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58 F - LA NASCITA DELLA CULTURA LAICA E LA FILOSOFIA MODERNA 13 - Il Rinascimento e la nascita della scienza moderna 9 – Abbagnano-Fornero “Galileo Galilei e la rivoluzione scientifica” 13 - IL RINASCIMENTO E LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA 1. Il Rinascimento 2. Lo spirito scientifico del Rinascimento 3. Giordano Bruno 4. La rivoluzione scientifica 1 - IL RINASCIMENTO 1.1 Inquadramento storico 1.2 I temi fondamentali della nuova cultura Il termine Rinascimento indica quell'ampio e articolato processo storico che ha profondamente rinnovato il mondo europeo, portandolo - in poco più di due secoli - dalla civiltà medievale alle soglie di quella moderna. Per un lato, esso vede il progressivo abbandono di tutte le regole che durante il medioevo avevano costituito altrettanti limiti invalicabili all'attività umana sia teoretica sia pratica (nel campo della morale come in quello della metodologia scientifica, in quello della politica come in quelli della religione e dell'arte); per l'altro, vede il sorgere di nuove strutture economico-politiche e di nuovi valori culturali. Da un punto di vista storico-sociale il Rinascimento è caratterizzato, sul piano economico, dalla comparsa delle prime forme di economia capitalista con l’allargamento dell’economia di mercato che inizia a sostituire quella, ancora prevalente, di sussistenza. La forma più innovativa del mercato è rappresentata dal mercato coloniale, mentre sul piano produttivo si assiste alla comparsa delle prime forme di produzione capitalista, con l’industria a domicilio e le prime manifatture. Queste trasformazioni favoriscono l’affermazione di una nuova classe sociale, la borghesia mercantile, la quale investendo i propri capitali consente la circolazione delle merci e finanzia l’opera di organizzazione burocratica e amministrativa dello stato centrale. Stato centrale che, durante il Rinascimento, assume le forme dello stato regionale (signorie o principati italiane) o dello stato nazionale (Francia, Inghilterra, Spagna). La formazione dello stato funge da stimolo allo sviluppo economico, poiché comporta un bisogno di risorse da parte dell’autorità centrale che stimola la produzione, con l’introduzione di nuove tecnologie (polvere da sparo, stampa) e la comparsa di nuove tecniche finanziarie, e, comunque, l’evoluzione dell’economia. E. Bloch 1 ((1885-1977) ha così descritto il legame tra queste trasformazioni sociali e politiche, riassumibili nell’affermazione dello stato centrale e delle borghesia IL RINASCIMENTO INQUADRAMENTO STORICO Passaggio dal _______________________ all’____________________________: una nuova ____________________ e una nuova __________________________ UNA NUOVA __________________ - l’economia ______________________ e la __________________________ - lo Stato _______________________ 1 Ernest Bloch, filosofo marxista dissidente, ha avuto un notevole influsso sulle varie forme di marxismo critico e su alcune correnti di teologia protestante e cattolica del Novecento. Bloch

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F - LA NASCITA DELLA CULTURA LAICA E LA FILOSOFIA MODERNA 13 - Il Rinascimento e la nascita della scienza moderna 9 – Abbagnano-Fornero “Galileo Galilei e la rivoluzione scientifica”

13 - IL RINASCIMENTO E LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA 1. Il Rinascimento 2. Lo spirito scientifico del Rinascimento 3. Giordano Bruno 4. La rivoluzione scientifica 1 - IL RINASCIMENTO 1.1 Inquadramento storico 1.2 I temi fondamentali della nuova cultura Il termine Rinascimento indica quell'ampio e articolato processo storico che ha profondamente rinnovato il mondo europeo, portandolo - in poco più di due secoli - dalla civiltà medievale alle soglie di quella moderna. Per un lato, esso vede il progressivo abbandono di tutte le regole che durante il medioevo avevano costituito altrettanti limiti invalicabili all'attività umana sia teoretica sia pratica (nel campo della morale come in quello della metodologia scientifica, in quello della politica come in quelli della religione e dell'arte); per l'altro, vede il sorgere di nuove strutture economico-politiche e di nuovi valori culturali. Da un punto di vista storico-sociale il Rinascimento è caratterizzato, sul piano economico, dalla comparsa delle prime forme di economia capitalista con l’allargamento dell’economia di mercato che inizia a sostituire quella, ancora prevalente, di sussistenza. La forma più innovativa del mercato è rappresentata dal mercato coloniale, mentre sul piano produttivo si assiste alla comparsa delle prime forme di produzione capitalista, con l’industria a domicilio e le prime manifatture. Queste trasformazioni favoriscono l’affermazione di una nuova classe sociale, la borghesia mercantile, la quale investendo i propri capitali consente la circolazione delle merci e finanzia l’opera di organizzazione burocratica e amministrativa dello stato centrale. Stato centrale che, durante il Rinascimento, assume le forme dello stato regionale (signorie o principati italiane) o dello stato nazionale (Francia, Inghilterra, Spagna). La formazione dello stato funge da stimolo allo sviluppo economico, poiché comporta un bisogno di risorse da parte dell’autorità centrale che stimola la produzione, con l’introduzione di nuove tecnologie (polvere da sparo, stampa) e la comparsa di nuove tecniche finanziarie, e, comunque, l’evoluzione dell’economia. E. Bloch1 ((1885-1977) ha così descritto il legame tra queste trasformazioni sociali e politiche, riassumibili nell’affermazione dello stato centrale e delle borghesia

IL RINASCIMENTO

INQUADRAMENTO STORICO Passaggio dal _______________________ all’____________________________: una nuova ____________________ e una nuova __________________________

UNA NUOVA __________________ - l’economia ______________________ e la __________________________ - lo Stato _______________________

1 Ernest Bloch, filosofo marxista dissidente, ha avuto un notevole influsso sulle varie forme di marxismo critico e su alcune correnti di teologia protestante e cattolica del Novecento. Bloch

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mercantile, e la nuova situazione culturale che si afferma con il Rinascimento: ”Il modo protocapitalistico dell'economia si fa avanti baldanzoso, dal punto di vista economico questa è l'epoca in cui la borghesia urbana cerca di spezzare il codice del feudalesimo alleandosi con la monarchia in lotta per l'affermazione del suo potere assoluto. Fu soprattutto il capitale commerciale ad assumere una nuova forma imprenditoriale: la prima banca fu fondata a Firenze dai Medici. La manifattura cominciò ad affermarsi a latere e contro l'artigianato, prese piede il calcolo, ormai indispensabile ad un mercato che valicando le mura cittadine si avviava ad aprirsi al mondo. Era in pieno rigoglio l'economia protocapitalistica di merci, e l'Italia fu il primo luogo in cui furono spezzati i vincoli economici del feudalesimo; per questo è considerata la culla del Rinascimento. Il nuovo si manifesta così in duplice forma: da un lato come coscienza dell'individuo sulla base dell'individualistico modo economico del capitalismo, contrapposto al modo corporativo del mercato chiuso; e dall'altro come impeto e coscienza dell'ampiezza smisurata di contro all'organica e conchiusa immagine del mondo della società feudal-teologica. Veniamo innanzitutto all'individuo, all'homo faber. Anche per l'artista si afferma l'uso del nomignolo personale. Nel singolo individuo vengono scoperte e intuite forze fino ad allora ignote: forze che non appaiono di minor rilievo di quelle che la nuova tecnica aveva, per l'identica committenza sociale, il compito di liberare. Il Rinascimento è l'epoca della scoperta di nuovi mezzi di produzione, e proprio la Musa di Leonardo si applicava ampiamente a questa nuova tecnica. Ma l'inventore, l'audace sperimentatore è esso stesso un novum tra le forze produttive. Ciò si riflette nella sovrastruttura: anche nel teatro avanza in primo piano l'individuo; sulle maschere e i tipi fissi della tradizione di corte prevale l'individuale dramma di carattere. L'apice è Shakespeare, nel quale fa la sua apparizione la persona interessante, inconfondibile, di contro alla omogenea, composta e stilizzata aulicità degli appartenenti alla classe alta e ai tipi fissi del villico e del cittadino delle rappre-sentazioni medievali. Dopo l'homo faber ecco l'ampiezza. Dal punto di vista geografico, con la committenza sociale del profitto abbiamo, oltre all'epoca delle scoperte, l'epoca dei Colombo e dei Magellano con la sua prima circumnavigazione del globo, etc. In stretta relazione con la stessa committenza, la cosmologia abbandona il punto di vista geocentrico e si assiste al trionfo dell'eliocentrismo copernicano. La tesi che fosse la Terra a girare attorno al sole era già stata formulata, nell'antichità da Archita di Taranto. Nel XIV secolo il francese Niccolo di Oresme, l'unico matematico di rango del Medioevo, avanzò anch'egli la tesi eliocentrica, sulla base di un apparato di calcoli che gli esperti assicurano fosse migliore di quello di Copernico; tuttavia non esisteva ancora, all'epoca, una committenza sociale che ne rendesse auspicabile e possibile l'accoglimento. Nel Rinascimento questa committenza si fa avanti sotto forma di volontà di ampiezza e di espansione, e diviene subito evidente qualcosa che prima era considerato un paradosso privo di senso, se non era esplicitamente vietato da un'altra committenza sociale: la parola del potere ecclesiastico. Questa parola si richiamava ad una tesi biblica, per la quale sole e luna sono « lumi » che ruotano attorno alla Terra. Il sistema eliocentrico si afferma dunque soltanto in ambito rinascimentale, anche se fra mille ostacoli residui, come testimoniano il rogo di Giordano Bruno e l'ultimatum a Galilei.”

IL LEGAME TRA NUOVA ______________ E NUOVA _________________________

UNA NUOVA __________________ 1_________________________________ struttura ______________________: - ________________________________ Analisi ____________________________ sovrastruttura __________________: - ________________________________ 2 - ________________________________ - __________________________________ - __________________________________ ___________________________________ ___________________________________

sostiene che la speranza, cioè l’attesa del nuovo che apporta cambiamenti, è costitutiva dell’uomo che non è appagato dalla realtà. La negatività del presente, che chiede di essere superata, è alla base della speranza e la rivoluzione, che porta al superamento della negatività, realizza la speranza. Bloch vede nel marxismo l’erede di tutte le utopie che hanno attraversato i secoli in mille forme diverse tra cui quella religiosa.

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L’affermarsi di questa nuova committenza sociale e delle nuove idee, dei nuovi modi di vedere il mondo e dei nuovi valori di cui essa si faceva portatrice è stata resa possibile o comunque si è accompagnata ad alcune trasformazioni avvenute sul piano socio-culturale, le quali hanno consentito una nuova organizzazione della vita culturale. Una delle più significative novità di questo periodo consistette nella nascita di nuove istituzioni culturali accanto a quelle già esistenti in età medievale, in primo luogo le vecchie università. Il luogo caratteristico della produzione e circolazione della cultura nel Rinasci-mento fu la corte signorile. La corte assunse questa decisiva e importante funzione per diversi motivi. La profonda trasformazione culturale del nuovo ceto dirigente dell'epoca rispetto alla rozza nobiltà feudale diede origine al fenomeno del mecenatismo. Accogliendo intellettuali, poeti e artisti il principe ottenne un duplice risultato. Da un lato accrebbe il suo prestigio sociale e dall'altro poté disporre di personale intellettuale qualificato, cui affidare compiti di carattere politico e diplomatico. Presso la corte, o gravitante attorno a essa, si formarono gruppi di intellettuali che trovavano nella protezione del principe anche la possibilità di organizzarsi in forme e istituzioni alternative rispetto a quelle del passato. È il caso delle accademie che, a partire dal Quattrocento, sorsero sempre più numerose e la cui fondazione continuò per tutto il secolo successivo. Sorte dapprima spontaneamente, informalmente e in seguito sempre più formalizzate e istituite direttamente dai principi (come, ad esempio, nel caso del Collège de France sorto nel 1531), ma comunque legate alla nuova committenza sociale, esse scalfivano il secolare controllo della Chiesa sulla produzione culturale2. Con le accademie si affermava un nuovo modo di produrre la cultura stessa; infatti, le accademie non erano scuole, come le università medioevale, bensì luoghi di dibattito fra coloro che coltivano una stessa disciplina. Dibattito che ora appariva meno condizionato dal ricorso all’auctoritas (testi sacri, Padri della Chiesa, autorità ecclesiastiche, ecc. …) che non costituivano più il criterio di verità delle teorie, in quanto era lo stesso dibattito fra gli intellettuali a determinarne il valore di verità. Anche la figura dell’intellettuale subì profonde modifiche. Infatti, durante il Rinascimento giunse a compimento il processo, già avviato durante gli ultimi secoli del Medioevo, di individualizzazione dell’intellettuale di cui parlava anche Bloch nella citazione esaminata. Ad esempio, in campo artistico emerse la figura del pittore e in seguito quella dell’architetto e dell’ingegnere, prima confuse all’interno degli artigiani che lavoravano nei cantieri edile delle grandi cattedrali. Lo stesso avvenne a livello letterario e filosofico, infatti, mentre durante il

Novità ____________________________ del Rinascimento 1 – ________________________________

2 È da osservare che, almeno nel periodo antecedente il Concilio di Trento (1542-1563), la corte papale svolse spesso un ruolo non diverso da quelle delle altre corti principesche, risalendo il distacco delle gerarchie ecclesiastiche dalle idee che stavano emergendo dalla nuova cultura al periodo controriformista aperto dal Concilio di Trento. L’importanza della committenza ecclesiastica rimase comunque rilevante ancora per almeno tutto il Seicento.

Nuova società Nuova cultura _____________________________________________________ _______________________________________________________ ___________________________________________ _____________________________________________ ___________________________________________ _____________________________________________ _____________________________________________________ _______________________________________________________

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medioevo il filosofo era sempre il rappresentante di un certo ordine monastico e il suo modo di pensare era profondamente legato alla tradizione culturale dell’ordine a cui apparteneva e in cui avveniva la sua formazione, con il Rinascimento si assiste all’affermazione del singolo come autore del testo letterario o filosofico. Inoltre l’intellettuale, proprio in quanto svicolato dalle strutture ecclesiastiche, era sempre più spesso un laico al sevizio, come abbiamo visto, della nuova committenza laica che era anche la causa di una crescita degli intellettuali; in particolare emergevano nuove figure di tecnici (architetti e ingegneri, ad esempio, Leonardo da Vinci) che trovavano impiego in opere pubbliche sia civili che militari. A contribuire a questo allargamento vi era poi la burocrazia statale che richiedeva nuovi lavoratori intellettuali. Anche la diffusione della stampa a caratteri mobili provocò una serie di ripercussioni a catena, alcune delle quali riguardavano direttamente il modo di lavorare dell’intellettuale. Aumentando il numero dei libri in circolazione e diminuendo il loro costo di produzione, rispetto all'epoca degli amanuensi, consentiva a un lettore (che evidentemente, da un punto di vista sociale, costituiva una élite) di poter acquistare un numero di libri più elevato a un costo minore e leggerli tranquillamente a casa propria. Questo determinò, in primo luogo, un forte incremento del mercato letterario che, da un lato, potenziò enormemente il dibattito tra gli intellettuali, in quanto autori dei testi, e, dall’altro, formò l’opinione pubblica che, promossa dalla lettura, a sua volta esercitava un’influenza sul mercato editoriale. La diffusione dei libri modificò così l’ottica di chi scriveva, infatti mentre il testo medioevale

Le novità socio-culturali del Rinascimento 1 __________________________________________________________ 2 - _________________________________________________________ 3 – La stampa 4 - __________________________________________________________ 5 - __________________________________________________________ La stampa: + libri a disposizione a minor prezzo + ___________________________________________ 1 - _______________________________________________________ 2 - _______________________________________________________ A - ______________________________________ 3 - _______________________________________________________ 4 - _______________________________________________________ 5 - _______________________________________________________ 1 - _______________________________________________________ B – socio-culturali 2 - _______________________________________________________ 3 - _______________________________________________________

