Empori d’Italia -...

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Carcere Giustizia di comunità, la pena che va oltre la vendetta Nord Africa Transito o approdo? Sempre inferno… Campagna “Chiudiamo la forbice”, combattiamo le diseguaglianze MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO LI - NUMERO 5 - WWW.CARITAS.IT giugno / luglio 2018 Italia Caritas Servono decine di migliaia di persone povere, combattono lo spreco alimentare, sono quasi 120 in tutte le regioni: storia e prospettive di un’esperienza che compie 10 anni Empori d’Italia

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Carcere Giustizia di comunità, la pena che va oltre la vendettaNord Africa Transito o approdo? Sempre inferno…Campagna “Chiudiamo la forbice”, combattiamo le diseguaglianze

M E N S I L E D I CA R I TA S I TA L I A NA - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O L I - N U M E R O 5 - W W W. C A R I T A S . I T

giugno / luglio 2018

Italia Caritas

Servono decine di migliaia di persone povere, combattono lo spreco alimentare, sono quasi 120 in tutte le regioni: storia e prospettive di un’esperienza che compie 10 anni

Emporid’Italia

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editoriali

LO SPIRITOCI EDUCAALLA LIBERTÀ

in tanti angoli del mondo, dove si lavo-ra, si vive, si prega insieme a tanti fra-telli, anche di fedi e religioni diverse.Proprio quello che succede in Italia, inmolti servizi dedicati a migranti, pro-mossi dalle Caritas diocesane e parroc-chiali, con l’apporto determinante delvolontariato. Ma è importante anche ilcoinvolgimento di molti immigrati cri-stiani nella vita delle nostre chiese, te-stimoni di una fede giovane e vivace.

Tutto questo può aiutare a usciredalla paura, come esorta a fare la Com-missione Cei per le migrazioni, nellalettera alle comunità cristiane pubbli-cata a maggio, a 25 anni dal documento Ero forestiero e mi avete ospitato.

La fedeltà al Vangelo può ispirare significative convergenze con uomini e donneche credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nell’incontro enella solidarietà tra diversi. Sul versante dell’ecumenismo, va sottolineato il ruoloche le Chiese cristiane europee possono avere nella costruzione di una nuova casacomune. Devono proporsi come Chiese diacone, per rendere un servizio alla so-cietà europea soprattutto sui fronti della giustizia sociale, della salvaguardia delcreato, della promozione della pace e dei diritti umani. Per contribuire al cammi-no verso uno «sviluppo umano integrale» (papa Francesco) e promuovere comu-nità capaci di integrare i popoli della terra, offrire modelli praticabili di sviluppo,fare sintesi tra la dimensione individuale e la comunitaria.

Nella esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, il Papa torna su questi temi,ricordando (al n. 145) che «la comunità che custodisce i piccoli particolari del-l’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono unospazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto, che la vasantificando secondo il progetto del Padre».

bbiamo bisogno della spintadello Spirito per non essere pa-ralizzati dalla paura e dal calco-lo, per non abituarci a cammi-

nare soltanto entro confini sicuri». Cosìpapa Francesco, nell’esortazione apo-stolica Gaudete et Exsultate, invita anuovi approcci. A un cambiamento dimentalità, che coniughi fede e cultura,per ripensare la nostra presenza eccle-siale, recuperando il ruolo pedagogiconell’educare a discernere.

Non a caso Liberi da..., liberi di... è iltitolo del concorso che Caritas Italiana,col ministero dell’istruzione, ha propo-sto quest’anno agli studenti delle scuo-le di ogni ordine e grado. Di fronte a fe-nomeni di dipendenza in continuaevoluzione, che investono giovani egiovanissimi, l’intento centrale dellaproposta è agire preventivamente, conun’adeguata informazione e, a livelloeducativo, ribadire la necessità del farerete tra famiglie, scuola e territorio, inun impasto di relazioni, affettività, re-sponsabilità educativa e testimonian-za, affinché ogni ragazzo scelga libera-mente e responsabilmente come im-postare il proprio progetto di vita.

Ricerca sincera di veritàL’impegno è in piena sintonia conquanto sottolinea il Papa nel messaggioper la 52ª Giornata delle comunicazionisociali: «Liberazione dalla falsità e ricer-ca della relazione: ecco i due ingredien-ti che non possono mancare perché lenostre parole e i nostri gesti siano veri,autentici, affidabili». Solo così potremoincoraggiare lo sviluppo di senso criticoper la ricerca sincera della verità neirapporti, nelle scelte e nei fatti. E sare-mo effettivamente partecipi del percor-so di crescita delle persone affidate an-che alla nostra responsabilità.

Papa Francesco visita il Consiglio delle Chiese

cristiane, a Ginevra. Il dialogo ecumenico,

come quello trareligioni, continua

a crescere. E costituisceun prezioso strumentoper superare le paure

dei tempi odierni.Dando linfa nuova alla

costruzione comunitaria

«Adi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

FRATELLI DI FEDEIN UN’EUROPARINNOVATA

n pellegrinaggio ecumenico, come quello del 2016 in Svezia. Pa-pa Francesco il 21 giugno visita il Consiglio ecumenico delleChiese, a Ginevra, nel 70° anniversario della sua fondazione. La

visita è riaffermazione di un’intensa e fruttuosa collaborazione, am-pliata negli anni attraverso la preghiera e il lavoro comuni.

A partire dal Concilio Vaticano II, sono andati in effetti crescendol’ecumenismo e il dialogo tra le religioni. Si sono intensificate le occa-sioni d’incontro tra credenti, per esempio per invocare la pace. Sonoinfatti l’accoglienza e l’apertura che identificano i veri cristiani e ca-ratterizzano una chiesa fedele al Vangelo. Proprio quello che succede

U

direttoreFrancesco Soddu

direttore responsabileFerruccio Ferrante

coordinatore di redazionePaolo Brivio

in redazionePaolo Beccegato, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosati, Francesco Spagnolo

hanno collaboratoDanilo Angelelli, Chiara Bottazzi,Francesco Carloni, FrancescoDragonetti, Roberta Dragonetti

progetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna

stampaMediagraf Spa, viale della NavigazioneInterna 89, 35027 Noventa Padovana

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Italia CaritasMensile della Caritas ItalianaOrganismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 796 - 00165 Romawww.caritas.itemail: [email protected]

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sommario

rubriche3 editoriali

di Francesco Soddue Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

12 databasedi Walter Nanni

18 contrappuntodi Domenico Rosati

21 panoramaitalia DIPENDENZE,CONCORSI PER STUDENTI

32 zeropovertydi Laura Stopponi

37 contrappuntodi Alberto Bobbio

40 panoramamondoMIGRARE È INCONTRARE

45 pontiradioPO.LIS ESPLORAIL MONDO DEI SORDIdi Danilo Angelelli

47 a tu per tuMARCO GIALLINI : ROMANO GENUINO,SOGNATORE DI PERIFERIA:«MI DÀ FASTIDIO CHISTRUMENTALIZZA I POVERI»di Daniela Palumbo

anno LI numero 5

IN COPERTINAUna famiglia fa acquistinell’Emporio di Caritas Roma,primo “market sociale”aperto in Italia 10 anni fa:oggi sono quasi 120,distribuiti in tutte le regioni(foto Imago Mundi – Cristian Gennari)

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nazionale6 EMPORI SOCIALI:

UN ARGINE CONTROPOVERTÀ E SPRECOdi Monica Tola

13 GIUSTIZIA DI COMUNITÀ,LA PENA OLTRE LA VENDETTAdi Lucia Castellano

19 SERVIZIO CIVILE:IN MEZZO AL GUADO,DAVVERO UNIVERSALE?di Diego Cipriani

rapportoannuale 2017

23 UN ANNO DI CARITAS:PERSONE E COMUNITÀA PARTIRE DAL VANGELO

internazionale

27 NORD AFRICA:TRANSITO O APPRODO?SEMPRE INFERNO…di Federico Mazzarella

34 DISEGUAGLIANZE:“CHIUDIAMO LA FORBICE”,COMBATTIAMO LE INIQUITÀdi Massimo Pallottino

38 SPECIALE “MICRO 50”:RIVOLUZIONE E RESPONSABILITÀdi Chiara Bottazzi 38

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sulla comunione, hanno il potere di sovvertire dall’internol’ordine della società, trasformandolo nell’intimo. Onesi-mo vivrà ancora con Filemone, a cui Paolo lo rimanda, madovrà essere considerato da lui fratello, un’appartenenzaquest’ultima molto più vincolante di quella stabilità dallaschiavitù («molto più che schiavo, come fratello carissi-mo», v. 16). Da qui, l’indicazione concreta dell’unico at-teggiamento possibile: «accoglilo» (v. 17).

Quella che Paolo propone nel biglietto a Filemone nonè insomma un’apologia della schiavitù. Tutt’altro: è l’in-dicazione della forza sovversiva della fraternità e dell’ac-coglienza in Cristo, capace di trasformare dall’interno so-cietà e diritto. È una sovversione nascosta e silenziosa,che passa attraverso piccoli scritti, relazioni private, gestinon eclatanti. Una sovversione che è parte del Regno diDio, che agisce impercettibilmente, nascosto come lievi-to nella pasta (Matteo 13,33).

Sovvertire dall’internoIl punto di partenza è la comune ap-partenenza a Cristo, che trasforma lerelazioni reciproche: colui che erafuggito dalla schiavitù torna ora alsuo padrone, ma nella veste di uomolibero. Il nuovo statuto di Onesimo èsottolineato dall’opposizione tra leespressioni “schiavo” e “fratello caris-simo” (v. 16), un contrasto che marcala differenza tra legge ed etica cristia-na, tra ordine sociale costituito e re-lazioni possibili al suo interno.

Paolo insiste su questo punto: «Siacome uomo sia come fratello nel Si-gnore» (v. 16). Il testo alla lettera suo-na: «Sia nella carne sia nel Signore»,espressione quest’ultima che riman-da alle relazioni sociali («nella carne»)e a quelle improntate all’appartenen-za cristiana («nel Signore»). La preci-sazione di Paolo evidenzia l’impattodella fraternità cristiana sulla societàe le sue convenzioni: non solo Onesi-mo sarà fratello di Filemone «nel Si-gnore», ma anche «nella carne», cioèall’interno della gerarchia sociale.

Le relazioni cristiane, costruite sul-l’appartenenza comune a Cristo e

a lettera a Filemone (Fm) racconta di una fuga dalla schiavitù,conclusa con un apparente fallimento. Mentre Gesù a Nazaretapre il suo ministero proclamando la liberazione dei prigio-

nieri (Luca 4,18), Paolo, a sua volta prigioniero per Cristo, sembrainterrompere la speranza di libertà di Onesimo, uno schiavo fuggitodalla casa del padrone Filemone, in cerca di rifugio presso l’Apo-stolo. Paolo rimanda infatti Onesimo a Filemone, accompagnandoperò il ritorno dello schiavo con un breve biglietto. Poche righe ac-corate, che parlano di libertà, di dignità donata e restituita, paroleche raccontano di un’appartenenza reciproca capace di costruire

NON SCHIAVO, MA FRATELLO:TI PREGO DI ACCOGLIERLO

relazioni paritarie, pur nelle diversitàdi condizione.

Onesimo scappa da Filemone,probabilmente avendogli arrecatoqualche danno, in cerca di protezio-ne e forse anche di libertà. L’Apostoloche lo accoglie è oramai «vecchio eprigioniero per Cristo Gesù» (Letteraa Filemone, v. 9), come egli stesso sidefinisce. È un Paolo consapevoledella propria fragilità, quello che ri-manda Onesimo al proprio padrone.Non era l’unica soluzione possibile:«Avrei voluto trattenerlo presso di meperché mi servisse in vece tua nellecatene che porto per il Vangelo» (v. 13). Un aiuto per sé, eallo stesso tempo la protezione necessaria allo schiavofuggitivo: questo Paolo avrebbe potuto fare, proteggendoOnesimo dalle conseguenze nefaste del suo gesto di ri-bellione, ma lasciandolo in ogni caso nella sua condizio-ne di schiavo, benché presumibilmente al sicuro.

Ma l’Apostolo sceglie un’altra strada: egli non ha lapossibilità di abolire l’istituto della schiavitù, parte del-l’ordine sociale e giuridico a lui contemporaneo. Ciò no-nostante, interviene decisamente sulla questione, indi-cando la via per una rivisitazione completa delle relazionitra lo schiavo e il suo padrone. «Per questo forse è statoseparato da te per un momento: perché tu lo riavessi persempre; non più però come schiavo, ma molto più cheschiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me,ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratellonel Signore» (vv. 15-16).

Paolo scrive a Filemone.Un biglietto, che

accompagna lo schiavoOnesimo, restituito

al legittimo padrone. Il messaggio cristiano

rispetta l’ordine socialee giuridico. Ma pone

le basi per la suatrasformazione, in nome

dell’universaleappartenenza a Cristo

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parolaeparoledi Benedetta Rossi

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ta a Porta”, raccolta alimentare checoinvolge mensilmente le comunità didiversi comuni e decine di giovani.

Anticipatori di tendenzeA ogni diocesi, insomma, la sua “ricet-ta”. Nel tentativo di offrire una rispostaefficace al bisogno materiale, attivandocomunità ecclesiali e imprese. È que-sto uno degli elementi cardine che ac-comunano gli Empori Caritas presentiin contesti territoriali molto diversi.

Altri elementi di comunanza con-cernono la possibilità dei beneficiaridi scegliere i prodotti da acquisire gra-tuitamente; l’utilizzo di una tessera sucui viene caricato un budget punti pe-riodico – solitamente mensile – attri-buito in base ai bisogni; la definizionedi un percorso di accompagnamentoe attivazione dei beneficiari, suppor-tata da altri servizi territoriali, Caritase non, pubblici e privati; infine, la pro-posta di attività di socializzazione eformazione, dal laboratorio di cucinaalla gestione del budget familiare.

Per molti aspetti gli Empori, veri epropri piccoli market, i cui beneficiarisono usualmente individuati dai centrid’ascolto Caritas, hanno anticipato ten-denze odierne. Basta pensare al pattodi attivazione con i beneficiari, o al re-cupero delle eccedenze alimentari (nondi rado in collaborazione con le retiBanco Alimentare e Banco delle Operedi carità). Progressivamente, si sono ac-creditati tanto come strumenti pasto-rali di animazione delle comunità,quanto come laboratori per esperienzeterritoriali sussidiarie, efficaci nella lottaalla povertà e allo spreco alimentare.

Ma, dieci anni dopo l’avvio, è tem-po di ricollocare questa esperienza inuno scenario nuovo. Non nasconden-dosi gli elementi di criticità. I costistrutturali (sedi, arredi, scaffali, cellefrigorifere), di personale e di approv-vigionamento possono, alla lunga, ri-velarsi difficili da sostenere. Il rischiostigma (la famiglia che va a fare la spe-sa all’Emporio è facilmente etichetta-bile come povera) non sempre è con-

Gli Empori hanno anticipato tendenzeodierne. Basta pensare al patto di attivazione con i beneficiari, o al recupero

delle eccedenze alimentari. E all’attivazionedi esperienze territoriali di lotta alla povertà

trobilanciato dagli sforzi per faredell’Emporio, anche nella percezionecomune, una casa di tutti, una risorsaper il territorio. E poi, ci sono le sfideche si profilano all’orizzonte.

Pacchi, in grandemaggioranzaAnzitutto, dal prossimo luglio il Reddi-to di inclusione (Rei) diverrà misurauniversale, seppure con livelli di acces-so vincolati a soglie di reddito disponi-bile ancora troppo basse rispetto allaplatea dei potenziali beneficiari. Lastrutturazione e visibilità degli Empori,e soprattutto la possibilità di registraree monitorare i bisogni specifici dei be-neficiari, che essi consentono, rappre-sentano una notevole opportunità diintegrazione con i servizi territoriali.

Inoltre, la previsione di piena inte-grazione con la misura di aiuto mate-riale finanziata dal Fondo di aiuti euro-pei agli indigenti conferma l’opportu-nità di riconoscere – e gestire – l’aiutoalimentare come un segmento dellepolitiche di contrasto alla povertà. Que-sto elemento pone l’accento sul rap-porto e sull’integrazione tra gli Emporie le altre forme di aiuto alimentare. Inalcuni contesti la scelta dell’Emporio sidimostra efficace nel liberare i piccoli

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COMUNITÀ SOLIDALI NELLA CRISI,10 ANNI RILETTI IN UN CONVEGNO

A dieci anni dall’apertura del primoEmporio nella capitale, nellaCittadella della Carità “SantaGiacinta”, Caritas Italiana e CaritasRoma organizzano, il 14 giugno, il convegno “Caritas: dieci anni di Empori in Italia. Comunità solidalinegli anni della crisi”. Al centro dellariflessione, il ruolo delle comunitàecclesiali, la cui solidarietà sostieneormai più di 100 Empori in tuttaItalia. Si rifletterà anche sul rapportocon i soggetti del territorio, le novitàintrodotte dal Rei e dalla leggeantisprechi (166/2016). Programmasu www.caritas.it e www.caritasroma.it.

A Saronno, cittadina a metà strada tra Milano e Varese, il nuovo EmporioCaritas ha trovato sede pochi mesi fa in una palazzina di cinque piani,sorta di “condominio della solidarietà”. È “Casa di Marta”, promossa dauna fondazione di privati cittadini. Qui la Fondazione Volontè ha attivatouna mensa, frequentata ogni giorno da una trentina di persone, e poiambulatori sanitari, un servizio di guardaroba, le docce. Ci sono persinouna biblioteca, miniappartamenti per l’accoglienza, la sede della CroceArgento e uno sportello di sostegno alle donne vittime di violenza.

L’ultimo arrivato è proprio l’Emporio della solidarietà, gestito per Cari-tas Ambrosiana dalla cooperativa sociale Intrecci. «Essere all’interno di Casa di Marta significa lavorare in sinergia – afferma Giovanni Caimi,responsabile dell’Emporio –. Quando abbiamo aperto, a tutte le personeche prestano volontariato a Casa di Marta è stato spiegato il progetto. E molti hanno scelto di dedicarsi anche all’Emporio».

Ai volontari, una quindicina, spetta l’accoglienza delle persone. Inoltreconoscono bene gli altri servizi della palazzina, e non è raro che indirizzi-no le famiglie anche ad altri sostegni. «Sono un gruppo eterogeneo: principalmente giovani pensionati, che assicurano il turno del martedì, e studenti o lavoratori, attivi il sabato – conclude Caimi –. Ci confrontia-mo regolarmente, essendo persone così diverse: escono sempre punti di vista non scontati». [m.z.]

MILANOLa collaborazione è di casanel “condominio della solidarietà”

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uasi 120, in tutta Italia. La ri-cognizione di Caritas Italia-na, ancora in corso, consen-te di inserirli su una mappache parla da sola: gli Emporisociali rappresentano ormai,

a tutti gli effetti, promossi dalle Cari-tas diocesane o da altre realtà, una re-te solidale, ramificata ai quattro an-goli del paese. Entro l’autunno anchela Basilicata, ultima regione ancorapriva di tali strutture, avrà il suo Em-porio: a Potenza, dove la Caritas dio-cesana lo sta realizzando grazie an-che ai fondi Cei otto per mille. Trica-rico (Matera) seguirà entro il 2019.

Prime a sperimentare il modello,giusto dieci anni fa, furono le Caritasdiocesane di Roma e Prato. Poi Pesca-ra. Don Marco Pagniello era direttoregià allora della Caritas diocesana adria-tica, e lo ricorda bene: «Siamo partitidall’ascolto del disagio delle famigliecolpite dalla crisi. Persone che in pocotempo erano passate da una vita con-fortevole alla difficoltà di pagare le bol-lette e fare spesa, ma non riuscivano amettersi in fila in parrocchia per rice-

vere un pacco alimentare».Oggi, nella Milano della Food Policy,

la Fondazione Cariplo ne sostiene 2 percontrastare la povertà minorile. E intutta la diocesi ambrosiana sono già 7.In Veneto, la regione li riconosce comeprassi innovativa e ne promuove la dif-fusione. La Caritas diocesana di Pinero-lo (Torino) gestisce un Emporio solidalecon la Chiesa Valdese. Quella di Riminicon il locale Comitato di Croce Rossa.

A Oristano le famiglie in carico alcentro di ascolto lo chiamano «il nego-zietto». La Caritas diocesana di Romaè prossima ad avviare il quarto, ancorauna volta gestito da un nucleo di par-rocchie. La diocesi di Tortona farà lostesso, a Voghera. A Reggio Calabria,per le famiglie con tre o più figli minorisi prevede la spesa per due anni, a par-tire dall’arrivo dell’ultimo nato. In Um-bria, con il sostegno della FondazioneCassa di risparmio di Foligno, si speri-menta il modello “comprensoriale”,con il coinvolgimento di ben nove co-muni e tre diocesi (oltre a Foligno, As-sisi e Spoleto). A Oria gli scaffali siriempiono anche con il progetto “Por-

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nazionale aiuti alimentari

di Monica Tola

Dieci anni fa la primaapertura, a Roma. Oggi gli Empori socialisono quasi 120 in tuttele regioni, 90 promossidalle Caritas diocesane.Hanno aiutato decinedi migliaia di famigliead affrontare la crisi.In futuro nuove sfide,calibrate sullespecificità dei territori

Unarginecontropovertà e sprecoGli Empori sociali in Italia(Caritas e non)

116 EMPORI SOCIALI IN ITALIA (PER GESTIONEAIUTI FEAD) DI CUI

90 EMPORI CARITAS

50 ENTI PROMOTORI E COINVOLTI

19.234 ASSISTITI 0-15 ANNI

55.344 ASSISTITI 14-64 ANNI

6.408 ASSISTITI OVER 65

80.989 ASSISTITI CONTINUATIVI

2.774 ASSISTITI SALTUARI

83.760 TOTALE ASSISTITI

PRIMO IN ITALIA Acquisti tra gli scaffalidell’Emporio della solidarietàche Caritas Roma ha aperto10 anni fa nella “Cittadelladella carità”

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I destinatari del servizio sono coloroche si trovano in temporanea difficoltàeconomica. L’obiettivo principale èconsentire alla famiglia di aumentare illivello di autonomia in modo attivo –con la gestione di un budget di puntinella tessera e la scelta della spesa dafare –, invece di assumere atteggiamen-ti di passività; il tutto, inun contesto di accompa-gnamento del nucleo.

È il caso di Marco che,dopo la separazione daViviana, vive in un gara-ge e con il suo lavoro dicarrozziere pagato in ne-ro mantiene anche la exmoglie e le due figlie, unadelle quali ragazza-ma-dre, rimaste nell’appar-tamento. Per lui è statarilasciata una card parti-

colare, che tiene conto di tutto il nucleo.Maurizio e Gianna sono invece inse-

gnanti precari, arrivati a Roma per stu-diare; ora hanno una bambina di 6 an-ni. La prima volta che hanno chiestosostegno è stato per organizzare una fe-sta di compleanno per la figlia con gliamichetti; erano diversi mesi che en-

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trambi non lavoravano come supplentie a malapena riuscivano a coprire lespese per l’alloggio.

