Esteban n.7

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Rivista dell'associazione "Il Villaggio di Esteban" Mortara (Pavia)

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Su questo numero in

esclusiva: reportage

fotografico sul Villaggio di

Esteban e sui suoi abitanti

Numero 7 - agosto 2010

Hanno collaborato a questo numero:

Balla coi Cinghiali Domenico Della

Monica Guido Giacomone Lidia

Gualdoni Renato Invernizzi Anna

Livraga Lino Maia Oisin Mc Finn

Franco Brasca Francesca Protti

Danut Gradinaru Anxhela Tafa

Foto e illustrazioni: Boiler 2

Per approfondire quanto narrato in

questo numero: www.equi-libri.it -

www.ballacoicinghiali.it -

www.soroptimist-lomellina.it -

www.smart.co.uk/dreams -

www.riaprireilfuoco.org -

www.lucianobianciardi.it -

www.fondazionebianciardi.it -

/www.lfb.it/tiramolla -

http://italiano.agonia.net/index.php/

author/0027914/DanutGradinaru

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There is only one good thing about small townthere is only one good use for a small townthere is only one good thing about small townyou know that you want to get out

When you're growing up in a small townyou know you'll grow down in a small townthere is only one good use for a small townYou hate it and you'll know you have to leave(L. Reed, J. Cage, Small Town da Songs for Drella)

I tempi sono duri, ormai ce ne siamo accorti, e la crisi alla fine si è fatta sentire anche nel Villaggio. Per quanto qui si viva fuori da logiche di mercato, senza moneta, senza banche, senza leggi finanziarie, quando abbiamo contatti con il vostro mondo dobbiamo fare i conti con tutte queste cose e rassegnarci a tenere conto della rilevanza che da voi le transazioni economiche hanno su tutte le altre. Insomma, qualunque cosa venga in mente di fare servono i soldi, e servono anche per questo giornale, e ne servono sempre di più. Per cui da questo numero Esteban si vede, suo malgrado, costretto ad alcune modifiche. Si sa che lui è affezionato alla carta stampata, ma bisogna forzatamente ridurne l'impatto per cui questo numero si presenterà nella versione stampata in formato ridotto e limitato al solo testo. L'edizione completa con le immagini e le ardite sperimentazioni grafiche che sono sempre state parte integrante della rivista, la si può trovare solo on line, sul nostro sito (www.ilvillaggiodiesteban.net) oppure cercate “esteban” su issuu.com. E, tra le altre cose, troverete anche lui. Per il futuro si vedrà. Intanto veniamo a questo numero. Questa volta a Esteban ha sentito un certo bisogno di capire cosa significa fare cultura in provincia, nelle piccole città e paesi fuori dai centri deputati alla grande produzione culturale di cui si interessano i grandi mezzi di comunicazione. Un discorso che lo interessa particolarmente e lo riguarda da vicino; in qualche modo anche una occasione per Esteban per riflettere su di sé e sul suo lavoro e su quello che significa la parola cultura. Perchè, non si stanca di ripetere Esteban, cultura non è un qualcosa in più per gente che ha tempo per coltivarsi lo spirito o vuole fare lo snob, cultura è ovunque ci sia un essere umano, che, in quanto tale si pone delle domande, vede una realtà intorno a sé e cerca di capirla e, se possibile, migliorarla; cerca da sé di rispondere ai propri bisogni e di dare seguito ai propri desideri, e così si mette in moto, mette in moto la propria creativitàComunque, come al solito ad Esteban non interessano tanto teorie ed analisi. A lui interessano le storie e così, a partire da questo numero, ha deciso di andare un po' in giro a a cercarsi esperienze di persone ed associazioni che hanno fatto proprio quello che si è detto sopra, non si sono fermate al mugugno così diffuso anche dalle nostre parti, ma sono riuscite a dar vita anche a realtà importanti.La scoperta è stata che in questi posti lontani dal centro esiste una produzione autonoma, che non si limita a copiare le modi culturali che qualcuno decide debbano essere dominanti, ma parte dalle proprie esigenze e trova propri spazi e modi di espressione originali. In questo numero hanno voluto raccontare ad Esteban la loro storia l'associazione Equilibri di Cuggiono, e l'Associazione Balla coi Cinghiali, promotrice di un festival musicale che si tiene in Val Bormida, in un paese di poco più di seicento abitanti, ma che, nonostante sia nato da pochi anni, si avvia a diventare uno dei più interessati appuntamenti dell'estate. Esteban ringrazia entrambe di cuore.Altre esperienze, più vicine a noi, ce le racconta in questo numero Francesca Protti.Ovviamente non ci facciamo certo mancare in questa uscita i racconti di Domenico Della Monica e le intriganti avventure di Anna Mara.Con questo numero si aggiunge agli amici di Esteban Anxhela Tafa, giovanissima poetessa che ha voluto donare a lui e a tutti i lettori alcuni suoi lavori, e che, insieme a Danut Gradinaru, che con Esteban ha ormai un appuntamento fisso, rappresenta l'offerta poetica di questo numero. Esteban aspetta da lei altre poesie. E ovviamente anche dagli altri lettori, a cui chiediamo anche, magari come compito delle vacanze, di aiutarci a proseguire il discorso iniziato in questo numero su cultura e provincia. Buona lettura.

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Ho accolto con piacere l'invito dell'Associazione Il Villaggio di Esteban di raccontare la nostra esperienza: ripensare all'attività svolta in questi primi quattro anni ci offre infatti l'opportunità di fare un primo, significativo bilancio.Mi riporta ai primi mesi del 2006 quando, con un gruppo di familiari e di amici, abbiamo deciso, senza conoscere nulla di questa realtà, di dar vita ad un'associazione culturale.L'idea era quella di organizzare, con cadenza regolare, iniziative che facessero parte di un programma che comprendesse incontri con autori e con persone che operano in campo editoriale: presentazioni di libri, dibattiti e conferenze su temi di attualità, circoli di lettura, concorsi, eventuali pubblicazioni...Buona parte dei nostri propositi si sono realizzati e possiamo dire, con una certa soddisfazione, di essere diventati una realtà “stabile”, anche se limitata al nostro ambiente di provincia. Solo per citare alcuni degli eventi da noi organizzati: incontri con scrittrici e scrittori affermati come Federica Bosco, Luigi Rainero Fassati, Laura Bosio, Chiara Aurora Giunta, Paola Calvetti; ospiti stranieri come l'iraniana Amineh Pakravan e, proprio ultimamente, inserito nel contesto di un Festival nazionale, Serge Quadruppani; abbiamo permesso ad autori esordienti o ancora poco conosciuti di presentare i loro romanzi; abbiamo organizzato aperitivi e cene in un contesto estremamente conviviale in compagnia di Federico Baccomo, Cosimo Calamini, Lucia Ingrosso e Luciana Benotto; anno dopo

anno, abbiamo partecipato alla Sagra di Cuggiono, alla Festa del Solstizio d'Estate ed al tradizionale Mercatino natalizio, non solo per farci conoscere, ma anche per proporre laboratori e giochi per bambini.Siamo spesso riusciti ad arricchire la presenza dello scrittore o della scrittrice – già di per sé significativa – abbinando alla presentazione dei libri l'esecuzione di brani musicali, alla chitarra, al violino o al pianoforte, o letture da

parte di attori, il tutto pensato per rendere le serate più gradevoli e movimentate.Abbiamo approfondito temi importanti e conosciuto personaggi indimenticabili del passato – le grandi donne di Milano, il poeta e pittore Kahlil Gibran o i protagonisti dei misteri di Milano -, ma anche autori di grande umanità e personaggi di spicco della cultura italiana e lombarda, come Gianfranco Scotti, con le poesie in dialetto milanese, e il traduttore, scrittore, critico e musicologo Quirino Principe. Abbiamo regalato molti libri, sia prevedendo un omaggio ad ogni iscritto, sia lasciando libri per il paese, a disposizione di chiunque fosse interessato, e, grazie ad ognuno degli incontri

organizzati, abbiamo potuto dare consigli di lettura, facendo sì che quello sulla copertina non fosse soltanto un nome, ma un viso, una voce, una persona “in carne e ossa”, con tante storie da raccontare.Un'importanza considerevole rivestono anche i luoghi che hanno ospitato gratuitamente gli incontri: oltre ad alcuni spazi comunali e il centro polifunzionale Le Radici e le Ali, abbiamo potuto utilizzare uno spazio di grande fascino, ovvero le sale di Villa Clerici a Castelletto di Cuggiono, che

