Health Online18
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Il perIodIco dI InformazIone sulla sanItà IntegratIva
HEALTHmarzo/aprile 2017 - n°18
In evIdenzacon HelIxafe, grazIe a un semplIce prelIevo del sangue, sI può prevedere l’arrIvo dI un tumore prIma cHe sI manIfestIno I sIntomI
attualItà
alImentazIone
InnovazIone
Farmaci, è emergenza: un italiano su due rinuncia all’acquisto
Attenzione piena o testa piena di pensieri: cosa portiamo con noi mentre mangiamo? Ce lo dice il Mindful Eating
La chirurgia robotica per il cancro della prostata e il nuovo centro della Clinica Paideia
Disponibile da maggio 2017
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Il Fondo Garanzia Salute nasce nell’ottica di offrire un servizio in linea con i principi cardine cui si ispira una Società di Mutuo Soccorso, la solidarietà e la cooperazione, che riconoscono
nella sanità integrativa l’unica forma di assistenza concreta e sostenibile che opera senza scopo di lucro.
La volontà di diffondere il più possibile il principio di prevenzione ha spinto Mutua MBA ad affidarsi a Radio Radio, emittente radiofonica romana che sin dalla sua nascita si è caratterizzata come talk radio, ed elaborare per gli ascoltatori un’offerta di 9 sussidi:
Pop, Rock, Techno e Dance dedicati agli under 65, Jazz, Classica, Blues, Country e Folk per gli over 65.
La sanità d’eccellenza per le
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L‘ importanza della prevenzione in un libro
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I libri della salute di Mutua MBA
Da un recente studio effettuato in Italia è emerso come quasi una persona
adulta su due sia completamente avulsa dall’adottare una linea di prevenzione
medica adeguata.Prerogativa di una società di Mutuo
Soccorso non può, pertanto, essere “solo” quella di garantire l’accesso privilegiato alla
salute attraverso una valida integrazione al Sistema Sanitario Nazionale, ma deve forzatamente infondere la cultura della
prevenzione intesa come cura di sé stessi, poiché in essa stessa risiede l’unica via
utile a soddisfare la crescente domanda di assistenza che la sanità pubblica non riesce
– e non riuscirà - ad accontentare. Per tale motivo Mutua MBA ha deciso
di raccogliere interviste, analisi e studi di settore, ma soprattutto consigli pratici,
esercizi e ricette culinarie per innescare l’attitudine a prendersi cura di noi stessi, con l’intento di prevenire il più possibile
malattie e infortuni.
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HealtH onlIne
perIodIco bImestrale dI InformazIone sulla sanItà
IntegratIva
anno 4° marzo/aprile 2017 - n°18
dIrettore responsabIleIng. roberto anzanello
comItato dI redazIonealessandro brigato
mariachiara manopulonicoletta mele giulia riganelli
dIrezIone e proprIetàHealth Italia
via di santa cornelia, 900060 - formello (rm)
tutti i diritti sono riservati.nessuna parte può essere
riprodotta in alcun modo senza permesso scritto del direttore editoriale. articoli, notizie e recensioni firmati o siglati
esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di
conseguenza esclusivamente la sua responsabilità diretta.
IscrItto presso Il regIstro stampa del trIbunale dI tIvolIn. 2/2016 - diffusione telematican.3/2016 - diffusione cartacea
9 maggio 2016
ImpagInazIone e grafIcagiulia riganelli
tiratura 101.487 copie
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HEALTH
Sempre più spesso si sente e si legge di confronti sul tema della sanità integrativa e degli enti abilitati a gestirla e poiché informare i nostri lettori con precisione e riferimenti corretti rimane uno dei nostri obiettivi prioritari ecco che diviene opportuno sgombrare il campo da illazioni, ipotesi, supposizioni, interpretazioni fornendo un’informativa chiara e circostanziata sulle soluzioni di sanità integrativa praticabili e delle regole che le determinano al fine di evitare la diffusione di considerazioni errate.
Innanzitutto è opportuno stabilire con chiarezza che gli unici enti abilitati a gestire la sanità integrativa sono:• i Fondi Sanitari (disciplinati dall’art. 9 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall’art.9 del D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 e dal D.M. 31 marzo 2008, reso operativo con successivo D.M. 27 ottobre 2009);• le Società Generali di Mutuo Soccorso (normate dalla Legge n. 3818 del 15 aprile 1886 e dalla successiva modifica rappresentata dall’art. 23 del Decreto Crescita BIS, D.L. 18 ottobre 2012, n.179);• le Casse di Assistenza Sanitaria (disposte secondo l’art.1 del D.M. 31 marzo 2008).
Questi enti, in virtù della loro natura di enti senza scopo di lucro sono gli unici che consentono ai loro associati di usufruire delle agevolazioni fiscali disposte dagli articoli 10, 15 e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 917/1986).In base alle norme contenute nei decreti che li riguardano gli enti di sanità integrativa sono sottoposti al controllo del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero della Salute e dell’Agenzia delle Entrate, sono iscrivibili all’anagrafe dei Fondi, hanno diritto ad avere personalità giuridica, sono iscrivibili in Camera di Commercio ed hanno bilanci pubblici ed, in molti casi, anche revisionati.L’obiettivo di queste norme, che nel loro insieme, costituiscono un sistema articolato ed integrato, è quello di garantire che a fianco del Sistema Sanitario Nazionale, che come abbiamo più volte spiegato e ribadito dovrà necessariamente per ragioni statistico matematiche dedicarsi sempre più alle fasce economicamente più deboli della popolazione, il cittadino possa avvalersi di copertura sanitarie integrative gestite da enti senza scopo di lucro basati sul concetto della mutualità.Le leggi che regolano la nostra Repubblica inoltre consentono a questi enti di promuovere le loro attività di prevenzione sanitaria e diffusione dei valori mutualistici (Art. 45 della Costituzione e articolo 23 del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in lg. 221 del 17 dicembre 2012) per mezzo dell’attività dei loro soci.Le norme vigenti consentono inoltre al cittadino, a compimento del sistema di assistenza sanitaria a tre pilastri, di valutare anche l’opportunità di usufruire di coperture
sanitarie private prestate da società che rispondono a logiche completamente differenti, quali le compagnie assicurative, che essendo società per azioni aventi come scopo la remunerazioni dei propri azionisti non consentono ai loro clienti però le agevolazioni fiscali previste per gli enti di sanità integrativa.
Molto importante rappresentare quindi che il sistema a tre pilastri, ben regolamentato e normato, prevede già da tempo nel nostro paese:• Un sistema sanitario nazionale (Primo Pilastro) diretto a garantire l’assistenza sanitaria di base a tutti i cittadini e, principalmente, prestazioni sanitarie adeguate alle fasce economicamente più deboli della popolazione, gestito dallo Stato e dalle Regioni tramite le strutture organizzative a questo preposte (ASL) e normate dalle leggi vigenti in tema di sanità;• Un sistema di sanità integrativa (Secondo Pilastro) gestito dagli enti di sanità integrativa (Fondi Sanitari, Società Generali di Mutuo Soccorso e Casse di Assistenza Sanitaria) finalizzato a garantire il diritto alla salute di tutti i cittadini e promosso tramite l’opera dei soci di questi enti come regolamentato dalle leggi vigenti in tema di Fondi Sanitari, Società di Mutuo Soccorso e Casse di Assistenza Sanitaria;• Un sistema di sanità privata (Terzo Pilastro) gestito dalle compagnie assicurative e finalizzato a prestare coperture sanitarie costruite in funzione di elementi attuariali e proposte dagli intermediari assicurativi come codificato dalle norme riportate nel Testo Unico sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo.
Il sistema così ideato, progettato, realizzato e compiuto dallo stato e dal legislatore prevede con estrema chiarezza ruoli, funzioni ed attività e, soprattutto, non contempla la possibilità di fare confusione tra i tre diversi modelli che rappresentano, separatamente da un punto di vista sia giuridico che normativo, i tre pilastri.I tre sistemi che regolano i tre pilastri non sono tra loro opportunamente né sovrapponibili né mischiabili: il paragone più semplice può essere assunto dal mondo dello sport ove negli sport di squadra abbiamo, per esempio, il calcio, il rugby ed il basket, che sono tutti e tre sport, tutti e tre di squadra ma ognuno con le proprie regole non sovrapponibili a quelle dell’altro.Cercare di confondere le idee ai cittadini, mischiare le carte, diffondere il concetto che le regole non esistano, non è quindi che un tentativo di disinformazione sul quale è stato ed è necessario fare chiarezza rappresentando la realtà dei fatti per evitare confusione, affinché ognuno possa garantirsi il diritto costituzionale alla salute con un modello, come quello italiano, che è sempre stato riconosciuto all’avanguardia nel mondo e che lo è tutt’ora.
A cura di Roberto AnzanelloedItorIale
realtà e confusione
SoM
MA
RIo
SoM
MA
RIo
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12
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IDRoCoLoN TERAPIA, una TECNICA ANTICA per il benessere dell’organismo
Cosa portiamo CoN NoI MENTRE MANGIAMo? Ce lo dice il MINDFUL EATING
DALL’oSPEDALE ALLA CASA DELLA SALUTE. Come si trasformerà il sistema sanitario nazionale?
La ChIRURGIA RoBoTICA per il cancro della prostata e il NUovo CENTRo DELLA CLINICA PAIDEIA
Monitoraggio con hELIxAFE, il programma di PREvENzIoNE PRIMARIA di Bioscience Genomics
In evIdenza
17Adolescenti e BLUE WhALE, un GIoCo PSICoLoGICo PERICoLoSo. Cosa sta succedendo?
26FARMACI, è EMERGENzA: un italiano su due RINUNCIA ALL’ACqUISTo
SoM
MA
RIo
39INCoNTINENzA FECALE IN ETà PEDIATRICA. L’intervista al prof. Alessio Pini Prato
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48
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L’importanza della TELEMEDICINA: PENSARE DIGITALE. L’intervista al dott. Sergio Pillon
LE RICETTEDELLA SALUTE
I 7 CoNSIGLI meno conosciuti per ALLEvIARE IL DoLoRE AL CoLLo
Che cos’è la SCLERoDERMIA, e perché NE SoFFRoNo IN MoLTI senza saperlo?
35I DIRITTI DEI MINoRI: quale diritto alla salute per i bambini?
5 MutazioniCELLULA MAL IGNA
CromosomiCELLULA NORMALE
1 Mutazione 2 Mutazioni 4 Mutazioni3 Mutazioni
SOLID CANCER EARLY DETECTION®
3DSOLID CANCER EARLY DETECTION
®
Geni selezionati 50
Mutazioni selezionate 2800
>99,9% 95%*
>99,9% 98%*
>0,50% >1%
SI SI
SI
-
-
SI
50
ALK,BRAF,EGFR, ERBB2,
KRAS, MAP2K1, MET,
NRAS, PIK3CA,
ROS1, TP53
AKT1, EGFR, ERBB2,
ERBB3, ESR1,
FBXW7, KRAS,
PIK3CA, SF3B1, TP53
AKT1, BRAF, CTNNB1, EGFR,
ERBB2, FBXW7, GNAS, KRAS,
MAP2K1, NRAS, PIK3CA,
SMAD4, TP53, and APC
2800 169 Hotspot 245 Hotspot157 Hotspot
95%* 100% >99,9%>99,9%
98%* 98% >99,9%>99,9%
>1% >0,50% >0,50%>0,50%
SI
SI
SI
SI
SI
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SI
SI
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SI SI SISI SI SI
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RFO
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Geni
Mutazioni
Sensibilità
Specificità
FrequenzeAlleliche %
CTCs
ctDNA
DNAGerminale
NGS
MonitoraggioDiagnosi precoceValutazione del rischio
hEALTh tIpsSapevi che...
le fragoline di bosco sono ricche di vitamina c, iodio, ferro, calcio e fosforo, sono indicate per combattere le infiammazioni del cavo orale e la loro pianta è ricca di oli essenziali, tannino e flavone. come erba medicinale può essere impiegata per alleviare i disturbi gastrointestinali.
l’ecografia alla tiroide è un esame diagnostico per ottenere informazioni sulla ghiandola tiroidea: il suo volume, i processi infiammatori in atto e l’eventuale presenza di noduli benigni o maligni. con i dati raccolti dall’esame lo specialista formula un referto ed indica la terapia da seguire, la quale, può consistere in un trattamento farmacologico, nei casi più gravi chirurgico, o in esami bioptici. va eseguita a scopo di prevenzione, soprattutto dai soggetti con presenza già nota di noduli o disfunzioni alla tiroide.
oltre a farci ricaricare le batterie, il “pisolino” ha molti i benefici per la nostra salute: abbassa la pressione sanguigna, migliora la memoria, abbassa i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. È importante però non superare i 20 minuti: superata la soglia dei trenta minuti si entra nel sonno
profondo e un brusco risveglio potrebbe rendere difficile il ritorno alla normalità.
l’ecografia alla vescica permette di diagnosticare non solo le patologie più comuni, ma anche irregolarità più gravi. fornisce informazioni specifiche che da altri controlli potrebbero non risultare. si studia il grado di inspessimento delle pareti della vescica, al fine di individuare l’eventuale presenza di lesioni maligne o benigne. Inoltre, è utilizzata per valutare la capacità di svuotamento dell’organo e la presenza di polipi o calcoli.
I semi di canapa,
assunti post allenamento, rafforzano il sistema immunitario
e prevengono colesterolo, sinusite,
asma e tutte le malattie legate all’apparato
cardiocircolatorio. In più contengono omega3
e omega6 e sono antiossidanti.
per evitare il “piede d’atleta”, una infezione fungina, che si annida negli spazi tra le dita o nella
pianta del piede, bisogna prestare molta attenzione alle scarpe e indossare sempre le calze di
fibra naturale. occorre lavarsi i piedi subito dopo l’attività fisica e quando sono sudati, con saponi non aggressivi. fondamentale asciugarli molto bene. per
la terapia si possono utilizzare sia antifungini locali come creme e pomate, sia sistemici.
I kinesio taping sono cerotti elastici, non medicati. devono essere applicati da esperti, in modo che
seguano la lunghezza del muscolo e del tendine che si vuole proteggere, per supportarne il movimento e
proteggerlo da eventuali contratture. rappresentano la soluzione ideale per salvaguardare la
salute delle articolazioni, del ginocchio, delle spalle, delle
caviglie e del polso.
10
La chirurgia robotica per il cancro della prostata e il nuovo centro della clinica paideia
a cura dinicoletta mele
Il cancro della prostata è il tumore maligno più frequente del
sesso maschile. Rispetto al tumore del polmone, le cui nuove
diagnosi sono 26.000 all’anno, il cancro della prostata ha
un’incidenza di 45.000 nuovi casi all’anno. Per tali motivi è
considerato una malattia dal forte impatto sociale, gravata
da notevoli costi per la collettività, a fronte di ottimi tassi di
guarigione.
Stando ai dati, oggi i tassi di guarigione sono infatti molto
elevati (circa 85% a 10 anni), sempre che la malattia venga
diagnosticata nelle sue fasi iniziali. La diagnosi del cancro
della prostata in stadio precoce è più che triplicata negli
ultimi 15 anni, grazie a metodiche che permettono di
diagnosticare questo tumore in fase iniziale, quando è
ancora possibile attuare una terapia con intento curativo.
Negli anni c’è stata un’evoluzione della chirurgia robotica
in urologia ed in particolare, nella terapia del cancro della
prostata.
In Italia, la prostatectomia radicale robotica si sta quindi
progressivamente diffondendo, in quanto rispetto alla
chirurgia tradizionale è molto meno invasiva, molto meno
traumatica e più delicata.
Ed è così che alla Clinica Paideia si sta lavorando per un
miglioramento rispetto agli standard già raggiunti con la
prostatectomia radicale tradizionale e laparoscopica,
grazie al neonato centro multi specialistico di alta tecnologia
in chirurgia robotica.
In cosa consiste l’intervento chirurgico alla prostata con
la tecnologia robotica? Quali sono i vantaggi rispetto ai
metodi tradizionali? L’abbiamo chiesto al Prof. Gianluca
D’Elia, Direttore Urologia ospedale San Giovanni di Roma
e Direttore Scientifico Fondazione per la Ricerca in Urologia.
“La prostatectomia radicale robotica
- ha spiegato il professor D’Elia - è una
tecnica chirurgica innovativa ed al tempo
stesso standardizzata che presenta, a
parità di radicalità oncologica, numerosi
potenziali vantaggi per i malati di cancro
della prostata. Nella tecnica chirurgica
tradizionale si asporta la prostata tramite
un’incisione chirurgica. La tecnica robotica
consente invece l’accesso al campo
operatorio attraverso piccoli fori, come nella
laparoscopia classica”.
Rispetto alla classica laparoscopia quali
sono i principali vantaggi?
“Innanzitutto i movimenti delle mani del chirurgo, seduto ad
una console, vengono pesati, filtrati e tradotti in modo fluido,
‘senza scatti’, in precisi movimenti degli strumenti chirurgici,
sostenuti dalle braccia del robot. Inoltre, la visione delle
strutture anatomiche è tridimensionale ad alta definizione
e permette al chirurgo una vera e propria ‘immersione’ nel
campo operatorio. E un chirurgo che vede meglio opera,
naturalmente, meglio”.
è quindi oggi lo strumento più avanzato che ha a disposizione
il chirurgo per potenziare le sue capacità operative e
rendere l’intervento molto più efficace, diretto e preciso?
“Non vi è alcun dubbio che, allo stato attuale, l’intervento
robotico per il cancro della prostata rappresenti lo standard
di riferimento chirurgico. Negli Stati Uniti, ormai, il 98 % degli
interventi chirurgici per la cura del cancro della prostata
vengono effettuati in robotica”.
è possibile trattare con questo strumento il tumore alla
prostata in stato avanzato?
“La chirurgia robotica permette, al pari della chirurgia
tradizionale ‘a cielo aperto’ e della chirurgia laparoscopica
di trattare tumori della prostata anche in stadio avanzato,
ottenendo gli stessi risultati in termini di radicalità oncologica”.
Sotto l’aspetto funzionale e della qualità di vita, rispetto al
metodo tradizionale, quali sono i tempi di recupero per il
paziente?
