"Nugae" n.7

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“Nugae - scritti autografi” ANNO II - N.7 - Ottobre/Dicembre 2005

Rivista letteraria trimestrale autogestita.

Organo ufficiale dell’ Associazione Culturale “Nugae”

Presidente: Fabio De Santis

Sede legale: via G. Guinizelli, 14 Sc. A-22

84091 - Battipaglia (Sa)

Direttore responsabile: Alfonso Amato

Direzione, Redazione, Amministrazione:

via G. Guinizelli, 14 Sc. A-22 84091 - Battipaglia

e-mail :

Redazione:

Luigi Carbone; Vito Cerullo; Fabio De Santis; Antonia di Dario; Stefania Maccari; Paola Magaldi;

Michele Nigro.

Responsabile Redazione Modena:

Fabio De Santis cell. 347-3098430

[email protected]

Responsabile Redazione Roma (Teatro Fàrà Nume):

Stefania Maccari tel. 06.56.12.207

[email protected]

Responsabile Redazione Napoli:

Luigi Carbone cell. 340-3471755

[email protected]

Responsabile Redazione Battipaglia:

Michele Nigro cell. 333-5297260

[email protected]

Pubblicità: Paola Magaldi cell. 335-8384148

Tesoriere: Salvatore Colitti cell. 338-2025760

Stampa: Centro copie “Duc@s”

via E. De Nicola, 24 - Battipaglia

Registrazione del Tribunale di Salerno:

N° 20 del 28/Giugno/2004

Editore: “Associazione culturale Nugae”

Spedizione in Abbonamento Postale. TABELLA D Autorizzazione DCB/ SA/088/2005 Valida dal 16/05/2005

Chiuso in Redazione: 11 Ottobre 2005

Norme per la collaborazione: la collaborazione è aperta a tutti, esordienti e scrittori editi.Gli elaborati possono essere inviati, al fine di essere valutati ed eventual-mente pubblicati, secondo le modalità di seguito riporta-te:

1)come allegati, in formato word, tramite e-mail all’in-dirizzo di posta elettronica:

[email protected] 2)utilizzando la posta ordinaria (si consiglia Raccoman-data con ricevuta) inviando i plichi all’indirizzo della Redazione:

“Associazione Nugae” c/o Michele Nigro

via G. Guinizelli n.14 Sc.A-22 84091 Battipaglia (Sa)

3)consegnando i lavori direttamente ai Responsabili di zona presso le sedi distaccate di Modena, Napoli e Roma (vedi recapiti).

I lavori devono essere nitidamente dattiloscritti e fir-mati, ove non fosse possibile l’invio (decisamente prefe-ribile) di floppy disk o cd-r contenenti i testi in for-mato word. Non saranno prese in alcuna considerazione per la pubblicazione, per ovvi motivi pratici e per preser-varle da possibili errate interpretazioni, le opere cal-ligrafiche, indipendentemente dal loro indubbio valore umano e letterario. I testi (escluso in casi particolari individuati dalla Redazione) non dovranno superare la lunghezza di 8 cartelle. Le sillogi corpose (previo con-senso dell’Autore) saranno suddivise in “sottosillogi” e queste ultime pubblicate su numeri consecutivi della ri-vista. La stessa regola verrà applicata ai racconti lun-ghi, ai saggi e ai romanzi utilizzando una suddivisione in “puntate” degli stessi, concordata con gli Autori e che ne rispetti (nei limiti del possibile) l’eventuale capitolato originario. La Redazione non restituirà il materiale pervenuto presso la sede del periodico. Si av-vale, inoltre, della prerogativa di non pubblicare gli elaborati ritenuti inidonei. Condividere con gli Autori le motivazioni della non pubblicazione dei testi non fa parte degli obblighi redazionali. Tuttavia ogni richiesta di chiarimenti sarà da noi gradita in quanto costituisce reciproca occasione di crescita umana e letteraria. La riproduzione, anche parziale, della presente rivista, è consentita solo ed esclusivamente dietro autorizzazione scritta della Direzione e con la citazione della fonte (ciò vale anche per la pubblicazione su supporti tele-informatici quali siti web… ecc.) Gli organizzatori di premi letterari, rassegne o eventi culturali letterari che vorranno pubblicizzare i bandi/programmi, tenendo conto che i mesi di pubblicazione del presente periodico sono Gennaio, Aprile, Luglio, Ottobre, dovranno far per-venire i testi dei bandi/programmi entro e non oltre l’ultimo giorno del mese precedente al mese d’uscita. La stessa regola vige (l’alternativa è rappresentata dalla posticipazione dell’eventuale pubblicazione) per quanto riguarda l’invio di scritti in qualità di libero collabo-ratore (saltuario o continuo). La Redazione si avvale comunque, a prescindere dal rispetto delle suddette sca-denze, della prerogativa di rimandare la pubblicazione per motivi differenti: sopraggiunta saturazione del nume-ro; incoerenza dei contenuti per i numeri cosiddetti “a tema”; precedenza di pubblicazione per i lavori “a punta-te” ecc. La Redazione, dopo attenta e scrupolosa analisi dei testi ricevuti, avvertirà gli Autori prescelti per la pubblicazione tramite i canali comunicativi attivati da-gli Autori stessi. Gli articoli, i racconti e le liriche riflettono le opinioni dei loro Autori, che di essi ri-sponderanno direttamente di fronte alla Legge. Gli scrit-ti inviati dovranno essere inediti e accompagnati dalla seguente dichiarazione: “LO SCRITTO INVIATO E’ UN MIO PERSONALE LAVORO E NON E’ MAI STATO PUBBLICATO”. Gli scritti pubblicati e inediti sono di esclusiva proprietà degli Autori e fa fede la data di pubblicazione sul pre-sente periodico. I lavori degli Autori editi, invece, dovranno essere accompagnati da apposita autorizzazione rilasciata dall’Editore di origine. Sono gradite le note bio-bibliografiche (con o senza foto) di chiunque colla-bori per la prima volta con il periodico. Il Foro di Salerno è competente per eventuali controver-sie.

In copertina:

Foto e grafica di Michele Nigro

Titolo: “Punti di vista”

“… angolo verticalmente appuntito di Battipaglia dalla finestra della

Redazione di “Nugae”; visuale Ovest-Nord-Ovest. Inizio trasmissioni …!”

[email protected]

Copertine arretrati

Numero 0 Numero 1 Numero 2 Numero 3 Numero 4 Numero 5 Numero 6

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CONTRIBUTO ANNUALE STAMPA

(4 numeri)

Tipologia contributi:

ORDINARIO ————————————————- € 15,00

SOSTENITORE ——–———————————- € 30,00

BENEMERITO ———————————————- € 50,00

ARRETRATI(1 copia)————————- € 5,00

ANNATA ARRETRATA —————————- € 20,00

Il versamento del contributo può essere effettuato:

1)inviando i contanti in busta chiusa e tramite posta prio-ritaria (includendo l’indirizzo civico - comprensivo di C.A.P. - presso cui si desidera ricevere il periodico)al seguente indirizzo:

“Associazione Nugae”

c/o Michele Nigro

Via G. Guinizelli n.14 Sc.A-22

84091 Battipaglia (Sa)

2)versando la quota prescelta sul Conto Corrente n.49914047 intestato a Nigro Michele, via Guinizelli n.14-84091 Batti-paglia (Sa); specificando nella causale: <<contributo an-nuale stampa NUGAE - SCRITTI AUTOGRAFI>> o <<richiesta ar-retrati:copia/e…del/i numero/i…anno…>>

3)inviando un assegno o un vaglia al summenzionato recapi-to.

Qualunque sia la vs. modalità di versamento, Vi consigliamo di comunicare al più presto il tipo di contribuzione scelta (specificando l’INDIRIZZO CIVICO utile per effettuare il servizio di spedizione) utilizzando il seguente indirizzo e-mail: [email protected]

Per ulteriori informazioni: 333-5297260

LA SCADENZA DELL’ANNUALITA’ VERRA’ COMUNICATA TRAMITE APPO-SITO AVVISO PERSONALIZZATO INCLUSO NELLA SPEDIZIONE DEL-L’ULTIMO NUMERO.

PUNTI VENDITA

“NUGAE - scritti autografi”

§§§

Libreria Mondadori

Via Mazzini, 31— 84091 Battipaglia (SA)

Edicola Di Benedetto

Piazza Amendola - Battipaglia (Sa)

Libreria Baol

Via Rocco Cocchia,12(zona Pastena)Salerno

Libreria Treves

Via Toledo, 249/250 — 80132 Napoli

Libreria “Il pavone nero” di Evelina Pavone

Via Luca Giordano 10/A – 80127 Napoli

Libreria

“Associazione culturale Porta Saragozza”

Via Saragozza 112 - Modena

SOMMARIO PAG.

L’EDITORIALE M. Nigro 2

IL LABORATORIO: “Anatomia di un saggio” V. Cerullo 3

Poesie: “Parole con il bacio” (parte seconda) G. Proietti 5

SPAZIO NUGAE: “Il teatro delle emozioni” P. Perelli 7

RACCONTINANI 10

“Frammento teatrale” T. Castellani 13

Poesia: “L’orafo e l’inceneritore” L. Carbone 14

“La lunga decadenza dell’occidente” A. Piccolomini 15

LA RECENSIONE: “Il mondo sommerso” di J.G. Ballard M. Nigro 23

“Lo shock culturale della scienza e la fantascienza” A. Scacco 26

“Genesi rossa” M. Nigro 34

riVISTE: “Il saggio” M. Nigro 38

SOTTO IL PORTICO 39

CONTROEDICOLA 4ª

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Due, direi, sono gli aspetti salienti di questo numero che ha il compito, tra le altre cose, di chiu-dere il secondo anno di pubblicazione di una rivista nata come semplice foglio letterario: un prepotente contenuto saggistico e nuove forme di collaborazione redazionale all’-orizzonte …

Le “schede” de “IL LABORATORIO”, una neorubrica concepita l’estate scorsa come ricorderete dall’editoriale del numero 6, si sono materializzate, grazie al lavoro meti-coloso di Vito Cerullo, in un “articolo-pilota” dal suggesti-vo e, forse per qualcuno, macabro titolo:“Anatomia di un saggio”. Si tenterà di esaminare, pur essendo consapevoli della vastità di tale argomento, “l’apparato saggistico” pro-cedendo, strato per strato, dissezione per dissezione, fino a mettere in evidenza gli elementi base che compongono un saggio. Non ce ne vogliano i puristi della letteratura se com-mettiamo tale sacrilegio, ma - come ben sapete - la chirur-gia e l’anatomia sono fatte così: tagliano, asportano, pesano organi, infilano bisturi nei tessuti più impensati …

A corredare tali propositi conoscitivi ci penseranno i due corposi saggi (volutamente non suddivisi in “puntate”) di Piccolomini e del preannunciato Antonio Scacco di Bari che ci illustrerà come rivalutare le potenzialità della letteratura fantascientifica nei confronti dello “shock” disumanizzante di un falso progresso …

L’altra novità di questo trimestre è rappresentata dall’ini-ziazione della presente rivista alla scrittura teatrale: un gene-re che non avevamo mai ospitato tra le pagine di “Nugae” e che sarà sicuramente gradito da molti di Voi. Per il mo-mento pubblichiamo solo un’ “infarinatura” riguardante i protagonisti e le proposte provenienti dal vivace e variegato mondo del teatro, prima fra tutte un succulento “Premio di scrittura teatrale” indetto, principalmente, dal Teatro Fàrà Nume di Ostia Lido (Roma). La rivista “Nugae” è coinvolta nella presentazione di tale premio non solo per appagare la sua insaziabile curiosità nei confronti delle varie forme di scrittura che incontra durante il suo cammino, ma anche perché avrà il piacere di pubblicare, nel 2006, alcuni dei partecipanti a questa prima tenera edizione!

Sono stato troppo schematico e formale? Bene: eccovi una polemica calda, calda da portare a casa e su cui meditare. Anzi, due polemiche … La prima riguarda il comporta-mento insensibile e snob di alcuni Lettori che pensano di poter pubblicare a costo zero le proprie opere su “Nugae”… Chiariamoci su un punto: alle spalle di questo periodico c’è il “nulla”, nel senso che siamo orgogliosamen-te e quasi volutamente poveri (sia per la nostra giovane età

editoriale, sia per il secondo punto della mia polemica). E’ vero: non imponiamo un rigido e dichiarato “pay for publish” (come succede altrove), ma la nostra velata ed amichevole richiesta di contributo non è nient’altro che un appello a condividere, anche economicamente, una passione per la scrittura che, credo, dovrebbe renderci più uniti e solidali. “Nugae”, per chi non l’avesse capi-to, non è un’area individuata nel bel mezzo delle “acque internazionali” dove ognuno va e scarica il pro-prio container direttamente in mare! Quindi la sopravvi-venza di questa rivista dovrebbe essere vissuta come una sfida nei confronti delle lobby editoriali: se la sfida non v’intriga, ci sono sempre le patinate e colorate riviste delle case editrici di proprietà dei vari manager-politici. Provate a pubblicare gratis lì…!

Secondo punto: l’insensibilità politica nei confronti dei “piccoli gruppi”, ormai, è rinomata a livello interplane-tario e non sarò certo io a ribadire determinati concetti. La fauna politica è variegata: si va dagli assessori comu-nali “senza portafoglio” che instillano tristezza per l’in-digenza in cui sono costretti a lavorare, nei loro ufficet-ti umidi e le “bidelle” che portano un po’ di caffè caldo per arrivare vivi alle ore 13, fino ai politici presenziali-sti che sparano promesse a fini elettorali saltando alle-gramente tra una fiera da inaugurare e qualche decina di trasmissioni televisive in cui riproporre la solita mi-nestrina riscaldata dei fondi dedicati alle attività cultu-rali (quali?) e alle imprese giovanili. “Ist Demagogie…” - asseriva Battiato in una delle sue canzoni plurilingue. Ah, che stupido! Dimenticavo!... Le imprese editoriali (se non politicizzate) non fanno testo.

L’altra sera mi trovavo alla periferia di un paese vicino Battipaglia: ero sotto l’ombrello perchè pioveva a di-rotto tra lampi e tuoni, ero solo e faceva freddo … Nel buio della notte vi era, però, in lontananza un mega-schermo che proiettava il solito comizio televisivo del politico di turno, circondato da vallette in uno studio dai colori sgargianti … Il confortevole calore della poli-tica durante le intemperie … Che bello! Se avessi avuto una “pubblicità volante” alle mie spalle, una danzatrice con pitone, qualche androide ribelle da “ritirare” ed un ristorante cinese sulla strada, sarei stato la quasi perfet-ta copia casereccia del protagonista di “Blade runner” di Ridley Scott. Anch’ io, come Rick Deckard, prigionie-ro degli scenari post-apocalittici (in tempo di pace) di Philip K. Dick ! L’anno 2019 non è poi così lontano.

… E se siete religiosi, parafrasate con me la Bibbia: “…Beati i già ricchi e potenti, perché di essi è il regno della

L’editoriale di Michele Nigro

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Fondamentalmente un saggio si compone di due elementi principali: testo e note. Leggere, chiari-re a se stessi ciò che si vuole rappresentare, ade-guando una forma al contenuto risulterà il primo passo da compiere. Da un’ angolatura che ci sem-brerà congeniale, costruiremo un discorso a svi-lupparsi come scatole cinesi, nel senso di scoperte alimentate da altre scoperte. L’approccio col la-voro si porrà in maniera fredda, distaccata, a con-trollo dell’emotività; proponendosi un’indagine scientifica nell’adozione di un linguaggio neutro a esporre i concetti evitando la frequente tentazio-ne di cadere nell’esercizio della prima persona, di riportare il classico: “a me sembra”. Le personali considerazioni assu-meranno valenza im-plicita dentro una verifica obiettiva, un autore aggiunge sem-pre poco di suo nel-l’impercettibile lievi-tazione, ogni volta, della conoscenza criti-ca. Risulterà originale lo studio che converge su un autore o un ‘opera poco divul-gati; circa lo spessore letterario del prodot-to realizzato peserà la quantità maggiore o minore del materiale bibliografico consultato. Sarà opportuno organizzare il lavoro a priori rea-lizzando delle schede per agevolare secondo sche-mi il percorso che s’intende seguire. L’illumina-zione giusta, per esclamare una parola, una frase ricercata, potrà pervenire in qualsiasi momento del giorno; a sedurre persino i limiti confusi dei dormiveglia, fuori dalle canoniche due o tre ore di scrittura diretta che paragoneremmo a una falce visibile celante il resto di una luna di rifles-sione. Un saggio non finisce mai, in considerazio-ne della possibilità di modifiche affidate a una seconda edizione; nella primizia del ripensare alla dolce esitante imperfezione ritoccata ogni volta, con la levità del pensiero sugli affanni spastici dello scrivere, e quasi scordata come un sogno dimenticato, fidando poi nella rigiurata fedeltà

della memoria.

Aver dato vita a questa creatu-ra di forme, significherà averla condannata alla fallibilità, nell’impossibilità (di lei) di potersi negare rifluendo in una dimensione astorica, atemporale, inscindibile da altre mate-rie. Il punto oscuro della vicenda é da ricercare forse nell’ardua comprensione di quando e in che modo tutto comincia. Dopo questa premessa tra l’astratto e il reale, procediamo ora all’illustrazio-ne di alcune norme comunemente riconosciute in merito alla tecnica compositiva anche se non immuni da qualche criterio d’arbitrareità:

1) La personale sintas-si si svilupperà in ton-do (ovvero l’uso del carattere normale) senza contrassegno di sorta; nel caso in cui avessimo esigenza di alternarla con altrui citazione, adotteremo le virgolette << >> per riportarvi all’in-terno l’aspetto rileva-to. Se per ipotesi, l’autore che poniamo in rilievo per qualche parola o rigo, ha

esemplificato a sua volta una citazione, risolvere-mo con le “ ” e suo contenuto dentro le << >> : ovvero << “ ” >>. Poniamo un caso: << con la iconicità e il rilievo della statua giacente e desta al “numero chiuso” della “voce” del poeta >>. (Considerazioni di Macrì su Elegos per la danzatrice Cumani di Quasimodo).

2) E’ preferibile riportare, a volte, qualche passo di una poesia, di una prosa o di un testo critico, isolandolo all’inizio o al centro della pagina, per comodità visive circa un discorso critico che si va ad affrontare. Se per ulteriori situazioni, a un ‘esposizione iniziale ci giova non aggiungervi alcune parole, righe, o addirittura pagine… per includervi poi elementi successivi, useremo i pun-

“Anatomia di un saggio” di Vito Cerullo

Il laboratorio

“Lezione di anatomia” di Rembrandt (1632) rappresentante il celebre anatomista olandese Nicolaas Tulp fra i suoi discepoli.

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critico di riferimento. (Come illustrato per l’esempio al punto 2).

3) La nota. Con numerazione progressiva (1, 2, 3…) elevata su una nostra parola liberamente esposta, oppure su quella di un autore circoscritta tra virgo-lette (a voler rimarcare, ad esempio, della linea “antimaterica” seguita da Macrì, sulla “speculazione” dell’ Antimateria bigongiariana, ad originale elabora-zione di nota funzionale al testo, motivo strutturale che ci interessa intrinseco a motivo tematico) s’inten-de segnalare intorno a quel punto qualcosa d’interes-sante (I) e di cui accennavamo di nostro pugno, in equilibrio all’autorevolezza altrui. Una nota nasce e si sviluppa a partire dalla sorgente del testo, continuità e divisione a un tempo.