EQUILIBRI: STORIE DI LIBRI A CUGGIONODI LIDIA GUALDONI

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si affacciano sul Naviglio Grande. Certo nessuna di queste iniziative realizzate – così come quelle in fase di progettazione - avrebbe visto la luce senza l'apporto dei soci e, più in generale, la presenza del pubblico.La nostra, come tutte le associazioni senza scopro di lucro, si basa, oltre che sul contributo economico di persone particolarmente sensibili e di Enti quali il Comune o la Provincia, sull'entusiasmo e sulla disponibilità disinteressata degli iscritti che, con la loro presenza costante, dovrebbero contribuire in modo determinante al successo delle varie proposte. Questa, però, è per noi una nota dolente. Mancano ancora, infatti, soci che vogliano partecipare attivamente all'organizzazione degli eventi o all'ospitalità degli autori, che ci aiutino nella ricerca di sponsor o di qualsiasi altro sostegno alla nostra attività. Certo il tempo è sempre poco, ci sono mille cose da fare e a cui pensare, tanti problemi e tanti imprevisti da superare, ma sarebbe un bel salto di qualità avere qualcuno che fosse disponibile, ad esempio, ad accompagnare un autore, ad occuparsi del rinfresco, ad accogliere il pubblico o a farci compagnia durante una manifestazione... In fondo, basterebbe anche essere presente fra il pubblico, quando possibile, convincere un'amica ad iscriversi o un amico a partecipare ad un evento. Invece, purtroppo questo non succede spesso, ed ogni anno ci ritroviamo a ricominciare da capo per raggiungere un numero di iscritti adeguato e a sperare di avere un buon riscontro di pubblico.E qui entra in gioco un altro altro elemento molto importante, se non determinante: l'informazione: non sempre è facile riuscire a comunicare - attraverso la stampa locale o con un semplice passa parola – i nostri obiettivi e non possiamo fare a meno di provare un sentimento di fallimento ogni volta che ci sentiamo dire “Non c'ero perché non lo sapevo”.In definitiva, credo che equiLIBRI possa considerarsi un bell'esempio di come, rispetto ai tradizionali luoghi di

concentrazione di eventi socio-culturali - i capoluoghi di provincia e le città più grandi - anche i piccoli centri possano diventare teatro di manifestazioni di qualità.Sarebbe auspicabile, allora, che gli enti locali – Comune, Provincia, Regione e Fondazioni – così come le imprese private, comprendessero l’importanza di queste realtà e contribuissero fattivamente ed in modo continuativo al loro

sostegno ed alla loro promozione. Spesso infatti siamo costretti a presentare documenti, richieste, programmi dettagliati, nella speranza di riuscire ad avere un piccolo finanziamento che possa dare una boccata d'ossigeno alle nostre finanze, sempre piuttosto limitate. Quando poi otteniamo risposte come “Le vostre iniziative non rientrano nei nostri progetti” (salvo poi scoprire che la stessa Fondazione ha sovvenzionato eventi del tutto simili a quelli proposti da noi, anche se molto più in grande), allora subentra un certo sconforto e la paura di non riuscire a sostenere i nostri progetti.Di solito non dura molto: ci si rimbocca le maniche e si riprende con ancora più determinazione il nostro lavoro.

per saperne di piùwww.equi-libri.net

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Balla Coi Cinghiali è un'associazione atipica che prima di tutto, è un gruppo di amici saldo e forte, uniti nell'intento di portare avanti un

progetto, nato come un sogno, che possa coniugare musica, cibo, arte e solidarietà dimostrando che tutto è possibile se lo si vuole.Nata nel 2002, inizialmente come idea di un piccolo festival che dava spazio a giovani band locali, arriva oggi alla sua nona edizione, e, quasi in un decennio di attività, i risultati degli sforzi di questo gruppo di amici si vedono e toccano con mano, non solo nei tre giorni di festival, ma anche durante tutto l'anno, con iniziative e progetti collaterali che non mancano mai di coniugare musica, integrazione culturale e un pensiero per gli altri, con iniziative sociali e solidali di diverso tipo.Balla Coi Cinghiali non è più, quindi, solo un'idea, ma uno stile di vita, che pensa in maniera etica e ecologica, portando avanti anche durante il festival sia logiche di promozione dei prodotti locali che corrispondono all'etichetta odierna di “chilometro zero”, cioè interamente locali e di qualità, sia argomenti di raccolta differenziata, con stoviglie biodegradabili derivanti dall'amido di mais e bottiglie di vetro riciclato. Il tutto viene poi raccolto in apposite isole ecologiche che separano i diversi tipi di rifiuti e convergono, poi, in discariche abilitate sia alla differenziata stessa che alla produzione di biogas.Eticità e attenzione all'ambiente sono un obbiettivo che negli anni ha portato alla manifestazione il riconoscimento di “Ecosagra”, ottenuto grazie anche a un duro lavoro e una stretta collaborazione con le istituzioni, che hanno riconosciuto l'importanza di una realtà simile.L'aspetto culinario è quindi, come si può intuire dallo slogan “Come a Woodstock

ma si mangia meglio”, sicuramente un cavallo di battaglia a cui l'associazione ha portato molta attenzione sviluppando una cucina operativa, centro di tutto l'aspetto alimentare durante il festival e in grado di sfamare migliaia di persone portando in tavola ogni anno un menù, “alternativo al solito”, con polente, stoccafisso, ravioli fritti e quant'altro per la scelta culinaria più ampia di qualsiasi festival italiano!A fare da contorno alla tradizione sono poi le numerose cucine di strada che propongo piatti etnici e regionali. Un contorno gradevole che riempie la pancia e sfama gli animi fin dalla mattina con la proposta, unica nel suo genere, delle “colazioni musicali”, e da quest'anno anche “letterarie”, per un dolce risveglio che scandisce già la giornata dei “cinghiali” fin dalle prima ore del mattino.Balla Coi Cinghiali è una realtà in continua espansione che non si può fermare e che è spinta a migliorarsi sempre più di anno in anno per soddisfare il proprio pubblico, cresciuto da uno sparuto numero iniziale, fino a diventare una massa di 25mila persone che, per tre giorni l'anno, invadono un paesino dell' Alta Val Bormida di appena 650 abitanti, portando giovani e arte in un luogo che, nonostante alcune recriminazioni iniziali, ha accettato di buon grado la linfa che fa rivivere il paese come se fosse il centro del mondo, così che sia abitanti che staff lavorano insieme come una grande famiglia per la buona riuscita della manifestazione.Una piccola associazione di amici è riuscita così a creare l'“evento” dell'anno della regione Liguria e un'appuntamento

BALLA COI CINGHIALI

"COME A WOODSTOCK MA SI MANGIA

MEGLIO"

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fisso estivo dove i giovani vanno, soprattutto, per l'aspetto vitale della manifestazione stessa: la musica.Ma non una musica monotona e ferma, bensì un ventaglio di proposte musicali che vanno dalle sonorità reggae, al folk, all'hip-hop, all'elettronica, al metal, al rock e al pop passando per un' infinita varietà di intermezzi che incontrano l'apprezzamento di tutti i tipi di orecchie.Dai gruppi locali, amici degli amici stessi, si è così arrivati a ospiti internazionali e di fama mondiale nonché a gruppi di punta del panorama italiano, sia indipendente che di massa. Presenze sul palco come Marta sui Tubi, Meg, Tre Allegri Ragazzi Morti, Zen Circus e Linea 77, solo per citarne alcuni, hanno dato modo di dimostrare che la musica è “nostra”, dando soddisfazione alla giovane organizzazione che ha dimostrato di essere cresciuta, fino a proporre e gestire ben sei palchi all'interno dell' area festival. Tutto questo interamente autofinanziato e organizzato grazie alla gestione dei proventi degli anni precedenti, per un festival ad ingresso gratuito che ogni anno sceglie anche di devolvere una parte degli incassi stessi a progetti di solidarietà e aiuti

umanitari.Balla Coi Cinghiali è una realtà preziosa e unica, fatta di ragazzi che lavorano per investire sul loro futuro e sulla loro soddisfazione personale nell'organizzare un qualcosa che riesce ancora a sfuggire alle regole classiche del lucro e del denaro. Un caso eclettico e così particolare da essere anche studiato in università in un incontro dal titolo “Da dieci a diecimila – nascita ed ascesa di un evento indipendente", ma probabilmente studiato, da dietro le fronde degli alberi, anche dall'animale selvatico che ha fortunatamente regalato il nome a tutto quanto: il cinghiale!

