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Maisey Yates

LA SPOSA DELLO SCEICCO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Hajar's Hidden Legacy

Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2012 Maisey Yates

Traduzione di Carla Ferrario

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony

febbraio 2013

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano

COLLEZIONE HARMONY

ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 2771 del 19/02/2013

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Lo chiamavano la Belva dell'Hajar e in quel momento Katharine ne capì la ragione. Zahir S'ad al Din era proprio come lo descrivevano, un tipo freddo e mi-naccioso, del tutto diverso dall'uomo che aveva cono-sciuto tanti anni prima. Ma io non posso permettermi il lusso di lasciarmi spaventare, sono abituata a questo genere di uomini. «Sceicco Zahir» salutò, avanzando verso la sua scrivania. Lui non alzò neppure lo sguardo, fisso sul documento che aveva davanti a sé. «Aspettavo che mi chiamasse, ma non l'ha fatto.» «No, non l'ho chiamata, perciò mi domando perché sia venuta fin qui.» Katharine deglutì. «Per il nostro matrimonio.» «Davvero, principessa Katharine? Mi sono giunte delle voci in questo senso, ma non ci ho creduto.» Al-zò la testa e per la prima volta lo vide in viso. Era davvero spaventoso come dicevano. Sul lato si-nistro del viso la pelle era devastata, l'occhio appanna-to. Eppure Katharine ebbe l'impressione che vedesse dentro di lei, come se l'incidente che gli aveva offu-scato la vista lo avesse messo in grado di percepire co-se che sfuggivano ai comuni mortali. La leggenda nata sul suo conto lo descriveva come un fantasma, e guardandolo lei capì il perché.

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«Ho anticipato la mia visita al suo assistente» repli-cò, anche se nessuno l'aveva invitata a palazzo. «Non pensavo facesse tutta questa strada per rice-vere un rifiuto. Ho già chiarito il mio pensiero in me-rito al matrimonio.» Lei raddrizzò le spalle, orgogliosa. «Ritengo di aver diritto a una conversazione di persona. E non sono ve-nuta fin qui per ricevere un rifiuto, ma per far rispetta-re il contratto. L'accordo di sei anni fa...» «Prevedeva che lei sposasse Malik, non me.» Il ricordo di Malik le procurava sempre un po' di tristezza, sentimento che riguardava una vita stroncata nel pieno della giovinezza, niente più. Benché in qual-che modo tenesse a lui, non l'aveva mai amato. All'inizio la sua perdita pareva che avesse generato un cambiamento totale, che le avesse aperto nuovi o-rizzonti e offerto un futuro diverso, ma in realtà niente era cambiato. Al posto di Malik ci sarebbe stato Zahir. Sarebbe stata di nuovo offerta in matrimonio per la salvezza del suo paese. Lo aveva accettato. Dopotutto, il cam-bio di sposo non contava molto. Sebbene, incontrandolo di persona, la realtà fosse molto diversa dalla fantasia... Questa storia non riguarda i miei sentimenti. Devo essere pronta ad andare fino in fondo. «A dire il vero lo pensavo anch'io. Ma leggendo il documento con più attenzione...» Era stato suo padre a gestire quasi completamente l'aspetto legale dell'accordo matrimoniale tra lei e Ma-lik, perché lei se ne era del tutto disinteressata. Il suo rapporto con Malik era l'effetto di un accordo politico tra i loro genitori. Del resto si erano incontrati poche volte e Kathari-ne aveva accettato il matrimonio per puro senso del dovere verso il suo paese.