“L’aspetto funzionale nella chirurgia del cancro della
prostata si riflette nella conservazione della continenza
urinaria e della funzione erettile. Tutte
le casistiche internazionali e nazionali –
compresa la mia, consistente in 1.250 casi
– dimostrano che la chirurgia robotica
permette la preservazione della continenza
urinaria nella quasi totalità dei casi e la
preservazione della funzione erettile quasi
nell’ 80 % dei casi. E questo rappresenta
un grosso vantaggio rispetto ai risultati
ottenuti dalla chirurgia ‘a cielo aperto’ e
laparoscopica. Per quanto riguarda i tempi
di recupero, nella mia personale casistica il
paziente può essere dimesso dalla struttura
sanitaria già due giorni dopo l’intervento,
con un ritorno alle normali attività sociali e
lavorative entro 15 giorni”.
11
Perché negli anni c’è stata l’evoluzione della chirurgia mini
invasiva robotica soprattutto per la neoplasia alla prostata?
“L’intervento chirurgico per cancro della prostata presenta
delle peculiarità che lo rendono diverso da tutti gli altri tipi
di intervento per tumore. Bisogna potenzialmente ottenere
la radicalità oncologica e nel contempo mantenere
sessualmente potente e
continente il paziente.
La prostata è a stretto
contatto sia con i fasci
nervosi, che assicurano la
componente neurogena
della funzione erettile, sia
con lo sfintere urinario,
che assicura un gran
parte della continenza
urinaria. L’intervento
laparoscopico ed ancor
di più quello tradizionale
‘a cielo aperto’ spesso
non permettevano di
trovare il giusto piano
di dissezione anatomico per conservare queste strutture.
La chirurgia robotica, grazie alla visione tridimensionale
ad alta definizione ed alla precisione nei movimenti dei
delicati strumenti chirurgici, consente di visualizzare meglio
il campo operatorio ed è molto più precisa e delicata sui
tessuti, permettendo una miglior conservazione di queste
importanti strutture anatomiche. In altri termini è una
chirurgia più ‘gentile’”.
Sotto il profilo oncologico la robotica è quindi una chirurgia
sicura?
“Proprio grazie alla migliore visibilità, la chirurgia robotica
permette di ottenere ottimi risultati in termini di radicalità
oncologica”.
Alla Paideia è nato di recente il centro multi specialistico di
alta tecnologia in chirurgia robotica.
Quali possono essere i vantaggi della multidisciplinarietà?
“è sottinteso che bisogna cercare di sfruttare al meglio
l’opportunità che ci offre la Paideia nel poter utilizzare una
tecnologia di alta complessità come il Robot ‘Da vinci’.
Tutti i pazienti – non solo in ambito urologico – possono
beneficiare dei notevoli vantaggi ottenuti dalla chirurgia
robotica. E questo vale sia per gli interventi di chirurgia
generale, sia per gli interventi ginecologici.”
quanto è importante affidarsi a mani esperte per un
intervento di chirurgia robotica?
“Stiamo cercando di standardizzare la formazione in
chirurgia robotica con dei simulatori, per garantire anche
ai chirurghi che hanno meno esperienza di ottenere risultati
oncologici e funzionali ottimali. Ma come in tutti i tipi di
chirurgia è l’esperienza che conta. è ovvio che un chirurgo
che ha effettuato mille interventi robotici ha più esperienza
e più competenza di un chirurgo che ne ha effettuati
cento. In ogni caso, la formazione in chirurgia robotica è
ben diversa rispetto agli altri tipi di chirurgia. Non basta solo
conoscere l’anatomia
e la tecnica chirurgica,
è necessario anche
conoscere il ‘robot’. Se mi
permette un paragone,
tutti sappiamo più o meno
guidare un’automobile
ma se vuoi guidare
un’auto di Formula 1 devi
conoscere a menadito il
suo funzionamento”.
Guardando al futuro, è
possibile ipotizzare che
la chirurgia robotica
possa entrare anche
in quelle patologie urologiche benigne e malformazioni
dell’apparato urologico?
“La chirurgia robotica del cancro della prostata non è l’unica
indicazione in urologia. In ambito uro-oncologico operiamo
molto di frequente anche tumori del rene e tumori della
vescica, che necessitano complesse ricostruzioni delle vie
urinarie. Nell’ambito delle patologie urologiche benigne una
consolidata indicazione all’intervento chirurgico in robotica
è rappresentata dalla malformazione denominata ‘stenosi
del giunto pielo-ureterale’, la cui correzione chirurgica in
robotica ha risultati funzionali ben superiori rispetto alla
chirurgia laparoscopica o tradizionale”.
12
dall’ospedale alla casa della salute. Come si trasformerà il sistema sanitario nazionale?
a cura dialessandro notarnicola
Suona bene e migliora il rapporto tra il cittadino e
la sanità pubblica: si tratta della Casa della Salute,
il nuovo modo – a detta di molti – di intendere gli
ospedali, istituzioni per l’assistenza sanitaria, il ricovero
e la cura dei pazienti, nate nell’antichità (ne parla per
primo omero nella letteratura greca) e poi intese con
l’attuale accezione a partire dal Rinascimento italiano.
Chiaramente non si tratta di una sostituzione improvvisa,
né tanto meno si potrebbe supporre un capovolgimento
della sanità pubblica; la casa della salute è da
intendersi come la sede pubblica dove si riuniscono,
nello stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano
prestazioni sanitarie, compresi gli ambulatori di medicina
generale e specialistica ambulatoriale, e sociali per una
determinata e programmata porzione di popolazione.
Diverse, inoltre, sono le funzioni da allocare nella Casa
della Salute, alcune di natura amministrativa, altre di
natura sanitaria e altre ancora di natura sociale. Esse
possono essere raggruppate in 4 aree principali a diverso
grado di complessità essendo la casa della salute un
modello che si adatta alle caratteristiche del territorio e
non il contrario.
Il primo a parlare di Casa della Salute è stato il professore
Giulio Maccacaro, fondatore di Medicina Democratica,
13
e di altre riviste come Sapere ed Epidemiologia e
Prevenzione. Maccacaro, scomparso nel 1977 dopo essere
stato il direttore dell’Istituto di Biometria e statistica medica
dell’Università di Milano, nel 1972 intervenendo su “L’Unità
Sanitaria Locale come sistema” individuò la casa della
salute come sua struttura elementare, soprattutto come
luogo di partecipazione dei cittadini alla strutturazione
dell’organizzazione sanitaria, come verifica del suo
funzionamento, come indicazione di programmi e progetti
di salute.
Su questa base a Poggibonsi, in provincia di Siena, in
Toscana, è nato un presidio che
raccoglierà presto in un unico
luogo un polo di sette medici di
medicina generale, specialisti
ambulatoriali e il personale
dell’azienda sanitaria locale
protagonista dell’erogazione
dei vari servizi distrettuali. “Un
investimento – commenta David
Bussagli presidente della Società
della Salute Alta val d’Elsa – da
tempo in programma nei piani
della Usl, che realizza in un unico luogo un modello
organizzativo funzionale all’integrazione tra discipline
sanitarie con altre di natura amministrativa e altre ancora
di natura socio-sanitaria con l’obiettivo di creare percorsi
virtuosi per il cittadino e risposte più celeri alla propria
esigenza clinica o socio sanitaria”.
La Casa della Salute di Poggibonsi è allocata all’interno
del Presidio distrettuale di via della Costituzione dove si
trova il medico di comunità, lo sportello di front office
amministrativo, l’ambulatorio infermieristico, il riferimento
logistico per l’assistenza domiciliare, il punto di erogazione
dell’assistenza integrativa diretta, indiretta e protesica e
alcuni ambulatori specialistici, il punto prelievi sangue per
le analisi, il consultorio, il servizio sociale, il Punto Insieme,
l’igiene pubblica, la medicina legale e la ex guardia
medica.
L’istituzione e la messa a punto delle Case della salute
rimanda dunque all’idea di una comunità che si prende
cura di se stessa, della propria salute, del proprio benessere,
ove per “proprio” si intende quello dell’intera collettività.
Tutto questo, tuttavia, non potrebbe essere separato da uno
studio che si attua sulla Comunità stessa nella quale la Casa
si inserisce, dei suoi bisogni particolari, e dei professionisti
che operano in quel contesto per assicurare la salute in
quel determinato territorio. Generalmente, per quanto
concerne il territorio italiano, laddove si pensa di collocare
una Casa della Salute vi sono territori che cominciano ad
avere tutto ciò che è necessario per garantire un’ottima
assistenza territoriale. Questa scelta
è orientata, inoltre, verso le fasce
più deboli della popolazione, si
pensi infatti agli anziani, ai malati,
a coloro che presentano disabilità
multiple, e chiaramente ai loro cari
o assistenti, che necessitano di un
supporto medico e delle cure non
indifferente.
Tuttavia, non è la prima volta che in
Italia nasce una Casa della Salute,
molto pubblicizzata è stata, ad esempio, l’organizzazione
e l’apertura di quella di Colorno, in provincia di Parma,
nel 2012, nella sede dell’ex ospedale. La nuova struttura
in questi anni è diventata un vero e proprio punto di
riferimento per i cittadini nel quale i servizi di assistenza
primaria si integrano con quelli di natura specialistica,
della sanità pubblica, della salute mentale ma anche
con i servizi sociali e le associazioni di volontario. Le
Case della Salute, d’altra parte, possono essere definite
come le figlie dei nostri cari e rassicuranti ospedali: sono
semplicemente una nuova porta di accesso alle cure, un
nucleo inserito all’interno delle Comunità che se da una
parte rappresentano un’organizzazione medico-sanitaria
più attrezzata e accogliente verso il cittadino, dall’altra
sono veri e propri centri di cultura e specializzazione per i
professionisti che vi lavorano.
14
Cosa portiamo con noi mentre mangiamo? Ce lo dice il mindful eating
a cura dicristiana ficoneri
Cos’è questo Mindful Eating? In Italiano lo traduciamo
con Alimentazione Consapevole, ed è nient’altro che
l’applicazione della Mindfulness all’alimentazione.
Detto così sembra un gioco di parole, allora cos’è la
Mindfulness…
la parola inglese “mindfulness” può essere tradotta come
consapevolezza, attenzione, presenza mentale. Non è
facile tradurre il concetto di Mindfulness (proveniente
dalla cultura buddhista) perché essendo molto vasto
è stato utilizzato a seconda dei contesti per intendere
cose diverse. è salito alla ribalta mondiale grazie al fatto
che alcuni medici e psicologi americani dagli anni ‘70 in
poi hanno ideato degli “interventi terapeutici basati sulla
Mindfulness” che traevano
spunto da tradizioni
contemplative millenarie
e potevano essere studiati
e validati da un punto di
vista scientifico.
Si tratta sostanzialmente
di coltivare uno stato
mentale in cui la persona
ascolta e osserva le proprie
emozioni, le proprie
sensazioni fisiche e i propri
pensieri, accettandoli
così come sono, senza
giudicarli, senza cercare di
modificarli, né bloccarli. Si
sta con ciò che c’è, nulla
è sbagliato o proibito.
E funziona per la salute?
Come dimostrano
molti studi la Mindfulness è stata parte integrante del
trattamento di tanti disturbi fisiologici (come la psoriasi,
il dolore cronico, la fibromialgia) e psicologici (come la
depressione, i disturbi del sonno, disturbi d’ansia, ADhD,
dipendenze e varie altre psicopatologie), e la letteratura
scientifica ha confermato che ci sono effetti positivi che si
devono al miglioramento della regolazione dell’attenzione
e delle emozioni e dei processi di controllo esecutivo. In
alcuni casi sono stati riscontrati dei cambiamenti strutturali
a livello della corteccia cerebrale.
E l’alimentazione?
Naturalmente esiste un Mindful Eating inteso come pratica
di Mindfulness più strettamente religiosa e all’estremo
opposto la vulgata modaiola della “dieta della Mindfulness”
(a mio parere una terribile contraddizione in termini), ma
qui stiamo parlando di Mindfulness intesa come intervento
terapeutico.
Anche se l’applicazione della Mindfulness all’alimentazione
è di data relativamente recente, vari studi ne hanno
testimoniato l’efficacia nel migliorare il senso di
accettazione, i comportamenti di abbuffata e il mangiare
sotto la spinta delle emozioni, con un riflesso sulla perdita di
peso anche quando questo non era un obiettivo esplicito
degli studi.
Come ci si può avvicinare
al Mindful Eating?
Seguendo un corso
apposito ad esempio. In
Italia è una realtà nuova,
presente soprattutto nelle
città più grandi. Un corso
tipico è costituito da
8/9 incontri a cadenza
settimanale, condotti
da un insegnante di
Mindfulness, che può avere
anche altre competenze
di tipo psicologico o
nutrizionistico, ma che
soprattutto deve aver
seguito un training
specifico, nutrito da una
comprovata pratica
di Mindfulness. sono
incontri di gruppo in cui si
alternano momenti esperienziali costituiti da pratiche di
meditazione formali o informali e meditazioni guidate su
argomenti specifici (immagine corporea, peso, appetito e
sazietà...). L’idea della meditazione può suscitare timore o
diffidenza ma all’interno del corso essa è pensata come
un training dell’attenzione assolutamente laico, in grado
di rendere le persone consapevoli dei propri schemi
automatici e liberarsi dall’eccessiva reattività, nonchè di
fermarsi ad ascoltare quei segnali fisiologici che devono
guidare il comportamento verso il benessere.
In pratica ciò significa diventare consapevoli delle
opportunità positive e nutrienti che ci vengono offerte
15
attraverso una scelta e una preparazione degli alimenti
effettuata rispettando la nostra saggezza interna.
Il tutto è inserito in un contesto di conoscenze che
riguardano l’autoregolazione dell’assunzione di cibo, il
ruolo degli stimoli fisici ed emotivi della fame, gli indizi di
sazietà, fino alla regolazione emotiva e alla gestione dello
stress…
Durante l’intervento vengono svolte delle esercitazioni
guidate legate all’alimentazione: alcune di esse si svolgono
con l’ausilio del cibo, per arrivare a saper scegliere in
consapevolezza di fronte ad un buffet imbandito. Alcune
sessioni incorporano un lavoro sul corpo: lo yoga sdraiati o
seduti sulla sedia, delle meditazioni camminate…
I partecipanti sono istruiti anche a fermarsi per alcuni minuti
durante momenti chiave della giornata (ai pasti ad es.) e
praticare la consapevolezza di pensieri ed emozioni.
Quel che più conta è che il partecipante è spinto in modo
esperienziale e non teorico, a coltivare la consapevolezza
dei segnali fisici interni. Ad es. imparare ad andare incontro
all’esperienza presente del gusto e notare quando il
piacere di un alimento che si sta assaporando comincia
a diminuire, può aiutare una persona ad ottimizzare la
soddisfazione del cibo con porzioni più piccole.
E tutto questo in sole 8 settimane?
Le 8 settimane servono ad imparare il modo di far ripartire
il motore che è in noi, un motore che quasi sempre esce
integro dalla “fabbrica” e va alimentato correttamente.
Il tempo che segue farà il resto. I risultati duraturi si
costruiscono con la pazienza. I cambiamenti che si
susseguono col Mindful Eating possono essere più o meno
vistosi, ma l’efficacia diventa visibile quando si sommano
insieme: molti momenti di ascolto alle nostre vere esigenze,
giorno per giorno, mese dopo mese, anno dopo anno,
produrranno scelte basate su una saggezza interna che
coniugata alle conoscenze corrette ci renderà più liberi e
più sani. è stato calcolato che ogni giorno siamo chiamati
a prendere più di 200 decisioni in campo alimentare...non
è poco!
Per chi è indicato il Mindful Eating?
Per tutti quei casi di comportamento alimentare più o meno
“problematico” che generano a breve o lungo termine
complicanze di tipo fisico e un forte carico di sofferenza
psicologica ad esempio.
Di questo gruppo fanno parte i Disturbi del Comportamento
Alimentare più tradizionali e più conosciuti - ad es.la Bulimia
Nervosa e il Binge Eating Disorder - ma anche molti casi
di obesità, dai tipi più gravi a quelli più diffusi, ma sempre
caratterizzati da un rapporto poco sereno con il cibo. Uno
stile disinibito di alimentazione può includere ad esempio
stramangiare anche in assenza di fame, o sotto lo stimolo
di qualche emozione (emotional eating) o in risposta a
stimoli esterni come lo stress, il freddo, la vista, il profumo
di un alimento (external eating) o subire un craving intenso
o perdere il controllo. Inoltre può essere d’aiuto in vari stati
fisiologici come la gravidanza o l’età pediatrica.
La ricerca ci mostra come i bambini che sono messi in grado
di nutrirsi da soli hanno meno probabilità di diventare obesi.
In realtà a pensarci bene, il Mindful Eating è indicato…per
chiunque mangi.
Cosa dicono le persone che praticano il Mindful Eating?
Molto spesso ci sentiamo dire: ”Non so perchè ma mi sento
più soddisfatto pur mangiando meno di prima”. Questo
dipende dal fatto che dando la dovuta attenzione,
una sana attenzione, all’esperienza del mangiare e
del bere, l’esperienza si espande e viene percepita dal
nostro cervello come più ricca e nutriente. Quando si
evita il multitasking e si è mentalmente presenti mentre si
mangia (o si fa qualunque altra cosa) si sperimenta una
connessione maggiore con il cibo che assaporiamo, col
nostro corpo che lo riceve, magari con le persone che nella
filiera hanno contribuito a farlo arrivare alla nostra tavola…
Quel che spesso si cerca in un alimento confortante è il
sollievo da un tumulto interno, dall’insoddisfazione del
cuore e della mente, una maggiore dolcezza e tranquillità.
Ma la dolcezza degli zuccheri è a breve termine mentre
non lo è quel che si prova quando riusciamo a raggiungere
-magari casualmente- quel senso di interconnessione che
ci fa sentire più integri e …a posto. Nel nostro posto. Ecco
tutto questo è Mindful Eating!
