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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Microcredito Solo un piccolo prestito? No, un vero investimento sociale Centri d’ascolto La ricetta: spirito di servizio e organizzazione Argentina Il Borbollón, viaggio in una delle quattromila MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO LI - NUMERO 2 - WWW.CARITAS.IT marzo 2018 Italia Caritas da sminare La guerra è finita da decenni. Ma in Bosnia ed Erzegovina e Kosovo la quotidianità resta condizionata dalle mine. La bonifica? Richiede una visione di società Il presente villas miserias

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Microcredito Solo un piccolo prestito? No, un vero investimento socialeCentri d’ascolto La ricetta: spirito di servizio e organizzazioneArgentina Il Borbollón, viaggio in una delle quattromila

M E N S I L E D I C A R I T A S I T A L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O L I - N U M E R O 2 - W W W. C A R I T A S . I T

marzo 2018

Italia Caritas

da sminare

La guerra è finitada decenni. Ma in Bosnia ed Erzegovina e Kosovo la quotidianitàresta condizionatadalle mine. La bonifica?Richiede unavisione di società

Il presente

villas miserias

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editoriali

LA LUCEOLTRE ILQUIETO VIVERE

insieme «vedi, così può funzionare».Realismo e volontà di collaborare so-no il modo di incarnare un’idea di ani-mazione che non spegne il lucignolofumigante, che non alza la voce, che sifa prossima alle persone, che costrui-sce alleanze e alternative alle difficoltàche sono coessenziali a ogni processodi cambiamento e di riforma.

Lo dimostrano l’istituzione di unfondo permanente di lotta alla povertàe l’avvio del Reddito di inclusione, co-struito attraverso una collaborazionepositiva e un confronto fattivo tra l’Al-leanza contro la povertà – di cui CaritasItaliana è parte attiva – con governo e parlamento. È un primo passo, che prevedel’erogazione di benefici economici mensili, ma soprattutto progetti personaliz-zati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, volti al superamento dellacondizione di povertà, predisposti sotto la regia dei servizi sociali dei comuni.

È chiaro che la sfida non si giocherà nei prossimi mesi, ma nei prossimi anni,dal momento che si è solo avviato un processo, ancora incompleto sul piano del-le coperture economiche, del raggiungimento dei target, dell’implementazionedei servizi. Tutto questo, in un paese in cui gli effetti delle recenti crisi continuanoa mantenere ampia l’area della povertà, sempre più multidimensionale.

L’auspicio, e l’appello al nuovo governo e al nuovo parlamento, è allora chesi prosegua e si intensifichi l’impegno per le persone più deboli, lavorando perun paese che – a valle di una gravissima crisi economica – cerchi nonostantetutto di costruire territori accoglienti e inclusivi anche per i più poveri. E chenon dia più per scontata non solo la povertà conclamata, ma anche la disper-sione scolastica dei minori, l’esclusione dei giovani che non studiano e non la-vorano, la disperazione dei disoccupati, il degrado delle periferie...

a luce a poco a poco scaccerà ilbuio»: così papa Francesco, nelMessaggio per la Quaresima, ri-corda il suggestivo rito dell’ac-

censione del cero pasquale. Un invito a«rivivere l’esperienza dei discepoli diEmmaus: ascoltare la parola del Signo-re e nutrirci del Pane eucaristico», perconsentire «al nostro cuore di tornaread ardere di fede, speranza e carità».

Appena risorto Gesù si mette inmovimento e chiede ai suoi di metter-si per strada. Il profumo della Pasquadeve diffondersi, deve riempire cuorie luoghi. La sua gioia è frizzante, la suaproposta è provocante, la sua presen-za è inquietante. Dobbiamo aiutarlo auscire dal sepolcro, e insieme a Luiandare là dove ci sono ferite aperte.

Nessuno alla finestraIl nostro “abitare la comunità” non sipuò ridurre alla sequela di un Dio chevive nei luoghi sicuri, che conforta, chec’è per il nostro quieto vivere. Ci deveinvece spingere oltre noi stessi, inascolto dei gemiti inespressi di chi habisogno di sentire la tenerezza di Diodovunque si trovi e qualunque sia lasua condizione, soprattutto se questarichiede un’attenzione speciale, per-ché segnata da un bisogno particolare.

Non è facile, in un tempo in cuisembra dilagare una cultura della vio-lenza che semina morte, alimentaodio e scontri, minaccia l’idea stessadi comunità. Ma proprio questo è ilmomento in cui nessuno può restarealla finestra. Dobbiamo accettare il ri-schio di un Dio che dice no alla mortee lasciarci coinvolgere nella sua avven-tura d’amore, senza continuare a se-parare, con una leggerezza niente af-fatto evangelica, i poveri dai sacra-menti. Buona Pasqua.

Ricostruire, ricucire,pacificare: la Chiesa

italiana si pone al servizio del paese

denunciando distorsioni,ma esprimendo

anzitutto volontà di collaborare. Al nuovogoverno e parlamento

chiede di incrementareil Rei, perno di politiche

attente ai poveri

«Ldi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

TRE VERBI PERUN PAESE CAPACED’INCLUSIONE

l Presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, all’inizio dell’an-no ha indicato tre verbi per l’azione della Chiesa italiana nei pros-simi anni: «Ricostruire la speranza, ricucire il paese, pacificare la

società. Tre verbi, tre azioni pastorali, tre sfide concrete per il futuro».Indicazioni che guidano anche l’impegno quotidiano delle Caritas,

nel loro servizio alle comunità e in particolare ai più poveri, per de-nunciare distorsioni e malfunzionamenti, senza però rinunciare aincidere in modo costruttivo nei processi possibili e concreti.

Non andiamo a caccia di difficoltà per il gusto di dire «vedi, non fun-ziona»; vogliamo anzi partire dalle criticità, per poter poi dire tutti

I

direttoreFrancesco Soddu

direttore responsabileFerruccio Ferrante

coordinatore di redazionePaolo Brivio

in redazionePaolo Beccegato, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosati, Francesco Spagnolo

hanno collaboratoDanilo Angelelli, Francesco Carloni,Francesco Dragonetti, RobertaDragonetti

progetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna

stampaMediagraf Spa, viale della NavigazioneInterna 89, 35027 Noventa Padovana

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sommario

rubriche3 editoriali

di Francesco Soddue Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

15 databasedi Walter Nanni

17 contrappuntodi Domenico Rosati

20 convegno caritasAD ABANO (PD) IN APRILE40° INCONTRO NAZIONALE

22 panoramaitalia MIGRADVISOR, APP-BUSSOLA

31 zeropovertydi Alberto Bobbio

34 cibo di guerradi Paolo Beccegato

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondoCAMPAGNE CEI-CARITAS:LAVORO CONTRO LA TRATTA

47 a tu per tuGIACOMO PANIZZA:«DAI “CATTIVI MAESTRI”VALORI PER VINCERE I CLAN»di Daniela Palumbo

anno LI numero 2

IN COPERTINADonna vittima di una minain Bosnia Erzegovina.Il paese balcanico, a oltre vent’annidalla fine della guerra, resta quellocon la maggior percentualedi territorio minato al mondo(foto Rocco Rorandelli/ Collettivo Terra Project)

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promettono facili ricchezze e guadagni insperati, il padrefocalizza l’attenzione sul male e sulle sue conseguenze ul-time: «Ma costoro complottano contro il proprio sangue,pongono agguati contro se stessi» (1,18). I malvagi, con ilfascino che li accompagna, proprio mentre pensano di tra-mare insidie contro i deboli per arricchirsi, in realtà di-struggono se stessi, insidiando la propria stessa esistenza.

La seduzione di uno splendido futuro, caratterizzatoda potenza e ricchezza, nasconde la realtà della dissolu-zione progressiva della propria vita, una sorta di mecca-nismo perverso, sintetizzato dalle ultime parole della pri-ma istruzione del padre: «Tale è la fine di chi è avido diguadagno; la cupidigia toglie di mezzo colui che ne è do-minato» (1,19). La ricerca spasmodica di successo, gloriae ricchezza a qualunque prezzo finisce per afferrare e do-minare colui che da essa si lascia guidare, annientandoallo stesso tempo qualsiasi possibilità di futuro.

prospetta una solidarietà allettante,come quella di un fondo comune acui ciascuno può attingere («una solaborsa avremo in comune»). Si mo-strano case piene di beni e ricchezzeper l’avvenire, colme di ogni sorta dimagnificenza: ciascuno avrà la suaparte di bottino, che sarà talmentegrande da poter assicurare abbon-danza per tutti coloro che farannoparte del gruppo.

Dissoluzione progressivaTutto questo però sarà ottenuto me-diante lo spargimento di sangue, at-traverso trappole tese a chi è ignaro,attraverso l’oppressione dell’inno-cente. Questa sorta di associazione siparagona nel suo agire alla mortestessa («inghiottiamoli vivi come fa ilregno dei morti»), invincibile nelprocedere tra gli uomini. È qui che ilpadre solleva il velo sull’inganno:«Figlio mio, non andare per la lorostrada, tieniti lontano dai loro sen-tieri! I loro passi infatti corrono versoil male e si affrettano a spargere san-gue» (1,15-16).

Al di là delle sirene adulanti che

l libro dei Proverbi, parte della tradizione sapienziale di Israele,rimane sicuramente nel cuore di chi lo legge, non solo per lesue massime argute, ma anche per la suggestiva immagine del-

la donna Sapienza. Essa si rivolge agli uomini esortandoli ad ac-cogliere il suo insegnamento; non solo costruisce la casa, ma pre-para un banchetto sontuoso a cui invita proprio gli inesperti,coloro che sono sprovvisti di senno, affinché possano gustare il suopane e bere il suo vino (Proverbi 8-9).

L’istruzione impartita da questa figura di donna, che grida lungo levie, agli incroci delle strade e alle porte della città (8,1-3), è preceduta

LA DONNA, IL PADREE IL DIADEMA PIÙ BELLO

da un insegnamento più nascosto,ma non meno vitale: l’istruzione delpadre e l’insegnamento (la Torah)della madre (1,8) rivolti al figlio.

Il primo discorso del padre (inProverbi 1,8-19) illustra in effetti inmaniera emblematica la natura e loscopo degli insegnamenti offerti infamiglia. Non si tratta di un’educa-zione astratta, né di un’istruzionevolta all’apprendimento di nozionispeculative. Siamo di fronte ad am-maestramenti sull’arte del vivere esul discernimento necessario alla vi-ta stessa. Si tratta di insegnamentipreziosi, che abbelliscono e arricchiscono chi li riceve,tanto da essere paragonati a “un bel diadema” sul capodel figlio e a gioielli che ne adornano il collo (1,9).

Dopo aver disposto il cuore del figlio alla recezionedelle sue parole, invitandolo all’ascolto (1,8-9), il padregli si rivolge presentandogli le proposte di uomini mal-vagi, allettanti nella forma e nella prospettiva offerta, mapiene di inganni. La proposta è seducente (1,10): «Vienicon noi, complottiamo per spargere sangue, insidiamosenza motivo l’innocente, inghiottiamoli vivi come fa ilregno dei morti, interi, come coloro che scendono nellafossa; troveremo ogni specie di beni preziosi, riempire-mo di bottino le nostre case, tu tirerai a sorte la tua parteinsieme con noi, una sola borsa avremo in comune»(1,11-14).

Si prospetta un avvenire fatto di amicizia, di comunio-ne stabilita dalla promessa di una reciproca fedeltà. Si

I giovani non hannobisogno di nozioniastratte, ma di una

sapienza che orienti il discernimento sulle

vicende della vita. Nel libro dei Proverbi un efficace esempio

di questa educazione.Che ammonisce a noncedere alla cupidigia,

forza di autodistruzione

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parolaeparoledi Benedetta Rossi

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nazionale6 MICROCREDITO:

PICCOLO PRESTITO?NO, INVESTIMENTO SOCIALEdi Monica Tola e Saverio Rosa

9 POVERTÀ INFANTILE:È TEMPO DI FARE SUL SERIOdi Antonella Inverno

12 SERVIZIO E ORGANIZZAZIONE,RICETTADEL BUON ASCOLTOdi Lucia Surano

18 ADOZIONIINTERNAZIONALI:FIGLI DA LONTANO,È TEMPO DI RIPARTIREdi Annalisa Loriga

internazionale

26 BOSNIA ERZEGOVINA:TERRENI E COSCIENZE,UN PAESE DA SMINAREdi Domenico Basilee Daniele Bombardi

32 AFRICA: TORNA LA FAME,DI CIBO E DI PACEdi Fabrizio Cavalletti

35 ARGENTINA: VIVEREAL BORBOLLÓN,SOPRA LA DISCARICAdi Alessandro Falagarioe Paolo Rizzo 35

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che si concretizza nella prestazioneobbligatoria di servizi ausiliari (ancheda parte di soggetti esterni a un’istitu-zione finanziaria) per l’intera duratadel finanziamento. In generale, quan-do si parla di microcredito si guardadunque a un “investimento sociale”(sia in capitale sociale che in infra-strutture sociali), non a un mero stru-mento finanziario per lo sviluppo.

Vista da vicino, e semplificata almassimo, un’operazione di microcre-dito richiede quattro attori e quattropassaggi: il richiedente si rivolge allabanca (o altra istituzione finanziaria),convenzionata con l’Ente nazionaleper il microcredito (Enm). La banca

effettua una prima verifica e si rivolgeallo stesso Enm, che procede all’asse-gnazione del tutor sulla base di unelenco provvisorio (detenuto dallostesso Ente). Il tutor presta i servizi au-siliari previsti, a fronte dei quali labanca effettuerà la propria valutazio-ne del merito creditizio e procederàalla successiva erogazione, trasfor-mando il richiedente in beneficiario.

L’Enm è l’ente pubblico non eco-nomico preposto alla promozione eallo sviluppo dell’intero settore delmicrocredito. La sua missione consi-ste nel “favorire l’accesso al creditodelle microimprese e delle categoriesociali maggiormente svantaggiate”,

DUPLICEDESTINAZIONEUn artigiano nel suo laboratoriodi falegnameria e arredo e, a destra,una famiglia alle prese con difficoltàper il futuro:alle piccole imprese,anche individuali,e ai nuclei in statodi disagio è dedicatolo strumentodel microcredito,nelle sue versioni“imprenditoriale”e “sociale”. Sopra,l’home page del sitodell’Ente nazionalemicrocredito (Enm)

Grazie ai servizi ausiliari (monitoraggio,affiancamento, valutazione, educazionefinanziaria) il microcredito esce

dal perimetro finanziarioesi colloca in quellodel welfare e delle politiche di sviluppo

secondo una visione che considera “ilmicrocredito non come una forma diassistenzialismo o di beneficienza, macome un vero e proprio prestito fina-lizzato allo sviluppo di progetti im-prenditoriali o alla realizzazione diprogetti mirati al miglioramento dellecondizioni di vita personali o familiaridelle fasce deboli della popolazione”.

In attuazione delle proprie finalitàistituzionali, l’Enm ha sino a oggi sot-toscritto convenzioni con il sistemabancario e finanziario, atte a favorirela diffusione del microcredito e lepossibilità di accesso allo stesso daparte dei beneficiari finali. Sulla basedi questi accordi, l’Ente provvede asegnalare alle banche convenzionatee a coloro che richiedono l’accesso almicrocredito i nominativi dei sogget-ti che si propongono nel ruolo di tu-tor, attingendoli dall’elenco dei pre-statori di servizi ausiliari. In parallelo,pertanto, l’Ente ha sottoscritto ancheconvenzioni con i diversi tutor pre-senti nei territori.

Nel maggio del 2016 l’Enm hainoltre emanato linee di indirizzo peri servizi ausiliari, che ne richiamanola centralità, sottolineandone la cara-tura relazionale. I servizi ausiliari, in-fatti, devono “essere offerti attraversoincontri diretti con il soggetto tutora-to, secondo un calendario di appun-tamenti che verranno fissati di co-mune accordo, tra prestatario deiservizi e beneficiario, e in relazionealle specifiche esigenze operative”.

È in effetti attraverso i servizi ausi-liari – non finanziari – di monitorag-gio, affiancamento, valutazione ededucazione finanziaria, che si (ri)co-struisce un rapporto fiduciario trabeneficiario e intermediario finan-ziario, ponendo al centro la persona,i suoi progetti e bisogni. Per questecaratteristiche il microcredito escedal perimetro strettamente finanzia-rio, per collocarsi in quello del welfa-re e delle politiche di sviluppo.

All’Enm competono anche funzio-ni di vigilanza relative ai soggetti pre-statori dei servizi ausiliari, con la co-stituzione di un Elenco nazionale ob-bligatorio degli operatori in servizinon finanziari ausiliari di assistenzae monitoraggio per il microcredito (icosì detti Tutor), che entro breve so-stituirà l’attuale elenco provvisorio,eretto su base volontaria.

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el maggio 2015, l’entrata aregime della riforma del Ti-tolo V del Testo unico banca-rio (Tub) ha introdotto per laprima volta nell’ordinamen-

to giuridico italiano lo strumento delmicrocredito. Che, naturalmente, sulpiano delle iniziative sociali vantavagià numerose sperimentazioni. Rima-ste in attesa, fino a quel momento, di“copertura” normativa.

Tecnicamente, nella forma cosid-detta dalla legge “imprenditoriale”, ilmicrocredito è un finanziamento diammontare non superiore a 25 milaeuro, non assistito da garanzie reali,finalizzato all’avvio o allo sviluppo diiniziative d’impresa o all’inserimentonel mercato del lavoro, accompagna-to dalla prestazione di servizi ausilia-ri di assistenza e monitoraggio deisoggetti finanziati.

Il microcredito “sociale” è invece

un finanziamento a favore di perso-ne fisiche in condizioni di particola-re vulnerabilità economica o sociale(soggetti disoccupati, caratterizzatida sospensione o riduzione dell'ora-rio di lavoro, da condizioni di nonautosufficienza propria o di un com-ponente del nucleo familiare, da unasignificativa contrazione del redditoo da un aumento delle spese non de-rogabili per il nucleo familiare); ilsuo importo massimo ammonta a 10mila euro, non è assistito da garanziereali e va accompagnato dalla pre-stazione di servizi ausiliari di bilan-cio familiare.

Nel perimetro del welfareL’importo ridotto può facilmente in-durre l’equivoco di ritenere un sem-plice “piccolo prestito” questo stru-mento finanziario, caratterizzato in-vece da un alto contenuto relazionale,

N

nazionale microcredito

di Monica Tola e Saverio Rosa presidente Federmicrofoto di Imago Mundi

Il microcredito non è più solo unaesperienza solidale,ma una pratica di sviluppo regolata da una legge. Perchéesprima il suo valorerelazionale, non solofinanziario, vannoperò sciolti alcuninodi: servizi ausiliari,professionalità degli operatori, fondi pubblici

Piccoloprestito?

No, investimentosociale

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L’area della povertà minorile si è notevolmenteampliata, negli ultimianni, nel nostro paese.Alcune recenti normepongono le basi per il rafforzamentodelle politiche di settore. Casa, reddito,educazione: sfidecruciali per il futuro di una generazione

l decennio che abbiamo allespalle, quello delle grandi crisiglobali, non è stato solo un pe-riodo di notevole ampliamentodell’area della povertà. È stato

anche il decennio del ribaltamento ge-nerazionale delle persone segnate dauna condizione di povertà. Se primadelle grandi crisi la minaccia di caderesotto la soglia di povertà assoluta ri-guardava in modo particolare, tra glialtri gruppi sociali, anziani e pensiona-ti, oggi questi gruppi appaiono menoesposti, mentre esponenzialmente ècresciuta la minaccia di impoverimen-to che grava sui giovani (disoccupati,lavoratori precari, fondatori di famigliedifficili da mantenere). Lo hanno do-cumentato diversi studi, tra cui Futuroanteriore. Rapporto 2017 su povertàgiovanili ed esclusione sociale, presen-tato a novembre da Caritas Italiana.

In questo scenario, appare dunqueun esercizio tutt’altro che accademi-co l’indagare sulle povertà minorili,delicato e consistente segmento dellepovertà giovanili. Lo fanno da anni isoggetti promotori del Gruppo Crc(Gruppo di lavoro per la convenzionesui diritti dell’infanzia e dell’adole-scenza), che dal 2000 opera conl’obiettivo prioritario di preparare ilRapporto sull’attuazione della Con-venzione sui diritti dell’infanzia e del-l’adolescenza in Italia, supplementa-re a quello presentato dal governo eda sottoporre al Comitato Onu sui di-ritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Del Gruppo fanno parte anche Sa-ve the Children Italia e Caritas Italia-na, che insieme hanno studiato, tra lealtre cose, gli effetti che le misure po-litiche di contrasto alla povertà sorti-scono sulla realtà dei minori residen-

Idi Antonella Inverno Save the Children Italia

è tempodi fare sul serio

nazionale povertà infantile

GENERAZIONESOTTO SCACCO

Bambino in una comunitàper minori. I minorenni,

rispetto alla popolazionein povertà assoluta, sono

passati dal 3,9% del 2005al 12,5%del 2016.

