERGOGNA” - (Misna) 16

GESÙ NOSTRO CONTEMPORANEO. CONVEGNO INTERNAZIONALE - A cura di Graziella Baldo 17

ELOGIO DELLA DEBOLEZZA - Enzo Bianchi 20

SCUOLA DI PACE - RIFLESSIONI SUL BENE COMUNE - Dott. Paolo Evangelisti 21

“TAO JIE. A SIMPLE LIFE” - Andrea Piersanti 25

COMUNICAZIONE INDIRETTA E FRATERNITÀ - Lucia Baldo 26

LA SUA PAROLA SEMINATA SUL TAPPETO DI CASA - Francesco Masina 27

“LA BOTTEGA DELLA SARTA - A cura di Viviana Picchiarelli 28

IL CANTICO 28

Un rischio sempre incombente sulla nostra vita spi-rituale è l’assuefazione, è entrare in uno statod’animo in cui niente ti scalfisce, niente ti stupisce,niente ti parla direttamente; e tu sei bloccato, comein un parcheggio, seduto e rassegnato.La Chiesa, proponendoci i vari tempi liturgici,vuole svegliarci, farci alzare in piedi e rimetterci incammino. La Quaresima in particolare richiama lanecessità di stare in cammino: infatti fin dai primitempi della vita della comunità cristiana, essarichiamava tutta la comunità a mettersi in un cam-mino di conversione con i catecumeni che si avvi-cinavano al Sacramento del Battesimo che venivadonato loro nella solenne Veglia della notte dellaPasqua di Resurrezione.

L’essere in cammino è frutto prima di tutto dellaazione della Parola di Dio che resa viva dalla pre-senza dello Spirito Santo, se accolta in noi, viene ascuoterci, a ridarci energia e a rimetterci in piedi.All’inizio di questa Quaresima, tramite la solleci-tudine pastorale di Benedetto XVI, la Chiesa ciricorda che questo è “un tempo propizio affinchécon l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti,rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia persona-le che comunitario” (Messaggio del Santo Padreper la Quaresima 2012).Tempo propizio da non far passare invano, dono diDio da non svalutare, da non far scivolare sullanostra indifferenza.Il Papa per parlare a tutta la Chiesa ci propone una stu-penda Parola presa dalla Lettera agli Ebrei: “Prestiamoattenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicendanella carità e nelle opere buone” (Eb 10,24). E’ unaParola così opportuna per noi che viviamo in un tempodove all’apparenza, nei momenti ufficiali e nei procla-mi, sembriamo animati dalla solidarietà, dal rispettovicendevole, dall’attenzione al più debole, ma poinella realtà della vita quotidiana viviamo chiusi neinostri interessi, ripiegati su noi stessi, senza neppureconoscere i problemi anche di chi ci sta vicino. Suquesta parola così chiara e pertinente il Papa dice: “Misoffermo sul versetto 24 che in poche battute, offre uninsegnamento prezioso e sempre attuale”. Per tutti noil’accoglienza di questa Parola lasciando che essapossa penetrare nel profondo della nostra vita, lasapiente ed umile meditazione su quello che essavuole dire a noi e alle nostre comunità ecclesiali, saràun modo concreto di metterci in un cammino quaresi-male che ci porterà ad un rinnovamento interiore ed acelebrare con gioia la Pasqua del Signore.“Prestiamo attenzione gli uni agli altri”: uscendo dal-l’indifferenza, dal chiuso della nostra vita, alzando gliocchi su coloro che ci stanno intorno, sentendo l’altronon un estraneo, ma un fratello. Sembrerebbe una cosa

così semplice e così ovvia, sarebbe così belloper tutti noi, sarebbe la soluzione a tutti i pro-blemi della vita sociale, sarebbe una nuovaumanità, sarebbe un ripristinare il progetto ini-ziale dell’umanità. La storia e la vita quotidianaci dicono che tutto questo, che sarebbe la cosapiù normale, è stato stravolto ed è diventatomaledettamente complicato a causa del peccato.Il cammino quaresimale è un liberarci daglieffetti del peccato ed un tornare alla vita verasentendoci responsabili gli uni degli altri, custo-di dei fratelli, creature e figli dell’unico Padre,instaurando relazioni caratterizzate da premurareciproca, da attenzione al bene dell’altro.E’ la proposta della fraternità come princi-pio del vivere insieme, come soluzione ditutti i problemi umani.

P. Lorenzo Di Giuseppe, ofm

marzo 2012 il Cantico 2

TEMPO DI QUARESIMA: IN CAMMINO

Nella vita di S. Francesco, vita di penitente in continuocammino di conversione, la Quaresima aveva un signifi-cato particolare. Nell’arco dell’anno Francesco celebra-va 5 Quaresime: praticamente la maggior parte dei suoigiorni. D’altra parte lo spirito della Quaresima coincide-va perfettamente con la vita interiore di S. Francesco chefin dall’inizio della sua conversione afferma: “uscii dalsecolo” (Testamento, FF 110). In questo modo egli carat-terizza la sua vita nuova come uscita dallo spirito delmondo e come deciso cammino verso Gesù Crocifisso chelo aveva chiamato per nome a S. Damiano. Tutta la suavita sarà un portare “frutti degni di penitenza”.(Esortazione ai Fratelli e alle sorelle della penitenza, FF178/1).

Guido Reni, S. Francesco in preghiera, XVII sec.

marzo 2012 il Cantico 3

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Cooperativa SocialeFRATE JACOPA

Per sostenere progetti di fraternità e di pace

La Cooperativa Sociale Frate Jacopa, è finalizzata arendere concreta nel quotidiano la dottrina sociale dellaChiesa secondo lo spirito di S. Francesco, attraversoattività sociali, educative, formative, ed in particolareattraverso progetti a favore degli ultimi.Vuole essere uno strumento per rispondere meglio abisogni di categorie cui necessita aiuto, uno strumen-to operativo per prendersi cura del bene comune nellainterazione con la società civile e con le istituzioni neivari territori.L’auspicio dei soci fondatori è che la Cooperativa FrateJacopa possa essere utile affinché il lievito della fraterni-tà possa sempre meglio rendersi presente nella Chiesae nella società, nella immutata fedeltà al carisma france-scano, ricercando forme adeguate alla novità dei tempiper incontrare e servire i fratelli, facendoci loro prossimi.E sostenendo nella concreta operatività quella culturadella pace e del bene a cui sono chiamati i seguaci di S.Francesco nel mondo.Anche tu puoi sostenere le opere di fraternità desti-nando il 5 per mille alla Soc. Cooperativa Sociale FrateJacopa. Per farlo basta apporre nella tua dichiarazionedei redditi il numero di codice fiscale della CooperativaSociale Frate Jacopa, CF 09588331000, nell’appositoriquadro con la tua firma.La Cooperativa Frate Jacopa è a tua disposizione perqualsiasi chiarimento, tel. e fax 06631980, cell.3282288455, 00165 Roma, Viale delle Mura Aurelie, 8,www.coopfratejacopa.it, [email protected].

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“ECCE HOMO”

Gesù Cristo, quando prendesti fra le mani quel pugno di terra

e la impastasti per dar vita ad Adamo, non avevi pensato che altra terra sarebbe

poi entrata nel vivo delle tue piaghe, mentre ripetutamente cadevi

sotto il peso del patibolo salendo al Calvario?

Non avevi pensato che tu, il più bello, il più santo, il più innocente

fra gli uomini, saresti stato barbaramente ucciso per mano delle tue creature?

E che la libertà che tu avevi loro donatosarebbe stata causa della tua morte in croce?

Non sapevi che poi altri uomini scelleratiavrebbero ridotto in cenere da concime milioni di tuoi fratelli, come te circoncisi?

E che questa libertà avrebbe creato Auschwitz e ogni altro triste luogo in cui

la vita umana è sistematicamente annientata?

Sì, tu sapevi tutte queste cose, ma non potevi non donarci la libertà, mediantela quale possiamo scegliere il bene o il male; eper la nostra libertà hai pagato tu per tutti noi.

Sì, ogni “Ecce homo” morto per mani d’uomo, tu l’hai riscattato versando il tuo sangue,

ed ora egli vive in eterno con te; perché tu, l’Eterno,

l’hai fatto immortale, nel momento in cui hai soffiato il tuo Spirito in quel pugno di terra!

A te, l’ “ECCE HOMO” per eccellenza,il prototipo di ogni uomo che ha sofferto,

soffre e ancora soffrirà in questa Valle di lacrime,con tutti coloro che già vivono con te

in eterno nelle braccia amorose del Padre,rendo lode, azione di grazie e benedizione,

a te, Gesù Cristo, che sei il Primo, l’Ultimo e il Vivente !

Maria Grazia Chatel

Fratelli e sorelle,la Quaresima ci offre ancorauna volta l’opportunità diriflettere sul cuore della vitacristiana: la carità. Infatti que-sto è un tempo propizio affin-ché, con l’aiuto della Paroladi Dio e dei Sacramenti, rin-noviamo il nostro camminodi fede, sia personale checomunitario. È un percorsosegnato dalla preghiera edalla condivisione, dal silen-zio e dal digiuno, in attesa divivere la gioia pasquale.Quest’anno desidero propor-re alcuni pensieri alla luce diun breve testo biblico trattodalla Lettera agli Ebrei:«Prestiamo attenzione gliuni agli altri, per stimolarci avicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). Èuna frase inserita in una pericope dove lo scrittoresacro esorta a confidare in Gesù Cristo comesommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono el’accesso a Dio. Il frutto dell’accoglienza di Cristoè una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali:si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sinceronella pienezza della fede» (v. 22), di manteneresalda «la professione della nostra speranza» (v. 23)nell’attenzione costante ad esercitare insieme aifratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Siafferma pure che per sostenere questa condottaevangelica è importante partecipare agli incontriliturgici e di preghiera della comunità, guardandoalla meta escatologica: la comunione piena in Dio(v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in pochebattute, offre un insegnamento prezioso e sempreattuale su tre aspetti della vita cristiana: l’attenzio-ne all’altro, la reciprocità e la santità personale.

1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità versoil fratelloIl primo elemento è l’invito a «fare attenzione»: ilverbo greco usato è katanoein, che significa osserva-re bene, essere attenti, guardare con consapevolezza,accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo,quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gliuccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono ogget-to della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfrLc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel

proprio occhio prima di guar-dare alla pagliuzza nell’oc-chio del fratello (cfr Lc 6,41).Lo troviamo anche in un altropasso della stessa Lettera agliEbrei, come invito a «presta-re attenzione a Gesù» (3,1),l’apostolo e sommo sacerdotedella nostra fede. Quindi, ilverbo che apre la nostra esor-tazione invita a fissare losguardo sull’altro, prima ditutto su Gesù, e ad essereattenti gli uni verso gli altri, anon mostrarsi estranei, indif-ferenti alla sorte dei fratelli.Spesso, invece, prevale l’at-teggiamento contrario: l’in-differenza, il disinteresse, chenascono dall’egoismo, ma-scherato da una parvenza di

rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuonacon forza la voce del Signore che chiama ognuno dinoi a prendersi cura dell’altro. Anche oggi Dio cichiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen4,9), di instaurare relazioni caratterizzate da premurareciproca, da attenzione al bene dell’altro e a tutto ilsuo bene. Il grande comandamento dell’amore delprossimo esige e sollecita la consapevolezza di avereuna responsabilità verso chi, come me, è creatura efiglio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molticasi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’al-tro un vero alter ego, amato in modo infinito dalSignore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità,la solidarietà, la giustizia, così come la misericordiae la compassione, scaturiranno naturalmente dalnostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava cheil mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza difraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiedemeno nella dilapidazione delle risorse o nel loroaccaparramento da parte di alcuni, che nella man-canza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett.enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66).L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui oper lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, moralee spirituale. La cultura contemporanea sembra aversmarrito il senso del bene e del male, mentre occor-re ribadire con forza che il bene esiste e vince, per-ché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il beneè ciò che suscita, protegge e promuove la vita, lafraternità e la comunione. La responsabilità verso il

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MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2012«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci nella carità

e nelle opere buone» (Eb 10,24)

prossimo significa allora volere e fare il bene del-l’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logi-ca del bene; interessarsi al fratello vuol dire apriregli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scritturamette in guardia dal pericolo di avere il cuore indu-rito da una sorta di «anestesia spirituale» che rendeciechi alle sofferenze altrui. L’evangelista Lucariporta due parabole di Gesù in cui vengono indi-cati due esempi di questa situazione che può crear-si nel cuore dell’uomo. In quella del buonSamaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre»,con indifferenza, davanti all’uomo derubato e per-cosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella delricco epulone, quest’uomo sazio di beni non siavvede della condizione del povero Lazzaro chemuore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19).In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contra-rio del «prestare attenzione», del guardare conamore e compassione. Che cosa impedisce questosguardo umano e amorevole verso il fratello? Sonospesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma èanche l’anteporre a tutto i propri interessi e le pro-prie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapa-ci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai ilnostro cuore deve essere talmente assorbito dallenostre cose e dai nostri problemi da risultare sordoal grido del povero. Invece proprio l’umiltà dicuore e l’esperienza personale della sofferenzapossono rivelarsi fonte di risvegliointeriore alla compassione e all’em-patia: «Il giusto riconosce il dirittodei miseri, il malvagio invece nonintende ragione» (Pr 29,7). Si com-prende così la beatitudine di «coloroche sono nel pianto» (Mt 5,4), cioè diquanti sono in grado di uscire da sestessi per commuoversi del dolorealtrui. L’incontro con l’altro e l’aprireil cuore al suo bisogno sono occasio-ne di salvezza e di beatitudine.Il «prestare attenzione» al fratellocomprende altresì la premura per ilsuo bene spirituale. E qui desiderorichiamare un aspetto della vita cri-stiana che mi pare caduto in oblio: lacorrezione fraterna in vista della sal-vezza eterna. Oggi, in generale, si èassai sensibili al discorso della cura edella carità per il bene fisico e mate-riale degli altri, ma si tace quasi deltutto sulla responsabilità spiritualeverso i fratelli. Non così nella Chiesadei primi tempi e nelle comunitàveramente mature nella fede, in cui cisi prende a cuore non solo la salutecorporale del fratello, ma anche quel-la della sua anima per il suo destinoultimo. Nella Sacra Scrittura leggia-mo: «Rimprovera il saggio ed egli tisarà grato. Dà consigli al saggio ediventerà ancora più saggio; istruisci

il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s).Cristo stesso comanda di riprendere il fratello chesta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Ilverbo usato per definire la correzione fraterna –elenchein – è il medesimo che indica la missioneprofetica di denuncia propria dei cristiani versouna generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11).La tradizione della Chiesa ha annoverato tra leopere di misericordia spirituale quella di «ammo-nire i peccatori». È importante recuperare questadimensione della carità cristiana. Non bisognatacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamen-to di quei cristiani che, per rispetto umano o persemplice comodità, si adeguano alla mentalitàcomune, piuttosto che mettere in guardia i proprifratelli dai modi di pensare e di agire che contrad-dicono la verità e non seguono la via del bene. Ilrimprovero cristiano, però, non è mai animato daspirito di condanna o recriminazione; è mossosempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga davera sollecitudine per il bene del fratello.L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpresoin qualche colpa, voi che avete lo Spirito corregge-telo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso,per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nelnostro mondo impregnato di individualismo, ènecessario riscoprire l’importanza della correzionefraterna, per camminare insieme verso la santità.

marzo 2012 il Cantico 5

Van Gogh “Il buon samaritano”.

Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dicela Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli(cfr 1 Gv 1,8). È un grande servizio quindi aiutaree lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, permigliorare la propria vita e camminare più retta-mente nella via del Signore. C’è sempre bisogno diuno sguardo che ama e corregge, che conosce ericonosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61),come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.

2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocitàTale «custodia» verso gli altri contrasta con unamentalità che, riducendo la vita alla sola dimen-sione terrena, non la considera in prospettivaescatologica e accetta qualsiasi scelta morale innome della libertà individuale. Una società comequella attuale può diventare sorda sia alle soffe-renze fisiche, sia alle esigenze spirituali e moralidella vita. Non così deve essere nella comunitàcristiana! L’apostolo Paoloinvita a cercare ciò che porta«alla pace e alla edificazionevicendevole» (Rm 14,19), gio-vando al «prossimo nel bene,per edificarlo» (ibid. 15,2),senza cercare l’utile proprio«ma quello di molti, perchégiungano alla salvezza» (1 Cor10,33). Questa reciproca corre-zione ed esortazione, in spiritodi umiltà e di carità, deve esse-re parte della vita della comuni-tà cristiana.I discepoli del Signore, uniti aCristo mediante l’Eucaristia,vivono in una comunione che lilega gli uni agli altri comemembra di un solo corpo. Ciòsignifica che l’altro mi appartie-ne, la sua vita, la sua salvezzariguardano la mia vita e la mia salvezza.Tocchiamo qui un elemento molto profondo dellacomunione: la nostra esistenza è correlata conquella degli altri, sia nel bene che nel male; sia ilpeccato, sia le opere di amore hanno anche unadimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico diCristo, si verifica tale reciprocità: la comunità noncessa di fare penitenza e di invocare perdono per ipeccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di con-tinuo e con giubilo per le testimonianze di virtù edi carità che in essa si dispiegano. «Le varie mem-bra abbiano cura le une delle altre» (1 Cor 12,25),afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo.La carità verso i fratelli, di cui è un’espressionel’elemosina – tipica pratica quaresimale insiemecon la preghiera e il digiuno – si radica in questacomune appartenenza. Anche nella preoccupazio-ne concreta verso i più poveri ogni cristiano puòesprimere la sua partecipazione all’unico corpoche è la Chiesa. Attenzione agli altri nella recipro-cità è anche riconoscere il bene che il Signore

compie in essi e ringraziare con loro per i prodigidi grazia che il Dio buono e onnipotente continuaa operare nei suoi dare gloria al Padre celeste (cfrMt 5,16).

3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelleopere buone”: camminare insieme nella santitàQuesta espressione della Lettera agli Ebrei (10,24)ci spinge a considerare la chiamata universale allasantità, il cammino costante nella vita spirituale, adaspirare ai carismi più grandi e a una carità semprepiù alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13).L’attenzione reciproca ha come scopo il mutuospronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore,«come la luce dell’alba, che aumenta lo splendorefino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere ilgiorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci èdato nella nostra vita è prezioso per scoprire ecompiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Così

la Chiesa stessa cresce e si svi-luppa per giungere alla pienamaturità di Cristo (cfr Ef 4,13).In tale prospettiva dinamica dicrescita si situa la nostra esorta-zione a stimolarci reciproca-mente per giungere alla pienez-za dell’amore e delle buoneopere.Purtroppo è sempre presente latentazione della tiepidezza, delsoffocare lo Spirito, del rifiutodi «trafficare i talenti» che cisono donati per il bene nostro ealtrui (cfr Mt 25,25s). Tuttiabbiamo ricevuto ricchezze spi-rituali o materiali utili per ilcompimento del piano divino,per il bene della Chiesa e per lasalvezza personale (cfr Lc12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri

spirituali ricordano che nella vita di fede chi nonavanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamol’invito sempre attuale a tendere alla «misura altadella vita cristiana» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap.Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31).La sapienza della Chiesa nel riconoscere e procla-mare la beatitudine e la santità di taluni cristianiesemplari, ha come scopo anche di suscitare ildesiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta:«gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani unatestimonianza rinnovata di amore e di fedeltà alSignore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi pergareggiare nella carità, nel servizio e nelle operebuone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolar-mente forte nel tempo santo di preparazione allaPasqua. Con l’augurio di una santa e fecondaQuaresima, vi affido all’intercessione della BeataVergine Maria e di cuore imparto a tutti laBenedizione Apostolica.

Papa Benedetto XVI

marzo 2012 il Cantico 6

È possibile parlare di Dio parlando del mondo? Può illinguaggio dell’uomo dire Dio? o l’uomo può solo par-lare di se stesso e non trascendersi, pena la caduta nel-l’assurdo, nell’insensatezza?Secondo una forma di ateismo oggi in voga (ateismosemantico), sembra che l’uomo non possa in modo sen-sato parlare di Dio, perché solo Dio può parlare di sestesso. L’uomo non può superare se stesso. Trascendersiè un’illusione.A queste problematiche si può rispondere che se Dio si èincarnato sulla terra in Cristo, parlando di Dio non si tra-scende il mondo e se stessi. Le parole di S. Francesco possono offrire una luce, unasperanza, una soluzione alla ricerca di senso in questomondo: “…scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi ipiedi e con quella carità di cui sono capace, che prestia-te tutta la riverenza e tutto l’onore che vi sarà possibileal santissimo corpo e sangue del Signore Nostro GesùCristo, nel quale le cose che sono nei cieli e quelle chesono sulla terra, sono state pacificate e riconciliate a Dioonnipotente” (Lettera a tutto l’Ordine; FF 217).Da queste parole risulta un modo nuovo di guardare ilmondo e di interpretarlo alla luce della centralità delcorpo di Cristo. Cristo ha espresso il divino nell’umano. Egli è il cosmiz-zatore, colui che toglie dal caos e dal non senso questomondo terrestre. Tutta la terra è sua patria. Non occorro-no templi e luoghi privilegiati per circoscrivere il sacro. Gli antichi costruivano il tempio (da temnei = tagliare) perritagliare lo spazio sacro all’interno del quale il mondo tra-esse il senso. Il tempio era cosmizzatore poiché da esso sidava senso al mondo intero.S. Francesco, invece, non si chiude nel tempio o nelmonastero. Per lui il mondo intero è il suo monastero.Frutto della sua conversione, cioè della nuova visione delmondo e della fede, è il suo incamminarsi per i montidell’Umbria cantando, anziché rinchiudersi nel chiostro.Tutto è sacro. Egli prega ovunque. Anzi, le sue preghie-re più forti sono nella foresta della Verna, nel mondo. Non ha senso chiudersi nel proprio mondo e lasciare fuorigli altri. S. Francesco, infatti, costruisce ponti fra sé e ilmondo profano poiché, nella sua conversione, ridà senso almondo vedendolo cosmizzato intorno al corpo di Cristo. Il corpo di Cristo risulta la totalità del campo espressivodi Francesco che dà un senso nuovo a questo mondo e loesprime nel suo linguaggio, perché vede il mondo comepatria del corpo di Cristo.Ma per il francescano S. Bonaventura, causa il peccato, l’uo-mo ha perso la capacità di leggere il libro della natura. Ne haperso l’alfabeto. Per questo Dio ha mandato un altro librocon cui poter di nuovo interpretare il primo libro scritto daDio creatore: la Bibbia.La Bibbia è la chiave nuova che riesce a far leggere illibro del mondo, a far ricuperare il senso del mondo. S.Francesco legge il mondo nel linguaggio biblico il cuiermeneuta è Cristo. L’amore singolare di Francescoverso le creature (il sole, il fuoco, le stelle, la terra, l’ac-qua…) non esprime un’immediatezza estetica e neppureun modo di sentire sacrale e numinoso proprio dei popo-

li primitivi. Le creature hanno un significato simbolicodel corpo di Cristo: Cristo è l’acqua viva (Gv 4,11),fuoco (Lc 12,49), pietra angolare (1Pt 2,7), luce (GV8,12)… L’atteggiamento di sommo rispetto verso l’acqua limpi-da, le pietre, il fuoco, che si esprime nel linguaggio diFrancesco sempre positivo e privo degli aspetti negativie terrificanti, dà senso alla loro realtà nell’orizzonte delcorpo di Cristo.Il corpo di Cristo, per Francesco, ha consacrato il mondoe, perciò, il mondo intero può essere terra, chiesa, patriadi ogni uomo.La caratteristica fondamentale della fede di Francescoconsiste nel cedere la realtà a Dio e vedere se stesso e ilmondo non come realtà in sé, ma come simboli di Dio.S. Francesco legge la realtà a partire dal corpo di Cristo,non dice Dio a partire da se stesso. In questo risiede laconcretezza fortissima della sua fede. L’esistere delcorpo di Cristo è indicato nella totale fragilità, onderisulta un puro esistere.Cristo è prefigurato nell’agnello che viene ucciso e la cuimorte è un’immolazione perché è accettata senza rabbiae senza difesa.È il linguaggio del Cristo che ambienta l’esistere degliuccelli del cielo che non seminano e non mietono; tutta-via sono vestiti e nutriti in un esistere aperto alla solleci-ta cura del Padre celeste di cui Cristo è testimonianzaevidente. Come non ricordare il dialogo di S. Francesco con gliuccelli, la tenerezza sollecita verso l’agnello e le creatu-re più deboli, il verme tolto dalla strada perché nonvenga schiacciato, il suo andare incontro al lupo diGubbio?S. Francesco ha potuto esprimere un nuovo linguaggio sulmondo, perché tutta la terra trova in Cristo il suo senso. Ilcorpo di Cristo è l’unico luogo privilegiato in cui si attua lacomunione tra Dio e la terra, ed è l’unica possibilità di par-lare concretamente e sensatamente di Dio.

Tratto da una relazione di p. Cherubino Bigi

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SAN FRANCESCO E IL MONDO

Tra le sfide dei nostri giorni vi è quella di educarei giovani a cercare la vera giovinezza, a compiernei sogni e i desideri in modo profondo.Se non si educano i giovani al senso e dunque alrispetto e alla valorizzazione della vita, si finisceper impoverire l’esistenza di tutti, ci si espone alladeriva della convivenza sociale e si facilita l’emar-ginazione di chi fa più fatica.Per educare i giovani alla vita servono adulti con-tenti del dono dell’esistenza, nei quali non preval-ga il cinismo, il calcolo e la ricerca del potere, dellacarriera e del divertimento fine a se stesso.Sappiamo che ci sono periodi che incutono in tutti,ma soprattutto nei più giovani, un senso di inquie-tudine e di smarrimento. Chi ama la vita non negale difficoltà, si impegna però a scoprire che cosarende più aperti al manifestarsi del “senso”, inquell’ ottica di trascendenza a cui tutti anelano.Dobbiamo avere la consapevolezza del nostro esi-stere solo in rapporto agli altri, la “barbarie” iniziaquando alle persone manca il senso, l’orientamen-to, il significato della loro vita. Ciascuno deveriscoprire in sé e nel suo prossimo, che non ci èdato di scegliere, la profonda natura di essereumano. Ed è dal profondo del cuore dell’uomo chebisogna ripartire per costruire il futuro, perché

senza vita interiore, senza spessore etico, nessunmondo potrà sopravvivere.Un altro aspetto di particolare importanza è il ruolodella tecnocrazia nella nostra società attuale.La tecnocrazia è una ideologia che pone la tecnè, lacapacità umana di usare strumenti e metodi inge-gnosamente trovati dall’intelligenza umana, inmodo sganciato dal giudizio di valore, il quale inve-ce è sempre possibile, anzi doveroso, per la ragio-nevolezza (ragione + sapienza). Idolatrare la tecnicafino a farne strumento di potere (tecno-crazia,appunto) equivale a giustificare ogni atto per il solofatto che è compibile, che si riesce a fare. La que-stione conosce modernamente molti esempi concre-ti: voglio un figlio che non riesco ad avere? Poiché èpossibile ricorrere a tecniche che lo “costruiscono”,magari quasi a misura di auspici fortemente deside-rati, la tecnocrazia non esita a rispondere: “si puòfare”. Dove il verbo “può” non è solo la descrizionedi ciò che è realizzabile (salvo poi pagare prezzialtissimi in termini di delusione e inaffidabilità disoluzioni spacciate per “scientifiche” e in realtàampiamente fallimentari), ma assume anche il signi-ficato di eticamente non indagabile. Sembra quasiche il “fare” non giustifichi solo il “come” agire, maanche il “perché”. Analogamente, anche morire

diviene argomento di fattibilità, incui le domande si limitano a chideve provvedere, a chi deve rego-lamentare (il soggetto? Il medico?Lo Stato?) gli atti volti a procurarela morte. Mi sembra evidente in unsimile contesto la soppressionedella domanda fondamentale: per-ché vivere? Ecco che la tecnocra-zia attua quel “deserto di insensa-tezza” che caratterizza il viveremoderno: la vita umana non èpriva di senso perché sofferente,ma è sofferente perché privatadella ricerca del senso. Il fare, latecnica, trova il suo senso al difuori di se stessa, non è la fontedella propria sensatezza. E que-sta ci sembra una constatazioneprofondamente umana e speri-mentabile da ciascuno nella quo-tidianità.

A cura di Rita Montante

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EDUCARE I GIOVANI ALLA VITAGiovedì 9 Febbraio presso i locali della Parrocchia S. Maria Goretti a Bologna, si è tenuto l’incon-tro “Educare i giovani alla vita” organizzato dalla Fraternità Francescana Frate Jacopa in collabo-razione con il Servizio di accoglienza alla vita (SAV) di Bologna e la Parrocchia stessa, nell’ambitodelle iniziative organizzate dalla Diocesi per la 34ª giornata della vita. La Dottoressa ChiaraMantovani, esperta di bioetica, ci ha invitato a riflettere su diversi aspetti partendo proprio dalMessaggio dei Vescovi.