Per informazioni sui corsi cerca i contatti su Facebook
“Percorsi di Mindful Eating “ : https://www.facebook.com/
mangiasorridendo/
Quando si è mentalmente presenti mentre si mangia si sperimenta una connessione maggiore con il cibo che
assaporiamo. Dando quindi la dovuta
attenzione, una sana attenzione, all’esperienza del mangiare e del bere, l’esperienza si espande e viene percepita dal nostro
cervello come più ricca e nutriente.
Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia
Nessuna distinzione di etàSussidi per Single o Nucleo famigliare
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a cura dinicoletta mele Adolescenti e blue Whale, un
gioco psicologico pericoloso. Cosa sta succedendo?
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Cos’è il Blue Whale? Cosa sta succedendo agli adolescenti?
Per Health Online lo psicologo clinico e psicoterapeuta
Roberta Fedele e il vice presidente del MOIGE, Movimento
Italiano Genitori Onlus, Elisabetta Scala.
Blue Whale Challenge (Balena Azzurra) non è il titolo di
un film, ma il nome di un gioco, definito un vero e proprio
rituale psicologico, legato ai social network, proveniente
dalla Russia e che sta causando molte vittime tra gli
adolescenti. In Russia fino ad oggi, riferiscono i media, la
cifra delle vittime che hanno “terminato” il gioco con il suicidio, è pari a 157.
La prima a morire nel gioco perverso è stata la teenager
russa Rina Paleonkova, il cui scatto prima di morire ha fatto
il giro del mondo.
Il fenomeno purtroppo si sta diffondendo anche in altri
Paesi, tra cui Gran Bretagna, Brasile, Francia e Italia, dove
lo scorso febbraio un giovane quindicenne si è tolto la vita
lanciandosi da un palazzo di 26 piani a Livorno.
Non è ancora chiaro se il gesto sia legato al gioco, infatti
le indagini stanno procedendo, ma il rischio sono le
emulazioni.
A Pescara una tredicenne è stata fortunatamente salvata
poco prima del suicidio, grazie all’allarme lanciato da una
sua compagnia di classe e all’intervento dei suoi genitori.
La ragazzina ha ammesso di aver partecipato al gioco
e secondo gli investigatori il fatto che avesse ammesso
e deciso di posticipare il suicidio è stato un segno che
l’adolescente si fosse resa conto di quanto le stava per
accadere.
Il gioco dell’orrore consiste nel seguire alcune regole
per 50 giorni, scritte su una lista inviata alla vittima dagli
organizzatori, e l’ultimo giorno è previsto il suicidio,
gettandosi da un palazzo molto alto.
Regola numero uno, per chi prende parte al gioco
attraverso l’iscrizione a specifici gruppi sui social, è quella
di tagliarsi la mano e inviare la foto al curatore, la
seconda invece è quella di alzarsi alle 4.20 del
mattino e guardare dei video psichedelici, la
terza tagliarsi il braccio lungo la vena, non
troppo in fondo, fare 3 tagli e inviare la foto
al curatore. Disegnarsi sul braccio una
balena e inviare la foto al curatore
è la quarta regola, la quinta invece è incidersi “yes”
sulla gamba se si è pronti a essere una balena, altrimenti
bisogna punirsi con alcuni tagli. Più si va avanti nei giorni
e più le regole del gioco dell’orrore diventano allucinanti:
la quattordicesima regola, ad esempio, prevede il taglio
sul labbro, alla sedicesima giornata bisogna procurarsi
tanto dolore. il 26 esimo giorno il “tutor” comunicherà
all’adolescente il giorno in cui dovrà morire, che avverrà
allo scattare del 50esimo giorno. Chi arriva all’ultimo giorno
viene celebrato dagli altri membri della comunità.
Uno dei tutor, tale Philips Budeikin, ventiduenne che per
tre anni ha frequentato la facoltà di psicologia, è stato
arrestato, grazie all’abilità degli investigatori russi che
si sono finti teenagers, con l’accusa di aver causato il
suicidio di 16 ragazzine. Al momento dell’arresto Budeikin
non ha battuto ciglio e non è apparso pentito, anzi ha
affermato, come è stato riportato da Metro.co.uk, di aver
pulito la società e che le ragazzine, da lui definite materiale
organico di scarto, erano felici di morire perché per la
prima volta aveva dato loro tutto quello che non avevano
avuto nelle loro vite: calore, comprensione,
importanza.
“Ci sono le persone e gli scarti biologici –
ha detto nel corso dell’interrogatorio – Io
selezionavo gli scarti biologici, quelli
più facilmente manipolabili, che
avrebbero fatto solo danni a loro
stessi e alla società. Li ho spinti
al suicidio per purificare la
nostra società”.
17
18
Cosa spinge gli adolescenti di oggi a seguire rituali con un
tragico finale senza possibilità di ritorno? E com’è possibile
manipolare le menti degli adolescenti tanto da spingerli
per 50 giorni a sottoporsi a torture continue fino alla morte?
health online ha chiesto il parere dello psicologo clinico e
psicoterapeuta Roberta Fedele.
Gli adolescenti e le loro fragilità. Far parte di una comunità
agghiacciante denominata “club dei suicidi”, fa sì che i
ragazzini si sentano compresi, amati e importanti, come ha
detto Budeikin?
“Il fenomeno del Blue Whale sembra cavalcare alcuni
degli aspetti propri dell’adolescenza esistenti da sempre,
con l’aggiunta però di elementi che sono assolutamente
figli del periodo storico in cui viviamo. Le caratteristiche
dell’adolescenza sono quelle di sempre, ma si dispiegano
in un mondo contemporaneo così profondamente diverso
per gli strumenti di conoscenza e di comunicazione che
vanno a generare il formarsi di nuovi sistemi di significato.
L’adolescenza è un periodo di forte crisi dello spazio
mentale e della sua integrazione, che vede l’adolescente
impegnato in vari compiti evolutivi, quali il conflitto tra la
dipendenza e l’indipendenza, il processo di individuazione,
la chiusura in se stessi e l’isolamento, l’importanza che
riveste l’appartenenza ad un gruppo ed i movimenti
identitari ad esso collegati.
Sembra in particolare che questi due ultimi aspetti
siano coinvolti nel fenomeno del Blue Whale. Infatti, il
partecipare al “gioco” prevede l’entrare a far parte di un
certo gruppo ed esso, come la maggior parte dei gruppi
adolescenziali, scatena al suo interno dinamiche molto
intense, è caratterizzato da rigidità e chiusura agli adulti e
spesso chi vi appartiene ne accetta le regole e le modalità
comunicative. Il gruppo soddisfa spesso un bisogno di
sicurezza che il giovane vive in relazione alla propria
confusione emotiva.
Spesso il gruppo di pari si contrappone al nucleo
familiare, in particolare alle figure genitoriali, le quali
tendono a conservare una visione del giovane ancora
associata a quella di un bambino; esso soddisfa bisogni
di orientamento, di elaborazione di valori diversi da quelli
degli adulti, e dà vita ad intensi processi di identificazione
su cui si basa la coesione e l’organizzazione del gruppo
stesso. Tali movimenti identificatori sono ancora più
significativi se il giovane vive una situazione di isolamento
e di ritiro in se stesso, percependosi come l’unico garante
della propria assoluta autonomia. Ecco quindi che il
senso di appartenenza e il sentirsi compreso svolgono un
importante peso”.
Il gioco macabro prevede prove fisiche di autolesionismo
di difficile comprensione. Cosa spinge un ragazzino a
compiere gesti di questo tipo?
“In adolescenza il suicidio o il tentativo di suicidio si
identifica come un passaggio all’atto, o acting out, che
è una modalità difensiva di cui si serve l’individuo per
affrontare i conflitti e le angosce caratteristici della fase
di vita che sta attraversando. è bene ricordare che i
passaggi all’atto sono comportamenti presenti non solo
negli adolescenti che presentano disturbi psicologici ma in
ogni adolescente e che assumono le forme più disparate
quali fughe, il vagabondaggio, il furto e le manifestazioni
di etero e autoaggressività. Si tratta di un arresto o un
disturbo delle capacità simboliche e rappresentative,
una confusione fra la dimensione interna e quella esterna,
tra quella soggettiva e quella oggettiva. Il disagio non
avrebbe parole per essere rappresentato, cosa che lo
inquadra come il meccanismo prelogico e preverbale per
eccellenza, senza alcuna possibilità di pensiero introspettivo
o basato sulla internalizzazione e sul pensiero verbale.
Rispetto alla domanda su cosa li spinge, andrebbero presi
in considerazione una molteplicità di fattori ed il significato
va comunque sempre ricercato nella specificità di ogni
singola situazione; tuttavia è possibile individuare alcune
situazioni ricorrenti: ci potrebbe essere una difficoltà
a tollerare i sentimenti di solitudine e isolamento che
accompagnano il processo di separazione dalle figure
parentali e di individuazione della propria nuova identità.
questa difficoltà potrebbe non essere adeguatamente
controbilanciata dal sentimento di acquisizione della
propria nuova identità, delle proprie personali capacità
e responsabilità, ma invece sfociare in depressione che,
in certi casi, aumenta a dismisura soprattutto perché ha
a che fare con un sentimento di scarsa stima di Sé ed
un vissuto di inadeguatezza a nuovi compiti. Ancora il
fisiologico bisogno di sfidare, che resta sempre una delle
maggiori difese in adolescenza.
La trasformazione del corpo nell’adolescenza: il tentato
suicidio è un attacco al corpo che a tratti è percepito come
estraneo, sconosciuto ed incontrollabile, non appartenente
al sé psichico. Il corpo è allora oggetto di odio e non più
fonte potenziale di piacere. L’idea del suicidio permette
di compensare l’impotenza che assale l’adolescente
che, a differenza dello spazio mentale, non esercita alcun
controllo su quello corporeo. Ma questo è un conflitto che
deve assolutamente rimanere nella testa, a livello psichico.
Ancora la fantasia di essere salvati dalla morte, la speranza
di poter trovare o ritrovare una condizione di pace
attraverso il suicidio, di sollievo rispetto alle difficoltà che
si stanno attraversando. A questa fantasia se ne aggiunge
spesso un’altra, e cioè che mediante la morte si attesti la
propria onnipotenza ed il trionfo di Sé sulla realtà.
In molti casi di suicidio c’è il bisogno di trasformare in azione
attiva ciò che dovrà essere subìto passivamente, ancora
una volta, esercitare una certa dose di controllo su se stessi
e su quello che, anche se in un futuro, accadrà.
va inoltre considerato il fatto che le condotte suicidarie
hanno una profonda valenza relazionale. Il suicidio, atto
solitario per eccellenza, è sempre anche rivolto mentalmente
a qualcuno in particolare o “agli altri” in generale. Secondo
Pietropolli Charmet (2009) l’adolescente suicidario lancia
una sfida prepotente all’adulto: il genitore è chiamato a
19
fare i conti con l’estrema impotenza e l’enorme distanza
che lo separa dall’adolescente e con i sentimenti di paura,
disperazione e sgomento per qualcosa che è impensabile
e che si palesa violentemente. Il gesto suicidale, sempre
secondo l’autore, è un gesto violento perché, seppur
rappresentativo dell’estrema impossibilità di pensare
ed elaborare rabbia e delusione, vissuti annichilenti e di
umiliazione, è un attacco dell’adolescente al senso della
relazione con i genitori e imprigiona tutti nella alternanza
colpa/espiazione”.
Alla base di questo perverso meccanismo c’è una forte
conoscenza degli elementi psicologici da parte dei
creatori del gioco?
“Potrebbe esserci sicuramente una profonda conoscenza
dei meccanismi psicologici propri della adolescenza e
di come questi si incastrino e si amplifichino con i mezzi
e gli strumenti moderni, quali la tecnologia, internet, i
videogiochi, ecc. Il computer diventa spesso una specie di
versione altra di se stessi, senza di esso ci si sente persi e si è
fuori dal mondo; lo psichiatra e psicoanalista statunitense
Glen o’ Gabbard ha parlato di “Cyber-Se’”. Esso può fornire
in pochi secondi così tante informazioni e così tanti contatti
e relazioni, che però spesso hanno più il sapore di una non
relazione, in quanto si tratta di rapporti che potrebbero non
concretizzarsi mai, rimanendo nel limbo del cyberspazio.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione
consentono all’adolescente di oggi di ridurre il confronto
faccia a faccia e di sostituire l’esperienza diretta con una
percezione mediata.
Ci sarebbe da chiedersi se essere sempre connessi,
attraverso smartphone, internet, Facebook, ecc. muta il
modo di rappresentarsi, se permette di ammorbidire il senso
di solitudine che nasce in adolescenza, e se quindi questo
vada considerato come una nuova forma di gruppalità,
oppure lascia l’adolescente più che mai isolato e chiuso in
un suo mondo illusorio”.
Sono state raccolte delle testimonianze di mamme che
hanno perso i loro figli a causa del “rituale psicologico”.
“Sembravano tranquille – hanno detto – anche il giorno
in cui hanno deciso di suicidarsi hanno fatto quello
che facevano tutte le mattine. Ci sono persone che
garantiscono ai ragazzi di ‘salvarli’ dai problemi che li
affliggono, ma i nostri figli non soffrivano di depressione,
erano giovani, solari e pieni di vita. Partecipare a quel
‘gioco’ li ha cambiati e portati alla morte”.
20
la vita a causa di una sofferenza covata nel silenzio e
nell’indifferenza.
In che modo i genitori possono vigilare sulla vita sociale dei
propri figli senza entrare in contrasto?
health online l’ha chiesto a Elisabetta Scala, vice
presidente del MoIGE, Movimento Italiano Genitori onlus,
che da anni svolge la sua attività a sostengo delle famiglie
per una maggiore tutela dei diritti dei minori e dei genitori.
quanto è preoccupante questo fenomeno? qual è la
vostra posizione?
è molto preoccupante e noi come Movimento Italiano
Genitori in questi giorni stiamo cercando di campire
l’ampiezza del fenomeno proprio per parlarne con i
nostri figli. Inoltre, stiamo dando delle informazioni ai
nostri volontari, i quali daranno a loro volta delle risposte.
La nostra raccomandazione è quella di parlare del
fenomeno ai ragazzi,
spiegare loro quanto
sia terribile questo
gioco macabro, in
modo tale che se sono
venuti a contatto con
qualcuno coinvolto
possano reagire”.
Spesso i genitori degli
adolescenti sono
all’oscuro di alcuni
aspetti della vita
sociale dei propri
figli. Uno sguardo
attento potrebbe
aiutare i genitori a
comprendere in
tempo eventuali
c o m p o r t a m e n t i
anomali dei figli, specie se pre-adolescenti?
“Innanzitutto tanto più sono piccoli i bambini tanto più
non devono navigare sui social da soli, non bisogna
lasciare in mano a un pre-adolescente un telefonino con
la connessione h24. è dovere di ogni genitore prestare
sempre grande attenzione e parlare con i figli. Parlare con
i figli per noi è la prima regola”.
Come controllare i figli senza entrare in conflitto con loro?
“L’utilizzo della rete e di conseguenza i social oggi ci
costringono ad entrare nel privato dei nostri figli, è nostro
dovere guidarli e anche controllarli chiedendo loro
l’amicizia su Facebook”.
Oggi tutto è a portata di click. Se da una parte l’avvento
dell’era digitale e la portabilità dei dispositivi hanno
dato dei grandi benefici alla società, dall’altra però
Dottoressa Fedele, la regola fondamentale per chi
partecipa al gioco è quella di non dire nulla ai genitori
e non lasciare tracce in giro. Quali sono i campanelli
d’allarme da non sottovalutare per i genitori?
“Sicuramente sarebbe molto importante prestare
attenzione ai cambi di umore, ragazzi che sono solari e che
invece improvvisamente diventano cupi e silenziosi, agli
scatti di ira, alle manifestazioni di ritiro e di isolamento, alle
espressioni di irritabilità, al cambiamento improvviso delle
abitudini cosi’ come alle manifestazioni ossessive”.
Diverse sono state le reazioni da parte dell’opinione
pubblica sul Blu Whale: c’è chi si è sentito angosciato e
chi non ha trovato parole per descrivere il fenomeno
rifiutandosi di capire il motivo. Secondo lei, mettere la
testa sotto la sabbia è uno degli elementi che permette a
fenomeni come Blue Whale di svilupparsi?
“La mia opinione
su questo è che
ci sia una sorta di
corresponsabilità da
parte della società
allargata e che si
potrebbe fare molto
di più in termini
di prevenzione,
informazione e azione
rispetto al fenomeno;
sarebbe necessario
infatti creare degli
sportelli di ascolto,
divulgare il più
possibile informazioni
circa il cyberbullismo,
supportare i genitori,
soprattutto con
approfondimenti che riguardano un uso perverso del
mezzo mediatico e di internet. Più che mettere la testa sotto
la sabbia, credo che questi fenomeni abbiano trovato
terreno fertile in una società totalmente impreparata ad
affrontarli e che ancora non è riuscita a reagire; credo
inoltre che internet non sia la causa ma il mezzo attraverso
il quale la problematica prende forma”.
La Russia, luogo dove è nato il gioco e dove ci sono state
maggiori vittime, si sta mobilitando e sta prendendo dei
seri provvedimenti per arginare il fenomeno sfuggito al
controllo della rete. è stata istituita, insieme con un team
di psicologi ed esperti, un’associazione di assistenza ai
famigliari e un numero verde di ascolto e denuncia.
Può davvero un gioco cambiare un ragazzino fino a
portarlo alla morte? E com’è possibile fingersi tranquilli
davanti gli occhi di un genitore?
Ai genitori spetta il compito più importante quello cioè di
vigilare sui propri figli affinché non decidano di togliersi
21
hanno provocato, e continuano a provocare, seri danni
soprattutto se questi strumenti vengono utilizzarti in maniera
errata dagli adolescenti, sempre più dipendenti dalla rete.
Secondo il rapporto “Benessere dei quindicenni”,
pubblicato da ocse, è emerso che quasi un quarto degli
adolescenti italiani dichiara di trascorrere oltre 6 ore al
giorno su internet al di fuori della scuola. Un’abitudine che,
si trasforma quindi in vera e propria dipendenza: 47 alunni
italiani su cento dichiarano infatti di “sentirsi male se non
c’è una connessione a internet”.