NOTE

(I) di cui è opportuno approfondire alla foce del piè pagina o in appendice, per ovvi motivi di proporzio-ne o di brevità. L’annotazione consente, altresì, delle digressioni a cose apparentemente non pertinenti al tema. Riteniamo, come si è forse notato, di adeguare spiegazione a funzione, consentendo di far “vedere” graficamente l’elaborato scientifico in tutta la sua estensione fisica, convinti che l’esemplificazione di uno schema debba assolvere già a una funzione lette-raria, lo è per sua stessa natura. Per la citazione di una fonte, da Cfr. “confrontare”, testa di serie, si rimanda al nome dell’Autore, al titolo in corsivo (se già citato si rinvia a op. cit. “opera citata”, o semplice-mente cit. ; se si ritorna su di un identico concetto a un’identica pagina si usa la formula in Ibidem o arbi-trariamente Idem, Ivi…) alla città di edizione e anno, alla pagina di riferimento; si evita normalmente la denominazione della casa editrice. Sintomaticamente, l’esempio: (Cfr. O. Macrì, Introduzione a Vittorio Bo-dini, Tutte le poesie, Nardò (LE) 1997, p.33).

______________

ti di sospensione … o la più tecnica soluzione in […] tra le due quantità in essere. (Curiosamente, quest’u1timo dato che concorre a designare la questione, diviene quantità relazionata a quella appena precedente all’ipotetica omissione ai punti di sospensione, qualificandosi come primo esem-pio pratico. E si potrebbe procedere all’inverso, come si vede, per qualche altro precedente. Se nel primo caso l’omissione ai punti sembra tema-ticamente dettata per quanto si cerchi di esplicare una norma, nei due successivi episodi appare ri-trovata per strada).

Per il primo caso, leggiamo:

I fiumi come gli specchi

sono intercomunicanti.

Agri Olona Verde Aniene

si mescolano al Livenza

(Fiumi come specchi di Sinisgalli)

e nel secondo:

“Come in un bacio vano/* al freddo

dei vetri s’argenta/ la gola…

Uomini limpidi vuotano/ le cose

nel canto/ al cerulo sogno dell’alba”

(Serenata di Gatto)

* Il simbolo / sta per fine verso.

In proposito, per designare il segno da evidenziare per semplici schede di contesti poetici o altro, si adotta l’asterisco * sulla parola evidenziante da ribadire sul primo termine del successivo contesto

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5

Voglio scrivere

Di morire Domani

Se domani

Non avrò

Un Bacio;

E voglio scriverlo

Domani

Mentre mi baci.

°°°

Trova le Ali.

Diventa ...

Farfalla.

Convoleremo

Dove ...

Dove ci pare.

Ci baceremo ...

Ci baceremo viaggiando.

°°°

Presto nasce.

E presto muore

Anche un Bacio.

È per questo

Che ogni giorno

Va rincuorato.

°°°

Un Amore Antico

È come

Un camino dimenticato.

Con la Fiamma di un Bacio

Si può riaccendere.

°°°

Un bacio

Non

Si adotta

mai

A distanza.

°°°

Sarò fiore

Se rinasco.

No. Se rinasco

Sarò bacio.

Mi piace

Il rosso vivo

Il rosso scarlatto.

Allora sarò fiore.

No. Sarò bacio.

Due semi nel vaso.

Sarò fiore? Sarò bacio?

Piango.

°°°

Parole con il bacio

di Gianfranco Proietti (parte seconda) POESIA

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6

Per

il modico prezzo

di un Bacio

sono disposto

a fare l’ubriaco,

e per la più bella

canto l’Elisir d’Amore

nella pubblica piazza;

ma per due

mi esibisco anche

in una disgustosa

serenata Rap.

°°°

Si suol dire

Un giorno sarai

baciato dalla fortuna.

Nel frattempo, mentre

aspettiamo

facciamoci baciare dal-

l’amante;

facciamoci un valzer

sognante

e andiamo a caccia di

baci.

°°°

Margherite Ignote.

Figliate

In un prato,

Stanno

A migliaia

Sull’esile stelo.

Nacquero mortificate,

Furono generate

Senza un bacio.

I giovani amanti

Scelgono violette

ori e rose

orchidee e gioielli.

°°°

Puritana

Attacca le tue dita

Come cerotti

Sulla mia pelle.

Un velo di labbra;

Ovunque

C’è una ferita.

Cicatrizzala

Con un bacio

Saziala.

°°°

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7

Il Teatro delle Emozioni

"Chi è di scena?!" è il segnale con cui il direttore di scena comunica agli attori di una compagnia di prosa che è giunto il momento di fare gli ultimissimi prepa-rativi dietro le quinte e di entrare sul palcoscenico in bocca all'amato e pur sempre temuto pubblico. Da queI momento in poi non più il neon freddo, strana-mente rassicurante dei camerini, ma il caldo e terri-bile fuoco dei riflettori. E quei respiri di un pubblico che c'è ma non si vede. Da quel fatidico "Chi è di scena?!" l'attore è solo sul palco, solo con se stesso e le sue emozioni, solo davanti a tanti occhi che lo scrutano e che gli chiedono "Chi sei?". Un bel respi-ro, il primo movimento, la prima battuta e da quel-l'attimo insostituibile di smarrimento iniziale una grande energia si propaga dal palco in platea e vice-versa. Lo spettacolo è iniziato.

Guardiamo ora lo stesso momento con gli occhi dello spettatore.

"Signore e signori. accomodarsi in sala, lo spettacolo sta per cominciare". Le ultime boccate da una siga-retta, l'ultimo sorso di un buon caffè, le ultime chiac-chiere con gli amici e la maschera che strappa il no-stro biglietto. Ci accomodiamo ai nostri posti. Le luci di sala si affievoliscono, il mormorio si cheta, un atti-mo di interminabile buio. Si resta soli. I pensieri ine-vitabilmente vanno a quello che troveremo dietro il sipario ancora chiuso. Ecco, la magia si compie. Il sipario si apre, la musica parte, le luci illuminano la scena, l'attore appare.

Lo spettacolo è iniziato.

L'attesa di qualcosa che accadrà, che fortemente tutti vogliono che accada, lega indissolubilmente spettatori e attori. È proprio da questa attesa-speranza che qual-cosa accada, come magistralmente sottolineato da Brook qualche anno fa in una conferenza al teatro Ateneo, nasce il rito del teatro.

Se quel qualcosa accade tutti tornano a casa felici, se no… Ma cosa deve accadere?

Gioia? Dolore? Risate? Rabbia o forse amore? Sorri-

so, dolcezza o pianto? O ancora, sospiri, sussulti oppure abbandono?

Tutto o un po' non ha importanza basta che quel momento sia unico, irripetibile, in una sola parola emozionante.

E le emozioni, quelle primarie, quelle che ci la-sciano soli con noi stessi, non hanno colore, non hanno genere. Esistono e basta. Esistono perché esiste l'uomo. Come il teatro d'altronde.

Il teatro è studio e arte, è matematica e letteratu-ra, è scienza ed incoscienza, è pulsante, è tragico, è comico, è drammatico: è come le emozioni. Non è intelligente o stupido. Di serie A o di serie B. Non appare, è.

Il mio TEATRO DELLE EMOZIONI è tutto ciò. Un TEATRO coinvolgente, visceralmente coin-volgente, dove lo spettacolo è un rito, in cui il pubblico diventa elemento unico ed insostituibile della rappresentazione. Un Teatro che usa i classi-ci per restituirli alla scena carichi di quel pathos che il nuovo millennio si porta con sé; un Teatro moderno che aborra le urla e gli schiamazzi, che usa la tecnica per meglio arrivare al cuore della gente. Un Teatro fatto da professionisti, un Tea-tro che guarda al Grande Attore e che respira Arte in ogni suo istante. Un Teatro che non è e non sarà mai commerciale, almeno fino a quando il Bello non verrà considerato importante quanto il Superfluo.

Paolo Perelli - Agenda Teatrale ETI 1997

Regista, attore

Direttore della Compagnia “Scenari paralleli”

“SPAZIO NUGAE” ...Appelli, proposte, eventi… Idee in movimento...

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Scuola d’Ar te Scenica

fondata nel 1989

S cuo l a p e r A t t o r i P r o f e s s i o n i s t i d i r e t t a da C a t e r i na F i l i p p i n i

GLI OBIETTIVI DELLA SCUOLA:

La scuola si propone di formare ATTORI PRO-FESSIONISTI dall’adeguata PREPARAZIONE TECNICA, ARTISTICA, EMOTIVA, nelle tre discipline base, proprie delle arti sceniche: la RE-CITAZIONE; la DANZA; il CANTO.

Attraverso l’utilizzo di un metodo eclusivo, mes-so a punto dagli artisti Caterina Filippini e Paolo Perelli, denominato Metodo Didattico Attivo (diretta emanazione della poetica che contraddi-stingue il Teatro delle Emozioni di Paolo Perelli).

Partendo da una approfondita e attenta prepara-zione atletica, si viaggia attraverso l’affascinante mondo dell’articolazione e della fonazione, per arrivare alla recitazione vera e propria e, infi-ne, al canto. All’interno della scuola figurano an-che materie complementari, quali l’acrobatica, la scherma scenica, il musical, il trucco di scena… Il lavoro emotivo è fondamentale, ma agli allievi viene rigorosamente richiesta un’adeguata prepa-razione tecnica, senza la quale ogni sentimento resterebbe imbrigliato dentro di sé, senza possibi-lità di essere scenicamente espresso appieno.

GLI INSEGNANTI:

Gli insegnanti vengono adeguatamente scelti, selezionati e formati secondo il metodo della scuola. Sono tutti artisti professionisti che operano attivamente nel mondo delle arti sceni-che, con alle spalle già diversi anni di insegnamen-to. Ogni materia viene insegnata da un professio-nista specifico; il quale segue dettagliati percorsi didattici precedentemente pianificati, sulla base delle esigenze di ogni gruppo.

IL LAVORO A PIEDI NUDI:

Tutti gli allievi e gli insegnanti lavorano a piedi nudi, infatti, senza l’ausilio della scarpa, biso-gna necessariamente entrare in armonia con il pro-prio corpo, imparando a gestire le “estremità” infe-riori di solito trascurate o poco curate.

Si impara così a non barare alla ricerca di falsi equilibri e a sentire lo spazio e l’ambiente circostante: la diffe-renza tra una superficie calda, fredda, dura, instabile ecc.

LA COMPAGNIA

La Compagnia Scenari Paralleli da quindici anni presente sul territorio nazionale nasce in veste uffi-ciale nell'agosto del 1995, ma vanta i natali già nel 1988 quando un gruppo di giovani attori romani de-cise di mettersi insieme, lavorando sotto il nome di Compagnia Teatrottantotto. Figure stabili della Compagnia sono il direttore Paolo Perelli, regista, attore e doppiatore, e Caterina Filippini, ballerina coreografa, entrata a far parte del gruppo nel 1996 e presto divenuta una delle colonne portanti della Compagnia.

Scenari Paralleli vanta una lunga presenza anche nel territorio del XIII Municipio. Qui, dal 1995 ad oggi, ha messo in scena diversi spettacoli: nello Spaziotea-tro Scenari Paralleli, al Teatro di Magellano, nel Bor-ghetto di Ostia Antica, alle Terrazze di Casal Paloc-co, nell'anfiteatro del Parco XXV Novembre...

Inoltre, ha organizzato rappresentazioni per le scuole elementari e medie, mentre per le scuole superiori ha anche organizzato manifestazioni, laboratori tea-trali e corsi di lettura e scrittura poetica, e poesia.

Molti dei lavori Scenari Paralleli, inoltre, sono stati vincitori di premi nazionali, sia per lo spettacolo in sé che per gli interpreti. Alcuni sono, addirittura, arri-vati alle finali di alcuni concorsi europei.

Le produzioni si contraddistinguono per l'elevata spettacolarità emotiva, grazie all'utilizzo di un lin-guaggio estremamente fascinoso, dove testo, luci,

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musiche, danza e allestimento scenografico concorda-no per la realizzazione di spettacoli che, comici o drammatici che siano, coinvolgono gli spettatori in un appassionato viaggio nelle proprie emozioni. Se-guendo una propria poetica e un tipo di teatro che essa stessa ama definire il teatro delle emozioni.

Curricula

PAOLO PERELLI

Regista, attore,adattatore,autore,doppiatore.

Dottore in Lettere indirizzo Spettacolo.

Studia le Arti Sceniche sin dall’età di 15 anni con i migliori maestri, fra cui citiamo Orazio Costa,Leo De Berardinis, Ugo Ciarfeo e laboratori con J. Gro-towskji, P. Stein,E. De Filippo, P. Brook presso l’I-disu.

Scrittore,adattatore,regista ed attore mette in scena oltre trenta spettacoli, molti dei quali premiati a li-vello nazionale, sia come interprete che come regista.

Nel 1996 risulta finalista al concorso europeo ‘Caleidoscopio’.

Direttore Nazionale, sezione spettacolo e formazio-ne, dell’Unasp (Unione Nazionale Arte e Spettacolo) – di cui ha diretto la rivista ‘In Scena e Controscena’- fonda nel 1995 l’Associazione Scenari Paralleli e l’o-monimo teatro. Fonda inoltre la Scuola d’Arte Sceni-ca, patrocinata per più anni dal Comune di Roma e nel 1997 scrive l’Agenda Teatrale dell’ETI. Dirige diverse manifestazioni,rassegne,eventi per il Comune di Roma ed alti comuni del Lazio. Dal 1999 al 2005 dirige il Teatro Centrale di Ostia, attualmente dirige la sezione artistica del Teatro Fàrà Nume. Dopo aver insegnato in varie scuole per la formazio-ne dell’attore, insegna ora stabilmente recitazio-ne,dizione,fonazione,articolazione e movimento sce-nico presso la S.A.S. (Accademia per la formazione di attori professionisti).

CATERINA FILIPPINI

Ballerina,pittrice,scultrice.

Direttrice della Scuola d’Arte Scenica, dove inse-gna danza scenica.

Studia danza classica, contemporanea e jazz sin dall’età di 7 anni: presso la scuola del Maestro Jo Scibilia dove per quattro anni consegue riconosci-menti come migliore allieva e dove nell’85 ed ’86 vincela borsa di studio; poi presso il Balletto di Roma di Franca Bartolomeie Walter Zappolini, quando, notata dai primi ballerini del Teatro del-l’Opera di Roma Patrizia Lollobrigida e Raffaele Paganini, viene indirizzata allo studio professiona-le della danza. Studia pas de deux e si perfeziona nella danza contemporanea.

Si esibisce in varie trasmissioni televisive su emit-tenti Rai e Mediaset in pezzi di repertorio classico o varietà; si esibisce in diversi teatri…ma la danza fine a se stessa la stanca; si dedica quindi allo stu-dio delle arti sceniche. Studia dizione, mimo, scherma scenica,movimento scenico ed animazio-ne di strada, perfezionandosi poi in interpretazio-ne emozionale e teatro-danza. Dal 1996 entra a far parte della Compagnia Scenari Paralleli con la quale vince premi a livello nazionale e per la quale scrive un testo, finalista al concorso europeo ‘Caleidoscopio’.

Dottoressa in Arti Grafiche. Diplomanda in Inci-sione presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove per due anni ha ottenuto borse di studio e che ha patrocinato la sua ‘personale’ di sculture lineari, con performance danzata dal vivo, crede nella globalità dell’arte. Partecipa a mostre di pittura, scultura e grafica, ricevendo consensi da parte di artisti di dichiarata fama.

COMPAGNIA SCENARI PARALLELI

Ufficio Stampa Pubbliche Relazioni

Simone Fioravanti

Mobile 338.43.90.140

e-mail : [email protected]

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Dopo due giorni di permanenza a Bombay, pren-demmo il pullman per Panaji. Quindici ore di viaggio. Il mezzo, un po’ scardinato, aveva un problema ai finestrini: non chiudevano del tutto.

Attraversammo la montagna di notte. Il freddo era un rampicante dal finestrino. Il pullman non era a temperatura dei nostri abiti estivi. Fu un viaggio duro. Avanti, sui sedili in prima fila, sede-va un’anziana donna indiana.

Facemmo al massimo tre soste. Le aree di servi-zio erano inservibili; dei bagni pestilenziali che preferimmo solo sbirciare in lontananza, mentre pisciavamo all’aperto. La donna, per tutto il viag-gio, non scese mai dal mezzo, né si alzò mai.

Alle cinque del mattino, a Panaji, fummo scari-cati davanti ad un cumulo di immondizia. Era l’ingresso del nostro albergo, chiuso. Faceva fred-do ancora e lì in giro molte cornacchie gracchia-vano.

Fabio De Santis

“OFFICE” Sentivo dire che il mattino ha l’oro in bocca, io ho un boccone da mandar giù; vado sempre di corsa. Si digerisce alla svelta con uno stomaco agitato, e non vado neanche in sovrappeso, soprattutto non perdo il treno; dal lunedì al sabato è sempre così, anzi, una cosa è cambiata, il treno non arriva più in ritardo, è puntualissimo, e i mattinieri incalliti abituati ad aspettarlo trenta minuti prima come se si trattasse di una bella donna, adesso di sicuro non ci vanno a letto, ma possono scegliersi vago-ne e scomparto. Il macchinista che si è alzato prima di me, avvia il treno verso la capitale; è là che si va a lavorare, nei nostri paesi tutto è abbandonato, casa e terre-

ni compresi, questi luoghi sono diventati per vecchi e osterie. Quando c’ero, raccoglievo la frutta e andavo a venderla a un minimarket, poco distante; un giorno il padrone dopo scaricato, mi disse: «Domani lascia perdere, ‘ste mele bucate non le vuole nessuno, oggi fanno la spesa con gli occhi, non te la prendere, pro-va con un banco in piazza». «Perché, lì se la comprano?» ho chiesto. «Mah!... Provaci» ha risposto. E se ne è andato dietro il banco degli affettati. «È qui che si guadagna» mi disse in un’altra occasio-ne. Non ho bestie da macellare ma se le avessi e cercassi di vendere la carne mi sentirei dire che è scura, dura e il resto. Insistere con la frutta, ho capito che era come se cer-cassi di vendere un vestito indossato da mia moglie, in una sfilata di moda in competizione con le Top Model del momento; lo comprereste un vestito in-dossato da mia moglie? Pesa ottantasei chili ed è alta per eccesso circa uno e settanta. Questo lavoro mi piace, un paesano alto funzionario mi presentò ad un tizio; con lui andai a colloquiare con un’altra persona e tutt’insieme, credo mi procu-rarono l’assunzione. Appena arrivo timbro la presenza, mia e di un grup-petto di colleghi (sono l’ultimo arrivato e devo sotto-stare agli anziani proprio come i soldati di leva); e così il più è fatto. Prendo posto nel mio Office per l’informazione al pubblico; so tutto a memoria, è vero che qualche volta do due risposte diverse alla stessa domanda, ma la gente vuol sapere sempre un sacco di cose e t’induce all’errore, non è vero che la gente vuol sapere troppe cose? È così, non è vero? Poco fa un tizio ha detto che sarebbe andato a recla-mare (Dove? dico io). Do io l’informazione, è com-pito mio, Cristo! Ci sto io all’“Office”!

Gianfranco Proietti

Raccontinani

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Comune di Roma

C.F.P Pierpaolo Pasolini Agenzia Letteraria Mondolibro Serarcangeli Editore s.n.c.

presentano

Premio di Scrittura Teatrale Fàrà Nume I Edizione

Il Teatro Fàrà Nume di Roma, in collaborazione con la Casa Editrice Serarcangeli s.n.c. e con l’Agen-zia Letteraria Mondolibro, bandisce per la stagione teatrale 2005/2006 la prima edizione del Premio di Scrittura Teatrale Fàrà Nume per testi teatrali inediti.

