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93 B - LA NASCITA DELLA CULTURA LAICA E LA FILOSOFIA MODERNA 4 – La filosofia moderna e la giustificazione del sapere scientifico 6 - L’Illuminismo e la critica della tradizione Del dibattito filosofico del Seicento e del Settecento almeno tre tematiche sono risultate particolarmente significative dal punto di vista storico-culturale vale a dire: - la giustificazione del sapere scientifico - l’emergere della soggettività - il dibattito politico - il problema di Dio Ad esse saranno dedicati i prossimi capitoli. 4 - LA FILOSOFIA MODERNA E LA GIUSTIFICAZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO 0. Scienza e filosofia nel ‘600 e nel ‘700 1. Cartesio: il pensiero come sostanza 2. Hume e l’empirismo inglese: l’esperienza come fonte della conoscenza 3. Kant: le forme a priori della conoscenza 4. Filosofia e scienza in età moderna: un bilancio 0. Scienza e filosofia nel ‘600 e nel ‘700 0.1 La filosofia moderna e il processo di laicizzazione 0.2 I problemi filosofici posti dal nuovo sapere scientifico Una delle chiavi di lettura della filosofia moderna consiste nell’interpretarla come un processo di laicizzazione della cultura. Un aspetto essenziale di questo processo è la separazione fra sapere religioso, legato alle scritture e ai dogmi, e le altre forme di sapere. La formazione del sapere laico ha le sue origini già nella cultura cittadina del medioevo (vedi, ad esempio, Ockham), ma ha trovato la sua prima completa espressione con la Rivoluzione scientifica. Galileo Galilei, infatti, ha nettamente distinto la sfera religiosa, che “ deve insegnarci come si vada in cielo e non come vadia il cielo”, da quella scientifica, che è il risultato delle capacità conoscitive dell’uomo. I momenti salienti del processo di laicizzazione fra il Cinque-seicento e il Settecento possono essere considerati i seguenti: - i progressi della meccanica, della fisica e dell’astronomia, iniziati da Copernico, Keplero e Galilei, che portarono alla costituzione delle rispettive scienze che separavano le scienze della natura dal sapere religioso. - il naturalismo rinascimentale quale si esprime ad esempio nella filosofia di Giordano Bruno, con il suo tentativo di collocare in una dimensione esclusivamente naturale l’uomo, la società e la scienza. I PROBLEMI DELLA _____________ ________________________________ LA FILOSOFIA MODERNA E IL PROCESSO DI LAICIZZAZIONE Laicizzazione = separazione __________ _________________________________ da __________________ alla ________ __________________________ I MOMENTI SALIENTI DEL PROCESSO DI LAICIZZAZIONE 1 la fondazione della ______________ _______________________________ 2 il ______________________________ (Bruno)

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B - LA NASCITA DELLA CULTURA LAICA E LA FILOSOFIA MODERNA

4 – La filosofia moderna e la giustificazione del sapere scientifico

6 - L’Illuminismo e la critica della tradizione

Del dibattito filosofico del Seicento e del Settecento almeno tre tematiche sono risultate particolarmente significative dal punto di vista storico-culturale vale a dire: - la giustificazione del sapere scientifico - l’emergere della soggettività - il dibattito politico - il problema di Dio Ad esse saranno dedicati i prossimi capitoli. 4 - LA FILOSOFIA MODERNA E LA GIUSTIFICAZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO

0. Scienza e filosofia nel ‘600 e nel ‘700 1. Cartesio: il pensiero come sostanza 2. Hume e l’empirismo inglese: l’esperienza come fonte della conoscenza 3. Kant: le forme a priori della conoscenza 4. Filosofia e scienza in età moderna: un bilancio

0. Scienza e filosofia nel ‘600 e nel ‘700 0.1 La filosofia moderna e il processo di laicizzazione 0.2 I problemi filosofici posti dal nuovo sapere scientifico Una delle chiavi di lettura della filosofia moderna consiste nell’interpretarla come un processo di laicizzazione della cultura. Un aspetto essenziale di questo processo è la separazione fra sapere religioso, legato alle scritture e ai dogmi, e le altre forme di sapere. La formazione del sapere laico ha le sue origini già nella cultura cittadina del medioevo (vedi, ad esempio, Ockham), ma ha trovato la sua prima completa espressione con la Rivoluzione scientifica. Galileo Galilei, infatti, ha nettamente distinto la sfera religiosa, che “ deve insegnarci come si vada in cielo e non come vadia il cielo”, da quella scientifica, che è il risultato delle capacità conoscitive dell’uomo. I momenti salienti del processo di laicizzazione fra il Cinque-seicento e il Settecento possono essere considerati i seguenti: - i progressi della meccanica, della fisica e dell’astronomia, iniziati da Copernico, Keplero e Galilei, che portarono alla costituzione delle rispettive scienze che separavano le scienze della natura dal sapere religioso. - il naturalismo rinascimentale quale si esprime ad esempio nella filosofia di Giordano Bruno, con il suo tentativo di collocare in una dimensione esclusivamente naturale l’uomo, la società e la scienza.

I PROBLEMI DELLA _____________ ________________________________

LA FILOSOFIA MODERNA E IL PROCESSO DI LAICIZZAZIONE

Laicizzazione = separazione __________ _________________________________ da __________________ alla ________ __________________________

I MOMENTI SALIENTI DEL PROCESSO DI LAICIZZAZIONE

1 la fondazione della ______________ _______________________________ 2 il ______________________________ (Bruno)

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- i contributi della filosofia inglese (Locke, Hume), legati all’elaborazione di una teoria empirista della conoscenza, che ritiene sufficiente ricorrere all’esperienza per giustificare la validità delle nostre conoscenze. Importante fu anche il contributo offerto dalle loro teorie politiche (Hobbes e Locke) che, come le loro teorie della conoscenza, si propongono di spiegare la realtà senza ricorrere a concetti metafisici o teologici. - l’Illuminismo, un movimento culturale del Settecento, legato soprattutto alla Francia, che ha rappresentato un profondo rinnovamento dell’intero patrimonio ideologico della società occidentale. Il rinnovamento, fondato su un atteggiamento critico nei confronti della tradizione (vedi lettura n 13), fu di grande importanza in quanto impose una generalizzazione dell’atteggiamento laico, che prima riguardava solo alcuni intellettuali, che venivano emarginati e condannati (Bruno e Galilei). La generalizzazione, inoltre, riguardò anche i temi affrontanti dando luogo a una serie di studi che sono considerati la prima formulazione delle teorie contemporanee sulla natura, sulla società e sull’uomo. La diffusione dello spirito scientifico fa sì che la vita naturale, la storia, la società, la personalità dell’uomo vengano indagati con i criteri del nuovo sapere, ponendo così le basi della fondazione di nuove scienze, quali la sociologia, la psicologia e la biologia (Lamark). In tutti questi campi si tentano spiegazioni che vogliono essere fondate più sulle osservazioni e sui dati che non sui dogmi della rivelazione. Il valore di verità di queste teorie è determinato non più dalla gerarchia ecclesiastica, ma dal dibattito fra gli intellettuali, mentre la separazione fra filosofia e sapere religioso si espresse anche nel fatto che i filosofi non erano più, come quasi sempre nel passato, anche uomini di chiesa. La rivoluzione scientifica rappresenta sicuramente uno dei momenti salienti dell’affermazione di una nuova cultura laica, infatti con essa si impose un tipo di sapere che non ricorreva più alle Sacre scritture, ai dogmi e alle credenze e che rifiutava concetti di tipo trascendentale. La riflessione sul nuovo sapere prodotto dalla rivoluzione scientifica divenne uno dei temi più importanti del dibattito filosofico a causa degli effetti che aveva prodotto sull’insieme delle conoscenze condivise dalla cultura occidentale fin dall’antichità. Infatti, le nuove concezioni astronomiche, le leggi fisiche e le scoperte anatomiche avevano non solo completamente rivoluzionato l’insieme delle conoscenze che caratterizzava la cultura occidentale, ma anche imposto un nuovo metodo che privilegiava non tanto gli aspetti qualitativi della realtà quanto, invece, gli aspetti quantitativi, ricorrendo più alla matematica che alla deduzione logica. Così mentre prima si stabiliva un principio deducendone logicamente le conseguenze (Dio è perfetto e risiede nei cieli, quindi i cieli devono essere perfetti), ora gli scienziati preparavano esperimenti misurando le variabili. Inoltre, il nuovo sapere scientifico spesso entrava in contrasto con il senso comune, con ciò che ci appare, e, infine, non era né rivelato né derivato da un’autorità, non aveva garanzie, ma era esclusivamente il risultato della riflessione del ricercatore e quindi dell’uomo. Furono questi aspetti problematici del nuovo sapere ad animare il dibattito filosofico al cui interno emersero alcune tematiche: la giustificazione delle nuove conoscenze, definendo il nuovo ruolo assunto dal soggetto nel processo cognitivo; l’indagine sul nuovo metodo adottato dalla scienza, già proposta da Galileo; l’elaborazione di una concezione della realtà che ne evidenziasse gli aspetti quantitativi; la conciliazione dei risultati della scienza con l’immagine di Dio. Tra i filosofi che più hanno contribuito a questo dibattito vi sono, oltre a Galilei: Bacone, Cartesio, Hobbes, Locke, Hume e Kant.

3 filosofia _____________ ‘600-_______ - teoria _________________ della conoscenza - ________________________________ 4 ________________________________ generalizzazione atteggiamento _______ critica ______________________________ rinnovamento patrimonio _______________ ____________________________ la fondazione di ______________________ ____________________________________ Valore di verità = _____________________ ____________e non più _______________

I PROBLEMI FILOSOFICI POSTI DAL

NUOVO SAPERE SCIENTIFICO Effetti del nuovo sapere 1 __________________________________ ____________________________________ 2 nuovo ________________privilegia: - + aspetti ______________________ che __________________________ - + matematica che ____________________ 3 __________________________________ 4 __________________________________ I problemi ______________ posti dal nuovo sapere

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Nel dibattito che questi temi provocarono riemersero e si delinearono nuovamente due posizioni relative al problema della conoscenza già presenti nell’antichità, ovvero il razionalismo e l’empirismo. Nell’antichità queste posizioni erano state sostenute la prima dalla tradizione aristocratico-sacerdotale e da Platone, a cui si deve la prima formulazione della teoria delle idee innate (la conoscenza come reminiscenza), la seconda dai filosofi della città, da Epicuro e dagli stoici e ripresa da Ockham sul finire del medioevo. In età moderna il razionalismo è, invece, sostenuto da Cartesio e Hobbes, ma con importanti differenze tra di loro come vedremo, e l’empirismo da Locke e Hume. La posizione di Kant, invece come diremo, cerca di superare tale contrapposizione. La differenza tra i due orientamenti consiste nella diversa concezione dell’origine dei contenuti elaborati dalla ragione: secondo i razionalisti questi contenuti sono innati nel pensiero, mentre secondo gli empiristi derivano unicamente dall’esperienza. Occorre però sottolineare che Hobbes, pur essendo un razionalista, non condivide tale posizione, poiché pensa anch’egli che la nostra ragione ricavi le sue idee dall’esperienza. Gli aspetti più importanti che accomunano i razionalisti moderni sono, oltre all’innatismo per cui alcune idee costituiscono un patrimonio originario, a priori, della mente che ne dispone senza dover ricorrere ai sensi e quindi all’esperienza; l'affermazione dell'eguaglianza naturale della ragione in tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro esperienze particolari; la considerazione della matematica come strumento fondamentale e modello della conoscenza, in quanto la conoscenza in generale come la matematica procede con un metodo deduttivo, ovvero deducendo da pochi principi innati e/o evidenti tutte le possibili conseguenze; l'esigenza di organizzare le conoscenze in un "sistema" fondato su principi primi e articolato, quanto più possibile, in deduzioni, conseguenze, dimostrazioni. Infine, utilizzando come criterio di verità l’evidenza razionale, quindi un criterio interno alla ragione, i razionalisti finiscono per ricorrere a motivazione di tipo metafisico-teologico per fondare la corrispondenza tra ciò che la ragione trova in se stessa e la realtà del mondo esterno al soggetto pensante (così, ad esempio come vedremo, Cartesio fa ricorso a Dio e alla sua bontà). A differenza di quanto affermano i razionalisti, gli empiristi sostengono che la ragione non è un patrimonio di idee innate, cioè possedute fin dall'inizio da ogni uomo, da cui ogni nozione debba essere derivata per deduzione, come in una dimostrazione matematica. È piuttosto una capacità di acquisire conoscenze nuove grazie ai dati che ci provengono dai sensi, dal momento che l'esperienza costituisce l’unica fonte e l’unico criterio della verità delle nostre conoscenze. Conseguentemente essi privilegiano un metodo che è essenzialmente induttivo, in quanto ricava le conoscenza dalla generalizzazione delle osservazioni (così, ad esempio, dopo aver costantemente constatato che l’acqua entra in ebollizione a 100 gradi possiamo affermare la legge per cui l’acqua bolle sempre a 100 gradi). Invece,

RAZIONALISMO E EMPIRISMO Razionalismo antico e moderno: ____________________________________ Empirismo antico e moderno: ____________________________________

Origine contenuti conoscenza

Razionalisti:__________________________ Empiristi:____________________________

RAZIONALISMO 1 __________________________________ 2 uguaglianza ________________________ 3 _____________________ = scienza modello metodo ____________ = ________________________________ 4 filosofia = elaborazione di un __________: principi primi + ______________________ 5 ricorso a ___________________ per giustificare _____________________ tra ____________________________________

EMPIRISMO

1 fonte e ________________ di verità delle conoscenze: _________________________ 2 __________________________________: generalizzazione delle __________________

I PROBLEMI ______________ POSTI DAL NUOVO SAPERE 1 giustificazione nuovo sapere + ________________________________________________ 2 l’indagine _________________________________________________________________ 3 elaborazione di _________________________________________(aspetti __________________________________) 4 conciliare _____________________________________________________________________________________ I protagonisti: ______________________________________

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per il razionalista punto di partenza del processo conoscitivo è un complesso di principi evidenti di per sé, dai quali la ragione procede deducendo le leggi dei fenomeni; l'esperienza svolge solo una funzione di controllo successivo dei ri-sultati delle deduzioni. Per l'empirista il compito della filosofia non è quello di pervenire a un sistema onnicomprensivo della realtà, ma quello di indagare le possibilità conoscitiva dell’uomo analizzando criticamente i concetti su cui si fondano le conoscenze stesse. La filosofia si presenta allora come attività chiarificatrice dell’uso che di questi concetti viene fatto (vedi l’analisi del concetto di causalità di Hume 3.3). Da ultimo, utilizzando come criterio di verità l’evidenza e la certezza della percezione sensoriale, gli empiristi devono, per giustificare la corrispondenza tra ciò che conosciamo e la realtà esterna, supporre una completa passività della mente umana almeno a livello di percezione. In estrema sintesi la posizione dei diversi filosofi che esamineremo può essere così espressa: Posizioni rispetto alla conoscenza: Cartesio – il pensiero come sostanza metafisica [Locke] e Hume – l’esperienza come unica fonte della conoscenza Kant – le forme a priori (strutture mentali) della conoscenza Posizioni rispetto al valore della scienza: Cartesio –la scienza rappresenta una conoscenza assoluta Hume – la scienza rappresenta una credenza, un’aspettativa nei confronti della natura Kant – la scienza è una verità assoluta , ma solo per noi uomini 1. Cartesio: il pensiero come sostanza

1.1.La risposta tradizionale di Cartesio 1.2 La critica al sapere tradizionale e il nuovo metodo 1.3 La giustificazione tradizionale del nuovo sapere

1.3.1 Dal dubbio metodico al dubbio iperbolico 1.3.2 Dal dubbio alla prima certezza: l'io penso 1.3.3 Dall'io penso a Dio 1.3.4 Da Dio al mondo

1.4 Il meccanicismo:la nuova concezione della realtà fisica La risposta che Cartesio (Renè Descartes – 1596-1650) dà alle quattro tematiche enunciate sopra (vedi schema pag. 111) rappresenta sicuramente uno dei maggiori tentativi di risolvere i problemi da esse sollevate ma anche, altrettanto sicuramente, la risposta più tradizionale ai problemi filosofici posti della scienza. Infatti, Cartesio giustifica la validità delle conoscenze umane, nonché il ruolo svolto dal soggetto nell’acquisirle ed elabora una nuova concezione della realtà partendo da due presupposti tipici della cultura occidentale: l’idea di Dio come ente trascendente e la convinzione che pensiero e materia siano distinti, riprendendo le tesi proposte da Platone e Aristotele e condivise dalla Chiesa. Il razionalismo moderno trova in Cartesio il suo principale termine di riferimento, egli infatti fa della ragione il punto di partenza di ogni ricerca filosofica e di ogni sapere scientifico.