Le relazioni attraverso uno schermo escludono la
comunicazione verbale fondamentale per relazionarsi
con gli altri e a nascondere le emotività, ecco quindi che
internet, come ha affermato nel corso di un’intervista a
La Repubblica, Federico Tonioni, Ricercatore all’Università
cattolica e direttore dell’ambulatorio sulle dipendenze da
internet al Policlinico Gemelli di Roma, “è diventato non la
causa ma la risposta ad un disagio profondo. Le relazioni
online sono spesso le uniche rimaste all’adolescente
sempre più orientato ad un ritiro sociale”.
Dottoressa Scala, cosa ne pensa? L’educazione all’utilizzo
di internet e della tecnologia resta fondamentale. Il Moige
e la Polizia di Stato hanno promosso il progetto “Giovani
ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo per un web
sicuro”, con l’obiettivo proprio di fornire a ragazzi, genitori
e insegnanti tutte le informazioni necessarie per un corretto
e responsabile uso della rete. Quanto sono importanti
iniziative volte alla sensibilizzazione e informazione in un
periodo storico come quello che stiamo vivendo?
“Il rapporto pubblicato da Ocse ha un fondamento, i nostri
ragazzi sono eternamente connessi: ascoltano la musica,
vedono programmi televisivi e video con i loro cellulari,
anche quando sono impegnati nello studio devono
verificare se c’è connessione e nel caso arriva un messaggio
devono vederlo e rispondere immediatamente, vivono i
social in maniera ansiogena. Questo è un atteggiamento
sbagliato e noi dobbiamo dare loro delle regole, quando
si sta a tavola o quando si studia il telefonino deve essere
messo in disparte. Dobbiamo coinvolgere i nostri figli in
attività sportive, creargli delle situazioni da fare nella
vita reale e invitarli ad incontrarsi personalmente non
attraverso la rete. occorre educarli. E proprio per questo
motivo che la nostra iniziativa “per un web più sicuro” è
ormai diventata un appuntamento annuale. Quest’anno
c’è stata una novità che ha avuto un grande successo:
abbiamo formato dei ragazzi, “gli ambasciatori”, che a
loro volta insegnano ai loro coetanei, questo ha funzionato
molto perché i giovani sono più predisposti ad ascoltare
i loro coetanei che gli adulti. In questo periodo storico
occorre cambiare la mentalità, è prioritaria la prevenzione,
non si può arrivare ad affrontare il problema a quando c’è
l’emergenza”.
Dottoressa Fedele, quanto è importante ristabilire un
rapporto tra genitori e figli in età adolescenziale? quali
sono i suoi consigli?
“Il giusto investimento di tempo e di energie durante
l’infanzia e la fanciullezza aiuta a prevenire il trasformarsi
dei piccoli problemi di queste fasi, nei grandi problemi
dell’adolescenza, ed è importante pensare a questo come
un processo che va costruito nel tempo. Rispetto proprio
all’utilizzo dei dispositivi elettronici quali smartphone, ipad,
ecc., sarebbe importante stabilire delle regole e delle
limitazioni in maniera precoce; diventa molto complicato
infatti, soprattutto con l’adolescenza, ridurre l’uso del
computer se per anni il bimbo a tavola ha mangiato con
l’ipad acceso oppure gli è stato permesso di giocare al
cellulare durante le cene tra amici per “distrarlo”. Questa
infatti diventa una realtà abituale e conosciuta per il
bambino che, ora adolescente, non si spiega e non
accetta il perché non può continuare a fare quello che in
sostanza faceva anche prima.
Ritornando alla domanda, durante la adolescenza la
parola chiave è osservare i ragazzi, ma una osservazione
che li veda, che li guardi veramente, cogliendone i
segnali, sia positivi che di disagio, senza però trasformarli
immediatamente in scoppi di ansia da parte dei genitori.
Nel caso del fenomeno di cui stiamo parlando, per
esempio, sarebbe stato importante destinare una certa
quota di attenzione al ritiro dei ragazzi nelle loro stanze per
periodi prolungati, oppure al fatto che uscivano di casa
alle prime ore del mattino. Spesso il nucleo familiare tollera
l’autoreclusione del ragazzo, agevolandolo implicitamente
o esplicitamente nel suo rintanarsi nella sua stanza.
In generale è importante adottare un atteggiamento
empatico, di comprensione, mostrarsi supportivi nei
momenti di difficoltà e anche consolarli se è necessario;
stabilire sempre regole chiare, non troppo restrittive, da
concordare in anticipo con i ragazzi e che prevedano
sanzioni realmente applicabili; notare non solo i
comportamenti disfunzionali ma anche quelli adattivi,
rinforzandoli positivamente; favorire l’autonomia e
l’affermazione di sentimenti e delle aspirazioni (nei limiti
consentiti dall’età) da parte del figlio, anche se non
sono in linea con quelle che si aspettano i genitori. La
capacità educativa dei genitori sta proprio nel permettere
l’attuazione di questa separazione del figlio dalle proprie
figure e insieme nella capacità di offrire sostegno,
comprensione e disponibilità comunicativa in questo
momento difficile per il giovane”.
Felicità e gioia di vivere. questo è lo scopo di Pink Whale,
un’iniziativa nata in Brasile come risposta al macabro gioco
Blue Whale.
La vita è un bene prezioso e va vissuta fino in fondo.
“Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando
è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il
regalo dei regali”. oriana Fallaci.
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La richiesta dovrà essere effettuata tramite l’invio di una mail a [email protected].
La mail dovrà riportare le seguenti indicazioni:OggettO: Convenzione Health ItaliaAllegAtO: Tesserino Health ItaliaNome e CognomePeriodo e struttura scelteNumero di persone
spese non comprese nel soggiorno:
Pulizie finali_60 € (obbligatorio con tutte le tariffe)Check-in o Check-Out fuori orario_20 €
Set biancheria letto e bagno su richiesta (per persona)_20 €Telo mare su richiesta_5 €
Animali domestici. Extra per pulizie_20 €Culla da campeggio e biancheria su richiesta_20 €
Deposito cauzionale rimborsabile (da versare all’arrivo)_200 €
www.casainvestimento.it [email protected]
23
a cura dialessia elem Idrocolon terapia,
una tecnica antica per il benessere dell’organismo
Cattive abitudini alimentari, stress e ansia sono situazioni
che possono mettere a repentaglio la salute del colon.
Il colon è un organo cavo in sede addominale, che
inizia a livello della valvola ileo-cecale - tratto terminale
dell’intestino tenue - e termina con il retto ed il canale
anale.
La sua principale funzione è quella di assorbire acqua e
elettroliti (sali) ed è anche il naturale terreno di coltura dei
batteri, il cui scopo consiste nel neutralizzare,
evitare e prevenire lo sviluppo di una sua
condizione di tossicità. Quando nel colon
si produce un eccesso di fermentazione e
putrefazione, perché non lo si è tenuto il
più possibile libero dalle feci e dagli scarti, i
batteri patogeni proliferano e danno origine
a disturbi.
Cosa succede al nostro organismo quando
il colon è intasato e irritato? Perde la sua
funzionalità e le tossine che si depositano
possono causare diverse patologie che interessano l’intero
organismo.
Per evitare dei rischi alla salute è importante mantenere
pulito l’organismo e questo è possibile grazie anche
all’Idrocolon terapia, un trattamento medico antico in
grado di restituire una corretta funzionalità del colon senza
nessun disagio, né dolore per il paziente.
quali sono i benefici dell’idrocolon terapia? E quando è
consigliata?
L’abbiamo chiesto alla dottoressa Alessandra Merendino,
Tecnico di Neurofisiopatologia, specialista in Colon-
Idro-Terapia presso Rome American hospital, Centro
Diagnostico Pigafetta e al Centro diagnostico Monteverde.
(www.dottoressamerendino.eu)
“I benefici sono numerosi - ha spiegato - ma il primo è
l’immediata e piacevole sensazione di
sgonfiore addominale e il benessere della
schiena: l’apparato muscolo scheletrico è
composto dall’insieme di ossa, articolazioni
e muscoli, la loro azione sostiene l’organismo
e ne permette movimenti, mentre il colon
è il naturale terreno di coltura dei batteri, il
cui scopo consiste nel neutralizzare, evitare
e prevenire lo sviluppo di una condizione di
tossicità dello stesso. Durante il trattamento
eseguo una particolare manovra manuale,
denominata ‘terapia muscolo – viscero – tensiva’, un
massaggio mirato a ristabilire un’omeostasi generale
del corpo. Grazie a questo massaggio mirato si ritrova
armonia nella zona addominale, il piacere di avere una
pancia sgonfia, libera da stress, ansia, stipsi, colite, acidità
di stomaco, torcicollo, lombosciatalgia, dolori articolari e
sottoscapolarigonalgia, tendiniti, insonnia, cefalea.
L’idrocolon terapia elimina i parassiti (Escherichia coli,
Tenia), le tossine, i vecchi fecalomi, migliora lo stato
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della pelle ed è anche un ottimo aiuto per chi vuole
perdere peso. questo strumento rappresenta quindi una
soluzione semplice, non invasiva, che grazie alle moderne
apparecchiature ha reso la terapia igienica, indolore e
inodore garantendo la massima sicurezza ed efficacia
terapeutica ed offrendo al paziente igiene e confort. è un
perfetto connubio naturale di salute, benessere e bellezza”.
Un intestino che non svolge in maniera corretta le proprie
funzioni cosa può provocare?
“Sono diverse le conseguenze che può provocare un mal
funzionamento intestinale, vanno dall’alitosi, al reflusso
gastroesofageo, al mal di schiena, acne, cefalea fino a
colite, cistite, candida intestinale, e gonfiore addominale”.
Per il trattamento è prevista una preparazione?
“Sì, nei tre giorni precedenti al
trattamento il colon necessita di una
precisa preparazione per agevolare
la fuori uscita dei residui fecali più duri
che, se non ben espulsi, posso causare
un’occlusione intestinale”.
In che modo viene effettuato il
trattamento?
“In generale, l’idrocolon terapia è
caratterizzata da tre fasi. La prima è
quella diagnostica, in cui si verificano le
condizioni del soggetto da trattare e le
caratteristiche della sua patologia, comporta una accurata
valutazione sia da un punto di vista della salute in generale,
che in particolare, della funzione digestiva.
Nella fase preparatoria invece si cerca di modificare la
consistenza del contenuto intestinale, per rendere più
agevole lo svuotamento del colon. Una preparazione
accurata è estremamente utile per rendere la pratica meno
disagevole per il paziente e più radicale nei suoi effetti e
nelle sue risultanze terapeutiche. Infine, c’è il lavaggio che
costituisce l’elemento centrale della terapia e che ha lo
scopo di eliminare tutto il materiale fecale dal colon e le
tossine”.
In particolare ci può spiegare in che modo avviene?
“Nel corso del primo incontro, presso tutti i centri dove
esercito la mia professione, a tutti i pazienti viene fatta
un’accurata anamnesi, con la compilazione di una scheda
dettagliata con tutte le patologie inerenti il colon. Ad ognuno
viene consegnato un kit monouso completo per l’esecuzione
del trattamento, dopodiché il paziente si sdraia in modo
confortevole sulla schiena. viene introdotta una canula sterile
(e monouso) nel retto, questa è fornita di due tubi, uno per
l’entrata dell’acqua l’altro per asportare il materiale fecale e
l’acqua usata. Il paziente per tutta la durata del trattamento,
di circa un’ora, è in posizione supina.
Se l’idrocolon terapia viene effettuata per preparazione
alla colonscopia, al paziente viene eseguita una seduta di
maggiore durata, e trattandosi di un doppio esame (idrocolon
+ colonscopia) il paziente avrà bisogno sia del lavaggio per
pulire in profondità le pareti intestinali, che della preparazione
standard, che va invece a sciogliere tutti i residui fecali più
duri e più profondi nel colon”.
è quindi anche un mezzo di preparazione per gli esami
diagnostici del colon?
“Sì, perché pulisce in profondità grazie al macchinario,
regolato a seconda delle caratteristiche del paziente, dotato
di un sistema idraulico composto da un’unica specola rettale
dotata di due ingressi: uno per l’acqua pulita e l’altro per
l’eliminazione di tutti i batteri e di tutte le vecchie scorie che
risiedono nell’intestino. questo particolare sistema dunque è
molto utile come preparazione per tutti gli esami diagnostici
del colon: colonscopie, rettoscopie,
rx addome completo, ecografie
addomo pelviche”.
L’idrocolon terapia è uno strumento di
prevenzione e cura per le patologie
dell’apparato digerente?
“Si, previene la formazione del cancro
al colon ed è uno strumento d’aiuto
per tutti i pazienti asmatici, allergici e
coloro che soffrono di infiammazioni
urinarie”.
Quante sedute sono necessarie per una profonda riuscita
della pulizia del colon? E con quale frequenza?
“Per una pulizia efficace e duratura nel tempo, è necessario un ciclo minimo di almeno 3 sedute. Le sedute vanno eseguite
ad una distanza di una settimana l’una dall’altra, tempo
necessario alla flora intestinale di ricrearsi naturalmente”.
è consigliabile ai pazienti affetti da quali patologie?
“A tutti coloro che soffrono di stitichezza ostinata, colite,
diverticoli, polipi, gonfiori addominali, allergie, celiachia,
candida intestinale, intolleranze alimentari, occlusione
intestinale. è molto utile per chi si sottopone alla chemioterapia,
a pazienti con sclerosi multipla e autistici”.
Quando invece è sconsigliata?
“Nei casi in cui si hanno emorroidi sanguinanti, diverticoli
e insufficienza renale, gravidanze, emorragie, aneurismi,
tumore in atto del colon-retto.
L’intestino è un organo fondamentale per il benessere del
nostro organismo ed è quindi importante mantenere un colon
pulito grazie ad una tecnica antica che oggi si avvale di una
moderna tecnologia e di un sistema igienizzato e sicuro, in
grado di non comportare troppi disagi per il paziente”.
La Selvotta Suite è un’elegante Guest House nel cuore del Parco di Vejo, a pochi chilometri dallo storico comune di Formello ed a soli 17 Km a nord della città di Roma.
La bellezza del bosco di querce e la vicinanza al Parco della Selvotta rendono questa location unica nel suo genere, offrendo un’oasi di pace per varie specie di animali la cui compagnia sorprenderà piacevolmente i propri ospiti.
La camere, curate nei dettagli in forme e colori, dispongono tutte di servizi privati con doccia, asciugacapelli, TV, riscaldamento autonomo, aria condizionata, frigobar, cassaforte e Wi-Fi free. Su richiesta inoltre, è possibile usufruire del servizio lavanderia.
www.laselvottasuite.it | [email protected] della Selvotta, 23 | 00060 | Formello (RM)
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farmaci, è emergenza: un italiano su due rinuncia all’acquisto
a cura dimariachiara manopulo
Lo scorso 17 marzo, nell’ambito del congresso Farmacista
più, è stata presentata l’indagine “Nuove povertà
e bisogni sanitari”, realizzata da Doxa per il Banco
Farmaceutico. I dati emersi sono a dir poco allarmanti,
e rappresentano l’ennesima conferma di quanto la crisi
stia pungendo le famiglie, mettendo a rischio anche il
diritto alla salute. quasi 1 italiano su 2 (45%) ha rinunciato
nell’ultimo anno ad acquistare farmaci, in particolare
quelli completamente a carico del cittadino. La ricerca,
che si pone l’obiettivo di indagare e analizzare le
difficoltà che incontrano i cittadini nell’accesso alle cure,
evidenziando i profili più a rischio, dimostra che il tasso di
rinuncia è più elevato tra le casalinghe e i pensionati: 52%
quando vivono in famiglia, 53% quando vivono da soli.
Sono a rischio i lavoratori precari (per loro la percentuale
raggiunge il 41% se vivono in famiglia e il 40% se vivono da
soli), ma anche chi ha un lavoro stabile: in questo caso, la
percentuale è del 39% per chi vive in famiglia e il 46% tra
chi vive solo.
quasi la metà degli intervistati (il 45%) ha dichiarato di
avere in famiglia almeno un caso di patologia rilevante.
E quanto più aumenta il numero delle malattie in
concomitanza in famiglia, tanto più è difficile l’accesso
ai farmaci. Nei nuclei famigliari in cui c’è almeno una
patologia rilevante, la rinuncia all’acquisto di medicinali
raggiunge quota 54%, mentre in quelli con due o tre
malattie arriva al 57%. Nelle famiglie con quattro patologie
o più, si rinuncia nel 64% dei casi.
Ma i problemi non si fermano all’acquisto di farmaci. È
allarme anche per quanto concerne le rinunce alle visite
mediche o ai controlli: 1 italiano su 4 (il 26%) nell’ultimo anno
ha rinunciato almeno ad una visita medica, in particolare
a terapie di riabilitazione e visite odontoiatriche.
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Le categorie più a rischio sono sempre i lavoratori precari,
le casalinghe e i pensionati, oltre ai genitori separati con
figli a carico.
Più di 1 famiglia su 2 dichiara di avere problemi economici
per l’accesso alle visite specialistiche: le difficoltà più
grosse si riscontrano nell’effettuare visite specialistiche
a pagamento (32%), esami del sangue (31%), visite
specialistiche ospedaliere con pagamento del ticket se
previsto (28%), visite odontoiatriche (26%).
Eppure, nonostante tutto, sono pochissime le persone
che chiedono aiuto: solamente l’1% degli intervistati ha
infatti ammesso di avere ricevuto un supporto da enti
assistenziali è marginale.
ormai - e questo è evidente - la povertà sanitaria è una
emergenza con la quale siamo costretti a fare i conti tutti
i giorni, perché riguarda grandi fasce della popolazione.
Per molti, il diritto alla salute è sempre più a rischio.
La Fondazione Banco Farmaceutico onlus è nata
proprio per dare un supporto e rispondere al bisogno
farmaceutico di tutte quelle persone per cui curarsi è
ormai diventato un lusso. Per saperne di più, abbiamo
fatto qualche domanda al presidente della Fondazione,
il dott. Paolo Gradnik.
