LA SPOSA VIRTUALE
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Transcript of LA SPOSA VIRTUALE
ANTONIO PRENNA
LA SPOSA VIRTUALE
STORIE D’AMORE BURLESQUE
INDICE
L’ANNO SCORSO A MARIENBAD
PARIS, TEXAS
VIVA LA WOMAN
LA MOGLIE VIRTUOSA
VIRTUAL WIFE
PENSIERO MOBILE
L’ANNO SCORSO A MARIENBAD
“Ti ricordi l'anno scorso a Marienbad quella coppia di sposi che non faceva altro
che baciarsi? dice lei
“Come dimenticarlo, erano così teneri...”risponde lui mentre sta sorseggiando un
the indiano quasi insapore, poco più che un'acqua tiepida ma coooooosì
saaaaalutaaaaareeeee.
“Ma non mi ricordo solo di quella coppia”, incalza lei
“A che ti riferisci? - gli si sovrappone lui – lo sai che hai citato il titolo di un film
molto famoso, molto acclamato eccetera e che io non sono mai riuscito a vedere,
nemmeno per sbaglio in tv?”
“Scarichiamolo, c'è il wifi”, dice lei
“Bah non ho voglia”, sorseggiando malamente il the, dicevi?”
“Sì, ecco...mi ricorda che siamo stati benissimo quella volta...”
“Già...”, risponde lui guardando in lontananza (lui guarda sempre in lontananza).
I suoi occhi si perdono nell'acquario di fronte dove vede due pesci volanti guizzare
sull'acqua, con un movimento sincrono. Sembra studiato quel volo a pelo d’acqua
e frutto di prove meticolose, quando invece si tratta solo di istinto.
Dopocena in camera accendono la tv e fatto un giro di news sui vari canali
satellitari, usano le solite esclamazioni di sdegno per tuuuuuutta queeeeellaaaaa
vioooooooleeeeenza che c'è neeeeeel mooooondooooo, su uno dei canali dedicati al
cinema, trovano proprio il film di Alain Resnais, ma i titoli di coda stanno
scorrendo inesorabili.
“Un'altra occasione mancata”, pensa lui, in fondo indifferente alla cosa.
“Oh bella, ne parlavamo proprio oggi di questo film...”cinguetta lei.
“Stupida sinchronicity”, dice lui togliendosi le scarpe.
...
SMS
ti sto guardando, guardo le foto, tu in b/n mi stai guardando con occhi lucenti
ti sto pensando che è un po' come guardarti a modo mio
ingrandisco foto, adesso solo occhi
occhi negli occhi
adesso guardo foto con perle labbra rosse
io forse dopo foto forse scrivo tante cose da dirti devo scegliere quale
sguardi fondamentali quindi anche foto fondamentali - passo e chiudo
…
Adesso ci vuole un colpo di pistola...è quello che stai per leggere...ciò che conosci di me
sono soltanto parole scritte, ma quello che ti ho raccontato può essere anche frutto di
invenzione (questa è metaletteratura d'accatto però)...i contorni delle vicende descritte
sono talmente vaghi, tanto incerti da non lasciare traccia, potrei vivere a pochi passi da
dove sei tu, guardarti la mattina in giro per la strada quando vai a comprare il
giornale, potremmo finalmente arrivare a questa comunicazione vis à vis e insomma
farla diventare una realtà del vissuto tutto questo parlottare fitto fitto tra noi...mi piace
chiamarla l'addiction della comunicazione, mi piace chiamarla così, anche se per me è
più una dipendenza dalla scrittura quando mi prende così...lo dico perchè mi è
capitato diverse volte in passato nelle burrascose navigazioni sul web, ti ho detto dei
photoblog, di bottiglie col messaggio lanciate nel grande mare virtuale, ormai sono
millenni, in fondo di tutto questo spreco di energia nel voler a tutti i costi raccontare e
vivere nel raccontare rimane poco, qualche scatolone di fogli stampati...ebbene, conosco
già il finale di questa storia (la scrittura quando diventa infinita e può diventarlo si
esaurisce quindi bisogna pensare ad un finale dopo almeno 40.000 parole, così mi ha
detto uno scrittore “devi conoscere l'inizio e la fine, in mezzo viene tutto facile”)
…
Tell me the truth si...perchè poi la questione è tutta lì, secondo me...niente a che
vedere con il tempo, niente a che vedere con lo spazio, tu che ti sveli e resti
nascosto...l'autenticità del vivere, il sentire se stessi, in quel momento, unico,
fugace irripetibile inafferrabile eterno che tale sarà anche dopo vent' anni quando
lo ricorderai per raccontarmelo e saprai che c'eri e ti riconoscerai in quello che non
sei più ma che sei ancora...neppure una cellula del tuo corpo è più quella di allora
eppure il tuo ricordo è lo specchio vero di un momento di qui-ora-io...e sono quelli
i momenti per cui si vive, sono quelli i momenti in cui si vive...e forse è vero che
poi, col tempo...il tempo...con il background acquisito che diventa sempre più
pesante, che ti rallenta l'accesso all'immediato come la memoria troppo piena di un
pc che fatica ad avviarsi.. con il tempo diventa più difficile quel sentire e tutto
sembra, è mediato, le cose che si sanno non aiutano a capire, nè a vedere, meno –
figurati - a sentire, che non viene da fuori della testa, viene da qualche luogo che è
tutto te, ma ti è forse precedente... allora come facciamo a vivere senza
l'aspettativa della sorpresa, senza l' innocenza dell’inconoscibile, senza la ricchezza
della presenza, senza pensare di potersi perdere per esserci finalmente,di nuovo,
ancora,in un qualunque momento, un niente che sarà un altro piccolo eterno, un
ricordo VERO?
…
lo cerchiamo, magari finisce che, come spesso, forse come sempre, andiamo a
guardare dentro gli occhi di qualcuno, ne cerchiamo la via sui segni di una pelle
sconosciuta, che ci ha chiamati, chissà come...è sempre un'eco inspiegabile a
chiamarci, ma soche non è mai casuale... non dico esatta, non dico giusta per
forza, ma precisa e puntuale, mirata sì...perchè cosa c'è alla fine di più elementare,
di più radicale, di più profondamente umano che cercare la vita nel suo istinto di
base, cercare di abitare il proprio mondo attraverso l'esplorazione che ne fa un
altro, cercare il proprio riflesso nello sguardo altrui?
è la nostra natura, la nostra struttura, io non credo alla fusione, non ho miti
sull'amore nè sul sesso, nè favole romantiche che la realtà vuole smentire, ma io so
la mia natura di donna, conosco le vie del mio cercare,le occasioni per il mio
vivere...conosco le notti di pioggia...e le ricordo...e so che non sono solo quelle, le
occasioni... sono una delle occasioni, delle possiblità...forse già solo il desiderio lo
è...forse già solo uno di noi che apre la posta a cercare le parole dell'altro è uno
shining... per me lo è di sicuro, nonostante il tuo mistero, nonostante il mio non
saperti, non vederti...nonostante niente sia reale in questa parentesi che ne apre
altre e altre e altre, in questa parentesi che finisce per essere inclusiva e non un a
parte, eppure un a parte lo è...beh qui io ci sono, in qualche modo inspiegabile
accade che io ci sia...
il tuo sguardo nel mio e di essere lì in quell' attimo sospeso, fatale, fatato anche,
della magia speciale di ciò che deve succedere...
e forse lo vorresti il mio colpo di pistola, il mio ricordo di qualcosa di vero, di
vissuto, di mio per sempre...
