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CORSO DI BIOETICA (Sez. BIOETICA E BIOETICHE) MODULO I BIOETICA, BIOETICHE E BIOETECNOLOGIE (3ALSA 3BLSA 3ALS 3BLS 3ALSU 3ALES) Prof.ssa Elisa Vannocchi Progetto Curriculare Organico dell‟Autonomia anno scolastico 2016/2017

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CORSO DI BIOETICA

(Sez. BIOETICA E BIOETICHE)

MODULO I

BIOETICA, BIOETICHE E BIOETECNOLOGIE (3ALSA 3BLSA 3ALS 3BLS 3ALSU 3ALES)

Prof.ssa Elisa Vannocchi

Progetto Curriculare – Organico dell‟Autonomia

anno scolastico 2016/2017

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______BIOETICA, BIOETICHE E BIOTECNOLOGIE_____

Indice pag. 2

Unità 1 – L’ETICA: ORIGINE E SIGNIFICATO pag. 4

1.a. Etica: definizione e relazione con la morale pag. 4

1.b. Etica Descrittiva ed Etica Normativa pag. 7

Quadro di sintesi: dall‟Etica alla Bioetica pag. 12

1.c. Dall‟Etica di senso comune all‟Etica critica pag. 13

Quadro di sintesi: dall‟Etica di senso comune all‟Etica critica pag. 15

Unità 2 – LA BIOETICA: SIGNIFICATO E CONTESTO

STORICO – CULTURALE pag. 16

2.a. Bioetica: una prima definizione pag. 18

2.b. Le matrici storiche della Bioetica pag. 19

2.c. Ambiti, obiettivi e finalità del discorso bioetico pag. 23

2.d. Le varie teorie etiche in Bioetica. Bioetica e bioetiche pag. 25

Unità 3 – LA BIOETICA LAICA: LE INTERPRETAZIONI PREVALENTI pag. 28

3.a. Che cosa si intende per Bioetica laica pag. 28

3.b. Modelli ed obiettivi ed il “Manifesto di bioetica laica” pag. 30

3.b. “L’Etica della qualità della vita” pag. 32

Unità 4 – LA BIOETICA CATTOLICA ED IL SIGNIFICATO DELLA VITA

IN AMBITO CATTOLICO (e cenni su altri modelli religiosi) pag. 34

4.a. Che cosa si intende per Bioetica cattolica pag. 34

4.b. “L’Etica della sacralità della vita” pag. 34

4.c. Il concetto di persona in ambito cattolico ed il modello personalistico pag. 36

4.d. La concezione della vita: Sacre Scritture ed implicazioni pag. 41

4.e. I Documenti Magisteriali pag. 43

4.f. Il significato della vita per altri monoteismi e religioni orientali pag. 44

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4.f.1. Il significato di vita per Islam ed Ebraismo pag. 44

4.f.2. Buddhismo ed Induismo pag. 46

Bibliografia pag. 47

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Unità 1 – L’ETICA: ORIGINE E SIGNIFICATO

1.a. Etica: definizione e relazione con la morale

“L'etica è quella branca della filosofia

che studia la condotta degli esseri umani

e i criteri in base ai quali si valutano i comportamenti e le scelte.”

Aristotele

Il termine etica deriva dal greco èthos, ovvero “carattere”, “comportamento”, “costume”,

“consuetudine” ed “usi” di una collettività e dell‟uomo.

Già per questa prima semplice definizione, ne deriva che l‟analisi etica deve essere assunta coma il

primo strumento attraverso il quale si giunge a conoscenza delle caratteristiche e delle peculiarità

culturali di un popolo, di una collettività e di un gruppo sociale; per tale ragione, come riflessione

sugli usi ed i costumi sociali, l‟etica divenne sin dall‟antichità classica una specifica e ben

determinata branca della Filosofia.

Essa, in effetti, comparve nel sapere filosofico in particolar modo in seno alla Sofistica

(Atene, V sec. a.C.), che con il suo rivoluzionario spostamento della riflessione e della domanda

filosofica dalla cosmologia all‟antropologia – e pertanto con il suo assetto fortemente

antropocentrico –, favorì ed incrementò la ricerca di senso dell‟azione umana, delle sue

caratteristiche sociali, e dei valori e dei principi che sottendono le stesse.

In filosofia, infatti, l‟etica indica una branca di tale disciplina che studia i fondamenti razionali che

permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico (di dovere), ovvero

distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o

cattivi secondo un ideale modello comportamentale.

Di più, a differenza della filosofia tradizionale, per intenderci quella puramente teoretica che

ha la sua più alta espressione nella Logica e nella Metafisica, la fondazione dell‟etica assunse subito

una preminenza tale nel ragionamento filosofico da avviare la classica e ben nota dicotomia tra

Filosofia Teoretica e Filosofia Pratica: dal greco pràxis, ovvero dell‟agire e dell‟azione, dacché

l‟uso, il costume, le tradizioni di popolo e di una collettività sono sempre il frutto e la risultante di

una specifica azione pragmatica dell‟uomo.

Dunque il termine éthos significa “il complesso dei modelli di comportamento che, non scritti né

precisamente formulati dalla tradizione, pure sono in qualche modo da tutti riconosciuti ed

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apprezzati, e diventano in tal senso i referenti obbligati per ogni apprezzamento che si produca

nella vita comune dei comportamenti propri ed altrui”.

Ogni azione sociale, pertanto, è l‟espressione di un‟etica ben determinata: l‟éthosesprime un

patrimonio normativo tramandato che, di fatto, condiziona l‟orientamento ed il comportamento

dell‟uomo e del gruppo sociale di appartenenza.

Ora, perché partire dalla definizione semantica e filosofica di etica in un progetto di

Bioetica? La Bioetica è una disciplina che appartiene all‟Etica, ovvero alla riflessione filosofica

sulla morale, sui valori, sui principi, sulle scelte ed i comportamenti che guidano la comune

interazione che ogni uomo ha con gli altri e con se stesso1.

Emerge così la prima questione che merita di essere analizzata: la distinzione, più o meno

distinta, tra il termine Etica e quello di Morale, e quale relazione sussiste realmente tra i due.

Nel linguaggio comune, tali termini sono spesso utilizzati in chiave sinonimica; in tale sede

invece, e per dovere di precisazione, si assume per valida la distinzione consegnataci da G. W.

Friedrich Hegel, filosofo tedesco dell‟Ottocento, per il quale:

la Morale, dal latino mos-mores, è l‟insieme dei principi generali che guidano il nostro

comportamento e le nostre relazioni, ed ha pertanto una dimensione idealistica, astratta e

axiologica (dal greco axios, che significa valore);

l‟Etica è la pratica, la modalità della loro applicazione, nonché l‟espressione fattuale ed

effettiva dei principi della morale.

Per tale ragione, ogni atto etico presuppone una morale che lo ispiri; non è pertanto possibile

scinderle completamente, perché nella loro complementarietà sono l‟una l‟espressione o

l‟applicazione dell‟altra a seconda che ci si trovi ad indagarne il paradigma ideale-astratto (la

Morale) o quello pratico-concreto (l‟Etica).

Questo comporta, in maniera quasi ovvia, la forte influenza che si esercita vicendevolmente tra la

Morale e l‟Etica e molti altri ambiti culturali, poiché è di fatto possibile un loro studio “scientifico”

che può assumere le più svariate prospettive: storica, sociologica, psicologica, neuro-biologica,

neuro-fisica e così via. La Bioetica si inscrive in questo ricco e fiorente quadro culturale.

Ora, alla luce di questi elementi, seppur minimi, è evidente l‟elevato ruolo culturale

dell‟Etica in sé e di una “Educazione etica” che la Filosofia Pratica tout court si prefigge di dare.

In effetti, la Filosofia Pratica ascrive la capacità di distinguere il bene dal male ad alcune facoltà

umane: la ragione, l‟ispirazione, l‟intuizione e soprattutto la coscienza; e ascrive la capacità di

1 Sergio Filippi Magni, Bioetica, Carocci Editore, Roma 2011, cfr. pp. 9-10

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attualizzare un comportamento etico alla volontà, intesa come capacità di dominare la propria

natura e di perseguire delle scelte.

Tutte queste facoltà, infatti, funzionano ma a condizione che siano state educate e programmate in

modo corretto, a condizione cioè che si sia ricevuto un insegnamento dell‟etica e della morale, la

cui funzione, come ha sostenuto Mancuso, è proprio quella di insegnarci “cosa fare e come fare” e

di semplificare la nostra esistenza che di per sé presenta una complessità elevata. In altre parole di

fornirci una “mappa” per poterci orientare bene nelle scelte personali e collettive, quindi nella vita

in generale.

Qual è quindi l‟obiettivo della pratica dell‟Etica? Altro non è che perfezionare la parte razionale

umana e favorire lo sviluppo graduale delle virtù umane.

E tra i parametri che determinano un comportamento etico va senz‟altro compresa l‟intenzione che

abbiamo nel compiere un certo atto, i mezzi a nostra disposizione, lo sforzo individuale e la volontà

nell‟attuarli, ma non da meno l‟adesione ai principi della morale nella quale siamo inscritti in

quanto esseri umani e sociali.

Fuori da questi elementi qualsiasi azione non può dirsi etica, sia per le intenzioni dalle quali è

mossa e sia per le conseguenze che può generare; pertanto la prima parte di questo percorso intende

condurre alla riflessione del valore in sé di un atto etico, e soprattutto quando questo possa dirsi

etico in senso stretto.

Quindi, in sintesi: storicamente il termine “ethos” prima di essere assunto anche quale

espressione della dimensione dell‟agire dell‟uomo, é stato preceduto da una fase che lo vedeva

legato esclusivamente alle abitudini ed alle consuetudini di un popolo. In ambito latino lo si é

tradotto semplicemente col vocabolo mos-mores, da cui il termine Morale, dando risalto al

significato di “costume” di un determinato popolo.

Posta questa premessa terminologica, senza pretese di categoricità, ed a titolo poco più che

esemplificativo, indichiamo alcuni elementi essenziali per individuare queste due “scienze” e così

„distinguerle‟ opportunamente dalla terza, il Diritto.

1. L’Etica (da ethos = comportamento, il comportarsi) ha per oggetto l‟attività umana

considerata in se stessa e nel suo valore intrinseco: come agere e non come facere, é la ricerca del

criterio, o dei criteri per valutare le azioni umane che come tali sono sempre il risultato e

l‟espressione di una volontà determinata (individuale o collettiva).

Nel linguaggio filosofico, l‟Etica indica ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al

comportamento pratico dell'uomo, nello specifico quella dottrina che intende indicare quale sia il

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vero bene e quali i mezzi adatti a conseguirlo, quali siano i doveri morali dell‟uomo verso se stesso

e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane.

L‟Etica, nello specifico, studia quindi l‟attività umana con riferimento al suo fine ultimo, che é la

piena realizzazione dell‟umanità; il problema etico assume così due aspetti principali:

a) il fondamento delle norme (problema critico);

b) le condizioni che ne rendono possibile l‟osservanza (problema teoretico).

Sul primo versante si indaga circa il fondamento ed il valore dei codici, dei principi, delle leggi,

delle norme e delle persuasioni morali esistenti, prefigurandosi così come il problema critico

dell‟etica; dall‟altra parte si studiano le condizioni che rendono possibile l‟azione etica in assoluto:

il criterio di ciò che é morale o immorale nell‟uomo, il fine ultimo della vita, i mezzi più adatti per

conseguirlo, ed è questo il problema teoretico dell‟etica.

Ma di fatto il primo versante si presenta come preambolo necessario al secondo ponendo

sistematicamente in questione la Morale corrente, che rappresenta la base generale su cui si edifica

l‟Etica stessa.

2. Per Morale (da mos-mores, ovvero i “costumi”, le tradizioni all‟interno del gruppo) la

concezione filosofica tradizionale intendeva ciò che é conforme, per l‟appunto, al “costume”

approvato dalla prassi generale e come tale é riconosciuto conforme al “dover essere” e causa

dell‟agire umano.

Sotto questo profilo la Morale, ben al di là di un‟osservanza esteriore della vita sociale e dei suoi

costumi, condensa in sé il complesso delle disposizioni spirituali ed emotive della persona umana, e

quindi astratte; é la scienza delle disposizioni interne e personali dell‟uomo in rapporto con le loro

espressioni esterne e sociali. È così ancora compito della Morale individuare e mediare i valori

attraverso specifiche norme (morali) che i diversi soggetti possano mettere in atto all‟interno del

gruppo d‟appartenenza ricevendone la dovuta approvazione sociale.

1.b. Etica Descrittiva ed Etica Normativa

L‟etica è, in generale, lo studio dei comportamenti dell‟uomo pensato come persona e non

come entità puramente fisica. Le analisi possibili dell‟uomo in quanto persona sono diverse: si può

descrivere il comportamento umano per quello che è, da un punto di vista fisiologico, da un punto

di vista psicologico, da un punto di vista sociologico o storico...

Tutte queste analisi partono dall‟assunzione che il comportamento dell‟uomo possa essere appunto

descritto in termini scientifici e, ciascuna scienza per sé, indaga una „regione‟ particolare della

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realtà umana. Quest‟approccio all‟etica si può dire descrittivo perché non si domanda come le cose

dovrebbero essere ma come le cose stiano. La base di studio è il dato empirico e, da questo, si

verificano le ipotesi dalle quali si parte per cercare di prevedere, poi, il comportamento umano.

