Ferite da Insıeme sanare. - Caritas...

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Lotta alla povertà Reddito di inclusione: la volta buona, o un fuoco di paglia? El Salvador Le parole del pastore, nel paese più violento Corno d’Africa Implacabile El Niño, torna lo spettro di siccità e carestia MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLIX - NUMERO 2 - WWW.CARITAS.IT marzo 2016 Italia Caritas Mutamenti climatici e comunità non più “custodi” delle proprie terre: alluvioni sempre più frequenti. Con impatto sociale crescente. Le risposte? Prevenire. E coinvolgere cittadini e reti sociali Insıeme sanare . Ferite da

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Lotta alla povertà Reddito di inclusione: la volta buona, o un fuoco di paglia?El Salvador Le parole del pastore, nel paese più violentoCorno d’Africa Implacabile El Niño, torna lo spettro di siccità e carestia

M E N S I L E D I C A R I T A S I T A L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I X - N U M E R O 2 - W W W. C A R I T A S . I T

marzo 2016

Italia Caritas

Mutamenti climatici e comunità non più “custodi” delle proprie terre:alluvioni sempre più frequenti. Con impatto sociale crescente.Le risposte? Prevenire. E coinvolgere cittadini e reti sociali

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editoriali

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LA FESTADEI FIGLIDELLA LUCE

È quindi compito della Chiesa vigi-lare contro qualsiasi strumentalizza-zione e denunciare ogni violenza e vio-lazione della vita e della dignità uma-na. «In questo consiste il suo magistero– ricordava monsignor Romero, assas-sinato a San Salvador il 24 marzo 1980–: nell’essere l’immagine di Dio nel-l’uomo». E aggiungeva: «Una Chiesache non si unisce ai poveri per denun-ciare, partendo dalle ingiustizie (...),non è la vera Chiesa di Gesù Cristo».Perché «il centro sta dove abita Dio, e(…) egli dimora anzitutto negli ultimi»,ha sottolineato il cardinale Angelo Ba-gnasco, presidente Cei, aprendo i lavori del Consiglio permanente a gennaio.

Parlando della situazione del nostro paese, il cardinale ha voluto ricordare«alcuni dati che descrivono una certa realtà che non deve diventare invisibileagli occhi di nessuno». Caritas ha censito 4.305 tipi diversi di intervento-serviziorealizzati nel 2014, tra cui 3.816 centri di distribuzione che hanno fornito 6,5milioni di pacchi viveri, 55 empori solidali, 82 progetti di agricoltura sociale,353 mense che hanno erogato 6,3 milioni di pasti. Insomma, interventi a sup-porto di chi non ha a sufficienza per sfamarsi.

In questo scenario, nella chiara distinzione di compiti e responsabilità, èsempre più importante fare rete e confrontarsi, per sollecitare risposte politicheorganiche. Oggi in Europa solo l’Italia, con la Grecia, è privo di una misura na-zionale universalistica – rivolta cioè a chiunque si trovi in tale condizione – peri 4,1 milioni di persone in povertà assoluta. Una misura con queste caratteri-stiche, il Reddito d’inclusione sociale (Reis), è la proposta elaborata dall’Alle-anza contro la povertà, composta da oltre 30 organismi del mondo ecclesiale,sociale, sindacale. Per arrivarci, il cammino è lungo. Ma non impossibile.

olti bambini hanno paura delbuio, troppi adulti della luce.Eppure la Pasqua è la festadella luce. Vivere la Pasqua da

risuscitati vuol dire dunque essere esentirsi figli della luce: donne e uominicapaci di speranza, di gioia, di sogni.Capaci di lasciare alle spalle paure,egoismi, rancori, per sperimentare ilpassaggio dalla sconfitta e dalla mortealla vita e alla vitalità. Senza paura di es-sere persone nuove. Anche se significadover cambiare stile di vita, atteggia-menti, per vivere una fede non zavor-rata da nostalgie, abitudini, paure.

A volte si tende a pensare che la fe-de la si possa vivere solo partecipandoai sacramenti o pregando nelle formepiù svariate, escludendo dalla vita spi-rituale i bisogni dell’uomo e soprat-tutto dei più poveri. Quel tipo di fedepresto o tardi diventa sterile. Invecequando ci si apre a una dimensionepiù completa, quella evangelica, allo-ra la fede diventa esperienza gioiosa econtagiosa, arricchente e stimolante.

Si mette in movimentoLo abbiamo sperimentato, ad esem-pio, a Lampedusa, durante gli sbarchidi migliaia di persone, e in tante comu-nità che si aprono alle diverse forme dipovertà, anche grazie a giovani volon-tari che si mettono in gioco per co-struire percorsi nuovi, in cui annuncioe testimonianza camminano di paripasso. Alla sequela di Cristo, che – ap-pena risorto – si mette in movimento echiede ai suoi – e a tutti noi – di abitarela strada. Pronti a pagare di persona ilprezzo di una solidarietà che diventapassione per l’uomo, capace di addita-re senza paure i focolai da cui partonoingiustizie, violenze, guerre, oppressio-ni, violazioni dei diritti umani.

Decine di milioni di rifugiati. Vittime

di guerre che si attribuiscono alle

religioni, ma che spessoscaturiscono da egoisminazionali e particolari.

E, anche in Italia, milionidi persone in povertàassoluta. Il cammino

per sostenerle è lungo.Non impossibile…

Mdi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

IL CENTRO STADOVE ABITA DIO.ACCANTO AGLI ULTIMI

el mondo sono in movimento 250 milioni di persone, tra cui 60milioni di rifugiati. Vittime di guerre sempre più estese, con im-plicazioni globali che rischiano di sgretolare alleanze e unioni,

nate magari da slanci ideali, ma alla prova dei fatti incapaci di andareoltre gli egoismi nazionali e particolari. È peraltro vero che a molte vio-lenze si vuole dare il colore odioso della persecuzione religiosa, ma neldiscorso alla comunità ebraica papa Francesco ha ripetuto che «la vio-lenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione de-gna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni mono-teistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio (...). Dio è il Dio della vita».

N

direttoreFrancesco Soddu

direttore responsabileFerruccio Ferrante

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sommario

rubriche

3 editorialidi Francesco Soddue Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

11 dall’altro mondodi Chiara Bottazzi

15 databasedi Walter Nanni

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia PRESIDIO E MINISTEROCONTRO IL CAPORALATO

24 poster IL DIRITTO DI RIMANERENELLA PROPRIA TERRA

30 cibo di guerradi Paolo Beccegato

35 zeropovertydi Laura Stopponi

39 contrappuntodi Alberto Bobbio

47 a tu per tuDIECI RITRATTIDI HOMELESS:«LA VITA E I SUOI INCIAMPI,POTREMMO ESSERE NOI…»di Daniela Palumbo

nazionale

6 FERITEDA ALLUVIONE,COME SI CURAIL TERRITORIO?di Chiara Bianchizza

12 INVECCHIANO ATTIVI«MA NON SIA UN ALIBI»di Annalisa Loriga

16 REDDITODI INCLUSIONE:LA VOLTA BUONAO UN FUOCO DI PAGLIA?di Francesco Marsico

internazionale

26 EL SALVADOR:LE PAROLEDEL PASTORENEL PAESEPIÙ VIOLENTOdi Lucia Capuzzi

31 SIRIA:IL PAESE SVUOTATO,TUNNEL SENZA SBOCCO?di Silvio Tessari

36 CORNO D’AFRICA:IMPLACABILE NIÑO,È DI NUOVO CARESTIAdi Anna Arcuri

anno XLIX numero2

IN COPERTINADue giovani, insiemea molti altri volontari,impegnati nelle operazionidi ripulitura della cittàdopo una delle recentialluvioni a Genova(foto Caritas Internationalis)

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invita i suoi ascoltatori («Ho messo davanti a te la vita ela morte, la maledizione e la benedizione; scegli la vita,perché viva tu e la tua discendenza», 30,19). Non solo:quest’uomo anziano racconta, ma anche scrive «questaTorah» e consegna il libro scritto separandosene (30,9),affinché questo – attraversato il Giordano sul fianco del-l’arca – possa servire per le generazioni future.

Mosè rimarrà al di qua del Giordano, mai entrerà nellaterra promessa; egli muore, perché per il popolo è giuntoil momento di entrare in Canaan, ciò che a lui invece nonè dato. Abbandonandosi all’abbraccio del Signore (34,6),Mosè fa un passo indietro, lasciando così che la promes-sa si compia per altri. Dare all’altro la possibilità di go-dere del dono di Dio: è il dono più grande che lascia die-tro di sé una vita sazia di giorni, fino all’ultimo vissuta inpienezza, per donare alle generazioni future una vitapossibile.

La sua spiegazione non è specula-zione astratta, ma sapiente riletturadi un cammino percorso, memoriadell’esperienza di Dio e della sua pa-ternità in atto: «ricordati di tutto ilcammino che Jhwh tuo Dio ti ha fattopercorrere in questi quarant’anni»(8,2). Un cammino fatto di passi falsie tradimenti, come quando l’alleanza– appena stipulata da Mosè sul mon-te – fu infranta alle sue pendici (9,8s).Mosè non manca di sottolineare la ri-bellione del popolo verso il Signore(«dal giorno in cui sei uscito dal pae-se d’Egitto fino al vostro arrivo inquesto luogo siete stati ribelli neiconfronti di Jhwh», 9,7), ma allo stes-so tempo rammenta il perdono rice-vuto, che trasforma la morte possibi-le in un’esperienza di vita.