...ho 23 anni, sto lasciando new york, piango tutte le mie lacrime, piange anche lui
sul marciapiede dove ci siamo abbracciati, lui amico mio, mio fratello, mio amore,
mio bambino, mio lontano, mio impossibile, mio non sarà mai...piango in taxi fino
all'aereoporto, non mi importa cosa pensa il tassista, piango per un amore che c'è,
ma non potrà mai essere, piango perchè non so che lui diventerà mio fratello per la
vita,
e so invece che tutto sarà ma non il mio amore, non il mio amante, io che sono
brutta e lui che ha inventato la mia bellezza, io che ero una e lui che mi ha detta
unica, io che non sarò mai sua al modo che vorrei e che è l'unico che in quel
momento conosco e tutto quello che desidero al mondo è quell' angelo di cristallo
che riluce...
appena prima, forse un anno forse due, è estate...probabilmente ho fatto lo zaino a
giugno e lo disfarò a fine luglio, forse agosto, su e giù per l'italia, amici che mi
aspettano in una città, giorni al mare, la liguria, bologna che mi riaccoglie, calda,
vuota,casa, nell'aria c'erano sempre gli smiths quell'anno, ed ogni volta che li
ascolto sono di nuovo lì, in quel caldo, in quel girare eccitato e spensierato di facce,
di case, di notti accampate o letti stracomodi, ville in campagna e case in affitto,
di un amante ragazzo ritrovato per due giorni e poi di altri luoghi, altre facce, altre
risate, altri discorsi e incontri e rivediamoci, e poi roma a vedere i clash a ritrovare
amici di giovinezza e poi ancora,ancora, ancora in giro, felice nel disordine, felice
nel non sapere domani cosa era, felice di avere tutto davanti, senza pensare che
quel tutto avrebbe trovato i suoi limiti,senza saperlo, senza nemmeno volerlo
credere...
a suo modo, la mia "summer of love"...
non tornerei indietro per tutto l'oro del mondo nemmeno riscrivendolo, nemmeno
per riviverlo, la vita è oggi, forse nel mio sentire ancora di più domani e il tempo
non esiste e tutto è quì ora in questo istante,
ed io sono già a domani, sono già nel momento in cui mi stai leggendo.
PARIS, TEXAS
La sensazione di parlare a chi hai intorno in una lingua sconosciuta...la conosco
bene...ho smesso pure di parlare per questo, almeno qui, in questa realtà , quella
grigissima che ho intorno – piove sempre, una pioggia fina- parlare di cose vere
intendo, perchè di chiacchiere me ne toccano anche troppe...meglio l’esercizio del
silenzio…ti prego meglio respirando, ti prego meglio camminando che parlando
(Thomas Merton)…
Sempre connessi...un'altra dimensione ancora...come se una parte di te si trovi
sempre altrove...anche se in fondo sei lì sdraiato a giocare con le parole...oggi aria
sospesa…ferma, la vita è tutta dentro..anche la ragazza del lago è sempre
connessa...è un continuo fluxus di pensiero che diventa parola scritta… la ragazza
abita verso le montagne , dalle parti di Udine... luoghi che conosco appena...ci
scriviamo tutti i momenti…la ragazza è alta, longilinea, i capelli corti e grigi
prima del tempo, ti guarda appannata da dietro lenti sottili, guarda sempre oltre
la tua spalla…deve sempre metterti a fuoco…ti parla con voce scritta, ti manda
delle foto di lei mentre timidamente si toglie il reggiseno, foto in bianco e nero…
…ecco forse mi piacerebbe portarti dalle mie parti, in questa stagione, con questo grigio
silenzioso e vuoto, nessuno in giro, giacche a vento, camminare vicini, guardare
panorami ...è tutto così vuoto, così silenzioso, enormi quantità di vuoto e di
silenzio...guidare la notte verso la montagna, le strade sono deserte, l'abitacolo è pieno
di musica, freddo fuori, caldo dentro...si va nella notte per ora...non c'è un posto dove
fermarsi a bere...
…
Questa è una storia già scritta da qualche parte. Nascosto in un libro dimenticato
in soffitta, in quei libri pieni di pieghe e con le pagine ingiallite, c’è un foglio
azzurrino dove si racconta la stessa storia che stai vivendo. Riconosci le parole, ti
riconosci nel racconto. Guardando distratto un programma in tv di storia, di quelli
con le interviste smozzicate e le immagini che una sull’altra commentano il
parlato, ascolti parole che un tempo conoscevi. Raccontano in sequenza le tue
sequenze. Ti stupisci di apprezzarne la costruzione logica. I rimandi. Le
connessioni tra i fatti. Per strada ti fermi davanti ad una libreria e i titoli dei
volumi esposti ti sono già noti, anche se è la prima volta che li vedi. Entri nella
libreria. Prendi il primo volume che ha una copertina che ti piace e che ti ricorda
qualcosa. La copertina ha un disegno infantile che assomiglia maledettamente a
quelli che facevi da bambino anche tu. Apri una pagina a caso e ti ritrovi nel plot.
Anche se la storia è ambientata in una qualche landa desolata, spazzata da una
pioggia feroce, di quelle dove c’è un amore contrastato e dove l’innamorato parte
alla ricerca di se stesso, portandosi dietro una fotografia stropicciata della sua
ragazza, che tiene gelosamente nel portafoglio. La mostra nei momenti sbagliati.
Qualcuno lo aggredisce. Ha il volto pieno di lividi dopo una rissa in un bar di
qualche porto lontano. Rientra nella pensioncina che lo ospita, si pulisce le ferite
allo specchio di un bagno pulito secoli prima. Quando si specchia vedi il tuo volto.
Sei in treno e ascolti un compagno di viaggio che racconta al telefono di una
suavicenda intima. Con ampi gesti, quel viaggiatore sottolinea i passaggi più
vivaci del suo racconto, senza quasi parlare. Tutti: si, ah, ho capito e quella storia
sai di averla già sentita perché l’hai già vissuta. Una storia già scritta. Già. Un
minuscolo sedimento di narratività che si insinua – affonda le radici- nelle viscere
più profonde della terra e raggiunge silenzioso l’origine di tutte le storie. Che sono
già dentro di noi. Che tutte ci appartengono e sempre si ripetono con le stesse
movenze. Le stesse battute. Gli stessi sviluppi. E’ quasi tragico, è quasi divertente.
E’ la vita, bellezza, fatta di sentimenti, di indecisioni, di decisioni improvvise, di
scarti d’umore, di passione e di noia spesso. Credo di averne avvertito l’incipit, di
quella che ormai chiamo storia universale– ma non, stranamente, gli sviluppi - nei
miei sogni di fuga quand’ero adolescente e la provincia mi andava stretta. Allora si
andava con gli amici in macchina in campagna per sentirsela raccontare di nuovo
la stessa storia. Quel qualcuno – ormai perso di vista - forse anche lui in modo
distratto, deve avermela raccontata in una sera d’estate, quando nemmeno la
leggera brezza attutiva il caldo che altri ritengono insopportabile e le sigarette –
perché allora si fumava molto per placare l’ansia di vivere in fretta- riempivano di
odori acuti le auto che ci portavano nelle campagne dei dintorni a meditare,
guardando le stelle e spesso sospirando. L’altro invariabilmente sopportava male
le notti calde di luglio, quando il verso dei grilli si sovrapponeva alle musiche della
radio sempre accesa. Invece io ho sempre tollerato bene il caldo e forse per la
nostalgia di quel caldo che ha salutato la mia nascita in agosto, prima decade,
notte di San Lorenzo. Tutti lì in attesa che io venissi al mondo. Sono nato in casa.