3 compito della filosofia: indagare _________________________ analisi _____ _______________________ 4 ricorso a __________________________ per giustificare ____________________ tra ____________________________________

POSIZIONI RISPETTO ALLA ____________________________________

POSIZIONI RISPETTO ALLA

____________________________________

CARTESIO: IL PENSIERO COME SOSTANZA

LA RISPOSTA TRADIZIONALE DI CARTESIO

accettazione di 2 _____________________ tradizionali della _____________________: 1 __________________________________ 2 __________________________________

IL RAZIONALISMO CARTESIANO

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Nel “Discorso sul metodo”1 la ragione è definita come «il potere di giudicare rettamente distinguendo il vero dal falso». Essa è sinonimo di intelletto, di lume naturale o, più semplicemente, di buon senso. La ragione, dunque, rappresenta la capacità, che ogni uomo possiede naturalmente e spontaneamente, di attingere conoscenze certe. All'inizio del Discorso, l'autore sottolinea che "il buon senso", ovvero la capacità di discernere il vero dal falso e di apprendere la verità, è «la cosa meglio distribuita al mondo», in quanto tutti gli uomini possiedono quella luce naturale dell'intelletto che li mette in grado di raggiungere la certezza della verità. Accanto a questo valore intuitivo della conoscenza che sottolinea l’importanza che in essa svolge l’individuo contro il richiamo all’autorità, tipica del medioevo, a sottolineare la modernità dell’impostazione di Cartesio vi è anche il valore che assegna alla ragione in ordine all'utilizzo pratico delle conoscenze, in vista del progresso civile e materiale degli uomini. In un celebre passaggio del Discorso il filosofo sottolinea questo aspetto dell'utilità della conoscenza: “… conoscendo il potere e le azioni del fuoco, dell'acqua, dell'aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano così distintamente come conosciamo le diverse arti dei nostri artigiani, noi potremmo impiegarli nello stesso modo in tutti gli usi cui sono idonei e così divenire quasi padroni e possessori della Natura”. Dall'unità della ragione consegue immediatamente l'unità del sapere. È questa la grande intuizione che Cartesio dice di aver avuto il 10 novembre 1619, allorché ri-tenne di aver scoperto «i fondamenti di una scienza meravigliosa». Le diverse scienze non sono infatti condizionate dalla specificità dei singoli contenuti, ma traggono i loro principi da alcune verità fondamentali che la ragione ritrova intuitivamente in se stessa. La ragione riflette dunque sulle scienze la propria unità, così come - secondo una nota metafora del filosofo - è unica la luce con cui il

Sole illumina le cose. La filosofia si configura pertanto come la scienza fondamentale, la quale fonda e coordina tutte le altre discipline, in quanto ad essa spetta il compito di chiarire le verità fondamentali della ragione da cui dipendono tutte le scienze: «La filosofia è come un albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco è la fisica, i rami che spuntano dal tronco sono tutte le altre scienze, cioè la medicina, la meccanica e la morale».Dall'unità della ragione consegue anche l'unità del metodo cui ci si deve attenere per poter

l’albero delle __________________

1 “Il Discorso sul metodo”, benché in seguito sia stato spesso edito indipendentemente, venne scritto come “Prefazione”, di carattere autobiografico, a tre saggi scientifici (ricordiamo qui che il maggior contributo che Cartesio ha dato alla scienza è costituita dal diagramma cartesiano). L’opera fu pubblicata anonima in Olanda nel 1637. Un breve estratto del testo è presente nella lettura n 6. Per la vita e le opere di Cartesio vedi pag. 133.

IL RAZIONALISMO CARTESIANO 1- la ragione come capacità _____________________ di conoscere

valore intuitivo della ragione contro _______________________ 2 - la ragione come _______________________________ 3 - ______________________ contro _______________________ 4 - la ragione come ________________

a) l’unità _______________ la ragione fonte di ________che valgono per _________________________________

compito della filosofia: chiarire le ________________________________________

b) l’unità del ________________________________________________________

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attingere conoscenze certe. Il problema fondamentale di Cartesio, e secondo lui l’altro decisivo compito della filosofia, diventa quindi quello di individuare tale metodo che, dovendo valere per tutte le scienze, deve fornire il principio formale di ogni conoscenza possibile. D’altra parte, una volta assodato che la ragione è per natura eguale in tutti gli uomini, ne segue che «la diversità delle nostre opinioni non deriva dal fatto che alcuni sono più ragionevoli degli altri, ma soltanto dal fatto che noi conduciamo i nostri pensieri per vie diverse e non prendiamo in considerazione le stesse cose. Infatti, aggiunge l'autore, “non basta esser dotati di una buona intelligenza, l'essenziale è applicarla bene”. La sottolineatura circa la corretta "applicazione" della nostra intelligenza esprime tutta l'importanza che Cartesio attribuisce al metodo, ed è proprio per questo che inizialmente si volge alla ricerca di un nuovo metodo di indagine filosofico-scientifica. La parte costruttiva di definizione del metodo è preceduta da una dura polemica contro l’istruzione e il pensiero aristotelico-scolastico che Cartesio conduce a partire dalla sua stessa esperienza personale. Cartesio condanna la tendenza dei gesuiti ( di cui lo stesso Cartesio aveva frequentato un collegio e che erano i principali seguaci dell'aristotelismo nel campo dell'insegnamento) a far studiare solo il passato, senza curare un'adeguata comprensione, da parte dei giovani, del presente. Una critica ancor più severa è rivolta poi contro il carattere essenzialmente linguistico-letterario, per di più formalistico e retorico, della cultura privilegiata negli istituti che si ispiravano ai principi scolastici. Coll'aggravante che questa preponderanza della dimensione umanistica andava a tutto scapito di un'adeguata preparazione matematica. Fin d'ora dunque, Cartesio ha già chiaro in mente che le discipline cui bisogna guardare con più speranza nella prospettiva di un rinnovamento del sapere sono appunto le discipline matematiche. Infine, e soprattutto, Cartesio attacca duramente la logica aristotelica, fatta di sillogismi2 che non servono in alcun modo a far progredire il sapere. Le altre critiche anti-aristoteliche e anti-scolastiche che troviamo disseminate in varie opere cartesiane riguardano essenzialmente il verbalismo di chi pretenderebbe di sostituire parole e concetti ricavati da una tradizione libresca ai dati dell'esperienza; l'attribuzione alla realtà naturale di forme e principi (a cominciare dalle famose virtù occulte) connessi con una dottrina filosofica ormai invecchiata; infine, il generale impianto dogmatico che orientava un'intera società di dotti a considerare veri e non revocabili in dubbio certi principi enunciati da Aristotele. È dinanzi a tutto ciò che si produce, nel giovane Cartesio, una vera e propria rivoluzione intellettuale ed esistenziale. “Appena l'età - scriverà in una pagina del Discorso sul metodo - mi permise di uscire dalla tutela dei miei precettori, abbandonai interamente lo studio e risolsi di non cercare altra scienza fuori di quella che potevo trovare in me stesso o nel gran libro del mondo [...]. Con questo mezzo ritenni fermamente di riuscire a condurre la mia vita molto meglio che se avessi costruito su vecchie fondamenta o mi fossi appoggiato soltanto su principi accolti, senza mai averne scrutata la verità”. Questa radicale rottura di Cartesio col mondo aristotelico-scolastico si accompagna alla necessità di fondare una filosofia nuova. Strumento primario di questa filosofia dev'essere un nuovo metodo. Cartesio riassume il suo metodo sotto forma di quattro "regole" molto generali.

LA CRITICA AL SAPERE TRADIZIONALE E IL NUOVO METODO

LE CRITICHE ALL’ISTRUZIONE_____________ - ______________________(GESUITI) Il carattere __________________________ 1 - incentrata sul ________________ e non sul ________________________________ 2 - carattere _________________________ e non _____________________________ 3 - fondato sul _______________________ ____________________________ 4 - _______________________________ 5 - l’uso di concetti infondati (forma, causa finale) 6 - il _______________________________ La radicalità della _____________________

2 Il sillogismo aristotelico costituisce un ragionamento del tipo: tutti gli uomini sono mortali (premessa maggiore) – Socrate è un uomo (premessa minore) – Socrate quindi è mortale (conclusione), dove la conclusione rappresenta una conoscenza già contenuta nella premessa maggiore.

L’IMPORTANZA DEL ____________________ Ragione uguale ____________________________________ metodo ________________ metodo _______________

verità della _____________ diversità delle ______________

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1) Il primo di questi precetti (o "regola" dell'evidenza) contiene l'indicazione del fondamentale criterio di verità: devono essere accolte come vere solo quelle idee che si presentino alla nostra mente in modo chiaro e distinto. "Chiarezza" di un'idea significa che essa è colta dalla mente in forma compiuta ed esaustiva, senza che nessuno dei suoi aspetti resti avvolto nell'oscurità; "distinzione" significa che l'idea è ben delimitata rispetto alle altre. 2) Il secondo precetto (o "regola" dell'analisi) suggerisce di "dividere" ogni problema o "difficoltà" nelle sue parti elementari. Di fronte a qualsiasi problema ci si presenti nella ricerca, per quanto oscuro e apparentemente inafferrabile, la prima operazione da compiere è quella di scioglierlo (o risolverlo) in problemi via via più semplici, fino a giungere a un problema la cui soluzione sia a portata di mano, perché intuitivamente evidente o derivabile facilmente da premesse evidenti. 3) Il terzo precetto, detto anche "regola della sintesi", afferma la necessità di disporre i propri pensieri secondo un ordine che procede da una minore a una maggiore complessità. Si tratta, come è facile vedere, del procedimento opposto al precedente, e rappresenta in buona sostanza la ricostruzione (o la ricomposizione) dimostrativa o deduttiva. 4) Vi è infine un quarto precetto, la "regola" dell'enumerazione, che prescrive di fare sempre enumerazioni complete e revisioni generali, in modo da essere sicuri di non omettere mai nulla. Quest'ultima regola invita a controllare le precedenti fasi del processo conoscitivo, in particolare a verificare attentamente che, quando abbiamo fatto la scomposizione di un problema nelle sue parti semplici o analisi (seconda regola), non abbiamo omesso nessun elemento importante; e che, quando abbiamo fatto la sintesi (terza regola), non abbiamo trascurato nessun rapporto di interdipendenza necessario che collega una conoscenza all'altra. Le regole del metodo, pur nella laconicità della loro enunciazione nella seconda parte del Discorso, conservano ancora oggi un fascino e testimoniano un nuovo modo di intendere la pratica filosofica. Alla loro base c'è l'esigenza cartesiana di dare un ordine alla mente nella ricerca della verità, visto come antidoto contro il procedere casuale . Potremmo dire che le quattro regole, in definitiva, si possano ridurre al divieto di procedere a caso e all'invito a ragionare in modo ordinato. Le quattro regole del metodo sottintendono alcuni presupposti che occorre portare alla luce. Innanzitutto esse accettano la convinzione che il sapere si fonda su verità elementari e che la crescita del sapere si basi sull’elaborazione di queste verità elementari, acquisendo una piena consapevolezza dei singoli passi in cui si snoda la ricerca scientifica (si ricordi a questo proposito il procedere privo di controllo critico tipico dei maghi rinascimentali). Inoltre tali convinzioni, nonché le stesse regole del metodo che ne derivano, sono evidentemente ispirate al modo di procedere della matematica che infatti si fonda su verità elementari fondate sull’evidenza e che utilizza come strumenti l’analisi, la sintesi e l’enumerazione. Le regole poi, nella misura in cui suggeriscono che è sempre possibile risolvere i problemi complessi in problemi più semplici, implicano una visione ottimistica offrendo un’immagina rassicurante della realtà, secondo cui essa è composta di elementi semplici dei cui processi di aggregazione la mente è in grado di cogliere le leggi. Resta, infine, da sottolineare che in esse il soggetto vi svolge un ruolo primario, sia perchè la loro validità è, secondo Cartesio, dimostrata dalla sua personale esperienza, in quanto afferma di aver avuto innumerevoli volte occasione di constatarne direttamente l’efficacia, sia perché la garanzia che forniscono del nostro sapere risiede per intero nell’evidenza, agli occhi del soggetto, dei risultati via via raggiunti.