Il Teatro Fàrà Nume, attivo da diversi anni sul litorale romano e punto di riferimento culturale a livello naziona-le, nell’ottica di apertura e appoggio nei diversi campi dell’Arte, promuove l’iniziativa del concorso, nata dalla volontà di dare ampia visibilità a nuovi autori, in questo caso facendo un focus su nuovi testi teatrali, sviluppare la cultura drammaturgica presente nelle diverse realtà italiane e straniere, il tutto finalizzato al contatto diretto con case editrici, riviste specializzate e messinscena dell’opera stessa.

Il concorso è rivolto ai drammaturghi di qualsiasi età e nazionalità che vogliano esprimersi attraverso corti tea-trali, monologhi opere complete e atti unici.

La partecipazione al Premio implica l’adesione al seguente regolamento:

1) Al Premio possono partecipare, senza limiti d’età, cittadini italiani e stranieri.

2) Il Premio vede due sezioni di partecipazione:

Sez. A Corti teatrali (da 1 a 4 personaggi, durata massima 10 minuti)

Sez. B Monologhi, Opere complete, Atti unici (durata massima 70 minuti)

3) I partecipanti possono inviare un’opera per sezione purché inviate separatamente.

4) Le opere inedite, in quadrupla copia e non firmate, devono essere inserite in busta chiusa. Al suo inter-no dovrà essere presente una ulteriore busta chiusa, dentro la quale dovrà essere inserito Curriculum Vitae o nota biografica, specifica dell’opera se inedita e protetta da diritti SIAE, copia del vaglia postale (vedi punto 6), recapito telefonico e e-mail.

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5) I lavori dovranno pervenire entro il 15 gennaio 2006 alla Segreteria del Premio Fàrà Nume – Via Domenico Baffigo 161 - 00121 Ostia Lido - Roma.

6) La Partecipazione al Premio implica il versamento della quota di €10,00 quale contributo alle spese di segreteria e di organizzazione. Tale quota può essere inserita nella busta interna o inviata tramite vaglia postale a Ce.D.I.A. Centro Diffusioni Iniziati-ve Artistiche - Via delle Sirene 23 00121 Ostia Lido – Roma; indicando nella causale “Partecipazione al Premio di scrittura teatrale Fàrà Nume” e Sezione (A o B)

7) I Testi dovranno essere redatti in lingua italiana o comunque tradotti in italiano. Le opere inviate non verranno restituite.

8) La giuria entro il 15 Febbraio 2006 selezionerà un’opera per sezione:

Sez.A : l’opera prima classificata verrà rappresentata nell’ambito della II edizione Corti Teatrali pre-vista per Marzo 2006 dalla Compagnia Scenari Paralleli.

Sez.B : l’opera prima classificata verrà inserita nella programmazione del Teatro Fàrà Nume per la stagione 2006-2007

Sez.A+B : tra tutte le opere partecipanti verranno scelti due lavori, che più mettono in risalto il carattere interculturale e mediatico dell’arte teatrale, per una pubblicazione sulla rivista letteraria trimestrale “Nugae - scritti autografi” .

Sarà possibile conoscere l’esito del premio entro il 20 Febbraio 2006 chiamando ai seguenti numeri 06.56.12.207 o 338.43.90.140, tramite mail a [email protected]

Le opere saranno selezionate da una giuria specializzata (Andrea Serafini, Paolo Perelli, Stefania Maccari, Mariagrazia Greco, Pier Paolo Serarcangeli, Antonia Di Francesco, Franco Vivona).

Per informazioni:

Segreteria Agenzia Letteraria Mondolibro

Maria Grazia Greco

Tel. 339.48.05.273

Ufficio Stampa .Pubbliche Relazioni Teatro Fàrà Nume

Simone Fioravanti

Teatro 06.56.12.207

mobile 338-4390140

e-mail [email protected]

[email protected]

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(La scena si svolge in un parco. Tre donne stanno dialogando mentre passeggiano senza meta. I loro nomi sono semplicemente: Prima, Seconda, Terza.)

Prima. Non amo i paesaggi costruiti, mi danno la sensazione dell'artificio. La natura deve essere lasciata libera di esprimersi e di espandersi. Al-trimenti è soltanto una costruzione umana che non potrà mai stare alla pari con quanto cresce e prospera in modo libero e spontaneo.

Seconda. Io, invece, amo l'ordine e la precisione. Per questo adoro i giardini all'italiana: così cura-ti, in cui nulla è lasciato al caso, ma tutto diviene armonia per intervento dell'uomo.

Terza. (Inseguendo un suo pensiero). Avevo una volta un giardiniere, che pretendeva di trasfor-mare il mio giardino in una specie di palude. Diceva: "Signora, in questo punto potremmo scavare e poi convogliare - usava proprio la parola CON-VO-GLIA-RE! - l'acqua del canale qui vicino e creare uno stagno per farvi nascere i fiori di loto." Pensate un po': fiori di loto alle nostre latitudini! Che assurdità!

Seconda. Non è poi così assurda questa proposta. I fiori di loto sono bellissimi! Una volta ho sentito questa frase che mi ha colpito: "I fiori di loto nascono nel fango, ma non hanno odore di fan-go". E si adattano anche alle nostre latitudini!

Prima. E' vero, i fiori di loto sono bellissimi, ma nel loro ambiente, dove possono nascere e crescere cullati e protetti dal loro clima, senza artifici umani. (si volta indietro) Ecco, ad esempio, guardate quel punto del parco: l'edera è rigoglio-sa e il muschio ha ordito una tela talmente fitta, che è impossibile separare la terra dalla vegeta-zione. In quel punto la natura ha avuto la meglio, per fortuna.

Seconda. Tu sei per le cose selvagge, evidentemente. Perché non osservi, invece, quelle meravigliose piante fiorite alla nostra sinistra? Sono slanciate, hanno colori vividi, sono…ecco, sono piante

ubbidienti e grate.

Prima. O questa poi! (rifacendole il verso) "ubbidienti e grate!" A chi dovrebbero essere grate? A chi avvelena la terra purché cresca-no, sia pure con un nutrimento innaturale? Quale gratitudine dovrebbero provare, pove-re piante artificiali e senza profumo?

Terza. (conciliante) Suvvia, non litigate. Godia-moci questa bella giornata! Ecco, guardate! E' passato uno scoiattolo!

Prima. E guarda un po' dove si è arrampicato? Sulla pianta dell'edera, non certo su per quei tronchi plastificati.

Terza. Ecco, si sta avvicinando un cane. Vediamo quale punto sceglierà per lasciare i suoi liqui-di segnali e a chi di voi darà ragione.

Prima. Io dico che lascerà il suo ricordo su uno di quei bei tronchi levigati e fasulli. Lascerà lì la sua orina: ma per disprezzo, non per predile-zione.

Seconda. No, invece. Ha annusato dappertutto, ma non lo soddisfa né l'una né l'altra pianta. Dove si fermerà? Seguiamolo.

( Le tre donne seguono i movimenti del cane )

Prima. (sorridendo). Se n'è andato. Ha girovaga-to, annusato, osservato, trotterellato, ma non se l'è sentita d'intromettersi nelle nostre filosofiche discussioni. Non ci ha lasciato nessun indizio su come la pensasse.

Seconda. (quasi soddisfatta) Bene: questo signifi-ca che ciascuna di noi rimarrà della propria opinione.

Terza. (tra il serio e il faceto) Dobbiamo dunque ammettere che nemmeno un cane se l’è sen-tita di prendere in considerazione le nostre idee!

Frammento teatrale di Teresa Castellani

TEATRO

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L’orafo e l’inceneritore lavoravano affrontati.

L’orafo aveva più tempo per sentirsi

disturbato dall’invadente vicino,

rivolgeva sovente lo sguardo a quella mole di trambusto.

L’inceneritore sera e dì sbuffava e fumava, forte il torace

logori da tempo i polmoni.

Sin dai primi giorni di lezioni paterne i primi sdegni

le prime smanie di cambiamento,

l’orafo rifiutò di condivider la valle con quell’orso incancrenito.

Impassibile l’inceneritore continuò ad accogliere,

mesta costanza, la processione di carri notturni

la sua colonna di fumo raccontava con intima modestia

la vita inesausta della valle.

Le mani dell’orafo accarezzavano ogni domenica

membra docili di giovani donne

donando nuova luce all’incenso della chiesa

al profumo autunnale di viali

inseguiti per un giorno senza fretta.

Ma la sera riponeva le gioie in segreti nascondigli

tributava il quotidiano onore all’inceneritore.

L’orafo stesso non poteva sottrarsi a questo rito

“Sconcio alimento per un pasto mostruoso”.

Gli anni però rapirono al suo sguardo il fulgore dell’oro,

cos’era poi quel metallo tante volte sottratto

ai torbidi artigli del vicino?

Lo sentiva quasi estraneo tra le mani

amore plasmato mille volte, trascorso in mille forme.

Sempre di più ora, fermo sulla soglia del laboratorio,

imparava ad ascoltare la grave cadenza dell’inceneritore

a interpretarne il mormorio sommesso, la voce spezzata.

L’orafo e l’inceneritore

di Luigi Carbone POESIA

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Nella prefazione alla raccolta di saggi “L’immaginario medioevale”, Jacques Le Goff richiama potentemente l’attenzione sull’impossibilità critica che lo storico incontra nella periodizzazione del passato, e sulla riluttanza che il passato stesso ostenta nel farsi indur-re in certi schemi (1). Sarebbe necessario, pertanto, non considerare l’epoca che va dalla caduta dell’Im-pero Romano fino alla seconda rivoluzione industria-le come un periodo composito di molteplici tappe e risvolti, ma piuttosto vedere in tale lunghissima onda un unico e continuo Medioevo, cioè un’età sostan-zialmente e complessivamente incapace di liberarsi da alcune strutture e da certe altre sovrastrutture, dal perenne ed uniforme retaggio della svolta che separa il mondo e la civiltà occidentali dal mondo e dalla civiltà greco-romana (2). Si tratta di una tesi ardua, che solo uno storico del calibro di Le Goff avrebbe potuto sostenere. Tuttavia, essa rientra pur sempre nell’ambito di quella scuola di pensiero che vede nel-la nascita e nella diffusione del Cristianesimo il punto di rottura totale con la civiltà classica – definendo tutto il lasso di tempo compreso tra la nascita di Cri-sto e la piena affermazione di tale dottrina in Europa, come un periodo di transizione ed incertezza. In real-tà, una simile modalità di categorizzazione storica, potrebbe risultare eccessivamente ideologica o, per così dire, deduttiva, fino a degenerare in alcuni atteg-giamenti propriamente cristiano-europei che, ad esempio, portano lo stesso Hegel a vedere nella sto-ria greco-romana soltanto un’epoca di armonia ed equilibrio (“lo spirito vero”, “l’eticità pura”) (3), e a considerare punto iniziale del momento costruttivo della triadica dialettica (quello negativo razionale, o propriamente dialettico) soltanto l’affermazione del Dio di Abramo, ovvero quel teocentrismo esasperato che porta l’individuo al rapporto spazio-temporale con un Dio incarnato, alla devozione, all’operosità, alla mortificazione di sé e, infine, al reale riconosci-mento della propria identità (4). È naturale che, una storia siffatta, cozza aspramente con un altro tipo di analisi, quella materialistica; tant’è vero che lo stesso Marx, rigettando in toto la visione idealistica della storia, scorge in essa una costante terrena, diveniente e legata al concreto (in quanto tale non metafisica)

ma nel-

lo stesso tempo eterna ed inestirpabile, poiché legata all’uomo ed alla sua natura intrinseca (onde ne viene quel ruolo universale da lui attribuito alla missione del proletariato). Non è pensabile, ritiene Marx, che la storia sia mossa dagli ideali, giacchè tali ideali pog-giano essi stessi su di una base dinamica, ovverosia la lotta di classe come conflitto tra fattori produttivi ed organizzazione e distribuzione di tali fattori. Perciò, dice ancora Marx, non è assolutamente vero che il Cristianesimo segna un punto di svolta e di frattura totale con un mondo passato, in quanto questo mon-do di ideali si mantiene costante e subordinato ad un altro tipo di cambiamenti, quelli economico-tecnologici. Tali cambiamenti, tuttavia, mutano in quanto a forma esteriore, ma non in quanto a sostan-za intima, traducendosi, quindi, in un perenne alter-narsi di conflitti tra proprietari e lavoratori. La storia, dunque, è storia del conflitto, ed attorno a tale con-flitto ruotano gli attributi della dinamica economico-sociale e politico-culturale (5). Ciò ha portato a quel-le teorie di progresso materiale che, in maniera sin-cera, i positivisti attribuiscono alla storia (persino Saint-Simon e Spencer, seppur in una visione ciclica, si uniformano a tale corrente), ma che, d’altro canto, deludono l’aspetto spirituale dell’uomo riducendolo ad uno mero fatto biologico (ancora Spencer, con Darwin) o psico-fisico (Lombroso, Fechner e Wundt).

Ora, queste due visioni della storia sono, indubbia-mente, entrambe valide e rispettabili, ma nello stesso tempo presentano dei punti fragili. O meglio, tentan-do di metterle insieme, si potrebbe da l’una (il lungo medioevo di Le Goff) ereditare l’idea di un punto di rottura con un mondo passato ed ormai inattingibile, insieme alla visione di un lungo processo che si sten-de fino al XIX secolo mantenendo sostanzialmente intatte le sue infrastrutture; dall’altra (il materialismo di Marx) l’idea di una uniformità insita in ogni pro-cesso storico, che consenta di individuare delle co-stanti comuni tanto all’età classica, quanto all’età, diciamo così, del lungo medioevo. La costante non è più, però, la lotta di classe, ma l’esistenza di un certo

La lunga decadenza dell’occidente di Antonio Piccolomini

SAGGISTICA

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tipo di manifestazioni umane che risultano essere espressione di un’organizzazione superiore e complessiva dell’insieme di queste classi stesse, espressione delle loro idee, tutrici dei loro inte-ressi, manifestazione delle loro abilità mentali e pratiche. Esse sono la religione, lo stato e la scien-za. Tuttavia, esiste un punto focale, che separa l’esistenza compiuta di un tipo determinato di civil-tà dalla nascita e la maturazione di un tipo del tutto nuovo di dinamica processuale. Tale punto non sarebbe da riscontrarsi nella nascita e nella diffu-sione del cristianesimo, ma nell’affermazione e nella vittoria della rivoluzione scientifica del Sei-cento, nella sua traduzione in tecnica. Essa segna il punto di svolta da un’età in cui a muovere la storia sono gli ideali, lo spirito, la morale, a un’età in cui ideali, spirito, morale perdono terre-no a favore della scienza e della tecnica. Natural-mente, le scoperte scientifiche sono determinanti anche nel medioevo e nell’età classica, ma in en-trambe queste età esse sono come messe in om-bra, o fatte passare in sordina, da eventi quali le leggi di Solone, i processi a Socrate, le conquiste di Alessandro, le vittorie dell’eloquenza di Cice-rone sull’interesse di Catilina, l’ellenismo e la degenerazione dei costumi romani, il mecenati-smo, l’editto di Milano, la rifondazione del Sacro Romano Impero ad opera di Carlo Magno, le sco-muniche papali, e via dicendo. Eventi principal-mente influenti in una storia mossa dagli ideali.

Il cambiamento apportato dalla rivoluzione scien-tifica – che nacque come fenomeno speculativo – è foriero di molteplici novità. Primo fra tutti il relativismo, la perdita dell’identità spirituale, il soggettivismo assoluto, la divinizzazione dell’uo-mo, il gesuitismo in religione. Da ciò, il carattere pragmatico della verità e il valore utilitaristico della morale; tutte cose che resero l’uomo burat-tino del factum e, in quanto tale factum si invera nell’esistente, del verum (6). Soprattutto, con la fine del principio di autorità, l’uomo inizia a con-siderare la propria epoca come superiore a quelle precedenti (7). E, poiché tale considerazione na-sce dagli agi materiali derivanti dai ritrovati tecni-ci, l’umanità sentirà, d’ora in poi, il bisogno os-sessivo di progredire da un punto di vista scienti-

fico e tecnologico, se non altro per poter considerare il proprio operato come superiore a quello della ge-nerazione da cui egli stesso discende e che lo ha i-struito. Se in un decennio del XXI secolo non vi fos-sero invenzioni, o non venissero scoperti nuovi medi-cinali, se non si effettuassero esperimenti, non ci si tratterrebbe dal parlare di periodo “di stagnazione”. L’epoca di Breznev, successore di Kruscev alla guida dell’URSS, dovette subire questa depauperante deno-minazione, anche se solo da un punto di vista econo-mico-sociale; è nell’epoca di Breznev, infatti, che ritroviamo “quei fermenti culturali che porteranno alla rivoluzione di Gorbacev, con la glasnost e la perestro-jka” (8).

Il modo che abbiamo oggi di rapportarci alla realtà è nettamente diverso dal modo proprio di un uomo greco o medioevale, persino se ci paragoniamo ai più grandi scienziati del tempo, come Pitagora, Euclide o Cartesio; la realtà è per noi tale solo se concreta, verificabile, tangibile o, nel peggiore dei casi, utilizza-bile in senso economico. Abbiamo perso il senso della spiritualità interiore ed esterna, ed ogni cosa che riguardi l’anima, ci appare superflua e trascurabile. Il nostro conoscere è inconsciamente scientifico. Uno dei massimi filosofi del Novecento, Bertrand Russell, si fa portavoce di una necessaria razionalizzazione scientifica di ogni aspetto della società, ritenendo che, nel mondo globalizzato, “solo una buona dose di scetticismo potrà lacerare i veli che ci nascondo la verità” e che “nella scienza, dove noi ci avviciniamo di più alla cono-scenza, l’uomo poggia sicuro sulla validità delle sue affer-mazioni” (9). A Russell fa eco il tedesco Popper, il quale sostiene che “elaborare la differenza fra scienza e discipline umanistiche è stato a lungo una moda. Il metodo di risoluzione dei problemi, delle congetture e delle confuta-zioni, è praticato da entrambe. È praticato nel restauro di un testo danneggiato come nella costruzione di una teoria della radioattività” (10). Popper considera le discipline uma-nistiche come scienze umanistiche, rilevando come persino la storiografia, nell’antichità, era opus orato-rium maxime. In questa grossa meccanicizzazione del mondo, persino l’io viene sezionato, scandagliato, trattato in provetta, tramite il metodo scientifico del parallelismo psico-fisico di Wundt e la psicoanalisi di Freud, tramite la clonazione e la riproduzione assisti-

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mondo post-rivoluzione scientifica, si instaura reciprocamente tra la religione, lo stato e la scien-za.

