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Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto Le Lettere Giovanni Fornero Maurizio Mori

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Laici e cattolici in bioetica:storia e teoria di un confronto

Le Lettere

Giovanni ForneroMaurizio Mori

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INDICE

PREFAZIONE .................................................................................... p. VII

PARTE PRIMA

IL CONTESTO STORICO (di Maurizio Mori)

1. Dall’ideale della convergenza alla realtà della divergenza ..... » 3

PARTE SECONDA

LA QUESTIONE TEORICA E LA NUOVA FASE DEL DIBATTITO

(di Giovanni Fornero)

2. Corretta posizione del problema e oggetto specifico del dibattito ................................................................................... » 813. Significato preciso della distinzione fra bioetica “cattolica” e bioetica “laica” ..................................................................... » 864. Risposta a D’Agostino. La bioetica cattolica e la bioetica laica non sono “invenzioni laiciste”, ma constatabili realtà storico-teoriche ....................................................................... » 1075. Risposta a Semplici. Le terze vie non rappresentano una “smentita” – semmai una conferma – dell’odierno bipolarismo bioetico ............................................................... » 1246. Risposta a Sesta. Perché ha senso parlare di una bioetica “cattolica” e di un “paradigma” della sacralità della vita ...... » 1337. Risposta a Leone. La franca ammissione della diversità di fatto delle bioetiche e il progetto di una nuova “etica condivisa”................................................................................ » 1498. Risposta ad Aramini. La diversa configurazione paradigmatica dell’antropologia cattolica e di quella laica ... » 154

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VI INDICE

9. Risposta a Fontana. Le due bioetiche, l’etsi Deus non daretur e la questione della laicità “debole” ......................... p. 16110. Risposta a Sgreccia. Perché ha senso parlare di un “paradigma” bioetico cattolico e di un “paradigma” bioetico laico .......................................................................... » 17011. Risposta a Bartolommei. La distinzione fra bioetica cattolica e laica non è scontata, ma va discussa e motivata .. » 18112. Risposta a Balistreri. Bioetica e “paradigmi” ........................ » 185

PARTE TERZA

INTERVENTI CRITICI

13. Perché continuare a negare l’evidenza? Realtà e senso della distinzione paradigmatica fra bioetica “cattolica” e bioetica “laica” (di G. Fornero).......... » 20714. Muoversi nello stesso senso (di F. D’Agostino) ..................... » 22015. Non è del bipolarismo che ha bisogno la bioetica (di S. Semplici) ........................................................................ » 22616. Bioetica come ricerca e bioetica come convalida (di S. Bartolommei) ................................................................ » 23517. La bioetica “cattolica” e il mostro di Lochness. In dialogo con Giovanni Fornero (di L. Sesta) ..................... » 24218. Bioetica cattolica e bioetica laica. Considerazioni sul dibattito aperto da Giovanni Fornero (di M. Balistreri) ...... » 25219. Può esistere una “bioetica cattolica”? (di S. Leone) ............. » 26420. Rimettiamo la persona al centro (di M. Aramini) ................. » 27421. Le pretese della visione cattolica e le due bioetiche (di S. Fontana) ........................................................................ » 28122. Bioetica cattolica e bioetica laica: a proposito dei “paradigmi” (di E. Sgreccia) .................................................. » 287

PARTE QUARTA

UNA DOMANDA INELUDIBILE

23. È possibile – e a quali condizioni – un superamento dei contrasti bioetici fra cattolici e laici? Ipotesi e modelli a confronto (di G. Fornero)....................... » 295

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In un dibattito, la prima operazione da compiere è quella di mettere a fuoco il suo tema specifico, ossia di chiarire in modo concettual-mente preciso l’oggetto o il contenuto effettivo della discussione.

Nell’articolo con cui aprivo la discussione su «Bioetica» (Perché continuare a negare l’evidenza? Realtà e senso della distinzione pa-radigmatica fra bioetica “cattolica” e bioetica “laica”)1 il tema verteva chiaramente sull’esistenza o meno di una distinzione teorica – e paradigmatica – fra bioetica cattolica e bioetica laica.

In altri termini, in tale scritto non mi domandavo – e non do-mandavo agli altri studiosi – se sia bene (o male) che vi sia questa distinzione, ma se essa realmente esista (o non esista). Il fatto stesso di aver posto la domanda in questi termini significa che nella mia mente – a differenza di taluni partecipanti al dibattito – era ben chiara la distinzione fra due questioni di base, ossia che sono ope-razioni concettualmente diverse chiedersi:

1. se esista una distinzione fra una bioetica di area cattolica e una bioetica di area laica.

2. come debba essere giudicata tale distinzione (e quali siano gli eventuali modi per superarla).

Infatti, la prima questione è di tipo fattuale e descrittivo, men-tre la seconda è di tipo critico e valutativo.

Ovviamente, se nell’articolo di apertura mi sono soffermato sulla prima questione non è per una forma di noncuranza nei con-

1 G. Fornero, Perché continuare a negare l’evidenza? Realtà e senso della distinzio-ne paradigmatica fra bioetica “cattolica” e bioetica “laica”, «Bioetica», XVII (2009), n. 3, pp. 457-471. Cfr. in questo volume il cap. 13.

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CORRETTA POSIZIONE DEL PROBLEMA E OGGETTO SPECIFICO DEL DIBATTITO

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fronti dell’ altra, ma perché ritengo che prima di ogni valutazione personale in merito si debba preliminarmente stabilire se di fatto esista o no questa distinzione. Tant’è che nel capitolo finale anche la seconda questione sarà messa a fuoco2.

Di conseguenza, hanno frainteso la materia del contendere co-loro che hanno confuso la prima questione con la seconda. Emble-matico, a questo proposito, è il caso di Semplici, che ha significati-vamente intitolato il proprio intervento Non è del bipolarismo che ha bisogno la bioetica, mostrando, in tal modo, una programmatica lontananza dall’argomento specifico del dibattito. Infatti, il proble-ma sollevato da chi scrive non è se la bioetica abbia “bisogno” o no del bipolarismo, o se quest’ultimo sia un fatto positivo o meno, ma se tale bipolarismo di fatto esista e tenga il campo.

Spesso, da parte degli intellettuali, si tende a confondere la desi-derabilità di x con l’esistenza di x. Tant’è che alcuni studiosi, dando più importanza alle proprie preferenze che alla realtà, sembrano subordinare l’ammissione dell’esistenza di qualcosa al suo indice di gradimento personale (quasi fosse il credere a istituire il credu-to). Atteggiamento che in certi casi si estrinseca in frasi “sintoma-tiche” del tipo: «a me questa idea di una distinzione fra bioetica cattolica e laica non piace»3.

Analogamente, chi scrive, a differenza degli studiosi che vedo-no tutto sub specie politica, non si è posto il problema pratico del-l’“opportunità” o meno di insistere sulla distinzione fra bioetica cattolica e bioetica laica, ma si è posto il problema conoscitivo circa la realtà o meno della distinzione.

A parte questa (metodologica) messa in luce del fatto che non è possibile sostenere che qualcosa esiste o non esiste solo perché gradito o sgradito, devo aggiungere che nel mio intervento iniziale, a ben vedere, ho posto non una bensì due questioni di tipo conoscitivo:

a) la prima è quella relativa all’esistenza o meno di una bioetica “cattolica” e di una bioetica “laica”

b) la seconda è quella relativa all’esistenza o meno di una loro dif-ferenza strutturale (o “paradigmatica).

2 Cfr. cap. 23.3 Frase che capita spesso di udire nei convegni.

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CORRETTA POSIZIONE DEL PROBLEMA E OGGETTO SPECIFICO DEL DIBATTITO 83

In altri termini, come attesta il secondo punto, non mi sono limita-to a discorrere, in modo generico, di una “distinzione” fra bioetica cattolica e laica, ma ho parlato, in modo specifico, di una loro di-stinzione “paradigmatica”.