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era prodotto per una ristretta cerchia di lettori ben conosciuta dall’autore, l’ordine monastico e l’università in cui lavorava, gli intellettuali del Rinascimento si rivolgevano a un pubblico di intellettuali, che continuava a rappresentare una élite, ma che era diventato più vasto e in gran parte sconosciuto all’autore. Nel lungo periodo, la maggior diffusione dei libri ebbe come sua conseguenza anche una maggior omogeneizzazione delle classi colte, dal momento che essi consentivano una decisamente più rapida e capillare diffusione delle idee. L’élite dominante che sinora, soprattutto quella civile ma spesso anche quella ecclesiastica, aveva fatta sua la stessa cultura prodotta dalle classi inferiori cominciava ora a distinguersi non solo più per il monopolio della violenza ma anche perché colta, ovvero portatrice di una cultura diversa e che, come accenneremo fra poco, si preparava a riformare quella popolare. Il moltiplicarsi delle possibilità di utilizzare i libri non solo modificò il dibattito culturale ma cambiò anche in altri modi il lavoro degli intellettuali. Il libro a stampa, innanzitutto, produsse una modificazione molto significativa nella tecnica della lettura; prima del XV secolo i libri venivano letti ad alta voce, anche dall'uomo di cultura nel chiuso del suo studio; la "lettura silenziosa", certamente favorita dalla stampa, divenne invece quella più comune per gli uomini dei tempi moderni, conducendo a un sapere più astratto e interiorizzato, a un rapporto nuovo con la parola. Per la maggior parte degli uomini del Medioevo la parola era qualcosa di oggettivo, pronunciata di fronte a un pubblico reale o virtuale da un predicatore, da un professore, dal lettore stesso; per l'uomo moderno la parola divenne un fatto soggettivo, il muto risuonare del pensiero nella coscienza. Ciò era vero solo per chi sapeva leggere, ma il loro numero, almeno nelle città, crebbe rapidamente dal Quattrocento al Cinquecento e questo fatto non mancò di avere le più profonde conseguenze su tutti gli aspetti della vita sociale. Disponendo contemporaneamente di più libri sul proprio tavolo, gli eruditi, come gli studenti universitari, presero l'abitudine di confrontare un libro con l'altro e di paragonare le opinioni e le informazioni. Le contraddizioni tra i vari testi divennero più visibili e più evidenti le discordanze tra le varie tradizioni: l'accettazione dell'opinione comune, che in precedenza dipendeva anche dalla mancanza d'informazioni parallele, fu sostituita da un modo di pensare maggiormente critico. Un'altra importante conseguenza dell'invenzione della stampa fu la standardizzazione, cioè l'effetto determinato dall'esistenza di copie tutte identiche (o quasi) di uno stesso libro. Per la prima volta nella storia dell'umanità, gli studiosi di una stessa epoca, in città e regioni diverse dell'Europa, poterono lavorare e discutere su copie di opere che sapevano uguali a quelle possedute dai loro colleghi: veniva meno il dubbio che un passo preso in esame e ritenuto fondamentale per una determinata interpretazione non fosse contenuto nell'esemplare a disposizione di un altro studioso o vi fosse presente sotto forma diversa. La diffusione della stampa favorì, inoltre, il rafforzamento di una mentalità sistematica. Dilagò, anzitutto, l'uso dell'ordine alfabetico, certo non ignoto alla cultura medievale, ma non adeguatamente diffuso. La diffusione dell'ordine alfabetico fu imposta universalmente dai cataloghi di libri, che gli stampatori diffondevano per propagandare i propri prodotti, dai criteri di schedatura nelle biblioteche, dove i libri affluivano ora in misura sempre più consistente. Indubbiamente la produzione culturale dell'epoca ebbe una circolazione e una fruizione ristrette, trovando il proprio destinatario in un pubblico prevalentemente aristocratico che per formazione culturale, gusto e possibilità economiche rappresentava una ristretta élite privilegiata. Lo stesso recupero del latino classico, ossia di una lingua ormai morta e ben lontana dal latino "imbarbarito" eppure vivo, insegnato e utilizzato nelle scuole, il rifiuto del volgare e, infine, la sua ripresa nel Cinquecento ma in una forma altamente raffinata (che lo

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rendeva assai distante dalla lingua parlata), possono venire assunti a testimonianza di questa separazione tra cultura e società nel Rinascimento. Si andava annunciando la separazione tra la cultura dell’élite e la cultura popolare. In realtà in quest'epoca, la cultura popolare, che si esprimeva soprattutto nelle feste, nell’umorismo popolare e nella religione popolare, non escludeva le classi alte. Come gli altri giovani, gli studenti ricoprivano un ruolo importante nel carnevale, mentre Lorenzo de' Medici, Niccolo Machiavelli e altri intellettuali fiorentini scrissero canzoni carnascialesche. Potremmo quindi affermare che, se vi erano due culture, esse non corrispondevano ancora esattamente ai due principali gruppi sociali e culturali, dotti e incolti, o dominanti e subordinati. In questo caso vi era una asimmetria fondamentale. La gente comune era effettivamente esclusa dalla cultura dotta, poiché non conosceva il latino e non aveva frequentato i luoghi dove tale cultura veniva trasmessa. D'altro canto, la gente colta poteva partecipare, e spesso lo faceva, alle manifestazioni della cultura popolare. Ciò però iniziava a essere disapprovato da una minoranza di intellettuali e già nei secoli XIV-XV si incontrano gruppi di uomini colti, in maggioranza ecclesiastici, che si stavano allontanando dalla cultura popolare con l'intenzione di purificarla o di riformarla. Sembra che la maggior parte del clero amasse indossare maschere e costumi, mangiare, bere e ballare con i propri parrocchiani durante le feste principali, destando la disapprovazione di personaggi come il Savonarola in Italia o più tardi di Erasmo in Olanda. Essi biasimavano le feste popolari, perché irriverenti, e disapprovavano anche la vita religiosa quotidiana, la cui immagine e i cui riti apparivano ai loro occhi associati alla carne anziché allo spirito, all'apparenza anziché all'essenza. In luogo di quegli aspetti esteriori essi insistevano sul potere della parola scritta e parlata, sull'importanza dei sermoni, nonché dei trattati di devozione che, sul finire del sec. XV, cominciavano a circolare grazie alla stampa. L’ultima caratteristica dell’evoluzione delle strutture culturali rinascimentali è legata all’accelerazione del processo di europeizzazione della civiltà occidentale con il definitivo spostamento, alla fine del Rinascimento, del suo centro dall’Europa del sud (Italia, sul piano culturale ed economico, la Spagna sul piano economico e politico) all’Europa del nord. Infatti, fino alla seconda metà del XVI secolo la vita economica e culturale europea aveva visto l’incontrastata egemonia dell’Italia. La Toscana e la Lombardia erano all’avanguardia in campo produttivo , Venezia e Genova conservavano una netta superiorità nel settore commerciale, Roma e Firenze erano le capitali dell’arte rinascimentale. A partire dal XVII secolo il nord Europa (Paesi Bassi, Francia, Inghilterra) assunse il ruolo di zona guida dello sviluppo del commercio capitalistico, allo stesso modo alla leadership dell’Italia si sostituì una sempre maggior influenza degli intellettuali e delle istituzioni del nord Europa. Infine, tale processo di europeizzazione è caratterizzato anche dal fatto che il dibattito culturale europeo perse i suoi legami di dipendenza da altre culture, come, ad esempio, quella araba. I principali nodi emersi dal dibattito culturale di questo periodo sono costituiti dalla formazione di una nuova concezione dell’uomo, della storia e della natura, che emerge dal recupero della cultura classica con l’Umanesimo quattrocentesco e caratterizzano il Rinascimento vero e proprio. Inoltre, il problema religioso, con la diffusione del protestantesimo e la conseguente frattura dell’unitarietà del cristianesimo che sino ad allora aveva caratterizzato la stessa identità europea. Infine, l’elaborazione del metodo matematico-sperimentale e la nascita della scienza moderna. Ci occuperemo ora del primo aspetto.

I TEMI FONDAMENTALI DELLA NUOVA CULTURA

1- _________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________

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L’elaborazione di una nuova concezione dell’individuo e dell’azione, come espressione dell’individualità, richiese il superamento della mentalità medioevale, in quanto in essa gli sforzi e le conquiste degli uomini in ambito mondano non avevano valore, perché la visione dell’uomo era incentrata sul concetto di trascendenza: lo scopo della vita era ultraterreno. L’uomo della civiltà comunale nel suo agire pratico aveva già rotto con questa concezione trascendente della vita: un mercante o un banchiere agivano in base alle leggi di mercato, mirando ad arricchirsi, un uomo politico non viveva il potere come servizio ai più deboli, come insegnava la chiesa, ma ricercava il potere per se stesso. L’uomo dell’ultimo medioevo non riusciva però a giustificare teoricamente ciò che faceva praticamente. La chiesa stessa veniva incontro alla contraddizione dell’uomo medioevale enfatizzando il sacramento dell’estrema unzione, che consentiva di allinearsi agli insegnamenti della chiesa ed essere perdonati per i propri peccati. Il Rinascimento, invece, prende coscienza di queste contraddizioni fra la vita vissuta e la morale e procede consapevolmente all’elaborazione di una nuova concezione dell’individuo e della sua azione. Nell’uomo non si vede più il fedele, destinato a una vita ultraterrena, ma l’uomo che opera concretamente nel mondo e questo suo operare viene valutato non più in base ai fini ultraterreni dell’uomo, ma sulla base dei risultati che essa ottiene nel mondo terreno. Si acquisiva così una mentalità laica che non vuol dire, ovviamente, ripudio di qualsiasi forma di religiosità ma affermazione dell'autosufficienza e del valore autonomo delle attività umane, considerate in se stesse, con un riferimento alla loro funzione in seno alla società e non più in connessione determinante con una vita futura, extrasocietaria, eterna. L'opera d'arte come la politica, la scienza come la storia venivano ora valutate per se stesse, indipendentemente da qualsiasi considerazione metafisica. Come la teorizzazione politica non sentiva più il bisogno di cercare una legittimazione del potere nelle teorie “discendenti” (per cui il potere discende da Dio), ma considerava la vita civile come un valore autonomo, così libri di storia non seguirono più l'itinerario tracciato dalla Bibbia e riuscirono a parlare delle lotte politiche del recente passato senza risalire necessariamente ad Adamo ed Eva. Nella mentalità medioevale, inoltre, il singolo si identificava completamente con l’organizzazione sociale a cui apparteneva (per il monaco il suo ordine, per gli artigiani e i mercanti la corporazione, per i contadini il villaggio), con il Rinascimento, invece, si afferma una concezione dell’individualità come qualcosa di diverso dal gruppo sociale di appartenenza. Andavano in questa direzione fenomeni di cui abbiamo già parlato, quali l’individualizzazione dell’intellettuale, il rapporto soggettivo con la parola insieme con l’interiorizzazione della cultura favoriti dalla diffusione dei libri stampati. L’individualismo, però, non si manifestava solo in quelle forti personalità di artisti, uomini politici e intellettuali, ma anche nel modo in cui si tentava di separare i sentimenti dalla partecipazione collettiva per farli diventare un sentire individuale, privato (vedi la lettura di Guarracino “La formazione dello stato moderno” a proposito della vendetta). Per gli umanisti e per gli intellettuali del Rinascimento l’individuo, il singolo, diventa l’artefice della propria vita e della propria fortuna, che si realizza attraverso l’operare concreto, il lavoro, che diventa la manifestazione della personalità, della dignità dell’uomo. La dignità dell'uomo è un tema centrale nell'Umanesimo. Nelle opere che più compiutamente esprimono questo tema, come 1'Oratio de hominis dignitate (1486) di Pico della Mirandola (1463-1494), la dignità dell'uomo viene celebrata attraverso il valore attribuito alle arti, alle tecniche, alle dottrine di cui l'uomo si serve per vincere la natura, dare ordine alla società, accrescere la propria

A – LA NUOVA CONCEZIONE DELL’ ________ ____________________ Il superamento della concezione __________________________: 1 – dal valore _______________________ dell’agire umano al suo valore __________ _______________________ l’estrema ______________________ e le _______________________ dell’uomo medioevale La mentalità _____________________ dalla mentalità ______________________

alla mentalità _______________________ 2 – dal ____________________________ all’ _______________________________ a- _________________________________ b - ________________________________ c - ________________________________ l’individuo come _____________________ ___________________________________ La dignità __________________________

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conoscenza del mondo, apprezzare le bellezze della vita. Nella prospettiva più filosofica di Marsilio Ficino (1433-1499) l'uomo appare addirittura come una mirabile sintesi dell'ordine universale, vero e proprio microcosmo nel quale si fondono divinità e natura. Ma sarà, come vedremo, Giordano Bruno (1548-1600), nel secolo successivo, a elaborare la più compiuta visione naturalista dell’uomo prodotta dalla cultura rinascimentale. Contemporaneamente all’esaltazione della capacità dell’individuo, del suo essere artefice della propria vita diventa ossessiva anche la paura del fallimento; vengono meno le sicurezze che la mentalità medioevale offriva (la possibilità di pentirsi, il riconoscersi in un gruppo sociale). L’uomo si ritrova solo di fronte al suo destino potendo avere successo come andare incontro al fallimento. Per quanto riguarda la storia il contributo maggiore del Rinascimento è legato alla conquista della prospettiva storica. Lo sforzo di elaborare una nuova concezione dell’individuo era partito da un recupero della cultura greco-romana, infatti gli umanisti3 del XV secolo vedevano come motivo fondamentale della cultura antica l’esaltazione della personalità nella sua completezza, dalle sue passioni alle sue aspirazioni. Lo studio del mondo classico si concretizzò nell’indagine filologica che mira a studiare i testi nella loro forma originale; tale atteggiamento nei confronti dei testi sottintendeva un nuovo atteggiamento nei confronti del passato. Nel medioevo la prospettiva storica era completamente ignorata: l’uomo medioevale viveva il passato come contemporaneo, riconoscendo validità a ciò che esso aveva prodotto solo nella misura in cui corrispondevano ai suoi valori e ai suoi interessi. La sfera di questi valori era, infatti, vista non come il frutto della propria epoca, ma come qualcosa di universale, coincidente con gli interessi ed i valori degli uomini di tutte le epoche. Nella filologia rinascimentale la ricerca dell’autenticità del testo, invece, diventa consapevolezza della diversità fra passato e presente. Si vuole il testo non più interpolato o deformato con pie intenzioni, bensì trascritto nella sua originalità; non più studiato per trovarvi conferme a una concezione teologico-filosofica ben consolidata, ma per servire alla conoscenza del passato nella sua oggettività. Una seria indagine filologica diventa, da questo punto di vista, il complemento indispensabile del ritorno al mondo classico: la premessa necessaria di ogni seria discussione intorno ad esso. Il filologo umanista percepisce con estrema chiarezza la differenza tra autentica cultura classica e permanenza di temi classici nella cultura posteriore; coglie l'irriducibilità del mondo greco-romano a quello instaurato dalla cristianità; perde ogni illusione circa l'unità e continuità tra antico e moderno. Si rivolge insomma ai testi classici, per studiarvi il pensiero degli antichi, per cercarvi il passato in quanto passato: il suo amore per la purezza del testo antico diventa consapevolezza della diversità fra antico e presente, cioè consapevolezza del fluire della storia. Anche se lo sforzo di cogliere il mondo antico nella sua obiettività storica è compiuto, dagli umanisti, nella speranza di trarne suggerimento per la risoluzione dei nuovi problemi del secolo in cui vivono, il presupposto da cui essi partono è l'esistenza di una frattura fra questi problemi e quelli dell'antichità. Tale frattura è rappresentata, secondo essi, dal pensiero medievale: e proprio la loro

La paura ___________________________ B – LA NUOVA CONCEZIONE DELLA ____________________ La scoperta della _____________________ _____________________ Per ________________________: passato = ___________________ La ______________________________: la frattura tra _______________________ tra ______________________________ e __________________________________ La polemica con _____________________

3 I due termini, Umanesimo e Rinascimento, vengono usati a volte indifferentemente per segnare una periodizzazione interna alla storia europea che coincide con il passaggio dall'età medievale a quella moderna. Più spesso invece i due termini sono usati per indicare periodi distinti. Il primo à allora riferito soprattutto alla riscoperta dei classici dell'antichità, un fenomeno prevalentemente italiano che può datarsi dalla metà del XIV secolo. L'Umanesimo così inteso è una delle componenti del Rinascimento europeo, epoca che viene compresa di solito fra il 1450 e il 1530.

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polemica contro il medioevo non fa che accentuare sempre più la profondità della frattura stessa, cioè rendere via via maggiore la distanza fra il presente e l'antico. Allo stesso modo nella pittura del XV secolo si afferma una rappresentazione dello spazio completamente diversa da quella del Medioevo. Non solo per la pittura, ma per l'intera cultura medievale lo spazio era inconcepibile al di fuori dei criteri dell'ordinamento gerarchico: la dimensione alto-basso era quella prevalente e i movimenti ascendente e discendente quelli decisivi, tanto nella fisica rielaborata da quella aristotelica che nella rappresentazione simbolica offerta dalla Commedia dantesca. La discesa e l'ascesa di Gesù erano i momenti salienti della storia del mondo, la salita in cielo o la discesa nell'inferno le alternative del destino dell'uomo. In questo spazio privo della terza dimensione, della profondità, tutto si appiattiva intorno alle figure simboliche dei protagonisti della storia della salvezza, rappresentate senza dare molta importanza alle proporzioni realistiche e alla natura dello sfondo, che poteva essere costituito da oggetti allegorici come il trono di maestà della vergine Maria o semplicemente da un fondale d'oro. L’interesse per l’osservazione del mondo reale portò alla sostituzione di questo spazio simbolico con lo spazio prospettico, in cui le cose e i personaggi non sono più collocati in base al loro valore ideale, bensì in uno spazio reale anche quando si tratta di rappresentazioni sacre. La conquista della prospettiva storica e della prospettiva ottica costituiscono i risultati maggiori raggiunti nel Rinascimento nello sforzo di acquisire un punto di vista più oggettivo, in grado di cogliere le distanze spazio-temporali fra gli avvenimenti, fra gli oggetti e fra questi e l’osservatore. L’elaborazione di una nuova concezione della natura fu preceduta da una rinascita dell’interesse per la natura e per i dispositivi tecnici che consentono di utilizzarla a proprio vantaggio. L'atteggiamento tecnico-operativo condusse l'uomo a trasformare radicalmente il proprio metodo di studiare la natura, rinunciando in modo definitivo a far coincidere la scienza con la ricerca di teorie generali volte a spiegare tutto l'universo. Fu la sterilità di queste teorie, ai fini della trasformazione dei fenomeni, che dimostrò il loro scarso valore scientifico. Fu la necessità di ottenere risultati utili che costrinse gli studiosi a circoscrivere le proprie indagini, ad accontentarsi di schemi particolari validi per gruppi limitati di fenomeni. L'accentrarsi dell'indagine naturalistica su problemi particolari e concreti, anziché su teorie generali, fu soprattutto dovuto all'insistenza con cui la nuova società chiese, ai suoi uomini maggiormente preparati, di fornirle mezzi di produzione via via più efficienti, di aiutarla cioè a compiere passi sempre più rapidi sulla strada del progresso. Fu questa atmosfera di generale rinnovamento, questa continua ricerca di accrescere la potenza dell'uomo sulla natura, che pose decisamente fine all'antico divorzio tra teoria e pratica, tra scienza e tecnica. La società antica non seppe avanzare una richiesta altrettanto pressante agli scienziati alessandrini, e ciò fu una tra le cause del mancato sviluppo di tutte le possibilità insite nelle loro conoscenze teoretiche. La società del Rinascimento non commise più lo stesso errore, e con le sue fortissime istanze pratiche impedì alla nuova scienza di isterilirsi come quella antica. Va, infine, aggiunto che furono proprio le ricerche particolari a porre in luce l'importanza delle matematica per lo studio dell'esperienza. Nulla, infatti, risultò più idoneo che le linee e i numeri a formulare schemi precisi dei singoli fenomeni, a stabilire con esattezza i loro effettivi rapporti. In questo modo anche la più astratta delle scienze conosciute dall'umanità, acquistò un significato nuovo: il significato di strumento indispensabile per leggere e penetrare il grande libro della natura. Come si cercava di svincolare la concezione dell’uomo dall’interpretazione religiosa, così avvenne anche per la natura di cui si cercò di elaborare una nuova