Sempre più spesso le famiglie non riescono a

garantire adeguatatutela ai propri figli

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nazionale microcredito

Esperienze non formalizzateIn vista della costituzione dell’Elenconazionale obbligatorio e in attesadella prossima emanazione – da par-te di Banca d’Italia ed Enm – del re-golamento sulla vigilanza sui soggettiche faranno parte dell’Elenco, Cari-tas Italiana e Federmicro hanno pro-mosso l’avvio di un tavolo di lavorosui servizi ausiliari.

Non sono poche, né di poco conto,infatti, le questioni ancora aperte e gliaspetti da definire per garantire cheanche in Italia il microcredito possaessere concretamente strumento dilotta alla povertà e di sostegno allo svi-luppo economico e sociale di un terri-torio, in favore di soggetti “non banca-bili” ed esclusi dall’accesso al credito.

Un primo aspetto riguarda la defi-nizione dei servizi ausiliari. Esiste lanecessità di puntualizzare anche quel-li relativi al microcredito di impresa,definiti principalmente come “sup-porto” (alla definizione della strategiadi sviluppo, dei prezzi, delle soluzioniai problemi fiscali, legali, ecc.) e comestrumento di formazione su vari fron-ti. Ma è soprattutto nell’ambito del mi-crocredito sociale che si ravvisa l’ur-genza di declinare in disposizioni con-crete la generica indicazione di “servizidi assistenza dei soggetti finanziatinella gestione del bilancio familiare”. Èindispensabile tener conto dell’espe-rienza di un variegato insieme di sog-getti – tra cui patronati, associazioni,fondazioni, organismi pastorali inclu-se diverse Caritas diocesane, ricondu-cibili al terzo settore e ancor più almondo ecclesiale – che di fatto presta-no questa tipologia di “servizi”, sebbe-ne spesso al di fuori della formalizza-zione di un percorso di microcredito.

Emerge come determinante, aquesto punto, una seconda questio-ne, relativa ai requisiti di professiona-lità degli operatori del microcredito edi erogazione dei servizi ausiliari, inparticolare per il microcredito socia-

le. Attualmente non vi sono parame-tri. Come accennato, l’individuazionedei tutor per il microcredito impren-ditoriale è mediata dall’Elenco pressol’Enm. Ma, non essendo ancora chia-ro se anche gli operatori del micro-credito solidale dovranno obbligato-riamente iscriversi all’Elenco, i tutordi questo ambito sono individuati at-traverso canali informali, attivati daidiversi soggetti sociali.

Un terzo, decisivo aspetto, attienealla disponibilità di fondi da destinareal microcredito sociale. Mentre, infatti,la forma imprenditoriale dispone di unintervento “agevolato” del Fondo cen-trale delle piccole medie imprese, checonsente il rilascio di una garanziapubblica pari all’80% del finanziamen-to, non vi sono fondi pubblici destinatia garantire il microcredito sociale.

Resta inoltre da stabilire chi debbasostenere il costo dei servizi ausiliari(ma obbligatori), che attualmente vie-ne ribaltato sul tasso d’interesse ap-plicato al prestito, e quindi pagato dalbeneficiario. In considerazione deglieffetti positivi prodotti dal microcre-dito, sia in termini di inclusione socia-

Mentre la forma imprenditoriale disponedelle agevolazioni di un fondo statale, con garanzie pari all’80% del finanziamento,

non vi sono strumenti pubblici destinati a garantire il microcredito sociale

le del beneficiario che sui processi dinatura economica, sembra importan-te valutare la possibilità di una ripar-tizione del costo dei servizi ausiliaritra più soggetti, compreso il soggettopubblico (esistono in tal senso espe-rienze in Francia da molti anni).

Qualità e valutazioneNon trascurabili, infine, saranno leopportunità di sviluppo offerte dallariforma del terzo settore. Che peròvanno concretizzate e colte. Si pensi,ad esempio, al fatto che i soggetti ero-gatori di servizi ausiliari potrebberocostituirsi come imprese sociali (il mi-crocredito è tra gli ambiti di attivitàcontemplati dalla riforma). Ma ancheal nuovo impulso che potrebbe deri-vare dall’introduzione di agevolazionifiscali inerenti l’investimento in capi-tale sociale delle imprese sociali.

Dopo un primo incontro la scorsaestate, alla fine di gennaio vari soggettiistituzionali e del terzo settore – Bancad’Italia, Enm, Abi, Agenzia per la coe-sione territoriale, Mecc (Microcreditoper l’economia civile e di comunione),Inaap, Microcredito per l’Italia, Com-pagnia di San Paolo, Federcasse, Ritmi(Rete italiana per la microfinanza),Progetto Policoro e Fondazione Hou-sing sociale – hanno accolto un secon-do invito di Cei, Caritas Italiana e Fe-dermicro per proseguire la riflessione.Il Tavolo ha condiviso la necessità didefinire un set di indicatori di qualitàper i servizi ausiliari, ma anche gli ele-menti portanti di un sistema valutazio-ne di beneficiari e operatori, realizzatocon risorse pubbliche. Sono questi glioggetti di lavoro affidati a un gruppo ri-stretto che nei prossimi mesi, con ilsupporto dell’Università La Sapienzadi Roma, condurrà una sperimenta-zione coinvolgendo diversi attori in va-rie parti d’Italia. Il microcredito puòcontribuire in modo autenticamenteefficace allo sviluppo socio-economicodel paese: per evitare di essere relegatoal rango di leva finanziaria residuale,necessita però di un responsabile inve-stimento di risorse intellettuali, nor-mative e finanziarie da parte degli at-tori istituzionali, economici e socialiche lo devono far evolvere.

RISORSA DONNAA Roma, sportello di una Fondazionespecializzata che eroga microcreditia donne e cooperative di donne Piccoliepoveri,

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del Fondo povertà che è dedicata alrafforzamento degli interventi e deiservizi sociali, al fine di garantire i livelliessenziali per la valutazione multidi-mensionale, il progetto personalizzatoe il sostegno ai beneficiari. Il governoha infatti stanziato 297 milioni nel2018 (invece dei 262 previsti), 347 mi-lioni nel 2019 (invece di 277) e 470 mi-lioni annui a decorrere dal 2020, di cuiun terzo possono essere destinati al-l’assunzione, a tempo determinato, diassistenti sociali. Sarà fondamentalemonitorare che parte di questi fondivengano investiti concreta-mente nello sviluppo di pro-getti che coinvolgano attiva-mente i minorenni, i qualidovrebbero beneficiare alpari degli adulti del suppor-to all’inclusione.

Investiresull’innovazionesocialeSul fronte della povertà edu-cativa, sempre la legge di bi-

lancio ha aperto la strada ad alcuneimportanti sfide per il futuro. All’Istatè stato assegnato il compito di defini-re i parametri e gli indicatori misura-bili per individuare le zone dove rea-lizzare in via prioritaria interventieducativi urgenti, volti al contrastodella povertà educativa, in continuitàcon quanto previsto dal decreto Mez-zogiorno per le aree del sud Italia. Ilmodello di intervento sociale che sipotrebbe delineare si rifà alle “zone dieducazione prioritaria” francesi, masenza limitarsi a interventi solo nelle

scuole e allargando la prospettiva allacomunità educante nel suo comples-so. In questa direzione va peraltro let-to il Rapporto sul contrasto del falli-mento formativo, presentato all’iniziodell’anno dal ministero dell’istruzio-ne, università e ricerca, il quale dettauna serie di requisiti indispensabiliper la creazione di siffatte aree ad altadensità educativa.

Nel corso dell’esame della legge dibilancio alla Camera è stato inoltreistituito il Fondo per l’innovazione so-ciale, con una dotazione di 5 milioni dieuro per il 2018 e di 10 milioni di europer ciascuno degli anni 2019 e 2020, fi-nalizzato a effettuare studi di fattibilitàe a sviluppare la capacità delle pubbli-che amministrazioni, con lo scopo difavorire e potenziare l'innovazione so-ciale secondo standard europei. La de-finizione delle modalità di funziona-mento e di accesso al Fondo, e delle re-lative aree di intervento, è demandataa uno o più decreti della presidenzadel consiglio (da adottare entro il 30marzo). Investire sull’innovazione so-ciale potrebbe significare mettere a si-stema gli interventi realizzati grazieagli ingenti fondi elargiti in questi ul-timi anni dalle fondazioni bancarie,beneficiarie di un credito di impostafinalizzato alla costituzione del Fondodi contrasto alla povertà educativa.Con molta probabilità, infatti, la spe-rimentazione finanziata dalle fonda-zioni finirà con l’anno in corso, anchese i suoi effetti si dispiegheranno al-meno ancora per i prossimi due anni.

Tuttavia attraverso l’innovazionesociale si potrebbe fare tesoro di ciòche la sperimentazione consentitadal fondo di contrasto alla povertàeducativa ha consentito di raggiun-gere, in termini di qualità degli inter-venti. Si dovrebbe mettere in atto unagovernance efficace delle reti multili-vello (pubblico – società civile – pri-vati) che si sono create o rafforzate,con l’obiettivo di mettere in campoazioni per sconfiggere la povertàeducativa. Ma non solo. Le buonepratiche dovrebbero essere replicatein scala, con l’attenzione però adadattarle ai contesti locali. E gli inter-venti migliori da progetti dovrebberodiventare politiche attive di inclusio-ne socio-educativa. Anche così, so-prattutto così, si può puntare a vin-cere la povertà minorile.IM

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ti nel nostro paese. I due organisminel 2014 eseguirono un primo moni-toraggio sull’applicazione della Nuo-va Social Card, chiedendo al governodi migliorare i criteri per l’assegna-zione e soprattutto di sveltire la pro-cedura di erogazione del denaro, chea due anni dallo stanziamento dellerisorse non era ancora arrivato nelletasche di famiglie investite dalla crisieconomica in atto dal 2008. Da allo-ra, molta strada è stata compiuta, sulversante dell’analisi dell’efficaciadelle politiche. E la convinzione si èrafforzata: in Italia i più colpiti dal ge-nerale impoverimento della popola-zione sono stati i bambini, con unapercentuale di minorenni, rispettoalla popolazione in povertà assoluta,che è passata dal 3,9% del 2005 al12,5%del 2016. Solo negli ultimi treanni (dato Istat) la popolazione mi-norile afflitta da povertà assoluta èaumentata di 250 mila unità.

Disagio abitativo in crescitaL’inizio del 2018 non ha fatto registra-re, nonostante alcuni importanti stru-menti messi in campo, una inversionedi tendenza. In Italia, per esempio, piùdi un bambino su 10 (l’11,2%) sta af-frontando l’inverno in condizioni disevero disagio abitativo; il 14,8% dellefamiglie con bambini non riesce a ri-scaldare adeguatamente l’abitazionein cui vive, con uno scarto di oltre 6punti percentuali rispetto alla mediaeuropea. Il 20,3% dei minori – più diuno su cinque, contro una media Uedel 17,7% – vive in case con seri pro-blemi strutturali (umidità, tracce dimuffa alle pareti, soffitti gocciolanti,infissi rotti e il 5,3% in strutture pocoluminose – dati Eurostat). È aumenta-to, inoltre, il numero delle esecuzionidi sfratto con forza pubblica – 35.336nel 2016, con un incremento dell’8%rispetto al 2015 –, così come quellodelle richieste di esecuzione di sfratto(158.720, il 3% in più rispetto al 2015).

L’Unione inquilini stima che nel 70%delle famiglie soggette a sfratto sianopresenti minori.

Sempre più spesso, al nord comeal sud, in quartieri con condizionidiffuse di svantaggio socio-economi-co (per esempio il Perrino a Brindisi,Zen 2 a Palermo, Ponte di Nona a Ro-ma, Quarto Oggiaro a Milano, Barra-Ponticelli e Capodichino a Napoli,Vallette a Torino, Arghillà a ReggioCalabria) le associazioni e i servizi so-ciali territoriali si trovano a fronteg-giare casi di emergenza abitativa checolpiscono i bambini, con conse-guenze molto gravi per la loro salute,il percorso scolastico, la vita familia-re. Nella maggior parte dei casi nean-che i servizi dispongono degli stru-menti necessari a contrastare effica-cemente una povertà dilagante.

Assalto al ReiNon stupisce, in questo quadro, che insoli 33 giorni, con Natale e Capodan-no nel mezzo, dal 1° dicembre 2017 al2 gennaio 2018 quasi 76 mila famigliesi siano rivolte ai centri di assistenzafiscale per richiedere l’attivazione delReddito di inclusione, la nuova misu-ra strutturale (introdotta nel 2017) cheha affiancato la Social card, sostituen-do il Sostegno all’inclusione attiva(Sia). Campania, Sicilia e Calabria (da-to Inps) sono state le regioni con il piùalto numero di domande.

La legge di bilancio 2018 ha estesola platea dei beneficiari e incrementa-to il beneficio economico collegato alRei, grazie a un maggiore impegno fi-nanziario; lo stanziamento del Fondopovertà viene incrementato di 300 mi-lioni nel 2018 e di 700 milioni nel2019. Nel corso dell’esame al Senatosono stati ulteriormente incrementatigli importi per il 2020 e per lo stanzia-mento a regime dal 2021, portati ri-spettivamente a 783 milioni (prece-dentemente 665 milioni) e 755 milioniannui (precedentemente 637 milioni).

nazionale povertà infantile

Sempre più spesso, in quartieri segnati da svantaggio socio-economico, si registranoemergenze abitative che colpiscono

bambini, con gravi effetti sulla salute, sul percorso scolastico e sulla vita familiare

Dal 1° luglio 2018, inoltre, deca-dranno i criteri di priorità collegati allacomposizione del nucleo familiare ri-chiedente, di cui verranno invececonsiderate esclusivamente le condi-zioni economiche, rendendo, comerichiesto da più parti, il Reddito di in-clusione una misura che riveste dav-vero il carattere dell’universalità.

Considerando che un monitoraggiosull’implementazione del Sia avevaevidenziato per l’ennesima volta, ri-spetto alla presa in carico finalizzata al-l’inclusione, un chiaro divario territo-riale (19% di prese in carico al sud,contro il 43% al centro nord) e che iprogetti personalizzati, a causa del ra-zionamento delle risorse, tendevano aconcentrare l’attenzione sulla compo-nente adulta della famiglia, appare difondamentale importanza l’incremen-to, nella legge di bilancio, della quota

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PALESTRA PER LA VITA REALEIn classe in una primaria. La scuolaresta il più importante presidio control’esclusione sociale. Sotto, ragazzo“prigioniero” degli strumenti digitali

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Punto di forza è l’équipe del Cda. Il lavoro d’équipe, avendo il confrontocome modus operandi, aiuta gli operatori

a sviluppare e alimentare la responsabilitàreciproca: tra chi aiuta e chi è aiutato

mento umano e quello più razionaledell’organizzazione.

Lavorare per progettiI centri d’ascolto, fin dalla loro nascita,hanno avuto forme molto diverse, siariguardo alle risorse umane coinvolte,sia relativamente ai servizi offerti, allemodalità operative e all’organizzazio-ne. I servizi offerti possono riguardare,oltre all’ascolto (inteso come il proces-so per costruire relazioni ricche di at-tenzioni, in cui il povero incontra ilvolto fraterno della comunità), l’orien-

tamento e l’accompagnamento ai ser-vizi e la presa in carico.

Lavorare per progetti: è questo ilmetodo e lo stile di lavoro proprio deiCda. Ciò significa riconoscere che ognipersona o storia di vita è diversa daqualsiasi altra, perché ogni fragilità,seppur simile ad altre, è il risultato diun percorso personale e unico. Lavo-rare per progetti inoltre risponde a unalogica di promozione della persona,ma anche delle risorse del territorio.

Punto di forza di questo approccioè l’équipe del Cda. Il metodo del la-vorare insieme è lo strumento prin-cipe con cui un centro d’ascolto Ca-ritas promuove la ricostruzione di chivive una situazione di fragilità. Lavo-rare insieme è la vera espressione diuna comunità cristiana. Inoltre il la-voro di équipe, avendo il confrontocome proprio modus operandi, aiutagli operatori a sviluppare e alimenta-re la responsabilità reciproca: tra chiaiuta e chi è aiutato. Tale approcciotestimonia un modello di comunitàche non solo è capace di organizzareattività, servizi e progetti, ma è capa-ce soprattutto di vivere la comunionecon il messaggio evangelico.

Tuttavia la dimensione di gruppo e

EQUILIBRIO DELICATOLa distribuzione dei “pacchi viveri”

in un centro d’ascolto non deve esserefine a se stessa, ma espressione di

un compiuto stare accanto alle persone

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di équipe è anche faticosa: lavorare in-sieme richiede la volontà di integrare idiversi punti di vista, la capacità di sa-pere aspettare il tempo che una sceltacondivisa comporta, la pazienza di fa-re, magari meno, ma insieme agli altri.

All’interno del gruppo, in base allecapacità e alle attitudini di ciascuno,ognuno assume un compito specifi-co. C’è chi si occupa dei colloqui (ac-coglienza, ascolto, orientamento eaccompagnamento), chi delle attivitàdi supporto necessarie al buon fun-zionamento del centro (mappaturadelle risorse, elaborazione delle sche-de per la registrazione dei colloqui,documentazione, eventuale distribu-zione di viveri e vestiario...). Inoltre,l’équipe stabile sovente si avvale delcontributo di “esperti”, che offronoconsulenze professionali specifiche(legali, mediche, psicologiche…).

Espressione tangibileIn questa complessità, diventa im-portante l’ascolto all’interno delgruppo, tanto quanto quello dellapersona in difficoltà. Fulcro per ilbuon lavoro e il funzionamento del-l’equipe è il responsabile-coordinato-re, il quale deve avere capacità orga-nizzativa, ma anche la capacità di la-vorare sulla fiducia, di valorizzare illavoro e le competenze e di essere ca-pace di creare un clima di lavoro po-sitivo, duraturo e sostenibile.

Importante è anche il luogo in cui

L’ascolto e l’osservazione, la fonte del dato e l’analisi del dato stesso, sono strettamente legati tra loro. Il valore prodotto da questo legame è di diversa natura: teologico, pastorale, sociale e culturale.

Esempio concreto di questo legame e dei suoi risultati è l’esperienzadel test di vulnerabilità alla povertà, uno strumento elaborato dal grup-po Promozione Caritas della Basilicata per valutare la vulnerabilità allapovertà di una persona. L’uso di questo strumento è valido sia nell’am-bito dei centri d’ascolto, sia nell’ambito dell’intervento sociale più in ge-nerale; esso consente di sviluppare, prima che lo stato di povertà diventiconclamato, azioni di contrasto e inclusione.

La sperimentazione e l’uso sistematico del test, in alcune diocesi della Basilicata, ha consentito di “vedere, leggere e capire prima” i segni dei tempi e le storie delle persone, aiutando gli operatori dei Cda a intervenire non sull’emergenza, ma con una progettualità più a lungotermine. Questo strumento evidenzia quanto valore abbiano le storie di vita dei poveri, come queste storie aiutino a conoscere il fenomenodella povertà, producendo innovazione sociale.

L’INNOVAZIONEVulnerabilità alla povertà,in Basilicata un test per misurarla

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criveva il sociologo Michel Cro-zie: «La vecchia teoria dell’orga-nizzazione scientifica del lavo-ro consisteva nel concepire ilpensiero organizzativo solo at-

traverso strutture e procedure; si sco-pre ora che lo spirito umano è il mi-gliore strumento di integrazione chepermette di affrontare la complessità».

Nella seconda parte di questa cita-zione sono racchiusi il significato e iprocessi sulla base dei quali si orga-nizza un buon centro d’ascolto, car-dine dell’azione delle Caritas (par-rocchiali, zonali, diocesane) in ogniangolo d’Italia. La relazione d’ascol-to, come ogni altro processo sociale,necessita infatti, per conseguire uncerto tasso di efficacia, di forme or-ganizzative codificate. Le quali, però,

non devono soverchiare e spegnerela qualità umana e “spirituale” dellarelazione stessa.

Questa dialettica, insieme ad altriaspetti dell’evoluzione che caratte-rizza oggi i centri d’ascolto in tuttaItalia, è stata al centro nei mesi scorsidel confronto e della riflessione di ungruppo di ricerca formativa sui centridi ascolto (Cda), promosso da CaritasItaliana, al quale hanno partecipatorappresentanti di diverse Caritas dio-cesane. Il tema dell’organizzazione diun Cda, e del corretto impiego dellerisorse umane, non poteva essereignorato dal gruppo di ricerca. Il qua-le è partito da un presupposto: lo spi-rito di servizio di coloro che operanoall’interno dei Cda è lo strumentoche riesce a integrare al meglio l’ele-

Sdi Lucia Surano Caritas diocesana di Matera

Razionale impiego dei luoghi, dellestrutture, delle risorse.Ma anche unagenerosa disponibilitàall’incontro. Un centro d’ascolto,per funzionare bene,non può prescindereda chiare scelteorganizzative. E da solide qualitàumane e “spirituali”

Servizio eorganizzazione,ricettadel buon ascolto

nazionale centri di ascolto / 2

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RICCHEZZA SFACCIATA,FORBICE ESASPERATA

ficativo se si considera che, per con-verso, nel 2016 erano 40 milionile persone schiavizzate nel mercatodel lavoro, tra cui 4 milioni dibambini.