3 milioni, 5 milioniComplessivamente, in dieci anni han-no usufruito dell’Emporio della solida-rietà 8.910 famiglie (tessere rilasciate),con 29 mila persone sostenute. Sonostate 1.846 le tessere “infanzia” attribui-te ai nuclei con bimbi minori di 2 anni(oltre che dei beni alimentari, possonousufruire di pannolini, latte in polvere,vestiario e attrezzature per i bebè).

Il 51% degli utenti dell’Emporio so-no cittadini italiani, le altre tessere sonostate distribuite tra 98 diverse naziona-lità. Dal 2011 a fine 2017 l’Emporio hadistribuito una quantità di beni corri-spondente a 2.970.502 unità di prodot-ti, per un valore complessivo, stimato alprezzo di fabbrica, di 4.947.412 euro.IM

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“La solidarietà spesa bene”: è lo slogan che, fin dalla nascita, nel 2014, accompagna l’Emporio promosso dalla Caritas diocesana di Forlì-Bertinoroe dal Comitato per la lotta contro la fame nel mondo. «Abbiamo una mediadi 480 famiglie assistite mensilmente – afferma Sauro Bandi, direttore della Caritas forlivese –. Di queste, il 35% italiane. Si aggiungono una set-tantina di tessere infanzia per i bambini da 0 a 2 anni e un servizio di tes-sere generiche, una trentina al momento, date a realtà associative e centrid’ascolto parrocchiali, che si riforniscono al magazzino dell’Emporio per fa-re poi una distribuzione nel territorio».

Tra gli aspetti premianti dell’esperienza romagnola, il collegamento con i servizi sociali e con il Rei, il reddito di inclusione: «Abbiamo tentato di dareuna risposta comunitaria al bisogno alimentare, coinvolgendo partner istitu-zionali e del privato sociale – sottolinea Bandi –. Così riusciamo ad assicu-rare una spesa dignitosa alle famiglie che riteniamo, attraverso i servizi sociali, abbiano bisogno di aiuto. Il sostegno al bisogno alimentare diventaun modo per ampliare l’accompagnamento, la relazione, l’azione educativa».

L’Emporio solidale s’inserisce nel solco tracciato da altre iniziative: dal fondo di solidarietà, lanciato nel 2009, per il sostegno al pagamento di bollette e spese mediche, ai progetti di accoglienza e accompagnamentofamiliare, passando per il microcredito e il fondo casa comunale, mano tesa (dal 2012) sul delicato fronte dell’affitto.

Sono 18 gli Empori solidali attivi in Emilia Romagna, con 3 mila nucleifamiliari aiutati e quasi 9 mila persone raggiunte, coinvolgendo 600 volon-tari. «Il passaggio che ci proponiamo non è così scontato, e dobbiamo ripe-tercelo sempre, come una sorta di mantra: dalla risposta a un bisogno,sempre necessaria, al bisogno di rispondere. La responsabilità è reciproca:è richiesta un’attivazione anche ai destinatari e si offre una risposta più di-gnitosa rispetto al pacco alimentare. C’è, poi, un discorso legato ai prodotti,freschi e secchi, che si trovano nell’Emporio, frutto di raccolte nel territorio,di lotta allo spreco, di rete con i banchi alimentari e i produttori locali: un cir-cuito virtuoso, che riteniamo un bell’esempio di risposta comunitaria». [a.r.]

FORLÌ-BERTINORORei, reti, lotta allo spreco:il “bisogno di rispendere” è comunitario

inzia e Nello salutano la “cas-siera”, le porgono una card, ri-tirano le buste e riabbraccianola piccola Laura, cullata fino aquel momento da una volon-

taria Caritas. Un supermercato con an-nesso servizio di baby sitting può sem-brare un lusso, ma è una delle storie diordinaria solidarietà che da dieci annisi svolgono nella diocesi di Roma.

Inaugurato il 13 febbraio 2008, pri-ma esperienza in Italia, l’Emporio dellasolidarietà della Caritas romana, all’in-terno della “Cittadella della Carità –

Santa Giacinta”, è un vero e proprio su-permercato di medie dimensioni, 500metri quadri, con casse automatizzate,carrelli, scaffali e insegne, dove le fami-glie indigenti possono reperire gratui-tamente generi di prima necessità.

Il centro, nato con l’obiettivo di ar-ginare le difficoltà delle famiglie du-rante la crisi economica, fa parte deiservizi promossi dalla Caritas diocesa-na a sostegno dei nuclei in difficoltà.Nuclei come quello di Nello, quaran-tenne calabrese trapiantato a Roma,che con il suo stipendio da portiere di

Roma, market solidale per 30 mila:i 10 anni di un’intuizione generativaIl primo Emporio della solidarietà fu aperto a Roma nel 2008. Cresciutocon i bisogni del territorio, è diventato capostipite di una rete nazionaledi Simone Iannone

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8 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 8

centri di distribuzione dal peso dell'ap-provvigionamento alimentare, permet-tendo di dedicare maggiori energie al-l’accompagnamento delle famiglie. Manon si può ignorare che delle oltre 11mila attività registrate sul portale Ageaper la gestione del Fead, solo l’1% è co-stituito dagli Empori. Mentre l’83% èrappresentato dalla distribuzione dipacchi alimentari, anche a domicilio.

Si tratta certo di considerare le spe-cificità dei territori e delle povertà.Ma, in linea di massima, più che defi-nire un modello unico, sembra auspi-cabile procedere verso l’integrazionedelle pratiche di aiuto materiale. Ser-vizi e alleanze diversi, in territori spe-cifici, in risposta a differenti bisogni.

Per esempio, nel secondo paese piùanziano del mondo, con intere areedestinate a un progressivo spopola-mento, i servizi di distribuzione di ciboa domicilio ad anziani poveri e in soli-tudine potrebbero beneficiare delladisponibilità dei mezzi (celle, furgoni,esperti di igiene e sicurezza alimenta-re, reti di supporto) già utilizzati per lagestione degli Empori. I quali dunque,dopo un decennio di progressiva cre-scita e un presente di capillare diffu-sione, davanti a sé hanno un futuro dinovità, tutto da progettare.

nazionale aiuti alimentari

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notte in un hotel del centro non riescepiù a far quadrare i conti, soprattuttoda quando la famiglia si è ingrandita.

Incrementare l’autonomiaSi accede all’Emporio dopo essere pre-si in carico da uno dei centri di ascoltodiocesani o parrocchiali che, verificatal’esistenza di una condizione di disa-gio, rilasciano una card per sei mesi,con l’attribuzione di un credito di spe-sa mensile; è una sorta di pagamentoa scalare, con un sistema a punteggioe non con valore economico.

ESPERIENZA CHE SI IRRADIA Sistemazione dei prodotti

nell’Emporio di Caritas Teramo.Sotto, il logo inventato da Caritas

Roma e “adottato” da molti Empori

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occorre promuovere la consapevolez-za dei consumatori – anche quelli chesi rivolgono ai servizi di aiuto alimen-tare – rispetto al significato del “termi-ne minimo di conservazione”.

Nel medio e lungo termine, in unpaese in cui il 70% dei comuni contameno di 5 mila abitanti e quasi unquarto della popolazione risiede nellearee interne, distanti dai grandi centriurbani e di servizi, è illogico immagi-nare di concentrare le donazioni soloa livello diocesano (Caritas) o regiona-le (Banchi Alimentari), dove pure so-no maggiormente disponibili spazi estrumenti adeguati. Il potenziamentodelle realtà territoriali, in termini diformazione e strumentazione, con-sentirebbe di cogliere appieno le pos-sibilità di recupero di cibo cotto, fre-sco e freschissimo anche da piccoleimprese e mense scolastiche. Costrui-re reti territoriali sempre più efficientie visibili è condizione essenziale perla piena realizzazione delle finalitàdella legge. [m.t.]

A Oria, nel brindisino, l’Emporio della solidarietà è stato inaugurato nell’ottobre 2016: «Attualmente sono un centinaio le tessere attive – spiega don Alessandro Mayer, direttore della Caritas diocesana –, ma in un anno e mezzo sono state circa 250 le famiglie aiutate. Il no-stro regolamento prevede che si possa usufruire dell’Emporio per tremesi, rinnovabili per altri tre, perché è considerato un servizio d’emer-genza. Dopodiché per un anno non si può accedere, per evitare d’istitu-zionalizzare l’aiuto. È uno sprone, sia per noi, per sperimentare altreforme d’intervento, sia per i destinatari, in vista di una loro attivazione».

Chi sono le persone che varcano la soglia dell’Emporio? «Riceviamosempre più famiglie che all’apparenza sembrano non aver bisogno di aiuto o che fino a una decina d’anni fa non sarebbero venute in Cari-tas: il 90% degli utenti sono italiani».

Qui sta uno degli aspetti più belli del progetto pugliese: gli oritanihanno bisogno? Bene, ci si rimbocca le maniche e ci si dà una mano.Vi è, infatti, un collegamento diretto con la raccolta alimentare “Porta a porta”, altro servizio Caritas che ha, di fatto, posto le basi dell’Empo-rio e che lo rende sostenibile: non una mera colletta, ma una grandemobilitazione comunitaria, capace di coinvolgere i giovani. «Vogliamodimostrare che la nostra gente, la nostra comunità, ha già al suo interno le risorse, almeno a livello di bisogni primari, per far fronte alle necessità di chi è in difficoltà – spiega don Mayer –. È una sfidache vogliamo vincere. E in parte ci stiamo riuscendo». [m.z.]

ORIARaccolta porta a porta,Emporio sostenibile e “condiviso”

I centri di erogazionedegli aiuti alimentari(Caritas e non)Situazione per regioneal 01 marzo 2018

REGIONE OPC* STRUTT. TOTALE % SUL ASSISTITI TOTALE

PIEMONTE 10 784 135.530 5,02

VALLE D'AOSTA 0 0 0 0,00

LIGURIA 9 306 56.767 2,10

LOMBARDIA 15 1.089 230.302 8,53

VENETO 8 415 102.272 3,79

TRENT. A.ADIGE 3 70 13.404 0,50

FRIULI VEN.GIULIA 5 275 52.430 1,94

E. ROMAGNA 12 644 130.771 4,84

TOSCANA 17 522 100.126 3,71

UMBRIA 4 135 19.536 0,72

MARCHE 11 344 68.858 2,55

ABRUZZO 5 225 41.064 1,52

MOLISE 2 31 6.182 0,23

LAZIO 19 971 237.261 8,79

SARDEGNA 14 332 58.902 2,18

CAMPANIA 12 1.392 556.460 20,61

BASILICATA 7 196 32.754 1,21

PUGLIA 20 877 175.203 6,49

CALABRIA 9 807 299.322 11,09

SICILIA 15 1.192 382.868 14,18

TOTALI 197 10.607 2.700.012

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Tali merci sono state reperite tramiteun sistema di approvvigionamentobasato su finanziamenti pubblici esponsor privati – tra i quali importantiaziende del settore alimentare –, gra-zie alle derrate alimentari dell’Ue e al-le raccolte condotte dai volontari (inparrocchie, scuole, ambienti di lavoroe centri commerciali).

L’Emporio sorto a Roma è statoun’esperienza “generativa”: il modellosviluppato nella capitale è stato ripro-dotto in tutta Italia. Anche a Roma,negli anni, si sono aggiunte le espe-rienze di Spinaceto, Trionfale e Mon-tesacro: promosse da più comunitàparrocchiali, con il supporto delladiocesi, hanno coinvolto i municipi ealtre organizzazioni di volontariato.Gli Empori territoriali riescono a fa-vorire con efficacia l’accompagna-mento dei nuclei in difficoltà, coin-volgendo le agenzie presenti nel ter-ritorio (servizi sociali, scuola, gruppiparrocchiali e volontariato), anchegrazie al supporto dei parroci e all’as-sunzione di responsabilità gestionalida parte dei diaconi.

FONTE: CARITAS ITALIANAMAPPATURA IN ITINERE

nazionale aiuti alimentari

nota come “legge antispre-chi”, ma al centro della166/2016 c’è anche il temadel dono, non solo di ciboma anche di farmaci.

Ad un anno dall’entrata in vigore(14 settembre 2016) dalla legge, a li-vello nazionale è stato registrato unincremento del 20% delle donazionidi eccedenze alimentari destinate al-le persone in difficoltà. La legge, in-fatti, stabilisce una gerarchia perl’uso e la donazione di prodotti, dan-

do priorità al consumo umano.Senza prevedere sanzioni per le im-

prese che non provvedano alla dona-zione delle eccedenze, come accadead esempio in Francia, la legge non so-lo consente, ma incoraggia la donazio-ne di alimenti invenduti sicuri, traccia-bili e di qualità: prodotti in confezionipromozionali, in confezioni con difettidi etichettatura o imballaggi secondaridanneggiati, alimenti confiscati perreati amministrativi. Ma anche il “pa-ne del giorno dopo” (entro le 24 ore

Le eccedenze non sono rifiuti,adesso servono reti territoriali

È

A Sud, la disponibilità delle aziende a sostenere i servizi di aiuto alimentarenon è inferiore. A mancare è la conoscenza

della legge, con le sue agevolazioni e le suesemplificazioni. Una criticità rilevante...

dalla produzione). E i beni alimentariprossimi alla scadenza o che abbianoraggiunto e superato il “termine mini-mo di conservazione” – la data del“consumarsi preferibilmente entro” –e che, è bene ribadirlo, sono perfetta-mente edibili e totalmente sicuri.

Anche per le Caritas diocesane ilbilancio del primo anno di legge Gad-da, dal nome della deputata primafirmataria, sembra positivo. Pur nondisponendo ancora di dati puntuali,si registra un generale incrementodelle donazioni, concentrato soprat-tutto nelle regioni del centro-nord.

Nel sud del paese, la disponibilitàdelle aziende a contribuire al sostegnodei servizi di aiuto alimentare non è in-feriore. A mancare è la conoscenza dif-

Emporie marketsolidali Caritas

Primo anno della legge 166: donazione di alimenti (e farmaci) aumentatedel 20%. Bisogna far conoscere di più la norma fuori delle grandi città

fusa dello strumento normativo, con lesue agevolazioni e semplificazioni.Una criticità rilevante, tanto più alla lu-ce delle novità introdotte dalla legge dibilancio 2018, che rafforzano quantoprevisto nel 2016, tramite l’amplia-mento del paniere dei beni donabili,l’estensione di benefici fiscali per varisoggetti coinvolti, la definizione deisoggetti donatori di farmaci e dei casinei quali i medicinali sono donabili, in-fine norme più agili sui documenti ditrasporto di donazioni inferiori ai 15mila euro ed eccedenze alimentari fa-cilmente deperibili.

Consapevolezza dei consumatoriLe opportunità dunque non mancano.E chiamano in causa capacità, respon-sabilità e strategia anche delle Caritas,a livello diocesano e parrocchiale.

In primo luogo, è urgente favorirela conoscenza della legge, che valoriz-za la responsabilità sociale di impresa,presso i donatori. In secondo luogo,

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l nostro paese vive un periododi grandi cambiamenti rispettoalle politiche dell’esecuzionepenale. Il primo decennio delnuovo millennio è stato, infatti,

caratterizzato da un approccio cheproponeva il carcere come primascelta del legislatore; le attuali politi-che dell’esecuzione penale, viceversa,sono caratterizzate da una totale in-versione di tendenza nella costruzio-ne delle risposte alla violazione delpatto sociale. Oggi, la consapevolezzache l’internamento carcerario siadannoso non solo per l’autore del rea-to, ma anche per i consociati, si è tra-dotta in una serie di provvedimenti,legislativi e amministrativi, fondati sulpresupposto che la detenzione non

abbatte i tassi di recidiva e non produ-ce, conseguentemente, sicurezza so-ciale. Ci si è allontanati dall’inquadra-mento della pena detentiva come laprima delle sanzioni da infliggere.

L’abrogazione di una serie di nor-me, come quella (legge 251/2005) chepuniva in modo esponenziale i recidivi(con la conseguenza di precludere lorol’accesso alla misure alternative ancheper reati minori), o la Fini Giovanardilegge 49/2006 (che inaspriva molto se-veramente il piccolo spaccio di sostan-ze stupefacenti (con la conseguenza diaprire le porte del carcere ai tossicodi-pendenti), ha fermato la tendenza alcontinuo aumento della popolazionedetenuta. Inoltre, la condanna inflittaall’Italia dalla Corte europea dei diritti

ICambiano, in Italia, le politichedell’esecuzione penale.L’internamento in carcere è dannososia per l’autore del reatoche per la società. La pena scontata sul territorio non vaintesa come premio.Ma abbatte la recidivae afferma diritti. Di colpevoli e vittime

di Lucia Castellano Direttore generale per l’esecuzionepenale esterna – Ministero della Giustizia

la pena oltre lavendetta

Giustiziacomunità,di

nazionale carcere

Il confronto per la formazione del nuovo governo ha lasciato intravedere lapossibilità di profondi cambiamenti in materia di politiche penitenziarie ecarcerarie. Italia Caritas terrà aggiornati i lettori sull’evoluzione del dibattitopolitico e parlamentare. Intanto pubblica e offre ai lettori un contributo au-torevole e di valore sull’argomento.

SECONDO WELFARE,ALTERNATIVE AVANZANO

Dalla formazione all’housingAll’interno del mondo aziendale, nu-merose società assicurative e vari tipidi provider di natura privata offronoai dipendenti una varia gamma diprestazioni di welfare, che integranoe in alcuni casi sostituiscono l’inter-vento del welfare pubblico.

Tali interventi sono di varia natu-ra: misure integrative del sistemaprevidenziale nazionale; misure inte-grative dell’assistenza sanitaria edell’assistenza alla persona; concilia-zione di tempi e impegni di lavoro efamiliari; tutela della salute e della si-curezza sui luoghi di lavoro e formedi sostegno per talune categorie di la-voratori; interventi e sostegni econo-mici a dipendenti e loro familiari;sensibilizzazione e valorizzazioneper la tutela delle pari opportunità;formazione e sostegno alla mobilitàprofessionale, ecc.

Nel corso di una rilevazione cheha coinvolto 1.131 imprese italiane(compiuta a luglio 2017 da EdenredItalia, con la supervisione scientifi-ca di Laboratorio di Secondo welfa-re), è emerso che circa il 36% del

campione analizzato (ovvero 406 aziende) adotta unao più misure di welfare aziendale. Circa un terzo di que-sto gruppo, inoltre, ha previsto la possibilità di trasfor-mare il premio di produttività in benefit e prestazionidi welfare.

Non sono disponibili dati esaustivi relativi all’interoterritorio nazionale riguardo alla tipologia di prestazionierogate dal sistema di welfare aziendale. Uno studio con-dotto da Laboratorio di Secondo welfare su 722 aziendedella regione Emilia-Romagna, dimostra però che il56,1% di tali aziende offre servizi di welfare aziendale aipropri dipendenti. I tipi di servizi erogati sono vari: for-mazione (70,4%); sanità integrativa (62,9%); concilia-zione vita-lavoro (32,8%); previdenza complementare(28,7%); misure di sostegno al reddito (21,8%); modalitàsostenibili di trasporto (1,2%); wellness e lifestyle (1,2%);housing e sostegno alle spese abitative (0,5%).

I l Centro di ricerca e documentazione “Luigi Einaudi” di Torino,in collaborazione con il Dipartimento di scienze sociali e politi-che dell’Università degli Studi di Milano, ha presentato a fine

2017 il Terzo rapporto sul secondo welfare, che fa il punto sulla pre-senza in Italia di forme alternative al welfare tradizionale di matricepubblica. Si tratta di iniziative di sostegno alle persone e alle famigliepromosse da diversi protagonisti: aziende e sindacati, assicurazioni,fondazioni di origine bancaria, fondazioni di comunità e comuni.

L’attenzione del rapporto si è concentrata anzitutto sulle misureprevidenziali e sanitarie integrative. Secondo il rapporto annualePension Outlook 2016 Ocse, in Italial’adozione di forme integrative dipensione è in crescita: nel 2016 il nu-mero degli iscritti ai fondi pensione èstato pari a circa 7,8milioni, in au-mento del 7,7% rispetto alla fine del2015 (557 mila aderenti in più in unsolo anno). Benché le adesioni resti-no limitate rispetto al bacino poten-ziale dei lavoratori occupati, con untasso di copertura complessivo attor-no al 25%, le risorse complessivamen-te destinate alle prestazioni nel 2016hanno totalizzato 151,3 miliardi dieuro, il 7,8% in più rispetto al 2015;sono state pari al 9%del Pil e al 3,6%delle attività finan-ziarie delle famiglie italiane.

Le forme pensionistiche complementari operanti nelsistema a fine 2016 erano 452, costituite da 36 fondi pen-sione negoziali, 43 fondi pensione aperti, 78 piani indi-viduali pensionistici di tipo assicurativo (Pip) cosiddetti“nuovi” e 294 fondi pensione preesistenti.

Sul fronte delle forme sanitarie integrative, ne risultainvece coperto il 16% degli italiani. Queste realtà inter-mediano il 10%circa della spesa sanitaria privata, pari a37.318 milioni di euro. Una ricerca Censis (Rbm salute– Censis 2012) relativa ai fondi sanitari integrativi, riferivache, di tutti i sinistri per i quali in Italia è stato chiesto unrimborso, quasi il 55%riguardava l’area delle prestazionisostitutive, con una prevalenza nelle regioni del centro eper i fondi di origine contrattuale nazionale e per quellia gestione assicurata.

Misure di sostegnoa cittadini e famiglie:resta contenuta, maè in crescita, l’area

dei servizi sostitutivio integrativi erogatida soggetti pubblicie privati non statali.

Così cambiail panorama

della protezione socialenel nostro paese

databasedi Walter Nanni

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2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018*

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gettazione congiunta con gli enti lo-cali, il carcere e le istituzioni pubbli-che e private, al fine di produrre op-portunità e formulare programmi. IlDipartimento della giustizia minorilee di comunità sta realizzando un’ope-razione di traino istituzionale delle ar-ticolazioni territoriali, nella direzionedella specializzazione sulle tre ma-croaree in cui si sostanzia il lavoro del-l’Uepe, ossia l’implementazione dellemisure alternative alla detenzione, ilrafforzamento delle relazioni con gliistituti penitenziari e lo sviluppo del-l’istituto della messa alla prova.

Questo significa, in buona sostan-za, chiedere agli uffici locali di costitui-re il volano per convogliare le risorseterritoriali dei servizi verso un sistemaintegrato di interventi, in modo da ot-timizzare i progetti di reinserimentosocio-lavorativo dell’utenza e da mo-nitorarne l’andamento. E significa an-che, da parte dei Dipartimento, inter-loquire, a livello centrale, con gli enti,le associazioni, il terzo settore, le orga-nizzazioni di categoria, con lo scopo diimplementare, attraverso lo strumen-to dei protocolli d’intesa e delle con-venzioni, la rete di offerta dei servizi,

standosi dalla mera dimensione giudi-ziaria. La professionalità dell’assistentesociale si configura come quella di unprobation officer, ossia il regista di unamacchina complessa che reperisce, incoordinamento con il welfare territo-riale, soluzioni alloggiative, lavorativee di sostegno, che diano senso e conte-nuto alla pena.

È indispensabile, dunque, renderele misure di comunità sempre più ca-ratterizzate da contenuti effettivi econtrollabili, costruendo così unacredibilità del sistema, capace di mo-dificare la diffusa percezione secondola quale l’unica pena possibile è quel-la che conduce le persone in carcere.

