Il Cagliaritano - Marzo '12 - N. 2

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TUTTI PER FRA NAZARENO PER SILVIA E PAOLO CITTÀ AMMUTOLITA PANCIA A TERRA A ROMA PADRONA DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA Anno 40, N. 2 - € 2.00 40° 40° ANNO ANNO

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Il Cagliaritano - Marzo '12 - N. 2

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TUTTI PER FRA NAZARENOPER SILVIA E PAOLO CITTÀ AMMUTOLITA

PANCIA A TERRA A ROMA PADRONA

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

Anno 40, N. 2 - € 2.00

40°40°ANNOANNO

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LA CARTOLINA GRATTA E VINCI DI QUESTA CITTÀDegrado urbano senza tante prospettive ................................... 4

È IL FALLIMENTO DI UN INTERO SISTEMADossier emergenza Sardegna .......................................................... 6

SIAMO QUELLI CHE RISCHIANO IL TRACOLLODossier emergenza Sardegna ........................................................ 10

LA SFIDA PER CAMBIARE LA POLITICADossier emergenza Sardegna ........................................................ 14

LE PAGINE DEI GRANDI DI SARDEGNA ................................... 32

CASTEDDU E IS MILITARIS ........................................................... 36

CAGLIARI, I RITI DELLA SETTIMANA SANTA ........................ 38

SOMMARIO

IN EVIDENZA ALTRE STORIE

ANNO 40 - N. 2

QUI SI È RITROVATA L’ANIMA DELLA CITTÀ

PIÙ DI UNO SCATTO PER IS MIRRIONIS5 37

MITICOAMEDEO NAZZARI

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Giorgio Ariu,Direttore de Il [email protected]

Corrono, splendide e arrabbiate, con meno benzina e tanta fretta che ti asfaltano sulle patetiche

ed invisibili strisce pedonali. Corrono, le auto corrono prepotenti e livide di rancore. Qualcuna ha nel manico chi frequenta strisce bianche per nasi dro-gati più che regole per pedoni smarriti invadenti e impauriti. È la città, bellezza, che si sveglia incazzata. E, se giovane, abbraccia poi il buio per dimenticare che la cresta serve per lo sballo. Una cit-tà veloce, violenta, dai connotati sempre più confusi e senza un perché, per oggi e domani... Smarrita la memoria su pro-getti e speranze.Non solo i cani defecano volentieri sot-to i portici sfatti però multietnici, con i padroni che accorciano disinvolti il guin-zaglio. C’è un’aria diffusa di degrado. Dicono che è segno dei tempi: lo scazzo, signori. La paura di non poter più vola-re ha distribuito piene dosi di cinismo e fottutismo. Si salvi chi può in questa giungla metropolitana, un tempo sedu-ta ad inseguire il solelungo e rosso decli-nante da Giorgino a Monte Arcosu.Al Poetto ci hanno tolto la sabbia, i ba-retti ondeggiano, lo stadio fa immagine (però che noia, non si parla d’altro), i muri sono sempre più sporchi, in vetrina sono in saldo anche “vendesi” e “affitta-

si”, i Progetti erano degli altri, Rossella non ce la danno anche perché di santi in paradiso noi sardi non ne abbiamo. Come non li abbiamo per quelle ciminie-re spente che buttano fuori tute illuse e incazzate che imprecano in quella stra-da veloce veloce simil pedonale contro il Potere stratificato. C’è una drammatica cartolina a tinte fosche, provi a grattarla sugli angoli e vinci un parcheggio per la domenica da santificare nelle città mer-

cato per vedere il carrello del vicino che piange di più. Poi per il gas non ti pre-occupare, c’è quel padellone di Sky così ben esposto al sole e all’invidia dei vicini che frigge tutto e ti fa sapere, minuto per minuto, le sorti della tua squadra del cuore e quasi tutto di te.

Scriveteci, dite la vostra, il confronto è aperto...

LA CARTOLINAGRATTA E VINCIDI QUESTA CITTÀ

DialogoDialogo a cura di Giorgio Ariu

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QUI SI È RITROVATAL’ANIMA DELLA CITTÀLe città, si sa, sono sempre sensibili

a tributare ai potenti ed ai vip l’estre-mo saluto. Fiumi di gente in chiesa,

distratta talvolta dal vedo e sono visto. Paginate di necrologi perché si fa, non si può mancare. E poi si fissa e si fa fissare l’appartenenza. Si può insinuare, insom-ma, una vena protagonistica, innervata da piangente opportunismo. E non lo si rico-nosce neanche con se stessi.L’anima della nostra città, però, negli ul-timi tempi si è palesata tutta trasparen-te, bella, compresa, ammutolita davvero.

L’anima più giovane, appunto, ma non solo.Paolo Carta e Silvia Acheri, due cagliari-tani accomunati dalla giovane (e giova-nissima) età: 38 il primo, il politico; 15 la seconda, dettorina e velista talentuosa. Hanno sorpreso e addolorato la città in-tera, andandosene inaspettatamente ed in silenzio. Paolo Carta, una dimensione personale politica tutta sua, distante dal paternalismo del padre Ariuccio, uomo di alta cultura e di trascorsi di vecchi vertici ministeriali, era un ragazzo dolce e de-

ciso, appassionato alla politica in modo pulito. Un ragazzo molto amato in città, silenzioso e solo apparentemente intro-verso. Occhi talvolta assenti, malinconici e comunque rivolti al futuro. Anche per strada, sotto i portici, passava lieve. La grande chiesa di viale Trieste si è rimpic-ciolita. Tantissimi fuori ancora increduli, gente mista e sincera ad interrogarsi sul mistero.Silvia Acheri, ma può impazzire un cuore gonfio di speranza e generosità appena all’alba dei quindici anni, e poi da atleta per imprese anche azzurre, nel corso di una leggera oretta di educazione fisica quasi da convivio? Silvia che già sfidava il vento con la sua 420, Silvia che anticipa-va i desideri di una famigliola splendida e degli amici di scuola e di Marina Piccola. Solo pochi giorni prima in pulmino, in cric-ca, che sogno la trasferta a Sanremo per mari sempre più impegnativi. Silvia che col suo incedere simpatico non ha smes-so di pensare agli altri neanche da lassù, donando parti di sé ed altra vita. Silvia che non poteva mai pensare che una chiesa potesse diventare piccola piccola, e che questa città - per lei silenziosa - decidesse di non dimenticarla mai.

TUTTI INSIEME PER PAOLO CARTA E SILVIA ACHERI

Dialogo

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Tutta la Sardegna è colpita da una povertà diffusa per la mancanza di risorse economiche, a causa di una crisi che ha indebolito le buste paga, ridotto la capacità di spesa delle famiglie, strangolato le attività produttive e il terzia-

rio. L’Isola oggi è una vera e propria polveriera, fatta di un mix di rabbia, frustrazioni e sfiducia, pronta ad esplodere e la paventa-ta ulteriore perdita di posti di lavoro nel settore industriale, Alcoa, Eurallumina e tutto l’indotto, è destinata ad alimentare nuove fiam-mate di tensione sociale, pericolose e difficilmente controllabili. Non è esagerato parlare di situazioni delicate, anche sotto il profilo della gestione dell’ordine pubblico.Qualsiasi azione di riscatto, senza una profonda presa di coscien-za delle nostre inadeguatezze, è destinata al fallimento! Per esse-

re credibili e autorevoli nel confronto con il governo naziona-le, al fine di inchiodarlo al rispetto degli accordi ed ai propri doveri, dobbiamo prendere piena coscienza delle insufficien-ze di carattere politico e progettuale che hanno caratterizzato il nostro impegno. Limiti e insufficienze attribuibili, non solo alle fin troppo richiamate ridotte potenzialità dello Statuto di Autonomia, ma anche alla miopia di una visione politica che ci ha portato a ricondurre i nostri “piani di rinascita” e tutto il sistema economico alla logica perversa delle monoculture produttive. Quindi dobbiamo prendere coscienza del fallimen-to di un intero sistema: politico, economico e sociale che ci ha visto tutti responsabili. E proprio oggi deve nascere, con il contributo di tutti, una nuova coscienza critica per il vero

IL FALLIMENTO DI UN INTERO SISTEMAdi Claudia Lombardo*

L’ISOLA È UNA POLVERIERADAL GOVERNO, UNITI SENZA IL CAPPELLO IN MANO

È

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IL FALLIMENTO DI UN INTERO SISTEMA

riscatto della Sardegna, che impone la ricerca di uno spirito uni-tario, non più solo evocato, ma effettivo.La recente visita in Sardegna del Presidente Napolitano ha con-sentito di evidenziare con la giusta enfasi il profondo stato di crisi ed ha lanciato un monito, ma, per quanto l’impegno del Presidente della Repubblica, volto a sensibilizzare con maggior vigore il Governo centrale sulla questione sarda, vada vissuto con legittima soddisfazione, non possiamo tuttavia cullarci con imprudenti illusioni. Dobbiamo avere ben presente che nulla ci verrà mai regalato! E’ bene saperlo. Quello che otterremo sarà il frutto della nostra incisività, della nostra capacità nel nego-ziare con il Governo un nuovo patto. Un patto che abbia come presupposto imprescindibile e pregiudiziale il pieno rispetto del

dettato del novellato articolo 8 dello Statuto e della Costituzione. Di fronte a questo fascio non possiamo restare inermi, né tanto meno presentarci al confronto con il Governo con il cappello in mano. Dobbiamo reagire con forza e con quella grande dignità che è nel DNA di noi sardi. Ci vuole una grande mobilitazione di popolo. Un popolo che, unito e coeso si deve muovere per il proprio futuro, per pretendere ed ottenere il riconoscimento di ciò che ci è dovuto e che oggi ci viene negato da uno Stato patrigno.

*Claudia Lombardo, Presidente del Consiglio Regionale

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

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La società sarda è chiamata ad af-frontare nodi, limiti e criticità, frut-to di scelte compiute in passato, che sono gli stessi da decenni. I

problemi sono gli stessi da trent’anni, ma nel frattempo il mondo è cambiato e ora spetta all’attuale classe dirigente la re-sponsabilità di prendere decisioni anche per il futuro.Perché oggi dovremmo essere capaci di realizzare quello che in passato non è sta-to possibile portare a compimento? Sono diversi i motivi che fanno pensare che ciò sia possibile. In primo luogo, perché il contesto politico è profondamente mu-tato: l’Esecutivo nazionale è sostenuto da una maggioranza composta da forze poli-tiche che vanno dalla destra alla sinistra, passando per il centro. In secondo luogo perché ci si muove in un quadro che non è più solo locale o nazionale, e in questa fase cruciale aumenta la consapevolezza della necessità del contributo della nostra isola e del Meridione d’Italia al consoli-damento della posizione del Paese nello scenario europeo. Il terzo elemento è la sponda straordinaria offerta da un grande meridionalista: il presidente Napolitano, che ha trasferito in modo forte e chiaro la sua convinzione assoluta di dover affron-tare la questione sarda, e lo ha fatto come

TUTTI INSIEME

di Ugo Cappellacci*

ECCO I NODI DI 30 ANNI DI PROBLEMI

PER LA PARTITADELLA VITA

garante di quell’Unità nazionale che non può non passare attraverso quella coesio-ne territoriale richiamata a livello europeo dal Trattato di Lisbona. Lo stesso trattato che, per quanto ci riguarda, all’art. 174 fa un chiaro riferimento all’insularità.Per raggiungere gli obiettivi, però, serve altro, un “di più”, che in passato è man-cato e che ora può essere fondamentale per raggiungere i risultati auspicati: quello della coesione. Se vi è una responsabili-tà della nostra attuale classe dirigente è quella di non aver unito finora le forze, la nostra creatività e le nostre eccellen-ze. Occorre un impegno straordinario, un cambiamento di stile. Abbiamo il dovere di circoscrivere un ambito condiviso di questioni che possa essere davvero sin-tesi efficace e posizione unitaria. Sono d’accordo con i sindacati quando chiedo-no che si debba arrivare a un tavolo che preveda il pieno coinvolgimento di tutte le forze economiche e sociali. Impegniamoci per allargare quel tavolo. L’Assemblea degli Stati Generali avvia un percorso che deve essere alimentato con il contributo leale e finalizzato a raggiungere il risultato da parte di tutti. Ognuno deve fare la sua parte e come presidente della Regione assicuro che farò la mia per consentire a ciascuna rappresentanza di dare il proprio

contributo. Smettiamo di vestire la maglia dei nostri rispettivi club di appartenenza, lasciamola alle partite di un altro campio-nato che può essere disputato a parte e che non finisce qui, e sulle grandi questio-ni vestiamo quella della nazionale sarda: quella con i quattro mori.

*Ugo Cappellacci, Presidente della Regione Autonoma

della Sardegna

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NOI DELL’INDUSTRIA, ARTIGIANATO, AGRICOLTURA E COMMERCIO NEL PRECIPIZIO

SIAMO QUELLICHE RISCHIANOIL TRACOLLO

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di Luca Murgianu*

È in atto oggi una pericolosa fase involutiva del sistema produttivo locale, oggetto di drastiche ri-strutturazioni e chiusure di interi

comparti produttivi, con scarse o nulle op-zioni di riconversione.Una fase, o meglio uno stato di crisi che coinvolge tutti i settori, ognuno con le proprie peculiarità: Industria, Artigianato, Agricoltura, Cooperazione e Commercio.E la mancata soluzione delle annose questioni contenute nella Vertenza con lo Stato condiziona in maniera rilevante lo sviluppo e le prospettive delle attività eco-nomiche nella nostra Isola: i punti della Vertenza entrano nella pelle dei cittadini e delle imprese e la loro soluzione non deve essere fine a se stessa ma strettamente funzionale a nuove prospettive di svilup-po. E deve considerare il sistema eco-nomico sardo nell’integrazione totale dei fattori e delle soluzioni. In poche parole: nessuno si salva da solo.La difficoltà del manifatturiero investe tutti i principali poli di produzione industriale (chimica, energia, metallurgia, tessile, mi-nerario) con un sistema di grande industria residua che mostra segnali inequivocabili di arretramento. Tutto questo senza che il sistema delle Piccole e Medie Imprese si sia ancora sviluppato adeguatamente e le iniziative nei settori più innovativi e ad alto valore aggiunto abbiano occasione di po-ter essere una reale alternativa a ciò che non c’è più.Dentro il settore dell’industria, anche l’edi-lizia, tradizionale valvola di sfogo nei mo-menti di recessione, sta venendo meno con rilevanti perdite di posti di lavoro e di imprese.L’artigianato, il Commercio ed i Servizi, specie quelli al turismo, soffrono di un mer-cato ristretto nel quale vincoli burocratici e di spesa della Pubblica Amministrazione, freni legati alle condizioni di isolamento e scarsa produttività del lavoro, hanno ge-nerato un contrazione del sistema di ri-ferimento.Dalla crisi non si esce se l’Italia tutta non investe nel recupero produttivo delle sue aree più deboli e sottoutilizzate, valoriz-zandone le risorse naturali e le vocazioni, promuovendo una nuova industria soste-nibile, e puntando su un migliore raccordo tra lavorazioni primarie e secondarie.Due settori in particolare hanno operato come cardine anche sociale di riferimento dell’economia sarda (quasi un ammortiz-zatore in più) e vivono una crisi potenzial-

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

IAMO QUELLI

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mente più pericolosa: si tratta del mondo agricolo e di quello cooperativo.Il mondo dell’agricoltura infatti subisce più di altri gli effetti negativi di un modello demografico e produttivo che ha premiato nel tempo più l’abbandono che l’insedia-mento. Un modello che anziché spingere verso forme di cooperazione e di utiliz-zo ragionato del territorio, dell’acqua e dell’energia ha depauperato l’ambiente

agricolo e le sue potenzialità.Oggi l’Agricoltura Sarda è in attiva ricerca di percorsi di qualità e di cooperazione, ma soffre di una contrazione indotta trop-po spesso da condizionamenti impropri del mercato esterno. La mancanza di in-frastrutture, la grave crisi finanziaria delle famiglie agricole, la piccola dimensione, il peso della burocrazia sono altri punti che impediscono tuttora una svolta. La speri-

mentazione di percorsi sulla multifunzio-nalità e sulle filiere dell’ecosostenibilità devono essere supportati dalle Istituzioni con la creazione di specifiche opportunità, anche normative, che consentano al mon-do agricolo di tenere anche in questa fase difficile. E questo supporto deve essere garantito anche e soprattutto nell’ambito del credito e nella soluzione delle gravi problematiche fiscali.