In questa rilettura, nell’ultimo deisuoi giorni di vita, Mosè è narratore:colui che, raccontando le esperienzevissute ed esortando il popolo da-vanti a lui radunato a fare memoria,lo genera – proprio come un padre –alla consapevolezza, alla maturità diuna scelta possibile e finalmente rea-lizzabile, quella per la vita, a cui egli

è un libro nella Bibbia ambientato in un solo giorno, e non èun giorno qualunque: è l’ultimo giorno della vita di Mosè, lacui morte si racconta in Deuteronomio 34,6-7. Questo strin-

gato resoconto ci presenta un Mosè non più giovane, ma non per que-sto meno vitale: «Mosè aveva centoventi anni quando morì; la sua vi-sta non si era indebolita e la sua forza non era venuta meno» (34,7).La preoccupazione del narratore è chiaramente quella di informarciche Mosè non è morto per una sfinitezza del corpo, tutt’altro!

L’indicazione dei centoventi anni non deve comunque trarre in ingan-no: se leggiamo, infatti, Genesi 6,3, scopriamo che si tratta del limite

UNA VITA SAZIA DI GIORNILASCIA IL DONO PIÙ GRANDE

imposto alla durata della vita dell’uo-mo da Dio stesso («… i suoi giorni sa-ranno centoventi anni»). I centoventianni di Mosè, dunque, rappresentanola vita vissuta in pienezza, secondo latotalità del dono che Dio ha concessoagli uomini, un dono gustato e assa-porato fino alla fine. E infatti il narra-tore lo coglie nell’ultimo dei suoi gior-ni, ma ancora nel pieno delle forze:«la sua vista non si era indebolita»(34,7), al contrario di quella di Isacco,descritto nei suoi ultimi anni comeun uomo debole e oramai cieco, perquesto preda degli inganni della mo-glie Rebecca e del figlio Giacobbe. Ancora, si dice di Mosèche «la sua forza non era venuta meno» (34,7): non si trat-ta semplicemente della prestanza fisica; più precisamen-te, il termine impiegato sembrerebbe indicare la linfa vi-tale, paragonabile a quella di una pianta nel suo rigoglio.

Passo indietro, promessa compiutaNell’ultimo giorno di questa vita compiuta e sazia di gior-ni, Mosè parla al popolo radunato al di là del Giordano,nelle steppe di Moab (si veda anche Deuternomio 1,1-3):dopo quarant’anni di cammino nel deserto, finalmentesiamo alle soglie della terra promessa, dove Mosè pro-nuncia una serie di quattro discorsi che rappresentano ilcontenuto del libro del Deuteronomio. La vitalità di Mosèsi concentra nella sua parola, una parola sapiente, capacedi insegnare e spiegare al popolo la legge (Deuteronomio1,5: «Mosè cominciò a spiegare questa Torah»).

L’anziano Mose arrivaalle steppe di Moab.Ha 120 anni, una vita

compiuta, ed è ancoravigoroso. Pronuncia alpopolo quattro discorsi e li trascrive in un libro,

il Deuteronomio. Non entrerà nellaterra promessa:

alle generazioni futuredona una vita possibile

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parolaeparoledi Benedetta Rossi

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L’Isig (Istituto di sociologia internazionale di Gorizia –www.isig.it) è nato nel 1968 dal progetto del suo fondatore,Franco Demarchi, di coniugare a una rigorosa attività scientifical’impegno nella cooperazione internazionale per lo sviluppo e per la convivenza pacifica. È un istituto radicato nel contestoregionale, ma altrettanto dinamicamente inserito nel quadro internazionale, ed è riconosciuto quale centro di eccellenza nello studio delle relazioni internazionali e della cooperazionetransfrontaliera, delle politiche sociali, dell’economia e dello sviluppo locale, della democrazia e della società civile, del terri-torio e della gestione del rischio ambientale.

L’ISTITUTORigore scientifico e attenzione sociale

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livello di preparazione o sensibilità –a seconda cioè del livello di vulnera-bilità, sia a livello infrastrutturale chesociale ed umano – varierà l’impattodell’evento. La vulnerabilità è unacondizione (una “ferita”) pre-esisten-te all’evento, che determina il modoin cui il sistema subirà l’impatto dellostress causato dall’alluvione.

Una delle chiavi per ridurre la vul-nerabilità di un sistema, e quindi l’in-sorgere di un’emergenza al manifestar-si di un disastro naturale come un’al-luvione, è un’adeguata prevenzione.

La prevenzione, o mitigazione delrischio, può essere di duplice natura.Da un lato, comprende opere di tipostrutturale, che sul territorio servonoa ridurre il rischio di esondazione dei

corsi d’acqua. Dall’altro, la prevenzio-ne è insita in un aspetto culturale del-la gestione del territorio, fondato sullaconoscenza e la consapevolezza delrischio da parte dei cittadini. Senzaun’adeguata conoscenza del territorioe dei suoi punti vulnerabili, in caso dialluvione e in mancanza di una con-sapevolezza diffusa dei comporta-menti più sicuri da tenersi in caso dirischio, la popolazione è più vulnera-bile di fronte a un evento naturale.

Il coinvolgimento dei cittadiniIl contesto europeo degli ultimi 50 an-ni è stato caratterizzato da un cambia-mento profondo nelle gestione delterritorio. Le comunità, un tempoprofonde conoscitrici del territorio e

Una popolazione sempre più mobilee “pendolare” è spesso non consapevoledelle specificità del territorio in cui abita.

Oltre a questo, le conoscenze tradizionalisul territorio non sono più attendibili…

dei rischi naturali ad esso correlati,hanno progressivamente perso il lororuolo di “custodi”. Una popolazionesempre più mobile e “pendolare” èspesso non consapevole delle specifi-cità del territorio in cui abita. A questova aggiunto il fatto che le conoscenzetradizionali sul territorio non sono piùattendibili, dal momento che la cre-scente antropizzazione dell’ambienteha modificato le caratteristiche deiterreni e il cambiamento climatico hareso sempre meno prevedibili le con-dizioni atmosferiche stagionali.

Nel lungo periodo, questo allonta-namento della popolazione dalla ge-stione del territorio e dalla consape-volezza del rischio ha causato il pro-gressivo affievolimento di una culturalocale di auto-protezione, in favore diuna esternalizzazione della gestionedel rischio nelle mani di operatoriprofessionisti o volontari formati,quale la Protezione civile.

Per far fronte a questo fenomeno

VA SEMPRE PEGGIODa Senigallia (sinistra)a Genova (destra),l’effetto delle alluvionidegli ultimi anni neiterritori italiani. Sopra,Firenze 1966, madre ditutte le alluvioni moderne.Sotto, copertina di ItaliaCaritas di inizio anni ’70

Feritealluvıoneda

comesicurail territorio?

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Alluvioni con un impatto socialesempre maggiore. A causa deicambiamenti climatici.Ma anche del fatto che le comunità non sono più “custodi”delle proprie terre. Le risposte? Accrescereprevenzioneeresilienza.Coinvolgendo cittadinie reti sociali

e alluvioni sono storicamen-te un evento ricorrente nelnostro paese: il Po nel Pole-sine (1951), l’Arno a Firenzee in Toscana (1966), di nuovo

il Po nel nord Italia (1994 e 2000) sonosolo alcuni esempi, nella recente sto-ria d’Italia, scelti tra gli episodi più fa-mosi e tragici di esondazioni fluviali.

Negli ultimi anni, alla predisposizio-ne idrogeografica della nostra penisolaai fenomeni alluvionali, si è aggiuntal’imprevedibilità degli eventi atmosfe-rici, causata dal cambiamento climati-co. Intense piogge seguono a periodi diprolungata siccità, causando allaga-menti in zone urbane, a causa della ri-dotta permeabilità del terreno e dellainsufficiente capacità dei sistemi discolo di convogliare rapidamente il de-flusso della precipitazione.

L’impatto di tali eventi sulle comu-nità colpite non è legato tanto all’in-tensità della precipitazione o del-l’esondazione, quanto alle caratteri-

stiche del contesto colpito. L’entitàdell’impatto, in altre parole, dipendedalla preparazione del sistema difronte allo stress causato dall’eventonaturale, ovvero dalla sua vulnerabi-lità, e dalla sua capacità di reagire e ri-prendersi dall’evento catastrofico, ov-vero dalla sua resilienza.

Vulnerabilità e prevenzione Il termine vulnerabilità è facilmentecomprensibile, se analizzato a partiredalla sua origine. Deriva dal terminelatino vulnus, ferita. Era consideratovulnerabilis, nel gergo militare del-l’antica Roma, il soldato ferito, che sulcampo di battaglia era più esposto dialtri agli assalti del nemico.

La valutazione della vulnerabilitàdi un sistema umano di fronte all’im-patto di un’alluvione muove dallostesso principio: rispetto a un eventodi pari entità, diversi sistemi possonoessere più o meno preparati, più omeno sensibili. A seconda di questo

di Chiara Bianchizza ricercatore e project manager Isig – Istituto di sociologia internazionale di Gorizia L

nazionale emergenze

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Solidarietà nelle emergenze. Ma anche cura della casa comune nellaquotidianità. E impegno per la prevenzione. L’intensificarsi delle preci-pitazioni e la fragilità idrogeologica di tanti territori del nostro paese, a cui si aggiunge l’incuria delle manutenzioni, mette in ansia intere comunità.

Le Caritas diocesane si trovano spesso in situazioni complesse e inedite, chiamate a dare risposte immediate. Anche oltre le loro dirette competenze: la loro vocazione, nelle emergenze, è concentrarsida subito su famiglie e fasce deboli, come intervento sussidiario a quello delle istituzioni. Eventuali supplenze non possono che esserebrevi, senza assunzione di responsabilità insostenibili e improprie.