Freud sostiene che la società odierna sia fonda-mentalmente repressione dell’istinto sessuale, e che “l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale” (14). Ma afferma pure che, tali uomini primordiali, “si propongono di evitare con ogni cura ed assoluta severità ogni rapporto incestuoso. Anzi, tutta la loro organizzazione sociale sembra obbedire, o quanto meno tendere, a questo sco-po” (15). Ciò deriverebbe dalla sacralità della figu-ra totemica, animale, pianta o persona, e dalla assoluta necessità della sua verginità. La figura totemica è assicurazione inconscia di uguaglianza formale tra i membri della tribù. Essa altro non è che una trasfigurazione primitiva della nostra fi-gura divina. Dal timore della punizione totemica, nascono numerosi tabù; i tabù dei nemici, i tabù dei sovrani ed i tabù dei demoni. Freud eredita da Wundt queste classificazioni, ma, conclude, la causa fondante e primordiale è, nei fatti, la paura del demone, la quale a sua volta scaturisce da quel fattore che Freud chiama “onnipotenza dei pensieri” e che attribuisce al mondo un valore animistico, che definiamo anche vitalistico o, religiosamente parlando, panico. Infine, Freud dà attualità alle sue teorie ritenendo che “nella società odierna, la persistenza dell’onnipotenza dei pensieri si presenta con la massima chiarezza nel caso della nevrosi ossessiva […] L’onnipotenza dei pensieri si è conservata solo nel settore dell’arte. Solo nell’arte succede ancora che un uomo dilaniato da desideri realizzi qualcosa di simile al soddisfacimento, e che questo gioco – grazie all’illusione artistica – evochi reazioni affettive, come se fosse rea-le” (16). L’artista della società moderna viene paragonato ad un nevrotico, e questa citazione sembra quasi descrivere nel migliore dei modi il Von Aschenbach del racconto “Morte a Venezia” di Mann.

In ogni caso, estendendo il rapporto freudiano all’epoca classica ed a quella post-scientifica, si nota un passaggio da un’onnipotenza dei pensieri ad una profonda sfiducia nel pensiero stesso, che si traduce in una passaggio dalla fede nell’ideale al

ta. Non si pensi, però, che la rivoluzione scientifica sia un termine assoluto; i risultati a cui siamo giunti oggi sono il frutto di una serie di processi lenti e gra-duali, tramite i quali un moto convettivo ha portato a fondo gli ideali e le sovrastrutture e, contemporanea-mente, in superficie la scienza, il materialismo, il pragmatismo e l’empirismo. Uno di questi processi lenti e graduali è il progressivo straniamento dell’ar-tista, la sua impotenza nel modificare il mondo, la sua progressiva alienazione nei confronti dell’oggetto stesso della sua attività, il suo confondersi nella folla. Si ritiene che il decadentismo sia un fenomeno lette-rario e culturale limitato alla fine dell’Ottocento ed all’inizio del Novecento; in realtà, questa decadenza dei valori spirituali, è un fenomeno inarrestabile e costante che attraversa tutto l’Occidente dalla rivolu-zione scientifica in poi, e che presenta sorprendenti tratti in comune con la decadenza della spiritualità greca e di quella romana (11). Dunque, parafrasando Le Goff, bisognerebbe parlare di una “lunga decaden-za”, che ancora oggi non sembra aver avuto termine (12). Il neo eletto papa Benedetto XVI ha richiamato l’attenzione del mondo a questi problemi, proponen-do un ritorno dell’individuo biologico all’individuo mo-rale tramite un abbandono del relativismo, o meglio dello scientismo, nei valori morali: ”Ragionevole viene considerato soltanto ciò che è calcolabile e falsificabile o provabile nell’esperimento del grande settore delle scienze […] Questo settore appare come l’unica espressione della razionalità, tutto il resto è soggettivo […] Ma se le questio-ni essenziali della vita umana…sono tutti nella sfera della soggettività, allora non abbiamo più criteri”. Fondamenta-le è il passo in cui papa Ratzinger afferma: “Coscienza, nella modernità, diventa la divinizzazione della soggettivi-tà, mentre nella tradizione cristiana è proprio il contrario, è la convinzione che l’uomo è trasparente e può sentire in sé stesso la voce della ragione stessa, della ragione fondante del mondo” (13). Epurando questo discorso da ogni com-ponente religiosa, estendendo la sua intenzionalità alla figura dell’artista, si capisce come, col tempo e dalla rivoluzione scientifica in poi, lo scrittore, il poe-ta, l’intellettuale, sono sempre più divenuti incapaci di raccogliere questa ragione fondante del mondo, la quale invece è divenuta privilegio della scienza. E qui è necessario illustrare il rapporto costante che, nel-l’ambito del mondo classico come nell’ambito del

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tradimento di tale fede. Dunque, all’interno delle stesse civiltà classiche, è possibile scorgere un mutamento da un’età dello spirito ad un’età del materialismo scientifico, mutamento che porta con sé fenomeni sociali, politici e letterari molto simili a quelli manifestati durante il lento declino che l’idealità ha subito in Occidente a partire dal Seicento. Assistiamo al declino della religione, all’ascesa della borghesia, al trionfo dello scienti-smo, alla crisi della stabilità dello stato (17).

I tre fattori costanti della storia, la Religione, lo Stato e la Scienza, sono tra loro interconnessi da legami peculiari; lo stato non presenta di per sé stesso un’identità né ideologica né fisica, giacchè esso è solo un’ organizzazione indotta (Rosmini). Ciò vuol dire che lo stato esprime le tendenze maggioritarie del modo umano di rapportarsi alla realtà. La religione e la scienza sono, invece, due fattori contemporaneamente presenti nell’indivi-duo, ma stanno tra loro in un rapporto necessa-riamente gerarchico; uno scienziato non vede mai nel mondo le stesse cose che vi vede un religioso. La religione è un modo assoluto e spirituale di rapportarsi al concreto; la scienza, al contrario, un modo relativo e materiale. Lo stato rappresen-ta, dunque, una sorta di termine medio tra i sud-detti fattori, ed anche la sua politica, la sua ideo-logia, la sua socialità, ne vengono inevitabilmente influenzati (18). Come nella società moderna siamo passati da uno stato che combatte per la fede, ad uno stato che combatte per il petrolio, così anche nella storia classica possiamo riscontra-re una tendenziale degenerazione da una società idealistico-religiosa ad una società in cui affiorano sempre più atteggiamenti materialistici.

Lo Stato è un po’ come l’io penso kantiano, o al-meno, tale è stato inteso fino all’inizio del Nove-cento. Non possiamo attribuire alle strutture so-ciali, politiche ed economiche di un paese un va-lore noumenico, bensì soltanto un valore fenome-nico, risultante dall’interazione interna di tali strutture, e dal carattere sintetico ch’esse presen-tano come espressione maggioritaria del modo di rapportarsi alla realtà da parte della popolazione civile (vedi introduzione). Queste modalità di autocoscienza della comunità statale si tradurran-

no inevitabilmente nelle direttive adottate dalle sue proprie istituzioni pubbliche (19). In una collettività in cui il 90% dei membri considera sommo bene la comunanza dei beni, l’istituzione rappresentativa adotterà come linea politica il metodo della comu-nanza dei beni. In una collettività in cui si pensa che la religione non abbia necessità d’esistere, l’istituzio-ne rappresentativa perseguirà una politica improntata all’ateismo. Ma non è possibile concepire l’istituzio-ne rappresentativa in quanto tale, cioè concepire lo Stato come un organo dotato di propria personalità esclusivamente politica e burocratica, a meno che non si voglia ammettere che lo Stato abbia fatto pro-pri alcuni principi, imponendoli, poi, al resto della comunità. A volte, la possibilità di uno Stato capace di evolvere come un organismo a sé stante è ipotizza-bile, se non addirittura necessaria; ma, nella maggio-ranza dei casi, lo Stato è solo un parto naturale di tendenze ed istinti; non ha nulla di proprio, a parte l’eredità del gioco di forze che lo hanno generato in quanto risultato.

Alla fine della guerra fredda, come da più parti è sta-to sottolineato, si è venuto sviluppando un fenomeno inedito e sconcertante: l’unipolarismo delle forze in campo. La Storia antecedente agli anni novanta era sempre stata caratterizzata da uno scontro dialettico tra due o più forze, che si fronteggiavano tanto a li-vello internazionale quanto a livello, diciamo così, ideologico. Invece, dopo il crollo della Russia sovieti-ca, la potenza statunitense è rimasta l’unica forza attiva sul terreno della dinamica storica, e sotto la sua egida sono rientrati quasi tutti gli altri stati. Essi han-no necessariamente dovuto accettare i due principali fattori che hanno fatto, e fanno tuttora, degli USA una potenza assoluta, ovvero il capitalismo del libero mercato e la democrazia. Di fatto, anche potenze comuniste come la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Comunista di Cuba, sono da annoverare tra i paesi che seguono, se non le direttive, almeno gli esempi americani, adottando una politica di liberi-smo, mascherata dal vessillo rosso con falce e martel-lo.

Al contrario, il mondo che ha perso, cioè l’URSS sovietica, era fondato su principi totalmente diversi da quelli occidentali: la centralizzazione e statalizza-zione dell’economia e la dittatura del partito. Ora,

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poiché tali fattori risultarono, ad un certo punto, insufficienti al fabbisogno del mondo oltre-cortina, si tentò di mantenere intatta l’ideologia comunista, aprendo nel frattempo la parte materiale del Paese (la cosiddetta struttura) al metodo “americano”. Lo stes-so Hobsbawm rileva, tuttavia, che, non appena la Russia si volse al capitalismo e al capitale straniero, ma anche in concomitanza con la delusione morale provocata dalla glasnost e dalla scoperta delle nefan-dezze del regime, si ebbe immediatamente il crollo del sistema, che fu per altro un crollo incruento e deciso, senza troppi mezzi termini e ripensamenti. Dunque, come Hobsbawm lascia intendere, ciò che teneva su la Russia, nei primi come negli ultimi anni della sua storia, era il sogno comunista, la fede ed il sacrificio della popolazione civile convinta di lavorare in vista della realizzazione di un paradiso terrestre, fiduciosa nella guida del partito leninista. Coerente-mente con ciò, la Russia fu il paese che nel periodo che va dal ’45 al ’91 ebbe il maggior numero di stu-denti e di scuole, mentre il sistema garantiva l’eroga-zione di cultura a basso costo e ad alta aspettativa futura (20). Insomma, lo Stato sovietico era, almeno nella mente della popolazione e nella teoria del parti-to, uno stato ideal-religioso, ed il comunismo rappre-sentava pertanto una fede, una sorta di sostituto della vecchia chiesa bizantina, non a caso emarginata o ridotta al silenzio.

Possiamo dunque dedurre che la contrapposizione tra Stati Uniti e Russia fosse la contrapposizione tra uno stato scientifico ed uno stato spirituale, e la sconfitta del secondo fu sancita dalla sua uniformazione ai si-stemi del primo. Tra le due specie di uomini, l’homo occidentalis e l’homo sovieticus, la selezione naturale ha scelto quello meglio conformato alle condizioni so-cio-ambientali della congiuntura storica contempora-nea; oggi l’homo occidentalis è una razza dominante, che si rapporta al mondo in maniera estremamente realistica, che ha rinunciato alla sfera della collettività e di un paradiso futuro, volgendo lo sguardo al solo paradiso finanziario privato, ma soprattutto che porta dentro di sé un corredo genetico estremamente scientifico, che accetta per vero solo ciò che è nuovo, giudica malato o goffo tutto ciò che è vecchio, ritiene valido e degno di attenzione solo entità materiali sen-sibili, o una dottrina matematica applicabile. Tale

tipo d’uomo non è d’importazione americana, bensì il frutto, il risultato di secoli di storia e di disillusione. È un processo di lunga decadenza dello spirito occiden-tale che non ha lambito le coste del mondo orientale, né tanto meno quelle del mondo medio-orientale. La Storia dell’ultimo secolo è, per l’Occidente, un con-centrato di tale processo, come l’implosiva fase finale di una stella che esaurisce lentamente il suo calore, trasformandosi in un buco nero. Se oggi esiste un vero motivo di contrapposizione tra il nostro mondo e quello mediorientale, esso risiede nell’attrito che si sviluppa tra un mondo fatto di scienza e tecnica, e un mondo fatto ancora di verità e ideale; paesi come l’Iraq, l’Iran o l’Afghanistan, sono fondati sulla consa-pevolezza ideologica di possedere la verità, in essi l’oggettività della scienza non ha ancora inquinato e deluso l’innocenza dello spirito. La religione è ormai per noi un fatto d’abitudine, per loro un’esigenza di vita. Le nostre armi sono mosse dalla necessità di denaro, dalla sete di potere o, al massimo, dalla pau-ra; ma tale paura stessa nasce dal vedere nei popoli islamici un insormontabile baluardo dello spirito, dove l’arma è mossa dall’ardore di una fede, che noi non conosciamo più. Tra i principali sostenitori di queste tesi v’è il filosofo e sociologo Jean Baudrillard, il quale dice, a proposito del terrorismo, “e così qui tutto si gioca sulla morte, non soltanto attraverso l’irruzione brutale della morte in diretta, in tempo reale, ma attraverso l’irruzione di una morte più che reale, simbolica e sacrifica-le, l’evento veramente assoluto e senza appello […] tutta la potenza visibile non può nulla contro la morte infima, ma simbolica, di pochi individui […] qualsiasi massacro sareb-be loro perdonato se avesse un senso, se potesse essere inter-pretato come violenza storica” e infine, ma in maniera molto più significativa “è come se il sistema mondiale operasse un ripiegamento strategico, una revisione lacerante dei suoi valori – come reazione difensiva, parrebbe, all’im-patto del terrorismo, ma fondamentalmente rispondendo alle sue ingiunzioni segrete – regolarizzazione forzata del disor-dine assoluto” (21). Pertanto, vedere un unipolarismo internazionale nella storia contemporanea, è ancora una volta frutto di una visione occidentale, elucubra-zione di una mente scientifica, che tende a considera-re come “storia” solo ciò che riguarda l’economia, la società, l’ideale asservito all’interesse e la potenza militare. In realtà il bipolarismo esiste ancora, ma è

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molto più sottile; è la lotta del mondo post-scientifico dell’Occidente contro il mondo spiri-tuale, ideologico, religioso del Medio Oriente. Solo così possiamo comprendere come sia stato possibile che una potenza quale quella americana, possa essere stata messa in crisi ieri da poche ban-de di vietcong o, peggio ancora, oggi da alcuni manipoli di fondamentalisti islamici. Potremmo anche dire che, mentre nel mondo occidentale l’ideale è messo al servizio della scienza, nel mon-do islamico la scienza è messa al servizio dell’idea-le, e dunque si ripresenta in esso una situazione che appartenuta anche a noi in un passato ormai molto remoto (22).

NOTE

(1) “Certo si può essere d’accordo con Krzystof Pomian nel dire che tutte le periodizzazioni vanno strette allo storico. Così com’è certo che i periodi si accavallano, che esistono sfasature fra i diversi settori della storia umana (economia e cultura non vanno in genere di pari passo) e soprattutto fra le civiltà e le aree culturali. […] Ma nell’evoluzione dell’umanità, almeno per grandi masse, ci sono fasi, sistemi in lento movimento, che forniscono utili punti di riferimento di media e lunga durata e permettono di articolare meglio lo sforzo di razio-nalizzazione scientifica compiuto dagli storici per addomesticare il passato” (J. Le Goff, L’immagina-rio medioevale, prefazione). (2) “…propongo un lungo, lunghissimo medioe-vo, le cui strutture fondamentali evolvono solo con grande lentezza dal secolo III fino alla metà del XIX” (J. Le Goff, L’immaginario medioevale, prefa-zione). (3) Hegel definisce la Grecia presocratica come “un mondo immacolato, non lacerato da alcuna scissione” (Fenomenologia dello spirito). È bene notare e ricordare, a questo proposito, la ricerca compiuta in Italia dal Leopardi, il cui pensiero filosofico e filologico viene troppo spesso dimenti-cato a scapito di quello letterario; il sistema ”della natura e delle illusioni” entra in crisi quando egli scopre anche in questo periodo della classicità –

prima dell’avvento del razionalismo socratico – una profonda inquietudine ed un sostanziale male di vive-re, anticipando così alcune teorie propriamente nic-ciane. (4) Tutto ciò porta Hegel ad alcune mistificazioni e ad un ossessiva necessità di far rientrare ogni singolo avvenimento storico nella imponente sistemazione concettuale della “Enciclopedia delle scienze filosofi-che”. Il filosofo tedesco sembra non considerare af-fatto fenomeni come il neo-stoicismo di Seneca e Marco Aurelio, il platonismo di stampo estatico di Filone e Plotino, il giusnaturalismo interioristico e razionale di Alberico Gentile, Althusius e Grozio, le tendenze anti-ottimiste ed anti-progressiste di Rous-seau e Mandeville, il deismo di Toland e Clarke, l’e-stetismo di Baumgarten, la teoria dei cataclismi di Francesco Mario Pagano, il tradizionalismo e l’esi-stenzialismo dei suo tempi. Ma l’esempio più clamo-roso è quello del neo-platonismo e del naturalismo rinascimentale; Hegel sostiene che in questi due at-teggiamenti filosofici, l’individuo è privo della co-scienza di identità razionale e cerca nelle cose quello che invece dovrebbe trovare in sé. In realtà, ad un’at-tenta lettura dei testi, soprattutto, di Marsilio Ficino o di Giordano Bruno, ci si rende conto di quanto in essi il senso della razionalità sia profondamente chiaro e visibile, e funga piuttosto da moderatore del senso, ovvero di quella natura “umbratile” che, secondo lo stesso Bruno, è l’unica a poterci mettere in contatto con la divinità. Insomma, in tali filosofi rinascimenta-li, diversamente da quanto credeva Hegel, è possibile già incontrare quelle disillusione del razionalismo e quella fuga verso la sensualità e la forma che incon-triamo in maniera “ufficiale” alla fine dell’Ottocento. (5) “La storia sinora è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazione e garzoni, in breve, oppres-sori e oppressi…” (Marx ed Engels, Manifesto del par-tito comunista). Sembra quasi che la trascendenza pla-tonico-cristiana tra mondo reale e mondo eidetico, diventi in Marx la contrapposizione tra storia di lotta di classi ed era comunista. Ecco perché, fondamental-mente, “il comunismo diventa sempre più un credo, riguardante un futuro paradiso, e sempre meno una maniera di vivere quest’esistenza terrena” (B. Rus-sell, Saggi scettici).