IL PROBLEMA DELL’AMBIENTEUna delle grandi sorprese del nostro tempo è sco-prire che l’universo è una meraviglia di fronte ainostri occhi e, nello stesso tempo, constatare il suoterribile deterioramento, giunto a un punto tale chela salvaguarda e tutela dell’ambiente costituisconoil problema più urgente e grave dell’attualità. È vero che l’ecologia è una scienza interdisciplina-re che deve garantire tecniche rispettose e politichedi tutela ma essa richiede anche l’acquisizione diuna nuova mentalità da parte di tutti gli abitanti delmondo.Oggi l’ecologia presenta non poche ambiguità, per-ché racchiude in uno stesso progetto analitico e pro-positivo elementi scientifici, tecnici, sociali, cultura-li, politici ed economici, spesso mescolati a ideologieinteressate e fini parziali. L’ecologia, nata alla finedel secolo XIX come un ramo della biologia, negliultimi anni si è sviluppata tanto che già costituisce unalbero frondoso con rami ben diversificati.Si parla di ecologia pensata e sentita, di ecologia razio-nalizzata e vissuta, di ecologia innestata nelle menti edi ecologia iniettata nei sentimenti, di ecologia salda edi ecologia di serra. Nell’ecologia troviamo moltabuona volontà e una gran quantità di pensiero fuor-viante. Con non poca ironia e grande verità GregoryBateson affermava nel suo libro “Verso un’ecologiadella mente” che “c’è un’ecologia delle cattive ideecome c’è un’ecologia delle cattive erbe”. Si potrebbeanche dire che c’è un’eco-logia dei buoni propositi edi pensieri avvelenati, deibuoni sentimenti e delleazioni inquinanti. Nasceda qui l’urgenza di rag-giungere un buon giudiziocritico per distinguere unautentico problema am-bientale e sociale da quel-lo che può essere sempli-cemente un movimentocircostanziale, una moda,un’ideologia o un sempli-ce motivo per una marciachiassosa.Temi quali il migliora-mento dell’ambiente, l’in-

quinamento, l’impatto del riscaldamento globale,la qualità della vita, le tecnologie estreme e quellesostenibili, il riciclo, ecc. si ripetono costantemen-te nella vita ordinaria come espressione di unanuova mentalità interessata al deterioramento dellanatura, del territorio, di mari, fiumi, boschi, città,dell’alimentazione, ecc.Ma al di là degli aspetti del movimento ecologistache possono nascere dalla moda ed essere prodottistorici, la coscienza ecologica ci pone seri proble-mi e ci obbliga a rivedere i presupposti della civil-tà industriale e la pratica dominante del consumi-smo nei paesi sviluppati. La situazione ecologica eambientale attuale costituisce forse la problematicapiù grave e più seria del nostro tempo, in cui sonocoinvolti e compromessi tutti gli uomini: credenti eatei, scienziati e analfabeti, filosofi e mistici, teolo-gi e tecnici, artisti e artigiani, impresari e operai,colti e ignoranti, vivi e defunti.E. Haeckel, nella sua opera Morfologia generaledegli organismi (1866) adottò la parola ecologiaper designare la scienza che studia le relazioni tragli organismi vivi e l’ambiente in cui vivono.Secondo questo biologo tedesco, l’ecologia è “l’in-sieme di tutte le relazioni favorevoli o avverse di unanimale o di una pianta con il suo ambiente orga-nico o inorganico, compresi gli altri esseri viventi”.È la scienza che studia le interazioni tra gli esseriviventi e il loro ambiente. Da allora fino ai nostri

giorni l’ecologia, comescienza, è diventata piùcomplessa, ma in fondosi tratta della scienzadelle relazioni di tutti gliesseri che costituisconoil mondo naturale.L’ecologia ha cessato diessere una disciplina par-ticolare e settoriale perdiventare una problemati-ca universale, totalizzantee interdisciplinare. Purconservando la sua pecu-liarità scientifica, è diven-tata una concezione delmondo nella quale sonoimplicati elementi scien-

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SSCCUUOOLLAA DDII PPAACCEE““LL’’AAMMBBIIEENNTTEE EE LL’’UUNNIIVVEERRSSOO FFRRAANNCCEESSCCAANNOO””

ETICA E TUTELA DELL’AMBIENTEProf. José Antonio Merino (Pontif. Univ. Antonianum)

tifici, tecnologici, economici, filosofici, etici, politici,religiosi ed estetici. E’ riuscita a creare una scienzaspeciale che oltrepassa l’ambito puramente scientifi-co per presentarsi come una filosofia della vita.Gli studi progressivi dell’ecologia scoprono nel-l’ambiente naturale un universo di relazioni interdi-pendenti tra gli esseri viventi e quelli inanimati conil mondo nel quale stanno, vivono e si sviluppano.La natura, come sottolinea Edgar Morin, è eco-orga-nizzazione. Costituisce un sistema operativo che siesprime con la nozione di ecosistema, un termineconiato da A. G. Tansley nel 1935 per indicare isistemi di interazione individuali come categoria aparte tra i vari sistemi fisici dell’universo.L’ecologia non considera più e non interpreta ilmondo naturale con principi meccanicistici, macon teorie essenzialmente olistiche e vitaliste,come un corpo armonico e attivo in cui il tuttoregola le diverse parti. Da questa prospettiva lanatura appare come un insieme interrelazionato einterdipendente in cui i vari ecosistemi si integranoin un progetto planetario interattivo.

ECOLOGIA SOCIALESe l’ecologia è la scienza che si occupa delle com-plesse relazioni di tutti gli organismi viventi con illoro ambiente, deve contemplare anche la specieumana, la sua dipendenza e il suo comportamentoverso l’ambiente e verso tutti gli esseri che sono inesso. Nasce da qui la necessità di una ecologiasociale, se si considerano tanto le relazioni tra gliesseri umani quanto quelle di questi ultimi con l’am-biente. Gli esseri umani occupano un posto specialenella natura, nella quale non si accontentano sempli-cemente di stare, ma intendono stare bene, in modo

che, grazie alla ragione, alla volontà e al sentimento,possono trasformare la natura in sopra-natura osotto-natura, mediante la forza potente e imprevedi-bile della tecnica. Deriva da qui la necessità di unaetica, perché l’uomo non sia un predatore e undespota delle risorse naturali e non danneggi la stes-sa natura, ma la protegga e la tuteli.Se la natura è una grande comunità di comunitànaturali, è ovvio che si debba scoprire e rispettarela legge interna di vincolo e interdipendenza, laquale regola tutto il mondo naturale che costituisceun macrosistema. Le scienze naturali e socialidevono stipulare un’importante alleanza tra di loro,evidenziando con ciò che i problemi economici,sociali, di giustizia e disuguaglianza, sono intima-mente uniti con la gestione e l’amministrazionedell’ecosistema o, meglio ancora, degli ecosistemidel mondo naturale.I promotori dell’ecologia sociale sottolineano chela coscienza ecologica implica non solo l’analisidelle relazioni dell’uomo con l’ambiente naturale efisico, ma anche i rapporti dell’uomo con l’uomo.

L’ecologia sociale affronta diretta-mente il vincolo e la dipendenza dellaspecie umana nel mondo naturale, masi attiene anche ai fattori sociali,organizzativi e funzionali della socie-tà umana. Da questa prospettivaemerge spiccatamente la scandalosadifferenza tra i paesi ricchi e quellipoveri, insieme alle cause che la pro-vocano.La comunità umana, ecologicamenteequilibrata, esige una profonda revi-sione critica dei molteplici vincolidell’uomo. Ciò comporta una criticadei sistemi sociali, politici ed econo-mici vigenti. L’ecologia sociale ponein rilievo che il problema ecologico èuna grande questione sociologica.Questi problemi devono essereaffrontati e risolti insieme.

ECOLOGIA PLANETARIAData l’inestricabile interrelazionedegli ecosistemi del mondo naturale,deve essere sentita la necessità di un’ecologia planetaria o conglobante,poiché si richiede di coinvolgere in

un sistema integratore le componenti naturali, tec-niche e culturali. La natura è l’orrizzonte adeguatodella società, ma la società non può essere ostilealla natura, al contrario deve integrarsi con essa.Non è possibile che esista una natura pura e nep-pure una società pura. La relazione natura-uomo-società-tecnica deve esser illuminata da principiorientativi, cioè filosofici ed etici, che superando ladialettica dell’antagonismo irriducibile giunga aun’unità di comunione e di solidarietà.Urge raggiungere e strutturare una mutua relazionee interdipendenza tra ecologia, sociologia, econo-

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mia, politica, diritto e filosofia. La problematicaecologica non è semplicemente locale, regionale,nazionale e continentale. E’ un problema cosmicoche riguarda tutta l’umanità e non può essereaffrontato in termini provinciali, ma deve esseregestito a livello di biosfera e in prospettiva univer-sale.L’era della tecnica sta rivelando il senso profonda-mente antropologico delle categorie del possedere,dell’avere e del dominare. Ci troviamo non solodavanti alla perdita di alcuni beni che possedeva-mo, ma di fronte ad una realtà più radicale: la per-dita di quello che siamo.Forse questa situazione nera e l’inquinamentogeneralizzato sembrano effetto e conseguenza diun errore profondamente umano. Già anni faGabriel Marcel parlava dell’inquinamento ambien-tale come di “una degradazione infinitamente piùessenziale, e che tocca il modo stesso con cui l’uo-mo, credendo di prendere sulle sue spalle il propriodestino, si è allontanato da quelle che potrebberoessere chiamate le sue radici ontologiche” (G.Marcel, En chemin, vers quel éveil? Paris, 1971, p.203). Non c’è dubbio che il male cosmologico siariflesso del male antropologico. Questo male este-riore è il risultato di una certa perversione interioredell’essere umano, perché c’è una grande corri-spondenza tra psicologia interiore ed ecologia este-riore. Con la pretesa di conquistare la natura, l’uo-mo l’ha sfigurata. La prodigiosa tecnica ha per-messo grandi progressi positivi per l’uomo e per ilsuo benessere, anche se non a tutti nello stessomodo, ma ha determinato anche un mondo frattu-rato e ha snaturato la sorella-madre terra.

ETICA AMBIENTALE O ETICA AMBIENTALISTA?Da tempo nelle discussioni sulla tutela dell’ambientesi parla di etica ambientale. Anche se spesso se neparla al singolare, non esiste un’etica ambientale.L’etica ambientale nono-stante sia una disciplinalimitata e in sé circoscrittanon si presenta come uninsieme sistematico diprincipi e di dottrine masoprattutto come un oriz-zonte concettuale apertoche si caratterizza da unagrande pluralità di inter-pretazioni, soluzioni edapprocci. Infatti c’è unapluralità di etiche ambien-tali che dipendono dallametafisica implicita oesplicita dalla quale parto-no, cioè da una metafisicamaterialista, spiritualista,idealista, vitalista, olisticao regionalista, ecc. Valgacome esempio il seguenteelenco di etiche.

Etiche biocentriche seguendo la prospettiva diAlbert Schweitzer e Aldo Leopold e P. Taylor.Etiche che presentano un complicato egualitarismotra tutti gli esseri del pianeta. Etiche sensiocentri-che che considerano soggetti morali tutti gli esseridotati della capacità di sentire come propongono J.Passmore, A. Krebs, P. Singer, John Rodman, MaryAnn Warren fautrice di una “teoria debole dei dirit-ti animali”, tra altri. Etiche ecocentriche e olistichedi Richard Sylvan, Holmes Rolston, Arne Naess,ecc. che offrono un sistema morale in cui l’obbli-gazione scaturisce dal riconoscere valore intrinse-co alla natura, concepita come un tutto organico.Etiche ambientali antropologiche che in una visio-ne olistica interpretano l’uomo come realtà supe-riore nella scala degli esseri naturali. Questa eticaantropocentrica fonda i suoi presupposti sull’esi-genza che l’uomo si prenda cura e risponda del-l’integrità di tutta la comunità viva. Etica ambien-tale come etica della responsabilità verso le gene-razioni future. Occorre citare qui il libro di HansJonas, Il principio responsabilità che, sebbene siastato stato pubblicato nel 1979, continua a essereun studio fondamentale. Secondo Jonas se l’eticasociale richiede la morale del qui e ora, l’etica eco-logica guarda più il futuro e propone una moraledel qui e dopo, perché ci obbliga a pensare allegenerazioni future e ad agire di conseguenza. Laterra non ci appartiene, ma è patrimonio di tutte legenerazioni. Per questo siamo responsabili di fron-te alle generazioni future, che hanno il diritto difruire della terra come le persone del passato equelle del presente, perché è la casa comune.Non solo è necessaria un’etica ambientale, maqualcosa di più profondo ed essenziale, cioè unacultura ecologica o, se si preferisce, una spirituali-tà ecologica che sorge dal sentimento di simpatiacosmica come indica Max Scheler e si traduce inun comportamento fraterno e di rispetto per la

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natura e tutti gli esseri che la abitano, tanto anima-ti come inanimati. Più che un’etica ci vuole unamistica e un’estetica del mondo e della vita. L’eticasi basa sul “tu devi”, l’estetica sull’“io sento” e lamistica sull’“io partecipo”, sebbene tutte e tre sicompletino e convergano in uno stile proprio di esi-stere, agire e partecipare. Stile di vita che invitatutti i cittadini della nostra casa comune a porre incircolazione quattro verbi attivi, solidali e benefici:pensare, sentire, agire e fraternizzare ecologica-mente.

IL CONCETTO DI ETICAIl concetto di etica implica certamente un dovere,ma il dovere si può esprimerein un’etica di rigore o in un’eti-ca del minimo. Un’etica ingenerale si propone di conside-rare fin dove è permesso giun-gere e fin dove si può trasgre-dire. Non si propone il perfe-zionamento della natura, ma siimpegna per non ferire né dan-neggiare. Questo certamentenon è poco, ma non è sufficien-te.In una società nella quale simanifesta una chiara eclisse deivalori, come quella che si riflettenel nichilismo imperante, chi ècapace di offrire norme convin-centi e ragionevolmente operati-ve? Evidentemente gli Statihanno l’obbligo politico e di giu-stizia di promulgare leggi con-crete per frenare il disastro ecolo-gico e di imporre eventuali san-zioni contro i trasgressori, controimprese e istituizioni potenti epossenti, relativamente tanto a ciò che contaminanoquanto a ciò che depredano. Però è anche necessarioformare le menti e i cuori di tutti i cittadini comuni,semplici abitanti in questo meraviglioso universo.Educare il cittadino normale e comune perché la vitadi ogni giorno sia più sana, serena e di miglior qualitàè già prendere coscienza attiva della nostra responsa-bilità del qui e del dopo.Una nuova cultura e sensibilità ecologica può aiu-tare gli abitanti del pianeta Terra a imparare ad abi-tare nel mondo e praticare una nuova pedagogiadello “stare nella natura”, oltre a con-vivere frater-namente con gli altri.Per questo si propone di superare:• La contrapposizione del dualismo soggettivismo-oggettivismo, del soggetto-oggetto mediante unpensiero dell’integrazione e dell’armonia tra l’uo-mo e il mondo, che prepari il cammino della gran-de fraternizzazione cosmica;• La filosofia del meccanicismo, che tratta ilmondo come una macchina e un complicato mec-canismo, con una visione basata a livello simboli-

co e nel significato esistenziale di tutti gli esseri edi tutte le cose. Se scopre la natura come linguag-gio, l’uomo acquisisce un atteggiamento di ascoltoe si prepara a percepire e celebrare il grande mes-saggio della natura;• Lo spiritualismo disincantato come forma di vitaed espressione di una concezione eccessivamentenegativa della realtà materiale. Chi sente e vive lanatura come propria dimensione corporea scoprel’incardinazione del corpo alla terra;• L’impiego abusivo delle cose naturali intese comesemplici utensili che una volta usati si gettano,come stimolano i promotori del consumismo, valo-rizzando le risorse naturali e prendendo coscienza

del fatto che sono limitate;• L’idea sbagliata dell’uomoconquistatore, proprietario edevastatore irresponsabile dellanatura, sostituendola con unaconcezione della vita per cuil’uomo è semplicemente ammi-nistratore e compartecipe deldestino del mondo. Una visionealta della natura cambierà lanostra relazione con gli esseri ele cose della natura.L’ecologia ambientale ha biso-gno dell’ecologia mentale.L’ecologia sociale deve fondarsisull’ecologia cordiale. L’ecologiaglobale necessita di un pensieroglobalmente umanizzato. L’eco-logia planetaria si otterrà solo daun’ecologia umanizzata. Lo svi-luppo sostenibile non potrà esse-re tale se non si fonda su un pen-siero sostenibile e sulla visioneglobale e armonica dell’universo.