Le politiche incidonoSecondo i dati del Rapporto Oxfam,anche in Europa e in Italia la ricchez-za è sempre più concentrata in po-che mani. A metà 2017, il 20% piùricco degli italiani deteneva oltre il66% della ricchezza nazionale netta,il successivo 20% ne controllava il18,8%, lasciando al 60% più poveroappena il 14,8% della ricchezza na-zionale. E c’è di più: la quota di ric-chezza dell’1% più ricco degli italianisupera di 240 volte quella detenutacomplessivamente dal 20% più po-vero della popolazione.

La forbice, si diceva, non dà peral-tro segni di volersi chiudere, o stabi-lizzare. Al contrario, sta crescendonel tempo: nel periodo 2006-2016 laquota di reddito nazionale disponi-bile lordo del 10% più povero degliitaliani è diminuita del 28%, mentreoltre il 40%dell’incremento di red-

dito complessivo registrato nello stesso periodo è andatoal 20% dei percettori di reddito più elevato.

Dalla classifica che ordina gli stati membri dell’Unioneeuropea secondo 7 parametri (tra questi disuguaglianzadi reddito, deprivazione materiale, divario retributivo digenere), nessun paese è immune da elevati gradi di disu-guaglianza, con paesi come Bulgaria e Grecia cheregistrano il peggior risultato. Secondo gli ultimidati confrontabili disponibili (relativi al 2016), l’Italia oc-cupa la 20a posizione su 28 paesi dell’Unione europeaper la disuguaglianza di reddito disponibile.

La classifica mostra anche come le politiche di governopossano contribuire ad accrescere o diminuire le disugua-glianze: il sistema fiscale e previdenziale svedese, peresempio, è il più avanzato in Europa e favorisce una ridu-zione delle disuguaglianze di reddito del 53%, mentre ilsistema fiscale e previdenziale italiano, tra gli ultimi posti

U na forbice che non smette di divaricarsi. E che spiega molti deifenomeni di acuta sofferenza sociale che si registrano nelmondo, nonostante l’economia e la ricchezza abbiano gene-

ralmente ripreso a crescere, dopo gli anni delle grandi crisi. L’aper-tura di questa forbice è l’oggetto di analisi del World Inequality Re-port 2018, studio prodotto dalla ong britannica Oxfam, con l’obiettivodi fare il punto sulla ricchezza e la disuguaglianza nel mondo.

Il Rapporto sull’ineguaglianza nel mondo è stato presentato daOxfam alla vigilia del World Economic Forum di Davos, appunta-mento che ha riunito nello scorso gennaio nella cittadina svizzera,come accade ormai da anni, i mag-giori rappresentanti mondiali del-l’economia e della politica. La con-clusione a cui arriva lo studio è che ildivario tra ricchissimi e poveri crescepraticamente ovunque, nel nostropianeta.

Ai poveri neanche un centSecondo il Rapporto, nel mondo 7cittadini su 10 vivono in un paese incui la disuguaglianza è aumentatanegli ultimi 30 anni. Se si consideracome parametro di riferimento ilreddito dichiarato, Oxfam rileva co-me tra il 1980 e il 2016 circa il 27% dell’incremento delreddito globale sia stato appannaggio dell’1% più ricco(in termini di reddito) della popolazione mondiale. Il50%più povero ha beneficiato di una porzione del 12%,cioè molto meno della metà di quanto è fluito verso il ver-tice della piramide globale dei redditi.

In tempi recenti, l’1% più ricco della popolazionemondiale è arrivato a possedere quanto il restante 99%,continuando ad arricchirsi sempre di più: l’82% dell’in-cremento di ricchezza netta registrato nel mondo tramarzo 2016 e marzo 2017 è andato in tasca ai più ricchi.Nemmeno un centesimo invece è finito alla metà più po-vera del pianeta, che conta 3,7 miliardi di persone.

Uno degli aspetti più inquietanti è che i due terzidella ricchezza dei più facoltosi miliardari del mondonon sono frutto del loro lavoro, ma sono ereditati o frut-to di rendita monopolistica. E questo è ancora più signi-

Il Rapporto 2018di Oxfam sulle

diseguaglianze nelmondo evidenzia chegli squilibri tra pochi

ricchissimi e un’ampiamassa di poveri

continuano a crescere.L’Italia non si distingue:20ª, sui 28 paesi europei,per iniqua distribuzione

del reddito

databasedi Walter Nanni

14 I TA L I A C A R I TA S | M A R Z O 2 0 1 8

si esercita l’ascolto. Il Cda è anzituttoun luogo fisico e come tale deve esse-re pensato e organizzato. La peculia-rità è la “bellezza”: essere accolti in unluogo bello aiuta a lenire almeno unpo’ le ferite e le fragilità di cui il pove-ro è portatore. Un Cda bello e ben or-ganizzato nei suoi ambienti (stanza oluogo dedicato solo all’accoglienza,stanza riservata per l’ascolto, abbatti-mento delle barriere architettoniche,attenzione ai bambini) dice, a chi ar-riva con il suo carico di fragilità, chelui interessa, sta a cuore alla comuni-tà. E che, nonostante le sue fatiche, èun portatore di valori.

Chi arriva al Cda non deve inoltreandare mai via senza un segno di at-tenzione. Il tanto agognato e quasi di-scriminato “pacco viveri”, sovente èinteso come un’erogazione fine a sestessa, piuttosto che l’espressionetangibile dello stare accanto alle per-sone in difficoltà. Il rapporto traascolto e distribuzione si deve fonda-re sulla capacità di concepire la se-conda come un segno concreto del-l’ascolto e come uno strumento dianimazione. Certamente non può enon deve esistere distribuzione senzaascolto, benché i due luoghi (quellodell’ascolto e quello della distribuzio-ne) è opportuno che siano separati.

Radicato nel territorioIl Cda, luogo privilegiato di carità perla Chiesa, perché attraverso esso la co-munità incontra i poveri, è altresì luogoal quale tutta la comunità, ecclesiale ecivile, riconosce valore, competenza eserietà. È riferimento e interlocutoreprivilegiato per il confronto e la consu-lenza. Tale riconoscimento è stato ma-turato e acquisito nel tempo, perché ilCda ha una capacità autentica di co-municare con il territorio e con il suoagire, e nel territorio contribuisce a for-mare la comunità.

Esso insomma opera all’interno diun processo, territoriale e comunita-

rio, fatto di azioni, leggi, scelte politi-che e relazioni. Un processo che im-plica necessariamente un rapportosempre vivo con le istituzioni.

Il Cda, sia esso diocesano, vicarialeo parrocchiale, quale strumento pasto-rale con cui la Chiesa contribuisce al“bene comune”, è radicato nella realtàin cui opera e con questa interagisce,promuovendo relazioni e dialogo, maanche soluzioni e nuove strategie. Inquesto modo esso sollecita la comuni-tà a costruire un tessuto e un modellosociale attenti ai più deboli, e al tempostesso capaci di aiuto e prevenzione. IlCda, in altre parole, può essere definitouna “realtà ponte” tra la comunità ec-clesiale, i poveri e le varie realtà (pub-bliche e private) del territorio.

Tutto ciò ha qualcosa di straordi-nario, e nello stesso tempo di forte-mente connaturato alla vocazione delCda come “luogo di profezia”: attra-verso le storie di vita e di fragilità cheincontra, ascolta e prende in carico,esso è infatti capace di “leggere pri-ma” la direzione verso la quale stannoandando il territorio e il contesto so-ciale e culturale ed è capace, per usa-re un’espressione di papa GiovanniPaolo II, di «suscitare una fantasia

L’osservazione e la raccolta dei dati non sono un mero esercizio di archiviazionedi numeri: sono storie di vita, la modalità

per guardare in faccia le povertà concretee conoscere davvero il volto dei poveri

della carità». Risorsa indispensabile,quest’ultima, considerando il cre-scente divario tra le risorse di cui me-diamente un Cda dispone e le proble-matiche che deve affrontare.

L’assetto organizzativo di un Cdadeve in definitiva rispondere alla mis-sione costitutiva di ogni Caritas, la qua-le è impegnata, oltre che sul versanteoperativo, in risposta ai bisogni sociali,anche e soprattutto su quello pedago-gico, come coscienza educativa. Il do-cumento conciliare Gaudium et spes il-lustra il metodo “vedere-giudicare-agi-re”: ogni Caritas, attraverso il Cda,“vede e giudica” la direzione verso laquale il contesto e il territorio stannoandando, e “agisce” di conseguenza.Vede attraverso i dati che vengono rac-colti con l’ascolto e la presa in carico;giudica attraverso l’analisi di quei dati;infine agisce, cioè realizza la “pedago-gia dei fatti”, avendo cognizione realedei bisogni del territorio. L’osservazio-ne e la raccolta dei dati non sono dun-que un mero esercizio di archiviazionedi numeri, sono invece la modalità perguardare in faccia le povertà e cono-scere il volto dei poveri. Perché queidati sono storie di vita, sono fragilitàche si sono aperte alla comunità. E chela comunità non può lasciare cadere.

La raccolta dei dati è il processoattraverso cui la Caritas oggi fa “an-tropologia culturale”, sviluppandocultura attraverso lo studio dell’uma-nità che viene accolta, ascoltata epresa in carico nei Cda: la dialetticatra spirito e organizzazione, di nuovo,produce sintesi di affermazione delladignità di ogni persona.

RAPPORTO DI FIDUCIAColloquio tra due volontari della Caritasdiocesana e un’anziana al centrod’ascolto “Due Tuniche” di Torino

nazionale centri di ascolto / 2

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sull’idea che la libera espansione delcapitalismo (sciolto dall’incubodell’esproprio rivoluzionario e dal-l’incognita del riformismo redistribu-tivo) avrebbe garantito in ogni doveprosperità, benessere e libertà. Pren-dere atto che questo non è accaduto,è il primo passo da compiere. Ma èanche il più difficile per quanti – perconvinzione o convenienza – si sonofatti trasportare dalla corrente.

La questione può essere affrontatapartendo da una specifica visione delmondo – come quella che emergedall’insegnamento di papa Francesco–, o affidandosi a criteri più empirici,definiti, in Italia, dalla Costituzione.

Il testo della Carta si richiama indiversi punti ai criteri di uguaglianza,non riferiti peraltro ai soli cittadini. Èil caso dell’articolo 32, nel quale la tu-tela del diritto alla salute è qualificatacome diritto fondamentale dell’indi-viduo e interesse della collettività: si èdiscusso tanto sullo ius soli, senzaconsiderare che in Costituzione è giàscritto uno ius salutis… Ed è il casoanche dell’articolo 10, nel quale siconfigura il diritto d’asilo in modo as-

sai più ampio di quanto sancito nelle convenzioni inter-nazionali. Il diritto in questione è infatti riconosciuto allostraniero «al quale sia impedito nel suo paese l’eserciziodelle libertà democratiche garantite dalla Costituzioneitaliana». La quale diventa dunque parametro per giudi-care l’ammissibilità o meno di una richiesta d’asilo.

Il fulcro sul quale far leva, nello sforzo di recuperare alnostro paese energia solidale, è pertanto la Costituzione,intesa come matrice di scelte politiche e bussola di orien-tamento per ridare dignità alla politica, liberandola dallafunzione ancillare all’economia.

È un compito di lunga lena. Che coinvolge la respon-sabilità di molte agenzie, in primo luogo quelle educative.Ed esige interventi e correzioni tanto in campo economi-co, quanto in campo culturale e pedagogico. Sarebbe co-sa buona e giusta se lo svolgimento di un tema così im-pegnativo fosse messo all’ordine del giorno, con il respirodi un impegno di legislatura.

ltre i clamori e le convulsioni della prova elettorale, c’è un te-ma che domina ogni pensiero, anche se ci si comporta comese non esistesse. È il tema dell’uguaglianza, o meglio dell’au-

mento delle disuguaglianze nel mondo, con riflessi negativi in tuttigli ambiti della vita sociale.

L’indicatore più rilevante del fenomeno è il volume dei flussi mi-gratori. Qui il principio dei vasi comunicanti funziona perfettamen-te: l’incombere della povertà determina gli spostamenti verso learee che si presentano come più ricche, anche se non sono semprele più accoglienti.

Diversi sono gli atteggiamenti neiconfronti della situazione. Si va dallascelta dell’ignoranza (come se il casonon ci fosse) alla presa in carico nega-tiva (respingere l’invasione) o positiva(accogliere controllando). Ma quelche sta accadendo non è il prodottotransitorio di una congiuntura rever-sibile, bensì la conseguenza di un si-stema di scelte che vengono da lonta-no. E che non possono essere correttecon misure-tampone, come muri,blocchi navali, misure di rimpatrio...

Due autori importanti, ZygmuntBauman e Joseph Stiglitz, hanno for-mulato una diagnosi precisa sulle cause delle disegua-glianze, presentandole come esito dell’economia globa-lizzata. La constatazione fondamentale è che questa hamigliorato la condizione dei “piani alti” e peggioratoquella dei “piani bassi” (Stiglitz). E tutto questo ha favo-rito su scala planetaria fenomeni di regressione inquie-tanti, fino al “ritorno alla tribù” (Bauman). Con il corol-lario di quella “privatizzazione della speranza”, che siesercita «svalutando la solidarietà umana verso tutto ciòche non fa parte dell’ambito dei propri cari».

Liberare la politicaSe queste, per sommi capi, sono le coordinate del problema,è giusto dubitare della possibilità concreta di affrontarlo conqualche successo, se non attraverso una revisione profondadegli orientamenti e delle scelte economico-sociali.

La difficoltà è accresciuta dal fatto che dagli anni No-vanta si è registrata una convergenza pressoché generale

Il trionfo del capitalismoglobalizzato

ha aumentato le disuguaglianze.

E aperto le porte a unasorta di “privatizzazione

della speranza”. InItalia, c’è uno strumentoper provare a correggere

questa tendenza. È la Costituzione, riserva

di “energia solidale”

ATTENUARE GLI SQUILIBRI,IMPEGNO DI LEGISLATURA

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contrappuntodi Domenico Rosati

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È stata presentata il 16 febbraio alla FondazioneBasso, a Roma, una nuova iniziativa, che si propo-ne di analizzare e ridurre la forbice nella distribuzio-ne della ricchezza nel nostro paese. Si tratta del progetto “Forum disuguaglianze diversità”, luogodi pensiero e confronto per informare, discutere e convincere che le disuguaglianze fanno male,non solo riguardo ai destini privati di persone e famiglie, ma anche sul versante dei destini pub-blici, dunque all’economia e in definitiva al paese.

Nato da una proposta della Fondazione Basso,sostenuto da Fondazione Charlemagne, Fondazionecon il Sud, Fondazione Enel, Fondazione Unipolis e Legacoop Sociali, il Forum è promosso da un gruppodi otto organizzazioni di diversa matrice culturale, tra cui (insieme ad ActionAid, Cittadinanzattiva, De-dalus cooperativa sociale, Fondazione Basso, Fonda-zione di Comunità Messina, Legambiente, Uisp) ancheCaritas Italiana. Al fianco di queste organizzazioni,nel Forum, opererà un gruppo di ricercatori e acca-demici, impegnati nello studio della disuguaglianzae delle sue negative conseguenze sullo sviluppo.

Il Forum opererà ispirandosi all’articolo 3 dellaCostituzione Italiana (secondo cui «È compito dellaRepubblica rimuovere gli ostacoli di ordine econo-mico e sociale…»); si propone dunque come luogodi elaborazione di politiche pubbliche e azioni col-lettive, orientate alla riduzione delle disuguaglianzee a favorire il pieno sviluppo di ogni persona. Gli squilibri, infatti, non solo aprono faglie che ven-gono riempite da paure e dinamiche autoritarie,ma ostacolano anche lo sviluppo di forme armoni-che e sostenibili di economia. Alla lunga, una forbi-ce troppo aperta non conviene a nessuno. Serveche qualcuno, con coraggio e competenza, lo dimo-stri, e indichi come invertire la rotta.

L’INIZIATIVAForum disuguaglianzediversità, c’è anche Caritas

della classifica continentale, haconsentito nel 2016 una riduzionedella disparità di reddito solo nellamisura del 34%.

Realtà ben percepitaLe disuguaglianze sono ormaiben percepite dai cittadini: in unsondaggio che ha visto coinvolte70 mila persone in 10 paesi di 5continenti, Oxfam ha rilevato cheoltre il 75%ritiene che il gap traricchi e poveri nel proprio paesesia eccessivo. In Italia, il 61% deinostri connazionali percepisceuna crescita della disuguaglianza nel paese.

Sulla base dei dati raccolti e divulgati, Oxfam ha chie-sto e continua a chiedere alle istituzioni nazionali di porsicome obiettivo che entro il 2030 il reddito complessivodel 10% più ricco non sia superiore al reddito del 40%più povero della popolazioni dei rispettivi paesi. Per farquesto, sostiene Oxfam, bisogna agire su numerosi fron-ti, dalla garanzia di salari dignitosi all’incremento dellaspesa per i servizi essenziali, passando ovviamente peruna maggiore equità e progressività delle politiche fiscalinazionali.

TRAIETTORIEPARALLELEUn giovanemanager,un anzianosenza dimora:le disuguaglianzesi sfiorano, senza davveroincontrarsi, in una grandecittà europea

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annullando ogni possibilità di vederrealizzate adozioni da quei territori.

Le spese delle famiglieOra, col cambio dei vertici, la situazio-ne pare tornata alla normalità: «DallaCai avvertiamo finalmente segnali divita – dice Gianfranco Arnoletti, presi-dente di Cifa onlus, uno delle associa-zioni con il più alto numero di adozio-ni all’attivo –. È fondamentale, perchéci sono tanti paesi che sono lontanianni luce dalla capacità di prendersicura dei loro bambini in difficoltà. Conessi vanno coltivati accordi».

Ma per far crescere il numero delleadozioni ci vorrebbe anche un cambiodi passo politico e culturale: «Fra tuttele modalità che conducono alla genito-rialità, l’adozione internazionale è la

più trascurata, a cominciare dall’aspet-to economico – osserva Arnoletti –: lostato italiano spende milioni per le pra-tiche di adozione nazionale e ha postoa completo carico del servizio sanitarionazionale quelle di fecondazione assi-stita. Le spese delle adozioni interna-zionali, tutt’altro che irrilevanti (svaria-te migliaia di euro, anche oltre i 10 mila)sono invece a completo carico delle fa-miglie, che da qualche anno non pos-sono contare neppure sui rimborsi».

Anche Marco Griffini, storico pre-sidente di Aibi – Amici dei bambini, ènetto: «Il problema di fondo è che da-re una mamma e un papà a un bam-bino rimasto solo non è consideratouna priorità. L’adozione è vista comeun modo per accontentare coppie de-siderose di diventare genitori, ma è ilbenessere del bambino a dover guida-re l’intero processo».

Viaggio verso il bambino realeLa normativa italiana prevede l’ado-zione solo da parte di coppie sposate,anche se permette l’adozione a singlein casi particolari (quando, ad esem-pio, c’è già un legame affettivo fra mi-nore e adottante). Gli aspiranti geni-tori come primo passo si dichiaranodisponibili all’adozione davanti al Tri-bunale per i minorenni, che incaricai servizi sociali di conoscere la coppiae di redigere una relazione psico-so-ciale, che servirà al giudice per valu-tarli e rilasciare il decreto di idoneitàall’adozione internazionale. A quelpunto, essi dovranno conferire un in-carico ufficiale a un ente autorizzato,che li assisterà nel percorso adottivo.

«Una grande difficoltà della coppia– dice Pasquale Serafino, responsabiledella segreteria tecnica della sede Cifadi Roma – è abbandonare l’idea del “fi-glio ideale” lungamente sognato, peravvicinarsi al “bambino reale”, portato-re di un bisogno. L’adozione è un viag-gio verso l’ignoto, che richiede un inve-stimento emotivo fortissimo». È unpercorso nel quale si prende via viaconsapevolezza di moltissime cose. Adesempio che, contrariamente al crede-re comune, non è affatto vero che adot-

Per far aumentare le adozioni ci vorrebbeun cambio di passo politico e culturale.Una difficoltà della coppia è abbandonare

l’idea del “figlio ideale” sognato a lungo,per avvicinarsi al “bambino reale”

tare un bambino molto piccolo rendal’adozione più semplice e facile: il pic-colo infatti tende a riproporre succes-sivamente, tipicamente in età adole-scenziale, le ferite dell’abbandono e iltumulto emotivo del radicale cambia-mento di vita avvenuto con l’adozione.

Secondo il responsabile di Cifa Ro-ma, oggi occorrerebbe ipotizzare mo-difiche alla normativa. «Con il tentativodi molti paesi stranieri di farsi caricoautonomamente dei propri bambini –avverte Serafino –, cresce la possibilitàche ci venga chiesto aiuto specialmen-te per i minori che non hanno trovatouna sistemazione nazionale. Si tratta dibimbi con disabilità o comunque conproblematiche sanitarie (special ne-eds), o molto grandi (quasi adolescen-ti), o che hanno fratelli o sorelle per iquali si richiede un’adozione congiun-ta. Facilitare le adozioni in questi casipotrebbe portare grandi vantaggi».