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(6) Significativo, in tal senso il primo, dei quattro precetti logici di Cartesio: “…non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi in modo evidente esser tale” oltre che le quattro massime del metodo provvisorio: “La prima era di obbedire alle leggi ed ai costumi del mio paese […] La mia seconda massima era d’essere nelle mie azioni più fermo e risoluto che fosse possibile, e di seguire anche le opinioni più dub-bie […] La mia terza massima era di procurare di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna […] Infine…io mi proposi di sottomettere ad un esame rigoroso le diverse occupazioni che gli uomini hanno in questa vita, per cercare di scegliere la mi-gliore…” (Cartesio, Discorso sul metodo). (7) “Gli uomini del Novecento si ritengono superiori agli uomini di ogni altra età soltanto per il progresso tecnologico e per le scoperte scientifiche che hanno caratterizzato la loro vita” (B. Russel, Saggi scettici). (8) E .J. Hobsbawm, Il secolo breve. Ma lo stesso Rina-scimento viene dagli economisti del Novecento rite-nuto come un secolo di stagnazione e crisi (Pirenne) o, al massimo, come un periodo di transizione (Hay). In effetti, i fermenti commerciali e capitalistici nasce-rebbero già nell’ultimo medioevo, ed il loro sviluppo subirebbe un arresto nell’epoca rinascimentale (Sapori). (9) Bertrand Russell, Saggi scettici. (10) Karl Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, ove egli dice pure, discordando con Russell, che “l’etica non è una scienza” e che “ciò che prima era verità, oggigiorno è, al massimo, certezza”. (11) Giudichiamo l’età cristiana patristica e scolastica come un fenomeno tardo latino, in quanto tale ci appare de facto da un punto di vista puramente lette-rario spirituale; in tal senso sono visibili i retaggi del mondo classico e della sua cultura. Non dimentichia-mo che il decadentismo è un fenomeno esclusivamen-te iper-strutturale. Non a caso, quelle frange di cri-stianità che non avevano, per motivi geografici e poli-tici, avuto modo di venire in contatto con la cultura greco-romana, si faranno portatrici di nuove dottri-

ne, come il luteranesimo o il calvinismo, fondate, soprattutto, sull’aspetto attivo della vita, cioè sul lavoro, ed annullando le conquiste interiori del sog-getto con la teoria della predeterminazione. Tutto ciò in concomitanza con la rivoluzione industriale e con il dibattito sull’importanza dell’otium. (12) Considerata l’età dei lumi ed il vigore spiritua-listico del romanticismo, questa supposizione della lunga decadenza potrebbe far sorridere. Innanzitut-to, però, va sottolineato che sia l’illuminismo sia il romanticismo sono movimenti di reazione, il primo in termini di adattamento della ragione ad un nuovo metodo di intendere la realtà, un metodo scientifico che porta, ad esempio, all’empirismo di Locke, all’utilitarismo di Hume, alla filosofia del limite di Kant; il secondo in termini di contrapposizione co-me rivalutazione del sentimento, dell’impulso, del-l’istinto, dell’età pre-razionale e dell’assoluto pote-re dell’io sul non-io. E poi bisogna notare che, in entrambi questi grossi flussi, la vecchia ragione idea-listica e classica è sempre più lontana dalla capacità di indirizzare certi aspetti della vita, ormai proprietà della classe borghese in ascesa, fino a risultare essa stessa da questi condizionata, come visibile nel posi-tivismo (esempio chiaro è che alla teoria del pro-gresso ideale di Condorcet si sostituisce la teoria del progresso scientifico materiale di Comte e Spencer). Dunque, dopo la rivoluzione scientifica, gli ideali e lo spirito continuano a sopravvivere e per un certo tempo rimangono dominanti, ma sono sempre più incalzati, e poi definitivamente sconfitti a fine ‘800, dal materialismo, dal pragmatismo, dallo scientismo. In questo senso il decadentismo di fine secolo è soltanto il punto estremo, o se voglia-mo la presa di coscienza, di questo lunghissimo pro-cesso di disillusione dell’intellettuale. (13) (J. Ratzinger e Ernesto Galli della Loggia, Dia-logo sulla religione). È inoltre curioso notare come, a proposito della globalizzazione, Ratzinger sostenga che esistano fondamentalmente due modi per reagi-re alla sempre più preponderante dominazione tec-nologica dell’Occidente, ovvero l’uniformazione oppure la ribellione. Sono gli stessi due modi in cui la letteratura reagì al positivismo ed al materialismo deterministico di fine Ottocento: la specializzazione

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scientifica del naturalismo, del realismo e del verismo, o le tendenze simbolico-allegoriche in poesia. (14) S. Freud, Il disagio della civiltà. (15) S. Freud, Totem e tabù. (16) ibidem (17) Pur avvertendo questa micro-trasformazione interna all’epoca classica (e medioevale), è tutta-via innegabile che, in essa, il lato spirituale del-l’uomo venga soltanto indebolito, e non sostituito, da quello materiale, come avviene in Europa a cominciare dal Seicento. Parlando in termini glo-bali, l’epoca classica rimane, comunque, epoca dello spirito e dell’ideale. (18) Intendiamo, per Stato, l’insieme delle orga-nizzazione sociali, politiche ed economiche delle collettività, ma anche l’insieme delle istituzioni ad esse sovrapposte. Le due tipologie di stato (idealistico-religioso e scientifico-materialista) sono contrapposte al punto tale che Marx dirà di Hegel: “lo stato ideale teorizzato da Hegel nien-t’altro è che la giustificazione metafisica dell’em-pirico stato Prussiano dei nostri giorni”(K. Marx, Critica della filosofia hegeliana al diritto pubblico). (19) “Hegel concepisce gli affari e le attività statali astrattamente per sé e come loro contrario l’indi-vidualità particolare. Ma egli dimentica che l’indi-vidualità particolare è umana e che gli affari e le attività statali sono funzioni umane” (K. Marx, Critica della filosofia hegeliana al diritto pubblico). (20) Sebbene tale cultura fosse assolutamente mistificata, soprattutto con riferimento alle teorie di Marx ed Engels, e degli altri “veri” pensatori social-comunisti. (21) Jean Baudrillard, Lo spirito del terrorismo. (22) Dice Baudrillard che i nuovi terroristi sono anche in grado di usare sapientemente la moderna scienza e tecnologia, ad esempio trasmettendo tramite media esecuzioni umane ed amplificando-

PREMIO UNGARETTI

IL CENTRO STUDI AGORA’ DI ACERRA (NA) BANDISCE IL SETTIMO CONCORSO NAZIONALE “UNGARETTI” PER LA POESIA IN ITALIANO, DIALETTO E HAIKU. PER LE OPERE IN DIALETTO, AD ECCEZIONE DI QUELLO NAPO-LETANO, E’ OPPORTUNA LA RELATIVA TRADUZIONE. SI PUO’ PARTECIPARE CON OPERE GIA’ EDITE E CHE ABBIANO PARTECIPATO AD ALTRI CONCORSI. SI POS-SONO INVIARE MASSIMO 3 POESIE PER OGNI GENERE, MASSIMO 30 RIGHE OGNUNA, AD ECCEZIONE DI QUEL-LA HAIKU CHE HA UNA STRUTTURA PARTICOLARE. DI OGNI POESIA OCCORRONO 3 COPIE , UNA SOLA FIRMATA, CON UN FOGLIO A PARTE SUL QUALE VAN-NO INDICATE GENERALITA’, INDIRIZZO, TEL./FAX, E-MAIL. LE OPERE VANNO INVIATE A PIERO BORGO, VIA ZARA - 45 80011 ACERRA (NA) TELEFAX 081 8850793, E-MAIL [email protected] . LA QUOTA DI PARTECIPA-ZIONE E’ DI 15,00 € , DA INVIARE SOLO IN CONTANTI NEL PLICO. LA SCADENZA E’ IL 31 OTTOBRE 2005 (DATA TIMBRO POSTALE). CHI NON ABBIA SUPERATO I 25 ANNI A QUELLA DATA PARTECIPA AL PREMIO GIOVANI, DEDICATO A “TRILUSSA”. NON INVIARE COPIE DELLA CARTA D’IDENTITA’ MA INDICARE SOLO LA DATA DI NASCITA. LA QUOTA “GIOVANI” E’ DI 10,00 €. TUTTI I PARTECIPANTI DEVONO INVIARE NEL PLICO UNA BU-STA APERTA, AFFRANCATA, CON IL PROPRIO INDIRIZ-ZO SUL DAVANTI. LA MANCANZA DELLA QUOTA IMPE-DISCE LA PARTECIPAZIONE AL CONCORSO, QUELLA DELLA BUSTA DI CONOSCERNE L’ESITO. TUTTI SARAN-NO AVVISATI ENTRO IL 15 DICEMBRE ‘05. LE OPERE NON SARANNO RESTITUITE, I DIRITTI D’AUTORE SONO SEMPRE DEI PARTECIPANTI. NON INVIARE CURRICU-LUM. SARANNO PREMIATI I PRIMI 3 CLASSIFICATI DI OGNI SEZIONE: IL PRIMO “GIOVANI” PIU’ PREMI SPECIA-LI DELLA GIURIA. I PREMI CONSISTONO IN ARTISTICHE TARGHE E ATTESTATI GRATIS A RICHIESTA. LA PREMIA-ZIONE AVVERRA’ A GENNAIO 2006 NELLA GALLERIA FOTOGRAFICA “TINA MODOTTI”, SITA IN ACERRA (NA), PIAZZA MONTESSORI 25 (DI FRONTE ALLA SCUOLA MATERNA MONTESSORI). L’ADESIONE AL CONCORSO COMPORTA LA TOTALE ACCETTAZIONE DI CODESTO REGOLAMENTO. I VINCITORI SARANNO LEGGIBILI SUL SITO WWW.LITERARY.IT. LA GIURIA E’ COMPOSTA DALLA DOTT.SSA ORSOLA IADARESTA (BENI AMBIENTA-LI E CULTURALI), DAL SIG. ANTONIO GIRARDI (GIORNALISTA RESPONSABILE DEI PROGRAMMI CULTU-RALI PRESSO L’EMITTENTE TELEVISIVA “TELE FUTURA”, DAL PROF. EUGENIO RUSSOMANNO (DOCENTE DI LET-TERE A VITERBO).

IL PRESIDENTE

PIERO BORGO

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“Il mondo sommerso”

di J.G.Ballard

E’ un romanzo che oserei definire psico-climatologico in quanto l’Autore, scrittore all’avanguardia della narrativa inglese e dotato di un accattivante linguag-gio scientifico usato con dimestichezza, utilizza futuri (e, purtroppo, non del tutto inverosimili!) scenari cataclismatici, per analizzare gli stadi mentali involuti-vi di un gruppo di scienziati alle prese con la perlustra-zione di città sommerse.

La storia è questa: una ses-santina di anni prima alcune tempeste solari hanno causa-to un surriscaldamento glo-bale che a sua volta ha pro-dotto lo scioglimento dei ghiacci polari e quindi un innalzamento delle acque a livello planetario. Iguane e piante tropicali hanno invaso le costose suite, ormai allaga-te, di quei grattacieli che una volta rappresentavano il cuo-re della finanza mondiale e della vita agiata di popolose metropoli!

Ma la fantascienza, come spesso accade, è solo una scusa per parlare d’altro … Infatti, parallelamente a que-sta trasformazione climatica dannosa, Ballard svolge, focalizzando l’attenzione su alcuni dei suoi personaggi, una “ricerca intima” che non si occupa di surriscaldamenti, piante e rettili, ma evidenzia l’irrefrenabile involuzione dell’essere uma-no in un ambiente mutato e reso primordiale da eventi relativamente recenti. Il brano seguente, trat-to dal capitolo intitolato “Verso una nuova psicologia”, meglio di ogni recensione ci svela non solo il vero obiettivo del romanzo, ma sottolinea chiaramente

l’imprinting che Ballard acquisì lavorando per anni in una rivista scientifica e che ne influenzò natu-ralmente il linguaggio narrativo:

“E così lei ha paura che l’aumento della temperatura … stia risvegliando … ricordi sepolti nelle nostre menti?”. “Non nelle nostre menti, Robert. Questi sono i

ricordi più antichi del mondo, i codici temporali presenti in ogni nostro gene e in ogni nostro cromoso-ma. Ogni gradino che siamo riusciti a salire nella nostra scala evolutiva è una pietra miliare fatta di ricordi organici,… Come la psicanalisi si prefigge di ricostruire la situazione traumatica originaria al fine di provocare la libera-zione del materiale rimos-so, così ora noi stiamo precipitando nel nostro passato archeopsichi-co, riscoprendo gli antichi tabù e gli istinti primor-diali rimasti sopiti per migliaia di anni … Ognu-no di noi ha la stessa età dell’intero regno biologico e il nostro flusso sanguigno è immissario dell’immenso oceano della sua memoria collettiva…L’odissea ute-rina del feto in crescita

riassume in sé l’intero passato biologico …”.

Il titolo possiede un doppio senso: il “mondo sommerso” è sì un chiaro riferimento alla geogra-fia stravolta di un luogo futuro, ma è anche il nome di una sfida psicologica che prende vita al di là della volontà umana. Pochi i momenti di lucidità scientifica dei personaggi come quelli

La recensione di Michele Nigro

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riportati nella citazione. Anche perchè i veri pro-feti dell’involuzione sono, quasi a voler omaggiare il padre della psicanalisi S. Freud, i sogni: solo chi ne sa interpretare gli intimi messaggi, può dipana-re la matassa subcosciente di chi avverte un impul-so ma non ne sa dare una spiegazione: la voglia di ritornare ad uno stato primordiale mai conosciuto direttamente, ma presente nei meandri dell’Io.

Il termine “archeopsichico” - introvabile nel mio vocabolario ma ampiamente utilizzato dagli psica-nalisti e dagli esploratori dell’inner space - è il cuo-re semantico del romanzo; senza di esso il lavoro di Ballard risulterebbe asservito ai compendi di un’accademica e rigida neurologia.

<<D'altro canto, nel notissimo saggio "Which Way to Inner Space" - apparso nella rivista New Worlds nel maggio 1962 - l'autore inglese parla di rinnovamento dei moduli fantascientifici, pensan-do soprattutto alla tematica temporale, non più intesa come il convenzionale viaggio nel tempo ma piuttosto come artificio utile per mettere in evidenza taluni aspetti della vicenda arcaico-collettiva dell'umanità e mostrare i risvolti psicologici del rapporto tra sensibilità umana e dimensione temporale: “[...]vorrei che la SF elabo-rasse concetti come zona tempo, tempo profondo e tem-po archeopsichico. Vorrei vedere più idee psico-letterarie, più concetti metabiologici e metachimici, vorrei vedere dei sistemi temporali personali, delle psico-logie e degli spaziotempi sintetici, e quei remoti ed oscu-ri semi-mondi che avvertiamo nei dipinti delle persona-lità dissociate, tutto in completa poesia speculativa e fantasia scientifica.” Insomma, per lo scrittore l'uni-co grande territorio inesplorato è rappresentato dall'universo interiore dell'uomo che, più dello spazio interplanetario, riserva, a chi vi si avventu-ri, non poca materia narrativa. >> (1)

Le continue notizie sullo stato climatologico del pianeta Terra ci inducono inevitabilmente a ripren-dere in considerazione le tematiche catastrofiche ed affascinanti di un romanzo scritto nel 1962. Ma non bisogna totalmente abbandonarsi al messaggio calamitoso in esso chiaramente contenuto: Ballard vuole dirci di più … Mentre misuriamo i ghiacci,

le piogge e i livelli marini, dovremmo prendere in considerazione anche l’evoluzione intima dell’uomo, le sue trasformazioni psicologiche, gli impulsi pri-mordiali ricoperti da una lunga serie di strati culturali … Nessuno di noi sa se, un giorno, ci sveglieremo in un mondo come quello descritto dall’Autore, ma l’ipotesi di doverci confrontare con un’ involuzione neurale è senz’altro intrigante.

E chissà se tale involuzione non sia già cominciata...

(1) tratto dall’articolo <<"Chronopolis" di J.G. Ballard: la città e il tempo>> di Francesco Marroni.

James Graham Ballard è nato nel 1930 a Shangai dove suo padre lavorava. Dopo l’attacco a Pearl Har-bor è stato internato con la famiglia in un campo di prigionia e solo nel 1946 è riuscito a tornare in In-ghilterra. Ha lavorato per una rivista scientifica, poi si è dedicato alla scrittura. Da Crash, pubblicato nel 1973, David Cronenberg ha tratto l’omonimo film. L’impero del sole, apparso nel 1984, sull’esperienza autobiografica nel campo di prigionia, è stato portato sullo schermo da Steven Spielberg. Dei suoi romanzi Feltrinelli ha pubblicato Super-Cannes (2000), La mo-stra delle atrocità (2001), Il condominio (2003), Millen-nium People (2004) e Crash (2004). Il mondo sommerso, del 1962, è uno dei suoi primi libri.

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Premio Letterario Nazionale Mondolibro

(VIII edizione)

sez. A) Narrativa edita (romanzi e/o raccolte di racconti editi dal 1/I/1998);

sez. B) Narrativa inedita (romanzi e/o raccolte di racconti, max 200 cartelle da 1800 battute);

sez. C) Racconto inedito (max 8 cartelle da 1800 battute);

sez. D) Poesia edita (dal 1/I/1998);

sez. E) Silloge inedita (max 50 poesie);

sez. F) Poesia inedita (tre componimenti);

sez. G) sezione speciale: opere edite e inedite di nar-rativa, poesia, saggistica, teatro sul tema: Al di là delle barriere di lingua razza religione.Genti e culture diverse: una convivenza possibile.

Quote di partecipazione: Euro 20,00 per le sez. A-B -D –E -; Euro 10,00 per le sez. C – F - G Premi: targa e quadro d’autore per le opere prime classificate nelle sezioni A –B – D –E - G;

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Il rapido progredire, oggi, della scienza e della tec-nologia sottopone l’uomo, nel breve volgere della sua esistenza, a una serie di mutamenti così inattesi, profondi e molteplici che, in passato, si verificavano solo nell’arco di centinaia di anni. Afferma Asimov che «prima dell’Ottocento erano esistiti i cambia-menti, ma erano stati così impercettibili da non avere alcuna influenza sulla vita dei singoli individui […] prima dell’epoca moderna, il futuro era per l’umanità esattamente identico al presente»1. La visione del mondo era, per l’uomo del passato, del tutto rassicurante, tanto che l’umanista Carolus Bovillus poteva dire: «Hunc mundum haud aliud esse quam amplissimam hominis domum»2. L’av-vento della scienza moderna sconvolse sin dalle fondamenta tale concezione prescientifica.

L’uomo, un naufrago nell’oceano dell’Universo?

Secondo uno dei più famosi astronomi contempora-nei, Harlow Shapley, lo scardinamento della visione antropocentrica del mondo si è attuato attraverso una serie di “sistemazioni” successive. La sistemazio-ne più importante, e più nota, fu dovuta a Coperni-co, il quale rimosse la Terra – e l’uomo – dal cen-tro dell’Universo per sostituirvi il Sole. Ma dopo tre secoli, si scoprì che neanche il Sole è al centro dell’Universo. Un’altra sistemazione si rese, dun-que, necessaria: passare cioè dall’eliocentrismo al galattocentrismo. Infine, la sistemazione più radica-le. Poiché le osservazioni astronomiche contempo-ranee ci dicono che le galassie si allontanano sempre di più le une dalle altre, l’idea stessa di un centro è da escludere del tutto. La sconfortante conclusione è che l’uomo è come un naufrago nello sconfinato oceano dell’Universo, senza alcun punto di riferi-mento: egli «[…] diventa periferico tra i miliardi di stelle della sua propria Via Lattea; e d’accordo con le rivelazioni della paleontologia e della geochimica, è classificato come una recente, e forse effimera manifestazione nell’eternità cosmica»3.

Letterati e studiosi hanno cercato di dare una defini-zione dell’epoca moderna, di tracciarne un’identi-

kit, di fissarne le coordinate storico-culturali, di esor-cizzarne gli aspetti negativi e di valorizzare quelli positivi. Partendo da premesse etico-religiose calvini-ste, lo scrittore e storico inglese Thomas Carlyle così definiva, nel 1829, il tempo moderno: «Se ci chiedes-sero di caratterizzare con una sola parola questa età che è la nostra, noi saremo tentati di definirla non: l’età eroica, o religiosa, o filosofica, o morale, ma soprattutto: l’età meccanica […]. Non soltanto l’e-sterno e il fisico è adesso guidato dalla macchina, ma anche l’interno e lo spirituale […]. Gli uomini sono diventati dei meccanismi nella testa e nel cuore, così come nelle mani»4.

Differente è, naturalmente, la valutazione della nostra epoca se, anziché respingerla in blocco come fa Car-lyle, la si accetta. È, questa, la posizione di Piero An-gela, per il quale la soluzione dei tanti problemi susci-tati dalla modernità dipende dalla consapevolezza o meno che si ha del principio di Archimede: «In eco-nomia, in politica, nella società, continuamente vi sono “corpi” che vengono immersi in “liquidi”, provo-cando una serie di cambiamenti di livelli e di equili-bri: ignorando spesso il principio di Archimede, cre-diamo che certe “immersioni” possano avvenire senza che il livello salga, o senza che vi siano “spinte” dal basso verso l’alto. In realtà, invece, esistono sempre delle retro-azioni; non soltanto, ma esse sono rese oggi più complesse e più attive proprio dal crescente ritmo di sviluppo delle nostre società»5.