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Solo negli ultimi tempi aveva studiato a fondo l'ac-cordo nei suoi dettagli. «Se si fa attenzione alla dicitura, io sono stata fi-danzata con Malik, ma solo in quanto erede al trono dell'Hajar. Malik non può più salire al trono, perciò sono fidanzata al suo successore, cioè a lei.» Era strano trovarsi di fronte a Zahir, dovendo quasi pregarlo di sposarla, quando in realtà lei desiderava andarsene immediatamente. Non desiderava quelle nozze più di quanto le volesse lui... Mio padre è in fin di vita e questo mi impone una precisa tabella di marcia. Alla morte di Malik il ma-trimonio è stato rinviato a data da destinarsi, in questi anni mi è stato concesso di occuparmi di ospedali, di lavorare per incrementare il turismo. È stato liberato-rio poter dimostrare quello che valgo al di là del mio aspetto. Ma adesso è finita. A suo padre restavano pochi mesi di vita e suo fra-tello Alexander, il futuro re, non avrebbe avuto l'età per salire al trono prima di sei anni. Perciò alla morte di suo padre sarebbe stato necessario nominare un reg-gente e lei, in quanto donna, non aveva il diritto di as-sumere quel titolo. Ormai quell'ingiustizia non le suscitava più alcuna amarezza. Desiderava solo agire. Se alla morte di mio padre non avrò un marito, as-sumerà il titolo di reggente il nostro parente più pros-simo di sesso maschile. E quello che farà del potere che si troverà tra le mani... non voglio neppure pen-sarci. Non posso permettere che accada. Soprattutto aveva promesso a suo padre che non sa-rebbe accaduto. Lei avrebbe assicurato al suo paese l'alleanza con l'Hajar attraverso il matrimonio con Za-hir. Avrebbe protetto Alexander. Il fallimento non era neppure da prendere in consi-

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derazione. Non potrei guardare mio padre negli oc-chi, se dovessi fallire. L'essere donna la metteva in condizioni d'inferiorità di fronte alle autorità del suo paese e a suo padre, che da lei pretendeva molto più di quanto chiedesse ad Alexander. Il figlio maschio era da lodare perché tale, mentre Katharine doveva lavo-rare sodo per dimostrare il proprio valore. Si era impegnata di volta in volta in sfide sempre più difficili, dando tutta se stessa per servire la propria famiglia e il popolo. Una fortuna, giacché era lei l'uni-ca speranza di salvezza. Non comprometterò tutto proprio sulla linea del traguardo. Quella prospettiva la riempì di un timore così grande da farle apparire innocuo Zahir. «Non desidero una moglie» sentenziò lui, riabbas-sando la testa sui documenti. Katharine incrociò le braccia sul petto e alzò la te-sta. «Non ho mai detto di desiderare un marito. Non si tratta di desiderio ma di necessità, di fare la cosa giu-sta per i nostri paesi. Il matrimonio rafforzerà l'eco-nomia di entrambe le nazioni e che lo sposo sia Ma-lik... o Zahir non cambia la sostanza.» Aveva parlato con freddezza e le sue stesse parole le gelarono il sangue. In un certo senso mi si potrebbe definire una vergi-ne sacrificale. Quel pensiero la fece rabbrividire. No, è una mia scelta, nessuno mi ha obbligata a entrare nell'ufficio di Zahir. Se avesse voluto restare a guardare il suo povero paese andare a rotoli, rimanendo a divertirsi in Euro-pa, niente e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Niente se non il suo senso di giustizia, e la necessità di provare che quando era necessario sapeva sacrificarsi, dimostrando ancora una volta il proprio valore. Era quella la ragione che l'aveva spinta fin lì, pronta

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a fare ciò che doveva, ad affrontare Zahir, anche se le tremavano le ginocchia. Lui la fissò con fredda indifferenza. Quello sguardo le gelò l'anima, dandole l'impres-sione di fissare un pozzo senza fondo. Il suo viso, di-storto dalle cicatrici, lo faceva apparire non umano. Inclinò la testa. «Può andarsene.» Katharine spalancò la bocca, sorpresa. «Co... co-me?» Non era mai stata congedata in quel modo. «Finora ho cercato di avere pazienza. Adesso però esca dal mio ufficio.» «Non lo farò» replicò lei. Non poteva, anche se per un attimo desiderò lasciare quell'ufficio buio, uscire nella luce accecante dell'Hajar e dirigersi al mercato, perdendosi tra la folla. Fu solo un attimo, poi ricordò il proprio dovere. Se non l'avesse fatto, Alexander sarebbe stato messo da parte, suo cugino John avrebbe accampato diritti sul trono e se fosse riuscito a cambiare la legge per tra-sformare la reggenza in una sovranità permanente... O se anche solo avesse avuto sei anni per rovinare l'eco-nomia nazionale... È inaccettabile. Avrebbe fallito nell'unica impresa di cui suo padre la credeva capace, in cui la ritenesse utile. Zahir si alzò in piedi e istintivamente lei indietreg-giò, come una preda davanti al predatore. Era più im-ponente di quanto ricordasse. Massiccio e muscoloso, come si poteva intuire dalla tunica che gli aderiva al corpo. «Non mi hai fissato abbastanza? Perché non te ne vai e vendi la storia del nostro incontro al miglior of-ferente?» la investì, passando bruscamente al tu. «Non sono venuta qui per questo.» «Certo che no, sei venuta perché vuoi sposarmi e vivere con me a palazzo.» Camminò accanto alla scri-vania, ma solo dopo un paio di passi lei si accorse che