Solo negli ultimi tre anni, il territorio italiano, da nord a sud, è statosquassato da alluvioni e fenomeni climatici, i cui effetti sono amplifica-ti dall’uomo e dalla inconsistenza di un territorio che si sbriciola e ren-de insicuro l’abitare. Dall’autunno 2012, in particolare, si sono verifica-ti eventi catastrofici in Sardegna, Sicilia, Liguria, Campania, Triveneto,Calabria, Puglia, Marche, Lombardia e altre località. Un vero e propriobollettino di guerra, relativo peraltro alle sole emergenze che hannocausato un numero significativo di sfollati (oltre 100 mila). Ciò richiedeun impegno istituzionale (dal governo nazionale agli enti locali alle tan-te agenzie interessate) per il monitoraggio dei territori e la program-mazione di interventi di risanamento idrogeologico. Ma in questo pa-norama non può mancare la solidarietà fattiva della Chiesa italiana, a favore di persone, famiglie e comunità che vedono compromessonon solo il patrimonio abitativo e delle infrastrutture, ma anche fittereti di attività imprenditoriali. Tale vicinanza viene espressa attraverso i gemellaggi fra chiese sorelle, la presenza di volontari di associazioniecclesiali e di protezione civile, la presenza di Caritas Italiana e deglioperatori delle delegazioni regionali Caritas. A ciò si aggiungono i con-tributi straordinari deliberati dalla presidenza della Conferenza episco-pale italiana attingendo a fondi otto per mille, che dal 2012 sono am-montati a un totale di circa 10 milioni di euro.

Ogni Chiesa locale ha inoltre messo in campo vari strumenti di aiu-to materiale, ma anche di accesso al credito per la ricostruzione e la ri-presa, grazie al Prestito della speranza e a iniziative locali preesistenti,organizzate sia per il credito sociale che per il credito imprenditoriale.

Molte Caritas diocesane e parrocchie hanno infine espresso impe-gno nella cura dei territori nel quotidiano, con attività di manutenzionee prevenzione, in sinergia con istituzioni e organizzazioni locali.

IL RUOLO CARITASNon supplenza, ma prevenzionee attenzione ai gruppi vulnerabili

cambiato tutto dopo le alluvioni. So-no cambiate la città, la Caritas, laChiesa». Olbia, negli ultimi anni, èstata messa in ginocchio due voltedall’acqua: nell’autunno 2013 (13 vit-time) e in quello 2015. Suor Luigia

Leoni, responsabile della Caritas delladiocesi di Tempio-Ampurias, è statain prima linea in entrambe le emer-genze: compresa la seconda, «per cuilo stato di calamità naturale non èstato riconosciuto, e questo ci ha la-

«È

«Diventiamo punto di riferimento,ascoltando e aiutando in modo diverso»

di Marta Zanella

Genova, Benevento, Tempio-Ampurias: tre Caritas diocesane in primalinea dopo recenti alluvioni: «Cambiano le comunità, e noi con loro»

giorni, dal momento che l’allaga-mento dell’autostrada impediva l’ar-rivo delle squadre della Protezionecivile regionale. I volontari di prote-zione civile locale allertarono i lorocolleghi volontari della vicina Austriae Slovenia, che riuscirono a raggiun-gere il paese, contribuendo a evitaredanni più gravi e limitando l’impattodell’alluvione sulla popolazione e sulcentro abitato. La rete informale inquesto caso rappresenta un esempiodi flessibilità e una possibilità di so-luzione, di fronte a un ostacolo realecreato dall’evento alluvionale.

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nazionale emergenze

diffuso, la terza Conferenza mondialesulla riduzione del rischio di disastri,tenutasi a Sendai (Giappone) nel2015, ha sottolineato l’importanza dicreare meccanismi atti a diffondere laconsapevolezza e la conoscenza delrischio tra i cittadini, sia come ele-mento di prevenzione sostenibile nellungo periodo, sia come mezzo per ri-durre i costi sociali ed economici del-le emergenze naturali.

In questo senso, diversi sono gli in-terventi che si stanno attuando a livel-lo europeo. In Italia, facendo seguito alrecepimento della Direttiva 2007/60della Commissione europea, la predi-sposizione dei Piani di gestione del ri-schio di alluvioni prevede la consulta-zione pubblica con i cittadini, nell’am-bito dei diversi bacini idrografici. Lapopolazione è chiamata a parteciparedirettamente alla stesura dei suddettipiani, diventando in questo modo unsoggetto attivo di prevenzione.

Un ruolo importante nella costru-zione di una cultura di prevenzione alivello nazionale è ricoperto anchedalle campagne di sensibilizzazioneed educazione al rischio, svolte nellescuole dai volontari di Protezione ci-vile o tramite da iniziative specificherivolte alla generalità dei cittadini,quali “Io non rischio”.

Inoltre, hanno un ruolo molto im-portante in questo processo di pre-venzione tutte le iniziative che a livel-lo della società civile (grazie all’operadi associazioni e volontari) avvicinanocittadini alla manutenzione e alla curadell’ambiente. Molto spesso, infatti,episodi di esondazione dei corsi d’ac-qua possono essere notevolmente mi-tigati da una corretta pulizia dei canalie dei piccoli corsi d’acqua, in previsio-ne delle piogge.

Resilienza ed adattamentoDi fronte ad un disastro naturale, qua-le un’alluvione, la capacità di un siste-ma di gestirlo in maniera efficace e diripristinare la propria funzionalità in

tempi brevi si definisce “resilienza”. Sela riduzione della vulnerabilità è legataalla conoscenza del territorio e allaconsapevolezza del rischio, la resilien-za è invece dipendente dalla capacitàadattiva del sistema, ovvero dalla suaflessibilità e possibilità di funziona-mento anche sotto stress. Tanto più unsistema è resiliente, tanto più sarà ca-pace di superare facilmente gli impattiche l’evento naturale catastrofico, peresempio un’alluvione, ha prodotto.

Il paradigma della gestione del ri-schio che si sta diffondendo a livello in-ternazionale ed europeo è volto pro-prio all’incremento della resilienza del-le comunità esposte al rischio. Investiresu una cultura di resilienza a livello lo-cale è anche tra gli obiettivi dell’Italia,nel settore della Protezione civile.

Se la riduzione della vulnerabilità è legataalla conoscenza del territorio e allaconsapevolezza del rischio, la resilienza

dipende dalla sua flessibilità e possibilitàdi funzionamento anche sotto stress

Esempi di resilienzaLa resilienza di un sistema umano, diuna comunità locale, si costruisce apartire da diversi fattori. Su un pianosociale e di network (ovvero di co-struzione di reti sociali), un sistemaresiliente è caratterizzato da un’orga-nizzazione efficiente tra le diverseistituzioni ed attori che operano perla gestione del rischio. Si parla certa-mente del meccanismo istituzionaledi Protezione civile, ma anche delruolo che a livello informale hanno leorganizzazioni di volontari nella ma-nutenzione e gestione del territorio edelle reti solidali. Una distribuzionedi ruoli efficiente tra tutti questi atto-ri rende la gestione del rischio piùflessibile di fronte all’imprevedibilitàdell’evento alluvionale.

Un esempio molto interessante, inquesto senso, è rappresentato dal ca-so di Malborghetto Valbruna (Udine),comune montano del Friuli VeneziaGiulia. Nel 2003, a seguito di pioggeintense seguite a un lungo periodo disiccità, vi fu un’alluvione che interes-sò tutte le frazioni del comune, alla-gando i paesi e arrecando ingentidanni alla rete idraulica ed elettrica.Il comune rimase isolato per due

RIMBOCCARSI LE MANICHEAl lavoro, per le vie di Genova, dopol’alluvione del 2014. In alto a destra,volontari di Caritas Benevento

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viene condotta in uno spirito di totalegratuità: i costi relativi all’accoglienzasono sostenuti da famiglie e parroc-chie. Si tratta, dunque, di un’iniziativache ambisce a garantire un elevatostandard qualitativo di accoglienza,puntando sulla sostenibilità econo-mica; i costi finali risultano infatti cir-ca sei volte inferiori rispetto a quelliordinariamente sostenuti dalle istitu-zioni per la sola accoglienza.

Va peraltro chiarito che “Rifugiatoa casa mia” non intende costituire unsistema di accoglienza parallelo aquello ufficiale, nel quale Caritas Ita-liana e molte Caritas diocesane giàoperano, ma si propone come espe-rienza complementare, votata so-prattutto a lavorare sull’integrazione,che continua a rappresentare unpunto debole.

Caritas Italiana cura formazionedegli operatori e accompagnamentodel progetto, anche attraverso Com-munitas onlus, consorzio di organi-smi promossi dalle Caritas diocesa-ne, e i suoi esperti. Durante l’attua-zione del progetto, monitorato datutor nazionali e operatori diocesani,

momenti di verifica consentono di valutare l’andamentodelle accoglienze attivate.

Per facilitare l’integrazione dei beneficiari, infine, sonostate rese disponibili risorse da Conferenza episcopaleitaliana (circa 600 mila euro) e Patronato Acli: servono peril kit per l’integrazione, ovvero attività formative, ludico-ricreative, sportive, culturali, professionalizzanti, rivolteal beneficiario e alla famiglia che accoglie.

n occasione dell’apertura del Giubileo della Misericordia, CaritasItaliana ha avviato a novembre il progetto “Protetto. Rifugiato acasa mia”. Da allora, già 173 famiglie, 146 parrocchie e 30 istituti

religiosi in tutta Italia hanno messo a disposizione circa mille posti peraltrettanti cittadini stranieri in difficoltà. Uomini, donne e famiglie, chetrascorreranno almeno sei mesi in un contesto familiare protetto.

Proprio la famiglia è il perno dell’iniziativa (attivata dopo la prima epositiva sperimentazione di tre anni in alcune realtà pilota): anche nelcaso di accoglienza in parrocchia o in istituto religioso, il beneficiarioè infatti seguito da una famiglia della comunità locale, che lo accom-pagna in un percorso di integrazioneche oggi, più che mai, appare la verasfida dell’immigrazione. Non a caso, ilprogetto punta a unire all’interno diuna casa famiglie e rifugiati, ciascunocon le sue quotidianità, abitudini, rou-tine, esigenze. Non si tratta di offriresolo tetto e pasti, ma di accompagnarele persone accolte in un percorso diautonomia, attraverso un graduale in-serimento nel contesto sociale. Con-temporaneamente, la casa che acco-glie diventa segno di integrazioni pos-sibili, a misura di ogni persona.