COME RISPONDERE ALLE PROBLEMATICHE ATTUALI?Come risposta alla problematica attuale del gravedeterioramento ambientale e dell’atteggiamento osti-le, inquinante e predatorio di tanti settori e anche deldisinteresse e dell’apatia di tanti semplici cittadini, sipuò presentare i seguenti punti partendo dalla pro-spettiva di una ecologia globalizzante:• Scoprire il profondo mistero della natura nonsacralizzandola, ma vedendo in essa la presenzadel suo autore. Non si tratta di tornare a una naturaromantica e neppure a un culturalismo neopagano,ma di chiarire le radici profonde e vitali che uni-scono immanenza e trascendenza.• Essere presenti nella natura che abitiamo. Lasimpatia dell’uomo con la natura si caratterizzaper il senso di immediatezza e di concretezza difronte a tutti gli esseri. In essa emerge la categoriadella presenza perché tutto l’universo riflette ilgrande mistero che lo abita e tutti gli esseri nediventano testimoni e segni perdendo il loro ano-nimato per trasformarsi in realtà allegoriche equasi personificate.

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• Vedere e guardare il mondo intero come un bel-lissimo poema. Il mondo è attraversato da stimoli eda riferimenti, da segni e da risonanze. L’uomo nonpuò essere manipolatore del mondo, ma deve sco-prire e interpretare il messaggio che la natura rac-chiude in essa. Lo sguardo amoroso è il ponte vin-colante e rispettoso tra la struttura interiore e l’eco-logia esteriore.• Ascoltare la realtà come complemento dellavisione. Abbiamo bisogno di riscoprire la nostracoscienza acustica, perché la natura intera ci parla.È opportuno percepire la risonanza e il messaggiodell’universo. Se l’uomo acquisisce la capacitàprofonda di vedere e di ascoltare le meraviglie delmondo, allora può scoprire, ammirare e meravi-gliarsi. Questo sarà un mezzo privilegiato percostruire un universo partecipativo, che costituiscal’orizzonte naturale della nostra celebrazioneumana e mondana.• Riconoscere in modo attivoche, attraverso la nostra corpo-reità, intimamente e per costi-tuzione siamo legati al mondo.Il nostro corpo è parte dellanatura, la quale si manifesta inmodo privilegiato nel nostrocorpo che, in quanto umano,cessa di essere corpo-oggettoper trasformarsi in corpo-sog-getto. Il corpo umano, maschi-le e femminile, è un microco-smo che riassume i diversigradi degli esseri creati. Acausa del nostro corpo materia-le siamo vincolati alla nostrapatria madre terra, e in quantocorpo umano siamo immersinel mondo della cultura, chenon si oppone alla natura mane è un complemento.• Essere critici oggettivi della situazione ecologicaattuale. Senza dover essere catastrofici, né “cassan-dre” opportuniste, bisogna riconoscere e denuncia-re con chiarezza il grave deterioramento di moltezone del pianeta Terra, unica casa comune. Questoci spinge ad essere agenti attivi nella custodia enella tutela della natura nella sua interezza ed evi-tare di usare tutto ciò che la danneggia.• Riunire tutte le forze e gli sforzi per riuscire asuperare ogni tipo di violenza che attacchi l’uomoe la natura. Si dovrebbe promuovere e favorire unmovimento ecumenico tra tutte le religioni a favo-re della difesa e della protezione di tutta la natura,servendosi per questo dell’opera degli scienziati,dei politici, degli artisti e di tutte le istituzioni e lepersone di buona volontà.• Presentare un’etica della frugalità che sostituisca lamorale del consumismo incontrollato. Ciò richiedel’impegno della rinuncia all’istinto del potere, deldominio sulle cose e della soddisfazione immediatadei desideri primari o socialmente indotti. La rivolu-

zione della nostra relazione illegittima con le cose siverificherà quando la felicità consumistica saràsostituita dalla felicità personale, quando l’accumu-lo in poche mani sarà giustamente equilibrato con ladistribuzione a tutte le mani. In questo modo i beninaturali cesseranno di essere realtà puramente frui-bili e intercambiabili, per traformarsi in linguaggioed espressione umanizzanti.• Lavorare per la creazione di un sistema alternati-vo, che sostituisca l’egoismo possessivo con la par-tecipazione gratuita, per preparare il salto dall’uti-litarismo cosmico alla celebrazione cosmica. Dalsentimento grato della gratuità dell’esistenza e ditutto ciò che vi è in essa per riuscire a realizzare lagrande fraternità universale verso ogni creatura,razionale e irrazionale, e a porre le condizioni perla possibilità della realizzazione del meravigliosoaffratellamento umano e cosmico.

• Inventare una nuova pedagogia ecologica, che ciabitui a vedere, scoprire e trattare la natura comenostra casa comune e nostra amata dimora, con laquale stabiliamo relazioni vive e domestiche.Sradicando i nostri istinti aggressivi potremo crea-re vincoli fraterni e una sintonia vitale e feconda tragli uomini e la natura. E’ arrivato il momento dellagrande alleanza con la natura, con la società e conla storia. Di fronte alla cultura necrofila pessimistabisogna proclamare e promuovere una cultura dellavita e una mistica dell’esistenza, trasformata insplendida estetica del nostro posto nel mondo.

Nella cultura attuale troppo seria e violenta dob-biamo creare una cultura della letizia e della cele-brazione come risposta alla gratuità del creato. Chicanta celebra; chi celebra costruisce; e chi costrui-sce è benefattore dell’umanità e promotore di unanuova ecologia nel pensare, nel sentire e nell’agire.Tutti siamo chiamati ed impegnati alla salvaguar-dia e custodia della nostra comune dimora. Questaè la nostra materia ancora da approvare. ■■

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ALBANIA: ORFANI PER TUTTA LA VITA

Sono circa 31mila gli orfani ospitati negli orfano-trofi in Albania. La loro età varia da 0 a 14 anni.L’80% sono bambini abbandonati dai loro genitori.Un fenomeno in crescita che rispecchia un lato oscurodella lunga transizione albanese: l’insicurezza econo-mica ma anche conseguenza di una rivoluzione ses-suale, dagli anni ’90 a questa parte, non ancora meta-bolizzata nel sistema sociale ed economico. Gli orfanicrescono invisibili e nell’Albania di oggi rimangonotali praticamente per tutta la vita.Di loro si parla solo in occasione delle feste di fineanno, o del giorno dedicato istituzionalmente aibambini, il primo giugno, quando politici o VIP delmondo degli affari e dello spettacolo si prendono labriga di fare dei regali a qualche orfanotrofio,recandovisi personalmente con una scorta di came-ramen e giornalisti al seguito.Gli sguardi innocenti dei bambini e le loro parolestentate davanti ai microfoni sono un rituale pre-sentato agli albanesi a ogni ricorrenza, che perònon contribuisce di molto a migliorare la loro situa-zione. E l’abbandono da parte della società diventaben più grave una volta cresciuti e al di fuori dellaprotezione delle istituzioni.

Né bambini né adultiIl dramma che segna gli orfani a vita inizia all’etàdi 14 anni. L’inizio dell’adolescenza e di un’età

ancora spensierata per la maggior parte delle per-sone, per loro è invece il momento in cui vengonomessi praticamente per strada. Perché per legge leistituzioni si prendono cura degli orfani solo fino aquest'età e quindi vengono lasciati senza tutelanonostante siano ancora minorenni. Inizia quindi illoro calvario per la sopravvivenza, scontrandosicon un vuoto legislativo che si traduce in una gravemancanza di politiche sociali a loro favore.“La maggior parte viene mandata in condizioni mise-re a frequentare delle scuole professionali, e vengonoospitati in dormitori sovraffollati, in cui questi ragazzirimangono praticamente a vita”, afferma Ilir Cumani,direttore dell’Istituto Nazionale per gli Orfani.Naturalmente le inclinazioni e i talenti dei ragazzi pas-sano in secondo piano, la scuola professionale e il dor-mitorio sono il destino comune a cui quasi nessunoriesce a sottrarsi.Questo è in realtà un fenomeno negativo degli ultimianni. Il fatto che in passato gli orfanotrofi abbianodato alla società albanese dei nomi illustri dell’arte,della cultura e di altre professioni dimostra che l’at-tenzione per lo sviluppo intellettivo e l’inserimentodi questo gruppo svantaggiato nella società sia statoben migliore rispetto a quanto lo sia oggi. "Non se neparla che qualcuno vada all’università. Nei dormito-ri delle scuole professionali si trovano oggi orfaniche vanno dall'età di 14 fino a 50 anni. Vivono emar-ginati, in estrema povertà e addirittura ospitano lì iloro partner o i loro figli.Basta dare un’occhiata al dormitorio della scuolaHarry Fulz a Tirana. Nella scuola alberghiera e unpaio di altri edifici, oggi si trovano 104 orfani chevanno dall’età di 14 a 54 anni. Stanno praticamen-te invecchiando in quei dormitori“, spiega Cumani.Le scuole professionali pubbliche, oltre a non esse-re aggiornate alle esigenze del mercato albanese,sono il luogo dove finiscono gli studenti squalifi-cati da scuole più ambite. Povertà e abbandono:quanto basta per fare degli orfani una categoriaestremamente esposta alla criminalità e allo sfrut-tamento. "Di molti non si sa che fine abbiano fatto,dove siano andati. E’ all’ordine del giorno che iragazzi finiscano in preda ai traffici illegali, spac-cio di droga, furti e simili. E le ragazze sono spes-so esposte allo sfruttamento sessuale, alla prostitu-zione“, commenta Cumani.

Non è un Paese per orfaniAll’origine del problema è come sempre quell’ef-fetto domino tra malfunzionamento dello Stato,riforme affrettate e conflitto tra la governance loca-le, quella centrale e una società civile inefficiente ecorrotta. A complicare le cose, secondo gli esperti,è stata una delibera del Consiglio dei ministri del2006, che decentralizzando il problema lo passavaalle competenze delle autorità locali, quindi a

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SSUUCCCCEEDDEE NNEELL MMOONNDDOO

Sono migliaia gli orfani in Albania. A partiredai 14 anni inizia per loro un vero e propriocalvario. Per legge vengono espulsi dagliorfanotrofi e spesso non hanno alternativaagli affollati dormitori nei quali, senza pro-spettive e in povertà, rimangono per granparte della vita. Un approfondimento.

comuni e provincie delle località dove si trovano i26 orfanotrofi albanesi.Una decentralizzazione tutto dire, che passa per tra-file burocratiche e schemi di potere anche più com-plessi e instabili rispetto al governo centrale. Unariforma spesso non sostenuta da adeguati finanzia-menti. Se poi a livello locale vi è al governo unagiunta non in linea politicamente con il governo cen-trale, l'accesso ai finanziamenti statali diventa ancorpiù ridotto. Di conseguenza gli orfani sono tutt’altroche una priorità per le autorità locali. In compenso, intutte le città in cui si trovano degli orfanotrofi, i dor-mitori occupati dagli orfani adulti, o maggiori di 14anni, sono parte del paesaggio urbano, tacitamentetollerato e trascurato.Su questo tema l’Albania ha ricevuto per diverse voltedei memoranda poco lusinghieri da parte di AmnestyInternational. Parole dure e proposte di misure daadottare per migliorare la situazione. "Abbiamo enfa-tizzato la necessità di intervenire nell’inserimentosociale degli orfani dall’età di 14 anni. Ma l’Albanianon ha mai preso sul serio questo problema“, affermaMirela Shira, responsabile dell’Europa sud-orientalepresso Amnesty International.

Eppure nonostante la mancanza di volontà mostra-ta finora, il problema degli orfani sarà una sfidacon cui lo Stato albanese dovrà prima o poi fare iconti, dato che tra l’altro è anche una delle condi-zioni che l’Albania deve adempiere nell’ambito delrispetto dei diritti umani, per raggiungere i tantoambiti standard di Bruxelles. Ad aggravare la situa-zione inoltre la pessima gestione delle poche risor-se a disposizione.Ilir Cumani afferma che dall’UE è arrivato anche ildovuto sostegno economico, ben 26 milioni di europer provvedere a garantire le condizioni minime dialloggio agli orfani che occupano attualmente idormitori. Risorse le cui tracce si perdono però neimeandri delle burocrazie e della società civile.

Al posto di una soluzioneL’impresa di rintracciare qualche abitante dei dor-mitori occupati si è rivelata impossibile. Né io né imiei conoscenti siamo stati in grado di individuarequalcuno tra le nostre cerchie di conoscenze e diamicizie che provenisse dall’orfanotrofio e menche meno qualcuno che tuttora risieda nei dormito-ri occupati. L’unica possibilità era scontrarsi con lagiustificata diffidenza di chi vi abita. Naturalevedersi chiudere la porta in faccia da chi si senteemarginato e sfiduciato.Senza essere riuscita a entrare in contatto con nes-suno, mentre mi allontano da un dormitorio sovraf-follato e ai limiti della dignità, noto dei blocchi dipalazzi appena costruiti. Sono per lo più disabitaticome la maggior parte delle nuove costruzioni acausa della crisi economica attuale, che ha colpitotra l’altro proprio l’edilizia, il fiore all’occhiellodell’Albania capitalista. È troppo notare il parados-so: da una parte il dramma degli orfani, dall’altral’avidità dei magnati dell’edilizia che preferiscononon vendere pur di non abbassare i prezzi. E intutto ciò nessuna politica sociale di alloggio chemiri a migliorare la situazione almeno di un po'.

Marjola Rukaj - 31 gennaio 2012

"Questo articolo è stato originariamente pubblicato su OsservatorioBalcani e Caucaso" www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-orfa-ni-per-tutta-la-vita-110519.