La capacità di organizza-re un ventaglio di sanzionicommisurate all’entità dellaviolazioni commesse implicauna cultura della pena basatasul rispetto della dignità e deidiritti degli autori di reato edella loro capacità di scelta.Viene progressivamente ab-bandonata la cultura “tratta-mentale”, che premia i piùmeritevoli, concedendo lorodi scontare la pena fuori dal

carcere. Dobbiamo convincerci che lesanzioni di comunità non sono un pre-mio per chi si comporta meglio, ma ve-re e proprie pene. Ci si deve lasciare de-finitivamente alle spalle la dicotomiatra sicurezza e trattamento, alla quale ilsistema di esecuzione penale è ancoratroppo ancorato.

Organizzazione a cascataA valle della riorganizzazione norma-tiva, come si muove la macchina or-ganizzativa? L’obiettivo del Diparti-mento è favorire l’implementazionedelle misure, territorio per territorio.A livello centrale, si lavora per indiriz-zare gli uffici territoriali verso la pro-

ATTIVARE ÈPREVENIRE RECIDIVE

Laboratoridi assemblaggioe di imballaggiodi prodottidi pasticceriaall’interno del carceredi Padova, organizzatidalla cooperativasociale “Giotto”.Il lavoro, in carceree fuori, è un preziosostrumento di rieducazionee inclusione C

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Misure alternative, lavoro di pubblicautilità, misure di sicurezza non detentivee sanzioni sostitutive AL 15 APRILE 2018

NUMERO DETENUTI

AFFIDAMENTO IN PROVA 15.622SEMILIBERTÀ 897DETENZIONE DOMICILIARE 11.018MESSA ALLA PROVA 12.418LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ 7.433LIBERTÀ VIGILATA 3.823LIBERTÀ CONTROLLATA 165SEMIDETENZIONE 6TOTALE GENERALE 51.382

Detenuti nelle carceri italiane

59.5

23

39.0

05 4

8.6

93 5

8.1

27

64.7

91

67.9

61

66.8

97

65.7

01

62.5

36

53.6

23

52.1

64

54.6

53

57.6

08

58.2

23

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FONTE: MINISTERO INTERNO –DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

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dell’uomo per “trattamenti disumani edegradanti” nei confronti dei detenuti(sentenza Torregiani, 8 gennaio 2013),ha imposto una riflessione sulle politi-che di esecuzione penale, da cui sonoscaturite norme che riducono i flussiin ingresso, aumentando quelli in usci-ta dal carcere.

Non solo: le normative internazio-nali ci inducono a disegnare un sistemain cui il probation, la “prova” fuori dallemura del carcere, sia la regola, mentreil ricorso al carcere viene invocato solonei casi marginali e di maggiore perico-losità. Ancora, la recente introduzionedella “messa alla prova” (legge 67/2014)prevede la sospensione del processoagli imputati per reati minori (fino a 4anni di pena) che accettino di svolgerelavori di pubblica utilità, a favore dellostato o di altri enti, pubblici e privati,aventi finalità sociali. Con l’estensioneagli adulti di questo nuovo istituto, pri-ma ammissibile solo per i minori, puòdirsi definito il percorso di costruzionedi modelli di esecuzione penale che re-stituiscono alla pena il valore che la Co-stituzione e la Convenzione europeadei diritti dell’uomo le assegnano, rele-gando la detenzione ad ultima ratio.

Costruire sicurezzaLe sanzioni cosiddette “di comunità”sono misure che, pur mantenendo lafisionomia della sanzione, devono es-sere funzionali all’accompagnamentodel soggetto nella società, rafforzan-do, nel contempo, la dimensione ripa-rativa della giustizia penale.

È evidente che soprattutto l’imple-mentazione della messa alla prova,ma anche le altre sanzioni alternativeal carcere, chiamano a raccolta le isti-tuzioni, pubbliche e private, superan-do la tendenza all’autoreferenzialitàdella risposta punitiva. I percorsi di“presa in carico”, attuati insieme alleistituzioni locali e al terzo settore, nel-la realtà sono però complessi e diver-sificati, a causa soprattutto delle diffe-

renze tra i territori del nostro paese. Come mostrano le tabelle di queste

pagine, negli ultimi 10 anni in Italia èdiminuito nettamente il numero deidetenuti (che dal 2016 però è in risali-ta, ndr), mentre è aumentato quellodelle persone che scontano la penanei territori.

Nonostante questa inversione ditendenza, non si assiste però a un au-mento della commissione dei reati,che hanno invece un andamento co-stante nel tempo: questo dovrebbefar riflettere sugli strumenti più ido-nei a prevenire la recidiva e a costrui-re sicurezza sociale. Sicuramente, ilcarcere non è tra questi.

No alla cultura trattamentaleL’Italia è dunque oggi chiamata a unasfida epocale: costruire contenuti allesanzioni di comunità, tali da renderledavvero efficaci a combattere la reci-diva. In sostanza, bisogna evitare ogni

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Negli ultimi 10 anni è aumentato il numerodi persone che scontano la loro pena nei territori. Nonostante ciò, non si assiste

a un aumento della commissione dei reati, che hanno un andamento costante nel tempo

nazionale carcere

rischio di confusione con la mera de-carcerizzazione, che aumenterebbela diffidenza, nell’opinione pubblica,riguardo alle alternative al carcere.

Per far fronte adeguatamente a que-sto epocale mutamento di rotta, l’am-ministrazione della giustizia ha modi-ficato (con vari decreti, a partire dal2015) il proprio assetto organizzativo,articolandolo in 90 uffici di esecuzionepenale esterna, organizzati con unapresenza capillare nel territorio nazio-nale e una forte autonomia gestionale,che supera il principio gerarchico cheha finora connotato i rapporti tra lestrutture. In buona sostanza, con la ri-forma ciascun ufficio viene messo ingrado di diventare, gradualmente, unavera e propria agenzia di probation distampo europeo: a questi uffici è affi-data la regia dell’azione delle altre strut-ture territoriali coinvolte (agenzie per illavoro, la casa, la formazione professio-nale, servizi per le tossicodipendenze,ecc.). In tal modo si è in grado di offrire,a ciascun condannato, sanzioni concontenuti tali da ridurre davvero la pos-sibilità che si torni a delinquere.

L’esecuzione penale esterna ab-braccia dunque anche il sociale, disco- FO

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tini, il cui pensiero è stato anticipatoredelle grandi trasformazioni oggi in cor-so anche nel settore della concezionedella pena: «Spesso mi domando: leleggi, le istituzioni, i cittadini, i cristiani,credono davvero che nell’uomo dete-nuto per un reato c’è una persona darispettare, salvare, promuovere, educa-re? Ecco, spiace rispondere di no, nonlo crediamo davvero. Nonostante gliinsegnamenti religiosi e secolari, no-nostante l’apparato normativo, la dot-trina e la giurisprudenza».

Oggi potremmo replicare che leistituzioni lo sanno, e il legislatore sista attrezzando per rendere l’esecu-zione penale degna di uno stato di di-ritto. Le punizioni diventano più cre-dibili, proporzionate all’entità dellalesione creata. E, soprattutto, si incen-trano sui diritti di chi le subisce e dellevittime delle azioni delittuose. «Chi èorfano della casa dei diritti difficil-mente abiterà nella casa dei doveri»,diceva ancora il cardinal Martini. Oggiil Dipartimento della giustizia mino-rile e di comunità è impegnato a co-struire “la casa dei doveri” sulle fon-damenta del rispetto dei diritti umani,dei colpevoli e degli innocenti.

schio che sia confusa con la concessio-ne di un beneficio.

È prioritario evitare che nell’opinio-ne pubblica si rafforzi la convinzione«meno carcere uguale meno sicurezzaper i cittadini»: se nell’immaginariocollettivo passa un’equivalenza di taletipo, si crea un cortocircuito culturaleche spingerà a chiedere sempre piùcarcere, condannando al fallimentoqualsiasi politica di ampliamento del-le sanzioni di comunità.

Occorre, quindi, che qualsiasi azio-ne deflattiva del ricorso al carcerecontenga una strategia per realizzaretale obiettivo senza dare l’impressio-ne di spostare il reo dalla pena (carce-re) all’area dell’impunità(sanzioni di comunità), adanno della sicurezza deicittadini. La credibilità delsistema e il conseguenteorientamento dell’opinionepubblica rispetto all’effica-cia di tali misure passano daquesta strada.

La riflessione, politica eamministrativa, sulla possi-bilità di far cambiare rotta al-la risposta al crimine si sta

dunque concretizzando in un’azioneprecisa, sostenuta non solo sul pianolegislativo dalla riforma in corso, maanche dall’impegno quotidiano del-l’amministrazione, centrale e locale. Ilnostro paese sta modificando i propristandard per adeguarli a quelli europei,ma soprattutto per aumentare il livellodi sicurezza sociale. Ed è evidente la dif-ficoltà di trasformare un mondo che èincentrato, ancora, sull’esigenza di ven-dicare le lesioni al patto sociale, inflig-gendo sofferenza agli autori. Ma sap-piamo quale portata devastante possaavere una giustizia che assomiglia a ciòche vuole combattere.

Diceva il cardinale Carlo Maria Mar-

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“Liberare la pena”: un impegno concreto, che la Conferenza episcopale italiana finanzia con fondi otto per mille. Il progetto nazionale, fortementevoluto da Caritas Italiana e dall’ispettorato dei cappellani delle carceri, è sta-to proposto a tutte le Caritas diocesane con un obbiettivo di base: testimo-niare. Ovvero rendere testimonianza della volontà della Chiesa di coniugareruoli, esperienze e metodologie differenti, per essere accanto a chi soffre, a chi vive momenti di fragilità. La progettazione concreta, a livello territoria-le, vede collaborare Caritas diocesane e cappellani delle carceri. Inoltre, le condizioni generali del progetto richiedono di attivare una collaborazionecon le istituzioni pubbliche di settore e di valorizzare esperienze già in atto.

Il pianeta giustizia è ampio e le azioni del progetto nazionale – cui han-no aderito 81 realtà (tra Caritas e cappellani), con 40 progetti già avviati o in fase di avvio – sono specifiche, sintetizzabili in tre tipologie. La prima è inderogabile: è necessario sensibilizzare e informare le comunità, presen-tando carcere e pena per ciò che realmente sono. Per far sì che la comuni-tà, anzitutto quella cristiana, riesca a vedere le persone, non reati e colpe.

Viene poi richiesto di sviluppare altre due attenzioni, legate ai contesti locali e alle risorse (in senso lato) disponibili. Anzitutto, si chiede di creare le condizioni (per esempio, azioni di housing) per rendere effettiva la fruizio-ne di misure alternative, che possono consentire a molti di non rimanere in carcere. Inoltre, si chiede di individuare percorsi di reinserimento perquanti scontano la pena nel proprio domicilio: si tratta spesso di personenon viste, non accompagnate, isolate, che vivono, nell’indifferenza della comunità, un’esperienza che, a volte, può essere anche più dura del carcere.

IL PROGETTOCaritas diocesane e cappellanisensibilizzano e producono alternative

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che viene poi concretizzata e ritagliatasulle diverse esigenze locali ad operadegli Uepe locali. È una modalità or-ganizzativa “a cascata”, che vincola learticolazioni territoriali a recepire, sulterritorio, opportunità alloggiative, la-vorative e formative che vengono pro-poste con gli accordi centrali. L’obiet-tivo è rendere omogenea in tutto ilpaese l’opportunità di scontare la pe-na all’interno della comunità sociale.Si è consapevoli, infatti, della disomo-geneità attuale dell’offerta.

Non solo assistenti socialiAncora, l’amministrazione della giu-stizia ha proceduto alla rimodulazio-ne delle strutture degli uffici di ese-cuzione penale esterna. Significativoè l’impegno, assunto con l’ultimalegge di bilancio, di provvedere all’as-sunzione di 296 funzionari di serviziosociale. In tal modo, oltre a far fronteall’esiguità di personale, si assicuraanche il ricambio generazionale, for-nendo linfa vitale all’ambizioso pro-getto riformatore (l’ultimo concorsodi settore risale, infatti, al 2001).

L’intenzione è lavorare al supera-mento della monoprofessionalità delfunzionario di servizio sociale, in fa-vore dell’apertura ad altre figure, chepossano contribuire allo sviluppo dellavoro nel territorio. Sono stati recen-temente immessi negli Uepe funzio-nari dell’area pedagogica, psicologiconvenzionati con l’amministrazione;ci si avvale, inoltre, del prezioso ap-porto di 48 volontari del servizio civileper l’anno in corso. Il Dipartimento hapartecipato al bando per il recluta-mento anche per il 2019, contando diaumentare il numero di queste risorsegiovani, motivate e preziose.

Vale la pena citare, in questo pro-cesso di cambiamento progressivo,l’accordo di collaborazione con laConferenza nazionale volontariato egiustizia (cui aderisce anche CaritasItaliana, ndr), sottoscritto il 9 giugno

2017 e finalizzato a favorire, in tuttoil territorio nazionale, la stipula diconvenzioni per lo svolgimento, daparte di soggetti sottoposti a provve-dimenti dell’autorità giudiziaria, diattività non retribuite a beneficio del-la collettività, oltre che a promuovereprogrammi di accoglienza residen-ziale per persone che altrimenti nonavrebbero la possibilità di accedere amisure e sanzioni di comunità.

Per la costruzione di sanzioni di co-munità è necessario, lo si ribadisce, ri-conoscere come interlocutori dell’am-ministrazione della giustizia tanto ilvolontariato che il terzo settore; è unacondizione indispensabile per imple-mentare la presenza di assistenti vo-lontari negli Uepe e rafforzare gli ac-cordi con le agenzie del terzo settoreper la costruzione di un’accoglienzaall’esterno, che permetta di scontare lapena senza la mortificazione del-l’esclusione e dell’isolamento, che so-

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Bisogna superare la monoprofessionalitàdel funzionario di servizio sociale, aprendoad altre figure (a cominciare da funzionari

dell’area pedagogica e psicologi), con lo scopo di sviluppare il lavoro nel territorio

nazionale carcere

no conseguenza, troppo spesso, dicondizioni esistenziali avverse, più chedi un’effettiva pericolosità sociale.

Il terzo settore rappresenta un au-silio imprescindibile per lo svolgi-mento del lavoro degli assistenti so-ciali ed è, soprattutto, il prolunga-mento dell’istituzione nel territorio.Si pensi per esempio al rapporto dainstaurare con i detenuti domiciliari,categoria considerata la più sempli-ce, poiché meno bisognosa di essereseguita rispetto, per esempio, a quel-la degli affidati in prova al servizio so-ciale. Eppure anche questi detenutihanno esigenze a cui gli uffici, purvolendo, non riescono a far fronte,dal mero sostegno psicologico allasoddisfazione dei bisogni primari(spesa, visite mediche, ecc). Una reteterritoriale, in proposito, può renderepiù agevole il lavoro agli enti pubbli-ci, ma soprattutto costituisce un aiu-to imprescindibile per il raggiungi-mento dell’obiettivo istituzionale.

La casa dei doveriLa pena scontata sul territorio, lo si ri-badisce, deve comunque connotarsicome pena. Non si può correre il ri-

IN CONTATTO COL MONDOCentralino telefonico all’internodel carcere di Padova, sempreorganizzato dalla cooperativa

sociale “Giotto”

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uàdo, sostantivo maschile;anche fig., essere, trovarsi inmezzo al guado: in una si-tuazione di transizione, chepresenta molte incognite».

Ecco, potrebbe essere questa l’imma-gine che descrive la situazione nellaquale si trova in questo momento ilservizio civile nel nostro paese.

Ripercorriamo brevemente i passifin qui fatti… per attraversare il fiu-me. È il maggio di quattro anni fa,quando il governo Renzi elabora le“Linee guida per una riforma del ter-zo settore”, che comprendono ancheun capitolo sull’idea di assicurareuna leva di giovani per la “difesa dellaPatria”, accanto al servizio militare: ilServizio civile nazionale universale,

garantito a 100 mila giovani, chechiedono di poterlo svolgere.

Nell’estate successiva, quelle pro-poste cominciano a prendere la for-ma di una legge delega, che alla fineil parlamento approva e che vienepubblicata nel giugno 2016. La 17ª le-gislatura riesce dunque nell’intentoche le due precedenti avevano man-cato, quello cioè di riformare la leggedel 2001 che, dopo la sospensionedella leva obbligatoria, aveva istituitoil servizio civile su base volontaria eche ha permesso in questi anni a ol-tre 400mila giovani di contribuire alla“difesa della Patria” senz’armi.

Leale collaborazione?Ma si sa, in Italia le leggi (che pure so-

«GIl nuovo servizio civile,nato dalla riforma del 2016, ha potenzialitàindiscutibili. Ma la sua applicazionesta rivelando numeroseombre: rapporti difficili tra stato e regioni,depotenziamento e riduzione degli enti,risorse insufficienti ad “attivare” 100 mila giovani

di Diego Cipriani

davvero universale?

In mezzoguado,

alIN ATTESA DI RISPOSTE

Giovani del Servizio civile nazionalepartecipano a un convegno:

la riforma c’è, ma attendedi essere concretizzata

nazionale servizio civile

18 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 8

la politica più plebea, diventa un«Sbattili in cella e butta la chiave».

Eppure in tutte le fasi di elabora-zione della riforma, governo e mag-gioranza avevano avuto cura di evi-tare che nelle nuove regole potesseroconfigurarsi o una sorta di amnistiamascherata, o un insieme di automa-tismi incontrollati nel campo dellaerogazione dei “benefici”, rimessisempre al giudizio del giudice di sor-veglianza, dunque soggetti sempre auna verifica personalizzata dei requi-siti d’accesso.

Di fronte a una pressione emotivache cumula sotto il bisogno di sicu-rezza carceri e furti in villa, immigra-zione e stupri, il governo Gentiloni,prima di uscire di scena, non ha dun-que trovato l’energia necessaria percompletare gli ultimi passaggi, comepure in teoria avrebbe potuto fare,essendo “affare corrente” il compi-mento di atti dovuti, come il varo didecreti supportati da una delega le-gislativa del Parlamento.

L’accaduto, nella sua cruda evi-denza, propone la necessità che siimpieghino energie etiche e culturali

per riportare l’espiazione delle pene a un maggior livellodi umanità. Il problema è culturale, prima che normativo.Nella patria di Cesare Beccaria, il precursore di una visio-ne meno crudele del sistema penale, dovrebbe essere untema cruciale, per quanti hanno a cuore la condizioneumana in ogni situazione.

Purtroppo, nella realtà attuale dell’Italia è dato di con-statare che un atteggiamento propositivo di questo ge-nere si riscontra – essenzialmente – tra i cattolici e i ra-dicali. Il resto del paese esprime ostilità o indifferenza.Ma rendersene conto è necessario per misurare quantosia lungo e aspro il cammino da compiere. Per riformu-lare, almeno, una piattaforma culturale diffusa, su cui ri-lanciare una prospettiva di riforma. Che superi l’abba-glio di un sistema “carcerocentrico”, il quale non potràche generare sovraffollamento penitenziario, ma soprat-tutto minare la credibilità della funzione risocializzativadella pena.

a prima vittima del corso politico inaugurato con le elezionidel 4 marzo è – a meno di correzioni imprevedibili al momen-to di andare in stampa – la legge che riforma l'ordinamento

penitenziario italiano. O meglio, i decreti delegati con cui il governosi era fatto autorizzzare dalle Camere, per attuare le misure da essegià approvate in linea di principio, come da apposita legge-delega.Anche se l'opinione pubblica non pare tormentarsi per tale eve-nienza, si tratta di un fatto grave. Perché la riforma in questione co-stituisce la modifica più rilevante del sistema italiano dell’eroga-zione delle pene. Più rilevante, forse, della stessa “legge Gozzini”,che nel 1987 introdusse nel meccani-smo penitenziario un criterio, primasconosciuto, di umanizzazione e ri-scatto civile.

Il freno sulle procedure di defini-zione dei decreti delegati è stato azio-nato dal governo Gentiloni nella fasedell’acquisizione dei necessari pareridelle commissioni parlamentari, tan-to che si è giunti alle elezioni senza va-ro definitivo. Poi, come è noto, le con-dizioni politiche sono peggiorate, peril prevalere di forze (Lega e Movimen-to 5 Stelle) ostili al provvedimento.

La legge Gozzini, a suo tempo,aveva registrato il voto contrario del solo Msi (i neofascistidi allora), ottenendo un consenso che andava dalla Dcal Pci. Viceversa stavolta è bastato qualche titolo sbriga-tivo sui giornali – Arriva la legge salvaladri, Ecco il decretisvuotacarceri –, indicativo peraltro del rilevante muta-mento di clima, dagli anni terminali della “prima repub-blica” alla fase storica attuale. Bisogna prendere atto delpassaggio da una visione aperta a una chiusura senzascampo di ogni prospettiva di innovazione: carceri e car-cerati stanno bene come stanno; anzi, c’è chi li consideraalloggiati in... hotel a cinque stelle.

Beccaria, chi era costui?Ieri, il riferimento cardine era l’articolo 27 della Costitu-zione: «Le pene non possono consistere in trattamenticontrari al senso di umanità e devono tendere alla riedu-cazione del condannato». Oggi l’enfasi cade su una ver-sione della “effettività della pena” che, nel linguaggio del-

Cambio di maggioranzae cambio di culturaparalizzano, fino ad

affossarla, la riformadell’ordinamento

penitenziario, varata daparlamento e governo

precedenti. Una politicaplebea accredita

l’abbaglio di un sistema“carcerocentrico”. Chetradisce la Costituzione

«SI BUTTI LA CHIAVE»:LA PAURA BOCCIA L’UMANITÀ

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contrappuntodi Domenico Rosati

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Le dipendenze. E una di essein particolare. Su questi temihanno lavorato i giovanissimie giovani studenti, protagoni-sti dei due concorsi nazionalidei quali Caritas Italiana è ormai stabilmente partner,

le cui premiazioni hanno avuto luogo nel mese di mag-gio. A Roma, venerdì 18, al ministero dell’istruzione,università e ricerca a Roma, sono stati premiati i vinci-tori del concorso “Liberi da… liberi di…”, promosso da Caritas e Miur. L’iniziativa era destinata agli alunnidelle scuole di ogni ordine e grado, in forma individualeo in gruppo: erano stati invitati a documentarsi sullevarie forme di dipendenza che caratterizzano la nostraquotidianità (droga, alcol, gioco d’azzardo, shoppingcompulsivo, ma anche dipendenza patologica da lavoroe cyberdipendenza). L’elemento centrale della propo-

sta era ribadire l’importanza di agirepreventivamente, con un’adeguata informazione, affinché ogni ragazzo possa scegliere liberamente come impo-stare il proprio progetto di vita. Ragazzihanno prodotto molti lavori interessanti: manife-sti, racconti e soprattutto video. Premiati alunni di 12 istituti scolastici e di diverse regioni d’Italia.

A Salerno, sabato 26 maggio, sono invece stati premiati i vincitori di Spot School Award, il concorsopromosso dall’associazione CreativisinascE, al quale Caritas offre ogni anno un brief. Quello dell’edizione2018 era “Non giochiamoci la vita”, e puntava a sotto-lineare i rischi connessi alla pratica del gioco d’azzardo. Molti i lavori presentati dagli studenti di comunicazionedi facoltà universitarie e scuole specialistiche di diver-se città d’Italia: non solo campagne stampa, ma ancheefficaci campagne digitali e non convenzionali.