Ma poi ci sono anche molti bambi-ni che non hanno e non avranno mailo status di adottabilità (ad esempioperché i legami con la famiglia di ori-gine per quanto flebili esistono anco-ra), ma che sono comunque destinatia passare in istituto tutta la loro infan-zia e adolescenza. «In casi come que-sti – commenta Serafino –, si potrebbeimmaginare un affidamento interna-zionale, o una “adozione aperta”, incui famiglia di origine e famiglia adot-tiva mantengono un rapporto. La glo-balizzazione prima e la crisi economi-ca poi hanno cambiato il mondo e do-vremmo aprire un dibattito su comeaiutare in modi diversi i bambini chene hanno estremo bisogno».

Un’emozione fortissimaCon tanti ostacoli, ogni storia di ado-zione riuscita è un’emozione: «Ricor-do – racconta Serafino – un uomo, unmedico, molto scettico sull’adozione.Trascinato dalla moglie, ogni volta chepartiva sembrava andasse al patibolo:un uomo freddo, che al momento diincontrare per la prima volta il bam-bino di 9 anni che stava per adottareriuscì come per incanto a spogliarsidella sua rigidità e professionalità. Fuuna grande emozione vedersi scio-gliere nel medesimo istante due diffi-denze: quella dell’uomo che non cre-deva di poter diventare padre, quelladel bambino che non sperava più dipoter trovare un padre».

AUTENTICA PRIORITÀNatalità in crisi in Italia:

ciononostante, le adozionicontinuano a essere in crisi

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Figli da lontano,

L’Italiaera un modello,per le adozioniinternazionali. Ma negli ultimi diecianni sono calate del 70%, a causa di tendenze planetariee fattori interni. Ora, segnali di ripresa.Da consolidarecambiando le norme.E mettendo sempre al centro il benesseredei bambini

risaputo che la denatalità,in Italia, ha raggiunto livellipreoccupanti: si fanno sem-pre meno figli e si fa fatica ainvertire la rotta. Ma il pro-

blema non riguarda solo le nascite.Anche le adozioni sono in grave crisi:in particolare il settore di quelle in-ternazionali, negli ultimi tre anni, haattraversato il momento più buio edifficile della sua storia, dal quale so-lo da qualche mese, e lentamente, staprovando a uscire.

L’Italia ha sempre rappresentatoun modello, in tema di adozioni in-ternazionali. Ancora oggi, solo gliStati Uniti ci superano come numerocomplessivo di bambini adottati pro-venienti da altri paesi. Eppure, negliultimi dieci anni le adozioni interna-zionali sono crollate del 70%: oggi sifatica ad arrivare a 2 mila nuovi arriviall’anno, quando appena sette annifa, nel 2010, si superava tranquilla-mente quota 4 mila. In parte è un fe-nomeno mondiale, perché i numeri

assoluti sono in calo in tutti i paesiper almeno due ragioni: la crisi eco-nomica, che ha inciso sulla disponi-bilità delle coppie ad adottare, e iltentativo di alcuni grandi paesi (co-me la Federazione Russa) di rispon-dere autonomamente ai bisogni deipropri bambini senza famiglia. In Ita-lia però questa tendenza mondiale èstata peggiorata per tre lunghi annidalla sostanziale inerzia della Com-missione adozioni internazionali,l’organismo della presidenza delConsiglio dei ministri che ha compitidi gestione e di vigilanza.

Lo stesso governo, nel giugno scor-so, ha dovuto ammettere che la com-missione è stata gestita in modo “ir-regolare”. Accuse, polemiche, scontrie veleni hanno caratterizzato i rap-porti fra numerosi enti e la Cai (alcuniepisodi sono finiti anche al vaglio del-la magistratura) e perfino gli accordibilaterali raggiunti con alcuni paesistranieri sono stati dalla Commissio-ne completamente trascurati, di fatto

di Annalisa Loriga

È

nazionale adozioni internazionali

è tempo di ripartire

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Lunedì 16aprile 2018

ore 16 Preghiera di apertura e saluti delle autorità

Introduzionecardinale FRANCESCO MONTENEGRO(Presidente di Caritas Italiana)

ore 17 Prolusione: “Voci di giovani”Coordina: MICAELA FAGGIANI (giornalista TRV Veneto)

Martedì 17aprile 2018

ore 8 Preghiera e lectiopadre ERMES RONCHI (teologo, Ordine dei Servi di Maria)

ore 9 Relazione: “Per uno sviluppo di comunità, il ruolo dei giovani”cardinale GUALTIERO BASSETTI, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve e presidente Cei

ore 11 Testimonianze dal territorio

ore 15 Tavoli di confronto per il discernimento e la testimonianza

ore 18.30 Celebrazione eucaristica

Mercoledì 18aprile 2018

ore 8 Trasferimento presso l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio. preghiera e lectio

don MARTINO SIGNORETTO (Vicario episcopaleper la cultura della diocesi di Verona). presentazione delle esperienze diocesaneper lo sviluppo di comunità, con i giovani

Celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Antonio

ore 16 Tavoli di confronto per il discernimento e la testimonianza

Giovedì 19aprile 2018

ore 8 Preghiera e lectiosuor GRAZIA PAPOLA (teologa, Suore Orsolinedi San Carlo)

ore 9 “Giovani” per uno sviluppo di comunità, vocidal territorio. Esperienze e testimonianzecoordina LUCIA BELLASPIGA(giornalista di Avvenire)

ore 11 Sintesi del confronto in gruppi e orientamenti per un cammino comunedon FRANCESCO SODDU (direttore Caritas Italiana)

ore 12 Celebrazione eucaristica

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n impegno “emancipativo”.Teso cioè a favorire il prota-gonismo di ogni persona nel-la comunità. Perché il termi-ne persona comprende già e

sempre dimensioni di relazione, inclu-sione, dignità, libertà. Che devono es-sere messe in condizioni di esprimersi.A partire dai giovani, i più minacciati –nell’Italia di oggi – dal rischio di pover-tà e precarizzazione delle esistenze.

L’attenzione al tema dell’emanci-pazione dei poveri e dei giovani guidala programmazione di Caritas Italianaper l’anno pastorale in corso. E pla-sma, di conseguenza, anche intenzio-ni, programma e contenuti del 40°Convegno nazionale delle Caritas dio-cesane, in programma dal 16 al 19aprile ad Abano Terme (provincia ediocesi di Padova) sul tema “Giovaneè… #unacomunitàchecondivide”.

«L’io e la comunità non sono con-correnti tra loro, ma l’io può maturaresolo in presenza di rapporti interper-sonali autentici e la comunità è gene-ratrice quando lo sono tutti e singolar-mente i suoi componenti. Questo valeancor più per la famiglia»: le parolepronunciate da papa Francesco ai par-tecipanti al convegno promosso dalDicastero per il servizio dello sviluppoumano integrale, nel 50° anniversariodell’enciclica Populorum Progressio,saranno una delle bussole del conve-

Nella linea del SinodoIl convegno di Abano riveste ancheun altro interesse particolare, legato adue personalità espresse dal territoriopadovano e che hanno fatto (letteral-mente, nel senso di costruito dallefondamenta) la storia di Caritas Ita-liana. Sacerdoti incardinati nella dio-cesi di Padova erano infatti monsi-gnor Giovanni Nervo (primo presi-dente e poi vicepresidente di CaritasItaliana, dal 1971 a 1986) e monsignorGiuseppe Pasini (24 anni di servizio inCaritas, come direttore dal 1986 al1996): il convegno di Abano sarà l’oc-casione, per l’intera “famiglia Caritas”del nostro paese, per rendere omag-gio alla memoria e tornare a meditarel’insegnamento dei due “padri fonda-tori”, rispettivamente nel quinto e ter-zo anniversario della morte.

Tornando ai contenuti del conve-gno, esso si interrogherà su un tempo,l’odierno, segnato da diseguaglianzesociali sempre più accentuate, che –come ricordato dal Papa nel Messag-gio per la prima Giornata mondialedei poveri, inibiscono «lo spirito diiniziativa di tanti giovani, impedendoloro di trovare un lavoro», e da formedi povertà che anestetizzano «il sensodi responsabilità, inducendo a prefe-rire la delega e la ricerca di favoriti-smi», oltre ad avvelenare «i pozzi dellapartecipazione e restringere gli spazidella professionalità, umiliando così ilmerito di chi lavora e produce».

Il convegno Caritas si colloca infinenel solco degli Orientamenti pastoralidella Cei per il decennio, Educare allavita buona del vangelo, e del Sinododei Vescovi, che si aprirà a ottobre, sultema “I giovani, la fede e il discerni-mento vocazionale”, annunciato dadue parole “giovani” utilizzate da papaFrancesco, “ascolto” e “movimento”.

A ciascuna Caritas diocesana èchiesto di prevedere la partecipazio-ne del direttore e di tre collaboratori,con l’auspicio che almeno uno di essisia un giovane.

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Si svolgerà in aprile ad Abano Terme,provincia e diocesi di Padova, il 40°Convegno nazionaledelle Caritas diocesane.Tema e contenutipromettono una forteattenzione al mondogiovanile, minacciatoda precarietàepovertà.L’omaggio ai “padri”Nervo e Pasini

gno di Abano, per affermare che nonc’è contrasto tra diritti individuali e do-veri sociali, realizzazione del singolo esviluppo comunitario, e che gli interes-si privati non vanno messi in contrap-posizione con il bene pubblico.

Convegno sui figli nella terra dei Padri

INCONTRO DI TRE “VENETI”Monsignor Nervo stringe la manoa Papa Luciani, monsignor Pasini assistesorridendo, Sopra, momenti del 39°Convegno Caritas a Castellaneta (Ta)

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40° Convegno nazionale delle Caritas diocesane

Abano Terme (Pd) 16-19 aprile 2018

Giovane è… #unacomunitàchecondivide

Torna a Sotto il Monte Giovanni XXIII (Bg), paese natale del grande pontefice che avviò il Concilio Vaticano II e luogo della prima edizione (nel 2003), l’annuale Incon-tro nazionale dei volontari del Tavolo ecclesiale sul servi-zio civile, nella ricorrenza del 12 marzo, festa di san Mas-similiano di Tebessa, martire per obiezione di coscienza. Il tema del 13° Incontro è quello scelto da papa France-

sco per la Giornata mondiale della pace 2018: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.

In mattinata, testimonianze di volontari in servizio civile in Italia e all’estero e riflessioni di alcuni testimoni.Nel pomeriggio, visita in gruppi ai luoghi legati a San Gio-vanni XXIII e messa presieduta da monsignor FrancescoBeschi, vescovo di Bergamo.

SERVIZIO CIVILESotto il Monte torna a ospitare l’Incontro di San Massimiliano

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alla presenza tra gli altri del car-dinale Luis Antonio Tagle, arcive-scovo di Manila e presidentedi Caritas Internationalis, la Casadella Speranza della diocesi di Rossano-Cariati (Cosenza). Voluta dalla Caritas diocesana e ubicata nella stazione ferrovia-ria rossanese, la Casa della Spe-ranza ospita diversi servizi, dedi-

RIETIInauguratoa Cittarealecentro di comunitàcon foresteria

È stato inaugurato il 10 febbraio a Cittareale

il nuovo centro di comunità realizzato da Caritas Italiana, in collaborazione con la Caritasdiocesana di Rieti. La strutturacostituirà un riferimento socio-pastorale per il paese, colpitodal terremoto del 2016, ed è co-stituita da due corpi di fabbrica,su un solo piano: uno è il centrodi comunità vero e proprio, dovesvolgere attività di catechesi, ag-gregative e sociali, in sostituzio-ne degli spazi pubblici danneg-giati dal sisma; il secondo è unaforesteria con tre camere singo-le e altri locali comuni.

BENEVENTOFattoria sociale,i magistratine sostengonol’azione rieducativa

La magistratura di Bene-vento sta conducendo

un percorso di apertura al territo-rio sannita. Nella prima metà di febbraio ha organizzato un“Cashmob” per l’acquisto deiprodotti a chilometro zero dellafattoria sociale “Orto di casa Betania“, promossa dalla Caritasdiocesana di Benevento e impe-gnata da anni in un’azione di inclusione lavorativa e socialedi giovani in condizioni di disagio.L’iniziativa è stata spiegata daimagistrati, interessati all’effetto“rieducativo” che iniziative comela fattoria possono produrre.

ROSSANO-CARIATIAlla stazioneil cardinal Tagleinaugura la Casadella Speranza

È stata inaugurata nellaprima metà di febbraio,

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cati a persone senza dimora o gravemente emarginate, tra cuii molti stranieri stagionali che lavorano nella zona: dalla docciaalla lavanderia, dallo smistamen-to e consegna di indumenti a unambulatorio medico, in collabora-zione con il centro di ascolto dio-cesano. La Casa ospiterà ancheun Emporio della solidarietà.

Sara è una giovane donna, che insieme ai due figli (8 e 6 anni) si è allontanata da casa e dal marito violento. Per tre anni è stata accolta in una comunità protettadi Caritas, che le ha permesso di riprendere fiducia in se stessa e occuparsi sere-namente dei figli. Oggi lavora come operaia alimentare in un’azienda veronese e condivide con Anna e sua figlia un alloggio, in attesa che le venga assegnatauna casa di edilizia residenziale pubblica.

Caritas diocesana veronese ha realizzato il progetto “Un cuore grande una casa”,dedicato a famiglie (soprattutto monoparentali con capofamiglia donna) in condizionedi precarietà sociale e lavorativa. L’obiettivo è attivare un sistema integrato di accom-pagnamento sociale all’abitare, in grado di promuovere percorsi di emancipazione sociale e abitativa. Dunque si punta non solo a dare ospitalità in una casa, ma soprat-tutto a mettere in atto un intervento di accompagnamento a 360 gradi sulla persona.

Il territorio se ne fa caricoNel contesto del progetto, la coabitazione tra due nuclei familiari mono-genitoriali è stata pensata come una buona soluzione per varie ragioni: per la condivisionedelle spese; per facilitare processi di mutuo aiuto e condivisione; per evitare situazioni di assistenzialismo e stabilizzazione delle accoglienze.

Nel 2017 il progetto ha consentito il recupero di 6 alloggi esistenti, anche gra-zie alla collaborazione con il volontariato (Gruppo Alpini) e con l’Azienda territorialeper l’edilizia residenziale di Verona. Inoltre è stato definito un progetto personaliz-zato per 14 famiglie, con la mappatura del contesto socio-territoriale e la formazio-ne alla gestione ordinaria della vita (alfabetizzazione linguistica e informatica,orientamento al lavoro, ricerca della casa, ecologia-economia domestica. Infine, è stata si è puntato a individuare e formare una rete di volontari (famiglie) chestiano a fianco dei nuclei in difficoltà, per motivare, responsabilizzare, creare reti di buon vicinato. E per favorire una genitorialità sociale.

L’elemento di innovazione sociale del progetto? Il fatto che la famiglia vive in un territorio che se ne facarico. In altre parole, l’aiuto alle famiglie che chiedonoun’abitazione permette di lavorare sulla comunità acco-gliente. Ciò promuove una rinnovata cultura comunita-ria, che previene paure ed emarginazione. Il lavoro di costruzione di una rete territoriale attiva nell’ambitofamiliare, inoltre, vuole scongiurare l’abbandono di compiti di cura e promuovere un atteggiamento cooperativo. E, ultimo ma non ultimo, recuperare alloggi esistenti per arginare il consumo di suolo.

“Un cuore grande una casa”,coabitare è riprendersi la vita

7di Barbara Simoncelliottopermille/Verona

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so della malattia e del-la morte; la realizzazio-ne di un ultimo deside-rio rende l’elaborazionedel dolore e del luttopiù sopportabile.

PADOVAPrevenire il disagio, un corso per consumatoriconsapevoli

È stato promosso dalla Caritas diocesana di Pado-

va, insieme a Lega Consumatori,Acli e Fap Acli, un corso gratuitoper “consumatori consapevoli”.Quattro incontri, tra febbraio e marzo, per affrontare e appro-fondire temi che incidono sullaquotidianità, anche contribuendoad aggravare forme di disagioeconomico e povertà: acquistionline; privacy in rete; telefonia;utenze (energia, acqua e gas);garanzie nella vendita. Il corso intende dare utili indicazioni su come evitare trappole e truffe,comprare in sicurezza e sostene-re i propri diritti, proteggere i datipersonali, leggere fatture e avan-zare reclami, infine aderire a pra-tiche di conciliazione e difendersidalle maxibollette.

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BOLZANO-BRESSANONE“Sogni e vai”,autoambulanzaper esaudirel’ultimo desiderio

Ogni persona ha desideri e sogni che vorrebbe rea-

lizzare nel corso della vita. A chiè gravemente malato, non rima-ne molto tempo per esaudirli. Parenti e operatori sanitari, inol-tre, spesso non hanno mezzi né possibilità per realizzare i sogni dei malati gravi. La Cari-tas diocesana di Bolzano-Bressa-none e la Croce Bianca altoatesi-na hanno deciso di unire le forzeper un progetto comune, il “Wün-schewagen – Sogni e vai”: dal-l’inizio dell’anno, un’autoambu-lanza appositamente progettata,con tanto di relativa veste grafi-ca, consente di effettuare viaggiper realizzare in modo gratuito gli ultimi desideri di grande im-portanza per persone gravemen-te ammalate e morenti, seguitedal servizio Hospice della Caritase dalla Croce Bianca: visitare un posto amato per un’ultimavolta, vedere una persona cara o un amico lontano, e molto altro.L’iniziativa è finalizzata a renderepiù sopportabile il tempo doloro-

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PERUGIA - CITTÀ DELLA PIEVERecuperodelle eccedenze,monitoraggio perrenderlo più efficace

La Caritas diocesana peru-gino-pievese ha intrapreso

una partnership con l’Universitàdegli Studi di Perugia, con l’obiet-tivo di sviluppare un progetto sulrecupero degli scarti alimentari.In concreto, le due organizzazionihanno avviato un monitoraggiodell’attività di recupero di alimen-ti in scadenza per la redistribu-zione solidale (attività praticatadal 2014 dai quattro Empori del-la Solidarietà aperti da Caritas),nonché di scarti alimentari per la produzione di biogas: verrà poielaborato un modello che, dal2019, consentirà la riduzione de-gli sprechi in maniera sistemati-ca ed estensibile ai soggetti del-la distribuzione e ristorazione. Il progetto di monitoraggio – finan-ziato dall’Unione Europea – saràcondotto dalla facoltà di Biotec-nologie dell’Università degli Studidi Perugia, sulla base di un mo-dello che ha prodotto risultati apprezzabili in Danimarca e chesarà poi esportato in Ungheria.

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Le applicazioni di geolocalizzazione e i social media sonodiventati strumenti fondamentali: permettono non solo di tenersi in contatto, ma anche di orientarsi in occasionedi viaggio e nei luoghi in cui ci si trova. Consapevole di ciò, Caritas Italiana, con il sostegno dell’ambasciata degli Stati Uniti in Italia, ha realizzato Migradvisor, applica-zione dedicata ai migranti. Si tratta di un’app in grado di indicare il servizio più vicino: un centro di ascolto Cari-tas, una stazione della polizia, un’ambasciata, un conso-lato, un ufficio postale, un ospedale, una scuola…

Migradvisor segnala il servizio più velocemente rag-giungibile, indicando via e numero di telefono. L’applica-zione può essere consultata in inglese, francese e arabo,oltre che in italiano. Altre due sezioni arricchiscono l’offer-ta di Migradvisor: “Situazioni di rischio” fornisce veloci informazioni sul rischio di abusi, sui diritti dei minori

non accompagnati, su possibili situazioni di sfruttamento o trattae sulla condizione di irregolarità;“Numeri di emergenza” mette in contatto diretto l’utente e 12 servizi di emergenza (numero unico di emergenza, numero verde antitratta,Guardia costiera, servizio prevenzione e contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, ecc).

Migradvisor mette a disposizione dell’utente una banca dati di 74 mila informazioni relative a tutto il territorio nazionale, tratte da fonti ufficiali. Uno spazio dedicato ai suggerimenti è stato pensato per migliorare il servizio. Il raggio di copertura è di trenta chilometri. Se un’informazione non dovesse essere rapidamenteconsultabile, la si può cercare all’interno dell’app graziealla funzione di ricerca con parole chiave.