Quando mia madre ebbe le prime doglie, arrivarono all’improvviso e furono
subito violentissime. Era troppo tardi per salire su in macchina e correre
all’ospedale. Il nonno nervoso in strada con la camicia bianca fuori dai pantaloni
tormentava la nonna con domande continue, lei si affacciava dal primo piano della
vecchia casa familiare e gli diceva di stare zitto. Mio padre si mangiava le dita e
sudava nervoso. Un grande andirivieni quella notte in cui non si sapeva ancora se
sarebbe nato un maschio o una femmina.
Il tuo outing che non è un outing...e che pure ne so molto di più di te, ora vedo cose che
già sapevo, oh si che le sapevo, a parte piccoli particolari senza importanza,ma è tutto
coerente ( ma chi sei? ma come caspita ti chiami?)
vogliosaperlovogliosaperlovogliosaperlovogliosaperlo...è tutto coerente e allo stesso
tempo senza senso, perchè non è che sempre ci muove un progetto no? si vive di
momenti, di ricerche, di passioni, di delusioni, spesso si vaga randagi alla ricerca di
una pienezza impossibile, di una meta che nemmeno si conosce...di crepuscoli di un
solo momento, eppure eterni, di scie d'aerei in cielo, di gesti di una notte, irripetibili,
effimeri nel reale, che si fissano nella memoria...un magma informe che si crea nel suo
farsi ed un senso è poi importante trovarlo?
il senso è vivere, sentire, conoscere, imparare, non uscirne a mani vuote...le mani
possono poi riempirsi di qualcosa di immateriale... il cuore batte di nonmateria, non
la tocchi ma la senti...il mio senso è non vivere da zombie, da già morta, è essere tutto
quello che posso, le mille me stessa che ho dentro, assaggiare ogni mia possibilità..ti
vorrei scrivere molto dopo averti letto, scrivere su ciò che credo di capire, cose da
chiedere e da mettere sul piatto per vedere che forma riescono a prendere....ma non
sappiamo nemmeno quale sarà la prossima mossa e se ci sarà...sai...la tua storia
digitale e la mia sono molto diverse e questo forse ci divide, sarà un ostacolo tra te e me
( sarà? Tempo futuro? no, non va bene, “sarà” include una concezione temporale,noi
non possediamo il tempo qui...abbiamo un piccolo passato che però non è passato, è
tutto qui, nelle parole della prima sera di pioggia, sono ora sul mio schermo, come
sempre, e tutte le altre)...perchè questo mondo digitale di chat di blog di scambi, di
email, di nonsochecosa non l'ho mai vissuto così pienamente, non l'ho mai conosciuto a
fondo, non l' ho mai concepito come una possibilità...poi qualche tempo fa, verso
febbraio, sono come nata..non rinata, proprio nata...ricordo che una volta sono morta
a febbraio, invece stavolta sempre in febbraio sono nata anche nella realtà... però,
perchè io sono nata e vivo nella stessa maniera dappertutto, non c'è soluzione di
continutà nel mio essere...tra la realtà del mio vivere e del mio essere in uno schermo
non c'è cesura alcuna, differenza alcuna, sono dappertutto e alla stessa maniera, così
vivo ogni stato, con la stessa voglia di affrontare la vita come il Grande Gioco, con la
stessa libertà, lo stesso darmi tutta oppure solo in parte- che tutta non ti dai mai,
nemmeno volendo...come ho conosciuto il mondo vero, facilmente sono entrata in questo
altro mondo, ma in modo naturale, senza maschere..ti potrei dire che riesco a capire
come è fatta una persona a partire dalla sua richiesta di amicizia, o quasi...credici o
no, ma è così...se la persona è " forte", se lo diventerà per me, lo so immediatamente...è
come un flash, un'intuizione che ti scatta improvvisa, quando 2+2 arriva a fare
5...però dopo niente si comanda, sia chiaro, tutto deve prendere la sua strada e farsela
secondo i mezzi suoi, inconoscibili fino ad un minuto prima...questo per dire che forse
tu sai molte cose di questo mondo fuori dal mondo ed io invece sento di non sapere
niente...perchè io son nata da poco e vivo tutto come fosse il mio primo giorno...ma
perchè te lo volevo dire?...non me lo ricordo più....
Mi sembrava di vivere una situazione come fosse vista dall’esterno. Non tanto
guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Oppure vedersi da fuori campo. Semmai
come se qualcuno te la raccontasse. Eppure c’era quell’altro da me che ripeteva “ti
sveglierai, vedrai…ma l’incubo non è nella veglia…”, era solo un’immagine
figurata, una delle tante che popolano il mio immaginario.
...se ora apro il vaso di pandora non si potrà più chiudere, scriverò fino a domattina ed
esaurirò le possibilità contenitive di fb...quindi mi fermo...tutte le cose che ti vorrei
chiedere, le cose che ti vorrei dire chi lo dice che abbia senso che io le dica e le chieda...a
domanda rispondo,ma non lasciarmi mai così libera sulla tastiera...che poi a noi, a
noi nella nostra stanza, serve così poco....uno sguardo, una musica, un desiderio detto,
un gesto che deve compiersi...il tempo non esiste se si prende il passato intero e con fare
incurante si butta in un angolo alle spalle...si può fare, se si sta solo qui, solo
ora...forse...forse...ma io non so niente...sempre meno... lo so caro...ma così è il
nostro non tempo...va & viene...diventa una stringa modificabile a piacere...si
accoria, si dilata...ci torniamo sempre nella stanza buia..quando il richiamo della
stanza è più forte...il desiderio che conosciamo non è una prigione...è un laccio
lungo...a volte nemmeno lo senti...a volte ti chiama a sè e non puoi che rispondere...lo
sai...è così...puoi lasciarmi andare perchè è bello ritrovarmi...poi...quando
accad...puoi dimenticarti perchè prima o poi ricorderai...voglio essere lasciata per
attenderti...voglio il silenzio per ricordare parole della notte e per sentirle di nuovo
quando me le dirai piano...sono la donna lontana che tu sai vicina, sono la donna che
vedi e che non ti può vedere, la donna che sogni e che non è reale..sono la donna al di là
del vetro, che guardi e non puoi toccare, e sono sempre e ancora la donna che incontri
nella nostra stanza buia, dove tutto succede...assomiglia alla stanza dei desideri del
film di tarkosvi che spesso hai postato sulla tua pagina...stalker...eppure eppure uomo
lontano e senza nome...chi sono mai se non il fantasma di un sogno, tu che fai disegni
di parole sul mio corpo col tuo sguardo, ma che il mio corpo non conosci...nè tocchi, nè
puoi toccare…e chi sei tu uomo, nel cui sguardo mi sono abituata a vedermi, se i tuoi
occhi però non li conosco, se dei tuoi occhi vedo solo la mia immagine ripetuta, detta,
raccontata...chi sei tu che non vedo, non posso sentire...chi sei tu che sto chiamando...