VERCELLICasa “Colombo”,da qui ripartonopersone e famiglievulnerabili

Due famiglie hanno già tro-vato alloggio, e persone

che si occuperanno di loro, aiu-tandole a ricostruirsi una vita. La nuova casa d’accoglienzatemporanea “Rosa Colombo”,inaugurata a maggio dalla Caritasdiocesana e da due associazionidi Vercelli in una ex casa parroc-chiale, sarà il primo tassello di un percorso di crescita versol’autonomia, offerto a personeche si trovano ad affrontare untracollo imprevisto. Nei due pianidella casa già sistemati ci sonouna dozzina di posti letto: stanzeda due o tre posti, con il bagno e alcuni spazi in comune, tra cuicucina e soggiorno. Inoltre ci so-no due minialloggi per altrettantefamiglie, a cui è stato affidato il compito di fungere da custodidell’edificio. La nuova struttura si candida a ospitare diverse ca-tegorie di persone vulnerabili di cui si occupano Caritas, asso-ciazioni e servizi sociali comunali.

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MILANORiuse entra in Tess,ancora più equala filiera degliindumenti usati

Sbarca in Italia Tess (Texti-le with Ethical Sustainabili-

ty and Solidarity), gruppo europeodi imprese sociali. Fondato nel 2016 da alcuni dei principalioperatori non profit impegnati nel recupero degli indumenti usa-ti, favorisce relazioni commercialistabili e improntate ai principi di equità tra imprese che opera-no nei settori di raccolta e sele-zione degli indumenti usati (in Ita-lia, Belgio, Francia e Spagna) e operatori attivi nei paesi di de-stinazione (Burkina Faso, Sene-gal, Ghana, Kenya, Uruguay). Inol-tre sostiene la crescita d’impresesociali del Sud del mondo nellaloro opera di selezione e distribu-zione di indumenti usati raccoltiin Europa. Tess è la sola filiera in Europa per il recupero di abitiusati eticamente controllata; i soggetti che vi aderiscono sisottopongono a un audit esterno.La prima aderente italiana è reteRiuse, che raggruppa le coopera-

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tive sociali legate a Caritas Am-brosiana e alla Caritas diocesanadi Brescia, impegnate da 20 anninella raccolta.

CREMAEcco “InChiostro”,ristorante socialeche offre aiuto eoccasioni di lavoro

È stata riaperta a maggiola mensa del centro giova-

nile San Luigi, a Crema. A gestir-la è la cooperativa sociale Le Orme, in sinergia con la Caritasdiocesana. La mensa presentasignificative novità: si chiama “InChiostro – Ristorante sociale”,perché intende coniugare la buo-na cucina con la solidarietà, il mercato e la sostenibilità conla valorizzazione delle persone e delle loro risorse. L’idea è rea-lizzare un’esperienza di ristorazio-ne sociale, la prima in città e nelterritorio. A InChiostro possonoaccedere come clienti tutti i citta-dini, oltre a uomini e donne chevivono situazioni di disagio. A co-storo verrà offerto non solo unpasto, ma anche una possibilitàdi inserimento socio-lavorativo.

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panoramaitalia

DIPENDENZEA Roma e Salerno le premiazioni dei concorsi per i giovani

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20 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 8

no tante) non bastano. Non a caso, lalegge del 2001 è stata la madre, in 17anni di applicazione, di 147 (cifra chepotrebbe essere errata per difetto) tracircolari, decreti, determinazioni, di-sposizioni… E così alla legge del 2016ha fatto seguito, a marzo dell’annoscorso, un decreto legislativo che, difatto, ha disegnato il “nuovo” serviziocivile, con le sue luci e le sue ombre.Delle prime si è parlato molto neimesi scorsi, presentando le novitàpositive del “nuovo” servizio. Le om-bre stanno cominciando a delinearsicol passare del tempo.

In questo disegno, sono state an-zitutto ridefinite le funzioni dello sta-to centrale e delle regioni in materiadi servizio civile. Invertendo la dina-mica della legislazione precedente, siè inteso riaccentrare, in capo allo sta-to, molte funzioni che finora hannovisto un coinvolgimento attivo delleregioni (programmazione, organiz-zazione, attuazione, accreditamentodegli enti, attività di controllo), attri-buendo alle regioni stesse un ruolosubalterno rispetto allo stato. Tant’èche due regioni (Lombardia e Vene-to) si sono appellate alla Corte costi-tuzionale, invocando un ruolo mag-giore. Il conflitto tra lo stato e le re-gioni in materia di servizio civile noncostituisce certamente una novità,tanto che in passato la suprema Cor-te si è dovuta esprimere per benquattro volte in tre anni. Un nuovodecreto legislativo (pubblicato amaggio 2017) ha cercato di riparareal danno, individuando nella Confe-renza stato-regioni il luogo doveesprimere pareri e raggiungere intesesui vari aspetti del servizio civile. Sivedrà in futuro se il braccio di ferrocederà il passo alla “leale collabora-zione” tra istituzioni repubblicane.

Rallentamento e congelamentoMa le novità riguardano anche altri

soggetti che compongono il com-plesso sistema del nuovo servizio ci-vile. Gli enti, ad esempio, che finorahanno accolto i giovani e li hannoimpegnati nella realizzazione deiprogetti, a vantaggio delle comunità.La narrazione che si è fatta in questimesi riguardo al nuovo servizio civileha enfatizzato il ruolo dello statoche, in sede di programmazione(triennale e annuale), dovrebbe det-tare le direttrici e le priorità d’azione,alla quali gli enti dovrebbero ade-guarsi, venendosi così a trovare inuna posizione subalterna rispetto al-le “superiori istanze”. Al di là del ri-schio che una simile impostazionepossa ostacolare l’effettiva realizza-zione del principio di sussidiarietà(principio che nei cinque decenniprecedenti ha garantito l’esistenzadel servizio civile), c’è il timore chel’elaborazione di linee programma-tiche si riveli così complessa e farra-ginosa da rallentare i tempi dell’at-tuazione concreta delle attività diservizio civile.

Un rallentamento si è già verifica-to in questi mesi. Di fatto, dall’apriledell’anno scorso, i soggetti presentinel sistema sono rimasti come “con-gelati”, mentre è stato impedito anuove organizzazioni di accedere alsistema. Le stesse nuove regole perentrare a farne parte sembrano volercomplicare l’accesso, invece di faci-litarlo, a dispetto del principio disemplificazione che pure è previsto,e che sembra penalizzare proprio isoggetti del terzo settore che da sem-pre hanno costituito l’asse portantedi questo comparto. Accade, peresempio, rispetto all’obbligo di pro-durre la certificazione antimafia, ob-bligo che si tradurrà, nei prossimimesi, in una valanga di carta che pe-serà sulle spalle degli enti “privati” eche potrebbe ingolfare la macchinaamministrativa.

È indubbio che saranno proprio

La prima sfida per parlamento e governonuovi è non tradire la promessa insita nel nome, e costituire un servizio davvero

“universale”. Anzitutto assicurando i fondiper soddisfare tutte le domande dei giovani

gli enti uno degli obiettivi di profon-da trasformazione del sistema. Apartire dal loro numero. Se finora,infatti, anche il piccolo comune o lapiccola associazione potevano chie-dere di entrare autonomamente nelsistema, da domani questo non saràpiù contemplato, in quanto un entedovrà possedere come minimo 30sedi a livello regionale o 100 a livellonazionale. Il che comporterà inevita-bilmente una forte riduzione del nu-mero degli enti (rispetto agli oltre4.100 attuali) e implicherà una loroaggregazione forzata. Anche in que-sto caso, solo il futuro ci dirà qualco-sa sulla bontà di questa impostazio-ne del servizio civile universale.

Tornare indietro non si puòChe, tra l’altro, non sarà “universale”,almeno per quest’anno. I progettiche verranno finanziati a giugno, in-fatti, saranno i primi di quel nuovocorso che intendeva dare la possibi-lità a tutti i giovani che lo avesserochiesto di svolgere un servizio civile:ma se i giovani saranno in centomilaa fare richiesta (come è successol’anno scorso), solo la metà di essi ve-drà accolta la sua domanda. Dunque,la prima sfida che il neonato serviziocivile “universale” lancia al nuovoparlamento e al nuovo governo èquella di non tradire la promessa in-sita nel nome, e di costituire vera-mente una possibilità per tutti. Co-me? Anzitutto assicurando i fondinecessari a soddisfare le richieste deigiovani. Parallelamente, consenten-do a tutti i soggetti associativi che dadecenni hanno investito in qualità, dicontinuare a proporre nuove formedi costruzione, nelle nostre comuni-tà, della pace e di legami solidali.

Se è vero che siamo in mezzo alguado, e che tornare indietro non sipuò, non resta che raggiungere l’altrariva al più presto e bene.

nazionale servizio civile

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rapporto annuale 2017

2017Il 2017 di Caritas Italiana, riassunto nel Rapporto annuale(integrale su www.caritas.it). Attività di formazione, studio e comunicazione; progetti in Italia, in Europa e nel mondo: fattie cifre, per ricapitolare un intenso lavoro a servizio dei poveri,con la volontà di promuovere uno “sviluppo umano integrale”

a cura dell’Ufficio comunicazione

pite dal terremoto del 2016: CaritasItaliana, per i suoi interventi, puòcontare sugli oltre 26 milioni di euro(incluso 1 milione messo subito a di-sposizione dalla Cei) raccolti tra gliitaliani. Come da consolidata espe-

rienza, sono statipromossi gemellaggicon le diocesi colpite– in questo caso 11 –e realizzati centri dicomunità e progettisocio-economici.

Sul versante deidiritti e dell’attenzione ai poveri,nell’anno in cui si è celebrata la primaGiornata mondiale dei Poveri volutada papa Francesco (19 novembre),Caritas Italiana ha continuato a ope-

rare nell’Alleanza contro lapovertà per l’attuazione, inItalia, del Reddito di inclu-sione, entrato in vigore il 1°gennaio 2018. Il tema delcontrasto della povertà è sta-to approfondito nei rapportinazionali Per uscire tutti dal-la crisi (sulle politiche contro

o “sviluppo umano integra-le”. Un concetto che riman-da al Concilio Vaticano II. Eche divenne centrale nelmagistero di papa Paolo VI.

È stato attualizzato e riproposto conforza (facendone unperno della riorga-nizzazione della Cu-ria vaticana) da pa-pa Francesco. Così,nel 2017, è stato bus-sola dell’impegno diCaritas Italiana, chel’ha posto al centro del 39° Convegnonazionale delle Caritas diocesane,svoltosi dal 27 al 30 marzo a Castella-neta Marina (Ta).

Il 2017 è stato l’anno che ha fattoregistrare la riconferma, daparte della Cei, del direttoredi Caritas Italiana, di donFrancesco Soddu, e il varodel Piano strategico 2018-2022, esito di un lungo e par-tecipato percorso.

In Italia, è proseguito il so-stegno alle popolazioni col-

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Persone e comunità

Un anno di Caritas

L’IMPEGNO CARITAS

TOTALE52.488.031,67

IMPORTO IN €

Progetti/attività in Italia 39.335.057,46

Progetti/attività nel mondo 9.898.355,21

Costi di gestione 3.254.619,00

Totale 52.488.031,67

L’IMPEGNO CARITASRiepilogo complessivo utilizzo fondi 2017

COSTI DI GESTIONE 3.254.619,00 6,2%

PROGETTI/ATTIVITÀ IN ITALIA39.335.057,46

74,9%

PROGETTI/ATTIVITÀNEL MONDO

9.898.355,21 18,9%

a partire dal Vangelo

22 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 1 8

panoramaitalia

NOLA“Maya” un centroper prevenirela violenzacontro le donne

La Caritas diocesana di Nola, con altri soggetti,

ha aperto il centro antiviolenza di genere “Maya”. Promuove atti-vità di prevenzione del fenomeno,tramite interventi di formazione,sensibilizzazione e informazione.Il centro è ubicato nella sede Ca-

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ritas a Nola e offre vari servizi(accoglienza personale e telefo-nica, consulenza psicologica e legale). Tra i progetti, attivareun osservatorio sul fenomeno.

BENEVENTO“Porti di terra”,cresce il festivaldei piccoli comuniaperti al Welcome

Si è svolta dal 18 al 20maggio la seconda edizio-6

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Alessia Cococciola (Caritas Tortona). «Il convegno diocesano “Mono colture monoculture. Quando la negazione della biodiversità è causa di immigrazione”, dello scor-so aprile, ha tenuto insieme le riflessioni su immigrazione e tutela dell’ambiente. Un convegno di tre giorni al teatro comunale di Retorbido, per approfondire temi legatialle politiche migratorie, le migrazioni ambientali, gli stili di vita sostenibili. E per valo-rizzare l’incontro con le culture e le colture così importanti nel nostro territorio, l’Oltre-pò Pavese, sempre sui giornali per il problema del fortissimo inquinamento e per la lotta contro un inceneritore condotta qualche anno fa proprio a Retorbido, simbolodella resistenza ambientale, luogo dove una comunità determinata e forte si è strettaintorno al tema della tutela dell’ambiente».

Mimmo Pisani (Caritas Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi).«In piedi costruttori di pace!» è l’esortazione di don ToninoBello, che ha dato il titolo, in aprile a Molfetta, alla 5ª Gior-nata dei giovani volontari Caritas, promossa dalla delega-zione regionale Caritas Puglia, dedicata proprio alla figura

di don Tonino. Abbiamo voluto ricordare ai giovani che una vita che non serve, non serve alla vita. Non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere,se manca l’amore da cui partono le opere. Don Tonino ci ha insegnato che la per-sona è valore. Accogliere il prossimo, specialmente quello in difficoltà, è rinnovarecontinuamente la nostra alleanza con Dio, che ci ha accolti nel segno della dignitàe della gratuità totale. Lo vogliamo ribadire nell’impegno continuo a stare con gli ultimi, a camminare con loro».

Angela Muraca (Caritas Lamezia Terme). «II progetto “Mi ritorni in mente. In buonasalute insieme”, partito più di tre anni fa, sta costruendo un sistema di sostegno alle persone con sofferenza mentale. Sono tre gli obiettivi del progetto: la promozionedella cultura psichiatrica, la creazione di spazi per gestire la propria salute mentale, la costruzione di percorsi di inclusione sociale nella comunità. Oggi possiamo direche c’è maggiore consapevolezza da parte della nostra comunità diocesana. Abbiamocercato di sensibilizzare in tutte le sedi e i luoghi in cui è stato possi-bile, abbiamo incontrato diversi soggetti del territorio che realizzanoattività di socializzazione – operatori delle piscine, delle palestre pub-bliche, gruppi teatrali – e attraverso l’incontro con loro abbiamo parla-to molto di psichiatria, di salute mentale, dell’importanza, per le per-sone che vivono la sofferenza mentale, di un legame con il territorio».

Il nesso tra ambiente e migrazioni,il legame tra salute mentale e territorio

5levocingiro di Danilo Angelelli

ne del Festival del Wel-come and Welfare, dedi-cata al tema “PortidiTerra” e or-ganizzata da Caritas Benevento e dal consorzio “Sale della Ter-ra”, in collaborazione con la Retedei piccoli comuni del Welcome (i 15 che hanno aderito all’omoni-mo Manifesto, lanciato nel 2017dalla Caritas beneventana). Tregiorni di dibattiti, teatro, cinema,fotografia e cucina, per ribadireche dai piccoli comuni del sudpuò partire un’innovazione dellepratiche di welfare, da orientareal welcome, praticando una buo-na accoglienza dei migranti, fon-data sul primato delle relazioniumane, contro l’imperversaredell’odio sociale. Queste azionipossono intrecciarsi con virtuosepratiche di sviluppo locale. Impor-tante anche la mobilitazione peril contrasto del gioco d’azzardo.

CATANIAImbarcazionisolidali,navigazionicon i migranti

La Caritas diocesana diCatania e la sezione locale

della Lega navale italiana hannostudiato una collaborazione, perconsentire a migranti e rifugiatidi usufruire delle “imbarcazionisociali”, per effettuare gite allascoperta del territorio. La primanavigazione si è svolta a maggio,con 5 profughi eritrei. La Leganavale offre esperienze di naviga-zione “sociale” a diverse perso-ne con varie forme di disagio o di difficoltà, come disabili o me-no abbienti, utilizzando barchegiunte in Italia proprio con i mi-granti, e affidate dai magistrati.

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ATTIVITÀ IN ITALIAUtilizzo fondi 2017

AMBITO DI INTERVENTO

MODALITÀ DI IMPIEGO

TOTALE 39.335.057,46

Una Chiesa che non staalla finestra e non prende

le distanze da ciò chesuccede per strada.

Ma che cammina lungole strade gridando la

profezia e scandalizzacoi suoi gesti d’amore

cardinale Francesco Montenegropresidente di Caritas Italiana

PROGETTAZIONE SOCIALE PER LE CHIESE LOCALI21.468.666,10 54,6%

tas ha poi partecipato alla prima spe-rimentazione di corpi civili di pace.Non è infine mancato l’impegno, in-sieme alla rete internazionale, per af-frontare diverse emergenze, a partiredalla cronica carestia in Africa.

PROGETTI CEI 8XMILLE ITALIA26.925.713,64

68,4%

GRECIANeos Kosmos, un “Nuovomondo” di famiglie

Atene, popolare quartiere di Neos Ko-smos. In greco significa “Nuovo mon-do”, ma anche “Nuova bellezza”. Unabellezza manifestata grazie anche allarealizzazione di un progetto che ha datouna piccola, ma importante risposta alledue principali difficoltà che hanno inve-stito la Grecia negli ultimi anni: crisi eco-nomica ed emergenza profughi. La ri-sposta è la Neos Kosmos Social House,nata nel 2014 grazie alla collaborazionefra Caritas Italiana e Caritas Grecia. Si tratta di un centro che offre ascolto e accoglienza di medio-lungo periodo a famiglie in difficoltà abitativa a causadella crisi economica. Un centro nato ini-zialmente per aiutare le famiglie greche,ma che poi ha aperto le porte anche ai tanti siriani e iracheni in fuga da guer-ra e violenze. Che sono prima transitatie poi rimasti bloccati in Grecia a causadella chiusura della rotta balcanica. Labellezza di questo centro è che famigliegreche, siriane, irachene e operatori Ca-ritas vivono insieme; partecipando cia-scuno alla cura e alle attività della casa,per creare così un “Nuovo mondo”.

LIBANOLa speranza sono giovaniche riparano case

Beirut, grande città contraddittoria, chiu-sa fra due guerre: a sud gli sciiti di Hez-bollah, da anni in lotta con la vicinaIsraele, a nord la guerra nella vicinissi-ma Siria. Beirut è anche una città insta-bile, che ha vissuto oltre 15 anni di con-flitto civile. Una città che però nonsmette di sperare, che vede nei giovanii mattoni umani per costruire una paceduratura e garantire stabilità. E sono

proprio i giovani, i protagonisti del gran-de programma chiamato “Cantieri perla pace”, organizzato da Caritas Libano.Un programma attivo grazie al sostegnodi Caritas Italiana, strutturato in tre pro-getti: formazione di giovani operatoriCaritas, campi estivi per bambini in tut-to il Libano e appunto i cosiddetti “Can-tieri”, in cui adolescenti e giovani opera-tori di Caritas Libano organizzanosquadre di lavoro per ristrutturare (rea-lizzando pulizie, ritinteggiature, sistema-zione di impianti elettrici e idrici) le ca-se delle persone vulnerabili. In un annosono state sistemate ben 65 abitazionigrazie al lavoro di oltre 130 giovani.

ANGOLAIl parto non deveessere un rischio

I tre letti della piccola sala parto sonooccupati da altrettante donne, ma nes-suna parla o si lamenta, nonostante i dolori del travaglio. Fra loro vi è Isa-bel, 20 anni, arrivata sfinita all’ospeda-le di Chiulo dopo quattro giorni di cam-mino, giusto in tempo per partorire. La sua è una storia comune a tantedonne dell’Angola, paese che vanta untriste primato: presenta il tasso di mor-talità infantile più alto al mondo, insie-me a quello di mortalità materna. Unapiccola speranza è stata portata dallaCasa de Espera, struttura di accoglien-za realizzata nelle vicinanze dell’ospe-dale, nata per garantire un posto sicuroalle donne in attesa, spesso con gravi-danze a rischio. Grazie al microprogettopromosso da Caritas Italiana, è statopossibile accompagnare nell’arco diquattro mesi circa 350 partorienti, tra-mite la distribuzione di kit alimentari(durante la permanenza, fino al parto)e di kit specifici per mamme, con tuttoil necessario per la cura del neonato.

Nel mondo: alcuni progetti realizzati Progetti di emergenza, anticrisi e di sviluppo in 80 paesi

Famiglie e operatori Caritas vivono insiemecontribuendo a creare un “Nuovo mondo”Beirut non smette di sperare, nei giovani

vede i mattoni umani di una pace duraturaIsabel giace sfinita: in Angola la mortalitàmaterno-infantile è la più alta al mondo

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MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA1.646.330,32 16,6%

EMERGENZE 16.206.384,82 41,2%

PROMOZIONE /ANIMAZIONE /FORMAZIONE 1.107.384,32 2,8%

collo triennale d’intesa con il ministe-ro dell’istruzione università e ricerca,nel cui ambito è stato indetto un con-corso dedicato alle scuole sul temadelle dipendenze.

Sul versante europeo e internazio-

nale, sono stati pubblicati 10 Dossiercon dati e testimonianze, su altrettan-ti fenomeni e scenari di crisi nel mon-do. Costante è stato l’impegno in ri-sposta alla guerra in Siria, così comeper i microprogetti di sviluppo. Cari-

EUROPA 455.912,89 4,6%

MICROPROGETTI 1.000.300,00 10,1%

PACE / DIRITTI UMANI136.474,99 1,4%

PROMOZIONE / ANIMAZIONE /FORMAZIONE276.552,15 2,8%

ACCOMPAGNAMENTO DELLE CARITAS DIOCESANE 11.821.518,39 30,1%

FORMAZIONECONVEGNISEMINARI 275.062,63 0,7%

GESTIONEPROGETTI 321.731,35 3,3%

DOCUMENTAZIONE 312.762,800,8%

PROGETTI DI SERVIZIO PER I GIOVANI 552.622,22 1,4%

AMERICA LATINA E CARAIBI 2.683.530,16 27,3%

ATTIVITÀ NEL MONDOUtilizzo fondi 2017

AREA GEOGRAFICA

TOTALE9.898.355,21

PROGETTI SOCIALI DELLE CHIESELOCALI2.793.916,79 28,2%

SOCIO-ECONOMICO/ SANITARIO 1.594.210,11 16,1%

AFRICA 2.576.002,63 26%

rapporto annuale 2017

ASIA E OCEANIA2.536.579,21 25,5%

MODALITÀ DI IMPIEGO

EMERGENZA /RIABILITAZIONE4.775.469,82 48,2%

AIUTI D’URGENZA3.517.650,00 35,5%

PROGRAMMI DI SVILUPPO5.380.405,21 54,4%

AMBITO DI INTERVENTO

la povertà) e Futuro anteriore (su po-vertà giovanili ed esclusione sociale).