Ciò implica un riferimento alla basilare nozione di “paradigma” che – rispondendo a Balistreri – ho cercato di chiarire (e sviscerare) nell’apposito articolo4 Bioetica e “paradigmi”, a cui rinvio sin d’ora il lettore. Articolo che rappresenta un nuovo (e, per certi aspetti, originale) contributo alla messa a punto di un concetto che, pur es-sendo spesso adoperato (o presupposto) dagli studiosi di bioetica, quasi mai viene analiticamente delucidato.

Tant’è che nell’ambito del panorama bioetico italiano l’unico autore che non si è limitato a usare, ma si è anche preoccupato di tematizzare in modo esplicito tale concetto, è Maurizio Mori. Infatti, è proprio dai suoi contributi in materia che hanno preso spunto i miei approfondimenti storico-teorici. “Approfondimen-ti” che, pur partendo da Kuhn, vanno oltre Kuhn, poiché, dopo aver caratterizzato i paradigmi alla stregua di modelli teorici ge-nerali ruotanti attorno a determinate idee-madri ho messo a fuoco le possibili (e feconde) utilizzazioni che tale nozione può avere in bioetica.

Se per categoria si intende in generale «qualsiasi nozione che serva come regola per l’indagine o per la sua espressione lingui-stica, in un campo qualsiasi»5 o, più specificamente, qualsiasi con-cetto che funga da guida e orizzonte di senso di altri concetti, non si può fare a meno di ammettere che ogni tipo di bioetica – cioè ogni presa di posizione sulle questioni biomediche – presuppone a monte un determinato orizzonte categoriale, dentro il quale inevi-tabilmente si muove.

Del resto, l’illusione di poter pensare al di fuori dei paradigmi è pari all’illusione di poter pensare – e fare bioetica – al di fuori di una qualche filosofia (o antropologia). Infatti, per usare un’efficace immagine di Deridda: «La sortita “fuori dalla filosofia” è molto più

4 Articolo riportato nel cap. 12.5 N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, 3ª ed. aggiornata e ampliata da G. FORNE-

RO, UTET, Torino 1998, voce “categoria”, pp. 140-143: 141.

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difficile da pensare di quanto immaginassero coloro che credono di averla compiuta da tempo con disinvolta facilità, mentre in generale sono ancora sprofondati nella metafisica con tutto il corpo del discor-so che essi pretendono di aver liberato»6. Al punto, come ha osserva-to Gilson, che la filosofia «seppellisce sempre i propri affossatori»7.

L’idea di una bioetica a-filosofica o trans-filosofica – al pari della connessa persuasione di poter eliminare o ridurre le conflittualità biomorali attraverso strategie di dialogo volte a mettere tra paren-tesi le convinzioni ultime – non è altro che un’ingenuità filosofica, poiché ogni bioetica risente di determinati schemi o principi di matrice filosofica e antropologica, che risultano all’opera anche quando si pretende illusoriamente di farne a meno.

Su questo punto vi è ormai un diffuso consenso. Tant’è che di recente uno studioso come Giovanni Fiandaca, dopo essersi in-terrogato «sul possibile carattere neutrale di discipline normative aventi a oggetto materie eticamente sensibili» è tornato a ribadire che «qualsiasi tipo di disciplina, nella misura in cui implica scelte e bilanciamenti tra valori influenzati da concezioni della vita e del mondo, esprime inevitabilmente una qualche filosofia». Con la lo-gica conclusione che «non esistono spazi liberi dalle pregiudiziali filosofiche, etiche, ideologiche»8.

Posizione, questa, che presenta analogie con quella degli stu-diosi secondo cui di fronte alle controverse questioni della bioetica e del biodiritto ogni forma di pragmatismo spicciolo e di neutralità ideologica risulta impossibile: «Come può la politica rispondere a queste domande, mai prima udite nei secoli, con il pragmatismo del giorno per giorno, e dell’ora per ora? Come decidere se favorire la corrente della tecnica o innalzare argini e raffrenarne l’impetuoso fluire? Qui è grottesco professarsi anti-ideologici o post-ideologici, perché la risposta, qualsiasi risposta, implica una concezione della vita e del mondo»9.

6 J. DERIDDA, La scrittura e la differenza, 1967, Einaudi, Torino 1990, p. 366. 7 E. GILSON, The Unity of philosophical Experience, Scribner, New York 1965, p. 306.8 G. FIANDACA, I temi eticamente sensibili tra ragione pubblica e ragione punitiva,

«Rivista italiana di diritto e procedura penale», LIV, n 4, 2011, pp. 1383-1414: 1413-1414.

9 N. IRTI, La tenaglia. In difesa dell’ideologia politica, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 68.

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CORRETTA POSIZIONE DEL PROBLEMA E OGGETTO SPECIFICO DEL DIBATTITO 85

Partendo dalla convinzione della matrice filosofica e non neu-trale della bioetica, la mia tesi di fondo è che la bioetica di area cattolica e la bioetica di area laica:

a) dipendano da due distinte e per certi versi contrapposte prospettive antropologiche ed etiche;

b) incarnino due paradigmi, ossia modelli generali di pensiero caratterizzati da talune idee-guida strutturalmente diverse.

Tuttavia, prima di tornare in modo dettagliato sull’argomento dei “paradigmi” e di trattenersi sulla (contestata) distinzione fra le due bioetiche, è indispensabile soffermarsi daccapo sui problemi concettuali e linguistici connessi alle nozioni di bioetica “cattolica” e bioetica “laica”. Infatti, chi nega che esista qualcosa come una bioetica “cattolica” e una bioetica “laica” tende anche a negare l’esistenza di una loro distinzione teorico-paradigmatica (o teorico-categoriale)10.

Viceversa, chi ritiene che esista qualcosa come una bioetica “cattolica” e una bioetica “laica” tende anche – o è mentalmen-te predisposto – ad ammettere l’esistenza di una loro distinzione teorico-paradigmatica.

Da ciò la necessità di ri-aggiornare e ri-concettualizzare l’intera questione, cioè il bisogno di interrogarsi daccapo sui concetti “tec-nici” di bioetica cattolica e laica, mettendo analiticamente a fuoco di che cosa precisamente parliamo quando discorriamo di una bio-etica “cattolica”, di una bioetica “laica” e di una loro distinzione “paradigmatica”.

Perciò, pur essendoci già soffermati su questi concetti nei nostri precedenti lavori, in questa sede intendiamo offrirne una presen-tazione aggiornata e approfondita, in grado di tener conto sia di nuove riflessioni sia di quanto è emerso dai precedenti dibattiti11.

10 Emblematico, a questo proposito, il giudizio di V. POSSENTI, che ha definito “fasulla” ogni pretesa distinzione fra le due bioetiche (È l’embrione il nodo vero, «Eu-ropa», 29 settembre 2007).

11 G. FORNERO, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Mondadori, Milano 2008.

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1. Un corretto approccio al problema

Che sulle questioni di vita e di morte vi sia una distinzione e – su certi punti cruciali – una contrapposizione fra cattolici e laici è qualcosa che è sotto gli occhi di tutti e che molti studiosi (anche di matrice cattolica: si veda ad esempio l’intervento di Sesta) franca-mente ammettono.

Più controversa appare invece la distinzione fra una bioetica “cattolica” e una bioetica “laica”, che taluni studiosi, soprattutto di matrice cattolica, esplicitamente negano.

Tutto dipende, ovviamente, da che cosa s’intende per “distinzio-ne” fra bioetica cattolica e laica. Infatti, chiunque affermi o neghi una qualsiasi realtà, opera sulla base di una determinata nozione (o precomprensione) di tale realtà. Da ciò l’esigenza di soffermarci, in via preliminare, sui possibili significati di tale distinzione.

Tuttavia, prima i procedere, è bene mettere in luce come il mio discorso sulla bioetica cattolica e laica si muova su di un piano pro-grammaticamente descrittivo. Piano di cui rivendico la legittimità e fondatezza. Anzi, la constatabile ineludibilità per chiunque parli della bioetica realmente esistente.