...è sempre un'eco inspiegabile a chiamarci, ma so che non è mai casuale... un'eco non
dico esatta, non dico giusta per forza, ma precisa e puntuale, mirata si...perchè cosa c'è
alla fine di più elementare, di più radicale, di più profondamente umano che cercare la
vita nel suo istinto di base, cercare di abitare il proprio mondo attraverso l'esplorazione
che ne fa un altro...è la nostra natura, la nostra struttura, io non credo alla fusione,
non ho miti sull'amore nè sul sesso, nè favole romantiche che la realtà vuole smentire,
ma io so la mia natura di donna, conosco le vie del mio cercare,le occasioni per il mio
vivere...conosco le notti di pioggia... le ricordo bene...nonostante il tuo mistero,
nonostante il mio non saperti, non vederti...nonostante niente sia reale in questa
parentesi che ne apre altre e altre e altre, in questa parentesi che finisce per essere
inclusiva e non un a parte, eppure un a parte lo è...così tante cose da dirti che mi ci
vorrà il weekend intero..ma tanto il tempo non esiste e nella nostra stanza il tempo ce lo
giochiamo noi, lo tiriamo e lo comprimiamo e lo dilatiamo secondo quello che ci
piace..o che ci serve...come diceva il gattopardo? cambiare tutto per non cambiare
niente...tu hai sempre saputo, io potevo sapere anche prima, ma penso invece di aver
capito al momento giusto, o forse magari già sapevo..perchè in qualche modo nascosto
il nostro è un discorso che continua da molto tempo...solo in altre forme, in altri toni,
più libero ora di quanto fosse all'inizio...voglio dire che ora non ho paura di te, la
stupida paura di non conoscere il tuo interlocutore, di saperlo nella sostanza ma non
nella realtà, una paura lieve ed inutile che posso buttare via senza effetto, solo con un
sovrappiù di gioia...cambia il fatto che ora so, come prima, che sei un uomo che mi
piace e che non posso avere...ma era già evidente nei fatti, è solo un limite reale che
delimita spazi comunque grandi di gioco...perchè resta il fatto che tu sei l'uomo che mi
fa giocare, quello che mi fa questo raro dono, che mi apre spazi in cui sono quella che
non posso mai essere, spazi in cui io davvero nuoto e mi tuffo felice come un pesce
volante...resta il fatto che il tuo desiderio di me, che io non so spiegare, mi offre uno
specchio di bellezza in cui è difficile non specchiarsi con piacere, con sottile e
persistente attrazione...è una corrente che passa...una corrente di parole che porta
sensazioni molteplici e quelle o le senti o non le senti, ma se ci sono...puoi mai
ignorarle?
..gioco e seduzione...questo è il patto del diavolo...questo è il mio bottino..
...da quella notte di pioggia..quante carte abbiamo buttato sul tavolo, spesso senza
nemmeno il tempo di giocarle tutte, di guardale tutte...(certo lo sai che non avrò mai
più il coraggio di parlare con quell'altro te! mi vergognerei troppo!
ahahahaha...mannaggia lo sapevo che avrei fatto questa figura)...la nota, la
nota...certo scrivila, dai, bisogna o no andare avanti?...il tuo finale non funziona più?
perchè? e perchè non pensarne più di uno e differenti? ...quella è ucronia no?..ne avevo
scritto uno, una specie di prefinale che non ti ho mandato, pechè c'è ancora storia nel
mezzo da raccontare...ma la storia è tua...
p.s. forse finalmente, da qui, prima o poi risponderai ad una domanda che è restata tra
noi fin dall'inizio...ti ricordi?...forse è una risposta da notte di pioggia...
ok neanche rileggo, spedisco...oggi troppa fretta meglio mandare senza riflettere...
comunque l'intuizione su chi sei tu...te l'ho detto ieri mattina come funziona la mia
mente...spesso è diabolica, se vuole capire non capisce, ma lasciala libera e vedrai che
le cose arrivano nella loro intelligibilità....così non potrei proprio dirti il percorso
esatto, era da qualche giorno che pensavo che da tanto tempo non sentivo quell'altro e mi
dicevo devo fargli un cenno, giusto per salutare, poi ieri mi balenava che forse...ma
non so ora bene perchè..era ieri sera che c'ho pensato, sai c'era la musica di bond nel
telefono, e de carlo tra i libri che citavi tu e l'altro e certi particolari difficilmente
collegabili ma così evidenti all' improvviso sono confluiti in un
sottopensieroì...flash...sono andata a vedermi la tua pagina anzi la " sua" pagina e ho
visto frank zappa e almodovar e poi mi son ricordata la poetessa brasiliana che mi
avevi spedito tu cioè l'altro...insomma, non è mai una sola cosa..sono briciole sul
sentiero...io da brava ho riempito il cestino pensando che fosse vuoto e poi in fonodo
c'erano anche un bel po' di false piste, di idee mie fuorvianti, ma alla fine vedi che tutto
torna....sai potevo anche fingere di non sapere, di non averci pensato...ma non ci
riesco, lo sai, io a fingere non ci riesco nemmeno per cinque minuti...neanche qui nel
non tempo, nel nonluogo...soprattutto qui...
riscappo di nuovo
dopo o più tardi, nel tempo nontempo che è nostro della notte ti scriverò
magari...vediamo...vediamo che arriva...vediamo se la stanza buia ci chiama...se
l'abbraccio reclama il suo luogo... o il suo desiderio...
..ora mi viene un altro flash...una cosa un po' da film,ma tanto visto dove
siamo...allora...tutti e due in macchina, al buio, guidiamo e ci mandiamo
sms...sentiamo la stessa musica magari, tanti sms...poi ad un certo punto mi suona il
telefono..c'è solo musica, la tua musica...poi io arrivo a destinazione, mi fermo al lato
della strada, dietro ti fermi tu..scendiamo...
« La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile,
quando muore è forte e rigido, così come l'albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e
quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e
flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza. »
(lo Stalker)
...ma cosa ci fai con una come me?...tu che hai la pagina piena di donne bambola,
donne dee, donne mito, donne di seta e stelle, cosa ci fai con una donna nuda come me,
una donna di realtà e di prossimità,una donna che è tutta dentro, che è sempre dentro a
qualcosa e tu che guardi da fuori, tu che mi guardi da lontano, cosa mai ci fai con una
come me, con la mia pelle segnata, il mio essere che non si può illustrare, il mio
raccontarmi che non so quanto può dire...io che sono sempre fuori fuoco nelle
immagini perchè sono sempre in cammino...il desiderio non è gesto e solo un gesto mi
può fermare, un gesto che tiene, un gesto che dolcemente, decisamente, fermamente mi
terrà...cosa ci fai tu...e cosa ci faccio io...
...non era niente di che sai la mia idea, solo pensavo di fare una cartella a parte, per
dei frammenti che mi vengono in mente, frasi, suggestioni che non si inseriscono in un
discorso coerente ma che spesso mi passano per la testa, materiali che possono tornare
utili in seguito...sennò finisce che me li perdo, sempre di corsa come sono di
giorno...era solo una comunicazione di servizio..niente di che...
poi mi avevi detto che c'era un' immagine che volevo buttare là e io dovevo dirti qualcosa
sopra..ok..la aspetto, fai un po' tu...ehi l'idea dello scritto è tua eh...io mi ci son
trovata ma il progetto non ce l'ho, neanche lo so....e poi lo sai che non mi invento
niente..mica sono una scrittrice, quindi vado avanti con me stessa, enfatizzando,
lasciando libere certe cose che altrimenti sarebbero sorvegliate, a suo modo un
creare...non dico proprio scrittura automatica, non alziamo troppo il tiro..ok, tu segna
la pista...per parte mia eventualmente ci cammino sopra...