Il ruolo cruciale attribuito alla fa-miglia e all’accoglienza diffusa va letto anche comescommessa sul protagonismo dei rifugiati, messi nellecondizioni più opportune per raggiungere autonomia edemancipazione, così difficili da ottenere in grandi strut-ture e centri, creati prioritariamente per contenere.

A costi sei volti inferioriÈ importante sostenere che l’esperienza di accoglienza

Dopo la sperimentazionedi tre anni fa,

a novembre CaritasItaliana ha rilanciato

il progetto di accoglienzadiffusa dei rifugiati:famiglie, parrocchie

e istituti religiosiaccolgono già mille

persone. Puntando suautonomia e attivazione

dei beneficiari

RIFUGIATO A CASA MIA:IN FAMIGLIA, PER INTEGRARSI

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dall’altromondodi Chiara Bottazzi

11 10 I TA L I A C A R I TA S | M A R Z O 2 0 1 6

sciato quasi soli a lavorare, con pochiaiuti dall’alto».

Abituate a operare con le povertàtradizionali, molte Caritas locali, inItalia, si sono trovate negli ultimi annia gestire emergenze ambientali, e so-prattutto a rivedere il proprio ruolo,per essere a fianco delle comunità edelle famiglie nel “dopo”, a emergenzaconclusa, nella fase lunga e delicatis-sima in cui bisogna ricucire un territo-rio. «Siamo stati punti di riferimentoper il territorio: in casa del vescovo ab-biamo insediato il coordinamento del-le attività e questo, insieme a tutto il la-voro, ha fatto in modo che le personeguardassero alla Chiesa con altri occhi– spiega ancora suor Luigia. – Abbia-mo avuto riconoscimenti da altre as-sociazioni, dai gruppi giovanili… In-somma, abbiamo fatto breccia anchedove c’era resistenza».

Non più “cosa da poveri”Improvvisamente, le Caritas che si tro-vano coinvolte in eventi traumatici perl’intera popolazione vengono vistecon altri occhi. La Caritas non è più“cosa da poveri”, ma diventa una realtàin grado di esprimere servizio a 360gradi. «È cambiato il modo di vederci.Ci cercano per supporti di diverso tipo.Ad esempio – specifica suor Luigia –,per il supporto psicologico. Molto ri-chiesto da chi vive problematiche fa-miliari, oltre che economiche».

«Davvero molti cittadini hanno ca-pito che la Caritas non è solo il paccoviveri, ma una struttura a servizio ditutto il territorio», le fa eco don NicolaDe Blasio, direttore della Caritas del-l’arcidiocesi di Benevento. Anche ilsuo territorio è finito sotto fango e ac-qua, nell’ottobre scorso: l’alluvione hacausato due morti e danni ingenti a fa-miglie e attività produttive. «Ma nel-l’emergenza noi siamo stati pronti.Dai tempi del terremoto in Irpinia, èattivo un osservatorio che ci permettedi essere sempre all’erta. Quando è ar-rivata l’alluvione, la rete è stata attivata

immediatamente, con il supporto psi-cologico, quello sanitario, ma anche leidrovore e i fondi economici».

Anche a Genova chi è venuto incontatto con la Caritas dopo le due piùrecenti alluvioni (2011 e 2014), si è resoconto che essa non si occupa solo del-le fasce estreme di povertà. «Anche se,a differenza di un evento come un ter-remoto, che colpisce ovunque, le allu-vioni coinvolgono le zone adiacenti aun fiume o alla montagna, quindi piùa rischio, per questo deprezzate – fanotare Maria Rita Olianas di CaritasGenova –. Insomma, non sono zoneresidenziali “alte”, ma spesso popola-ri». Nel capoluogo ligure, oltre a esserecoinvolti i caseggiati, sono stati dan-neggiati molti negozi, per i quali valelo stesso ragionamento: «Chi ha unesercizio commerciale qui, dove gli af-fitti sono più bassi, spesso ha un pic-colo negozio, e a volte si tratta anchedell’unico introito familiare».

Per questo gli interventi di Caritas,attraverso aiuti economici che hannopermesso a molti di non andare in ros-so con il mutuo, o di evitare il ricorso a

nazionale emergenze

A differenza di un terremoto, che colpisceovunque, le alluvioni coinvolgono le zoneadiacenti a un fiume o alla montagna,

quindi più a rischio e deprezzate: insomma,non zone residenziali “alte”, ma popolari

prestiti da usurai, hanno riguardato fa-miglie medie che rischiavano di per-dere l’equilibrio.

Straordinario nell’ordinarioA richiedere un cambiamento, durantee dopo le emergenze, spesso è anche iltipo di formazione degli operatori so-ciali. «Abbiamo dovuto promuovereuna formazione specifica legata allaburocrazia, ai linguaggi delle banchecon cui i nostri operatori si sono trovatia rinegoziare i mutui per le famiglie se-guite, alle normative che vengonoemesse in questi casi speciali, all’assi-stenza agli anziani per compilare do-mande di aiuti...», spiega Olianas.

Così si è fatta la scelta di chiederesupporto a esperti: «Abbiamo collabo-rato con la Fondazione Antiusura e al-cuni avvocati amici per colmare le no-stre lacune – spiega Olianas –. Inter-facciarci con persone diverse, come icommercianti, ci ha fatto capire chedobbiamo essere in grado di parlare eascoltare anche in modo differente».

Anche con diversi strumenti di co-municazione. «Fondamentale è statol’uso dei social network: attraverso lapagina facebook abbiamo lanciatoappelli e la gente è accorsa con gene-rosità – conclude don Nicola De Bla-sio –. Abbiamo raggiunto un mondoche non era il nostro solito: ora l’im-portante è non perdere questo nuovorapporto e questo entusiasmo. Il dif-ficile è mantenere nell’ordinario que-sto “straordinario”».

IL CUORE NEL FANGOCaritas Benevento, protagonistadopo l’alluvione di ottobre 2015

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sociale. Fra figli, nipoti, volontariato eaiuto al prossimo, i nostri anzianihanno una vita piena di relazioni.

La salute. E la tecnologia Il merito è anche di quelle associa-zioni, federazioni o gruppi di interes-se che in piena autonomia promuo-vono questo approccio. «L’invecchia-mento attivo – spiega RobertoMuratore, responsabile della rete so-ciale di FederAnziani – non è uno slo-gan, ma un dato di fatto. Ed è una re-altà dalla quale tutti hanno da guada-gnare». È vero, sostiene Muratore,che «la condizione del singolo anzia-no è ancora molto legata alle sue di-sponibilità economiche» e che «otto

anni di crisi hanno aggravato la con-dizione delle fasce più deboli». Ma èaltrettanto vero che un moderatoesercizio fisico, con tutti i suoi van-taggi, è alla portata di tutti.

Fare anche solo “due passi in cen-tro” (il nome di un progetto in corso in80 province italiane, con mini-passeg-giate per sensibilizzare all’importanzadel movimento) in effetti ha un impat-to cardiologico e pneumologico note-vole, in termini di buona salute, chepoi è la base per qualsiasi altro impe-gno. «Inoltre, la qualità della vita di unanziano – aggiunge Muratore – è lega-ta alla sua salute, ma ormai anche al-l’accesso alle nuove tecnologie: dainostri corsi di alfabetizzazione digita-

NON È UN’ETÀ TERMINALEAnziane volontarie (sopra)

in un centro d’ascolto Caritas.Sotto, non è mai troppo tardiper apprendere nuove abilità R

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L’invecchiamento attivo non è uno slogan,ma un dato di fatto. Ed è una realtà da cuitutti hanno da guadagnare. La qualità

della vita di un anziano è legata alla salute,ma ormai anche all’accesso alle tecnologie

le, che negli ultimi due anni hannoconsentito a 205 mila anziani di impa-rare l’uso del tablet, abbiamo verifica-to un netto miglioramento della con-dizione di vita percepita dall’anziano».

Scambio di valori e affettiFra le associazioni che in modo ca-pillare svolgono un ruolo prezioso inquesto ambito, ha appena festeggia-to i 25 anni di vita l’Auser. «Oggi – af-ferma il presidente, Enzo Costa –, fi-nita l’età lavorativa una persona haancora davanti 20-25 anni: bene al-lungare la vita, ma bisogna ancheriempirla di contenuti. La prima re-gola generale per invecchiare attiva-mente è allora continuare a offrire ea porsi uno scopo di vita: una perso-na si deve alzare la mattina e saperequal è l’impegno che la aspetta, sen-za che questo sia assimilabile a un la-voro. Sono impegni sociali, che han-no ricadute positive speculari: da unlato ci si sente un soggetto utile,dall’altro si svolgono attività che van-no a beneficio dell’intera comunità».

Così sono in molti a coltivare leproprie passioni per migliorarsi e cre-scere, nonostante i capelli bianchi:fanno volontariato nei parchi, neimusei e nelle biblioteche; si iscrivonoa corsi e conferenze promossi dalleUniversità popolari o dai vari circoli;partecipano a gite, uscite sociali e cul-turali; imparano l’uso del pc e dellenuove tecnologie; si lanciano nell’at-tività fisica, dallo sport al ballo; pre-stano servizio nei pressi delle scuole,a favore di bambini e ragazzi; si ado-perano a fianco degli anziani più fra-gili, offrendo loro aiuto e vicinanza.