Infatti, anche se si ritiene che dal punto di vista ideale e teore-tico la bioetica non dovrebbe essere né “cattolica” né “laica” ma semplicemente “bioetica”, o anche se si pensa che simili aggetti-vazioni denotino «la perdurante immaturità epistemologica della disciplina e – purtroppo! – di molti dei suoi cultori»1, per forza

1 F. D’AGOSTINO, Bios e Psyché, «Fondazione Liberal», 41, giugno-luglio 2007, p. 34.

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SIGNIFICATO PRECISO DELLA DISTINZIONEFRA BIOETICA “CATTOLICA” E BIOETICA “LAICA”

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di cose si è poi si obbligati a riconoscere che dal punto di vista descrittivo accanto a una bioetica (o a un insieme di bioetiche) di matrice “religiosa” si dà effettivamente qualcosa come una bioetica (o un’insieme di bioetiche) di matrice “laica”.

Anzi, articolando il discorso, si è obbligati a riconoscere che dal punto di vista descrittivo esistono effettivamente dei paradigmi bioetici di matrice “cattolica” o “protestante”. Oppure, a livello planetario, dei paradigmi bioetici di matrice “ebraica”, “islamica”, “induista”, “buddhista” ecc.

Con la doverosa avvertenza che, all’interno dei paradigmi gene-rali, possono coesistere più “sottoparadigmi” e più posizioni spe-cifiche (la cosa è evidente soprattutto nel caso delle confessioni o delle religioni in cui manca un’autorità centrale o un Magistero che fissa la dottrina in modo univoco2).

Tant’è vero che esistono scritti esplicitamente dedicati a que-ste varie forme di bioetica e lavori che passano sinotticamente in rassegna, nel caso delle bioetiche di matrice religiosa3, le diverse posizioni dottrinali (cattoliche, protestanti, ebraiche, mussulmane, induiste, buddhiste ecc.) assunte nei confronti dell’aborto, dell’eu-tanasia, della fecondazione assistita, ecc.

Questa imprescindibilità – e validità – dell’ottica descrittiva, spiega ad esempio perché Sergio Rostagno, in un recente interven-to, pur avendo dichiarato preliminarmente: «Mi oppongo finché posso a nozioni come “bioetica cattolica”, “bioetica laica”, “bio-

2 Si pensi ad esempio al protestantesimo, che ospita al proprio interno una varietà di posizioni bioetiche.

3 Per una presentazione sintetica si veda F. ARAMINI, Bioetica e religioni, Edizioni Paoline, Milano 2007. Per approfondimenti cfr. ad esempio, per quanto concerne la letteratura in lingua italiana, S. SPINSANTI (a cura di), Bioetica e grandi religioni, Edi-zioni Paoline, Cinisello Balsamo, Milano 1987; L. BIAGIO, R. PEGORARO (a cura di), Religioni e Bioetica. Un confronto sugli inizi della vita, Gregoriana Lib. Ed., Padova 1997; D. ATIGHECHTI, Islam,mussulmani e bioetica, Armando, Roma 2002; S. MORAN-DINI, R. PEGORARO (a cura di), Alla fine della vita: religioni e bioetica, Gregoriana Lib. Ed., Padova 2003; G. BUONO, P. PELOSI, Bioetica-Religioni-Missioni, Editrice Missio-naria italiana, Bologna, 2007; F.D. PILOTTO, Bioetiche e religioni monoteiste, IF PRESS, Morolo (FR) 2009. Cfr. pure M. MORI, Bioetica e religioni, in AA.VV., Le religioni e il mondo moderno, a cura di G. FILORAMO, Einaudi, Torino 2009, vol. IV, Nuove temati-che e prospettive, pp. 618-642.

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etica ebraica”, “bioetica protestante”»4 nell’articolazione concreta del suo discorso mostri di non poter fare a meno di ammettere l’esistenza fattuale di posizioni bioetiche di tipo cattolico, laico, ebraico ecc. Tant’è che egli si propone l’esplicito obiettivo di forni-re «alcuni chiarimenti circa le posizioni protestanti sulla bioetica»5. Anche D’Agostino, come vedremo, pur teorizzando a tutto campo l’idea di una “bioetica senza aggettivi”, in certi casi6 finisce per adoperare categorie descrittive come quelle di bioetica “cattolica” e di bioetica “laica” (o “laicista”).

Del resto, a meno di sostenere che il proprio paradigma bioetico sia l’unico esistente (e legittimo) oppure che la propria bioetica, in quanto onnicomprensiva dell’istanza morale, si identifichi con la bioetica tout court, si è obbligati ad ammettere che da un punto di vista epistemologico-descrittivo non esiste la bioetica, ma una constatabile molteplicità di modelli o paradigmi bioetici, che non è corretto misconoscere (precisamente come non sarebbe corretto misconoscere filosofie o religioni diverse dalla propria).

Appurato ciò, tornando al dibattuto problema della distinzione fra bioetica cattolica e laica esiste, com’è noto, un modo “sbriga-tivo” e “semplicistico” di concepirla ed è quella di pensarla sulla falsariga del binomio fede-ragione. In altri termini, secondo que-sta schematica maniera di affrontare il problema, la distinzione fra bioetica cattolica e bioetica laica equivarrebbe alla distinzione fra una (presunta) bioetica “fideistica” e “dogmatica” e una (presun-ta) bioetica “razionale” e “critica”.

Pur sembrando plausibile ad alcuni laici, tale distinzione appa-re inaccettabile ai cattolici. Tant’è che scorgendo in essa una palese manovra di “screditamento” epistemologico e culturale del loro modo di fare bioetica, gli studiosi cattolici non esitano a conside-rarla scorretta e “ideologica”.

4 S. ROSTAGNO, La matrice delle certezze.Bioetica ed etica protestante, «Bioetica», XIX (2011), n. 2, pp. 278-292, p. 278 (corsivo aggiunto). Di S. ROSTAGNO si veda an-che Etica protestante. Un percorso, Cittadella Editrice, Assisi 2009.

5 Ibidem (corsivo aggiunto). Di “bioetica protestante” lo studioso parla anche in Un nuovo manuale di bioetica laica, «Notizie di Politeia», XXVIII, 2012, n. 105, pp. 112-114: 114.

6 Cfr. il cap. 4.

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DISTINZIONE FRA BIOETICA “CATTOLICA” E BIOETICA “LAICA” 89

In effetti, la schematica idea secondo cui i bioeticisti cattolici si fondano sulla fede, mentre i bioeticisti laici si fondano sulla ragio-ne, è manifestamente di maniera, poiché chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la bioetica cattolica sa che tale bioetica, almeno in linea di principio, fa anch’essa appello alla ragione discorsiva e ai suoi metodi, presentandosi come una costruzione argomentata e quindi aperta al confronto intersoggettivo.

Tant’è che i suoi esponenti si definiscono anch’essi “laici” (nel senso largo e metodologico dell’espressione) insistendo sul fatto che in bioetica nessuna delle argomentazioni in campo può avere carattere extrarazionale o dogmatico: «la bioetica è etica, un ramo della filosofia e non della teologia morale e quindi in essa devono usarsi argomenti di mera ragione, argomenti controvertibili, più o meno condivisibili, ma mai dogmatici»7.

Da ciò il noto ragionamento di molti cattolici: poiché la bio-etica può esistere solo in forma razionale e poiché i cattolici, nei dibattiti bioetici, si basano anch’essi sulla ragione, ne segue, episte-mologicamente parlando, che la distinzione fra bioetica cattolica e bioetica laica non esiste (o esiste solo nella mente di alcuni studiosi amanti delle contrapposizioni ideologiche).