TECNOLOGIA E IMMIGRAZIONE“Migradvisor”, un’app come bussola per i migranti

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Marzo 2018: sette anni dall’iniziodel conflitto in Siria. Hannah, di Aleppo,è l’emblema di una generazionecresciuta a bombe, orrore, privazioni.E che la rete Caritas continua ad aiutare

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www.caritas.it

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Vere e proprie barriereNel conflitto svoltosi in Bosnia ed Er-zegovina dal 1992 al 1995, sono stateposate quantità impressionanti dimine anticarro e mine antiuomo: cosìtante che, ancora oggi, la BiH è il pae-se con la percentuale di territorio piùminata al mondo (1.091 chilometriquadrati ancora da bonificare). Lemine anticarro si attivano se solleci-tate dai cingoli di un carro armato,

ma anche dalle ruote di un trattore odi un qualsiasi mezzo agricolo o diun’automobile. Le mine antiuomo,invece, sono tarate per scattare conminime pressioni; il piede di un mili-tare, ma anche quello di un contadi-no, o di un bambino che si è allonta-nato da casa, come Anita. «Nell’areadove avevamo comprato la casa, nelpaese di Dubravici, non c’erano staticombattimenti. Dunque la mina che

In Bosnia ed Erzegovina le mine sonodiventate vere e proprie barriere, cheimpediscono a una persona di raggiungere

un’altra zona. E che impediscono, quindi,il riavvicinamento tra le comunità

mi ha colpito è stata probabilmenteportata apposta da qualcuno, perrendere inutilizzabile il terreno».

In Bosnia ed Erzegovina, paese incui è per sua natura assai faticoso rico-struire i rapporti tra le comunità com-battutesi negli anni Novanta, le minesono diventate ulteriori «barriere, cheimpediscono a una persona di rag-giungere un’altra zona. E che impedi-scono, quindi, il riavvicinamento tra lecomunità», afferma il vescovo ausilia-rio di Sarajevo, monsignor Pero Sudar.

Quelle mine, piazzate prevalente-mente durante gli anni del conflitto,stanno in realtà procurando i dannipiù gravi ai nostri giorni: rimuoverle

Negli ultimi anni la comunità internazionale si è adoperata nel tentativo di vietare produzione, commercio e utilizzo di mine e bombe a grappolo.Sono entrate in vigore la Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo, del 1998 (vi aderiscono 162 paesi) e la Convenzione di Dublino sulle muni-zioni a grappolo, del 2008 (119 adesioni, 102 ratifiche). Entrambe le con-venzioni hanno l’obiettivo di proibire l’uso, lo stoccaggio, la produzione e la vendita degli ordigni, imponendo la loro distruzione in ambito interna-zionale, nonché la pulizia delle aree contaminate e l’assistenza alle vittime.

I buoni propositi delle convenzioni e gli impegni presi dalle organizza-zioni firmatarie non sembrano però essere completamente rispettati. Sono molti i casi di violazioni, riportati dalle organizzazioni che analizza-no il rispetto delle due convenzioni. Sono cioè ancora tanti i paesi, auten-tici “Balcani di oggi”, dove l’utilizzo di mine e bombe a grappolo condan-nerà territori e popolazioni a decenni di conseguenze, anche ben oltre la fine dei conflitti in corso.

Nel biennio 2016-2017, l’utilizzo di mine antiuomo da parte di forzegovernative impegnate in conflitti armati ha rappresentato un fenomenoin calo, ma è comunque purtroppo dimostrato un frequente impiego in alcuni teatri di guerra, come la Siria. Le bombe a grappolo sono statesicuramente adoperate in almeno sette paesi negli ultimi dieci anni: Cam-bogia (2011), Libia (2011 e 2015), Sud Sudan (2014), Sudan (2012 e 2015), Siria (dal 2012 a oggi), Ucraina (2014–2015), Yemen (dal 2015a oggi). È inoltre molto probabile che mine e bombe a grappolo sianoutilizzate ancor oggi in Iraq dall’Isis e in Libia dall’Esercito nazionale libico.

Un ultimo fenomeno preoccupante riguarda il crescente utilizzodi mine antiuomo da parte dei cosiddetti Non-State Armed Groups, grup-pi armati molto organizzati ma non statali (ad esempio gruppi di ribelliod organizzazioni terroristiche): questo fenomeno è stato registrato in Afghanistan, India, Iraq, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Siria, Ucraina e Yemen. L’utilizzo di queste armi sfugge dunque al controllo delle entitàstatali, che su di esse dovrebbero avere il monopolio.

Tutto ciò apre scenari inquietanti per il futuro di molte zone del piane-ta: qualsiasi guerra moderna porta con sé effetti perversi e conseguenzedrammatiche che durano a lungo nel tempo, ben oltre la cessazione dei combattimenti armati, e che nessuna parte in causa riuscirà a supe-rare in un breve lasso di tempo. Sminare i territori, e con essi le coscien-ze, sta diventando una necessità globale sempre più impellente.

Ucraina, Yemen, Libia… Balcani d’oggi,nonostante le convenzioni internazionali

RITRATTI DI VITE MUTILATEGambe, braccia, parti di corpo

più o meno estese: le minedeturpano organismi

ed esistenze anche decennidopo la fine di una guerra.

Le immagini di queste paginesono parte di un progetto

di documentazione fotograficain Bosnia Erzegovina e Kosovo,

da cui è stata tratta una mostra

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di Domenico Basilee Daniele Bombardi foto di Rocco Rorandelli /Collettivo Terra Ptoject

A oltre vent’anni dalla fine della guerra,la Bosniaed Erzegovinaè il paese con la percentuale di territorio piùminata al mondo. Leminesegnanoanchela vita quotidiana in Kosovo. La bonifica?Non un problematecnico, ma unavisione del futurodella società

internazionale balcani

a il 1° aprile 2001, la guerraera già finita da più di cin-que anni. Mio zio aveva de-ciso di emigrare negli StatiUniti e così aveva proposto

a mio padre di vendergli la casa in cuiaveva abitato. La casa era vicina allastrada e a un bel terreno. Quel giornoio, mia mamma, mia zia e la mia cu-ginetta di 2 anni decidemmo di fareuna passeggiata per vedere il terreno.Io ero l’ultima della fila, all’improvvi-so un’esplosione: avevo calpestatouna mina. Persi la gamba destra, glialtri rimasero feriti».

Anita Vidovic oggi ha 27 anni, vivea Vitez, Bosnia centrale. «Nell’esplo-sione – rievoca – il mio corpo vennecolpito da molte schegge. Per fortunaavevo una mano vicino all’occhio:una scheggia mi entrò nella mano,ma almeno evitai di perdere la vista».

Sono passati più di vent’anni dalla fi-ne della guerra in Bosnia ed Erzego-vina, e dieci ne sono passati dalla di-chiarazione unilaterale di indipen-denza del Kosovo. Eppure, in questipaesi balcanici sono molto presentinella vita quotidiana, ancora oggi,preoccupanti strascichi dei conflittidegli anni Novanta. Sembra quasi,per molti aspetti, che le guerre nonsiano cessate: in molti luoghi dei Bal-cani sono stati innalzati muri, invisi-bili a occhio nudo ma subdoli. Murisenza mattoni, che però dividono lecomunità in maniera netta: sono co-stituiti dalle mine e dagli altri residuibellici (bombe a grappolo, proiettiliall’uranio impoverito), disseminati inmolti luoghi durante la guerra, perrendere impossibile il riutilizzo delterritorio da parte degli eserciti e del-le popolazioni nemiche.

e

«Ec’èunpaeseda sminare

coscienzeTerreni

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mente non ci pensiamo: quandocammini, quando guidi, sai che ci so-no zone dove non puoi andare, manon ci fermiamo a pensare al perché.Per noi più adulti è diventata una co-sa normale. Sappiamo che le mine cisono, sono là, ma le abbiamo total-mente interiorizzate. La gente vivenormalmente ai bordi dei campi mi-nati, nonostante sia molto pericolo-so. Credo addirittura che i giovaninati dopo la guerra spesso non sap-piano proprio dove siano le mine, oaddirittura che esistano dei territoriminati», argomenta Sinisa Sajevic, at-tivista per la riconciliazione e coordi-natore del programma Peacebuildingdi Caritas Bosnia ed Erzegovina.

riallacciare i rapporti e rafforzare lacollaborazione economico-socialetra comunità, lo sminamento vienevissuto come un problema “tecnico”,non invece come una scelta politicae un investimento strategico nel fu-turo delle comunità.

Quanto sia importante parlare diquesti temi in Kosovo e Bosnia ed Er-zegovina, è stato recentemente con-fermato da un questionario, sommi-nistrato da Caritas Italiana a giovanidei due paesi. Le interviste hannocercato di indagare la consapevolez-za, da parte delle giovani generazioni,degli effetti della guerra e delle con-seguenze di lungo termine dei con-flitti. Si è anche cercato dicapire se la scuola abbia unruolo in tutto questo, inda-gando se negli istituti scola-stici si parli o meno dei pe-ricoli che rappresenta vive-re vicino a campi minati.

La risposta nei due paesiè stata purtroppo negativa.I giovani mostrano di nonavere molte conoscenze inmerito alle mine e agli altriresidui bellici. Alcuni di lo-

ro sanno che ci sono zone, spesso vi-cino a casa, dove non si può andare;ma si tratta per lo più di argomentitabù o di temi non prioritari, nontrattati né approfonditi. «Semplice-

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Admir Faslic ha calpestato una mina a 25 anni. Oggi ne ha 31ed è un atleta. Lo sport è un supporto rilevante, per evitare che gli inva-lidi a causa delle mine finiscano ai margini della società. Admir gioca a sitting volleyball in una squadra di Sarajevo (la Bosnia ed Erzegovinaè la seconda nazione nel ranking mondiale della disciplina). L’incidentein cui ha perso la gamba è accaduto a Sarajevo il 10 agosto 2012, ben 22 anni dopo la fine della guerra.

«Prima vivevo normalmente – rievoca Admir –. Date le scarserisorse economiche della famiglia (i miei genitori non lavorano),andavamo nel bosco per procurarci la legna. Ero passato centovolte in quei terreni e non mi era mai accaduto nulla. Ero conmio padre quando attivai la mina. I danni riportati alle gambemi hanno costretto a subire quattro operazioni; sono rimasto in cura per un anno. Dopo, è stato molto difficile tornare alla vita normale. Per fortuna in BiH esiste la pallavolo per disa-bili, una grande terapia psicologica. Aiuta le persone a dimenti-care la guerra, ad andare avanti, a superare i traumi.

Allo sport mi ha avvicinato una donna. Stavo per finire il per-corso riabilitativo presso il fisioterapista e lei mi chiese se voles-si praticare qualche sport, come faceva suo marito, invalido di guerra. Prima dell’incidente mi piaceva la pallavolo, ma non l’avevo mai seguita. Ero sano e ogni tanto giocavo a calcio.

È stato fondamentale iniziare a fare sport, mi ha cambiato la vita. A 25 anni ero molto giovane, programmavo il mio futuro,sognavo di sposarmi. Quando sono stato in ospedale ero molto

giù di morale: la pallavolo mi ha aiutato a superare questo stato d’animo.Oggi gioco nella “Phantom”. Siamo 17 giocatori, 12 vittime di mine, proiet-tili e granate. Siamo una buona squadra, cinque miei compagni giocanoin nazionale. Io, anche se non dovessi diventare un grande giocatore, conti-nuerò comunque a fare sport.

Per il resto, per fortuna non ho bisogno di partecipare ad altre attività.Lavoro da sei mesi come guardia notturna in un’azienda, sono indipen-dente. Prima gravavo sul budget della mia ragazza e dei miei genitori,con i soldi della pensione di invalidità non coprivo nemmeno le spesemediche». Lavoro e sport: ricostruirsi è dura, ma Admir ci sta riuscendo.

LE STORIEAdmir alla conquista dell’autonomia: «Lo sport aiuta a superare i traumi»

FERITIPER SEMPREMenomazionipiù o menoevidenti: in ognicaso, le mine neipaesi ex jugoslavihanno segnatomigliaia di personeper tutta la vita.Sotto, segnalazionedi campo minato.In basso, ordignofatto brillaredurante bonifica

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Alcuni giovani sanno che ci sono zonedove non si può andare a causa delle minee degli altri residui bellici. Ma si tratta

per lo più di argomenti tabù o di temi nonprioritari, non trattati né approfonditi

completamente è un compito diffici-lissimo e molto costoso, così le minerimangono ancora distribuite in am-pie zone del paese. Si calcola che ol-tre mezzo milione di bosniaci (il 15%della popolazione) abiti in comuni incui sono ancora presenti mine. Lapresenza è così diffusa che, nel dopo-guerra (cioè dal 1996 a oggi) gli inci-denti causati da mine sono stati 1.751e hanno ucciso ben 612 persone. Traloro, anche 51 sminatori impegnatinella bonifica del territorio.

Anche in Kosovo le mine sono benpresenti: dalla fine dalla guerra(1999), sono stati 576 gli incidenticausati dalle mine, di cui 117 mortali.Ancora più sentiti, in territorio koso-varo, sono gli effetti di altri arma-menti, come le bombe a grappolo ele munizioni all’uranio impoverito.Le bombe a grappolo sono ordignisganciati per via aerea, che durantela discesa si aprono, facendo cadere

al suolo una vera e propria pioggia diordigni più piccoli, che non sempreesplodono (si stima che tra il 5 e il30% delle submunizioni non si attivisubito e resti pericolosamente sulterreno, esplodendo in seguito,quando vengono mosse accidental-mente da civili).

«È molto difficile ricordare cosa èaccaduto – racconta oggi Lan Peci,46enne del Kosovo, oggi taxista sullelunghe tratte verso la Macedonia –:stavo raccogliendo nocciole con miocugino Ferki, in un’area frequentatada bimbi e famiglie, attorno a un vil-laggio nella parte centrale del Kosovo.Sulla via del ritorno, ci siamo un po’smarriti tra le montagne. Il terrenoera roccioso, stavamo scivolandoquando probabilmente una pietra haattivato una bomba a grappolo: unaBlu 97, americana. Eravamo distanti4-5 metri dal punto dell’esplosione elo scoppio ci ha trascinati di altrettan-

ti metri più in là. Ci ho messo tre annia recuperare la funzionalità della miamano: se fossimo stati più vicini alpunto dell’esplosione, le conseguen-ze sarebbero state ben più gravi…».

I giovani non sanno«Le mine fisiche rappresentano ungravissimo problema – proseguemonsignor Sudar –. Ma ciò che è dav-vero spaventoso e pericoloso è il fattoche è la nostra società intera a essereminata. È minata dall’indisponibilitàa correggere il male che la guerra hafatto: siamo moralmente minati, per-ché non tolleriamo la vita dell’altro».

Sia in Bosnia ed Erzegovina sia inKosovo, il problema non sta solo nel-la necessità di rimuovere le mine, iresti delle bombe a grappolo, o boni-ficare l’inquinamento da uranio im-poverito. Sminare le coscienze è l’al-tra grande sfida, forse la più difficile.Sono in molti a credere che soloquando saranno rimossi i “residuibellici” dalla mente delle persone, sa-rà possibile completare anche il lavo-ro di bonifica del territorio. Senzaun’adeguata consapevolezza che ènecessario riavvicinare le persone,

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PRESIDENZA DEI PARADOSSI,OBBLIGA A GUARDARE A EST

lità dello spazio allargato a est, dovegoverni garantiti dai voti dell’estremadestra xenofoba hanno visioni geo-politiche concretamente all’oppostodi ogni mandato europeo.

Dipendenza energeticaLa Bulgaria corre lo stesso rischio,con la presenza nel governo di cen-trodestra dei Patrioti uniti, falangevariegata di nazionalisti con punte dineonazismo, cresciuta all’ombra del-la paura per i rifugiati e del muro chela Bulgaria ha innalzato fisicamenteal confine con la Turchia. Ma Sofia, adifferenza di Varsavia e Budapest, hasaputo dissimulare, non alzando loscontro con Bruxelles. Insomma traOrban e la Merkel ha scelto la cancel-liera tedesca, ma solo per continuarea garantirsi i fondi europei, quasi il4% del Pil, senza i quali la Bulgaria fa-rebbe un rovinoso capitombolo.

Il pragmatismo ha sempre con-traddistinto la storia del Paese. Era ilpiù fedele a Mosca negli anni dellaguerra fredda e lo è adesso conl’Unione, ma senza dimenticare l’an-tico legame diventato nel frattempo

ex sovietico. Sofia è totalmente dipendente nel settoreenergetico da Putin, che attraverso Lukoil garantisce il100% delle forniture di idrocarburi. Ma anche l’Unionedipende in parte da Sofia quanto alle politiche sull’im-migrazione. Sofia infatti ha mediato con Erdogan e oraspera di incassare il dividendo, entrando a pieno titolonell’Area Schengen. Così come intende giocare la cartadella povertà per rafforzare la sua crescita economica,chiedendo all’Unione di affrettare la sua presenza nelclub dell’euro.

Il progetto è ambizioso e può costringere finalmenteBruxelles a riflessioni politiche più ampie sull’ingressodell’intera area dei Balcani, finora paralizzate dai timoridi rompere lo status quo legato agli Accordi di Dayton.Empasse che non fa altro che alimentare tensioni perio-diche. E condannare interi popoli alla povertà e alla logi-ca delle mafie e della corruzione.

La Bulgaria ne incarna tutte le con-traddizioni e perfino i paradossi. Èsufficiente dire che toccherà in questisei mesi al paese più corrotto del-l’Unione, secondo l’indice di Traspa-rency International, avviare le proce-dure per l’Eppo, la Procura europeaantifrodi. Ma la Bulgaria è anche ilpaese più povero, dove – dati dell’Isti-tuito di statistica di Bruxelles –, il 49%della popolazione si trova a rischio dipovertà e di esclusione sociale.

Sono gli anziani i bulgari che stan-no peggio. A Sofia il welfare è un mi-raggio, il sistema sanitario nazionaleè fragilissimo. Il tasso di povertà tra gli over 65 è tre voltela media europea, mentre il Pil del paese si colloca in fon-do alla classifica Ue. Dalla Bulgaria allora si scappa. Dal-l’entrata in Europa, dieci anni fa, Sofia ha perso uno degliotto milioni di abitanti.

Così il paese arriva in condizioni drammatiche allaguida dell’Europa, ma la circostanza può essere utile aentrambi. Senza eccessive illusioni. La presidenza a ro-tazione non vincola le istituzioni di Bruxelles e la politicadei singoli membri, come invece dovrebbe. La presidenzapolacca, per esempio, non è stata l’occasione per aiutareVarsavia a smarcarsi dal suo euroscetticismo. Anzi, inqualche modo la Polonia è finita per rafforzarsi nelle sueconvinzioni, al punto di finire, primo paese europeo,quasi sospeso per via di alcune leggi sui diritti e la divi-sione dei poteri, in contrasto con gli ideali democraticidell’Unione. Stesso rischio per l’Ungheria e la quasi tota-

Nella prima metà del 2018 la Bulgariaguida l’Ue. È il paese più povero. Esposto ai venti dell’estremadestra xenofoba. Ma ha un atteggiamento

pragmatico. Vuolel’euro. E può costringere

Bruxelles a riflessionipolitiche ampie sul

rapporto con i Balcani

un ruolo da poco, come tutti quelli di vertice regolati dal si-stema della rotazione. Eppure la presidenza dell’Ue, affidataper questo semestre alla Bulgaria, costringe l’Europa a una ri-

flessione che potrebbe essere decisiva per il suo futuro. C’è un’agen-da che va oltre le schermaglie franco-tedesche e i temi classici cheinchiodano l’Unione all’immobilismo delle paure incrociate dei ric-chi, e che mai ha superato la soglia del dibattito politico e accade-mico. È quella dell’allargamento a est e dell’Europa a due velocità,evocata più volte dalla saggezza di Romano Prodi, che tuttavia hasempre stentato a trovare una sua road map decisiva.

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zeropovertydi Alberto Bobbio

È

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Non per sempre vittima«Ci vorrà certamente più tempo persminare la nostra società in modo fi-gurato, che togliere fisicamente lemine che sono i mezzi per separarela gente, impedendo il contatto conl’altro. Ma lavorare a questo smina-mento psicologico e spirituale è l’im-pegno e il dovere delle comunità re-ligiose», conclude monsignor Sudar.Per questo motivo, le chiese e le Ca-ritas in Bosnia e Erzegovina e in Ko-sovo, in questi anni si sono adoperateampiamente per avviare percorsi diriconciliazione e di recupero psicolo-gico e sociale delle vittime delle guer-re degli anni Novanta. Negli anni so-no nati e proseguono diversi progettidi peace building, di supporto allevittime, di dialogo tra le etnie e le co-munità religiose, di educazione allapace per le nuove generazioni.

Gli aiuti statali e quelli delle orga-nizzazioni non governative alle vitti-me di mine non sono sempre suffi-cienti ad affrontare la dura quotidia-nità, in paesi che già soffrono di ampiproblemi sociali ed economici. Anita

spiega quali sono i supporti di cuipuò beneficiare una vittima di minein Bosnia ed Erzegovina: «Io sono in-valida al 100%, ho diritto a una pen-sione di invalidità, ma in base ai con-tinui cambiamenti legislativi anchel’entità della mia pensione cambia.Ogni tre anni ricevo un contributo

internazionale balcani

statale per i costi della nuova protesi,ma sono i miei genitori che copronoi costi maggiori, perché lo stato con-tribuisce per circa un terzo delle spe-se. Le ong locali, invece, non sonomolto attive, soprattutto per questio-ni economiche: quella frequentatada mia madre, per esempio, ha chiu-so per mancanza di fondi».