Ass. Balla Coi Cinghiali

"Balla coi cinghiali" si svolge tutti gli anni ad

agosto a Bardineto (SV). Per tutte le informazioni:

www.ballacoicinghiali.it

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La giornata è incredibilmente calda, maglione e cappotto sono uno scomodo di più. Alleggerirsi, sentire la primavera che annuncia il suo arrivo fa piacere, scalda il cuore, come l’idea di incontrarsi con un’amica e trascorrere insieme parte della giornata. È stata una cosa improvvisa, organizzata la mattina per il pomeriggio. Con i miei genitori via per il fine settimana, a casa da sola non mi andava di rimanere. La proposta di accompagnare Tiziana a Pavia per delle compere è arrivata come un regalo inaspettato e, quindi, molto gradito. Di getto accetto.Pavia è sempre speciale, soprattutto se ci hai vissuto i tuoi anni universitari, se è la città dove hai assaggiato per la prima volta la libertà, l’indipendenza, l’idea di “essere ormai grande”. Con quel sole il gelato è un must, non si può tornare a casa senza aver fatto visita a Cesare, la gelateria migliore della città.I locali interni sono un po’ bui, quasi freddi, ma la scomodità è ripagata dalla coppa di gelato che ci mettono davanti. Tiziana è un fiume in piena di racconti, di novità, di esperienze, di avventure. Le sue parole ti aprono ogni istante scene diverse davanti agli occhi, come pop-up informatici impazziti. Tra le tante cose che nomina c’è anche la sua adesione alla sezione locale del Soroptimist International.-Ferma, ferma. Di cosa si tratta?--È un’organizzazione femminile, che ha come missione principale quella di educare, formare, informare le donne, così da consentire l’abbattimento di qualsiasi differenza economica e sociale.-È quello che fa per me, l’articolo che mi ha chiesto Franco per il prossimo numero di Esteban, interviste ad altre piccole associazioni, come la nostra, che operano in realtà di provincia, piccoli comuni.-E operate solo in Lomellina?--No, è un’associazione internazione, ci sono Club Soroptimist in tutto il mondo.--Ah.- Fatico a nascondere la mia delusione, non è proprio quello che mi hanno commissionato.-Sembri delusa.-Le spiegazioni sono d’obbligo.-Beh, c’è il nostro Club Lomellino, possiamo concentrarci solo su quello.- ormai Tiziana si sente parte del progetto giornalistico. -Però devo spiegarti qualcosa a livello macroscopico, altrimenti non ti è chiara la realtà microscopica del nostro Club.--Ok. Spara.--Il Soroptimist International è una Organizzazione che si rivolge alle donne di oggi, impegnate a vario livello e titolo in attività professionali. Ogni club ha, o cerca di avere, una rappresentante per ogni categoria lavorativa. Il nostro sostegno mira ad un mondo dove le donne possano realizzare il loro potenziale individuale e collettivo, le loro aspirazioni e avere pari opportunità di creare forti comunità pacifiche. L’organizzazione promuove azioni e crea opportunità per trasformare la vita delle donne attraverso la collaborazione con altre socie. È sottinteso che l’associazione sostiene i Diritti Umani, la pace nel mondo, la trasparenza, la democrazia, il volontariato, l’accettazione dell’altro, anche – e soprattutto – se diverso. La ricerca della ricchezza che le diversità di ognuno di noi può dare agli altri, aggiungo io. Ti lascio il link del sito nazionale, così puoi farti un’idea della cosa, se del caso citare direttamente motti o frasi che ben descrivono l’organizzazione.- Tiziana cerca in borsa un pezzo di carta e una penna, poi in una grafia rotonda e simpatica mi lascia l’indirizzo del sito, che ovviamente visiterò (www.soroptimist.it). -

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Ah, e quello locale, così puoi controllare che non ti stia raccontando balle (www.soroptimist-lomellina.it).--Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello.--Lo so, ma così potrai verificare nomi e date … la mia memoria a volte fa cilecca.--Ok, ci farò un giro.- le assicuro prendendo il foglietto -Ora, però, raccontami qualcosa tu.--Ci sarebbero così tante cose … il sito sarà più che sufficiente.--Dai, che abbiamo da fare, mentre gustiamo il gelato. La prima cosa che ti viene in mente.--Il pozzo.--Che pozzo?--Per il biennio 2007-2009 la tematica era pax per aquam, sperando di contribuire anche con poco a un problema che afflige, come una piaga troppe popolazioni di questo mondo. Lo spirito di fondo era che anche l’acqua può contribuire alla pace. Con la raccolta dei fondi siamo riuscite a portare l’acqua ad una popolazione keniota che risiede in una regione completamente arida. Ora il villaggio ha un pozzo. Per noi l’acqua corrente è un’ovvietà, nemmeno ci pensi. Apri il rubinetto e bevi, o ti lavi le mani. Per altri è ben diverso, per un sorso d’acqua devono percorrere chilometri. La professoressa Valcuvia ha coinvolto i suoi alunni in uno studio approfondito sul Fontanino dei Canonici di Mortara e la sera in cui abbiamo festeggiato la riuscita del progetto, il professor Corbetta ha parlato di Lomellina, di salvaguardia del territorio e degli animali con la sua solita poesia e passione. Parti del globo così lontane, legate da un bene tanto prezioso quanto raro. Sembrerà sciocco, ma sapere che qualcuno a questo mondo sta un po’ meglio grazie al tuo contributo, se vuoi anche modesto, beh, fa bene al cuore. È ora di tornare, dai, altrimenti si fa tardi.-Raccogliamo le borse e ci avviamo alla macchina. Una volta a casa la stanchezza sta per avere il sopravvento, ma decido di fare ciò che ho promesso a Tiziana, visitare

il sito del Soroptimist e farmi un’idea migliore. A qualsiasi livello, sia esso italiano, europeo, mondiale, il tema di fondo, come mi ha anticipato a voce, è sempre quello. Diritti umani riconosciuti per tutti. Wow, sparano in alto, convengo tra me e me. Però, lo devo ammettere, se nessuno si mette in gioco, si sforza di fare in modo che certe cose siano davvero uguali per tutti, la situazione non cambierà mai.Dovendo parlare della realtà locale, però, mi concentro sul sito di Soroptimist Lomellina, creato da Tiziana stessa, e scoprendo come la sede sociale del club sia proprio a Mortara. Tu pensa… . In giallo e blu, il sito mette bene in chiaro che per loro la donna è al primo posto e che dovrebbe affermarsi in ogni campo. Attraverso l’educazione, la formazione e l’informazione si impegnano a fare in modo che sia così per molti altri e non solamente per le circa 35 associate.Clicco curiosa per i vari link del sito e scopro che nel 2009 è stata ospite Margherita Oggero, scrittrice di gialli e docente. Ora che ci penso, Tiziana me ne parlava. Il trafiletto descrive una scrittrice di gialli appassionanti intrisi di humour decisamente “torinese”. Il racconto delle sue esperienze, e soprattutto di alcuni scampoli di quella vita da insegnante appassionata, è deliziosamente ironico e a tratti caustico. Durante il suo intervento riesce a spaziare dai giudizi graffianti sulla riforma scolastica ad alcune pungenti osservazioni sui ragazzi e sugli insegnanti. Devo ammettere la mia ignoranza e la necessità di scoprire qualcosa di più su questa scrittrice. Si tende sempre a pensare che queste associazioni si rivolgano solo a personaggi del mondo della politica, della finanza, mentre invece si spazia, coinvolgendo anche personaggi più di nicchia, come a volte possono essere certe autrici. Oddio, il fatto che io non la conosca non rende Margherita Oggero, necessariamente, un’autrice di nicchia...

in queste pagine:

un omaggio di Boiler 2 all'arte di Peynet

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SSEENNZZAA DDUUBBBBIIOO EERRAA UUNN AALLTTRROO UUOOMMOO

DDII DDOOMMEENNIICCOO DDEELLLLAA MMOONNIICCAA

Questa è una storia raccontata dal dott. Bernardo Mutaboni di Pavia:“Nell'estate del 1880 conobbi un uomo di nome Giacomo Convogli, residente in una cittadina della

provincia di Alessandria. Era venuto a Pavia per motivi di salute e mi portò un biglietto di presentazione dell'avvocato Luigi Bartin. Aveva conosciuto Bartin

quando era capitano dell'esercito piemontese durante l'ultima guerra di Indipendenza. Alla fine della guerra si era stabilito in una cittadina nell'alessandrino e mi era stato riferito che era diventato un avvocato di una certa fama in tutta la provincia. Bartin mi era sempre sembrato un tipo onesto e un uomo d'onore, e la calorosa amicizia verso il signor Convogli che egli esprimeva nel suo biglietto costituiva per me una prova sufficiente che quest'ultimo meritava pienamente la mia fiducia e la mia stima. Un giorno,

mentre eravamo a pranzo in una osteria del Naviglio, Convogli mi disse che lui e Bartin avevano solennemente concordato che colui che fosse morto per primo avrebbe, se possibile, comunicato con l'altro dall'Oltretomba in modo inequivocabile: lasciavano (saggiamente, mi parve) la decisione sul metodo preciso al defunto, il quale si sarebbe regolato in base alle opportunità che il suo nuovo stato poteva offrirgli.Qualche settimana dopo rividi il signor Convogli mentre percorreva lentamente Piazza della Legna;