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Anche la Cooperazione, impresa basata sulla persona e sulla solidarietà interna tra i lavoratori, sembra aver retto meglio all’urto della crisi. Il radicamento nel ter-ritorio rappresenta il carattere portante dell’iniziativa imprenditoriale cooperativa. Questo nei servizi socio-assistenziali, nel-la trasformazione agro-alimentare, nella pesca e nella gestione delle lagune, nel sistema dei beni culturali e ambientali. Ma

proprio per questo tipo di diffusione e col-legamento agli Enti Locali, risulta anche il settore più esposto alle rigidità inique del “Patto di Stabilità” che rischiano di mette-re seriamente in discussione il sistema del welfare locale e la moltitudine di servizi pubblici locali gestiti prevalentemente dal-le Cooperative. Ma il vero punto nodale della Vertenza Sardegna, e che va oltre questa Vertenza,

è un contesto che resta non favorevole allo sviluppo delle imprese, e verso il cui miglioramento devono essere indirizzate tutte le nostre energie, in particolare quel-le della Pubblica Amministrazione a livello nazionale ma anche nella declinazione regionale.Le priorità sono sicuramente la Vertenza delle Entrate, la modifica del Patto di Stabilità (che renda effettivamente utiliz-zabile il beneficio delle maggiori entrate), e la conferma operativa di quanto stabilito nella programmazione del FAS 2007-2013 (che comprendeva una risposta ad alcune problematiche legate al tema dell’insula-rità), che devono essere politicamente al centro della discussione e, in qualche modo, propedeutiche rispetto a qualsiasi discussione sul tema del Federalismo che non può essere affrontato se lo Stato non dimostra davvero un spirito di leale col-laborazione. Deve essere preteso dallo Stato il rispetto dei Patti già sottoscritti.Inoltre la dotazione infrastrutturale della nostra Regione è tuttora largamente insuf-ficiente (52,6 rispetto al 100 della media Italiana) e a questo si aggiungono nuo-ve problematiche sul fronte dei servizi di collegamento tra la nostra Regione ed il Continente che, pregiudicando la continui-tà merci e passeggeri, di fatto si traducono in un vincolo sostanziale alla crescita della nostra economia.Deve dunque essere affrontato il proble-ma dell’insularità.Sul punto della cosiddetta problemati-ca “Equitalia” va risottolineato il dramma dei ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione che interpella lo Stato ma anche gli EE.LL. in una Regione in cui la Spesa Pubblica rappresenta circa il 61% dell’intera ricchezza regionale. Sempre più spesso il fantasma del fallimento aleg-gia sopra le teste degli imprenditori onesti, ma il dato insopportabile ed inaccettabile è che tutto questo sia causato dallo Stato. È necessario che venga posta all’ordine del giorno un’azione coordinata e com-plessiva di profonde semplificazioni della P.A. in sede locale sia essa di derivanza Statale, Regionale o Locale. Questo per far diminuire drasticamente i tempi di pagamento della P.A. e per migliorare la qualità del rapporto con le imprese.

*Luca Murgianu,Presidente del Coordinamento

delle Associazioni Imprenditoriali della Sardegna

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LA SFIDA PERCAMBIARE LA POLITICAE IL RAPPORTOCON LO STATO di Enzo Costa*

BISOGNA SOSTENERE IL MONDO GIOVANILE A COMINCIARE DALL’ISTRUZIONEE VALORIZZARE I TERRITORI E LE RISORSE LOCALI

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CAMBIARE LA POLITICAL’anno 2011 si è chiuso con una

sostanziale stagnazione delle attività industriali in Sardegna. Un’indagine della Banca d’Ita-lia, del novembre 2011, indica

che oltre il 40% delle imprese ha registra-to una flessione del fatturato rispetto al 2010, il 20% ha avuto ricavi stabili, il 40% ha evidenziato una modesta espansione. Le attività di investimento sono rimaste deboli.Il 2012 è iniziato con una comunicazione dell’Alcoa di Portoscuso, una lettera che apre una procedura di licenziamento col-lettivo per tutto il personale dipendente e annuncia la fermata degli impianti e la vo-lontà di chiudere lo stabilimento. In termini sociali significa almeno altre mille persone che rischiano di perdere il lavoro e un duro colpo alle speranze di ripresa dell’intera filiera produttiva del comparto dell’allumi-nio e di tutto il Sulcis. Regna una grande confusione, la crisi che sta sconvolgendo

tutto e tutti è una crisi vera, di sistema che, come era prevedibile, impone dei cambia-menti. Ecco perché è importante, anche in questo scenario mondiale, il taglio che si da alle politiche regionali, a partire da come spendiamo le risorse disponibili.E’ necessario che nasca un contesto di confronto continuo tra i diversi attori isti-tuzionali e sociali e che la Regione per-da una parte del suo potere centralistico e assuma un ruolo di coordinamento e di indirizzo. Deve prevalere la regola che su materie comuni ci sia un lavoro comune.E’ indispensabile che l’integrazione arrivi nei territori, che sono il luogo dove le po-litiche devono svilupparsi e produrre i loro effetti.Servono politiche mirate a sostenere il mondo giovanile a partire dall’istruzione, bisogna porre un freno agli abbandoni scolastici che creano figure marginali nel mondo del lavoro e nella società. Bisogna ripartire dalla valorizzazione e dal rispetto

delle risorse locali, questo vale sia per l’in-dustria (carbone, sale, sughero, granito, caolino, agroalimentare ecc.), che per lo sviluppo del territorio rurale e del sistema turistico.Dobbiamo evitare che la gente si sradichi dai luoghi in cui vive, valorizzare il saper fare, fare in modo che l’intervento pubbli-co aiuti la creazione di reddito rendendolo il meno assistenziale possibile.Per cui salvaguardare e difendere l’esi-stente, renderlo compatibile con l’am-biente, rivendicare la delocalizzazione dei distretti industriali, superare i deficit infrastrutturali, i limiti geografici, realizzare le pari opportunità con il resto del paese devono essere le basi di un vero confronto tra Regione e Governo.Parallelamente dobbiamo iniziare a diven-tare una regione virtuosa, che sa spende-re le risorse che ha, e non sono poche, che sa intervenire in momenti di crisi, come questo, nel sostegno alle persone

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e alle imprese ma che è in grado di dimo-strare che è capace, anche essa, di ridur-re i costi della politica e di proporre una stagione di riforme che riattualizzino la no-stra scelta autonomista. Il vero problema che abbiamo di fronte è come disegnare un modello di nuovo sviluppo che non ab-bia le contraddizioni e gli squilibri di quello precedente.Nella sfida per il cambiamento, che è già partita, dobbiamo rimettere al centro il la-voro, inteso come strumento di crescita sociale di contrasto all’emarginazione e

alla povertà, come strumento portatore di democrazia, di uguaglianza e di libertà.Anche le imprese devono capire che è tempo di abbandonare logiche che ricer-cano la competitività giocando solo sulla riduzione dei costi e dei diritti dei lavoratori con pochi investimenti in ricerca e occu-pazione. In Sardegna con una presenza diffusa di sistemi distrettuali di piccola e media impresa, la sfida è difficile. Anche il mondo della grande impresa risente della nuova divisione internazionale del lavoro, che determina processi di concentrazione

aziendale, ridisegna le prospettive di interi settori manifatturieri.I fattori strategici di competitività, ormai esterni alle imprese e spesso anche ai territori presi singolarmente, sono la ricer-ca, l’innovazione, il capitale umano, le reti terziarie, le grandi infrastrutture e le risor-se finanziarie, che configurano sistemi a rete su ampia scala, la cui soglia critica per noi è costituita proprio dalla dimensio-ne regionale dall’essere un isola e dalla difficoltà di “tenere” il sistema in termini sia locali che globali. Da questa convinzione

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nasce la proposta di proiettare la politica industriale regionale nell’ambito di un si-stema integrato, inteso come modello ca-pace di mettere in rete le sue componenti a partire dalla odierna struttura articolata per sistemi locali di imprese, poli produtti-vi, grandi e medie imprese, sviluppando la massa critica necessaria a produrre inno-vazione, da diffondere a livello regionale, anche con le necessarie discontinuità.L’obiettivo è favorire politiche innovative e collegamenti con il contesto nazionale e europeo, valorizzando le radici locali at-

traverso interventi selettivi e concentrati, ponendo grande attenzione alle politiche di filiera, all’attrazione di investimenti, alla necessità di crescita dimensionale e tec-nologica delle imprese, chiamate ad un ruolo più diretto nella competizione inter-nazionale, capaci di innovare e divenire i soggetti dinamici del cambiamento.Tutto ciò richiede l’immissione nel sistema di consistenti contenuti di conoscenza: per farlo bisogna connettere le sedi della ricerca di base, della conoscenza tecnica e scientifica e della conoscenza conte-

stuale, valorizzando le competenze inno-vative interne alle imprese, alle Università e al territorio e sviluppando uno stretto rapporto tra pubblico e privato.La sfida non riguarda quindi solo il mondo delle imprese e del lavoro, ma deve diven-tare patrimonio comune delle comunità lo-cali con l’obiettivo di investire nel cambia-mento attraverso tutte le risorse disponibi-li, da quelle umane, territoriali, ambientali, sociali, culturali, oltre che economiche.In questo contesto si inserisce la gran-de mobilitazione che le OO.SS. hanno avviato con lo sciopero generale del 11 novembre 2011 ripreso dalla importante manifestazione che si è tenuta il 13 mar-zo, due piazze che sollecitano l’apertura di un tavolo politico, e non tecnico, con il Governo che affronti il rilancio di una nuo-va fase di sviluppo per la Sardegna insie-me al tema delle entrate che ci sono state negate per gli anni 2010 e 2011, e che continuano a esserci negate, nonostante la Commissione paritetica l’8 marzo 2011 abbia deliberato le norme di attuazione che disciplinano le modalità di calcolo del nuovo regime di entrate.Le maggiori entrate sono giustificate an-che dalle maggiori competenze di cui si è fatta carico la Regione ma, diventerebbe quasi inutile rivendicarle se non chiediamo la modifica dei limiti di spesa che il patto di stabilità, definito sulla spesa 2005, ci im-pone. Come dobbiamo affrontare il ricono-scimento della nostra condizione di insu-larità, il ritardo infrastrutturale e lo sblocco delle singole grandi vertenze aziendali a partire dalle fabbriche energivore.Chiediamo che il Consiglio Regionale as-suma un dispositivo che avvii un percorso comune che ci porti ad aprire il tavolo poli-tico con il Governo, un confronto che deve vedere partecipi anche le forze sociali e che deve concludersi con un protocollo di impegni da sostanziare nei tavoli istituzio-nali, decisione che, se sarà utile, siamo pronti a supportare anche con nuove ini-ziative di lotta.Ma al di la delle questioni importantissime legate ai rapporti con il Governo naziona-le, è la politica regionale, con i sui indirizzi e le sue scelte, che può e deve cambiare la Sardegna, è da qui che dobbiamo ripar-tire nessun altro lo farà mai per noi.

*Enzo Costa, Segretario Generale CGIL Sarda

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

Le aziende sarde indebitate con il fisco, al 31 dicembre 2010, erano 64.104 su un attivo di 160.000 imprese presenti sul territorio, con un’esposizione debitoria di 3 miliardi e 516 milioni di euro, vale a dire che il 40 % delle im-

prese sarde era gravata in media da un debito verso l’erario di circa 55.000 euro. Solo nella Provincia di Cagliari, nel gennaio 2011, 33.956 imprese (+11 % rispetto a gennaio 2010) risultano essere indebitate con Equitalia per oltre 2 miliardi e 232 milioni di euro contro il miliardo e 700 milioni del gennaio 2010. Industria, Commercio e Artigianato, in sostanza il sistema imprese della Provincia di Cagliari, in circa 12 mesi ha incrementato i propri debiti nei confronti di Equitalia quasi del 24 %: nello specifico si registra un + 23,30 % relativo alla sezione Erario (+20,56 % in Sardegna), +10,89 % nella sezione Inps (+11,15 % in Sardegna) e + 21,46 % nella sezione Altri (+14,37 % in Sardegna). I primi dati e le previsioni per l’anno in corso sono tutt’altro che confortanti visto che il numero delle imprese indebitate con il fisco per il 2011 sembra destinato a toccare la cifra di 70.450, a fronte di un debito da riscuotere pari ad un importo di 4,27 milioni di euro, con un’ulteriore crescita del 22 % rispetto all’anno precedente.

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STATUS DI INSULARITÀE AUTONOMIAFINANZIARIA

di Mario Medde*

La Sardegna vive una fase tra le più difficili della sua storia autonomisti-ca.Il lavoro e la questione sociale

sono l’epicentro di questa crisi. Le difficol-tà coinvolgono tutte le categorie sociali e producono un malessere che talvolta viene espresso anche in forme e modi non tradi-zionali, frutto dell’esasperazione e dei pro-blemi che nel tempo si sono incancreniti.Oggi siamo nella fase più acuta di questa crisi e ne sono interessati tutti gli ambiti della vita economica, sociale e ambientale della Sardegna.La crescita del PIL regionale è quasi a zero ormai da anni, il tasso di disoccupazione si mantiene su valori intorno al 14% sen-za contare i cassintegrati e gli scoraggiati, il tasso di occupazione è ormai sceso sot-to al 50% e l’indice di povertà si è dilatato fino a interessare circa 400.000 persone. In Sardegna nell’ultimo triennio sono andati perduti oltre 30 mila posti di lavoro stabili nell’industria e nell’agricoltura, settori che pesano rispettivamente appena il 19% (co-struzioni comprese) e il 4% circa nella com-posizione del reddito regionale, composto per il 77% dal settore terziario, che oggi mostra i segni negativi del calo generaliz-zato dei redditi e dei consumi di massa.È diventato urgente e inderogabile un nuo-vo progetto di sviluppo capace di promuo-vere una nuova fase di crescita economi-ca e sociale dell’Isola, dandosi una valida

strategia per superare i condizionamenti economici, storici e geografici.Gli obiettivi più importanti sono:• il riconoscimento dello status di insularità; per recuperare le diseconomie esterne ai processi produttivi e il diritto dei sardi alla mobilità reale delle persone e del-le merci.• l’autonomia finanziaria della Regione; indispensabile per promuovere le basi materiali e immateriali dello sviluppo. Può concretamente realizzarsi non solo at-traverso la leale partecipazione dei cittadini al raggiungimento di questo obiettivo, ma anche a condizione che lo Stato onori i suoi impegni e crediti, a partire dai trasferimenti erariali e tributari dovuti negli anni, ai fondi per le aree sottoutilizzate, all’attuazione di quanto previsto dallo statuto speciale circa il Piano di Rinascita dell’Isola.• la revisione del patto di stabilità è per la Sardegna; indispensabile per ga-rantire una migliore e maggiore capacità di spesa utile a promuovere il lavoro e lo sviluppo e ad attutire l’impatto della crisi.• la partecipazione dello Stato al rilancio del sistema industriale; condizione fondamentale non solo per arrestare il de-clino di settori strategici per la Sardegna e per il Paese (chimica, metallurgia non fer-rosa, tessile, allevamento e agro-alimenta-re), ma anche per promuovere le condizio-ni necessarie ad attrarre nuove intraprese, favorendo le bonifiche e le riconversioni

produttive dei siti dismessi o in via di di-smissione.• il recupero del divario infrastruttu-rale sia nelle reti (viarie, ferroviarie, portua-li, marittime e loro terminali, snodi intermo-dali, idriche, energetiche e telematiche) sia nei servizi pubblici essenziali (scuola, sani-tà, trasporti pubblici locali, uffici pubblici e sicurezza, poste e servizi finanziari, servizi sociali, cultura e sport).

Perché tutto ciò diventi credibile è però necessario che il Governo nazionale si impegni a che le vertenze aziendali aperte (Alcoa, Eurallumina e tutta la filiera dell’allu-minio, il minero-metallurgico, Carbosulcis, il futuro del petrolchimico, l’apertura del tavolo nazionale sul tessile, la questione

CRESCITA PIL REGIONALE QUASI ZERODISOCCUPAZIONE AL 14%, 400.000 POVERI!

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DI INSULARITÀ

energetica, l’agro-industria) trovino un ta-volo di confronto e una definizione in tempi accettabili.Questi problemi potranno essere meglio affrontati, e gli obiettivi raggiunti, se si sa-pranno superare i ritardi e le inefficienze locali e regionali e se verrà attuata imme-diatamente una svolta nell’azione della Giunta in termini di maggiore efficienza ed efficacia.Il sostegno ai settori produttivi appare im-prontato alla mera gestione delle emergen-ze e delle numerose vertenze aziendali; lo stesso Piano straordinario per il lavoro ha finito per disperdersi in misure normali o, peggio, assistenziali; le risorse destinate ai Progetti di Filiera e Sviluppo Locale sono contingentate; non ci sono scelte chiare né sui settori tradizionali, come il primario, né sui comparti innovativi, e si resta al traino delle decisioni dei grandi gruppi industriali; non si comprendono chiaramente neppure i veri orientamenti della Regione nelle poli-tiche di settore.Decisivo è però un nuovo Patto costituzio-nale tra Stato e Regione, precondizione per riconoscere all’Isola le pari opportunità rispetto alle altre realtà del Paese, e per ri-negoziare, con pari dignità, poteri e risorse utili a un maggiore e migliore autogoverno dell’Isola.La mobilitazione del sindacato confederale

in Sardegna, sia con le costanti e continue assemblee territoriali, sia con gli scioperi generali e le manifestazioni partecipate dal popolo sardo negli ultimi anni, è una dimo-strazione non solo della fiducia che i lavo-ratori e i pensionati ripongono in queste organizzazioni, ma anche dell’importanza che assume per la coesione sociale e per una pacifica rappresentazione del males-sere.Le difficoltà della politica, in un preoccu-pante e drammatico scenario di crisi eco-nomica, rischia di vanificare l’impegno e la mobilitazione dei lavoratori, poiché lo sforzo e l’unità dei sindacati, per avere suc-cesso, deve avvalersi delle risposte delle istituzioni e della politica.Da qui l’importanza dell’incontro in Consiglio regionale, a patto che la determi-nazione conclusiva che verrà assunta con-tenga prima di tutto la richiesta al Governo di aprire un tavolo di confronto politico con Regione e sindacati. Considerato che, sui diversi argomenti che riguardano la verten-za Sardegna, non c’è più nulla da discutere sul versante tecnico ma solo da decidere strumenti, risorse e tempi da destinare alla soluzione dei problemi del lavoro, dello sviluppo e delle vertenze aziendali ancora aperte nell’Isola.Infine, proprio per le caratteristiche del tem-po che viviamo, caratterizzato da profondi

cambiamenti nell’economia, nella politica e nella società, la mobilitazione dei lavoratori deve continuare ad essere messa in cam-po per evitare che la Sardegna ne esca an-cora una volta sconfitta.La crisi, infatti, viene utilizzata per riposizio-nare i rapporti di forza e le relazioni tra gli Stati e i territori, ma anche tra i ceti sociali, con ulteriori e pesanti attacchi alle catego-rie meno abbienti nella redistribuzione dei redditi e per una resa dei conti nella divisio-ne internazionale del lavoro.Le richieste e il confronto da mettere in campo in Sardegna, e tra quest’ultima e lo Stato, non sono dunque di mera contabilità sui crediti dell’Isola, ma riguardano il desti-no della specialità e dell’autogoverno e le condizioni materiali e dei poteri necessarie a rilanciare una nuova fase dell’autogover-no dei sardi.Su tutti questi argomenti è indispensabile una sintesi politica in grado di dare risposte ai problemi del lavoro, della crescita eco-nomica e sociale, e per affermare tutte le «libertà» dei sardi.