In Kosovo la situazione non è mol-to diversa: «Ricevo un aiuto dallo sta-to, ma sono solo 120 euro. Cosa pos-so farci, con una famiglia da 5 com-ponenti? Inoltre nella nostra cittànon esistono associazioni di soste-gno alle vittime – lamenta Lan –. Perfortuna ho trovato lavoro come tassi-sta, sulle lunghe tratte, verso Skopjein Macedonia. È l’unico lavoro cheposso fare, ma è stressante avere ache fare con tanta gente ogni giornoper pochi euro».

Così la chiesa, per quanto possibi-le, cerca di dare il proprio contributo,colmando le lacune del sistema sta-tale. Anita ha trovato un lavoro: dopoavere terminato gli studi universitari,è stata assunta dalla Caritas diocesa-na di Sarajevo come educatrice pres-so il nuovo asilo da poco aperto nellacittà di Zenica, a pochi chilometri dacasa: «Io capisco che molte vittimehanno difficoltà a parlare della lorostoria, ma io non voglio restare persempre vittima. Io oggi cerco di vive-re positivamente, ogni giorno. Lo fac-cio diffondendo energia, voglia di vi-vere e amore a bambini dell’asilo incui lavoro». Ed è questo, lo smina-mento più profondo.

Nijaz Mamic, 43 anni, ha attivato la mina che gli ha reciso una gambanel 1993, nella zona est di Sarajevo. «Eravamo in cinque ed esploserodue mine – racconta oggi –, a causa delle quali tutti rimanemmo feriti:io ho perso la gamba sinistra, un amico un piede, gli altri subirono dan-ni minori. Ero uno sportivo e uno sciatore già prima della guerra. Dopo,ho iniziato a praticare la pallavolo per mutilati, ma non mi ci ritrovavo.Allora ho cominciato a sciare e sono diventato il primo atleta a rappre-sentare il mio paese in competizioni internazionali, vincendole, e ancheai Giochi paraolimpici invernali di Vancouver 2010, dov’ero il portaban-diera. Ai prossimi Giochi, in Corea, sarò allenatore.

Lo sci da noi è molto seguito: Sarajevo ospitò le Olimpiadi invernalinel 1984. Così ho potuto aprire una scuola per giovani sciatori con disa-bilità: è il primo progetto del genere nel nostro paese, iniziato lo scorsoanno. È gestito da un’associazione che ottiene finanziamenti privati; abbiamo 15 ragazzi, maschi e femmine, anche con gravi disabilità.

Io sono invalido al 70% e ricevo una pensione di circa 200 euromensili. Lo stato mi copre i costi della protesi. Per sciare però ho biso-gno di una protesi particolare, molto costosa. Per fortuna non ho biso-gno di altri aiuti; piuttosto, vorrei ci fossero più donatori per le attivitàsportive che promuovo».

LE STORIENijaz, il primo portabandiera:rialzarsi si può, fino a un’Olimpiade…

CENTIMETRO PER CENTIMETROPrecisione, professionalità, cautela:l’impegnativo (e costoso) sminamentodi un campo in Bosnia visto dal drone

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ma dell’anemia di circa 613 milioni didonne in età riproduttiva, patologiache in termini percentuali (33%) nonsi è ridotta dal 2005. Quest’ultimo da-to, e altri, evidenziano una maggioreesposizione alla malnutrizione delledonne rispetto agli uomini.

Iniquità, nodo irrisoltoL’aumento dell’insicurezza alimentarenegli ultimi anni è senza dubbio stataindotta da fattori ambientali, in parti-colare dai fenomeni climatici El Ninoe La Nina, che hanno provocato siccitàe alluvioni in diverse regioni del mon-do. Tuttavia, in molti dei contesti col-piti la causa decisiva e spesso preva-lente della fame è stato l’espandersi diconflitti violenti, spesso mascherati efomentati con motivi etnici e religiosida elite al potere, al soldo di interessieconomici locali e internazionali.

Nel mondo, il 60% degli 815 milionidi affamati vive in effetti in paesi inconflitto. E spesso le violenze sono au-mentate in aree già provate da insicu-rezza alimentare, colpendo principal-mente zone rurali, con un impatto ne-gativo su produzione e accesso al cibo.

Oltre alle guerre, vi è la violenza eco-nomica e sociale che agiscein modo più subdolo, manon meno dannoso. Siccità ealluvioni negli ultimi due an-ni hanno avuto effetti delete-ri a causa della vulnerabilitàcronica di tante comunità,provocata da decenni di po-litiche a svantaggio dei pic-coli agricoltori, che produco-no la gran parte del cibo nelmondo, e a vantaggio delcommercio internazionale e

dell’industria agro-alimentare. Proces-so incentivato dai sistemi di sussidia-zione di prodotti agricoli (e conse-guente dumping) e biocarburanti neipaesi industriali e dai piani di aggiusta-mento strutturale cui nel passato sonostati sottoposti paesi indebitati.

Tutto questo ha reso i sistemi ali-mentari di gran parte dei paesi africa-ni, e non solo, altamente dipendentidall’importazione di cibo ed estrema-mente vulnerabili al clima e alle oscil-lazioni dei prezzi. Tutto ciò, nonostan-te la crescita costante della produzio-ne agricola mondiale, avvenuta a tassipari o superiori a quello della popola-zione. Come denunciato dagli ultimirelatori speciali per il diritto al cibo alleNazioni Unite, l’iniquità nell’accessoalle risorse necessarie per procurarsi ilcibo (producendolo o acquistandolo)e nella distribuzione del potere tra i di-versi attori lungo la filiera alimentare,costituisce un nodo fondamentale,che le politiche di lotta alla fame nonhanno saputo sciogliere.

Nuove forme di colonialismoIl potere dell’industria agro-alimenta-re (oggi principale beneficiario degli

L’impegno Caritas

A seguito delle crisi alimentari, negli ultimi tre anni CaritasItaliana, grazie alle offerte ricevute e a contributi dell’otto per mille Cei,ha partecipato alla risposta della rete Caritas Internationalis in appog-gio all’azione delle chiese locali in 12 paesi dell’Africa centrale e orien-tale. Gli ambiti di impegno più importanti sono stati la sicurezza ali-mentare, l’accesso all’acqua, la sanità e l’igiene. Gli interventi hannointeso per lo più favorire la partecipazione e potenziare le capacità dellecomunità, per evitare dinamiche di dipendenza cronica dagli aiuti. Soloin Africa orientale, nel 2017, complessivamente la rete Caritas ha aiuta-to più di 3,5 milioni di persone.

Al lavoro in 12 paesi d’Africa, per superare la dipendenza dagli aiuti

investimenti diretti all’estero) è co-stantemente aumentato e si è con-centrato progressivamente in pochigruppi, in grado di controllare tutte lefasi delle filiera. L'iniquità è acuita daisistemi di brevetto di sementi, da fe-nomeni di accaparramento di risorsenaturali per scopi non alimentari, dal-la speculazione finanziaria, dall’au-mento dei paesi ad alta fragilità poli-tico-istituzionale e da meccanismi digovernance globale ancora troppo de-boli per regolare i mercati globali e ga-rantire meccanismi di protezione dibeni che non possono essere trattaticome merci qualsiasi.

Il riacutizzarsi della fame è insom-ma l’esito di nuove forme di colonia-lismo, che penalizzano le periferieglobali e di fatto producono una com-petizione nell’uso delle risorse tra l’es-senziale per molti e il lusso per pochi.Una competizione, però, che non sigioca alla pari, tra parti che hanno lostesso potere di influenza nelle deci-sioni che hanno effetti sulle loro vite.Bisognerebbe tornare a dare voce epeso, nelle politiche che li riguardano,a coloro che vivono sulla propria pelleil problema della fame. Tanto più cheall’ingiustizia socio-economica si ag-giunge quella ambientale: le catastrofisono più intense e frequenti a causadel cambiamento climatico, e minanotanto più profondamente l’accesso alcibo, dove le popolazioni sono menoresponsabili dei mutamenti climatici.

In definitiva, non è nel clima o nellascarsità di produzione che vanno ri-cercate le cause della fame. Piuttosto,nell’iniquità e nella violenza. La famedi pane potrà essere saziata solo se losarà quella di giustizia e di pace.

VOLTI E PAESAGGI DESOLATISfollati e affamati in Somalia centrale;sopra, fiume in secca nel Turkana (Kenya);sotto, si coltivano terre desertificate

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di Fabrizio Cavalletti

laTorna

famen Expo 2015 “Nutrire il piane-ta” gli stati di tutto il mondoesposero soluzioni innovativee assunsero solenni impegniper un mondo senza più fame

e per la piena attuazione del dirittoumano universale all’alimentazione.Nei nuovi Obiettivi di sviluppo soste-nibile approvati dall’Onu nello stessoanno, è fissato il termine del 2030 per«porre fine alla fame, raggiungere lasicurezza alimentare, migliorare lanutrizione e promuovere un’agricol-tura sostenibile».

Ebbene, a più di due anni da tuttoquesto, secondo l’ultimo rapportodelle Nazioni Unite sullo stato della si-curezza alimentare nel mondo, nel2016 le persone denutrite sono torna-te ad aumentare, dopo un lungo pe-riodo di decrescita, raggiungendo laquota di 815 milioni, 38 milioni in piùdell’anno precedente, più dell’interapopolazione europea. Il continenteafricano ha fatto registrare il poco in-

Nel 2016 le personedenutrite nel mondosono state 815 milioni(38 in più del 2015). Gli impegni assunti insede Onu non bastano, se guerre e distorsionieconomichepenalizzano i piccoli agricoltori,soprattutto in Africa.Amplificando i mutamenti climatici

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internazionale africa

vidiabile primato di maggiore incre-mento in valore assoluto e di maggio-re quota percentuale sulla popolazio-ne (22,7%). È in Africa, oltre che in Ye-men e in Siria, che nel 2016 e 2017l’effetto combinato di siccità e guerra,in contesti ad alta vulnerabilità, haprovocato crisi alimentari tra le peg-giori degli ultimi decenni. Ciò ha ri-guardato una vasta area principal-mente dell’Africa centrale e orientale,con circa 70 milioni di persone in 45paesi, che hanno necessitato di assi-stenza alimentare d’urgenza, un in-cremento del 40% rispetto al 2015.

Ma il tema della malnutrizione è untema aggravato da alcuni paradossi. Alivello mondiale si contano infatti circa2 miliardi di persone con carenze di vi-tamine e minerali essenziali, mentre641 milioni sono obese (dato in cresci-ta in tutte le regioni). In riduzione sonoi disturbi della crescita infantile, chetuttavia colpiscono ancora 155 milionidi bambini, mentre persiste il proble-

di cibo e di pace

PER APPROFONDIRESopra, la foto di copertinadi Fame di pace, il dossier con datie testimonianze pubblicato on linesul proprio sito da Caritas Italiananello scorso gennaio, dedicatoalle crisi alimentari che hannosegnato l’Africa negli ultimi anni

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cia nei processi di inclusione sociale.Il Borbollón è una delle villas (nate

da altrettanti asentamientos) più gran-di di Mendoza, importante città nelnord-ovest dell’Argentina. È situato acirca 15 chilometri dal centro cittadino;quando lo si visita per la prima volta, larealtà che ci si trova di fronte è peggioredi quella che ci si era immaginati. Lo siavverte subito, ancor prima di scende-re dall’auto: più ci si avvicina, più l’ariache entra dai finestrini dell’autobus ur-bano diventa irrespirabile. Un odorenauseabondo, che rende l’aria irrespi-rabile: quello della spazzatura bruciata.Le colonne di fumo che si vedono in-nalzarsi sul ciglio della strada non sonoinfatti prodotte da roghi di sterpaglia;il quartiere è costruito sopra un basu-ral, una discarica.

L’accampamento è cinto da unmuro costruito rozzamente. Guar-dando attraverso una delle tante fes-sure, dentro si possono vedere maiali,galline e cavalli. Gli animali circolanotra i bambini scalzi, sporchi e vestitialla meno peggio, che giocano libera-

testi e fotodi Alessandro Falagario e Paolo Rizzo

mpiegati, domestici, infermie-ri, meccanici, tessitrici, becchi-ni e contadini. Sono a BuenosAires, ma è un territorio abitatoda molti altri: la gente viene da

Chaco, Paraguay, Bolivia, Salta, San-tiago, Entre Rios, Formosa, Rosario.C’è una comunità che cerca di soste-nersi, unendo i legami in uno scena-rio che la ignora e cerca di espellerla».(Villa miseria también es America,Bernardo Verbitsky, 1957).

* * *Moltissime persone in Argentina co-struiscono le loro abitazioni in barac-copoli, perché la realtà sociale dellegrandi città non dà loro altre oppor-tunità concrete, e tende irrimediabil-mente a respingerle ai margini edescluderle. L’unico spazio per soprav-vivere, quando un processo di inur-bamento fallisce, è proprio quellodell’accampamento (asentamiento),ma si tratta di luoghi in cui rischianodi venir meno il rispetto della dignitàumana, la garanzia dei diritti, la fidu-

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internazionale argentina

sopra la discarica

In Argentina non si arresta il proliferaredelle , quartieri di baraccheche ospitano milioni di persone (si stima il 10% della popolazione)alla periferia delle aree urbane.Fenomeno vecchio di decenni. Eppure le condizioni di vitarestano pessime

VivereBorbollón,

villas miserias

al

FIGLI DELLA PERIFERIAUn bimbo con la magliadella nazionale di calcioargentina, di frontealla catapecchia in cuivive al Borbollón, a Mendoza

I SOCIAL MEDIA,PIÙ DI METÀ DELLA GUERRA

Man mano che gli strumenti perl’auto-pubblicazione di risorse multi-mediali si sono evoluti, è diventatoevidente che i social media vengonosempre più spesso utilizzati comestrumenti di guerra, vere e proprie ar-mi a disposizione delle parti in causa:a farne uso non sono, appunto, sem-plici cittadini imparziali (fenomenonon scomparso completamente, maassai limitato, anche perché l’impar-zialità per chi vive i conflitti dal didentro è assai difficile), ma attori pro-tagonisti dei conflitti, portatori di unaprecisa strategia comunicativa.

Occorre chiarire bene: vi è chi denuncia e documentale atrocità dei belligeranti, anche grazie ai social media,al fine di dare voce a chi non ne ha, oppure per promuo-vere un movimento di pace dal basso, oppure richiesteprecise di cessate il fuoco in contesti violenti. Gli esempinon mancano, ogni giorno, in ogni teatro di guerra, conazioni lodevoli e coraggiose, che spesso mettono a rischiola vita stessa di chi le realizza e le divulga.

Tuttavia vi è qualcosa di nuovo e terribile. «Siamo inbattaglia. E più della metà di questa battaglia sta avve-nendo nel terreno dei media», scriveva già nel 2005 Ay-man al-Zawahiri, ai tempi numero due di al-Qaeda. Co-me ha ben raccontato Simon Cottee, ricercatore di crimi-nologia all’Università di Kent, una versione simile dellostesso motto («i media sono più di metà della battaglia»)è utilizzata anche dal Center for Strategic Counterterro-rism Communications del Dipartimento di Stato statu-

nitense, fondato nel 2010 per contra-stare la propaganda jihadista online.Sì, perché i social media e in generalegli strumenti digitali sono veicoli as-sai efficaci per reclutare truppe e perinfluenzare in modo significativo lesorti delle guerre e delle dinamichegeopolitiche internazionali.

La narrativa è più importanteC’è addirittura chi va oltre, afferman-do che «la guerra narrativa è diventa-ta più importante di quella delle navi,del napalm e dei coltelli». Parole diOmar Hammami, jihadista noto peressere stato fino al 2013 uno dei lea-der di Al-Shabaab, il movimento isla-mista somalo.

Insomma, con il proliferare deglistrumenti di produzione digitali, glianalisti sono concordi nell’affermareche è profondamente cambiata an-che la natura della guerra, combattu-ta sempre più spesso nelle nuove are-ne informative online, a colpi di mes-saggi estemporanei su Twitter, foto suFacebook e Instagram e, soprattutto,video su YouTube.

Negli ultimi anni, proprio i filmati

I l raccontare i conflitti e il raccontarsi durante i conflitti – per chili vive in prima persona – non è mai un’impresa statica e definita.Negli ultimi anni si è affermato sempre di più l’utilizzo dei social

media per documentare le situazioni di crisi e di conflitti in tutto ilmondo al mondo. Con risvolti sempre diversi e spesso inquietanti.

Infatti, come già sottolineato nelle prime ricerche condotte daCaritas Italiana sui conflitti dimenticati, ormai si è andati ben oltrela retorica del citizen journalism, secondo cui ipotetici cittadini di-sinteressati riprendono gli eventi in maniera neutra, per poi con-dividerli sui social network.

Il racconto dei conflitti,in tutto il mondo,

è sempre più affidatoagli strumenti digitali.Che aprono spazi a chiha intenzioni di pace.

Ma sono diventatisoprattutto un terrenodi battaglia cruciale,su cui si confrontano

gruppi terroristici,governi e opposizioni

autoprodotti hanno assunto un ruolo fondamentale nellarappresentazione dei conflitti. Si sono rivelati un potentestrumento di propaganda, intimidazione e cooptazione,come ben dimostra l’uso professionale che ne fa l’Isis, ilmovimento estremista islamico che ha preso il posto dial-Qaeda nell’arena mediatica del terrore. Tali strategienon sono naturalmente limitate all’Isis e ai gruppi fon-damentalisti e terroristici, ma sono ben più diffuse, siatra i governi – in forme di propaganda più o meno fine-mente mascherata –, sia tra i gruppi di opposizione chesi contendono potere e territori nei contesti di guerra,sempre più frequenti e diffusi in tutto il mondo.

Il fenomeno non fa altro che ampliarsi ed è assai difficileda controllare. Ecco perché una governance globale delle di-namiche di guerra non può trascurarne l’importanza, nonsolo in riferimento al terrorismo internazionale, ma anchea ogni altra forma di violenza armata e organizzata.

cibodiguerradi Paolo Beccegato

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10% della popolazione vive in asenta-miento. Questi insediamenti nonhanno accesso a servizi quali acquacorrente, elettricità o fognature. Ven-gono impiantati e si sviluppano suterreni spesso occupati illegalmente,e sono contraddistinti da abitazioniassai precarie, con pareti in tela o car-tone, il pavimento in terra battuta e iltetto in nylon per proteggersi dallapioggia. Come accade nel caso delBorbollón, spesso questi quartieri so-no costruiti sopra discariche a cieloaperto o in aree a rischio di allaga-mento e di difficile accesso.

La citazione di Verbitsky riportatain apertura è tratta da un libro scrittopiù di 60 anni fa, nel quale si descrivo-no le orribili condizioni di vita dei mi-granti in Argentina. Le villas o – quan-do sono allo stato nascente – asenta-mientos (insediamenti informali)prendono il nome dal famoso roman-zo del giornalista argentino. Sono co-munità non rurali, prodotte da feno-meni di esclusione sociale in ambien-te urbano. Sono caratterizzate da graviproblemi sociali, come l’analfabeti-smo, la mancanza di igiene, il narco-traffico, e generano forti contrasti eforme estreme di segregazione urba-na e di disuguaglianza socio-econo-

sviluppo e nella promozione di attivi-tà educative e culturali.

Il direttore del centro spiega comefunziona la principale fonte di auto so-stentamento del quartiere: la discarica.Ogni giorno, tra i 14 e i 17 camion(ognuno dei quali porta circa 15 ton-nellate d’immondizia) scaricano legal-mente l’immondizia nella discarica.Altri 10 camion al giorno, però, scari-cano illegalmente l’immondizia in pic-coli terreni circostanti, proprietà di pri-vati, che ricambiano il “favore” pagan-do 250 pesos per ogni “consegna”. Adepositi effettuati, il lavoro consiste nelselezionare l’immondizia riciclabile,bruciare la parte restante e seppellirla.Un sistema rudimentale, che sta ini-ziando a entrare in crisi, perché ulti-mamente grandi supermer-cati e molte catene distribu-tive hanno fiutato il businessdei rifiuti rinnovabili e l’im-mondizia che arriva è – diconseguenza – meno ricca dimateriali pregiati e riciclabili,di “minor qualità”.

Un tetto in nylonL’Argentina stenta ancora ariprendersi dalla crisi del2001. Non è un caso che il pri-

mo punto del programma di tutti i go-verni argentini che si sono succeduti dal2001 in poi è stato ridurre la povertà. Untale impegno è stato solo in parte ono-rato: se infatti, all’indomani della crisi,il 45% della popolazione viveva sotto lasoglia di povertà, oggi la percentualecontinua a variare tra il 25 e il 30%.

E così il fenomeno degli asenta-mientos e delle villas miserias continuaa proliferare. Delle 4.100 villas censitein Argentina, 1.611 sono in provincia diBuenos Aires (poco più del 40% degliinsediamenti informali e “illegali” delpaese). Dopo Buenos Aires, Santa Fe èla provincia con la maggior parte dellevillas (333), seguono il Chaco (264),Misiones (243) e Mendoza (205).