dalla sua aria distratta appariva chiaro che era profondamente immerso nei suoi pensieri. Mi salutò con freddezza, appena un cenno del capo, e passò oltre lasciandomi lì ritto sul marciapiede, la mano mezzo protesa, sorpreso e naturalmente piuttosto offeso. Il giorno dopo lo incontrai di nuovo sotto i portici dell'Università e, vedendolo sul punto di ripetere la sgradevole scena del giorno prima, lo fermai e, dopo un saluto amichevole, gli chiesi senza mezzi termini una spiegazione del suo cambiamento di modi. Esitò un momento, poi, guardandomi francamente negli occhi, disse: “Non credo, dottor Mutaboni, di avere più diritto alla vostra amicizia, poiché pare che l'avvocato Bartin mi abbia tolto la sua; per quale

motivo, dichiaro solennemente di non saperlo. Vi informerà, probabilmente, se non l'ha già fatto”. “Ma io – replicai – non ho avuto alcuna notizia dell'amico Bartin”. “Notizie di Bartin!” ripetè, evidentemente sorpreso. “Ma è qui, a Pavia. L'ho incontrato ieri, dieci minuti prima di incontrare voi. Vi ho salutato nello stesso modo in cui lui ha salutato me. L'ho incontrato di nuovo nemmeno mezz'ora fa e si è comportato esattamente nella stessa maniera; mi ha fatto appena un cenno col capo ed è passato oltre. Non dimenticherò facilmente la vostra cortesia verso di me.

Buon giorno o, se preferite, addio”.Il comportamento di Convogli mi parve improntato a singolare riguardo e delicatezza.Giacchè il proposito di creare situazioni drammatiche

o effetti letterari mi è completamente estraneo, dirò subito che Bartin era morto. Era morto a Tortona, quattro giorni prima di questa conversazione.Passai da Convogli il pomeriggio del giorno dopo (abitava in Contrada S. Gabriele, ospite di suo fratello) e lo informai della morte del nostro amico, mostrandogli le lettere che la annunciavano. Ne fu colpito in modo talmente evidente da impedirmi di nutrire il minimo dubbio sulla sua sincerità.

“Sembra incredibile – disse dopo una pausa di riflessione - Devo aver scambiato qualcun'altro per Bartin, suppongo, e il freddo saluto di quell'uomo, quindi, era soltanto la risposta cortese di un estraneo al mio. In effetti, ricordo che non aveva i baffi come Bartin.”“Senza dubbio era un altro uomo”, concordai; e non riprendemmo mai più l'argomento. Ma io avevo in tasca una foto di Bartin, che la vedova aveva allegato alla lettera. Risaliva ad una settimana prima della sua morte e lui non aveva i baffi”.

Nota: Piazza della Legna è oggi Piazza Italia; Contrada S. Gabriele è oggi Via Romagnosi.

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Ero ancora addormentato ma iniziavo a percepire rumori e voci durante quel risveglio mattutino. Chissà perché, in quello stato di coscienza incerta e ovattata, quando sentii la voce di mio padre che giù in cortile diceva: “… a l’è ‘n dai giu tuc impatànà, a g’ho fischia da v’en visin per tiral su ma la curent la purtà via…” [ è andato giù, tutto impantanato, gli ho fischiato di venir vicino per tirarlo su, ma la corrente lo ha portato via… ] capii subito: il mio cagnolino era in pericolo! Avevo sì e no nove anni, ma ricordo ancora che quella mattina balzai giù dal vecchio lettone in ferro e mi precipitai nel cortile della mia cascina così com’ero, in pigiama. Mio padre, finito di parlare con mia nonna, s’accingeva a riporre badile e bicicletta. Cos’è successo!? - chiesi senza salutare. – Il cane ! – mi rispose - E’ caduto nel cavo nuovo, ed è andato giù per la corrente...- -Dove!?- domandai ancora.- Nel cavo nuovo al ponte del piantone, è andato in acqua, avrà visto una pulina [gallinella d’acqua] e l’è..- Non attesi altre spiegazioni, entrai in casa e mi misi gli stivali. Da sotto il portico di ingresso inforcai la mia bicicletta e con stivali e pigiama pedalai a più non posso fino al punto indicato.Pensai durante il tragitto a come mai mio padre, ma soprattutto la mia ben premurosa nonna, non avessero cercato di fermarmi! Quel cane era così importante anche per loro? Mi sentivo preoccupato ma anche eccitato all’idea di andare a cercare il mio amato cagnolino, e pensavo che nulla mi avrebbe potuto fermare! Neanche la corrente del torrente!A pensarci oggi è facile capire perché non si preoccuparono: di quella stagione fossi e torrenti d’irrigazione sono pressoché vuoti e il peggio che poteva succedere era che tornassi ricoperto di fango.Quando arrivai al canale artificiale – il cavo nuovo – lo trovai infatti con trenta centimetri d’acqua circa che scorreva tra le sue dritte e austere mura in cemento alte poco più di un metro e mezzo; ma del mio cagnolino nessuna traccia!Buttai la bicicletta in mezzo alla carreggiata del ponticello che cavalcava il corso d’acqua e diressi lo sguardo ambo le parti.Nessuna traccia.Presi una decisione, la più ovvia: iniziai a percorrere la riva seguendo il senso della corrente.Scandivo quasi ad ogni passo il nome del mio cagnolino sperando di sentirlo abbaiare dietro la curva seguente. Niente.Mi sembrarono infiniti i pochi metri che percorsi (saranno stati poco più di quattrocento, ma l’ansia e la paura me li fecero sembrare diecimila. Poi, quando ormai credevo di averlo perso, lo sentii abbaiare e lo vidi sguazzare tra l’acqua e il fango.Poverino! Non aveva nessun punto per poter uscire e per giunta si stava sempre di più avvicinando all’incrocio del cavo con la roggia grossa; lì le acque defluiscono attraverso un’apertura nel cemento tre metri più sotto!Quando mi vide cercò subito di venirmi incontro ma, per le sue corte zampine, i trenta centimetri d’acqua erano troppi e non poteva far altro che seguire la corrente.

Mi calai nell’acqua, lo afferrai per la collottola, come si usa per i gattini. Lo alzai sopra di me sulla riva e fu finalmente in salvo.Quando uscii anch’io dalla riva in cemento mi si lanciò addosso, in un’apoteosi di feste e guaiti di felicità e per completare i ringraziamenti

si premurò di inzaccherarmi per bene il pigiama d’acqua e fango.Ripercorremmo il cavo nuovo sulla stessa riva, nella direzione opposta, verso la mia bicicletta. Nel percorrere quella strada assieme non potevo credere alla felicità di aver salvato il mio Furia.Sì, il lupetto lo avevo chiamato Furia, come il cavallo; non era nero, ma il giorno in cui mio padre lo salvò dalla strada pochi mesi prima non stette fermo un attimo balzando di qua e di là senza fermarsi per la felicità di aver trovato qualcuno che potesse accudirlo.Mio padre lo aveva salvato dalla strada e ora io lo avevo salvato dalle acque del torrente. Adesso si che era veramente il mio cagnolino.Per un bimbo di quell’età certe cose contano molto e lui rimase sempre il mio fidato amico a

quattro zampe; avevo anche altri cani, ma quelli erano semplicemente cani, animali della cascina. Furia ed io eravamo semplicemente inseparabili e negli anni successivi vivemmo assieme molte altre avventure, in quella cascina vicino alla Pieve di Velezzo, la Rizzardina.

Poi la morte di mio padre e gli avvenimenti della vita ci separarono.Io andai a vivere nel mio appartamento a Mortara mentre Furia fu affidato al mio zio paterno nella cascina di Parona.All’inizio andavo a trovarlo

quando potevo, poi non più.Passarono altri anni e un giorno, mentre ero curvo sulla scrivania a studiare arrivò mia nonna dalla cucina, si avvicinò piano e mi disse: - il Furia è morto-. La mia mano smise di scrivere ma il mio cuore proseguì senza incertezze né sobbalzi.Le risposi : - Ah! mi dispiace –Ma la verità è che non provai nulla, possibile che non mi interessasse più?Ma come! Dieci anni prima quel cagnolino e quella cascina erano tutto il mio mondo. L’universo intero non valeva quanto stare là, vicino al mio compagno di giochi. La cascina l’avevo già persa da anni ed ora la dolce creatura che mi era stata vicina nella mia infanzia non c’era più.Ecco: questo fatto, cioè che la sua morte non mi avesse dato nessuna emozione in quel momento proprio non la capii.Ma a dire vero, non la capisco proprio neppure adesso; o almeno: non voglio.