*Mario Medde Segretario Generale CISL Sarda

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

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SCONTIAMO UN DIVARIODI PRODUTTIVITÀABISSALE

di Maria Francesca Ticca*

Mi piace citare una frase famosa che diceva “Ogni crisi è un’op-portunità sotto mentite spoglie”. Anche io concordo che da que-

sta crisi, oltre alle ricadute evidentemente negative, che soffriranno molti Sardi e le nostre imprese, noi dobbiamo ricavare la parte positiva. Nel merito del tema, la parte positiva può essere quella di mettere ordine nel sistema di scelte programmatiche, rapporti, regole, che la Sardegna sul suo progetto di svilup-po non ha saputo fare da decenni. Mi occupo di sindacato da diversi anni, ho letto decine di proposte di modelli di svilup-po per la Sardegna. Nessuno di quelli che si ponevano l’obiettivo più strategico e più generale è andato a buon fine. Ciò significa che siamo ancora fermi con-cettualmente al Piano di Rinascita, al pro-getto di industrializzazione della Sardegna, che è il punto da cui dobbiamo ripartire se vogliamo - e io penso dobbiamo - fare dei passi avanti rispetto a quelle intuizioni. Grandi intuizioni e grandi idee che hanno dimostrato tanti aspetti positivi in quel determinato periodo storico, che non inten-do sottovalutare. In questi termini, ci sono ancora situazioni che hanno retto fino ai giorni nostri, addirit-tura meglio delle aspettative, l’impatto della crisi sarda e questo è anche merito degli effetti di trascinamento di quel modello. Tuttavia, in questi anni, abbiamo anche misurato con mano i limiti e i punti di diffi-

coltà che quel modello poneva per il cam-biamento strutturale e culturale del sistema Sardegna. È tempo di porre mano seriamen-te ad una RIFORMA STRUTTURALE DEL MODELLO DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA. Fra i diversi problemi che frenano lo svi-luppo della Sardegna, quello che porta la maggiore responsabilità è il bassissimo livello d’infrastrutturazione, che non ha eguali in nessun’altra regione italiana. Senza efficienti reti energetiche, di traspor-to e di telecomunicazioni, l’attività d’impre-sa è condannata a scontare un divario di produttività, che nessuna politica di incenti-vi e nessuna riforma del mercato del lavoro è in grado di contrastare. L’inadeguatezza della dotazione infrastrut-turale, rende inefficaci le politiche per l’at-trazione degli investimenti. La Sardegna ,secondo gli indicatori dispo-nibili, presenta un livello di dotazione pari appena al 50% rispetto a una media di 100 per l’Italia nel suo complesso. Questo dato, decisamente negativo, è tuttavia ancor più impressionante, se si tiene conto della con-gestione e del degrado di molte delle infra-strutture esistenti. Per quelle idriche siamo a meno della metà dei valori medi nazionali, altrettanto per le comunicazioni e per l’energia. Per quanto riguarda l’estensione della rete ferroviaria, la Sardegna rappresenta poco più dello 0% del totale italiano.

Il peso di questo ritardo accumulato dalla Sardegna, è tra i responsabili principali del divario di sviluppo e di conseguenza della nostra economia.Come sindacato, riteniamo, necessario un programma di investimenti prioritari “in-tegrati e coordinati” che punti non solo a ripianare il deficit precedente di quantità e qualità delle infrastrutture fisiche-settore idrico e smaltimento rifiuti, energia, reti di trasporto-ma anche sul rapi-do sviluppo delle infrastrutture immateriali: banda larga e strutture di ricerca e sviluppo tecnologico, essenziali entrambi, per favo-rire l’innovazione, che ha un ruolo di primo piano per lo sviluppo della Sardegna e per un’elevata competitività del Paese. Non possiamo consentire, anche se le dif-ficoltà in cui versano i conti pubblici non lasciano troppi spazi di intervento, che si rimandi il problema Sardegna.Senza infrastrutture non si può moderniz-zare questa Regione, a loro dovrà essere dedicata gran parte di un progetto per lo sviluppo, abbiamo molti ritardi importanti da colmare su diversi settori di base:-tra-sporti, energia, telecomunicazioni...Bisogna quantificare l’adeguatezza delle risorse necessarie, chiarendo al Governo che le risorse destinate fino ad oggi alla Sardegna sono comunque inferiori a quelle realmente spettanti. Come sindacato, chiediamo al Governo regionale di assumere un’iniziativa ufficiale per rappresentare al Governo nazionale la

SUBITO UNA RIFORMA STRUTTURALEDEL MODELLO DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA

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UN DIVARIOgravità della situazione che vive quest’iso-la e la necessità di apertura di un tavolo politico. Crescono e diventano sempre più gravi i segnali di cedimento dei grandi insedia-menti industriali, in tutti i settori; intere filie-re produttive, sono investite da processi di crisi che ne minacciano l’esistenza. Tutto ciò avviene in Sardegna mentre l’orizzonte Europeo ci costringe a misurarci come non mai con i temi dello sviluppo e della coesione, stiamo facendo i conti con nuove esigenze, nuove povertà, nuovi squilibri. È proprio la straordinarietà di questa fase, cioè la collocazione della Sardegna nel nuovo contesto Nazionale ed Europeo, ad essere ancora sottovalutata da larghi setto-ri delle classi dirigenti. Al di là degli sforzi generali di programma-zione si continua, infatti, ad operare con una vecchia logica, impegnando risorse a prescindere dai risultati, innestando gli in-terventi straordinari sui tradizionali canali ordinari e facendo venire meno quella “ag-giuntività” necessaria per produrre effetti nuovi. Manca nuova progettazione, si continua a

raschiare il barile dei vecchi progetti, oggi, però, questo meccanismo non è più suffi-ciente: è giunto in maniera non più rinvia-bile il momento in cui si deve fornire nuovi progetti in grado di elevare la competitività del sistema Sardegna, non limitandosi più ad una gestione ordinaria dell’esistente. Non possiamo rischiare ancora una volta di perdere l’occasione del riequilibrio e della coesione. Abbiamo bisogno di nuove risorse da im-pegnare per nuova e qualificata progetta-zione. È necessario un grande impegno per ripro-grammare. Il 2012 per la Sardegna deve essere l’anno dell’accelerazione e per raggiungere questo traguardo CGIL-CISL-UIL hanno costruito momenti specifici di iniziativa, per chiedere l’apertura di un tavolo di confron-to Governo-Regione-Forze Sociali, utile a rimuovere lentezze e ridare nuovo smalto alla programmazione, per far incontrare opportunità di investimento con bisogni e potenzialità del territorio Sardo. In passato abbiamo potuto affrontare posi-tivamente momenti difficili della vita econo-mica e sociale, garantire l’avvio di impor-

tanti risanamenti economici, perché si è riusciti a trovare un equilibrio tra esigenze finanziarie ed equità sociale; tutto ciò è ancora più importante oggi sui temi dello sviluppo della Sardegna, in quanto le po-litiche di innovazione presuppongono una condivisione larga, non solo istituzionale ma anche sociale, degli obiettivi . Il metodo che proponiamo è quello del dia-logo e della costruzione unitaria delle idee forza per fare avanzare progetti di sviluppo e di coesione. È una sfida difficile ed ambiziosa, c’è dun-que bisogno anche di una nuova consape-volezza della fase che si apre e dei pro-blemi da affrontare, e ciò presuppone una nuova dimensione dell’impegno di tutti ed una diversa concezione delle relazioni so-ciali. È possibile costruirla, è necessario l’impe-gno di tutti.

*Maria Francesca Ticca,Segretario Generale della UIL Sardegna

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ALL’APPARATO STATALE ANCHE UN APPORTO DI 13 MILIARDIDALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, E ORA LO SCENARIO È DRAMMATICO

La vertenza intende giustamente rimetteLa vertenza intende giusta-mente rimettere al centro del di-battito non dico la nostra costante

autonomistica di popolo ma l’idea stessa di autonomia e di sussidiarietà così come è stata ridisegnata con la riforma del Titolo V, oggi così pesantemente messa in discus-sione.Autonomia non più intesa non tanto come difesa delle comunità locali contro un po-tere centrale che tende ad invadere ciò che la circonda. Per come leggiamo noi il contesto, l’autonomia messa in discussio-ne oggi è quella nuova autonomia di tipo relazionale, grazie alla quale non ci devo-no essere più centri né periferie ma ogni soggetto appartiene al sistema, interagisce con gli altri soggetti in maniera del tutto au-tonoma e con pari dignità. Eravamo convinti che fosse ormai meta-bolizzato il passaggio da un tipo di autono-mia a raggiera ad un tipo di autonomia a rete nella quale andare a creare una molte-plicità di relazioni e dove è possibile crear-ne molte altre in modo da poter sempre più soddisfare gli interessi a cui fanno capo e in modo da liberare e valorizzare idee, energie e competenze utili alla crescita e allo sviluppo ma, soprattutto funzionali ad un corretto ed equiordinato dispiegarsi di rapporti interistituzionali.Dobbiamo constatare che non è più così.

Che vi sono nuovi ostacoli pesanti da supe-rare. E che sono oramai molteplici i punti di differenziazione tra il sistema delle autono-mie e il governo centrale, differenze che in molti casi ci hanno portato e ci portano ai limiti del conflitto istituzionale.Mi riferisco ad esempio al tema della te-soreria unica, alla decisione unilaterale di caricare sulle spalle dei comuni costi rela-tivi ad apparati di sicurezza pubblica e ad uffici giudiziari periferici, all’istituzione di una nuova imposta che di municipale porta solo il nome e la volontà di utilizzare i Comuni come agenti di riscossione per conto dello Stato. E la lista potrebbe continuare a lungo.In questo periodo è sempre più preoccu-pante l’incertezza dei Comuni, impegnati in nella predisposizione del Bilancio 2012 a causa delle numerose novità normative che si sono susseguite nel corso dell’anno 2011 con tagli al fondo sperimentale di rie-quilibrio che con la manovra di quest’anno raggiungono quasi i 6 miliardi di euro. A questa situazione drammatica si aggiunge l’incertezza suscitata dal metodo di calcolo delle poste che devono essere iscritte in bi-lancio che sono determinate dalla stima del gettito IMU prodotta del Ministero dell’Eco-nomia e che risultano molto distanti sia dai dati sul gettito ICI riportati nei consuntivi del Comuni sia dalle proiezioni realizzate dai singoli Comuni in collaborazione con l’ANCI.

Queste differenze dovranno essere com-pensate in corso di esercizio in ogni singolo Comune e comporteranno la necessità di appostare ulteriori risorse nel fondo speri-mentale di riequilibrio.Ma il tema che a noi sta più a cuore è la richiesta di rivisitazione del Patto di stabilità in un’ottica di maggiore flessibilità e pur nel rispetto degli impegni europei.Il tema è per noi di particolare importanza perché riguarda il ripristino dell’autonomia organizzativa dei Comuni, necessario per poter svolgere al meglio il compito di ga-rantire i servizi essenziali ai cittadini e alle comunità, a maggior ragione in un momen-to di difficoltà come quello che stiamo at-traversando.Siamo tutti d’accordo nel considerare il principio di responsabilità come corollario indispensabile del principio di autonomia.I numeri stanno lì a dimostrare che i Comuni, nel corso degli anni , questo sen-so di responsabilità lo hanno dimostrato con i fatti. I numeri affermano senza om-bra di dubbio che i Comuni non sono i figli spreconi dell’apparato statale e che, anzi, hanno portato dal 2007 circa 13 miliardi di saldo positivo al comparto della pubblica amministrazione.Nel 2012 il contributo finanziario previsto dal governo aumenta del 69% rispetto al 2011. Nel suo complesso il contributo fi-nanziario richiesto ai comuni vale:

- Il 14,6% della spesa corrente, compro-mettendo la capacità di fornire servizi;- Il 55,8% delle risorse trasferite nel 2010 e prevalentemente fiscalizzate nell’ambi-to della transizione al federalismo fiscale, compromettendo quindi in modo grave questo percorso;- Senza tener conto che l’onere in rappor-to alla spesa degli enti effettivamente è di gran lunga maggiore, anche per effetto dell’applicazione dei criteri di virtuosità.

Nell’anno 2012, in Sardegna il contributo finanziario dei Comuni maggiori di 5000 abitanti soggetti al patto, ipotizzando uno scenario di numerosità di enti virtuosi pari al 10% prevede un importo complessivo di 172 milioni di euro. Il contributo finanzia-rio pro capite è di 152 euro, il più alto tra tutte le Regioni d’Italia. Solo il Comune di Cagliari parteciperà con 33 milioni di euro. Sassari con 19. Nell’anno 2013 il contributo finanziario verrà richiesto a tutti i Comuni maggiori

I COMUNINON SONOI FIGLISPRECONI

di Cristiano Erriu*

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NON SONO

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

di 1000 abitanti. E qui lo scenario è ancor più drammatico. Ipotizzando sempre una numerosità di enti virtuosi pari al 10% i Comuni sardi dovranno contribuire con 243 milioni di euro e, anche in questo caso la spesa pro capite di 151 euro/abitante è la più alta d’Italia.L’estensione del patto ai comuni piccoli dal 2013 redistribuisce l’onere del risanamento su una platea più ampia ma rischia di com-promettere pesantemente il livello di eroga-zione dei servizi nelle comunità con rischi di ulteriore spopolamento e con l’acuirsi di fenomeni già gravi di disagio sociale.Altro punto che voglio segnalare. Con la manovra viene concesso ai Comuni lo sblocco dell’aliquota addizionale IRPEF comunale sino ad un massimo dello 0,8 %. L’obiettivo sarebbe quello di consentire una compensazione dei minori trasferimenti at-traverso l’incremento dell’addizionale. Il combinato disposto dell’inasprimento degli obiettivi di patto e il contemporaneo sblocco dell’addizionale Irpef indurranno inevitabilmente i Comuni a reperire le mag-giori risorse necessariamente attraverso il canale dell’autonomia tributaria. Al di là della dubbia efficacia di questo cana-le, si produrrà il risultato di far diventare i Comuni esattori dello Stato e attraverso le imposte locali (destinate a finanziare i servizi) si contribuisce al risanamento delle finanze pubbliche.In questo modo, invece di incentivare i comportamenti responsabili dei sindaci con il federalismo fiscale, si comprime l’au-tonomia tributaria.