L‟Etica Descrittiva non si occupa, dunque, dell‟aspetto valoriale o qualificante: il problema

non è stabilire cosa sia giusto o sbagliato, buono o cattivo quanto comprendere i meccanismi che

determinano le decisioni umane.

Il problema di un‟etica puramente descrittiva è che essa non riesce a rispondere a domande

effettivamente rilevanti in senso filosofico.

Facciamo un esempio valido: si dice spesso che gli uomini tendano per natura al piacere. Questa

proposizione generale (tutti gli uomini tendono per natura la piacere) sarebbe una generalizzazione

operata su proposizioni singolari e, in linea di principio (ma sarebbe ben da discutere) confermata

dai dati di fatto. Il problema è che anche ammesso che effettivamente gli uomini tendano per natura

al piacere, ciò non implica che lo dovrebbero fare, che sia giusto, posta una scelta, determinarsi

verso “il mondo possibile” che ci dà più piacere rispetto ad un altro con meno piacere ma più equo,

ad esempio.

Dunque, l’etica descrittiva descrive i fatti morali di un dato tempo e luogo ed i loro caratteri.

Suo compito è far conoscere l’ethos di ogni gruppo sociale, popolo, cultura e le norme che

presiedono alla vita di singoli, gruppi e società. Non prende posizione nei confronti dei contenuti,

né si occupa della correttezza o erroneità di una data prassi, ma deve esplicitare gli elementi che

caratterizzano una data realtà. Essa indaga come stanno le cose e non si domanda come dovrebbero

andare, quindi può essere utile per verificare i limiti e le possibilità dei comportamenti

effettivi, ma tace di fronte al problema normativo, che al contrario rappresenta il cuore della

riflessione etica.

Si badi bene quindi, che in quanto meramente descrittivo ed empirico, questo ambito di ricerca non

appartiene strettamente all‟etica filosofica, sebbene la filosofia possa fare ricorso ai risultati

raggiunti da questa.2

Il primo modo di praticare l‟etica filosofica è dunque costituito dall‟Etica Normativa. Essa

formula i criteri e i valori che devono essere rispettati da chi agisce in vista di un fine verso cui

l’uomo tende per natura e che perciò deve applicare nella propria operatività quotidiana, e

cerca di definire i criteri che servono per la valutazione morale delle azioni e delle persone,

che servono cioè a decidere quando un’azione può dirsi giusta o doverosa, una persona buona

o virtuosa e così via.. Questi criteri hanno solitamente un valore universale e generale ed hanno

2Ibidem, cfr. pag. 14

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come scopo quello di orientare la valutazione di singoli casi indipendentemente dalle circostanze e

dall‟occasione in cui l‟azione viene compiuta. 3

L‟etica normativa è quindi un tipo di indagine filosofica che si fonda, sostanzialmente, su un‟analisi

a priori: si tratta di accertare a priori le proprietà degli atti da considerare giusti o sbagliati, cosa

significano i giudizi morali, come considerare il ruolo del carattere delle persone nelle scelte, quale

è la vita da considerarsi virtuosa ecc..

A seconda del criterio generale adottato, si possono individuare differenti teorie etiche

normative. Secondo una classificazione universalmente condivisa, si distinguono in teorie di

carattere deontologico(dal termine greco deòn, che significa dovere) e teorie di carattere

consequenzialistico (o teleologico, dal termine greco tèlos, ovvero fine, scopo).

Teorie di carattere deontologico: secondo queste teorie, un‟azione è giusta (doverosa,

virtuosa ecc...) se è conforme a determinati principi generali, ovvero a determinate norme,

diritti, regole, doveri. È quindi il rispetto di un principio generale che determina la giustezza

o meno dell‟azione, e quindi indipendentemente dalle conseguenze che tale azione genera.

Afferma che certi comportamenti sono giusti (o sbagliati) indipendentemente dalle

conseguenze positive (o negative) che ne possono derivare. La persona intuisce la giustezza

dei principi morali allo stesso modo in cui coglie gli assiomi della geometria, ovvero con

giustificazione a priori.

Teorie di carattere consequenzialistico: secondo queste teorie, invece, un‟azione è giusta in

ragione delle conseguenze che essa realizza nel mondo: giusta se ha conseguenze buone,

sbagliata se ha conseguenze cattive; afferma come giusti i comportamenti che determinano

conseguenze che massimizzano il benessere e quindi con giustificazione a posteriori. La

principale forma di teoria è, per intenderci, l‟Utilitarismo, per il quale è da definirsi azione

giusta quell‟azione che determina la massima somma possibile di benessere per tutti gli

individui coinvolti e non solo per il soggetto agente (nel qual caso dovremmo parlare di

Egoismo etico in cui l‟azione ha conseguenze benefiche per il soggetto che fa l‟azione).4

Deontologismo e Consequenzialismo, tuttavia, non esauriscono il quadro delle teorie normative

oggi esistenti. È infatti ammessa anche la cosiddetta Etica della virtù che considera giusta

quell‟azione che è il frutto di alcune disposizioni del soggetto agente, appunto la virtù, ma che non

dipendono dalla conformità a principi di carattere generale o ai risultati ottenuti (esempio in tal

senso l‟azione che scaturisce dalla virtù della carità o del coraggio...). 3Ivi.

4Ibidem, cfr. pp. 15-16.

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Ma veniamo ad uno studio più attento ed analitico dell‟etica normativa. Essa infatti può

essere suddivisa in due grandi aree, l‟una più teoretica e l‟altra più empirica: rispettivamente la

Metaetica e l‟Etica applicata.

La Metaetica è una riflessione sull‟etica normativa e si pone l‟obiettivo, quanto la finalità,

di giustificare e chiarire la natura dei concetti, dei giudizi e degli strumenti logici utilizzati per la

valutazione morale dell‟azione.

In tal senso, è l‟analisi del significato dei giudizi morali, sia che si considerino al pari dei

giudizi scientifici, sia che si considerino diversi, e si propone di analizzare in modo rigoroso il

linguaggio morale definendo il significato dei concetti propriamente morali (quali buono, doveroso,

obbligatorio etc.). La questione posta dalla metaetica relativa alla giustificazione dei principi morali

è quindi necessariamente fondante qualsiasi discorso etico, e vuole dunque operare una

chiarificazione concettuale in modo tale da ridimensionare le pretese di ogni possibile prospettiva

morale particolare.

L‟Etica applicata invece è lo studio di casi particolari.

Essa fa la comparsa verso la fine degli anni Sessanta del Novecento nei paesi anglosassoni con

l'intento di promuovere una riflessione etica non di tipo generale o fondamentale, ma strettamente

legata alle problematiche particolari e concrete, per tenere testa allo sviluppo tecnologico e

scientifico, sforzandosi d'integrare la propria competenza con l'acquisizione di nozioni e dati che

provengono dalle scienze naturali, biologiche, sociali ecc. L‟attenzione dell‟etica filosofica si sposta

a questioni pratiche a seguito di un insieme complesso di fattori: il mutato contesto sociale e

culturale, la minaccia nucleare, il rapido esaurimento delle risorse naturali, le nuove prospettive

sorte con l‟ingente progresso tecnico-scientifico nella ricerca biologica e nella medicina5.

La Bioetica, di cui ci occuperemo nel dettaglio nell‟unità successiva, è una forma di Etica

applicata, se non la sua espressione più elevata, dacché può essere presentata come il confronto

della riflessione morale con i problemi legati alle varie fasi della vita umana (dal greco bios, che

significa vita). In essa la Bioetica diviene “lo studio sistematico del comportamento umano nel

campo delle scienze della vita e della salute, in quanto questo comportamento è esaminato alla luce

di valori e principi morali”.

Ma la Bioetica non è l‟unica forma di Etica applicata, oltre ad essa ha avuto grande

risonanza ed interesse la discussione sui principi etici in base ai quali orientare il rapporto con gli

5Ibidem, cfr. pp. 19-20.

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animali e con la natura: si parla per questo o di Etica animale o di Etica ambientale, molto diffuse

nel panorama culturale contemporaneo, e comunemente ben distinte dalla Bioetica che nella sua

accezione ristretta si concentra in particolar modo sui problemi connessi al sorgere e allo sviluppo

della vita umana.

Se tuttavia si intende il concetto di vita in senso ben più ampio, come tutto l‟insieme di questioni

che nascono dal trattamento della vita in generale, e quindi non soltanto della vita umana, ma anche

la vita vegetale, e dunque l‟ambiente, e la vita animale, allora la Bioetica finisce per comprendere al

suo interno non solo la bioetica umana, ma anche l‟etica animale e l‟etica ambientale.

Bioetica, Etica animale ed Etica ambientale non sono comunque le uniche forme di Etica applicata.

È infatti opinione comune annoverare anche:

L‟Etica degli Affari, che tratta dei problemi morali connessi col mondo delle professioni -

con i relativi obblighi morali delle varie professioni e deontologie professionali – e delle

imprese – con la riflessione sui problemi etici connessi col mondo del commercio e della

produzione industriale.

L‟Etica delle Generazioni future, che tratta il problema del riconoscimento degli obblighi e

delle responsabilità morali verso le generazioni non ancora esistenti e che potranno esistere

in futuro – i cosiddetti “individui potenziali”. 6

6Ibidem, cfr. pp. 21-22.

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Quadro di sintesi:

dall’Etica alla Bioetica

Filosofia Morale

MORALE ETICA ETICA

NORMATIVA

ETICA

DESCRITTIVA

Teorie Deontologiche

Teorie Consequenzialistiche

Etica della Virtù

METAETICA

ETICA

APPLICATA

Etica delle

Generazioni

future

Etica degli

Affari ETICA ANIMALE

ETICA

AMBIENTALE

BIOETICA BIOETICA

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1.c. Dall’Etica di senso comune all’Etica critica

In base alla concezione liberale, l‟etica è quindi quell‟insieme di atteggiamenti o sentimenti che:

l‟individuo ha profondamente interiorizzato;

egli crede siano razionalmente giustificati perché tra loro abbastanza compatibili e sostenuti

dalle conoscenze.

Tale sommaria ripartizione coglie i due aspetti centrali dell‟etica: il primo è la componente emotiva o

sentimentale che caratterizza i giudizi morali che ispirano l‟azione etica; il secondo è la componente

razionale degli stessi7. Tale distinzione genera una duplice natura dell‟etica stessa che ha rispettivamente

il nome di Etica di senso comune e l’Etica critica. Vediamo in che senso.

Il concetto di senso comune non ha un significato univoco e ciò ha indotto a darne

valutazioni molto diverse. Inteso come sinonimo di "buon senso", ossia come innata disposizione

"pratica" a comportarsi nelle circostanze ordinarie della vita, esso viene di solito apprezzato

positivamente. Se ad esempio gli si attribuisce un significato conoscitivo, intendendolo come un

bagaglio di conoscenze, giudizi, convinzioni e principi largamente condivisi anche da chi non ha

particolari competenze razionali, può essere valutato in modi opposti. Infatti, è anche possibile

interpretarlo come atteggiamento ingenuo, acritico e molto spesso fallace (cui vengono contrapposte

le conoscenze precise e criticamente vagliate del sapere specialistico e in particolare scientifico).

Questo atteggiamento potremmo dire „svalutativo‟ è stato assunto dai primi filosofi greci, e poi da

molti filosofi della modernità. Tuttavia sin dall'antichità è stata presente anche una tendenza

opposta: il fatto che certe convinzioni e principi appaiano condivisi dalla stragrande maggioranza

degli uomini è visto come una garanzia della loro validità, che diverse filosofie hanno cercato di

giustificare. L'età moderna ha poi "tematizzato" il problema del senso comune: sin dal Settecento

sono così apparse sistematiche difese del senso comune, che si sono ripresentate anche in seno alla

filosofia contemporanea, chiarendo per un verso la sua natura e, per altro verso, la insopprimibilità

della sua funzione in quanto presupposto necessario per ogni discorso filosofico e per la stessa etica.

La locuzione senso comune è così intesa dalla filosofia in polemica con il razionalismo, come una

capacità originaria dell'uomo in grado di riconoscere in modo immediato, ricorrendo all'uso della

"ragione naturale" e dell‟istinto e delle abitudini morali, i fondamentali principi del conoscere,

dell'agire etico e pratico, del credere religioso.

In tal senso l‟Etica di senso comune è quell’etica diffusa in una società, e costituita da tutte le

opinioni ricevute, interiorizzate sin dall’infanzia – e pertanto ascrivibili alla componente

emotiva e sentimentale dell’individuo – prima di essere sottoposte a vaglio critico e

7 M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, cfr. pag. 12.

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razionale8:essa comprende quindi i giudizi etici, le consuetudini, i tabù, le norme sociali che sono

condivise ed applicate da un gruppo a priori, quasi in maniera innata poiché il soggetto nasce e

cresce in un contesto che le contiene e le esprime.

L‟Etica del senso comune è costituita dai comportamenti in-teriorizzati che si ri-tiene non siano

oggetto di una giustificazione, ma assunti per veri e validi a priori. Nelle scienze psicologiche e

filosofiche moderne, infatti, riferirsi al senso comune equivale ad accettare posizioni pregiudiziali

irriflesse (non riflesse), ossia a prendere acriticamente per vera un'opinione o un sapere o un

giudizio morale ed etico che hanno solo il merito di essere diffusi.