Un mare di relazioni, che talvolta

“Over 65” ancora in attività? L’Italiaprimeggia, in Europa,per partecipazione.Ma è quasi tutto meritodel privato sociale.Serve una legge: entipubblici e politichenon investonosu un fenomeno dalle potenzialitàplurali. Anche rispetto al rapporto tra generazioni

ono anziani. E sono in buonasalute. Attivi, consapevoli, in-teressati all’arte, alla politica,alla società. Desiderosi di sta-re insieme agli altri, di diver-

tirsi, di aiutare, di scoprire cose nuo-ve e pensare al futuro. In un’Italia cheinvecchia sempre più, dove l’età me-dia (per fortuna) aumenta e dove pe-rò (per sfortuna) i giovani sono sem-pre meno, ci sono persone che nonhanno intenzione di farsi da parte.

Lo chiamano “invecchiamento at-tivo”, e interessa un numero semprecrescente di coloro che, per conven-zione, sono considerati “anziani”: gliultra-65enni, cioè il 21,4% della popo-lazione italiana, il dato più alto di tuttaEuropa (dove la media è 18,5%). Uffi-cialmente l’Oms (Organizzazionemondiale della sanità) definisce l’in-vecchiamento attivo come un “pro-cesso di ottimizzazione delle oppor-tunità relative alla salute, partecipa-

zione e sicurezza, allo scopo di miglio-rare la qualità della vita delle personeanziane”: qualcosa che – sottolineal’Unione europea – ha certamente ache fare con fattori come lavoro, par-tecipazione sociale, salute, manteni-mento dell’autonomia e solidarietàfra le generazioni. In termini più sem-plici, è la situazione in cui l’anziano vaa lavorare finché può, tiene in allena-mento corpo e spirito facendo eserci-zio fisico, frequenta corsi di formazio-ne, si impegna nel volontariato, siprende cura di figli e nipoti, e così via.

Nello speciale indicatore europeoche misura tutto questo (ActiveAgeing Index) l’Italia è 14ª fra i 28 pae-si dell’Unione europea: una classificaguidata da Svezia, Danimarca e Olan-da e chiusa da Ungheria, Polonia eGrecia. Con una particolarità: siamomediocri in quasi tutti gli indicatori,ma primeggiamo (con l’Irlanda) inquello che misura la partecipazione

di Annalisa Loriga

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nazionale terza età

«Ma non sia un alibi»

Invecchianoattıvı

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34,3% (-6,6% rispetto al 2015) fainoltre fatica ad affrontare le spesemediche. Tra quanti hanno attivatoun mutuo, il 37,3% non riesce a sal-dare le rate e il 40%di chi è in affitto èin difficoltà con il canone.

Con una diminuzione di 18,4 pun-ti rispetto al dato (71,5%) rilevato ainizio 2015, la perdita del proprio po-tere d’acquisto rimane comunqueuna realtà per più della metà dei cit-tadini: 53,1% (un forte calo è indicatonel 13,4%dei casi, meno marcato nel39,7%). Nel 2015, a indicare “poco” o“per niente” diminuita la capacità difar fronte a spese e acquisti per mezzodelle proprie entrate, erano solo il28,5%, mentre nel 2016 il dato volgein positivo (46,8%).

Rimangono, però, aree di partico-lare gravità e preoccupanti segnalid’allarme. È per esempio in aumentola percentuale di chi dichiara di avereesperienza di amici o parenti a cui ècapitato di chiedere denaro in presti-to a un usuraio (16,9%, +6%), ricor-rere alla Caritas o ad altre associazio-ni per disporre di aiuto (22,9%,+2,7%) o perdere importanti somme

di denaro al gioco (28,7%, +13,4%).Nel Mezzogiorno, infine, un particolare disagio emerge

tra gli abitanti delle isole, rispetto a quelli del “continente”,ma anche rispetto a quelli delle altre regioni del paese: iprimi indicano un peggioramento della propria situazioneeconomica nel 66,5%dei casi, mentre il dato del sud si at-testa su valori quasi dimezzati (34,6%). Anche un calo delpotere d’acquisto è indicato più dalle famiglie delle isole(75,8%) che da quelle del sud (50,3%). Ancora, nelle isoleil 70,5% è costretto a utilizzare i risparmi per arrivare afine mese e solo il 29,5%vi arriva senza eccessive difficol-tà. Oltre la metà di chi ha acceso un mutuo (56,5%) ha dif-ficoltà a pagare le rate, percentuale che si mantiene sottoil 40% per le altre aree geografiche del paese (37,5% alsud). Situazione analoga per la capacità di far fronte allespese di locazione, inadempibili per il 52,8%degli isolani(al sud invece non riesce a pagare l’affitto il 35,8%).

l 28° Rapporto Italia dell’istituto Eurispes evidenzia segnali diottimismo sull’andamento dell’economia e l’atteggiamento de-gli italiani sul futuro del paese. La speranza si fa strada, benché

nel corso del 2015 quasi un italiano su quattro – sondaggiodemoscopico, campione di 1.120 cittadini – abbia dovuto rivolger-si a un ente benefico (tra cui la Caritas) per chiedere una qualcheforma di aiuto...

Quanto alle previsioni per il futuro dell’economia, si evidenzianoin sintesi una ripresa della fiducia generale e il lento abbandono delclima di forte pessimismo che ha caratterizzato gli ultimi anni.Il 47,3%degli italiani (+13,4%rispet-to al 2015) indica per il 2016 di aspet-tarsi una sostanziale stabilità econo-mica del paese. Il 14,7% (+10,1% ri-spetto al 2015) è convinto che lasituazione migliorerà nel corso diquest’anno. In parallelo, si dimezza laquota di quanti prevedono un futuropeggioramento (dal 55,7%al 27,3%:-28,4%).

Anche i dati sulla situazione econo-mica delle famiglie confermano che siinizia a respirare. In controtendenzarispetto alla rilevazione del 2015, a in-dicare un forte o lieve peggioramentodella propria situazione economica è il 40,7% (-36%); il12,3% (+9,4%) ha constatato un aumento delle proprierisorse, mentre sale dal 18,5%del 2015 al 43,8%del 2016il numero di chi indica una situazione di stabilità.

Tra la Caritas e il giocoLa gestione della quotidianità per gli italiani pare farsi me-no critica. La difficoltà nel fare fronte alle spese e alle esi-genze quotidiane mostra segni di regressione rispetto al2015. Il 27,3% degli intervistati non riesce con le proprieentrate ad arrivare alla fine del mese (-19,9% rispetto al2015). Il 44,5% (-18,3% rispetto al 2015) riferisce che lapropria famiglia è costretta a utilizzare i risparmi per arri-vare a fine mese. In parallelo, aumenta la quota di chi rie-sce a risparmiare qualcosa (dal 14,8% al 25,8%: +11%) ediminuisce quella di chi ha difficoltà a pagare le spese deitrasporti (dal 34,4% al 25,7%). Oltre un italiano su tre, il

Il 28° “Rapporto Italia”di Eurispes dice

che i cittadini italianivedono il proprio futuro

con maggior fiducia.Anche se sono

in aumento fenomenigravi, a cominciare

dall’usura. Più risparmie potere d’acquisto,

meno difficoltà: isole escluse…

SERPEGGIA OTTIMISMONONOSTANTE GLI ALLARMI…

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databasedi Walter Nanni

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nazionale terza età

travalica i confini generazionali. «Iprogetti che vedono insieme giovanie anziani – racconta ancora Muratore– alimentano uno scambio di valoriimportante, che va oltre l’obiettivodiretto della singola iniziativa: quan-do i nostri ragazzi 25enni vanno neicentri anziani per insegnare l’uso delcomputer e fra gli alunni si ritrovanodei 90enni, si creano fra loro rapportiinterpersonali di grande affetto. E simanifesta il grande bisogno di con-dividere che c’è in ognuno di noi».

In attesa di una leggeTutta questa vitalità, che rappresentaun vero patrimonio, si deve solamenteall’iniziativa privata; quanto allo stato,il suo ruolo in termini di politiche dipromozione è abbastanza deludente.Ci sono norme pensate per favorireun’uscita graduale dal lavoro o un suoprolungamento (in modalità soft) an-che dopo la pensione, ma in generalenon incidono in modo significativo.«Perlopiù – sostiene Muratore – lo statoagisce con campagne di comunicazio-ne: il resto sono interventi limitati, per-ché si preferisce fare affidamento suisoggetti privati che operano a strettocontatto con gli anziani. Certo, sarebbeauspicabile poter contare su maggioririsorse, o anche solo su piccoli inter-venti, come l’estensione della possibi-lità di detrazioni fiscali in caso di iscri-zioni a corsi che favoriscono l’eserciziofisico e le relazioni con gli altri…».

È un tema aperto, che anche Costacondivide: «Noi affermiamo che ènecessario che l’Italia si doti di unalegge per l’invecchiamento attivo,prevedendo ad esempio che la for-mazione dell’età adulta rientri a pie-no titolo nei progetti regionali e chegli anziani non siano visti come unproblema o un costo, come accadespesso parlando di sanità».

L’invecchiamento attivo, insomma,andrebbe valorizzato come realtà po-sitiva. Ma non “usato” a pretesto per

L’Italia si deve dotare di una legge perl’invecchiamento attivo: la formazionedell’età adulta deve rientrare nei progetti

regionali e gli anziani non devono esserevisti come costo, come accade in sanità

A Roma, da tre anni, la Caritas diocesana ha avviato il progetto “Quartie-ri solidali”, con l’obiettivo di attivare le comunità parrocchiali a favore degli anziani fragili. Attraverso diverse iniziative si cerca di far emergere i bisogni degli anziani in vari quartieri della capitale, per individuare gli interventi più idonei da attuare. Sette le parrocchie coinvolte, da ColliAniene al Trionfale, dall’Aurelia all’Appio-Tuscolano, passando per Cento-celle e Prati Fiscali. «All’interno del progetto – spiega Gianni Pizzuti, coor-dinatore dell’area volontariato di Caritas Roma – sono coinvolti volontaridi tutte le età: ci sono i giovani, ci sono gli adulti. E ci sono anche e soprattutto tanti anziani».