La scoperta della _____________________ ___________________________ La _____________________________ medievale: - alto / _________ - le figure ______________________ Spazio ________________________ e spazio ___________________ Prospettiva _____________________ e _____________________ = ___________ ___________________________________ C – LA NUOVA CONCEZIONE DELLA ____________________ L’interesse __________________________ per la natura conseguenze: 1 – dalle ____________________________ alle ________________________________ e ai _______________________________ 2 - ________________________________ __________________________________ 3 - ________________________________ ___________________________________ La concezione della natura _____________ 1 - ________________________________

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concezione che ne garantisse la piena autonomia. Essa nel Medioevo era vista in termini negativi come copia del mondo ideale, luogo contemporaneamente di tentazione e di espiazioni dai peccati. La si pensava organizzata gerarchicamente e l’uomo occupava il posto più alto, più vicino a Dio. La nuova concezione venne elaborata dapprima vedendo la natura, in un’ottica neoplatonica, come ciò che rivela la saggezza e la bellezza di Dio (scuola della cattedrale di Chartres e gli umanisti). In un secondo tempo si affermò, in maghi e scienziati, una visione animista, magica della natura come popolata di forze occulte, che l’uomo si illude di poter dominare, ove, è palese l'abisso con l’atteggiamento di chi nella natura ricercava vestigie, immagini e similitudini della divinità trascendente). Furono proprio i tentativi di porre in atto questo controllo che portarono, infine, alla formulazione del metodo scientifico (ad opera di Galileo). L’interesse per la natura è nel Rinascimento strettamente connesso con l’altra tematica dominante, cioè la nuova concezione dell’individuo. Questo stretto legame è dato dal fatto che l’individuo si esprime nell’azione, la quale viene ottimizzata dallo studio della natura. Inoltre, il Rinascimento scopre la dimensione naturale dell’uomo vedendolo come un elemento appartenente alla natura. In una concezione magica l’uomo è visto come un microcosmo che riflette in sé gli aspetti dell’intero universo; in questa nuova ottica lo studio della natura non è più una fuga rispetto a se stessi, fuga di fronte all’interiorità o distrazione rispetto al destino ultraterreno, ma un modo per conoscersi.

2 - ________________________________ 3 - ________________________________ Dalla concezione _____________________ a Galilei: 1 – umanisti: natura =____________________________ 2 - ________________________________: concezione _________________________ 3 – Galilei: ___________________________________ Nuova concezione della _______________ e nuova concezione dell’_______________

2 – LO SPIRITO SCIENTIFICO DEL RINASCIMENTO

2.1 I fattori della rinascita degli studi scientifici 2.2 La cattiva empiria e la cattiva generalizzazione 2.3 Magia e scienza moderna 2.4 Le indagini scientifiche e tecniche del Rinascimento

Benché l’inizio della scienza moderna coincida con la svolta metodologica imposta da Galilei nel Seicento, è indubbio che tale svolta affondi le sue radici nella rinascita dell’interesse scientifico avvenuto nel Rinascimento. Tra le cause di questa rinascita vanno sicuramente annoverate, come abbiamo già detto, le sempre più precise e pressanti richieste che venivano da ogni parte rivolte ai tecnici per. rendere più efficienti i mezzi di produzione, di comunicazione, di distruzione, ecc. ; e nella impossibilità - da parte dei tecnici - di risolvere i nuovi problemi senza l'ausilio di meditate riflessioni, sistematicamente condotte con tutti gli strumenti teorici e pratici allora posseduti. D’altronde furono queste stesse richieste, volte a rispondere a esigenze pratiche, a determinare le caratteristiche del nuovo tipo di sapere, strettamente legato alla

LO SPIRITO SCIENTIFICO DEL RINASCIMENTO

I FATTORI DELLA RINASCITA DEGLI STUDI

SCIENTIFICI

NUOVA CONCEZIONE DELLA _______________ E NUOVA CONCEZIONE DELL’_______________ A – individuo espresso dall’ _____________________ ottimizzata dallo ______________________________ B – uomo = _____________________________________ un modo per ______________________ non _____________________________

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vita pratica, e quindi un sapere volto a risolvere problemi concreti (la bonifica di un territorio, la sua difesa militare, ..). Un sapere inoltre che, almeno in parte è collettivo, in quanto nasce nelle botteghe e nelle officine ed è il frutto dell’esperienza e della collaborazione di generazioni di artigiani e tecnici. Questo sapere, infine, è progressivo nella misura in cui consente di soddisfare sempre meglio le esigenze pratiche che ne stanno alla base. Un’altra causa della rinascita dell’interesse scientifico va connessa al rinnovato risveglio delle ricerche filologiche che misero a disposizione degli studiosi rinascimentali molte opere greche (tradotte in latino o in lingue moderne) e latine - fino allora ignote o mal note - di argomenti scientifici e tecnici. Con la conquista di Bisanzio da parte dei Turchi molti intellettuali giunsero in Europa, portando con sé molti di questi testi.. Venne così recuperato il patrimonio di conoscenze prodotto e sistemato dagli scienziati ellenisti che, insieme al patrimonio della tradizione araba, costituì il punto di partenza della nuova scienza. Venne in questo modo riscoperta l’opera scientifica di Euclide (geometria), Archimede (fisica), Galeno, Ippocrate (medicina). Queste opere vennero lette però in un’ottica moderna, cercando in essi una risposta alle esigenze tecniche; ciò porto alla scoperta della loro scarsa efficacia e inadeguatezza e, di conseguenza, della necessità di andare oltre al patrimonio di conoscenze avuto in eredità dagli antichi.

G. Micheli, uno studioso contemporaneo della storia della scienza, ha scritto che “una cattiva empiria collegata ad un’altrettanta cattiva generalizzazione sono le caratteristiche essenziali della cultura scientifica rinascimentale: gli intellettuali tipici del periodo sono dei maghi sperimentatori come Cardano o Della Porta che attestano in sommo grado tale lacerazione.” Il rifarsi all'esperienza diretta nell’indagine sulla natura è una conseguenza di quell'atteggiamento di maggior concretezza rivendicato dagli umanisti che si estende nell'età rinascimentale, oltre che al mondo storico e a quello dei rapporti civili e sociali tra gli uomini, anche allo studio del mondo esterno. In verità, il rapporto che l'uomo di scienza rinascimentale ha verso la natura è ancora abbastanza analogo a quello puntuale, concreto dell'esperienza comune, senza nessuna esigenza di ordine e sistematicità. La puntualità e la concretezza, ovviamente si accompagnano all'imprecisione e alla mancanza di rigore tipiche del linguaggio e dell'esperienza comuni; il controllo critico è sommario e generico e le cose più stravaganti o inconsuete, appunto perché tali, attirano maggiormente l'attenzione. L'entusiasmo e la passione con cui si propugnano e si conducono nuove esperienze si connette con il fatto, tipico e caratteristico, che si hanno poche esperienze effettivamente vincolanti, in grado di dirimere una questione. « È la curiosità senza limiti, l’acutezza di visione e lo spirito d'avventura che conducono ai grandi viaggi di scoperta e alle grandi opere di descrizione. Ricorderò solamente la scoperta dell'America, la

LA CATTIVA EMPIRIA E LA CATTIVA

GENERALIZZAZIONE SCIENZA RINASCIMENTALE = “cattiva empiria +____________________ _______________________________ _____________ _____________________ perché: 1 - empiria = ________________________ 2 – linguaggio ____________________ 3 – controllo critico ________________ (curiosità) Causa = poche _______________________ __________________

A - _____________________________________________________________________________: 1 - __________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ B - ______________________________________________________________________________: 1 - __________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ 3 - __________________________________________________________________________________________________________

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circumnavigazione dell'Africa, la circumnavigazione del mondo che arricchiscono prodigiosamente la conoscenza dei fatti e che nutrono la curiosità per i fatti, per la ricchezza del mondo, per la varietà e la molteplicità delle cose. Ovunque sia sufficiente una raccolta di fatti e una accumulazione di sapere ovunque non si abbia bisogno di teoria, il XVI secolo ha prodotto cose meravigliose » (Koyré4). A questa fede cieca nei fatti concreti, a questo vivissimo interesse per le cose nella loro molteplice e multiforme varietà, fa da naturale contrappunto una visione magica e animistica che rappresenta l’altro aspetto caratteristico della cultura rinascimentale: la cattiva generalizzazione. Connessa al recupero della grande tradizione platonica, a cui i testi classici dell'occultismo si ricollegano, fa risorgere a nuova vita la teoria della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, quella dell'armonia del mondo e, in generale, l'idea di un universo animato in cui tutti gli elementi sono collegati fra di loro da simpatie, da nessi nascosti, da colleganze misteriose che l'uomo può cogliere in virtù di pratiche occulte per soddisfare i suoi fini di potenza. La reviviscenza della magia presenta, nell'Umanesimo e nel Rinascimento, caratteri abbastanza diversi da quelli originari e da quelli formatisi nell'età medievale. « La distanza tra medioevo ed età nuova è la distanza medesima che corre fra un universo conchiuso, astorico, atemporale, immoto, senza possibilità, definito, ed un universo infinito, aperto, tutto possibilità. Nell'ordine del primo, il mago è solamente la tentazione demoniaca che vuole incrinare un mondo pacificato e perfetto. Per. questo è combattuto, perseguitato, bruciato, e la magia è relegata fuori delle scienze degne dell'uomo: è solo un precipitare nell'informe, un ascoltare la seduzione del diavolo, che è la seduzione del mostruoso » (E. Garin5). Ora, invece, nelle discipline magiche si fanno luce due diverse tendenze. Una, che si può definire cerimoniale, in cui la tradizione occultistica viene inserita in un quadro teologico molto ampio in cui è predominante il tema della concordanza con la tradizione cristiana (Marsilio Ficino e Pico della Mirandola). L'altra tendenza, a carattere naturalistico, trova il suo più ampio sviluppo nel pieno Rinascimento e tende a contrapporsi alla magia cerimoniale e demoniaca del medioevo: in tale senso la magia è l'apice della filosofi naturale e il mago è il ministro della natura, colui che sollecita le forze oscure e misteriose che nella natura operano perché abbiano luogo quegli effetti meravigliosi che il volgo reputa miracoli ( Paracelso, Cardano). La distinzione tra magia naturale e magia cerimoniale si trova già in funzione apologetica negli scrittori di occultismo del Rinascimento ed è stata ripresa dagli storici moderni che hanno visto da un lato «già albori di ricerca scientifica», dall'altro «relitti di antiche religioni e spunti di superstizioni nuove». Infatti, i due tipi di magia si differenziano per il tipo di prassi che promuovono. Nella magia cerimoniale la prassi è rituale e liturgica; si pensa che i riti possano modificare la volontà delle forze occulte. Nella magia naturale invece la prassi è di tipo operativo, in quanto si cerca di elaborare tecniche in grado di sfruttare le forze occulte per soddisfare una qualche esigenza dell’uomo. Tipico rappresentante della magia naturale è Paracelso (1493-1541) che si propose di fondare la medicina come tecnica in grado di sfruttare queste forze per curare le malattie. Il quadro teorico entro cui Paracelso6, come la maggioranza dei maghi, elabora la propria teoria presuppone una corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo,

___________________________________ perché: prevalere concezioni ________________ caratterizzate da: 1__________________________________ 2 teoria dell’armonia __________________ 3__________________________________ ___________________________________ La FIGURA DEL MAGO nel Medioevo mago ____________ l’ordine del mondo � __________________________________ nel Rinascimento accettazione magia 2 concezioni: A – MAGIA ___________________ Quadro teologico concorde con _________ ___________________________________ Prassi: _____________________________ riti modificano ______________________ costituisce un relitto di antiche _________ __________________________________ B – MAGIA ________________________ Mago opera per ______________________ ___________________________________ Prassi ______________________________ elaborare tecniche che_________________ _____________ per __________________ ______________________

4 A. Koyré (1892-1964) è considerato uno dei più autorevoli storici del pensiero scientifico. L'opera storiografica di Koyré è incentrata sulla rivoluzione scientifica in astronomia e fisica e le sue ricerche in genere mirano a rilevare le influenze esercitate sulle concezioni ed il lavoro dei grandi protagonisti di quella rivoluzione dalle idee filosofiche. Egli ha visto nella rivoluzione scientifica il passaggio dal mondo chiuso del medioevo all’universo infinito, dal mondo del pressappochismo al mondo del calcolo, della precisione 5 E. Garin (1909) studioso italiano del pensiero umanistico. 6 Per la vita e le opere vedi a pag. 82

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caratterizzante l’intera magia naturale e le pratiche astrologiche e alchemiche. Tale teoria implica l’idea che per conoscere la parte occorre conoscere il tutto, per cui, ad esempio, per conoscere l’uomo bisogna prima conoscere la natura. Inoltre, essa consente di stabilire una corrispondenza fra l’uomo e gli altri elementi della natura e teorizzare la possibilità di operare su di una parte per mutare quello che ad essa corrisponde in un ordine parallelo. Ciò consente, secondo Paracelso, di congiungere fra la loro medicina ed astrologia e medicina ed alchimia; la corrispondenza fra corpi celesti e parti del corpo umano, ad esempio, consente di individuare possibili influenze benefiche o malefiche degli astri e quindi di rafforzarle o prevenirle. Il nesso fra medicina e alchimia risiede invece nel parallelismo fra elementi naturali (minerali e vegetali) e corpo umano visto come un sistema di elementi chimici. Su questo parallelismo Paracelso basa la sua sperimentazione farmacologica che rappresenta l’aspetto operativo della sua concezione magica. Pur all’interno di questo quadro interpretativo che si rifaceva alla magia, il lavoro di Paracelso ha contribuito alla nascita della moderna medicina in quanto ha introdotto alcune prospettive che resteranno tipiche della medicina scientifica come, ad esempio, la concezione della malattia come un processo naturale specifico su cui il medico può agire solo conoscendo le forze e le operazioni che la natura in essa compie. All’idea della malattia come processo specifico si accompagna inoltre l’idea che su ciascuna malattia funzioneranno rimedi altrettanto specifici, mentre tradizionalmente la medicina si proponeva di individuare medicine utili per tutte le malattie.

PARACELSO

Per valutare il prevalere delle concezioni magiche nella scienza rinascimentale, occorre tenere conto del fatto che l’interpretazione magica era propria di tutta la cultura, era parte integrante del senso comune. Nel Cinquecento tutti vedevano la natura interamente pervasa da forze di tipo magico: popolo e preti parlavano continuamente di miracoli compiuti da dio o dal demonio, streghe e stregoni eseguivano ogni giorno i più strani esorcismi; nulla di più comprensibile, dunque, che anche gli studiosi ricorressero senza alcuna ripugnanza concettuale a tipi di forze che oggi non potrebbero venire invocati se non da persone in mala fede o visionarie.