A volte però una certa opinione (o un comportamento etico) ricevuta o cui si è stati educati

può essere messa in discussione con forza, e allora si passa nel campo della cosiddetta Etica critica,

la quale prevede un‟approfondita analisi critica e razionale che giustifichi i comportamenti ed i

principi che li ispirano, e nasce dal tentativo di trovare la motivazione razionale di un determinato

comportamento.

Questo passaggio può essere concettualizzato in due posizioni diverse:

da un lato, la posizione conservatrice e tradizionale che sostiene la tesi per la quale

l‟opinione, i principi morali ed i relativi atti etici dipendono dall‟originaria natura dell‟uomo,

per cui ogni critica o dubbio sull‟etica stessa va respinto; in sostanza la norma vale di per sé, è

innata e naturale, dunque non ha bisogno di una ulteriore giustificazione;

dall‟altro, la posizione liberale ed individualistica che invece appoggia la tesi per la quale

ogni soggetto ha la libertà – nonché il diritto – di ricercare una giustificazione razionale che

confermi o smentisca l‟atto etico in sé.

Se la giustificazione razionale non è trovata la norma viene abbandonata o viene accettata come

preferenza personale; se invece la giustificazione razionale viene trovata allora si assiste ad una vera

crescita morale del soggetto: la persona prima credeva solamente che la norma avesse una

giustificazione razionale senza tuttavia conoscerne le ragioni, mentre adesso le conosce, le

comprende e le possiede realmente, per cui non soltanto sente l‟azione come etica perché così gli è

stato insegnato o per educazione, ma sa anche il perché lo è.

8Ibidem, cfr. pag. 13.

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15

Quadro si sintesi:

Dall’Etica di senso comune all’Etica critica

la ricerca di giustificazione

razionale conduce all‟

Etica di senso

comune (opinioni ricevute)

Etica

Critica

Posizione

conservatrice

Riferimento alla

natura umana

Conferma

l‟opinione

ricevuta

Posizione

liberale

Non si individua una

giustificazione razionale

L‟opinione è abbandonata

o mantenuta come

preferenza razionale

Si individua una

giustificazione

razionale

CRESCITA

MORALE

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Unità 2 – LA BIOETICA: SIGNIFICATO E CONTESTO STORICO – CULTURALE

2.a. Bioetica: una prima definizione

La bioetica – dal greco antico“èthos”, carattere o comportamento, costume, consuetudine, e

“bìos”, vita – è una disciplina che si occupa delle questioni etiche legate alla ricerca biologica, sulla

vita, e alla medicina.

La bioetica ha così un carattere fortemente interdisciplinare e coinvolge in primis la Filosofia in

quanto riflessione sulla vita ed i principi che la sottendono, ma anche la Filosofia della Scienza, la

Medicina, la Biologia, la Giurisprudenza, il Diritto, la Sociologia e la Politica, nelle diverse visioni

morali atee, agnostiche, spirituali e religiose.

Coloro che si occupano di bioetica sono quindi veri specialisti in varie discipline e vengono

chiamati “bioeticisti”, o più comunemente “bioetici”.

In base al percorso compiuto fin qui, si è collocata la Bioetica come massima espressione

dell‟Etica Applicata – insieme all‟Etica Ambientale e all‟Etica Animale. In stretta correlazione con

lo sviluppo delle Scienze e delle Biotecnologie, nonché della stessa Filosofia della Scienza, l‟Etica

Applicata fa la comparsa all'inizio degli anni Settanta con l'intento di promuovere una riflessione

etica non di tipo generale o fondamentale, ma strettamente agganciata alle problematiche

particolari, per tenere testa allo sviluppo tecnologico e scientifico, sforzandosi d'integrare la propria

competenza con l'acquisizione di nozioni e dati che provengono dalle scienze naturali, biologiche,

sociali. In breve, essa diviene “lo studio sistematico del comportamento umano nel campo delle

scienze della vita e della salute, in quanto questo comportamento è esaminato alla luce di valori e

principi morali”. Nasce così, nello specifico, la sua massima espressione, la Bioetica, come branca

della Filosofia (in quanto riflessione razionale e forma di Etica) e strettamente dipendente dal

progresso e dall‟evoluzione della ricerca scientifica.

Se pertanto la Bioetica è la disciplina che studia i problemi morali emergenti in ambito

medico-scientifico e biologico, essa pone una nuova e complessa attenzione, tutta attuale e

contemporanea, su alcuni interrogativi fondamentali riguardanti il nostro tempo, l‟attuale visione

del mondo, dell‟uomo, della società... della vita tout court insomma.

Aborto, fecondazione assistita, clonazione, trapianti, eutanasia, questioni di diritti umani e diritto

alla salute e alla vita... sono tutti argomenti attinenti alla Bioetica, e mai quanto oggi di grande

emergenza di riflessione e di comprensione.

Ora, questo progetto, in virtù di un piano programmatico di autonomia scolastica, è stato

pensato per l‟intero triennio liceale; pertanto in questo primo anno saranno dati soltanto gli elementi

tecnici e di base per addentrarsi successivamente nelle vere questioni bioetiche e ad esse collaterali,

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al fine di avere una visione di insieme più organica e completa al termine dell‟intero percorso

scolastico e valido per arricchire il profilo curriculare dello studente.

Di seguito, quindi ci muoveremo secondo queste principali direttrici:

anzitutto, le matrici storiche della Bioetica, ovvero la sua origine scientifica ed i suoi “padri

fondatori”;

a seguire, le finalità e gli obiettivi, più o meno attuali del discorso bioetico;

non da ultimo, necessariamente, i modelli che prevede: trattando i temi citati, parleremo di

modelli cattolici e di modelli laici di interpretazione.

2.b. Le matrici storiche della Bioetica

Se per Bioetica si intende, letteralmente, l‟etica della vita, l‟origine di tale disciplina

dovrebbe coincidere con l‟origine dell‟etica stessa. Ribadiamo, in linea con la parte iniziale del

presente lavoro, che l‟etica, quale riflessione razionale sui valori – sulla distinzione tra bene e male

– e sul dover essere – sulla obbligatorietà delle azioni dell‟uomo al fine di realizzare il bene ed

evitare il male – nasce con la stessa Filosofia che riflette sull‟uomo, e quindi con la Sofistica.

La comparsa del termine “bioetica” è invece assai recente: risale al1970 con gli interventi di

Van Rensselaer Potter, un oncologo americano, che coniò il neologismo di questo termine per

indicare l‟esigenza di una riflessione morale per l‟uomo contemporaneo, con la specifica funzione

di “ponte” tra le scienze naturali bio-sperimentali e le scienze umane etico-antropologiche per la

sopravvivenza della specie umana, identificando le nuove forme di responsabilità dell‟uomo nei

confronti della vita stessa intesa in senso globale e generale.

Da quel momento in poi la bioetica si diffuse rapidamente per indicare l‟etica della vita in

ambito specifico: l‟etica applicata alle questioni emergenti dal rapido incidere delle conoscenze

scientifiche e delle applicazioni tecnologiche strettamente connesse tra loro alla biologia (scienze

della vita) e alla medicina (cura della salute)9.

Tuttavia, risalire ad un preciso momento d‟origine della Bioetica presuppone un certo modo di

intenderne l‟oggetto: la storia della bioetica, in un certo senso, cambia in funzione del significato

che si attribuisce al termine, in particolar modo quello di “vita”, ed in base al ruolo che si ritiene

debba avere la bioetica stessa. Infatti, una tendenza ritiene che la bioetica coincida con una nuova

etica, nuova rispetto alla concezione tradizionale proveniente dall‟Occidente cristiano: seconda tale

9 F. D‟Agostino, L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, Editrice La Scuola, Brescia 2007, cfr. pag. 7.

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prospettiva, la novità deriverebbe dalle trasformazioni derivate dal progresso biomedico e

tecnologico, ritenendo per questo la „vecchia etica‟oramai inadeguata a risolvere le questioni e ad

analizzarne i principi.

Diversa invece è la posizione di chi ritiene che la bioetica sia un ideale continuazione della

riflessione etica medica, una sua specificazione, rispetto all‟etica medica tradizionale che proprio

negli anni Settanta del Novecento ha conosciuto un notevole incremento, investendo molto di più

che in passato sulla questione della responsabilità morale in casi, ad esempio, di manipolazione

genetica, tecnologie riproduttive, terapie intensive.. Non è da omettere, di più, che tale impostazione

possa in parte derivare dalle considerazioni compiute dal Codice di Norimberga (1946) quale presa

di coscienza etica dei possibili abusi della medicina compiuti contro l‟uomo nell‟ambito dei

processi contro l‟umanità dei criminali nazisti e delle relative pratiche mediche sperimentali.

Al di là della chiave interpretativa attraverso la quale le singole problematiche della bioetica

possono essere lette ed analizzate, vediamo velocemente chi possono essere considerati i “padri

fondatori” di questa scienza e le rispettive motivazioni.

La definizione universalmente condivisa alla quale si fa generalmente riferimento è quella

comparsa nella prima edizione della Enciclopedia di Bioetica di Warren Reich (1978) che così

cita: “Lo studio sistematico della condotta umana nell‟area delle scienze della vita e della cura della

salute, esaminata alla luce di valori e principi morali”10

.

In tal senso, la bioetica costituirebbe una disciplina che studia in maniera rigorosa l‟ambito della

prassi umana (dell‟agire e dei comportamenti) che fa riferimento alla biologia (ovvero delle scienze

della vita in generale, umana e non umana) e alla medicina. Nella seconda edizione della stessa

enciclopedia, pubblicata nel 1995, si precisa che la bioetica è “lo studio sistematico delle

dimensioni morali delle scienze della vita e della cura della salute, attraverso una varietà di

metodologie etiche ed in contesto interdisciplinare”.

Rimane tuttavia che al di là delle sfumature e delle precisazioni tra le due edizioni, l‟opera del 1978

sancisce l‟affermazione della bioetica come scienza a carattere interdisciplinare e come campo

specifico di riflessione filosofica.

Potremmo quindi definire, in soldoni, la bioetica come un sapere pratico (sia teorico che

applicativo) che riflette sui limiti di liceità e di illiceità degli interventi dell‟uomo sulla vita in

generale, interventi resi possibili grazie all‟evoluzione della scienza e della tecnica in biologie e in

medicina11

.

Chi sono i quindi i reali fondatori della Bioetica? Vediamoli più attentamente. 10

E. T. Reich, Enciclopedia di Bioetica, The Free Pass, New York 1978, cfr. Introduzione Vol I. – Prima Edizione. 11

F. D‟Agostino, L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, cfr. pag. 9

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A. Van Rensselaer Potter

Con il significato attuale il termine fu adoperato per la prima volta dall'oncologo statunitense

Van Rensselaer Potter (1911 – 2001), che lo utilizzò nel 1970 in un articolo pubblicato sulla rivista

dell'Università del Wisconsin Perspectives in Biology and Medicine con il titolo “Bioetica: la

scienza della sopravvivenza”, ovvero “una scienza della sopravvivenza che deve essere più di una

sola scienza, e perciò propongo il termine Bioetica per sottolineare i due ingredienti più importanti

per il conseguimento di una nuova sapienza”12

.

Nel 1971 lo stesso autore raccoglieva vari articoli su questi argomenti in un libro intitolato

Bioethics: Bridge to the future (Bioetica: un ponte verso il futuro) dove così scriveva: “Ho scelto la

radice bio per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi viventi; e ethics per

rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani.”

Potter spiegava il termine bioetica come la scienza che consentisse all'uomo non solo di migliorare

la propria vita, ma addirittura di sopravvivere utilizzando i suoi valori morali di fronte all'evolversi

dell'ecosistema. La bioetica doveva essere una sorta di “ecologia globale di vita”, una sapienza

biologicamente fondata con fini morali, che ha così un significato ben più ampio rispetto all‟etica

medica tradizionale13

.

B. Hans Jonas

Filosofo tedesco che, con una certa analogia con Potter,Hans Jonas (1903 – 1993) nel suo testo

intitolato Principio di responsabilità riflette in particolar modo sulle accresciute possibilità delle

nuove tecnologie biomediche di manipolare la vita e sulle eventuali minacce per la sopravvivenza

dell‟umanità.

Jonas ritiene che le risposte alle domande sulla vita non potranno mai essere univoche e definitive

perché è l'argomento stesso che richiede di essere compreso nella sua peculiarità. In generale Jonas

basa le sue risposte su un unico filo conduttore, vale a dire il fatto che l'uomo non è in grado di

conoscere tutto di se stesso: l'ignoranza riguardo alle cose ultime è positiva, e non va intesa come

una carenza dell'intelligenza umana. In poche parole, noi non dobbiamo né possiamo intrometterci

in quel profondo segreto che è l'uomo: la vita racchiude in sé una propria sacralità, questa richiede il

massimo rispetto in quanto "noi non siamo i soggetti che possono creare l'uomo, noi siamo già stati

creati".

12

E. Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vol. I, Vita e Pensiero Editore, Milano 2007, cfr. pp. 20-21. 13

Ibidem, cfr. pag. 41.

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Tuttavia nelle ultime fasi della sua vita il filosofo dimostra una maggiore apertura nei confronti

della libertà di ricerca e delle sue innovazioni, convinto che "il sapere non può mai rinunciare alla

sua chance. In mezzo ad ogni incertezza, esso deve sempre e comunque compiere il suo dovere".

Auspica così una piena libertà della ricerca medica fiducioso che essa abbia in sé stessa le capacità

di autoregolamentarsi.