NIGERIA - Un rifugio per i bambini africaniaccusati di stregoneria L’ong nigeriana Child’s Right and RehabilitationNetwork (CRARN), ha accolto oltre 160 bambi-ni etichettati come “streghe”. Decine di bambinisubiscono abusi, vengono abbandonati e persinouccisi dalle rispettive famiglie per questo motivo,in una nazione ancora in buona parte impregnatadalla superstizione. Secondo un rappresentantedel CRARN, molte persone credono che i bambi-ni siano posseduti dai demoni e che nessun tipodi esorcismo possa liberarli dal male. Spesso, acausa di questo ostracismo, queste vittime inno-centi subiscono abusi verbali e fisici. Alcuni ven-gono abbandonati dalle famiglie, altri sono statiritrovati con chiodi conficcati nel cranio dopo

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PROGRAMMA SEENET IIIn Albania alcuni degli interventi nell'ambito diSeeNet II – programma di cooperazionedecentrata – riguardano proprio il settore deiminori in condizione di abbandono genitoriale.Per quanto riguarda la zona di Scutari, norddell'Albania, Endri Xhaferaj, rappresentantedel Comune di Forlì, partner tecnico dellaRegione Emilia Romagna, ci spiega la duplicevalenza dei progetti promossi da quest'ultima:"Sosteniamo il Centro di formazione profes-sionale regionale di Scutari al fine di instaura-re un sistema di gestione, programmazione,valutazione dell'attività formativa in funzionealle dinamiche del mercato del lavoro locale,tenendo in considerazione la valorizzazionedel processo di decentramento della formazio-ne professionale nel processo di integrazionenell'Unione europea. Inoltre le nostre attivitàsono volte a modellare percorsi formativi inno-vativi, finalizzati a sperimentare l'incrociodomanda-offerta di lavoro, all'interno dei qualitarare l'efficacia della formazione rivolta airagazzi/e in uscita dagli orfanotrofi".Nella Municipalità di Valona, sud dell'Albania,dove è attiva soprattutto la regione Marche, par-tner in seno a SeeNet II dell'Azione di pianifica-zione e programmazione sociale (assieme allaToscana), l'obiettivo è quello di sostenere il tra-sferimento di competenze amministrative ade-guate all'attivazione di processi di governancemultilivello. In quest'area, il Programma SeeNetII svolge anche iniziative pilota legate al temadei minori in situazione di abbandono genito-riale.

essere stati accusati di stregoneria. I leader delleChiese cristiane locali, in comunione di intenticon gli animisti nigeriani, stanno portando avan-ti una campagna contro questo fenomeno. I mini-stri del culto, ironicamente, affermano che ilbambino-strega è portatore di distruzione, malat-tia e morte nella sua famiglia, oltre ad avere lacapacità di lanciare incantesimi e contagiare glialtri, una volta posseduto.

(AP) (Da Agenzia Fides 30/1/2012)

DAVOS “IL NOBEL DELLA VERGOGNA”Dopo 21 giorni di serrata disputa, il colosso minera-rio brasiliano ‘Vale’ ha vinto il riconoscimento per lapeggior impresa del pianeta in ambito ambientale edei diritti umani, il ‘Public Eye Award’ assegnatoogni anno con il voto della società civile mondialedalle organizzazioni ‘Greenpeace Svizzera’ e‘Dichiarazione di Berna’ durante il Forum economi-co mondiale (Wef) di Davos.La notizia è pervenuta alla MISNA da PortoAlegre, dove è in corso il Forum sociale tematico,(Fst), fonti della rete brasiliana ‘Justiça nosTrilhos’ (‘Giustizia sui binari’) che con la ‘Reteinternazionale delle popolazioni colpite dalla Vale’(‘International network of people affected byVale’), in collaborazione con le ong internazionali‘Amazon Watch’ e ‘International Rivers’, hannoproposto la candidatura della ‘Vale’.Per quello che viene anche definito il “Nobel dellavergogna”, la ‘Vale’ si è dovuta battere con‘Barclays’, ‘Freeport’, ‘Samsung’, ‘Syngenta’ e‘Tepco’: negli ultimi giorni, precisano le stesse

fonti, c’è stato un serrato testa a testa tra ‘Vale’ e lagiapponese ‘Tepco’, candidata per il disastronucleare di Fukushima: la prima si è imposta con25.041 voti. Il fatto di essere presente in 38 paesi,con numerosi conflitti ambientali e sociali penden-ti, ha ampliato il numero dei votanti: l’ingressodella ‘Vale’, nel 2010, nel consorzio ‘NorteEnergia’, responsabile per la costruzione del-l’idroelettrica Belo Monte sul fiume Xingu, nelloStato settentrionale amazzonico brasiliano delPará, è stato considerato dagli organizzatori il fat-tore determinante per il suo ingresso tra le finaliste.“Per migliaia di persone, in Brasile e nel mondo,che soffrono degli abusi di questa multinazionale,che sono stati sfrattati, hanno perso le case e leterre, che hanno visto familiari e amici uccisi tra ibinari della ferrovia Carajás, che sono oggetto dipersecuzione politica, che sono stati minacciati dasicari e uomini armati, che si sono ammalati, hannovisto figli e bambini sfruttati, sono stati licenziati olavorano in pessime condizioni e subiscono tantealtre conseguenze, concedere alla ‘Vale’ il ricono-scimento di peggiore società del pianeta è molto dipiù che vincere un premio. È la possibilità dimostrare agli occhi del mondo le loro sofferenze eattrarre centinaia di nuovi attori e forze nella lottaper i loro diritti e contro gli eccessi commessi dallasocietà” hanno dichiarato gli organismi che hannopresentato la candidatura.Il premio è stato consegnato il 27/1/2012 a Davosalla presenza del Nobel per l’economia statuniten-se Joseph Stiglitz.

(Da Misna 27/1/2912)

La Fondazione Infantile “Club Noel” è l’unico ospedale dedi-cato esclusivamente alla cura dei bambini poveri residenti intutto il Sud-Ovest della Colombia, nella città di Cali. QuestaFondazione è stata creata nel 1924 e da allora è stata sem-pre al servizio dei bambini poveri e ammalati che difficilmen-te potrebbero raggiungere un’altra struttura sanitaria. Lo spo-stamento forzato dei contadini verso la città ha prodotto unacrescita significativa del numero dei bambini malati da zero adue anni e relativo aumento delle domande alla Clinica infan-tile. Considerando la vita e la salute come diritti fondamenta-li dei bambini, la Fondazione Clinica Infantile ha la necessitàdi migliorare ambienti, apparecchiature e personale per sal-

vare la vita di molti bambini poveri. Per questo motivo ènecessario il sostegno finanziario di istituzioni e di privati alfine di poter approntare interventi e soluzioni adeguate perquesti bambini colpiti da complesse patologie endemiche,degenerative, infettive, congenite, ecc., causate da: clima tro-picale, cattive condizioni alimentari e di vita, servizi inade-guati, fattori ereditari.

La Cooperativa Sociale “Frate Jacopa” intende accoglierequesta richiesta di aiuto, di cui si è fatto portatore p. JoséAntonio Merino, che conosce di persona i responsabili dellaFondazione e l’impegno umanitario da questa profuso. Leofferte, grandi e piccole, che saranno fatte tramite la coope-rativa, saranno inviate, come nostro contributo alla realizza-zione di progetti per l’acquisto di attrezzature diagnostiche el’allestimento di una unità di cura intensiva per i bambini cherichiedono interventi chirurgici postoperatori complessi.

Chi intende partecipare può inviare la propria offerta conbonifico bancario sul c/c intestato a Società CooperativaSociale Frate Jacopa presso la Banca Prossima - Roma -IBAN: IT82H0335901600100000011125, precisando la cau-sale “Liberalità a favore della Cooperativa Sociale FrateJacopa per il Progetto Club Noel Colombia”. Sarà rilasciataricevuta per usufruire delle agevolazioni fiscali previste dallalegge. Sul Cantico saranno date periodiche informazioni sul-l’andamento della raccolta.

SSOOSSTTEEGGNNOO AA DDIISSTTAANNZZAA

CLINICA INFANTILE “CLUB NOEL”I bambini della Colombia chiedono il nostro aiuto

Prolusione“Cristo senza la Chiesa èrealtà facilmente manipola-bile e presto deformata aseconda dei gusti personali,mentre una Chiesa senzaCristo si riduce a strutturasolo umana e in quanto talestruttura di potere”. Il card. Angelo Bagnasco

(Presidente CEI) ha stigmatizzato, in particolare, il“riduzionismo mediatico” che “fa spesso una lettu-ra esclusivamente politica e quindi univoca e par-ziale” della Chiesa. “Certo anche la Chiesa puòessere ferita dalla realtà del peccato, poiché nel suoseno raccoglie santi e peccatori”.“Gesù è salvatore e la forza salvifica della sua pre-senza nella storia va ribadita con tutta chiarezza afronte di una opacizzazione della figura di Cristoattraverso la sua riduzione a maestro interiore, amito, a cifra di una bontà generica ma senza fon-damento, a fonte di consolazione per tamponarel’ansia esistenziale in forme religiose autoreferen-ziali”.Oggi c’è “una strana reticenza a dire Gesù” cherischia di trasformare i credenti in “ripetitori stan-chi di un cristianesimo scontato e insipido”. Di quila necessità e l’urgenza di “una stagione di nuovaevangelizzazione”, a partire dalla consapevolezzache l’uomo “fuori da Cristo, facilmente perde sestesso” e che la questione “sul senso ultimo e defi-nitivo della vita e del mondo, sull’enigma deltempo e della morte” è “la questione che attraversala storia umana”.

Gesù mette fine all’invisibilità di Dio“L’Antico Testamento dauna parte conosce il divietodi raffigurarsi Dio, dall’al-tra indica l’uomo, e soltan-to l’uomo, come immaginedi Dio. Quel che ne derivaè una feconda tensione”che consente “una nuovadeterminazione del rappor-

to fra Dio Padre – Cristo – Uomo”. Nella suarelazione Klaus Berger (docente di esegesibiblica al dipartimento di teologia protestantedell’Università di Heidelberg) ha affermato:“Una persona non è la cosa più effimera che ci

sia, fugace come un soffio o come una foglia inautunno. Questa è la pretesa di Gesù: Io sonocolui che rimane”. Il richiamo della figura diGesù è spiegato da Berger con il termine«amore». “L’impiego così frequente delle parole«amare» e «amore» nel quarto Vangelo si spieganon da ultimo con il fatto che il Vangelo è la verafilo-sofia”. “Gesù mette fine all’invisibilità diDio” poiché in Cristo “Dio ha un volto che diven-ta accessibile a noi uomini. Nessuno ha vistoDio, questo ripete il Prologo di Giovanni.Tuttavia noi possiamo conoscere Suo Figlio; pos-siamo farci, nel senso più vero della parola,un’immagine di chi è e di come è il Padre”.Il teologo tedesco sottolinea che riflettere su questa“somiglianza”, “non significa eliminare il divietodi farci immagini. Vale piuttosto ancora di più ilfatto che non una materia morta, come la pietra, ilmetallo o il legno, può rappresentare Dio, ma, inmodo esclusivo, un uomo vivente, il Figlio di DioGesù Cristo.

Le rappresentazioni del corpo di GesùIl card. Gianfranco Ravasi(Presidente Pontificio Con-siglio della Cultura) ha pas-sato in rassegna vari branidel Vangelo per citare lenumerose occasioni in cuisi parla di Cristo in riferi-mento al suo corpo che èfondamentale nel racconto

evangelico.Il cardinale ha quindi sviluppato il tema del “corpomistico di Cristo” in riferimento alla Chiesa e allasua dimensione “pneumatica” cioè spirituale e tra-scendente. Infine ha parlato della “carne per la vitadel mondo” che Gesù promette nel mistero eucari-stico.“Quello eucaristico è un corpo reale che non ha ladimensione della vera fisicità - ha detto - perché hadentro di sé un oltre e un altro, la dimensione dellatrascendenza”.“Nell’arte contemporanea – ha dichiarato ElenaPontiggia (docente di storia dell’arte contempora-nea all’Accademia di Brera) - “dove il tema sacrosembra non toccare certi vertici come avviene nel-l’arte medievale o rinascimentale, quando taletema è usato bene può dare spunti nuovi che in pas-sato erano usati meno”.

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CONVEGNO INTERNAZIONALEProgetto Culturale CEI - Roma, 9/10/11 febbraio 2012

“L’artista contemporaneo è più libero perché disolito dipinge per sé più che per la committenza eattraverso la sua arte può esprimere verità che pos-sono essere di carattere generale e anche religio-so”. La relatrice ha portato vari esempi, con imma-gini di opere di artisti quali Gauguin, Rouault,Dalì, Guttuso, Tavernari, Bacon, sottolineandocome tali artisti “pur presentando immagini diCristo stravolte, originali, insolite, mostrano ilrichiamo della religione anche in coloro che sidichiarano non credenti e testimoniano la sen-sibilità ai drammi del secolo appena conclu-so”.

Gesù e le donneUn cortometraggio nato“per caso” dal ricordo di unincontro e da un colloquiocon le Clarisse, che avevasuscitato “una sensazione difreschezza e d’intelligen-za”. Così la regista LilianaCavani ha presentato e pro-iettato il suo cortometraggio

inedito.Quello di Gesù con le donne è “un rapporto di reci-proco riconoscimento e reciproca accettazione, cheè un passo necessario per un’uguaglianza intesacome rispetto reciproco della differenza”, ha com-mentato Paola Ricci Sindoni (docente di filosofiamorale all’Università di Messina) nell’introdurre ilcortometraggio.Citando gli episodi dell’incontro di Gesù con laMaddalena al pozzo di Giacobbe e con Maria diMagdala dopo la Risurrezione, la Ricci Sindoniha spiegato che “Gesù si espone senza tituban-za” al rapporto con le donne, manifestando inparticolare “l’esigenza di guardare al mondofemminile secondo l’ottica della relazione per-sonale”.Emma Fattorini (docente di storia contemporaneaall’Università “La Sapienza” di Roma) ha afferma-to che la Chiesa deve recuperare “l’alleanza con ilfemminile”, perché le donne “possono essere ilcentro propulsore di una nuova costituente antro-pologica”, grazie alla loro peculiare capacità diessere “ponte con i non credenti”. Nella “relazione con il maschile”, ha detto la stori-ca a proposito del cortometraggio di LilianaCavani, “bisogna imparare dalle Clarisse: loro nonsi lamentano e non rivendicano, ma esprimonol’amarezza, lo stupore dell’indifferenza. Si ramma-ricano di non essere viste, di non essere ricono-sciute in quanto donne, come se non ci fosse nien-te da imparare da loro”.Ermenegildo Manicardi (teologo) ha definitolo stile di Gesù con le donne “sincero, cordiale,aperto”, sulla scorta di ciò di cui è rimasta trac-cia nei Vangeli. “Anche i discepoli sono stupitidallo stile di Gesù, ma Gesù non indietreggia”.

La cena e la croce“Senza Eucaristia non vi èChiesa e non vi è dispensa-zione della salvezza”. Aricordarlo è stato Mons.Piero Coda (Preside IstitutoUniversitario “Sophia”). “Lacontemporaneità di Gesùnon è un’idea, e neppureun’aspirazione. È un fatto,

tangibile: qualcosa, qualcuno che - nella sua scon-volgente e silente alterità - si vede, si tocca, si man-gia: l’Eucaristia”.Di qui l’insostituibile legame tra la cena e la croce,“due gesti fondatori, l’uno dall’altro indissolubile”,in cui “il primo offre una volta per sempre la veri-tà salvifica del secondo, mentre il secondo nelmemoriale del primo si perpetua”.“Nel memoriale della Cena si attualizza, da CristoGesù, tutto il bene della Chiesa per la salvezza delmondo”. Ma tutto ciò implica una risposta dell’uo-mo: “In virtù dell’Eucaristia occorre seguire Gesùnel suo movimento di dedizione e identificazionericonciliatrice che lo porta a scendere negli abissi -sino agli inferi - del cuore, della mente, della vita del-l’uomo, di ogni uomo, in ogni tempo e situazione.