MAGIA E SCIENZA MODERNA ___________________________________ ___________________________________

PARACELSO La corrispondenza tra _________________ e _____________________ per cui: 1 - ____________________________________________________________________________________________ 2 - ____________________________________________________________________________________________ 3 - ____________________________________________________________________________________________ da cui: a - i rapporti tra _________________________________________________________ b - rapporti tra ________________________________________________________ la sperimentazione _______________________________ I contributi di Paracelso alla _________________________________ 1 ____________________________________________________________________________________________ 2______________________________________________________________________________________________

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La magia naturale, però, dava alle proprie ricerche una impostazione ben diversa da quella che stava alla base dei vari generi di esorcismi. Il mago ammetteva sì l'esistenza di fenomeni « strani » (cioè non rientranti nelle solite norme dell'esperienza quotidiana) e riteneva di poter intervenire sulla loro produzione, ma li considerava in ogni caso come naturali, cioè come effetti di forze occulte di carattere naturale e non sovrannaturale. Pur muovendosi all’interno di questo quadro teorico in seguito abbandonato dalla scienza, l’attività del mago rinascimentale finì per prefigurare in diversi modo l’attività dello scienziato. Già abbiamo detto che il mago non si accontenta di contemplare passivamente i fenomeni della natura, ma vuole modificarli. La sua non è una disciplina puramente speculativa; vuole essere attiva, operativa, capace di accrescere in concreto la potenza dell'uomo. Ed è presumibile che le tecniche del mago qualche successo (reale o apparente) riuscissero a conseguirlo, se tanto profonda e tanto diffusa era la fiducia in esso riposta. Egli osservava pazientemente (se pure senza sistematicità) il corso dei fenomeni; tentava di compiere autentici esperimenti (ovviamente senza condurli con « metodo scientifico »); si sforzava di tentare di connettere fra loro tali fenomeni (poniamo, la comparsa di una cometa con il verificarsi di una particolare catastrofe), attività che rientrava abbastanza bene nel quadro di un'indagine, se non scientifica, almeno ipotetico-scientifica, e le ipotesi usate da maghi, astrologi, alchimisti apparivano, in quel secolo, perfettamente plausibili per dare una qualche interpretazione dei pochi e disorganici risultati scoperti (interpretazione per lui plausibile, anche se per noi pazzesca); nulla di sorprendente, quindi, se le sue indicazioni per intervenire sulla natura (per correggerla, trasformarla, ecc.) dovessero, almeno in qualche caso, risultare più efficaci delle azioni istintive dell'uomo comune non fondate su alcuna forma di « sapere »

Fino a che punto possiamo dire che gli artifizi ideati dal mago e dall'alchimista fossero veramente degni del nome di tecniche? Oggi noi sappiamo, per esempio, che gli alchimisti avevano scoperto molte proprietà effettive di talune importanti sostanze chimiche e che in qualche caso queste proprietà si erano rivelate assai utili nella preparazione di medicinali, nella lavorazione di metalli, ecc. Ma spesso ritroviamo accanto ad esse altre nozioni alchimistiche assolutamente inaccettabili, cui veniva tributata altrettanta fiducia. Dove passava la linea di demarcazione effettiva fra tecniche serie e tecniche non serie, fra nozioni fondate e nozioni cervellotiche? È tutt'altro che facile rispondere a questa domanda. E forse è inutile, o almeno storicamente erroneo, tentare di rispondervi. L'unica cosa da fare è pren-dere atto che la ricerca in quell'epoca si svolgeva veramente così e che, bene o male, essa costituì l'humus dal quale nacque l'autentica osservazione scientifica. Per studiare seriamente la scienza cinquecentesca bisogna tener conto anche dei

___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________

ANALOGIE ATTIVITÀ MAGO E SCIENZIATO 1 ____________________________________________________________________________________________________________ 2 ____________________________________________________________________________________________________________ 3 ____________________________________________________________________________________________________________ 4 ____________________________________________________________________________________________________________ 5 ____________________________________________________________________________________________________________

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fattori irrazionali (non scientifici) in essa presenti e, invece di discutere fino a che punto i loro risultati fossero veri o falsi (nel senso che lo scienziato di oggi attribuisce a questo termine), bisogna cercare di chiarire quale fu il «fatto nuovo» che a un certo momento intervenne a separare, nel complesso delle indagini sulla natura, quelle autenticamente scientifiche da quelle puramente magiche. Gli odierni storici della scienza ritengono che tale fatto nuovo fu la sistematica alleanza di essa con la meccanica; di qui l'importanza centrale - per tutta la scienza - della rivoluzione delle ricerche meccaniche maturatasi nel Cin-quecento e portata a termine da Galileo. Comunque, non sarebbe esatto ritenere che magia e astrologia siano state d'un tratto respinte fuori dal campo delle ricerche « serie ». Al contrario, molti continuarono a lungo a prestar loro una certa fiducia. Furono soprattutto i risultati pratici a sgretolare questa fiducia: si vide infatti che, mentre le ricerche scientifiche razionali erano feconde di applicazioni via via maggiori, le arti occulte non portavano ad alcun effettivo successo. Risultò in tal modo sempre più chiara la frattura tra scienza e non-scienza e l'uomo finì col considerare la ricerca scientifica come l’unico strumento efficace per la conoscenza e il dominio dei fenomeni. Da un punto di vista scientifico, le due discipline che nel Cinquecento hanno avuto un progresso più notevole sono state l’astronomia e la meccanica. L’astronomia ebbe una rilevanza maggiore della meccanica sul piano culturale, in quanto le nuove concezioni sollevavano problemi direttamente collegati alla filosofia e alla teologia. Ad esempio, la scoperta che terra e cielo sono composti dalla stessa materia metteva in crisi l’idea dell’eternità del cielo in quanto sede di Dio. La cosiddetta rivoluzione astronomica ruota attorno a Copernico, le cui concezioni furono riprese da Keplero e Galilei. All’interno del dibattito che le teorie copernicane sollevarono emerse la moderna concezione dell’universo eliocentrica ed infinita; il contributo filosofico maggiore fu apportato a queste teorie da Giordano Bruno. Per quanto riguarda la formazione del metodo scientifico fu sicuramente molto più importante la meccanica. La meccanica fu la scienza nella quale si affermarono per la prima volta l’esigenza del ricorso alla matematica, per un’esatta descrizione dei fenomeni, e del ricorso all’esperimento, per verificare le ipotesi. Infine, in essa si stabilì presto uno stretto legame fra conoscenza scientifica e tecnica. Nicolò Tartaglia, ad esempio, nei suoi studi dei moti partiva dall’esigenza pratica di determinare la traiettoria dei proiettili. 3 – GIORDANO BRUNO (1548-1600) 3.1 La complessità di Bruno 3.2 La nuova concezione della natura 3.3 La nuova concezione dell'uomo 3.4 Il processo e la condanna (vedi film “Giordano Bruno” di G. Montaldo) Sia le tesi filosofiche, sia le vicende biografiche di Giordano Bruno7 sono straordinariamente complesse. Muovendo dall'originaria Nola e dal convento napoletano dei domenicani, dove si svolse la sua formazione, Bruno dal momento in

___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________

LE INDAGINI SCIENTIFICHE E TECNICHE DEL

RINASCIMENTO 1 _________________________________ + importanza ______________________ protagonisti:________________________ ___________________________________ 2 - ________________________________ + importanza ________________________ a - ________________________________ b - ________________________________ c - ________________________________

GIORDANO BRUNO

LA COMPLESSITÀ DI BRUNO A - ________________________________

7 Per la vita e le opere vedi pag. 82

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cui lascia l’ordine fino al rogo, percorse in lungo e in largo l'Europa insanguinata dalle guerre di religione, da Ginevra a Parigi, da Londra a Praga, da Francoforte a Venezia, per diffondere la propria filosofia, suscitando ovunque discussioni e accese controversie. Arrestato per ordine dell'Inquisitore veneto e tradotto a Roma con l'accusa di eresia, fu riconosciuto eretico - rifiutandosi di abiurare - condannato al rogo. La tenacia nel difendere le proprie idee e la tragica fine ne fecero nei secoli successivi un martire della nuova scienza e del libero pensiero e un antesignano del-l'autonomia della ricerca scientifica nei confronti delle ingerenze del potere politico e religioso. Egli nelle sue continue peregrinazioni ricercava nuovi stimoli culturali; ad esempio a Parigi venne a contatto con le teorie copernicane, qui e poi a Ginevra si confrontò con i Calvinisti e a Francoforte con i Luterani. Bruno cercava un ambiente in grado di accettare le sue idee e spesso non trovandolo fu costretto, dal clima di intolleranza che regnava un pò ovunque in Europa, a fuggire. Inoltre, avendo lasciato l’ordine, Bruno doveva ricercare per il suo sostentamento l’accoglienza di un’università o la protezione di un principe o di un ricco mercante (vedi la nuova committenza laica). Sul piano teorico questa complessità è giustificata dal fatto che nel pensiero di Giordano Bruno confluiscono , o come oggetto di polemica o come elementi costitutivi, tutte le espressioni della filosofia cinquecentesca; ma anche gli obiettivi che la riflessione filosofica di Bruno si proponeva erano molto vasti: l’elaborazione di una nuova concezione dell’universo in sintonia con i risultati della ricerca scientifica, in particolare con le teorie copernicane, e l’elaborazione di un nuova concezione dell’uomo in grado di rinnovare la vita sociale e morale della civiltà europea. In effetti il programma di Bruno non si limita a proporre un mutamento del modo di concepire il mondo fisico e la ricerca scientifica, ma propone

I motivi delle ________________________ ___________________________________ 1 - ________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________ B - ________________________________

una riforma complessiva della filosofia e della vita civile europea, nella seconda metà del Cinquecento, dilaniata dalle guerre di religione. Sul piano cosmologico-metafisico, la critica di Bruno all'aristotelismo mette capo alla visione di un mondo infinito, popolato di infiniti enti nei quali si esplica l’infinita potenza produttiva di un'unica sostanza: la materia-vita. Sul piano etico politico Bruno si presenta come portatore di una radicale riforma anticristiana

della società europea. Alla passività e alla rassegnazione, cui il cristianesimo consegna i credenti, la riforma di Bruno vuole sostituire un'umanità nuova, fiduciosa delle proprie risorse intellettuali e tecniche. La nuova concezione della natura elaborata da Bruno si fonda su un duplice modo di intendere Dio. Dio può venir pensato, secondo Bruno, innanzitutto come mente al di sopra di tutto quindi fuori dal cosmo, ma, in quanto trascendente, Dio è allora

LA NUOVA CONCEZIONE DELLA NATURA

La complessità __________________________________ 1 - _________________________________________________________________________________________________________ 2 - ________________________________: a - _____________________________________________: ____________________________________________________ ____________________________________________________ b - _____________________________________________: ____________________________________________________ passività ctr ______________________

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inconoscibile; infatti, come da una statua non è possibile risalire all’autore, così dall’universo, creato da Dio, non si può arrivare a conoscere Dio. Dio perciò può essere solo oggetto di fede, conoscibile attraverso la rivelazione. Dio può, inoltre, essere pensato come mente presente in tutte le cose, immanente e quindi conoscibile tramite la ragione. Nonostante questa ed altre concessioni alla tradizionale trascendenza divina, rintracciabili nelle suo pensiero, appare innegabile che l’atteggiamento prevalente, e comunque quello che maggiormente si connette con il resto del suo pensiero, sia la propensione, tipica del Rinascimento, a vedere il divino nel mondo. Da questo punto di vista la teoria della duplice natura divina, simultaneamente dentro e fuori dell’universo, appare come una sorta di “doppia verità”, volta a tentare una possibile conciliazione tra il proprio pensiero e le dottrine ufficiali della Chiesa. Durante le prime fasi del processo, infatti, lo stesso Bruno impostò la sua difesa su questa linea, che in seguito abbandonò. In quanto mente presente in tutte le cose, Dio ne rappresenta l’artefice interno, causa e principio di tutti i fenomeni naturali. In questo modo la negazione della trascendenza divina conduce all’identificazione tra Dio e natura che consente a Bruno di giustificare l’interpretazione magica della natura, tipica del Rinascimento. L’azione di Dio nel mondo è spiegata ricorrendo a concetti neoplatonici: Dio si rivela nel mondo come l’anima del mondo che plasma dal di dentro la materia, agendo come forza intrinseca alla materia. La sua azione è paragonata da Bruno al seme che dal suo interno caccia fuori le radici e il fusto, quali sue potenzialità interne. Su questa base Bruno costruisce la sua critica alla teoria aristotelica della separazione tra forma e materia; critica che investe soprattutto il concetto di materia intesa dall’aristotelismo come pura potenzialità. Bruno a questo proposito osserva che non si può considerare la materia come qualcosa di inesistente di per sé, pura potenzialità, altrimenti non si spiega la sua unione con la forma. Nella realtà in effetti, osserva ancora Bruno, non si può dare una materia senza forma, perché risulterebbe inesistente, né ha senso concepire una forma senza materia. Bruno elabora quindi il concetto di una materia-natura intesa come principio attivo, tensione interna, vera e propria energia produttrice, infatti forma e materia non sono due diverse sostanze ma piuttosto due aspetti di una unica sostanza che è la natura. La negazione della trascendenza della divinità e della separazione tra forma e materia comportano, in Bruno, l’accettazione di una visione animistica della natura che appare come un essere animato in ogni suo frammento, dal momento che l’anima del mondo trasforma tutta la materia in materia vivente. Questa sostanziale omogeneità qualitativa della natura, rivelata dalla presenza dell’anima del mondo ovunque, giustifica l’azione della magia; infatti l’uomo, in quanto elemento della natura, può inserirsi con la sua azione, volta a utilizzare le forze che animano la natura, all’interno dell’universale animazione. In questo modo l’uomo può utilizzare le forze che agiscono nella natura. La negazione della trascendenza di Dio rispetto alla natura si accompagna non solo a questa visione magico-animista ma anche, come vedremo, all’accettazione delle teorie copernicane, a cui Bruno non apporta alcun contributo scientifico (come farà invece Galileo), ma di cui sa cogliere le più importanti conseguenze sul piano filosofico. Dopo aver radicalmente mutato il rapporto tra Dio e il mondo, risolvendolo con l’identificazione di Dio con il mondo, la natura, Bruno può infatti costruire la sua nuova concezione dell’universo, attribuendo a quest’ultimo le stesse caratteristiche che la tradizione attribuiva alla divinità, in particolare l’infinità spazio-temporale.

La duplice concezione di ____________: 1 – come ___________________________ oggetto di ___________________ 2 – come ___________________________ oggetto ____________________________ come _____________________________ DIO COME ___________________________ ___________________________________ A - Negazione trascendenza divina: 1 - Identificazione ___ __________ = ___________________ Dio anima del _______________________ 2 - La rivalutazione della ______________ critiche ____________________________ Natura = ____________________ = ____ ______________________ B - ________________________________ L’animismo C - ________________________________ L’universo _________________________ (vedi pag. 81)

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La negazione della trascendenza di Dio e la sua identificazione con la natura è uno dei temi caratteristici della cultura rinascimentale, Bruno è però il più coerente nel trarne le conseguenze per ciò che riguarda la visione dell’uomo. La concezione dell’uomo di Bruno è strettamente legata alla sua nuova concezione dell’universo che lascia cadere qualsiasi ordine gerarchico, ogni distinzione tra materia e forma, universo e Dio. Queste considerazioni che sono valide per ogni organismo, sono naturalmente valide anche per la natura dell'uomo. Il genere umano non ha alcun privilegio metafisico rispetto ad altro vivente, è anch’esso un elemento della natura. Questo rifiuto dell’ordine gerarchico, frutto anch’esso della negazione della trascendenza della divinità, porta Bruno a rifiutare la concezione medioevale e a elaborare una nuova concezione antropologica naturalistica, ovvero che non fa ricorso a elementi o a forze di tipo trascendentale o metafisico. L’anima umana è principio di aggregazione, di movimento e di vita come in ogni altro essere e, individualizzata in ogni singolo uomo, non ha per sé il destino dell'immortalità: dato che sola immortale è l'anima del mondo che presiede alla vicissitudine del tutto. In ogni essere l'elemento «spirituale», o anima, entra a vivificare il corpo e il tipo di organismo vivente che esce da questo connubio deriva dal tipo di corpo che è l'oggetto di questa azione. Gli istinti di ogni animale derivano dall'animazione che lo «spirito» può conferire al sistema organico di quella struttura corporea. Nel caso dell'uomo ci troviamo di fronte ad un vivente dotato di uno strumento eccezionale - le mani - e quindi l'intelligenza che lo anima, unendosi a questo strumento, dà luogo ad un organismo che é in grado di lavorare e quindi di produrre «meravigliose invenzioni». Mani ed intelletto costituiscono dunque l'elemento specifico che individua la specie umana di fronte alle altre. Come ciò che distingue l’uomo non è il possesso di un’anima speciale, ma una determinata struttura corporea, così allo stesso modo all’uomo non è riconosciuto alcun destino certo o privilegiato (tipo la vita eterna). L’uomo è «gettato» nel contesto naturale, perché questa è la condizione di ogni altro vivente, e non c'è alcun luogo nel cosmo che sia tipicamente suo. Tuttavia l'uomo è un vivente che è in grado di provocare la diversità e l'artificio. L'intelletto e le mani sono la dotazione di un essere che può creare nel cosmo uno «spazio umano». E d'altro canto l'artificio, l'invenzione, le istituzioni non sono scopi che l'uomo può evadere, dato che essi sono tipici della sua natura. Ogni essere è dotato di un desiderio di permanenza che lo impegna nella sua relazione con l'ambiente. Così l'uomo, obbedendo a questa tensione che è tipica di ogni vivente, si costruisce un suo mondo artificiale(la società, l’economia, lo stato, ...), diverso da quello naturale che gli consente di raggiungere meglio i sui scopi. Questo mondo artificiale costituisce l’unico spazio del cosmo destinato in modo privilegiato all’uomo, ma esso è una costruzione artificiale, frutto del lavoro dell’uomo. Tale mondo si costruisce attraverso sedimentazioni, perfezionamenti e accumuli successivi poiché l’uomo può riconoscersi nei risultati conseguiti dal proprio genere. D’altronde la superiorità dell'uomo risiede proprio in ciò che esso è divenuto, nel mondo artificiale che si è saputo creare, in ciò che egli è diventato grazie alla sua struttura corporea. La diversità e l’artificiosità del mondo umano non implicano però alcuna frattura tra natura e civiltà, dal momento che la civiltà si presenta come il frutto delle strutture corporali dell’uomo e dell’intelligenza di cui è naturalmente dotato. Ritenendo che la civiltà costituisca una realizzazione del genere umano, e sottolineando il suo legame col passato, Bruno si avvicina al concetto di storicità della civiltà e di progresso (un’altra delle intuizioni bruniane che ne sottolineano la modernità). In Bruno questa concezione non comporta ancora l’abbandono della tradizionale concezione ciclica della storia (nascita-fioritura-decadenza delle civiltà). Ciclicità della storia che però in Bruno non implica il semplice ripetersi

D - LA NUOVA CONCEZIONE DELL'UOMO

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di situazioni precedenti, proprio perché l’uomo ha in sé la capacità promuovere e di accrescere la civiltà. All’ interno del mondo artificiale che l’ uomo si costruisce, e che in definitiva si identifica con la civiltà e la società, trovano posto le leggi e le istituzioni, anch’esse create dall’ uomo. Istituzioni e leggi che, in quanto creazioni dell’uomo, non possono che trovare il loro fine nella conservazione della convivenza umana e nell’incremento del bene comune. Proprio perché ciò che è bene e ciò che è male dipende dall’essere o meno conveniente alla conservazione della convivenza, l’azione morale perde qualsiasi carattere interiore; un’azione è giusta in quanto i suoi effetti sociali sono buoni,

cioè favoriscano la convivenza e la tolleranza. Da questo punto di vista l’etica è innanzitutto, per Bruno, l’esercizio politico che deve regolare la comunità umana affinché ne venga incrementato al massimo grado il bene comune. Occorre anche sottolineare come Bruno, nei suoi continui spostamenti per l’Europa, si impegnasse concretamente nel dibattito politico; in particolare egli appare, in Francia, molto vicino al cosiddetto “partito dei politici” che teorizzava la necessità di un’autorità centrale forte in grado di opporsi ai particolarismi e al fanatismo religioso. Il suo soggiorno a Londra è da considerarsi, secondo alcuni storici, come il tentativo voluto da questo ambiente, e appoggiato dal re francese Enrico III, di favorire anche in Inghilterra la formazione di una corrente politica moderata che avrebbe dovuto portare a un’alleanza fra le due nazioni. Il fallimento di questo disegno fu la causa dell’abbandono da parte di Bruno di Londra e, in seguito, della stessa Francia.