LE REGOLE DEL NUOVO METODO 1- regola dell’evidenza: le idee devono essere: chiare = _____________________________ ____________________________________ distinte = ___________________________ ____________________________________ 2 – regola dell’_______________________ scomporre i problemi / elementi complessi in __________________________________ ____________________________________ 3 – regola della _______________________ procedere dal ________________________ al __________________________________ 4 – regola dell’_______________________ verificare che nell’_______________ e nella ______________________ non si sia ____________________________________ dal procedere _________________________ (vedi ________________) al procedere con ____________________________________

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Le regole del metodo non hanno in se stesse la loro giustificazione, non ci danno garanzia della validità delle conoscenze che otteniamo, oltre all’evidenza agli occhi del soggetto di cui si è detto. Il fatto che la matematica se ne serva con successo non è di per sé una giustificazione, perché esse potrebbero avere un’utilità pratica ai fini della matematica e non essere applicabili al di fuori di essa. È per questo che nelle “Meditazioni metafisiche”3 Cartesio si pone esplicitamente il problema di giustificare la validità delle conoscenze umane, che ritiene essere delle verità assolute. La prospettiva di Cartesio è dettata da questo atteggiamento antiscettico che si esprime nella convinzione della validità assoluta delle conoscenze fondate sulla ragione e, quindi, nella convinzioni che ad esse possa essere dato un fondamento certo e sicuro. A delineare la prospettiva cartesiana concorre anche la convinzione della perfetta compatibilità della scienza moderna con la fede cristiana. Il punto di partenza del ragionamento di Cartesio è il dubbio metodico, cioè il rifiuto delle conoscenze che non siano chiare ed evidenti. Come già nel Discorso sul metodo anche in questo caso il percorso viene descritto come esperienza personale, come il drammatico racconto di un uomo che mette in discussione tutto il sapere tradizionale, giungendo persino a dubitare della sua stessa esistenza, per poi raggiungere un nuovo punto di appoggio che egli considera più solido e affidabile di quello precedente. Il dubbio deve investire tutte le conoscenze e viene applicato da Cartesio in due momenti fondamentali. Nel primo momento il dubbio viene applicato alle conoscenze che derivano dai sensi. La falsità di tali conoscenze è così palese da poter essere verificata nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, un bastone immerso in acqua appare spezzato, ma non lo è. Poiché a volte i sensi ci ingannano, le conoscenze che da essi derivano, osserva Cartesio, non possono essere considerate evidenti e quindi vere. Tale forma di dubbio è resa ancora più universale mediante l’ipotesi del sogno: se sognando abbiamo percezioni simili a quelle che abbiamo da svegli, allora non è possibile distinguere con chiarezza le percezioni di quando siamo svegli da quelle, sicuramente false, di quando si dorme. Nel secondo momento il dubbio viene ulteriormente generalizzato applicandolo alle conoscenze intellettuali, quali la matematica e la geometria. Per applicare il dubbio a questo campo Cartesio introduce l’ipotesi dell’esistenza di un Genio malefico che ci inganni in continuazione, facendoci apparire chiaro ed evidente ciò che non lo è, in modo che non sia possibile garantire la veridicità delle conoscenze umane . Il dubbio diventa perciò iperbolico, universale. A conferma dell’impostazione soggettiva con cui Cartesio affronta il problema egli ci racconta che a questo punto della sua esperienza decise di optare per la

LA GIUSTIFICAZIONE TRADIZIONALE DEL NUOVO SAPERE

1 - DAL DUBBIO METODICO AL DUBBIO

IPERBOLICO La prospettiva cartesiana: 1 validità ____________________________ 2 compatibilità tra __________ e _________ l’esperienza ______________________ Il dubbio _______________ Il dubbio _________________________

3 Le “ Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima” (1641) vennero pubblicate congiuntamente alle “Obiezioni” (le osservazioni scritte sollevate tra gli altri da Hobbes ) e le relative “Risposte” cartesiane.

I PRESUPPOSTI DELLE REGOLE 1 sapere fondato su ________________ _______________________ 2 crescita sapere = _________ _______ delle verità ________________ con ___________________________________ 3 ispirate al procedere della _____________________________________ 4 visione _________________________ perchè ___________________________________________________________ 5 ruolo del _____________________ : a) fondato su ___________________________________

b) garanzia del sapere fornita dall’ ________________ per il ___________________

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sospensione del giudizio, di non accettare per buona alcuna conoscenza senza prima aver trovato una solida base su cui fondare le nostre conoscenze. Con queste parole, ricorrendo alla metafora dell’architetto, Cartesio ci descrive il suo progetto: “Ho dichiarato, in più luoghi dei miei scritti, che cercavo dappertutto d'imitare gli architetti che, per elevare grandi edifici nei luoghi dove il macigno, l'argilla e la terraferma son coperti di sabbia e di ghiaia, innanzi tutto scavano profonde fosse, e di là rigettano non soltanto la ghiaia, ma tutto quel che si trova poggiato su di essa, o che è mescolato o confuso insieme con essa, allo scopo di posare dopo le loro fondamenta sul macigno e la terraferma; poiché nella stessa maniera, io ho, innanzi tutto, rifiutato come sabbia e ghiaia tutto quanto riconobbi essere dubbio e incerto.”.

Per raggiungere l’obiettivo di fondare su basi più sicure le proprie conoscenze, dopo aver portato alle sue estreme conseguenze l’esercizio del dubbio, Cartesio compie un ulteriore percorso che lo porterà ad affermare l’indubitabilità di tre idee: l’idea dell’io, l’idea di Dio e l’idea del mondo. Il cammino per dare un fondamento solido alle nostre conoscenze parte dal dubbio iperbolico. L’aver portato il dubbio alle sue estreme conseguenze consente, infatti, di scoprire una verità che sfugge a qualsiasi dubbio, così chiara ed evidente da sfuggire a qualsiasi obiezione. Si può dubitare di tutto, tranne del fatto che sto dubitando, quindi pensando ed esistendo, infatti il fatto stesso di dubitare testimonia l’esistenza di qualcosa, qualcuno che dubita. Di conseguenza la prima certezza sarà “Penso quindi sono” (“Cogito ergo sum”). Cartesio osserva che, anche qualora stessi sognando o farneticando, o fossi ingannato dal genio malefico, sarebbe comunque indubitabile il fatto di esistere, infatti il fatto di sognare, farneticare o essere ingannati comporta che io non sia nulla, sono la testimonianza del mio essere pensante . La verità del ‘io penso’ non deriva da un ragionamento, in quanto la sua certezza non è basata su un sillogismo in cui “Io penso, dunque esisto” è la conclusione di una premessa maggiore del tipo “Tutto ciò che pensa esiste”, ma è un’intuizione che si impone immediatamente, ed è così evidente da essere al di sopra del dubbio. Questa rappresenta quindi la prima verità assolutamente evidente, anzi è il primo più caratteristico esempio di una verità assolutamente chiara ed evidente. Ponendo come prima certezza il pensiero, Cartesio compie una svolta importante nel modo di concepire la conoscenza. Nell’antichità e nel medioevo, per dare fondamento alla conoscenza dell’uomo si faceva ricorso a teorie che consideravano le strutture razionali che la conoscenza coglie nella realtà come oggettivamente esistenti, indipendente dall’uomo, o in un mondo a parte (mondo delle idee di Platone) o come costitutivi delle cose stesse (la forma di Aristotele). Al posto di queste entità metafisiche Cartesio pone invece il pensiero stesso. La conoscenza viene quindi fondata sul soggetto umano, sul suo pensiero, e non più su qualcosa di esterno. Rimane però un profondo legame con la tradizione, in quanto il pensiero è inteso da Cartesio non tanto come una funzione della mente,

___ - DAL DUBBIO ALLA PRIMA CERTEZZA:

L'IO PENSO

Il percorso di Cartesio L’INDUBITABILITÀ DELL’_______________ penso dunque ___________ io sono la testimonianza _______________ ___________________________________ l’io penso come prima ________________ ___________________________________

IL DUBBIO ______________________ 1- applicato alle conoscenze __________________________________ I sensi ci __________________________ conoscenze sensoriali non __________________________ l’ipotesi del __________________ 2- applicato alle _________________________________

L’ipotesi del ____________________________ IL DUBBIO ______________________ la sospensione del giudizio = ______________________________________________________________________________

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quanto come entità metafisica. Infatti Cartesio non si limita a considerare il pensiero una facoltà dell’uomo, ma in esso vede una sostanza, una cosa a sé stante, autonoma che chiama res cogitans.

Per dimostrare l’esistenza del pensiero come sostanza, Cartesio osserva che la certezza di pensare è indubitabile anche se dubito di avere un corpo o di trovarmi in un mondo materiale, perciò, ne conclude Cartesio, l’io, la cui natura è di essere una sostanza pensante, è indipendente dal corpo e dal mondo. Il fatto che Cartesio pensi che dalla chiarezza e dalla distinzione di un’idea, cioè dalla possibilità di essere pensata come indipendente da ogni altra, debba corrispondere anche la sua esistenza reale è dovuto al fatto che Cartesio assume la matematica come modello di autentica scienza, infatti è solo per la matematica che le idee chiare e distinte sono anche vere. Il cogito (l’io penso) cartesiano riprende un motivo già presente nella storia filosofia, in particolare in Agostino d’Ippona, il quale lo aveva anche lui sviluppato per sconfiggere lo scetticismo, giungendo però a conclusioni alquanto diverse. Infatti, Agostino utilizza la certezza dell’esistenza del soggetto che dubita per stabilire la presenza di una verità che lo illumina ma lo trascende, mentre Cartesio utilizza il suo “Cogito ergo sum” come principio per garantire la validità delle conoscenze prodotte dall’uomo e delle azioni basate su di esse. Dopo aver dimostrato l’esistenza dell’io e prima di passare a dimostrare l’esistenza della realtà esterna Cartesio dimostra l’esistenza di Dio. Per capire come Cartesio procede alla dimostrazione dell’idea di Dio occorre partire dalla sua classificazione delle idee. Il suo modo di intenderle è diverso dal modello platonico, in quanto le idee sono esclusivamente il frutto dell’attività mentale e non esistono al di fuori della mente (benché il pensiero sia indipendente dal cervello). La molteplicità delle idee può essere suddivisa in tre gruppi: le idee avventizie, che provengono dal mondo esterno tramite i sensi e non possono essere considerate certe, perché la conoscenza sensoriale è fallace; le idee fittizie, fabbricate da noi stessi e, quindi, del tutto arbitrarie e non significative; le idee innate, che non sono né il frutto della realtà esterna, né sono una nostra elaborazione volontaria, ma appartengono alla stessa facoltà del pensare e, quindi, si impongono necessariamente al pensiero. Sono innate l’idea dell’io, dell’essere divino e del mondo, e i loro attributi necessari, quali la razionalità del pensiero, la perfezione di Dio. Cartesio procede a dimostrare che l’idea di Dio è innata nel seguente modo. Il nostro pensiero non è perfetto, e ne abbiamo prova continuamente, in quanto le nostre conoscenze sono spesso imprecise e false; eppure, proprio in quanto riconosciamo l’imperfezione delle nostre idee, dobbiamo avere in mente l’idea di perfezione. L’idea di perfezione non può che coincidere con quella dell’essere perfetto, cioè Dio. Siccome però non possiamo aver avuto esperienza della perfezione, questa deve essere un’idea innata. Bisogna, dunque, riconoscere che esiste un essere divino capace di far sorgere in noi l’idea della perfezione

IL PENSIERO COME SOSTANZA (RES ______________________) l’_____________________ del pensiero dal ___________ e dal mondo ______________ Cartesio e __________________________

___ - DALL'IO PENSO A DIO La classificazione delle _______________ 1 _____________________ Fonte: __________ non _______________ 2 __________________________________ Fonte:____________________________ arbitrarie 2 __________________________________ Fonte:______________________________ (io, ________ e ______________ e i loro ________________ ) Le dimostrazioni dell’__________________ ______________________________ 1 l’_______________________ delle nostre __________ e l’idea della ______________ 2 esistenza e ente _____________________

LA SVOLTA DI CARTESIO:

Platone ______________ dalla centralità delle strutture razionali _______________________dall’uomo:

Aristotele ____________ alla centralità del ___________________________

LA CONTINUITÀ DI CARTESIO: il pensiero _______________________ e non come _________________ / facoltà dell’_____________

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assoluta. L’esistenza di Dio può, inoltre, essere dimostrata senza far ricorso al nostro stato di essere imperfetti; infatti, se noi abbiamo un’idea chiara e distinta di Dio come essere perfettissimo, allora sarebbe contraddittorio negare a Dio l’esistenza perché ne verrebbe meno la perfezione (lo schema dei due ragionamenti, come si vede, è lo stesso utilizzato da Anselmo d’Aosta per la prova a posteriori e quella a priori). Dimostrata l’esistenza di Dio Cartesio può passare a trarne le conseguenze per il problema da cui era partito, dare un fondamento sicuro alla conoscenza umana, sconfiggendo definitivamente l’ipotesi del genio malefico. Infatti, essendo Dio perfetto, a tale perfezione non può mancare la bontà assoluta, ma se e Dio è assolutamente buono non può volere che il nostro pensiero ci inganni. L’ipotesi di un genio malefico (alla base del dubbio iperbolico) viene in questo modo superata. La perfezione divina diventa quindi il vero fondamento della nostra conoscenza. Le idee della nostra mente, qualora si impongano ad essa con chiarezza ed evidenza, devono essere ritenute necessariamente vere, infatti, se non lo fossero dovremmo ammettere che Dio ci inganna e, quindi, non potrebbe più essere pensato come perfetto. Il principio dell’evidenza, su cui si fondano le regole del metodo e per cui si debbono accogliere come vere le idee che sono chiare e distinte, trova così in Dio il suo fondamento ultimo. Questo ragionamento è apparso, già ai contemporanei di Cartesio, un circolo vizioso, in quanto il criterio dell’evidenza è stato assunto come criterio di partenza per dimostrare l’esistenza dell’essere pesante e l’esistenza di Dio per poi sostenere che l’essere divino fornisce un criterio di garanzia al principio dell’evidenza da cui si era partiti. Come nella teologia tradizionale e nella metafisica Dio occupa, dunque, un ruolo centrale nella filosofia di Cartesio. Questa centralità non porta però alla conclusione tradizionale del primato di quanto è stato rilevato nelle Sacre scritture; l’idea di Dio è utilizzata invece per difendere la capacità dell’uomo di conoscere il vero e Dio, in quanto creatore delle capacità conoscitive dell’uomo, ne è anche il garante. In questo modo lo stesso Dio nel cui nome si tentava di bloccare il progresso scientifico diventa in questa ottica il fondamento della verità della scienza. Solo per l’ateo il dubbio non è mai superato, in quanto egli può sempre dubitare delle sue conclusioni, dal momento che non può riconoscere Dio come il creatore delle sue facoltà. Messo Dio a fondamento del conoscere umano Cartesio estende le caratteristiche che la metafisica tradizionale attribuiva all’essere di Dio al pensiero scientifico: la scienza è dunque eterna e vera, perché Dio è eterno ed è verità, e le sue leggi sono immutabili in quanto anche Dio lo è (in questo modo la dipendenza dalle leggi non vincola Dio stesso). Il ruolo che Cartesio affida a Dio è quello di garante della razionalità del mondo e della capacità dell’uomo di comprendere questa razionalità. Dio è quindi esclusivamente una necessità di tipo razionale. Questa posizione verrà contestata, come vedremo, da Pascal (1623-1662), per il quale Dio non risponde tanto ad un esigenza razionale, quanto ad un esigenza esistenziale; Dio non è il garante delle nostre conoscenze, ma colui che dà significato alla nostra esistenza. Cartesio giunge a dimostrare l’esistenza della realtà esterna e dell’io corporeo attraverso l’esame delle idee avventizie, cioè delle idee che l’intelletto non trova in sé ma si formano tramite l’esperienza, derivate quindi dai sensi. Queste idee contengono una rappresentazione dei corpi che non può non presupporre in qualche modo la loro realtà, infatti, se questi corpi non esistessero, non avremmo l’idea della loro esistenza o ne avremmo di diverse perchè in caso contrario dovremmo supporre che Dio ci inganni. Questo però non significa che tutto ciò che i sensi ci rappresentano sia vero,