I dati dell’ultima indagine Doxa sono molto preoccupanti:
nell’ultimo anno 1 italiano su 2 ha rinunciato all’acquisto
di un farmaco e molti rinunciano anche a controlli e
visite mediche. Le famiglie, insomma, stanno “tirando la
cinghia” sulla salute. Curarsi sta diventando davvero un
lusso?
I dati emersi sono effettivamente molto preoccupanti:
il rinunciare ad assumere un farmaco di cui abbiamo
bisogno, ad effettuare un controllo o una visita medica
necessarie mettono a rischio la nostra salute e ci
espongono a trovarci poi con problemi ancora più seri.
questo sta succedendo in Italia (ma è un dato che
emerge un po’ in tutta Europa).
oggi il SSN copre poco più del 60% della spesa
farmaceutica degli italiani, il resto il cittadino lo deve
pagare di tasca propria e, se non ha i soldi per farlo nasce
il problema.
Come si può affrontare la situazione e quali sono i passi
da portare avanti affinché la salute torni ad essere una
priorità?
prima di tutto basta con le dichiarazioni di principio
e confrontiamoci con la realtà: il ssn garantisce solo
una parte della salute degli italiani e la situazione non
cambierà in futuro, sarà già molto se questa parte non
diminuirà ulteriormente nei prossimi anni. Perché curarsi
adeguatamente non diventi davvero una possibilità per
soli ricchi occorre da un lato che lo Stato aumenti le risorse
a disposizione della farmaceutica territoriale e dall’altro
che si incentivi l’assistenza che la rete di realtà caritatevoli
presente nel nostro paese può dare a chi non ha i soldi
per farsi carico del 40% che resta.
Secondo l’indagine, nonostante tutti i problemi di accesso
ai servizi sanitari, la percentuale di persone che dichiara
di aver ricevuto supporto da enti assistenziali è veramente
marginale. Ma quali possono essere i motivi?
Questa, a mio modo di vedere, è la conseguenza di due
fattori concomitanti. Il primo è che siamo di fronte alle
“nuove povertà”, cittadini italiani che fino a poco tempo
fa godevano di redditi sufficienti e si sono improvvisamente
trovati (per varie cause) in condizioni disagiate: queste
persone da un lato possono vivere con disagio l’idea
di rivolgersi a strutture che hanno sempre considerato
“per i poveri” e dall’altro sono probabilmente spaesati
rispetto ad un sistema di assistenza dove tradizionalmente
funziona molto il “passa parola”.
Il secondo è che il sistema degli enti caritativi, seppur ricco
di realtà fantastiche dal punto di vista umano, è molto
parcellizzato e così spesso fa fatica ad essere visibile.
questo è un punto su cui occorre che il mondo non profit
italiano rifletta a fondo.
Il Banco Farmaceutico promuove ogni anno la Giornata
di Raccolta del Farmaco, proprio per aiutare le persone
che non possono permettersi di acquistare le medicine.
Quali farmaci possono essere donati e a come funziona
la distribuzione delle medicine raccolte?
La GRF è dedicata alla raccolta dei farmaci che si
acquistano senza ricetta medica, che per definizione
non sono erogati dal SSN e pertanto sono proprio quelli
a cui più facilmente le persone povere sono costrette a
rinunciare. I farmaci raccolti in farmacia vengono messi
a disposizione gratuitamente dell’ente di assistenza
convenzionato più vicino alla farmacia stessa. Trasparenza
e aiuto di prossimità.
quali sono i numeri della Giornata di Raccolta del
Farmaco? quanti farmaci si riescono a raccogliere, di
media, ad ogni edizione?
Lo scorso 11 febbraio abbiamo effettuato la raccolta
in 3850 farmacie di tutta Italia, raccogliendo 375.239
farmaci per un controvalore superiore a 2.205.000€. Un
risultato lusinghiero, in quanto è aumentata sia la raccolta
totale che quella media per farmacia.
L’ordine di grandezza si è consolidato negli ultimi anni e
questo testimonia un gesto che non stanca ed una carità
sempre viva.
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Ci sono differenze importanti tra le varie regioni italiane?
Le differenze derivano dal grado di copertura che
l’iniziativa ha nelle varie provincie italiane e dal numero
di farmacie che vi aderiscono, non certo dalla generosità
dei cittadini che si rivela sempre eccezionale: in ogni
parte d’Italia due persone su tre che entrano in farmacia
durante la giornata di raccolta donano almeno un
farmaco. Il primo grazie va sempre al cuore degli italiani.
quanto sono aumentate in questi anni le persone assistite
dal Banco Farmaceutico?
quest’anno siamo riusciti ad assistere 578.000 persone,
un aumento rispetto all’anno scorso di circa il 10%. è un
numero significativo, impensabile 17 anni fa quando
siamo partiti, ma moltissimo resta ancora da fare. Basti
pensare che l’ISTAT ci dice che oggi in Italia ci sono oltre 5
milioni di famiglie in condizione di povertà assoluta.
Queste famiglie hanno
bisogno di curarsi
adeguatamente e le loro
condizioni economiche non
glielo permettono. L’attività
del Banco tuttavia non si
esaurisce con la Giornata
di Raccolta del Farmaco
ma continua tutto l’anno,
raccogliendo donazioni da
tutta la filiera del farmaco.
Questo ci permette di
rispondere al bisogno con
continuità, anche in caso di
calamità o nei Paesi in via di
sviluppo. Nel 2016 abbiamo
distribuito gratuitamente un
totale di circa 1,8 milioni di
farmaci.
Sono tantissimi i farmaci che vengono sprecati ogni anno,
che restano inutilizzati nelle nostre case, fino a scadere,
o che vengono gettati via. Banco Farmaceutico ha
promosso proprio per questo il progetto “Recupero
farmaci validi non scaduti”. Come funziona? è attivo in
tutta Italia?
Il fatto che nelle case, specie quelle delle persone anziane,
vi siano farmaci perfettamente validi e non più utilizzati è
un fenomeno fisiologico: basta pensare banalmente alla
necessità frequente di cambio di terapia in presenza di
patologie croniche.
Recuperare questi farmaci e nel contempo assicurarsi
che essi siano integri e perfettamente utilizzabili in
condizioni di sicurezza non è una cosa semplice. Tuttavia,
dato l’importante significato che questo gesto ha sia
in termini di aiuto al bisogno che in termini di recupero
di risorse preziose, Banco Farmaceutico già da alcuni
anni ha avviato dei progetti pilota in varie città d’Italia,
posizionando appositi bidoni nelle farmacie.
l’auspicio è di poter estendere questo servizio ad un
numero sufficiente di farmacie e località da poter
rendere il gesto facile ed abituale a tutti i cittadini
italiani. occorrono però risorse, anche economiche. Da
questo punto di vista vorrei vedere un ruolo più attivo
delle varie amministrazioni comunali che, oltre a tutto,
risparmierebbero i costi di smaltimento di questi farmaci
“sprecati”.
Banco Farmaceutico conta su tantissimi volontari. Come
si può entrare a fare parte della vostra realtà?
Sono oltre 14.000 i volontari che ogni anno dedicano
qualche ora del loro tempo e tutto il loro entusiasmo
alla riuscita della colletta
farmaceutica. A questi
vanno aggiunti i volontari,
circa 400, che si dedicano
con continuità all’opera di
Banco Farmaceutico. La
nostra è un’opera che si
basa sul volontariato, per cui
le persone di buona volontà
che vogliono partecipare a
questo gesto non bastano
mai. Invito tutti a contattare
le nostre sedi provinciali o
direttamente la Fondazione
a Milano: il tempo che
vorranno dedicare a Banco
Farmaceutico sarà prezioso
per aiutare chi è meno
fortunato di noi ma sono
sicuro che sarà anche un’esperienza che renderà più
ricca la vita.
Come si può sostenere le vostre iniziative?
Innanzitutto indicando la Fondazione Banco Farmaceutico
Onlus ed il suo codice fiscale 97503510154 nello spazio
del 5x1000 della dichiarazione dei redditi: un gesto che
non costa nulla ma che aiuta concretamente la nostra
attività.
Invito però tutti anche a scaricare l’app DoLine sul
proprio telefonino, in questo modo si resterà sempre al
corrente di tutte le campagne di aiuto concreto che
Banco Farmaceutico lancia durante l’anno e si potrà
partecipare attivamente, donando dei farmaci preziosi a
sostegno di quelle stesse campagne.
Caritas della ParroCChia di san lorenzo Martire
la Fondazione ha elaborato un sussidio sanitario che consente la copertura di spese per medicinali e spese mediche che il servizio sanitario nazionale non copre
adeguatamente. in questo modo i costi medici sostenuti dalle
famiglie sono alleggeriti e le stesse famiglie sono stimolate a curare e
preservare la loro salute!
Museo del Mutuo soCCorso
la Fondazione ha ereditato da MBa la collezione del Museo del Mutuo
soccorso; il museo, nato con la volontà di raccogliere significative testimonianze sulla storia del movimento mutualistico dal 1886 ad oggi, si prefigge da un lato
di salvaguardare e rendere fruibile al pubblico i beni attualmente in dotazione e dall’altro di promuovere la conoscenza e
la ricerca sul tema della Mutualità.
la Fondazione Basis, costituita per iniziativa congiunta di Mutua MBa, health italia e Coopsalute, insieme di realtà impegnate nel sociale e operanti primariamente nel settore della sanità integrativa, si propone di svolgere le proprie attività nei settori dell’assistenza socio-sanitaria, nella promozione e nella gestione di servizi educativi, culturali, sportivi e ricreativi, nella istituzione di borse di studio ed iniziative volte a migliorare e gratificare l’esperienza didattica, avvalendosi di strutture ricettive e servizi di accoglienza per giovani e per studenti.
Fondazione Basis | Via di santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (rM) | www.fondazionebasis.org | [email protected]
supportarefavorire
promuovereUn servizio dedicato alle realtà che costituiscono espressione della Società Civile!
tra le varie attività, la Fondazione Basis si è dedicata a:
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Monitoraggio con Helixafe, il programma di prevenzione primaria di Bioscience Genomics
a cura dinicoletta mele
Un semplice prelievo del sangue stabilisce se è in arrivo un
tumore prima che si manifestino i sintomi.
Individuare un tumore solido in fase precocissima da
oggi è possibile grazie al brevetto helixafe di Bioscience
Genomics (http://www.bioinst.com), la piattaforma di
genomica presente a San Marino, all’Università Tor vergata
di Roma, al San Raffaele hospital di Milano e a Dubai, che
permette, attraverso un esame non invasivo, ovvero un
semplice prelievo di sangue di
soli 10 cc, di stilare un profilo
individuale di stabilità genetica
mediante la ripetizione annuale
della lettura delle mutazioni.
Con questo programma si
ottiene un tracciato che esprime il trend di stabilità dei
50 geni e delle relative 2800 mutazioni connesse ai tumori
solidi. Il programma, inoltre, può anche essere mirato a
geni e mutazioni correlati a specifici stili di vita e quindi a
relativi fattori di rischio.
L’origine del tumore è un’instabilità genetica. I tumori solidi
sono il risultato di un insieme di mutazioni genetiche, dette
anche somatiche, che sopraggiungono e si accumulano
nel corso della vita, nelle cellule dell’individuo.
le mutazioni sono quindi la conseguenza dei danni apportati
al dna da diversi fattori come fumo, inquinamento, alcool,
farmaci, obesità, invecchiamento, ecc. Tali danni, in
condizioni di normalità, vengono spontaneamente riparati
dall’organismo, ma può accadere che l’organismo non
riesca a riparare e quindi si assiste allo sviluppo di una
neoplasia.
La tendenza al progressivo accumulo di mutazioni, nel
tempo, è espressione della condizione di “instabilità
genetica” rispetto al gene a cui quella mutazione fa
riferimento. Tale instabilità può essere considerata come la
fase prodromica del cancro - tra la comparsa della prima
mutazione e l’evoluzione finale della malattia potrebbero
passare dai 10 fino ai 30 anni - perché, nonostante
l’individuo sia sano e privo di sintomi, sta sviluppando il
tumore.
Con il programma helixife è possibile tenere sotto controllo
la salute attraverso la valutazione dei parametri oggettivi e
non basandosi solo sullo studio della storia familiare.
La ripetizione annuale del test consente il rilevamento
del trend di stabilità della frequenza di mutazioni e/o la
variazione allelica di quelle già esistenti, individuando così
l’eventuale instabilità genetica che potrebbe portare
all’insorgenza del cancro nel corso degli anni.
L’individuazione precoce delle mutazioni che precedono
lo sviluppo del cancro, può migliorare significativamente
i tassi di sopravvivenza. I metodi diagnostici come la
mammografia, la colonscopia, o la dermoscopia,
individuano i tumori quando già si sono formate le masse
cancerose, identificare invece le mutazioni che causano
direttamente il cancro, permette quindi, non solo una
maggiore precocità nella diagnosi, ma anche la scelta
di terapie focalizzate nel capire
la componente genetica
della malattia, con maggiori
probabilità di successo e minori
invasività.
Per saperne di più abbiamo
intervistato il dott. Giuseppe Mucci, Amministratore
Delegato di Bioscience Institute, la prima azienda al mondo
che esegue nei suoi laboratori il programma di valutazione
di stabilità genetica.
Dott. Mucci, prevedere il cancro attraverso il monitoraggio
delle mutazioni genetiche è una rivoluzionaria scoperta
per la lotta alle neoplasie. Come si è arrivati a questo
straordinario risultato?
“L’Istituto di Bioscience è nato a San Marino nel 2006 e in
collaborazione con le principali Università svolge l’attività
di ricerca scientifica. Comprende la Medicina rigenerativa
e la piattaforma Genomica.
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di normalità viene riparato dall’organismo, ma quando
questo non avviene più si crea una mutazione, la somma
nel tempo di queste mutazioni è espressione di instabilità
genetica.
Oltre alle mutazioni somatiche ci sono le mutazioni
germinali, comunemente conosciute come ereditarie,
cioè già presenti al momento della nascita, trasferite da
uno od entrambi i genitori e tutte le cellule dell’organismo
presenteranno in questo caso lo stesso difetto. La presenza
di queste anomalie non porta necessariamente a
sviluppare un tumore nel corso della vita, ma rappresenta
una predisposizione genetica a sviluppare la malattia, che
aumenta il rischio in misura variabile da una mutazione
all’altra. Quando una mutazione è già presente alla
nascita basta un minor
numero di danni al DNA
per innescare il processo
di sviluppo del cancro. In
questo caso, a seconda della
predisposizione genetica del
soggetto, si può procedere
con un programma specifico
oltre a quello helixafe”.
helixafe ha una sensibilità di
risultato vicina al 100%?
“Si va dal 95% al 100% di
sensibilità perché la lettura delle mutazioni genetiche
avviene con l’isolamento del DNA libero circolante dal
sangue periferico per poi sequenziarlo con tecnologie e
protocolli sofisticati”.
Il programma helixafe interessa tutti i tumori solidi, ad
eccezione di quelli al cervello e va ad individuare la stabilità
dei 50 geni e delle circa 3000 mutazioni connesse ai tumori
solidi. Il vostro programma prevede anche degli esami
specifici correlati al tumore al polmone, alla mammella,
all’ovaio e al colon. Può spiegare cosa prevedono
helixmoker, helixgyn e helixcolon?
“Helixafe, come spiegato, fa una mappatura di tutti i 50
geni e quasi 3000 mutazioni correlate ai tumori solidi ed è
indicato a persone che non appartengono a categorie a
rischio. ha una sensibilità del 95%.
Helixmoker è indicato per fumatori e persone che vivono
in ambienti inquinati. Interessa geni e mutazioni legati al
tumore al polmone e ha una sensibilità del 100%.
Helixgyn analizza geni e mutazioni legati al tumore ovaio e
mammella ed è indicato a donne che fanno uso di cure a
base ormonale. ha una sensibilità del 99.9%.
Helixcolon, invece è per individui che hanno predisposizioni
Bioscience Genomics è uno spin off accademico
partecipato dall’Università degli Studi di Roma Tor vergata
e da Bioscience Institute Spa. I laboratori di Bioscience
Genomics, realizzati secondo gli standard di qualità più
rigorosi, sono situati presso il Dipartimento di Biologia
dell’Università Tor vergata. oggi siamo riusciti a creare un
programma di monitoraggio delle mutazioni avvalendoci
di tecnologie particolarmente avanzate. è possibile
leggere dalla prima mutazione in avanti e questo consente
di verificare, anno per anno, la frequenza e la quantità
delle mutazioni. se le mutazioni risultano essere sempre le
stesse significa che c’è una stabilità genetica e si può stare
tranquilli, in caso contrario invece si sta sviluppando un
cancro. Con questo sistema quindi possiamo monitorare
il nostro DNA ed intervenire
ancor prima della diagnosi
precoce. Nel programma
helixafe le mutazioni rilevate
nel corso del tempo vengono
analizzate mediante
l’algoritmo KRI (Key Risk
Indicator) di Bioscience
Genomics, che valuta la
tendenza di ciascuna (circa
3.000) rispetto agli standard
di stabilità. Per i pazienti
oncologici è possibile
individuare terapie mirate
senza gli effetti collaterali delle classiche terapie. Questo
sistema offrirà quindi al medico la potenzialità diagnostica
e terapeutica del paziente, dal follow-up al monitoraggio
dell’efficacia della terapia oncologica e alle scelte
terapeutiche successive. Provvederà, all’interno di trial
clinici, a impattare sulla sopravvivenza globale del paziente
riducendo le terapie inefficaci, e a migliorare o addirittura
eliminare effetti iatrogeni”.
Il programma di valutazione di stabilità genetica può essere
eseguito da soggetti sani ed è anche uno strumento di
screening ‘sentinella’ per le persone a rischio per familiarità,
comorbidità e stili di vita?
“Sì, helixafe è il programma di prevenzione primaria che
tutti i soggetti sani possono eseguire. Non è previsto un
limite di età, vero è che più si va avanti negli anni e più
il rischio di cancro può aumentare. Secondo le statistiche
oggi l’età media in cui il paziente può ricevere una diagnosi
di cancro è 66 anni, ma la malattia purtroppo può arrivare
in qualsiasi momento.
nel corso della vita ognuno di noi è soggetto a mutazioni
somatiche causate dagli ambienti esterni e gli stili di vita.
questo provoca un danno al DNA che in una condizione
In evIdenza
32
al tumore colon-retto ed ha una sensibilità del 99.9%.