La formula è semplice: si parte con alcuni incontri per conoscere da vi-cino il contesto sociale dove gli anziani vivono, e si cerca di capirne i biso-gni, ma anche il loro possibile ruolo di risorsa. Poi si entra nel vivo delle at-tività, che si muovono in tre direzioni: socializzazione (laboratori e iniziativeculturali nelle parrocchie e in spazi comuni), assistenza domiciliare leggera(compagnia, accompagnamento, piccole faccende) e interventi nei condo-mini, con la creazione del custode solidale. «È una figura – spiega Pizzuti –pensata per mettere in contatto chi ha bisogno con chi può dare una ma-no e che spesso si trova nello stesso palazzo. Più in generale, è il tentativodi creare una rete di vicinato dove si possano sviluppare rapporti, relazionie un naturale sostegno reciproco. I risultati sono molto incoraggianti».

“Quartieri solidali” è un progetto che intende favorire dunque anchela partecipazione attiva degli anziani alla vita sociale del proprio territo-rio, per contrastare solitudine e isolamento, spesso prima reale forma difragilità. Si cambia, in buona sostanza, il punto di osservazione: l’anzianonon è più mero destinatario di servizi e interventi, magari anche virtuosi,ma diventa protagonista, un soggetto portatore di esperienza, competen-ze, capacità pratiche e teoriche. Insomma, una risorsa: per sé e per lacomunità. Il tutto con un approccio, giocoforza, personalizzato, a secondadelle realtà territoriali: perché, al netto di alcune macro-criticità comuni, i problemi a Colli Aniene sono diversi da quelli del Tuscolano. Il quartieresmette insomma di essere un aggregato di individui anonimi e indistinti,per diventare centro di gravità che recupera e crea risorse umane, par-tendo dal microcosmo parrocchiale, per guardare all’intera comunità.

Ma coinvolgere in prima persona gli anziani in attività di volontariatoe assistenziali offre solo opportunità, o ha anche qualche limite? «Lanostra iniziativa – conclude Pizzuti – dimostra che è possibile coinvol-

gere in modo attivo gli anziani in attività di socializza-zione, aiutando loro e facendoli diventare una forza peraiutare altri anziani. Forse alcuni limiti emergono sulfronte dell’assistenza domiciliare. Ma, in generale, so-no più i vantaggi che gli svantaggi: rendere protagoni-sti della vita del territorio persone che, come gli anzia-ni, lo conoscono bene, aiuta tantissimo. Sia sul frontedel sostegno individuale, che a livello di qualità dellavita per la collettività». [Alberto Rizzardi]

Anziani che sostengono anziani,a Roma il quartiere si scopre solidale

giustificare le carenze statali nei servi-zi pubblici (spesso colmate dal volon-tariato) o nelle politiche familiari (so-stanzialmente assenti, con i nonniche giocano un ruolo fondamentalenella cura dei nipoti, e talvolta anchedei figli). Anche dallo sviluppo di nuo-ve politiche sociali passerà il futurodel paese più vecchio d’Europa.

PROBLEMA E RISORSALa locandina che presentail progetto della Caritasdiocesana di Roma

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derà a definire le modalità di inter-vento, valutazione, selezione e moni-toraggio, nonché le caratteristichedei progetti da finanziare.

Un altro comma della legge, intro-dotto nel corso dell’iter parlamentare,ha inoltre istituito la “Carta della fami-glia”, rivolta alle famiglie con almenotre figli minori a carico, che la richie-dano volontariamente secondo le mo-dalità e i criteri che saranno criteri de-finiti, sulla base dell’Isee, da un decre-to (da emanare entro tre mesi) delministro del lavoro, di concerto con icolleghi dell’economia e dello svilup-po economico. La carta verrà emessadai comuni, avrà durata biennale econsentirà di accedere a sconti sull’ac-quisto di beni o servizi, ovvero a ridu-zioni di tariffe emesse da enti pubblicio privati che aderiranno liberamenteall’iniziativa. Potrà essere funzionaleanche alla creazione di gruppi di ac-quisto familiari o solidali nazionali,nonché alla fruizione dei biglietti fa-miglia e di abbonamenti famiglia perservizi di trasporto, culturali, sportivi,ludici, turistici e di altro tipo.

Molti lasciati fuoriLa positiva novità di questa legge distabilità, in definitiva, consiste nel fat-to che per la prima volta prevede unostanziamento strutturale, finalizzatoalla creazione di un reddito minimod’inserimento. Si è ben distanti, ad

La positiva novità della legge di stabilità?Per la prima volta prevede stanziamentistrutturali, finalizzati a creare un reddito

minimo d’inserimento. Si rimane peròben distanti dal fabbisogno prevedibile

tare su una disponibilità di fondi paria 1,6 miliardi di euro per il 2016, al-trettanti per il 2017 e poi 1,5 miliardiall’anno negli anni successivi.

C’è anche la “Carta famiglia”La legge di stabilità prevede ancoraun credito d’imposta (fino a 100 mi-lioni annui) a favore delle fondazionibancarie che finanzieranno un “Fon-do per la lotta alla povertà educativaminorile”, istituito sperimentalmenteper il prossimo triennio e gestito inbase a un protocollo d’intesa tra lefondazioni, la Presidenza del consi-glio, i ministeri dell’economia e fi-nanze e del lavoro e politiche sociali.Lo stesso protocollo d’intesa provve-

ogni modo, dal fabbisogno prevedibi-le per intervenire a favore di tutti co-loro che si trovano in condizione dipovertà assoluta, come prevede laproposta di un Reddito d’inclusionesociale (Reis), promosso dall’Alleanzacontro la povertà in Italia, di cui faparte anche Caritas Italiana: una spe-sa di 7,1 miliardi all’anno, a regime.

L’iniziativa del governo costituiscesenz’altro un primo passo positivoverso la meta. E la preferenza data ainterventi a favore delle famiglie conminori è comprensibile, sia in basealla necessità di restringere il campodi applicazione del sostegno econo-mico proporzionalmente alla consi-stenza del fondo, sia con in virtù dellacostatazione che la crescita della po-vertà nel periodo di crisi è stata par-ticolarmente marcata proprio inqueste famiglie.

Ma è chiaro che per contrastareappieno la povertà assoluta occorre-rà incrementare le risorse del fondonegli anni a venire e indirizzare il so-stegno economico anche verso altrisoggetti, sino a raggiungere una pla-tea di beneficiari composta oggi, inItalia, da 4,1 milioni di persone.

Di questo incremento non vi è peròtraccia nel testo della legge di stabilità,né in quello della legge delega, appro-vata dal consiglio dei ministri il 28gennaio; quest’ultima, inoltre, preve-de per i servizi territoriali solo finan-ziamenti europei temporanei, chescompariranno all’inizio del prossimodecennio.

Per queste ragioni l’Alleanza controla povertà ha chiesto in un documen-to (vedi sintesi nel box) una sostanzia-

I TA L I A C A R I TA S | M A R Z O 2 0 1 6 17

AVRANNO UN REDDITO?Al mercato per la spesa,

in posta per pagarele bollette: per milionidi italiani che versano

in povertà assolutaanche le incombenzequotidiane diventano

una via crucis

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La legge di stabilità2016, spartiacque per la lotta alla povertàassoluta in Italia? Per la prima voltaintroduce stanziamentistrutturali control’esclusione sociale.Ma non prevede i necessari incrementidi risorse in futuro.Quale direzioneprenderà il governo?

a legge di stabilità 2016 rap-presenta uno spartiacque intema di politiche sociali elotta alla povertà? La rispo-sta non può che essere posi-

tiva. Ma molte incognite si addensa-no su alcuni aspetti ancora non chia-ri della strategia messa in campo dalgoverno Renzi.

In concreto, anche grazie alle pres-sioni esercitate sul governo da partedell’Alleanza contro la povertà in Ita-lia e a un chiaro orientamento espres-so dall’Unione europea, la legge final-mente finanzia un piano di lotta allapovertà su scala nazionale, con lacreazione del “Fondo per la lotta allapovertà e all’esclusione sociale”, allo-cato presso il ministero del lavoro edelle politiche sociali.

Questo fondo si avvale dell’asse-gnazione di 600 milioni di euro per il2016 e di 1 miliardo, che diventeràstrutturale per gli anni a venire. Gli

stanziamenti nel primo anno finan-zieranno un ampliamento di alcunemisure già in essere, il Sostegno all’in-clusione attiva (Sia) con 380 milioni,e l’Assegno di disoccupazione (Asdi)con 220 milioni, mentre a partire dal2017 verranno veicolati verso un’uni-ca misura di contrasto alla povertà,attraverso provvedimenti legislativi diriordino della normativa e di raziona-lizzazione di alcuni strumenti di wel-fare assistenziale, ancora da definire.

L’estensione e il rafforzamento delSia su tutto il territorio nazionale ri-guarderà prioritariamente i nuclei fa-miliari con figli minori, ma anchequelli con figli disabili; il sostegnoverrà concesso proporzionalmentein base al numero di tali figli e dovràtener conto della presenza, nel nu-cleo, di donne in stato di gravidanzaaccertata. Sommando gli stanzia-menti già effettuati su Social card, Siae Asdi, la lotta alla povertà potrà con-

di Francesco Marsico

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nazionale reddito d’inclusione

volta buonaLa

o un fuoco di paglia?

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contrappuntodi Domenico Rosati

za significative manifestazioni di sde-gno da parte delle maggiori istanzepolitiche dell’Unione. È il minimo checi si può aspettare quando un sedicen-te “interesse nazionale” si sovrapponeai principi e ai valori di solidarietà chela comunità non riesce ad affermare.