La sconfitta del _______________________ Se Dio è infinitamente _________________ non può _____________________________ ___________________________________ la _________________________________ delle idee ____________ e _____________ il circolo vizioso dell’__________________ La __________________________di Dio dalla centralità delle ______ _________ alla centralità delle capacità ________________ di cui è garante _______ in quanto ________ ___________________________________ _________________ = scetticismo la scienza è _____________ e ___________ perché Dio è _________________________ Cartesio: Dio come necessità ____________ Pascal: Dio come necessità _____________ ______________________________

___ - DA DIO AL _________ Se i corpi non esistessero Dio ___________ ___________________

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infatti, un’idea per poter essere considerata vera deve essere percepita in modo chiaro e distinto. Secondo Cartesio l’unica cosa che noi possiamo concepire come chiara e distinta del mondo esterno è l’estensione nello spazio; possiamo, infatti, dubitare delle singole impressioni sensoriali che ci attestano gli aspetti qualitativi, ma non dell’impressione generale che ci porta a credere nell’esistenza del mondo esterno come diverso, opposto al nostro pensiero. Alla realtà esterna non possiamo, dunque, attribuire alcuna altra proprietà come il colore, il sapore o l’odore (qualità soggettive), poiché di essi non abbiamo un’idea chiara e distinta (prima regola del metodo). In questo modo Cartesio, dopo aver conciliato l’immagine di Dio con i risultati del nuovo sapere scientifico, può affrontare l’altro problema posto dall’emergere della scienza, ovvero (vedi schema pag. 111) l’elaborazione di una concezione della realtà che ne evidenzi gli aspetti quantitativi consona, quindi, al nuovo modo di intendere la realtà della scienza stessa. Cartesio, infatti, affermando che l’unica dimensione della realtà razionalmente conoscibile è l’estensione nello spazio, abbandonava la concezione dell’irriducibile varietà qualitativa della realtà fisica, testimoniata dall’esperienza quotidiana, eliminando così uno degli ostacoli che si opponevano all’affermazione della nuova scienza. Per Cartesio l’unico modo di concepire la realtà esterna è quello di pensarla come una sostanza diversa e autonoma dal pensiero, materiale in quanto il pensiero è spirituale, e che si estende nello spazio (res extensa). La contrapposizione tra sostanza estesa e sostanza pensante costituisce il dualismo metafisico cartesiano che consente di separare nettamente la realtà fisica dalla realtà spirituale, il mondo dei corpi da quello dell’anima. La concezione cartesiana consente, innanzitutto, di superare la concezione della natura dei filosofi naturalisti del Rinascimento che teorizzavano una natura animata da una anima universale e spiegavano le connessioni tra i fenomeni ricorrendo a questa universale animazione. La separazione assoluta del mondo dei corpi da quello dell’anima consente a Cartesio di giustificare l’indipendenza della scienza della natura da ogni questione teologico-metafisica. Diventa possibile studiare la natura con metodi quantitativi e matematici e i risultati raggiunti non interferiscono sulle questioni tradizionali concernenti l’anima e Dio. Cartesio ritiene, dunque, sia che i risultati del nuovo sapere scientifico possano conciliarsi con l’orizzonte concettuale tradizionale, sia che solo questo ultimo possa essere in grado di garantire la validità del sapere prodotto dalla scienza. La distinzione fra sostanza estesa e pensante separa, abbiamo detto, lo studio della natura dai principi teologico-metafisici. Infatti, la separazione fra le due sostanze consente a Cartesio di considerare il mondo fisico come indipendente da qualsiasi riferimento animistico o vitalistico (che vedono la materia animata da forze vitali) e indipendente dal finalismo (che vede la materia determinata da fini ultimi), in quanto l’anima, le forze vitali e i fini appartengono alla sola res cogitans. Inoltre, vengono eliminate dalla natura le qualità sensibili (cioè che esistono solo nella percezione del soggetto), perché queste vengono considerate una modificazione della res cogitans e non della res extensa. Infine, la distinzione permette di considerare come inerenti ai corpi solo le caratteristiche direttamente riconducibili alla loro estensione spaziale e al moto. Partendo dal presupposto che alla realtà esterna occorre attribuire le caratteristiche direttamente derivabili dall’estensione spaziale Cartesio deduce le proprietà della res extensa a partire dalle proprietà geometriche dello spazio per cui: essendo lo spazio, nella geometria euclidea, infinito la sostanza estesa sarà ugualmente infinita; allo stesso modo poichè lo spazio è infinitamente divisibile la materia non può essere costituita da atomi, come unità indivisibili; infine, poiché lo spazio è qualitativamente indifferenziato la sostanza estesa sarà tutta uguale per cui tutti i corpi fisici, compreso quello dell’uomo, sono uguali.

l’indubitabilità _______________________ ______________________ L’infondatezza delle ___________________ _____________________

CARTESIO E I PROBLEMI FILOSOFICI POSTI

______________________________ LA MATERIA COME ______________________ il _________________________________: la contrapposizione tra ____ ____________ _________ e _______________________ conseguenze: 1 – ________________________________ ___________________________________ 2 - l’indipendenza della scienza dalla ___________________

IL MECCANICISMO:LA NUOVA

CONCEZIONE DELLA REALTÀ FISICA

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Oltre a essere dotata delle proprietà spaziali la materia è anche dotata di movimento. Materia e moto hanno origine entrambi da Dio, ad esso si deve, infatti, non solo la creazione della materia ma anche il conferimento a quest’ultima di una certa quantità di moto. Altri interventi di Dio nel mondo, oltre al primo atto di creazione, non sono richiesti; Dio ha creato la materia e l’ha dotata di una certa quantità di moto, dopo di che l’universo continua ad esistere esclusivamente retto dalle leggi del moto e dello spazio. L’immagine dell’universo elaborata da Cartesio è paragonabile a quella di un immensa macchina composta da vari pezzi che si muovono meccanicamente. Questa macchina, dopo essere stata messa in moto da Dio, continua a muoversi da se stessa in base alle sole leggi meccaniche. Poiché i suoi diversi pezzi si muovono in quanto costretti dal meccanicismo generale, il loro comportamento non è determinato dal loro avere uno scopo o una finalità. Scopo e finalità, infatti, non potrebbero influenzare le leggi della meccanica e finirebbero per reintrodurre concetti antropomorfici, quali la volontà, che per Cartesio sono un modo d’essere della sostanza pensante. Questa immagine del mondo fisico, identificata come meccanicismo, è stata alla base delle ricerche scientifiche fino alla fine dell’Ottocento ed è stato

L’intervento di Dio: creare ________________ e dotarla di _______________________________ L’universo come _____________________ La fortuna del _______________________

considerato alla base sia delle scienze della natura che delle scienze dell’uomo. All’inizio del Novecento questo tentativo di ridurre aspetti complessi quali la società, la psicologia dell’uomo o la vita biologica a leggi fisiche, è apparso improprio, in quanto non teneva conto dell’esistenza di vari livelli di realtà, ciascuno dei quali appare si condizionato dai livelli precedenti, ma non ne è

Per effetto della separazione tra __________________ e _______________________ a) natura indipendente da: 1- _________________________ 2 - fini ultimi 3 - ______________________

perché appartenenti alla _________________________ b) inerenti alla natura: _____ _____________ + ________________________________ le proprietà della _______________________ = alle proprietà dello ______________________: 1 - ________________________________________________________________________________________________________ 2 _________________________________________________________________________________________________________ 3 _________________________________________________________________________________________________________

CARTESIO E I PROBLEMI POSTI DAL NUOVO SAPERE 1 giustificazione nuovo sapere: la scienza è vera ed assoluta perché _______________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Ruolo soggetto:________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 2 il metodo scientifico: __________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 3 la concezione della realtà: _______________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 4 Dio: _____________ ____________________________________________________________________________________(deismo)

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determinato. Ad esempio l’uomo è sicuramente condizionato dalla sua dimensione fisica, ma questo non determina la sua evoluzione psicologica e sociale 3. Hume e l’empirismo inglese: l’esperienza come fonte della conoscenza

3.1 La risposta non tradizionale degli empiristi 3.2 La teoria della conoscenza 3.3 La critica al principio di causalità 3.4 La critica alla metafisica e alla concezione della realtà tradizionale

L’empirismo è una risposta meno tradizionale di quella di Cartesio rispetto all’elaborazione di una nuova concezione della realtà in accordo con le scoperte scientifiche e alla giustificazione di queste scoperte e del ruolo dell’individuo nel processo conoscitivo, in quanto non vogliono ricorre, come anche Hobbes, a concetti metafisici. Gli empiristi si propongono di basare le loro considerazioni esclusivamente sulle osservazioni relative al nostro modo di elaborare le conoscenze e sulla nostra reale esperienza del mondo esterno. Questa scelta viene motivata in base al fatto che in questo modo procede anche la scienza. Gli empiristi ritenendo che questo sia il metodo scientifico, riducono il metodo scientifico a quello induttivo. La posizione empirista è stata proposta dapprima da John Locke (1632-1704) e in seguito approfondita e radicalizzata nelle sue conseguenze più scettiche da David Hume (1711-1776)4. Sulla base dell’analisi di Locke, Hume considera come materiale su cui opera la mente i dati forniti dai sensi. Queste percezioni sono suddivisibili in impressioni e idee. Le impressioni sono le percezioni sensoriali nel momento in cui sono attuali, che hanno quindi la massima evidenza, le idee sono, invece, le immagini che conserviamo nella memoria dopo che l’impressione attuale è svanita. Locke e Hume ritengono che le idee siano sempre riconducibili alle impressioni, stabilendo una priorità delle impressioni sulle idee: le idee sono sempre una copia delle impressioni. In base alla priorità delle impressioni sulle idee, Hume trae alcune conclusioni che rappresentano quattro posizioni tipiche dell’empirismo: -se si vuole giudicare la fondatezza di un’idea bisogna sempre risalire alle impressioni di cui essa si compone, poiché le impressioni sono l’unica fonte della conoscenza. L’idea è da considerare falsa o quando non si trovano impressioni ad essa corrispondenti (e quindi è un principio metafisico) o quando le impressioni giustificano solo in parte le idee (come, ad esempio, gli animali fantastici). Questa posizione giustifica il rifiuto degli empiristi di ricorrere a concetti metafisici per spiegare la realtà. - i concetti, le idee astratte non potendo essere considerati il frutto delle impressioni, devono essere considerate il prodotto dell’abitudine ad adoperare un nome comune per indicare delle idee particolari che si assomigliano. Per quel che riguarda l'origine dei concetti, Hume assume una posizione nominalista. Ritiene infatti, come Ockham e Hobbes, che il concetto di uomo, ad esempio, non sia altro che 1a somma di certe impressioni tra loro analoghe, classificate sotto lo stesso nome. L'esperienza, insomma, ci mostra soltanto realtà particolari; quelli

HUME E L’EMPIRISMO INGLESE: L’ESPERIENZA COME FONTE DELLA

CONOSCENZA

LA RISPOSTA NON TRADIZIONALE DEGLI EMPIRISTI

Dai concetti ________________________ alle ______________________ del nostro ____________________________________ ____________________________________ (come procede la _______________) Locke e ___________

LA TEORIA DELLA CONOSCENZA Contenuti _______________ = Percezioni ______________ (attuali) ____________ (__________) La priorità ___________________________ 1- idea vera = impressione _____________: il rifiuto dei __________________________ ____________________ 2 – idee astratte = nome comune per ____________________________________ _______________________ 3 – no ______________________________

4 La teoria della conoscenza di Hume è contenuti in due testi: “Trattato sulla natura umana” (1739) e “Ricerca sull’intelletto umano” (1748). Tra le opere di Locke ricordiamo: “Il saggio sull’intelletto umano” (1688), per quanto riguarda la teoria della conoscenza. Per la vita e le opere di Hume vedi pag. 134, per Locke vedi “5 - La filosofia moderna e la politica”.

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che i filosofi medievali chiamarono universali sono costruzioni umane. -si esclude l’esistenza di idee innate: se esistessero, esse sarebbero infatti indipendenti dalle impressioni sensoriali. -dando la priorità alle percezioni, l’empirismo considera centrale nel processo conoscitivo il ruolo dell’esperienza. Non essendo dotata di conoscenze innate e procurandosi le sue conoscenze tramite l’esperienza, per Hume e gli empiristi, la mente umana è paragonabile a un foglio bianco su cui l’esperienza, tramite le impressioni, lascia delle immagine, come impressionando una pellicola fotografica. Gli empiristi pensano però che la nostra mente, oltre a registrare passivamente delle immagini, possa stabilire collegamenti e relazioni fra le idee. Essa non è però del tutto libera, né le relazioni vengono stabilite casualmente. Le idee infatti possiedono una naturale tendenza all’associazione che avviene in base a: o alla somiglianza reciproca (due idee simili si richiamano a vicenda),o alla vicinanza nello spazio e nel tempo o alla relazione causa-effetto. La spiegazione associazionistica della formazione delle idee è da Hume ritenuta la sua scoperta più importante. Egli ritiene che questo principio riesca a spiegare la formazione delle idee senza ricorrere a cause esterne alla mente dell’individuo, poiché l’effetto di tali cause esterne non sarebbe osservabile, e inoltre non si possono ritenere le idee frutto del caso. Hume ritiene questo un principio scientifico, poiché è basato sulle osservazioni, su impressioni sensoriali relative al nostro modo di usare le idee. Il principio di casualità è, come abbiamo visto, un principio di associazione delle idee, è alla base di tutte le conoscenze in ambito scientifico o storico-sociale ed è, inoltre, alla base dei nostri ragionamenti quotidiani; infatti in ognuno di questi casi si tende a stabilire relazioni di causa-effetto, per cui noi vediamo un fenomeno come la causa di determinati effetti o come effetto di una causa. Occorre secondo Hume stabilire la fondatezza di questo principio: se è certo, allora sono fondate anche le conoscenze che su esso si basano. Per esaminare la fondatezza del principio di causa-effetto Hume analizza una situazione concreta in cui questo principio è applicato: due palle da biliardo di cui quella in movimento urtando quella ferma la mette in moto. Osservando situazioni di questo genere, noi arriviamo alla conclusione che ogni qual volta una palla urta un’altra la seconda si mette in movimento. Hume si propone di analizzare la fondatezza di questa conclusione. Secondo il metodo empirista, per accertarsi della fondatezza di un’idea occorre individuare le impressioni sensoriali su cui essa si basa. Per giungere alla conclusione che “Ogni qualvolta una palla in movimento colpisce un’altra palla questa si mette in movimento” noi ci basiamo su tre percezioni sensoriali: la contiguità spaziale fra la causa e il suo effetto (occorre che le due palle si incontrino); il rapporto di successione temporale per cui la causa precede l’ effetto (il movimento della prima palla precede quello della seconda); la congiunzione costante fra causa e effetto (tutele volte che abbiamo visto una palla colpirne un’altra questa si è mossa). Oltre a queste impressioni basate sull’ esperienza, quando si stabilisce una relazione di causa-effetto si stabilisce anche un rapporto di connessione necessaria, per cui ogni qualvolta una palla viene colpita da un’ altra si muoverà. Per Hume quest’ultima considerazione non può fondarsi su alcuna sensazione sensoriale in quanto si riferisce al futuro, di cui non abbiamo ancora avuto esperienza. La connessione necessaria, e con essa il principio di causalità, non può essere quindi considerata fondata poiché ad essa non corrisponde alcuna impressione sensoriale; inoltre, non può essere oggetto di dimostrazione razionale che si basi sull’ analisi della causa, in quanto non c’è nella causa (la