Il “future shock” di Toffler

È proprio sul ritmo di sviluppo, sui mutamenti rapidi che avvengono (a volte, a velocità esponenziale) nel mondo d’oggi, che è rivolta l’attenzione del sociolo-go americano Alvin Toffler. Egli nota che, quando un individuo è sottoposto a mutamenti eccessivi in un breve arco di tempo, va incontro ad un particolare malessere: lo “shock da futuro” (future shock). Quale il rimedio? Quello di invertire lo specchio del tempo: «In precedenza, gli uomini hanno studiato il passato per gettar luce sul presente. Io ho capovolto lo spec-chio del tempo, persuaso che anche un’immagine

Lo shock culturale della scienza e la fantascienza

di Antonio Scacco SAGGISTICA

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convincente del futuro possa prodigarci penetrazioni preziose dell’oggi. Ci riuscirà sempre più difficile capire i nostri problemi personali e pubblici se non ci serviremo del futuro come di uno strumento intellet-tuale»6.Ma quando i pericoli vengono non più dall’e-sterno, come nelle epoche passate, ma dall’interno della stessa organizzazione sociale, come si fa a non parlare di società del rischio? È la tesi portata avanti dal sociologo Niklas Luhmann, per il quale la definizione di cui sopra è dovuta «soprattutto agli sviluppi tecno-logici rapidi in campi che si avvalgono del contributo scientifico della fisica, della chimica e della biologia. Più di qualsiasi altro fattore, l’espansione immensa delle possibilità tecnologiche ha contribuito a far sì che l’attenzione pubblica si rivolga ai rischi ad essa connessi»7. Tuttavia, la “civiltà delle macchine” non ha prodotto solo guasti ambientali o nevrosi individuali e colletti-ve ma, modificando il modo di pensare e di esperi-mentare lo spazio e il tempo, ha dato anche vita a inedite forme artistiche. Secondo lo storico Stephen Kern, molte espressioni letterarie prodotte nel perio-do che va dal 1880 all’inizio della prima guerra mon-diale, si spiegano con la diffusione delle nuove tecno-logie: «James Joyce era affascinato dal cinema e nel-l’Ulisse tentò di ricreare nelle parole le tecniche di montaggio usate dai primi autori cinematografici. I futuristi adoravano la tecnica moderna e la celebraro-no nelle arti e nei manifesti. Parecchi poeti scrissero poesia “simultanea”, come risposta alla simultaneità dell’esperienza resa possibile dalla comunicazione elettronica […]. Altre tecniche fornirono metafore e analogie per le strutture in mutamento della vita e del pensiero»8.

La valenza umanistica della scienza

Gli autori fin qui citati non si limitano solo a tracciare la diagnosi dei mali del nostro tempo, ma si sforzano anche di indicare delle possibili terapie. In realtà, la crisi culturale che attanaglia la società occidentale non è del tutto priva di una via d’uscita, come denun-ciavano, nel ventennio tra le due guerre, certi famosi saggi: Il tramonto dell’Occidente di Spengler, La fine dell’epoca moderna di Guardini, La crisi della civiltà di

Huizinga, ecc.. Secondo il fisico e filosofo Enrico Cantore, ricercatore di primo piano all’Institute of Scientific Humanism di New York, se infatti è la scienza all’origine della crisi d’identità di cui soffre l’uomo moderno, tuttavia è essa stessa a spingerlo – facendogli scoprire aspetti di se stesso (autoscoperta) che prima, nell’era prescientifica, ignorava - ad una maggiore umanizzazione (autoaffrontamento). Una valutazione, pertanto, della condizione umana nel- l’era della scienza «non dovrebbe limitarsi alla crisi di identità. Più specificamente e più profondamente si deve parlare di crisi di crescita»9.

Vediamo, adesso, le varie ipotesi, che gli autori da noi citati formulano, per risolvere i problemi che affliggono l’homo tecnologicus. Quel che sorprende, dal nostro punto di vista, è che tali ipotesi trovano riscontro, a volte implicitamente, a volte esplicita-mente, nella narrativa di fantascienza o science fiction. Thomas Carlyle, ad esempio, parla di «un doloroso scontro senza confini del nuovo con il vecchio […]. È verso una libertà superiore alla mera libertà dall’op-pressione dei suoi simili, che l’uomo oscuramente mira»10. È uno scenario, quello tracciato da Carlyle, che fa da sfondo a tante opere di fantascienza: si pensi a La città e le stelle (The City and the Stars, 1956) di Clarke, dove il protagonista lotta contro i tabù della sua gente. A sua volta, Piero Angela indica, quale strumento in grado di affrontare il futuro, la «simulazione mentale»11, idea presente in L’uomo stocastico (The Stocastic Man, 1975) di Robert Silver-berg. Infine, l’esigenza avanzata da Niklas Luhmann «di assicurare contorni di trasparenza in un mondo che con la prassi dell’osservazione di secondo ordine è divenuto intrasparente»12, non costituisce forse il tema dominante della produzione narrativa di Philip K.Dick? Ma l’autore in cui il riferimento alla science fiction è fatto senza perifrasi, è Alvin Toffler. Egli riconosce la capacità immunizzante della fantascienza contro la malattia del nostro tempo, il future shock, e scrive: «Non possiamo avvalerci, in questi corsi, di una let-teratura del futuro, ma disponiamo di una letteratura sul futuro, consistente non soltanto nelle grandi uto-pie ma anche nella fantascienza contemporanea […]

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la fantascienza ha un valore immenso come forza per ampliare la mente in vista della creazione dell’abitudine di prevedere il futuro. I nostri figli dovrebbero studiare Arthur C.Clarke, William Tenn, Robert A.Heinlein, Ray Bradbury […]»13. Il pensiero di Toffler non poteva non trovare ri-specchiamento nella narrativa fantascientifica. Ad esempio, l’inglese John Brunner, in una breve premessa al suo romanzo Codice 4GH (The Sho-ckware Rider, 1975), dichiara: «Coloro che, co-me me, aspirano a raffigurare in termini di narra-tiva gli aspetti del futuro […] non tirano a indovi-nare. Spesso sono debitori – e in questo caso io lo sono specificamente – nei confronti di coloro che analizzano le illimitate possibilità del domani per fini pratici […]. L’ambientazione di Codice 4GH deriva in buona parte dallo stimolante studio Fu-ture Shock di Alvin Toffler».

Fermate il mondo! Voglio scendere

Ma è nel racconto di Raphael A.Lafferty, La lunga notte di martedì (Slow Tuesday Night, 1970), che i concetti di velocità esponenziale dei cambiamenti e di shock da futuro trovano una puntuale e magi-strale esemplificazione. Nel futuro viene scoperto il modo di rendere le decisioni della gente più rapide ed efficienti. Quello che in passato richie-deva mesi o anni, ora richiede solo un breve in-tervallo di tempo. In un periodo di otto ore, una persona può intraprendere e concludere una o più carriere, tutte ugualmente complicate e impegna-tive. Quasi in modo istantaneo si formano e si dissolvono immensi imperi finanziari e opere del-l’ingegno o invenzioni, in pochi attimi concepite e lanciate sul mercato, con altrettanta celerità l’obsolescenza. Ecco come un filosofo compone la sua opera: Un uomo pensoso, di nome Maxwell Mou-ser, aveva appena prodotto un’opera di filosofia attini-ca. Aveva impiegato diversi minuti a comporla. Per scrivere lavori di filosofia si usavano gli abbozzi flessi-bili e gli indici delle idee; si regolava l’attivatore perché distribuisse la tecnologia desiderata in ciascuna sottose-zione; si ricorreva all’inseritore di paradossi e al misce-latore di analogie sorprendenti; si calibrava il taglio particolare dell’opera e l’impronta della personalità. Doveva per forza venir fuori un buon lavoro, perché

l’eccellenza era diventata il minimo automatico per produ-zioni del genere. - Spargerò qualche ciliegina sulla torta, - disse Maxwell, e abbassò l’apposita leva. Questa fece piovere manciate di parole tipo “ctonico”, “euristico” e “promizeidi” attraverso tutta la stesura, così che nessuno potesse dubitare che si trattava di un’opera di filosofia14.

Per effetto dell’andamento vorticoso che ha assunto l’esistenza della collettività umana, all’interno di essa si sono create tre microstrutture sociali, ben distinte e parallele; gli Albiani, che svolgono le loro attività dalle quattro a mezzogiorno, i Meridiani, che lavora-no da Mezzogiorno alle venti, e i Notturni, dalle ven-ti alle quattro del mattino. Ognuno di questi organi-smi disfà ciò che l’altro ha precedentemente lasciato: ad ogni cambio di turno, edifici di centinaia di piani vengono costruiti, occupati, abbandonati, e ancora demoliti per fare posto a strutture più moderne. Solo degli esseri mediocri avrebbero utilizzato una costru-zione abbandonata dai Meridiani o dagli Albiani o dai Notturni. Sicché, nell’arco di otto ore, la città cam-bia radicalmente aspetto non una, ma più volte. E la vita affettiva delle persone come è regolata? In una realtà sociale così profondamente alienata come quella descritta da Lafferty, dove massificazione e consumismo, omologazione culturale e deresponsabi-lizzazione umana dettano legge, non ci può essere spazio per i sentimenti autentici. L’amore può nasce-re in un contesto che favorisca il sorgere di interiorità aperte all’incontro e al dialogo con l’altro, mentre l’appiattimento unidimensionale del senso della vita al semplice soddisfacimento di sensazioni epidermi-che o al conseguimento di posizioni sociali di presti-gio, non può che condurre all’isolamento o a incontri anonimi e frustranti del seguente tenore: Ildefonsa Impala, la donna più bella della città, era sempre interessa-ta ai nuovi ricchi. Andò a trovare Freddy verso le otto e trenta. La gente decideva in fretta, e Ildefonsa, arrivando, aveva già preso la sua decisione […]. L’amore, per Ildefon-sa e il suo sposo, era stato una cosa fulminea e consumante. Inoltre, avevano prenotato soltanto la luna di miele di lusso da un’ora. Freddy avrebbe voluto continuare la relazione, ma Ildefonsa lanciò uno sguardo a un indicatore di tendenza. Il modulo a mano avrebbe mantenuto la sua popolarità soltanto per il primo terzo della serata. E Freddy Fixico non era uno degli

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uomini di successo assidui. Riusciva a fare una bella carrie-ra soltanto una sera alla settimana, in media. Per le nove e mezzo erano già tornati in città e divorziarono presso la Corte delle Cause Piccole15.

Dall’etica alla metafisica

Dai pochi esempi fin qui citati, si può fondatamente sostenere che la fantascienza è, per i giovani, vera-mente una chance per il futuro; né si possono conside-rare esagerate le belle, appassionate parole pronun-ciate da Robert A.Heinlein nel corso di alcune lezioni tenute all’Università di Denver nel 1957: «In senso generale, tutta la science fiction prepara la gioventù a vivere e sopravvivere in un mondo di perenne muta-mento, insegnando che il mondo cambia. Più in par-ticolare, la science fiction sottolinea il bisogno di liber-tà di pensiero, e l’ansia della conoscenza»16. Anche uno studioso del calibro di Gillo Dorfles ha sostenuto che non tutti gli scrittori di fantascienza sono «consapevoli di agitare problemi così rilevanti e cru-ciali; i più anzi li ammanniscono, inconsciamente su “ordinazione” perché è risultato da numerose inchie-ste qual è il pasto fantastico che le masse trovano più sapido e allettante». Tuttavia, «molti [dei loro] libri (e dei film o dei fumetti da essi tratti) sono effettiva-mente creati a buon fine, mirano cioè a ristabilire i valori d’una morale prevalentemente sana e saggia»17.

Le parole di Dorfles ci spingono a soffermare la no-stra attenzione su un aspetto particolare della crisi della modernità che, come gli altri aspetti sopra ac-cennati, trova rispecchiamento nella science ficiton: la religione. Partiamo da una premessa: nella storia dell’umanità, non c’è stato mai alcun popolo che si sia professato ateo. Tutti hanno ammesso l’esistenza di Dio, anche se a volte lo hanno confuso, come i primitivi, con le forze della natura (jerofanie) o, come gli antichi greci e romani, gli hanno attribuito azioni e sentimenti umani (antropomorfismo).

Afferma Ildebrando A.Santangelo: «Il problema del-l’Universo si riduce a questo dilemma: o è la materia che produce l'intelligenza, cioè il meno che produce il più; o è l’intelligenza che produce la materia, cioè il più che produce il meno. Nel primo caso non c'è intelligenza che organizza e progetta, non ci possono essere leggi, ma soltanto il caos, il corso della forza

cieca e quindi della violenza, dell'ineluttabilità, del fato, e, giunti all'uomo, dell'odio; io stesso sono il prodotto del caso e di istinti. Nel secondo caso c'è il corso dell'intelligenza che vuole, che organizza, che fa le leggi, che sceglie, e quindi, giunti all'uomo, c'è il corso dell'amore; io stesso, in tal caso, sono il prodotto e la scelta di un amo-re infinito contro tutte le forze cieche e le forze del male che non avrebbero permesso o voluto che io esistessi. Ora abbiamo visto da per tutto un ordine, delle leggi, dei fini o scopi da raggiunge-re: ciò rivela un Creatore Ordinatore» 18. La pre-senza della religione, specialmente di quella cri-stiana, non può non avere un influsso benefico sulla società come ci documenta il seguente brano di Frederik B. Artz, citato da Erich Fromm in Avere o essere?: «Per quanto riguarda la società, i grandi pensatori medioevali ritenevano che tutti gli uomini siano uguali agli occhi di Dio e che anche i più umili siano dotati di infinito valore. In campo economico, insegnavano che il lavoro è una fonte di dignità, non già di degradazione, e che nessuno dovrebbe essere usato per scopi indi-pendenti dal suo benessere, mentre salari e prezzi dovrebbero venire stabiliti secondo giustizia. Nel-la sfera politica. insegnavano che la funzione dello stato è morale, che la legge e la sua amministra-zione dovrebbero essere compenetrate dagli ideali cristiani di giustizia, e i rapporti tra governanti e governati fondarsi sulla reciprocità. Lo stato, la proprietà e la famiglia sono, in questa concezione, affidati da Dio a coloro che li gestiscono, e vanno quindi usati per favorire i disegni divini. Infine, l’ideale medioevale comportava la ferma credenza che tutte le nazioni e tutti i popoli sono parte di un’unica, grande comunità19.

La scienza è nemica della metafisica?

Purtroppo, con l’avvento della scienza, l’equili-brio culturale e politico del Medio Evo andò in frantumi. La scienza acquistò, come abbiamo vi-sto più sopra, un’importanza così rapida e inva-dente, che cominciò a respingere da sé (specialmente sotto l’influsso del positivismo e dello scientismo) tutte quelle forme di vita e di

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pensiero che le erano estranee, tra cui in primis la religione. Bisogna però aggiungere che l’azione di compressione esercitata dalla scienza nei confronti della religione, non è qualcosa di preordinato. La scienza non è necessariamente nemica della meta-fisica, anzi, come afferma B. d’Espagnat, è «la fisica [che] rianima la metafisica». La responsabili-tà del divorzio tra scienza e religione ricade, in ultima analisi, sull’uomo. Questi rifiuta lo sforzo di un maggiore impegno etico che le mutate con-dizioni storico-culturali gli richiedono, e, stordito dal sogno di un’illimitata potenza che la scienza sembra prospettargli, è trascinato in un vortice travolgente, come in una reazione a catena, che «[…] spinge l’uomo a utilizzare la scienza per aumentare la sua potenza, a sua volta utilizzata per ottenere dalla scienza nuovi frutti. Si tratta di una specie di ebbrezza che oscura lo sguardo e lo di-stoglie da altri orizzonti. Ne consegue un’atrofia progressiva delle facoltà e della vita puramente interio-re, tutti elementi costitutivi del clima indispensa-bile alla fede religiosa. La stima esclusiva dell'effi-cacia materiale nata dalla scienza vincola il cuore alle realtà puramente terrene e materiali, e poco alla volta lo rende impenetrabile al mondo divino. Questo, infatti, suppone innanzitutto un impegno personale di fronte a Dio, una comunione interio-re con una realtà che si manifesta soprattutto nel silenzio del cuore: tutte cose estranee al mondo nato dalla rivoluzione scientifica»20.

L’inaridimento del senso religioso non può non avere conseguenze negative per la convivenza umana. Anzi, a ben riflettere, l’attuale crisi della modernità dipende proprio dall’eclisse del sacro, come evidenziano le seguenti parole del filosofo Nicola Abbagnano: «Quando viene meno l'uomo come unità di misura di ogni cosa, ecco che co-mincia il regno dell'arbitrio, della sopraffazione, perfino del genocidio legalizzato. È il regno in cui Robespierre dà la mano a Stalin, Hitler strizza l'occhio a Pinochet. Qua si uccide un uomo per-ché è “rosso”, là lo si massacra perché è “nero”. Ma la logica che fa scattare la spirale mortifera è sempre e dovunque la stessa. Quando Dio è stato schiodato dal cielo della trascendenza e negato e dissolto dall'immanenza, sul trono rimasto deser-

to si è assiso non l'uomo concreto, ma un'entità a-stratta che ha usurpato il suo nome. È allora che ogni freno è caduto e che si è aperto il varco all'irrompere nella storia di ogni ignominia»21.

Un esempio di fantascienza religiosa

Il romanzo di fantascienza che mette in risalto il valo-re della religione per una convivenza umana degna di questo nome, è Un cantico per Leibowitz (A Canticle for Leibowitz, 1959) di Walter Miller Jr. Vi si narra-no le vicende dei frati di San Leibowitz, uno scienzia-to convertito che ha fondato l’ordine monastico con lo scopo di salvare i pochi libri rimasti dopo una cata-strofe nucleare, di tramandarli alle generazioni future e di far così rinascere la civiltà umana. Alla maniera dei monaci benedettini, anche quelli leibowitziani copiano e impreziosiscono di miniature i libri, che vengono detti “Memorabilia”. Alla fine, la civiltà ri-torna al suo antico splendore, ma l’umanità è rimasta schiava dei vecchi vizi morali. La Terra è nuovamente sconvolta – e questa volta definitivamente – da un altro olocausto nucleare, e i monaci di San Leibo-witz, con uno sparuto gruppo di terrestri, partono a bordo di un’astronave verso un altro sistema planeta-rio, per portare in salvo la fede e la cultura.

Il messaggio religioso del romanzo di Miller è stato spesso frainteso dai critici, i quali hanno puntato la loro attenzione soprattutto sui risvolti politici e cul-turali della vicenda22. Secondo noi, l’Autore ha volu-to principalmente dire che, senza una visione religio-sa e trascendente della vita, ogni costruzione umana è fondata su basi fragili e, prima o poi, come un colosso dai piedi d’argilla, è destinata a crollare. Vengono alla mente le parole di Fromm a proposito di un falso idolo che l’uomo d’oggi si sarebbe creato, la “religione cibernetica”: «[…] l'uomo ha fatto di se stesso un dio avendo la capacità tecnica di una “creazione seconda” del mondo, sostitutiva della pri-ma creazione a opera del dio della religione tradizio-nale. O, per dirla altrimenti: abbiamo fatto della macchina un dio e ci siamo resi simili a dio servendo la macchina […], noi cessiamo di essere i padroni della tecnica per diventarne invece gli schiavi, e a sua volta la tecnica […] rivela l’altra sua faccia, quella di dea della distruzione (come la Kalì degli indiani)

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[…]. Mentre a livello conscio continua ad aggrappar-si alla speranza di un futuro migliore, l’umanità ci-bernetica rimuove l’evidenza del fatto che è divenuta l’adoratrice della dea della distruzione»23.