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il movimento non era fluido, che Zahir zoppicava leg-germente. Lui si fermò e incrociò le braccia sul petto. «Perché la principessa Katharine Rauch dovrebbe la-sciarsi scappare l'occasione di vivere con me, abban-donando il suo regno immerso nella bellezza delle Al-pi? Credi forse di poter godere di grandiose notti ara-be, di grandi balli a tema? È questo ciò che ti aspetti? Ma io non sono Malik!» «Lo so» replicò con un nodo alla gola. Stava per-dendo terreno, ma non poteva sopportarlo. Aveva dato la sua parola al padre e fatto un giuramento al suo po-polo. Sono una Rauch, il mio compito è proteggere il mio paese. E questo è l'unico modo per farlo. Il senso del dovere le pesava sulle spalle, e in certi giorni le rendeva difficile anche solo respirare, ma fa-ceva parte di lei, di ciò che lei era. Il cuore le saltò nel petto mentre lui si avvicinava di un altro passo, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo cupo. «Se pensi che la diversità tra me e Malik non conti, allora vivi in un mondo immaginario. La realtà è questa.» Le si parò davanti e Katharine comprese che si riferiva a se stesso, alle sue cicatrici, procurate dall'attentato alla famiglia reale in cui avevano perso la vita i suoi genitori e suo fratello Malik, oltre ad al-cuni cittadini venuti a seguire il corteo reale. Tutto soltanto a causa delle mire espansioniste di un paese confinante, per ottenere il denaro e la terra. Katharine voleva solo che tutto ciò non accadesse an-che al suo paese. Zahir curvò le labbra in un sorriso di scherno, sti-rando con quel gesto la cicatrice che gli attraversava il labbro superiore. «È questo l'uomo che vuoi nel tuo letto? Per il resto della tua vita?» Lo sguardo di Katharine corse sulle sue mani gran-di, solcate da cicatrici, che pure trasmettevano un'im-pressione di forza e di fiducia in se stesso. Un'imma-

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gine improvvisa le attraversò la mente: mani scure e calde sopra una pelle pallida. Le parole che lui le aveva rivolto erano state pro-nunciate in tono minaccioso, ma la sua voce profonda e vellutata le faceva suonare come una promessa. An-ziché provare ribrezzo, si sentiva affascinata in un mo-do che non capiva. A spaventarla non era lui, ma le sensazioni che sa-peva suscitare, sconosciute e intense, che la inondava-no di adrenalina e languore al tempo stesso. Non riusciva a spiegarsi come fosse accaduto, come poche parole avessero potuto colpirla così profonda-mente. Scacciò il pensiero e guardò avanti. Non mi la-scerò intimidire, sono venuta per ottenere ciò di cui ho bisogno. «C'è un accordo.» «Fuori di qui» le intimò con durezza. «Impossibile. Per il bene dei nostri popoli il matri-monio dev'essere celebrato, se non lo capisci, io...» continuò, passando a sua volta al tu. Zahir mosse un altro passo e si avvicinò tanto che lei percepì il calore del suo corpo, della sua collera e, per un attimo, una pena che sentì echeggiare dentro di sé. Era qualcosa che superava l'intensità dei normali sentimenti, che se fosse penetrato in lei l'avrebbe con-sumata del tutto. Non poté evitare di chiedersi come Zahir riuscisse a sopportarlo. Eppure ci riusciva. «Voglio restare da solo» pronunciò in tono definiti-vo, nel silenzio della camera. Lei lo guardò, notò la struttura del viso, bella sotto la pelle rovinata, gli zigomi alti, la mascella squadrata, il naso dritto. La pelle sull'altro lato del viso, olivastra e compatta, apriva uno spiraglio su ciò che quell'uomo era stato in passato. Non c'era niente di affascinante nelle cicatrici che gli sfiguravano l'altro lato del viso, erano segni sgra-