NNOONN CCAAPPIISSCCOO ((QQUUEESSTTIIOONNEE DDII EETTÀÀ??)) DDII RREENNAATTOO IINNVVEERRNNIIZZZZII

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A più di mezzo secolo dalla sua uscita, il film più bello, più intelligente e più godibile che sia mai stato girato resta, a mio avviso, I Soliti Ignoti di Mario Monicelli. Però... Però se oggi come oggi mi si chiedesse quali siano state le opere più importanti della storia del cinema mi vedrei costretto a mettere al primo posto un'altra pellicola, non così perfetta dal punto di vista strettamente filmico ma atrocemente intelligente e spassosa. Sto parlando di Brian di Nazareth, un capolavoro di cui pochi si ricordano ma che all'epoca della sua uscita mandò fuori di testa mezzo mondo euforizzandolo e l'altro mezzo scandalizzandolo profondamente. Ma cosa aveva (anzi, che cos'ha) di tanto speciale questa pellicola? Beh, innanzitutto il fatto che un lavoro del genere oggi nessuno avrebbe più il coraggio di realizzarlo, in quanto gioiosamente e sanamente blasfemo. Il film uscì nel 1979, un'epoca lontanissima in cui era ancora possibile dire quello che si pensava senza rischiare di essere lapidati dagli integralisti di una qualsiasi fede (e che si tratti di musulmani fondamentalisti o di cattolici padani, di seguaci del Partito dell'Amore o degli avvocati di Scientology sostanzialmente non fa nessuna differenza). In effetti quel che più di tutto rende così importante questo film è che ridendo e scherzando può aiutarci a capire cosa siamo riusciti a farci portare via in questi ultimissimi decenni: il piacere del libero pensiero. Se il bersaglio più vistoso del suo sarcasmo era indubbiamente la religione, in realtà il film ne aveva per tutti e per ogni cosa, tant'è vero che ci fu chi lo giudicò reazionario per la ferocia con cui infieriva sulla stupidità del settarismo politico. Lo spunto narrativo era una quisquilia ma di quelle che vengono in mente solo ai geniacci: un povero pirla (Brian) ha la sfortuna di nascere lo stesso giorno in cui nasce Gesù Cristo e per tutta la vita viene continuamente scambiato per lui, a cominciare dai Re Magi che prima gli portano i doni e poi tornano a riprenderseli. Ovviamente, a finire sulla croce sarà Brian, dopo una serie di gag e scenette che per nostra fortuna sono rimaste esilaranti anche dopo la traduzione e il doppiaggio. Dirvi di più non mi pare sia il caso; fate il possibile e l'impossibile per procurarvi il film e guardatevelo: se sarete capaci di sganasciarvi dal ridere senza vergognarvene e senza sentirvi in

QUEL CHE CI SIAMO GIOCATO

di Lino Maia

dovere di andare a controllare che non ci sia nessuno che vi spia, allora vuol dire che siete degli spiriti liberi; diversamente vi meritate il plumbeo mondo in cui vi siete ritrovati a campare. Se poi (il cielo non voglia) non riuscite a capire cosa ci sia mai da ridere, vuol proprio dire che vi siete definitivamente arrostito il cervello a furia di guardare le televisioni di Berlusconi. Responsabile della regia risulta Terry Jones, ma il film è una creazione corale dei Monty Python, un gruppo di artisti straordinari che negli anni Settanta rappresentavano la punta di diamante dell'umorismo britannico; attivi soprattutto in tivù, nel 1983 girarono ancora Il Senso Della Vita, che ebbe un successone fragoroso, e poi se ne andarono ciascuno per la propria strada. Tra di loro il volto più noto al grosso pubblico è quello di John Cleese, che dopo essere stato malmenato da Kevin Kline ne Un Pesce Di Nome Wanda, è approdato alla scuola di alta magia di Hogwarts dove interpreta il fantasma di Nick Quasi Senza Testa. Primo ad abbandonare il gruppo, però, era stato Terry Gilliam, che nel

1980 realizzò da regista un film autenticamente fantastico intitolato I Banditi Del Tempo, storia di un bambino che viaggia nel tempo e nello spazio insieme ad una banda di ladri interpretata da una squadra di eccezionali attori nani. Nel film c'è anche Cleese che fa un impagabile Robin Hood effeminato e c'è Sean Connery che fa praticamente sè stesso spandendo come di consueto palate di carisma. Realizzato con tecniche quasi artigianali rispetto alle diavolerie attuali, il film si mangia tranquillamente la

maggior parte delle pellicole di fantasy e di fantascienza che si sfornano oggigiorno, ed è una gioia per gli occhi e per il cervello, con le sue ambientazioni di gran gusto ed una trama brillante ed avvincente. La storia ha una sua morale: il protagonista è figlio di una coppia di deficienti vittime del consumismo che alla fine vengono allegramente ridotti a due pezzi di carbone bruciacchiato, con grande sollievo del piccolo eroe (peccato che fuori dal film le cose stessero andando diversamente e i suoi coetanei si preparassero a surclassare di gran lunga l'idiozia e la superficialità dei loro genitori). Dopo di allora Gilliam ha diretto diverse pellicole affascinanti ed inconsistenti come le fiabe a cui sovente si ispira, ma il suo film più appassionante è stato girato non da lui ma su di lui. E' il documentario Lost In La Mancha (Keith Fulton e Louis Pepe, 2001) che segue passo a passo la mancata realizzazione del film di Gilliam su Don Chisciotte, ostacolata da ogni sorta di catastrofi, dalle emorroidi che impediscono al protagonista Jean Rochefort di montare in sella a Ronzinante sino al diluvio di acqua e fango che distrugge irrimediabilmente il set. Cittadino del mondo e artista assolutamente indipendente, piacciano o non piacciano le sue opere, Gilliam non è più un cineasta ma un autentico mito.

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“guarda, Tacconi, lassù mi hanno ridotto che a fatica mi difendo, lassù se caschi per terra nessuno ti raccatta, la forza che ho mi basta appena per non farmi mangiare dalle formiche, se riesco a campare, credi pure che la vita è agra, lassù.” Forse è così anche per voi: quando eravamo più giovani era più facile entusiasmarsi per un libro, c'erano libri che ti davano la certezza che ti avrebbero cambiato la vita, o quanto meno te l'avrebbero spiegata, te l'avrebbero fatta guardare in un modo nuovo, da prospettive inaspettate. Poi, forse è una cosa dovuta all'età, al fatto che uno crede magari di sapere già tutto, cosa vuole, cosa cerca, ed è meno disponibile a fidarsi e affidarsi a qualcosa di nuovo, libro ma anche persona o evento che sia; comunque uno trova libri che alla fine anche gli piacciono, ma riuscire a provare quell'entusiasmo diventa una rarità. Per cui sono contento questa volta di raccontare l'incontro con "La vita agra" di Luciano Bianciardi. Il libro è uscito nel 1962 ed è il romanzo più famoso di Bianciardi. La storia parte da un fatto reale, il disastro della minera della Ribolla, in Maremma dove, per una esplosione morirono 43 minatori. L'esplosione non era stata per nulla una fatalità, ma era conseguenza del considerare come fine solo il profitto, subordinando a questo il rispetto della dignità e della vita delle persone. Dalla rabbia causata da questo fatto nasce il progetto del protagonista di andare a Milano per compiere un gesto di vendetta contro la sede della Montecatini (il Torracchione), proprietaria della miniera, dove continuano a sedere tranquilli i responsabili del disastro.Ma non sarà così, sarà Milano a vincere, a fargli a poco a poco dimenticare non solo il suo obbiettivo diretto, ma anche gli ideali, i desideri; tutta la sua umanità viene risucchiata dall'ambiente ostile e falso della metropoli. Non si salva nessuno: l'ambiente culturale, le case editrici, i partiti, la gente, i supermercati... Quello che abbiamo detto e pensato su una realtà economica e sociale che porta sempre più a distruggere l'umano in noi, qui è già colto e raccontato; quello che abbiamo detto e pensato su una politica di cui resta solo il “far carriera” qui è già spiegato e analizzato. Il libro è terribile, anche se non sembra, perchè raccontato sempre con l'ironia, il sarcasmo feroce che era un po' la caratteristica dell'autore, ma è una lenta caduta verso l'autodistruzione, che sarà poi il vero destino di Bianciardi, ucciso dalla depressione e dall'alcool a soli quarantanove anni. Fine in certo modo già prevista nell'epilogo del romanzo: “Poi il sonno è già arrivato e per sei ore io non ci sono più.”Analisi del romanzo ne potete trovare sicuramente più profonde di

quelle che posso offrire io. Ma c'è una cosa nel libro che mi preme sottolineare e che mi commuove; sono solo alcune righe qua e là, quelle poche righe dove entra in scena l'amico spazzino Tacconi Otello. Tra l'altro Tacconi Otello, come gli altri personaggi, è una persona reale, effettivamente esistita, ma è l'unico nel romanzo a conservare il suo nome vero, mentre gli altri, compresi quelli che dovrebbero essere più importanti, come le sue compagne, avranno nomi di fantasia. Tra l'altro questo causò anche una denuncia a Bianciardi dal parte del vero Tacconi Otello, che non gradì di essere indicato, anche solo nella finzione letteraria, come mandante di un atto terroristico.Tacconi Otello non dice neanche una parola nel romanzo, solamente c'è, ma è come se per Bianciardi rappresentasse l'ideale di uomo, non l'idea astratta, ma come se con lui avesse incontrato un uomo vero, una persona vera, come deve essere, non uno di quei tanti finti e di plastica a cui siamo, e certo era così già all'uscita di questo romanzo, ridotti. La sua missione in città è in qualche modo concepita per diventare degno di questa umanità, per essere come lui. Bianciardi ci svela un meccanismo fondamentale dell'essere uomini: non sono le idee che ci affascinano, non ci si innamora delle idee, alla base ci sono sempre delle persone ed alcune di queste in particolare ci rivelano gli ideali da raggiungere, ed in qualche modo sentiamo di doverle seguire per essere veramente noi stessi. A Milano cercherà sempre, ma inutilmente, persone come lui. E così il suo fallimento è come un tradimento verso questo ideale di umanità.