Universo non ___________________ Dio = ________________ e non Dio ________________ _____________________ = senza privilegi anima = _________________________________ _________________________________

presupposti Uomo = 1 - elemento ________________________________

2 - nessun destino privilegiato – nessun _______________________ Uomo = anima + corpo � _____________________________ + _____________________________ = “meravigliose __________________” Il destino dell’uomo dipende ____________________________ con __________________________

concezione __________ � l’uomo crea __________________________________________________________________

(___________________________________________________________)

Storia � ______________________________________________________________________________________

atropo- logica _____________________________________________________________________________________

___________ � leggi e istituzioni regolano _________________________________________________________________

sono creazioni ____________________ fine = _____________________________________________

___________ � valutano le azioni in base a _______________________________ bene = ___________________________ male = ____________________________

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La giustificazione naturalistica e quindi laica dell’uomo, della società, della civiltà, della storia, della politica e della morale rappresenta un’intuizione che non verrà colta all’epoca di Bruno, ma sarà ripresa sola dalla cultura contemporanea. Ad esempio, la concezione dell’uomo come caratterizzata dalla sua struttura fisica è condivisa dall’antropologia culturale moderna, come nel nostro senso comune è presente anche l’idea della società come frutto del lavoro dell’uomo. L’idea della civiltà e della storia come un accumulo di progresso verrà riconosciuta solo a partire dall’Ottocento ad opera di Hegel, Marx e Positivisti. Bruno è perfettamente cosciente del contrasto fra la sua concezione e quella del cristianesimo sia cattolico che protestante; ai suoi occhi i valori affermati dal cristianesimo appaiono opposti a quelli propri dell’umanità. L'operosità intellettuale e manuale è ciò che rende umana la vita dell'uomo; che, anzi, gli permette di "indiarsi", di farsi egli stesso Dio, in quanto coartefice della realtà, poiché autore del mondo umano. L'operosità è dunque la virtù umana per eccellenza e l'ozio con la rassegnazione sono i vizi più gravi, che fanno rassomigliare l'uomo ai bruti. All’opposto con l'affermazione del cristianesimo ha avuto avvio un processo degenerativo, le cui radici affondano nella predicazione di Cristo e, soprattutto, di Paolo di Tarso. I fondatori della civiltà cristiana, infatti, predicando l'ascolto passivo e obbediente della Parola, l'umiltà, la rassegnazione, hanno avviato un ciclo storico in cui l'operosità intellettuale e manuale dell'uomo, invece di essere esaltata, è divenuta oggetto di spregio. L’elogio dell’ascolto passivo, la valorizzazione dell’orecchio, contrapposto alla mano quale simbolo della operosità, costituiscono ciò che Bruno indica polemicamente come la “santa asinità”, ovvero il modello antropologico dell’uomo cristiano. Nel Protestantesimo Bruno vede l’epilogo della passività imposta dal cristianesimo. Infatti, Lutero negando il libero arbitrio e conseguentemente il valore delle opere nella conquista della salvezza e attaccandosi al significato letterale delle Scritture, non fa che esaltare al suo massimo grado l’atteggiamento passivo che caratterizza l’intero cristianesimo. Al cristianesimo, “cattiva” religione, Bruno oppone una religione “buona” che non pretende la rinuncia a quanto di più proprio ha l’uomo, ma anzi valorizza la sua naturale operosità. In alcuni testi Bruno identifica tale religione in quella degli antichi egizi così come è stata tramandata, secondo lui, dai testi dell’ermetismo. D’altra parte Bruno appare convinto che tutte le religioni rivelate abbiano la loro ragione d’essere in quanto costituiscono una guida morale ai popoli rozzi e ignoranti. Ai pochi, e cioè ai filosofi, che riescono a guidarsi secondo ragione è destinata invece una religione puramente naturale, ovvero non positiva, senza testi scritti e organizzazioni gerarchiche. Questa religiosità si concretizza in un atteggiamento interiore che Bruno definisce di eroico furore. Si tratta di una forza interiore che spinge l’ uomo a liberarsi dalla passività, dalla supina accettazione di “essere una cosa nel mondo”, dalla “santa asinità” per conquistare la piena consapevolezza di se stesso e delle sue capacità. Il raggiungimento di questa consapevolezza non è il risultato di un pacato ragionamento, ma è il frutto di un’avventura estrema dell’intelligenza, non di un suo uso equilibrato (in questo senso Bruno usa il termine furioso, ovvero folle). È, inoltre, un’avventura eroica nel senso etimologico della parola, cioè amorosa, poiché coinvolge l’ intera personalità dell’ uomo intelletto e volontà, ragione e passione. La consapevolezza che viene raggiunta con l’eroico furore è innanzitutto un prendere coscienza che essendo una parte del tutto l’uomo è egli stesso una divinità, in quanto la capacità di conoscere e di operare sono poteri divini. La forza che spinge l’uomo in questa avventura, in questa impresa conoscitiva è, non la grazia divina, ma appunto l’eroico furore, una forza interiore che trova in se stessa la sua giustificazione non avendo alcun bisogno di un premio finale.

LA POLEMICA CONTRO IL _______________ __________________________________ (mano) farsi Dio perché ____________________ ____________________ vs __________________________________ (_________________________) ascolto passivo, ___________________ e _____________________________ Protestantesimo epilogo della ___________ perché: 1 - ________________________________ 2 - ________________________________ La funzione delle ____________________ ________________________________ La religione _________________________ Eroico _____________________ vs _________________________________ Eroico ______________________ vs _________________________________

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Il concetto di eroico furore appare perfettamente coerente con l’etica attivistica di Bruno: in quanto slancio eroico esso è il culmine dell’attivo operare dell’uomo; in quanto immedesimazione in Dio, è spinta ad operare come Dio. 4 – LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA 4.1 Un’interpretazione della rivoluzione scientifica: il cambiamento di paradigma 4.2 Il vecchio paradigma: l’universo aristotelico-tolemaico 4.3 Il nuovo paradigma: l’universo di Copernico e Bruno 4.4 L’interpretazione di Freud della rivoluzione copernicana Fino alla prima metà del ‘900 è stata predominante la concezione della scienza come un sapere cumulativo, che cresce in modo lineare, senza grosse fratture, in quanto la scienza scopre una verità valida per sempre, fondata esclusivamente su principi razionali dimostrabili e verificabili. Questa concezione è stata oggetto della critica epistemologica della seconda metà del ‘900, quando si è venuta affermando l’idea che l’evoluzione della scienza non è solo determinata da nuove dimostrazioni ed esperimenti, ma dipende anche da altri fattori. Nel 1962 l’epistemologo e storico della scienza T. Kuhn pubblicò “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” in cui sosteneva che la verità scientifica ha basi consensuali e convenzionali, subendo il condizionamento di fattori sociali. Kuhn ha cercato di dimostrare le sue teorie analizzando la rivoluzione astronomica copernicana del Cinquecento e l’introduzione delle teorie di Einstein all’inizio del ‘900 come momenti di cambiamento delle convinzioni precedenti. Secondo Kuhn la scienza è determinata dai comportamenti che vengono adattati dai gruppi di ricercatori, visti come un gruppo sociale che agisce sulla base di un determinato paradigma. Il paradigma è, per Kuhn, ciò che indica il modello interpretativo dei fenomeni che la comunità degli scienziati accetta come scientifico e sulla cui base conduce la propria attività. Se, ad esempio, Galileo avesse continuato a credere nel modello di universo proposto dalla scienza del suo tempo, cioè quello aristotelico-tolemaico, non avrebbe mai visto nelle macchie lunari delle montagne, evidenziando così il fatto che Terra e Luna si somigliassero. La scienza che accetta un determinato paradigma è detta ‘scienza normale’, ed ha successo nella misura in cui riesce a risolvere i problemi che si pone all’interno del paradigma. La comparsa di anomalie, problemi irrisolvibili, provoca un periodo di crisi che sfocia in una rivoluzione scientifica. Durante questa rivoluzione avviene una rottura nell’evoluzione della scienza che porta all’affermazione di un nuovo paradigma. L’esistenza di anomalie porta gli scienziati a riconoscere che la natura viola le loro aspettative, basate sul paradigma da essi accettato. È necessario quindi elaborare un nuovo paradigma che faccia divenire spiegabile e normale ciò che nel vecchio non lo era. La rivoluzione astronomica può essere vista come una rivoluzione che ha imposto un nuovo paradigma, elaborato da scienziati quali Copernico, Keplero, Galilei e da filosofi quali, ad esempio, Giordano Bruno. Questa rivoluzione costituisce una rivoluzione non solo dal punto di vista strettamente astronomico, ma ha cambiato

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA UN’INTERPRETAZIONE DELLA RIVOLUZIONE

SCIENTIFICA: IL CAMBIAMENTO DI

PARADIGMA La rivoluzione ______________________ come ______________________________

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in modo radicale la concezione dell’universo, mettendo in crisi le convinzioni filosofiche e teologiche. Per questo è considerato uno dei momenti chiave del

passaggio dal Medioevo all’età moderna. Il cambiamento di paradigma è stato descritto come il passaggio da una concezione dell’universo chiuso e finito a una concezione che lo vede invece aperto e infinito. Il vecchio paradigma era costituito dalla concezione aristotelico-tolemaica, elaborata da Tolomeo (II sec d. c.) sulla base delle teorie di Aristotele e rafforzata dalla sua sostanziale concordia con la visione cristiana. L’universo veniva concepito come unico, finito, fatto di sfere concentriche, geocentrico, e diviso in due parti qualitativamente diverse. L’universo era unico, cioè il solo esistente, sulla base della teoria aristotelica dei luoghi naturali, per cui ciascuna cosa dell’universo aveva un suo posto dove risiedere. Non vi potevano perciò essere più mondi, perché vi sarebbero stati più luoghi per le cose. L’universo era chiuso, una sfera circondata dal cielo delle stelle fisse. Era inoltre finito, proprio perché racchiuso nella sfera. L’universo era costituito da sfere concentriche, intese come qualcosa di tangibile a cui erano appiccicati i pianeti. Al centro della sfera vi era la terra. Infine, l’universo era considerato qualitativamente distinto in due parti: una perfetta, cioè i cieli e le sfere concentriche, il mondo sopralunare, e una imperfetta, la terra. Il mondo sopralunare era costituito da etere, indistruttibile ed eterno, a cui era contrapposta le terra come luogo della corruzione. L’unico suo movimento era quello circolare considerato come perfetto perché privo di principio e di fine. Questo modello era condiviso dagli scienziati, in quanto conforme al senso comune, cioè alla percezione che abbiamo del movimento degli astri, e alla mentalità filosofica, che era portata a pensare all’universo come qualcosa di gerarchico, disposto verso uno scopo, un fine. Infine, questa concezione si sposava con quella cristiana, in quanto confermava quanto scritto nelle sacre scritture, ed era consona alla sua visione del mondo in quanto dava all’uomo e alla terra un ruolo centrale nell’universo e rispettava l’idea della creazione della rivelazione e della redenzione.

dall’universo _______________________ all’universo _________________________

IL VECCHIO PARADIGMA: L’UNIVERSO

ARISTOTELICO-TOLEMAICO 1 - ________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________ 4 - ________________________________ 5 - ________________________________ 6 - ________________________________ 7 - ________________________________ accettato perché conforme a : a – _______________________________ b - _______________________________ c - ________________________________ 1- _______________________________ 2 - _______________________________

L’EVOLUZIONE DELLA SCIENZA visione tradizionale: scienza = sapere _____________________ che cresce per _______________________________________ visione novecentesca: l’importanza __________________________________________________________ T. Khun: l’importanza ______________________________________________________________ Tesi___________ = _________________________________________________________________________________________ Concetti: 1 – __________________ : ___________________________________________________________________________ 2 - ____________________:___________________________________________________________________________ 3 - ____________________:___________________________________________________________________________ 4 -_____________________:___________________________________________________________________________

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Copernico propose per la prima volta non tanto un intero nuovo paradigma, ma la sua tesi principale. Un paradigma, infatti, non si propone inizialmente come una visione completamente diversa, ma conservava ancora legami con il vecchio paradigma. La sua completa affermazione finirà col rompere anche questi legami, quando cioè verranno esplicate tutte le potenzialità contenute nell’ipotesi centrale del nuovo paradigma. Copernico riteneva che la dottrina tolemaica fosse errata in quanto troppo complessa. Si mise perciò alla ricerca di ipotesi alternative, scoprendo nei testi antichi la tesi eliocentrica. Egli fece propria questa ipotesi in quanto si persuase che essa avrebbe comportato una notevole semplificazione nel calcolo matematico del movimento degli astri, pur non potendola dimostrare. Su queste basi Copernico propose un nuovo modello dell’universo, non più geocentrico ma eliocentrico. Attorno al sole giravano i pianeti, inclusa la Terra, ciascun pianeta girava su se stesso, dando l’illusione del moto apparente del Sole. Accanto a queste novità, Copernico conservò alcune idee del vecchio paradigma, legate alle caratteristiche dell’universo e al tipo di spiegazione. Così, ad esempio, Copernico concepisce ancora l’universo come sferico, chiuso e unico. Anche alcune spiegazioni che utilizza per giustificare la sua tesi sono simili a quelli che venivano utilizzate per giustificare il vecchio paradigma. Ad esempio, il Sole deve stare al centro dell’universo perché è stato creato per l’uomo, oppure il movimento dei pianeti è circolare anche per Copernico perché questo è il moto perfetto. Infine, Copernico rimane legato alla concezione della divisione in due parti, una migliore e una peggiore. La scientificità del sistema proposto da Copernico richiese invece l’abbandono dell’idea che l’universo fosse perfetto. Fu Keplero che, ipotizzando orbite ellittiche e non circolari, abbandonò definitivamente quest’idea di perfezione. Nonostante Copernico non abbandoni del tutto il vecchio paradigma e nonostante la sua teoria fosse stata presentata da un teologo protestante, che scrisse la prefazione al suo libro, come una pura ipotesi matematica, e non tanto come un modello realistico, le sue teorie vennero fortemente osteggiate dall’ambiente culturale e scientifico, fortemente impregnato di aristotelismo. Le teorie copernicane erano scientificamente limitate; questi limiti erano rappresentati dal fatto che, dal punto di vista matematico, esse erano ancora più complesse del modello precedente. Inoltre, questa nuova ipotesi si scontrava con problemi di fisica che la scienza non era ancora in grado di risolvere, che diventavano altrettanti motivi di rifiuto da parte degli oppositori. Essi si chiedevano come poteva la rotazione terrestre non provocare il lancio di ciò che la ricopre (per forza centrifuga), oppure come mai, se la terra ruota verso est, un sasso lanciato da una torre non cade un po’ più a ovest della terra A molti di questi problemi darà una risposta Galilei, così, ad esempio, la sua scoperta del pianeta Urano comportò una semplificazione del calcolo delle orbite planetarie. I limiti scientifici sollevati dimostrano come l’accettazione di un paradigma da parte di una comunità scientifica non si basa solo sulla scientificità dello stesso. La scientificità si afferma allora anche in base a fattori extra scientifici. Tra questi fattori ha un ruolo importante la committenza sociale. Perché una teoria si affermi occorre che esista una classe sociale disposta ad accettarla, cioè che sia legata agli interessi e alla visione della vita di un gruppo sociale. Nel ‘500 questo gruppo disposto a far proprie le nuove teorie era la borghesia mercantile, in quanto queste risultavano coerenti a un atteggiamento più laico e meno religioso. L’accettazione di una teoria avviene ancora prima della sua completa dimostrazione e impegna la comunità scientifica a ricercare i dati che la confermano. Lo scienziato incomincia a vedere ciò che il vecchio paradigma gli

LA FORMAZIONE DEL NUOVO PARADIGMA:

DA COPERNICO A GALILEI 1 – COPERNICO La tesi _____________________________ __________________________________: il modello __________________________ I legami ____________________________ a- ________________________________ - universo ________________________ - _______________________________ b - _______________________________ 2 - ________________________ Le orbite _________________________ e l’abbandono ________________________ ___________________________________ I limiti del nuovo paradigma: a - ________________________________ b - ________________________________ L’accettazione del ___________________ e i _______________________________ la ________________________________