Gesù e il dolore degli uominiMons. Rino Fisichella(Presidente Pontificio Con-siglio per la promozione dellanuova evangelizzazione) harichiamato la “vicinanza diCristo al dolore dell’uomoche egli ha provato fino infondo con la sua morte”.Manfred Lütz (psichiatra e

teologo tedesco) ha parlato della “pericolosa palu-de fatta di nichilismo, scetticismo, ateismo, pessi-mismo, un’atmosfera che guadagna terreno un po’dovunque e fin dentro la Chiesa”. “Mentre untempo c’era il confronto fra le visioni del mondo,oggi c’è il confronto tra le visioni dell’uomo”, haaggiunto parlando del dominio della “religionedella salute, indiscusso bene massimo un po’dovunque. Con questa religione la salvezza è atte-sa qui e ora”.“Oggi si aspetta la vita eterna dallamedicina e l’eterna felicità dalla psicoterapia, cosìche un uomo non più sano alla fine non è più con-siderato uomo.Da qui l’aborto, l’eutanasia, l’abbandono delle per-sone con handicap”.“Ai cristiani viene affidato ilcompito centrale di difendere la dignità dell’uomo,specie se debole e indifeso”.

TestimonianzaMusulmani e cristianiinsieme “al fine di sensibi-lizzare la gente sui dirittidelle persone con disabili-tà”. Avviene ad Amman, inGiordania, per iniziativa

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del “Centro Regina Pacis” del Patriarcato latinodi Gerusalemme. L’esperienza è stata presentata daMajdi Dayyat (Vicepresidente del Centro “Reginapacis” per gli affari amministrativi ed esecutivi delPatriarcato di Gerusalemme). Il Centro fornisce assistenza “a titolo completa-mente gratuito”, raggiungendo “più di tremila casiogni anno”. Inoltre, ha spiegato Dayyat, “ha istitui-to comitati di volontari” con “membri cristiani emusulmani”.Gli esordi, ha riconosciuto l’ex presidente, “sonostati difficili, con enormi sfide per i membri musul-mani e cristiani” eppure col tempo “hanno ottenu-to un grande successo a livello ecclesiale” offrendo“l’occasione ai musulmani di scoprire la verità suicristiani” e ai cristiani “di scoprire il prossimo neimusulmani”.

Storia, coscienza, escatologia“L’idea di un fine” ha dettoHenning Ottman (docentedi Filosofia politica) “èsopraggiunta nel mondosoltanto con il giudaismo econ il cristianesimo. In pre-cedenza si pensava il tempocome un ciclo, un circolo.Ci si orientava sulla natura,

il cosmo, il corso ciclico delle stelle, il ripetersidelle stagioni”.Con il cristianesimo questa concezione del tempo edella storia si è trasformata. Per i cristiani la storia haun fine. “Essa ha un inizio nella creazione, un cen-tro nell’incarnazione di Dio, una fine nel ritorno delSignore”. Se ne deduce che “il soggetto dell’epocamoderna vuole creare se stesso, entrando in unasorta di concorrenza con il Creatore sia in termini dipotere che di creatività. La dottrina cristiana dellastoria ci ricorda qualcosa di diverso”.“Essa ci ricorda la nostra impotenza, la nostra prov-visorietà e finitezza, ma ci mostra anche che cosapossiamo sperare e che cosa, con le nostre soleforze, non possiamo permetterci e addirittura nondobbiamo permetterci. L’ultima parola, l’ultimo giu-dizio, la giustizia finale: tutto questo non si trovaaffatto nelle nostre mani; ne siamo stati liberati e,visto così, il soggetto della modernità potrebbe esse-re grato per tutto ciò da cui è stato sollevato, graziealla sollecitudine di Dio per l’uomo; potrebbe esse-re più disteso, più tranquillo e meno aggressivo diquanto sia il Prometeo moderno”.

Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro chesono morti

“Ma è avvenuto davvero?”“ma che cosa significa?”.La relazione del prof.Nicholas Thomas Wright(vescovo anglicano diDurham, Università St.Andrews) ha voluto rispon-

dere a queste due domande comuni sullaRisurrezione di Gesù.Rifacendosi al 1°secolo di vita della Chiesa, il pro-fessore ha posto in risalto i cambiamenti di vitarispetto al giudaismo, che non trovano altra “rispo-sta plausibile” se non l’effettiva Risurrezione cor-porea di Gesù verso una fisicità trasformata. L’incontro di Gesù con tre persone chiave: MariaMaddalena, Tommaso e Pietro, ha poi consentito alrelatore di accostare la Risurrezione alla vocazionedi tutti noi. Infatti “con la risurrezione, ha visto l’alba unanuova creazione, e in questa nuova creazione sisono aperte davanti a noi nuove possibilità. Larisurrezione non è la fine della storia; è l’inizio diuna nuova storia, precisamente perché Gesù è laprimizia e la pienezza del raccolto deve ancoravenire. E noi che siamo stati chiamati a lavorareall’interno di questa nuova creazione, dal ministe-ro petrino fino a tutti gli altri ministeri, ... troviamoi nostri ministeri di nuovo dati a noi giorno pergiorno, a mano a mano che confessiamo le nostrecolpe e ancora umilmente diciamo [come Pietro aGesù]: «Sì, Signore, ti voglio bene». La risurrezio-ne e il perdono sono, dopo tutto, due lati della stes-sa medaglia; se si crede nell’una, bisogna crederenell’altro”.

Conclusione“Il Dio in cui si crede, o nonsi crede, il Dio di cui ancheoggi si discute è, in sostan-za, il Dio che ci ha propostoGesù di Nazaret. Ed è veropure l’inverso: se Gesù diNazaret è importante ancheoggi per tanti uomini edonne, è perché essi sono

convinti, o almeno sperano, che egli abbia un rap-porto speciale, anzi unico, con Dio”.Con queste parole il card. Camillo Ruini(Presidente Comitato Progetto Culturale) ha con-cluso il Convegno internazionale.Ripercorrendo la tre giorni, il cardinale ha sottoli-neato come i lavori abbiano contribuito a far emer-gere con speciale forza alcune forme di tale con-temporaneità: “Quella delle opere di fraternità chescaturiscono dal prendere sul serio il nostro legamecon lui. Quella, intima e particolarmente diretta,del rapporto personale e vivificante che si stabili-sce tra lui e chi sceglie di trascorrere, mediante ilsilenzio e la preghiera, la vita in sua compagnia.Quella dell’esperienza del dolore, attraverso laquale Gesù penetra dentro di noi e si immedesimacon noi, offrendoci una difficile ma straordinariapossibilità di immedesimarci a nostra volta con lui.Quella infine, la più alta di tutte, che si realizza inchi muore martire per la fede in lui”.

A cura di Graziella Baldo[le relazioni integrali di tutti i relatori si possono

trovare in: www.progettoculturale.it]

il Cantico 19

Come scriveva Gilbert K.Chesterton, il paradosso attraversail tessuto della fede cristiana. E cosìla debolezza, l’asthenía che nascedalla malattia, dall’handicap, dal-l’umiliazione, dalla sofferenzaimposta dalla vita, nel cristianesimose è vissuta come un camminopasquale può diventare addiritturaun luogo in cui si fa sentire la forzadi Dio. Questo viene proclamato daGesù nel discorso della montagna,quando afferma che sono beati, feli-ci, convinti di poter andare avanticon fiducia e di essere nella veritàquanti sono poveri, miti, disarmati,perseguitati, affamati (cf. Mt 5,1-12). L’Apostolo Paolo nella secon-da lettera ai Corinzi compone addirittura quello chepotrebbe essere definito un inno alla debolezza: «IlSignore mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la miapotenza infatti si esprime pienamente nella debolez-za”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debo-lezze, perché metta la sua tenda in me la potenza diCristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze,negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelleangosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debo-le, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10). In questotesto vanno sottolineate due espressioni che normal-mente sfuggono al lettore: la potenza del Signore siesprime pienamente nella debolezza e la potenza diCristo mette la sua tenda – la Shekinah, cioè la pre-senza di Dio – là dove trova la debolezza dell’uomo.Si faccia però attenzione. Questo canto alla debolez-za non è un canto al male, alla sofferenza, alla prova,alla miseria – come Friedrich Nietzsche ha imputa-to al cristianesimo –, ma è una rivelazione: la debo-lezza di fatto può essere una situazione in cui, se chila vive sa viverla con amore (cioè continuando adamare e ad accettare di essere amato), la potenza diCristo raggiunge la sua pienezza. Ma questo mes-saggio, peraltro centrale nel Nuovo Testamento, èscandaloso e può sembrare follia (cf. 1Cor 1,18-31),e noi cristiani abituati a tali parole siamo disposti aripeterle ma non a viverle nell’amore: quest’ultima èla vera sfida, perché la debolezza è fondativa del-l’antropologia cristiana.Confessiamolo però con onestà: quando osserviamo lavita nel suo svolgersi quotidiano, quando tentiamo dileggere la storia e le storie, constatiamo che sono lapotenza, la forza, l’arroganza, la violenza ad avere suc-cesso, e perciò ci diventa arduo scorgere nella debo-lezza una possibile beatitudine. Siamo capaci di acco-gliere la nostra debolezza, che si presenta a noi soven-te come umiliazione? Siamo disposti a vedere in essaun’occasione di spogliazione, per essere condotti

all’«unica cosa necessaria» (Lc10,42)? Non solo individualmente,ma come comunità, come Chiesasiamo capaci di leggere nella debo-lezza il linguaggio della «discretacaritas», dell’amore discreto che èvissuto quotidianamente senza alza-re la voce, senza voler «dare testi-monianza» a noi stessi?Forse solo quando smettiamo diparlare di poveri, di handicappati,ma siamo di fronte a un uomo o auna donna in carrozzella, a unapersona colpita nei mezzi abitualidi comunicazione; quando ci tro-viamo davanti a un corpo ferito edilaniato dalla malattia e dal dolo-re; quando stringiamo le mani di

un povero che le ha tese verso di noi, mettendo lenostre mani nelle sue, forse solo allora comprendia-mo il dramma della debolezza e siamo capaci didiscernere dove Cristo ha messo la sua tenda.C’è poi anche una forma particolare di debolezza,che non può essere dimenticata: quella dell’umilia-zione che nasce dal nostro peccato, a volte dal nostrovizio o peccato ripetuto, in cui cadiamo e poi ci rial-ziamo, cadiamo e poi ci rialziamo ancora… Siamoumiliati davanti a Dio e agli uomini, anche in questosia come singoli cristiani sia come Chiesa. «Bene perme essere stato nella debolezza» (Sal 119,71), pregail salmista davanti a Dio, ma è bene anche per la chie-sa essere umiliata, conoscere giorni di non-successo,di sterilità, di impotenza tra le potenze di questomondo, a volte addirittura di insignificanza. Non èstato forse questo il tragitto di Gesù nell’ultima partedel suo ministero, dopo i successi e la favorevoleaccoglienza iniziale? Sì, dobbiamo nuovamente con-fessarlo: facile a dirlo, difficile da accettare e soprat-tutto da vivere senza tradire l’amore.San Bernardo, colui che conobbe forse il più grandesuccesso possibile per un monaco nella storia, speri-mentò pure un’ora di umiliazione, di fragilità e dimiseria anche esistenziale. Fu, per sua stessa ammis-sione, una crisi spirituale e morale che lo obbligò avivere per un anno fuori dal suo monastero. In queltempo comprese molte cose della vita cristiana chenon aveva capito prima; comprese soprattutto chenella debolezza si impara meglio la relazione con glialtri e con Dio, e conobbe veramente cos’è la grazia,la misericordia di Dio. E così giunse ad esclamare:«Optanda infirmitas!», «O desiderabile debolezza!»(Discorsi sul Cantico dei cantici 25,7). Sì, è possibilegiungere ad affermare questo, ben sapendo però chenel mestiere di vivere la debolezza appare sempreanche come prova, come faticosa prova.

(Da Avvenire 10 luglio 2011)

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ELOGIO DELLA DEBOLEZZAEnzo Bianchi

PREMESSAQuando ho proposto questotitolo in realtà ne avevo pensato

uno un po’ più diretto per questo nostro incontro:Che cos’è la res publica?L’analisi francescana del bene comune.Un titolo che voleva porre in chiaro sin dall’iniziola competenza del francescanesimo a ragionare dires publica e di etica per la res publica.D’altronde di questa capacità francescana si eraaccorto anche il buon Shakespeare che, nel primoatto di Misura per misura, ci racconta di uno stra-tagemma apparentemente stravagante di un re ilquale, per poter meglio conoscere il suo popolo e labontà delle azioni di chi egli aveva delegato agovernare, si reca in un monastero.Lì chiede ad un religioso di farlo vestire con il saioe di imparare a comportarsi come un perfetto frate.Ciò gli permetterà di muoversi con discrezione neiterritori del suo regno per poter osservare il popoloed analizzare l’efficacia del governo esercitato sudi esso.Per questo scopo il re non sceglie né un abito – valea dire un modo di vestire e di essere secondo l’eti-mo latino – da contadino, né quello di un prete o diun soldato, ma proprio l’habitus di un frate (Atto I,scena III).Forse Shakespeare non era un analista politico, macertamente conosceva assai bene le dinamiche delpotere e delle istituzioni del suo tempo. E credoche in questa chiave possa essere letta l’invenzionedi questo stratagemma regale.Questo per dirvi, anche con Shakespeare, che latestualità francescana è un giacimento ancora pocovalorizzato, un giacimento ideale, linguistico, con-cettuale per definire un’eti-ca della politica ed un’eticacivile.Questa consapevolezzacredo possa essere conqui-stata innanzitutto da chi,come voi, pratica i valoriproposti dalla vita e negliscritti del Fondatore.