Non so perchè, ma questa mi sembra la cosa fondamentale del romanzo; non è l'aspetto politico, la denuncia sociale, anche se le analisi sono sorprendentemente vive ed attuali, è come se ci dicesse che non si può ridurre tutto alle teorie o alle analisi, ma solo essendo veramente uomini si può anche combattere le ingiustizie.

LA VITA AGRA di Oisin Mac Finn

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E' proprio vero che tante cose le si capisce e le si apprezza appieno solo col raggiungimento dell'età matura. Tiramolla, per esempio. Tiramolla è stato uno degli eroi della mia infanzia; personaggio dei fumetti tutto italiano, aveva un aspetto singolare: in capo portava un cilindro un po' sformato; la testa, le mani e i piedi, per quanto molto pupazzettosi, erano abbastanza verosimili, mentre il tronco e gli arti erano sottili asticelle nere che all'occasione si allungavano, si accorciavano, si dilatavano e si deformavano all'inverosimile (e questo - glie ne va dato atto - parecchi anni prima che Reed Richards dei Fantastici Quattro acquisisse un analogo superpotere). Negli anni Cinquanta Tiramolla funge da comprimario nelle avventure di Cucciolo e Beppe, due tontoloni ricalcati sulle coppie comiche del cinema dell'epoca e in particolare su quella formata da Raimondo Vianello e dal mai troppo compianto Ugo Tognazzi. Agli inizi dei Sessanta il personaggio si evolve e diventa Mister Tiramolla, un miliardario che abita in una villetta ultramoderna e che ha una sola passione nella vita: dormire. Tiramolla dormirebbe in continuazione ma ogni volta arriva un rompiscatole, amico o nemico non fa differenza, e lo costringe a svegliarsi; il Nostro dapprima si infuria ma poi, a forza di allungarsi, accorciarsi, gonfiarsi e sgonfiarsi rimette le cose a posto e torna a dormire, perlomeno sino a quando non si farà vivo un nuovo scocciatore. Quand'ero bambino tutto ciò mi sembrava nient'altro che una simpatica bizzarrìa, ma col passare degli anni e con l'accumularsi dell'esperienza sono arrivato pian piano a rendermi conto che Mister Tiramolla aveva capito tutto: di fronte alla totale insensatezza dell'esistenza, la parte migliore e più preziosa della nostra vita è quella che trascorriamo dormendo. Nel quadro generale dell’Evoluzione il sonno è un fenomeno abbastanza enigmatico. Non pare possa essere assimilata al sonno quella sospensione delle normali attività che si verifica nei vegetali quando ne vengono a mancare le condizioni esterne, ad esempio col buio o con l’inverno o con la siccità. Per quanto riguarda gli animali, invece, pare assodato che la stragrande maggioranza di essi, pesci ed insetti compresi, si riposi con una periodicità piuttosto regolare, ma non è per niente chiaro fino a che punto si tratti effettivamente di sonno. Persino gli abbiocchi dei grandi erbivori, che continuano a ruminare anche dormendo (magari ad occhi aperti, come accade per alcune specie) pare non abbiano molto a che fare con quel bel dormire di cui possiamo godere noi umani ma anche, per dire, i nostri amici cani e gatti. In effetti, se pensiamo alle mandrie di ruminanti viene spontaneo paragonarli a quei robot tosaerba che reclamizzano in televisione; al contrario, di fronte alla personalità estrosa ed imprevedibile di tanti gatti, o alla mentalità militaresca e feudale dei cani, è quasi inevitabile immaginarseli che interagiscono alla pari con gli umani come nelle fiabe. Questi, ovviamente, sono svolazzi di fantasia però è vero che un bel sonno profondo ed indisturbato è prerogativa di quelle specie che non sono particolarmente minacciate dai predatori: un leone può farsi la siesta a pancia all'aria in pieno giorno ma una gazzella dormigliona è spacciata in partenza. Col che non bisogna tuttavia pensare che se fosse posta in condizioni di relativa sicurezza la gazzella se la dormirebbe della grossa; la differenza è fisiologica, e difatti anche i ruminanti che vivono in cattività dormono poco e male (perlomeno secondo i nostri criteri). Diversi autori hanno evidenziato le relazioni dirette che esistono tra la morfologia del cervello e le varie fasi che si possono distinguere nel sonno; questo ci dice che anche il sonno ha avuto la sua trafila evolutiva, ed è lecito pensare che un sonno come dio comanda rappresenti un'acquisizione piuttosto recente, il che, se fosse vero, significherebbe probabilmente che è una conquista recente anche la faccia opposta della medaglia, e cioè uno stato di veglia nettamente distinto dal sonno e via via sempre più cosciente e svincolato da quella sorta di sonnambulismo che sono i comportamenti istintivi, retaggio del nostro passato di molecole sottoposte a reazioni chimiche ineludibili. In altre parole, potrebbe essere stata proprio la sopravvenuta capacità di dormire beatamente a schiudere la porta ad una sempre crescente coscienza di sè, delle proprie risorse e della propria capacità di sopravvivere ed affermarsi (e non a caso tra gli animali che dormono più saporitamente ci sono anche i piccoli roditori, svelti ed ingegnosi), fino ad una piena consapevolezza della propria individualità. L'Evoluzione, si

TENETEVI I VOSTRI DEI E LASCIATEMI TIRAMOLLAdi Guido Giacomone

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sa, le prova tutte e poi sta a vedere cosa succede (alla faccia dell'Egoismo del Gene e del Disegno Intelligente) e questo benedetto Sè cosciente, lungi dall'essere quel dono del Cielo che alcuni pretenderebbero fosse, si è rivelato fin da subito una rogna colossale, in quanto irrinunciabilmente accessoriato della capacità di recriminare. Da Edipo che si cava gli occhi quando si rende conto del casino che ha combinato, fino a Leopardi che sospira al Vesuvio sterminatore mentre si ingozza di gelati, tutta quanta la schiera dei secoli è percorsa da un'ininterrotta litanìa di maledizioni scagliate contro il giorno natìo. E da sempre c'è stato chi non contento di sfogarsi a parole ha cercato il modo di sbarazzarsi di quell'angoscia dell'esistere che a mo' di avvoltoio sta appollaiata sulla spalla di ciascuno di noi umani. Quel che mi sconcerta, però, è il fatto che tutti questi mistici, asceti, santoni e maestri di ogni fede e di ogni disciplina si siano affannati sin dalla notte dei tempi a martoriare se stessi e i propri discepoli e seguaci con ogni sorta di supplizi fisici e mentali quando è così semplice chiudere gli occhi ed arrendersi al sonno per essere condotti al cospetto di quell'immane flusso di energia che anima ogni forma di esistenza nell'universo, come ci insegna il Maestro Tiramolla.

Credo sia difficile trovare due paesi così vicini fisicamente e allo stesso tempo così lontani e così diversi come Parona e Cilavegna, due centri abitati che distano tra loro il proverbiale tiro di schioppo, ma che per secoli hanno fatto parte di entità amministrative differenti e per qualche decennio addirittura di stati diversi. L'aneddotica antica e moderna riguardante i due paesi è piuttosto ricca ma io vorrei richiamare la vostra attenzione su di una particolarità abbastanza singolare. A Cilavegna come a Parona si gioca a Briscola, e si utilizza lo stesso mazzo da quaranta carte, il cosiddetto mazzo Milanese. Però le regole del gioco sono leggermente diverse: se a Cilavegna - come del resto in tutta Italia - i Carichi, cioè le carte più forti e di maggior valore, sono i Tre e gli Assi, a Parona (ma anche in qualche altro paese della Lomellina centrale e meridionale) a fungere da carichi sono gli Assi e i Sette. Come è noto, giocando a Briscola a coppie i soci possono parlare, cioè scambiarsi apertamente indicazioni e suggerimenti e trovandovi in un bar di Cilavegna vi potrebbe capitare di sentire un giocatore convinto di avere la presa sicura ordinare al compagno : "Dammi un Carico !" e l'altro - che il Carico non ce l'ha - rispondergli : "Ti do un Carico di Parona !" per poi mettere in tavola un Sette,

che a Cilavegna è carta di scarsa forza e di nessun valore. Gli avversari ridacchiano compiaciuti e la cosa finisce lì. Dietro a questa scenetta c'è una vicenda storica piuttosto complessa che mi piacerebbe provare a ricostruire insieme a voi.