Altro ambito di impegno è stato l’ac-coglienza dei migranti, con un’azioneanche informativa, svolta grazie al nuo-vo portale CaritasInMigration (inmi-gration.caritas.it), al 26° Rapporto Cari-tas-Migrantes e al 4° rapporto sulla pro-tezione internazionale. Nel 2017 la Ceiha firmato, con il ministero degli inter-ni, un protocollo di intesa per l’apertu-ra di corridoi umanitari per consentire

l’arrivo in Italiadi 500 profu-ghi, accolti dadiverse Caritasdiocesane. So-no inoltre en-trate nel vivodue iniziative:Liberi di parti-re, liberi di re-stare, volutadalla Cei, eShare the jour-ney, promossada Caritas In-ternationalis.

Borse per i “padri”,concorso con i ragazziLa tutela della dignità del lavoro è sta-ta al centro della presenza Caritas allaSettimana sociale dei cattolici a Ca-gliari, in ottobre. Il 15 dicembre, a 45anni dall’entrata in vigore della primalegge sull’obiezione di coscienza alservizio militare (n. 772), si è svolto ilconvegno 40 anni di servizio civile inCaritas. Tra memoria e prospettive.

Caritas ha ricordato con due au-diolibri don Carlo Gnocchi e Magde-leine Hutin (fondatrice delle piccole

sorelle di Gesù). An-cora, è stata lanciatala terza annualitàdelle borse di studio“Monsignor Nervo emonsignor Pasini”,“padri” di CaritasItaliana. È stato poirinnovato il proto-

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er i paesi della sponda suddel Mediterraneo, alle presecon il fenomeno della mo-bilità umana, è ormai pocosignificativa una distinzio-

ne a noi familiare: quella fra luoghi dipartenza, transito e destinazione.Molti paesi storicamente di partenzasono ormai luoghi di transito per mi-granti. O addirittura destinazioni fi-nali, per scelta o necessità. La Gior-nata mondiale del rifugiato, che si ce-lebra il 20 giugno, è l’occasione giustaper ricordare che, nel fenomeno del-la mobilità umana, le vite e le traiet-torie delle persone coinvolte sonopiù complesse di quanto sembrano.E che quanti approdano sulle costeitaliane ed europee sono una com-ponente ridotta di un fenomeno chesi svolge quasi del tutto in terra afri-cana. E che ha nei paesi del nord Afri-ca uno snodo nevralgico.

TUNISIA. Ivoriane, docili e schiavizzate La Tunisia è una realtà in evoluzione,condizionata dai cambiamenti regio-nali e internazionali degli ultimi an-ni. Il paese ha tre volti: luogo di par-tenza per tunisini, transito per sub-sahariani verso l’Europa, ma semprepiù anche meta, soprattutto per gliivoriani, da quando nel 2003 la guer-ra civile in Costa d’Avorio causò il tra-sferimento (fino al 2014) della sededella Banca africana per lo sviluppoda Abidjan a Tuinsi.

Allora molti funzionari si trasferiro-no in Tunisia con il proprio personaledi servizio, per il quale divenne fre-quente impiegarsi anche presso fami-glie tunisine. Fra i paesi si instaurò unlegame di scambi agevolati dall’esen-zione dal visto. Ma la storia non ha unlieto fine: divenne infatti florido ancheun ramificato traffico di esseri umani,

PI migranti chesbarcano sulle nostrecoste sono unacomponente minimadei grandi movimentimigratori cheinteressano l’Africa. E che hanno comesnodo cruciale i paesi del Maghreb. In Tunisia, Algeria e Marocco, la quotidianitàsconfina nel dramma…

di Federico Mazzarella

Sempre inferno…

Transito approdo?o

internazionale nord africa

BRACCATI E SFRUTTATIMigranti subsahariani fermatidalla polizia algerina nel deserto. La condizione dei migrantinel nord Africa è drammatica

AN

NA P

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I numeri

216.311gli interventi di ascolto, orientamento,consulenza e segretariato sociale,realizzati dagli oltre mille centri di ascolto della rete Ospoweb(dislocati in 132 diocesi italiane)

1.005.938le erogazioni di beni e servizi materiali(viveri, vestiti, prodotti igiene perso-nale, buoni pasto, ecc.) da parte deicentri di ascolto della rete Ospoweb

470 le mense socio-assistenziali ecclesiali

484 i servizi ecclesiali o di ispirazionecristiana che svolgono attività di doposcuola e di sostegno socio-educativo scolastico

219i progetti otto per mille Italiaapprovati a 136 Caritas diocesaneche li hanno presentati, finanziatidalla Conferenza episcopale italianae accompagnati da Caritas Italiana

900 i giovani che, in 89 Caritasdiocesane, hanno terminato i 12 mesi di servizio civile in Italia.Lo hanno iniziato, in 101 Caritas,altri 1.124 giovani

504 i partecipanti al 39° Convegnonazionale Caritas diocesane a Castellaneta Marina (27-30 marzo)

76 i partecipanti al percorso base2016-17, da 16 Delegazioni regionali,più 1 Caritas estera: 8 collaboratori,15 dipendenti e 53 volontari

30 i progetti elaborati da 30 Caritasdiocesane, che hanno proposto aigiovani l’anno di volontariato sociale

80 i paesi in cui Caritas Italiana è intervenuta, accanto alle Chieselocali, con progetti per far fronte a emergenze, interventi in aree di crisi, programmi di cooperazione,riabilitazione e sviluppo

213i microprogetti finanziati in 24paesi e in 153 diocesi di tutti i continenti, per un importocomplessivo di 1.000.300 euro

rapporto annuale 2017

REGGIO CALABRIA – BOVA L’Aids, conoscerlo per batterlo

Informazione e sensibilizzazione non bastano mai, quando si tratta di Aids. A Reggio Calabria si è dunque dato vitaal progetto Effatà-Apriti, nell’ambito del Progetto nazionale Aids, coordinatoda Caritas Italiana. Sono stati coinvoltioperatori Caritas, volontari e professio-nisti del territorio: il progetto ha promos-so una rinnovata attenzione nei confron-ti di chi vive la malattia, programmandoincontri per adulti, attivando un percor-so con i gruppi giovanili ecclesiali, realiz-zando momenti formativi per educatori.Gli incontri con i giovani, in particolare,hanno promosso riflessioni e veicolatoinformazioni corrette, aprendo spazi di confronto sugli stili di vita e sul mododi intendere l’affettività. Sono stati l’oc-casione per constatare quanto i pregiu-dizi siano ancora presenti condizionanole persone affette dal virus Hiv. Alcunigiovani hanno avuto modo di conoscerepiù da vicino anche la casa famiglia“Don Italo Calabrò”, che da oltre ven-t’anni accoglie persone malate di Aids.

VERONA La casa è autonomia,condivisione, buon vicinato

Un cuore grande come una casa è unprogetto dedicato a famiglie in condizio-ne di precarietà sociale e lavorativa.L’obiettivo è attivare un sistema integra-to di accompagnamento sociale all’abi-tare: si punta non solo a dare ospitalitàin un alloggio, ma anche a effettuare unaccompagnamento a 360 gradi. La coa-bitazione tra due nuclei familiari mono-genitoriali è pensata come una buonasoluzione per la condivisione delle spe-se, per facilitare processi di mutuo aiu-

to ed evitare situazioni di assistenziali-smo. Nel 2017 il progetto ha consentitoil recupero di sei alloggi, ma soprattuttosono stati definiti progetti per 14 fami-glie, inclusa la formazione alla gestioneordinaria della vita (alfabetizzazione linguistica e informatica, orientamentoal lavoro, gestione del risparmio...). Infi-ne, si è puntato a individuare e formareuna rete di famiglie volontarie, che stia-no a fianco dei nuclei in difficoltà, percreare reti di buon vicinato. E favorireuna genitorialità sociale.

CITTÀ DI CASTELLO Agricoltura sociale alle Cascine

Le Cascine, azienda situata nel comunedi San Giustino (Pg), opera con lo scopodi riscoprire le potenzialità dell’economiaagricola locale, di salvaguardare l’am-biente, di diffondere la cultura dell’acqui-sto consapevole e soprattutto di coinvol-gere persone provenienti da situazioni di marginalità. La costituzione di questacooperativa agricola è l’esito di un per-corso iniziato nel 2012, con progetti progetti finanziati con fondi otto per mil-le. Nel 2015 l’iniziativa ha conosciuto un ulteriore sviluppo, grazie a un progettotriennale, finalizzato a consolidare la ca-pacità di gestione autonoma della pro-pria vita da parte dei soggetti beneficiari:all’interno della cooperativa, infatti, una struttura abitativa dà la possibilità ad alcuni lavoratori di vivere con la pro-pria famiglia. Nella cooperativa si coltiva-no piantine biologiche. Ci sono un vivaio,serre e terreni nei quali vengono prodottiin prevalenza ortaggi stagionali. Le per-sone che operano all’interno della coope-rativa provengono da situazioni di margi-nalità: ex tossicodipendenti, personedisabili e cinquantenni tagliati fuori dal mercato del lavoro.

In Italia: alcuni progetti 8x1000 realizzati Totale 2017: 219 progetti 8xmille approvati in tutte le regioni

Gli incontri coi giovani, occasione per faremergere i pregiudizi su chi è affetto da HivCoabitazione tra nuclei monogenitoriali,

buona idea per evitare l’assistenzialismoNella cooperativa, un alloggio consente ad alcuni lavoratori di vivere con la famiglia

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bloccati o in sosta. Le sofferenzepeggiori sembrano riservate ai mi-nori. Poco più che bambini, fra i 14 ei 16 anni, stimati fra i 30 e i 40 mila(ma è impossibile quantificare, inquanto spesso nascondono la loroetà), sono soprattutto guineani e ca-merunensi. Vengono da culture perle quali il viaggio è un’abitudine mil-lenaria: nuove sono solo destinazio-ni e motivazioni. La rotta prevalenteresta il deserto: fino a Bamako e Nia-mey il viaggio è difficile, ma è dopoGao e Agadez che diventa un calva-rio. Aggressioni, sequestri, rapine so-no sistematici, spesso programmatidai passeur che li trasportano. Nu-merosi anche i casi di abbandononel deserto da parte dei trafficanti,quando intercettati dalla polizia.L’ingresso in Marocco è spesso pre-ceduto da un lunga sosta (anche dilavoro) in Algeria.

Sono molti quelli che fuggono dasituazioni di violenza comunitaria oin famiglia, di abbandono, di vita instrada: non hanno niente da perdere(e non è un modo di dire), inutilechiedere loro un piano di vita. Partireè un obiettivo in sé, difficile da spie-gare. Un ruolo micidiale lo giocal’immagine del benessere europeo,

pronti a prendere il mare. Le condi-zioni di vita, nel paese, sono comun-que drammatiche. Lo confermano glioperatori delle organizzazioni cheoperano in Mali, e assistono i migran-ti espulsi dall’Algeria: pessime condi-zioni economiche, marginalità e se-parazione dalla società locale. Lo stig-ma e il risentimento nei confronti deimigranti sono alti, anche a causa dicampagne vittimistiche che agitanospauracchi, attribuendo per esempioai subsahariani la colpa di diffonderemalattie come l’Hiv. Così, a ondate re-golari, si verificano arresti di massa,in seguito a retate che hanno comeunico obiettivo l’uomo nero, a pre-scindere dallo status giuridico.

I migranti intercettati, uomini odonne, anziani o minori, so-no separati dai familiari, cheè probabile non rivedrannopiù. Una volta ‘’stoccati’’ aZéralda, inizia per loro latraversata nel deserto, scor-tata dai militari, verso lefrontiere di Niger o Mali.Una strada che molti vedo-no per la seconda volta, a ri-troso: superata Tamanras-set, sono condotti alla fron-tiera con il Niger, dove sono

lasciati nel deserto con una razioneminima di cibo e acqua. Molti vi ri-mangono, feriti per i maltrattamenti,o morti di sete. Quelli che sopravvivo-no vanno incontro a rapine e abusi daparte di gruppi armati. Arrivano a Gaoe Agadez disidratati, malati, in predaa crisi nervose. Segnalati casi di suici-dio: ancora una volta, ad accompa-gnare i migranti è la vergogna di tor-nare al proprio paese a mani vuote,non abbastanza uomini per aver fattofortuna in anni di assenza.

MAROCCO. Minori, illusi e sbandatiDa sempre paese di partenza, oggi ilMarocco è luogo di transito per de-cine di migliaia di subsahariani,

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VITTIME (ANCHE) DI RISENTIMENTOMigranti subsahriani ad Algeri: un gruppo di adulti dorme in un rifugiodi fortuna, mentre alcuni minori (sotto) si nutrono, in un centro di aiuto organizzato dalla Caritas diocesana della capitale algerina

28 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O / L U G L I O 2 0 1 8

Non va meglio agli ivoriani con menodi 20 anni, sedotti dalla prospettiva di diventare calciatori professisti in Tunisia

o in Europa, le cui famiglie si rovinano perinvestire sulla giovane promessa

che scelse come vittime preferenzialile giovani ivoriane, robuste, poco col-te e “docili”. Oggi, migliaia di poco piùche trentenni, con alle spalle abban-doni o matrimoni falliti, lasciano laCosta d’Avorio per la Tunisia, con lapromessa d’impiego retribuito, con-tratto sicuro e alloggio garantito.

«Nessuno può quantificare il feno-meno. Certo sono migliaia», assicurauna volontaria di Caritas Tunisia. Nel-la peggiore malafede, a indirizzarleverso la trappola sono le donne dellaloro famiglia. A occuparsi di loro è poiuna rete di false agenzie interinali: ilprezzo del viaggio triplicato, che le ra-gazze non confrontano con quello sulbiglietto perché analfabete, è solol’inizio. False informazioni con paga-mento anticipato e assicurazioni ine-sistenti inducono le famiglie nei vil-laggi a vendere tutto. All’aeroporto, al-le ragazze vengono sottratti telefono,soldi, passaporto, poi vengono con-dotte alle famiglie che le hanno com-prate, pagando i primi mesi di salariche le ragazze non vedranno mai.

Sequestrate in case-prigione, sen-za documenti né possibilità di fuggi-re, le ivoriane lavorano a ritmi inso-stenibili, a totale disposizione dellafamiglia tunisina acquirente: «È loschiavismo nel senso più letterale deltermine», conferma la volontaria Ca-ritas. Subiscono percosse, maltratta-menti, umiliazioni: devono fare lavo-ri pesanti, con poco cibo e riposo,senza diritti o salario. Non è raro sen-tire una madre di famiglia tunisinachiedere con naturalezza se si cono-sce qualcuno che ha a disposizioneun’ivoriana da prestargli: «La norma-lizzazione del fenomeno è totale. Laperdita d’umanità sbalorditiva».

Non va meglio agli ivoriani di me-no di 20 anni, sedotti dal calcio pro-fessionale in Tunisia o Europa, le cuifamiglie si rovinano per investire sul-la giovane promessa. I truffatori, conla complicità di clud tunisini, narra-

no di contratti già firmati, guada-gnando somme enormi per serviziinesistenti. I più fortunati sono ab-bandonati all’aeroporto all’arrivo, ein breve cadono nella clandestinità.Altri, privati del passaporto, sonocondotti in cantieri dove li attendeun lavoro massacrante.

Una volta usciti dall’incubo, adaspettarli è un pesante razzismo. Lalegge tunisina non aiuta: dopo 90 gior-ni di permanenza si diventa irregolari,costretti a pagare penalità che aumen-tano di settimana in settimana. Gliivoriani sono dunque bloccati in unsecondo schiavismo: costretti a gua-dagnare per pagare le penalità, oltreche per vivere, ma impossibilitati a far-lo, perchè irregolari. Spossatezza, ver-gogna e impotenza prevalgono. Nonsono rari i casi di partenza per Lampe-dusa, in mancanza di alternative. Fre-quenti le depressioni e i suicidi. Anchea causa del senso di colpa, per avererovinato la famiglia o abbandonato ifigli. I giovani sanno che casa loro non

è un porto sicuro: la famiglia non cre-de alle storie narrate, prese per scuseper giustificare il fallimento. Lo stigmaè forte: «È surreale – sintetizza la vo-lontaria Caritas –. La vergogna del fal-limento induce alcuni a impegnarsinello stesso traffico del quale eranovittime, inducendo familiari o amici apartire. E la tragedia si rinnova».

ALGERIA. Abbandonati, feriti,derubati nel desertoAnche in Algeria la distinzione fratransito e destinazione è sfumata. Lapresenza di subsahariani non è recen-te; nigeriani, ivoriani, camerunensi, li-beriani e guineani hanno iniziato areggiungere il paese da Niger e Malisoprattutto negli anni 2000. La do-manda di mano d’opera a basso costo,unitamente al basso costo della vita,hanno reso il paese una sosta di recu-pero, idonea per migranti diretti in Eu-ropa e bisognosi di riposo e di soldi.

Fra il 2016 e 2017 ha avuto una ri-presa il fenomeno delle partenze dal-le coste dell’Algeria. La politica euro-pea, mirata a delegare la questionemigratoria ai paesi africani, spostan-do le frontiere sempre più a sud, è in-conciliabile con la presenza di miglia-ia di subsahariani in sosta, spesso

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internazionale nord africa

Nel settembre 2017 la Conferenza episcopale italiana ha lanciato la campagna Liberi di partire, liberi di restare. Finanziata con fondidell’otto per mille alla Chiesa cattolica, sostiene progetti che interven-gono lungo il percorso migratorio da alcuni paesi di origine (Nigeria, Senegal, Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Albania) a quelli di transito(Mali e Niger), fino a quelli di partenza (in Nord Africa, verso l’Italia). A inizio giugno erano circa 50 (dato in costante aumento) i progetti finanziati con circa 11 milioni di euro, a favore di vittime di tratta, minori non accompagnati, giovani, puntando su formazione, informa-zione, interventi socio-sanitari ed economici.

Ai quattro verbi richiamati da Papa Francesco sul tema della mo -bilità umana (accogliere, proteggere, promuovere, integrare) si ispira anche il Programma Mobilità, al quale Caritas Italiana partecipa da quest’anno. L’iniziativa, dopo la fase pilota, conclusa nel 2017, accompagna le persone in mobilità: la Caritas di Spagna, Francia, Italia, Germania, Marocco, Algeria, Tunisia e Mauritania collaboranoper rafforzare una rete di scambio d’esperienze e conoscenze, ancheper combattere il clima di ostilità che spesso circonda i migranti.

CAMPAGNA CEI“Liberi di…”, i progetti entrano nel vivo

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convalidata dalle autorità statali. Imembri della società civile, nonché ilgoverno e alcuni organismi interna-zionali, come l’Organizzazione inter-nazionale per le migrazioni (Oim),stanno lavorando per la sua convalida.

Procedura da riprendereIn questo quadro, si inserisce l’azionedella Chiesa e di Caritas. Il centro Pari,aperto nel marzo 1995 dalla Caritasdiocesana di Dakar, è la risposta piùconcreta ai bisogni dei migranti. Natodalla necessità, emersa nelle diverseparrocchie senegalesi, di centralizzaree qualificare l’aiuto ai primi richiedentiasilo (soprattutto sierraleo-nesi e liberiani), si occupaoggi dei bisogni primari degliimmigrati. Più in generale, sioccupa di emergenza abita-tiva, sostegno alimentare, as-sistenza medica, formazioneprofessionale e del finanzia-mento di piccoli progetti ge-neratori di reddito.

I beneficiari sono per lopiù centroafricani, congole-si, mauritani, gambiani e li-

beriani. Ai molti migranti economici siaggiungono rifugiati o richiedenti asi-lo, costretti a emigrare per motivi di si-curezza. Vi sono inoltre persone fuggi-te dai loro paesi a causa di persecuzio-ni dovute al loro orientamentosessuale. Molte persone presenti a Da-kar hanno in realtà già ottenuto lo sta-tus di rifugiati in altri paesi, dove perònon ricevevano alcun tipo di assisten-za; nella capitale senegalese, sededell’ufficio regionale dell’Alto com-

missariato Onu per i rifugiati (Unhcr),sono venuti a cercare un supporto piùcoerente. Ciò non fa che aggravare laloro condizione sociale, spiegano peròil coordinatore e l’animatore del Cen-tro Pari: una volta giunti in Senegal, in-fatti, sono costretti a riprendere la pro-cedura da zero e non possono ricevereassistenza completa se non vengonoriconosciuti come rifugiati dallo statosenegalese.

Molti richiedenti asilo in Senegal,peraltro, sono destinati a non ottene-re lo status; attraverso il Centro Pari,Caritas interviene per aiutare questepersone vulnerabili, senza alcun so-stegno pubblico.

Caritas e il diritto alla mobilitàÈ attraverso le Caritas (nazionale ediocesane) che la Chiesa in Senegalagisce nel campo delle migrazioni,offrendo strumenti di ascolto e ac-compagnamento alle persone in mo-vimento. La posizione di Caritas è ac-cogliere qualsiasi persona migrante,sia che si trovi in transito, sia che in-tenda rimanere in Senegal.

«Pensiamo che sia un diritto perogni uomo quello di andare in un luo-go a sua scelta e cercare le condizioniper il suo sviluppo – considera l’abateAlphonse Seck, direttore di Caritas Se-negal –, specialmente se questa mobi-lità è motivata da emergenze e da unagrande precarietà, che rende la vitaimpossibile». Caritas Senegal è impe-gnata nella piattaforma Made in Africae in azioni di advocacy per il rispettodel diritto alla mobilità e per la liberacircolazione di persone e merci. «Ab-biamo il dovere di denunciare tutte leforme di tratta e trattamenti inumanie degradanti applicati ai migrantinell’area subregionale dell’Ecowas»,aggiunge l’abate, ben consapevole chele rotte migratorie sono sempre menosicure, a causa delle barriere oppostedalle guerre, ma anche dalle politichemigratorie internazionali e locali.

Caritas sta lavorando anche percreare opportunità per i giovani e ledonne senegalesi, al fine di consoli-dare il loro diritto a rimanere nel pro-prio paese. Con questo obiettivo, hasviluppato il suo Programma paese,purtroppo non ancora finanziato.«Sarebbe cruciale agire su questoversante, ma i mezzi sono difficili damobilitare», conclude l’abate.