A livello nazionale, si stima che il

L’INFERNO NON ÈUN MODO DI DIRELa commistione traesseri umani e animali,la pessima qualità delleabitazioni, il fumo chederiva dai rifiuti bruciatinelle discariche prossimeagli insediamenti illegali:le condizioni di vita,nelle villas miseriasargentine, sono una minaccia costante per la salute degli abitanti

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Per mettere in agenda miglioramenti dellecondizioni di vita negli accampamenti,fondamentale sarebbe poter appurare

la quantità delle persone che vi risiedono. Ma è molto difficile ottenere stime credibili

tare soltanto la scuola primaria, per-ché le secondarie non si trovano nelquartiere in cui abitano e le difficoltàdi spostamento con i mezzi pubblicili costringe ad abbandonare la scuolaprima di completare il ciclo di studiobbligatorio. Abbandonata la scuola,il rischio più grave che i bambini cor-rono è cadere nell’abisso della droga.

Sembra assurdo, ma il flagello dellatossicodipendenza inizia a colpire i figlidelle villas già dall’età di 8-9 anni. Ladroga è abbastanza semplice da repe-rire, la più economica è il poxyram, unacolla che vendono i ferramenta. L’uti-lizzo di questa sostanza, oltre a causarevomito, anoressia o addirittura, se sitratta di un uso cronico, morte improv-visa da aritmia, influisce spesso sucambiamenti del comportamento edella personalità, arrivando a determi-nare episodi di furia isterica e di violen-za, che si scaricano spesso sulle donne.

È molto difficile incontrare uomininell’asentamiento. Sembra che al Bor-bollón vi siano solo donne, che cam-

mente tra loro. È difficile abituarsi al-l’atmosfera di un asentamiento.

Le case del Borbollón sono senzafogna; gli abitanti espletano i loro bi-sogni fisiologici all’aperto, in latrineche vengono coperte una volta sature.Gli operatori locali assicurano che lelatrine non contaminano la purezzadel pozzo da cui tutte le case attingo-no, ma dal punto di vista delle conse-guenze sanitarie le latrine copertenon sono certamente un toccasana.Le baracche dell’accampamento sonoallacciate abusivamente all’acquacorrente e al sistema elettrico. Nellenotti più fredde la temperatura scen-de sotto gli zero gradi e uno dei modipiù usati per scaldare le abitazioni, maanche per cucinare, è tracciare un sol-co in un mattone e far passare un filoelettrico. Molti bambini finiscono cosìper ustionarsi, venendo a contattocon i mattoni. Una fonte alternativa dicalore è rappresentata dagli animali.Alcuni bambini dormono abbracciatiai cani per potersi riscaldare. Eccoperché gli animali sono importantiper le famiglie. Ci sono circa 6-8 caniper ogni famiglia e, ovviamente, sonotra i principali portatori di malattie.

Solo la scuola primariaPer poter effettuare interventi di mi-glioramento delle condizioni di vitadell’accampamento, fondamentalesarebbe appurare la quantità dellepersone che vi risiedono. Ma è moltodifficile ottenere una stima credibile.Molte persone, infatti, si trasferiscononell’asentamiento per poco tempo epoi se ne vanno via, in cerca di desti-nazioni migliori. Ciò ovviamente ren-de difficile avere anche solo le basi co-noscitive per progettare e svilupparequalsiasi intervento nel lungo periodo.

Tra i progetti sociali che più spessovengono proposti negli insediamenticome il Borbollón, diversi riguardanol’istruzione dei minori. I bambini rie-scono però, se ci riescono, a comple-

internazionale argentina

minano tra le casupole accompagna-te dai loro figli. In molti visi si scorgo-no segni di violenza e di diffidenza ri-spetto a ogni presenza esterna. Ledonne tendono ad avere molti figli,sin da giovani: Jennifer, 42 anni, è ma-dre di 17 figli; Rosy è minorenne, ma ègià due volte madre. D’altronde i figli,una volta cresciuti, abbandonanopresto la casa familiare. Come procu-rarsi, in quel caso, un tetto sulla testa?la soluzione più semplice è costruirsiun’abitazione ai margini dell’insedia-mento, che così si amplia sistematica-mente. Importa poco che la casa ab-bia muri di cartone e nylon e non ab-bia accesso ai servizi basici.

“Asentamiento” ambitoNonostante le terribili condizioni divita, il Borbollón è uno degli asenta-miento piú “ambiti” della provincia.Molte persone si sono trasferite quada altri quartieri di Mendoza (o anchedella provincia) per poter lavorarel’immondizia scaricata legalmente (enon) dai camion. Una volta arrivati, lasoluzione più semplice è stata quelladi costruire una casa a dir poco pre-caria. Nel quartiere vi è un centro chefornisce cure di prima necessità (tracui vaccinazioni) e si impegna nello

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contrappuntodi Giulio Albanese

FORZIERE INSANGUINATO,ALTRO CHE AIUTI ALL’AFRICA...

in tutto il mondo. Negli ultimi ven-t’anni, vasti settori del paese, soprat-tutto sul versante orientale, sono sta-ti teatro di scontri che hanno coin-volto una galassia di gruppi ribelli,molti dei quali finanziati e sostenutidai paesi limitrofi (Uganda e Ruan-da), coinvolti nell’estrazione illegaledelle ricchezze del sottosuolo.

Secondo autorevoli fonti della so-cietà civile, la svolta sarà davveropossibile nella misura in cui vi saràmaggiore coerenza da parte della co-munità internazionale. L’Europa,spiace scriverlo, ha una condotta chelascia molto a desiderare. Se è veroche il capo della diplomazia Ue, Fe-derica Mogherini, ha denunciato, loscorso 3 gennaio, il ricorso alla vio-lenza, l’attacco alla libertà di espres-sione e il blocco dei mezzi d’informa-zione da parte del governo di Kabila,però l’Unione non ha minacciatonuove sanzioni contro Kinshasa.Stando a fonti diplomatiche accredi-tate a Bruxelles, i governi di Francia eSpagna avrebbero impedito che vifosse una presa di posizione piùesplicita nei confronti di Kabila.

D’altronde, sono molteplici gli interessi francesi nell’exZaire, dalle attività di Bolloré Africa Logistics (creata perconsolidare le infrastrutture e le attività logistiche delGruppo Bolloré in tutto il continente africano, mira allaconcessione del corridoio ferroviario e stradale Matadi-Kinshasa), a quelle della compagnia petrolifera Total, allafrontiera con l’Uganda. E cosa dire di Madrid, preoccu-pata di tutelare gli affari della Actividades de Construc-ciones y Servicios, alla testa di un consorzio per la costru-zione della grande diga di Inga?

La posizione di Francia e Spagna è certamente condi-visa anche da altre potenze straniere, come il governo diPechino, tradizionalmente allergico all’agenda dei dirittiumani, soprattutto quando si tratta di affari. Una cosa ècerta: a parte i proclami di facciata delle grandi potenze,nessuno aiuta gli africani a casa loro… E la questionecongolese lo dimostra ampiamente.

dal Comitato dei cittadini cattolici, siè verificata una violenta repressioneda parte delle forze governative, conun bilancio di 11 morti nella capitale,Kinshasa, e di uno a Kananga; nume-rosi i feriti e gli arrestati (impune-mente) con l’accusa di sovversione.

La marcia nonviolenta aveva lo sco-po di invitare il presidente uscente Jo-seph Kabila, che già da tempo avrebbedovuto dimettersi, a rispettare il primoparagrafo dell’articolo 70 della Costitu-zione, che recita: “Il Presidente della re-pubblica è eletto per un mandato dicinque anni rinnovabile una sola volta”.

Benestante? Quasi imploso…È sempre più evidente che l’ex Zaire – come si chiamavadurante il regime del defunto Mobutu Sese Seko – potreb-be essere davvero un paese benestante, ma che rischial’implosione. Ed è questo il punto: gli interessi legati alleimmense ricchezze del sottosuolo rappresentano il prin-cipale oggetto del contendere, scatenando gli appetiti dipotentati stranieri d’ogni genere, con la complicità delleoligarchie dominanti.

Stiamo parlando, è bene rammentarlo, di un paese chepossiede il 34% delle riserve mondiali di cobalto, il 10%di quelle di oro, oltre il 50% di rutilio, per non parlare de-gli ingenti depositi di diamanti, uranio, cassiterite, petro-lio e gas naturale. Inoltre, sul territorio congolese si trovacirca il 70% delle risorse idriche dell’Africa e dalla sua fo-resta pluviale si ricava legname d’ogni genere, esportato

In Congo, ennesima,violenta crisi interna.A pagarne le spese è

la Chiesa cattolica, chenon teme di denunciaregli abusi dell’oligarchiapresidenziale. La quale

ha forti appoggida potenze straniere.

Interessate allestraordinarie risorse

naturali del paese

a geopolitica africana è fortemente influenzata dagli interessieconomici stranieri, perpetrati con la complicità delle oligar-chie locali. Emblematico è il caso della Repubblica democra-

tica del Congo (Rdc), dove si verificano flagranti violazioni dei dirittiumani da parte di innumerevoli formazioni armate.

Nel paese equatoriale, la Chiesa cattolica è in prima fila nell’affer-mare i sacrosanti diritti delle popolazioni autoctone. Basti pensareche dal 2012, nella sola regione del Nord Kivu, sono stati sequestratisei sacerdoti e molti civili, tra i quali agenti pastorali locali. E il 31 di-cembre scorso, nel corso di una pacifica manifestazione, organizzata

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L’impegno Caritas

Caritas Argentina conduce, insieme ad altre organizzazioni sociali(come Techo), sondaggi casa per casa per approfondire le problematichepresenti nelle villas. Grazie a questi rilevamenti si sono iniziati a consegna-re Certificados de vivienda familiar (Certificati di alloggio e residenza fami-liare) nei vari insediamenti nel paese. Le persone coinvolte possono farsirilasciare il proprio certificato dalla più vicina Amministrazione nazionaledi sicurezza sociale (Anses). Il documento permette agli abitanti delle villas di richiedere l’accesso a servizi essenziali (corrente elettrica, acqua,trasporti, illuminazione pubblica, scuole, ospedali, raccolta di rifiuti, sport).

Grazie all’appoggio di Caritas Italiana e ai giovani che essa invia inservizio civile, vengono supportate diverse azioni della Caritas diocesanaa Mendoza. Di recente, in particolare, è stato finanziato un microproget-to socio-educativo, che vedrà coinvolte altre associazioni e riguarderàl’intero insediamento del Borbollón. Il progetto mira a sostenere la co-munità con aiuti per migliorare le condizioni igienico-sanitarie e concen-trati sull’educazione. Contemporaneamente verranno organizzate attivitàludiche per tutte le fasce d’età. Nei prossimi mesi gli abitanti del quartie-re realizzeranno insieme murales sui muri delle case e avvieranno un programma di pulizia del barrio.

Casa per casa, per il certificatoche assicura i diritti di base

mica. Per molto tempo, e in molti casianche oggi, sono state oggetto di so-stanziale indifferenza sia da parte del-lo stato che delle comunità locali.

Ormai quasi tre milioniLe villas possono essere considerateesito di fenomeni demografici nonprogrammati. La diffusione di questi“villaggi di emergenza” nel paese è sta-ta direttamente connessa alla grandeconcentrazione di popolazione neinuclei urbani, a causa delle migrazio-ni, sia dall’esterno che dall’interno. Trail 1880 e il 1910, ben 4 milioni europeiarrivarono in Argentina, il 60% si sta-bilì a Buenos Aires. Fra 1936 e il 1947,inoltre, si verificò una forte migrazioneinterna, con ingenti spostamenti dallaprovincia e dalle aree rurali alla città.

Molti protagonisti di queste ondatemigratorie si stabilirono in abitazioniprecarie e case popolari. Buenos Ai-res, nel Novecento, ha sempre mani-festato la tendenza a espandersi ecreare nuove periferie, realizzandoquartieri dove la classe operaia potevaaspirare a vivere in una casa modesta.Nonostante ciò, le classi più basse

internazionale argentina

multuosi bisogni abitativi.Con il tempo, infatti, i bassifondi ur-

bani hanno continuato a crescere dinumero e dimensioni, senza che il go-verno ostacolasse questo processo. An-zi, durante i governi militari, i villeros(gli abitanti delle villas) hanno dovutosubire forti e violente repressioni. Neglianni Ottanta, dopo il ritorno della de-mocrazia, le villas miserias si sono sta-bilizzate ed espanse in maniera irrego-lare. Il fenomeno è a dir poco allarman-te. Senza acqua corrente, senza luce,senza accesso al gas, spesso circondatada immondizia: così vive in Argentinauna persona su dieci nei grandi conglo-merati urbani. Quasi 3 milioni di per-sone vivono in insediamenti informali;più di 800 mila famiglie in circa 4 milavilla in tutto il paese.

L’ultimo sondaggio di Techo, orga-nizzazione che opera in America Lati-na e nei Caraibi con l’obiettivo di su-perare le situazioni di povertà nel con-tinente, mostra che di recente si sonoinsediate nuove villas. Nel 73% degliinsediamenti, la maggior parte dellefamiglie non ha accesso formale allarete elettrica, il 98% non ha accesso re-golare alle reti fognarie e il 95% all’ac-qua corrente. La percentuale di allaga-mento degli insediamenti, che spessosorgono lungo corsi d’acqua, è moltoalta, data la formazione abusiva e l’or-ganizzazione senza criteri degli inse-diamenti, nei quali sovente non riescenemmeno a entrare un camion per laraccolta dei rifiuti. Tragica ironia, percomunità che spesso vivono di rifiutispigolati e riciclati. E che, da decenni,ripropongono un triste panorama diesclusione urbana, che il paese sem-bra non voler cancellare.

NON PROGRAMMATE, MA REALIBaracche improvvistate al Borbollón.Esito di fenomeni demograficinon controllati, le villas miseriascontinuano a proliferare senza freni

preferivano vivere nella zona centrale,in case popolari, data la prossimità ailuoghi di lavoro. Alla fine degli anniQuaranta il governo argentino con-centrò molte risorse sul fenomeno,con piani abitativi molto ambiziosi,riuscendo a garantire parzialmentemolti diritti. Molte leggi e piani socialisono stati attuati nel corso degli anni,senza però riuscire a dare risposta or-dinata e dignitosa ai crescenti e tu-

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Prosegue la campagna “Share the journey – Condividiamo il viaggio”, promos-sa dalla rete Caritas in 160 paesi del mondo. Sul sito ad hoc dedicato allacampagna, realizzato da Caritas Internationalis, nel menu principale è possibi-le interagire con l’interessante sezione dedicata alla comprensione del feno-meno migratorio. A partire dalla citazione degli assunti più banali sulle migra-zioni e sui migranti (da «ci sono troppi migranti» al sempreverde «rubano l nostro lavoro» all’oggi gettonato «stanno cambiando la nostra identità cultu-rale»), il sito presenta l’argomentazione in stile botta e risposta, rispondendoalle tesi, presentate sulla base di falsi miti, con le verità e i dati aggiornati, relativi ai flussi migratori.

Prendiamo ad esempio lo slogan «I migranti cambiano il volto della nostraEuropa»: il mito vuole che i migranti, per lo più musulmani, stiano minando le radici cristiane, ideologiche e culturali del Vecchio continente; la verità è che l’assunto gioca su un pregiudizio che affonda le sue radici nella paura e nella xenofobia, sempre più diffusa nelle nazioni europee. Senza contareche l’Europa, così come gli Stati Uniti, ha enormemente beneficiato delle commistioni culturali nate dall’incontro fra popoli e culture diverse, un fattoche banalmente ha permesso lo svilupparsi e il diffondersi di fondamentali innovazioni per l’umanità, ad esempio il sistema numerico.

Il sito risponde quindi pienamente al mandato della campagna, contribuen-do a smascherare tutti i pregiudizi capaci di minare l’accoglienza di chi fugge.E offre una chance in più per allargare lo sguardo: non è poco, in tempi di orizzonti politico-culturali piuttosto asfittici.

SHARE THE JOURNEYCambiano volto alla nostra Europa?Come no! Sul sito risposte per sfatare i miti

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che i servizi sociali territoriali bussas-sero alle nostre porte. Abbiamo dato ladisponibilità di alcune stanze, dove ac-cogliamo ragazze che hanno bisognodi protezione».

Sono cambiati tempi e bisogni, ma«per consentire a queste donne di farescelte libere bisogna renderle autono-me, dare loro competenze». Un motivoper cui suor Rosalia e le sue consorellehanno deciso di puntare sul lavoro co-me strumento di riscatto: «Abbiamo ri-scoperto la valenza positiva del lavoromanuale per creare un clima disteso,per favorire il dialogo e l’ascolto, il con-fronto e lo sviluppo della creatività».

Fare esperienza direttaLa campagna Cei Liberi di partire, liberidi restare, pensata per accompagnarenei paesi di transito e approdo le per-sone migranti, ma anche per creare neipaesi di partenza opportunità in gradodi prevenire le migrazioni forzate, ha fi-nanziato il progetto “Semi di accoglien-za”, promosso dalla comunità religiosacatanese. Così, venti ragazze frequen-tano oggi corsi professionali nella sar-toria e nel laboratorio di pasta fresca. ANatale i loro prodotti sono stati espostie venduti nel corso di un evento che harappresentato una sorta di finestra sullacittà. «Abbiamo lavorato sempre nellariservatezza e nel nascondimento,mentre ora cominciano a conoscerci –sorride suor Rosalia, sottolineandol’impatto positivo che il progetto hasulla comunità locale –. È davvero unseme: dopo la presentazione di questainiziativa, per mezzo del passaparola sisono creati legami, collaborazioni,nuove amicizie. Tuttavia occorre lavo-rare ancora molto sul fronte culturale,senza giudicare, ma aiutando a far co-noscere e apprezzare persone che sonopiene di valori e di creatività».

Del resto, osserva suor Rosalia, «sevuoi far sapere che il mondo stranieronon è un pericolo, devi farne espe-rienza in prima persona. E questo èquello che facciamo qui ogni giorno,lavorando sia per dare sicurezza,competenza, fiducia e sostegno alleragazze, così che possano integrarsi,sia per eliminare la diffidenza dellapopolazione locale».

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VITE DARISCATTAREMadre e figlianigeriane: dal paeseafricano forti flussidi tratta a scopodi sfruttamentosessuale

ACatania, le Suore Serve della Divina Provvidenza impegnano ogni giorno di vitadella loro congregazione a favore delle donne vittime della tratta. Sono soprat-tutto nigeriane, tutte giovanissime; secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il

controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodoc), più di nove donne nige-riane su dieci entrate in maniera illegale in Europa vengono dall’Edo, uno stato a mag-gioranza cristiana, con una popolazione di tre milioni di abitanti.

Prima di organizzare il viaggio tramite contatti in Libia, le donne delle reti di traffi-canti, le cosiddette madame, fanno firmare alle ragazze un contratto per finanziare illoro viaggio, imponendo loro debiti che possono aumentare fino a decine di migliaiadi dollari e che potranno essere saldati solo dopo molti anni. A quel punto le ragazzevengono portate da uno sciamano che conduce i rituali del juju, un rito voodoo,

La campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare”finanzia progetti nei paesi di partenza, transito e apprododei migranti. A Catania un’interessante iniziativa, “Semi di accoglienza”, aiuta donne vittime di tratta: le superstizioni incatenano, le competenze liberano

con lo scopo di tenerle legate con la su-perstizione ai loro trafficanti. Questi ritiinstillano terrore nelle vittime, convin-te che loro o i loro cari potrebbero am-malarsi o morire se dovessero disobbe-dire ai trafficanti, andare alla polizia onon riuscire a saldare i loro debiti.

Nel timore che l’incantesimo del ju-ju possa rivoltarsi contro di loro, moltigenitori nigeriani diventano complici,insistendo con le figlie perché obbedi-scano ai loro trafficanti. È quantoemerge dai documenti dei tribunaliitaliani. A quel punto partono alla vol-ta dell’Europa, attraverso le rotte chepassano dal Niger e dalla Libia.

Libere se autonomePiù di 16 mila donne e ragazze nigeria-ne sono arrivate in Italia viaggiandoper mare negli ultimi due anni, un nu-mero incredibilmente alto. Secondo

dati forniti dall’Oim, quattro su cinquefiniscono per prostituirsi. Ecco quindiil ruolo fondamentale svolto dalla con-gregazione delle Suore Serve della Di-vina Provvidenza, che fin dalla sua fon-dazione lavora nel campo della pro-mozione umana per fornire alleadolescenti e alle giovani donne avvia-te alla prostituzione (oggi vittime ditratta) strumenti spendibili in ambitolavorativo per poter diventare autosuf-ficienti.