Questo spiega perché parecchi cattolici, prendendo come esclu-sivo punto di riferimento questa semplicistica accezione della diffe-renza fra bioetica cattolica e laica, pensino frettolosamente di aver partita vinta contro i teorici della distinzione. Al punto da “stu-pirsi” che vi sia ancora qualcuno (come chi scrive) che continua a parlare di bioetica cattolica e laica, non comprendendo come la bioetica sia “una sola” e coincida con quella “senza aggettivi” che si basa sulla ragione.

In realtà, vi può essere anche un’altra maniera – metodologica-mente più raffinata e corretta – di intendere la differenza in esame ed è quella secondo cui la distinzione fra bioetica cattolica e laica non allude tanto alla contrapposizione tra fede e ragione, bensì al contrasto fra due tipi o modelli generali di razionalità etica.

Una via di questo genere, proprio per il fatto di prendere le distanze da ogni significato valutativo e di parte della distinzione

7 F. D’AGOSTINO, Bioetica, Giappichelli, Torino 1998, p. 133.

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fra bioetica cattolica e laica, è l’unica che possa garantire l’accesso a un punto di vista imparziale, cioè a un’ottica che – respingendo ogni forma di delegittimazione epistemologica e di “ghettizzazio-ne” culturale di una delle due bioetiche – persegue lo scopo di una presentazione equanime delle due posizioni in campo.

Poste queste premesse programmatiche – su cui dovrebbe es-serci un sostanziale accordo fra cattolici e laici – sorge spontanea la domanda: esiste davvero una maniera imparziale di intendere la distinzione in esame? A nostro parere sì ed è quella che consi-ste nella messa a fuoco dei tratti paradigmatici delle due bioetiche.Tale maniera presuppone tuttavia la delineazione di un significato sufficientemente preciso dei concetti di bioetica cattolica e laica. Considerata la complessità della questione, ai fini di una maggio-re funzionalità espositiva, è bene concentrarsi dapprima sul caso della bioetica cattolica, per poi passare al caso della bioetica laica.

2. Un’accezione rigorosa di bioetica cattolica

Secondo taluni studiosi l’unico significato possibile e oggettivo di bioetica cattolica sarebbe quello di tipo sociologico (o storico-culturale)8. Infatti, che esista una bioetica elaborata da autori cat-tolici e una bioetica elaborata da autori laici – e quindi che vi sia-no bioeticisti di matrice culturale cattolica e bioeticisti di matrice culturale laica – è qualcosa su cui vige, tra gli studiosi, un largo consenso9.

Tuttavia, fermarsi a questo significato sarebbe riduttivo. Infatti, a mio parere, esiste anche un altro significato – di tipo teorico e non solo sociologico – che può vantare pretese di oggettività ed è quello che intende, per bioetica cattolica, la bioetica cattolica uffi-ciale, cioè la bioetica (o “etica della vita”) contenuta nei documen-ti pubblici del Magistero. Documenti che esprimono lo specifico

8 Questo è d esempio il caso di L. Sesta, il quale in una nota del suo intervento, scrive che «parlare di bioetica cattolica può essere utile per identificare l’area culturale e religiosa a cui fanno riferimento certi autori, ma non può in alcun modo qualificare la loro proposta teorica» (corsivi aggiunti).

9 Cfr. M. PALMARO, Bioetica laica e bioetica cattolica: una distinzione possibile? in G. FORNERO, Laicità debole e laicità forte, cit., pp. 19-25.

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punto di vista della Chiesa sulle questioni biomorali. Tale “punto di vista”, sul piano teorico, si concretizza in talune idee-guida in-terconnesse quali:

1) la creaturalità dell’essere, ossia la tesi secondo cui l’uomo e il mondo non si spiegano da sé, ma sono stati posti in essere da altro da sé, cioè da un Dio che ne rappresenta la ragion d’essere e il fine ultimo;

2) la sacralità e l’indisponibilità della vita, ossia la tesi secondo cui la vita umana, in virtù della sua provenienza divina e del suo ca-rattere “teomorfo”, risulta sacra e inviolabile, e perciò in possesso di una peculiare dignità;

3) l’unitotalità della persona, ossia la tesi10 secondo cui l’indi-viduo, nella sua concretezza esistenziale, costituisce un’unità psi-cosomatica inscindibile, ossia uno “spirito incarnato” (corpore et anima unus);

4) l’idea di un “progetto di Dio” sulla vita e sulla realtà, cioè di un piano divino del mondo destinato a fungere da norma di com-portamento.

5) il significato morale del corpo, ossia la tesi secondo cui i dina-mismi biofisiologici hanno anche una specifica valenza etica;

6) il primato della verità sulla libertà, ossia la tesi secondo cui la libertà, conformemente all’assioma classico agere sequitur esse, è tenuta a fare i conti11 con la nostra specifica “natura” ontologica e quindi con i valori e i fini inscritti da sempre nel nostro essere;

7) l’intelligibilità e la finalità del reale, ossia la tesi secondo cui l’essere, in virtù della sua provenienza divina, ha una sua intrinseca razionalità e finalità;

8) l’esistenza di una legge morale “naturale”, ossia la tesi della presenza, nell’uomo, di una legge che, nella sua qualità di «mes-

10 Tesi ribadita nel paragrafo 14 della Gaudium et spes e in vari documenti. 11 Nella Lectio magistralis tenuta all’VIII Convegno nazionale di Scienza & Vita

sul tema «Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia», 18 novembre 2011, A. BAGNASCO, illustrando con chiarezza una delle idee ispiratrici dei documenti e della intera tradizione cattolica, scrive che «la libertà è tenuta a fare i conti con la natura umana, con il suo bene oggettivo poiché per questo Dio ce l’ha donata, perché costru-issimo noi stessi e non per andare contro noi stessi» (corsivo aggiunto).

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saggio etico contenuto nell’essere»12 rispecchia la lex aeterna (= il piano divino della creazione);

9) l’esistenza di norme etiche assolute, ossia la tesi secondo cui vi sono precetti morali universalmente validi, che valgono sempre e ovunque (semper et ubique);

10) l’esistenza di atti “intrinsecamente malvagi”, ossia di atti che per se stessi (per se ipsos) e in se stessi (in se ipsis), indipenden-temente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre grave-mente illeciti (graviter illiciti) a motivo del loro oggetto;

11) l’esistenza di beni non-negoziabili, ossia la tesi secondo cui esistono beni che essendo intrinsecamente collegati al bene prima-rio della persona vanno assolutamente salvaguardati;

12) l’idea che la legge civile non debba mai contraddire i precetti della legge naturale e quindi risultare in antitesi con la dignità della persona e con i suoi beni non-negoziabili.

Questa costellazione di idee è l’espressione di un ben preciso pa-radigma bioetico presente de facto nei documenti del Magistero e quindi nei pronunciamenti ufficiali della Chiesa in materia di etica della vita.

Tale “paradigma”, bisogna aggiungere, trova un equivalente “specialistico” nelle opere degli studiosi cattolici – emblematici i casi di Sgreccia e Tettamanzi – che dal punto di vista dei contenuti si riconoscono appieno nelle sopraccitate tesi e dal punto di vista del metodo sostengono apertamente e programmaticamente di fare bioetica alla luce dei principi antropologici cattolici (principi che sono ritenuti identici a quelli della retta ragione e quindi di portata universale). Tant’è che essi, a differenza di altri studiosi cattolici, non hanno remore13 a definirsi bioeticisti “cattolici”.

La sintonia di questi studiosi con le tesi magisteriali è tale che spesso, quando si parla di bioetica cattolica ufficiale, non si inten-dono solo i documenti del Magistero (senso “stretto” di bioetica cattolica ufficiale) ma anche gli scritti degli studiosi cattolici che

12 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale sulla legge naturale, 12 febbraio 2007.

13 Questo, come si vedrà nel capitolo 22, è ad esempio il caso di Sgreccia.

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si muovono in pieno accordo dottrinale con essi (senso “largo” di bioetica cattolica ufficiale).

Perciò, d’ora in poi, con l’espressione tecnica “bioetica cattolica ufficiale” intenderò innanzitutto la bioetica contenuta nei docu-menti del Magistero e – contestualmente – la bioetica che si affian-ca in modo organico e tecnico-sistematico ad essa.