Un esempio: helixmoker è il programma specifico per i
fumatori i quali generano quotidianamente dei danni al
DNA che l’organismo ripara. L’unica possibilità che si ha
per ridurre il rischio di morire di cancro ai polmoni è quello
di leggere ogni anno le mutazioni legate al tumore al
polmone. Fin quando queste mutazioni sono stabili vuol dire
che c’è una stabilità genetica e quindi la persona non ha
generato nessun tipo di danno al DNA e paradossalmente
il fumatore può continuare a fumare, ma nel momento in
cui dovesse venire alla luce che le mutazioni cominciano
ad aumentare di anno in anno, vuol dire che sta nascendo
l’instabilità genetica. A questo punto è necessario indagare
con una “lente” all’interno della singola mutazione per
intervenire in maniera precoce. Si procede con la ricerca
di tracce di DNA tumorale circolante attraverso la biopsia
liquida (test SCED).”
Perché fino ad oggi non è stato possibile sviluppare questo
programma di prevenzione? Gli studi rispettano i parametri
del rigore scientifico?
“Non è stato possibile perché le tecnologie ed i protocolli
in grado di fornire l’adeguata affidabilità del risultato sono
recentissime. Gli studi rispettano i parametri del rigore
scientifico nella tecnologia che abbiamo utilizzato”.
Intervenire nel programma di prevenzione in anticipo
rispetto alla diagnosi precoce ed accedere alle
terapie personalizzate su base biomolecolare aumenta
esponenzialmente le possibilità di guarigione e
sopravvivenza. Il punto di forza è proprio quello di giocare
in anticipo contro il male?
“Esatto, conoscere le mutazioni, oggetto della instabilità
genetica, non ha solo il vantaggio di intervenire nella fase
antecedente alla diagnosi precoce, ma serve anche a
fornire le informazioni genetiche indispensabili per trattare
il cancro partendo dalla mutazione da cui ha avuto origine
piuttosto che dal tessuto che ne è espressione”.
Il test deve essere ripetuto una volta l’anno proprio per
capire se nel tempo si sono verificate delle mutazioni. è
possibile già dal primo esame avere un quadro clinico del
paziente?
“Sì perché si potrebbero evidenziare, fin dal primo test, dei
valori alti di mutazione tali da far partire immediatamente
un programma di diagnosi precoce. Dopo il prelievo,
che il paziente può eseguire presso un laboratorio con
noi convenzionato che gli verrà indicato chiamando
al numero verde 800 690914, un medico genetista o un
oncogenetista presente nel nostro network, dopo circa 3-4
settimane, rilascerà un referto e darà indicazioni su come
proseguire il programma”.
L’eventuale instabilità genetica rilevata da helixafe, a
carico di un determinato gene, indurrà lo specialista quindi
5 MutazioniCELLULA MAL IGNA
CromosomiCELLULA NORMALE
1 Mutazione 2 Mutazioni 4 Mutazioni3 Mutazioni
SOLID CANCER EARLY DETECTION®
3DSOLID CANCER EARLY DETECTION
®
Geni selezionati 50
Mutazioni selezionate 2800
>99,9% 95%*
>99,9% 98%*
>0,50% >1%
SI SI
SI
-
-
SI
50
ALK,BRAF,EGFR, ERBB2,
KRAS, MAP2K1, MET,
NRAS, PIK3CA,
ROS1, TP53
AKT1, EGFR, ERBB2,
ERBB3, ESR1,
FBXW7, KRAS,
PIK3CA, SF3B1, TP53
AKT1, BRAF, CTNNB1, EGFR,
ERBB2, FBXW7, GNAS, KRAS,
MAP2K1, NRAS, PIK3CA,
SMAD4, TP53, and APC
2800 169 Hotspot 245 Hotspot157 Hotspot
95%* 100% >99,9%>99,9%
98%* 98% >99,9%>99,9%
>1% >0,50% >0,50%>0,50%
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
- - --
SI SI SISI SI SI
PE
RFO
RM
AN
CE
Geni
Mutazioni
Sensibilità
Specificità
FrequenzeAlleliche %
CTCs
ctDNA
DNAGerminale
NGS
MonitoraggioDiagnosi precoceValutazione del rischio
MODELLO DI PREVENZIONE PRIMARIA
NEGATIVO
INSTABILE
POSITIVO
NEGATIVO NEGATIVO
STABILESTABILE
STABILESTABILE
STABILE STABILE
monitoraggio della terapia
diagnosi precoce
valutazione del rischio
33
alla mutazione e questo è un fattore importante perché
i tumori provocano cambiamenti genetici, nel corso e in
conseguenza della terapia, che causano la diffusione del
cancro e che non necessariamente avvengono in tutti i
pazienti che presentano lo stesso tipo di cancro”.
quanto costa sottoporsi al programma helixafe?
“Il costo è di circa 700 euro che confrontato al costo di
una mammografia o di una colonscopia, esami che
evidenziano un tumore quando è già formato, risulta
particolarmente sostenibile in considerazione dello svariato
numero di tumori che indaga e della precocità con cui li
evidenzia”.
Il monitoraggio nel tempo della nostra salute passa
attraverso un programma di prevenzione primaria.
L’individuazione precoce delle mutazioni che precedono
lo sviluppo del cancro, può migliorare significativamente
i tassi di sopravvivenza perché non solo si ha una diagnosi
precocissima, ma nel caso in cui si è in presenza di una
neoplasia si può capire la componente genetica della
malattia ed intervenire con terapie mirate. Fare prevenzione
è importante soprattutto nella fase prodromica del cancro
perché consente di affrontare e sconfiggere il “nemico”
sul nascere. Il programma helixafe è quindi uno strumento
rivoluzionario che la ricerca e la tecnologia avanzata oggi
hanno messo in campo proprio per la lotta alle neoplasie
nella fase che precede la manifestazione clinica della
malattia. L’assenza di sintomi non vuol dire che non si stia
sviluppando il tumore, per questo motivo occorre agire in
anticipo.
Una delle frasi celebri della scrittrice e intellettuale
statunitense Susan Sontag è “Il cancro: la malattia che
non bussa prima di entrare”, ecco, non permettiamogli di
entrare, apriamo la porta alla prevenzione ancor prima
che il cancro possa solo pensare di essere un ospite…
indesiderato.
a rilasciare il referto e consigliare un programma di diagnosi
precoce che ha come obiettivo la ricerca di tracce di
DNA tumorale circolante con il test SCED - o biopsia liquida
- che svolge un’accuratissima analisi dei geni e delle
mutazioni che determinano l’instabilità rilevata.
“sced è un percorso di diagnosi precoce - ha spiegato
mucci - usato quando Helixafe, che analizza il dna libero
circolante, ha rilevato un’instabilità genetica e si ricerca
un approfondimento mirato. SCED coinvolge diverse figure
specialistiche, quali genetisti, patologi biomolecolari o
oncologi, in funzione delle informazioni contenute nel
referto. Faccio un esempio: quando si fa la prevenzione
per il melanoma, il dermatologo esegue una mappatura
di tutti i nevi e poi avvia un monitoraggio periodico di
quelli sospetti, che dura tutta la vita. Col monitoraggio il
dermatologo verifica se nel tempo il nevo abbia subito
variazioni morfologiche che possano indurre a una
diagnosi di melanoma. con Helixafe la mappatura viene
fatta ai geni, protagonisti dei tumori solidi, che vengono
sottoposti al monitoraggio delle frequenze di mutazione al
fine di verificare che le stesse non esprimano, nel tempo,
la tendenza ad aumentare. Il percorso helixafe, quindi,
non conduce ad un referto positivo o negativo, bensì
alla valutazione della individuale stabilità genetica del
soggetto, sulla quale viene impostato il programma di
monitoraggio.
Abbiamo anche realizzato l’esame SCED 3D che
rappresenta l’approccio ideale proprio per il monitoraggio
alla cura perché incrocia i dati ottenuti dall’analisi delle
cellule tumorali Circolanti (CTC), del DNA tumorale
circolante e del DNA germinale”.
SCED è uno strumento di screening precoce “sentinella”
che non si sostituisce alla biopsia tradizionale, ma ha dei
vantaggi. Quali?
“A differenza della biopsia dei tessuti malati, la biopsia
liquida, tramite helixafe e SCED, è un esame non invasivo,
un prelievo di sangue e può essere ripetuto un illimitato
numero di volte.”
Medicina di precisione: il programma di monitoraggio
viene utilizzato anche per scopi terapeutici e permettere
così al paziente a cui è stato diagnosticato il cancro di
seguire una terapia mirata?
“Sì, la medicina di precisione cambia l’approccio
tradizionale perché permette al medico di selezionare i
trattamenti che hanno maggiore efficacia, basandosi sulla
conoscenza genetica della patologia. I pazienti affetti da
tumore ricevono la terapia in base alla mutazione che
l’ha generato, a prescindere dal tessuto coinvolto e non
viene quindi somministrata la stessa terapia di chi ha lo
stesso tipo di tumore allo stesso stadio. La cura è mirata
34
Siamo una delle più grandi realtà nel panorama della Sanità Integrativa e lo dobbiamo al lavoro, alla passione e alla professionalità che mettiamo in ogni sfida che dobbiamo affrontare.Siamo impegnati nella ricerca costante di nuovi traguardi da raggiungere, forti di un credo che vede la Salute e il Benessere della persona al centro di ogni nostra attività, diritti fondamentali da tutelare e promuovere.In questi anni abbiamo formato professionisti della Salute, sposando i principi di una Società moderna e collaborativa in cui tutti possano contribuire alla costruzione di un sistema socio-assistenziale solido, orientato sulla Cura Totale della persona.Insieme abbiamo creato una rete efficiente e ben organizzata sul territorio credendo nei nostri progetti, ma soprattutto nelle persone che ci hanno dimostrato, nel tempo, dedizione e disponibilità a formarsi. Persone che, ogni giorno, ci consentono di scrutare l’orizzonte con serenità e voglia di fare e alle quali vorremmo dire il nostro grazie.
ITALIA
“La salute è la più grande forza di un popolo civile”
35
a cura diantonina marotta
Il diritto alla salute costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun essere umano, qualunque sia la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale; è un diritto che riconosce la dignità della persona, che deve essere salvaguardato anche attraverso l’azione dei pubblici poteri. La salute è un bene prezioso per la persona e la collettività, da promuovere, conservare e tutelare, dedicando mezzi, risorse ed energie necessarie al fine di mettere tutti nelle condizioni di poterne fruire in eguale misura e tutelare i soggetti deboli e marginali.Ma quanto l’obiettivo del diritto alla salute per tutti sia sfocato e lontano, in primo luogo per motivi sociali, economici e politici, è sotto gli occhi di tutti. Molte popolazioni del mondo non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali, in modo particolare per quanto riguarda la salute.Nonostante negli ultimi decenni siano stati compiuti importanti progressi in materia di tutela dei diritti, anche per quanto riguarda i minori, di fatto in molti Paesi del mondo i diritti già acquisiti sulla carta non vengono rispettati, vengono ignorati gli accordi sottoscritti e milioni di bambini vengono privati sia dei loro diritti specifici, sia di quelli che appartengono a ogni essere umano.una bambina venuta alla luce oggi può sperare di vivere più di 80 anni se nata in alcune parti del mondo, ma meno di 45 anni se nata in altre. All’interno dei diversi Paesi ci sono drammatiche differenze nella salute che sono strettamente legate al grado di svantaggio sociale. Il diritto di accesso alla sanità è ancora negato a gran parte delle popolazioni nelle “periferie del mondo”.
La salute e il benessere dei bambini, sanciti dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989 (artt. n. 6, 24 e 27), fanno riferimento a molteplici aspetti, fisici, psicologici, sociali, economici e ciò che determina principalmente la differenza nell’assicurare tale diritti sono la povertà, l’isolamento sociale e le discriminazioni persistenti non solo nei paesi poveri (Africa sub-sahariana e Asia meridionale), dove spesso intervengono anche conflitti, crisi, carestie, scarsità d’acqua e politiche che ignorano sistematicamente i bambini e le loro famiglie, ma anche nell’area dei paesi dell’Unione Europea e dell’oCSE, cosiddetti “paesi ricchi”. si conta che un miliardo di persone non ricevono le cure sanitarie di cui avrebbero bisogno né hanno accesso alle medicine di base, e milioni di bambini continuano a vivere – e a morire – in condizioni inaccettabili. Nel 2015, in base alle stime, 5,9 milioni di bambini sono morti prima di compiere i cinque anni, soprattutto per malattie prevenibili e curabili in modo rapido e non troppo costoso. un bambino può vivere appieno i propri diritti se la
sua famiglia accede a sistemi di sicurezza sociale che garantiscano l’ambiente famigliare. Situazioni di svantaggio economico, negazione delle opportunità e difficoltà sociali vissute nei primi anni di vita incidono sul benessere e sulla salute di ogni persona. Curare gli aspetti della salute, dello sviluppo fisico, sociale, emotivo e cognitivo nei primi anni di vita influenza lo stato di salute, la partecipazione e il contributo culturale ed economico alla società nell’età adulta. Un investimento in questo senso è possibile se la famiglia è inserita in un contesto politico che la sostiene.
A livello globale i Paesi che investono sull’infanzia e sulle famiglie godono del migliore stato di benessere e hanno i livelli più bassi di diseguaglianza nel campo della salute.Il diritto alla salute dei bambini nell’ambito dell’ospedalizzazione non è stato tradotto giuridicamente dalla Convenzione Internazionale sui Diritti per l’Infanzia; la prima Carta Europea dei bambini in ospedale fu redatta da 12 associazioni europee nel 1988 a Leida, la carta di Each. In
Italia bisogna arrivare al 2013, quando un gruppo di lavoro multidisciplinare, al quale hanno aderito un insieme di istituzioni, enti e associazioni che operano nel campo dei diritti dei minori e della sanità pediatrica, ha presentato al ministero della Salute un documento, il “Codice del Diritto del Minore alla Salute e ai Servizi Sanitari”, che rappresenta un notevole passo avanti verso la garanzia dei diritti dei minorenni in campo pediatrico
sanitario. Il Codice, composto da 22 articoli, ha lo scopo di assicurare l’assistenza sanitaria e la cura dei minori nel pieno rispetto delle loro esigenze globali, individuandone le problematiche e sostenendoli nella gestione della malattia.Il Codice è un passo avanti significativo, perché definisce i diritti irrinunciabili di salute per tutti i piccoli degenti e mette insieme per la prima volta in un documento condiviso la duplice esigenza di disporre di un’assistenza tecnologicamente avanzata in tutti i presidi dedicati all’infanzia, ospedali e territorio, al pari di una concreta umanizzazione e dell’ascolto necessario al paziente e ai familiari. Ma l’obiettivo più ambizioso del codice è la diffusione della cultura del diritto del minore alla salute nella società, partendo dal presupposto che il “superiore interesse del minore” debba essere il criterio determinante in ogni questione che lo riguardi e debba quindi essere applicato non solo in ambito sanitario, ma anche sociale, amministrativo, politico, economico, legale, ambientale, all’istruzione, ai media.
La salute è il bene più prezioso di cui l’umanità possa disporre e lo è ancora di più se riferito ai bambini che sono proprio il futuro dell’umanità; ecco perché è fondamentale tutelare, diffondere, preservare questo diritto fondamentale.
I diritti dei minori: quale diritto alla salute per i bambini?
36
I 7 consigli meno conosciuti per alleviare il dolore al collo
a cura dichristian tonanzi
Per molte persone che soffrono di dolore alla cervicale
rivolgersi ad uno specialista o assumere farmaci non sempre
è sufficiente per risolvere il problema.
Sono fattori legati al nostro stile di vita e alle nostre abitudini
quotidiane che contribuiscono a mantenere vivo il dolore e
impediscono la piena guarigione!
In questo articolo spiego alcune piccole accortezze
da adottare sin da subito per ridurre, se non eliminare
completamente, i fattori che hanno contribuito all’insorgere
del problema.
1. Mantenersi idratato
I dischi intervertebrali hanno bisogno di acqua per
mantenere integra la propria altezza e ridurre la pressione
sulla colonna vertebrale. Ogni disco è composto infatti
alla nascita per l’80% di acqua per poi progressivamente
disidratarsi man mano che cresciamo e cominciamo ad
invecchiare.
Bere molta acqua aiuta a prevenire una eccessiva
disidratazione dei dischi intervertebrali e ridurre dunque il
dolore al collo.
2. Fare attenzione a come si utilizza il telefono
Il telefono cellulare contribuisce in maniera significativa
ad aumentare i disturbi alla cervicale: parlare al telefono
tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio, o tenere la
testa piegata in avanti per scrivere e leggere messaggi
contribuisce ad applicare ulteriore stress sulla colonna
cervicale e far aumentare il dolore.
Per evitare il dolore si possono adottare queste piccole
accortezze:
- Usare l’auricolare per effettuare chiamate
- Quando si scrivono messaggi o si naviga su internet tenere
il telefono in alto davanti agli occhi per diminuire l’angolo
che il collo deve fare
- Fare piccole e frequenti pause per rilassare i muscoli del collo
3. Andare in piscina
Gli effetti terapeutici della piscina sulla cervicale sono
numerosi specialmente quando si tratta di ridurre
l’infiammazione e rilassare le tensioni muscolari.
Ecco alcuni consigli utili:
Direzione operativa eD
organizzazione Back office
consulenza mirata per costituzione
o restyling societario
assistenza soci DeDicata aD hoc
con numero verDe e personale DeDicato
health service proviDer con 1560
strutture sanitarie sul territorio
marketing e strategie Di
comunicazione ai soci
organizzazione Di convegni
nazionali Di settore
formazione personale interno
eD incaricati al contatto
con i soci
social meDia strategist per una
comunicazione al passo con i tempi
consulenza per compliance e policy interna
consulenza giuriDica e fiscale
operation per la gestione Dei
regolamentiapplicativi
assistenza, realizzazione piattaforme,
siti weB eD aree intranet
Dati, stuDi e ricerche sul monDo
Della sanità integrativa
ansi, associazione nazionale sanità integrativa, nasce dalla volontà di alcuni primari fondi sanitari di creare non solo un’associazione di categoria “indipendente”, ma anche un interlocutore qualificato che si renda portavoce attivo tra istituzioni, sistema sanitario nazionale e fondi sanitari integrativi.
ansi vuole diventare il soggetto capace di tutelare, aggregare e sostenere le diverse forme mutualistiche operanti in italia, che garantiscono la salute di circa ¼ della popolazione italiana.