- Oggi l’aliquota massima è adottata dal 13,4% degli enti, dopo lo sblocco oltre il 95% degli enti potrebbe adottare il valore massimo.- Si cancellano così le differenze attual-mente riscontrabili nella distribuzione delle aliquote praticate dai comuni

Anche chi ha controllato la pressione fisca-le in passato sarà costretto ad incremen-tare le imposte locali per darle allo Stato Il cittadino in questo modo non sarà più in grado di riconoscere un comune virtuoso che controlla la pressione fiscale da un co-mune non virtuosoIl risultato finale sarà che tutti saranno uguali con un’omologazione al peggio.In questo scenario descritto a tinte fosche ma realistico, come Comuni, resta fermo il nostro impegno a lavorare sui criteri di virtuosità, soprattutto con riferimento al

il Cagliaritano 23

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miglioramento ulteriore dell’efficienza delle funzioni e dei servizi affidati alla nostra re-sponsabilità.Rimane da capire in che modo si possa la-vorare per favorire la crescita e lo sviluppo.Nonostante tutti questi sacrifici, i fatti hanno dimostrano che l’intervento sul solo lato dei tagli non è sufficiente a migliorare i fonda-mentali economici e a rassicurare le preoc-cupazioni dei mercati. Senza una strategia di crescita sostenuta è impossibile miglio-rare la nostra posizione internazionale. Le città, le autonomie locali, i territori, pos-sono giocare un ruolo fondamentale per la crescita: è infatti nei territori che possono essere avviate azioni immediate e urgenti di sostegno allo sviluppo. Promuovere “cantieri” diffusi nelle città e nei territori può dare il senso di un proget-to ampio e concreto, capace di mettere in moto le risorse di intere comunità, fatte di imprenditività e di protagonismo sociale ed economico nella prospettiva di un rilancio dell’Isola. È in questo processo autopropulsivo di svi-luppo autogenerato che si possono realiz-zare processi rapidi e solidi di innovazione sociale e nuovi investimenti produttivi. Nelle città possono, inoltre, precipitare i disegni di politiche nazionali coerenti e al contempo riconoscersi le imprese e i citta-dini che intendono partecipare a uno sfor-zo comune per il rilancio dell’Isola e, più

in generale dell’Italia. Molte realtà locali si stanno già muovendo in questa direzione e molte persone con elevate competenze (amministratori, imprenditori, rappresen-tanti delle associazioni, cittadini) stanno cercando di mettere a disposizione delle comunità il proprio talento e la propria pas-sione. Tuttavia per loro è difficile sentirsi parte di un grande disegno collettivo.La nostra proposta è quella di stringere un “Patto tra Comuni sardi e le forze sociali, per la crescita e lo sviluppo dell’Isola”. In questa fase drammatica della nostra vita si tratta di unire le forze più sane ed attive e disegnare insieme un programma comune in questa direzione: un programma artico-lato su pochi progetti semplici, concreti e capaci di dare risposta alle esigenze più immediate che abbiamo davanti. Si tratta di liberare risorse e favorire inve-stimenti fondamentali per mettere le no-stre imprese nelle condizioni di compete-re sui mercati e al contempo di garantire quell’equità sociale che i tagli alla spesa indiscriminati e lineari rischiano oggi di compromettere. Molti progetti possono essere realizzati a costo zero.In fondo anche da un punto di vista lessica-le, il concetto di autonomia richiama l’auto-regolazione prima che la rivendicazione.C’è una bella espressione di Umberto Cardia il quale riferendosi alla nascita

dell’autonomia nel secondo dopoguerra dice che l’idea di autonomia riemerge dal sottosuolo della dittatura.Per superare l’attuale sconcerto, può esse-re utile, non fosse altro per conforto, richia-marsi alla memoria storica e al suo percor-so millenario su due “costanti”: la “costante resistenziale” e la “costante autonomisti-ca”, tanto care al compianto Giovanni Lilliu. Quest’ultima, scriveva Lilliu, è assimilabile a un corso d’acqua in un terreno carsico, che per lo più fluisce all’aperto e ravviva la terra e la gente e la fa crescere liberamen-te, ma a tratti si ingrossa sfuggendo a cose estranee che tendono a corromperlo e ad essiccarlo, per riemergere quando il peri-colo è cessato. Nel senso di questa metafora, va l’augurio che questa nostra Regione sarda si im-barchi, navigando serenamente in que-sto complicato III millennio, e che, giunta a quel porto, riprenda il cammino, per vie nuove, e con nuove opere sino a quando, sentendosi giunta al termine, si tramuti da Regione in Nazione.

*Cristiano Erriu,Presidente dell’ANCI Sardegna

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

Giunta Regionale e parlamentari sardi al tavolo sulla crisi ALCOA

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UNA PULIZIA DI BILANCIOPER CREARE SVILUPPOE POSTI DI LAVORO

La Finanziaria, tra Commissione e Aula, ci ha impegnati per quattro mesi. La rapida evoluzione della si-tuazione di crisi rispetto al momen-

to in cui la Giunta ha approvato il testo dei disegni di legge in questione, ha obbligato la Commissione e l’Aula ad intervenire, in accordo con la stessa Giunta, sui testi in esame con l’introduzione di notevoli ed in-cisive modifiche, interventi apportti anche con l’apporto dell’opposizione. In questo compito non ci ha sicuramente facilitato la legge di Contabilità, che si è rivelata del tutto inadeguata e che andrà sicuramente rivista profondamente. In questa fase ab-biamo dovuto limitarci ad introdurre solo alcune modifiche per avvicinare il Bilancio di competenza al Bilancio di cassa, al fine di ridurre la possibilità che si creino i co-siddetti “residui”, ossia somme impegnate ma non spese spesso per parecchi anni. Quindi, considerato che una gran parte del Bilancio è obbligatoriamente destinata alla copertura di spese obbligatorie e che la massa manovrabile è risultata estrema-mente ridotta, al fine di reperire le risorse occorrenti per finanziare alcuni interventi ritenuti essenziali, si è reso necessario compiere , maggioranza e opposizione, una “pulizia” del Bilancio, individuando al

suo interno risorse che potevano essere destinate ad altri interventi ritenuti prioritari.Le somme così individuate sono state de-stinate ad una serie di iniziative volte a cre-are posti di lavoro ed allo sviluppo.Così si pensi ai finanziamenti, consistenti, introdotti per finanziare cantieri comunali e cantieri verdi; non solo, ma sono stati in-trodotti anche altri finanziamenti di minore rilevanza economica, quale il rifinanzia-mento dell’azione bosco.Si pensi all’introduzione di consistenti ri-sorse volte alla realizzazione di opere im-mediatamente cantierabili. Non solo, ma parte delle risorse sono state destinate ai consorzi fidi sia per consentire l’offerta di un maggior numero di garanzie, sia per l’abbattimento degli interessi sulle garanzie concesse.Si noti che questi interventi sono coinci-denti anche con le richieste avanzate dalle organizzazioni datoriali. Inoltre, sempre in accordo tra maggioranza e opposizione, sono state introdotte norme per accelera-re l’attribuzione delle risorse in favore dei Comuni, fornendo tempi certi per la chiu-sura delle tranche 2011 e delle risorse del 2012.Un altro problema affrontato è stato quello dei limiti di spesa imposti dal patto di stabili-

tà, ossia la Regione può impegnare risorse maggiori rispetto a quelle che poi può ef-fettivamente pagare. Fermo restando che il problema può essere risolto con la sotto-scrizione di apposite norme di attuazione, da un lato si è intervenuti cercando di intro-durre disposizioni che allevino la posizione degli Enti Locali; dall’altro, si sono stabilite quelle che sono state ritenute spese prio-ritarie, in modo tale da assicurare che gli interventi così finanziati possano trovare poi effettiva attuazione.L’approvazione della Finanziaria e del Bilancio ha scatenato una forte polemi-ca tra alcune forze della maggioranza e dell’opposizione su chi fosse stato più bravo ad apportare le modifiche. A noi dell’UDC è una polemica che non interes-sa: abbiamo contribuito tutti al risultato. Piuttosto che perdersi in sterili polemiche, è invece importante attivarsi affinché le di-sposizioni introdotte trovino effettivamente attuazione e non rimangano lettera morta come è avvenuto in altre occasioni. Questa è ora la priorità».

*Giulio Steri,capogruppo UDC

DOPO UNA GESTAZIONE DI QUATTRO MESI LA REGIONE HA VARATO FINANZIARIA E BILANCIO 2012:MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE ESPONGONO QUILE RISPETTIVE POSIZIONI

QUI MAGGIORANZA

di Giulio Steri*

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PER CREARE SVILUPPO

QUI MINORANZA

Una finanziaria a due facce. Se da un lato c’è una manovra che, gra-zie soprattutto alla collaborazione

che si è instaurata tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, prevede una serie di interventi anticrisi, mirati in questo particolare momento a sostenere le imprese, i disoccupati, le famiglie e i giova-ni, dall’altro c’è una manovra ben lontana dall’essere quell’efficace strumento di pia-nificazione e programmazione indispensa-bile per gestire tutto il sistema Sardegna e per dare nuovo impulso all’economia. Ci troviamo di fronte a un provvedimento che dà delle risposte alle emergenze in atto, ma non getta le basi per uno sviluppo soli-do e sostenibile che permetta di recupera-re il profondo divario che esiste con le altre regioni dell’Italia e dell’Europa. Questo aspetto è quello che ha spinto l’op-posizione, nonostante alcune migliorie, a votare contro la finanziaria, che riflette il

vuoto politico e programmatico dell’attuale esecutivo. Sia nelle pagine del documento annuale di programmazione economica e finanziaria, il DAPEF, sia in quelle del te-sto della manovra, infatti, non si intravede la linea politica e gestionale che la Giunta vuole portare avanti. Non a caso, in più di un’occasione, la manovra è stata definita pasticciata e confusa, perché frutto del-la contrapposizione tra i gruppi presenti all’interno della stessa maggioranza. Sono stati proprio i contrasti all’interno delle for-ze di centrodestra a rallentare i lavori in Commissione prima e in Aula dopo, a fre-nare l’approvazione del provvedimento e a portare il Consiglio ad autorizzare per due volte l’esercizio provvisorio di bilancio. La Terza Commissione ha lavorato con senso di responsabilità a migliorare il testo, analizzando tutti i capitoli del bilancio nel dettagli, eliminando tutte le spese inutili e recuperando 170 milioni di euro che sono stati utilizzati per finanziare tutti gli inter-venti contenuti nell’articolo 4 bis che è stato approvato all’unanimità. Questo però non promuove la manovra nel suo complesso, che definirei, usando un aggettivo sicura-mente forte, falsa. Falsa perché per il terzo

anno consecutivo si iscrivono in bilancio le risorse provenienti dall’applicazione del nuovo regime delle entrate previsto dall’ar-ticolo 8 dello Statuto Sardo, che lo Stato però non ha mai accreditato. Falsa perché gli stanziamenti di alcuni interventi sono stati gonfiati mettendo in conto risorse ine-sistenti. Ci troviamo di fronte a una situazione assai complessa, con il forte timore di non vede-re attuati molti dei provvedimenti previsti: in primis a causa della mancata risoluzione della vertenza entrate e in secondo logo a causa della mancata rimodulazione dei vincoli imposti dal patto di stabilità che in-gessano la spesa. Le responsabilità della Giunta, in questo senso, sono evidenti a tutti. Troppe partite, vitali per le sorti della Sardegna, sono ancora in alto mare. Il voto contrario delle minoranze nasce appunto dalla consapevolezza che questa manovra, priva di una visione strategica e di sviluppo per la Sardegna, non riuscirà a dare quella spinta in più di cui avrebbe bi-sogno, ora più che mai, la nostra isola.

*Franco Sabatini,Consigliere PD Bilancio

UNA MANOVRADAI DUE VOLTI

di Franco Sabatini*

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IL NEMICOVIENE DAL MARE

C’è un proverbio sardo che dice “sa fàula tràzat comèn-te su riu”, cioè, pressappo-co, il mito è come il fiume, dovunque passa trascina

quanto può e se lo porta via, dalla sorgente del passato alla foce del presente. In una so-cietà, come quella sarda, povera, vinta, che non ha fatto “storia”, l’esperienza esistenzia-le si stratifica nel “mito”, che è, appunto, la storia dei vinti, la tradizione popolare come riassunto della realtà.Non è facile decifrare gli strati di questa ge-ologia dell’anima collettiva, nella sua vicen-da millenaria , interpretare l’etnos e l’etos dell’uomo sardo, della sua dimensione, del suo essere così, spiegare le “permanenze”, dare ad esse un senso attuale, risalire alle sorgenti, quando l’uomo sardo ritualizzò, con la sua fantasia impaurita, le angosce della sua condizione inesplicabile e del suo desti-no implacabile, con i miti e con i riti che da noi appaiono, ora “rottami d’antichità” o incuna-boli del folklore.Se è vero ciò che afferma uno storico tede-sco (uno di quelli che capiscono tutto e siste-mano tutto) che lo stato primitivo dell’uomo è contraddistinto dalla identificazione dell’io umano nell’io cosmico, ebbene, allora, noi sardi siamo, come Leopardi o Montale, dei primitivi: i nostri nuraghi, le nostre “pietre fit-te”, le domus de janas, le bisacce policrome, i tappeti metafisici, i mammuthones, il riso sar-donico, s’attidu, il ballo tondo, su boborobò, s’andira in nora anfira, li abbiamo inventati per incatenarci all’io scosmico, all’Universo.Sul piano dell’immaginazione, almeno, è meno pesante di Lawrence che i sardi con-servano, a bella posta, il loro oscuro Paradiso dell’ignoranza per lasciare che il resto dell’Ita-lia si crogiuoli nel suo illuminato Inferno: ma mette conto di dire che, oggi come oggi, non è più possibile neppure questo, dal momento che ci hanno pensato due moderne divinità ad illuminarci: il Dio Petrolio e il Califfo della Costa Smeralda.In realtà, per la gente sarda, la “morale della storia” è questa: il nemico viene sem-pre dal mare, dalla malaria, importata dai Cartaginesi, ai cani mastini, importati dai Romani, contro i mastrucati latrones, alle bardane dei Goti, dei Bizantini e degli Arabi, agli usurai di Pisa e di Genova, ai cavalli versi degli Spagnoli a sas cortes de sa furcas e sas tancas serradas a muru dei piemontesi, alla caccia grossa dei bersaglieri italioti, alle teste di morto, importate dal Fascismo, al pe-trolio, ultimo nemico venuto dal mare. Da ciò il rifiuto della “storia”, da parte dei Sardi, e la loro fuga nel “mito”: o meglio, la realtà che si fa mito.Riso sardonico. Era un riso “rituale”, usato, cioè, durante un rito di eliminazione. Secondo lo storico greco Timèo, in Sardegna, i vecchi,

di Francesco Masala

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non appena compivano i settanta anni d’età, venivano uccisi, a colpi di pietra, lapidati, in altri termini, dai loro stessi figli. Secondo un altro storico, il romanzo Eliàno, era una vera e propria legge di Sardegna, in forza della quale, i figli dovevano eliminare i loro padri settantenni e il rito doveva essere celebrato fra le risate, proprio per mostrare fermezza, forza d’animo, stoicismo.Ora, aggiungiamo noi, col permesso dei due antichi storici, un evidente provvedimento di natura economica, più che religiosa, indican-te una costante eterna e immutabile della vita esistenziale in terra di Sardegna: la fame.Mentre presso altri popoli dell’antichità si uc-cidevano i bambini, per placare Molok, il dio della fame, in Sardegna si uccideva il vec-chio, colui che ha terminato il suo ciclo pro-duttivo, non tanto per motivi religiosi quanto per motivi economici, per avere una bocca in meno, un concorrente in meno nella divisione di uno scarso cibo.Naturalmente, per poter sopportare e ridere, durante il rito di eliminazione dei padri, i figli si passavano sulle labbra il lattice dell’eufo-ria, l’antica “erba sardonica”, l’erba diffusa in tutta l’isola, amara come il fiele, che tumefà e sganghera la bocca in una tragicomica risata.Ora, i vecchi, in Sardegna, non muoiono più lapidati, ma di mancanza di fiato nel proprio letto. Eppure, il “riso sardonico” è rimasto, fuori dal rito e dal mito, nella realtà: è il riso della melagrana, quando cade per terra e si sfascia mostrando i suoi denti sgangherati e sanguinanti (su risu de sa melagranata, rutta a terra e squartaràda): è il riso della colomba che si squarcia il ventre con le unghie quan-do ha fame (su risu de sa columba chi si nde bogàt sa matta cun s’ungia); è il riso giallo (su risu grogu) del mietitore del Campidano quando lo scirocco gli miete, con la sua falce di fuoco, le spighe arrugginite, nel suo cam-po; è il riso verde (su risu birde) del pastore di Barbagia quando la gelata primaverile gli brucia l’erba nella tanca; è il riso di cenere (su risu de chigina) del mezzadro di Logudoro quando il pastore del Goceano gli mette la candela di cera dentro il moggio di sughero per bruciargli il suo grano; è il riso nero (su risu nieddu) del minatore di Carbonia quan-do il “grisou” scoppia in fondo al pozzo; è il riso rosso (su risu ruiu) del pescatore di frodo quando il tritolo gli scaglia le dita mozze con-tro la luna.Il giuoco della lite. C’è un giuoco di fanciulli, in Sardegna, chiamato “sa birga”, la lite. Si fa così. Si tracciano per terra dei grandi cerchi. Dentro ognuno di questi cerchi si mette un fanciullo. I cerchi si chiamano “sas tancas” e i fanciulli si chiamano “sos padronos”. I padroni delle tanche. Altrettanti fanciulli ri-mangono fuori dai cerchi e vengono chiamati “sos asciuttos”, a becco asciutto, cioè senza tanche, senza terra, senza nulla. Il giuoco

consiste, appunto, in una “briga”, in una lite, in una lotta, fra “padrones” e “asciuttos”, fra ricchi e poveri.A questo punto, lasciando i fanciulli che giu-cano nelle piazzette dei villaggi di Sardegna, mette conto di svelare i significati del loro giu-oco. I fanciulli, si sa, stanno sempre ad imi-tare i grandi, e poi i giuochi se li passano da uno all’altro, da una generazione all’altra: e, così la storia si fa mito.Questo giuoco è nato circa due secoli fa, quando il piemontese, buonanima, inventò, qui, in Sardegna, la proprietà privata, detta, allora, la “perfetta proprietà”. Nel 1820 fu emanata in Sardegna la legge delle chiu-dende, in forza della quale chiunque pote-va chiudere, tancare, gratis et amore dei, i terreni comunali che prima erano proprie-tà collettiva. Fin qui, niente di male. Era un modo come un altro di porre fine, anche in Sardegna, all’economia di tipo feudale e di dare inizio alla rivoluzione borghese. Il male fu che i beneficiari della legge, i nuovi pro-prietari, sos padrones de sas tancas, non furono i contadini, i pastori, gli ortolani, i vi-gnaioli, che già coltivavano le terre comuni-tarie, ma furono quei sardi privilegiati che si trovavano alla Corte di Torino, nobili, ufficiali, magistrati, preti, che si precipitarono sui ve-lieri e approdarono in Sardegna, prima che approdasse la Legge, e incitarono parenti ed amici al grido di «Tancade!! Tancade!!».Costoro chiusero, “tancarono” e, poi, fecero pagare ai lavoratori l’affitto di quelle terre che, prima, erano gratuite. Immaginiamoci un po’ questo sfrenato western in terra di Sardegna, questa ingiusta rapina della terra, questi pio-nieri sardi, armati di pietre nuragiche, filo spi-nato e filari di fichidindia; e immaginiamoci lo stupore, l’ira dei veri lavoratori della terra, dei servi della gleba ancora una volta fregati; e immaginiamoci i figli dei lavoratori che assi-stevano alla lotta, alla lite, alla “briga” dei loro padri con i “chiuditori di terre”, che culmina-rono nella ribellione nuorese, quando “sos asciuttos” se la presero contro sos padronos e si ribellarono per ristabilire le tradizioni co-munitarie, al grido: «a su connottu!!», ritorno al conosciuto. Poi, le cose andarono come sono andate ed è rimasto il giuoco dei fan-ciulli a mitizzare la realtà e a sacralizzare la storia. Ma la realtà è che la “perfetta proprie-tà” fu un “perfetto furto” che suscitò lo sdegno del poeta cieco, Melkiorre Murenu, ucciso da sos padronos per la sua satira: “Tancas ser-radas a muru / Fattas a s’afferra afferra / si su chelu esseret terra / si l’haian serradu a muru / Fattas a s’afferra afferra / si su chelu esse-ret terra / si l’haian serradu puru”. Fra cento anni, e qui volevamo arrivare, i fanciulli, in terra di Sardegna, giuocheranno al “giuoco della raffineria”, la nuova “tanca” industriale.