Riaprire i cantiericostituzionaliLa deriva è pericolosa e contagiosa.Ma se ci si limita a coltivare intese etattiche bilaterali, a livello di accorditra stati, pare difficile sfuggire allatentazione di dedicarsi ciascuno al-l’orto dei propri interessi particolari.Vale invece la pena verificare se, do-po tanti fallimenti, non sia il caso diriabilitare in campo politico un sen-tire comune europeo.

Vuol dire oggi affrontare con deci-sione il terzo (e più grave) deficit dicui l’Unione soffre. Vuol dire cioè im-pegnarsi a riaprire quei cantieri isti-tuzionali, che si è preteso di surroga-re con la scelta delle intese intergo-vernative. C’è un parlamento datrasformare in centro di vera legisla-zione continentale. C’è un “governo

europeo” da inventare, con le sue funzioni di direzione ele sue capacità operative. E c’è da fare una costituzioneeuropea, diversa da quella firmata a Roma nel 2004 e poiseppellita dai dissensi olandese e francese. Diversa per-ché non appesantita dal “copia e incolla” dei documentifino a quel momento approvati dagli organismi comuni-tari, ma indirizzata a configurare un governo politico fe-derale per gli Stati Uniti d’Europa.

Il sogno di Altiero Spinelli, giustamente commemoratoa Ventotene, l’isola da cui un piccolo nucleo di confinatiantifascisti lanciò l’appello per l’unità europea, è ancoraattuale. Lo è perché non è stato realizzato. Saranno dun-que ben spesi i dodici mesi che ci separano dall’anniver-sario dei Trattati di Roma se saranno utilizzati in tutti gliambiti, a partire dalla scuola, per mettere le scelte dellapolitica al traino di un vero “pensiero europeo”. Da rispol-verare e alimentare.

he pensare di questa Europa – intesa come Unione – che viag-gia verso i 60 anni? Per l’anniversario della sua nascita, 25maggio 2017, sono già pronti i discorsi di circostanza: i più fa-

cili da preparare. Più difficile, invece, chiedersi se abbia ancora sen-so parlare di Europa come soggetto politico; se, in altri termini, ab-bia davanti a sé un destino che non sia il deperimento rispetto alruolo storico che i padri fondatori assegnavano all’impresa di uni-ficare il vecchio continente attorno a un’idea di pace e sviluppo.Sermone duro, ma bisogna svolgerlo.

La situazione dell’Europa presenta tre fondamentali elementi dideficit: riguardano le politiche comu-ni, i processi di integrazione e la co-struzione istituzionale. Le politichedell’Unione si sono rivelate inadegua-te sia verso la crisi economica (sceltadell’austerità per combattere la de-pressione) sia verso i dissesti indottidai sommovimenti internazionali(questioni Siria e Libia, ondate migra-torie), subìti perché non prevenuti.

Il processo di integrazione (sceltocome surrogato dell’unificazione po-litica) ha invece rivelato i suoi limitisia sul fronte economico-finanziario(mancanza di un centro univoco didecisione) sia sul fronte degli effetti umani indotti dallecrisi (esodo dai paesi in conflitto verso l’area continenta-le). E gli eventi di questo inizio d’anno arrivano a metterein discussione due pilastri dell’integrazione: l’accordo diShengen sull’abolizione delle frontiere interne e l’euro co-me moneta comune. Di fronte a difficoltà straordinarie, apartire dall’attacco del terrorismo, l’Europa non si ritienein grado di opporre resistenza e strategie unitarie, ma ri-piega sulla linea dei tanti “faidatè” nazionali. Il dilatarsi dimovimenti xenofobi, sciovinisti e razzisti è la conseguen-za naturale di un simile scenario. Ed è arduo contrastaretali tendenze da parte di governi che, in sostanza, inse-guono le motivazioni della sovranità delle patrie, anchequando ne presentano una versione mitigata.

Infine, il quadro si arricchisce – per così dire... – con lemisure restrittive delle libertà personali dei cittadini euro-pei, già adottate o in corso di adozione in diversi paesi, sen-

Il sogno dei fondatoridell’Europa unita non

è stato attuato e le sceltecompiute sono state

inadeguate rispetto allesfide. La sovranità dellepatrie detta l’agenda,

con effetti nefasti:bisogna dedicare tempo ed energie

a rivitalizzare i valori e le idee delle origini

I DEFICIT DELL’UNIONE,UN PENSIERO DA RIANIMARE

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nazionale reddito d’inclusione

18 I TA L I A C A R I TA S | M A R Z O 2 0 1 6

opo le scelte positive nellalegge di stabilità («il più si-gnificativo intervento maivarato in Italia contro la po-vertà»), la legge delega pre-

sentata a fine gennaio dal governo«segna l’allontanamento dal percorsoche dovrebbe condurre a una misuranazionale rivolta a tutte le persone inpovertà assoluta». L’Alleanza controla povertà in Italia (aggregazione di 35organismi associativi, istituzionali esindacali, di cui Caritas Italiana è tra ipromotori) in una nota emessa a ini-zio febbraio ha fatto il punto sulle re-centi scelte dell’esecutivo Renzi.

La nota si apre ricordando che «inEuropa solo il nostro paese, insieme al-la Grecia, è privo di una misura nazio-nale universalistica – rivolta cioè achiunque si trovi in tale condizione –per le persone (4,1 milioni) che versa-no in povertà assoluta». Una misuracon queste caratteristiche, il Redditod’inclusione sociale (Reis), è l’oggettodell’articolata proposta dell’Alleanza, apiù riprese discussa proprio con il go-verno. Ribadito che, «a fronte del disin-teresse mostrato dalla politica in pas-sato, la legge di stabilità rappresentaciò che di meglio sia mai stato realizza-to in Italia nella lotta all’esclusione so-ciale», la nota dell’Alleanza ricorda pe-rò che «sarà nella delega che si definiràla strategia per i prossimi anni. Il dise-gno di legge presentato dal governo il28 gennaio segna però l’allontana-mento dal cammino verso il Reis».

L’Alleanza adduce tre ragioni a so-stegno del suo giudizio. «Primo, non èprevisto il necessario incremento di fi-nanziamenti. La delega esclude ulte-

riori stanziamenti, tranne quelli pro-venienti dal riordino complessivo del-le prestazioni assistenziali. (…) La de-lega non contiene alcuna ipotesi di fi-nanziamento che renda possibile (eneppure avvicinabile) il reperimentodei 7 miliardi annui indispensabili peril Reis. L’Alleanza richiede, invece, diprevedere un percorso di graduale in-cremento delle risorse (…) e di sepa-rare gli atti sulla lotta alla povertà daquelli sulla revisione dell’assistenza. Ilriordino delle prestazioni assistenzia-li, pur necessario, deve essere vinco-lato a una vera riforma del welfare (…). Tuttavia, poiché il complesso dellaspesa assistenziale coinvolge ben piùpersone e interessi rispetto alla pover-tà, se le due problematiche non venis-sero scisse, la gran parte del dibattitosulla delega non riguarderebbe i po-veri, bensì la revisione della spesa».

Dibattito, per una revisioneIn secondo luogo, con quanto previstodalla legge delega «ci si ferma a tre po-veri su dieci. (…) Mentre per il 2016 ifondi previsti dal governo sono simili aquelli ipotizzati dall’Alleanza, a partiredal 2017 le strade divergono: (…) la de-lega non ne contempla la progressivacrescita, bensì la stabilizzazione a 1,5

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Macchina avanti, marcia indietro:Alleanza delusa, per tre motiviStabilità ok, disegno di legge delega preoccupante: «Non incrementa i fondi, si ferma a tre poveri su dieci, non supporta i servizi territoriali»

le riscrittura della legge delega, in ma-niera tale da chiarire questi aspetti erassicurare circa la volontà di andareoltre la presa in carico solo di unaquota di famiglie povere, lasciando

fuori molti e chiudendo la porta allaipotesi di una misura davvero univer-sale di lotta alla povertà assoluta.

In altri termini: sicuramente la leg-ge di stabilità è un primo passo. Ma

(soprattutto se letta insieme alla suc-cessiva legge delega) non chiarisce inquale direzione vorrà andare il gover-no, e in quanto tempo. Non è un buonmodo di cominciare un viaggio.

miliardi annui. Le dichiarazioni gover-native indicano l’intenzione di erogarecontributi monetari di importo piutto-sto basso, per allagare il più possibilel’utenza raggiungibile con soli 1,5 mi-liardi. Si arriverebbe così a coprire in-torno al 30% delle persone povere (tra1,2 e 1,3 milioni), appartenenti ad al-cune tra le famiglie indigenti con figli».

Terzo motivo di preoccupazione,per l’Alleanza, è il fatto che «l’inclusio-ne sociale rischia di rimanere un obiet-tivo dichiarato. La delega enfatizza lanatura di inclusione attiva, e non assi-stenziale, delle nuove prestazioni,aspetto fortemente condiviso dall’Alle-anza. Si tratta di elaborare – nei territori– progetti personalizzati d’inserimentosociale (…). Il punto decisivo è fornireai soggetti del welfare locale, a partiredai comuni, gli strumenti per poterconcretamente lavorare per l’inclusio-ne degli utenti». Ma nel testo della de-lega «per i servizi territoriali si prevedo-no solo finanziamenti europei tempo-ranei, che scompariranno all’inizio delprossimo decennio (la cifra di 1,5 mi-liardi strutturali è destinata solo ai con-tributi economici ai poveri); peraltro lerisorse disponibili per le prime annua-lità (intorno a 150 milioni annui) sonoinadeguate. (…) Si chiede alla realtà delwelfare locale di costruire strategie perl’inclusione sociale, senza dotarle distrumenti adeguati allo scopo».