Andando incontro alle esigenze delterritorio, nel corso degli anni la con-gregazione è stata in grado di creareuna comunità per ragazze madri, unapiccola scuola, laboratori di falegna-meria, ceramica, pasta fresca e sarto-ria. «Due anni fa gli sbarchi di immi-grati sulle nostre coste – spiega suorRosalia Caserta, delle Suore Serve dellaDivina Provvidenza – hanno permesso

IL LAVORO SPEZZAGLI INCANTESIMIdi Chiara Bottazzi

panoramamondo

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LASTORIADopo le scosse, la vitaè dura. E da otto mesi

lei è sola: «Mio maritoè andato a lavorarecome operaio nelle

costruzioni in ArabiaSaudita, per ripagare i

debiti della casa nuova»

NEPALSharma sorride:dopo il terremotoè il tempo di rimettersi in piedi

Sorride Sharma,leccandosi le mani

appiccicose di dal-bhat, riso e lentic-chie speziate, cibo povero e quotidia-no di tutti i nepalesi. Sharma ha 40anni e 5 figli e vive nel villaggio di Kho-kana, distretto di Lalitpur. Sono passa-ti quasi tre anni da quel 25 aprile e dal violento terremoto che scosse il Nepal dalle fondamenta (8 mila mor-ti, centinaia di villaggi distrutti, patri-monio storico-artistico gravementedanneggiato). Sharma e i figli furonoestratti cinque ore dopo il sisma dallemacerie della loro casa. Da allora, la vita è dura. E la donna da otto mesiè sola: «Mio marito è andato a lavora-re come operaio nelle costruzioni in Arabia Saudita, per ripagare i debitidella casa nuova».

La famiglia di Sharma è stata aiuta-ta da Aware Nepal, associazione loca-le che ha avviato nella devastata areadi Kathmandu una serie di micropro-getti di sviluppo, grazie anche al sup-porto di Caritas Italiana. «Grazie al microprogetto (4.700 euro, ndr) ho ricevuto, come altre cento donnedel villaggio, quattro capre, e ho potu-to mettere su un piccolo allevamento– spiega Sharma –. Ora guadagno be-ne, vendo il latte ogni giorno al merca-to. Sono fiduciosa che i miei figli torni-no presto a scuola e che la povertàdella nostra famiglia abbia fine».

Il reddito pro capite resta sotto i 100 dollari al mese, nei villaggi si vive come un secolo fa, spesso si fanno decine di chilometri per rag-giungere il fiume più vicino dove pren-dere acqua. Il sorriso di Sharma rendeperò chiaro che il Nepal ha nel suo popolo, incrocio tra etnie indoariane e tibetane, il suo tesoro più prezioso:mescolato, sorridente, capace di rina-scere sempre.

> Microprogetto 35/17 NepalAllevamento di capre per il post-terremoto

5 Realizzato!

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MICROPROGETTO

SERBIAAgricoltura sociale per malati psichici

La Caritas diocesana di Sabac opera a favore di sog-getti che soffrono di disordini mentali e disabilità

intellettive. La deistituzionalizzazione delle cure e la sop-pressione delle degenze negli ospedali psichiatrici hannodato vita a servizi in comunità, che coinvolgono utenti, fami-glie, comunità ecclesiale e società civile. Superamentodell’assistenzialismo, protagonismo e coinvolgimento re-sponsabile dei malati: il microprogetto prevede di riqualifi-care un locale per corsi di formazione e un’attività pratica di produzione e trasformazione primaria di prodotti agroali-mentari, in particolare frutta. Coinvolge i 12 utenti del cen-tro diurno per persone con disturbi psichici “Sv. Sofija”.

> Costo 4.900 euro > Causale MP 24/18 SERBIA

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MICROPROGETTO

BOLIVIALa scuola nella salva le tradizioni culturali

MICROPROGETTO

ETIOPIAAssistenza sociale neicampi degli sfollati interni

Secondo Caritas Etiopia, a fine 2017 ben 8,5 milioni di persone nel paese necessitavano

di aiuto umanitario: siccità, alluvioni e conflitti determina-no una forte insicurezza alimentare, alla radice tra l’altro della migrazione interna di più di 840 mila perso-ne. Nei precari campi per sfollati, i casi di violenza controle donne, matrimoni minorili e varie forme di sfrutta-mento sono numerosissimi. Eppure manca l’assisten-za sociale: grazie al sostegno a un microprogetto, saràpossibile dare una risposta solidale a tante personeche soffrono, non abbandonandole al loro dramma.

> Costo 4 mila euro > Causale PVS ETIOPIA

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

MALAWIAcqua, per non vendere la terra ai produttori di tabacco

In Malawi i piccoli agricoltori sono soffocati dalle multinazionali del tabacco, che acquistano

moltissime terre, riducendo il terreno coltivabile a cereali,ortaggi e frutta. I contadini hanno mezzi scarsi per l’irriga-zione di una terra fertilissima, e ciò li pone in condizioni di vulnerabilità. Così, nelle are soggette alla coltivazione di tabacco, almeno il 74% della popolazione vive sotto la soglia di povertà (1 dollaro al giorno). Il microprogetto intende fornire una pompa idraulica a pedali (diesel ed elettricità scarseggiano) a 15 famiglie, per aiutarle a far fruttare e non vendere i propri terreni.

> Costo 4.900 euro > Causale MP 10/18 MALAWI

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MICROPROGETTO

Nella Bolivia dell’est, quasi al confine con Brasile e Paraguay, sorgono le reducciones gesuitiche, piccoli

nuclei cittadini seicenteschi, fondati dalla Compagnia di Ge-sù; capolavori architettonici, ma anche microstati democra-tici dell’epoca coloniale. Nella regione del Beni, non lontanoda Trinidad, in un’antichissima reduccion, San Ignacio de Moxos, una scuola insegna gratuitamente la musica tradizionale, innestata sulla musica barocca diffusa dai ge-suiti nel Seicento, personalizzata con l’inserimento di stru-menti autoctoni e locali. Il microprogetto prevede un contri-buto alla ristrutturazione dell’edificio che ospita gli alunni.

> Costo 4.900 euro > Causale MP 18/18 BOLIVIA

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reduccion

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villaggioglobale

Brutto Male è una storia italiana, raccontata da una fotografa americana. Nadia Shira Cohen ha ricostruitodati e notizie necessari a realizzare un ricco progettofotografico, sviluppato fra 2009 e 2016 nel cosiddetto“triangolo della morte”, ovvero l’area del napoletanocompresa tra Marigliano, Nola e Ponticelli, nella qualeindagini di magistratura e giornalistiche hanno confer-mato lo sversamento e l’interramento illeciti, da oltre

dieci anni, di rifiuti tossici. Cohen racconta anche dellepersone che, probabilmente anche a causa dei rifiutisversati, si sono ammalate di cancro, “Brutto Male”che sovente non si ha il coraggio di nominare. Ora il progetto fotografico è diventato un libro e un docu-mentario: i protagonisti raccontano la resistenza alla malattia e quella che si pratica nella “Terra dei fuo-chi”, dove sono nati. [d.p.]

libro prende spunto dalla vicen-da di Michele, che ama abbrac-ciare tutti, anche se pian pianoha capito che ci sono personeche non vogliono essere abbracciate.

I Libri della Matita parlantesono destinati a un pubblicospecifico, ma diversificato: sono facilmente accessibili a chi ha disfunzioni cognitive, ai bambini in età prescolare e agli stranieri. I piccoli volumisono inoltre provvisti di tracciaaudio realizzata dagli alunni di unascuola e un liceo piacentini.

un progetto speciale, unico in Ita-lia. Una collana di libri realizza-ta da ragazzi autistici. Il primovolume è uscito ed è scritto, illustrato e tradotto, con i sim-boli della Comunicazione au-mentativa alternativa, da quat-tro giovani dell’associazione“La matita parlante” di Piacen-za. La collaborazione con Pape-ro prevede che quattro ragazziautistici dell’associazione lavo-rino ogni giorno per quattro orenella redazione dell’editore,“cucendo” storie che partonodal vissuto dei ragazzi. Il primo

l’episodio, cercando di interve-nire tempestivamente. You Polè in una fase sperimentale e funziona, per ora, solo a Mila-no, Roma e Catania; il progetto,però, prevede che sia estesa a tutti i capoluoghi di regione e, da agosto, in tutte le province.

LIBRIRagazzi autisticisi raccontanonei “Libri dellaMatita parlante”

Papero Editore ha realizzato

zoom

“Brutto Male”, una fotografa raccontadolori e resistenze nel Triangolo dei rifiuti

UN MALE CHE NON PASSAImmagini della mostra realizzatadalla fotografa americana NadiaShira Cohen sulla Terra dei fuochi

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DIGITALEUn’app per percorsisenza barriere,una per segnalareatti di bullismo

Proliferano le app. Sui nostrismartphone, nelle nostre vite.Comprese le app “sociali”. Ora ce n’è una per superare le barriere architettoniche, perora nel centro storico di Firen-ze. Kimap segnala all’utente le info necessarie per gli spo-stamenti autonomi in città: è progettata per rilevare in mo-do automatico e in tempo realei percorsi accessibili, sia nei contesti urbani che in quelli extraurbani, e al tempo stessoper segnalare la presenza di barriere all’accessibilità, indicando la strada migliore

zoom

DIGITALECinque periferiecompongono Maua,museo di street arte realtà aumentata

Milano Città Aumentata. Grazieal Maua (Museo di arte urbanaaumentata, www.mauamu-seum.com). L’iniziativa è natagrazie a un bando per le perife-rie, promosso dal comune di Mi-lano con fondi statali per la rige-nerazione urbana di cinque areeperiferiche. A vincerlo è stato unprogetto che si propone di sele-zionare le migliori opere di streetart finora realizzate a Milano. Gli abitanti delle periferie citatehanno scelto i murales da inse-rire nella mappatura: 218 opere,divenute materiale per touresplorativi in aree defilate e di solito ignorate della città.Le immagini diverranno ancheuna mostra virtuale visitabile su smartphone (gratuitamente)attraverso l’App Bepart, che gra-zie alla realtà aumentata animale opere. Un esperimento che ricorda quanto già fatto a Roma,dove sono state mappate tuttele opere di street art della città,visitabili su App.

«I migranti muoiono due volte: quando annegano quando vengono dimenticati»: lo dice Francesco Piobbi-chi, disegnatore per passione, ma anche operatoreumanitario, che ha collaborato alla realizzazione dei cor-ridoi umanitari con Mediterranean Hope. Proprio dallesue esperienze di vicinanza ai migranti nasce il volumeDisegni dalla Frontiera (editrice Claudiana). Mare spina-to, In equilibrio sulla frontiera, Lampedusa salva vite,

Ciao mamma, sono vivo,Chi salva una vita salva il mondo intero: sono soloalcuni dei titoli dei 59 di-segni che Piobbichi ha rea-lizzato e inserito nel volu-me. Piobbichi da 4 anni

vive a Lampedusa, dove faparte dello staff dell’Osser-vatorio per le migrazioni diMediterranean Hope; è statopiù volte in Marocco e hapartecipato dal Libano ai “corridoi umanitari”, passaggilegali e sicuri che tanto contrastano con i “viaggi dellamorte” nel Mediterraneo. Dai colori vivi e dai tratti sem-plici, i suoi disegni rappresentano «la lotta viva dei dan-nati della terra, l’indifferenza delle torri d’avorio e l’odiodei muri che le circondano». Disegnare per Piobbichi è essenziale, è diventato un modo per placare la rab-bia: «Mi aiuta a elaborare il senso d’impotenza che miattraversa mentre faccio questo lavoro, che mi fa spes-so contare i morti». [d.p.]

da percorrere. In futuro punteràsu altre città, anche grazie a un maggior coinvolgimentodegli utenti come “segnalatori”.Kimap (www.kimap.it) è già uti-lizzata all’estero, con migliaiadi download in tutto il mondo.Crescono anche i dati rilevati:oltre 740 chilometri di strade,quasi 3 mila segnalazioni di ostacoli, barriere architettoni-che, pendenze impegnative e punti di interesse.

You Pol è invece un’applica-zione ideata dal ministero dell’interno. Destinata ai ragaz-zi e alle ragazze, costituisceuno strumento semplice per

segnalare episo-di di bullismo,cyberbullismo o spaccio di so-stanze stupefa-centi. La segna-lazione puòavvenire in mo-do anonimo, maci si può anche

registrare all’apposito portale.Nel momento in cui si effettuala segnalazione, grazie alla geo-localizzazione, la questura com-petente per territorio acquisirà i dati su dove si sta verificando

Disegni dalla Frontiera, i colori placanola rabbia di chi è costretto a contare i morti

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villaggioglobale

di Daniela Palumboatupertu / Giacomo Panizza

Nella sua vita spericolata, piena zeppa di pericoli, a causa del fatto che combatte la ’ndrangheta conl’educazione da trent’anni, don Giacomo Panizza, oggivicedirettore e a lungo direttore della Caritas diocesa-na di Lamezia Terme, ha eletto a eroi i cattivi maestri.Rovesciandone il significato. Sono le persone che con azioni e parole tolgono senso e onore alla cultura di mafia: ne parlain un piccolo grande libro (Edb), intitola-to, appunto, Cattivi maestri.

Nato a Brescia, emigrato a rovescioper andare a conoscere, ha scritto,inferno e purgatorio in Calabria. Difficile intravedere il paradiso?

La bellezza di paradiso che incontro in Calabria sta sui volti di persone determinate a vivere con dignità e liber-tà, a non sottomettersi al male impostodagli ’ndranghetisti. Il paradiso traspa-re nelle fatiche di coloro che costrui-scono con fatica una solidarietà piùgiusta e più grande di quella dei clan e degli ancora troppi “io” omertosi. La bellezza delle coste colorate dei mari calabresi vie-ne superata dalla bellezza che si percepisce nel timoree nel sudore degli uomini e delle donne che s’impegna-no a dare senso alla vita, qui, per sé e per gli altri.

Come educa la ’ndrangheta? Perché il sistema valoriale che trasmette è così potente?

Il Paradiso in Calabria:«Sono i “Cattivi maestri”che educano a valorimortali per i clan»

In Calabria, labellezzadi paradisosta sui volti di chi

è determinato a viverecon dignità e libertà,a non sottomettersial male impostodagli ’ndranghetisti

I clan mafiosi non possono fare a meno di educare con violenza bruta e qualche finto premio a chi obbedi-sce. Non possono educare alla libertà o alla verità, alla tenerezza o alla felicità, altrimenti si sfascerebbero,scontrandosi tra clan l’un contro l’altro armati. Pertantoeducano alla sottomissione ai capi, al reputarsi superiori

agli altri, alle leggi e alle istituzioni. Hanno un sistema valoriale privo di valoriumani e cristiani, si pongono al di sopradelle famiglie dei loro associati, e perfinodi Dio. Pensano che ogni persona si pos-sa comprare o costringere. O uccidere.Questo delirio di onnipotenza attrae giovani e adulti bisognosi di “potere”, di avere e di valere, i quali capisconotroppo tardi di essere stati irretiti in un sistema di vita senza vie d’uscita.

C’è differenza fra la pedagogia mafio-sa della ’ndrangheta e quella delle al-tre mafie?

La violenza fa parte del normale agiremafioso. Ciascun clan attua un’educazio-ne totale, priva di ascolto e dialogo,

escludente l’intelligenza e la libertà, la coscienza delle persone, l’onestà e la fiducia nel vivere sociale. Secondo le mafie, coloro che educano a valori come la dignità umana, l’uguaglianza e la giustizia, sono “cattivi maestri”, perché intrinsecamente nemici del lororicorso alla violenza. È uno schema che vale a qualunquelatitudine, per le mafie italiane e straniere.

LIBRINumeri alla mano:il precariato forzato“Non è lavoro,è sfruttamento”

Di precariato si muore, ma anche di lavoro a chiamata,nonché di voucher. Marta Fana,giovane ricercatrice in econo-mia all’Istituto di Studi politicidi Sciences Po, a Parigi, si oc-cupa di politica economica, e in particolare di economia

del lavoro e disuguaglianze. E appunto delle disuguaglianzeracconta – numeri e indaginisociologiche alla mano – nel li-bro Non è lavoro, è sfruttamen-to (Laterza), mettendo a fuocoil nuovo immaginario lavorativocon cui i giovani di oggi si trova-no a dover convivere. «Di preca-riato si muore – scrive MartaFana nel prologo, che è anche il manifesto del suo libro – quan-do al concetto di società si an-tepone quello di individuo».

Così, negli ultimi anni è natauna nuova figura di lavoratore:«La figura del giovane con la partita Iva – scrive Fana nel volume –, libero di solcare i contratti a progetto, le presta-zioni occasionali, di non arriva-re a fine mese e di non avere diritto al reddito nei periodi di non lavoro. Non vincolato da un contratto, libero di esserpagato quanto e quando vuolel’azienda e di non avere alcunpotere negoziale».

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L’ Moro,40 anni dopo:fine misteriosa di uno statista cheavrebbe voluto cambiare il paese

di Francesco Dragonetti

Giancarlo Pani Lutero tra eresia eprofezia (Edb, pagi-ne 208). Per secoli,

dai cattolici Lutero è statodefinito “l’eretico”, mentre i protestanti lo hanno consi-derato combattente avversoal papato e liberatore dalletenebre del medioevo. Neltesto, la forza che ne ha ani-mato pensiero e azione.

LIBRIALTRILIBRI

Pino Roveredo Fer-ro batte ferro (Edi-zioni Bottega Erran-te, pagine 112).

L’autore, operatore sociale(ma si definisce anche«unico garante italiano a essere un ex detenuto»),attraverso storie intrise di umanità, poesia e rab-bia, narra la difficile condi-zione delle carceri.

Nicola Ciola GesùCristo Figlio di Dio(Edb, pagine 712).La teologia degli

ultimi decenni ha eviden-ziato i tratti umani di Gesù di Nazaret. Ma per affermar-ne la straordinaria umanitàè necessario cogliere la sua misteriosa identità di Figlio di Dio. Gesù Mes-sia, perché è Dio stesso.

paginealtrepagine

ll 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse rapisce il presidente della Dc, Aldo Moro, mentre si reca in parlamento per votare la fiducia al nuovogoverno Andreotti, appoggiato dal Pci. Gli uomini della scorta vengono barbara-mente assassinati; i 55 lunghi giorni del rapimento apriranno nel tessuto civileitaliano ferite non ancora rimarginate. La prigionia durerà fino al 9 maggio, quan-do il cadavere rannicchiato di Moro verrà ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4rossa, abbandonata nel centro di Roma, simbolicamente a metà strada fra Piazzadel Gesù e Botteghe Oscure.

A ripercorrere uno dei momenti più oscuri della democrazia italiana, e a racconta-re un’intera generazione degli anni Settanta, ci pensò Leonardo Sciascia L’affaireMoro (Adelphi, pagine 196), scritto “a caldo” nel 1978: impressiona rileggerlo, 40 anni dopo, sia per la scrittura ricca, introspettiva, carica di sapienza narrativa e densa di impegno civile, sia per l’analisi politica attualissima e tragicamente so-vrapponibile ai giorni dell’Italia odierna. Allora le Br, oggi il qualunquismo dilagante…

Ma non si può comprendere la storia dell’Italia repubblicana a prescindere dallafigura determinante di Aldo Moro (1916-1978). Intellettuale credente, riservato e mi-te, divenne uomo politico capace di innovazione, ma anche statista dal ruolo contro-verso. Guido Formigoni Aldo Moro. L’intelligenza applicata alla meditazione politica(Centro Ambrosiano, pagine 84), approfondisce la figura dello statista, per comprendere meglio un decisivo periodo della storia d’Italia.

Daniela Mezzana, Renato Moro Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italiadel Novecento (Rubbettino, pagine 912), contribuisce invece a superare i luoghi comuni e i giudizi spesso affrettati, parziali o dettati da esigenze di polemica politico-culturale, che si sono coagulati negli anni successivi al rapimento sulla figura dello statista salentino, nonché a bilanciare il pesosoverchiante sin qui attribuito alle tragiche vicende legate alla sua morte rispetto all’insieme della sua vita, del suo pensiero e delle sue opere. I con-tributi raccolti consentono anche di gettare nuova luce su molte questioniancora aperte, e soprattutto di fornire elementi per capire se e in che misu-ra Moro sia stato portatore – come diversi studiosi tendono oggi a pensare– di un complessivo “progetto” di governo e di orientamento della societàitaliana. Il quale, a causa della sua prematura scomparsa, si sarebbe dram-maticamente interrotto.

LIBRILa felicità è poco:note a marginedel capitalismodei nostri tempi

La felicità è troppo poco (Pacini Editore), scritto dall’eco-nomista Luigino Bruni (docenteuniversitario di economia politi-ca, coordinatore del progettoEconomia di Comunione ed editorialista di Avvenire),può essere considerato una serie di “note a margine”della storia che sta scrivendo il capitalismo del nostro tempo.

Sono note tratte dall’ampiolavoro di riflessione di Bruni,nel libro rese con uno stile accessibile a un vasto pubbli-co, e rivolte in particolare a chi vuole approfondire il pro-cesso di evoluzione e i radicalicambiamenti subiti dalla nostra società, oggi profonda-mente diversa rispetto a quellacapitalista del XX secolo. Testibrevi, declinazioni e approfondi-menti di alcune parole al cen-tro della qualità della nostra vita in comune e tratte dall’en-ciclica Laudato Sì di papa Fran-cesco. L’obiettivo è provare a delineare il profilo di unanuova economia, che abbiaconcetti come “reciprocità” e “dono” nel suo dna.

affaire

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Al Signore che risorge chiediamo di indicarci la via della carità.Auguri di buona Pasqua da Caritas Italiana e Italia Caritas

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