“Auspichiamo il benessere e la salute per tutti i cittadini, come diritto fondamentale dell’uomo
e patrimonio sociale della collettività”
www.sanitaintegrativa.org [email protected]
- Camminare in vasca rimanendo con il corpo immerso fino
al mento
- Sempre con l’acqua fino al mento muovere la testa in alto
e in basso, a destra e sinistra
- Adottare uno stile di nuoto che non comporti molti
movimenti con il collo e la testa. Nuotare a dorso potrebbe
essere una soluzione o in alternativa, si può parlarne con
l’istruttore di nuoto che di certo saprà consigliare nel migliore
dei modi in base alla situazione.
Se ci si trova nella fase acuta e a causa del dolore troppo
intenso il nuoto risulta difficoltoso, una buona alternativa
potrebbero essere le terme!
4. Consultare un osteopata
Quando si ha dolore alla cervicale è tipico pensare
all’osteopata come quello ti “scrocchia” il collo e il dolore
sparisce all’istante! Se in parte questo è vero, un bravo
osteopata in questi casi è in grado di fare anche molto altro:
- Identificare la causa del dolore
- Dare consigli su come evitare di farsi male nuovamente
- Insegnare esercizi specifici per rinforzare i muscoli del collo
e migliorare la postura
5. Considerare l’agopuntura
Quando si soffre di tensioni muscolari, soprattutto nella zona
delle spalle e del collo, l’agopuntura può risultare molto
efficace: l’inserimento di piccoli aghi all’interno dei muscoli
in tensione rilassa immediatamente le contratture dando un
beneficio quasi immediato.
Attenzione!!! qualora si decidesse per questo tipo di
trattamento è molto importante affidarsi ad un professionista
altamente formato, in quanto l’efficacia di questa
metodologia dipende molto dalla bravura di chi la pratica.
6. Scegliere la sedia giusta
Mantenere una buona postura quando si è seduti è una
delle migliori strategie per tenere sotto controllo la cervicale.
Una sedia ergonomica con poggiatesta può aiutare
a mantenere la testa in posizione neutra ed evitare di
affaticare i muscoli del collo e delle spalle. Fare attenzione
anche alla postura che si adotta in macchina, regolando il
poggiatesta del sedile in modo tale da avere il collo nella
giusta posizione.
7. Aumentare l’assunzione di Magnesio
Per tutte le problematiche legate al dolore al collo può
aiutare anche una corretta assunzione di di magnesio,
che regola la contrazione dei muscoli, e può risultare molto
efficace nel ridurre tensioni e dolori ai muscoli del collo.
Il magnesio si trova nelle verdure a foglia verde, nei legumi
come fagioli e piselli, nei germogli di soia, nei cereali e nelle
farine integrali.
Coopsaluteil primo network italiano in forma cooperativa
al servizio della salute e del benessere
Punto di incontro tra la Domanda e l’Offerta di prestazioni nei settori dell’Assistenza Sanitaria Integrativa, dei servizi Socio Assistenziali e Socio Sanitari, grazie a Familydea
si rivolge anche al comparto del Welfare e dei servizi ai privati!
Coopsalute - società Cooperativa per azioni Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) - Italia | www.coopsalute.org | Facebook: Coopsalute
per i servizi sanitari e socio assistenziali, anche domiciliari:
800.511.311
per le strutture del Network o a coloro che intendano candidarsi al convenzionamento:
Ufficio Convenzioni: 06.9019801 (Tasto 2)e-mail: [email protected] www.familydea.it
39
a cura dialessia elem
L’incontinenza fecale nei bambini è un argomento poco
trattato, ma che merita attenzione per capire come
assicurare ai piccoli una buona salute intestinale e un
rapporto sereno con il loro corpo.
I bambini molto piccoli non sono in grado di controllare gli
sfinteri, ma grazie ad un graduale insegnamento, tra i 18
mesi e i 3 anni, riescono ad essere autonomi ed eliminare
il pannolino. Qualche volta però accade che non si
raggiunge una completa autonomia e si manifestano così
episodi di incontinenza fecale. A cosa è dovuto questo
problema e quali sono i rimedi?
Lo abbiamo chiesto al Dott. Alessio Pini Prato, Direttore
della Struttura Complessa di Chirurgia Pediatrica
dell’Azienda ospedaliera
Santi Antonio e Biagio e
Cesare Arrigo di Alessandria,
struttura di eccellenza dove
si sta lavorando per un vero
e proprio protocollo integrato
multidisciplinare.
Quali sono le cause
dell’incontinenza fecale e
come diagnosticarla?
“Per incontinenza fecale
si intende incapacità
di controllo sfinterico in un/a bambino/a che, per
definizione, abbia compiuto i 4 anni di vita. Tale disturbo
può essere definito primario (se il/la piccolo/a non ha mai
acquisito la continenza) o secondario (se questi invece
ha acquisito la continenza e poi qualche evento è
intervento, interferendo con una situazione di equilibrio).
Per incontinenza si intende solitamente una situazione di
totale assenza del controllo sfinterico. Più di frequente ci
troviamo di fronte alla cosiddetta encopresi, che indica
la tendenza del soggetto a perdere piccole quantità
di feci, che comunque rendono il disturbo socialmente
‘sgradevole’. Le cause sono molteplici e si distinguono
sostanzialmente in organiche e funzionali. Fra le prime
includiamo malformazioni e/o disturbi a carico del sistema
nervoso centrale e/o periferico, malformazioni anorettali,
traumi, esiti chirurgici ed altre affezioni meno frequenti a
carico del retto e delle strutture perirettali. Fra le seconde
invece includiamo la cosiddetta encopresi ritentiva
e l’encopresi idiopatica, entrambe sostanzialmente
espressione della perdita di coordinazione del complesso
meccanismo della continenza, effetto di eccessivo
ristagno fecale (encopresi o incontinenza da ‘troppo
pieno’) o di erronee dinamiche comportamentali ed
abitudini intestinali. L’applicazione di un algoritmo
diagnostico che comprende adeguate anamnesi
familiari e personali (interviste indaganti la presenza di
anomalie congenite o malformazioni nei familiari di primo
e secondo grado e nel soggetto in questione) ed un
approfondito esame obiettivo generale (addome, genitali
esterni, colonna vertebrale dorsale e lombosacrale, riflessi,
anatomia perineale e posizione e conformazione di ano e
complesso sfinterico) consente solitamente di identificare
i segnali di allarme che rappresentano indicazione ad
eseguire approfondimenti
diagnostici di I e II livello. Nella
mia esperienza, su oltre 1800
pazienti pediatrici con disturbi
della continenza fecale
(dalla stipsi all’incontinenza),
l’applicazione di tale ferreo
algoritmo ci ha permesso di
non perdere mai diagnosi
organiche e di intercettare
sempre (almeno fino ad oggi)
le cause non funzionali del
disturbo”.
Anche difetti congeniti possono essere una delle cause?
“Anomalie malformative congenite del midollo spinale
(spina bifida e regressione caudale), malformazioni
anorettali e stenosi anali possono essere causa di
incontinenza su base organica. Anche malattie
metaboliche quali ipotiroidismo e celiachia, in grado di
determinare stipsi organica, possono secondariamente
condurre ad encopresi o incontinenza da ‘troppo pieno’.
Queste ultime passando però necessariamente da una
fase di stipsi ostinata cronica”.
In che modo avviene la riabilitazione del pavimento
pelvico nel bambino con dissinergia dell’evacuazione?
“Qualora l’incontinenza o l’encopresi siano attribuibili
unicamente a dissinergie dell’evacuazione (perdita
delle normali coordinazioni e dinamiche, non
riconoscimento della sensazione di impellenza
Incontinenza fecale in età pediatrica. L’intervista al
prof. Alessio Pini Prato
39
40
all’evacuazione, stipsi cronica scompensata), vi è la
possibilità di agire applicando alcune banali misure
riabilitative, che prevedono corretti regimi dietetici e
misure comportamentali con evacuazioni ‘a comando’
dopo i pasti. Tale riabilitazione di base può essere
successivamente implementata applicando gli stessi
concetti utilizzati per la riabilitazione dell’incontinenza
secondaria a problematiche chirurgiche”.
E invece con problematiche di continenza post-
chirurgiche?
“L’incontinenza e l’encopresi post-chirurgica
rappresentano una delle problematiche più complesse
e coinvolgono un elevato numero di soggetti in età
pediatrica e non.
Nell’ambito dei centri di chirurgia colorettale dell’adulto
esistono già da molti anni ambulatori o servizi di
riabilitazione del pavimento pelvico, specificamente
rivolti alla riabilitazione della continenza fecale.
Analogamente non si può dire per l’ambito pediatrico,
che fino ad oggi si è limitato all’applicazione di misure
riabilitative di “base”, consistenti nelle misure dietetiche
e comportamentali descritte prima e nell’applicazione
del biofeedback elettromanometrico. Quest’ultima
procedura riabilitativa consiste nell’allenamento del
complesso sfinterico previo utilizzo di misure di feedback
visivo, che consentono al paziente di riconoscere e
dirigere la contrazione sfinterica. Uno dei limiti di questa
tecnologia riabilitativa consiste nella bassa persistenza
dei risultati che riesce a fornire. In poche parole, entro
6 mesi dalla sospensione del biofeedback, si osserva
spesso una regressione dei sintomi a quelli presenti
prima dell’inizio del trattamento. Tale regressione
può avere esiti “nefasti” sul piccolo paziente che può
percepire un’evidente frustrazione nel vedere vanificato
il considerevole sforzo e le aspettative ad esso connesse.
L’applicazione di misure riabilitative più complesse ed
integrate è essenziale per il trattamento dei pazienti
affetti da incontinenza o encopresi post-chirurgica,
proprio in considerazione della non reversibilità delle
lesioni o alterazioni alla base del disturbo”.
41
Stando ai dati, il 5% delle visite ambulatoriali pediatriche
affrontano il problema stipsi ed un 10% dei bambini con
stipsi hanno dissinergie. Circa 300-400 bambini ricevono
ogni anno chirurgia a rischio di ledere il meccanismo
sfinterico in età pediatrica.
La somma di questi due gruppi di pazienti ammonta a
circa 1000-1500 pazienti con dissinergia del pavimento
pelvico da trattare e non trattati o trattati in modo
inadeguato o insufficiente in Italia.
Dott. Pini Prato, cosa ne pensa?
“Condivido le considerazioni epidemiologiche ed aspiro
alla diffusione dei centri riabilitativi pediatrici su tutto il
territorio nazionale.
La durata media di un ciclo completo di riabilitazione
si aggira infatti attorno ai 7-15 gg, a seconda di età e
collaborazione del paziente, e rappresenta un grosso
limite alla partecipazione
delle famiglie provenienti da
zone lontane da quelle in cui
tali protocolli sono in uso. la
diffusione di efficaci centri di
riabilitazione consentirebbe
a tutte le famiglie un accesso
a tale imprescindibile misura
terapeutica.
Ad oggi, le famiglie che
vogliono partecipare
alla riabilitazione devono
infatti investire dei piccoli
patrimoni per vitto, alloggio
e spostamento da e per i
centri di riferimento”.
Presso il centro di Alessandria state sviluppando un
protocollo integrato multidisciplinare, può spiegare in
cosa consiste?
“La riabilitazione del complesso sfinterico è parte
integrante del progetto riabilitativo che sta prendendo
corpo presso l’ospedale Infantile di Alessandria, nel
contesto della Azienda ospedaliera di Rilevanza
Nazionale Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo.
Tale progetto riabilitativo, sempre preceduto da una
valutazione psicologica di eleggibilità del singolo
paziente (aspettative, compliance, strutturazione
mentale adeguata, etc), ha l’obiettivo di migliorare
la comprensione e l’acquisizione della piena
consapevolezza del proprio corpo (spiegazione delle basi
anatomiche e funzionali con utilizzo di materiale didattico,
disegni, brochure), di ottimizzare la coordinazione fra
respirazione, ponzamento e contrazione del complesso
sfinterico, ed infine di potenziare la forza e l’efficacia
contrattile del pavimento pelvico.
Il progetto che stiamo implementando presso l’Ospedale
Infantile di Alessandria altro non è che un’evoluzione
di quanto introdotto circa 2 anni fa presso l’Istituto
Giannina Gaslini e che ha riscosso grande successo, pur
con i limiti di regressione descritti in precedenza. L’analisi
di eleggibilità di ogni singolo paziente e la ripetizione di
brevi cicli di ‘retraining’ hanno lo scopo di ottimizzare il
risultato funzionale sia in termini di entità che di durata e
persistenza dei risultati”.
Che fare per assicurare al bambino una buona salute
intestinale e un rapporto sereno con il suo corpo? Quali
sono i suoi consigli?
“L’argomento ‘cacca’ dovrebbe essere vissuto in famiglia
come un evento normale, fisiologico, né bello né brutto
ma necessario e funzionale al benessere psicofisico
dell’individuo. Il caricare
di accezioni negative la
‘cacca’ (‘... questa cosa
è cacca...’ o messaggi
simili utilizzati solitamente
per disincentivare i nostri
figli) può avere effetti
negativi e servire da
trigger per l’insorgenza di
disturbi della continenza
(stipsi o incontinenza/
encopresi), che vedono
spesso in un evento
esterno turbativo la loro
genesi. Un’infiammazione
anale, una ragade, i vermi o altri eventi che generino
dolore durante l’evacuazione possono infatti trovare
terreno fertile in determinate condizioni e generare
un condizionamento negativo, con conseguente
atteggiamento ritenzionista, in un circolo vizioso auto-
amplificante in grado di portare a gradi severi di stipsi,
fino allo scompenso con encopresi paradossa o da
‘troppo pieno’. Anche eventi psicologicamente turbanti
come la nascita di un fratellino/sorellina o le separazioni
dei genitori possono svolgere un analogo effetto che
scatena il ritenzionismo e getta le basi per tali disturbi.
Dal momento che non è possibile eliminare determinati
eventi, parafisiologici e normali nel corso della vita
di tutti i bambini, l’importante è rimanere ben vigili,
monitorare il comportamento intestinale dei nostri figli e
ricorrere al parere dello specialista in caso di anomalie
comportamentali quali quelle descritte sopra.
La diagnosi precoce ed un trattamento adeguato
possono spesso risolvere in breve tempo problematiche
che altrimenti tendono a strutturarsi fino a richiedere
misure terapeutiche molto più prolungate e stressanti”.
L’allestimento museale è stato progettato per offrire al visitatore un quadro completo ed esaustivo sulla storia delle società di mutuo soccorso. Il percorso si apre con dei pannelli informativi che raccontano, in una sequenza cronologica, il fenomeno del mutualismo e continua con delle grandi teche espositive in cui è racchiusa una notevole varietà di materiale documentario, nonché un ragguardevole insieme di medaglie, spille, distintivi ed alcuni cimeli di notevole rarità, riconducibilli ad oltre duecentro tra enti e società di mutuo soccorso, con sedi in Italia e all’estero.
All’interno del museo è presente uno spazio multifunzionale nel
quale coesistono un archivio storico, una biblioteca e un centro
studi. Inoltre, è stato riservato uno spazio per ospitare ogni forma
d’arte: mostre, concerti di musica e rappresentazioni teatrali.
Previa prenotazione, ogni artista potrà esporre o esibirsi
gratuitamente all’interno dello spazio dedicato.
Il Museo del Mutuo Soccorso, nato dalla volontà di valorizzare la storia delle società di mutuo soccorso, si prefigge di salvaguardare e rendere fruibile al pubblico i beni attualmente in dotazione e di promuovere la conoscenza e la ricerca sul tema della mutualità. visitando il museo si ha la possibilità di conoscere da vicino le società di mutuo soccorso, le loro tradizioni e l’importanza sociale che hanno ricoperto nelle varie vicende storiche del nostro Paese.
La struttura accoglie i visitatori anche con visite guidate e per le scuole sono pensati percorsi e laboratori didattici tematici. Sono, inoltre, previste aperture straordinarie nelle quali sarà possibile visitare le mostre in corso, assistere agli spettacoli e partecipare ad eventi e attività didattiche
Apertura:Dal lunedì al venerdì previa prenotazione
11.00 - 13.00 | 15.00 - 18.00 Ultimo ingresso 17.30 (ingresso libero)
Info e prenotazioni:+39 337 1590905
Indirizzo:Palasalute
via di Santa Cornelia, 900060 - Formello (RM)
43
a cura dialessandro notarnicola
Lo scorso anno aveva fatto discutere il caso di Lisa Goodman-
helfand e di Chanel White che avevano deciso di postare
assieme le loro foto su Facebook per parlare della malattia
che aveva colpito entrambe, la sclerodermia, ma il social
più famoso al mondo non aveva accettato le foto delle due
donne spiegando che le immagini comparative tra il prima
e il dopo non sono ben accette in casa zuckerberg. Le due
donne avevano cercato di spiegare all’amministrazione di
Facebook che si trattava di due persone diverse, e non della
stessa, e che il fine di quelle foto era puramente informativo,
ma dal social la risposta è stata sempre la stessa: bannare
i post. oltre questo caso balzato all’onore delle cronache,
sono stati pochi altri i tentativi da parte di terzi di parlare di una
patologia come la sclerodermia poco nota ai più (persino a
Facebook che tutto sa) e abbastanza anomala (visti i sintomi
con cui si presenta e la diversità che questi assumono di
persona in persona).