PAUPERTAS VOLONTARIA: LARIFLESSIONE SUL MODUSHABENDIÈ la paupertas volontaria(Cf. “Non possiedo né oro néargento. Ripensare il poterealla luce della povertà

Francescana” in il Cantico online gennaio 2012) chepermette di avvicinarsi meglio al concetto comple-mentare, al binomio res publica e bene comune.Non riprendo qui i testi che abbiamo analizzato inquella sede, proprio a partire dagli stessi scritti diFrancesco.Qui richiamo invece un testo fondamentale, forgia-to nella temperie dello scontro che oppose, neglianni ’60/’70 del XIII secolo, il francescanesimo acoloro che sostenevano che la perfectio evangelicanon fosse conseguibile attraverso la paupertasvolontaria.In quel contesto di confronto aspro vennero spinteal massimo le riflessioni sullo statuto e sull’identi-tà pauperista del francescanesimo ad opera deimaggiori esponenti dell’Ordine: Bonaventura,Peckham, Olivi.Uno di questi testi, che è un testo di altissimo valo-re anche mistico, è il Canticum pauperis pro dilec-to di Giovanni Peckham. Dunque – dice in que-st’opera il frate inglese – “chi ha rinunciato perCristo agli averi cammina in una via stretta e diffi-cile ma anche più lontana dai pericoli del mondo”ed è più vicino alla perfezione evangelica. “Noncosi si può dire di chi mantiene le proprietà per séstesso. Può essere vicino a Cristo sul fatto, sullacircostanza degli averi perché anche Gesù accon-sentì che un apostolo tenesse la borsa dei denariper tutti, ma non è così vicino a Cristo, ovveropovero come lui, nel modus habendi e, per questo,non potrà gloriarsi della eminente dignità della per-fezione” (G. Peckham, Canticum pauperis...,Quaracchi 1905, pp. 146-147).In questo testo è chiaro innanzitutto che qui non siparla della povertà subita, ma della povertà scelta con-

sapevolmente, come condi-zione assunta e capace digenerare una serie di conse-guenze dotate di senso e digrande rilievo sul pianosociale, religioso ma anchepolitico. Riflettendo sulmodus habendi con cui visseCristo si riflette infatti sulmodo con il quale si usa,senza possedere, un bene ter-reno.Da questa riflessione emer-gono due assunti principa-li.Il primo: la rinuncia ai beninon è una rinuncia cieca,

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SSCCUUOOLLAA DDII PPAACCEE

RIFLESSIONI SUL BENE COMUNEProposte francescane per la edificazione della res publica

Iª parte relazione del dott. Paolo Evangelisti*Scuola di Pace 2/5 gennaio 2012

uno spossessamento che porta al mero abbandonodei beni, ma i beni che allontaniamo da noi in ter-mini proprietari derivano da una motivazione edhanno una destinazione forte sono pro Christo.Secondo assunto della riflessione proposta daPeckham: la paupertas intesa come cammino di per-fectio si distingue dalla mera adesione al cristianesi-mo per il fatto che attraverso di essa si è capaci dicomprendere meglio la dottrina evangelica, attraver-so la scelta di povertà che si definisce precisamentenel modus habendi. Vale a dire in un modus, in unmetodo gestionale e non proprietario nell’uso dellericchezze e delle risorse le quali non devono appun-to essere considerate proprie, patrimonio privato, masono pienamente utilizzabili e valorizzabili se le siusa gestendole, facendole circolare, guardando alloro fine, non al loro valore di ricchezza immobile.Qui ricordo solo che cosa fu capace di dire e di dirciFrancesco nel Cantico delle Creature e in quel passodel suo Commento al Padre Nostro che analizzammoad Assisi l’11 novembre.

PRO CHRISTOMa se la rinuncia ai benisi realizza compiuta-mente solo se avvienepro Christo qual è ilsignificato ed il fine diquesta devoluzione deli-berata, che non è abban-dono e fuga dal mondo?Ci aiuta a capire questosnodo essenziale il Com-mento al Vangelo di Lucascritto da Bonaventura ilquale riflette su unmomento cruciale del-l’escatologia cristiana,ovvero sulla morte diCristo, chiedendosi qualefu la “principalis ratio” chemosse coloro che vollerouccidere il Salvatore.Bonaventura dice che Cristo trovò la morte perchéi suoi uccisori vedevano in lui l’uomo che disseloro la verità ed essi vollero evitare questa denun-cia dei loro comportamenti, dei loro vizi. Essi pre-ferirono dunque perdere Cristo piuttosto che per-dere il loro onore messo in discussione dalla predi-cazione di Cristo. E questa è la ratio, prosegueBonaventura, che motiva tutti coloro che amando ilproprio bene privato congiurano e congiuraronocontro Cristo. E qui il futuro cardinale francescanocita esplicitamente un campione della riflessionemonastica, un grande mistico che costituì una dellematrici più forti del pensiero francescano che simisurò con la cristomimesi: Bernardo diChiaravalle. “O Gesù, o buon Gesù, tutto ilmondo” – è la stessa espressione che ha appena uti-lizzato Bonaventura per definire coloro che vollerouccidere Cristo – “totus mundus contra te conju-

rasse e coloro che primeggiarono nella tua perse-cuzione furono coloro che governavano il popolo eamavano il potere” (Bonaventura, Expositio inevangelium sancti Lucae, XI, in Opera omnia XI,Parigi 1897, p. 129). Così si chiude la riflessionebonaventuriana condotta con l’aiuto di Bernardo.Ma a questo schema negativo, di condanna di coloroche furono e sono contra Christum, Bonaventura giàimplicitamente offre la declinazione positiva di questalettura: se chi è contra Christum ama il bene privato edil potere, si deduce chi siano coloro che sono proChristo. Sono coloro che amano il bene comune e nonamano il potere fine a sé stesso.Tuttavia Bonaventura non si ferma qui, a questaproposta implicita.Leggiamo che cosa scrive in uno dei testi più impor-tanti per la formazione dell’identità e dell’autoco-scienza francescana: l’Apologia Pauperum:“La comunità che si fonda e si organizza sul dirittodella charitas fraterna è il nostro punto di riferimento,quella che “fu di tutti i giusti”, quella che “seppe tro-

vare il modo di trasforma-re i beni appartenenti aisingoli in beni messi incomune, appartenenti atutti secondo Corinzi III,22” (Bonaventura, Apo-logia pauperum, in Operaomnia XVI, Parigi 1868,pp. 497-499). Da questamatrice apostolica Bona-ventura fa derivare – e conlui l’intera testualità fran-cescana del Due –Cinquecento – un criteriodi analisi sociale e politicadelle comunità ecclesiali,religiose e civili.Se quello infatti è ilmodello di riferimento,ogni francescano è chia-mato ad un dovere dianalisi e di impegno che

rapporti e confronti le realtà in cui si trova a viverea quel modello apostolico.È chiaro che con questo passaggio si attribuisce esi dota ogni pauper volontario che agisce e vice proChristo di una competenza e di una dignità proprianell’analisi politica del mondo, una dignità ed uncompito di altissima forza.Ma, nel merito, questo criterio, questo paradigmacaritativo ed apostolico non serve solo a definire emisurare l’adeguatezza di un organismo sociale ecivile alla perfectio evangelica, serve a stabilire inche modo anche il non perfetto, il laico che inten-de in ogni caso guardare a Cristo ed alla sua quali-tà di Salvatore, può approssimarsi ad una cristomi-mesi. Infatti in questo stesso testo Bonaventuraprocede ad un’analisi delle comunità “che scaturi-scono dal diritto civile mondano”, quelle comunitàche formano e costituiscono in quanto tali forme di

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res publicae: un impero, un regno, una civitas, unacompagnia mercantile, un esercito. In tutte questeforme di messa in comune sia del vantaggio sia deldanno – dice Bonaventura – ciò che può intaccaree rendere inidonea la res publica è l’esistenza diuna proprietà anche privata che occasionalmentepuò creare difficoltà al conseguimento del benecomune e rendere inclini al male, vale a dire incli-ni a produrre svantaggi comunitari.In questa forma la res publica non consegue la per-fectio evangelica e va rigettata.Qui si legge chiaramente quel pieno diritto del frate– asserito senza dubbi di sorta da parte diBonaventura – a proporsi come un analista politicocompetente, in grado di stabilire un’etica di riferi-mento con la quale validare la res publica ed ilbonum commune, di individuare nello specificoquali siano i rischi di un’etica che riguarda il publi-cum: se nell’esercizio del governo di una qualsiasires publica si fanno entrare le proprietà privatequesto esercizio risulta non conforme alla sua fina-lità, e non conforme alla povertà evangelica. Senell’amministrare una compagnia mercantile sitiene presente la dimensione individuale di pro-prietà, quell’amministrazione è viziata e anch’essanon è conforme all’evangelica povertà.L’analisi, come si vede, è penetrante e sottile: non con-danna la proprietà, ma l’uso errato della proprietà pri-vata nell’amministrare ciò che, a qualsiasi titolo, costi-tuisce res publica, bonum commune. L’elenco redattoda Bonaventura nel testo che si intitola Apologia deiPoveri è allo stesso tempo chiaro ed esplicitamentepolitico. L’impero, il regno, la civitas, qualsiasi formadi organizzazione politica comunitaria, la societasmercatorum, la compagnia militare. Di questo ragionaBonaventura, è questo l’ampio spettro della sua anali-si che, in quanto oggetto di pertinenza comunitaria,pubblica, è sottoponibile alla competenza ed al vagliodel pauper Christi. Ed egli è chiamato, in virtù del suostatuto di povero conforme a Cristo, precisamente nelmodus habendi che ha assunto, a contribuire a miglio-rare il governo, l’ammini-strazione di ciò che, inqualsiasi forma è comune,è repubblicano.

IL CONCETTO DI BENECOMUNEPochi anni dopo Olivi,rivendicando il ruolo del-l’altissima paupertas e lasua rigorosa applicazione,in ossequio alla Regola diFrancesco ed al suoTestamento, torna a riflet-tere su questi temi congrande lucidità e determi-nazione, e lo fa in tre testiapparentemente assaidistanti tra loro per tipolo-gia “esteriore”, se volessi-

mo utilizzare un criterio univocamente positivista diclassificazione: il De Votis, la Lectura super actusapostolorum e il De contractibus. Testi che oggi, inmaniera un po’ scolastica definiremmo rispettivamen-te come un testo di spiritualità francescana, un testo diesegesi biblica ed uno di etica economica. E dunquesaremmo indotti a scartare almeno i primi due daldiscorso che veniamo svolgendo. Ma l’unicità intel-lettuale e l’analisi che converge su un medesimo con-cetto filosofico e politico ci obbligano a non adottarealcuna esclusione. In tutti e tre i testi infatti si ragionadi bene comune, si ragiona su quale sia il criterio piùidoneo per utilizzare ciò che non ci appartiene priva-tamente e sul senso che ha l’uso dei beni. Nel De votisOlivi afferma che, quando si dice che “il bene comu-ne è più importante e deve prevalere sul bene e l’inte-resse personale, ciò non può essere considerato vali-do così, in modo semplicistico, ma è valido soloquando il bene comune ingloba e valuta anche l’inte-resse privato” (P.G. Olivi, De Votis, ed. a c. di Bartoli,Grottaferrata 2002).Qui Olivi coglie un fatto fondamentale, che costitui-rà un elemento decisivo delle dottrine politiche civilie repubblicane fino a Locke e oltre: il concetto dibene comune è valido se non diviene un concettoidolatrico, un principio assolutistico fine a sé stesso:esso deve rispondere e coinvolgere l’interesse di chiè parte della res publica, anche se questo non signi-fica confondere il bene ed il fine comune e collettivocon quello personale. Si tratta di un concetto che,all’epoca, era tutt’altro che acquisito tra i teorizzato-ri del bene comune, ivi compresi moltissimi giuristie lo stesso Tommaso d’Aquino.È evidente quale sia la forza politica di questa defi-nizione di bene comune: proviamo ad enuclearesolo alcuni punti salienti:a) la res publica è tale se riconosce tutti coloro chela compongonob) gli interessi di ciascuno debbono essere tenuti inconto nella definizione di ciò che costituisce ilbene comune

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c) è solo attraverso questa forma di costituzione“democratica” della res publica, di questo percorsocondiviso che il bene comune si erge a preminenza,può essere conseguito e divenire vincolante nel-l’azione e nella legge di quella comunità politicad) l’utilitas che ciascuno può individuare ed espri-mere viene messa in sinergia con l’utilitas della respublica perché diviene utilità condivisa e moltiplica-bile. Potremo definirla come una declinazione auto-noma e francescana di utilitarismo repubblicano.Olivi non lo dice, ma è da questo pensiero politicoche un grande magister francescano, GiovanniDuns Scoto noto come Doctor Subtilis, potrà affer-mare qualche anno dopo che la bontà di una formapolitica e comunitaria non si misura in ragionedella sua qualificazione aristotelica, ovvero essen-do essa una monarchia, un’oligarchia o una demo-crazia, ma per la naturadella sua legittimazioneche non può che esserequella del consenso. Laforma dell’istituzionecosì legittimata è unfatto irrilevante. Ciò checonta è il consenso di chidà forza costitutiva allares publica, sente diappartenere ad essa ediviene parte consapevo-le per la costruzione delbene che è in comune.Siamo agli inizi del XIVsecolo quando in Europasolo due istituzioni dipotere in tutto il continen-te provano a misurarsi conquesto criterio di legitti-mazione: l’Inghilterra e lacorona catalano-aragone-se e, in altre forme, lo fanno pure i comuni dell’Italiacentro-settentrionale.Dunque, anche senza andare oltre nell’analisi,possiamo misurare da questi pochi cenni la pro-fondità della concezione oliviana e francescanadel bene comune che approda anche ad unariflessione sull’utilitas e sul consenso comechiavi necessarie della legittimazione del pote-re, della cogenza giuridica del bene comune,ovvero del fatto che solo attraverso questo per-corso, questo bene ed il suo conseguimento pos-sono divenire obbliganti per tutti.Ma Olivi non limita a questo la sua analisi sulbonum commune. Egli si interroga su quali sianoi metodi migliori e più adeguati per utilizzare inmodo non proprietario i beni e le risorse, parten-do dal concetto che il miglior impiego dei beni edelle ricchezze sia quello comunitario. E qui eglidistingue due modi: uno è quello dell’uso che sirealizza e si esaurisce con il consumo della cosastessa, come accade quando una persona usa delpane che mangia o dell’aria che assorbe respiran-

do, l’altro si configura nella modalità distributivadei beni.E qui entra in gioco il governo, l’auctoritas politi-ca definiti dall’Olivi come un’auctoritas che èdotata di un mero potere dispensatorio cioè digestione dei beni che vanno amministrati e fatti cir-colare.Questa è la concezione del governo e del potereche per Olivi ha un crisma etico ed evangelico,capace di inserirsi nel solco di quella modalità digestione comunitaria ed apostolica definite nelNuovo Testamento e richiamate anche daBonaventura. È questo l’unico modo di essere efare comunità.In questo quadro Olivi rammenta a tutti coloro chehanno il compito di distribuire ciò che l’autorità poli-tica ha stabilito – quindi oggi si direbbe qualunque

bene o servizio – di farloricordando che essi nonsolo non hanno un dirittoproprietario su quei benima che non hanno neppu-re alcuna auctoritas su ciòche distribuiscono: devo-no quindi astenersi daogni comportamento chepossa intaccare sia laquantità che la modalità diciò che l’autorità di gestio-ne dei beni ha stabilito didistribuire o far circolare.Il testo si legge nellaLectura super actus apo-stolorum (P.G. Olivi,Lectura super actus apo-stolorum II in D. Flood,Peter John Olivi..., St.Bonavent).Si mette così a fuoco

quale sia il vero valore dei beni comuni: quellodella loro possibilità di circolare tra chi appartienealla res publica.Si mette ancora a fuoco sia la funzione del gover-no sia quella del potere: entrambi sono soggetti chedevono amministrare e non possedere ciò che nonè né del potere né del governo, ma è comune.Si mette ancora a fuoco quale sia la funzione dellestrutture della comunità politica, dello “Stato”:quella di rendere effettivo ciò che l’autorità politi-ca ha stabilito, ponendosi solo come strumenti diquesta azione politica ed economica. Il limite alladiscrezionalità e non solo alla venalità nell’eserci-zio dell’amministrazione è per Olivi perentorio edassoluto, direi apostolicamente e pauperisticamen-te invalicabile ed indiscutibile.