...però c'è una parte di me che ti direbbe: dimmi tutto di te, ogni respiro, ogni pensiero,
ogni più piccola nuvola che viaggia sopra la tua testa...riempi il mio sentiero di tue
tracce , riempi il mio carrello di spesa di te, accumula, sommergimi,regalati
tutto...prendo tutto...voglio tutto...
ma naturalmente quella parte sta in cantina da un sacco di tempo...si è ambientata,
vive bene, dorme molto, dorme quasi sempre...non credo si troverebbe più bene a metter
fuori il naso...
tell me the truth...perchè poi la questione è tutta lì...niente a che vedere con il tempo,
niente a che vedere con lo spazio uomo che ti sveli e resti nascosto...l'autenticità del
vivere, l'esserci, lì, se stessi, in quel momento, unico, fugace irripetibile inafferrabile
eterno che tale sarà anche dopo vent'anni quando lo ricorderai per raccontartelo ancora
e saprai che c'eri e ti riconoscerai in quello che non sei più ma che sei ancora...neppure
una cellula del tuo corpo è più quella di allora eppure il tuo ricordo è lo specchio vero di
un momento di qui-ora-io...e sono quelli i momenti per cui si vive davvero...e forse è
vero col tempo, con il background acquisito che diventa sempre più un pesante fardello,
che ti rallenta l'accesso all'immediato come la memoria troppo piena di un pc che fatica
ad avviarsi...allora come facciamo a vivere senza l'aspettativa della sorpresa, senza l'
innocenza dello sconosciuto, senza la ricchezza della presenza, senza pensare di potersi
perdere per esserci ancora in un qualunque momento, un niente che sarà un altro
piccolo eterno, un ricordo VERO?
...e forse lo vorresti ancora il mio colpo di pistola, il mio ricordo di qualcosa di vero, di
vissuto, di mio per sempre...
[fuori campo]
Rumori di fondo. Sottofondi di voci sussurrate, appena comprensibili, appena
percettibili. Sorrisi imbarazzati da e verso la scena. E’ una specie di recita dove gli
attori sanno di non essere veri attori. Reciterebbero se stessi, se solo ne fossero
consapevoli.
Il loro problema è che non sanno di essere in scena. Non sono personaggi in cerca
di niente insomma. Sulla scena senza consapevolezza. Spontanei. Sguardi
infuocati, febbricitanti quasi, forse pieni di paura. Ma è solo un attimo. Non c’è
niente di cui avere paura. E’ il leit-motiv che ripeto nel mio modo finto-allegro, a
ridosso del palco.
E’ la normale ruota degli avvicendamenti. L’hai già vissuto. Oppure qualcuno l’ha
già vissuto al tuo posto e ne ha lasciato traccia in un qualche labirinto
cromosomico. Neuroni vorticosi, sinapsi persino scandalosa. Luci improvvise,
accecanti. Rumore fuori scena. Braccia che proteggono occhi. Un grido appena.
Aaahhh. Non un grido di dolore. Di stupore semmai. Il teatro è enormemente e
usare il rafforzativo consente una concentrazione formidabile. Non si vede la fine
del palcoscenico dietro la luce forte. Qualcuno però si muove nella penombra.
Arranca? Si, forse arranca, cammina con i piedi strascicati. Guarda verso la platea
con occhi vuoti. Non sono veri occhi. Piuttosto un’espressione. Vorresti non
esserci, vorresti non essere. Arrivare direttamente alla fine di questa commedia.
Perché quell’uomo che arranca su una scena vuota sta guardando proprio dalla
tua parte?
Il rumore delle onde ora sovrasta i sussurri. Qualcuno fugge. Qualcun a ltro resta.
E’ il solito gioco degli avvicendamenti. La ruota della vita?
O piuttosto un gioco delle parti? Strappare all’eco l’ultima parola. Devo averlo
letto da qualche parte. Concetto troppo lapidario per non essere altro che un
ricordo di letture fatte tanti anni prima. Infatti, l’ho letto da qualche parte, ma
proprio non ricordo dove.
Le nostre parole sono solo un’eco della parola… ancora… l’immediato è anche il
non mediabile.
Cos’era? Un gioco? Un gioco linguistico? Tra me e questa recita che sembrerebbe
un sogno – non fosse per i rumori di fondo e l’odore di mare - c’è l’abisso di un
golfo mistico wagneriano. D’altra parte siamo a teatro e qualcuno la sta
rappresentando questa maledetta commedia. Delle parti. Appunto. Devo
svegliarmi. Si, devo proprio farlo. Ma ho gli occhi spalancati, no?
Sognare ad occhi aperti è troppo banale. Mi guardo riflesso in uno specchietto
tondo, di quelli per il trucco, e vedo i miei occhi spalancati. Qualcuno mi ha
lasciato questo specchietto. Non ricordo il momento, ma qualcuno me l’ha
regalato. Mi guardo riflesso.
Dai, svegliati E’ ora!
...che tardi che è, uomo senza volto, che stanca io di vedere io il mio oggi, mille volte
giocato per il nostro gioco, mille volte visto per essere guardato da te...da te che io non
vedo...e nei tuoi occhi sconosciuti cerco invece il mio riflesso più bello....un riflesso di
desiderio, l'unico che davvero mi dia una qualche bellezza per me impossibile altrimenti
da sentire, per me non altrimenti interessante da sapere...io non cerco unO
specchio...cerco una visione nuova, un immagine sconosciuta di me e di te che
sconosciuto sei e l'avventura è conoscerti, l'avventura è vederti...o meglio vederci , che
nell' incontro di due i singoli dovrebbero rimanere sullo sfondo, fornire respiro e
materia ad un diverso esserci...
Succede questo: io vedo te... nelle immagini che hai postato sulla tua pagina di
facebook, a larghe linee ho una visione più nitida di te rispetto alla tua di me, per
quanto le tue foto siano quasi tutte fuorifuoco, ma tu mi vedi solo attraverso le
parole scritte di questa narrazione scombinata, fuori le righe, senza una vera
logica, persino borderline (e qualcuno degli amicivirtuali me l'ha detto)...è come in
paristexas… la differenza con il film è l'assenza delle voci, la mancanza comunque
di riscontri tra noi se non le parole stampate– solo messaggi scritti…
nell'ontheroad di Wenders invece c'era quel vetro oscurato – da una parte una
stanzabuia, dall'altra luci al neon basse – la cornetta di un telefono –
l'impossibilità per lei di vedere lui – il buio oltre lo specchio – i silenzi, le lacrime di
lei ..oltre alle parole c'è anche la mia pagina su fb che racconta molto di me, anche
se quello è tutto un gioco... gioco linguistico di graficaparolaimmagine... immagini
spesso casuali che si compongono sulla pagina web per ellissi per sovraesposizione
per flash improvvisi, quelli che stazionano per un attimo nella mente e nel tempo
di digitare una parola un nome un'espressione tipica zac tutto svanisce, si passa ad
altro, si volta decisamente pagina...diviene passato esperienza nostalgia spleen
qualche volta, soprattutto nei giorni di pioggia...la mente può tutto...il tempo non
esiste...figuriamoci lo spazio...questi sono i momenti in cui occorre un colpo di
scena...un racconto di qualcosa...flashback...sono in macchina, siedo nei posti
dietro...ai finestrini sfila la tedesca foresta nera nel suo buio notturno...l'autista
fuma in continuazione, la ragazza che gli siede accanto non è rilassata, tenta di
fargli compagnia...dietro fingo di dormire, sono disteso con le gambe accartocciate,
è un vecchio maggiolino, siamo arrivati fino in Danimarca passando per il
Lussemburgo e l'Olanda, ad Amsterdam ho visto ragazze nude ballare da dietro
uno schermino nei peepshow, a Rotterdam ho sentito le corde della chitarra di
John Mac Laughing volare in un grande hangar di un aereoporto in disuso...vedo
ragazzi accovacciati al megaconcero tutti in piccoli gruppi isolati e mentre passo
lanciano sorrisi...avevo una camicia a scacchi, le basette molto lunghe...altro
falshback...sono arrivato alla stazione londinese di King's Cross con lo zaino e
l'aria di chi dovrà fare un lungo viaggio, il controllore all'uscita della metro – un
indiano con il suo modo di parlare inglese sincopato- non crede che io abbia
perduto il biglietto e che provenga dalla fermata precedente...tell me the truth
please...I come from the last station...minaccia di chiamare un bobby...alla fine
dico la verità e pago il dovuto, venivo da Fulham molto molto lontano...un
vecchio trucco per pagare di meno il biglietto, allora si poteva…non ricordo più
come sono arrivato a Dover per prendere il traghetto, però niente angoscia solo
sensazione di libertà... rivivo certi episodi letti in Kerouac almeno lo spirito è
quello...