C. Andrè Hellegers

Giovane ostetrico olandese, studioso di fisiologia fetale, fu chiamato nel 1971 a dirigere

l‟Istituto Kennedy per lo Studio della Riproduzione Umana e Bioetica. Propose una visione

„maieutica‟ della Bioetica in quanto scienza in grado di cogliere i valori attraverso il dialogo ed il

confronto tra medicina, filosofia ed etica, ovvero con metodo interdisciplinare. Nello specifico, finì

per definire la bioetica come una branca dell'etica dedita allo studio e alla ricerca della biomedicina:

l‟oggetto della bioetica sono gli aspetti etici impliciti nella pratica clinica14

. La Bioetica diventa così

l‟etica applicata alla biomedicina e rispetto a Potter ne restringe in maniera significativa l‟ambito di

applicazione.

D. Dan Callahan

Filosofo cattolico, rappresenta l‟iniziatore del filone umanistico e sociale della Bioetica, che

ritiene essere l‟intersezione tra etica e scienze della vita interpretate alla luce della religione

cattolica. Nel 1968/1969 fondò l‟Hasting Center, tra le prime istituzioni di bioetica.

Per una sintesi: le definizioni più in uso.

Dalla fusione delle diverse istanze dei fondatori e dei primi risultati nella scienza bioetica,

possiamo considerare come maggiormente rilevanti le seguenti definizioni ed interpretazioni di

bioetica:

Bioetica dei principi:“Studio sistematico della condotta umana nell‟ambito delle scienze della

vita e della salute, condotta ed esaminata alla luce di valori e principi morali” – Warren Reich.

Bioetica pluralista,nella quale si recupera la visione globale di Potter e diviene lo “Studio

sistematico delle dimensioni morali delle scienze della vita e della salute, utilizzando varie

metodologie etiche con una impostazione interdisciplinare” – Warren Reich.

14

Ivi.

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“Disciplina con uno statuto epistemologico razionale, aperta alla teologia intesa come scienza

sovrarazionale, istanza ultima ed orizzonte di senso, la bioetica, a partire dalla descrizione del

dato scientifico, biologico e medico, esamina razionalmente la liceità dell‟intervento

dell‟uomo sull‟uomo.” – Elio Sgreccia.

Seconda sintesi: i problemi che condussero allo sviluppo della Bioetica.

La sperimentazione sull‟uomo

Le scoperte della genetica

I trapianti d‟organo

L‟inizio del controllo della vita e la procreazione umana

I problemi di fine vita.15

2.c. Ambiti, obiettivi e finalità del discorso bioetico

“Non tutto ciò che è tecnicamente possibile

è perciò stesso eticamente lecito.”16

La riflessione filosofica sulla vita è l‟oggetto della Bioetica. Il sapere filosofico si trova

sollecitato a confrontarsi con dati empirici sulla vita provenienti dalle conoscenze scientifiche e

dalla disponibilità di strumentazioni tecnologiche, oltre ai dati sociologici e culturali fortemente

diversificati. La Bioetica, quindi, nasce dall‟esigenza di adattamento al nuovo tempo e alle sue tante

questioni scientifiche e biologiche; dobbiamo quindi parlare di una sola ed esclusiva Bioetica o

dobbiamo ammettere più bioetiche?

Esistono infatti diverse giustificazioni della bioetica, derivanti dai diversi ambiti di operatività, dai

principi che le guidano, dagli obiettivi e dalle finalità che la sottendono.

In questo percorso, vedremo con particolare attenzione la Bioetica cattolica e quella laica, ma prima

di giungere a tale tema centrale, prendiamo in analisi altre sfumature non di minore rilievo.

Infatti, al di là della definizione di fondo che abbiamo analizzato emerge in tutti gli autori che si

sono occupati di bioetica la consapevolezza della complessità di questo nuovo campo d‟indagine,

che si configura come originariamente e inevitabilmente pluridisciplinare. 15

Ibidem, cfr. pag. 43. 16

M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, Edizioni Scolastiche Mondadori, cfr. pag. 31.

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La novità della bioetica consiste pertanto proprio nell‟interazione e nell‟intreccio degli apporti delle

molteplici discipline implicate nel discorso bioetico:“La bioetica non è in senso proprio una nuova

disciplina, né una nuova scienza, né una nuova etica. Essa è un insieme di ricerche, di discorsi e di

pratiche, generalmente pluridisciplinari, aventi per oggetto la chiarificazione e la soluzione di

questioni di carattere etico suscitate dall’avanzamento e dall’applicazione delle tecnoscienze

biomediche.”17

Si è soliti così individuare quattro classificazioni principali di bioetica:

1. Bioetica Generale: ovvero la fondazione etica, un discorso sui valori e sui principi originari

e delle fonti documentarie (diritto internazionale, deontologia, legislazione)della bioetica

intesa in senso globale come “etica della vita”;

2. Bioetica Speciale: che analizza i grandi problemi, sempre sotto un profilo generale, tanto

del capo medico che di quello biologico sull‟uomo (ingegneria genetica, aborto, eutanasia,

clonazione...). Nello specifico, in tal senso parliamo di Bioetica Medica, ovvero della

riflessione sulla vita in quanto oggetto di intervento medico nella sua duplice forma di

Bioetica Clinica (relazione medico/paziente, problemi etici all‟inizio della vita, problemi

etici alla fine della vita della vita), e di Bioetica della Ricerca (ricerca e sperimentazione su

altri soggetti – ad esempio animali – o sui pazienti);

3. Bioetica Animale: sul rispetto che l‟uomo deve alle specie animali;

4. Bioetica Ambientale: che riguarda le regole morali e giuridiche che devono guidare l‟uomo

nel suo rapporto con l‟habitat naturale.

Resta che la nuova frontiera della Bioetica siano le Biotecnologie, ovvero il nuovo potere

delle scienze di intervenire sulle strutture genetiche dell‟uomo e degli altri esseri viventi, al fine o

della sopravvivenza della specie (Potter) o del suo miglioramento (prospettiva utilitaristica). Non è

sufficiente tener conto dell‟ “l‟istinto” alla sopravvivenza dell‟umanità; è necessario fondare una

“scienza” della sopravvivenza,la Bioetica appunto.

Alla base della Bioetica sono infatti necessari due presupposti:

a. che la scienza biologica si ponga domande etiche;

b. che l‟uomo si interroghi sulla rilevanza morale del suo intervento indiscriminato sulla vita.

17

G. Hottois, Bioéthique, in HOTTOIS G., PARIZEAU M.H. (sous la direction de), Lesmots de la bioéthique. Un

vocabulaire encyclopédique, De Boeck, Bruxelles 1993, pp. 49-55.

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Occorre superare la tendenza pragmatica del mondo moderno che applica immediatamente il sapere

senza alcuna mediazione né razionale né morale. E se si considera che a volte il potere

biotecnologico è concentrato nelle mani di pochi, l‟applicazione di ogni conoscenza scientifica

potrebbe aver delle conseguenze imprevedibili sull‟umanità.

È così che un convegno internazionale svoltosi a ERICE, in Sicilia nel febbraio del 1991, si

ebbe per tema “Newtrends in forensic haematology and genetics. Bioethical problems”: un gruppo

di studio venne invitato ad elaborare un documento, detto appunto “Documento di Erice”,

sull‟oggetto della Bioetica ed il rapporto tra questa disciplina e la deontologia e l‟etica medica, a

seguito di varie polemiche sul ruolo della Bioetica all‟interno dei cultori della medicina legale.

In tale documento la competenza della bioetica fu riconosciuta in questi quattro ambiti:

a. I problemi etici delle professioni sanitarie (Bioetica Medica);

b. I problemi etici emergenti nell‟ambito delle ricerche sull‟uomo anche se non

direttamente terapeutiche (Bioetica Clinica e della Ricerca;

c. I problemi sociali connessi con le politiche sanitarie (nazionali ed internazionali),

alla medicina occupazionale ed alle politiche di pianificazione familiare e controllo

demografico;

d. I problemi relativi all‟intervento sulla vita degli altri esseri viventi (piante,

microrganismi ed animali) e in generale ciò che si riferisce all‟equilibrio

dell‟ecosistema.18

2.d. Le varie teorie etiche in Bioetica. Bioetica e bioetiche.

Ora, fatto salvo il principio secondo cui l‟ambito medico-clinico è quello di maggior

sviluppo e complessità della Bioetica stessa, si possono individuare varie teorie etiche in Bioetica19

e generare così non solo ambiti di azione, ma differenti discorsi bioetici a seconda delle prospettive

che le caratterizzano.

Vediamone velocemente le principali.

18

E. Sgreccia, Manuale di Bioetica, cfr. pp 38-44. 19

F. D‟Agostino, L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, cfr. pag. 23.

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Bioetica liberale-libertaria. Tale prospettiva si basa sull‟idea che la bioetica sia una

forma di etica pubblica ed applicata, che riguarda prevalentemente le questioni di giustizia,

ossia i modi di esercitare i diritti fondamentali degli individui in una società pluralista e

complessa. Tristram Engelhardt è l‟autore che più si avvicina a questa posizione, e prevede,

nel cercare giustificazioni razionali, un approccio normativo alle questioni bioetiche. In tale

prospettiva, i principi proposti sono il principio di autonomia o del permesso ed il principio di

beneficenza: il primo garantisce e fissa le possibilità ed i limiti della morale, il secondo

individua un senso particolare di ciò che è bene o non bene fare.20

Bioetica utilitaristica. È una delle teorie più influenti in ambito bioetico, ed è di

carattere consequenzialista in quanto giustifica gli enunciati morali sulla base della

valutazione delle conseguenze che produce un‟azione e non sulla base dell‟agente o dell‟atto

in sé; mira al perseguimento del maggior benessere possibile – detta per questo anche teoria

benesserista – in quanto ritiene etica l‟azione che conduce e produce le conseguenze migliori

e di maggiore utilità per l‟uomo e la società. Si basa su tre cardini:

a. le azioni sono valutate in base al calcolo delle loro conseguenze, secondo il principio

per cui doveroso è l‟atto più utile a ottenere conseguenze positive

(consequenzialismo);

b. lo scopo che si deve perseguire è la ricerca del massimo benessere per il maggior

numero di persone, intendendo per benessere o il massimo piacere totale o la

massima soddisfazione globale delle preferenze soggettive;

c. gli interessi dei singoli devono essere considerati come un tutto, secondo una

prospettiva di imparzialità, egualitaria.

Il calcolo dell‟utile come benessere è volto a massimizzare gli interessi di tutti gli individui

coinvolti. Tale bioetica, in opposizione con quella libertaria, si basa su una concezione

empiristico-sensista poiché dà priorità alla sensazione piuttosto che alla ragione: non conta il

principio razionale normativo individuato alla base dell‟azione bioetica, ma l‟utile ed il

benessere (fisico o psicologico) che esso genera21

.Tra le critiche rivolte a questa prospettiva

c‟è il fatto che il criterio del benessere – inteso come massimizzazione della soddisfazione di

preferenze o come piacere – è troppo soggettivo per fondare delle valutazioni etiche

condivise.

20

Ivi, cfr. pp. 24-27. 21

Ivi, cfr. pp. 27-31.

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25

Bioetica dei principi. Detta anche principialismo, è un particolare approccio ai

problemi morali emerso nell‟ambito della riflessione bioetica statunitense e che ha avuto

grande diffusione. Ritiene impossibile prescindere dalla riflessione e dall‟analisi dei principi

che possono e debbono sottendere l‟azione bioetica, nonostante i differenti contesti ideologici

(medico, sociologico, laico, cattolico...).

Scaturisce dal tentativo di trovare dei principi che possano servire da terreno di mediazione

potenzialmente universale, tali da raggiungere un accordo riguardo a questioni pratiche

controverse.

I principi sono quattro:

a. Il rispetto per l’autonomia, col quale, come visto, si intende il riconoscimento al

diritto e alla libertà all‟autodeterminazione dell‟individuo;

b. La non-maleficenza, ossia il divieto di arrecare danno e fare del male, soprattutto

fisico;

c. La beneficenza, che è intesa o come dovere di promuovere il bene altrui, o come il

dovere di scegliere l‟azione migliore dal punto di vista del rapporto tra costi e

benefici;

d. La giustizia o equità, che prescrive di trattare in modo uguale gli uguali.

questa prospettiva fu criticata per essere troppo astratta e priva di sufficiente

giustificazione morale, ma conserva tuttora una certa rilevanza nel dibattito bioetico.

la Bioetica dei principi si propone di elaborare una base comune alle diverse ed opposte

teorie bioetiche per raggiungere accordi effettivamente pragmatici sull‟uso dei principi

condivisi da applicare poi concretamente; tuttavia questa prospettiva fu criticata per

essere troppo astratta e priva di sufficiente giustificazione morale, ma conserva tuttora

una certa rilevanza nel dibattito bioetico.22

Bioetica della virtù. Detta anche bioetica aretaica, dal termine greco aretè che

significa virtù, valore, non ha caratteristiche omogenee ed uniformi poiché pone l‟attenzione

sul soggetto agente e non sull‟azione, sulla riflessione personale che fonda l‟agire etico e

bioetico stesso. Riguarda la motivazione etica, la spinta intenzionale interiore del soggetto

agente, piuttosto che la semplice obbedienza. In ambito bioetico questa prospettiva apre a

orizzonti nuovi: riporta l‟attenzione sul soggetto nella sua totalità concreta, sulla figura

22

Ivi, cfr. pp. 32-36.