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devoli che trasmettevano al mondo il suo dolore. Ep-pure i suoi occhi erano ancora seducenti e ipnotici, co-sì scuri da sembrare neri, frangiati da folte ciglia. Benché uno dei due fosse quasi cieco, erano ancora occhi incredibili, intelligenti e penetranti. Soprattutto, dimostravano che Zahir era un essere umano, non una belva. Riuscì a ritrovare in lui l'uomo che aveva incontrato tanti anni prima, che conosceva da prima dell'attacco terroristico. Si erano scambiati solo qualche parola, ma lo ricor-dava bene. Sempre più silenzioso e serio del fratello, in qualche modo riservato. A quel tempo era un uomo bellissimo, affascinante come pochi altri. Lo era ancora, anche se non nello stesso modo. «Non si tratta di quello che vogliamo, Zahir» repli-cò, utilizzando il suo nome per accorciare le distanze tra loro. «Si tratta solo di fare ciò che è giusto, si tratta di onore.» La guardò a lungo, con un'espressione enigmatica dipinta in volto. La stava studiando alla ricerca di ri-sposte, lo sentiva. «Dai per scontato che io abbia il senso dell'onore.» «So che è così.» Era una speranza più che una cer-tezza, ma suonava bene. «Fuori di qui.» Glielo intimò a bassa voce, ma quel comando aveva la stessa forza di un grido. Il fallimento per Katharine era un'esperienza nuova. Non aveva mai fallito prima. La sua vita era stata una serie ininterrotta di successi, tesi a provare che meri-tava il rispetto che suo fratello si era guadagnato sem-plicemente nascendo maschio. Se le veniva assegnato un compito, lo portava sempre a termine conseguendo i risultati migliori. Perciò non si era neppure preoccupata di studiare u-na mossa alternativa in caso di fallimento. Quella stes-sa mattina, salendo a bordo dell'aereo privato di fami-

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glia, si era sentita talmente fiduciosa da rimandare su-bito indietro il pilota. «D'accordo» sibilò a denti stretti. Si voltò e lasciò l'ufficio. Zahir chiuse la porta con un tonfo che la fece sussultare. Che uomo spregevole, malvagio... odioso! Non aveva preso in considerazione la possibilità che le rispondesse di no. Era sicura che avrebbe capito la situazione e accettato. Invece... Katharine restò in piedi a braccia incrociate nell'a-trio deserto, cercando di trattenere il calore che mi-nacciava di abbandonare il suo corpo nonostante l'aria bollente del deserto. E ora che cosa faccio, dove va-do? Non posso tornare a casa, non sarei la benvenuta dopo questo fallimento. Udì dei passi alle sue spalle e si voltò. Una donna anziana si stava avvicinando. La cono-sceva, era stata cameriera personale della madre di Zahir, che aveva accompagnato nel corso della sua vi-sita al paese di Katharine. Cercò di ricordarne il nome. «Kahlah?» La donna la guardò e sorridendo fece un piccolo in-chino. Non sembrava sorpresa di vederla. «Principessa, è passato molto tempo dall'ultima vol-ta. È in Hajar per affari?» «Io...» In un certo senso era vero, anche se la con-clusione era stata negativa. «Sì.» La sua mente cominciò a lavorare freneticamente. Zahir non la voleva tra i piedi, ma lei non poteva an-darsene sconfitta. «Resterò a palazzo per la durata della mia perma-nenza in Hajar.» «È una splendida notizia, principessa. Non abbiamo più visitatori da... molto tempo.» Senza dubbio nessun ospite aveva varcato la soglia del palazzo dal giorno dell'attacco terroristico. Rispet-