CARITAS: CIVILITAS DEI RAPPORTI NELLA RESPUBLICANel suo insieme, questa concezione politica e civi-le, ovvero di civilitas dei rapporti nella res publica,è ciò che Olivi, Bonaventura e tutta la testualità

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francescana tra ‘200 e ‘500 definiscono come cari-tas.Un concetto molto distante da ciò che oggi stereo-tipicamente si definisce con il sintagma “fare lacarità”. Il valore è non solo più articolato, evange-licamente connotato, ma è assai più denso, alto, edha una chiara valenza etico-politica che non si limi-ta al monito morale ma si fa codice prescrittivo,operativo, finalità di governo e chiave di validazio-ne dell’esercizio del governo.D’altronde caritas non si comprende se non nel con-testo di una concezione comunitaria in cui la respublica è proprio l’inveramento del bonum commu-ne, in cui res publica è concretamente il prodotto del-l’azione degli uomini che sono cives. E’ questo unaspetto assai rilevante del pensiero politico france-scano che se è davvero capace di costruire un’eticaeconomica, come ha ben dimostrato Giacomo

Todeschini nei suoi numerosi studi, è altrettantoattrezzato per formulare una concezione politicaautenticamente, direi umanamente, repubblicana.Questo portato francescano alla politica è un debito diconoscenza che dovrebbe essere onorato da parte dichi pratica o studia il francescanesimo medievale.Saldare questo debito, come si diceva nel dibattitoseguito al mio intervento in Assisi del novembre scor-so, potrebbe contribuire anche a far crescere la consa-pevolezza della forza del pensiero e della propostafrancescana all’interno della Chiesa cattolica (si pensial testo della Caritas in Veritate) e all’interno della cri-stianità nella sua dimensione più ampia: penso in par-ticolare alle chiese ed alle importanti tradizioni rifor-mate che si sono confrontate e continuano a misurarsicon l’etica della politica e dell’economia.

* (Cultore della materia in storia medioevalepresso l’Università di Trieste)

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Il film, intitolato “Tao Jie. A simple life”, diretto da AnnHui, è stato premiato dalla giuria del Premio prolife intito-lato a Gianni Astrei e organizzato dal Fiuggi FamilyFestival e dal Movimento per la Vita. Un’anziana donna diservizio, dopo aver servito per tutta la vita diverse gene-razioni di una stessa famiglia, capisce di perdere colpi. Lepadelle le scivolano dalle mani, cade, non si sente piùbene come un tempo. Decide così di ricoverarsi da solain una delle tante squallide case per anziani di HongKong. Nell’appartamento dove presta servizio è rimastosolo l’ultimo giovane rampollo della famiglia. Lei è orfanadalla nascita. Era stata adottata da bambina e la famigliadei suoi datori di lavoro aveva rappresentato così l’unicomicrocosmo di sentimenti e di affetti della sua vita.Mentre la donna invecchia, si ammala, peggiora e, allafine, si avvicina all’ultima ora, il ragazzo, inizialmente svo-gliato e un po’ viziato, scopre progressivamente un affet-to crescente per la vecchia domestica. Mentre la morte piano si avvicina, crescono i sentimentidel ragazzo. Senza il filtro degli oggetti o del denaro, chela donna abbandona uno dopo l’altro, lo spazio per l’af-fetto diventa sempre più grande ed importante. In questa continua altalena fra le esigenze della donnache si riducono sempre di più all’essenziale e le emozio-ni che diventano sempre più autentiche e forti, lo spetta-tore entra lentamente in una strana catarsi che lo porta aconsiderare diversamente anche il dramma della morte. Viviamo in una società che nega l’idea stessa dellamorte.Eternamente giovani ed egoisti, molti di noi hannocancellato dalla propria prospettiva esistenziale il concet-to della caducità della vita. Ciò ha un’influenza nefastasulla solidità degli affetti. Tutto infatti può essere riman-dato all’infinito. Anche una semplice carezza ad una per-sona cara prima della fine. Una carezza che invece, sedata per tempo, potrebbe dare un senso diverso al senti-mento di un’intera esistenza. Si tratta di un film comples-so e intenso come pochi. È tratto dalla storia vera del

legame tra il produttore Roger Lee e Ah Tao, la donna diservizio che lo ha allevato sin da bambino. Nella motivazione del Premio “Astrei”, i giurati hannoscritto: “Il film di Ann Hui coinvolge lo spettatore nel-l’affascinante spettacolo di una vita normale. La pro-tagonista è seguita con amore e solidarietà nellemille incombenze della quotidianità e, soprattutto,negli ultimi giorni della sua vita. I sentimenti sonosinceri e la narrazione rispettosa;genera nello spettatore una commozione e una rifles-sione profonda sul valore dell'esistenza umana finoal suo compimento definitivo”.

Andrea Piersanti, Giornalista,Docente di Metodologia e Critica

dello spettacolo, Università “Sapienza”, Roma

“TAO JIE. A SIMPLE LIFE”Non rimandiamo all’infinito i segni del nostro affetto

Porsi alla scuola di S. Francesco non significaassumere un atteggiamento di ossequienza inerte.Egli non voleva che gli altri compissero i suoi stes-si atti. In fin di vita come testamento disse ai suoifrati: “Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi,ve lo insegni Cristo!” (FF 804).Una persona non può sviluppare se stessa se non sistacca dal maestro. S. Francesco non ha volutolivellare gli uomini, ma risvegliare in essi il sensodella propria personalità. Ciò non significa favori-re forme di individualismo, ma costruire la frater-nità quale luogo che rende possibile la crescitadelle singole persone. Per creare una fraternitàoccorre il metodo della comunicazione indiretta,anziché della comunicazione diretta. Quest’ultimaè affermativa, impositiva, senza zone di incertezza:“Tu devi fare così!”.La comunicazione indiretta, invece, non dilaga,ma fa sì che la persona crescae si interroghi. La comunica-zione indiretta è un porgere,un testimoniare che nonavvince una persona, che nonpretende di trasmetterle i pro-pri schemi. La persona è tale nella misurain cui comunica. E può comu-nicare in modo autentico solonella forma indiretta che con-sente ai singoli, uguali tra loroper dignità, di crescere svilup-pando i loro diversi carismi e leloro peculiarità. La comunica-zione indiretta è una forza cheaiuta l’altro a essere se stessonella sua unicità irripetibile einsostituibile.Più io comunico in modo indi-retto, più l’altro diventa diver-so da me e sempre più se stes-so. L’importante è mantenere epromuovere la diversità del-l’altro e non credere di arrivarea perfezione quando si ha unamassificazione.Perché ci sia il dialogo occor-re la diversità degli orizzontitra gli interlocutori. Nel dialo-go si passa dallo scontro ini-ziale a un incontro, dalledivergenze alle convergenze.Tuttavia le divergenze nonpotranno mai essere del tuttocancellate. Questo significa

che il dialogo continuerà fino a quando ci saran-no le diversità di orizzonti. La diversità è, dun-que, una ricchezza, perché apre nuovi spazi aldialogo. Perché ci sia il dialogo occorre che i dialoganti sen-tano l’espressione di ciascuno come un arricchi-mento per se stessi. Se, invece, si ritiene la propriaespressione come totale e assoluta, si sopprimel’alterità e rimane solo un monologo.La diversità nel dialogo favorisce il superamentodel proprio limite nell’accettazione, nel rispettodell’interlocutore che non deve mai essere domina-to, assimilato, annullato.Quando Cristo lancia il suo messaggio non dà ordi-ni, ma propone delle beatitudini, ovvero uno statoche va conquistato personalmente, poiché solo lacomunicazione indiretta fa crescere in modo auto-nomo e creativo. ■■

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COMUNICAZIONE INDIRETTA E FRATERNITÀLucia Baldo

Il grande mistero al centro della nostra fede,l’Eucaristia, è il sogno di Dio di farsi nostracarne, di abitare stabilmente la nostra quotidia-nità. Per riscoprire questo sogno, in occasionedella Decennale eucaristica la parrocchia diSanta Maria Annunziata di Fossolo a Bologna,ha dato vita ad alcuni “Centri d’ascolto” dellaParola di Dio. Grazie alla disponibilità di alcune famiglie, chehanno aperto le porte della propria casa, fra gen-naio e febbraio sono state realizzate quattroserate di preghiera, riflessione e condivisione didue brani eucaristici: il Vangelo di Marco (6,30-44) e la prima lettera di S. Paolo ai Corinzi(11, 17-32). Lo spirito che anima questa tradi-zione delle decennali eucaristiche a Fossolo èmolto chiaro: far sì che la Parola di Dio nonrimanga appannaggio del luogo comunitario pereccellenza, la chiesa parrocchiale, ma si diffon-da anche nelle case che la circondano: la par-rocchia, infatti, (dal greco: “parà oikìa” = “pres-

so le case”) è famiglia di famiglie e in quest’oc-casione è stato ancora più evidente. In questomodo la Parola di Dio può viaggiare ancheattraverso il canale informale del passaparolafra vicini: ciascuna zona era avvisata del relati-vo appuntamento e chiunque poteva partecipare,anche fuori dal consueto giro degli habituée…L’intento missionario e inclusivo dell’iniziativaè indubbio, seppure sia anche il più arduo daconcretizzare. L’atmosfera famigliare e raccolta che io stesso hosperimentato, ha realizzato secondo me un primo,discreto miracolo: le piccole “fortezze” individualisi sono dischiuse e hanno permesso a tutti di sen-tirsi fisicamente e interiormente più vicini. Lo sfor-zo richiesto a ciascuno è sempre quello di vincerela pigrizia serale (che quest’anno ha trovato unavalida alleata nella neve) e la timidezza di condivi-dere in semplicità ciò che l’ascolto fa maturare nelcuore. Una volta rotto il ghiaccio – e per questobisogna ringraziare le guide che hanno animato lesingole serate – ho scoperto nelle persone attorno ame una sincera apertura e solidarietà che ci ha fattotoccare con mano la natura della Chiesa. E in queigruppi in cui non tutti i volti erano noti, c’è statafinalmente l’opportunità di presentarsi con un girodi nomi. In merito ai brani adottati, il messaggio è a mioparere molto forte: la comunione che Dio vuoletessere con ciascuno di noi passa necessariamente

e sostanzialmente per l’al-tro, il fratello, il prossimo.Da qui non si scappa! E apensarci bene questo fattopuò anche spaventarci unpo’, perché la Parola di Dioci interpella nel vivo dellenostre giornate, delle nostrescelte, delle nostre relazio-ni. Ma è anche liberantesapere che, come dice ilfamoso canto, “Dio sta neifratelli tuoi”. Un ultimo aspetto che mipiace sottolineare è che laParola di Dio non si smenti-sce mai. Di volta in volta, lostesso brano risuona diver-samente in ciascuno, rive-lando una Parola semprenuova, sempre viva, sempreautentica. Ascoltando gliinterventi degli altri ci siaccorge di questa verità enasce il desiderio di benedi-re di ciò il Signore.

Francesco Masina

marzo 2012 il Cantico 27

LA SUA PAROLA SEMINATA SUL TAPPETO DI CASA

Nei mesi di dicembre e gennaio scorsi, laFraternità Francescana "Frate Jacopa" hapartecipato alle Missioni al popolo dellaParrocchia S. Maria Annuziata di Fossolo inBologna. Riportiamo la testimonianza di ungiovane parrocchiano.

Esistono dei romanzi avvolgentigrazie al calore che solo certeimmagini sanno riprodurre, esisto-no delle storie capaci di restartidentro con quel sapore dolceamaro che solo certi eventi hannoil potere di evocare, esistono deiracconti di vita vera in grado ditenerti sospesa generando quell’ef-fetto di straniamento spazio tem-porale che solo certi squarci di unaquotidianità autentica e ormai tra-montata hanno la forza di creare.“La Bottega della Sarta” è uno diquei romanzi. Uno scritto delica-to e prezioso quanto feroce e cru-dele è lo sfondo su cui si muovo-no i personaggi.Santa Maria degli Angeli (Assisi). Tra il 1941 e il1945. Anni cruciali, spartiacque tra un prima, stre-nuamente ancorato alle tradizioni, e un dopo, irrime-diabilmente mutevole. La storia, quella che poi saràsui libri e di cui oggi siamo figli, irrompe nel micro-cosmo della realtà angelana dei primi anni quarantadel secolo scorso. L’Italia che entra in guerra, il con-flitto in Albania, l’armistizio dell’otto settembre, ilpassaggio del fronte, i campi di concentramento. Una storia corale che ha, però, il suo fulcro nellavicenda personale di Vittoria, la sarta della bottegadel titolo, giovane sposina che dopo solo quindicigiorni di matrimonio vede il marito Francesco par-tire per l’Albania. Da lì in poi tutta la sua vita equella dei personaggi che la circondano sarà scan-dita dal rincorrersi degli eventi di guerra e delleripercussioni degli stessi su un quotidiano che si

cerca di vivere, per quanto possi-bile, mantenendo un barlume dinormalità.Ed è proprio questa normalità cheviene descritta nei gesti precisi coni quali Vittoria misura, taglia, imba-stisce e cuce. Ed è ancora la nor-malità che si riscontra nei momentiin cui Vittoria, impasta, intride,cuoce, stempera. La consuetudine ela semplicità di una vita genuina,nonostante le ristrettezze impostedalla guerra, come difesa dalle brut-ture di un conflitto, terminato ilquale niente sarà più come prima.“Io penso che normali non si tornapiù! Però dobbiamo accontentarci!Siamo vivi e siamo insieme!”

Tante le tematiche forti che questo libro ci regala. La donna, la sua forza. In ogni epoca.La famiglia, àncora di salvataggio. Da riscoprire.La fede, compagna dell’esistenza. Per riflettere.La memoria, valore imprescindibile. Per non sba-gliare.Quadri di vita paesana e contadina nella pellicolain bianco e nero della guerra.

A cura di Viviana Picchiarelli

“LA BOTTEGA DELLA SARTA”Presentazione del libro di Amneris Marcucci

Dell’autrice Amneris Marcucci sono stati pubblicatiper le Edizioni GESP Città di Castello, “NonnaClelia ed altri racconti” (2004) ed il romanzo“Primule e carrarmati correva l’anno 69” (2007).Restano inediti i testi teatrali che l’autrice ha curatoper varie attività scolastiche ed extra.

IL CANTICO“Il Cantico” continua la sua storia a servizio del messaggio francescano nella convinzione di poter offrire così unservizio per la promozione della dignità di ogni uomo e di tutti gli uomini.Per ricevere “Il Cantico” versa la quota di abbonamento di € 25,00 sul ccp intestato a Società CooperativaSociale Frate Jacopa – Viale delle Mura Aurelie 8 – 00165 Roma IBAN IT-37-N-07601-02400-000002618162.Riceverai anche Il Cantico on line! Invia la tua email a [email protected] l’abbonamento sostenitore di € 40,00 darai la possibilità di diffondere “IlCantico” e riceverai in omaggio l’interessante volume “La custodia dei beni dicreazione”, Ed. Società Cooperativa Soc. Frate Jacopa, Roma 2009.http://ilcantico.fratejacopa.net

La raccolta del Cantico online:un’opportunità da non perdere

Puoi richiedere la raccolta a Cooperativa Sociale Frate Jacopa - Tel. 06 631980 - [email protected] rimborso spese è di € 60 per la raccolta stampata e rilegata degli anni 2010-2011.