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dell‟uomo virtuoso come modello etico che non si limita solo a ciò che è strettamente

obbligatorio, ma punta all‟eccellenza; considera infine la salute come un bene relazionale, un

valore per il medico e per il paziente in relazione tra loro23

.

Bioetica femminista e femminile (della cura). Lo sviluppo della bioetica femminista

si colloca alla fine degli anni ‟80 e la diffusione dei primi lavori della letteratura femminista

in ambito bioetico si ha solo agli inizi degli anni ‟90 quando il pensiero critico femminista

riesce a catturare l‟attenzione dei dibattiti bioetici mediante la denuncia dello scarso peso che

fino ad allora avevano rivestito le prospettive di genere in bioetica. Le severe critiche da parte

femminista sono rivolte principalmente alla fisionomia ormai assunta dai dibattiti bioetici, del

tutto indifferenti alla voce del movimento femminista in ambito biomedico. Nonostante sia un

ambito di riflessione estremamente frammentario, l‟obiettivo comune è analizzare le ragioni

della subordinazione e dell‟oppressione della donna rispetto all‟uomo/maschio e di teorizzare

un cambiamento – medico e nelle terapie di cura – delle condizioni femminili contro ogni

discriminazione sessista. Tale bioetica diventa una sorta di “bioetica della libertà delle

donne”, ne rivendica la libertà ed i diritti, anche genetici, contro ogni disparità sessuale e

giuridica. 24

Bioetica della responsabilità. L‟elaborazione di questa bioetica deriva dall‟omonimo

principio di responsabilità di H. Jonas, con il suo testo edito nel 1979. Secondo il filosofo è

necessario applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell'uomo che "deve" prendere

in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti. I problemi e le

questioni bioetiche non possono non prevedere una riflessione, appunto responsabile, sulle

conseguenze dell‟azione. Secondo questa bioetica occorre riscoprire l’importanza del valore

della responsabilità nella vita dell’uomo e in particolare nelle scelte che egli compie. È in

questo contesto che si analizzano alcuni temi fondamentali, quali il conflitto multiculturale, la

salvaguardia della salute pubblica e le cure salvavita25

. La riflessione bioetica si configura,

quindi, come quel campo nel quale le cosiddette “due culture”, quella scientifica e quella

umanistica, si incontrano e scontrano dando luogo ad un complesso dibattito; le “due culture”

23

Ivi, cfr. pp. 36-40. 24

Ibidem, cfr. pp. 40-45. 25

Ibidem, cfr. pp. 45-49

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contrapposte, come vedremo, sono sintetizzabili in “etica della sacralità della vita” ed “etica

della qualità della vita”, strettamente connesse con la Bioetica cattolica e la bioetica laica.

Bioetica personalista26

. Definiamo bioetiche personaliste tutte quelle teorie che

pongono come centrale e principio guida la tesi della dignità intrinseca della persona

riconosciuta in ogni essere umano, a prescindere dalla fase di sviluppo fisico-psichico (quindi

anche un embrione è persona), della condizione di esistenza (in salute o in malattia) o delle

proprietà che possiede o le capacità che è in grado di manifestare.

Ha pertanto non soltanto una matrice fortemente filosofica, ed è l‟espressione più elevata

della Bioetica cattolica e dell‟Etica della sacralità della vita.

Bioetica laica. Paragrafo successivo

Bioetica cattolica. Paragrafi a seguire

26

Cfr. pag. successive della presente dispensa.

BIOETICA

Etica della qualità della vita

Deontologica con divieti

prima facie

Consequenzialistica

BIOETICA

LAICA

Etica della sacralità della vita BIOETICA

CATTOLICA

Deontologica con divieti assoluti

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28

Unità 3 – LA BIOETICA LAICA: LE INTERPRETAZIONI PREVALENTI

3.a. Che cosa si intende per Bioetica laica.

Il principio cardine della Bioetica laica, al centro dell'attività della Consulta di Bioetica, è

tradizionalmente espresso con la formula "etsi Deus non daretur", a significare che “laico” è colui

che ragiona come se Dio non ci fosse. Questo approccio garantisce identico rispetto e identica

considerazione etica a ciascuna persona, a prescindere dalle sue convinzioni religiose. In una

società "laica", infatti, la confessione religiosa sposata dalla maggioranza degli individui non viene

trasformata in un'imposizione per chi in quelle convinzioni non si riconosce (o perché sposa altre

confessioni religiose, o perché non ne sposa alcuna). Si tratta dunque di un requisito essenziale al

mantenimento delle libertà individuali e della pacifica convivenza in una società sempre più

caratterizzata dal pluralismo etico e religioso27

.

Benché la laicità sia un modo di declinare l‟etica intesa in senso generale, è nella bioetica

che la riflessione laica segna il più importante scarto teorico e pratico rispetto alla morale informata

da qualche particolare visione religiosa. Se infatti intendiamo per Bioetica una riflessione su come

gestire in modo moralmente corretto e consapevole il potere di controllo sui processi biologici della

vita e della morte, vediamo che ci stiamo addentrando in un ambito di riflessione su cui le

confessioni religiose, e quella cattolica in particolare, rivendicano ed influenzano quella che

ritengono essere la propria autorità morale.

Definire cosa sia, di preciso, la bioetica laica è esso stesso uno dei problemi che oggi i laici

si pongono e su cui il dibattito è tutt‟ora in corso. Di fatto, la Bioetica laica è oggi un insieme di

differenti vedute, anziché un corpus di valori unitario. Resta certo che quando si parla di Bioetica

laica si parla di una “bioetica filosofica”, ovvero una bioetica che assegna alla ragione un compito

elevato quanto fondamentale: non quello di un‟impostazione dogmatica della verità da cui dedurre

le norme, ma quello di ricercare una verità comune che possa fondare le norme stesse in virtù di

principi non dipendenti da nessuna confessione religiosa. In tal senso, la bioetica laica coincide con

il metodo razionale critico di chi non prende verità presupposte o dogmatiche.

È così possibile individuare alcuni comuni denominatori che concorrono a definire

l‟approccio “laico” alla bioetica e a distinguerlo dagli approcci religiosamente ispirati. Innanzitutto,

la diversità di vedute che i laici riconoscono prima di tutto al loro interno testimonia come il

pluralismo sia per il laico non solo un eliminabile segno dei nostri tempi, frutto dell‟impossibilità di

27

F. D‟Agostino, L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, cfr. pp. 53-56.

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giungere a riconoscere un‟unica, condivisa autorità morale; il pluralismo è per il laico anche un

valore fondamentale da promuovere.

Altri aspetti che accomunano e identificano come tali i diversi approcci “laici” alla bioetica

sono i seguenti principi, nel paragrafo successivo analizzati con maggiore attenzione:

la centralità, nelle decisioni circa la vita e la morte, dell‟autonomia e della libertà individuale,

secondo le diverse accezioni che tali concetti possono assumere;

il valore attribuito alla qualità della vita, anch‟essa variamente intesa secondo diversi criteri di

valutazione;

la disponibilità della vita, in relazione alle diverse e personali concezioni di valore;

l‟etica intesa come disciplina essenzialmente umana, cioè frutto della riflessione razionale

degli uomini e non come un insieme di principi "dato" una volta per tutte da qualche autorità

morale o inscritto nella natura.

Intesa in questo senso, la Bioetica laica si distingue fortemente, e soprattutto nel nostro Paese,

dalla Bioetica cattolica, che discende dal Magistero della Chiesa Cattolica Romana e affonda le

proprie radici in principi quali l‟indisponibilità della vita umana, concepita come dono di Dio e

derivante dalla nozione di „creaturalità‟, l‟idea di “natura” come criterio normativo per la riflessione

etica, che deve essere conforme al disegno intelligente con cui Dio ha progettato il mondo e i suoi

eventi "naturali", l‟inviolabilità della vita umana come principio prioritario rispetto alla

considerazione della sua qualità.

Tuttavia, i confini della bioetica laica sono spesso oggetto di discussione perché, oltre a cattolici che

si dichiarano laici o che di fatto sposano molti dei valori laici, vi sono comunità confessionali che

sostengono esplicitamente valori laici, e in primo luogo l‟autonomia morale, come il mondo

protestante più in generale.

Restano così tuttora aperti i problemi di come conciliare la laicità con le personali vedute

religiose e di come tradurre nella pratica gli approcci laici di chi comunque si riconosce in una certa

confessione religiosa. Diverse distinzioni concettuali sono state avanzate per rispondere a simili

domande: per esempio quella fra un‟accezione forte e un‟accezione debole di “laicità”, che proprio

la bioetica contribuisce a mettere in luce; oppure quella fra un‟etica (e una bioetica) sostanziale e

una procedurale; o ancora quella fra etica pubblica e coscienza individuale.

Quanto queste distinzioni siano difendibili sul piano concettuale e quali differenze

effettivamente comportino a livello pratico e giuridico è un problema ancora oggi assai aperto.

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3.b. Modelli ed obiettivi.

Il Manifesto di Bioetica laica così dichiara: “Il primo dei principi che ispira noi laici è

quello dell’autonomia. Ogni individuo ha pari dignità e non devono esservi autorità superiori che

possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui in tutte quelle questioni che riguardano la sua vita e

la sua salute”28

.

Il principio di autonomia costituisce uno dei nuclei di fondo dell‟odierna prassi biomedica, la quale

trasformando il paziente in soggetto attivo e responsabile, gli riconosce la prerogativa di assumere

su di sé le decisioni che lo riguardano in proprio, ossia il diritto di stabilire “quale è il suo best

interest, il sommo bene, quello che meglio concorda con la sua visione del mondo e che risulta

essere più coerente con il suo sistema valoriale”. Il paziente diventa così protagonista del

perseguimento della sua stessa qualità della vita.

La Bioetica laica si fonda anzitutto sul principio della qualità della vita: non è detto che la

vita sia sempre considerata degna di essere vissuta. Per alcuni, in determinate situazioni, essa può

voler essere modificata o interrotta.

Per garantire il diritto di scegliere come vivere e come morire, deve essere tutelato il principio di

autodeterminazione o di autonomia individuale. Come scriveva Jhon Stuart Mill nel Saggio sulla

libertà, “Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano”, sempre nel rispetto

degli spazi di scelta altrui. Una società può dirsi liberale quando i suoi cittadini hanno la libertà di

esercitare la propria autonomia individuale e tutte le posizioni morali sono ritenute meritevoli di

uguale rispetto. Di conseguenza la responsabilità morale è personale, e non delegabile ad altri se

non per espressa ed esplicita volontà dell'individuo direttamente coinvolto.

Un altro principio della bioetica laica è il principio della disponibilità della vita. Se ciascun

individuo adulto è sovrano su se stesso, allora può disporre del proprio essere, e a tale potere di

automanipolazione non si può stabilire un limite pregiudiziale, vincolando a priori la ricerca

scientifica e tecnologica. Il progresso della scienza non va rifiutato o visto con sospetto, ma

piuttosto promosso in quanto da esso derivano nuove opzioni di libertà e la diminuzione della

sofferenza dell'uomo, che non va sublimata o legittimata, come invece vuole la visione cattolica. Il

cittadino-paziente ha il diritto di intervenire attivamente nel suo rapporto con il medico, ovvero di

accettare e rifiutare le cure dopo essere stato in merito opportunamente informato (“consenso

informato”).

La Bioetica laica legge il cambiamento dei valori del mondo contemporaneo, proponendo,

potremmo dire, un' “etica senza verità”: mentre la Bioetica cattolica prevede una concezione morale

28

C. Flamigni, Manifesto di bioetica laica, da Il Sole24ore, giugno 1996.

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valida per tutti ed in ogni tempo, la Bioetica laica, che si basa presupposti antidogmatici e

antimetafisici, ritiene che nel campo della morale qualsiasi conclusione sia provvisoria e soggettiva:

il laico non ammette di possedere una verità morale assoluta, ma solo di voler decidere per se

stesso. Per questo si fa garante dei diritti della libertà individuale e rispetta l'altro e le sue scelte

personali.

Nella logica della Bioetica laica sarebbe bene che cittadini e politici che ragionassero “come se Dio

non ci fosse”, perché ciò che conta non è se Dio esista davvero e se quindi ci sia una morale unica

da Egli imposta che tutti dovrebbero seguire, ma mettere da parte le proprie fedi o ideologie per

trovare delle norme condivise perché condivisibili da tutti.

Il pluralismo etico è un valore, non un nemico da sconfiggere. Esso va tutelato con rispettosa

tolleranza. Tra le varie posizione etiche bisogna conversare, così come si conversa tra le differenti

componenti che formano la grammatica delle moderne democrazie multiculturali. La finalità della

bioetica laica è la coesistenza di fedi e sistemi valoriali diversi.

Ora il principio della qualità della vita può essere letto o in chiave consequenzialista o in

chiave deontologica con divieti cosiddetti di prima facie29

.

Tale etica afferma il valore fondamentale della qualità della vita intesa come benessere e come

rispetto dell‟autonomia delle persone, ed assegna alla scelta autonoma del soggetto un ruolo ed un

valore fondamentale poiché non vi è l‟obbedienza a divieti e codici assoluti (come nel modello

cattolico e della sacralità della vita) ma a quanto ritiene morale il soggetto.

Si impone allora la necessità di stabilire una sorta di “gerarchia dei divieti” che ci conduce da

un‟etica dei doveri assoluti ad un‟etica dei doveri di prima facie, ovvero di divieti che solo di primo

acchito sembrano assoluti. Le versioni di etica deontologica prima faciesono pertanto simili

all‟impostazione dell‟etica utilitaristica in cui prevale sempre il dovere che massimizza il beneficio

e minimizza il danno (solitamente rispetto alla società o alla collettività) e che genera le migliori

conseguenze possibili.