LO STRANO CASO DEL CARICO DI PARONA

Sebbene si sia ormai da lungo tempo italianizzata, la Briscola è un gioco (o per meglio dire, una famiglia di giochi) originaria dell'Europa settentrionale. Nella Briscola all'italiana, che si gioca col mazzo da quaranta carte di origine spagnola e che si presenta sfrondata delle mille complicazioni che caratterizzano le sue sorelle d'oltralpe, la gerarchia di forza e quella di valore sono coincidenti: la carta più forte è l'Asso,

seguito dal Tre (i Carichi); vengono poi il Re, il Cavallo (o la Donna), il Fante ed infine le altre numerali in ordine decrescente. L'asso vale undici punti, il tre ne vale dieci, le figure valgono pochi punti, le altre numerali non valgono nulla. Sino a qualche decennio fa, in Piemonte si giocava a carte (non soltanto a Briscola, ma a tutti i giochi) con un mazzo di tipo francese che contava trentasei pezzi anzichè quaranta. Questo mazzo è ancora in produzione ma credo che lo si possa legittimamente considerare estinto giacchè il grande successo del gioco della Scopa lo ha progressivamente confinato entro ambiti sempre più marginali, imponendo al suo posto il mazzo da quaranta carte, senza il quale a Scopa non si può giocare. Il mazzo da trentasei possiede infatti gli Assi e le figure ma le altre numerali vanno dal Sei al Dieci, e con una composizione siffatta le addizioni tra carte su cui si basa il meccanismo del gioco della Scopa non si possono fare. Nella Briscola alla piemontese giocata col mazzo da trentasei a far da Carichi erano l'Asso e il Dieci, conformemente all'uso dell'Europa centrale e settentrionale. Nel mazzo tradizionale a trentasei carte della Svizzera Tedesca (il

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cosiddetto Jass) gli Assi e i Dieci sono carte speciali; non hanno gli indici numerici e quindi ci si attende che il giocatore le riconosca immediatamente per il loro particolare aspetto: il Dieci è una bandiera, cioè l'insegna rappresentativa del proprio seme, mentre l'Asso esibisce una coppia di simboli del seme vistosamente decorata. In effetti c'è chi interpreta questa carta come un Due, e legittimamente: il Jass ha infatti un fratello maggiore per dimensioni ma anche per età - il Kaiserjass - composto da quarantotto pezzi, praticamente un mazzo da cinquantadue nel quale l'Asso e il Due di ogni seme si sono fusi in una carta sola, chiamata Daus. Jass e Kaiserjass discendono da mazzi tedeschi davvero antichissimi, e in tutta franchezza non saprei dire se le carte di cui si parla sono diventate così appariscenti in quanto particolarmente forti e pregiate o se, all'inverso, abbiano acquistato in forza e in pregio in quanto erano così appariscenti. Una delle due ipotesi è comunque senz'altro veritiera e in ogni caso è evidente che in questo tipo di mazzi l'Asso (o quel che è) e il Dieci hanno abbandonato la schiera anonima delle numerali per trasformarsi in emblemi fortemente simbolici. Nella Briscola alla piemontese, che è giocata con un prosaico mazzo a semi francesi, l'Asso e il Dieci, pur essendo le carte più forti e pregiate, non sono abbellite da inutili fronzoli e si lasciano riconoscere per quello che effettivamente sono, e cioè la più bassa e la più alta tra le numerali di un mazzo da trentasei carte. Ora, sebbene il mazzo utilizzato sia quello da quaranta anzichè da trentasei, a Parona e in qualche altro paesetto della Lomellina si continua a giocare a Briscola usando come Carichi la numerale più alta e la più bassa - vale a dire il Sette e l'Asso - alla maniera di Francia o di Piemonte che dir si voglia. Detto questo, potremmo anche chiudere la pratica e avremmo fatto la nostra bella figura con poca fatica, però il caso resterebbe risolto soltanto a metà giacchè non avremmo chiarito perchè mai a Cilavegna, e cioè a tre soli chilometri di distanza, questo modo di giocare appaia stravagante e susciti dileggio. Premesso che sto tirando a indovinare, vi chiedo di portare pazienza se la prendo un po' alla larga. Dobbiamo tenere presente che fino agli inizi del Settecento tanto Cilavegna come Parona erano comprese nei territori del Milanese, pur appartenendo a due distinte circoscrizioni amministrative: Parona, insieme con la Lomellina, faceva parte del

Principato di Pavia mentre Cilavegna rientrava nel Contado di Vigevano, una fascia composta da una manciata di comuni che si frapponeva tra Lomellina e Novarese. Tra il 1713 e il 1714, con i trattati di Utrecht e di Rastad, il Milanese passa dalla Spagna all'Austria ma la Lomellina - Parona compresa - viene ceduta a Vittorio Amedeo II di Savoia, momentaneo Re di Sicilia e futuro Re di Sardegna. Cilavegna e il Vigevanasco resteranno invece possesso austriaco sino al 1748, quando entreranno anch'essi a far parte dei domini sabaudi. E' probabile che la soluzione del nostro problema sia

nascosta in quei trentacinque anni durante i quali tra Parona e Cilavegna correva un confine di stato. Essendo soggetti ad imposta e necessitando di un buon grado di specializzazione da parte dei tipografi che li producevano, i mazzi di carte si prestavano bene all'esercizio di forme di protezionismo e conseguentemente di colonialismo culturale e di costume, ed è verosimile che dopo l'annessione al Piemonte del 1714 la Lomellina, volente o nolente, si sia adeguata in materia di svaghi alla moda di Torino adottando passatempi per così dire esotici, tra i quali il gioco della Briscola, che immagino dovesse rappresentare una autentica novità, visto che la si giocava ancora alla maniera d'oltralpe, usando come Carichi la numerale più alta e la più bassa. A metà del secolo, quando Parona e Cilavegna tornavano sotto un'unica bandiera, il gioco doveva ormai essersi già affermato nella sua versione

italianizzata, che comportava l'uso del mazzo da quaranta carte, e a praticarlo alla vecchia maniera restavano drappelli via via sempre più sparuti di giocatori confinati nei paesetti fuori mano della Lomellina. O almeno così credo.

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Danut Gradinaru

Canto del colibrì

Non mi lasciare tutta solapersa nel labirinto delle speranzechiusa dentro in questa gabbia soffocanteche mi brucia lentamente ogni desiderio.La natura è viva.Cresce.Illumina d'intensoe parla parla sempredi un vecchio amore inseparabile.E' da li che inizia la sua musica cristallinain un ritmo inconfondibile; col suono del ventonelle lacrime di pioggiacon l'aria fresca e invisibilepiena di fascinoricca di fantasiache solleva il pensierocon le sue carezze divine.Non lasciarmi qui, prigionieracome un granello di sabbiache scorre sempre trascuratonella solita clessidra del tempo.Sono nata per volaree portare il mio cantoverso la pacecon passione.Li è tutta la mia libertà, la nostra,la libertà di tutti noi.E' vita

Arahas

Tu che mantieni meravigliosi segreti, parole bollenti di sabbie mobili. Tu che ascolti con pazienzagiorno e notte il battito del tempo.Tu che respiri la fiamma della lucee chiudi nel silenzio il buio ghiacciato; tu che aspetti sempre tranquilloe non ti spaventa la follia del vento...

Con l'anima coperta di un vecchio passatoe gli occhi aperti in un immobile tormentocerchi nella profondità del peso sbilanciato guardando verso un vasto desertonascosto tra le dune rosse di sabbialontano lontano...un immenso mare blu.

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Segreti

Tutti hanno dei segretisegreti più o meno serisegreti di cui di cui si vuole tenere gli altri all'oscuroforse per paura o forse per orgoglioma a volte alcuni segreti diventano cosìevidentida non poter essere segreti a lungo.Io, comunque, non sono l'unica a custodireun segreto:anche dietro una faccia puritanao dietro un approccio ribelle e provocatoriooppure ancora dietro una semplice e serena vitasi nascondono invece realtà molto complicatemolto più complessedi come una persona adultapotrebbe immaginare.