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precludeva . Ne è un esempio ancora una volta la scoperta di Urano, ricercato per confermare l’ipotesi copernicana. Alla conferma scientifica delle nuove teorie diedero un importante contributo Galileo, Keplero e Newton. Oltre agli ostacoli scientifici, la teoria copernicana era osteggiata dalle convinzioni religiose e filosofiche dominanti. La teoria copernicana infatti, contraddiceva la Bibbia, che presupponeva un sistema geocentrico , e una serie di credenze condivise dal Cristianesimo, quali ad esempio l’ascensione. I protestanti, più legati alla lettura testuale delle sacre scritture, reagirono immediatamente e le condannarono (fu Lutero stesso a farlo). La chiesa cattolica inizialmente non prese posizioni e il libro di Copernico fu messo all‘indice solo all’inizio del ‘600. Nella condanna dei cattolici ebbero un peso predominante le conclusioni radicali che Bruno trasse dal paradigma copernicano. Bruno è stato colui che sul piano filosofico ha rotto i legami con il vecchio paradigma . Egli abbandonò la convinzione che il sistema solare fosse l’unico a costituire l’universo, chiuso e finito. Bruno accettò il sistema copernicano traendone alcune conclusioni, non tanto sulla base di dati, ma di dimostrazioni logiche, il suo è quindi un atteggiamento pre-scientifico. Lo schema generale del suo ragionamento è marcatamente teologico e si fonda su questo modello: siccome il mondo ha come sua causa un essere infinito, non può che essere a sua volta infinito, in quanto solo in questo modo è degno del suo creatore. Bruno abbatte i limiti dell’ universo. Egli sostiene che gli uomini, vivendo in città cinte di mura, hanno immaginato che anche l’universo fosse chiuso. L’universo contiene una moltitudine di sistemi solari, alcuni di questi mondi sono migliori del nostro e alti peggiori. Esiste un’unica struttura, uguale per il cielo e la terra . Dal momento che l’universo intero deriva da un’unica mente, non è possibile che vi sia una discriminazione gerarchica tra le diverse parti di esso. Proprio perché l’universo ha un’unica struttura, e lo spazio deve essere considerato omogeneo, è possibile applicare ad esso le stesse regole geometriche. Queste caratteristiche sono riassumibili e sostenute dalla tesi per cui l’universo è infinito. Proprio perché infinito , agli occhi di Bruno, esso è anche divino, per cui Dio viene identificato con l’universo, secondo una teoria tipica del Rinascimento. Sulle basi dell‘ipotesi copernicana e delle intuizioni di Bruno la scienza ha costruito una visione dell’ universo che è stata quella predominante fino al ‘900. Il sistema solare è solo uno fra i miliardi di sistemi che compongono la nostra galassia (la via lattea) che a sua volta è una fra i miliardi di galassie. All’ ipotesi che possano esistere altri mondi abitati non si è ancora data risposta. Nel corso del ‘900 la scienza ha abbandonato l’ idea che l’ universo sia infinito, e sulla base delle teorie della relatività le più recenti ipotesi sono tornate a riproporre un universo finito. Infatti, per la cosmologia contemporanea la materia generata dal big bang si incurverebbe su se stessa in un’implosione , per cui il mondo sarebbe finito e rappresentabile come una sfera illimitatamente percorribile. Freud , il fondatore della psicoanalisi , il ramo della psicologia che ha avuto i più importanti effetti sulla cultura del ‘900, ha interpretato lo sviluppo della cultura moderna come un processo di perdita del narcisismo umano. Il narcisismo costituisce l’atteggiamento di un individuo che si innamora di se stesso. Sul piano culturale il narcisismo si esprime, ad esempio, nella supposta centralità dell’uomo di chi lo vede come l’oggetto principale del creato. Secondo Freud le teorie copernicane hanno iniziato il processo di distruzione del narcisismo culturale togliendo l’illusione che alla terra fosse riservato il posto centrale dell’universo. La cultura dell’ Ottocento avrebbe fatto compiere altri due importanti passi di questo processo, rappresentanti dall’opera di Darwin e Marx.

L’accettazione del ___________________ e _________________________________ Religione e _______________________ come scontro di ____________________ 3 - ______________________ L’abbandono dell’idea ________________ ___________________________________ L’atteggiamento non _________________ di Bruno Un universo ______________________ e _________________________________ Dall’universo _______________________ all’universo che _____________________ __________________________________ 4 – GALILEO GALILEI (vedi lettura n 10)

L’INTERPRETAZIONE DI FREUD DELLA

RIVOLUZIONE COPERNICANA Cultura moderna = ___________________ ___________________________________ 1 – Copernico abbandono della convinzione che ______ ___________________________________ 2 – ________________ abbandono della convinzione che ______ ___________________________________

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Darwin ha infatti distrutto la convinzione che vi sia una differenza fondamentale fra l’uomo e gli animali. Marx ha invece distrutto la convinzione che la storia dell’uomo è determinata dalla volontà dell’uomo e/o da forze ideali, sostenendo che essa è determinata dalle condizioni economiche e sociali. L’ultimo passaggio del processo di perdita del narcisismo è costituito dall’opera di Freud stesso, che ha distrutto la convinzione che il comportamento umano sia determinato da forze razionali, dimostrando come esso sia retto da fattori inconsci.

3 – ______________________ abbandono della convinzione che ______ ___________________________________ 4– ________________________ abbandono della convinzione che ______ ___________________________________

Vita e opere: Paracelso Philippus Aurelius Teophrastus Bombastus von Hoenheim nacque in Svizzera nel 1493, medico ed alchimista, dotato di una forte personalità. La sua vita fu estremamente movimentata, ma difficile da ricostruire perché notoriamente Paracelso abbellì la sua biografia di particolari inventati e avventurosi. Secondo quanto lui dice dopo aver lavorato nelle miniere in Germania e in Ungheria, dove apprese i segreti dei metalli, intraprese lunghi vagabondaggi che lo portarono in Italia, soggiornando a Torino e poi in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Svezia, in Polonia, in Transilvania; mete plausibili, mentre è molto meno probabile che, come egli stesso dice, sia stato in India e in Cina. Molto importante fu per lui l'esperienza di medico militare, prima durante la guerra veneziana, più tardi in Danimarca e in Svezia. Tornato in Germania, la sua fama aumentò rapidamente, tanto che gli fu offerta la cattedra di medicina all'università di Basilea. Paracelso, nello stesso anno, fece bruciare pubblicamente dai suoi studenti i testi di Galeno ed Avicenna, bollandoli come ignoranti in materia medica, e sostenendo che ognuno possiede dentro di sé le doti necessarie per esplorare il mondo. La sua opposizione aperta sia alla medicina tradizionale sia alla nuova medicina nata tra Italia e Francia e la sua indole polemica lo portarono a perdere il lavoro fisso di insegnante presso l'Università di Basilea. Lasciò la città nel gennaio del 1528. Dopo aver passato i restanti anni della sua vita a vagare di città in città, morì a Salisburgo il 24 settembre 1541. Giordano Bruno Intorno ai quindici anni Filippo Bruno (1548-1600) entra nell'ordine dei domenicani assumendo il nome di Giordano. Ha inizio allora una multiforme esperienza di vita che fa di Bruno una personalità dalle molte facce: il frate ribelle, il filosofo che, rompendo con la tradizione, abbraccia entusiasta le nuove teorie astronomiche e teorizza la pluralità dei mondi, il mago e il sapiente legato alla tradizione ermetica, il riformatore politico, l'eretico e il martire dell'Inquisizione. I contrasti con le autorità religiose compaiono già nel periodo di noviziato, quando il giovane Bruno viene denunciato all'Inquisizione dal suo superiore per avere tolto dalla cella le immagini dei santi conservando solo il crocifisso. I dubbi su alcune verità della religione cristiana — la Trinità e l'Incarnazione — lo mettono in aperto contrasto con l'ambiente ecclesiastico; nel 1576, sospettato di eresia, abbandona l'ordine e fugge nell'Italia settentrionale. Da lì comincia un lungo vagabondaggio attraverso l'Europa: Si reca a Ginevra, dove per breve tempo aderisce al calvinismo, quindi a Tolosa e a Parigi, dove pubblica le sue prime opere, sull'arte della memoria e la commedia Il candelaio (1582). Da Parigi va in Inghilterra al seguito dell'ambasciatore francese, soggiorna a Londra e a Oxford, dove insegna. A Londra viene introdotto a corte, conosce la regina Elisabetta I, forse svolge attività di informatore al servizio del suo governo. Ritornato a Parigi, è costretto a trasferirsi nelle terre del l'Impero per l'ostilità degli ambienti universitari di tradizione aristotelica, da lui pubblicamente attaccati. Insegna a Marburgo, a Wittenberg (la città di Lutero), a Praga, Francoforte, dove porta a termine i poemi latini (15901591). In Germania si occupa di astrologia, approfondisce gli studi sulla magia e sull'arte della memoria, pubblicando su questi argomenti alcuni scritti in cui indaga sul rapporto fra l'uomo e i demoni e sul ruolo dell'immaginazione come strumento utile per il dominio sulla natura. Dopo un soggiorno a Zurigo, rientra in Italia, accettando l'invito del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che vuole essere istruito da lui nelle arti magico-ermetiche. L'Italia è una terra pericolosa per chi non osserva l'ortodossia cattolica, a causa del controllo stringente esercitato dall'Inquisizione, ma nella Repubblica di Venezia, che conduce una politica culturale relativamente aperta, Bruno pensa di essere al sicuro. Anzi, come dichiarerà più tardi nel corso del processo, egli accetta l'invito di Mocenigo, intenzionato a riconciliarsi con la Chiesa, lasciandosi alle spalle la scomoda condizione di scomunicato. Ma nel 1592, denunciato all'Inquisizione per eresia dallo stesso Mocenigo, viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Venezia, dove rimane per circa nove mesi. Il processo, basato sulla sola denuncia del Mocenigo, sta per avviarsi verso l'assoluzione o una lieve condanna, quando interviene una richiesta dell'Inquisizione romana per trasferire il procedimento a Roma. Dopo avere in un primo tempo opposto rifiuto, Venezia consegna l'eretico all'Inquisizione romana, nelle cui carceri Bruno entra il 27 febbraio 1593. Ai ripetuti inviti a ritrattare la sua dottrina, egli risponde con un rifiuto; viene quindi condannato e arso vivo il 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori a Roma.

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10 - ABBAGNANO – FORNERO: GALILEO GALILEI E LA NASCITA DELLA

SCIENZA MODERNA

1. Vita e opere. 2. L'autonomia della scienza e il rifiuto del principio di autorità.

2.1 La polemica contro la Chiesa e i teologi. 2.2 la polemica contro gli aristotelici.

3. La distruzione della cosmologia aristotelico-tolemaica. 3.1. Le scoperte astronomiche ed «il funerale della scienza aristotelica». 3.2 Il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» e la difesa del

copernicanesimo. 3.3 La scoperta del cannocchiale e la difesa del suo valore scientifico.

4. Il metodo della scienza. 4.1- Le «sensate esperienze» e le «necessarie dimostrazioni» 4.2 Induzione e deduzione: il binomio indissolubile della scienza galileana

4.3. Esperienza e verifica. 4.4. Metodo galileiano e scienza antica.

5. Metodo e filosofia 5.1 Presupposti e giustificazioni filosofiche del metodo 5. 2 Il realismo di Galileo

1. Vita e opere. Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 Febbraio 1564, da genitori della media borghesia, che si trasferirono a Firenze nel 1574, dove Galileo compì i primi studi di letteratura e di logica. Nel 1581, per volere del padre, si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa. Ma per questo tipo di studi non mostrò alcun vero interesse e tornò a Firenze senza aver conseguito titoli accademici. Qui approfondì la matematica, sotto la guida di Ostilio Ricci, discepolo del celebre Tartaglia e cominciò a compiere osservazioni fisiche. Nel 1583 scoprì l'isocronismo delle oscil-lazioni pendolari. Negli anni seguenti giunse a formulare alcuni teoremi di geo-metria e di meccanica, che più tardi dette alla luce. Dallo studio di Archimede fu portato a scoprire la bilancetta per determinare il peso specifico dei corpi (1586). Intanto nel 1588 diede anche un saggio della propria cultura letteraria nelle due lezioni tenute all'Accademia fiorentina, Circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante e nelle Considerazioni sul Tasso, di poco posteriori. La sua cultura matematica gli procurò stima e simpatia e nel 1589 ottenne la cattedra di matematica dell'Università di Pisa. Rimase in questa città per tre anni, durante i quali scoprì fra l'altro la legge di caduta dei gravi. Nel 1592 passò ad insegnare matematica nell'Università di Padova dove trascorse 18 anni, che furono i più fecondi e felici della sua vita. Con la costruzione del cannocchiale (1609) si apre la serie delle grandi scoperte astronomiche, di cui diede l'entusiastico annuncio nel Sidereus nuncius {Ragguaglio astronomico) del 1610. Keplero riconobbe subito l'esattezza e l'importanza delle sue scoperte, che accrebbero enormemente la fama di Galileo e gli procurarono il posto, da lui ambito, di matematico dello studio di Pisa. Ma le scoperte astronomiche e le sue idee copernicane lo misero progressivamente in urto con gli aristotelici e con le gerarchie ecclesiastiche. Infatti Galileo, nel Febbraio del 1616, venne ammonito dal cardinale Bellarmino di professare la nuova astronomia. Pochi giorni dopo, il 3 Marzo, l'opera di Copernico venne messa all'indice.

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Nonostante la sconfitta, Galileo continuò i suoi studi e nel 1623, polemizzando con il padre gesuita Orazio Grassi, pubblicò il Saggiatore, dedicato a problemi relativi alle comete e, nello stesso tempo, ad importanti considerazioni di tipo metodologico. Frattanto continuò a lavorare al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano, incoraggiato anche dall'ascesa al pontificato del cardinale Barberini (Urbano VIII), che gli aveva sempre mostrato benevolenza. Il Dialogo fu stampato nel Febbraio del 1632. Ma già nel settembre Galilei veniva citato dal Papa a comparire dinanzi al S. Uffizio di Roma. Il processo durò sino al 22 Giugno 1633 e si concluse con l'abiura di Galilei. Il carcere a vita gli venne tramutato in confino, prima nel palazzo dell'arcivescovo di Siena, suo amico, e poi presso la sua villa di Arcetri, ove fu assistito amorosamente dalla figlia suor Maria Celeste. E nella solitudine di Arcetri scrisse quello che è forse il suo capolavoro scientifico: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (che sono la teoria della resistenza dei materiali e la dinamica), pubblicato in Olanda. L'8 Gennaio 1642 Galileo chiudeva per sempre i suoi occhi ormai ciechi che per primi, nella storia dell'umanità, avevano potuto contemplare sconosciute realtà celesti. 2. L'autonomia della scienza e il rifiuto del principio di autorità. Il primo risultato storicamente decisivo dell'opera di Galileo è la difesa dell'autonomia della scienza, cioè la salvaguardia dell'indipendenza del nuovo sapere da ogni ingerenza esterna. A differenza di altri dotti del tempo, che avevano scelto di non sfidare le autorità costituite, soprattutto ecclesiastiche, e che tenevano celate le loro scoperte o ne facevano partecipi solo i colleghi, e in modo strettamente tecnico, Galileo intuisce che la battaglia per la libertà della scienza era una necessità storica di primaria importanza, in cui ne andava del futuro stesso dell'umanità. Da ciò la sua lotta, che riguardò sostanzialmente due fronti: l'autorità religiosa, personificata dalla Chiesa, e l'autorità culturale, personificata dagli aristotelici.

2.1____________________________________________________ La Controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere in armonia con la Sacra Scrittura, nella precisa interpretazione che ne aveva fornito la Chiesa cattolica. Applicato alla nuova scienza, tale decreto poteva generare il problema se il credente dovesse accettare solo il messaggio religioso e morale della Bibbia oppure ogni affermazione scritturale. Il cardinal Bellarmino, gesuita e filosofo, consultore del S. Uffizio, sosteneva ad esempio, con la quasi totalità dei teologi, la seconda soluzione, convinto che il negare certi dati di fatto delle Scritture, pur non intac-cando i fondamenti della fede, invalidasse la verità della Bibbia, che essendo scritta sotto ispirazione dello Spirito Santo, non poteva che essere vera in tutte le sue affermazioni, « sarebbe heretico chi dicesse che Abramo non abbia havuti due figlioli e Iacob dodici, come chi dicesse che Christo non è nato di vergine, perché l’un e l'altro lo dice lo Spirito Santo per bocca de' Profeti ed Apostoli». Galileo, scienziato e uomo di fede, pensa invece che una posizione del genere avrebbe ostacolato il libero sviluppo del sapere e danneggiato la religione stessa, che, rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, avrebbe inevitabilmente finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti. Di conse-guenza, nelle cosiddette lettere copernicane (una inviata a don Benedetto Castelli, suo

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discepolo, nel 1613, due a monsignor Dini, nel 1615, e una a madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, sempre nel 1615), Galileo affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede, pervenendo al seguente schema di soluzione. La natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione) derivano entrambe da Dio, questa come «dettatura dello Spirito Santo», quella come osservatissima esecutrice de gli ordini di Dio» (Lettera a don Benedetto Castelli). Come tali, esse non possono oggettivamente contraddirsi fra di loro. Eventuali «contrasti fra verità scientifica e verità religiosa sono quindi soltanto apparenti (Galilei rifiuta esplicitamente la teoria della doppia verità) e vanno risolti rivedendo l'interpretazione della Bibbia. Operazione tanto più legittima, per Galilei, se si pensa: a) che le Scritture hanno dovuto « accomodarsi alla capacità de' popoli rozzi e indisciplinati» ed usare quindi un linguaggio antropomorfico e relativo alle cognizioni del «vulgo», mentre la Natura e le sue leggi seguono un corso inesorabile ed immutabile senza doversi piegare alle esigenze umane; b) che la Bibbia non contiene princìpi che riguardano le leggi di natura, ma verità che si riferiscono al destino ultimo dell'uomo, premendo ad essa d'insegnarci «come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo» (Lettera a Madama Cristina). In conclusione, se la Bibbia è arbitra nel campo etico-religioso, la scienza è arbitra nel campo delle verità naturali, in relazione alle quali non è la scienza che deve adattarsi alla Bibbia, ma l'interpretazione della Bibbia che deve adattarsi alla scienza. L'errore dei teologi consiste dunque nella pretesa che la Scrittura faccia testo anche riguardo alle conoscenze naturali, dimenticando che in questo campo «ella dovrebbe esser riserbata nell'ultimo luogo» (Lettera a don B. Castelli), e che, quando la Bibbia appare in contrasto con la scienza, essa va adeguatamente reinterpretata, andando al di là del «nudo senso delle parole». Si noti come la posizione galileiana, che inizialmente non poteva non apparire «eretica» e convergente con la tesi protestante del «libero esame», abbia finito per imporsi non solo alla cultura laica, ma alla Chiesa stessa, che con il tempo è pervenuta a riconoscere l'autonomia operativa della scienza nel campo delle conoscenze naturali, dimostrandosi eventualmente disposta (vedi la teoria dell'evoluzione) a reinterpretare la lettera dei testi biblici in conformità della scienza.