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to alla precedente visita di Katharine l'atmosfera era più cupa, più silenziosa, ogni passo risuonava in quel-lo spazio vuoto. «Sono felice di essere la prima dopo tanto tempo.» Per un istante si sentì in colpa per quella bugia, ma si giustificò pensando che aveva bisogno di sottoporre a Zahir la sua proposta da un altro punto di vista. Mi serve solo un po' di tempo. «Può mandare qualcuno all'entrata principale? Il mio bagaglio è ancora nell'automobile con l'autista che mi ha accompagnata. Se potessi occupare di nuo-vo l'ala che mi era stata destinata l'ultima volta sareb-be perfetto» dichiarò in tono regale. Era sempre stata una pessima bugiarda, la tradivano gli occhi. Kahlah appariva dubbiosa, ma non avrebbe osato mettere in discussione la sua parola. Approfitta-re in quel modo della donna era vergognoso, ma lo fa-ceva per un buon fine. «Vuole che l'accompagni, principessa?» «Grazie. Non si preoccupi dei bagagli, me li faccia portare quando ci sarà tempo. Non voglio interferire con il lavoro del personale.» Si era portata abbastanza cambi per una permanen-za a tempo indeterminato, perché si era sentita sicura di farcela, a qualunque costo. Era una principessa che non poteva governare, ras-segnata a limitare il proprio valore alle opere di bene-ficenza cui si era dedicata negli ultimi due anni. Quel-lo che l'aveva spinta fin lì, però, era un compito note-vole. Aveva l'opportunità di cambiare il corso delle cose, di non essere solo una bella donna di lignaggio reale. «Certamente, non è di nessun disturbo.» «Lo apprezzo molto.» Katharine per un attimo fece ruotare sul dito l'anel-lo di zaffiri che era solita portare alla mano destra, a

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disagio, ma riportò subito le mani lungo i fianchi: le principesse non si tormentavano mai le mani. «Da questa parte» le fece cenno Kahlah. Si avviò al suo fianco, evitando di guardarla, impe-gnata nel tentativo di memorizzare il percorso. Non esisteva un palazzo altrettanto ricco nella città di Kadim, costruito con marmo, decorato in oro, il pa-vimento un mosaico di diaspro, giada e ossidiana. Non scintillava come qualche anno prima, ma era ancora un esempio di arte e opulenza, il migliore della nazione, ne era certa. Era un bene, perché se rischiava l'ira della Belva dell'Hajar, era meglio farlo immersa nel lusso. «Che cosa diavolo sta succedendo?» ringhiò Zahir, imbattendosi in una processione di valigie di tutte le misure trasportate all'interno del palazzo. Uno dei facchini si fermò di scatto, lo sguardo ri-volto verso Zahir ma non diretto a lui. Nessuno lo fa-ceva. «Portiamo all'interno i bagagli della principessa Katharine come ci è stato ordinato.» «Ordinato da chi?» domandò lui, tenendo a bada la sensazione di gelo suscitata da quell'invasione del suo spazio personale. Una perdita di controllo. L'uomo indietreggiò, evidentemente sulle spine. «Dalla principessa Katharine.» Prima ancora che avesse terminato Zahir corse via, diretto all'ala riservata alle donne. Per quel che ne so, potrebbe anche essersi installa-ta in camera mia. Nel mio letto... Quel pensiero provocò una contrazione nel suo cor-po, una sensazione aliena, quasi dimenticata. Non a-vrebbe osato, neppure lei era tanto sfrontata da perse-guire la possibilità di andare a letto con lui. Notò una delle cameriere uscire da una camera da letto. La donna si chiuse la porta alle spalle e scivolò