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VIVERE

IL BASTIONEDELLA GERUSALEMMESARDA

Questa non è stata la pri-ma volta che trovandomi a Cagliari mi sono rifugiato sul bastione di San Remy al salvo dai cittadini cacciatori

di pedoni che al volante si trasformano in

di Costantino Nivola

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veri e propri criminali. E’ proprio in quella parte storica della città che uno mette a repentaglio la vita se ha la pretesa di visi-tarla percorrendola a piedi.L’unico luogo interessante della “Gerusalemme Sarda”, come l’ha definita D.H. Lorens è territorio imperiale delle au-tomobili. Queste, parcheggiate, occupano i due lati delle strade già strette e senza marciapiedi.Nello spazio che rimane, al centro, scor-razzano a tutta velocità le macchine, credo senz’altro meta oltre a quella di accoppare qualche retrogrado come me che osa dubitare sulla validità delle sacre “esigenze moderne”. Come alle oasi nel deserto, al bastione il viandante vi arriva esausto sia che scelga l’accesso dalla scalinata in piazza della Costituzione o l’entrata di fianco da via Università oppure quella dall’alto da via Fossario.Queste tre alternative sono tre promesse mantenute che si realizzano nelle loro va-rianti sensazionali: sorpresa e scoperta di questo incantevole spazio libero e sicuro sospeso tra cielo e terra. Che questo im-menso lenzuolo al sole il vento non l’abbia portato via come una nuvola e che la follia degli uomini si sia limitata a ignorarlo è un fatto incredibile.Della sua sopravvivenza ne faccio cenno agli amici come di un segreto cospiratorio. Ho avuto anche l’occasione di sussurrar-lo nell’orecchio (attento) del presidente Soddu, sorvolando la città prima di atter-rare all’aeroporto. In Lingua Sarda, per forza! Per esprimere in modo più solenne la rilevanza contenuta nella mia informa-zione. Nel bastione io vedo, oltre a quello che di bello esiste, anche le infinite poten-zialità per migliorarlo, rilevandole e po-tenziandole. Oso dire anch’io ciò che ho sentito dire a Le Corbusier ammirando il profilo di Manhattan – New York: «Mi tre-ma la mano al desiderio di disegnare le infinite possibilità estetiche di questa for-midabile città».

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IL BASTIONEDELLA GERUSALEMMESARDA

E’ da anni che sto corteggiando l’idea di proporre all’amministrazione della città di Cagliari e all’attenzione della Regione autonoma sarda, che ha sede in questa città, un progetto di natura artistica inteso a vivificare culturizzandola (per usare un termine concettualista) tutta l’area del ba-stione, magari seguendo il nastro di verde che, partendo dalla galleria passeggiata coperta, lungo il viale Regina Elena, va a finire nei giardini pubblici. Le autorità poli-tiche, monarchiche e repubblicane, le am-ministrazioni comunali di tutti i tempi han-no commesso follie in nome di miti e ideali divenuti assurdi col passare del tempo . Contro gli interessi della comunità e di loro stessi hanno però anche saputo riscattare

la loro natura umana lasciando ai posteri opere d’arte che attestano la presenza dei valori dello spirito. Sarebbe assai triste se in questo periodo di transizione difficile per la Sardegna le amministrazioni responsa-bili sarde si identificassero soltanto come quelle che hanno venduto e incrementato le belle coste dell’isola e permesso il taglio delle sue ultime querce, che si è lasciata inquinare il mare che la circonda, i fiumi che la percorrono e infine l’aria che si re-spira. Una acropoli moderna al bastione di Cagliari: galleggiante in un mare di acque inquinate, di rifiuti di plastica, di sterco di maiale, sarebbe poca cosa (menu chi non nudda!) sufficiente però per riscattare an-

che alle nostre amministrazioni il merito di essere state umane anche se inesperte e inadeguate al tempo presente.Breve descrizione del progetto bastione. L’accesso al bastione San Remy dalla piazza della Costituzione potrebbe es-sere reso più invitante dalla presenza di una scultura collocata nella nicchia all’ini-zio della gradinata. Il gesto e la forma di questa scultura dovrebbe evocare l’atto di ricevere un’ospite, la sensazione che una persona ci riceva cordialmente. Delle due arcate della galleria coperta due sculture di dimensioni piccole, come due bambini che si affacciano curiosi per vedere l’ospi-te. Nello spazio semicircolare che condu-

ce alle due rampe di scale che completa-no l’ascesa al belvedere, una scultura a forma di totem si alza verticale come per incoraggiare accompagnandolo, il visita-tore fino in cima. Sorpresa e meraviglia di trovarsi in mezzo a un gruppo di palme e altri alberi verdi: immobili come se stesse-ro per riprendere il fiato; o agiate ma tena-ci nella loro abitudine a resistere al vento.Lo spazio è vasto e brillante. Il parapetto nasconde il caos delle nuove costruzioni e delle intricate attività del porto.Le colline si adagiano sopra il parapetto, il mare sembra una linea parallela adesso, il cielo domina su tutto. Mi guardo intorno, la cima della scultura totem ora si inqua-

dra dentro la curva dell’arco della grande galleria. Desidero la presenza dell’acqua , che vorrei esprimere solo come desiderio. Dovrebbe sorgere dal muro del secondo belvedere, fare un lungo percorso, divi-dendo quasi tutta la distanza della piazza. Sollevato ma basso in un ruscello in mo-vimento che si divide in due tra le palme e sparisce misteriosamente come nasce, producendo appena un mormorio discre-to come il muoversi delle foglie, che però hanno il potere di cancellare il frastuono della città intorno. Ora che ho saziato la sete, ristorato nel senso dell’udito, mi viene più stimolante l’appetito visuale ne-gli spazi prima monotoni e inerti, forme

scolpite intervengono in gruppi o isolate, alcune orizzontali altre verticali. Queste forme o immagini proiettate contro i fondi delle colline, monti e mari e che circonda-no la piazza bastione, comunicano tra loro come se radunate per un simposio grave e solenne.Come se parlassero in sardo, non tutti possono intendere. Questi personaggi potrebbero anche simboleggiare i grandi sardi di ieri, che hanno più sentito di difen-dere quest’isola dalle invasioni, e di quelli che oggi sentono con altrettanta urgen-za la necessità di difenderla dalle insidie mortali del nostro tempo.

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L’IMPORTANTE È RAGIONARE SINO ALLA TOMBAIl corpo?

di Armando Zucca

Ho avuto il raro privilegio di ini-ziare la mia attività politica e di porvi termine, dopo circa trent’anni, costantemente a fian-

co di Emilio Lussu. Perciò ho avuto modo di conoscerlo quant’altri mai, dopo il suo ritorno dall’esilio e dalla clandestinità per questo ne scrivo con molta titubanza, ben ricordando quanto ebbe sempre a dirmi, di non volere né commemorazioni né apolo-gie postume.Fu nei primi mesi del 1946 che conobbi Emilio Lussu, durante un comizio ad Ales, per le elezioni amministrative; e fu un in-contro che influì, in modo determinante, sulla mia vita. Ero già allora, forse più per istinto che per convinzione, socialista, an-che se non avevo avuto il tempo di iscri-vermi, essendo rientrato di recente, dal servizio militare. Malgrado ciò, gli amici che dirigevano il partito sardo d’azione, mi invitarono a porgere il saluto di benvenuto a Lussu. Lo feci ma non ricordo cosa gli dissi. Egli, finito il comizio, mi fece cerca-re: aveva saputo chi ero; mio padre era stato suo compagno di università, anche se in facoltà diversa. Si informò dei mie studi: ero alla vigilia della laurea in leggi. E, senza molti indugi, mi apostrofò: «Devi essere con noi!»; osservai: «Ma io sono socialista». La sua risposta fu immediata «Ma anch’io sono socialista: socialista e autonomista».Feci la battaglia per la lista sardista, non essendovi quella del “blocco del popolo”. Essa trionfò: l’ultimo degli eletti sardisti ebbe il doppio dei voti del primo della lista

democristiana; il blocco liberal-qualunqui-sta, appoggiato dai vecchi gerarchi, ebbe poche decine di voti.Mi trovai così iscritto al partito sardo d’azione e pochi mesi dopo ne ero dirigen-te provinciale. E con Lussu seguii le va-rie tappe della sua azione politica: partito sardo d’azione socialista nel 1948: partito socialista italiano nel 1949; partito socia-lista italiano di unità proletaria del 1964. Sempre nella corrente di sinistra: nel P.S. d’Az, nel P.S.I., nel PSIUP. Ma spero di es-sere creduto da quanti mi conoscono se affermo che ciò è avvenuto per convinzio-ne, non per passiva acquiescenza o per la istintiva ammirazione per un uomo di statura, politica e morale, assolutamente eccezionale, quale è stato Emilio Lussu. Anche perché egli era un uomo politico che non si poteva seguire senza esserne convinti. Egli fu sempre un intransigente, nelle sue idee e nella sua azione: e lo fu innanzitutto con se stesso, senza tenten-namenti e senza calcolare i rischi.Già nel 1948, con la scissione del partito sardo d’azione, decisa due o tre mesi pri-ma del Congresso, egli poteva scomparire dalla scena politica. Considerato motivo di orgoglio aver contribuito, per vent’anni , a far sì che ciò non accadesse, si che egli ha dovuto ritirarsi dalla vita politica solo per motivi di età, a 78 anni.Gli storici diranno quanto sia stato duro l’impatto di Emilio Lussu, reduce dall’esi-lio e dalla Resistenza, con una Sardegna uscita frustrata e clericalizzata dal fasci-smo, senza aver neppure conosciuto la

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“IO ED EMILIO LUSSU”

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lotta armata contro il nazi-fascismo.Egli era un intransigente: sapeva che non lui ma il popolo sardo si era fermato sotto i falsi miti e l’azione corruttoria del fasci-smo. Per tenere fede alle sue idee, ma-turate in venti anni di lotte, egli distrusse, coscientemente, il suo mito, quello che i combattenti delle trincee e i sardisti che si opposero fino all’ultimo al fascismo trion-fante, avevano tramandato ai figli.Egli era un socialista rivoluzionario, giun-to al marxismo, come non si stancava di ripetere, e alla convinzione che la classe operaia è la classe egemone nella lotta per la liberazione degli oppressi e per la costruzione della società socialista, non sui libri ma attraverso la lotta. Ma ciò non gli impediva affatto di continuare a vede-re nelle lotte dei contadini del Sud e del-le Isole, nelle quali egli aveva maturato le sue prime esperienze, col movimento dei combattenti prima, col partito sardo d’azione poi, uno degli elementi essenziali della lotta rivoluzionaria in Italia. E non gli impedì di continuare a vedere nell’Auto-nomia speciale per la Sardegna, e nelle Autonomie estese a tutte le regioni italia-ne, un elemento importante, non solo a li-vello delle sovrastrutture, per trasformare la società e lo Stato.“Socialismo e Autonomia”, fu il binomio cui egli rimase fedele e che lo portò alle scelte, sempre più rischiose, che egli ha fatto in questo dopoguerra, sempre con la stessa intransigenza.Vide nella D.C. lo strumento principale del-la restaurazione capitalistica e della con-servazione delle strutture statali, forgiate dal fascismo, e perciò si oppose – ecco le scissioni – a qualunque accordo con essa. Ed è difficile affermare, ancora oggi, che i fatti gli abbiano dato torto, nel momento in cui, mutate le generazioni, le squadracce fasciste, che avevano tentato di ucciderlo, possono imperversare, pressoché impuni-te, per le strade della capitale d’Italia, ad appena trenta anni dalla Liberazione.Fu un intransigente, ma ebbe sempre presente che l’unità della classe operaia, dei lavoratori e l’estendersi delle alleanze attorno ad essi, erano il presidio più certo delle conquiste repubblicane e mezzo es-senziale per avanzare verso il socialismo.Fu un intransigente, ma mai autoritario, al di là delle apparenze. Dopo lunghe, spes-so interminabili discussioni negli organi di partito, si votava; ed egli si rimetteva sem-pre alla volontà della maggioranza. Posso affermare in tanti anni di battaglie comuni, di non aver mai avuto da lui un’imposizio-ne o un tentativo di persuadermi se non con la discussione: e chi mi conosce sa

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che ho sempre sostenuto le mie idee, in assoluta autonomia di giudizio, anche nei confronti di un uomo come Emilio Lussu. Un episodio, forse banale, che dà un idea dell’uomo.Tornavamo da Armungia, notte-tempo, molti anni fa. Oltre al compagno che gui-dava l’autovettura, era con noi un altro compagno, di cui mi sfugge il nome. Ad un tratto, ecco apparire una lepre: dopo breve corsa , si ferma sul ciglio della stra-da. Egli era un cacciatore appassionato e fino all’età di 82 anni ha sempre avuto la licenza di porto d’armi: ma mai avrebbe sparato non solo ad una lepre abbagliata dai fari, ma anche ad una lepre ferma, di giorno. Io ero armato di fucile da caccia; dissi al compagno di bloccare l macchi-na, per poter sparare alla lepre. Lussu mi apostrofò aspramente; controbattei: «Sei un democratico: rimettiti alla volontà del-la maggioranza dei presenti». Votammo: rimase isolato. Scesi e uccisi l’animale.

Come risalii in macchina, mi gridò. «E’ un assassinio!»; e me lo rinfacciò per mesi e mesi… Ma aveva accettato i risultati di quella votazione, apparentemente scher-zosa pur avendo pienamente ragione ed essendogli sufficiente dire al compagno di procedere oltre per impedirmi il misfatto.Questi era Emilio Lussu, un uomo ecce-zionale, la cui ambizione costante era di essere visto e trattato come un uomo co-mune.Quando egli si era ritirato dalla vita po-litica attiva, nel 1972, dopo la sconfitta elettorale e lo scioglimento del PSIUP, io decisi, per mia convinzione ma anche per un sentimento di fedeltà alle idee che per quasi trent’anni mi avevano accomunato ad Emilio Lussu, di ritirarmi dalla attivi-tà politica: egli non approvò questa mia scelta, ma rispettò la mia decisione ed io stesso preferii non trattare con lui questo argomento. Sapevo di doverlo fare, anche se, apparentemente, alla mia età, poteva

apparire una diserzione. Si è che con lui e con la sua scomparsa si è chiuso per me ben più che un capitolo della mia vita: ma so di aver avuto, come dicevo all’inizio, il raro privilegio di essergli stato vicino per tanti anni, per cui il futuro mi interessava molto relativamente…Per concludere queste brevi note di ricordi e di considerazioni. Emilio Lussu ebbe a dire, in un discorso all’Assemblea costi-tuente, che: «La storia dei popoli è sem-pre la storia dei vincitori e non dei vinti…». Anche la storia dell’Isola in questi 50 anni è la storia dei vincitori: del fascismo prima, della Democrazia Cristiana poi. Anche la storia di cui Lussu è protagonista è la sto-ria dei vinti, e di essa io stesso sono tra i compartecipi. La Sardegna di oggi è esat-tamente l’opposto di quella che Lussu ha sognato e per cui ha lottato, coerente e intransigente, fino all’estremo.Perciò egli ha voluto uscire dalla scena senza clamori: lontano, purtroppo, dalla sua terra, cui è rimasto indissolubilmente legato anche quando ne era lontano, con la stessa tenacia di una vecchia quercia abbarbicata alla roccia...Per questa terra, per le brulle montagne del Gerrei, egli ha conservato, per tutta la vita, un amore struggente. Quando, esausto per l’eccessivo lavoro, si rifugia-va nella sua vecchia casa di Armungia, poche settimane gli erano sufficienti per riprendere forza e nuova lena. E si può dire che è morto con la visone della sua terra… Non più tardi del febbraio scorso, scriveva, con calligrafia, resa ormai in-certa dall’inarrestabile indebolimento del suo fisico: «Ricordi gli alti asfodeli agitati dal vento a Pranu Sanguini? Sono rari gli spettacoli che ho visto, nel tramonto…».Così è vissuto ed è morto Emilio Lussu.Egli è stato il massimo protagonista del-la storia, dell’Isola in questi ultimi cin-quant’anni: è la storia dei vinti? Può darsi. Ma non è detto che i vinti di oggi non pos-sono indicare, col loro esempio, la strada alle future generazioni per vincere e co-struire, anche in Sardegna, la società di liberi e di eguali, l’ideale cui Emilio Lussu ha dedicato l’intera, travagliata esistenza.