Ritornando al romanzo di Miller, c’è un brano che, secondo noi, mette bene in evidenza l’idea che la scienza senza la fede non può non ritorcersi contro l’uomo: Don Paulo non aveva preteso di convincerlo. Ma fu con il cuore pesante che l’abate notò la paziente condi-scendenza con cui il thon lo ascoltava: era la pazienza di un uomo che ascolta un argomento che ha da molto tempo confutato con propria soddisfazione.

- Ciò che consigliereste in realtà, - disse lo studioso, - è che noi aspettiamo ancora un poco. Che sciogliamo il colle-gium, o che lo trasferiamo nel deserto, e in un modo o in un altro – senza possedere oro o argento – facciamo rivivere una scienza sperimentale e teorica, in un modo lento e diffi-cile, senza dirlo a nessuno. Che noi salviamo tutto per il giorno in cui l’Uomo sarà buono e puro e santo e saggio.

- Non è questo che intendevo…

- Non è questo che intendevate dire, ma è ciò che significa quello che avete detto. Tenere la scienza chiusa in un chio-stro, non tentare di applicarla, non tentare di far nulla fino a che gli uomini non saranno santi. Ebbene, non andrà. Voi lo avete fatto qui, in questa abbazia, e per intere generazio-ni.

- Noi non abbiamo nascosto nulla.

- No, non l'avete nascosto; ma vi ci siete seduti sopra, cosi quietamente, e nessuno sapeva che era qui, e voi non ne avete fatto nulla.

Una breve collera lampeggiò negli occhi del vecchio eccle-siastico…

- Devo leggervi un elenco dei nostri martiri? Dovrò citarvi tutte le battaglie che abbiamo combattuto per serbare intatti questi documenti? Tutti monaci diventati ciechi nella copi-steria? per il vostro bene? Eppure voi dite che non ne abbia-mo fatto nulla, li abbiamo nascosti nel silenzio.

- Non intenzionalmente, - disse lo studioso, - ma in effetti voi l'avete fatto... e per gli stessi motivi che, come voi sot-tintendete, dovrebbero essere i miei. Se voi tentate di salva-re la saggezza fino a che il mondo diventerà saggio, Padre, il mondo non l’avrà mai.

- Capisco che l’incomprensione è radicale! – disse burbe-ramente l’abate. – Servire prima Dio o servire prima Hannegan… questa scelta spetta a voi.

- Ho poca scelta, allora, - rispose il thon. – Vorreste forse che lavorassi per la Chiesa? – Il sarcasmo nella sua voce era inconfondibile24.

La rivalutazione dell’immaginazione

Oggi, alle soglie del terzo millennio, il divorzio tra scienza e religione che c’era stato soprattutto nel XIX secolo e agli inizi del presente, sembra che si vada colmando. I più prestigiosi esponenti del mondo scientifico, soprattutto quelli della fisica quantistica (si pensi a Max Planck, Niels Bohr, ecc.), hanno rigettato il credo scientista secondo cui la scienza può spiegare tutto, il mondo e l’uo-mo. Secondo il fisico e teologo Thierry Magnin, la ripresa del dialogo scienza-metafisica «è un fatto culturale innegabile alla fine del XX secolo […]. Al punto attuale di riflessione, sembra almeno possi-bile dire che la scienza del XX secolo ci orienta in modo nuovo verso la domanda di senso e quindi sull’interrogativo su una trascendenza. Si tratta di un radicale cambiamento in confronto allo scienti-smo del XIX secolo e quello all’inizio del XX seco-lo. E anche un passo importante per la nostra li-bertà di fronte alla domanda di Dio»25.

Da quello che fin qui abbiamo detto, è innegabile che la fantascienza sia, nei suoi esempi migliori, uno strumento molto valido per rendere possibile alle nuove generazioni un atterraggio morbido tra i profili accidentati – emergenti dalle nebbie del domani – della società del XXI secolo. Ma lo è anche per un motivo molto più specifico. Oggi, il ricercatore scientifico non si considera più un sem-plice fotografo della natura, un raccoglitore di fat-ti, secondo il riduzionismo metodologico del posi-tivismo. Egli assimila la sua attività piuttosto a quella dell’esploratore, in cui entrano in gioco delle idee preconcepite, che provengono da una specie di anticipazione dell’esperienza. Ma dove trovano la fonte queste idee precostituite? È l’im-maginazione dello scienziato la loro matrice: si pensi al principio di complementarità che N.Bohr elaborò ispirandosi largamente alla psicologia del

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profondo26. E il gioco delle proiezioni futurologi-che, delle ipotesi più o meno azzardate, delle anti-cipazioni azzeccate o errate, il «continuo dialogo tra ciò che potrebbe essere e ciò che è» di cui parla il premio Nobel F.Jacob nel suo saggio Il gioco dei possibili, non è l’elemento-base, la ca-ratteristica peculiare, la struttura portante della science fiction?

N O T E 1 Isaac Asimov, Fantascienza e società, in Guida alla fantascienza, Mondadori, “Urania blu”, Milano, 1984, pp.64-65. 2 Cfr. Enrico Cantore, L’uomo scientifico. Il signifi-cato umanistico della scienza, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1988, p.497. 3 Harlow Shapley, Le stelle e l’uomo, Mondadori, Milano, 1961, p.134. 4 Thomas Carlyle, Segni dei tempi, in Valerio Ca-stronuovo, La rivoluzione industriale, Sansoni, Fi-renze, 1973, pp.114-115. 5 Piero Angela, La vasca di Archimede, Garzanti, Milano, 19824, p.5. 6 Alvin Toffler, Lo choc del futuro, Rizzoli, Milano, 19722, p.12. 7 Niklas Luhmann, Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano, 1996, p.98. 8 Stephen Kern, Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna, 1988, pp.12-13. Kern cita Wells e defi-nisce la sua macchina del tempo «un simbolo della speranza di tutta la tecnologia di accelerare i pro-cessi di cambiamento». Per un quadro completo dei riferimenti alla fantascienza presenti nel sag-gio di Kern, si veda la recensione di Massimo Del Pizzo su “Future Shock” n.3 (nuova serie), maggio 1989, pp.12-13. 9 E.Cantore, op. cit., p.511. L’Autore accoglie la tesi dello psicologo Erik H.Erikson, secondo cui «l’evoluzione socio-genetica dell’uomo sta per giungere a una crisi nel senso pieno del termine, a un crocevia da cui si diparte un sentiero per la fatalità e uno per la ripresa e un’ulteriore cresci-ta» (p.510). 10 T.Carlyle, op. cit., p.117.

11 P.Angela, op. cit., p.129. Il concetto di simulazione mentale, cioè di essere in grado di prevedere il peri-colo prima che si presenti entro il nostro orizzonte visivo, costituisce il leitmotiv di tanti romanzi di fan-tascienza basati sulla telepatia. 12 N.Luhmann, op. cit., p.258. 13 A.Toffler, op. cit., p.421. 14 Raphael A.Lafferty, La lunga notte di martedì, in Associazione genitori e insegnanti (Nine Hundred Grandmothers, 1970), Mondadori, “Urania” n.852, 1980, p.144. 15 Ibidem, pp.142-143. 16 Citato in G.Caimmi-P.Nicolazzini, Le storie future, in “Robot” n.33, Armenia, Milano, 1978, p.183. La tensione educativa di Heinlein è documentata dai romanzi scritti per la gioventù (juveniles) e da quelli della terza fase della sua carriera letteraria. 17 Gillo Dorfles, Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Tori-no, 1977, p.225. 18 Ildebrando A.Santangelo, Il senso dell’esistenza, Comunità Editrice, Adrano, 1985, p.110. 19 Erich Fromm, Avere o essere?, Mondadori, Milano, 197916, p.184. 20 Jean-Marie Aubert, Il giovane e la scienza, Edizioni Paoline, Catania, 1963, pp.31-32. 21 I.A.Santangelo, op, cit., p.119. 22 Cfr.Collettivo “Un’Ambigua Utopia” (a cura di), Nei labirinti della fantascienza, Feltrinelli, 1979, p13-9, dove si mette in rilievo l’opera meritoria dei frati di San Leibowitz di portare «la razza umana verso un nuovo rinascimento e il ritorno della civiltà al livello che aveva raggiunto ai nostri giorni», ma poi il giudi-zio conclusivo è che il «romanzo è, ideologicamente, quanto mai equivoco». 23 E.Fromm, op. cit., p.200. 24 Walter Miller, Un cantico per Leibowitz, Ed. La Tribuna, Piacenza, 1964, pp.287-288. 25 Thierry Magnin, La scienza e l’ipotesi di Dio, Ed. San Paolo, Torino, 1994, p.75 26Cfr.G.Holton, Immaginario scientifico. I temi del pensiero scientifico, Einaudi, Torino, 1983.

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diversi anni ha collaborato con Rita D'Amelio, titolare della cattedra di Storia della Letteratura per l'infanzia all'Università di Bari.

Negli anni '80, è stato membro di Amnesty Inter-national e ha perorato, con lettere indirizzate agli ambasciatori e ai governanti dei paesi interessati, il rispetto dei diritti umani per i detenuti politici. E' socio ordinario del Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile. In perfetta coerenza con il suo cognome - non si dice nomen est omen? - gli piace giocare a scacchi e partecipare ai tornei in-detti per la sua categoria (3a nazionale); ha vinto diverse coppe.

Saggi pubblicati: Il gioco dei mondi (Ediz. Deda-lo, Bari, 1985), in collaborazione con V. Catani e E. Ragone; Fantascienza e letteratura giovanile (Bari, La Vallisa,1988), Educazione tra le stelle. L'umanesimo scientifico e la fantascienza (Levante Editori, Bari, 1992) e Fantascienza umanistica (Bari, Editrice Tipografica, Bari, 2002). Educazio-ne tra le stelle è stato così giudicato dal pedagogi-sta Angelo Nobile: «[...] uno strumento essenziale di lettura e di lavoro per chiunque intenda adden-trarsi nel mondo affascinante ma ancora inadegua-tamente indagato e conosciuto della fantascienza e cimentarsi, anche in chiave operativa, con le rela-tive problematiche educative e didattiche» ("LG Argomenti, n.2, 1996)

ANTONIO SCACCO è nato a Gela (1936), ma i suoi studi classici e magistrali li ha compiuti a Caltagi-rone. All' inizio degli anni '60, avendo vinto la catte-dra d'insegnamento nelle scuole elementari, dalla Sicilia si è trasferito in Puglia. Alla facoltà di Magiste-ro di Bari (città in cui attualmente vive), ha consegui-to la laurea in materie letterarie con una tesi sui juve-niles di Robert A. Heinlein. Da anni si è occupato di narrativa di fantascienza, nell'ambito della quale por-ta avanti la tesi che la scienza è di per sé umanizzante, tuttavia da sola non basta ad umanizzare l'uomo: essa infatti non contiene né indicazioni di fini, né giudizi di valore. Ha perciò bisogno di integrarsi con altre forme di esperienza: arte, filosofia e, soprattutto, religione. Ha fondato tre pubblicazioni amatoriali di narrativa e saggistica di fantascienza: "THX 1138", che è cessata nel 1986, "Future Shock" e "Malacandra", che tuttora dirige.

I suoi articoli sono apparsi su: Scuola Italiana Moder-na, Schedario, LGArgomenti, L'Ora del Racconto, Pugliascuola, Le scienze, la matematica e il loro inse-gnamento, Rocca, Scuola e Didattica, Nuova Secon-daria. Questi i suoi ultimi interventi: Le potenzialità educative della fantascienza (LG Argomenti, 3/'95), Allergia alla (fanta)scienza (Rocca, 22/'95), Fanta-scienza a scuola? No, grazie! (Scuola e Didattica, 15/'96), Umanesimo, scienza, fantascienza (Nuova Secondaria, 10/’97), Creatività ed emarginazione della fantascienza (Scuola e Didattica, 13/'00) Per

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colorito tra l’arancione scuro ed il nero … Strani lampi dalla forma bizzarra attirarono l’attenzione delle prime generazioni di coloni rinchiusi nelle capsule abitative che sorgevano, ormai numerosissime, intorno al punto d’atter-raggio dell’Anno Zero. Una pioggia densa ed anomala scese lentamente, a causa della bassa gravità di Marte, verso la superficie assetata del pianeta.

L’Uomo diede nomi differenti alle acque che vide comparire con il trascorrere del tempo … E provò un’immensa gioia nel rivedere quel prezioso liquido responsabile di tanta vita…

E fu sera e fu mattina: Seconda Era.

E l’Uomo disse: “La terra di Marte produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne: le sonde-rover atterrate nella zona equatoriale e le numero-se generazioni di robot autoriproducentesi mandate dalla Terra avevano disseminato su tutto il pianeta, cominciando l’opera molti e molti decenni prima della Grande Trasmi-grazione, alghe e licheni capaci, anche in assenza di ossige-no, di preparare il terreno all’arrivo di piante ed erbe più complesse e bisognose d’ossigeno. I primi coloni, con l’aiuto di macchine automatiche, piantarono una grande varietà di specie vegetali le quali s’adattarono, con il trascorrere degli anni e grazie alle modificazioni genetiche apportate dal-l’Uomo, all’ambiente marziano.

Le piante e gli alberi diedero molti frutti e così i coloni affievolirono la richiesta di quei necessari e costanti riforni-menti alimentari provenienti dalla Terra … I microrgani-smi pionieri e le piante che andavano incontro ad una mor-te naturale, formarono pian piano un crescente strato di bio-massa capace di accogliere i successivi organismi vegeta-li … Il terreno non era più arido, ma ricco di sostanze organiche e microrganismi … L’Uomo cominciò a piantare alberi da legno e altre piante necessarie alla formazione delle future foreste marziane … E l’Uomo vide che era cosa buona.

E fu sera e fu mattina: Terza Era.

L’Uomo disse: “Le acque degli oceani marziani brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la superficie di Marte …” L’Uomo, così, fece giungere dalla Terra numerose spe-cie ittiche selezionate appositamente per adattarsi al grado di salinità e al tipo di nutrienti presenti nelle acque di quegli insoliti mari extraterrestri … La piramide alimenta-

QUANDO L’UOMO PORTO’ LA VITA SU MARTE

Cap.1 “Terraforming” ¹

“In principio l’Uomo pensò di colonizzare il quarto pia-neta del Sistema Solare denominato Marte. Ora la terra di questo mondo era informe e deserta, l’atmosfera ricca d’anidride carbonica ma priva d’ossigeno e la temperatu-ra troppo bassa per ospitare l’essere umano.

L’Uomo disse: “Sia riscaldato il pianeta e si produca ossigeno!”. Riducendo l’albedine delle calotte polari e aumentando l’assorbimento della radiazione solare, il freddo cominciò a diminuire. L’effetto serra che sulla Terra, secoli addietro, aveva causato enormi problemi atmosferici, divenne il fattore principale per la nascita della vita su Marte. L’ossigeno venne liberato dagli ossidi metallici presenti sul pianeta rosso; microrganismi terre-stri, volutamente diffusi, trasformarono l’anidride carbo-nica in ossigeno … E da questo si formò l’ozono capace di schermare l’esile vita umana dalle micidiali radiazioni ultraviolette provenienti dal cosmo …

E un’atmosfera calda e respirabile fu.

L’Uomo vide che l’aria era cosa buona e aprendo per la prima volta il casco della tuta ermetica, poté sentire l’au-mentata massa atmosferica sfiorargli il viso sotto forma di vento …

Il vento marziano.

E fu sera e fu mattina: Prima Era.

L’Uomo disse: “Sia liberata l’acqua dalle catene di questa terra inospitale!” L’acqua ghiacciata contenuta nelle calotte polari pian piano si sciolse grazie all’aumentata temperatura dell’atmosfera. Una parte di essa si infiltrò nel terreno arido ricco di canali e nostalgico, forse, di antichi corsi d’acqua ormai scomparsi; un’altra parte si fermò sulla superficie del pianeta formando laghi, fiumi, piccoli mari ed immensi oceani agitati dal giovane ed esuberante vento marziano. E un’altra parte, ancora, si trasformò in vapore e si addensò in piccole nuvole, bian-che e soffici come quelle della Terra. Alcune di esse diven-nero più grosse delle altre e, a causa delle polveri rosse trasportate dai venti fino in alta quota, assunsero un

Genesi rossa* di Michele Nigro

NARRATIVA

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re fu rispettata: predatori e prede guizzavano e brulicavano nelle acque, secondo la loro specie, riproducendosi, moltipli-candosi e fornendo all’Uomo un’altra fondamentale fonte di sostentamento per la sua futura permanenza in quell’am-biente ormai non più ostile … Inizialmente le uniche specie di volatili importate dalla Terra furono solo quelle d’alle-vamento … Altre fonti proteiche s’affacciavano nella vita sempre più “naturale” delle prime generazioni di coloni terrestri … E grande fu lo stupore degli “avicoltori marzia-ni” dinanzi alle prime uova dal guscio rosso a causa delle polveri minerarie con cui era arricchita l’alimentazione degli ignari volatili …

E l’Uomo vide che la diversificazione degli alimenti era cosa buona e benedisse i nuovi esseri provenienti dalla ma-dre-Terra: “Siate fecondi e moltiplicatevi riempiendo le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra”. E fu sera e fu mattina: Quarta Era.

Poiché la vegetazione e le foreste su Marte crescevano più velocemente e con maggior rigoglio che sulla Terra, presto divenne indispensabile popolare i boschi con altri animali … E l’Uomo disse: “Marte sia popolata di esseri viventi secondo la loro specie: insetti, bestiame, rettili e creature selvatiche secondo la loro specie”. E così avvenne: molte specie animali, destinate all’estinzione sul congestionato ed inquinato pianeta Terra, qui trovarono nuovi spazi, nuove fonti alimentari e nuove speranze di sopravvivenza. L’Uomo vide che anche questa decisione era cosa buona.

E fu sera e fu mattina: Quinta Era.

E l’Uomo disse: “… La popolazione della colonia umana è aumentata notevolmente; molte famiglie sono nate su Marte e molte altre sono giunte dalla madre-Terra durante le successive ondate migratorie … Facciamo le città non ad immagine delle città terrestri, ma migliori di quelle e più rispettose della natura … Meravigliose città pensili in cui poter ospitare “l’umanità marziana”… E così avvenne: molte città sorsero in varie zone di quel pianeta rosso che gradualmente e amorevolmente stava diventando verde e rigoglioso come l’antica Terra dimenticata dei Padri…!

L’Uomo vide che la civile convivenza tra le prime città marziane era cosa buona. Nessuna comunità avrebbe mosso guerra verso un’altra comunità …

E fu sera e fu mattina: Sesta Era dall’Anno Zero …!”

Visto in lontananza, Marte possedeva un aspetto cu-rioso: conservava ampie zone dal tipico colorito ros-so, ma già gran parte del pianeta mostrava orgoglio-samente a tutto l’Universo il suo nuovo vestito fatto di foreste verdi ed oceani blu … “Miracolo forzato”, voluto da una specie intelligente ma debole e provenien-te dal “vicino” pianeta Terra.

Gli umani che, in passato, avevano commesso indici-bili errori ecologici, esistenziali e culturali sul pro-prio pianeta, si erano concessi l’inestimabile preroga-tiva di creare la vita su un pianeta morto … Ironia cosmica di una sorte esportata!