La sfumatura tra le due è quindi assai sottile; l‟etica con divieti e doveri di prima facie è talmente

tanto simile a quella consquenzialistica che oggi il dibattito prevede come antitesi centrale

l‟opposizione tra diritti/doveri assoluti e diritti/doveri di prima facie.

29

M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, cfr. pp. 16-18.

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32

3.b. “L’etica della qualità della vita”.

L‟“etica della qualità della vita” che non si richiama a un valore assoluto (come la

sacralità della vita), ma che si fonda sulla ragione umana. Questo tipo di etica fa riferimento a

criteri di utilità (cosa è più utile al genere umano), o di qualità (cosa è migliore per la vita

dell'uomo) che la ragione stessa deve determinare. La Bioetica laica, in linea con i principi

sopra analizzati, si ispira a questo tipo di etica.

L‟etica della qualità della vita non parte da nessun dogma assoluto, ma è volta ad analizzare, caso

per caso, per mezzo della ragione, cosa sia meglio fare. Secondo questo tipo di etica i valori morali

possono ammettere tutti un‟eccezione, non esistono quindi valori assoluti indipendenti dalla volontà

umana. Quindi le norme etiche sono valide ed efficaci solo se assicurano un livello soddisfacente di

qualità della vita. I valori dell‟etica della qualità della vita sono sempre frutto di una determinata

epoca storica e di una determinata cultura; per questo motivo tale tipo di etica ammette un

pluralismo etico, ed anzi, lo incoraggia per permettere, attraverso il dialogo, di giungere alla

soluzione migliore, o per lo meno, alla soluzione considerata tale dalla maggior parte delle persone.

In tal senso, il passaggio alla concezione dell‟etica della qualità della vita può essere

considerato come una vera e propria rivoluzione, con il relativo cambiamento di tre concezioni che

ne sono a fondamento. Vediamo quali:

1. Il diverso modo di descrivere il processo biologico umano (diverso valore qualitativo delle

vite): da un lato va ammesso il termine “vita umana” per indicare l‟aspetto meramente

materiale del processo biologico, mentre dall‟altro il termine “persona” indica anche la sua

dimensione spirituale ed emotiva. L‟etica laica sostiene che le vite presentano un diverso

rilievo qualitativo a seconda dei contesti e delle caratteristiche concrete (coscienza, capacità

o meno di scelta ecc.) delle persone coinvolte. In tal modo, al precetto evangelico di

considerare tutte le vite umane come dotate di uguale valore, viene contrapposta la (inedita)

tesi secondo cui il valore della vita umana varia da un caso all‟altro. Oltre che essere

teoricamente insostenibile, il comandamento tradizionale soffre, secondo i laici, di una

manifesta sterilità normativa e operativa. Viceversa, il concetto di qualità della vita,

permettendo gradazioni e giudizi comparativi (in quanto una vita può essere ritenuta

“migliore” o “peggiore” di un‟altra), viene considerato utile (e per certi aspetti

indispensabile) ad affrontare le questioni sollevate dalla pratica clinica e dalla giustizia

sanitaria. In tale logica, “se ci si limita a ribadire che tutte le vite hanno lo stesso valore

intrinseco, indipendentemente dalla loro qualità, una distribuzione varrà l‟altra e

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33

mancheremo di qualsiasi criterio per distinguere tra opzioni più o meno giuste”30

. Secondo

tale approccio, pertanto, ci sono fasi biologiche diversificate nella vita di ognuno che

giustificano o meno l‟intervento al fine del perseguimento di una reale qualità di quella vita

stessa.

2. Il diverso modo di concepire l‟azione della natura:se intendiamo per natura tutto ciò che

agisce indipendentemente dall‟uomo avendo in sé la causa stessa del suo agire, allora

dobbiamo pensare che se non facciamo nulla per impedire che la natura agisca

negativamente, allora siamo noi stessi complici della sua azione. Si passa quindi da una

concezione che considera la natura come totalmente autonoma, ad una concezione in cui la

si considera invece controllabile, manipolabile (si pensi alle terapie, ai trapianti...).

3. Il diverso modo di interpretare la medicina ed il suo compito:la concezione ippocratica, su

cui si fonda la medicina occidentale, considera la medicina come “terapia” ovvero come un

aiuto fornito alla natura umana, con cui coopera per modificarla, deviarne la direzione nella

malattia, migliorarla; l‟etica della qualità della vita, invece, ammetterebbe un ruolo

differente alla medicina stessa, un superamento della concezione ippocratica volta a fare

della medicina quell‟insieme di conoscenze in via di evoluzione, anche sperimentale, che

potrebbero anticipare i processi biologici naturali, o controllarli addirittura.

In altre parole: nel modello dell‟etica della qualità della vita, si mira al perseguimento della

maggiore qualità possibile della vita, ed in una prospettiva quasi machiavellica, “il fine giustifica i

mezzi” per cui:

La “vita umana” non va intesa secondo una concezione unitaria, ma ha fasi differenti su cui

è più o meno lecito intervenire bioeticamente, per gradi di importanza e di legittimità;

Si può tentare di manovrare la natura e le sue dinamiche;

La medicina deve essere assunta come continua sperimentazione e ricerca e deve progredire

a tal punto che la manipolazione della natura è assunta come lecita31

.

30

E. Lecaldano, L’etica teorica e la qualità della vita, Rivista di filosofia, 2001. 31

M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, cfr. pp. 31-33.

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34

Unità 4 – LA BIOETICA CATTOLICA ED IL SIGNIFICATO DELLA VITA IN AMBITO

CATTOLICO.

4.a. Che cosa si intende per Bioetica cattolica.

In prima istanza, la Bioetica cattolica indica la posizione bioetica della confessione religiosa

cattolica (detta per questo anche Bioetica cattolica ufficiale o Bioetica della Chiesa Cattolica

Romana): in tal senso la qualificazione “cattolica” si identifica con gli interventi pubblici del

Magistero in materia – dai discorsi del Pontefice, alle encicliche, alle dichiarazioni della S.

Congregazione per la Dottrina della fede, dei Documenti Magisteriali...

È la bioetica che parte dalla tesi fondamentale della fede per la quale l‟uomo è creatura di Dio e si

fonda su una serie di prescrizioni derivanti dalle Sacre Scritture da applicare alle questioni

bioetiche, a partire dalla creaturalità dell‟uomo e della vita come dono divino. Pertanto, è la bioetica

che si fonda sul principio della “sacralità della vita” da cui deduce il divieto assoluto di uccidere

l‟essere umano ed il dovere di proteggere la vita umana ritenuta inviolabile dall‟inizio alla fine del

suo sviluppo. In tal senso, la bioetica cattolica, in quanto rivolta ai credenti e da questi appoggiata, è

accusata di confessionalismo32

: essendo la prospettiva di chi, partendo dall‟esistenza di Dio, fonda

la spiegazione dei principi e dei valori bioetici sulla fede.

Si intende, quindi, per Bioetica cattolica quella riflessione bioetica che difende su basi

razionali la vita dell‟essere umano, basandosi sul principio della dignità intrinseca della vita umana

sulla base di argomentazioni filosofiche e razionali.

In conclusione, la Bioetica cattolica si fonda sul principio della “sacralità della vita” ed ha

nel modello filosofico Personalistico la sua massima espressione. Vediamoli nel dettaglio.

4.b. “Etica della sacralità della vita”.

Il termine “sacralità” indica qui l’inviolabilità e l’intangibilità della vita umana. L‟etica e

la Bioetica animate da questo principio affermano ed impongono un divieto assoluto di intervenire

con il finalismo intrinseco della vita, nonostante le condizioni e le dinamiche della stessa33

: il

principio della sacralità della vita diviene così il principio che riconosce il valore assoluto della

dignità della vita dal concepimento alla morte naturale, e considerano inammissibile ogni forma di

manipolazione sulla vita e della vita stessa; in tal senso la Bioetica cattolica diventa la massima

espressione di questo principio dacché soltanto Dio ha il potere e la prerogativa di decidere sulla

vita e sulla morte dell‟uomo. 32

F. D‟Agostino, L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, cfr. pp. 53-54. 33

M. Mori, Bioetica. 10 temi per capire e discutere, cfr. pag. 17.

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Emerge così il complesso ed assai vivo dibattito della posizione della Chiesa cattolica verso la

ricerca e la sperimentazione medica, nella ferma convinzione che “la scienza e la tecnica

richiedono, per loro intrinseco significato, il rispetto incondizionato dei criteri fondamentali della

moralità: debbono essere cioè al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo

bene vero e integrale secondo il progetto e la volontà di Dio”34

.

Con mille sollecitazioni per un‟etica pienamente intesa, condivisa e praticata, rispettosa e

conscia del valore dell‟uomo nella sua globalità, la Chiesa cattolica ha sempre fatto sentire la sua

voce. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa si è aperta al dialogo e all‟interscambio col

mondo contemporaneo consapevole di poter offrire un contributo essenziale alla “salvezza

dell‟uomo”, arricchendosi a sua volta in questo confronto.

Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II,Benedetto XVI e pure l‟attuale Papa Francesco, varie volte,

hanno dichiarato necessario il contributo di tutti indistintamente,laici e cristiani, credenti o non,

società civile e confessionale, per integrare e moltiplicare le risorse umane, le sole adattabili e

rinnovabili anche nelle circostanze più drammatiche ed imprevedibili.

Per questo, conspiccata sensibilità quanto con ponderazione, la Chiesa cattolica invita al dialogo

rispettoso con quanti possono partire con presupposti diversi, ma sono disponibili alla ricerca di

orientamenti e di soluzioni che risultano rispettose dei valori umani fondamentali. Tutto ciò è ben

riassunto dal beato Giovanni Paolo II quando affermò: “Dobbiamo promuovere un confronto serio

ed approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali della vita umana, nei

luoghi di elaborazione del pensiero, come nei diversi ambiti professionali e là dove si snoda

quotidianamente l’esistenza di ciascuno”.35

Alla luce di queste impostazioni generali, analizziamo quali sono i tre principi che fondano

l‟Etica della sacralità della vita e, pertanto, della Bioetica cattolica:

1. Principio di Creaturalità: la vita è un dono di Dio, è una realtà che, provenendo da Dio, da

Dio riceve il suo pregio, cioè la garanzia metafisica del suo valore. “Ogni vita umana, dal

concepimento fino alla morte, è sacra perché la persona umana è voluta per se stessa ad

immagine e somiglianza del Dio vivente” (Catechismo della Chiesa Cattolica);

2. Principio di Non-disponibilità: la vita, essendo un dono di proprietà del Creatore, risulta

sottratta alle scelte individuali, ovvero alla capacità umana di disporne a piacimento: non è

pertanto disponibile all‟uomo e ai suoi interventi;

34

Giovanni Paolo II, Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, 1987, Donum vitae – Introduzione. 35

Papa Giovanni Paolo II, Evangelium vitae.

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36

3. Principio di Inviolabilità: è la conseguenza dei due principi precedenti. La vita non

appartiene all‟uomo per cui egli non può violarla. Tale principio sta alla base del divieto

morale di uccidere e fonda il diritto da parte di ogni essere umano, anche quando viene a

trovarsi in una situazione di grave handicap fisico o psichico, a vedere tutelata la propria

persona. Il principio della inviolabilità implica la norma dell‟accoglienza e del rispetto

dell‟essere umano, da una parte, e il rifiuto della sua menomazione o soppressione dall‟altra.

In virtù di questa concezione, si considera l‟esistenza di un principio assoluto che non ammette

eccezioni e si pone al vertice della gerarchia dei principi e impone il rispetto assoluto del finalismo

intrinseco del processo biologico naturale. L‟uomo è libero di scegliere se seguire tale principio, ma

il suo dovere resta l‟obbedienza a tali norme (finalismo naturale intrinseco) indipendentemente dalla

valutazione individuale sulla qualità della vita, prefigurando una totale obbedienza; l‟agire

conseguente alla non obbedienza porta ad un comportamento moralmente illecito.

4.c. Il concetto di persona in ambito cattolico ed il modello personalistico

Ribadiamo in questa sede il modello personalista analizzato con maggiore dovizia e già

precedentemente oggetto nel presente lavoro, partendo dalla definizione di “persona”.

L‟uso del termine “persona” deriva da due fonti. Una prima, costituita dall‟idea stoica di

“ruolo” (compito) che l‟uomo ricopre nella sua vita (pròsopon, viso, persona); ad essa fa

riferimento il significato giuridico del termine latino “persona”. Una seconda, d‟origine cristiana (a

cui fa riferimento l‟uso in teologia nelle controversie trinitarie), per tradurre il termine

“ypòstasis”(in latino sub stanzia = supporto), in quanto opposto a “physis” (natura), “ousìa”

(essere).

Il primo ad usare il termine “persona” come pròsopon ma in prospettiva trinitaria fu

IPPOLITO (+235), teologo e scrittore cristiano, ripreso ed elaborato da TERTULLIANO (2°-3°

sec. d.C.): persona non sta ad indicare un‟apparenza esteriore o un semplice ruolo, ma l‟oggetto di

un giudizio di esistenza, la presenza effettiva e manifesta di qualcuno che esiste in se stesso, una

realtà individuale e distinta (contro ogni riduzione della persona ad un essere “funzionale”.