Tale forma di bioetica, se intesa nel senso che abbiamo appena tratteggiato, non coincide con una bioetica “fideistica” o “teolo-gica”, bensì con un tipo di bioetica razionale e filosofica elaborata alla luce o in conformità ai principi antropologici ed etici della tradi-zione dottrinale cattolica.

Infatti, contrariamente a quanto sembrano ritenere taluni auto-ri (non solo di area laica, ma anche di area cattolica) il cattolicesi-mo romano non è – e non vuol essere – solo un insieme di dogmi, ma anche una dottrina antropologica ed etica con valenze razionali, cioè un insieme di idee e di principi fondati sulla ragione – oltre che sulla fede – circa l’uomo e il suo retto modo di comportarsi.

In altri termini, il cattolicesimo romano porta con sé una visio-ne generale dell’uomo (o un’antropologia di fondo, come la chiama Sgreccia) sulla cui base vengono formulate le risposte ai problemi di etica della vita. Infatti, nella bioetica cattolica ufficiale i principi fondanti della dottrina antropologica e morale del cattolicesimo (a cominciare dai concetti della sacralità, inviolabilità e indisponibili-tà della persona) fungono anche da cornice e perno dell’etica della vita, cioè da principi strutturanti dei vari discorsi biomorali. Tanto più – è bene ribadire questo punto – che i principi in questione vengono reputati validi non solo alla luce delle dottrine rivelate, ma anche, come recitano i documenti, «alla luce della ragione».

Perciò, se usata per connotare un «fatto storico e dottrinale insieme» (per rifarsi a un’altra espressione di Sgreccia), ossia per alludere a un ben preciso modello o “paradigma” bioetico, la bio-etica cattolica – nel senso stretto e rigoroso del termine – rispecchia in modo teoricamente preciso e storiograficamente fondato un’en-tità reale.

Com’è noto, tale forma di bioetica non è l’unica esistente all’in-terno del mondo cattolico. Infatti, accanto ad essa, e in certi casi in alternativa ad essa, esistono bioetiche di provenienza socio-cultu-rale cattolica che, pur condividendone, sul piano teorico e paradig-

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matico, l’ispirazione “personalista”, presentano, nei suoi confron-ti, talune peculiarità.

Innanzitutto, dal punto di vista del metodo, tali bioetiche non sostengono, in modo dichiarato e programmatico, di fare bioetica alla luce dei principi dottrinali cattolici, Anzi, esse preferiscono declinare le proprie tesi, definite “laiche”14, in modo autonomo rispetto all’insegnamento della Chiesa. Da ciò il loro tendenziale rifiuto di denominarsi “bioetiche cattoliche”.

In effetti, tali bioetiche non rientrano nella categoria della bio-etica cattolica in senso stretto, bensì della bioetica cattolica in senso lato, ossia in quella che sarebbe più corretto classificare come “l’in-sieme delle bioetiche personaliste di matrice cattolica”.

In secondo luogo, dal punto di vista dei contenuti, tali bioeti-che non si riconoscono completamente nel paradigma magisteriale e quindi in tutte le idee che lo caratterizzano (comprese alcune di quelle più qualificanti, come ad esempio l’idea di “Dio” o della “sacralità” della vita).

In terzo luogo, a differenza del personalismo metafisico e onto-logicamente fondato che sta alla base della dottrina del Magistero e della bioetica che si affianca ad essa, tali bioetiche si rifanno, per lo più, a forme di personalismo relazionale, kantiano e biogiuridico15 in cui la persona non appare definita in rapporto a Dio e all’ordine metafisico ed etico impresso nella creazione, bensì in base a se me-desima e al rapporto coesistenziale con le altre persone.

In sintesi, da questa abbozzata tipologia o fenomenologia delle tendenze bioetiche di fondo presenti nel mondo cattolico si evince come per bioetica cattolica, nel senso stretto e rigoroso del termine, si intenda la bioetica cattolica ufficiale e quella che si affianca in modo organico ad essa (cioè il tipo di bioetica che costituisce lo specifico oggetto di indagine di Bioetica cattolica e bioetica laica).

Come si è appena visto, tale bioetica va distinta dalle bioeti-che di area cattolica, che, pur nella comune ispirazione o tendenza “personalista”, risultano, per certi aspetti, diverse da essa.

14 Qui il termine “laico” è chiaramente assunto in senso procedurale o metodologico.15 Com’è noto, il personalismo biogiuridico è una forma di personalismo rela-

zionale che oggigiorno, grazie alle teorizzazioni di F. D’Agostino, occupa un posto di rilievo nel panorama bioetico, soprattutto del nostro Paese.

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In sintesi, la categoria descrittiva di “bioetica cattolica” ha una valenza non solo sociologica, ma anche teorico-paradigmatica e può essere adoperata in senso stretto o in senso lato. In senso stret-to indica la bioetica cattolica ufficiale e quella che si affianca in modo organico ad essa. In senso lato indica l’insieme delle bioeti-che personaliste di matrice cattolica.

Bioetica cattolica in senso stretto

(= la bioetica cattolica ufficiale e quella che si affianca in modo

organico ad essa)

Bioetica cattolica in senso lato

(= l’insieme delle bioetiche personaliste di matrice cattolica)

Di questi due significati di bioetica cattolica il più rigoroso e ap-propriato è il primo. Di conseguenza, d’ora in poi – in antitesi alla prassi dominante e in omaggio all’acribia – parlando di bioetica “cattolica” intenderò soprattutto la bioetica cattolica nel senso stretto del termine, cioè la bioetica cattolica ufficiale e quella che si affianca organicamente ad essa. Viceversa, per alludere alle altre forme di bioetica elaborate dagli studiosi cattolici (ad esempio ai vari tipi di personalismo relazionale, kantiano, biogiuridico ecc.) parlerò preferibilmente di “bioetica personalista di matrice catto-lica”.

Invece, per alludere contemporaneamente sia alla bioetica “cat-tolica” in senso stretto, sia alla bioetica personalista di matrice cat-tolica userò l’espressione “bioetica di area cattolica”.

Come avremo modo di verificare, questa maggiore articolazione concettuale e linguistica può essere utile per accostarsi in modo più preciso ed esauriente alla complessità del fenomeno studiato.

3. Cultura laica e bioetica laica

Anche l’espressione “bioetica laica” – intesa in senso stretto e so-stantivo, anziché in quel senso largo16 o metodologico per cui tut-

16 Nei miei scritti, per classificare il significato largo e metodologico, uso l’espres-sione laicità “debole”, mentre per alludere al significato ristretto e contenutistico ado-pero l’espressione laicità “forte”. Per una visione d’insieme, oltre a Laicità debole e laicità forte, cit., cfr. G. FORNERO, Due significati irrinunciabili di laicità, in AA.VV., La

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ti, a patto di rispettare determinate procedure formali, sarebbero “laici” – non ha solo una valenza di tipo sociologico-culturale (cioè il significato di “bioetica elaborata da studiosi laici) ma anche una valenza teorico-dottrinale, cioè il significato di bioetica elaborata in conformità alla maniera laica di concepire l’uomo e la sua libertà.

Infatti, la laicità in senso stretto (o “forte”)17 non coincide solo con il progetto di vita dei non credenti, ma è anche una “filosofia” e una “antropologia”, ossia una maniera generale di rapportarsi all’uomo e alla realtà (e quindi una “dottrina comprensiva” nel senso di Rawls).

“Dottrina” che su taluni punti risulta paradigmaticamente di-versa da quella cattolica. Del resto, è noto come accanto ad una cultura di matrice religiosa (nella fattispecie: cristiano-cattolica) nell’Occidente moderno si sia progressivamente affermata una cultura laica (o “secolare”) di matrice a-religiosa18.