Oltre al principale compito di “mandare la vita in esilio su Marte”, molti furono gli sforzi degli scienziati ter-restri destinati alla ricerca di antiche forme di vita che avessero popolato, milioni di anni prima, il pia-neta rosso … Ma nessuna traccia, né molecolare, né archeologica, diede prova dell’esistenza di una civiltà indigena o perlomeno di una primordiale forma cel-lulare a cui, scrittori e registi, spinti da un impeto grossolano e pittoresco, nei secoli passati, avevano dato il nome di “Marziani”. Gli unici marziani degni di tale nome erano gli abitanti umani di New Tokyo e di Red City : città sorte, come tante altre, nelle zone “terraformate” di Marte.

Forse, in altre epoche, su Marte vi erano state le condizioni ottimali per l’inizio della Vita e solo per una disgraziata casualità di eventi cosmici e biochimi-ci non era stato possibile portare a termine quel pro-cesso fortuito o voluto da un paterno Motore Immobi-le a cui anticamente s’era dato il nome di “Dio”. Pro-cesso che, invece, sulla Terra non solo aveva trovato pieno compimento ma addirittura, sfruttando la scia del suo successo iniziale, aveva fornito una tale spinta evolutiva ad alcuni dei suoi esseri viventi da indurli a pensare, volere e riprodurre una seconda patria mondiale in seno ad un pianeta così inospitale.

“Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora l’Uomo nella Settima Era portò a termine il lavoro che aveva cominciato su Marte e cessò da ogni suo lavoro. L’Uomo benedisse la Settima Era dall’An-no Zero e la consacrò, perché in essa aveva cessato ogni sforzo per l’ecopoiesi di Marte.

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e le esperienze, com’anche le speranze, scientifiche accumulate negli anni avevano trasformato “il sogno marziano”, deriso dagli scettici e condannato dai pre-servazionisti cosmici, in una realtà accettata da tutti … Anche da chi era rimasto sul pianeta Terra in attesa della Fine.

C’era ancora tanto da fare e il terraforming non era completo; l’umanità marziana aveva ricevuto il dono inconsapevole di poter ricominciare tutto daccapo e la genuinità primordiale che la contraddistingueva sembrava non concedere spazi alla corruzione morale e all’ignoranza autodistruttiva di quella Terra dimen-ticata e menzionata in alcuni logori libri di storia: nostalgico bagaglio di chi era nato sulla Terra e aveva scelto di partire. La filosofia e la poesia avevano ac-quisito le caratteristiche di quella nuova etica e di quel nuovo stile di vita e l’Uomo, figlio dei figli dei figli dei figli … dei Padri Fondatori, amava declama-re, durante i momenti di solitudine nei Giardini di Kades, i versi di un famoso poeta marziano della Quinta Era:

Si piegheranno le aride rocce

dinanzi ai giardini di Enoch.

Le oscure acque di Irad

doneranno vita

ai vuoti solchi del Sud.

Dove trovar pace, dimmi,

se non presso le ombre

della foresta di Metusaèl?

Partorirà la Donna terrestre

nei prati di Lamech

coperta da nuvole rosse

e dai petali neri

delle rose di Eber.

Un canto di gioia

s’innalza dalle gole di Iabal

perché l’esule Uomo

ha scoperto un germoglio

nelle morte valli di Tubalkàin.

Queste le origini del nuovo cielo e della nuova terra sul quarto pianeta del Sistema Solare, quando vennero creati.”

L’Uomo rileggeva spesso le pagine del Primo Capitolo della Genesi Marziana. Aveva ricevuto, come molti altri giovani in età pre-gametica, il Sacro Libro Rosso durante la cerimonia del barà nel Tempio di Nuova Eden ed in quel sacro testo ogni “marziano”, giovane o vecchio, uomo o don-na, zigotico o clonato, poteva trovare la risposta ai mille perché riguardanti le origini di quella in-credibile avventura umana. Il barà era seguito, come indicava una tradizione secolare, dalla dura prova del gherson consistente in un viaggio solita-rio di tre mesi, tre settimane e tre giorni, attra-verso le regioni non-terraformate di Marte. Scopo supremo ed irrinunciabile del gherson era quello di imprimere nelle nuove generazioni il rispetto per ciò che avevano ricevuto tanto tempo prima grazie all’incredibile lavoro dei predecessori. La permanenza nelle zone aride del pianeta rosso rendeva i giovani più forti e consapevoli. E du-rante le soste forzate a causa di qualche tempesta granulare o mentre si era in paziente attesa che l’idrocondensatore creasse la dose giornaliera di acqua, le pagine del Sacro Libro Rosso costituiva-no l’unico balsamo essenziale a cui affidarsi per superare quella prova necessaria e santificante.

Dio non era stato dimenticato, ma aveva assunto la dissacrante funzione di Spettatore d’Onore. Un nuovo scientismo camuffato da religione aveva reso possibile quel miracolo straordinario che stava sotto gli occhi di tutti gli abitanti di Marte. L’opera dell’Uomo era innegabile! La fede nella scienza e la forza di volontà di un gruppo di scien-ziati-esploratori avevano donato nuovo vigore ad un naturalismo extraterrestre capace di sostituirsi a Dio. Non più ottimistiche attese disastrose e fata-lismi religiosi, come fu per la Terra nei secoli precedenti al Punto-di-non-Ritorno, ma solo una pura determinazione tecnologica e scientifica. In passato, certo, vi erano stati molti incidenti e tanta gente era morta sia durante i viaggi verso il pianeta rosso, sia durante la lunghissima perma-nenza dei primi coloni quando ancora non esiste-va un ecosistema capace di proteggere la già de-bole vita umana. Ma il bisogno di un nuovo mondo

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¹ Terraforming (in italiano “terraformare”) letteralmente si-gnifica trasformare, per esempio un pianeta o qualche altro ambiente, in qualcosa che somigli molto alla Terra, in particolare per quanto riguarda l'abitabilità da parte degli umani, mediante la creazione di una biosfera simile alla nostra.

_____________ *VII Edizione “Fauno d’oro” 2005 - Contursi: MENZIONE D’ONORE, sezione narrativa inedita.

XIX Concorso Letterario Internazionale “Giovanni Gronchi” - Pontedera: PREMIO “REGIONI D’ITALIA” per la CAMPANIA.

________________

E durante le notti stellate di Marte, quando Phobos e Deimos compaiono all’unisono nella volta celeste, illuminati dall’identica stella che illumina la Terra, come gli occhi di un dio paziente e sempre più sor-preso di quelle caparbie creature, l’Uomo pensieroso ed ormai immemore delle sue origini, rimira, nei suoi infiniti pensieri, le opere ed i “miracoli” voluti dai Padri Fondatori della Prima Colonia.

“L’Uomo ricreò Marte a sua immagine;

a immagine dell’Uomo lo ricreò…”

“Cristo nello spazio”

Dipinto realizzato dal m.tro Enrico De Cenzo.

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presenti sul territorio verso una ricca e variegata pro-duzione editoriale. Gli argomenti di tali opere edito-riali collaterali, tuttavia, posseggono una coerenza che non tradisce lo spirito del mensile: riscoprire la storia locale, gli usi e costumi; ricercare e riproporre leggende popolari; scandagliare le nostre contrade per evidenziare monumenti che non troveremo nelle guide ufficiali; ricostruire eventi storici non menzio-nati nei troppo standardizzati libri di storia; valorizza-re artisti locali che altrimenti resterebbero nell’ano-nimato o quasi; … La curiosità del comitato redazio-

nale de “Il saggio” non conosce limiti: nel numero (115) di Ot-tobre la “ricerca dotta” non trala-scia nessun aspetto artistico-culturale, come dimostra, ad esempio, l’articolo di Giuseppe Falanga sulla ricca Biblioteca Provinciale di Salerno e i suoi scrigni contenenti antiche opere che in tempi d’oscura ignoranza furono oggetto di censura e di-struzione da parte di una spietata “Inquisizione editoriale”; gli ap-punti di Antonio Capano dedicati alle vicende del banditismo e del brigantaggio nell’Italia meridio-nale; commuovente la visita di Geremia Paraggio all’Eremo di San Magno sui Monti Picentini... E questi sono solo alcuni degli argomenti trattati dal corposo gruppo di redattori e collabora-

tori disseminati in tutta la penisola.

Si può senz’altro affermare che la parola d’ordine de “Il saggio” è “recupero”: della tradizione locale, della storia e di quegli immensi ed inesplorati patrimoni culturali che circondano, in silenzio, la nostra freneti-ca vita moderna.

Per maggiori informazioni: Geremia Paraggio (Direttore), Giuseppe Barra (Direttore editoriale) utilizzando l’e-mail [email protected] o sul sito www.ilsaggio.it

Michele Nigro

Mensile di cultura, “Il saggio” rappresenta il ramo più fecondo del Centro Culturale Studi Storici di Eboli.

Presidia, ormai da dieci anni e con i suoi puntua-lissimi 115 numeri, non solo un territorio preva-lentemente provinciale dal punto di vista distribu-tivo, ma “esporta” arte, cultura e saggezza in tutto il territorio nazionale grazie ai suoi circa 800 ab-bonati. Un vero successo! Non solo per ciò che riguarda l’aspetto editoriale (il Centro, infatti, pubblica anche numerosi testi di approfondimento etno-storico-letterario) ma anche dal punto di vista asso-ciativo. Alle spalle del mensi-le c’è, insomma, una realtà formata da persone veramente in gamba ed in continuo fer-mento artistico ed artigiana-le: ogni attività umana viene presa in considerazione… Dalla musica alla pittura; dall’artigianato contadino alla produzione di miele di alcune suore benedettine; dalle ri-cette di cucina in via d’estin-zione ai lavori in legno; dai gemellaggi con altri paesi alla realizzazione di presepi vi-venti … Un motore pieno d’entusiasmo alimenta quel-l’attività editoriale che è poi, in fin dei conti, l’obiettivo del presente articolo.

Parlare de “Il saggio” significa ricordare parallela-mente il Concorso Nazionale di Poesia “Il saggio-Città di Eboli” che è giunto, proprio come il men-sile (difficile trovare un altro esempio di sincroni-smo!), al decimo anno di vita – nel 2006! – e che vede la partecipazione non solo di un vasto e qua-lificato numero di concorrenti da ogni parte d’Ita-lia, ma anche di un pubblico presente ed attento nei confronti di un genere letterario che non sem-pre, dobbiamo dirlo, riscuote “il tutto esaurito” nella classifica degli interessi editoriali. Il Centro Studi, “cogliendo l’attimo”, cerca di convogliare l’interesse e la passione dei poeti e degli scrittori

riVISTE ...contattate e segnalate da “Nugae”

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Un attimo di vago panico occhi lividi di dolore resta lì la creatura angelica con il viso ancora acerbo: un gemito improvviso rimbomba nella notte come un colpo di fucile nella pace di un bosco... Scorge il male, sentendo l'ultimo battito dei cuori... Scene incancellabili e trema... Dietro quel muro disperatamente cerca una mano, ma a tenerla: nessuno... Corpi esanimi e fiumi di sangue fanno da manto alle strade... Triste pensare a lui: veder morire la sua anima mentre il suo corpo cammina...

Valentina Di Mauro

Grand-Guignol

Tossiva le sue fosche spire il vento iperboreo

sugli altari fumanti e ancora neri del sangue,

gli ultimi fumi accordavano il tono iperboleo

di musici sporchi di piume e di fiume,

un questuante rideva sulle malferme gambe

dell’infame abbondanza e del suo ventre scuro.

Quella piana ora è un inguine di cemento,

necropoli di cappelle al neon

un negozio di altari luccicanti e tabernacoli all’ingrosso

un uomo al suolo agonizzante passa la mano tra i capelli

e indossa l’abito talare per l’edizione serale,

una foto di morte per l’ultimo giornale.

Luigi Carbone

“Sotto il portico” galleria di poesie

Pause

È forse la paura quest’oscuro flutto

Mai franto, aculei e gusci sulla roccia

Madida di arsura nell’

Attesa di procelle lunari.

Antonio Piccolomini

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Teoria del simbolo

(trittico ravellese)

Intrepido richiamo cui i messi

Dell’eterno forgiano lapidi, falla

Ove disparvero danze tra sciacalli

E iene al sibilo degli astri.

Il limite ed il non – non posso perpetrare

La finzione, trovassi almeno spazi in cui

Cianciare, cogliessi l’impeto al momento

Del gracchio, appollaiato su trecce di

Sentieri, scegliessi una forma

Per conchiudermi.

***

Ebbene, rivivresti maschere negli antri.

Ma entra pure, come fai, per comprendere.

Risvoltami la notte massaia se m’inficia

In candore con banali parate (disvela

il nulla) e sentirò muggire da colonne

E ancelle queste sponde bagnate dallo stesso

Mare.

***

Frattanto mareggia e godo. Satollo

Di versi, l’evento incede a penuria

Di simboli: recido perché m’imprigiona,

La parola tirannica freme e capriccia e

Fugge, lasciandomi l’altero amore

Che più non è

D’una scia d’inchiostro.

Antonio Piccolomini

Angelo azzurro

(dedicata a Marlene Dietrich)

Dal più slabbrato punto

del mio secolo

così breve così rosso di sangue

e di speranze

s’innalza e canta la tua voce

ferita dal profondo e senza tempo.

Piano si leva

con note dolorose e consumate.

Altri suoni terribili e grotteschi

s’affolleranno nel sudario immenso

del mondo e dello schermo.

Ed intorno s’inseguono i colori

e profumi e volti e gesti rallentati

in attimi d’orrore e d’emozione.

Ma tu ancora resti

così come sei

un fuoco eterno dalla testa al piede

la giarrettiera tesa e il pagliaccetto

e dici che è la tua natura

e le tue calze a rete in bianco e nero

a croce distese sulla sedia.

Ma s’avvia nello sguardo

un seducente invito per la morte

e si prepara nello specchio il grido

beffardo animalesco

strozzato dal termine del tutto

o di un amore.

E’ stampato a sedici millimetri

sul dettaglio del tuo sorriso amaro

in questo fermo immagine infinito.

Rino Malinconico

Page 43: "Nugae" n.7

Acque di neroblu

Rispecchi desideri.

Negli altri

rinvigorendoli

li fai emergere

li ordini

li semini

li servi.

Ne dimostri,

in chi deve ancora e come un richiamo l’ode,

la potenza d’inciampo.

In fin fine

riprendi nuovamente le redini

con lo stupore dell’accaduto

e pur sai quella sia,

ripetutasi, quell’opera solo tua.

Tra corpi,

si scambiano, linguaggi di riflessi.

In totale arresa l’altro assorbe.

Scacco matto.

Dispensi illusioni

si rivelano necessarie

coinvolgimenti che occorrono:

mantengono a galla come boe.

Seppur,

in risultato,

le avverti come stagnanti,

come un irrigare con limite di diga.

Primi piani di traboccanti emozioni

lasciano spazio a un dissetare a sorsi

segno di quell’invito a un sempreverde nutrir.

Nella notte affiorano più cariche.

In lei più a tuo agio ti muovi.

Confondonsi, dicevi e mi par

acque di neroblu.

Delva Della Rocca

Radici

Contatto con la più profonda emotività

sei,

alibi di norme fasulle, agitazione, pul-sione grezza

come dal primo grembo...Caos...

Una nascita tra gli opposti

ci sei ed educhi alla presenza , al con-fronto, di quel che com’é d’abitudine d’intorno:

ombre, pure viscere, Natura.

Scorgo un Grazie

come di un bagno di tanto di tanto

assorbo

come schiantarsi sovente in un bagliore, la barriera del tempo che fu

non tuo, di un eterno infinito, eredità

il ritrovar, il ritornar

come di un sospeso

stessa carne, stessa cosa selvaggia

emerge come straniero seppur di casa.

Ravvivi la divisione, vivifichi forme di frattura,

forme di un due ma da Medesima Fonte

Amici lo siamo

nel divenire di preparare ingressi di soglie nuove

amare si muovono e logorano illusioni di colpe, tacendo una lucidità di fronti diversi,

stessa base

sospinta increscendo da venti opposti.

In comune miracoli di frutti

quando al bivio in Volontà irrompe un non conoscersi più

così sia

altra metà di quella calda invisibil ma-terna nutrice

sei. Delva Della Rocca

Page 44: "Nugae" n.7

“Controedicola” Una proposta alternativa ai “best seller” osannati dai media...!

“La società annusata”

di Antonio Vacca

Quattro passi nella memoria cibica

di un deluso

Nato sull’onda delle reminiscenze, velato di rimpianto, il libro affronta il tema di un sognante e ripensato meri-dionalismo in chiave dietetico­culinaria, dove l’alimentazione di qua-lità, quella tradizionale, sopravvive agli attentati dell‘industrializzazione incontrollata e della società di massa.

Antonio Vacca è nato a Napoli 44 anni fa e vive a Battipaglia dove lavora co-me medico nutrizionista.

Il paese della sua infanzia è Valva.

“La Società annusata” è il suo decimo libro ad impronta cibica.

Plectica editrice

€ 6,00 (£ 11.617,62)

“Lost Highway Motel”

Secondo volume della collana di nar-rativa di Cut-up edizioni, LOST HIGHWAY MOTEL raccoglie i cinque finalisti alla rassegna “Strade perdute” 2004. Cinque racconti cen-trati sul tema dei “…mondi possibi-li”, cinque storie che spaziano dalla fantascienza al noir, dall’horror al realismo. Il disertore, di Giacomo Colossi; un racconto abilmente co-struito a partire da una situazione tipica di tanta fantascienza (la guerra contro gli alieni); Il mio posto, il nostro posto di Tommaso Destefanis ci porta dalle estreme lontananze di tempo e spazio a un prosaico qui-e-ora... Giovanni De Matteo ci propo-ne un’ucronia in piena regola: in Cro-nache dal basso impero Roma non è caduta sotto le orde dei barbari ma continua la sua espansione nel conti-nente americano. Pancetta affumi-cata di Michele Nigro, delicata favola no-global sul piacere di riscoprire una dimensione umana in un mondo adul-terato dalla tecnologia più spinta. Magari, anche soltanto a tavola. De-lirio di un assassino, di un giovane autore che preferisce firmarsi con lo pseudonimo di Vagabondo Ebbro, una storia disperata di emarginazione che non permette riscatto.

“Strade perdute” collana diretta da Fabio Nardini .

Cut up Edizioni € 10,00

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“La strada francesca” (romanzo)

di Nino Casiglio

«Strada francesca» era definita, in antichi documenti della Capitanata, non solo la strada per Roma battuta dai pellegrini francesi, ma anche la strada che dai piedi del Gargano porta-va al santuario di San Michele.

Un giovane imbocca, nella seconda metà del XVII secolo, una «strada francesca» per un viaggio da un picco-lo paese del Reame di Napoli verso Roma, che diventa un viaggio (un pel-legrinaggio di conoscenza) dentro la vita.

Un calibratissimo romanzo picaresco, ironico, barocco (animato da osti e briganti, chierici ed eretici, cameriere e nobildonne, soldati e cocottes e am-bientato in città fortificate, boschi, porti, carceri, palazzi vescovili e ca-stelli) che è anche una perfetta metafo-ra della moderna Babele dove le regole della giustizia si scontrano con quelle del potere e la voce della Storia si fon-de con quella della violenza.

Nino Casiglio (San Severo 1921 - Fog-gia 1995) ancora oggi è ritenuto l'uni-co narratore puro che la Capitanata abbia conosciuto. L'unico scrittore autentico, meritevole di una pubblica citazione da parte di Umberto Eco.

Ed. Rusconi, Milano 1980; 230 pag.

£ 7.000