4 – centralità ______________ centralità ____________________________________ La mente come _______________________ L’elaborazione delle ___________________ (l’associazionismo) Le idee sono messe in relazione a causa di: 1 __________________________________ 2 __________________________________ 3 __________________________________ La scientificità dell’___________________

LA CRITICA AL PRINCIPIO DI CAUSALITÀ

Importanza __________________________ Palle da _____________________________

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palla in movimento) nulla che possa spiegare l’ effetto, per sapere che una palla colpita si mette in moto, devo per forza avere avuto tale esperienza; infine, non può essere considerata un’ idea innata, in quanto le idee si fondano sempre sulla

esperienza. Secondo Hume la relazione causa-effetto non è quindi fondata razionalmente, ma si impone per abitudine. L’ abitudine nasce dal fatto che finora nella nostra esperienza le relazioni di causa-effetto che stabiliamo si sono sempre dimostrate utili. Questa abitudine genera in noi una credenza, un’aspettativa nei confronti del comportamento delle cose. Questa aspettativa è fondata su una credenza più generale, relativa alla regolarità dei fenomeni, che ci porta a pensare che la natura si comporti in modo uniforme. Anche questa uniformità non è giustificata, in quanto dovrebbe riferirsi a esperienze future che non possiamo avere. Infatti, anche la supposizione che ci sia una somiglianza tra passato e futuro, per essere certa, dovrebbe essere sottoposta ad esperienza la quale però si riferisce sempre al passato. Questa analisi, che porta ad evidenziare come nelle nostre conoscenze abbiano un ruolo importante non solo i fattori logico-razionali, ma anche le tendenza psicologiche (abitudini e credenze), spinge Hume ad abbandonare esplicitamente la pretesa che la scienza arrivi ad una verità assoluta, certa, sfociando in uno scetticismo che l’autore stesso definisce non radicale, in quanto non vuole screditare la scienza, ma delimitarne il campo di validità (vedi problema 1, schema pag. 111). Pur nei suoi limiti, la scienza rimane la miglior forma di conoscenza a causa della sua utilità pratica e perché le nostre credenze si impongono in modo prerazionale e fanno parte della nostra psicologia. Pur non avendo alcuna garanzia metafisica, e non essendo assolute e completamente razionali, queste credenze devono essere accettate con la consapevolezza che possono essere fallaci. Questo significa che una componente d'irrazionalità è alla base anche della moderna scienza della natura, galileiana e newtonia la quale, come si sa, è qualificata giustappunto dalle spiegazioni causali e dal ragionamento induttivo, che predice il futuro generalizzando esperienze particolari del

La credenza _________________________ ____________________________________ lo scetticismo _______________________: - la scienza come _____________________ __________________perché ____________ - il valore _________________________ e non _____________________ della scienza - l’importanza _________________ degli atteggiamenti _____________________

Per concludere che ogni qual volta __________________________________________________________________________________ ci basiamo su: 1 - __________________________________ fra causa e ___________________ IMPRESSIONI _____________ 2 – rapporto di ___________________________________________ per cui:

la causa ______________________________________________________________

+ 3 ___________________________________per cui ____________________________ _______________________________________________________________________

CONNESSIONE ____________________________ per cui ogni qualvolta _______________________________________________________ che: a) si riferisce al ________________________ per cui non può fondarsi _____________________________________________

b) non è ______________________________________________________________________________

c) non è _____________________________________

è il frutto di ____________________________________

utilità _________________________ _____________________________

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passato. Dal punto di vista di Hume, i ragionamenti induttivi hanno una grande efficacia psicologica ma sono privi di necessità logica, perciò possono avere tutt'al più un valore probabilistico. Questo, però, non significa che dobbiamo smettere di ricercare nessi di causa ed effetto tra gli eventi e dobbiamo rassegnarci all'imprevedibilità del futuro; significa piuttosto, per Hume, che la ragione non ha, nell'organizzazione pratica della nostra vita, il ruolo preponderante attribuitole da gran parte della tradizione filosofica. Insomma, noi siamo, e tutto sommato ci conviene essere, degli animali irrazionali: se ci affidassimo soltanto alla ragione, non avremmo elementi per decidere se al trentesimo piano di un grattacielo sia preferibile salire a piedi o in ascensore, volendo fare prima e affaticarci di meno, ecc. Altrettanto radicale è la critica che Hume rivolge ad alcune delle idee più prestigiose della tradizione metafisica. Partiamo dall'idea di sostanza, che sta alla base della concezione della realtà di Aristotele: per lui l'essere, in senso stretto, è la sostanza, ovvero "ciò che non dipende da altro per esistere". Tutte le proprietà che attribuiamo a qualcosa - il possedere quattro zampe, l'essere bianco, ruvido, dolce, razionale ecc. - si dicono - e sono - di una sostanza. Hume attacca la tesi aristotelica sostenendo che noi non possiamo avere alcuna conoscenza della sostanza se non come collezione di idee semplici. In altri termini, quando parliamo di corpi, oggetti ecc., questi sono i nomi che diamo ad un certo set di percezioni: "mela" equivale a un certo colore più una certa forma spaziale più un certo gusto, e così via. Non si può quindi sostenere che esiste un mondo di corpi indipendente dalle nostre percezioni, in quanto i sensi non percepiscono corpi ma provano soltanto impressioni. Perché, allora. siamo assolutamente convinti che esista una realtà fuori di noi, stabile, sicura? Ancora una volta, per Hume, entra in gioco l'abitudine: in questo caso è l'abitudine alla costante congiunzione di determinate impressioni a farci concludere che c'è un mondo fatto così e così, che esiste anche mentre non lo percepisco (vedi lettura n. 14). Questo è il motivo per cui siamo certi che domani sorgerà il Sole e che, se mi volto, quell'albero che mi sta davanti continua ad esistere. Tutte queste credenze, però, non hanno la solidità indistruttibile delle certezze logiche, come per esempio quella secondo cui "il tutto è superiore alle parti"(vedi problema 3, schema pag. 111).

Un altro punto d'attacco è l'io, la res cogitans di Cartesio, che il filosofo francese tratta come una sostanza. Ciò che chiamiamo io, anima, spirito, non è altro, a parere di Hume, che un fascio di percezioni del senso interno, che, peraltro, sono sempre in movimento. La nostra capacità associativa unifica tali impressioni e le tratta come se fossero manifestazioni di una realtà unitaria della quale, in realtà, non abbiamo alcuna conoscenza. Scrive Hume: “Noi non abbiamo alcuna idea di una sostanza di qualsiasi genere, perché non abbiamo alcuna idea che non sia derivata da qualche impressione e non abbiamo impressione alcuna di qualsiasi sostanza, materiale o spirituale che sia. Noi conosciamo soltanto qualità particolari. Come la nostra idea di un corpo, per esempio di una pesca, non è che l'idea di un particolare sapore, colore, figura, grandezza, solidità ecc., così la nostra idea di una mente non è che quella di particolari percezioni, senza la nozione di quello che chiamiamo sostanza, semplice o composta che sia.” (Estratto del Trattato sulla Natura umana) Questa posizione è coerente con il già accennato nominalismo humeano: se l'esperienza sensibile è l'unica via d'accesso al mondo, e possiamo avere esperienza solo di realtà particolari, questo vale anche per ciò che chiamiamo, di volta in volta, io, mente, coscienza. È evidente da queste tesi che per Hume la metafisica, intesa come conoscenza razionale a priori di certi oggetti o realtà - tutte le cosiddette sostanze, compreso Dio - non ha fondamento.

LA CRITICA ALLA METAFISICA E ALLA CONCEZIONE DELLA REALTÀ TRADIZIONALE

A -La critica al concetto di _____________

Sensi = percezione di ________________ _________ abitudine a _____________

______________________ credenza

____________________________________

B – La critica al concetto _______________

Io = percezioni _________________ singole

associate insieme _____________________

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4. Kant: le forme a priori della conoscenza

4.0 La risposta di Kant: la valorizzazione del soggetto 4.1 Il processo cognitivo e le forme a priori della conoscenza 4.2 Le forme a priori della conoscenza: strutture percettive e categorie

La risposta di Immanuel Kant (1724-1804) 5 è quella che più valorizza il ruolo che il soggetto della conoscenza, cioè l’uomo, svolge nel processo conoscitivo. Cartesio aveva posto l’esistenza del soggetto come prima certezza, ma aveva dovuto ricorrere a Dio per superare l’ ipotesi di essere ingannato. Gli empiristi non erano ricorsi a Dio per dimostrare la validità delle conoscenze umane, ma avevano ridotto il ruolo del soggetto a quello di un registratore passivo dell’esperienza. Kant parte dai seguenti presupposti: la centralità del ruolo del soggetto (condivisa dai razionalisti come Cartesio e Hobbes); la necessità di fondare la conoscenza senza ricorrere ad entità metafisiche (condivisa con gli empiristi); le conoscenze scientifiche sono: assolute, necessarie e universali. Assolute: quindi sono certe, valide; necessarie: quindi non possono essere diverse da quelle che sono; universali: ovvero uguali e vere per tutti. Le conoscenze non possono quindi essere fondate sulla sola esperienza, infatti se si accetta l’ esperienza come base su cui fondare la conoscenza, dobbiamo, seguendo Hume, ammettere che esse non sono completamente certe, né necessarie e universali. Per giustificare la conoscenza è quindi necessario ammettere qualcosa oltre all’esperienza. Per individuarlo Kant si propone di mettere al centro della sua analisi il rapporto fra il soggetto e l’oggetto della conoscenza, per stabilire l’apporto che queste due entità danno al processo conoscitivo.

KANT: LE FORME A PRIORI DELLA CONOSCENZA

LA RISPOSTA DI KANT: LA VALORIZZAZIONE DEL SOGGETTO

Limiti di: - Cartesio: soggetto + bontà _____________ - empiristi: passività _________________

5 Le opere principali di Kant sono rappresentate dalle tre Critiche, ovvero “La critica della ragion pura” (1781), dedicata ai problemi della conoscenza scientifica di cui ci occuperemo in questa sezione, “La critica della ragion pratica” (1788), dedicata all’analisi del comportamento pratico e quindi della morale, di cui parleremo nella sezione dedicata al problema di Dio nella filosofia moderna, e, infine, “La critica del giudizio” (1790), il cui oggetto è costituito dai giudizi estetici. Per la vita e le opere di Kant vedi pag. 134.

HUME E I PROBLEMI POSTI DAL NUOVO SAPERE 1 giustificazione nuovo sapere: la scienza è __________________ ________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Ruolo soggetto:________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 2 il metodo scientifico: __________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 3 la concezione della realtà: _______________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 4 Dio: _____________ ___________________________________________________________________________________________

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Il processo cognitivo richiede, per Kant, i dati sensoriali che costituiscono il contenuto della conoscenza che derivano dall’esperienza e rappresentano l’apporto dell’oggetto della conoscenza. Però, conoscere non significa solo ricevere dati, ma elaborarli, occorre quindi ammettere che il soggetto possiede degli schemi che gli consentono questa elaborazioni. Kant chiama questi schemi forme a priori (strutture mentali). Le forme a priori non derivano dall’esperienza e devono essere considerate proprietà innate nella ragione, non in quanto idee possedute dalla ragione (vedi Cartesio), quanto invece come strutture di cui si serve per elaborare le informazioni. Inoltre, sono universali e necessarie in quanto tutti gli uomini le possiedono e le applicano allo stesso modo. Sono, infine, feconde in quanto se applicate ai dati dell’esperienza, sono in grado di estendere le nostre conoscenze.

IL PROCESSO COGNITIVO E LE FORME A PRIORI DELLA CONOSCENZA

Conoscere = ____________________ i dati _________________________ + ____________________ apporto del ________________________ = schemi / ___________________ = forme a ____________________________________ LE FORME A PRIORI

Le forme a priori possono essere paragonate all’effetto di un paio di occhiali colorati o al funzionamento del computer. Se noi avessimo incorporate delle lenti blu, vedremmo il mondo filtrato da quel colore; allo stesso modo le nostre strutture mentali ci consentono di vedere il mondo filtrandolo attraverso il loro funzionamento. Oppure, esse possono essere paragonate ad un software che contiene le istruzioni per elaborare i dati, sono infatti queste ultime a determinare, insieme ai dati in entrata, i risultati che si otterranno. All’interno del processo cognitivo, infatti, il soggetto non è passivo, ma svolge il ruolo di elaborazione dei dati tratti dall’esperienza, di conseguenza sia la percezione dei dati che la loro elaborazione sono condizionate dalle strutture percettive e mentali che il soggetto possiede, ovvero da quelle che Kant chiama le forme a priori. Il fondamento del processo conoscitivo deve essere, dunque, ricercato nelle leggi che regolano il funzionamento delle forme a priori tipiche del soggetto. Queste leggi non potranno mai essere smentite dall’esperienza perché sono esse stesse, insieme alle forme a priori, a consentirci di concepire e pensare l’esperienza. Un’esperienza che le contraddica non è quindi possibile. Il considerare le strutture mentali del soggetto come fondamentali nel processo cognitivo consente a Kant di superare lo scetticismo di Hume (vedi lettura n. 14), fondato sulla convinzione che la conoscenza ha origine dall’esperienza, e che quindi le nostre conoscenze non sono certe in quanto non possiamo conoscere le nostre esperienze future. Ritenendo invece che le strutture mentali, che ci

Forme a priori e ______________________ Forme a priori e ______________________ Forme a priori e ruolo _________________ del ________________________________ Forme a priori e ______________________ La risposta di Kant a ______________: siamo certi di come ___________________ ______ le nostre esperienze _____________

I PRESUPPOSTI DI KANT: 1 - __________________________________________________________________________________ 2 – non ricorrere a ________ _______________________ 3 le conoscenze scientifiche sono: assolute, _________________________ e _____________________

4 per giustificare le conoscenze occorre ammettere: 1 _____________________ + _____________________________

da individuarsi nel rapporto _____________________

LE FORME A PRIORI 1 innate perché __________________________________________________________________________________________ 2 universali e __________________ perché ____________________________________________________________________ 3 feconde perché __________________________________________________________________________________________