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UNO SCRITTO INEDITO DI TERESINA GRAMSCI

Lavoravo all’ufficio telegrafico di Ghilarza, e credo di essere stata la prima donna del paese ad ave-re un impiego pubblico. Ancora

non si era sentito parlare di femminismo, le suffraggette ottocentesche erano sco-nosciute non solo nei paesi dell’interno dell’isola, ma anche nel capoluogo.Allora le donne andavano in campagna e non studiavano, un po’ a causa degli ostacoli finanziari, molto per la mentalità corrente del tempo. Il mio orario di lavo-ro comprendeva oltre nove ore; in pratica dalle otto del mattino alle sette di sera, con una breve pausa per il pranzo, quan-do non svolgevo straordinari.La domenica era un giorno lavorativo come gli altri. Naturalmente quando usci-vo dall’ufficio dovevo svolgere anche compiti casalinghi, sebbene nell’ambito familiare avessi qualche aiuto.Anche scioperare, persino negli anni delle grandi sommosse operaie e nel biennio rosso, in un paese dell’interno dell’iso-la non era una delle cose più semplici. Ricordo di aver aderito ad uno sciopero nazionale delle poste (allora non erano di proprietà statale, ma date in appalto) nel 1919. la mattina dell’agitazione lasciai sul-la porta dell’ufficio un cartellino con scritto «chiuso per sciopero».Venne, qualche ora dopo, un brigadiere dei carabinieri ad invitarmi a riprendere il lavoro. Mi feci impaurire. Rientrai. Da quella nostra protesta, tuttavia, nacquero

dei risultati positivi, seppur marginali: un leggero aumento di stipendio per i sup-plenti e per il fattorino.Nel frattempo mio fratello Antonio svolge-va l’esperienza torinese dell’occupazione delle fabbriche, del rapporto organico con la classe operaia più combattiva d’Italia.Anche io, la impiegata delle poste di Ghilarza, vivevo, seppure di riflesso, l’en-tusiasmo di quel contatto, di quelle batta-glie.Nino, prima di partire per Torino, quando ancora studiava a Cagliari, mi raccontava con molto entusiasmo la partecipazione alle lotte operaie. Spesso cantava l’inno dei lavoratori. Passeggiava su e giù per la stanza seguendo il ritmo della canzo-ne, sollevando il pugno. Allora ero molto piccola e non riuscivo bene a capire cosa volesse dire «e pugnando, pugnando si morrà».I piccoli Gramsci, nell’infanzia ghilarzese, coltivavano assieme i giochi e gli amori, primo fra tutti, quasi precoce, quello per la lettura. Andavamo molto d’accordo, soprattutto per la lettura. Una volta una signora, a cui era morto il figlio, ci aveva regalato la sua piccola biblioteca. Bisogna immaginare la nostra gioia di fronte a quello che ci pareva un ben di Dio: noi non avevamo i soldi per acquistarceli. Più che ogni altro mi avevano colpito i romanzi “Senza famiglia” e “I Miserabili”. Quest’ultimo l’abbiamo letto assieme, io e Nino, e ne abbiamo discusso per lun-

go tempo. Per leggere e discutere i libri in pace ci isolavamo nella «casa del for-no», vuota e abbandonata nei giorni in cui non si faceva il pane. Una volta, andata a pulire il pollaio, mi cadde il libro che mi portavo dietro, “Il bacio della morta”. Si sporcò. Ebbi paura di rientrare a casa per i rimproveri di Nino, che aveva una grande cura dei libri.Quand’ero bambina avevo il desiderio di scrivere, avrei voluto continuare a stu-diare per diventare scrittrice. Una volta provai a buttar giù qualcosa. I miei fratelli mi presero in giro, mi chiamarono Grazia Deledda. Io non conoscevo l’artista sar-da, e comprai i suoi libri a rate per vedere cosa c’era di vero nel loro scherzare.Sono diventata ufficiale postale. Dietro lo sportello dell’ufficio del vecchio locale di Corso Umberto, a Ghilarza, ho trascor-so 35 anni della mia vita. C’erano anche momenti di distensione, che però non fugavano le preoccupazioni quotidiane: la famiglia, il fratello carcerato perché di-fendeva le proprie idee ed era a capo di un partito operaio. Ricordo che, tramite l’alfabeto morse, comunicavo con i col-leghi di Oristano e di Cagliari. Niente di «sovversivo», s’intende. Solo il desiderio di avere contatti, di scambiare notizie, di uscire – come diceva Nino – dal «picco-lo, grande, terribile mondo». Era un modo anche questo di «stare nella vita», di non sentirsi rinchiusi e isolati.

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CASTEDDU E IS MILITARISCasteddu est prena de cartellus

grogus, de liau- na, cun sa scrit-ta “Zona militare, limite invalica-bile”. Cindi funt in dogna logu: a

Monti Urpinu, in su portu, a Calamosca, a Santu Bartumeu, in su stradon’ ‘e su Poettu, a Boncamminu, in is arrugas de su centru cumenti via Nuoro, sa caminer’‘e Bonaria e via Campania. Ddus eus sem-pri connotus. Ci ndi funt meras puru in sa Sedda ‘e su Tiaulu, asutt’ ‘e sa cali c’est sempri istetiu su misteru mannu de sa gruta in mari: nanchi ci cuant is sommer-gibilis! Ma nisciunu nd’at mai bistu unu.A ci pensai beni, casi totus cussus logus funt in d’una posidura stravanara. Tenint una vista de ispantu, poita funt postus in artu, cumenti is casermas de Boncamminu (aundi ci ant fatu pofintzas sa presoni), o a fac’ ‘e mari, cumenti Calamosca o su far’ ‘e Sant Elia. In is mellus passillaras.In cussus logus no faiat a c’intrai, ma ni-mancu a ci acostai. Fiat proibiu, ti nci bo-gànt, narendi “esigenze di difesa naziona-le”. Ci fiat pagu de si chesciai. Totus cus-sus logus serbiant in cas’ ‘e gherra, abi-

songiàt essi sempri prontus, no si scit mai!Ma po bona sorti, de s’urtima gherra chi iat distrutu Casteddu, arruta asut’ ‘e is bombas in su Corantatresi, non est susse-diu mai nudda. Unu tempus de paxi mera longu. Is casermas, però, funt abarradas aundi fiant, non poriant essi scuncorda-ras. No si scit mai! Torrànt a nai. E aici a Casteddu eus tentu sempri meras sor-daus, avieris e marineris, chi in su Poettu tenint ancora s’arena e is gabinas cosa in-soru, mentris is casotus nostrus, de linna colorada, ddus ant fuliaus totus, nendi chi fiant bassinus!Immoi, finalmenti, su Guvernu at decidiu de dd’acabai: cussus logus non serbint prus po defensa natzionali e ddus at tor-raus liberus, nd’at bogau is istelletas. Ma sa gherra chi non fiat iscopiada prima est iscopiada immoi intra su Stadu, sa Regioni e su Comunu. Unu treulu mannu. Totus si bolint ponni meris de cussus logus. Totus tenint bideas mannas po ddus imperai beni. E funt certendi, tantis po cambiai. Dognunu bolit pigai cussus logus a stracu baratu, boghendinci is atrus. Parint gio-

ghendi a Monòpoli: “a tui Monti Urpinu, a mei Calamosca e Santu Bartumeu”; “si mi do- nas sa casermeta Griffa, deu ti dongu is magasinus de sa caminer’ ‘e Bonaria o su forr’ ‘eBoncamminu”.Prus a prestu abisongiat a nai chi calincu-nu de cussus logus, fintzas a immoi, s’est salvau de su cimentu, propriu poita fiat militari: aici Calamosca o sa Sedda ‘e su Tiaulu. Bai e circa ita iat a essi sussediu si fessit istetiu permitiu de ci porri fabricai! Iant a essi acabau cumenti sa parti bascia de Monti Urpinu, chi est istetia papara de is domus o cumenti su guventu de is mon-gias accant’ ‘e Bonaria o su palatziu “bel-vedere” a Boncamminu.E intzandus custu non est su momentu po certai. Su Stadu, sa Regioni e su Comunu si depint acordai e circai de agatai sa ma-nera chi cussus logus chi ant smitiu d’essi militaris, siant sempri prus bellus po ndi gosai to- tus is casteddaius chi ddus agra-dessint e chi ddus funt abetendi de mera tempus.

di Giampaolo Lallai

La caserma Ederle alle pendici del Colle Sant’Elia

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PIÙ DI UNO SCATTOPER IS MIRRIONIS

LA CITTÀ CHE VUOLE CAMBIARE: L’IMPEGNO DELL’AGENZIA DEL LAVORO PER LA RIQUALIFICAZIONE DEI QUARTIERI DEGRADATI

“Obiettivo hangar: fotogra-fa l’anima di Is Mirrionis” è il concorso indetto dall’Agenzia regionale per

il Lavoro nell’ambito del progetto”Cosa fare dell’Hangar”, all’interno del proget-to europeo Med More and Better Jobs Network, che mira a costruire una rete stabile di cooperazione transregionale per favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle fasce deboli.Raccontare le persone, i luoghi, i colori e le emozioni di un quartiere che vuole rina-scere, a partire proprio dal vecchio hangar da riqualificare: uno spazio di circa1.400 metri quadri che dopo essere stato per anni la sede dell’officina meccanica del-la scuola di formazione professionale re-gionale, è entrato nella disponibilità della Agenzia regionale per il Lavoro. La strut-tura è stata oggetto di un dibattito aperto a tutti i cittadini, invitati dall’Agenzia a ri-flettere ed analizzare le problematiche del quartiere e fare proposte per la riqualifica-zione dello spazio.

Attraverso una progettazione partecipata in più tappe i cittadini sono stati chiamati ad essere protagonisti della trasformazio-ne della grande struttura e del quartiere, anche attraverso il loro sguardo che si poggia sulle sue particolarità. Questa la filosofia del concorso: promuovere e va-lorizzare Is Mirrionis in tutti i suoi aspetti (sociale, storico, artistico, naturalistico, culturale) e raccontare attraverso una fotografia paesaggi, scorci, volti, oggetti, momenti di vita quotidiana del quartiere cagliaritano.«Il progetto rappresenta per l’Agenzia per il Lavoro l’occasione per svolgere una funzione di promozione sociale e lavo-rativa nella zona», ha spiegato Stefano Tunis, direttore dell’Agenzia regionale per il Lavoro, «Is Mirrionis e’ un quartie-re storicamente segnato da forti problemi sociali, ma non privo di elementi di forza. La vicinanza ad ampie zone verdi, un tes-suto commerciale di piccoli esercizi che ancora resiste alla concorrenza dei centri commerciali, la presenza diffusa di servizi

pubblici e la recente vocazione come area residenziale degli studenti universitari sono alcuni dei fattori di maggior pregio e di dinamicità per il quartiere». Tutte le opere, presentate in occasione del convegno finale del progetto Med More and Better Jobs Network, sono pubblicate su facebook nella pagina del progetto par-tecipativo “Cosa fare dell’hangar?” e nella pagina istituzionale dell’Agenzia regionale per il Lavoro. Una giuria, composta da fo-tografi professionisti e presieduta dal di-rettore dell’Agenzia Stefano Tunis, le giu-dicherà in base a originalità, attinenza al tema e qualità tecnica ed estetica e deci-derà i vincitori delle tre macchine fotografi-che in palio. Le opere in concorso potran-no poi venire poi esposte in una mostra permanente nei locali dell’Agenzia.

di Lorelyse Pinna

Stefano Tunis, Direttore Generale dell’Agenzia del Lavoro

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Cagliari

È l’ora del crepuscolo e la luce fioca dei ceri e i canti intonati nelle brevi pause della processione ti tra-smettono il senso della

profondità e del dolore. Gruppi di fe-deli sono assiepati nel sagrato intorno alla chiesa di San Giacomo, in attesa; altri seguono a piedi, nelle stradine del quartiere di Villanova, il corteo; al-tri ancora sono in preghiera nel silen-zio delle chiese, immersi in un’oscu-rità appena attenuata dal baluginare delle candele.I riti della Settimana Santa, ancora oggi, costituiscono un momento di ri-flessione sulla condizione umana e sul senso della vita, proprio in rapporto con la morte. Il Venerdì Santo, nel pie-no rispetto della tradizione, a Cagliari,

si svolgono tre processioni curate dalle confraternite della Solitudine, del SS. Crocifisso e del Gonfalone, che hanno rispettivamente sede nel-la chiesa di San Giovanni, nell’Orato-rio del SS. Crocifisso e nella chiesa di Sant’Efisio. I confratelli attraversano i quartieri storici trasportando il simu-lacro del Cristo in croce con i simbo-li della passione seguito dalla statua dell’Addolorata che, completamente vestita di nero, col volto triste e palli-do, rivolge lo sguardo verso il cielo in un atteggiamento di rassegnazione e speranza che, con grande espressivi-tà, pare segnare il momento del “tra-passo”. E poi vi sono i cori, i fedeli con i lampioni e le consorelle che pregano: statue nere che reggono una candela. Ma i veri protagonisti sono gli uomini

delle confraternite, vestiti di bianco, circondati da gruppi di bambini con la veste candida (is baballotis) che agi-tano le caratteristiche matraccas, co-stituite da due tavolette di legno che emettono il tipico suono quaresimale.Dalla chiesa di San Giovanni il cor-teo parte intorno alle 13 diretto in Castello, verso la Cattedrale, col grande Cristo (“Su monumentu”) che sarà deposto nella cappella a sinistra dell’altare maggiore. La Madonna – ac-compagnata dalla processione – farà invece rientro, in lutto e con la corona di spine, nella chiesa di San Giovanni. Un gruppo di confratelli, la mattina seguente, rientrerà in Cattedrale per il rito de “su scravamentu”: la pieto-sa deposizione di Gesù dalla croce, l’asporto dei chiodi della Crocifissione

I riti della Settimana Santa

Enric

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e fare ritorno in piazza San Giacomo. La cerimonia è quella di sempre: a metà sera il rullo dei tamburi rompe il brusio della lunga attesa e inizia la processione; nella piazza campeggia la croce sormontata da un gallo (il tra-dimento di Pietro) e dagli arnesi del-la tortura: una tenaglia, un martello, i chiodi, due fruste, orecchie e mani mozze, tre dadi (quelli con cui i cen-turioni romani si giocarono la tunica del Cristo prima di crocifiggerlo sul Calvario).La domenica è il giorno de S’Incontru, cerimonia pasquale che si riallaccia all’antico rituale spagnolo. Gli incon-tri tra il Cristo gloriosamente risorto e la Madonna avvengono a Villanova (a cura dell’arciconfraternita del SS. Crocifisso), a Stampace ( organizzato dall’arciconfraternita del Gonfalone) e alla Marina (organizzato dalla confra-ternita di Sant’Eulalia). Le statue del Cristo e della Madonna – che, deposto l’abito nero, ne indossa uno bianco con velo turchino – sembrano quasi uscire dalla rigidità impressa dal le-gno scolpito per incontrarsi davvero. Tutto intorno è un festoso movimento di stendardi e un suonare di campa-ne, che annunciano la Resurrezione. S’Incontru costituisce oggi un “reli-quato” del rituale spagnolo, essendo scomparsa anche la “Processione dei Misteri” che un tempo percorreva le vie degli antichi quartieri della città. Ora i Misteri vengono esposti nel-

la chiesa di S. Michele, a Stampace, illuminati dalle candele dei fedeli, e non sono più annunciati dal rullare dei tamburi che, ancora negli anni Sessanta, iniziavano la tradizionale processione.Il Lunedì dell’Angelo l’arciconfraterni-ta del Gonfalone (quella stessa che or-ganizza la sagra di Sant’Efisio) arric-chisce i riti della Resurrezione con un motivo tutto particolare: abbandonato l’abito turchino delle occasioni minori e vestito quello delle maggiori solenni-tà (costituito da un copricapo bianco infiocchettato d’azzurro, da una cap-petta di lana bianca con bottoni tur-chini e da scarpe bianche e calze nere), i confratelli salgono con Sant’Efisio fino alla Cattedrale e sciolgono il voto pronunziato per la liberazione della città di Cagliari dall’assedio francese nel 1793. ma il lunedì la cerimonia è già in tono minore in quanto i fedeli – superato l’olocausto del Cristo e glori-ficati dalla Resurrezione – festeggiano con scampagnate e balli, la Pasquetta.Sullo sfondo si agita una Cagliari “grande” - città “metropolitana” come oggi si dice – che tende sempre più all’anonimato delle grandi periferie senza storia e che corre a fare la spe-sa negli ipermercati, ma è in grado di conservare ancora, nei momenti più significativi, le suggestioni, i ritmi ed i valori del passato.