IMPROBABILI VIE D’USCITAAndirivieni in un porto tunisino: moltisperano di salpare per l’Europa. Sotto,migranti bloccati nel deserto tunisino

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Grazie al recente sviluppo, la capitaleappare come una promessa per la maggiorparte dei giovani senegalesi, che lasciano

le campagne. Ma giungono anche migrantida stati limitrofi o di ritorno dall’Europa

ammirato su Facebook, e la dicoto-mia che ne desumono: l’Europa ètutto, l’Africa è niente. Molti maschi,giovanissimi, non scolarizzati, sonocresciuti nel bar del villaggio fissandouno schermo con le immagini delReal o del Barça, e raccontano sem-pre la stessa storia: il falso procurato-re calcistico che ha rovinato la fami-glia, chiedendo somme inverosimili.Arrivati in aereo dalla Guinea Cona-kry o dalla Costa d’Avorio, da dovenon è richiesto il visto, all’aeroportohanno scoperto che il numero telefo-nico e il profilo Facebook loro segna-lati sono in realtà disattivati. Restanocosì bloccati in un paese straniero, esoli: «La mia famiglia mi ha detto dinon tornare. È per vergogna: hannovenduto tutto». Molte anche le ragaz-zine che partono per lavorare comedonne di servizio, per poi finireschiave nelle case: avvicinate in Co-sta d’Avorio, consegnate all’interme-

l Senegal è un paese membrodell’Ecowas (Comunità econo-mica degli stati dell’Africa oc-cidentale), tra i più prometten-ti dell’area. Nonostante oltre la

metà della popolazione viva ancorasotto la soglia di povertà, gode di unademocrazia tra le più stabili in Africa,con minoranze religiose (cristiane eanimiste) che convivono serenamen-te con la maggioranza musulmana.L’anno scorso il Senegal ha registratoun incremento del Pil del 6,6%; diver-si interventi di trasformazione urba-na sono stati effettuati o in corso. In

dicembre è stato aperto il nuovo ae-reoporto internazionale “Blaise Dia-gne de Diass” (Aibd) e una nuova au-tostrada a pedaggio è in costruzione.A 30 chilometri a est di Dakar sta sor-gendo Diamnadio Valley, piattaformaindustriale di più di 30 mila ettari, conservizi per terziario, università eospedali, collegata a Dakar da un tre-no espresso: a breve diventerà il nuo-vo polo economico della capitale.

Grazie a questo recente sviluppo,Dakar appare come una promessaper la maggior parte delle popolazio-ne giovane e in buona salute, che ab-

Dietro le quinte del miraggio Dakar,Pari si occupa di chi resta ai marginiSenegal, economia in forte espansione. Attira migranti interni, di ritorno e da altri paesi dell’Africa occidentale. Non per tutti ci sono buone chance…di Samuela Toso

Ibandona le campagne per recarsi incapitale alla ricerca di lavoro. Ma Da-kar viene raggiunta anche da migran-ti provenienti dagli stati limitrofi,membri dell’Ecowas. A loro si aggiun-gono però numerosi migranti di ritor-no dall’Europa, desiderosi di riscatto.

I migranti tra paesi africani non so-no solo economici. Molti giovani emi-grano per completare gli studi, nonsolo verso l’Europa ma anche in paesiterzi africani, dove la qualità dell’in-segnamento è migliore o le opportu-nità formative sono maggiori. Nume-rosi sono inoltre i ricongiungimenticon genitori o parenti precedente-mente emigrati.

Dal 2015 il Senegal sta sviluppandouna politica nazionale in materia dimigrazione, con 11 assi e 4 aree di at-tività strategiche, ancora però non

internazionale nord africa

diario all’aeroporto e subito alla fa-miglia acquirente.

Questi giovani finiscono per passa-re mesi o anni in un paese che è loroostile, in preda a rabbia, frustrazione,vergogna. Nessun diritto, niente soldi,cibo insufficiente, pochi vestiti, pochecure sanitarie. Gli alloggi sono cari, af-fittati spesso da connazionali piùgrandi. Si spostano per il paese: Ouj-da, Tanger, Rabat, Casablanca, doveprovano a lavorare, sfruttati. Molte lemalattie mentali di cui soffrono, de-pressioni e pensieri suicidi, non infre-quente l’uso di droghe. Stanno fra lo-ro, il contatto con la società marocchi-na è inesistente. Il clima di razzismonon tiene conto della giovane età e leoccasioni di socializzazione con i lo-cali sono poche, salvo qualche partitaa calcio per i più fortunati. Quotidianigli insulti. O peggio. In molti si dannoalla mendicità. Misero approdo, di unviaggio senza speranza.

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Quanto ai criteri, la Commissione ha proposto di ridurrei fondi strutturali assegnati a uno stato membro quando es-so non rispetta lo stato di diritto, cioè di «sospendere, ridur-re, o restringere l’accesso al finanziamento europeo in mo-do proporzionato a seconda della mancanza di rispetto del-lo stato di diritto». L’ultima parola spetterà ai paesi membri,a maggioranza, ma certamente è un segnale verso quei pae-si che sempre più spesso cercano di imporre una visione didemocrazia ben lontana dai valori fondanti dell’Ue.

La parola finale sulla proposta sarà comunque, si di-ceva, del Consiglio europeo, l’istituzione Ue che definiscele priorità e gli orientamenti politici generali dell’Unione,composta dai capi di stato o di governo degli stati mem-bri. Certamente l’Italia dovrà essere presente con unapropria strategia. Soprattutto, però, noi tutti – cittadini eorganismi sociali e del terzo settore – dovremo vigilare af-finché queste risorse siano destinate alla riduzione dellediseguaglianze e a promuovere un’Unione solidale.

Dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace: sonoi cinque mattoni su cui papa Francesco ha d’altronde in-vitato i cristiani a costruire l’edificio dell’Europa. A partireda due solide fondamenta: la persona e la comunità.Un’Europa ben coordinata può fare per le diseguaglianzepresenti, e in aumento, molto di più di quanto possonofare i singoli stati e di quanto ha fatto l’Europa che cono-sciamo. Vigiliamo, perché questo accada. A partire dalprossimo Quadro finanziario.

invece risponde alla grande emergenza dell’Ue, cioè la di-soccupazione giovanile, e al bisogno di rafforzare il sensodi una cittadinanza europea tra le giovani generazioni.

Aumentano però anche gli investimenti in ricerca e in-novazione (+50%) e i finanziamenti per l’azione esterna(+26%), con particolare attenzione al vicinato dell’Europae al mantenimento di una riserva specifica (e non pre-as-segnata) per far fronte alle sfide emergenti.

Infine, nel tentativo di rafforzare l’Unione monetaria,Bruxelles propone un programma di sostegno alle rifor-me a livello nazionale e al sistema di coordinamento dellepolitiche economiche nazionali, con uno strumento fi-nanziario del valore di 25 miliardi di euro e un fondo finoa 30 miliardi di euro, per affrontare meglio gli eventuali“shock asimmetrici”.

Persona e comunità, le fondamentaSi tratta, in sintesi, di un bilancio più semplice e flessibile,con la riduzione di oltre un terzo del numero dei pro-grammi e la razionalizzazione degli strumenti finanziari.Importante è anche il rafforzamento degli strumenti digestione delle crisi e la creazione di una nuova “riservadell’Unione” per rispondere a situazioni di emergenza.

BILANCIO, 7 ANNI DA PROGRAMMAREPartita a carte... su tavolo europeo. I governi troverannol’accordo con un sorriso, o faranno prevalere i bluff?

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BILANCIO IN MOVIMENTO,DEVE POGGIARE SU 5 MATTONI

della Commissione, più o meno glistessi del passato; forte si prevede in-vece la resistenza al taglio da parte dialtri stati, in particolare dell’Europadell’est, che beneficiavano enorme-mente dei fondi europei.

Una parte dell’aumento del bilan-cio proverrà, secondo la Commissio-ne, da un aumento del contributodegli stati membri, che passa dall’1%al 1,114% del reddito nazionale lordo,ma soprattutto dall’aumento delle ri-sorse proprie per circa 22 miliardi,con nuove fonti di finanziamento,costituite da tributi sulla plastica nonriciclata, imposte sulle società, quotedi emissioni e infine il 3% della nuovabase imponibile comune.

Male le frontiere, bene i giovaniIl bilancio ha tra i suoi cardini il con-cetto del “valore aggiunto europeo”,che secondo la Commissione riguar-da settori (per esempio ricerca, tra-sformazione digitale, grandi infra-strutture) nei quali l’impatto dellaspesa Ue può essere maggiore rispet-to a quello della spesa pubblica na-

zionale. «Investiamo ancora di più in settori nei quali i sin-goli stati membri non possono agire da soli o nei quali èpiù efficiente operare insieme – ha dichiarato la Commis-sione –. Contemporaneamente, continuiamo a finanziarepolitiche tradizionali, ma ammodernate: gli standard ele-vati dei nostri prodotti agricoli e il recupero economicodelle nostre regioni vanno infatti a vantaggio di noi tutti».

La proposta di bilancio prevede poi di triplicare la cifradedicata alla gestione delle frontiere esterne, alle migra-zioni e all’asilo, per raggiungere circa 33 miliardi di euro,ma anche di raddoppiare le risorse destinate ai giovani(Erasmus+ raggiunge un budget di 30 miliardi di euro,mentre al Corpo europeo di solidarietà sono destinati 1,3miliardi di euro). Il primo obiettivo vede molto perplessala rete continentale Caritas, poiché risponde alla logica,adottata da molti stati membri, di gestire le migrazioni so-lamente in termini di sicurezza delle frontiere; il secondo

P roseguono i difficili (e decisivi) negoziati che dovranno con-durre l’Unione europea all’approvazione del Quadro finan-ziario pluriennale, cioè del suo bilancio a lungo termine.

Ogni sette anni, infatti, l’Ue decide il futuro delle sue finanze e glistati membri si impegnano per mesi in estenuanti trattative, al finedi ottenere il più possibile in cambio di quanto versano al bilancioUe, secondo il principio noto come “il giusto ritorno”.

La Commissione europea ha presentato il 3 maggio la sua pro-posta per gli anni 2021-2027. Verrà discussa tra i 27 stati membrinel Consiglio europeo del 28-29 giugno, e approvata dopo l’esamedel parlamento europeo. Il processo,dunque, è ancora in movimento, purprevedendo tempi stretti, perché siavvicinano le elezioni per il parla-mento, nel maggio 2019. Eventuali ri-tardi farebbero slittare l’avvio deinuovi programmi europei (dai qualidipendono moti progetti e attività na-zionali), previsto per gennaio 2021.

Nulla è ancora deciso, ma numero-se sono state le reazioni degli statimembri. La Commissione ha chiestoun cambio di prospettiva (consideratele nuove priorità politiche dell’Unio-ne, in materia di sicurezza, difesa, im-migrazione, digitalizzazione e globalizzazione), proprionel momento in cui ha perso un partner essenziale, laGran Bretagna, e con esso circa 12-13 miliardi di euro.

Per l’Italia fondi invariatiDiverse le novità della proposta 2021-2027. Una primanovità consiste nella proposta di aumento del bilanciostesso, che arriverebbe a circa 1.279 miliardi di euro (intermini di impegni), contro i 1.087 miliardi stanziati peril settennato in corso. L’aumento è finanziato in parte daltaglio (del 5% in entrambi i casi) dei due importanti e sto-rici capitoli dell’integrazione comunitaria (politica agri-cola e politica di coesione), peraltro molto ridotto rispet-to agli annunci dei mesi scorsi e accompagnato da unaproposta di ammodernamento, per far sì che si possanocomunque produrre risultati con minori risorse.

Per l’Italia i fondi in entrata rimangono, nella proposta

Presto le decisioni sul Quadro finanziariodell’Unione europea.

Nel settennato 2021-’27il budget Ue aumenterà

ancora. E i tagli allepolitiche di coesione

saranno meno drasticidel temuto. Ombre e luci

della proposta. Cittadini e società civile

chiamati a vigilare

zeropovertydi Laura Stopponi

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Chiudiamo forbice,

combattiamo le iniquità

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gliamo assumere come priorità, pergarantire a ogni donna e ogni uomoche vive su questo pianeta la possibi-lità di vivere una vita dignitosa e pie-na, libera dalla paura e dal bisogno, inquesta generazione e nelle generazio-ni future. Questo impegno è anche alcentro della campagna “Chiudiamola forbice”, che viene lanciata a giu-gno, che ha come primi promotori re-altà ecclesiali (Caritas Italiana, Focsiv– Volontari nel Mondo, Missio Italia,Azione cattolica, Movimento cristia-no lavoratori e Movimento giovanisalesiani) e che punta a raccoglierenumerose altre adesioni.

La campagna completa e supera leiniziative del recente passato sui temidella povertà e dell’esclusione sociale:sottolinea infatti l’esigenza che l’opi-nione pubblica si interroghi circa le

cause di tali fenomeni, e sulle conse-guenze concrete dei meccanismi at-traverso cui la povertà stessa si produ-ce e si riproduce. Esorta inoltre a porreattenzione agli ostacoli che incontra-no le iniziative volte a ridurre la di-stanza tra chi ha troppo e chi non haabbastanza; incoraggia infine a vigila-re sulla concentrazione sproporziona-ta del benessere, delle opportunità edei poteri, e sullo spazio di ingiustiziache questi squilibri rischiano di per-petuare e aggravare.

L’iniquità e la diseguaglianza han-no molte facce, tra loro connesse. Lacomunità internazionale ha recente-mente trovato una convergenza sul-l’Agenda 2030 e sugli Obiettivi di svi-luppo sostenibile (Oss): un quadro diriferimento che impegna tutti i paesidel mondo a considerare le dimensio-

ni economiche, sociali e ambientalicome profondamente integrate e in-scindibili. Tra gli Oss, la diseguaglian-za appare come uno degli obiettivi.Non basta però rinchiudere questo te-ma in un singolo obiettivo, occorrecoglierne invece le dimensioni “siste-miche”: non si tratta di “una questio-ne tra le altre”, ma di una chiave di let-tura che consente di cogliere le ten-denze profonde dell’umanità delnostro tempo. L’attenzione va dunqueposta non solo alle diseguaglianze“orizzontali”, cui rispondere con poli-tiche inclusive, ma anche alle dise-guaglianze “verticali”, che leggonol’eccessiva povertà come una manife-stazione parallela all’eccessiva ric-chezza, e che insieme a questa deveessere compresa, se si vuole generareuna risposta in termini di sistema.

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BISOGNI ELEMENTARIMinore sudsudanese rifugiatonei campi profughi in Uganda:bere da una bottiglia d’acqua,

invece che dal vicino fiume,può fare la differenza

tra vita e morte“Chiudiamo la forbice. Dalle diseguaglianze al benecomune: una sola famigliaumana”: è il titolo della cam-pagna che viene lanciata lunedì 18 giugno 2018, terzoanniversario dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.

Nel giorno del lancio sarà pubblicato un comunicato congiunto. Oltrea Caritas Italiana tra i primi promotori e aderenti ci sono: Azione Cattoli-ca Italiana, Comunità Papa Giovanni XXIII - Condivisione fra i popoli, Coldiretti - Fondazione Campagna Amica, CTG - Centro Turistico Giovani-le, CVX - LMS, Earth Day Italia, Focsiv - Volontari nel Mondo, Fondazione Finanza Etica, Missio, MCL - Movimento Cristiano Lavoratori, Pax Christi,Salesiani per il Sociale, VIS. L’obiettivo è sensibilizzare e informare(scuole, parrocchie, sindacati, associazioni, cooperative sociali e agrico-le, sino ai decisori che operano in Italia, in Europa e a livello globale)sulle connessioni tra il tema trasversale delle diseguaglianze economi-che e sociali e temi settoriali (cibo, migrazioni, conflitti, ambiente e clima, debito e commercio internazionale). Si intende anche racconta-re e moltiplicare le buone pratiche, sulla scia dell’esperienza fatta conla precedente campagna “Cibo per tutti”, valorizzando il lavoro dei terri-tori, le relazioni e le sinergie tra i diversi soggetti locali. La campagna,costruita dal basso con modalità partecipative, si svilupperà in un per-corso educativo-formativo della durata di tre anni (fino a giugno 2021),con un’attenzione parti colare ai giovani.

Tra gli strumenti, vi sarà il sito internet www.chiudiamolaforbice.it, coninformazioni generali sulla campagna, news e articoli, comunicati stampa,eventi e iniziative; tali materiali saranno veicolati anche sui social media.Sarà inoltre promosso un concorso (per foto, video e disegni), con scaden-za il 31 ottobre e premiazione a Roma il 18 dicembre, all’interno di un se-minario-evento nazionale. [Roberta Dragonetti]

LA CAMPAGNAFormazione, sito, concorso:siamo “una sola famiglia umana”

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di Massimo Pallottino iniquità è la radicedei mali sociali»: cosìscrive papa France-sco nell’esortazioneapostolica Evan gelii

Gaudium, invitandoci a lavorare sullecause strutturali di un sistema econo-mico che uccide, esclude, scarta uomi-ni, donne e bambini. Un sistema orien-tato al profitto nel breve termine e che– scrive ancora il Papa nel terzo discor-so ai movimenti popolari – «con la fru-sta della paura, della diseguaglianza,della violenza economica, sociale, cul-turale e militare genera sempre più vio-lenza, in una spirale discendente chesembra non finire mai».

La diseguaglianza causa ferite pro-fonde, e genera rabbia: il sentimento dichi si percepisce escluso e che, nono-stante i propri sforzi, vede le proprie

Le diseguaglianzeeconomiche e sociali,sempre più aspre su scala globale, ma anche in Italia,sono la radice di povertà, fame e altri drammi odierni. Una campagnatriennale lanciata da soggetti ecclesiali,tra cui Caritas, vuolecreare coscienzanell’opinione pubblica

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internazionale diseguaglianze

condizioni diventare sempre più fragi-li, vulnerabili, precarie. Si tratta di unatendenza globale, ben avvertibile an-che nel nostro paese, rappresentatodal rapporto Censis 2017 come l’Italiadel rancore: un’Italia che fatica a ritro-vare un immaginario collettivo positi-vo, che “individualizza” il benessere, ein cui la paura di scivolare verso il bas-so, nella scala sociale, è il nuovo fanta-sma. Al quale si risponde rimarcandole distanze dagli altri, costruendo bar-riere, difendendo certezze. La paura di-venta il facile collante anche perun’agenda politica che crede di affron-tare i problemi approfondendo i solchiche attraversano la società e il pianeta.

Non una questione tra le altreChiudere la forbice delle disegua-glianze è dunque l’imperativo che vo-

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LA PACE TRIONFA?LE ARMI PROSPERANO…

finanziato il terrorismo internazionale.La filastrocca che tutti insieme ap-

passionatamente si combatte control’Isis non incanta più nessuno. Gli in-vestimenti aiutano a sostenere gli an-nunci di radiosi traguardi contro lacrisi. Quanto conta nella ripresa italia-na il 4% in più di denaro destinato adifesa e armi, prodotte e commercia-te? L’Italia quest’anno spenderà 25miliardi di euro, cioè 68 milioni algiorno, cioè 2,8 milioni all’ora.

Sono (anche) le armi a incremen-tare magicamente le cifre della ripresaeconomica. E se da qualche parte sifirmano finalmente accordi di pace,magari riducendo armamenti nonnecessari e presenza di soldati ormaiinutili, da qualche altra parte occorrecompensare l’equilibrio.

Così, ecco gli investimenti folli nel-le cyber war combattute in rete e neirobot soldati, nuovi mercenari chepossono sbaragliare ogni discussionegiuridica sulla responsabilità perso-nale anche in guerra. Ecco le guerrecommerciali, dove l’aggressione eco-nomica si combatte a colpi di dazi, ar-mi che non puzzano di bruciato, ma

altrettanto pericolose, se non di più.Il commercio delle armi così diffuso e redditizio infine

impedisce di stabilire la verità su chi è davvero canaglia.Ogni tanto la geopolitica ripropone la discussione surrealesu chi siano gli stati canaglia. Ma nel momento in cui tuttisono coinvolti, nessuno è autosufficiente e l’efficacia stra-tegica ed economica del sistema dipende dalle intercon-nessioni globali, è molto difficile decidere chi chiamare ca-naglia e perché. Tutti colpevoli, nessun colpevole? Tutti ca-naglie, nessuna canaglia?

Certa retorica dice che, in fondo, è proprio il commerciodelle armi a garantire la pace. Così come una narrazione dif-fusa attribuisce agli artigli mostrati da Trump il successo nel-la penisola coreana, al punto che starebbe facendo lo stessocon l’Iran. E se va male? Se l’azzardo poi sfugge? L’unico mo-do per non usare le armi è non averle, cioè non produrle. Puòfunzionare anche altro, per sostenere Pil e crescita…

con il maggior utile politico. Non c’èsolo il denaro che si guadagna: ilcommercio più nefasto del pianetadetermina anche quantità e qualitàdelle relazioni tra stati.

Assomiglia a quanto avviene conpetrolio e altre fonti energetiche, checreano dipendenza economica e natu-ralmente politica. I trasferimenti glo-bali di armamenti, parte cruciale, poi-ché molto dinamica, del commerciointernazionale, sono in continua cre-scita dal 2004. Nel 2016 secondo il Sipri(Istituto internazionale di ricerca sullapace di Stoccolma, la più qualificataautorità mondiale indipendente di analisi del settore), ilcommercio delle armi ha raggiunto il volume più alto dallafine della guerra fredda. Si tratta di un commercio impor-tante e davvero globale, poiché nessun paese, nemmeno gliStati Uniti, è autosufficiente nella produzione. L’impatto suPil e crescita è altrettanto fondamentale. Anzi, spesso la cre-scita di un paese dipende dalla capacità di produrre e so-prattutto penetrare mercati specifici con tali produzioni.

L’Italia, un esempioL’Italia ne è un esempio. Il governo di Matteo Renzi ha stabi-lito il primato, autorizzando esportazioni per 14,6 miliardi dieuro. L’anno scorso Gentiloni si è piazzato al secondo postonella storia della repubblica, con 10,5 miliardi, ma con l’ag-gravante che la metà sono esportazioni verso il Qatar e quasitutto il resto va a monarchie islamiche, regimi autoritari, notiper gravi violazioni dei diritti umani e sotto accusa per aver

Si celebrano gli abbracci tra le Coree.Ma intanto aumentano

le spese globali per armamenti e

investimenti nei sistemid’arma del futuro.

Il commercio di settoreha raggiunto il livello

più alto dalla fine dellaguerra fredda. E creadipendenza politica

on traggano in inganno gli abbracci sul 38° parallelo né quellipromessi tra due campioni di un drammatico gioco, tra Wa-shington e Pyongyang. La pace ha bisogno di altro che di re-

torica e di miti infranti. E se occorre comunque rallegrarsi, perchéil dialogo è sempre meglio dell’orgoglio, va detto con altrettantachiarezza che non basta.

Sembra un paradosso, ma il dividendo della pace oggi sono l’au-mento delle spese globali per gli armamenti e maggiori investimentiin armi del futuro, non necessariamente quelle che sputano fuoco.La vendita delle armi è attività redditizia, anzi tra le più redditizie e

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contrappuntodi Alberto Bobbio

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Cibo, conflitti, mobilitàProprio per questo la campagna“Chiudiamo la forbice” pone all’at-tenzione di tutti il tema della dise-guaglianza, declinandolo in tre am-biti. In primo luogo, l’ambito dellaproduzione e del consumo del cibo,già oggetto della campagna “Ciboper tutti”, che tocca elementi econo-mici, ma anche politici, sociali, cul-turali e ambientali. Ed è anche unambito in cui vividamente si osservala tensione tra chi abita i territori e legrandi forze globali, e che aggrava ildivario che divide le donne e gli uo-mini che abitano il pianeta; divariotanto più assurdo, quanto più il cibodovrebbe rappresentare un elemen-to “egualitario” per eccellenza: il ric-co non può mangiare o nutrirsi piùdel povero. Ma se il 2017 è stato l’an-no in cui la Fao ha rilevato per la pri-ma volta, da tempo, un nuovo au-mento delle persone che soffrono lafame sul pianeta, d’altro canto noncessano di aggravarsi le varie “malat-tie dell’opulenza” (obesità, sovra-ali-mentazione, spreco di cibo, ecc).Sullo sfondo vi sono fenomeni com-plessi, come la concentrazione delpotere economico nelle filiere dellaproduzione del cibo, o l’accaparra-mento della terra.