VIVA LA WOMAN
Gli orpelli della signora borghese. Una collana di perle su un golfino rosa, un certo
bovarismo nello sguardo. La ricerca di quella sorta di paradiso terrestre che si
ottiene attraverso la lettura di romanzi. C’è tutto in quegli occhi annacquati,
svegli troppo a lungo, per lunghe sedute al computer. La lettura di tanti romanzi
anche. Troppi romanzi. Bovarismo d’accatto che si ricicla sulle piattaforme
digitali dell’epoca 2.0, lontano da ogni periferia e provincia. Online per molte ore
alla ricerca di un qualcosa di difficilmente definibile. Una scossa. Sfuggire alla
monotonia della provincia?
…
Sfuggire alla monotonia – chiosa lei togliendosi gli occhiali e leggendo dalla pagina
di wikipedia, alla voce “bovarismo” -della vita di provincia, fenomeno tardo-
ottocentesco: un sogno ambito che, insieme alla lettura, proiettava la mente in una sorta
di paradiso terreno …
Interessante, - ribatte lui -pensavo fosse solo un modo di definire comportamenti di
signore annoiate … quel tipo di donna non esiste più … quel golfino e la collana di
perle sono stereotipi della borghesotta, superati, ma dove sono più? la donna oggi
è molto diversa…
L'artista, dopo quest'esperienza, ritorna deluso al mondo reale, poiché si sente
intrappolato in un mondo che non è il suo. Che ne dici?
Già, il bovarismo, - risponde lui - il potere di credersi diversi dalla realtà, cerchi di
sfuggire alla monotonia della vita quotidiana di provincia?
No, perché?
Mi sembrava …
….
" Quello che io ti rimprovero è che quando ci siamo visti l’ultima volta non mi hai
detto niente, eppure mi avevi lì, abbiamo mangiato insieme e se io non avevo
capito, potevi parlarmi, anche brevemente, non ci vuole poi molto a dire quello
che mi hai scritto il giorno dopo, e se non ti andava di stare lì, dopo avermi
parlato, te ne ritornavi via invece di dirmi che mi volevi bene e stavi bene con me,
troppo bene e che quella camera era l'altrove e che prima di arrivare ti sentivi in
colpa ma poi non più, anzi. Certo mi sarebbe dispiaciuto, ci avrei anche pianto ma
mi sarebbe parso un comportamento leale. Dirlo il giorno dopo non è lo stesso,
credimi. Ci si sente traditi.
…
Ti rispondo senza alcuna voglia di farlo, ma almeno mi tolgo il pensiero. Voglio
farti capire il motivo principale del mio risentimento nei tuoi confronti. E’
quando dici " hai fatto tutto tu". Ah sì? Tu dov'eri? Subivi? O non sono stata io a
seguire sempre e comunque le tue fantasie e adeguarmi volentieri ad esse? Me lo
sono sognato? Sono state tutte tue iniziative, e non mie, ma io non ho difficoltà a
dire di averle assecondate volentieri. Quello che scatena quindi il mio malessere è
che credevo di aver conosciuto un uomo speciale, e lo sei per intelligenza, l'ho detto
a chiunque potessi dirlo, di essere stata fortunata di averti incontrato, per la
complicità che avevamo e che tu hai vissuto con me. Invece ora trovo un uomo
che declina qualunque assunzione di "responsabilità", che scarica tutto addosso a
me, come se io l'avessi piegato e/o costretto. Trovo un uomo doppio, mendace,
ipocrita, piccolo, meschino e mi fermo.
…
Dici che io ho tratto conclusioni che si piegavano alla mia idea di noi e non alla
tua. Bene, la mia idea di noi è sempre stata quella di vederci ogni tanto e stare
bene insieme. Per te in mezzo non ci doveva essere nulla, per me non è possibile
invece.
…
…
Perché questa figura di donna limitata e repressa? -ribatte lei- E’ nel tuo
immaginario?
Non lo so, - risponde lui -può darsi, sai quando si inventano storie non si capisce
mai dove vanno a finire e chi agisce chi, ma devo sviluppare con un finale amaro.
Finale amaro? Perché? Avrei preferito una donna elegante, vera, autentica nella sua
femminilità potente, una vera donna contemporanea.
DUE ANNI PRIMA
Non capirò mai la molla che scatena il delirio digitale. Il click indecente e
peccaminoso che conduce a valicare i limiti, che so essere soltanto tentazione, usare
un linguaggio che non m'appartiene.
Succede come quando ci si ubriacava da ragazzi e non è che l'intenzione era quella
di ubriacarsi, succedeva con naturalezza, senza rendersene conto e la realtà
diventava un'altra cosa, aveva non tanto contorni più sfumati, per ovvi motivi di
annebbiamento, quanto assumevi un atteggiamento che permetteva il ghigno, le
parole strascicate erano ben accette in compagnia e il gran ridere era assicurato e
in certi momenti disponevi della facoltà di capire le leggi dell'universo, proprio in
quel momento in cui il corpo barcollava in orribili sale da ballo di provincia,
aperte la domenica pomeriggio.
Si entrava in quei locali al buio, anche se fuori c'era il sole, quasi per nascondersi o
per approfittare del buio, dei divanetti scomodissimi e pochi notavano il tuo
barcollare. Forse era questa la percezione che avevi, non ti sentivi osservato.
L'intenzione non era certamente quella di ubriacarsi. Un sorso tirava l'altro e
quello -quello fatidico del grande salto verso l'iperspazio-che ti offriva la
possibilità di varcare le colonne d'Ercole, lo dimenticavi subito. Non ci pensavi per
niente. Prima il mondo era così, dopo si trasformava. Cadono le inibizioni e tutto è
più spontaneo.
Lo stesso nel delirio digitale. E’ come ubriacarsi, quando da un semplice “sono qui,
heilà” oppure “guarda le mie foto, osserva il mio mondo quanto è interessante,
collegati ai miei link stravaganti” si passa quasi di colpo alle rappresentazioni di
teatrini sadiani con contorsioni inverosimili, spesso quasi comiche, quando
interviene un po' di razionalismo. Nel digitale tutto è talmente soffuso e confuso
che vale per sempre in queste occasioni il motto “nichilismo, cinismo, sarcasmo,
orgasmo”, sentito in un film di Woody Allen. Quello che viene viene, siamo pronti
alla battaglia delirante, fratelli e sorelle -soprattutto sorelle- della rete.
Con VIVA avviene tutto per caso per uno stupido scambio di baci virtuali.
Rispondo a quei baci in modo automatico, l'intenzione della piattaforma su cui
navighi è proprio quella di creare la catena. Invece io bacio solo VIVA. Così,
without a cause, solo lei perché so che se lo facessi con molti altri -anche maschi-
potrei non fare altro e questo non mi piace. Svuotare la mente non è male. Non in
tutti i modi però. Navigo su quella piattaforma non solo per puro diporto -
principalmente è per quello- ma perché il multitask ormai mi ha preso alla gola,
ritorna prepotente ogni tanto, quando la voglia di esprimere qualcosa diventa
prepotente. E' una realtà parallela, è letteratura nel suo divenire che soltanto tu
leggerai e pochi altri. E' letteratura e vita insieme per me. Mi diverte più della tv,
spesso mi diverte più di tutto, perché pur stando fermi la mente veleggia di qua e
di là. Come ubriacarsi insomma.