La Sclerosi Sistemica (SSc) è una malattia
cronica del tessuto connettivo, ad
eziologia multifattoriale e patogenesi
autoimmunitaria, caratterizzata da
alterazioni del sistema immunitario,
disfunzione endoteliale e progressivo
accumulo di tessuto fibroso a carico
della cute e degli organi interni.
l’incidenza di questa patologia è stimata tra i 4 e i 20 nuovi casi per 1.000.000 per anno e per la prevalenza tra i 30 e 450 casi per 1.000.000; sono quindi circa 25.000 le persone
colpite in Italia, con 1000 nuovi casi annui soprattutto tra
le donne. Sabato 18 marzo, celebrando la xIII Giornata
nazionale dedicata a questa particolare patologia, il Gruppo
Italiano per la Lotta alla Sclerodermia (GILS) ha tenuto presso
l’Università Statale di Milano un convegno dedicato alla
diagnosi precoce e ai progressi nella ricerca. “Prima si scopre
la malattia, prima si può intervenire e bloccarne l’avanzare”,
ha detto Carla Garbagnati Crosti, presidente GILS parlando
della capillaroscopia, un esame che denuncia anomalie
nei capillari, e consigliando un esame del sangue più
approfondito tramite il quale è possibile capire se si è affetti
da sclerodermia.
La sclerodermia, inoltre, è una patologia infiammatoria
di natura autoimmune, che può interessare la pelle e gli
organi interni (è questo il caso di Chanel White il cui aspetto
esteriore non è stato per niente intaccato o modificato dalla
malattia). I tessuti colpiti subiscono dei cambiamenti a causa
del processo di sclerotizzazione, che provoca un progressivo
indurimento e una completa perdita del movimento e delle
proprie funzioni. Il primo segno della malattia il più delle volte
è dato dal fenomeno Raynaud, che si manifesta con pallore
alle dita di mani e piedi se esposte al freddo e determinato
da uno spasmo dei vasi con riduzione temporanea del
rifornimento di sangue. Questo disturbo rappresenta un
campanello di allarme che dovrebbe condurre a un
approfondimento diagnostico con la capillaroscopia. la sclerodermia, colpendo il viso e le mani, non solo cambia completamente il tenore di vita della persona che ne resta affetta ma muta in maniera decisiva la fisionomia e mette in crisi l’identità stessa delle persone con evidenti ripercussioni sulla vita di relazione. Ecco la ragione per cui
il GILS ha presentato a quattro strutture sanitarie di Milano
(specializzate nello studio e nella cura della Sclerosi Sistemica)
il nuovo progetto ScleroNet. Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico, Ospedale Metropolitano
Niguarda, Ospedale di Legnano e IRCCS Istituto Clinico
Humanitas hanno condiviso l’impegno dell’Associazione
accettandone l’invito e dando vita a
una rete integrata di unità operative e
ambulatori, riconosciuti come centri di
alta specializzazione e di eccellenza nel
percorso diagnostico terapeutico per i
pazienti affetti da sclerosi sistemica.
“La ricerca scientifica – ha precisato
Carla Crosti – è una delle priorità del GILS
e su di essa abbiamo puntato in questi
anni, impegnando dal 2008 ad oggi
in Bandi di ricerca e studi 1.444.285,00 euro coinvolgendo
giovani ricercatori italiani. Ai nostri giovani medici chiediamo
una sintesi di cosa sia emerso dalle ultime ricerche. Dal
coinvolgimento intestinale alle alterazioni della regolazione
del sistema immunitario, fino ad un progetto che parla di vita:
“gravi danza, la ricerca che accarezza”.
La risposta delle Istituzioni e della Sanità milanese è stata
- come già anticipato - più che favorevole: “Dobbiamo
lavorare insieme per dare risposte concrete innanzitutto alle
persone colpite da questa malattia nella quasi totalità donne
e purtroppo sempre più giovani, al fine di aiutarle nel percorso
di cura e sostenerle nella vita quotidiana”, ha fatto sapere
l’assessore alle Politiche sociali e Salute, Pierfrancesco Majorino.
Che cos’è la sclerodermia, e perché ne soffrono in
molti senza saperlo?
I tessuti colpiti subiscono dei cambiamenti a causa del
processo di sclerotizzazione, che provoca un progressivo
indurimento e una completa perdita del movimento e delle
proprie funzioni
44
L’importanza della telemedicina: pensare digitale.L’intervista al dott. Sergio Pillon
a cura dinicoletta mele
La parola “digitale” o “digital” si sta affermando in tutti i
settori della società come sinonimo di nuova frontiera
capace di superare i limiti tradizionali e anche il sistema
sanitario è orientato verso questa direzione, avviata con lo
sviluppo della telemedicina.
“La telemedicina è l’erogazione di servizi sanitari, quando
la distanza è un fattore critico, per cui è necessario usare,
da parte degli operatori, le tecnologie dell’informazione e
delle telecomunicazioni al fine di scambiare informazioni
utili alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione delle
malattie e per garantire un’informazione continua agli
erogatori di prestazioni sanitarie e supportare la ricerca e
la valutazione della cura” (Organizzazione Mondiale della
Sanità).
Le informazioni utili per la diagnosi, il trattamento e
la prevenzione sono trasformate in bit e i bit possono
essere trasmessi, condivisi, analizzati, archiviati molto
più velocemente e semplicemente delle corrispondenti
informazioni su carta. Una realtà consolidata negli Stati
Uniti e in Canada, mentre in Francia, Norvegia, Finlandia,
Svezia e Danimarca, la telemedicina è già molto diffusa e
regolamentata.
È Israele però il paese all’avanguardia nell’utilizzo degli
strumenti digitali in ambito sanitario. Il cittadino che
ha bisogno del proprio medico di medicina generale
può prenotare l’appuntamento via web, tutti i referti
sono trasmessi per via elettronica, tutto è archiviato,
dall’ambulatorio all’ospedale, fino agli eventi amministrativi,
in un vero big data sanitario. Incrociare questi dati con le
informazioni anagrafiche, storiche, familiari del paziente
consente al medico di anticipare la diagnosi e la cura, di
passare dal “curare” al “prendersi cura”.
Qual è la situazione in Italia? Secondo i dati forniti
dall’osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School
44
45
of Management del Politecnico di
Milano, il 24% degli utenti prenota
online visite ed esami, il 15% consulta
documenti clinici. Oltre metà dei
Medici di Medicina Generale usa
WhatsApp per comunicare con i
pazienti. Il nostro Paese risulta essere
in ritardo rispetto ad alcune nazioni
del mondo.
quali sono le cause? L’abbiamo
chiesto al dott. Sergio Pillon, Direttore
UOD Telemedicina, Dipartimento
Cardiovascolare, A.O. San Camillo-
Forlanini di Roma, cofondatore della
SIT (Società italiana di Telemedicina), membro dell’Ufficio
Studi di ANSI (Associazione nazionale Sanità Integrativa) e
nominato nel 2015 dal Ministro della Salute coordinatore
della commissione nazionale per il governo delle linee di
indirizzo della Telemedicina Italiana.
“Non c’è nessun altro paese al mondo - ha spiegato Pillon
- con una tale concentrazione di aziende del settore della
scienza della vita come accade in Israele. La caratteristica
che ho trovato realmente innovativa (partecipando
all’evento Med in Israel che si tiene a Tel Aviv ogni due anni
n.d.r) è la strettissima cooperazione tra il sistema sanitario
pubblico e le aziende. Israele ha un sistema sanitario con
molte similitudini con quello Italiano ma le aziende sono
profondamente radicate nelle istituzioni accademiche, di
ricerca, nazionali internazionali. Sono anche strettamente
collegate alle aziende sanitarie operative, per supportarle
per esplorare l’innovazione per rispondere sfide odierne:
abbassare i costi complessivi dell’assistenza sanitaria,
soddisfare le esigenze in continua evoluzione in un mondo
con un costante invecchiamento della popolazione”.
In Israele la Digital health è l’asse portante del sistema
e il Clalit è la maggiore delle quattro organizzazioni che
gestiscono il sistema sanitario nazionale Israeliano. oltre 100
anni di attività, 4,4 milioni di assistiti, 14 ospedali pubblici,
9,638 medici, 11,081 infermieri, 100 centri odontoiatrici,1,503
poliambulatori, 48 poliambulatori pediatrici e 384,408
sessioni di telemedicina.
Dott. Pillon lei ha trovato delle caratteristiche simili con
l’Italia dove però ancora la telemedicina tarda a decollare.
Secondo lei, il punto sta proprio nel “pensare digitale”?
“La semplice trasposizione di un flusso di lavoro in digitale
non lo rende più efficiente, spesso anzi lo rende solo più
complesso, perché bisogna lavorare con un PC, un Tablet,
oggetti che hanno bisogno di corrente, di connessione,
di scrivania, si rompono se cadono. La penna cade mille
volte, la carta si strappa e si butta nel cestino e la cartella
clinica è frutto di decine di anni
di perfezionamenti. Fare lo stesso
lavoro con un tablet ed una penna
digitale rende il lavoro molto più
faticoso e chi lo nega non ha mai
provato a farlo. Pensare il digitale
vuol dire che non esiste più ‘la
cartella clinica’, esiste un algoritmo
che estrae i dati del paziente da
tutte le banche dati ospedaliere,
amministrazione, laboratorio,
radiologia, servizi specialistici,
prenotazioni, farmacia e li rende
disponibili al medico, all’infermiere,
all’amministratore, aggregati
secondo le sue esigenze. Il cardiologo vorrà una vista
d’insieme specifica, l’anestesista un’altra, il chirurgo
una ancora differente e, per fare un esempio, in caso di
incidente si avrà una vista dei dati sanitari ulteriormente
diversa. Pensare digitale, solo per rimanere nell’esempio,
elimina il concetto di cartella clinica così come siamo
abituati a vederla. In Europa la chiamiamo ‘medicina
personalizzata’, una modalità di diagnosi e cura che cuce
i dati addosso al paziente come un abito su misura, di volta
in volta, e consente di curare le persone e non le malattie”.
Lei è stato uno dei fondatori e per molti anni il vice presidente
della Società Italiana di Telemedicina (SIT), Direttore UoD
Telemedicina del Dipartimento Cardiovascolare dell’ A.o.
San Camillo-Forlanini di Roma. L’azienda ospedaliera
romana è stata tra le prime in Italia ad istituire un servizio
di trattamento della malattia a distanza. Nella sua
esperienza quali sono stati i vantaggi sperimentati con la
telemedicina? Quanto è importante la collaborazione tra
tutti gli operatori del sistema?
“Nella nostra esperienza nel campo delle ‘piaghe’, meglio
definite come ‘ferite difficili’, in otto anni abbiamo ridotto del
38% i costi, ridotto i tempi di guarigione del 50%, azzerato
le necessità di ricoveri urgenti e ottenuto una soddisfazione
dei pazienti superiore al 95%. La collaborazione è una
condizione indispensabile, medici ed infermieri, ma anche
di tutte le funzioni dell’azienda sanitaria, dall’ICT alla
Direzione Generale, dal governo clinico alla formazione.
L’esempio israeliano è stato lampante: tutte le funzioni
hanno concordato verso una gestione dei dati ed ognuno
ha investito le proprie competenze per supportare l’ICT
nella realizzazione del sistema”.
Come immagina in Italia un sistema come quello israeliano?
è possibile o solo un miraggio?
“Ci sono in Italia strutture sanitarie private che sono vicine al
modello israeliano, anche se si tratta di strutture di dimensioni
46
molto inferiori a quelle del Clalit. Io credo che sia possibile
arrivare anche in Italia, nelle grandi aziende sanitarie,
a sistemi analoghi a quello che ho visto funzionante.
Management intelligente e motivato, credo che il privato
arriverà molto prima del pubblico, tradizionalmente lento
e legato ad un management profondamente ‘analogico’”.
obiettivo è quello di fare uso delle nuove tecnologie per
spostare le informazioni e non il paziente. quanto è difficile
far capire che la telemedicina è un investimento e non un
costo?
“Quando parlo con i manager sanitari mi dicono sempre:
‘Sa Pillon, noi siamo vincolati al costo zero, nessun budget
per costi aggiuntivi’. Far capire che costo zero non
vuol dire ‘investimento zero’ sembra impossibile, anche
perché in genere la visione dei manager sanitari è di mesi,
raramente supera i due-tre anni. credo che sia giunto
il momento che debbano
muoversi i pazienti, con le
associazioni rappresentative
dei pazienti fragili, per
pretendere un diritto alla
salute degno dell’era
digitale. Il vero obiettivo è
far ruotare le informazioni
attorno al paziente, quelle
che servono e nel momento
giusto”.
In Israele il cittadino è
assistito per l’assistenza base
da un sistema nazionale
e può scegliere tra diversi
fornitori tra i quali Clalit che
è una delle ‘mutue” più grandi e storiche del Paese
e, non a caso, il padiglione centrale dell’evento era
dedicato proprio a Clalit. quanto è importante il ruolo
che svolgono le società di mutuo soccorso?
“Le società di mutuo soccorso da sempre hanno
coperto quegli spazi assistenziali che i lavoratori ‘deboli’
non riuscivano a vedere riconosciuti. Oggi possono
essere lo strumento di accesso alla salute digitale, al
prendersi cura, a quelle che sono le opportunità offerte
dal digitale proprio per le categorie più deboli, quelle
che soffrono maggiormente per l’incremento dei costi
di una sanità ‘analogica’, che deve ridurre le prestazioni
perché non riesce ad essere efficiente e a coprire i costi
dell’assistenza tutto a tutti”.
Qual è la sua opinione in merito ad una sinergia tra
Sanità pubblica e integrativa e digitale? Potrebbe
rappresentare la chiave di volta per favorire la tutela
della salute del cittadino?
“Il modello israeliano prevede il cosiddetto ‘secondo
pilastro’, una sanità integrativa per tutti i cittadini, che
offre prestazioni aggiuntive rispetto a quelle di base a
costi controllati e il modello è così efficiente che sta
aprendo il mercato della sanità Israeliana al ‘turismo
sanitario’, da molti paesi vanno in Israele per farsi curare.
Si usa anche la telemedicina in fase di iniziale valutazione
e dopo la dimissione del paziente, si sposta il paziente
solo per il trattamento in Israele per la parte invasiva.
La sanità integrativa per definizione deve essere efficace,
efficiente ed appropriata, dovendo essere ‘integrativa’,
la potremmo definire ‘digitale by design’. Ritengo che
sia nell’immediato futuro una degli migliori opportunità di
promozione di una medicina ‘della persona’ integrando
il sistema sanitario nazionale con le esigenze del singolo
cittadino/paziente”.
Alla luce di quanto detto, la
possibilità di utilizzare i dati
a distanza è sicuramente un
elemento di forza sia per il
sistema che per il cittadino
con risparmi di costi e di
tempo. Secondo lei, quali
sono le prospettive e lo
sviluppo della telemedicina
in Italia?
“Mi viene da rispondere in
più modi: il primo è con una
battuta tratta dal libro di
Marcello D’orta, ‘non lo so,
ma io speriamo che me la
cavo’. Più seriamente io vedo il futuro prossimo analogo al
percorso visto fare all’innovazione tecnologica sanitaria
negli ultimi 20 anni: il settore privato che fa da pioniere,
introduce modelli e percorsi clinici ed il settore pubblico
che pian piano raccoglie ed implementa l’esperienza.
In fondo la Risonanza Magnetica, l’Ecografia, la TAC ,
la radiologia digitale, solo per fare alcuni esempi, sono
analoghe alla Telemedicina, sono tecnologie che
favoriscono l’erogazione dei servizi di diagnosi e di cura,
non sono un fine, sono uno strumento. Un aiuto allo
sviluppo della telemedicina sarebbe semplicemente
cambiarne il nome (ed il punto di vista): smettiamo tutti
di parlare di tecnologie, di sanità digitale, iniziamo a
parlare di ‘prendersi cura’ di ‘medicina personalizzata’,
di ‘long term care’, e i dati digitali servono esattamente
a questo, a garantire il diritto ad essere curati nell’era
digitale, anche nel proprio domicilio e prima di doversi
ricoverare in ospedale. Questa è la sanità che tutti
vorremmo”.
ScegliereSalute
ITALIA
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LE RICETTE DELLA SALUTE
Come di consueto abbiamo il piacere di presentare ricette sane e gustose per promuovere uno stile di vita corretto ed equilibrato, che parta proprio dalle nostre tavole.Non sempre “piatto saporito” equivale a dire “sano” per questo è importante incentivare, per noi che abbiamo a cuore la salute dei nostri lettori, la riscoperta di gusti e ingredienti genuini e proporre soluzioni che preservino da patologie più o meno rischiose.In questo numero health online ha il piacere di presentare una ricetta elaborata con Farro Spelta Fitowell, l’innovativa linea di prodotti vegetali ad alto contenuto proteico pensata per apportare all’organismo più proteine salubri possibili, senza ricorrere ad un uso smodato della carne e dei suoi derivati.
per scoprire le altre ricette Fitowell visita il sito www.fitowell.com
Polpette di Farro Spelta
Ingredianti per 3 persone
130g di farro spelta1 zucchina lessa1 patata lessa1 carota lessa
20g di pinoli tritati finemente1 pizzico di curry
Olio extravergine di olivaFarina di risoPangrattato
Sale rosa(oppure quello che preferite)PepeAcqua
Procedimento
Sciacquate il farro sotto l’acqua corrente e dopodiché cuocete in abbondante acqua bollente per 30 minuti. In una capiente terrina aggiungete le verdure
e schiacciate il tutto con una forchetta. Aggiungete 2 cucchiaini abbondanti di farina di riso, 1 cucchiaio di olio, i pinoli e amalgamate tutto con cura.Scolate
il farro e lasciate raffreddare per 10 minuti. Trasferite il farro nella terrina, aggiungete due pizzichi di sale, un cucchiaino di curry e due pizzichi di pepe. In una ciotolina aggiungete 70g di farina di riso, un bicchiere di acqua e mescolate il tutto. Realizzate le vostre polpette con le mani,
rasferitele nella pastella di riso e subito dopo nel pangrattato. Lasciate riposare in frigo per 10 minuti e poi cuocere in padella con un cucchiaio
di olio 5 minuti per lato oppure in forno a 180°per circa 25 minuti.
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Vi è ampio accordo nel mondo scientifico, nel consigliare una dieta basata sul minor utilizzo di carne, di buona qualità, alternata a fonti proteiche di origine vegetale.Seguire una dieta il più possibile varia, infatti, assicura all’organismo tutti i nutrienti
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