Il secondo ambito cui si vuole ri-servare particolare attenzione è quel-lo della pace e dei conflitti, in parti-colare i molti “conflitti dimenticati”diffusi sul pianeta: una situazioneche papa Francesco ha efficacemen-te identificato con l’espressione “ter-za guerra mondiale a pezzi”. Che iconflitti violenti aggravino la dise-guaglianza, è una verità storica moltevolte dimostrata: c’è chi si arricchisceanche nelle guerre (pochi) e chi soffresempre più (molti). Ma è vera anchela relazione opposta: società menodiseguali sono società meno vulnera-bili al degenerare del conflitto.

Il terzo ambito guarda a uno dei

internazionale diseguaglianze

fenomeni più caratteristici del nostrotempo, la mobilità umana, oggetto dinumerose campagne, tra cui quellain corso “Condividiamo il viaggio”(Share the journey), condotta da Ca-ritas Internationalis e proposta dapapa Francesco a tutte le comunità,per una cultura dell’incontro e dellacondivisione. Se la mobilità umana èun elemento che ha caratterizzatotutte le epoche e tutte le società, ilmondo di oggi ci restituisce una va-rietà di fenomeni a volte davverodrammatici: la fuga massiccia daguerre e povertà, la tratta, la migra-zione forzata. E non meno dramma-tiche sono le risposte che vengonoelaborate nel mondo ricco, per af-frontare questi fenomeni: rispostespesso di chiusura e di rifiuto. Inmolti casi dimenticando che i paesiche oggi si dimostrano più rigidi suquesti fronti sono proprio quelli chein passato hanno generato flussi im-portanti di persone che hanno popo-lato intere aree del pianeta. Le evi-denze fattuali parlano di una dise-guaglianza che viene aggravata darisposte unicamente securitarie, conle quali si cerca, per lo più invano, diarginare la mobilità degli uomini.

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Che i conflitti violenti rendano più acute le diseguaglianze, è una verità storicamolte volte dimostrata. Ma è vera anche

la relazione opposta: società meno disegualisono società meno vulnerabili ai conflitti

STUDIARE È COLMARE IL GAPBambini in Nepal: la rete Caritas pensaalla loro scolarizzazione, per superare il divario causato da povertà e terremoto

Per una cittadinanza globaleL’idea della campagna è identificarealcuni meccanismi globali attraversocui le diseguaglianze prendono for-ma. E si traducono in povertà, emar-ginazione, vulnerabilità. Ed è perquesto che si è ipotizzato di esplorarequeste aree di attenzione attraversoelementi trasversali di contesto: inprimo luogo l’elemento ambientale,la considerazione della nostra casacomune, il pianeta che noi abitiamoe che rappresenta la risorsa di tutto ilgenere umano, benché il clima sia infase di profondo cambiamento pro-prio a opera dell’uomo. E poi uno deifenomeni che hanno determinatonegli ultimi anni in misura più rile-vante i destini dell’umanità intera:quello del debito, più in generalequello della finanza che tra l’altro, co-me è ormai noto, è in grado di eser-citare le sue ripercussioni sui sistemidi produzione alimentare del piane-ta, determinando direttamente scon-volgimenti sociali e politici in moltipaesi, e contribuendo in modo so-stanziale all’allargamento del divariotra ricchi e poveri.

Il tema di fondo è quello della cit-tadinanza globale, incentrata sullaconsapevolezza e sull’impegno per larealizzazione di una comunità nazio-nale giusta e accogliente, come partedella più ampia famiglia umana cheabita il pianeta. È una sfida propostaa tutti: alle comunità locali, alle scuo-le, alle parrocchie, ai sindacati, alleassociazioni, sempre più chiamati aessere efficaci interlocutori di deciso-ri e istituzioni in Italia, in Europa, a li-vello globale.

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guerra mondiale ancora vicina e vivanella memoria. Ed erano anche gli an-ni in cui si cominciava a ricorrere aun’informazione shock per racconta-re la crescente povertà nel mondo.

Negli anni cristallizzati della guerrafredda e del logorante conflitto in Viet-nam, Italia Caritas ricordava che il 30%dell’umanità disponeva dell’85% dellericchezze mondiali, e il 70% doveva ac-contentarsi del rimanente 15%. Le di-seguaglianze mondiali – peraltro ac-centuatesi nei decenni successivi – sta-vano al centro dell’analisi del variegatofronte di soggetti (politici, sociali, ec-clesiali) che intendevano battersi per losviluppo dei paesi poveri. Ricette di-verse scaturivano da quella comunelettura. E strumenti differenti, alterna-tivi o complementari, venivano elabo-randosi nel mondo della cooperazioneallo sviluppo.

Le microrealizzazioni erano uno diquegli strumenti. Caritas Italiana, na-ta agli inizi degli anni Settanta, ne fecesin da subito uno strumento d’azionee sperimentazione privilegiato. La pri-ma microrealizzazione Caritas coinci-se con la costruzione di un reparto dipediatria nel villaggio di Maracha, inUganda. Correva l’anno 1969, l’annodel primo viaggio di un papa in Africa,ma anche l’anno del concerto di Wo-odstock, della strage di piazza Fonta-na, dello sbarco sulla luna (il 20 luglio;già il giorno dopo, su Italia Caritas, cisi chiedeva se, effettivamente, ne fossevalsa la pena).

Il 30 giugno di quell’anno, il numero14 di Italia Caritas si era aperto con iltitolo: Le microrealizzazioni di ItaliaCaritas. Paolo VI aveva appena conclu-so il suo viaggio in Africa, e il giornalerilanciava l’attenzione alle popolazioni

africane impoverite con la proposta –appunto – di “microrealizzazioni”.

Il termine apparve allora per la pri-ma volta; verrà usato regolarmente fi-no agli anni Ottanta, soprattutto nellaforma abbreviata “micro”, prima di la-sciare lentamente il passo al termine“microprogetto”, tecnicamente piùpreciso anche se usato, in pratica, co-me sinonimo.

Ecco come veniva descritta da ItaliaCaritas la microrealizzazione: «È lamessa in opera, in loco, di un’iniziativaintesa a risolvere con rapidità alcunibisogni contingenti di una piccola co-munità. Detta iniziativa è destinata asviluppare sul piano umano e sociale illivello di vita delle persone, delle comu-nità e quindi di tutto il territorio. Ver-ranno scelti i progetti più urgenti e piùutili alla comunità e se ne daranno tuttii ragguagli: scopo, località, costo. I no-

speciale micro

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Microprogetti realizzati per ambito nel quinquennio 2013-2017 ACQUA

192AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO

216SANITÀ

167LAVORO

726ISTRUZIONE

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TOTALE

1.408

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di Chiara Bottazzi

«L’umanità deve prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stilidi vita, di produzione e di consumo». Così affermava con forza tre annifa papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’, nuovo e importante

contributo del pontefice alla dottrina sociale della Chiesa. In questo solco teologico,storico e culturale si colloca, con convinzione, uno strumento che Caritas Italiana uti-lizza da decenni, e al quale intende rinnovare la propria fedeltà, convinta com’è dellasua efficacia, umanità, modernità.

Lo strumento dei microprogetti poggia su due fondamenti concettuali: rivoluzionee responsabilità. La rivoluzione, dal latino re-volvere, volgere ancora, cambiare sguar-do, non per forza deve essere associata a movimenti armati, lotte clandestine e colpi

A quasi mezzo secolo dal primo, Caritas proseguenell’impegno per i “microprogetti di sviluppo”. In 50 anni ne sono stati finanziati quasi 14 mila, in oltre 150 paesi, con un investimento di oltre 40 milioni di euro. E lo strumento non cessa di mostrarsi attuale…

IN UN DOSSIER, MEZZO SECOLO DI PICCOLI PASSICaritas Italiana ha pubblicato il dossier La rivoluzione dei piccoli passi, dedicato ai microprogetti di sviluppo e alla loro storia, lunga quasi50 anni. Il dossier, in formatopdf, è pubblicato sul sitowww.caritas.it, nella sezione“Dossier dati e testimonianze”

di stato; la rivoluzione, come la bel-lezza, sta negli occhi di guarda. E larivoluzione dei microprogetti è nelguardare il mondo con gli occhi dellacomunità locale che chiede aiuto, nelcambiare con piccoli gesti una realtàdifficile e sofferente. Una comunitàche, a partire dall’osservazione delleproprie povertà, deve e può diventa-re responsabile, maturando quell’at-titudine a rispondere che denota l’in-clinazione di chi vuole fare la propriaparte, a beneficio di molti.

I microprogetti, purtroppo, non rie-scono a risolvere da soli la vasta crisi le-gata alla “globalizzazione dell’indiffe-renza”, tante volte denunciata da papaFrancesco. Ma contribuiscono ad atte-nuarne gli effetti, offrendo un’alterna-tiva sia alle tante comunità locali chechiedono aiuto e possono diventareprotagoniste del proprio integrale svi-

luppo, sia alla comunità italiana, cheha l’occasione di conoscere uno spac-cato di vita e le difficoltà, ma anche lebellezze, che caratterizzano realtà lon-tane nel tempo e nello spazio. Il micro-progetto, nel suo piccolo, è ponte fracomunità distanti, oltre che collantecapace di riunire attorno a uno scopo ipezzi di una comunità locale andata infrantumi a causa di guerre, ingiustizie,siccità, terremoti e povertà estreme.

Risolvere con rapiditàTra la fine degli anni Sessanta e i primianni Settanta per la prima volta, inItalia, si diffuse l’attenzione alla po-vertà su scala globale, attenzione cheviveva tuttavia un paradosso. Eranoinfatti gli anni del boom economico,realizzato da una nuova generazione,che voleva scrollarsi dalle spalle lemacerie, la polvere, la miseria di una

MICRO 50,RIVOLUZIONEE RESPONSABILITÀ

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AUTOSUFFICIENZAÈ DIGNITÀUn poderefamigliare, coltivatograzie a unmicroprogettofinanziato daCaritas in unpaese africano

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pedagogica, nella dimensione comu-nitaria. Il suo essere, cioè, strumentodi animazione attiva, a cominciaredalle Caritas diocesane. La micro rap-presenta un fatto concreto, capace dicondurre alla conoscenza diretta di undato contesto; è una sorta di lente, chepermette di conoscere e approfondirefenomeni di portata globale. Ad esem-pio, lo scavo di un pozzo in Mali rendel’idea su cosa significhi non avere a di-sposizione acqua potabile. Un micro-progetto di scolarizzazione ad Aleppo,in Siria, porta il cuore della comunitàitaliana che lo sostiene fra i quartieri ei luoghi devastati da 7 anni di conflitto;una panetteria sociale per il recuperodegli ex combattenti delle Farc, in Co-lombia, testimonia la voglia di un po-polo di voltare pagina dopo 50 anni diguerra civile e 9 milioni di vittime.

Contaminazione reciprocaAttraverso un microprogetto è anchepossibile attivare e rafforzare le rela-zioni con realtà extra-ecclesiali. Il mi-croprogetto rappresenta infatti un le-game non solo tra comunità italianeed estere, ma anche tra Chiese e mon-di della società civile, con cui attivarepercorsi di conoscenza, collaborazio-ne, “contaminazione” reciproca, chedalla micro possono portare a una so-lidarietà più ampia.

Solidarietà che profuma di com-passione, cioè condivisione. Tra i docu-menti del Concilio Vaticano II, la costi-tuzione Gaudium et spes affermavaprofeticamente, più di 50 anni fa: «Laprofonda e rapida trasformazione dellecose esige con più urgenza che non visia alcuno che, non prestando atten-zione al corso delle cose e intorpiditodall’inerzia, indulga a un’etica pura-mente individualistica». C’è quindi bi-sogno di una nuova “solidarietà uni-versale” che comporti il coinvolgimen-to di tutti, ribadisce papa Francesconella Laudato Si’, nella cura della crea-zione, «ognuno con la propria culturaed esperienza, le proprie iniziative ecapacità». Osservazione del contesto,superamento di inerzie e individuali-smi, solidarietà universale: da sempre,e per sempre, il nocciolo di verità ed ef-ficacia di un microprogetto.

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progetti in Caritas Italiana sono ovvia-mente molto più rilevanti, quasi da ca-pogiro: dal lontano 1969, nei cinquecontinenti sono stati realizzati quasi 14mila microprogetti di sviluppo in oltre150 paesi, con un investimento com-plessivo che supera i 40 milioni di euro.In particolare, il 33% dei microprogettisono stati realizzati nel settore sociale(a favore di anziani, vedove, bambini);il 48% nel settore economico (acquapotabile, agricoltura, allevamento, arti-gianato, cooperative…) e il 19% nel set-tore sanitario (dispensari rurali, attrez-zature mediche, medicinali, formazio-ne di personale, …).

Ma, al di là dei numeri, le ragioni cheancora oggi rendono i microprogetti at-tuali e validi sono molteplici. Tra le altrecose, essi costituiscono una rete di sup-porto e implementazione, a sostegnodegli interventi “macro”, in quanto dis-

seminati sul territorio e gestiti dalla po-polazione locale. Un grande acquedot-to, ad esempio, non potrà essere piena-mente a servizio della comunità senzai piccoli canali di adduzione idrica chene consentono una ramificazione ter-ritoriale; così come un grande ospedaleavrà bisogno dei piccoli dispensari divillaggio, che assicurano la medicinapreventiva. E se i piccoli interventi ren-dono più efficienti ed efficaci i grandiinterventi, non è sempre vero il contra-rio: il rischio delle “cattedrali nel deser-to” è sempre vivo. Il microprogetto co-struisce inoltre una sorta di tessutoconnettivo, un patto di solidarietà chesi stringe fra la comunità “donatrice” equella che realizza concretamente ilprogetto, garantendo una relazione du-ratura nel tempo e sottratta al rischiodell’improvvisazione, anche grazie an-che all’appoggio delle Chiese locali.

Concretamente pedagogicoMa l’elemento che più attualizza l’usodel microprogetto è la sua funzione

Microprogetti realizzati per continente nel quinquennio 2013-2017

MI DISEGNO IL FUTUROStudentesse asiatiche di una scuolaattrezzata grazie a un microprogetto

MICROPROGETTI PAESI COINVOLTI DIOCESI COINVOLTE SPESA

AFRICA 934 36 270 4.263.930

ASIA E OCEANIA 184 13 116 631.605

AMERICA LATINA E CARAIBI 183 15 82 844.970

MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA 35 10 16 165.350

EUROPA 72 874 23 326.400

MICROPROGETTI REALIZZATI 1.408 81 507 6.232.255

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ascoltare i poveri e la loro quotidianaesperienza di privazioni molteplici esovrapposte, escogitando specifiche ri-sposte a situazioni concrete».

Un tessuto connettivoIl microprogetto continua a mantene-re obiettivi concreti, che riguardanomacro-ambiti (acqua, ambiente, agri-coltura, allevamento, sanità, lavoro), einterviene in maniera capillare e coneffetto immediato, grazie a un contri-buto massimo di 5 mila euro, a favoredella promozione umana e dello svi-luppo sociale di piccole comunità inogni parte del mondo: dal Nepal al-l’Uganda, dalla Bolivia allo Sri Lanka,dal Kosovo fino all’Iraq.

Costruire un dispensario per l’etniapigmea nella Repubblica Democraticadel Congo, utilizzare energie rinnovabiliper alimentare una scuola in Kenya, or-ganizzare corsi di teatro per i ragazzi li-banesi nella grande città di Beirut: sonopiccole iniziative, schegge di concretez-za e speranza, che non affrontano soloil problema immediato dell’accesso allasanità e all’istruzione o il bisogno di ag-gregazione giovanile, ma permettono diincidere sul contesto più ampio.

Un dispensario, per le comunità in-digene, è anche un deciso “no” a chivuole spazzarle via; il fotovoltaico in unpaese africano in piena crescita è ancheun “sì” alla sostenibilità energetica; unacompagnia teatrale è occasione di in-trattenimento per i ragazzi e insiemestrumento catartico di liberazione dagliodi etnico-religiosi, che alimentanoconflitti civili. A tutti i progetti, la comu-nità locale deve fornire un contributo:manodopera, trasporto di materiali, ouna parte delle risorse economiche ostrumentali. Il contributo è una combi-nazione di varie forme di partecipazio-ne comunitaria, secondo un principiodi base: è attraverso il fare insieme chela comunità, oltre a risolvere il proble-ma pratico di procurare risorse, pro-muove la propria autoconservazione.

Negli ultimi cinque anni (2013-2017)sono stati oggetto dell’implementazio-ne da parte di Caritas Italiana ben 1.408microprogetti (vedi il dettaglio, nelle ta-belle in queste pagine, ndr). I numeriche raccontano quasi 50 anni di micro-

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stri amici potranno contribuire con illoro aiuto anche al compimento di unasola microrealizzazione, che, trattan-dosi generalmente di cifre modeste,potrà essere realizzata in breve tempo».

Chiede di ascoltare i poveriNegli anni successivi, in ambito Caritasmacroazioni e microprogetti andrannodi pari passo, per elaborare rispostestrutturate a emergenze o a problemiendemici, sul versante internazionale:dall’epidemia di colera in Pakistanorientale e il conflitto con il Pakistanoccidentale che diede origine all’attua-le Bangladesh, generando oltre un mi-lione di profughi nel 1971, all’Operazio-ne Sahel nel 1973; dalla crisi in MedioOriente, con le prime avvisaglie dellaguerra in Libano del 1975, al progettoEritrea degli anni Ottanta, dal program-ma Somalia a quello dei Grandi Laghiafricani con il genocidio del Ruanda;dalla crisi balcanica di fine secolo allegrandi emergenze naturali che scon-volsero il primo decennio del 2000, co-me il terremoto di Bam in Iran (dicem-bre 2003), lo tsunami che fece tremareil sud-est dell’Asia nel Natale 2004 e ilterremoto ad Haiti, sei anni più tardi; fi-no ad arrivare alle guerre in Siria, inIraq, al Califfato Islamico, con la conse-guente emergenza profughi nel MedioOriente e lungo la rotta balcanica.

Tutte queste emergenze hannocomportato sia interventi “macro”, incollaborazione con altre Caritas nazio-nali e Chiese sorelle; sia interventi “mi-cro”, promossi in modo particolare daCaritas diocesane e parrocchiali, maanche sotto l’egida di Caritas nazionali.

Ma cosa è oggi un microprogetto,quali sono i suoi obiettivi, a quasi 50anni dal primo utilizzo? Il micropro-getto ha mantenuto salda la volontà diintervenire su una comunità vulnera-bile, coinvolgendola in un processo digraduale auto-sviluppo, in cui lei stessaè motore-attore del proprio cambia-mento. Un cammino di autodetermi-nazione e responsabilizzazione, voltoa promuovere lo sviluppo umano inte-grale; un cammino che, riprendendo leparole di papa Francesco, «richiededialogo e coinvolgimento con i bisognie le aspirazioni della gente, richiede di

Microprogetti realizzati per paese nel quinquennio 2013-2017

AFRICAANGOLA 4BENIN 8BURKINA FASO 99BURUNDI 16CAMERUN 85CAPO VERDE 3CIAD 20CONGO REP. DEM. 129CONGO 11COSTA D’AVORIO 21ERITREA 15ETIOPIA 45GABON 1GHANA 2GUINEA BISSAU 5GUINEA CONAKRY 27KENYA 35MADAGASCAR 55MALAWI 20MALI 24MJOZAMBICO 23NIGER 4NIGERIA 7REPUBBLICA CENTRAFRICANA 13RUANDA 24SAO TOMÉ E PRÍNCIPE 1SENEGAL 48SOMALIA 1SUD SUDAN 10SWATZILAND 1TANZANIA 51TOGO 31UGANDA 67ZAMBIA 17ZIMBAWE 4

AMERICA LATINA ARGENTINA 8BRASILE 17BOLIVIA 6COLOMBIA 6CUBA 6ECUADOR 73EL SALVADOR 1GUATEMALA 11HONDURAS 3MESSICO 1PARAGUAY 1PERÙ 38REPUBBLICA DOMENICANA 5URUGUAY 4VENEZUELA 2

ASIA BANGLADESH 3FILIPPINE 10INDIA 109INDONESIA 5KAZAKISTAN 2LAOS 1MONGOLIA 1MYANMAR 2NEPAL 3PAKISTAN 11SRI LANKA 29TAILANDIA 5VIETNAM 11EUROPA 0ALBANIA 16ARMENIA 16BOSNIA 14GEORGIA 7KOSOVO 7MONTENEGRO 2SERBIA 6TURCHIA 4

MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA ALGERIA 8EGITTO 1GIBUTI 3GIORDANIA 2IRAQ 2LIBANO 8MAURITANIA 2SIRIA 1TERRA SANTA 1TUNISIA 7

TOTALE MICRORPOGETTI 1.408

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LASTORIA«Il sofferente psichico

è costretto dalla suamalattia a fare i conti

con la fragilità che tuttiportiamo dentro»:

la società ha pauradel malato mentale,

perché è specchiodei suoi lati oscuri

SERBIAAgriturismosolidale,perché la “pazzia”non è sporcizia

Pazzia. Il termi-ne ha una radice

contrastata. Forse dal greco pathos,“sofferenza”. Oppure dalla radicelatina pact-, da cui deriverebbe pat-tume (in alcuni dialetti del nord Ita-lia “pazzo” è sinonimo di “sudicio”).La pazzia, insomma, come cosasporca, da spazzare lontano dallagente normale, da nascondere sot-to il tappeto strutturato dei manico-mi, o da accumulare agli angoli cie-chi della società.

In Serbia è in corso un lungo e aspro processo di deistituzionaliz-zazione; Caritas Serbia e Caritas Ita-liana hanno supportato la riforma del sistema di salute mentale nazio-nale, orientato alla chiusura dei ma-nicomi, purtroppo ancora attivi, e all’eliminazione dello stigma socia-le. Un cammino nel quale si inserisceun piccolo passo, compiuto grazie al microprogetto Raise: proposto dalla Caritas diocesana di Valjevo, ha portato alla creazione di un agritu-rismo solidale, gestito da uomini e donne (persone con disturbi menta-li e disabilità fisiche, disoccupati di lunga data, ragazze madri) segnatida diverse vulnerabilità. Fra i serviziofferti, alloggio, catering, la venditadelle conserve realizzate con i prodot-ti dell’orto e di souvenir della piccolafalegnameria. Il cardinale Carlo MariaMartini diceva che «il sofferente psi-chico è costretto dalla sua malattia a fare i conti con la fragilità che tuttiportiamo dentro»; per questo la so-cietà ne ha paura, perché il malatomentale diventa specchio dei suoi latioscuri. La vera sfida è costruire unacittadinanza attenta, capace di com-battere la cultura dello scarto. Perchéla sola vera pazzia è lavarsene le ma-ni, l’unica patologia è la solitudine.

> Microprogetto 38/17 SerbiaRaise: un agriturismo per l’inclu-sione lavorativa e sociale

5 Realizzato!

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FILIPPINEFare il tappezziere, per i giovaniuna prospettiva concreta

Nonostante un apparente sviluppo economico, che si ri-flette nelle costruzioni delle grandi città, la vita della mag-

gior parte delle famiglie filippine è fatta di povertà. A Cebù, se-conda città dell’arcipelago, è presente dal 2005 il Movimentodei Focolari che, tramite il centro di formazione giovanile “Filod'Oro”, offre ai ragazzi la possibilità di formarsi nei settori dellasartoria e delle tappezzerie per divani e sedili di autoveicoli.Quest'ultima attività ha ottime opportunità di sviluppo, grazie al partenariato con una nota impresa. Ma serve una strumenta-zione adeguata, che il microprogetto punta ad acquistare.