Rispondo ai baci per cortesia, come si fa spesso per la partecipazione ad eventi
lontani. Si esprime partecipazione, si apprezza, commenta, mi piace, condividi.
E' facile far finta di niente e lanciare là quei baci con noncuranza, non è che cerchi
un approccio, VIVA d'altra parte è una signora elegante che si presenta con una
collana di perla e un golfino rosa, sbirci nei suoi album e trovi vacanze da qualche
parte al mare, qualche scorcio dei dintorni di casa, tutte foto con il soggetto al
centro come non si dovrebbe fare secondo gli insegnamenti di Van Gogh, quel
dividere in rettangoli -nove- l'inquadratura e porre il culmine dell'interesse non
proprio al centro, ma in modo sbilenco – tra il secondo e il terzo dall'alto, a destra
o a sinistra poco importa, nel punto di convergenza per intenderci. Le foto del
quotidiano diventano degne di attenzione ingrandendole, cercando di cogliere i
particolari e posizionarli secondo lo schema di Van Gogh, allora stimolano la
fantasia su quanto quell'attimo catturato spesso con rabbia-zac ti bombardo con
una bella flashata.
VIVA all'inizio gioca con la seduzione e io sfodero il mio miglior repertorio, nel
giro di una settimana si passa ad un linguaggio esplicito, senza cadere in volgarità
all'inizio, dopo un po' diventa stupido non chiamare le cose col loro nome e in quel
caso-non frequentissimo-quelle parole diventano sussulti che attraversano la
mente, ci gira intorno la mente a quei concetti e vengon fuori desideri abbandonati
nel tempo perché irrealizzabili o perché al momento giusto non servono, alle
immagini del teatrino la mente ci ritorna spesso perché è un modo anche quello per
non lasciarsi andare, per stimarsi ancora un po' nel sano orgoglio maschile.
Il teatrino sadiano si sviluppa con sequenze concatenate ma sempre ieratiche nella
loro fissità pop-porno.
Al momento opportuno dopo numerosi caldissimi messaggi sulle varie piattaforme
usando davvero quanto è disponibile (twitter, facebook, hotmail, la chat di
facebook, la posta in ogni dove), in quel momento VIVA telefona ad un numero
segreto che le avevo lasciato, premurandosi di non far comparire il proprio numero
e la sua voce ribadisce il gioco delle parti, lei la donna elegante e ammodo che
dentro vuole sentirsi fuori dagli schemi, che vuole sperimentare quel qualcosa che
le è rimasto indietro. una sensualità inconsapevole e sopita.
Per esempio stare accoccolata, pancino sotto e culetto su, con il partner (lei usa
parole di questo tipo, un po' burocratiche) che consuma frutta o dolci sopra di lei
così inginocchiata. Perfetto quadretto del teatrino.
Fin qui tutto bene. Il desiderio cresce ad ogni incontro virtuale. Le telefonate si
fanno più lunghe, il teatrino trasfigura anzi scompare del tutto, non più quindi
posizioni ieratiche, composte raffigurazioni dell'immaginario maschile che può
piacere alle donne se c'è un po' di flou e l'immagine è ben costruita e non ci sono
screziature nel contorno (la carta da parati, i calzini corti dei maschi, le lampade
oscurate da un fazzoletto rosso, i trucchi pesanti).
...
Quello che meno mi piace in questa storia è il teatrino...-dice lei
Perché? Sadiano non è mica sadico... - risponde lui
D'accordo ma è come se si trattasse di un modo di fermare il tempo, usando
l'imperfezione del tempo sospeso che è soltanto un'idea...intendiamoci, l'idea è
anche affascinante...
Il pensiero pensato non è un segmento con un inizio e una fine come quando viene
scritto...
...
EPILOGO
Infine, come sempre tristemente avviene, vince la routine. Emma diventa la
moglie virtuale. Gli incontri clandestini. Le cene sul terrazzo dell'albergo. Gli
sguardi che diventano normali. Le foto proibite che diventano normali. Tutto si
trasforma ancora una volta in normalità. Finale amaro.
IL TEMPO NON ESISTE
“Il tempo non esiste”, pensava lei mentre si avvicinava a San Babila.
La pioggia era rada, abbastanza da tracciare qua e là cerchi concentrici dentro le
pozzanghere. Si aprivano a fiore, si allentavano ai bordi, svanivano in un tremolio
impercettibile, e subito tanti altri piccoli cerchi si materializzavano sulla loro
superficie. Due foglie rosse occhieggiavano ai bordi della più grande, d'un rosso
vivo e sorprendente, come due pesci dentro a un acquario. “Da dove verranno,
quelle foglie?”, si chiese. E subito cercò in alto, verso le larghe terrazze dove
architetti alla moda avevano impiantato veri e propri giardini. Su una di esse la
balaustrata era scandita da vasi solenni, e alberi alti, perfino un pino marittimo.
Ma era troppo lontana.
“Da dove verranno queste foglie?” Avevano un colore come l'acero d'autunno, ma
era il secondo giorno di primavera. Un pullman di giapponesi veniva da corso
Venezia, rallentò davanti a lei. Una donna la stava riprendendo con la telecamera.
Si vide in uno schermo di Tokio, la giacca nera e l'ombrello bianco con le note
musicali. Il libro aperto, punteggiato da qualche goccia di pioggia. Chissà se quella
donna si sarebbe ricordata dov'era, quando ha fatto quella ripresa. Se avrebbe
sentito il bisogno di dire ai suoi amici: “Questa è la piazza San Babila, e qui c'è una
donna che legge un libro. A Milano si usa così. Leggono per strada.” O se, invece,
la sua immagine sarebbe finita dentro a una girandola di mille altre diverse, si
sarebbe presto persa, sostituita da quella della chiesa, così piccola in mezzo a quei
palazzi, con la colonna tutta mangiata dalle intemperie, e poi l'incrocio, la
prospettiva di corso Vittorio Emanuele con uno scorcio di madonnina. Molto più
probabile. Capace che la giapponese non se ne sarebbe nemmeno accorta, di essere
in centro, avrebbe continuato a registrare dal suo lato, mentre il pullman
imboccava corso Europa, fra edifici tali e quali a qualunque altra città.
Dopo il pullman fu la volta di un camion di una ditta di costruzioni, poi un
furgone di fiorista. Macchine anonime. Qualcuno la fissava per un attimo,
passando, poi tirava dritto, nemmeno il tempo di chiedersi cosa ci faceva una
donna proprio sull'orlo del marciapiede, così in bilico che una macchina più veloce
potrebbe portarsela via nel risucchio d'aria. Cosa ci fa una donna che legge un
libro, sotto un ombrello bianco? Domanda mai fatta.
Girò lo sguardo sul palazzo di fronte. Non riusciva a vedere dove fosse posizionata
la web-cam. Possibile che fosse quella cosa tondeggiante che pendeva sopra le
piante di una terrazza? Sembrava piuttosto un lampione. Dalla forma, un poco
allungata, le ricordava una piccola lampara, come quelle che i pescatori del suo
paese usavano per uscire a pesca la notte . No, la telecamera doveva essere altrove.