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consentono di fare esperienza, siano immutabili, se è vero che non possiamo conoscere le esperienze future siamo però certi di come le interpreteremo. Questa nuova interpretazione costituisce quella che Kant stesso definisce una rivoluzione copernicana: come Copernico ha cambiato il modo di intendere l’universo, capovolgendo il ruolo del sole e della terra, così questa nuova concezione cambia il modo di vedere il rapporto fra il soggetto e l’oggetto della conoscenza. Prima si pensava che l’oggetto si imponesse al soggetto che rimaneva quindi passivo, mentre Kant propone l’idea che l’oggetto si adatti alle strutture mentali del soggetto. Una figura ambigua (vedi pag. successiva) può essere un buon esempio di come sia necessaria l’elaborazione da parte delle strutture mentali; una figura ambigua può infatti essere interpretata in modi diversi: le linee rimangono le stesse, ma a seconda di dove cade l’ occhio si vedono figure diverse. Ovvero ciò che noi vediamo dipende da come elaboriamo le linee che percepiamo. Allo stesso modo guardando due oggetti con un occhio chiuso o con entrambi gli occhi aperti le loro reciproche distanze non rimangono invariate: allora quale sarà la reale distanza tra i due oggetti? Una prima conseguenza della nuova concezione della conoscenza è il dover distinguere nella realtà due aspetti, che Kant chiama fenomeno e cosa in sé (noumeno). Il fenomeno è la realtà così come ci appare tramite le forme a priori. Non è pura apparenza illusoria, in quanto corrisponde a qualcosa che risulta reale, ma solo nel rapporto con il soggetto. Il fenomeno è quindi la cosa ‘per noi’. Il noumeno è la realtà indipendente dal soggetto. La cosa in sé è inconoscibile. La nostra conoscenza non può quindi considerarsi oggettiva. Essa risulta vera solo per noi; ma se tutti possediamo le stesse forme a priori la conoscenza risulta assoluta e necessaria e universale. L’altra conseguenza è invece legata alla nuova centralità che assume il soggetto della conoscenza. In un celebre passo partendo dal metodo galileiano fondato sull’iterazione tra osservazioni, esperimento e teoria così Kant stesso descrive il nuovo ruolo del soggetto: “Allorché Galilei fece rotolare lungo un piano inclinato le due sfere, il cui peso era stato da lui stesso prestabilito, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso, da lui precedentemente calcolato pari a quello d'una colonna d'acqua nota, …. una gran luce risplendette per tutti gli indagatori della natura. Si resero allora conto che la ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e compresero che essa deve procedere innanzi coi princìpi dei suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, con le redini. In caso diverso le nostre osservazioni casuali, fatte senza un piano preciso, non trovano connessione in alcuna delle leggi necessarie di cui invece la ragione va alla ricerca e ha impellente bisogno. È pertanto indispensabile che la ragione si presenti alla natura tenendo, in una mano, i princìpi in virtù dei quali soltanto è possibile che i fenomeni concordati possano valere come leggi e, nell'altra mano, l'esperimento che essa ha escogitato in base a questi princìpi; e ciò al fine di essere sì istruita dalla natura, ma non in veste di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piace al maestro, bensì di giudice che nell'esercizio delle sue funzioni costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge. Pertanto la fisica è debitrice della rivoluzione del modo di pensare che le ha arrecato tanti vantaggi solo all'idea che la ragione deve (senza indulgere in fantasticherie) cercare nella natura, in conformità a quanto essa stessa vi pone, ciò che vuole sapere intorno a essa, e che a nessun titolo potrebbe ritrovare in se stessa. In tal modo la fisica è stata posta per la prima volta sulla via sicura della scienza, mentre per tanti secoli non aveva fatto altro che procedere brancolando”.

La rivoluzione _______________________ di Kant da oggetto ____________ a soggetto ____________ figure _____________ distanze tra _________________________ Conseguenze del nuovo modo di intendere la conoscenza:

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Le forme a priori sono ciò che occorre ammettere accanto all’esperienza per poter giustificare la validità delle conoscenze umane. Esse costituiscono le strutture mediante le quali il soggetto organizza i dati dell’esperienza. La conoscenza umana a sua volta si struttura su tre livelli: 1 - sensibilità o percezione, attraverso cui percepiamo i dati dell’esperienza, non gli oggetti o le leggi che li governano, ma dati parziali e slegati. Tali dati costituiscono il materiale che viene elaborato dalle strutture mentali (forme a priori) già a livello percettivo, ma soprattutto al secondo livello. 2 - intelletto, a tale livello l’elaborazione avviene unificando i dati parziali, costruendo in tal modo l’immagine degli oggetti esterni e formulando le leggi che ne regolano il comportamento. 3 - ragione, attraverso la quale cerchiamo di spiegare globalmente la realtà, utilizzando i concetti di Dio, anima e mondo. La ragione però non produce una conoscenza vera, in quanto non si applica ai dati dell’esperienza quali sono appunto le idee di Dio e dell’anima. La conoscenza scientifica è dunque opera solo della percezione e dell’intelletto, in quanto si applicano ai dati dell’esperienza. La percezione sensoriale o sensibilità ci consente di acquisire i dati che ci provengono dalla realtà esterna tramite l’esperienza. Per quanto la percezione sia essenzialmente passiva, essendo deputata a ricevere i dati, essa risulta ricettiva sola ai dati che sono collocabili all’interno delle forme a priori (strutture percettive) di cui risulta dotata. Tale forme a priori sono costituite dallo spazio, poichè gli oggetti esterne sono collocati sempre in una dimensione spaziale, e il tempo, poichè gli atti percettivi si collocano all’interno del flusso della nostra coscienza in una successione temporale. A meno che non applichiamo i concetti di spazio e tempo alle impressioni che riceviamo, il mondo è incomprensibile, non è che un guazzabuglio caleidoscopico di colori, forme, rumori, odori, dolori e sapori senza significato. Pertanto, noi percepiamo gli oggetti in un certo modo grazie alla nostra applicazione di intuizioni a priori quali spazio e tempo; ovvero lo spazio e il tempo sono forme che applichiamo ai dati nel momento in cui li riceviamo dall'oggetto che li produce. Le forme a priori hanno la loro origine nella natura umana, per cui non sono causati dall'oggetto percepito né gli conferiscono la sua esistenza, ma forniscono una specie di vaglio per i dati sensoriali che accetteremo. Quella che noi consideriamo realtà è una sintesi continua tra gli elementi fissi delle forme a priori e i dati sempre mutevoli dei nostri sensi. Spazio e tempo non sono dunque, per Kant, qualità oggettive appartenenti alla

LE FORME A PRIORI DELLA CONOSCENZA: STRUTTURE PERCETTIVE E CATEGORIE

Conoscenza = ___________ + forme a priori I livelli della conoscenza: 1 ___________________________ _________________ dei dati ___________ 2 intelletto _______________________ dei dati costruzione dell’__________________ 3 la ragione utilizza concetti di ___________________ _________________________________ non produce conoscenza _______________

LA PERCEZIONE _____________________

CONSEGUENZE DEL NUOVO MODO DI INTENDERE LA CONOSCENZA: 1 - la distinzione tra FENOMENO E _______________

fenomeno =_________________come ________________________ vero ma ________________

noumeno = ___________________ indipendente dal _______________ inconoscibile

2– il nuovo ruolo del ___ __________________ Soggetto: principi _____________

osservazioni Oggetto condotte non come un ____________ che si beve tutto ma come un _________ ___che costringe a _______________________

Figura ambigua

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realtà quanto invece modalità che consentono al soggetto di percepire gli oggetti; sono di conseguenza soggettivi rispetto all’oggetto in sé (vedi diversità dello spazio bidimensionale rispetto a quello tridimensionale), ma oggettivi rispetto alle cose come appaiono a noi, poichè tutti possediamo le forme a priori del tempo e dello spazio.

Spazio e tempo inoltre risultano indipendenti dall’esperienza (a priori), in quanto costituiscono le strutture che ci consentono di percepire l’esperienza. Infatti, possiamo essere sicuri che tutti gli oggetti del mondo di cui possiamo avere esperienza attraverso i nostri sensi saranno sempre posti nello spazio e nel tempo, non possiamo sapere, invece, quel che nello spazio possiamo trovare mediante le nostre esperienze future. Poiché è l’esperienza che ci consente di riempire di contenuti (i dati) le strutture percettive deputate a ricevere tali dati, i due elementi concorrono indissolubilmente ad accrescere le nostre conoscenze. Secondo Kant l’universalità e la necessità della matematica e della geometria derivano dal fatto che entrambe si fondano, non sul contenuto dell’esperienza, bensì sulle forme a priori del tempo, la matematica (ad esempio la moltiplicazioni si presenta come una successione di addizioni), e dello spazio la geometria. I contenuti della percezione sensibile, già organizzati dalle strutture spazio-temporali ma ancora frammentari e parziali (vedi l’esempio della figura di pag. precedente), vengono elaborati dall’intelletto costruendo i concetti empirici (uomo, animale, la biro e il foglio del nostro esempio), o elaborando le leggi che ne regolano il comportamento. L’intelletto si comporta come un soggetto che riceva dei messaggi, per esempio delle lettere (i dati sensoriali della percezione), da un corrispondente sconosciuto (l’oggetto, la “cosa in sé” di Kant) e cerchi di ricostruire l’identità del mittente sconosciuto collegando tra i loro tutti i messaggi; l’unificare i messaggi è l’unico modo per riuscire a pensare, a identificare il loro autore. Kant chiama “categorie” le modalità di funzionamento del nostro pensiero che ci consentono di elaborare i dati della percezione raggruppando e collegando tra loro la molteplicità dei dati sensoriali. Tale funzione raggruppante consente al pensiero di pensare gli oggetti, cioè di riferire i diversi dati sensoriali agli oggetti di cui abbiamo esperienza. Kant procede quindi identificando le diverse categorie. Siccome i concetti, ovvero il prodotto delle categorie, sono i predicati di possibili giudizio (esempio, “ogni uomo (soggetto) è un animale (predicato)”), le categorie vengono ricavate, recuperando la logica aristotelica, da una classificazione dei possibili predicati, utilizzando, quindi, il criterio della diversa maniera tramite cui risulta possibile attribuire un predicato a un soggetto. Le modalità fondamentali di attribuzione di un giudizio sono raggruppabili in quattro gruppi dal momento che è possibile esprimere un giudizio che affermi, o neghi o limiti una certa qualità (tipo di

Non possiamo sapere __________________ _________________________ (esperienza) ma siamo sicuri che sarà collocato ________ _______________________ Matematica forme a priori del _________ _____________ forme a priori dello _____________ L’INTELLETTO L’intelletto e il mittente ________________ ______________________ dai dati all’______________ LE CATEGORIE ____________________________ dei dati Categorie ________________________ e _____________________ Le 4 modalità di attribuzione dei ___________________________ 1 - ________________________________

LA PERCEZIONE SENSORIALE ricezione dei dati coglibili dalle ___________________________________ del: a) _____________________ (oggetti esterni sono sempre collocati nello __________) b) _____________________ (atti percettivi inseriti _____ _______________________________ della nostra _________________) Spazio e tempo come ________________________ del soggetto di percezione ___________________________________ per cui:

1 soggettivi rispetto _______ _______________________ _________________________________ 2 _______________ rispetto alle ______________________________________________________

3 indipendenti dall’_________________________________________________________________

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giudizio: qualità); inoltre un giudizio può riguardare tutti i casi, un solo caso o alcuni casi (tipo di giudizio: quantità); oppure possiamo giudicare dell’appartenenza a una certa cosa di una determinata proprietà , che un certo fatto è causa di un altro o che due fatti interagiscono (tipo di giudizio: relazione); infine, posiamo esprimere un giudizio sulle modalità di esistenza che può risultare contingente o necessaria, reale o non reale, possibile o impossibile (tipo di giudizio: modalità). All’interno di ognuno dei quattro gruppi di possibili giudizi Kant individua tre categorie che risultano quindi in tutto dodici.

2 __________________________________ 3 __________________________________ 4 __________________________________

All’interno dei giudizi di relazione Kant colloca le categorie della sostanzialità e della causalità che ci consentono di affermare l’appartenenza a una certa cosa di determinate proprietà (sostanzialità) e che una certa cosa è causa di un’altra (causalità). In tal modo facendo della sostanza e della causa delle categorie a priori nega, contro Hume, che esse possano essere dedotte dall’esperienza, poiché esse diventano ciò che ci consente di fare esperienza, la condizione universale e necessaria della stessa esperienza. Pertanto le leggi scientifiche (la fisica per Kant, essendo la scienza meglio formalizzata ai suoi tempi), basate sulla relazione causa ed effetto, non sono soltanto l’espressione di un abitudine, come voleva Hume, ma delle conclusioni universali e necessarie dal momento che tali sono le modalità di funzionamento del pensiero. Stabilito che le categorie hanno una funzione unificante dell’esperienza e formulata la tavola delle categorie, Kant si pone ancora il problema di cosa consenta alla nostra esperienza di presentarsi come unitaria e non molteplice, ovvero cosa giustifichi il fatto che l’unificazione dei dati avvenga sempre nello stesso modo. Per giustificare il fatto che la nostra conoscenza unifica non solo i singoli atti

Giudizi di ______________ e la categoria della ____________________________ La risposta di Kant a _____________ leggi scientifiche = conclusioni __________ ____________e ______________________ l’unitarietà dell’_______________________

Un esempio: una biro scrive su un foglio.

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conoscitivi ma l’intero mondo dei fenomeni, facendolo apparire non come molteplice ma come unitario in modo da poter confermare ogni volta la nostra esperienza, Kant ritiene che occorra presupporre un’unità originaria, precedente le singole attività di unificazione e rispetto a cui avvengono tutte le singole unificazioni. Tale unità originaria è identificata nell’”Io penso” o autocoscienza a cui vengono riportati tutti i singoli atti di unificazione dei dati sensoriali, in questo modo riferiamo a noi stessi ogni nostra rappresentazione venendone a costituire l’elemento unificante. Se non potessimo ricordarci dell’esperienza e riconoscerla come nostra e, correlativamente, aspettarci un futuro non ci sarebbe nessuna esperienza, ma solo una successione disorganizzata di singoli stati d’animo. Oltre alle rappresentazioni mentali prodotte dalle categorie deve quindi esistere anche l’autocoscienza o Io penso, perchè senza un centro mentale unificatore le rappresentazioni non avrebbero modo di essere pensate e quindi non esisterebbero e, osserva Kant “ io dovrei avere un me stesso variopinto e differente, alla stessa stregua delle rappresentazioni delle quali ho coscienza”, ovvero coincidente con la sola rappresentazione attuale. Occorre, infine, sottolineare che l’Io penso non è l’io psicologico di ciascun soggetto empirico, la psiche di questo o quella persona, ma una struttura del pensiero, comune a ogni soggetto pensante e cosciente.

L’Io penso come centro ________________ dell’esperienza oppure “me stesso” coinciderebbe con la sola ____________________________________

5. Filosofia e scienza in età moderna: un bilancio

5.1 Le novità 5.2 I limiti Tra i meriti del dibattito filosofico Sei-settecentesco sulla scienza va sottolineato il fatto di aver riconosciuto l’importanza del sapere scientifico. Il sapere scientifico era infatti in contrasto con la cultura e la mentalità ufficiale e riconoscerne la validità rappresentava una rottura con la tradizione. Un secondo merito è l’aver intuito che la conoscenza è opera esclusiva dell’uomo e delle sue capacità, non di una rivelazione divina, né può appoggiarsi ad alcun tipo di autorità. Il terzo merito, sopratutto di Kant, degli empiristi e di Hobbes è il non ricorrere ad ipotesi di tipo metafisico-teologico per spiegare la realtà. Infine, un ultimo merito di Kant e degli empiristi è l’aver fatto oggetto di studio il funzionamento del processo conoscitivo al fine di stabilire le condizioni in cui avviene, anticipando l’atteggiamento proprio dell’ Ottocento e del Novecento che produrrà la psicologia cognitiva scientifica.