e la sistemazione del simulacro nella lettiga al centro della chiesa, vicino all’altare maggiore. Attorno al cata-falco quattro grandi candelabri con le candele accasa. Il rito è curato dalla confraternita della Solitudine, istitui-ta sotto il pontificato di Clemente VIII con lo scopo di redimere gli schiavi e, più tardi, di seppellire i condanna-ti a morte. La tradizione ci riporta al Seicento ed alla dominazione spagno-la che consolidò i riti della Settimana Santa introdotti dagli aragonesi.Dall’Oratorio del SS. Crocifisso, in piazza San Giacomo, la processio-ne del Venerdì Santo inizia invece a metà sera e si snoda nelle stradine del quartiere per concludersi, dopo qual-che ora, nella chiesa di San Lucifero, alle antiche propaggini di Villanova, dove il simulacro in legno del Cristo, opera del Lonis, sarà vegliato per tut-ta la notte. La Madonna, invece, farà rientro a tarda sera nella chiesa (o Oratorio) del SS. Crocifisso. Il crocifis-so di Giuseppe Antonio Lonis, sardo di Senorbì ma stampacino d’adozione, è opera di grande espressività e valo-re. Forse perché uscito dalla sgorbia e dallo scalpello di un singolare per-sonaggio che – benché nato nel 1720, dunque quando i piemontesi erano già sbarcati in Sardegna – vestiva ancora alla spagnola e teneva modi da hidal-go. S’era formato alla scuola napole-tana di Giuseppe Picano di cui con-tinuava a sentire l’influsso e i modi

che si esprimevano in un’eleganza for-male in forte contrasto col carattere rude e rovente dello scultore, ancora oggi grande protagonista del Venerdì Santo.Il Sabato Santo si svolgono le pro-cessioni del ritorno. I confratelli della Solitudine, accompagnati da una folla di fedeli, salgono fino alla Cattedrale per riprendere il Cristo (altrimenti l’ar-ciconfraternita ne perde la proprietà). Il simulacro verrà ricondotto in lettiga nella chiesa di San Giovanni. A seguir-lo, nel tradizionale itinerario, la statua della Madonna della Solitudine.L’arciconfraternita del SS. Crocifisso organizza invece la processione con la statua della Madonna che si reca nella chiesa di San Lucifero per ri-prendere il Figlio deposto dalla croce

di Antonello AngioniI riti della Settimana Santa

Carla

Piro

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FRA NAZARENOQUASI SANTO

A vent’anni dalla morte resta vivo nel cuore dei fedeli sardi l’amore per il frate di Pula. Un esempio di vita «all’insegna della carità, sem-

pre tra gli oppressi e i bisognosi», come ri-corda Italo Urru: le sue giornate «scandite tra la carità, la preghiera, la sofferenza, i disagi», il carattere «ora scontroso e diffi-cile, alle prese con le cose di tutti i giorni, talvolta sfuggente perché cercava la per-fezione».Fra Nazareno è morto il 29 febbraio del ‘92 a Cagliari e le sue spoglie riposano nella chiesa costruita dai suoi amici ac-canto alla casa che la sorella gli fece co-struire a Is Molas in località “Sa guardia è su Predi”, nei pressi di Pula. Il frate amava infatti lavoro dei campi e in quella casa aveva trascorso l’ultimo periodo della sua vita.Le testimonianze, come quella di Italo Urru, si nutrono della fede e del «senso di responsabilità di dar vita ad una testi-monianza che parli finalmente di lui»: il bisogno di raccontare un’esistenza all’in-segna della carità, sempre tra gli oppressi e i bisognosi, per liberarsi «come di cose indebitamente custodite, che non mi ap-partengono» e restituirle alla Comunità di credenti che lo hanno sempre seguito. Fra Nazareno, al secolo Giovanni Zucca, intraprese il cammino spirituale dopo una vita difficile, segnata dall’emigrazio-ne e dalla prigionia in Kenia durante la Seconda Guerra Mondiale. Raccontano che durante quella terribile esperienza ri-uscì a distinguersi per la sua grandezza d’animo e farsi apprezzare sia dai commi-litoni che dai soldati inglesi che lo teneva-no prigioniero. Rientrato in Sardegna sen-tì impellente la necessità di dedicarsi alla vita religiosa. In questo, sempre secondo i racconti, fu determinante l’incontro con Padre Pio da Pietralcina che gli disse che lo aspettava da tempo e lo convinse a tornare in Sardegna perché il suo posto era lì, ad aiutare la gente della sua iso-la. Divenne ufficialmente frate cappuccino il 23 settembre 1951 a Sanluri e da lì si spostò poi a Sassari, Iglesias, Cagliari, di nuovo Sanluri e poi Cagliari. Ovunque ri-ceveva, ascoltava e aiutava i sempre più numerosi fedeli che si recavano da lui da tutta l’isola e non solo.«Un frate al quale la Sardegna è grata dopo averlo amato e conosciuto», come lo ricorda Italo Urru.

UN MARESCIALLO HA VISSUTO CON LUIE CE LO HA RACCONTATO

di Italo Urru

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IL CAGLIARITANO DOCUMENTI: DOSSIER MASSONERIA

UN MARESCIALLO HA VISSUTO CON LUIE CE LO HA RACCONTATO

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Che rapporto hai con il mare? E cosa mi dici in particolare della Sardegna?Penso che ogni essere

umano, anche se nato in montagna, senta per il mare un fascino ancestra-le. Per me in particolare il mare è come una malia che spesso mi commuove sino alle lacrime. Non potrei pensare alla mia vita lontana dal mare e imma-gino che per i fortunati abitanti della Sardegna la vita non avrebbe senso senza “quel mare “, uno dei più belli del mondo. Conosco la Sardegna per aver effettuato tantissime tournee con il mio circo, dove sempre, dico, sempre io ed i miei fratelli Nando e Rinaldo ab-biamo avuto l’approvazione del pubbli-co sardo che è venuto in massa ad ogni appuntamento con i nostri spettacoli.Parlando di cucina, c’e’ un piatto che preferisci e magari una ricetta che vuoi regalare ai nostri lettori?Io “in particolare” amo tutti i piatti!

Penso che il cibo sia la grazia che Dio ci ha regalato e piango per tutta la popo-lazione del mondo che non può avere tutto questo. La ricetta che vi propongo è un piatto povero che però è squisito come tutti quelli che la tradizione con-tadina ci ha tramandato: “poyenta e radicio” (polenta e radicchio). Fare una polentina con farina bramata, lavare del radicchio trevigiano (quello lungo), asciugarlo molto bene e metterlo per pochissimo nello scomparto freezer (un minuto non di più). Preparare la salsi-na per condire il radicchio, olio vergine di oliva, due tre acciughe sciolte in un goccio di aceto, aglio e sale, condire le foglie del radicchio direttamente sulla polenta calda e...buon appetito.Viaggiando all’estero… quale paese ti ha maggiormente colpito positi-vamente e perché?Per la ricerca dei grandi artisti che ogni anno compongono il Golden Circus Festival sono obbligata a visitare pa-recchi paesi stranieri perché purtrop-

po di grandi artisti in Italia ce ne sono pochi e questi sono stati visti e stra-visti e il festival può vivere solo di ar-tisti bravi ed inediti. Visitando i paesi più importanti del mondo come Cina, Russia, Canada, America e tanti altri posso dire che, ogni uno di loro possie-de cose positive e altrettanto negative. Della Cina, che conosco dal lontano 1980, posso dire che, a parte la magia che mi suggestionò al mio primo in-contro, quello che mi ha colpito è stata la rapidità con cui si sono evoluti da paese rurale a grande potenza mon-diale, saltando in un baleno decine di anni di quella evoluzione che tutti gli altri paesi del mondo hanno avuto. Ma a parte la Cina, vorrei avere tanto spazio per descrivere i lati positivi che ho trovato in tutte le popolazioni con cui sono venuta a contatto e che vor-rei poter per molto tempo ancora poter scoprire e descrivere.

VITA DA GIRAMONDOE la Sardegna...

di Julian Borghesan

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E la Sardegna...

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di Maurizio Orrù

Nell’immaginario colletti-vo nazionale gli italiani vengono rappresentati come un popolo di san-ti, eroi e divi del cinema.

Un’immagine riduttiva, ma assai si-gnificativa che mette in luce alcuni tratti salienti della nostra personalità e identità.Oggigiorno il cinema e la televisione italiana sono dominate da uno stuo-lo di personaggi evanescenti e privi di spessore artistico e professionale, che acquistano notorietà ed onori per mezzo di futili e dannosi reality, che li rendono improvvisamente beniamini di un vasto pubblico. Questi falsi “divi nazionali” dopo qual-che apparizione mediatica, scompaio-no e si dissolvono come “neve al sole”, non lasciando nessuna traccia della

loro presenza e della loro arte. Che tristezza. Soffermandoci sul mondo cinema-tografico nazionale, la nostra rivista mensile “Il Cagliaritano” non poteva dimenticare un autentico divo del ci-nema italiano Salvatore Amedeo Buffa in arte Amedeo Nazzari (Cagliari 10 Dicembre 1907 – Roma 7 Novembre 1979), cagliaritano verace, popolare, vanto e onore dell’Italia e della sua amata Sardegna.L’esordio professionale di Amedeo Nazzari avvenne nel 1927 con la “com-pagnia di giro” di Dillo Lombardi e già negli anni successivi Nazzari iniziò a collaborare con compagnie teatrali di prestigio come quelle rappresenta-te da Annibale Ninchi, Marta Abba, Memo Benassi.Sarà Anna Magnani “la divina”, a sco-

prire Amedeo Nazzari a teatro. Fu lei, infatti, ad inserire il cagliaritano nel cast di “Cavalleria”: la professionalità, la prestanza fisica di Nazzari diventa-vano la principale attrazione artistica del film, che presentato alla Mostra del Cinema a Venezia, e poi proietta-to in tutte le sale nazionali, diveniva la pellicola di maggiore incassi della stagione cinematografica italiana del 1936.Nel 1938 Amedeo Nazzari accresceva il suo successo professionale (ampia-mente meritato) con l’interpretazione del film “Luciano Serra pilota”, per la regia di Goffredo Alessandrini: fu que-sta prova cinematografica a rafforzar-ne il mito.Nel corso degli anni, sul personaggio Amedeo Nazzari, i critici cinemato-grafici hanno coniato appellativi cu-riosi: “il Clark Gable delle zone de-presse” (Giulio Cesare Castello); “È senza dubbio il primo autentico divo del cinema italiano dall’avvento del sonoro: fisico prestante, tratti alla Errol Flynn:” (Francesco Troiano).Amedeo Nazzari divenne, suo malgra-MITICO

Amedeo Nazzari

IL SIGNOR BUFFA DI CAGLIARI NELLA STORIA DEL CINEMA

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do, beniamino del regime mussolinia-no, seppur estraneo alla dittatura e ad ogni compromesso politico e cultura-le.La grande popolarità di Nazzari fu determinata dalla sua grande profes-sionalità di attore, dalla sua prestan-

za fisica, ma anche, in quel torno di tempo, dalla politica autarchica del fascismo, che vietava tassativamen-te l’ingresso nel territorio nazionale di pellicole straniere imponendo che i film da proiettare fossero rigorosa-mente italiani. Interprete in quarant’anni di carriera 112 film, molti dei quali entrati prepo-tentemente nella cinematografia na-zionale, quali “Il bandito”, “la figlia del capitano”, “il brigante Musolino”, “ca-tene”, “proibito”, “le notti di Cabiria”, “Malinconico autunno”, Nazzari svol-se esclusivamente ruoli positivi, rivolti al bene: l’avventuriero romantico, l’uf-ficiale gentiluomo, il padre di famiglia, il brigante generoso ed umano o l’im-perturbabile magistrato.Nei suoi personaggi traspariva l’iden-tità dell’uomo forte e orgoglioso ma dall’animo nobile, così come era lo stesso Nazzari.Oggigiorno il nome dell’attore Amedeo Nazzari risulta essere un mito, una icona nel multiforme mondo del ci-nema italiano, ricordato, a distanza di decenni da una moltitudine di fan,

che lo ricordano per la straordinaria prova di attore, ma anche per il suo intercalare “casteddaiu” presente nel-le sue tanti e molteplici ruoli di prota-gonista.Questi tratti hanno contributo a raf-forzare il divo e il suo mito nazional-

Amedeo Nazzari popolare.A 100 anni della nascita, Cagliari la sua città, ha voluto ricordarlo orga-nizzando una straordinaria mostra al-lestita all’Exmà, nella quale attraverso l’esposizione di libri, locandine, proie-zioni di film e la pubblicazione delle recensioni d’epoca è stata riproposta la straordinaria avventura di Amedeo Nazzari. Questo tipo di manifestazio-ne pubblica, per il suo alto contenuto storico e cinematografico, è risultata gradita soprattutto al pubblico gio-vane non avvezzo al divo Nazzari. A tale proposito, importante la sponso-rizzazione dell’ente locale e la profes-sionalità dell’impresa culturale Lu. Ci che hanno dato lustro e splendore alla rassegna.Amedeo Nazzari dopo la partecipazio-ni ad una serie di film minori, tentava la fortuna nei Paesi di lingua spagno-la. In Argentina il primo intoppo: la produzione cinematografica di un film gli propose il ruolo di un personaggio italiano corrotto e malavitoso, assai lontano dalla sua tradizione e pensie-ro della figura standard dell’italiano.

Rifiutò sdegnato. Anche questo era Amedeo Nazzari.A quest’episodio fanno seguito, ne-gli anni ‘60, le prime delusioni cine-matografiche: il ruolo del principe Salina ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, originariamente proposto ad Amedeo Nazzari veniva assegnato a Burt Lancaster; nel film “La figlia del capitano” nel ruolo del rude Pugacev veniva preferito Van Heflin.Nel corso della sua onorata attività ar-tistica Nazzari non è stato mai al cen-tro di pettegolezzi, scandali o gossip. Anzi la sua vita è stata improntata alla modestia e alla generosità. Tanti gli episodi che ricordano Amedeo pro-digo nei confronti degli indigenti.Lunga e prestigiosa è stata la carriera che lo ha vistola fianco dei più grandi e qualificati registi nazionali e stra-nieri: Blasetti, Zampa, Germi, Fellini, Soldati, Risi e tanti altri. Altrettanto numerose e rinomate le attrici co-pro-tagoniste con Nazzari: Merlini, Ferida, Valli, Magnani, Gardner, Sanson, Masina…Molteplici ed interessanti anche le pubblicazioni editoriali dedicate al Nostro divo: tra le tante ricordiamo “Amedeo Nazzari. Il divo, l’uomo e l’at-tore” a cura di Simone Casavecchia, omaggio editoriale pubblicato in occa-sione dei cento anni della nascita di Cinecittà in Roma.Dopo una serie di presenze televisive in alcuni programmi ad alto audience come il Musichiere, Studio Uno, Sette Voci, incominciava il tramonto cine-matografico di Nazzari con un calo di presenze dovuto anche all’insorgere di problemi di salute. L’ultima fatica di Amedeo è stato il film “Melodrammore” (1978) che segnava l’esordio cinematografico di Maurizio Costanzo, in cui il Nostro interpretava una piccola ma significativa parte da protagonista.Amedeo Nazzari rientrava spesso nel-la sua Sardegna, in cui aveva coltivato amicizie forti e vigorose.Morì a Roma il 7 Novembre 1979. Dicono gli amici cagliaritani più cari: “Il cruccio di Amedeo è di non essere riuscito a creare a Cagliari un centro di cinematografia”. Questa bella proposta sarà un sogno o un utopia? Ai posteri l’ardua senten-za.

IL SIGNOR BUFFA DI CAGLIARI NELLA STORIA DEL CINEMA

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IGIENE E SORRISO SICURI?ORA ALL’ISTANTELe necessità di soluzioni per la

modifica estetica e funzionale dei denti anteriori sono da sempre una sfida importante per l’Odontoiatra.

Le problematiche legate ad una colorazio-ne non gradevole, alla presenza di carie, fratture o di alterazioni congenite della forma, nonché il difettoso allineamento rendono talvolta poco piacevole il sorriso.Le soluzioni proposte di volta in volta, pur rimanendo singolarmente valide, sono spesso costose, non sempre con effetti di lunga durata come per esempio le tec-niche di sbiancamento dentale, oppure impegnano il paziente per lunghi periodi come le terapie ortodontiche finalizzate al riallineamento dentale.Oggi esiste una tecnica che affronta con-temporaneamente tutte queste necessità nel gruppo frontale da canino a canino in una unica seduta operatoria e con costi contenuti.Magia o imbonitura da strapazzo ? Niente affatto, si tratta di applicare sugli elementi dentali delle faccette in compo-sito preformate e prelucidate, prodotte in serie dall’industria con standard rigorosi di durezza ed impermeabilità, che vanno po-sizionate con un protocollo molto preciso.Cosa sono le faccette?Sono sottili gusci (0,3 mm) di un mate-riale variabile, nel nostro caso di resine composite, che applicate sulla superficie di un dente appartenente al gruppo fron-tale superiore o inferiore, ne mascherano imperfezioni legate alla forma, al colore o alla posizione.La relativa economicità dell’operazione è permessa proprio dalla produzione in se-rie che ha abbattuto drammaticamente i costi della singola faccetta rispetto a quel-

L’ODONTOIATRIA IN TEMPO DI CRISI: NUOVE SOLUZIONI PER VECCHI PROBLEMI

le in porcellana, le quali vanno costruite singolarmente dall’Odontotecnico sulle impronte dei denti eseguite con metodi-che di precisione.Inoltre le faccette cosiddette “indirette” in porcellana richiedono più sedute terapeu-tiche e spesso l’uso di “provvisori” appli-cati in attesa dell’approntamento dei ma-nufatti definitivi: tutti questi passaggi, che incidono sui costi, non si adottano nelle faccette “preformate”.La personalizzazione dei colori e delle tra-sparenze è comunque possibile, agevola-ta dalla scelta di differenti tipi di faccette “preformate” e dalla scelta cromatica dei compositi di incollaggio che formano la basetta di supporto e che vengono sele-zionati direttamente “alla poltrona”.In realtà, infatti, non si tratta di un sempli-ce incollaggio ma la scelta della posizio-ne della faccetta rispetto al dente, con la possibilità di modificare gli spessori della base in composito, ci permette una buo-na libertà nel correggere i difetti di alline-amento, posizionamento ed inclinazione del singolo elemento rispetto alla forma ideale di arcata.Al punto che si può parlare di una sorta di “Ortodonzia Istantanea”.E’ fondamentale, quindi, per ottenere una particolare gradevolezza di risultato, che vengano applicate le faccette su tutto il gruppo frontale nella stessa seduta per raggiungere la massima omogeneità este-tica.L’applicazione non richiede, di norma, una perdita di sostanza dentale.Storicamente le faccette, chiamate “Laminates”, nacquero alla fine degli anni ’30, per migliorare l’estetica dei divi hol-lywoodiani.