Cultura che non è il frutto di qualche invenzione storiografica (mia o altrui), ma che risulta constatabilmente presente dal 1500 a oggi, sotto forma di quella che Rawls chiama ragione secolare («per ragione secolare intendo […] il ragionare in termini di dottrine comprensive non religiose»)19.

laicità vista dai laici, a cura di E. D’ORAZIO, Egea-Università Bocconi Editori, Milano 2009, pp. 61-74.

17 Nell’ambito del mio discorso, la dicotomia debole-forte non ha un significato valutativo, bensì descrittivo. Infatti, essa non sottintende una scelta preferenziale a favore di uno dei due tipi di laicità, ovvero un giudizio di valore nei loro confronti. Essa comporta piuttosto un giudizio di fatto, derivante dalla constatazione del diverso grado di radicalità semantica del termine �laicità�, il quale può alludere sia a un insieme di procedure formali (che possono essere fatte proprie sia dai credenti come dai non credenti) sia alla specifica visione delle cose (o alla peculiare dottrina comprensiva) dei non credenti.

18 Come abbiamo chiarito in Laicità debole e laicità forte – cercando di dissipare una serie di equivoci in proposito – discorrere di cultura a-religiosa non significa ne-cessariamente alludere a una cultura anti-religiosa, poiché accanto ad una laicità forte programmaticamente anti-religiosa (che va dall’illuminismo ai nostri giorni) esiste una laicità forte semplicemente a-religiosa che, pur prescindendo da Dio e dalla religione, non per questo assume atteggiamenti programmaticamente ostili a Dio e alla religione (si pensi a figure come Bobbio e Rawls).

19 J. RALWS, Un riesame dell’idea di ragione pubblica, in ID., Il diritto dei popoli, Edizioni di Comunità, Torino 2001, p. 190.

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Tant’è che Charles Taylor, in quell’opera monumentale che è The Secular Age20, dopo averne individuato i tratti tipici in ciò che egli chiama umanesimo “esclusivo” o “autosufficiente”, ne ha ma-gistralmente ricostruito la genesi e gli sviluppi21.

Com’è noto, tale cultura, al di là delle forme molteplici e varie-gate in cui si esprime, ragiona, in generale, etsi Deus non daretur, cioè secondo le modalità di un umanesimo (esclusivo) che si può sintetizzare con la celebre espressione usata da Sartre in L’esisten-zialismo è un umanismo, quando scrive che «siamo su di un piano dove ci sono solamente degli uomini» (précisément nous sommes sur un plan où il y a seulment des hommes)22.

Prospettiva a cui Heidegger contrappone la tesi ontocentrica se-condo cui «précisément nous sommes sur un plan où il y a princi-palement l’Être»23 e il cattolicesimo la tesi ontoteologica secondo cui non c’è soltanto l’uomo, bensì l’uomo nel suo rapporto di dipenden-za creaturale da Dio, ossia da quell’Essere che, lungi dal l’identificarsi con la x inafferrabile di Heidegger, fa tutt’uno con la Realtà trascen-dente da cui l’individuo e il mondo derivano e in cui tutto ciò che è propriamente umano trova il suo Fondamento ultimo.

Tant’è che secondo la dottrina cattolica – come ha ricordato di recente Tommaso Scandroglio nel corso di un confronto criti-co con le tesi della Scuola Neoclassica24 – la stessa morale naturale non può essere «autonoma da Dio»25. Infatti, la legge etica possie-de «una sua autonomia gnoseologica ma non una sua autonomia ontologica»26. In altri termini, tale legge «può essere conosciuta e

20 CH. TAYLOR, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009.21 Ch. Taylor stesso scrive: «L’oggetto della mia indagine sarà perciò l‘Entste-

hungsgeschichte [genealogia] dell’umanesimo esclusivo» (op. cit., p. 43) formulando la domanda: «come ha fatto l’umanesimo esclusivo a diventare un’opzione praticabile per un ampio numero di persone, prima tra le élite e poi più in generale?» (ivi, p. 285).

22 J.P. SARTRE, L’Existentialisme est un humanisme, Nagel, Paris 1946, p. 36; trad. it., Mursia, Milano 1968, p. 46.

23 M. HEIDEGGER, Lettera sull’“umanismo”, Segnavia, Milano 1897, p. 287.24 T. SCANDROGLIO, La legge naturale in John M. Finnis, Prefazione di J. HERVADA,

Editori Riuniti University Press, © GEI Gruppo editoriale italiano, Soveria Mannelli (CZ) 2008.

25 Ivi, p. 128. 26 T. SCANDROGLIO, Legge naturale, autonomia e autodeterminazione, in C. NAVARI-

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seguita validamente anche con il solo uso della ragione naturale, ma ciò non toglie che la fonte ultima di essa debba rinvenirsi in Dio»27.

Questo vale per le varie strutture e verità del mondo, che – pur possedendo una relativa autonomia – dipendono tutte, in ultima istanza, da Dio, tomisticamente inteso come la «somma e prima verità», ovvero come la fonte di tutte le altre verità.

Tant’è che la bioetica cattolica ufficiale, persuasa che le multae veritates rappresentino soltanto la rifrazione derivata dell’unica Veritas, ritiene che non si possa parlare – a rigore – di persona, ses-sualità ecc. senza parlare, nello stesso tempo, di Dio, cioè del loro creatore e datore di senso. E che non si possa discorrere, a rigore, di un “progetto” iscritto nella persona, nella sessualità ecc., sen-za riferirsi, nel contempo, all’autore di quel progetto, ossia a Dio (concepito, sulle orme della tradizione metafisica, come supremo architetto del mondo).

Filosoficamente parlando, questo significa che la bioetica catto-lica si muove su un piano in cui, per rifarsi alla tesi di Heidegger, non c’è soltanto l’uomo, ma innanzitutto o principalmente l’essere. O meglio, data l’impostazione ontoteologica del discorso cattolico-ufficiale, su un piano in cui non ci sono soltanto l’uomo e la sua libertà, ma – a monte – Dio e le realtà che dipendono da Dio (e ne incarnano la “volontà” e i “progetti”).

Ben diversa è la situazione della bioetica laica, la quale a dif-ferenza della bioetica cattolica ufficiale – che è una bioetica con Dio – è una bioetica senza Dio, ossia una bioetica che, secondo la pregnante formulazione di Scarpelli, procede programmaticamen-te etsi Deus non daretur.

Infatti, mentre la bioetica cattolica ritiene di non poter parlare in maniera veritiera (e fondata) dell’uomo e del mondo senza discorre-re, al tempo stesso, di Dio, cioè dell’Essere da cui l’uomo e il mon-do «ricevono la loro esistenza, il loro significato e la loro norma»28

NI (a cura di), Autonomia e autodeterminazione. Profili etici, bioetici e giuridici, Editori Riuniti University Press, Roma 2011, pp. 125-139: 133, corsivi aggiunti.

27 Ibidem.28 G. FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, nuova edizione ampliata, Monda-

dori, Milano 2009, p. 225.

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la bioetica laica – partendo dal principio della completa autonomia dell’umano – prescinde programmaticamente da qualsiasi riferimen-to ontologico ed etico al divino, ossia da ciò che, nei nostri scritti, definiamo «uso strategico-normativo dell’idea di Dio»29. In altri ter-mini, la bioetica laica è un tipo di biomorale che, nelle sue riflessioni sulla vita, non tiene conto:

1. né della possibile esistenza e “volontà” di Dio;2. né di una ipotetica “creaturalità” dell’uomo;3. né di un eventuale “progetto” divino sulla vita.

Come si può notare, ciò che distingue la prospettiva laica da quella cattolica non è solo il rifiuto dell’ipotesi-Dio, ma, più specificamente, l’assenza dell’ottica creaturale. Infatti, mentre per la dottrina cattoli-ca «senza il concetto di creazione l’uomo rimarrebbe inspiegabile»30, il pensiero laico, portando ai suoi esiti estremi il processo moderno di desacralizzazione del reale, muove dal postulato areligioso e im-manentistico della non creaturalità dell’uomo e del mondo.