FILOSOFIA E SCIENZA IN ETÀ MODERNA: UN BILANCIO

LE NOVITÀ

1 il riconoscimento della _______________ 2 la conoscenza come _________________ ___________________________________ 3 il non ricorso a ______________________

KANT E I PROBLEMI POSTI DAL NUOVO SAPERE 1 giustificazione nuovo sapere: la scienza è __________________ ________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ Ruolo soggetto:________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 2 il metodo scientifico: __________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 3 la concezione della realtà: _______________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________________________________ 4 Dio: _____________ ___________________________________________________________________________________________

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Inoltre, Kant in particolare, ha sottolineato la problematica della conoscenza umana, dimostrando che la mente non ha un ruolo passivo, ma è la realtà a essere sagomata dalla forma del nostro intelletto. Riconoscere che è la struttura della mente a dare forma alla realtà, e che la realtà non può essere conosciuta indipendentemente da queste strutture, implica il riconoscere che la nostra conoscenza non coglie la realtà in sé, ma solo ciò che essa rappresenta per noi . Questa problematicità del rapporto fra conoscenza e realtà non potrà più, dopo Kant, essere ignorata. I limiti sono invece da riconoscersi innanzitutto nel fatto che le indagini si situano su un piano esclusivamente individuale, si fondano cioè sull’analisi della percezione e concettualizzazione come facoltà del singolo. Nel corso del Novecento, invece, si è definitivamente affermata una concezione delle conoscenze come un patrimonio elaborato dalla collettività e l’idea per cui una conoscenza trova il suo significato solo se collocata nell’insieme della cultura a cui appartiene (vedi brano di U. Eco ‘I segni’). Il secondo limite è il non aver colto la storicità della conoscenza umana. Anche il riconoscimento dell’evoluzione storica della cultura e della conoscenza è avvenuto solo nell’Ottocento (Hegel, Marx), generalizzandosi poi nel Novecento. Cartesio e Kant consideravano infatti assolute le conoscenze, indipendenti da qualsiasi tipo di evoluzione, che in qualche modo le renderebbe contingenti, cioè valide solo adesso. Ancora recentemente l’etologo K. Lorenz6 ha cercato di dare una lettura in chiave biologica delle forme a priori di Kant, vedendole come schemi istintuali innati che costituiscono un a priori rispetto all’individuo, ma sono a posteriori rispetto alla specie. Ovvero, l’evoluzione della specie comporta l’evoluzione delle strutture mentali che l’individuo si ritrova come dotazione naturale. Ammettendo una forma di evoluzione, le conoscenze non possono comunque più essere considerate assolute, in quanto sono fissate in una certa forma che in futuro potrebbe cambiare (vedi lettura n 9).

4 la ________________________________

I LIMITI 1 conoscenza come facoltà ___________ _____________ e non patrimonio elaborato ______________________ 2 ignorato la ________________________ Lorenz e la lettura ___________________ delle forme a priori: forme a priori = __________ ____________ che sono: a priori rispetto all’____________________ a posteriori rispetto alla _______________ evoluzione specie = conoscenza non __________________

VITA E OPERE René Descartes (latinizzato in Cartesius e italianizzato in Cartesio) nacque da una famiglia della piccola nobiltà a La Haye nel 1596. Studiò nel celebre collegio dei gesuiti a La Flèche, dove apprese la filosofia scolastica. Viaggiò per tutta l'Europa partecipando anche alla guerra dei Trent'anni come volontario nelle truppe di Maurizio di Nassau prima e dell'elettore di Baviera poi. La notte del 10 novembre 1619, presso Ulm, ebbe una sorta di visione e intuì i fondamenti del suo sistema. In Olanda nel 1630 scrisse il trattato I l mondo o trattato della luce che però decise di non pubblicare quando apprese della condanna di Galileo da parte del Sant'Uffizio. Sette anni dopo pubblicò il Discorso sul metodo concepito come introduzione ad alcuni saggi scientifici. Nel 1641 uscirono a Parigi le Meditazioni metafisiche, poi ristampate insieme alle Obiezioni mossegli dai suoi lettori e alle Risposte alle obiezioni dell'autore. Morì di polmonite a Stoccolma, nel 1650, dove era ospite delle regina Cristina di

6 K. Lorenz (1903-89), considerato uno dei fondatori dell’etologia, ha ripreso le tesi di Kant in “L’altra faccia dello specchio” (1973). Dello stesso autore, ma di più facile lettura sono “L’anello di Re Salomone” e “E l’uomo incontrò il cane”. Vedi lettura n 9.

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Svezia. David Hume nasce a Edimburgo nel 1711 da una famiglia calvinista della nobiltà di toga. Trascorsa l'adolescenza nella proprietà di famiglia di Ninewells, si trasferisce a Edimburgo per frequentare il college. Studia all'università di Edimburgo fino all'età di 15 anni acquisendo un'imponente cultura umanistica. Sebbene incoraggiato dalla famiglia ad intraprendere la carriera di giurista, manifesta presto il serio proposito di dedicare la sua vita alla filosofia. Il periodo dal 1727 al 1734 è di grande importanza per la sua formazione filosofica; Hume legge gli empiristi e i moralisti inglesi e, attraverso Bayle, viene a conoscenza delle dottrine di Spinoza. Appena compiuti 18 anni, Hume ha già chiaro in mente il progetto di rinnovamento del metodo filosofico: applicare il metodo sperimentale allo studio della natura umana, così da istituire una scienza dell’uomo. È questo un periodo di grande fermento intellettuale per Hume, ma anche di incertezze religiose e professionali. Si decide infine a partire per Parigi. Il Trattato sulla natura umana è composto in Francia e pubblicato anonimamente nel 1739 e 1740. II trattato riceve scarsa attenzione, probabilmente a causa dello stile letterario sistematico; Hume si decide perciò a pubblicare anonimamente nel 1740 un Estratto e a rivedere l'opera nella sostanza. Miglior fortuna ha la pubblicazione delle Ricerche, nelle quali Hume espone la formulazione compiuta della sua dottrina. La Ricerca sull'Intelletto Umano, del 1748, è intesa come una versione rivista e più accessibile dei primi due libri del Trattato; il libro terzo del Trattato viene ripresentato, corretto nella Ricerca sui principi della Morale nel 1751. A causa del suo progressivo allontanamento dall'ortodossia calvinista a Hume viene rifiutato il riconoscimento accademico. Nel 1752 divenne conservatore della biblioteca di Edimburgo e si dedicò prevalentemente a studi storici. Fu segretario privato dell'ambasciatore inglese a Parigi, dal 1763 al 1766 e da 1767 al 1768 sottosegretario di stato. Il periodo parigino vede Hume intrecciare rapporti con gli enciclopedisti e, soprattutto, con Rousseau. Il sodalizio con il tormentato filosofo ginevrino avrà però una risoluzione drammatica: invitato a Londra da Hume, Rousseau cominciò a nutrire risentimenti verso di lui e ad accusarlo di complotto con i suoi nemici. L'ostilità che si era procurato con la pubblicazione della Storia naturale della religione, nel 1757, lo costrinse a rimandare la pubblicazione dei Dialoghi sulla religione naturale, che uscirono postumi. Hume raggiunse però la fama che meritava con la pubblicazione della Storia di Inghilterra, 1756-1761. Nel mondo intellettuale del tempo, David Hume era conosciuto e benvoluto sia per la sua brillante intelligenza sia per la sua socievolezza. Con serenità Hume affronti la malattia e la morte che sopraggiunse nel 1776. Immanuel Kant nacque nel 1724 a Königsberg (oggi Kaliningrad, in Lituania), allora capoluogo della Prussia orientale. Figlio di un sellaio, fu educato dapprima secondo lo spirito religioso del pietismo, di cui era adepta la madre, nel Collegium Fridericianum. Dal 1740 studiò filosofia, matematica e teologia all'università di Königsberg. Le sue prime opere, risalenti al decennio 1750-60, trattano per lo più argomenti di scienza naturale, come la celebre Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), in cui si sostiene l'ipotesi della formazione dell'universo, secondo le leggi della meccanica newtoniana, da una nebulosa originaria. Indipendentemente da Kant, la stessa ipotesi fu formulata alla fine del secolo da Laplace, ed è nota perciò come "ipotesi di Kant-Laplace". L'interesse filosofico prevale invece nel decennio successivo, di cui vanno segnalati in particolare i Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica (1766), dove vengono anticipati i motivi della critica alla metafisica sviluppata successivamente nella Critica della ragion pura. Dopo aver tenuto per qualche anno l'incarico di sottobibliotecario presso la biblioteca reale, nel 1770 ottenne la cattedra di logica e metafisica. Sino alla morte, avvenuta nel 1804, Kant non si allontanò mai da Königsberg, dove peraltro condusse anche, finché le condizioni di salute glielo permisero, una brillante vita mondana, circondato da rispetto e prestigio. Dopo un lungo silenzio, le tre Critiche uscirono nel decennio compreso tra il 1781 (prima ed. della Critica della ragion pura) e il 1790 (Critica del giudizio, preceduta due anni prima dalla Critica della ragion pratica). Nel 1793, dopo la pubblicazione de La religione nei limiti della semplice ragione, ebbe fastidi con la censura prussiana, che gli proibì di pubblicare ancora su argomenti religiosi. L'anno dopo uscì Per la pace perpetua. Kant si spense a Königsberg nel 1804.

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5- L’ILLUMINISMO E LA CRITICA DELLA TRADIZIONE Bayle – “La critica delle superstizioni” D’Alembert – “La rivoluzione culturale alla metà del secolo XVIII” BAYLE – LA CRITICA DELLE SUPERSTIZIONI I presagi delle comete non hanno alcun fondamento Tutti i giorni sento molte persone discutere sulla natura delle comete e, quantun-que io non sia un astronomo né per vocazione né per professione, non trascuro di studiare accuratamente tutto quello che i più esperti hanno pubblicato su questo argomento; ma bisogna che vi confessi, signore7, che di tutte le loro affermazioni mi sembra convincente soltanto quella contro la superstizione popolare, secondo cui le comete minacciano il mondo di un'infinità di malanni.

Ecco perché non so convincermi che un dottore come voi siete, il quale per il semplice fatto di essere riuscito a predire con precisione il ritorno della nostra cometa, dovrebbe essere convinto non trattarsi altro che di corpi soggetti alle leggi ordinarie della natura e non di prodigi che non seguono nessuna regola, si sia non-dimeno lasciato trascinare dalla corrente e creda, conformemente all'opinione ge-nerale, nonostante le ragioni addotte da un ristretto numero di persone scelte, che le comete siano come degli araldi che vengono da parte di Dio a dichiarare la guerra al genere umano. Se voi foste un predicatore potrei perdonarvi perché tali pensieri sono molto adatti per propria natura ad essere rivestiti dei più pomposi e patetici ornamenti dell'eloquenza, e fanno quindi più onore a colui che li declama e molta più impressione sulla coscienza degli uditori, che non cento altre proposizioni pro-vate dimostrativamente. Ma non posso ammettere che un dottore, il cui compito non è di esercitare doti di persuasione sul popolo e il cui nutrimento spirituale dovrebbe essere esclusivamente la pura ragione, consideri con rispetto idee tanto poco fondate e si appaghi della tradizione e di passi tratti dai poeti e dagli sto -rici8. Non è possibile avere un peggiore fondamento. Cominciamo dai poeti; voi ben sa-pete, signore, quanto essi si ostinino a voler cospargere le loro opere di numerose descrizioni pompose, come lo sono per l'appunto quelle intorno ai prodigi, e a voler dare un carattere meraviglioso alle avventure dei loro eroi, al punto che per perve-nire al loro scopo immaginano mille cose sbalorditive. Così, ben lontano dal crede-re sulla loro parola che la caduta della repubblica romana sia avvenuta per l'apparizione di due o tre comete, sarei piuttosto propenso a non credere, se altri non l'avessero affermato, che proprio in quel tempo siano apparse delle comete. Dobbiamo infatti pensare che, se uno si decide a fare un poema, vuole impadronirsi nello stesso tem-po di tutta la natura. Il cielo e la terra ormai non agiscono più se non per suo ordi-ne, eclissi e naufragi avvengono a sua discrezione e tutti gli altri elementi si con-fondono se a lui sembra opportuno. Si vedono tanti eserciti sospesi nell'aria e tanti mostri sulla terra quanti egli ne desidera; gli angeli e i demoni appaiono a ogni suo comando. Gli stessi dei, issati su delle macchine, sono pronti a mettersi a sua disposizione e, poiché c'è soprattutto bisogno di comete grazie alle superstizioni che le circondano, le usa a proposito, se le trova belle e fatte nella storia; se non le trova, le fabbrica da sé dando loro colore e forma tali che sia evidente quanto e con quale interesse il cielo si è preso cura di tutta la faccenda. Dopo di che, chi non riderebbe nel vedere tante persone intelligenti fornire come prova del carattere maligno di questi astri eccezionali niente altro che il Terris mutantem regna

7 I Pensieri sulla cometa, da cui è tratto il brano, sono redatti in forma di lettera a un dottore

della Sorbona, che Bayle indica con le iniziali M.L.A.D.C. 8 Sin dalle prime pagine dell'opera è evidente l'impianto razionalistico del discorso di Bayle.

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Cometen di Lucano; il Regnorum eversor, rubuit lethale Cometes di Silio Italico; il Nec diri toties arsere Cometae di Virgilio; il Nunquam terris spectatum impune Cometen di Claudiano e altre simili belle espressioni degli antichi poeti?9 Riguardo agli storici, convengo che non si prendono la libertà di immaginare con tanta facilità fenomeni straordinari; ma la maggior parte di essi rivelano una così grande smania di riferire tutti i miracoli e tutte le visioni che la credulità dei popoli ha sanzionato, che non sarebbe prudente credere a tutto quello che ci riferiscono su questo argomento. Forse temono che le loro storie apparirebbero troppo sempli-ci, se a ciò che avviene secondo il corso naturale delle cose non mescolassero un certo numero di prodigi e di accidenti sovrannaturali10; e forse sperano, con questa specie di condimenti, tanto graditi all'inclinazione naturale dell'uomo, di tenere sempre desto l'interesse dei lettori, fornendo loro continuamente cose di cui stupirsi; o forse sono persuasi che il fortuito verificarsi di simili avvenimenti miracolosi, renderà famosa la loro storia, nei tempi avvenire. Comunque sia, non si può negare che gli storici trovino la massima compiacenza nel moltiplicare tutto ciò che abbia soltanto l'odore del miracolo [...1.