BASILIO DI CESAREA (330 c.a-379) distingue ousia e ypostasis, e caratterizza la persona

per la sua sussistenza irriducibile e insieme per la sua apertura all‟altro. AGOSTINO D‟IPPONA

(354-430), invece, usa il termine per considerare la “singolarità” dell‟individuo (qualunque singolo

uomo).egli è tale in quanto mens (pensiero, mente). S. BOEZIO (480 c.a – 526) se ne serve per

definire “persona”: naturae rationalis individua substantia” (una individua sostanza di natura

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razionale). Ma RICCARDO DA SAN VITTORE (+1173) corregge: “rationalis natura individua

existentia” (un individua esistenza di natura razionale).

Per TOMMASO D‟AQUINO (1225-1274) “persona è ciò che è sussistente in una natura

razionale”. L‟uomo in quanto persona non è l‟essere, ma ha l‟essere, e riceve l‟essere “per

partecipazione” (in modo “analogico”) da colui che è Ipsum esse per se subsistens (Dio). In questa

analogia c‟è il riconoscimento della “dignità”. La persona, pertanto, non si identifica o si

oggettivizza con o nell‟individuo: il fine supremo dell‟uomo è Dio e non nella sua semplice

esistenza, e mentre il vivere per gli altri porta all‟alienazione, il vivere per Dio porta alla pienezza

dell‟esistenza.

Il Novecento è stato il secolo del “Personalismo” e di “personalismi”. Esso si caratterizza

come secolo dei diritti; come epoca delle personologie (connotate di una pluralità di correnti di

pensiero); il confronto culturale tra il personalismo cristiano, ebraico e musulmano (personalismo

connotato da correnti di ispirazione religiosa) e i personalismi laici (caratterizzati da tendenze

antimetafisiche), che vedono la persona solo in prospettiva biologica, fisica, neurologica,

psicologica e sociologica. Bisognerebbe chiarire sempre a “quale personalismo” si fa riferimento,

quando si parla di persona e di personalismo in Bioetica.

La tradizione personalista affonda le sue radici nella ragione stessa dell‟uomo e nel cuore

della sua libertà: l‟uomo è persona, nel senso di Homo sapiens, perché è l‟unico essere in cui la vita

diventa capace di “riflessione” su di sé, di autodeterminazione; è l‟unico vivente che abbia la

capacità di cogliere e scoprire il senso delle cose e di dare senso alla sue espressioni e al suo

linguaggio cosciente. In ogni uomo sta racchiuso il senso dell‟universo e tutto il valore

dell‟umanità: la persona umana è una unità, un tutto, e non una parte di un tutto. La stessa società

ha come punto di riferimento la persona umana: la persona è fine e sorgente per la società.

Originata dal concetto filosofico di persona che ha attraversato la storia della filosofia, da

Aristotele, passando per Tommaso d‟Aquino, fino al maestro del Personalismo contemporaneo in

Jacques Maritain, la persona è considerata come un individuo concreto, biologicamente esistente ed

incarnato in un corpo, con una propria natura ontologica e di valore.

Il Personalismo intende affermare uno statuto oggettivo ed esistenziale (ontologico) della

persona; esso considera la persona come un corpo spiritualizzato, uno spirito incarnato, che

vale per quello che è e non per le scelte che fa, per cui la persona è sintesi inscindibile di corpo

e spirito. Il Personalismo vede nella persona un‟unità, o la unitotalità di corpo e spirito che

rappresenta il suo valore oggettivo, di cui la soggettività si fa carico, e non può non farsi carico, sia

rispetto alla propria persona sia rispetto alla persona altrui. La persona è così l‟apice della

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creazione, e tra tutti i viventi – vegetali, animali ed uomo – l‟uomo è l‟unico vivente capace di

scegliere liberamente sia la forma d‟esecuzione di un atto, che il fine stesso del suo agire: per questo

motivo è una forma di vita superiore. Secondo la bioetica personalista, pertanto, o si è persona o

non si è persona, e in tale dicotomia o la si rispetta totalmente o si è nell‟antietico per eccellenza36

.

In sintesi, nel modello personalistico l‟uomo rimane tale anche quando non è ancora in grado

(embrione) o non potrà mai esserlo (handicap) o non potrà più esserlo (malattie mentali insorte,

come, stato vegetativo...) di esercitare le sue facoltà; pertanto dal concepimento fino alla morte

naturale, la persona va tutelata e salvaguardata per questo suo “semplice” valore intrinseco.

Alla luce di questi elementi, vediamo i principi della Bioetica personalista:

Principio di difesa della vita

Principio di libertà e di responsabilità

Principio terapeutico (o di totalità)

Principio di socialità e sussidiarietà37

.

Principio della difesa della vita fisica, poiché la persona si dà nella sua corporeità e tramite

questa vive nella storia. In effetti, la vita corporea non esaurisce tutta la ricchezza della persona che

è anche, e anzitutto, spirito, e perciò, come tale, trascende il corpo stesso e la temporalità. Tuttavia

rispetto alla persona, il corpo è coessenziale, ne è l‟incarnazione prima, il fondamento unico nel

quale e per mezzo del quale la persona si realizza ed entra nel tempo e nello spazio, si esprime e si

manifesta, costruisce ed esprime gli altri valori, compresa la libertà, la socialità e compreso il

proprio progetto futuro.

Al di sopra di tale valore “fondamentale” esiste soltanto il bene totale e spirituale della

persona, che potrebbe richiedere il sacrificio della vita corporea soltanto quando tale bene spirituale

e morale non potesse essere raggiunto se non attraverso il sacrificio della vita e, in questo caso,

trattandosi di bene spirituale e morale, non potrebbe mai essere imposto da altri uomini, ma

esplicarsi come dono libero. Emerge quindi l‟importanza di questo principio in ordine alla

valutazione dei vari tipi di soppressione della vita umana: l‟omicidio, il suicidio, l‟aborto,

l‟eutanasia, il genocidio, la guerra di conquista e così via. È necessario forse sottolineare che non si

tratta soltanto del rispetto, ma anche della difesa attiva della vita e della promozione della salute che

36

E. Sgreccia, Manuale di Bioetica, cfr. pp. 138-182. 37

M. Aramini, Bioetica e Religioni, Edizioni Paoline, Milano 2007, cfr. pp. 55-57.

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la può conservare. Le carte dei diritti internazionali che si occupano dei diritti dell‟uomo mettono in

primo piano la vita e la sua inviolabilità proprio secondo tale principio.

Principio di libertà e di responsabilità, nel quale la libertà deve avere come limite il

riconoscimento della vita dell‟altro, divenendo così anche atto responsabile.

Infatti, primo valore fra tutti che il Personalismo tende a realizzare e raggiungere è il valore

della vita umana; essa è il primo dei beni da rispettare e da favorire, e la libertà quindi deve farsi

carico responsabile sia della vita propria che della vita altrui. Questa affermazione si giustifica con

il fatto che, per essere liberi, bisogna essere vivi, e perciò la vita è, per tutti, condizione

indispensabile per l‟esercizio della libertà. Per quanto ovvia, questa affermazione presenta oggi

molte problematiche in campo di etica medica, a proposito ad es. del “diritto all‟eutanasia”, o delle

cure obbligatorie per i malati mentali o dei rifiuti delle terapie per motivi religiosi: non si ha diritto

a disporre, in nome della libertà di scelta, della soppressione della vita.

Questo principio, più in generale, sancisce l‟obbligo morale nel paziente di collaborare alle

cure ordinarie e proporzionate a salvaguardare la vita e la salute propria e altrui (quella che si dice

“alleanza terapeutica” tra medico e paziente). Nei casi come quello relativo a pazienti che rifiutano

le cure indispensabili alla vita e alla sopravvivenza, quando il medico in coscienza ritenesse

necessario imporle, il diritto dovrà regolare la procedura per le cure obbligatorie (tipico il caso di

genitori che rifiutano di alimentare il neonato deforme, praticando la cosiddetta eutanasia neonatale:

è evidente l‟abuso della libertà dei genitori nei confronti della vita del neonato). Lo stesso principio

di libertà-responsabilità del paziente, se viene delimitato dal principio di difesa della vita fisica (che

è valore precedente e superiore alla libertà e che chiama la responsabilità primaria) limita a sua

volta la libertà e la responsabilità del medico, il quale non può trasformare la cura in costrizione in

tutti gli altri casi in cui non è in questione la vita. E‟ il problema del “consenso del paziente”.

Questo principio fa leva sulla convinzione che bisogna sempre ricordare che la vita e la salute

sono affidate prioritariamente alle responsabilità del paziente e che il medico non ha sul paziente

altri diritti, superiori a quelli che ha il paziente stesso nei propri riguardi.

Principio terapeutico o della totalità, uno dei principi basilari e caratterizzanti dell‟etica

medica,ammette come lecito intervenire sulla vita fisica della persona, intaccando anche la sua

integrità, soltanto a condizione che ciò risulti necessario per la salvaguardia della stessa vita fisica

del medesimo individuo nella sua integrità. Pur fondandosi sul fatto che la corporeità umana è un

tutto unitario, risultante di parti distinte e fra loro organicamente e gerarchicamente unificate

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dall‟esistenza unica e personale, non viene smentito il principio dell‟inviolabilità della vita, ma anzi

viene applicato quando, per salvare il tutto e la vita stessa del soggetto, si debba incidere anche in

maniera mutilante sulla parte dell‟organismo. In fondo, in questo principio regge tutta la liceità e

l‟obbligatorietà della terapia medica e chirurgica. Il chirurgo che asporta un‟appendice è giustificato

moralmente, ed anche obbligato, nella misura in cui questa asportazione è necessaria per la

salvaguardia dell‟organismo. È per questo che il principio si denomina come principio terapeutico.

Rimane inteso che in questi casi ciò che è in questione non è tanto la vita, quanto la integrità

fisica; ma anche la integrità fisica è un bene molto alto, insito nella corporeità e, pertanto, è un

valore personale che può essere messo in pericolo o menomato soltanto a vantaggio del bene

superiore cui esso è legato. Il principio terapeutico ha applicazioni peculiari non soltanto nei casi

generali dell‟intervento chirurgico, ma anche in casi più specifici quali la sterilizzazione terapeutica,

il trapianto d‟organo...

Questo principio, come abbiamo accennato, è letto da alcuni in senso organicistico: si può ledere

una parte dell‟organismo soltanto se ciò giova al medesimo organismo fisicamente inteso. Altri

danno un‟interpretazione estensiva, intendendo per totalità il benessere psicologico o psicosociale, a

prescindere dall‟organismo fisico e dalla sua armonica ricomposizione con il bene spirituale. Altri,

infine, e ci sembra che vadano tenuti in conto di migliore interpretazione, intendono la totalità

comprendendovi la totalità fisica, spirituale e morale della persona, quindi di una totalità

personalista, in cui però il bene dell‟organismo fisico venga rispettato. Il corpo perciò non va preso

in senso esclusivo (senza badare al resto), ma in senso unitario, considerando cioè il bene corporeo

nell‟insieme del bene spirituale e morale della persona.

Principio di socialità e sussidiarietà, ossia il raggiungimento del bene comune attraverso

il bene del singolo e la solidarietà verso chi ha più bisogno. Infatti, il principio di socialità impegna

ogni singola persona a realizzare se stessa nella partecipazione alla realizzazione del bene dei propri

simili. Nel caso della promozione della vita e della salute, ciò comporta che ogni cittadino

s‟impegni a considerare la propria vita e quella altrui come un bene non soltanto personale, ma

anche sociale, e impegna la comunità a promuovere la vita e la salute di ciascuno, a promuovere il

bene comune promuovendo il bene di ciascuno. Il principio di socialità può giungere fino a

giustificare il dono dei tessuti e degli organi, che comporta una certa mutilazione nel donatore, può

stimolare il volontariato assistenziale e può, come è avvenuto pressoché in tutto il mondo, far

sorgere opere assistenziali (ospedali, case di cura, lebbrosari) soltanto per il senso del servizio

fraterno dei sani verso i malati.

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Ma in termini di giustizia sociale il principio obbliga la comunità a garantire a tutti i mezzi per

accedere alle cure necessarie, anche a costo dei sacrifici dei benestanti.Ed è a questo punto, però,

che il principio di socialità si salda con quello di sussidiarietà, per il quale la comunità da una parte

deve aiutare di più dove più grave è la necessità (curare di più chi è più bisognoso di cure e

spendere di più per chi è più malato), dall‟altra non deve soppiantare o sostituire le iniziative libere

dei singoli e dei gruppi, ma garantirne il funzionamento38

.

4.d. La concezione della vita: Sacre Scritture ed implicazioni

In virtù del principio di creaturalità già affrontato, la persona è sacra perché ogni uomo è

creato ad immagine di Dio e perché la vita stessa è un dono ed un bene che deriva da Dio. L‟uomo è

custode ed amministratore di questo dono, non ne è proprietario. La vita, pertanto, in tale ottica va

difesa e promossa in tutte le sue potenzialità e non può essere tolta/manipolata/controllata da alcuno

né da alcuna legge umana.

Nella concezione cristiana della vita, la vita è dunque un dono divino ed insieme un impegno, un

progetto che riguarda l‟uomo nella sua totalità e la sua stessa comunità; tutto acquista senso pieno in

riferimento a Dio, che ne è insieme anche condizione.