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nella direzione opposta, fingendo di non vederlo. O forse non lo aveva visto davvero, ma spesso anche il suo personale di servizio cercava di evitarlo. Si avvicinò e spalancò la porta. Katharine stava in piedi al centro della stanza, i ca-pelli ramati sciolti sulle spalle. Indossava un modesto abito blu con cintura, ma il modo in cui aderiva alle sue curve bastava a scatenare l'immaginazione maschile. Soprattutto quando l'immaginazione di quell'uomo era rimasta inattiva per molti anni. «Che cosa accidenti ci fai qui, latifa?» domandò, lasciandosi scappare quel complimento, bellezza, pri-ma di avere il tempo di pensare a qualcos'altro. Perché Katharine era davvero bella. Peccato che il deserto po-tesse farla avvizzire con la sua intensità, eccessiva per qualcosa di tanto delicato e morbido. Lei si girò a guardarlo, gli occhi verdi di ghiaccio. Forse non è delicata come appare, pensò Zahir. Di nuovo la reazione del suo corpo lo sorprese. Da quanto tempo una donna non gli faceva quell'effetto? «Resto» gli rispose. «Ti ho detto di andartene.» «Dal tuo ufficio.» «Dal mio paese, hai capito benissimo.» Lei incrociò le braccia sul petto. «Temo di non po-terlo accettare.» Fece per avvicinarsi e la vide contrarre le spalle. Non era impassibile di fronte al suo viso, alle cica-trici che lo devastavano, ma si fingeva indifferente. Un profumo di fiori, così femminile, lo raggiunse. Da quanto non sto così vicino a una donna? «È inaccettabile che tu parcheggi il tuo regale po-steriore dove non sei benvenuta» l'aggredì Zahir, cer-cando di intimidirla. La gente si teneva alla larga da lui per il suo aspetto. Ma non Katharine.

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Lei inarcò un sopracciglio senza scomporsi. «I complimenti non mi faranno spostare di un pal-mo...» borbottò. Il timore di poco prima era stato solo momentaneo. Lo guardava dritto in faccia, senza abbassare gli oc-chi. Ecco un'altra cosa che non ricordo sia mai suc-cessa, rifletté Zahir. Il suo aspetto alimentava la sua reputazione, o forse era vero il contrario. Le voci sullo sceicco, deturpato dalle cicatrici e for-se folle, trattenevano la maggior parte dei suoi sudditi dal chiedere che si mostrasse in pubblico. Quelli che invece lo immaginavano immortale, una specie di sal-vatore, erano folli, ma ugualmente troppo spaventati per cercare di avvicinarlo. In un modo o nell'altro fa-cevano il suo gioco, permettendogli di governare dal-l'interno del palazzo senza mostrarsi. Il suo scopo non era intimidire il suo popolo, ma chiunque volesse attaccarlo di nuovo. Fino a quel mo-mento aveva funzionato. Ma a questa donna non importa, lei se ne sta in ca-sa mia come se fosse la padrona! Era il momento di dare nuovo smalto alla sua repu-tazione bestiale. «Vuoi il matrimonio?» domandò con la voce ridotta a un ringhio. «Vuoi diventare la mia donna?» Si avvicinò e le accarezzò il viso pallido, morbido come un petalo. Avrebbe voluto toccarla in altre parti, ma si controllò. Si era negato, anzi, aveva ignorato quel genere di desiderio per cinque anni, non gli avrebbe fatto male continuare. «Vuoi scaldare il mio letto e darmi dei figli?» Il viso di Katharine si imporporò. «No. Non è necessario al mio scopo.» «Non vuoi avere eredi?» Lo scrutò, dura. «Non da te. E se tutto andrà secon-do i piani, non ne avrò bisogno.»

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Lui digrignò i denti, cercando di scacciare l'imma-gine dell'atto necessario ad avere degli eredi... «E perché?» «Se mio padre morisse prima della maggiore età di Alexander, vorrei che tu fossi nominato reggente, non mio cugino. Come donna io non ho diritti e se John fi-nisse sul trono rischieremmo la guerra civile. Se ci ar-rivassimo, ne soffrirebbe anche il tuo paese.» «Quindi? Che cosa proponi esattamente?» «Ho bisogno di questo matrimonio per il mio popo-lo. Sarò tua moglie anche a letto, se lo vorrai, o lo sarò solo nominalmente. Spetta a te la scelta. Se rifiuti, il sangue del mio popolo ricadrà sulle nostre mani, le mie e le tue.»

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