Con tutto questo però, signore, non ritengo che si debba cavillare troppo sul-l'autorità degli storici; a mio parere la loro credulità non deve impedirci di credere che siano veramente apparse delle comete tutte le volte che lo hanno riferito, e che negli anni successivi alla loro apparizione siano effettivamente capitati tutti i mali che essi ci raccontano. A questo posso prestar fede, ma non altro vi posso concedere, e questo soltanto dovete ragionevolmente pretendere. Vediamo ora quali ne siano le conseguenze. Intanto vi sfido a concludere con tutta la vostra sottigliezza che le comete sono state la causa o il segno delle calamità che sono seguite alla loro apparizione. In questo modo le testimonianze degli storici si riducono soltanto a provare che sono comparse delle comete e che in seguito si verificarono nel mondo un sacco di disordini; il che è ben diverso dal provare che l'una di queste due cose sia la causa o il pronostico dell'altra11. A meno che non si voglia ammettere che una donna, che non si affaccia mai alla sua finestra di via Saint-Honoré senza vedere passare delle carrozze, possa ritenersi, ogni volta che si affaccerà alla finestra, la causa del loro passaggio o almeno presagio a tutto il quartiere che passeranno ben presto delle carrozze. [...1 Dell'autorità della tradizione Dopo tutto quello che ho detto, è completamente superfluo controbattere in particolare il pregiudizio della tradizione; è infatti evidente che se la prevenzione intorno alle comete, cui da tempi immemorabili si è rimasti legati, può avere qualche fondamento legittimo, esso consiste esclusivamente sulla testimonianza che le storie e gli altri libri hanno lasciato in tutti i secoli: ma se non si deve tenere in nessuna considerazione questa testimonianza, come appunto ho dimostrato e come apparirà ancor più chiaro da ciò che mi resta da dire, sarà necessario non tener conto neppure del gran numero di approvazioni e di suffragi che su di essa

9 «La cometa che stravolge i regni della terra» (Lucano); «Diventò rossa la letale cometa, sovvertitrice di regni» (Silio Italico); «Non tante volte si infiammarono le comete apportatrici di sventure» (Virgilio); «II mondo non ha mai guardato impunemente una cometa» (Claudiano). 10 Per Bayle è una naturale quanto funesta tendenza dell'uomo quella di cercare di spiegare come ef-fetto soprannaturale ciò che è un semplice fenomeno della natura. Gli storici, in parte sono anch'essi succubi di questa inclinazione, in parte se ne servono artatamente per rendere più attraenti i loro racconti. Nella successiva parte del brano - che qui viene omessa - Bayle polemizza contro coloro che considerano la storia come apparentata con la poesia. 11 Qui Bayle illustra uno dei requisiti della storiografia razionalistica. Oltre all'accertamento dei fatti mediante l'analisi delle fonti, lo storico deve verificare la reale connessione causale tra fatti accertati. In questa seconda operazione nulla è più utile dell'analisi razionale degli eventi.

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hanno trovato il loro sostegno12. Peccato che non si possa vedere che cosa passi nella mente degli uomini quando scelgono un'opinione! Son sicuro che, se questo fosse possibile, potremmo ridurre il consenso di un'infinità di uomini all'autorità di due o tre persone, che, ritenute profonde conoscitrici di una dottrina, sono riuscite a diffonderla, grazie al pregiu-dizio che si aveva dei loro meriti; esse hanno infatti convinto molti altri, e questi a loro volta molti altri ancora, i quali, per pigrizia naturale, hanno preferito accet-tare immediatamente a occhi chiusi tutto quello che veniva detto loro, piuttosto che esaminarlo accuratamente. E poiché il numero dei seguaci creduli e infingardi aumentava di giorno in giorno, si è trovato in ciò un sempre nuovo invito a evitare la fatica di esaminare un'opinione che appariva tanto diffusa e di cui in buona fede ci si convinceva che fosse divenuta tale per la solidità delle ragioni che all'inizio erano servite a stabilirla; alla fine non c'è stata altra scelta che credere in ciò in cui tutti credevano per non passare per dei faziosi che vogliono sempre saperne più di tutti e contraddire la venerabile antichità; come se fosse un merito non esaminare più nulla e rimettersi semplicemente alla tradizione. Giudicate voi stesso, signore, se cento milioni di uomini, che si sono convinti e radicati in una opinione nel modo che ho or ora spiegato, possano renderla probabile, e se il pregiudizio che si fonda sul gran numero di seguaci non debba invece essere ridimensionato, tendendo la dovuta giustizia all'autorità di due o tre persone, le sole ad avere probabilmente esaminato ciò che insegnavano. Ricordatevi allora, signore, di certe opinioni fantasiose cui si è data la caccia in questi ultimi tempi, senza tener conto del numero dei testimoni su cui poggiavano: si è infatti dimostrato come questi testimoni si fossero copiati l'un l'altro senza avere per proprio conto esaminato ciò che citavano, e come, quindi, dovessero contare solo per uno. Nessuna altra conclusione potrete dunque trarne, se non che, quantunque molte nazioni e molti secoli si accordino nell'accusare le comete di tutti i disastri che capitano nel mondo dopo la loro apparizione, si tratta tuttavia di un'opinione che non ha maggiori probabilità di quante ne avrebbe l'opinione di sette o otto persone, perché certamente non so-no di più le persone che a essa danno o hanno dato il loro consenso, dopo averla bene esaminata al lume dei principi della filosofia. Per quale ragione non parliamo dell'autorità dei filosofi Volete poi sapere, signore, perché non ho preso in considerazione l'autorità dei fi-losofi, come invece ho fatto per quella dei poeti e degli storici? Perché son sicuro che se la testimonianza dei filosofi ha prodotto una certa impressione sul vostro animo, ciò si è verificato per il carattere ancora più generale che una simile testimonianza ha dato alla tradizione, e non per le ragioni su cui si è fondata13. Siete troppo esperto per essere ingannato da un filosofo, chiunque egli sia, purché veniate attaccato sul piano del ragionamento. Bisogna infatti riconoscere che nelle cose da voi ritenute di pertinenza della ragione, non seguite altro che la pura ragione; anche in tal caso perciò non sono certamente i 12 La funzione della tradizione è quella di trasformare in verità affermazioni prive di alcun valore scientifico. Come si è visto prima, la testimonianza dei poeti è pura fantasia; quella degli storici è o accorgimento narrativo o mancanza di critica nel valutare fonti e connessioni di fatti. In ogni caso, il valore delle autorità scritte da cui proviene la credenza nel carattere funesto delle comete è nullo. 13 La parte che la filosofia ha avuto nel consolidamento dell'errore relativo al significato delle comete non consiste tanto nelle ragioni pseudo-razionali che essa ha addotto a favore della perniciosità di tali fenomeni: queste ragioni sono logicamente molto deboli e provocano poco guasto. Il danno maggiore è stato provocato dalla filosofia indirettamente, attraverso la difesa non di questa particolare tradizione, ma del valore della tradizione in generale. Alla filosofia, invece, Bayle vuole restituire la sua funzione critica e la sua capacità discriminante tra il vero e il falso.

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filosofi in quanto tali ad avere contribuito a porvi allo stesso livello del popolo; perché non c'è un solo ragionamento da loro imbastito per provare le influenze maligne che non faccia pietà. Volete dunque che io, da vostro vecchio amico, vi dica perché accettate una opinione corrente senza consultare l'oracolo della ragione?14 Perché siete convinto che in tutto ciò ci sia qualche cosa di divino, come già è stato detto per alcune malattie dal famoso Ippocrate in poi; perché pensate che il consenso generale di tante nazioni nel corso di tutti i secoli debba necessariamente dipendere da una specie di ispirazione, vox populi, vox Dei; perché siete abituato, per il vostro carattere di teologo, a non ragionare più, quando credete che ci sia un mistero, arrendevolezza questa senz'altro molto lodevole, ma che talvolta, se supera troppo certi limiti, usurpa, come ha tanto giustamente osservato Pascal, i diritti della ragione; e infine perché, per la vostra stessa coscienza timorata, siete portato facilmente a credere che la corruzione del mondo armi il braccio di Dio dei più spaventosi flagelli, che tuttavia il buon Dio non si deciderebbe a scagliare sulla terra senza essersi prima assicurato se gli uomini migliorerebbero, come appunto fece prima di inviare il Diluvio. Tutto questo, signore, costituisce per il vostro spirito un sofisma di autorità, contro cui, nonostante tutta la vostra abilità nel districare i falsi ragionamenti dei logici, non sapreste difendervi15.

Stando così le cose, è inutile sperare di disingannarvi, ragionando con voi sui principi della filosofia. O vi si abbandona sulle vostre posizioni, oppure dobbiamo ragionare sui principi della devozione e della religione. E così farò (perché non voglio che mi sfuggiate), dopo aver sottoposto alla vostra attenzione (debbo pur rifarmi in qualche modo) molte ragioni, fondate sul buon senso16, atte a convincere di temerarietà la diffusa opinione sull'influenza delle comete. Cercate intanto di indovinare, se vi riesce, quali siano quei principi di devozione che tengo in serbo per voi; indovinatelo, se vi riesce, mentre nelle mie ore di libertà vi preparerò una specie di preludio che verterà sui principi più comuni. Bayle “ Pensieri sulla cometa” (1682) D’ALEMBERT – LA RIVOLUZIONE CULTURALE ALLA METÀ DEL SECOLO XVIII

Parrebbe che da circa trecento anni, la natura abbia destinato la metà di ciascun secolo come epoca di una rivoluzione nello spirito umano. La presa di Costantinopoli, alla metà del XV secolo, ha fatto rinascere le lettere in occidente. La metà del XVI ha visto mutare rapidamente la religione d'una gran parte d'Europa... Infine Car-tesio, alla metà del XVII, ha fondato una nuova filosofia, dapprima furiosamente perseguitata, poi superstiziosamente seguita e oggi ridotta agli elementi più validi e fecondi.

Ora, se appena si considera con un poco di attenzione la metà del secolo in cui viviamo, gli eventi nei quali siamo impegnati, i nostri costumi, le nostre opere e persino le nostre occupazioni più futili, è difficile non rendersi conto che si sta verificando, sotto molti aspetti, un grande mutamento di idee che sembra annun-ciare, con la sua stessa rapidità, mutamenti ancora maggiori. Il tempo rivelerà la natura e i limiti di tale rivoluzione, di cui la posterità conoscerà meglio di noi i vantaggi e gli inconvenienti.

Ogni secolo che pensi bene o male, purché creda di pensare e pensi diversa-mente da quello precedente, ama fregiarsi del titolo di filosofo ; così come spesso 14 Segue un elenco dei pregiudizi che favoriscono la credenza nei malefici delle comete o, più in generale, che impediscono un uso critico della ragione 15 Da notarsi: la forza della tradizione priva la ragione delle sue capacità critiche, pur lasciando intatte le sue facoltà più «tecniche», come quelle logiche. 16 La ragione coincide per Bayle, come per la maggior parte degli illuministi, con il semplice «buon senso».

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onoriamo del titolo di saggi coloro che in realtà non ebbero altro merito che quello di aver contraddetto i loro contemporanei. Ora, il nostro secolo si è proclamato per eccellenza il secolo della filosofa...

Se si esamina senza prevenzioni lo stato attuale delle nostre conoscenze, è impos-sibile disconoscere i progressi della filosofia da noi. La scienza della natura acqui-sisce di giorno in giorno nuove ricchezze; la geometria, ampliando i propri con-fini, ha diffuso i suoi lumi anche nei domini limitrofi della fisica; il vero sistema del mondo è stato conosciuto, sviluppato e perfezionato... la scoperta e l'uso di un nuovo metodo di filosofare, l'entusiasmo che accompagna le scoperte, le idee elevate prodotte in noi dallo spettacolo dell'universo, tutte queste cause hanno prodotto negli spiriti un vivo fermento; questo, agendo per sua natura in ogni direzione, ha violentemente influenzato tutto ciò con cui è venuto a contatto, come un fiume che abbia spezzato gli argini.

Ora gli uomini... quanto più sono lenti a scuotere il giogo delle opinioni tradi-zionali, tanto più sono inclini - quando l'abbiano in qualche punto spezzato - a spezzarlo totalmente... Così, dai principi delle scienze profane fino ai fondamenti della rivelazione, dalla metafisica all'estetica, dalla musica alla morale, dalle dispute scolastiche dei teologi alle attività commerciali, dai diritti dei principi a quelli dei popoli, dalla legge naturale a quelle positive delle nazioni, in una parola, dalle questioni che più ci toccano da vicino sino a quelle che ci interessano di meno, tutto è stato discusso, analizzato, o almeno scosso nei suoi fondamenti. D Alembert “Saggio sugli elementi di filosofia” (1759) VITA E OPERE Pierre Bayle nacque nel 1647 a Le Carla, nella Francia meridionale in una famiglia protestante di bassa estrazione. L'opera del professore calvinista costretto a rifugiarsi a Rotterdam dopo la chiusura nel 1681 delle scuole superiori protestanti ad opera di Luigi XIV è, insieme ad altri influssi, all'origine dell'Illuminismo francese. Con i suoi Pensieri sulla cometa (1682), che prendono a pretesto la comparsa di una cometa cui si ac-compagna l'opinione popolare di presagio di sventura, Bayle dà inizio ad una polemica esplicita contro la superstizione, il fanatismo e l'intolleranza religiosa, giungendo ad affermare che anche gli atei possono avere una vita moralmente ineccepibile e felice. Tale coraggiosa presa di posizione, ribadita nel Trattato della tolleranza universale (1686-1687), gli valse la persecuzione anche nel mondo riformato. Egli tuttavia non arrestò la sua opera, che vide finalmente nel 1697 il suo coronamento con il Dizionario storico-critico, dedicato ad estirpare pregiudizi e false interpretazioni presenti negli altri dizionari del tempo. Tale scritto, che fungerà da modello per l'Encyclopédie e soprattutto per il Dizionario filosofico di Voltaire, parte dal presupposto scettico che ragione e fede siano inconciliabili, e che le religioni positive siano piene di errori e contraddizioni. Muore a Rotterdam nel 1706. Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert nasce a Parigi nel 1717, figlio illegittimo poi ri-conosciuto dal padre, d'Alembert si formò in diritto, medicina e soprattutto in matematica, diventando nel 1741 membro dell'Accademia della scienza. Negli anni ‘40 è autore di numerosi trattati di matematica e fisica e sulla fine del decennio stringe con Diderot il so-dalizio che porta alla nascita dell'Encyclopédie, impresa cui parteciperà sino al 1759. Il contributo più famoso di d'Alembert all'opera, il Discorso preliminare, fissa i criteri organizzativi e strutturali dell'insieme, ma descrive anche la concezione del sapere che vi è sottesa. Per d'Alembert, come per Diderot, Locke e Bacone, la scienza deve basarsi sui fatti, e una descrizione con spirito sistematico delle scienze deve basarsi sui loro legami reali piuttosto che sulle astrazioni dei sistemi filosofici. Inoltre il Discorso affronta anche il tema del rapporto fra intellettuali e potere, tema che verrà ripreso da d'Alembert nel Saggio sui rapporti fra intellettuali e potenti (1753). D'Alembert si occupò di morale, di politica e di storia con numerosi scritti (fra cui anche alcune voci dell'Encyclopédie di carattere non scientifico e scritti di critica d'arte) e partecipò molto attivamente al dibattito culturale europeo come ospite brillante dei salotti, interlocutore dei sovrani «illuminati» e ideale capofila dei philosophes. Morì a Parigi nel 1783.