Domani

Il domani è nuova alleanzadomani è una speranzadomani è utile, è un'unionedomani è una limitazionedomani è un emozionedomani è una nuova sensazionedomani è lontanolo seguirai mano a mano domani è ancora da raggiungeretu non sai mai quando potrebbe giungeredomani è un'ironia della sortedomani è alle portee non sai mai quando potrebbe bussareed è li che capirai cosa è meglio fare.Domani è distantesarà perchè io diventerò più grande.

Quel maledetto giorno

Quel maledetto giornorosso di sangue innocente, che travestì la Luna,allontanò il Solee coprì il Cielo con le sue ombre,quella rabbia ciecache fulminò il tranquillo silenzioin una pioggia devastante di fuoco ardenteseminando con crudeltà il dolore pesante inaspettata assurdità e lutto imperdonabile...E' indimenticabile.

Nidi materni distrutti. Speranze frantumate in voli angelicie ali bianche di luci solitarie; allontanate passeri!Il vostro canto è evangelico.

Onde di sabbia ormeggiate nel tempodi un mare rosso dispersoe molto salatoche brucia brucia ancorasulle labra e nel pensiero; sono lacrime che non si estinguono, i cristalli chiari trasparentiche riflettono un passato mai sepolto...

Maledetto quel giornoin cui la sete ha chiesto un'altra sete.Chi lo sa? sembravano delle strepitose meravigliedei bellissimi fiori profumatistelle splendentio raggi di sole

Anxh

ela

Tafa

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Mi chiamo Anxhela Tafa ed ho quasi quindici anni. Sono nata in Albania l'8 Aprile 1995, ma vivo da oltre dieci anni in Italia, che considero sempre e comunque la mia casa. Abito a Borgolavezzaro in provincia di Novara. Ho un aspirazione particolare per la scrittura, ho quasi sempre raggiunto il massimo dei voti in italiano, mi piace scrivere storie, poesie, in rima o senza, fare riflessioni riguardo a ciò che penso, o che mi circonda. Per me scrivere non è una semplice passione, io sogno un futuro da scrittrice. Scrivere, però non è il mio unico sogno nel cassetto; la lista comprende anche diventare un'attrice. Amo la recitazione! Forse perchè ho cominciato a recitare fin da piccola; ho inziato a recitare a scuola, certo piccole parti durante la recita scolastica, ma per me si sono rivelate veramente importanti, anche per crescere artisticamente.

Stella nascente

Questa è la storia di una ragazza ed il suo sogno. Una mattina si svegliò e non possedeva più niente di ciò che era suo. Il periodo della fama produce sorrisi, ma non li protegge. Crede di essere arrivata verso il traguardo ed invece non ha la minima idea della lunga strada che deve compiere per arrivare verso il record. Ed il mondo che ne pensa? Già il mondo... Non c'è più solo lei ed i suoi amici più stretti, deve dividere i suoi segreti con persone che non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere. Il mondo... Anch'io avrei delle domande da fare, ma non so quando avrà tempo di rispondermi: ma, spiegami che è accaduto? Ti ricordi chi eri prima? tutto questo è strano; perchè è capitato propio a te? E' il make up che la protegge dalla verità di un mondo diverso, molto diverso dal suo. Ama la recitazione: è il vero sogno di questa ragazza. Gli altri vedendola, dicono: WOW... che fortuna! Sarà l'erede di chissà quale famosa attrice, magari di Cameron Diaz o ancora di più, di Katie Holmes!!! Vero è che non capiscono che lei non vuole essere clone,

vorrebbe avere un nome tutto suo, non ha bisogno di essere paragonata a nessun'altra. Ma allora perchè fa tutto questo visto che non è proprio quello che immaginava di aspettarsi? Ed il mondo non può fare altro che applaudire, senza capire quali sono i tuoi pregi, perchè non si confida con qualcuno? Forse perchè quel qualcuno potrebbe essere chiunque e nessuno è in grado di fare la domanda giusta al momento giusto: perchè continua in questo modo? Ok, stella nascente, stop ai sogni e pensa ai vantaggi di una vita normale accanto a persone normali, ben diverse da quelle che ha conosciuto fino ad ora, lei conosce la dura verità? Ha fatto un film, è l'unica parte di lei che la gente ama. Continua a fare tutto questo inutilmente, ma tanto ha capito che, in fin dei conti, non è quello che esattamente voleva. "Lei, lei lei" E' la vincitrice è: lei!Alla domanda: "perchè fai tutto questo?" Lei mi ha risposto:" tutti abbiamo il nostro talento, il mio è stare sotto i riflettori".

Sei tu

Sei piena di sogni e fantasiasei un'instancabile forma di energiasei come un portafortuna da cui sbuca un sorriso luminososei un regalo cosi prezioneche non ti vorrei mai perdere di vistahai un anima che non sbaglia, che conquista.Anche se a volte mi lamento e non mi piacciotu sei sempre qui a dirmi che devo aver più fiducia in ciò che facciosei una qualità inconfondibile della vitasono sicura che sarai sempre la mia preferitami accompagni in un mondo pieno d'amoreti giuro che sono sincero, sono vere parole.sei un'amica che non saprei come sostituirecioè...Sei perfetta. Non ho niente da ridere!

Page 20: Esteban n.7

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Ho fermato l’auto dopo aver lasciato la città e aver percorso risaie a non finire, qualche bosco e poi qualche strada sterrata.Qui c’è uno spiazzo, fermo e proseguo a piedi, non si può fare altro, la strada non si vede più.Che posto particolare… si vede una recinzione metallica lunga, lunga e un po’ sconnessa. Però! Non se ne vede la fine; al di là c’è solo la vegetazione incolta, gli ärbason, non c’è un’anima in giro.Ma che senso ha una cosa così? Niente case, né animali, nessun rumore, niente coltivazioni. Chi può aver messo una roba così? Cosa doveva difendere? Mah?... La seguirò per un po’ chissà che non trovi il bandolo della matassa.Però … è difficile camminare qui: il sentiero non c’è più, i campi sono tutto un saliscendi, il posto più piano è proprio vicino ai pali della rete, ma non è certo comodo.È un quarto d’ora che cammino e non cambia nulla.Toh! Adesso vedo degli alberi grandi, un bosco scuro e, mentre mi avvicino, vedo che la rete piega ad angolo. Intanto continua il silenzio: anche qui che c’è il bosco, possibile non ci sia un animale?Arrivo all’angolo, svolto a destra, proseguo e cosa vedo? Un lago! Un bel lago grande col bosco intorno e le scarpate che scendono. È bello, però sulle rive non ci sono colori, nemmeno un fiore, eppure siamo in tarda primavera. L’acqua è un po’ mossa, è anche molto verde, sembra artificiale.Mi piacerebbe andare giù verso l’acqua, ma non è possibile, non c’è neanche un sentierino. Beh mi guarderò in giro. Ed ecco alla sinistra appaiono delle collinette; mi avvicino: sono proprio belle, di colori diversi, rosso, ocra,

azzurro (AZZURRO???), verdino. Che bel posto tutto colorato, direi psichedelico! Qui si può passare, ci vado in mezzo, mi sembra di essere in una fiaba.E qui? Guarda, guarda, c’è una specie di spaccatura nel terreno e poco più in là una specie di sentiero, o una scala. Ok, scendo e… ma è ancora meglio di prima! È un lungo, piccolo canyon con sul fondo un piccolo torrente e l’acqua è dello stesso strano verde del lago. Peccato non avere la macchina fotografica, perché è uno spettacolo, visto che le pareti sono a strisce orizzontali più o meno spesse e dei soliti colori verdino, rosso, azzurro, ma qui anche giallo, nero e blu cobalto! Che atmosfera incantata!Ma in fondo, laggiù, vedo una macchia bianca (oh è praticamente l’unico colore che mancava) e mi sembra che si muova anche! Finalmente qualcosa di vivo in questo posto magico.Chissà che animale è, vado a vedere; ma se mi avvicino si spaventerà e scapperà?Vabbè provo lo stesso.Caspita, ho fatto troppo rumore e la macchia si muove all’improvviso. Però. Incredibile, non fugge, anzi, si ingrandisce e si gira. Oddio, un umano qui, ma che sorpresa, chissà perché stava piegato a terra.E adesso che sono vicina vedo bene: appare F con una tuta bianca e occhiali tipo maschera da sub.Mi guarda appena e mi apostrofa immediatamente: “Ah, finalmente sei arrivata! … Senti un po’, ma dobbiamo prelevare separatamente proprio tutti sti colori diversi in questo postaccio? Che perdita di tempo e fatica, si capisce a prima vista che è tutto contaminato. Che faccio?”

Anna Mara nel paese delle meravigliedi Anna Livraga