Oggi l’adesione delle faccette preformate è eccellente, grazie anche alla affinità molecolare con i compositi della basetta.Questa caratteristica, unitamente alle ot-time “performance” meccaniche ed al bas-so grado di imbibizione e decolorazione, dovrebbe garantire una più che soddisfa-cente durata dell’estetica e della funzione del trattamento. La tecnica permette al paziente di poter valutare se effettivamente il risultato finale sarà o meno di suo gradimento, grazie al così detto “mock-up”, ovvero la simulazio-ne dell’aspetto finale del sorriso.Si appoggiano infatti le faccette selezio-nate sulla superficie dei denti non ancora preparati, con interposizione di un sottile strato di resina composita che non viene polimerizzata.In questa fase il paziente potrà quindi dare il suo contributo per una ulteriore persona-lizzazione del risultato finale, ovvero per il suo “nuovo sorriso”. La paziente prima dell’applicazione delle faccette vista di lato, occlusalmente e di fronte .

Le ideò il dott. Charles Pincus, che le ap-plicava prima di ogni ripresa cinematogra-fica con della polvere adesiva per dentie-re, rimuovendole finito il set : infatti a quei tempi non era possibile ottenere alcun tipo di adesione permanente.

Prima dell’applicazione delle faccette

Dopo l’applicazione delle faccette

di Stefano Oddini Carboni

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Jazz a CagliariEgregio Direttore Giorgio AriuDirettore Responabile de IL CAGLIARITANOMi chiamo Vittorio Sicbaldi, sono un mu-sicista, batterista jazz, da anni residente a Novara dove svolgo anche l’ attività, ormai secondaria, di insegnante. Come tutti i sardi emigrati per cercar fortuna e lavoro, torno spesso nella città che mi ha dato i natali, mi ha visto crescere, studiare e specializzare in musica jazz. In aeroporto, alla partenza, per rende-re sempre meno doloroso il distacco da affetti e cose care, acquisto sempre una copia de Il Cagliaritano che leggo sempre con attenzione e che, arrivato a casa, conservo assieme ad altre pubblicazioni sulla Sardegna.Vengo al dunque: dopo 12 anni al Nord, centinaia di concerti in Italia e all’estero, 18 cd registrati di cui 2 a mio nome e 8 in cd compilation, ho pensato di mettere l’esperienza maturata a disposizione della mia città e dedicarmi in prima persona alla diffusione della musica jazz. Ho pensato così di segnalarLe per la ru-brica TIMEOUT una interessante inizia-tiva: pochi giorni or sono, il 23 febbraio, ha aperto i battenti a Monserrato in via Cesare Cabras 8 un nuovo Jazz Club, il Jambalaya Jazz Lounge per il quale sono orgoglioso di lavorare come Direttore Artistico.

Con stima ed affetto, Vittorio Sicbaldi

PS: può vedere Jambalaya Jazz Lounge su facebook o, a breve, sarà attivo il sito: www.Jambalayajazzlounge.it

Ricordo di Beniamino PirasEgregio direttore,desidero ringraziare Lei e, per suo tramite, l’avvocato Antonello Angioni, per il bellissi-mo ricordo di mio padre, Beniamino Piras, che avete pubblicato.Al di là della commozione che ho provato

Lettere aIl

CagliaritanoRossella Urru, deserto totaleVa bene che si muovono le diplomazie, ma su Rossella Urru che ha compiuto 30 anni ancora nelle mani dei sequestratori è calata un inquietante silenzio. Senza voler fare del sardo vittimismo mi viene da pen-sare che anche qui siamo cittadini di una serie inferiore.

S.T.

40 anni per raccontare l’isolaAnche io che ho cercato di seguire “Il Cagliaritano” sin dai primi numeri del 1973 (mi ricordo le collaborazioni di Agostino Castelli e di Ugo Ugo e Giuseppe Podda) vorrei formularVi gli auguri più sinceri di lunga vita e un grazie. Non vi siete mai smarriti né venduti e mi ricordo di quando noi irriducibili socialisti (tra gli altri vorrei ricordare Vinicio Mocci) ci ritrovavamo ogni sera nella trattoria cenacolo dietro la Questura e parlavamo del Vostro (nostro) giornale come il luogo indipendente e libe-ro su questioni politiche e culturali.

E.P. – Cagliari

Questa città di fantasmiCagliari non la riconosco più. Via Garibaldi in serrata, Via Dante dove un tempo si fa-cevano le vasche è desolata e spiccano i cartelli affittasi e vendesi. Vanno tutti alle città mercato, anche la domenica che pri-ma era dedicata al riposo e, per chi crede, alla Messa. La grande distribuzione sfrut-ta sempre più i lavoratori e spreme quel poco che è rimasto nei portafogli della gente. Non c’è neanche più speranza per domani. La brutta immagine dello stadio ci rappresenta ora, però non si parla che di quello! Poi non capisco come il nuovo sin-daco sia sempre ben messo nei sondaggi. La nostra città ormai è per i ricchi, sem-pre più lontani dai nuovi poveri che sem-pre più numerati vanno alla Caritas o non escono neanche nel pianerottolo di casa.

Emanuele Concu – Cagliari

Le caste sempre più grasseChe sconforto! Scendiamo in piazza, so-lidarizziamo, tagliamo i costi del nostro vivere, non sappiamo più cosa dire ai no-stri figli, non riusciamo più a sopportare le dichiarazioni di chi sta sopra di noi e che colleziona immensi patrimoni, case, bonus, redditi da stordimento. Vivono in un’oasi sempre più lontana dalla realtà, come fanno a capire il dramma di tutti noi, loro asserragliati nelle caste (ora ci hanno

messo anche gli statali) e ci dicono che bisogna fare tutti dei sacrifici, perché ce lo impongono l’Europa e il debito pubbli-co. Fiumi di denaro ai partiti, con sindaci e amministratori pubblici avidi e corrotti!

Francesco Maxia

Vendola, benzina e avvocati“Devastazione delle civiltà democratica” ha detto Vendola e io che non sono del Suo schieramento dico che ha ragione: ci hanno messo tutti contro, altro che coe-sione sociale! I soldi rubati a mafie varie, parte di quelli dati alle Caste dei grandi giornali e ai partiti potrebbero essere mes-si a risorsa anziché caricare le accise sui carburanti che massacrano il gommato del trasporto merci e noi che ci dobbiamo spostare per lavoro. Tutto costa di più in Sardegna, siamo dentro il tunnel e a fari spenti! Chiudono i commercianti strango-lati dalle grandi catene e chiudono quelli che fanno impresa, perfino gli avvocati, anche se per loro il lavoro non manca, perché quasi nessuno paga. Mi ricordo un amico, bravo avvocato, tutte le matti-ne con la borsa vuota in tribunale. Poi un giorno il suo necrologio su L’Unione : ave-va detto basta.

Manuela Tronci

Via Sardegna, 132 - 09124 [email protected]

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di Alessandra Scifoni

nel leggere questa esauriente descrizione della persona, constato con molto piacere che a quasi vent’anni dalla sua scompar-sa ci sono persone per le quali i valori in cui ha sempre creduto hanno ancora si-gnificato.Di questi tempi non è poco.Grazie di cuore.

Francesco Piras

Auguri per i 40 anniGentilissimo Editore,complimenti per i primi 40 anni. Auguro alla Vostra azienda lunga vita.La comunicazione è un bene inestimabi-le e va tutelato e sostenuto. Certa di un Vostro grande successo, corro in edicola ad acquistare il nuovo numero speciale di una delle Vostre prestigiosissime pubbli-cazioni.Cordialità e saluti sinceri,

Laura Fadda

Giovani e precariatoAlla cortese attenzione della redazione de Il Cagliaritano.Vorrei approfittare dello spazio libero delle lettere per fare una denuncia.Sono una dei tanti ragazzi che lavorano grazie ai Piani di Inserimento Professionale istituiti dalla Regione. Da contratto il Pip obbliga la struttura ospitante a corrispon-dere al tirocinante il compenso ogni mese, ma nel mio caso non è così: il capo dice di non avere soldi, fa finta di nulla e quando riceve le mail che lo sollecitano a presen-tare domanda di rimborso emette assegni a me intestati con le date dei mesi passati, che chiaramente non mi da ma che foto-copia e porta all’ufficio Pip (o manda me) per richiedere il rimborso. La prima volta ha fatto la domanda per 6 mesi insieme ma mi aveva pagato solo il primo mese

e per gli altri 5 ho continuato a lavorare senza vedere un soldo. Quando arrivano i soldi di rimborso dalla Regione mi da il compenso in contanti, cioè mi paga con quello che la Regione gli ha mandato. Poi del resto di quanto mi deve si dimentica, o fa finta almeno... Mi deve ancora 100 euro di dicembre e chiaramente gli stipendi interi di gennaio e febbraio. Quando fini-remo di incontrare persone che vogliono solo sfruttare i ragazzi e le Istituzioni?

C.P.

Ho conosciuto un eroeEgregio signor Giorgio Ariu,sono Giovanni Satta e mi rivolgo a Lei per segnalare quanto segue: nel settembre 2005 con un amico affittammo un’imbar-cazione a pedali da uno stabilimento nel litorale di Quartu Sant’Elena. Quel giorno il vento di maestrale arrivò presto e for-te, così in poco tempo ci trovammo vici-no le boe, poi il pedalò fu capovolto e ci aggrappammo al timone. Mentre guarda-vo la spiaggia ormai lontana notai un tipo mettere in acqua un mezzo di salvataggio a remi. Intanto il mio amico tremava dal freddo. Pochi minuti e quella persona in tuta sportiva mandata chissà da quale santo fu da noi, con poche parole capì subito che il mio amico aveva bisogno di essere soccorso per primo, lo portò a ter-ra in breve tempo e velocissimo venne a prendere anche me. In pochi minuti rag-giungemmo la riva, poi quell’uomo sfidò per la terza volta il vento e riuscì a por-tare a terra anche il pedalò, perché disse che sarebbe potuto essere pericoloso. Un “Buongiorno” e riprese la sua corsa verso Cagliari.Nell’estate del 2006, mentre ero nel por-ticciolo di Marina Piccola, fui attratto come tanti altri da un veloce mezzo della Guardia di Finanza, con gli uomini a bordo che in-dossavano i caschi protettivi. Quando se li tolsero quasi non credevo ai miei occhi: il finanziere accanto al pilota riconobbi es-sere il nostro soccorritore, “l’angelo con gli occhi del colore del cielo”. Cercai di av-vicinarmi per un pubblico ringraziamento ma il pilota diede un ordine, tutti i finanzieri rimisero il casco e via veloci.Solo allora capì perché quel soccorritore si muoveva così bene in mare...Domandai a un gruppo di pescatori se sapessero dove potevo trovare la base di quel motoscafo, mi dissero che loro lo chiamavano “i Quattro Mori” e quando descrissi il mio soccorritore quasi in coro mi fu risposto: «Andrea». Molto cono-

sciuto soprattutto per il calcio, perché da anni gioca con la squadra dell’Oratorio di Sant’Elia di don Marco Lai, ma nessuno sapeva il suo cognome. Mi convincevo sempre più che Andrea non fosse una persona comune.Ricordai che il figlio di un amico aveva fatto la leva nella Finanza e gli chiesi la cortesia di informarsi, così seppi che il mi-litare era il brigadiere Andrea Pinzuti, co-nosciutissimo e a Cagliari da oltre 20 anni. In possesso dei dati scrissi al Comando di viale Diaz nel maggio del 2007 e da allora non so nulla.Incoraggiato da amici ho deciso di scriver-Le, giudichi Lei se questo gesto del briga-diere debba rimanere solo un dovere o sia degno di nota.

Giovanni Sanna, Quartu Sant’Elena 20 febbraio 2012

Dalla Confindustria per i giovaniUna mano d’aiuto ai giovani imprendito-ri da parte della Confindustria Sardegna Meridionale: grazie a “Promo Impresa Giovani 2012” le imprese costituite da meno di un anno da imprenditori con meno di 35 anni di età, che non facciano già parte del sistema Confindustria con altre imprese di gruppo, potranno usufru-ire di tutti i servizi forniti da Confindustria Sardegna Meridionale al costo di un solo euro. E per favorire i percorsi di internazio-nalizzazione e la capacità di penetrazione delle imprese sarde nei mercati interna-zionali, la Regione ha stanziato aiuti rivolti alle piccole e medie imprese, distinti in tre tipologie: contributi di supporto all’ex-port, progetti di internazionalizzazione tra più imprese aggregate e voucher per la promozione dell’internazionalizzazione d’impresa. Potranno accedervi le picco-le e medie imprese con sede operativa nell’isola e la cui attività rientri nei settori manifatturiero, estrattivo, costruzioni, ser-vizi logistici di distribuzione merci, produ-zione software e consulenza informatica, ricerca scientifica e sviluppo sperimentale.

Lettere a Il Cagliaritano

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PREMIO EUROPA PER L’EDITORIAPremio Editore dell’Anno

per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda

DIRETTORE RESPONSABILEGiorgio Ariu ([email protected])

SEGRETERIA DI REDAZIONEAntonella Solinas ([email protected])

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DISTRIBUZIONEAgenzia Fantini (Cagliari-Olbia)

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SCRITTIAntonello Angioni, Giorgio Ariu, Julian Borghesan, Ugo Cappellacci, Enzo Costa, Cristiano Erriu, Teresina Gramsci, Giampaolo Lallai, Claudia Lombardo, Francesco Masala, Mario Medde, Luca Murgianu, Costantino Nivola, Maurizio Orrù, Lorelyse Pinna, Franco Sabatini, Giulio Steri, Maria Francesca Ticca, Italo Urru, Armando Zucca

FOTOMaurizio Agelli, Archivio GIA, Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Selene Farci, Roberto Marci, Mariangelo Mudu, Enrico Murru Massa, National Geographic, Massimiliano Salvi, Matteo Tatti, Elia Vaccaro

Registrazione presso il Tribunale di Cagliari (n. 271 del 23 Gennaio 1973)Ufficio del Garante e Presidenza del Consiglio dei MinistriRegistro Nazionale della Stampa n. 3165

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ANNO 40 - N. 2MARZO 2012

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I consigli de Il Cagliaritano

v.le Europa, 53 - Quartu Sant’Elena - Tel. 070 813570

Accoglienza e piatti

di gran classe

Ristorante Sa Barracca

via Sardegna, 140 - Cagliari - Tel. 347 5788964

La trattoria di maredel centro storico

LA STELLA MARINA di Montecristo

TUTTI PER FRA NAZARENOPER SILVIA E PAOLO CITTÀ AMMUTOLITA

PANCIA A TERRA A ROMA PADRONA

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Anno 40, N. 2 - € 2.00

40°40°ANNOANNO

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Il Villaggio Camping Golfo di Arzachena si trova alle porte di Cannigione, in posizione baricentrica tra le altre rinomate località della Costa Smeralda ed il paradisiaco arcipelago di La Maddalena.Il cuore della struttura è la zona collettiva. La grande piscina con solarium, attorno alla quale si dispone l’area gioco bimbi, un’ampia sala relax con all’interno Tv a schermo piatto, internet point con wi-fi, zona ricreativa per bambini, divani per conversare e rilassarsi e il bar-tavola calda con terrazze sulla piscina.Nella zona più panoramica e riservata dell’area ricettiva sorge il complesso di trenta mini appartamenti monolocali da 25 metri quadrati, dotati di aria condizionata e Tv. All’interno, fino ad un massimo di quattro posti letto, bagno completo, angolo cottura attrezzato, veranda o terrazza con tavolo e sedie.Le roulotte fisse dispongono di quattro posti letto, un mini bagno e veranda-soggiorno completa di fornelli e frigo nonché di tavolo e sedie.Il campeggio è disposto a terrazze con alberatura di alto fusto con piazzole tenda ben ombreggiate. È dotato di tre blocchi di servizi igienici con lavelli, lavabi, wc, docce ad acqua calda gratuite e lavatrici. Il Villaggio dispone an-che di un’area barbecue e il servizio navetta gratuito per la spiaggia.Il porto di Golfo Aranci e le moderne strutture portuali ed aeroportuali di Olbia distano dai 25 ai 28 km.

Il camping della Costa Smeralda

Villaggio Camping Golfo di ArzachenaS.P. per Cannigione Km 3,80007021 Cannigione di Arzachena (OT)Tel. 0789 88101 · Cell. 346 7023289 · Fax 0789 [email protected] · www.campingarzachena.com

VILLAGGIO CAMPINGGOLFO DI ARZACHENA