2.2 ____________________________________________________ Indipendente dall'autorità religiosa della Bibbia, la scienza deve esserlo al-trettanto nei confronti di quella culturale di Aristotele e dei sapienti del passato. Pur non essendo uno di quelli che si vogliono «lasciar infinocchiar da Aristotile» (Dialogo, in Opere, VII, 138), Galileo mostra grande stima per lui e per gli altri scienziati antichi, ritenendoli uomini amanti della verità e della ricerca. Il suo disprezzo colpisce piuttosto i loro infedeli discepoli, soprattutto gli aristotelici contemporanei, che anziché osservare direttamente la natura e conformare ad esse le loro opinioni, si limitano a consultare i testi delle biblioteche, vivendo in un astratto «mondo di carta» con la convinzione che «il mondo sta come scrisse Aristotele e non come vuole la natura». Agli occhi di Galileo gli aristotelici continuano a offrire il triste spettacolo di un dogmatismo antiscientifico che ostacola l’avanzamento del sapere ed inebetisce gli intelletti. Emblematico, a questo proposito, il racconto di uno dei personaggi del Dialogo, che avendo potuto osservare insieme ad altri, in casa di un medico, che in un cadavere umano i nervi partono dal cervello e non dal cuore, secondo quanto scrive Aristotele, ebbe occasione di sentir fare da «un gentil uomo ch'egli conosceva per filosofo aristotelico» un discorso di questo tipo: «Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotele non fusse in contrario, che

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apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera» 3. La distruzione della cosmologia aristotelico-tolemaica. Galileo aveva intuito la verità del copernicanesimo sin dall’inizio dei suoi studi. In seguito, grazie all’uso del telescopio, che gli permetteva di scrutare i vasti spazi del cielo con più acuta vista, egli pervenne a delle scoperte — comunicate nel Sidereus Nuncius (Ragguaglio astronomico) del 1610 — le quali rappresentano al tempo stesso la verifica empirica del copernicanesimo ed il colpo decisivo alla vecchia cosmologia, tutta fondata sul dualismo fra cieli e terra.

3.1. ________________________________________________________ Tradizionalmente si riteneva che la Luna, analogamente agli altri corpi celesti e a differenza della terra, fosse rivestita di una superficie «liscia e levigata». Invece, le osservazioni telescopiche di Galileo mostrano come molte delle macchie scure di essa, visibili ad occhio nudo, siano ombre proiettate dalle montagne lunari sotto effetto della luce del sole, come la superficie della Luna sia quindi «rugosa» ed ricoperta, allo stesso modo della terra, di prominenze, valli ed anfratti. Ovviamente, alla luce di queste scoperte, l'ipotesi escogitata dal gesuita Cristoforo Clavio - che per salvare la presunta «perfezione» dei cieli aveva supposto che la Luna fosse rivestita di una materia cristallina trasparente e sferoidale - appariva a Galileo soltanto uno scorretto sotterfugio di menti ormai costrette alla difensiva. Aristotele credeva che soltanto la terra, essendo immobile, fosse centro di moti astrali e che un corpo in movimento nello spazio non potesse costituire un nucleo di movimento per altri corpi. Invece, Galileo scopre i quattro satelliti di Giove, battezzati «pianeti medicei», che compivano attorno ad esso movimenti analoghi a quelli che la Luna compie attorno alla terra. Ma se Giove ruota insieme ai propri satelliti intorno al Sole, come suppone Copernico, nulla vieta di pensare, secondo Galileo, che anche la terra, con il suo satellite, possa ruotare intorno al Sole. La cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, essendo perfetti, fossero incorruttibili e non soggetti al divenire. Questo pregiudizio era già stato messo in dubbio dalla tarda Scolastica (Ockham) ed esplicitamente negato, su base teorica, da Cusano, Leonardo e Bruno. Ma è soltanto con Galileo che riceve il suo colpo di grazia su base sperimentale. Infatti, grazie all'uso del telescopio, lo scienziato toscano scoprì macchie oscure sulla superficie solare che si formavano e scomparivano, attestando l'esistenza di un processo di trasformazione in atto e dimostrando clamorosamente come anche i corpi celesti fossero soggetti a fenomeni di alterazione e mutamento. E poiché Galileo parlò subito — a ragione — di «funerali» della scienza aristotelica, i rappresentanti della cultura peripatetico-scolastica reagirono sdegnati. Vi fu chi si rifiutò di guardare al telescopio, ritenendolo strumento «diabolico» o deformante» delle immagini; chi disse di non vedere ciò che vedeva Galileo e chi, come il gesuita padre Cristoforo Scheiner, formulò l'ingegnosa ipotesi secondo cui le macchie non erano dovute al Sole, bensì al passaggio di altri corpi celesti davanti ad esso. Ma Galileo fece notare, contro Scheiner, che le macchie, nel loro apparire e scomparire, erano intermittenti, ed apparivano difformi fra di loro, per cui non potevano essere attribuite a passaggi regolari di astri. Nell'antichità e nel Medioevo si era sempre creduto che soltanto la terra fosse un corpo opaco, illuminato dal Sole e privo di luce propria. Invece la scoperta galileiana delle fasi di Venere, inducendo a pensare che tale astro ricevesse la luce

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girandovi attorno, offriva lo spunto per ritenere che tale spiegazione fosse valida anche per gli altri pianeti, «tenebrosi» per natura e illuminati esclusivamente dal Sole. Sempre grazie al telescopio, Galileo riuscì a scoprire che oltre le stelle fisse, visibili ad occhio nudo, esistevano innumerevoli altre stelle, mai scorte prima e che si «affollavano» davanti al mezzo d'osservazione. Inoltre, si rese conto che la galassia è nient'altro che una congerie di innumerevoli stelle disseminate a gruppi negli spazi e che le nebulose sono parimenti «greggi» di piccole stelle.

3.2 ______________________________________________________ Come si è accennato, nel 1632, durante il pontificato di Urbano VIII, che gli aveva mostrato sempre benevolenza, Galileo, fiducioso in un nuovo corso della Chiesa, pubblica quel capolavoro scientifico-letterario che è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui, dietro il pretesto di voler presentare imparzialmente i due maggiori modelli cosmologici della storia, espone in realtà argomenti decisivi a favore del copernicanesimo. Per presentare la teoria geocentrica Galileo sceglie Simplicio, un pedante dalla mentalità conservatrice e tradizionalista, attaccato al «senso comune» e all'«autorità» di Aristotele. Per difendere la teoria copernicana sceglie Salviati (un nobile fiorentino amico dello scienziato, storicamente esistito) che, invece, incarna l'intelligenza chiara, rigorosa ed anticonformista del nuovo scienziato. Nella parte di neutrale moderatore viene posto Sagredo (un nobile veneziano amico di Galileo, anche lui personaggio storicamente esistito), che rappresenta un tipo di personalità non oppressa dai pregiudizi e quindi tendenzialmente portata a simpatizzare con le dottrine recenti (come si vede, già dalla scelta dei personaggi risultano evidenti, al di là di ogni prudente tattica opportunista, le preferenze e gli scopi di Galileo). II Dialogo è diviso in quattro giornate, nella prima delle quali si pone sotto accusa la distinzione aristotelica fra il mondo celeste e quello terrestre, con argomenti tratti soprattutto dalle osservazioni astronomiche divulgate nel Sidereus Nuncius e dai suoi studi di meccanica dei movimenti. La seconda giornata, la più vivace, è dedicata alla confutazione degli argomenti tipici, antichi e moderni, contro il moto della terra. Contro chi sostiene ad esempio che la terra ruotando davvero su se stessa, solleverebbe un vento tale da trasportare tutti gli oggetti, Galileo, per bocca di Salviati, risponde che l'aria partecipa dello stesso movimento della terra e, quindi, in rapporto ad essa è ferma, come risulta fermo un individuo su di una nave in moto. Contro chi obbietta che se la terra si muovesse davvero da ovest ad est, le nuvole dovrebbero apparirci continuamente in moto da est ad ovest, oppure il volo degli uccelli non potrebbe tener dietro al veloce spostamento del nostro pianeta, Galileo risponde, per analogia, che l'aria partecipa del moto della terra, la quale «si come conduce seco le nuvole, così porta gli uccelli ed ogn'altra cosa che in essa si ritrovasse pendente: talché, quanto al seguir la Terra, gli uccelli non v'hanno a pensare, e per questo servizio potrebbero dormir sempre». Al noto argomento, uno dei prediletti dagli aristotelici, secondo cui, se la terra si muovesse davvero da ovest ad est, i gravi dovrebbero cadere obliquamente più verso ovest, essendosi la Terra nel frattempo spostata verso est, Galileo risponde affermando che il grave partecipa del moto da ovest verso est e quindi, muovendosi insieme alla Terra, cade perpendicolarmente. Tant'è vero che un sasso, lasciato cadere dalla cima dell'albero di una nave in movimento, si ferma ai piedi dell'albero, proprio come se la nave stesse ferma. Lo stesso avviene all'interno di quel sistema più vasto che è la Terra. Queste geniali contro-argomentazioni di Galileo, che oppongono il pensiero scientifico al «senso comune» e ai pregiudizi culturali del passato, si ispirano tutte al cosiddetto «principio della relatività galileiana», secondo cui risulta impossibile decidere, sulla base delle esperienze meccaniche compiute all'interno di un sistema «chiuso», cioè senza possibilità di riferirsi a qualcosa di esterno, se esso sia in quiete

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o in moto rettilineo uniforme. Questa legge, che anticipa la «relatività ristretta» di Einstein è presentata da Galileo in un brano famoso: «Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran naviglio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentro vi siano de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso; e stando ferma la nave, ... osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, ... fate muover la nave con quanta si voglia velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma... le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra di molti palmi... » . Pertanto, in base a questo principio di relatività, possiamo affermare che, in quel sistema quasi inerziale che è la Terra, l'aria circostante si muove insieme con la Terra stessa e i gravi cadono comportandosi, approssimativamente, come se essa fosse immobile. Nella terza giornata del Dialogo viene dimostrato il moto di rotazione della terra ed esaltata la concezione copernicana, capace, secondo Galileo, di fornire spiegazioni di fenomeni altrimenti inspiegabili e di chiarire con rigore e matematica «semplicità» problemi inutilmente complicati e sofisticati dal sistema tolemaico. Nella quarta giornata Galileo espone la sua dottrina delle maree.

3.3 ___________________________________________________ Il fatto che Galileo non avrebbe potuto rivoluzionare l'astronomia senza il cannocchiale è già di per sé una manifestazione dell'importanza assunta dagli strumenti d'osservazione nel corso della Rivoluzione scientifica ed una prova ulteriore della convergenza, da essa promossa, fra sapere e tecnica. Tali strumenti si rivelarono subito decisivi non solo per l'osservazione, ma anche per il «cimento» sperimentale, cioè per la possibilità di riprodurre il fenomeno studiato nelle condizioni volute. Ciò comportò un'esplicita attribuzione di valore conoscitivo nei loro confronti, affatto nuova per i tempi. Infatti, ciò che ai nostri occhi può apparire ovvio — lo strumento come aiuto per la scienza — non lo era affatto nell'epoca di Galileo, a causa di pregiudizi secolari. Di ciò risulta emblematica espressione la vicenda del cannocchiale. Nel Saggiatore Galileo scrive che venuto a conoscenza del fatto che un olandese aveva presentato un «occhiale» mediante cui «le cose lontane si vedevano così perfettamente come se fossero state molto vicine», aveva proceduto, grazie a deduzioni teoriche, a costruirne uno per proprio conto, all'inizio poco capace e poi così potente, rispetto alla vista naturale, da riuscire ad ottenere oltre trenta in-grandimenti lineari (che, in termini di superfici, forniscono immagini mille volte più grandi). La discussione sulla paternità storica del cannocchiale è tuttora aperta tra gli studiosi. Tuttavia, come ha fatto notare soprattutto Vasco Ronchi in una ricerca apposita, la grandezza di Galileo non consiste tanto nell'aver «costruito» il cannocchiale, ma nell’averlo usato scientificamente. Infatti, le lenti erano note fin dal XIII secolo o, forse, dal XII, tuttavia esse, come «l'occhiale» olandese di cui parla Galileo, erano state considerate semplicemente come fonti di divertimento o di piacevoli giochi di società da parte dei nobili di corte. Gli stessi navigatori e militari ne avevano fatto un uso limitato, mentre la cultura «ufficiale» li guardava con distacco, per l'inveterato pregiudizio contro gli «ordigni meccanici», oppure li condannava esplicitamente, ritenendoli fonti di illusioni ottiche. Molti teologi li consideravano «diabolici» sostituti degli occhi naturali creati da Dio. Da ciò il «rifiuto», da parte di alcuni dotti, di accostare i loro occhi al nuovo mezzo.

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Invece Galileo ebbe la genialità ed il coraggio di puntare il cannocchiale verso il cielo, trasformandolo così in telescopio, ossia in uno strumento primario del-l'osservazione astronomica e facendo, grazie ad esso, le sensazionali scoperte divulgate dal Sidereus Nuncius. Ma è proprio il diritto ad usare il cannocchiale come mezzo scientifico che gli sarà, tra l'altro, duramente contestato e che costituirà una delle ragioni di fondo della reciproca incomprensione fra lo scienziato da un lato e i teologi e gli aristotelici dall'altro. Come ci si poteva fidare più di Galileo e dei suoi strumenti che della Bibbia? Come si poteva «seppellire» la scienza astronomica di Aristotele sulla base di un discutibile congegno «meccanico»? 4. Il metodo della scienza. Un altro risultato storicamente decisivo dell'opera di Galileo — che fa di lui il padre della scienza moderna — è l'individuazione del metodo della fisica, ossia il procedimento che ha spalancato le porte ai maggiori progressi scientifici dell’umanità, da Newton ad Einstein e ai giorni nostri. Tuttavia, in Galileo, non vi è una teoria organica del metodo, analoga ad esempio a quella che Bacone svolgerà nel Novum Organum (Nuovo Organo), poiché egli, tutto preso dalle sue ricerche concrete di fisica ed astronomia, applica il metodo, più che teorizzarlo filosoficamente. Ciò nonostante, nelle sue opere si trovano disseminati qua e là, talune preziose osservazioni metodologiche e alcuni tentativi di sintetizzare il procedimento della scienza. Ad esempio nel Saggiatore, nel Dialogo e nei Discorsi, Galileo tende ad articolare il lavoro della scienza in due parti fondamentali: il momento «risolutivo» o analitico e quello «compositivo» o sintetico. Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici, quantitativi e misurabili, formulando un'ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo momento risiede nella verifica e nell'esperimento attraverso cui si tenta di comporre o riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo che se l'ipotesi supera la prova, risultando quindi veri-ficata (= fatta vera), essa venga accettata e formulata in termini di legge, mentre se non supera la prova risultando smentita o falsificata (= non verificata), venga sostituita da un’altra ipotesi. Questo schema, su cui si sono basate soprattutto le presentazioni tradizionali, pur descrivendo in modo formalmente corretto il procedimento della fisica sperimentale (osservazione dei fenomeni - misurazione matematica dei dati - ipotesi verifica - legge), appare un po' generico ed incapace di far comprendere le vie concrete e i modi originali seguiti da Galileo nelle sue scoperte. Di conseguenza, data l'importanza dell'argomento, risulta indispensabile scavare più a fondo.

4.1- ____________________________________________________ Nella lettera a Cristina di Lorena Galileo scrive: «Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbi» Questo passo, come tendono a riconoscere gli studi più recenti, è altamente significativo, poiché in esso Galileo ha racchiuso il cuore stesso del suo metodo e la strada effettivamente seguita nelle sue scoperte. Con l'espressione «sensate esperienze», che alla lettera significa «esperienze dei sensi», con primario riferimento alla vista, Galileo ha voluto evidenziare il momento osservativo-induttivo della scienza, preponderante in talune scoperte (come quelle relative ai corpi celesti). Infatti, in certi casi, la scienza galileiana,

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attraverso un'attenta ricognizione dei fatti e dei casi particolari induce, sulla base dell’osservazione, una legge generale (ad esempio quella relativa alle fasi di Venere) È questo il momento più comunemente noto del metodo scientifico, denominato appunto «sperimentale». Con l'espressione «necessarie dimostrazioni» Galileo ha voluto evidenziare il momento raziocinativo o ipotetico-deduttivo della scienza, preponderante in altre scoperte (ad esempio quella sul principio d'inerzia o sulla caduta dei gravi). È questa la parte meno nota, ma anche la più affascinante — ed in taluni casi decisiva — del metodo galileiano. Le «necessarie dimostrazioni», o «matematiche dimostrazioni», sono i ragionamenti logici, condotti su base matematica, attraverso cui il ricercatore, partendo da una intuizione di base e procedendo per una «supposizione», formula in teoria le sue ipotesi, riservandosi di verificarle nella pratica. In altre parole, «intuendo» e «ragionando» lo scienziato, anche sulla scorta di pochi dati empirici, perviene talora a delle ipotesi mediante cui deduce il comportamento probabile dei fatti, che in seguito si propone di verificare. Tipica, in questo senso, è la via seguita da Galileo nell'intuizione teorica del principio di inerzia, da lui riportata in modo minuzioso e suadente in un passo del Dialogo. Immaginiamo — scrive Galileo — una superficie «piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l'acciaio, e che fusse non parallela all'orizzonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo». Come deduciamo si comporterà tale palla? Starà ferma o si muoverà? Anche senza fare l'esperimento concreto, argomenta Galileo, sappiamo che si muoverà lungo la superficie. E se ipotizziamo mentalmente che sia tolta anche l'azione frenante dell'aria e di altri possibili «impedimenti esterni ed accidentali», come pensiamo si comporterà? Ovviamente «ella continuerebbe a muoversi all'infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano e con movimento accelerato continuamente; che tale è la natura dei mobili gravi, che acquistano forza muovendosi: che quanto maggior fusse la declività, maggior sarebbe la velocità». Sostituendo poi la superficie inclinata con una orizzontale, si potrà anche dedurre che la medesima palla «perfettissimamente rotonda», se fosse spinta sul medesimo piano «esquisitamente pulito», continuerebbe indefinitamente il suo moto, ammesso che lo spazio «fosse interminato» e che non intervenisse una forza esterna a variarne o arrestarne il moto. Procedendo teoricamente e giustificando tramite un esperimento «ideale» una propria intuizione, Galileo è quindi pervenuto ad una basilare scoperta fisica.