Perciò, mentre la bioetica cattolica si configura come un’eti-ca in prospettiva creaturale (e sacrale), la bioetica laica, erede di quella mentalità moderna che «nega la creaturalità e proclama l’autonomia»31, ragiona non solo etsi Deus non daretur, ma anche etsi creaturalitas non daretur, ossia come se l’uomo e il mondo non dipendessero, originariamente e strutturalmente, da un Dio (co-munque inteso).

Nella fattispecie, rifiutandosi di argomentare nell’orizzonte del-l’Assoluto e della Trascendenza, essa procede come se l’uomo, a dif-ferenza di quanto insegna la dottrina cattolica, non fosse il prodotto intelligente di Dio, cioè di un Essere il quale, nell’atto di dargli l’esi-stenza, lo avrebbe dotato di una particolare “natura” e di determina-ti “scopi” (razionalmente – e non solo fideisticamente – accessibili). Nello stesso tempo, essa prescinde in toto dall’idea ontoteologica di un “piano divino del mondo” con funzione normativa.

29 Ivi, p. 71.30 L. NEGRI, Ripensare la modernità, Cantagalli, Siena 2003, p. 37.31 R. GUARDINI, Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 951.

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Di conseguenza, per rifarsi a una poca nota – ma concisa e az-zeccata – espressione usata da Leone XIII per definire lo spirito immanentistico e autonomistico della modernità, la bioetica laica consiste nel ragionare sui problemi biomorali «senza alcun riguar-do a Dio e all’ordine da Lui prestabilito»32.

In virtù di questa impostazione, la bioetica laica sottintende non solo la messa tra parentesi di ogni ipoteca religiosa, ma anche il rifiuto della metafisica tradizionale e dei suoi teoremi più carat-teristici, ovvero dell’idea di Dio come «sorgente dell’essere, legge eterna del mondo e norma ultima del bene»33.

Dire che l’uomo laico è colui che ha smesso di “leggere” la realtà e se stesso alla luce di Dio – e dell’idea cristiana di creazio-ne – equivale quindi a sostenere che, nell’universo dei moderni il centro non è più occupato da Dio, ma dall’uomo. Infatti, è proprio a quest’ultimo che viene attribuita la capacità, un tempo riservata al Creatore, di determinare il vero, il bene e il giusto. In altre pa-role, come scrive quel sottile analista della modernità che è stato Romano Guardini:

fintantoché l’uomo era minorenne, doveva rimettere a un essere as-soluto gli atti esistenziali decisivi: fondazione della verità e dei valori, ordinamento del mondo, governo del destino, ecc. Adesso che l’uomo è diventato maggiorenne, si assume lui questa competenza e determi-na lui stesso la propria esistenza34.

Di conseguenza, quando la proposizione n. 3 del Sillabo dichiara che per i moderni

L’umana ragione, senza tenere alcun conto di Dio, è l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male, è legge a se stessa, e con le sue forze naturali basta a procacciare il bene degli uomini e dei popoli

32 LEONE XIII, Quod apostolici muneris. Socialismo, comunismo, nihilismo, 28 di-cembre 1878.

33 G. FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, cit., p. 73.34 G. GUARDINI, op. cit., p. 953.

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non fa che esprimere, in modo filosoficamente ineccepibile, l’es-senza stessa della laicità (forte) cioè di quel tipo di laicità di cui la bioetica laica in senso stretto è l’ultima e coerente incarnazione.

Tant’è che la caratteristica specifica delle varie forme dell’ uma-nismo laico e delle sue specifiche concretizzazioni bioetiche è pro-prio quella di non credere:

1) né nell’esistenza e conoscibilità di Dio, 2) né nella creaturalità dell’uomo e del mondo, 3) né in un progetto divino sulle cose, 4) né in un valore trascendente della persona, 5) né nella sacralità e bontà intrinseca della vita, 6) né nella sua assoluta inviolabilità indisponibilità, 7) né in una verità che precede e orienta la libertà, 8) né in una legge morale naturale, 9) né in una legge eterna di Dio,10) né in precetti etici assoluti capaci di fungere da fondamen-

to oggettivo e immutabile dei nostri comportamenti ecc.

In altri termini, come osserva Benedetto XVI:

si parla oggi di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di po-litica laica. In effetti, alla base di tale concezione c’è una visione are-ligiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio, per un mistero che trascenda la pura ragione, per una legge morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e si-tuazione35.

Analogamente, come scrive Sgreccia, nel mondo moderno e post-moderno:

il fenomeno della secolarizzazione […] non si è arrestato a quel livello accettato anche dal Concilio, e cioè, la giusta considerazione e il rico-noscimento del valore delle realtà temporali, delle scienze e delle loro specifiche competenze e metodologie di ricerca […] ma è diventato secolarismo cioè cultura e visione della vita che prescinde dall’esisten-

35 BENEDETTO XVI, Discorso ai giuristi italiani del 9 dicembre 2006.

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za di Dio, dall’esistenza della legge morale naturale, nonché dalla ri-velazione36.

Tant’è che è proprio la presenza di questo secolarismo, che rap-presenta uno degli esiti del «necessario radicarsi» dell’uomo con o senza Dio37, a far sì che nel mondo attuale vi sia uno strutturale contrasto fra due modi radicalmente diversi di concepire la condi-zione umana.

“Contrasto antropologico” evidenziato in più occasioni dal car-dinal Angelo Bagnasco, secondo cui «è sotto gli occhi di tutti»38 come oggi si confrontino e spesso si scontrino «due diverse, per molti aspetti antitetiche, visioni antropologiche»39, una fondata sull’apertura dell’uomo all’Assoluto e l’altra basata su una conce-zione dell’individuo come ente «chiuso alla trascendenza e centra-to su se stesso»40.

Niente da stupirsi, quindi, se la bioetica elaborata nell’orizzonte culturale e filosofico laico o “secolarista”, cioè nella prospettiva teo-rica di un umanesimo chiuso alla trascendenza e basato sull’ipotesi teorica di «un mondo senza Dio»41 presenti alcuni tratti sostantivi specifici – e tendenzialmente differenti – rispetto a quella elaborata in ambito culturale cattolico.

Infatti, come osserva Bagnasco nella già citata Lectio magistralis tenuta all’VIII convegno di Scienza e Vita, «da umanesimi diffe-renti discendono conseguenze opposte». Circostanza, questa, che da taluni studiosi cattolici viene misconosciuta e che invece dal

36 E. SGRECCIA, Per una pastorale della vita umana. Riferimenti fondativi e contenu-ti dottrinali, Cantagalli, Siena-Roma 2011, p. 19.

37 Cfr. A. PESSINA, La sfida dell’ateismo contemporaneo, « L’Osservatore romano», 26 novembre 2011.

38 A. BAGNASCO, Educare alla vita buona del Vangelo: il contributo delle Università, Discorso tenuto alla Università Pontificia Salesiana il 24 febbraio 2011

39 A. BAGNASCO, Prolusione del 23 marzo 2009.40 A. BAGNASCO, Lectio magistralis tenuta all’VIII Convegno nazionale di Scienza

&Vita, cit.41 CH. TAYLOR, L’età secolare, cit., p. 318. Sulle riflessioni di Taylor circa la con-

vinzione moderna secondo cui il “fiorire” dell’uomo, cioè l’ideale di una pienezza di vita, sarebbe possibile senza Dio si è significativamente soffermato anche il cardinal C. RUINI (Dio: una grande domanda e una ancora più grande presenza, «Avvenire», 26 ottobre 2010).

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Magistero e dagli studiosi che ne seguono le orme viene debita-mente rimarcata.

Come fa ad esempio la Caritas in veritate, la quale, dopo aver individuato nella bioetica un campo «primario e cruciale dello scontro culturale», puntualizza, nel paragrafo 74, che si tratta «di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l’uomo sia prodotto da se stes-so o se egli dipenda da Dio».