La vita è quindi un diritto fondato sulla volontà di Dio: da un valore così alto della vita

scaturisce l‟obbligo morale di rispettarla fino all‟estremo. Questa concezione trova la sua origine

nella Bibbia; così infatti nella Genesi è citato: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino

dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn. 2, 15). Compito dell‟uomo, infatti, nella

visione cristiana, è custodire e proteggere ciò che gli è stato donato senza cambiamenti o

manipolazioni di alcun genere: la vita è un dono gratuito e di immenso amore dato da Dio all‟uomo.

Pertanto:

Se la vita discende da Dio,

e se l‟uomo è al vertice della creazione,

allora la vita è vivere la fedeltà a Dio dal quale si proviene e di cui siamo immagine e frutto.

È nel Nuovo Testamento che successivamente, con il mistero dell‟Incarnazione, la vita e

l‟uomo acquistano un significato ancora più alto. Con tale Mistero (della Fede) Dio si è fatto uomo

ed ha dato un nuovo fondamento ed una dignità tutta nuova alla natura umana di fronte alla morte:

la vita dell‟uomo diventa così partecipe della vita di Dio, non è più soltanto un dono. A maggior

ragione, ora, la vota dell‟uomo deve essere espressione finita e temporale della vita di Dio, devota

38

Ibidem,cfr. pp. 193- 227.

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all‟amore, ed ai principi filo tetici dell‟insegnamento divino. Ecco perché la vita, in qualsiasi modo

la si intenda secondo tale concezione, va difesa, tutelata e promossa ad ogni costo.

Non di poco rilievo al fine di comprendere la concezione della persona e della vita umana in

ambito cristiano è il Concilio Vaticano II, che prima di offrire una sintesi dei più grandi crimini

contro la persona umana, si richiama al fondamento evangelico dell‟amore per il prossimo che

completa il comandamento “Non uccidere”. Qui la sacralità e l‟inviolabilità della vita diventano un

impegno vero ed autentico, così come lo diviene la sua promozione e la sua conservazione.

“Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio,

l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario;

tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni,

le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l’intimo dello spirito;

tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana [...], come le

deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora

ignominiose condizioni di lavoro [...];

tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e mentre guastano la civiltà umana,

ancor più inquinano coloro che così si comportano, che quelli che la subiscono,

e ledono grandemente l’onore del Creatore”.39

“La vita è sempre un bene.

È, questa, una intuizione o addirittura un dato di esperienza,

di cui l'uomo è chiamato a cogliere la ragione profonda.

Perché la vita è un bene?

L'interrogativo attraversa tutta la Bibbia e fin dalle sue prime pagine trova una risposta efficace

e mirabile. La vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra

creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere della terra (cf. Gn 2, 7; 3, 19; Gb

34, 15; Sal 103/102, 14; 104/103, 29), è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua

presenza, orma della sua gloria (cf. Gn 1, 26-27; Sal 8, 6).

È quanto ha voluto sottolineare anche sant'Ireneo di Lione con la sua celebre definizione:

“l'uomo che vive è la gloria di Dio”.2

All'uomo è donata un'altissima dignità, che ha le sue radici nell'intimo legame che lo unisce al

suo Creatore: nell'uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio.”40

39

Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 27 - dal testo di G. Marinoni, C. Cassinotti, G.

Airoldi, La domanda dell’uomo, Marietti Scuola Editore, Torino 1997, cfr. pag. 234. 40

Giovanni Paolo II, Evangelium vitae.

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4.e. I Documenti Magisteriali

Si definiscono Documenti Magisteriali tutti i documenti pontifici nati non solo dal

Magistero della Chiesa, ma anche dal dibattito e dagli studi di sacerdoti e laici cattolici, sin dalla

nascita della Chiesa, e dai seguenti magisteri:

Magistero della Chiesa – Si tratta di tutti quei testi prodotti dalla Chiesa cattolica a vario

titolo, come per esempio i Codici e i testi di Diritto canonico, le varie stesure del Catechismo

della Chiesa Cattolica...

Magistero della Santa Sede – Riguarda tutti i documenti prodotti dagli organismi della Curia

Romana.

Magistero Conciliare – Riguarda tutti i documenti e i canoni approvati dai Concili Ecumenici

riconosciuti dalla Chiesa cattolica.

Magistero Episcopale – È l'insieme dei documenti prodotti dai Vescovi locali, dalle

Conferenze Episcopali e dai Sinodi diocesani, provinciali o nazionali nel corso della storia, in

ogni angolo della Terra.

Tra questi documenti, si distinguono in particolar modo:

Le Bolle pontificie

I Brevi apostolici

Le Costituzioni apostoliche

Le Encicliche

Le Esortazioni apostoliche e le Esortazioni apostoliche post-sinodali

Le Lettere apostoliche

I Motu proprio(una locuzione latina, che tradotta letteralmente significa di propria iniziativa,

che indica un documento, una nomina o in generale una decisione presa di “propria iniziativa”

da chi ne ha il potere o la facoltà)

di minore importanza dogmatica i Discorsi, i Messaggi, le Omelie e le Udienze.

I Documenti Magisteriali di maggior rilievo per illustrare la posizione della Chiesa in materia di

salute, vita umana e ricerca, e quindi in questioni di Bioetica, sono i seguenti:

Papa Pio XII, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale su “Anestesia e persona

umana” – 1957;

Papa Pio VI, Humane vitae (Il problema della creazione responsabile), Lettera enciclica

25.7.1968;

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Papa Pio VI, Dichiarazione sull’aborto procurato, Dichiarazione della Congregazione per la

Dottrina della Fede, 18.11.1974;

Papa Giovanni Paolo II, Dichiarazione sull’eutanasia, Dichiarazione della Congregazione

per la Dottrina della Fede, 5.5.1980. In tale documento si condanna l‟eutanasia (morte dolce

procurata ai malati terminali) anche se il forte dolore fisico potrebbe far desiderare e valere il

desiderio di morte.

Papa Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, Lettera apostolica, 1981;

Papa Giovanni Paolo II, Donum vitae,Istruzione della Congregazione per la Dottrina della

Fede, 22.2.1987. Con tale testo la Chiesa si pronuncia in relazione al rispetto degli embrioni,

alla liceità o meno degli interventi su di essi e sugli interventi sulla procreazione umana.

Papa Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, Lettera enciclica, 25.3.1995. Afferma con forza

la concezione cristiana della vita (dono di Dio) e ne sostiene la sacralità assoluta; ribadisce il

principio di inviolabilità della vita stessa e quindi denuncia l‟aborto procurato, l‟eutanasia e

tutte quelle forme di manipolazione della e sulla vita.

4.f. Il significato della vita per altri monoteismi e religioni orientali.

4.f.1. Il significato di vita per Islam ed Ebraismo

La legge musulmana si chiama sharia, ed è il complesso delle leggi canoniche dell‟Islam contenuta

nel Corano – il testo fondamentale che ha in sé la parola di Dio rivelata a Maometto, il suo profeta –

nella sunna – la raccolta dei detti e dei racconti del profeta Maometto – ed infine nella ijtihad, un

metodo di interpretazione dei due testi precedenti e che affronta per questo anche le questioni di

bioetica.

La concezione della vita secondo l‟Islam vede il fondamento in cinque principi:

1. Unicità di Dio, e Maometto è il profeta;

2. Rispetto dei beni personali ed altrui;

3. Rispetto dell‟integrità fisica dell‟uomo;

4. Rispetto dell‟integrità mentale dell‟uomo;

5. Rispetto della salvaguardia della perpetuazione genealogica e della filiazione.

Mentre i primi due fondano il culto islamico, gli altri tre riguardano le questioni bioetiche, e quindi

interessano il nostro punto di vista, anche perché nella cultura islamica assume particolare

importanza proprio il tema della procreazione. La vita in forma umana per l‟Islam, infatti, prende il

via tra i 90 ed i 130 giorni: prima il feto non può considerarsi uomo e pertanto entro quel periodo

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l‟aborto procurato è lecito. Così come lecita è l‟inseminazione artificiale tra coniugi, la

fecondazione in vitro, la maternità surrogata purché in coppia legittimamente sposata e con il fine

della prosecuzione della stirpe, cui la cultura islamica è molto attenta. Tanto che se si riscontra che

il feto abbia qualche anomalia genetica, allora l‟interruzione volontaria di gravidanza è più che

consigliabile.

Viene anche ammessa la terapia genetica ed i trapianti se l‟obiettivo finale è quello della cura della

malattia ed il miglioramento della vita del paziente, purché apportino modifiche alla specie. Al

contrario, non è in alcun modo ammessa l‟eutanasia41

.

L‟Ebraismo, assunto non soltanto come fede, è anche un insieme ben reciso di norme ed un

sistema di valori morali: l‟Ebraismo è la storia della vita di un popolo nel corso della storia.

La sua fonte principale è la Bibbia ebraica, divisa in 24 libri organizzati nelle tre sezioni della Torah

(insegnamento), dei Neviim e dei Ketuvim. Esistono poi i Tuìalmud, testi scritti che tramandano le

gesta dei primi maestri. Il corpus della legge ebraica è l‟halacha, che significa avanzamento,

progressione, proprio ad indicare l‟idea costantemente dinamica della legge ebraica al passo con il

tempo.

Alla base della cultura ebraica vi è la concezione unitaria dell‟essere umano, un tutto inseparabile di

corpo e mente. Per questo salute e morale nella cultura ebraica sono complementari, e similmente

alla visione cristiana, anche per l‟Ebraismo il rispetto per la vita umana è assoluto, perché essa è

sacra ed inviolabile in quanto dono di Dio.

In più, per l‟Ebraismo non va mai abbandonata la speranza nel miglioramento e nella guarigione,

pertanto si ha piena fiducia nell‟intervento divino piuttosto che in quello medico ed umano. È

ingiustificabile quel medico che, pur animato dalla massima fede, agisce come se fosse Dio stesso:

sarebbe come affermare la propria divinità e compiere per questo la peggiore delle profanazioni. La

vita va difesa con fiducia, fede e speranza; per quanto il medico sia un uomo di scienza, egli è deve

rimanere prima di tutto un essere umano limitato e venerante la vita; egli può agire solo con scopi

terapeutici – e quindi presumibilmente migliorativi – ma mai in senso assoluto (no aborto ed

eutanasia): si rifiuta tutto ciò che pone la terminalità della vita mentre si ammette tutto quello che la

può prolungare.42

41

M. Aramini, Bioetica e Religioni, cfr. pp. 90-104. 42

Ibidem, cfr. pp. 80-89.

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Campus “Leonardo Da Vinci” – Umbertide

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4.f.2. Buddismo ed Induismo

Elemento centrale della cultura e della religione buddhista è come riconoscere la sofferenza

per liberarsene; tutto deve essere volto a questa finalità esistenziale, e per questo il Buddismo è una

dottrina spirituale.

La vita in tale concezione inizia soltanto quando cessa l‟infelicità, l‟insoddisfazione, il dolore. Tutto

ciò che può consentire il supermento di tali situazioni esistenziali è in linea con l‟insegnamento

buddhista. La legge del karmacontiene le indicazioni per il perseguimento della felicità, a

cominciare dall‟essere illuminati e guidati direttamente da Buddha. Per questo l‟individuo è

costantemente richiamato alla responsabilità e alla saggezza. In campo biotecnologico, è ammesso

tutto ciò che migliora l‟esistenza e permette all‟uomo di tendere al suo fine supremo, la santità.

L‟embrione è sacro perché già umano; tutto ciò che modifica la natura umana non è ammesso –

compresi la sterilizzazione e l‟aborto; la donazione di organi è ammessa perché letta in chiave etica

di compassione ed aiuto altrui; l‟eutanasia di norma non è condivisa, ma “una mente pacifica al

momento della morte è essenziale e quindi, prima che il dolore diventi intollerabile, l‟eutanasia è

giustificabile” (Dalai Lama).

L'Induismo è un sistema composto da religione, da filosofia e da pratiche culturali nate in

India. Gli induisti condividono una credenza basilare nella reincarnazione e in un essere supremo

che ha molte forme e molte nature. Secondo la visione indù, l'uomo, durante il suo cammino

terreno, deve anche realizzarsi armoniosamente come uomo e perseguire la felicità. Le sue azioni

devono essere rivolte sempre a migliorare le condizioni di vita, senza trascurarne nessun aspetto: il

benessere in generale è il grande fine della cultura induista.

Tra i concetti fondamentali dell'induismo vi è quello di Karma, inteso come responsabilità, ossia la

possibilità di realizzare la propria natura divina attraverso l'azione consapevole e quello di Samsara,

il ciclo delle incarnazioni. Samsara è il cerchio della nascita, della morte, della rinascita, della

nuova vita e poi ancora della morte, e così all'infinito.

Entrando nello specifico delle questioni bioetiche, per l‟Induismo la fecondazione artificiale è

condannata perché non è lecito manipolare la natura e creare disordine nella creazione di Dio; le

pratiche mediche e di trapianto sono ammesse solo se possono migliorare la vita; la donazione di

organi, come nel Buddhismo, è un atto del tutto personale e la decisione è quindi demandata ai

singoli individui; l‟aborto è una colpa grave poiché il feto è considerato una persona dotata di

coscienza ed è ammesso solo quello terapeutico; in ultimo, relativamente all‟eutanasia è in genere

contrario, lascia però libertà di coscienza all‟individuo.

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Bibliografia

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F. D‟AGOSTINO, L. PALAZZANI, Bioetica. Nozioni fondamentali, Editrice La Scuola,

Brescia, 2007.

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