Ma non si vedeva nulla. Pareti lisce e grigie. Finestre squadrate, tende tirate. Di
diverso c'erano solo le vetrine dei negozi e le finestre di una scuola di moda, al
primo piano, dove poteva vedere le schiene e i pantaloni a vita bassa delle
studentesse, chine sui tavoli, non sapeva se stessero disegnando o se stessero
piuttosto mangiando un panino. Era mezzogiorno, ormai. Era arrivata
all'appuntamento con dieci minuti di anticipo. Ne erano passati altri cinque. Alla
sua velocità, doveva aver letto già quindici pagine. Aveva tempo per altre tre, non
di più. Poi doveva andare al lavoro.
Le macchine passavano rade, come la pioggia.
“Chissà dove diavolo si trova lui, adesso”, si chiese.
In macchina. Ero in macchina a quell’ora. Pensavo che era davvero stramba questa
maniera di “guardarsi”. Ancora quell’ossessione da PARIS TEXAS. Perché ti era
piaciuto tanto quella volta? Che cosa ti aveva affascinato nel fatto che lui guardava lei e
lei non poteva sapere chi c’era dall’altra parte del vetro? Eppure lui le parlava con una
voce calda e l’altra si commuoveva, sembravano riconoscersi ad un certo punto. O forse
è la memory remota che comincia a sfaldarsi. Tutto questo vedere la realtà a frammenti
cominciava a fare l’effetto stile STATI DI ALLUCINAZIONE di ken russell o film
simili (anche FLASH GORDON quando il dr.zarro tenta di carpire la memoria a
gordon, credo)…lunghe flashate di immagini, la vita come un trailer…
31 marzo 2010
Oggi a mezzogiorno. Piazza san Babila, coi pullman che incrociano gli autobus.
Sole pungente, dopo la tempesta di pioggia di ieri pomeriggio, che ha sferzato la
città e gli alberi in fiore. Sembrava d'essere tornati all'autunno. Avanzavo con
l'acqua alle ginocchia. Ma oggi a mezzogiorno era tutto diverso. È successo che il
tempo si è fermato. Me ne sono accorta. È accaduto nell'attimo in cui due bestioni
si incrociavano davanti a me. Stavo col naso dentro al libro, e accanto al bidone
dei rifiuti – tutto colorato, è piazza San Babila – c'era una bici su cui qualcuno
aveva appoggiato giacche e maglie. Poi ho capito che erano abiti di ricambio di un
operaio cingalese che lava le vetrine dei negozi eleganti. Poi ho capito, dopo,
quando il tempo ha ripreso a scorrere. Ma prima si era fermata ogni cosa, e tutto
aveva lasciato il senso che aveva e preso un nuovo significato. Capita, alle volte, di
sorprendere la propria immagine dentro a uno specchio, e fermarsi a guardarla,
come se fosse quella di un perfetto sconosciuto. E ci vogliono due minuti interi
prima di realizzare che quella faccia ci appartiene, quell'espressione è nostra e di
nessun altro.
Leggevo Grossmann in san Babila, e una frase mi ha fatto fermare. Perché
sembrava scritta per me che leggevo. Messa lì apposta per me oggi sulla pagina
duecentoquarantaquattro, da leggere solo stamattina, dopo il tuo messaggio di
ieri. Lo sai che ho pianto, leggendolo? E non per delusione. Era un'altra cosa. Lo
avevo messo in conto, non saresti venuto comunque. Però ho pianto. Per quello
che dicevi, per le tue parole simili a quelle di quattro, cinque anni fa. Possibile,
sono già passati cinque anni? Eppure sono passati. Dolore, vuoto, nero,
disperazione, e poi silenzio, fatica. Tutto passato. Adesso qualcosa affiora nel mio
setaccio, mi riposta indietro a quei tempi. Ero diversa. Diverso anche tu. Due
anime inquiete, hai detto. Cinque anni fa quelle stesse parole mi avrebbero
annientato. Ora non potrebbe succedere più. Però ho pianto lo stesso. Il trucco
quella sera si scioglieva e mi pungeva gli occhi. Non era delusione, no. Ma
compassione. Qualcosa del genere. Si può piangere su quelli che eravamo e non
siamo più, e per quello che invece siamo adesso, per il dono che potremmo essere
l'uno per l'altro. Un dono così grande da rischiare di distruggerci, e che ci costringe
a riprendere le nostre orbite distanti. Buon viaggio e arrivederci alla prossima
congiunzione astrale, fra settant'anni e passa, come la cometa di Halley.
Tiro di lato le mie lacrime nere, come mi bruciano gli occhi. Non importa. Non
importa tutto il resto. Gli anni trascorsi, gli errori commessi, il dolore subito e
anche quello che mi sono procurata da sola. Niente vale più, oramai. È passato.
Rimane questa luce fragile, questa mela luminosa, luce al posto della polpa, che
basta poco a rovinare mentre la tengo in mano. Palpita come un cuore umano, è
una cosa viva e assurda, come è assurda la vita, certe volte. Dovrebbe essere
morta da anni, e invece è qui, in veste nuova. Non assomiglia più a com'era una
volta, ha un aspetto nuovo, diverso e ostinato. Se ne infischia del tempo che passa.
Il tempo non esiste e, se esiste, è passato, è alle spalle.
Mi stai davanti come una cosa nuova, ti guardo attraverso le parole di pagina
duecentoquarantaquattro, fra il pullman verde che incrocia l'autobus giallo ocra, e
il sole arrabbiato che lucida il selciato della chiesa dietro di me. Ti guardo da
dentro un romanzo, mentre qualcuno sta guardando me che leggo, attraverso una
telecamera puntata sulla strada. Anche i commessi dei negozi qui accanto
cominceranno a chiedersi se non ci sia qualcosa di strano in questa sconosciuta che
ogni giorno viene a leggere un libro – che sia lo stesso? - in bilico sul marciapiede.
Se non sia pericolosa, una kamikaze cecena, una terrorista rossa di quelle di una
volta, o una dei centri sociali che studia il territorio in vista di una clamorosa
protesta. Chi è mai costei che si mette tutti i giorni in evidenza sulla strada, non sa
che c'è una telecamera che ne registra i movimenti ogni cinque minuti? Bella
terrorista del cavolo. A meno che non mandi segnali cifrati con la sua sola
presenza.
Il tempo non esiste. Non del tutto. Esistono i frammenti di spazio e di tempo che
intercorrono fra quelle frasi che mi hanno inchiodato lì a mezzogiorno. Le ho lette,
e poi ho desiderato baciarti, e basta.
Questo, l'uomo della web cam non lo sa. E nemmeno glielo dico. Rimarrà convinto
di essere l'unico uomo della mia vita, proprio perché è senza volto, e chi non ha
volto può essere il tutto e il niente insieme. Chissà cosa direbbe se sapesse di noi.
Di quello che c'è stato. Della prima volta che mi hai preso l'alluce in bocca, e hai
cominciato a leccarlo, mentre io mi sentivo morire. Gli ho lasciato un messaggio.
Ho pronunciato queste parole guardando i vetri della scuola di moda. Magari con
un ingrandimento lui riuscirà a leggerle sulla mia bocca. Magari, se l'immagine
della telecamera fosse continua e di grana buona. Non è così, ma quelle parole le
ho dette lo stesso. Certe volte mi sento di doverle partorirle, le cose, dove mi trovo,
come le gatte randagie che si sgravano dei gattini dove capita. Rimane il fatto che
sono visibile, forse anche vulnerabile. Lui no, lui non si vede. Potrebbe essere
ovunque. Con un coltello dietro le mie costole, o sogghignante oltre le finestre del
palazzo difronte. Si darà gomitate con qualche collega d'ufficio, guardandomi
ferma sul marciapiede. Forse, lui non esiste nemmeno.