4.2 ___________________________________________________________ La compresenza, nella visione metodologica di Galileo, delle «sensate esperienze» e delle «necessarie dimostrazioni» ha fatto sì che nella storiografia del passato Galileo sia stato presentato talora come un sostanziale «induttivista», cioè come un ricercatore che dall'osservazione instancabile dei fatti naturali perviene a scoprire le leggi che regolano i fenomeni; oppure, al contrario, come un convinto «deduttivista», più fiducioso nelle capacità della ragione che in quelle dell'osservazione. In realtà Galileo non è solo, o prevalentemente, induttivista, né solo, o pre-valentemente, deduttivista, poiché è tutte e due le cose insieme. Certo, in Galileo vi è talora, sia nella prassi concreta della scoperta scientifica, sia nella sua consapevolizzazione metodologica, un'innegabile prevalenza del momento sperimentale osservativo-induttivo, oppure di quello teorico, ipotetico-deduttìvo. In un punto del Dialogo egli sostiene ad esempio che «quello che l'esperienza e il senso ci dimostra si deve anteporre ad ogni discorso ancorché ne paresse assai bene fondato», mentre in un altro luogo fa dire a Salviati che «senza esperienza son sicuro che l'effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua». Ma questa alternata e talora enfatizzata prevalenza dell'induzione sperimentale sulla deduzione

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teorica o viceversa, che si può riscontrare nei testi di Galileo, non esclude tuttavia la reciproca ed indissolubile implicanza di fatto. Innanzitutto, le «sensate esperienze» presuppongono sempre un riferimento alle «necessarie dimostrazioni», in quanto vengono assunte e rielaborate in un cotesto matematico-razionale e quindi spogliate dei loro caratteri qualitativi e ridotte alla loro struttura puramente quantitativa. In secondo luogo esse, sin dall'inizio sono «cariche di teoria», in quanto illuminate da un'ipotesi che le sceglie e le seleziona fungendo, nei loro confronti, da freccia indicatrice e setaccio discriminatore. E’ vero, ad esempio, che Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul senso della vista — potenziata dal telescopio —, ma la decisione stessa di studiare i cieli e di puntare il cannocchiale su determinati fenomeni e di interpretarli in un certi modo deriva dalla preliminare accettazione dell'ipotesi copernicana. Anche le «certe dimostrazioni» presuppongono sempre un loro implicito od esplicito richiamo alle «sensate esperienze». Innanzitutto, l'esperienza fornisce la base e lo spunto per le ipotesi poiché le stesse intuizioni «geniali» non nascono nel vuoto, ma a contatto con l'osservazione e lo studio dei fenomeni. In secondo luogo, intuizioni ed ipotesi, che costituiscono il momento teorico delle scienze, acquistano validità solo per mezzo della conferma sperimentale. Infatti anche se quest'ultima, come nelle sopraccitate parole di Salviati, sembra talora degradata a semplice verifica semi-superflua di una deduzione che ha già in sé le ragioni della propria verità, la sua importanza è fuori di dubbio, poiché per Galileo un'asserzione teorica risulta scientifica solo se verificata sperimentalmente. Certo, non sempre è possibile una verifica diretta. Ad esempio nessuno può «verificare» il principio di inerzia (ai tempi di Galileo, non essendo ancora stata inventata la macchina per il vuoto, non era neanche possibile osservare direttamente come nel vuoto tutti i gravi cadano con la stessa velocità). Tuttavia, risulta pur sempre possibile una verifica indiretta delle conseguenze che vengono «dedotte» dall'accettazione di tali principi. In altre parole, «non è necessario che tutte le proposizioni della teoria risultino aderenti ai fatti; è necessario invece che tutti i fatti del campo di fenomeni studiati risultino inquadrabili nella teoria». Per esempio, il principio di inerzia, sebbene non sia constatabile empiricamente, spiega con esattezza i movimenti che si constatano in natura. Si aggiunga inoltre che, tramite opportuni accorgimenti risulta possibile, in laboratorio, avvicinarsi indefinitamente alla sua verifica. Ciò che si sta dicendo sulle «necessarie dimostrazioni» permette anche di afferrare meglio i rapporti e le differenze tra la matematica pura e teoria fisica. La matematica si pone come uno strumento di scoperta scientifica, poiché essa, con i suoi calcoli e le sue deduzioni, permette di avanzare nuove ipotesi sui fenomeni. E questo giustifica l'enorme importanza che le matematiche rivestono per la fisica. Infatti, grazie alla Rivoluzione scientifica, la più astratta delle scienze trova applicazioni sorprendenti, diventando il linguaggio e il metodo di lavoro della scienza. Tuttavia, mentre la matematica pura non ha bisogno, per esser vera, di venir «controllata» dall'esperienza, la deduzione matematica, in fisica, ha valore scientifico solo se trova riscontro nella realtà. 4.3. _________________________________________________________ Da queste note sul metodo emerge chiaramente come in Galileo i concetti di esperienza e di verifica assumano un significato inconfondibile ed originale rispetto al passato. Infatti, l'esperienza di cui parla il pisano non è l'esperienza immediata, ma il frutto di una elaborazione teorico-matematica dei dati che si conclude con la verifica. Di conseguenza, l'esperienza ordinaria è qualcosa di ancora ben lontano dalla scienza di Galileo. In primo luogo, perché l'esperienza quotidiana può essere ingannevole, tant'è vero che Galileo ha dovuto battagliare tutta la vita contro le «apparenze» immediate dei fenomeni, che sembravano attestare tesi opposte a quelle della scienza, ad esempio che la terra stia ferma e che i corpi cadano con

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velocità differenti; « Mi par duro a credere — esclama Simplicio nei Discorsi— che una lagrima di piombo si abbia a muovere così veloce come una palla di artiglieria » (ed è noto come, ancor oggi, lo studente o il principiante in fisica, debba fare una certa fatica per impadronirsi dei concetti di base della meccanica, in quanto è costretto a staccarsi dalle apparenze sensibili). In tal modo, con Galileo comincia ad affermarsi quel divorzio fra mondo della fisica e mondo comune che è una caratteristica della scienza moderna. In secondo luogo, l'esperienza di per sé non ha valore scientifico se non viene legittimata dall'esperimento, al punto che si può dire che l'esperienza, scientificamente intesa, è l’esperimento. Analogamente, la verifica di cui parla Galileo non è quella immediata dei sensi, che può confermare teorie erronee, bensì la verifica come procedura complessa, intenzionalmente volta a produrre delle condizioni adeguate affinché un certo evento possa prodursi. Infatti, essendo ogni fenomeno una realtà complessa, soggetta a molte influenze, lo scienziato deve cercare, ad arte, di riprodurlo in modo semplificato, astraendo il più possibile dalle circostanze disturbanti, come ad esempio l'attrito. Detto in termini galileiani: «quando il geometra [il fisico matematico] vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici». In tal modo, lo scienziato è costretto a trovare condizioni «su misura» che spesso non sono mai presenti nella realtà immediata, ma solo in un laboratorio scientifico, e talora neanche in un laboratorio reale, ma solo in uno ideale (come succede ad esempio per il principio di inerzia). Da ciò il ricorso ai celebri (e tanto discussi) «esperimenti mentali», cui abbiamo già accennato, consistenti nel fatto che Galileo, non avendo talora la possibilità di effettuare la verifica delle proprie teorie, soprattutto per mancanza di strumenti tecnici adeguati, è costretto a ricorrere ad una sorta di fisica ideale non solo per formulare le ipotesi, ma anche per verificarle. Egli «suppone» infatti l'assenza di forze, «immagina» piani perfettamente levigati, «si raffigura» il movimento nel vuoto ecc. Per dimostrare, ad esempio, la falsità della teoria aristotelica sulla caduta dei gravi, Galileo escogita uno dei più famosi esperimenti teorici della storia della scienza, quello dei due corpi che pur unendosi nella caduta continuano ad avere la medesima velocità. La stessa cosa avviene per il principio d'inerzia e per altre scoperte.

4.4. ____________________________________________________ Ciò che si è detto sinora serve a far risaltare ancora di più i limiti della scienza antica rispetto a quella galileiana. Si dice spesso che Aristotele e gli scienziati greci sbagliavano perché non si attenevano abbastanza ai fatti. Questa affermazione è vera solo in parte. Se, da un lato, gli antichi erravano per eccesso di teoria e di deduttivismo in quanto pretendevano di spiegare i fenomeni concreti partendo da principi generali astratti, dall'altro lato, sbagliavano per troppa «aderenza» alla realtà, cioè per una passiva accettazione dei fenomeni come appaiono a prima vista, senza sottoporre l’esperienza ad una approfondita critica teorica. Inoltre, la scienza antica di tipo aristotelico non faceva uso della matematica e lo stesso platonismo — cui va riconosciuto il merito di aver tenuto viva l'idea di una costituzione matematica dell'universo — si fondava più su di una matematica magico-metafisica, consistente nel far corrispondere simbolicamente numeri e figure geometriche a determinati fenomeni, che su di una matematica scientifica, basata sulla misurazione e sul calcolo dei dati. Ma il limite più grave della scienza antica risiedeva, come ben sappiamo nella mancanza del controllo sperimentale. Infatti, non sottoponendo le proprie teorie ed induzioni a quella «prova del fuoco» che è il «cimento» di tipo galileiano essa non poteva mai verificare, cioè far-vere sul serio, le proprie affermazioni rimanendo obbligata a muoversi perennemente sul piano dell'astratto e del non controllabile,

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senza riuscire a trovare la via di quella feconda compenetrazione fra ragione ed esperienza che costituisce la forza del metodo galileiano — la cui originalità più grande consiste proprio nell'aver saputo riunire in sé il momento osservativo ed induttivo della ricerca, rappresentato dalle «sensate esperienze», con quello teorico e deduttivo, rappresentato dalle «necessarie dimostrazioni», e nell'aver saputo sintetizzare in modo mirabile ragione e sensi, osservazione e raziocinio, teoria ed esperimento, induzione e deduzione, matematica e fisica. 5. Metodo e filosofia Con il suo metodo Galileo perviene a quella struttura concettuale che costituisce lo schema teorico della scienza moderna: la natura è un ordine oggettivo e causalmente strutturato di relazioni governate da leggi e la scienza è un sapere sperimentale-matematico intersoggettivamente valido. In particolare, contro ogni considerazione finalistica ed antropomorfica del mondo, Galileo afferma che le opere della natura non possono essere giudicate con un metro puramente umano, cioè sulla base di ciò che l'uomo può intendere o di ciò che a lui torna utile. È arroganza, anzi pazzia, da parte dell'uomo dichiarare inutili quelle opere della natura di cui egli non intende l'utilità ai suoi fini. Noi non sappiamo a che cosa serva Giove o Saturno e non sappiamo neppure a che cosa servano molti dei nostri organi, arterie e cartilagini, che non sapremmo neppure di avere se non ci fossero mostrati dagli anatomisti. I nostri pareri o consigli non riguardano la natura e non hanno valore per essa le nostre ragioni probabili. Di conseguenza, non dobbiamo cercare perché la Natura opera in un certo modo (= causa finale), ma solo come opera (= causa efficiente). Analogamente, contro ogni fìsica essenzialista, che pretenda di spiegare i fatti in base alle «essenze» o alle «virtù» (l'essenza del moto, la virtù del calore ecc. …), Galileo ribatte che lo scienziato deve esclusivamente occuparsi delle «leggi» che regolano i fatti, ossia delle verificabili costanti di comportamento attraverso cui la natura agisce. Con questo discorso Galileo non intende negare, in assoluto, l'esistenza di finalità e di essenze, ma semplicemente accantonarle, ritenendone metodologicamente non-scientifica la ricerca, non essendo dato alla mente di conoscerle: «Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sostanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro della sostanza della Terra che della Luna...».

5.1 ___________________________________________________________ La struttura concettuale del metodo galileiano si presenta come una costruzione autonoma, che vale di per sé, indipendentemente da possibili giustificazioni filosofiche. Tuttavia, nella mente di Galileo essa si accompagna, di fatto, ad alcuni schemi di natura teorico-filosofica che ne fungono, al tempo stesso, da motivi ispiratori e da giustificazioni speculative. In altre parole, Galileo, pur non essendo un filosofo e pur non avendo mai proceduto ad una fondazione sistematica del proprio metodo, si è ispirato, in concreto, ad alcune idee generali, di tipo «filosofico», attinte per lo più dalla tradizione o da dottrine contemporanee, ma originalmente rielaborate ed atteggiate. a) La fiducia galileiana nella matematica, ad esempio, viene incentivata e convalidata al tempo stesso dalla dottrina platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo, ossia dalla persuasione che la «fattura» reale del mondo sia di tipo geometrico, per cui solo chi conosce il linguaggio matematico risulta in grado di decifrarla: «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che

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continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'Universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne' quali è scritta! Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». a) II privilegiamento degli aspetti quantitativi del reale e la riduzione dell'oggetto scientifico a struttura matematicamente trattabile viene corroborata dal ricorso all'antica distinzione, atomistico-democritea, fra proprietà oggettive e proprietà soggettive dei corpi (che Locke chiamerà qualità primarie e secondarie). Le prime caratterizzano i corpi in quanto tali, le seconde esistono solo in relazione ai nostri sensi. Infatti quantità, figura, grandezza, luogo, tempo, movimento, quiete, contatto, distanza, numero, sono proprietà inseparabili dai corpi materiali, mentre sapori, odori, colori, suoni, sussistono solo negli organi sensibili, ma non soni caratteri oggettivi dei corpi, sebbene siano prodotti da essi. Galileo paragona questi ultime qualità al solletico, che sebbene prodotto da una piuma, non è una qualità della piuma. Riassumendo il tutto con le caratteristiche parole dello scienziato «stimo che, tolti via gli orecchi, le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell'animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso». e) La credenza nella validità del rapporto causale e delle leggi generali scoperte dalla scienza, basate sul principio che a cause simili corrispondano necessariamente effetti simili, viene suggerita e avvalorata dalla persuasione dell'uniformità dell'ordine naturale che, seguendo un corso sempre identico a se stesso, risulta necessario ed immutabile come una verità geometrica. d) La fiducia nella verità assoluta della scienza viene confortata mediante la teoria secondo cui la conoscenza umana, pur differendo da quella divina per il modo di apprendere e per l'estensione di nozioni possedute, risulta simile per il grado di certezza. Infatti, mentre Dio conosce intuitivamente, cioè in modo immediato la verità, l'uomo la conquista progressivamente attraverso il ragionamento discorsivo. Inoltre Dio conosce tutte le infinite verità, mentre l'uomo solo alcune di esse. Tuttavia, per quanto riguarda le dimostrazioni matematiche, la qualità della certezza è identica (in quanto, ad esempio, 2 + 2 = 4 vale sia per noi che per Dio).

5. 2 ______________________________________________________ Questo gruppo asistematico di giustificazioni filosofiche poggia, a ben vedere, su di un'unica credenza di base che sta a monte del lavoro scientifico di Galilei e di ogni suo tentativo di legittimazione teorica: la corrispondenza fra pensiero ed essere, ossia la conformità fra ciò che la scienza sostiene e il mondo qual è veramente. Infatti, in Galileo vi è una tenace fiducia che lo porta ad interpretare il rapporto scienza-realtà in termini di riproduzione o rispecchiamento. Ad esempio, in astronomia egli ha sempre rifiutato di essere considerato un semplice matematico o «calcolista», ritenendosi uno studioso di fisica celeste, cioè un «matematico e filosofo» al tempo stesso, dove il termine «filosofo», usato secondo la prassi dei suoi tempi, sta ad indicare la portata ontologica e non puramente matematico-astratta delle sue teorie. Ed è proprio qui uno dei motivi di fondo dello scontro con la Chiesa cattolica e con Bellarmino, che volevano invece «obbligarlo» a parlare del copernicanesimo in termini puramente «ipotetici». E tale persuasione «realista», nell'uomo e nello scienziato Galileo, è così forte da non lasciarsi scalfire neppure dalle insidie logiche della cosiddetta «argomen-tazione di Urbano VIII» (che Galileo, nel Dialogo, mette in bocca a Simplicio, definendola opportunisticamente «mirabile e veramente angelica») secondo cui lo

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studioso, non conoscendo le «infinite vie » del Creatore, non può mai essere sicuro che una sua teoria corrisponda veramente al modo seguito da Dio nell'ordinare le cose e deve quindi accontentarsi di parlare per sole «ipotesi». Ovviamente, mentre il ragionamento di Urbano VIII, che affondava le sue radici nella tarda Scolastica, era stato escogitato dall'esterno per deprimere le «superbie» della nuova scienza, la fiducia realistica di Galileo nasceva dall'interno della sua opera di ricercatore e più che di argomentazioni teoriche si alimentava dei successi della scienza. Ma in tal modo Galileo lasciava ai filosofi successivi — insoddisfatti delle sue «giustificazioni», ritenute un po' grezze e semplicistiche — grossi problemi teorici e gnoseologici, su cui si arrovelleranno molte menti.