> Costo 4.500 euro > Causale MP 43/18 FILIPPINE

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MICROPROGETTO2 3

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TANZANIAAnalisi anti-malaria, serve una macchina automatica

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MICROPROGETTO

ALBANIADi che “pasta” sono fatte le donne?Microimpresa per la parità

Emarginazione, violenze, discriminazioni e disegua-glianze rispetto agli uomini: sono i problemi

che accomunano tante donne dei villaggi settentrionali e di altre aree dell’Albania. La disparità trova fondamen-to nelle più antiche tradizioni e convenzioni sociali (nel Kanun, codice consuetudinario di leggi, la donna veniva definita «otre che deve solo sopportare»). Grazie al microprogetto verrà realizzata nel villaggio di Fan una microimpresa femminile per la produzione di pasta artigianale, fresca e secca, da vendere a supermercati e ristoranti di Tirana, Durazzo e Scutari.

> Costo 4.900 euro > Causale MP 47/18 ALBANIA

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

RUANDADonne in carcere, un supporto polivalente

La prigione femminile di Nyamagabe accoglie quasi 2 mila detenute per crimini vari, compresi quelli lega-

ti al terribile genocidio che sconvolse il Ruanda nel 1994.Le detenute si occupano della pulizia degli ambienti delcarcere e della cucina; i loro pasti, scarsi, sono riso, mais e fagioli. Il microprogetto, seguito dalla diocesi di Gikongo-ro, vuole offrire sostegno molteplice alle detenute (in parti-colare a quelle incinta e in fase di allattamento): supportoalimentare specifico; sostegno psicologico; un corso di cu-cito e maglieria per favorire il futuro inserimento lavorativo.

> Costo 5 mila euro > Causale MP 36/18 RUANDA

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MICROPROGETTO

Siamo nella valle del fiume Yovi, in Tanzania, dove dal 1975 è attiva la missione dei Padri Stimmatini.

Fra le tante attività a favore della popolazione locale, i reli-giosi hanno fondato un centro sanitario, che nel tempo si è ampliato e strutturato fino a diventare un vero ospeda-le, in grado di servire gli oltre 30 mila abitanti della vallata.Al fine di migliorarne le competenze diagnostiche e permet-tere somministrazioni tempestive delle terapie contro la malaria, il microprogetto prevede l’acquisto di una mac-china automatica per le analisi del sangue.

> Costo 4.900 euro > Causale MP 38/18 TANZANIA

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villaggioglobale

Nell’attuale panorama radiofonico italiano, sonole uniche a proporre qualcosa del genere. Enri-ca Zoleo è la voce, Martina Rebecca Romanotraduce nella lingua dei segni: sono le conduttri-ci di PO.LIS, con l’accento rigorosamente sulla“i”. Lis è infatti l’acronimo della lingua dei segniitaliana. Ogni quindici giorni, il giovedì dalle 10alle 11 su poliradio.it, l’emittente del Politecnico

di Milano, permettono alle persone sorde di “sentire con gli occhi” un program-ma radio e agli udenti di capire un po’ di più la realtà di chi non può udire.

Si ascolta Enrica e, grazie al supporto video dello streaming, si vede Martinache traduce. È una radio che “segna”, ma anche una radio scritta, nel senso che per ciascuna puntata viene redatto un testo molto curato, che tiene contoproprio della doppia modalità espressiva. Enrica è diplomata in Lis presso l’Ente nazionale sordi di Milano. Martina è sorda, e nel programma segna anche alcunecanzoni trasmesse. Racconta Enrica: «Diverse persone udenti ci hanno detto di essersi commosse vedendo Martina segnare le canzoni. I sordi spesso tradu-cono i suoni con le immagini, e tutto il movimento creato con le mani aggiungequalcosa al brano, te lo fa “ascoltare” anche da un altro punto di vista».

Dopo le prime puntate in cui si è cercato di dare priorità ad argomenti riguar-danti il mondo dei sordi (appunto, sordi anziché non udenti: a PO.LIS lo hanno ricordato), si proseguirà con gli argomenti più vari.

Una radio che si ascolta con gli occhi,PO.LIS esplora il mondo dei sordi

pontiradio

do. Le bandierine di preghiera so-no realizzate da artisti nazionali e internazionali e da alcune scuo-le d’arte, che hanno risposto allarichiesta di collaborazione deipromotori dell’opera (Trentino forTibet e Bosco dei Poeti), la qualeha appunto lo scopo di incorag-giare la pace e l’armonia univer-sali. I partecipanti al progetto provengono da oltre 53 paesi e hanno messo nero su bianco le loro speranze; ne è scaturitauna originale e ricchissima cate-na di lung-ta: su ogni bandierinadi tela di cotone (giallo, verde,rosso, bianco o blu) è stampataun’opera d’arte. Il più lungo filodi preghiera al mondo è nato per essere esposto inizialmenteal Mart, il Museo d’arte modernae contemporanea di Trento e Ro-vereto. Sarà poi esposto nel Bo-sco dei Poeti a Dolcè (Verona),quindi si sposterà in diversi even-ti internazionali, alla Biennale di Venezia e all’Accademia di Bel-le Arti di Venezia. Fino a essere portato sulle cime dell’Himalayada una spedizione di alpinisti. In-fine, una copia sarà consegnata al Dalai Lama, per la sua residenza in Dharamsala. Le opere d’arteverranno anche riprodotte a grup-pi di quindici e vendute, per poterfinanziare progetti di cooperazio-ne (in particolare, la realizzazionedi una clinica sanitaria a Tuting)con le comunità tibetane in India.

DOCUFILM“Ritrattiin controluce”,il lavoro è fattoper chi non vede

Alessia Bottone è una giornalistafree lance con la passione dellaregia. Ha girato il docu-film Ritrat-ti in controluce, lavorando con le immagini su temi come cecità,stereotipi e successi. Il docufilmè realizzato grazie al sostegno di Fondazione Zanotto e Unioneitaliana ciechi e ipovedenti. La Bottone ha voluto raccontare

di Danilo Angelelli

DOCUFILM“La porta di casa”aperta allo straniero:l’integrazionevince la paura

Storie di ordinaria e straordinariaaccoglienza. Sono quelle che illu-strate dai volti dei giovani profu-ghi inseriti in programmi di assi-stenza e accoglienza in EmiliaRomagna. A realizzare il video –girato con l’obiettivo di sensibiliz-zare i cittadini sulle buone prati-che di accoglienza dei migranti –è Europe Direct, il servizio dell’as-semblea legislativa della regioneEmilia-Romagna, responsabiledelle politiche europee di inclu-sione dei migranti. La porta dicasa. Storie e numeri di (stra)or-dinaria accoglienza è girato lun-go la via Emilia, dove alcuni citta-dini hanno aperto la loro casa ai profughi. «È bello pensare che questo ragazzo, che ha l’età

i pregiudizi che ruotano attornoalla capacità lavorativa dei disabi-li visivi nell’era del digitale, riper-correndo le storie di chi ce l’hafatta ed è riuscito ad abbattere

il muro dello stereoti-po, fino a raggiungereposizioni rilevanti al-l’interno di aziende ed enti pubblici. Lagiornalista è partitada un dato di fatto:molto spesso, in Italia,

le persone con disabilità visivasono relegate ai centralini, indi-pendentemente dalle loro capaci-tà, aspirazioni e titoli di studio. È la conseguenza di una scarsaconoscenza della disabilità visivae di un'informazione imprecisa e confusa. Il documentario, am-bientato a Roma, Milano, Bolognae Cuneo, vuole contribuire a sen-sibilizzare e diffondere le buonepratiche e gli esempi virtuosi di integrazione lavorativa e sociale.

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per l’occasione il brano Ho tutto,che è nel cd allegato all’audioli-bro. I genitori di Chiara Luce, Maria Teresa e Ruggero Badano,hanno accettato di scrivere un’introduzione per l’audiolibro.

LIBRI“Crisci ranni”:cantieri educativiriscrivono la città.E generano sviluppo

Crisci ranni è un antico rito pa-squale ripreso di recente nelladiocesi di Noto. Consiste nel lan-ciare in alto i bambini al suonodelle campane e augurare loro di diventare grandi. Crisci ranni è da sette anni, a Modica, anchee soprattutto un cantiere educati-vo, che coinvolge migliaia di bam-bini delle scuole e le loro fami-glie, e un crescente numero

zoom

AUDIOLIBROChiara Luce:una vita breve,calata nel suo tempo,capace d’infinito

Il tempo e l’infinito è il titolo del19° audiolibro della collana Pho-noStorie, curata da Caritas Italia-na e Rete Europea Risorse Uma-ne. Dedicato alla giovane Chiara“Luce” Badano (1971-1990), viene presentato a Roma il 19giugno. Chiara era una ragazzacome ce ne sono migliaia: solare,spensierata, piena di voglia di vivere. La malattia che la colpìall’età di 17 anni, conducendolaa morte, ha fatto di lei una perso-na speciale. E della sua vita unavvenimento straordinario. Intrisodi coraggio, di speranza, di fede.Tanto che, nel settembre 2010,papa Benedetto XVI l’ha procla-ma Beata. I testi che ripercorronola storia e la testimonianza di Chiara sono letti da attori pro-fessionisti, in particolare Simo-netta Solder, Fabrizio Bucci e Ga-briella Franchini, oltre ai giovaniChiara Primavesi, Federico Russoe al cantautore Emanuele Conte,che ha scritto e composto

Sandro De Riccardis, giornalista di Repubblica, scrive unlibro durissimo sulla responsabilità che tutti noi abbiamonel fare finta che la mafia non esista, testimoni omertosidi un sistema mafioso che è molto più radicato nel nostropaese di quello che pensiamo. O che, appunto, facciamofinta di non sapere. La mafia siamo noi (Add Editore), per-ché in fondo abita anche il luogo in cui siamo, il tempo incui viviamo, il degrado delle nostre città, il nostro quartie-re, il cortile del nostro condominio. Siamo noi, scrive pro-vocatoriamente il giornalista, quando con i nostri like suFacebook ci sentiamo dalla parte dei giusti, in una batta-glia che non stiamo combattendo. Siamo noi davanti allatv, spettatori contenti davanti a fiction cariche di retorica.Siamo noi, inconsapevoli strumenti di riciclaggio quandopranziamo nei ristoranti, balliamo nei locali, facciamoshopping nei negozi acquistati dai colletti bianchi dei

clan. Siamo noi che non capiamo che il cri-mine non è una categoria astratta. È l’im-prenditore che accetta il denaro sporco e lo rimette nell’economia sana. È il funzio-nario comunale che chiude un occhio e firma atti che nondovrebbe firmare. È lo studente che acquista pochi gram-mi di marijuana per una serata con gli amici. È la signorache chiama il potente del quartiere per riavere l’auto ap-pena rubata. È il prete che non guarda fuori dalla chiesa.

De Riccardis inanella, nel suo libro prezioso, diversestorie minime di omertà quotidiana, riconoscendo peròche l’impegno di tanti cittadini che credono in un progettodi riscatto è più forte della paura e dell’intimidazione. È più autentico degli slogan nei cortei, dietro gli striscionicon i volti degli eroi antimafia. Morti per aver combattutonella loro realtà, nel loro tempo, le loro battaglie. [d.p.]

di giovani e cittadini impegnaticome animatori. Maurilio Assen-za, insegnante e direttore dellaCaritas diocesana di Noto, scrivedi questo sogno diventato realtànel volume Crisci ranni. La cittàraccontata dalle periferie (Il Poz-zo di Giacobbe), partendo da donMilani e don Puglisi, facendo co-gliere ai lettori le valenze educati-ve, sociali, civiche e pastorali di un’iniziativa che ne contiene altre cento e che vuole contagia-re sempre più l’intero territorio.Anche perché, come scritto nel-l’introduzione, «esperienze similiconvengono al Sud, perché pre-messe di sviluppo».

ISTALLAZIONI“Prayer for peace”,filo e bandierineper dire che l’arteinvoca la pace

Si intitola Prayer for Peace il pro-getto ideato dall’artista LorenzoLome Menguzzato: è dedicato alla creazione di un lungo, lun-ghissimo filo, su cui sono appesele tradizionali bandierine di pre-ghiera buddista, ormai simboli ri-conosciuti di pace in tutto il mon-

Storie minime di omertà quotidiana,ma l’impegno di tanti è resistenza alla mafia

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villaggioglobale

di Daniela Palumboatupertu / Marco Giallini

Se non proprio un perfetto sconosciuto, Marco Giallini,prima di Perfetti sconosciuti, film di Paolo Genovese cheha avuto successo internazionale, non era così noto al grande pubblico. Dopo tanto mestiere, a 55 anni è arrivato il successo. Che in parte Giallini deve alla suagenuina romanità, attraversata da battute cinicamentebeffarde. Lo hanno capito i registi, che gli cuciono i filmaddosso. Anche se lui cerca per-sonaggi sempre diversi, non ne-cessariamente da commedia.

L’ultima che ha interpretato (Io sono Tempesta, regista Danie-le Luchetti, con Elio Germano)narra di Numa Tempesta, impren-ditore romano con un’esistenzadalla deriva favolisticamentekitsch, un conto in banca infinitoe un padre che lo considera un deficiente. L’incontro forzatocon un manipolo di disperati sen-za dimora non lo coinvolgerà abbastanza da farlo cam-biare, in compenso trasformerà i poveri in mostri, più o meno assetati di denaro come lui. Morale: l’aviditàumana non sarà innata, ma contemporanea, sì. Anchese poi si scopre che tutti hanno un punto debole. O, quantomeno, galleggiano su barlumi di umanità…

Giallini, è vero che detesta la retorica della povertà?

Più che la retorica, la strumentalizzazione. Mi dà fasti-dio chi strumentalizza la povertà. Spesso mi chiedonodi quando ero povero, ma io non lo sono mai stato.

Romano genuino,sognatore di periferia:«Mi dà fastidio chistrumentalizza i poveri»

Bisogna crederci, se hai una passione,un sogno. Qualunque

sia la tua provenienza. In qualsiasi posto tu nasca,quando hai dignitàpuoi fare di tutto,senza vergognarti

I poveri non mangiano, io ho sempre avuto la fortuna di avere cibo in tavola. Ho raccontato, senza lamentazio-ni, di aver fatto tanti lavori: scaricatore, cameriere, imbianchino, bibitaro... E altri. Ma che c'è di strano? La cosa buona, per esempio, è che adesso riesco a faretutto da solo. Nella vita serve tutto.

Un ragazzo che cresce in una periferia riesce, oggi,ad avere una visione di futurodove c’è posto per un sogno?

Pur avendo vissuto in periferia, ho capito abbastanza presto chenella mia vita avrei fatto qualcosadi utile. Bisogna crederci, se haiuna passione, un sogno. Qualunquesia la tua provenienza. E non smet-tere di provarci. Credo che in qual-siasi posto tu nasca, sia fondamen-tale la dignità; quando hai dignitàpuoi fare di tutto, senza vergognar-ti. Sognare, poi, non costa nulla.

Nel film interpreta un finanziere costretto dai servizisociali a mettersi a disposizione di chi non ha nulla.Con lui, il pubblico scopre che il filo che lega moralee denaro è sottile…

Numa Tempesta si sente furbo, ma gli piace anche il suo ruolo di affabulatore. La sua estrazione sociale in realtà non è molto diversa da quella di coloro che si trova ad aiutare per forza. È un personaggio che forseva interpretato dentro le sfumature della nostra realtà,ambiguo al punto che è anche difficile spiegarlo e com-prenderlo fino in fondo.

lungimiranza di “direttori d’orche-stra” come Gino e Michele e Giancarlo Bozzo. Da quell'espe-rienza che era teatrale i protago-nisti tentano il salto verso ZeligTV. La nuova sfida imprenditoria-le, creativa e multipiattaforma na-sce da Bananas Media Company,in collaborazione con Smemoran-da. Zelig TV sarà un canale televi-sivo (sul canale 243 del digitaleterrestre), un centro di produzio-ne e una web tv. L’apporto di Smemoranda è fondamentale

per mantenere l’ago della bilan-cia in equilibrio: oltre alla pro-grammazione cabarettistica e di costume, se ne affiancaun’altra che punta su giovani, cul-tura e sociale. Zelig TV ha infattiun’offerta editoriale suddivisa in tre macroaree: comedy-enter-tainment, reportage – approfondi-mento informativo, serie tv – cinema – festival. Sempre da Smemoranda arriva un format,ideato e prodotto dal network di Radioimmaginaria: il primo

gestito e diretto da adolescentiin Europa. Il programma, in 30minuti, presenta diverse rubrichetramite le quali i ragazzi espri-mono la loro opinione, filmanole loro passioni e raccontano di sé e del mondo. Nel palinse-sto di Zelig TV una finestra fissaè dedicata anche al mondo del-le ong, grazie a una collaborazio-ne con Emergency: ogni puntatasarà dedicata alla diffusione di una cultura di pace, solidarie-tà e rispetto dei diritti umani.

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«L’ultima parola è Amore»:vita, opere e avventuredella “Madre Teresa del Pakistan”

di Francesco Dragonetti

Sergio RotaspertiSorgente di vita èla bocca del giu-sto (Edb, pagine

328). Il libro dei Proverbicontiene una notevole ric-chezza di immagini: il corpo,la città, gli animali. Il testooffre riflessioni ermeneuti-che sull’utilizzo della meta-fora nei Proverbi e sul suovalore nella teologia biblica.

LIBRIALTRILIBRI

Vito Teti Quel cheresta. L’Italia deipaesi, tra abban-doni e ritorni (Don-

zelli, pagine 308). L’autore,autorevole antropologo,analizza il tema dello spae-samento e delle macerieprodotte da calamità natu-rali: «Bisogna restare dovesi è, e imparare a costruirequel che resta ».

Giuseppe Gatti, Gian-ni Bianco Alle mafiediciamo Noi (CittàNuova, pagine 256).

Il messaggio forte del libroè che, per sconfiggere le mafie, bisogna conoscer-le. Soprattutto le meno no-te e sottovalutate. Ma dopolo studio, bisogna passareall’azione. Non da soli, ma costruendo il “Noi”.

paginealtrepagine

È morta come aveva vissuto: nel silenzio in una giornata agostana, ormai quasi un anno fa. Era ampiamente riconosciuta come la “Madre Teresa del Pakistan”,nonché uno dei medici che hanno sconfitto la lebbra nel paese. Ruth Pfau, missio-naria tedesca, è morta a Karachi a 87 anni, durante un intervento chirurgicoin ospedale. Nel cuore del paese a cui aveva dedicato praticamente l’intera vita, e che le ha riservato solenni funerali di stato.

Le Figlie del Cuore di Maria, la congregazione a cui la religiosa apparteneva, riper-correndo la sua vita, hanno ricordato che il suo impegno veniva da lontano. Aveva stu-diato medicina in Germania negli anni Cinquanta, poi si era imbarcata per l’India pas-sando per Karachi, ma un problema burocratico (il visto) l’aveva costretta a restarenella capitale finanziaria del Pakistan. E lì era rimasta, trascorrendo decenni a prender-si cura delle persone malate di lebbra, morbo di cui prima ignorava l’esistenza.

Questa scarna e stringata biografia illustra il passaggio cardine della vita di suorRuth. Che è ripercorsa da un’autobiografia in lingua inglese: Ruth Pfau Last Wordis Love: Adventure, Medicine, War and God (Crossroad Publishing Co, Usa, pagine208). Dal testo si ricava il ritratto di una donna e religiosa di grande coraggio. Se-gnato da un punto di svolta: «Avvenne mentre visitavo un ghetto di lebbra dietrouna stazione ferroviaria di Karachi, guardando un uomo paralizzato che strisciavasulle sue mani e ginocchia, in mezzo alla sporcizia».

Da allora la dedizione di suor Ruth ai poveri e malati del Pakistan non si è maiarrestata. Nel 1963 fondò il Programma nazionale di controllo dell’epidemia in Pa-kistan e il Centro Maria Adelaide della lebbra (Malc); cinque anni dopo, grazie allasua attività, il governo avviò un programma contro la malattia in tutto il paese, pro-gramma poi esteso alla tubercolosi e alla cecità. Dal 1980 estese il suo lavoro al vicino Afghanistan. Promosse sempre anche la reintegrazione sociale delle per-sone guarite, per dare loro «una nuova vita».

Per la sua attività non le sono mancati innumerevoli attestati di stima e ricono-scenza. L’amore, l’affetto e l’altruismo con cui ha operato a favore degli ultimi del Pakistan, sono stati una testimonianza feconda (circa 150 lebbrosari, fondati in diverse città del paese) e rappresentano oggi un’eredità preziosa. «Ognipaziente è una storia di vita e ci è piaciuto aiutare tutti», ripeteva in vec-chiaia, riassumendo il suo servizio per i marginali di un paese nel quale riposa, essendo stata sepolta nel cimitero cristiano di Karachi.

di mio figlio, abbia un punto di riferimento. E noi impariamo a non avere paura di loro»: così,con semplicità, nel docufilm siraccontano persone come Giusep-pe, che ha accolto un ragazzo fug-gito dal Nord Africa. Grazie a fami-glie come la sua, la regione EmiliaRomagna ha inserito 2.600 ragazzi profughi nei programmi di assistenza e accoglienza.

FOTOGRAFIARitratti in carcere:trenta voltiin bilico tra dignitàe solitudine

Ritratti in carcere è un progetto(esposto a Milano presso l’Uni-versità Bocconi) della fotografa e giornalista Margherita Lazzati,che torna a occuparsi di reclusio-ne e diritti, dopo il lavoro sulla fi-ducia intrapreso con i carceratidell'istituto di pena (di massimasicurezza) di Opera. Il nuovo pro-getto mette in relazione 25 ritrat-ti, rigorosamente in bianco e ne-ro, di uomini reclusi nel carcere di Opera («che sembrano implora-re: “guardami... ci sono anch’io,non dimenticarmi!») con quelli di 5persone “normali”. Secondo Mar-gherita Lazzati, questi 30 ritratti di persone anonime, di nazionali-tà, religione, cultura, esperienze e condanne diverse, sono emargi-nati dalla vita sociale, illustranoesistenze rinchiuse «nel cappiodelle loro solitudini, imbrigliate nel loro assordante silenzio», ma«sembrano urlare il diritto di esi-stere». Le immagini sono austere,silenziose: per questo credibili.

TELEVISIONENasce Zelig TV,sfida digitalein equilibrio tracabaret e sociale

Dal palco di Zelig sono nati artististraordinari, come Paolo Rossi,Gabriele Salvatores, Antonio Albanese, Claudio Bisio, Silvio Orlando e tanti altri, grazie alla

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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritas.it

Brief CaritasAZZARDO: NON GIOCHIAMO CON LA VITA

Secondo classificato (sezione Manifesto annuncio stampa)Arturo De Maio

Iulm Torino – Uninettuno

Sedicesima edizione Premiazione a Salerno 26 maggio 2018