La stessa trama di pensiero troviamo ad esempio in un scritto42 del cardinal Carlo Caffarra, volto a chiarire «il punto di incrocio» tra la Veritatis splendor e la Evangelium vitae. Anch’egli persuaso che l’odierno conflitto bioetico sottintenda un più generale con-flitto antropologico e filosofico, Caffarra osserva come uno degli aspetti più caratteristici della nostra epoca non consista soltanto nella pratica generalizzata dell’aborto, ma nella sua giustificazione teorica, ossia in «quel fatto “spirituale” che ha condotto a conside-rare l’aborto come un diritto, una facoltà […] fondata sull’ordine e sulla giustizia»43.

Interrogandosi sul significato e le motivazioni profonde di que-sto evento («mai accaduto prima nella storia dell’umanità») egli sostiene che si tratta del compimento di un percorso teoretico-esi-stenziale nato con lo sradicamento della persona dall’essere e con «la decisione di consegnare l’uomo esclusivamente a se stesso»44, ossia del compimento di un processo avente alla sua base l’uma-nesimo “autosufficiente” o “esclusivo” di cui, in seguito, avrebbe parlato Taylor45.

Tant’è che la giustificazione odierna dell’aborto, prosegue Caf-farra, procede in modo parallelo alla giustificazione del suicidio e dell’eutanasia, con il risultato di fare dell’uomo – anziché di

42 C. CAFFARRA, Veritatis splendor-Evangelium vitae: il destino dell’uomo, in PON-TIFICIUM DE LEGUM TEXTIBUS INTERPRETANDIS, PONTIFICIUM CONSILIUM PRO FAMILIA, PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, “Evangelium vitae” e diritto, pp. 33-40.

43 Ivi, p. 34.44 Ibidem.45 È significativo che Caffarra, quando parla dell’umanesimo moderno, usi in

forma avverbiale («esclusivamente») lo stesso termine successivamente adoperato da Taylor in forma aggettivale («esclusivo»).

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Dio – il signore della vita e della morte, cioè l’ente cui spetta di decidere se, come e quando la vita può iniziare o finire.

Secondo Caffarra, questo approdo etico-filosofico, tipico di un umanesimo che puntando all’autogiustificazione del finito ha smarrito la consapevolezza del proprio «essere dipendente da un Altro»46 ossia l’idea tradizionale di un’eterogiustificazione del fini-to, può essere sintetizzato dal «progetto, ora giunto al suo com-pimento, di affermare la persona umana come soggetto la cui de-finizione originaria e completa è la libertà di scelta»47. Originaria perché niente e nessuno sta prima della libertà di scelta. Completa perché la persona finisce per essere identificata con la sua libertà. Da ciò la manifesta rottura di quel plesso fra essere, verità e libertà che costituisce il punto di “incrocio” fra la Veritatis splendor e la Evangelium vitae48.

Come si vede, qui è emblematicamente messo a fuoco sia il percorso speculativo dell’umanesimo autosufficiente e del suo pro-gressivo sradicamento dell’uomo dall’essere (sradicamento che dal piano gnoseologico s’irradia a quello ontologico ed etico) sia il nes-so che collega tale umanesimo alla bioetica laica.

Se questo discorso è storicamente e teoricamente fondato, al-trettanto fondata risulta la tesi – che ho esposto nei miei libri e in Bioetica e “paradigmi”– secondo cui la bioetica cattolica ufficiale (e quella che si affianca ad essa) e la bioetica laica in senso stretto incarnano due paradigmi biomorali diversi, cioè due costellazioni teoriche ruotanti attorno a una serie di principi o idee-madri strut-turalmente dissimili49.

Tesi, quest’ultima, che non è per niente smentita dalla possibi-le condivisione, da parte di certi credenti, di talune posizioni – sia

46 Ivi, p. 33.47 Ivi, p. 35.48 Sostanzialmente in sintonia con questo discorso è anche, ad esempio, I. CAR-

RASCO DE PAULA, il quale, parlando della Veritatis splendor, scrive che: «Il postulato dell’enciclica è una affermazione tra le più essenziali e antiche del pensiero cristiano: la perfetta convertibilità tra il Bene e il Vero, tra Bontà e Verità e, in ultima analisi la con-vertibilità di questi due trascendentali con l’Essere» (L’enciclica “Veritatis Splendor”: prospettive per l’etica medica, in «Medicina e morale», 1994/3, pp. 431-441: 434).

49 Per un’analisi dettagliata delle differenze “paradigmatiche” fra la bioetica catto-lica e laica si veda il cap. 12.

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metodologiche sia contenutistiche – della bioetica laica. In altri termini, il fatto che alcuni credenti50 presentino delle convergenze con singoli punti della bioetica laica – ad esempio con la norma metodologica che prescrive di ragionare, in sede teorica e bioeti-ca, a prescindere da Dio – non contraddice quanto si è detto sulla fisionomia paradigmatica della bioetica laica e sulle sue differenze d’impostazione rispetto alla bioetica cattolica ufficiale. Semmai conferma l’ampia diffusione di certe idee-guida della cultura laica. A cominciare dalla convinzione – per usare la terminologia di Cor-nelio Fabro – secondo cui «Dio se c’è, non c’entra».

Sintetizzando i punti-chiave del nostro discorso, possiamo quindi sostenere che discorrere in modo rigoroso di bioetica catto-lica e laica non significa prospettare una (semplicistica) dicotomia fra una bioetica basata sulla fede e una bioetica basata sulla ragio-ne. Non significa neppure fermarsi alla (altrettanto semplicistica) constatazione sociologica dell’esistenza di una bioetica elaborata da studiosi di matrice cattolica e di una bioetica sviluppata da stu-diosi di matrice laica. Significa piuttosto mettere a fuoco il triplice fatto che:

1. a livello teorico-dottrinale, accanto a una bioetica elaborata alla luce dei principi antropologici ed etici della dottrina cattolica e della sua metafisica della trascendenza (= la bioetica cattolica in senso stretto) esiste una bioetica elaborata sullo sfondo dei principi antropologici ed etici dell’umanesimo secolare e della sua metafisica dell’immanenza (= la bioetica laica in senso stret-to o forte).

2. la bioetica cattolica e la bioetica laica in senso stretto costitui-scono due “paradigmi” caratterizzati da una serie di principi o assunti51 programmaticamente differenti (sintetizzati dalle due idee-guida della “indisponibilità” e “disponibilità” della vita).

3. che il dissidio paradigmatico fra la bioetica cattolica ufficiale e la bioetica laica in senso stretto si accompagna a un parallelo

50 Sia di ambito riformato, sia di ambito cattolico. Emblematico è il caso di En-gelhardt, per il quale confronta la nota 5 del cap. 5.

51 Per un prospetto di tali principi e assunti si veda il già citato cap. 12.

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dissidio teorico – sia pure di carattere meno radicale – fra la bioetica laica e i vari personalismi bioetici di matrice cattolica.

E tutto ciò a conferma del fatto – già evidenziato52 – che il modo in cui si pensa filosoficamente53 l’uomo e la vita condiziona a monte e in profondità le scelte e i paradigmi biomorali. Tant’è che in queste materie, come si è visto, è ingenuo professarsi anti-filosofici o post-filosofici, in quanto qualsiasi presa di posizione bioetica (al pari di qualsiasi decisione biogiuridica, biopolitica o biolegislativa) impli-ca o sottintende una qualche concezione dell’uomo.

52 Nel capitolo 2.53 Sulla imprescindibilità, in bioetica, di una prospettiva antropologica e filosofica

generale si è recentemente soffermata anche PALMA SGRECCIA in La bioetica riguarda tutta la filosofia, non solo la morale, «Medicina e morale», 2010/6, pp. 1007-1018, in cui la studiosa afferma che «Sottolineare la distinzione dei paradigmi della bioetica significa far appello alla dimensione filosofica di questa, non poter prescindere dalla questione generale di senso» (p. 1012).