Macchine avanti con la legge distabilità, marcia indietro con la leggedelega: l’Alleanza contro la povertà inItalia chiede una profonda revisionedi quest’ultima, attraverso un con-fronto pubblico tra governo, parla-mento e soggetti sociali.

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dalla Caritas e dai servizi socialidel comune. Per loro lezioni gra-tuite e uno strumento in comoda-to d’uso gratuito.

PESAROUna retetra istituzionie associazioniper i senza dimora

Nelle Marche, così come inaltre regioni italiane, la que-

stione delle persone senza dimo-ra ha assunto contorni allarmanti:a Pesaro si cerca di superare l’ap-proccio emergenziale e aggredire

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strutturalmente il problema, met-tendo in campo una rete tra istitu-zioni e associazioni. Su tutte, la Caritas diocesana, che haaperto da poco in via Passeri uncentro di accoglienza pomeridianoper i senza dimora, in aggiunta alle altre attività già avviate neglianni, come il centro della salute.Grazie a un accordo con il comu-ne e la polizia municipale di Pesa-ro, sarà effettuato un monitorag-gio ancor più capillare dei senzadimora presenti in città, per farconoscere loro le opportunità offerte, come Casa Tabanelli (19posti) e Casa Mariolina (7 posti).

“Io rinuncio” ribadisce il motivoper il quale nel 2004 è stata pen-sata: spronare la popolazione ainterrogarsi criticamente sulleproprie abitudini e mettere in di-scussione i propri consumi e stilidi vita. Forum Prevenzione, Caritasdiocesana, Katholischer Familien-verband, Intendenza ScolasticaTedesca e Ladina e Arbeitsge-mein-schaft sono stati gli iniziato-ri della proposta: a loro si sonoaggiunte, anno dopo anno, tantealtre organizzazioni, mentre mani-festi, programmi radiofonici e in-serti pubblicitari le danno ampiavisibilità. Ogni organizzazione pro-pone poi un’azione: la Caritasdiocesana, quest’anno, invia bre-vi messaggi accompagnati dalloslogan “Semplice, consapevole,misericordioso”, via sms o trami-te e-mail, dando spazio alle setteopere di misericordia, in occasio-ne dell’Anno Santo straordinariodella Misericordia proclamato daPapa Francesco. I brevi messaggivalgono come spunti di riflessio-ne e suggerimenti per provare a mettere in pratica, ogni giorno,le opere di misericordia. [email protected]

LUCCALa musica,divertente antidotoal disagio: nascel’orchestra Lol

Usare la cultura e la musi-ca come strumenti per con-

trastare il disagio e l’esclusionesociale: è l’obiettivo del Laborato-rio orchestrale lucchese (Lol),partito a inizio febbraio su iniziati-va dell’associazione Tempo diMusica e dell’Istituto musicalediocesano Baralli, in collaborazio-ne con comune, Caritas diocesa-na e un pacchetto di associazionilocali. Ispirato al metodo Abreu, il progetto prevede l’istituzione di un’orchestra di 50 elementi,formata da bambini e ragazzi, la maggior parte dei quali prove-nienti da famiglie in situazioni di disagio economico, indicate

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“Misericordiosi come il Padre”. È ispirato a un pas-so del Vangelo di Luca il titolo del 38° Convegnonazionale delle Caritas diocesane (nella foto, un momento della 37ª edizione, Cagliari 2014), che si svolgerà a Sacrofano (Roma), presso la “Frater-na Domus”, dal 18 al 21 aprile. Misericordia è laparola chiave per indicare l’agire di Dio verso l’uma-nità e il nostro aprirci a quanti vivono nelle periferieesistenziali: sarà anche la parola chiave del Conve-

gno nazionale, che si propone, a 45 anni dalla nascita di Caritas Italiana, di fare unsintetico bilancio dell’impegno pastorale a servizio dei poveri e della Chiesa, e diorientare il cammino futuro dell’organismo. Tra gli ospiti annunciati, monsignor Nun-zio Galantino e don Ivan Maffeis (segretario generale e sottosegretario Cei), i cardina-li Agostino Vallini (vicario di Roma) e Luis Antonio Tagle(arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Interna-tionalis), Wael Suleiman (direttore di Caritas Giordania)e i professori Mauro Magatti e Luigino Bruni. La rifles-sione verterà sui temi del Giubileo e dell’enciclica Lau-dato si’; ulteriori indicazioni arriveranno proprio da papaFrancesco: giovedì 21 aprile, infatti, il convegno si con-cluderà in Vaticano, con l’Udienza del Santo Padre.

In memoria del martire obiettoreMa un appuntamento con papa Francesco non ce l’hanno solo i delegati del conve-gno Caritas. Prima ancora, precisamente sabato 12 marzo, giornata di San Massi-miliano (martire, ai tempi dell’impero romano, per aver compiuto obiezione di co-scienza al servizio militare e protettore dei volontari del servizio civile) faranno festacon il pontefice le giovani e i giovani in servizio civile per conto degli organismi (tra cui Caritas Italiana) che aderiscono al Tavolo ecclesiale per il servizio civile. Nella mattinata di sabato 12, giovani e responsabili degli enti incontrano Francescoin San Pietro; nel pomeriggio, confronto tra i protagonisti del servizio civile.

Convegno nazionale e S. Massimiliano:doppio incontro con papa Francesco

7appuntamenti/Roma

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perato in collaborazione con la Caritas Ambrosiana: la nuovastruttura accoglierà 17 personein difficoltà abitativa. Nello spaziopolivalente trovano posto vari nu-clei abitativi, locali comuni e an-che un piccolo spazio saluteaperto a tutti i cittadini e gestitodalla Croce Rossa. Saranno i ser-vizi sociali del comune e il centrod’ascolto Caritas a occuparsi del-le procedure d’accesso alla strut-tura, gestita operativamente dallacooperativa Intrecci onlus. Attor-no alla Casa di Francesco si atti-verà poi una rete solidale, checomprenderà, tra gli altri, la Cari-tas di Gallarate, Auser, Exodus,Associazione Buon Vicinato e levarie comunità straniere presentinel territorio.

VICENZAAmbulatorio socialeper consentire cureai malati senzacapacità economica

Aiutare persone che rinun-ciano a curarsi, perché

spesso non hanno i soldi nem-meno per pagare il ticket: dopoBari, Genova e Padova, ha apertoa inizio febbraio anche a Vicenzaun ambulatorio medico dedicatoalle persone in difficoltà economi-ca. La struttura, a San Lazzaro,

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offre assistenza medica speciali-stica gratuita, grazie all’impegnodi una trentina di professionisti. Il progetto è promosso dall’asso-ciazione vicentina Salute Solidalein collaborazione con Comune,Ulss 6 e Caritas diocesana, cuispetterà l’indicazione dei poten-ziali beneficiari, insieme ai servizisociali comunali.

BOLZANO-BRESSANONE“Io rinuncio”cambia marcia:sobrietà personaleoccasione di dono

“Dai qualcosa!”: è l’appellolanciato alla popolazione

altoatesina da 54 organizzazionidella provincia di Bolzano, nel-l’ambito dell’iniziativa “Io rinun-cio” 2016. L’azione, partita il 10febbraio (Mercoledì delle ceneri)per protrarsi sino al 26 marzo(Sabato Santo) e arrivata alla 12ªedizione, fa un passo avanti: la rinuncia personale viene, infat-ti, intesa come un “di più” in fa-vore degli altri, un valore aggiuntoper la società. «Durante la Quare-sima molti rinunciano al caffè,all’alcol o ai dolci. Se questa rinuncia fosse finalizzata a faredel bene al prossimo, avrebbeancora più senso», hanno dichia-rato gli organizzatori. L’azione

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NOVARAEmporio solidale,nuovo nododi un’ampia retedi supporto sociale

Anche Novara ha il suo em-porio solidale: ad allestirlo,

in via Oxilia, è stata la Caritasdiocesana. Il servizio è analogo a quello presente ormai in moltecittà italiane: un vero e propriosupermercato, cui persone in sta-to di bisogno possono accederesu indicazione dei centri d’ascol-to, pagando con tessere magneti-che caricate mensilmente conpunti da spendere, calibrati in ba-se alle esigenze dei singoli casi.La struttura novarese non è unarealtà isolata, ma è parte di unapiù ampia azione di sostegno allepersone in difficoltà, che com-prende anche percorsi di reinseri-mento sociale, ricerca del lavoroe supporto psicologico.

MILANOInaugurata a VareseCasa Francesco,ospita persone condifficoltà abitative

È stata inaugurata il 23gennaio a Varese la Casa

di Francesco, realizzata in un edi-ficio di proprietà comunale, recu-

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L’impegno della rete Caritas contro lo sfruttamento inagricoltura e nel mondo del lavoro si fa sempre più inten-so. E trova autorevoli sponde istituzionali. A fine gennaioCaritas Italiana ha incontrato il ministro del lavoro e dellepolitiche sociali, Giuliano Poletti, per discutere di contra-sto del caporalato e di possibili iniziative comuni per mi-gliorare le condizioni di vita dei lavoratori vittime del feno-meno. L’incontro è stato occasione per presentare alministro le attività svolte attraverso “Progetto Presidio”:finanziato dalla Conferenza episcopale italiana e coordi-nato da Caritas Italiana, vede coinvolte (finora, ma la retesi sta allargando) dieci Caritas diocesane, impegnate a garantire una presenza costante nei territori segnati

da intensi flussi di arrivo di lavoratori stagionali, attraver-so un presidio mobile di operatori pronti a offrire aiuto peri bisogni immediati, assistenza legale e sanitaria, suppor-to per ottenere i documenti di soggiorno e di lavoro.

Il Ministro ha riconosciuto la notevole importanza dellavoro svolto da “Presidio” e ha preso coscienza del patri-monio informativo contenuto nel Rapporto 2015 su Pro-getto Presidio, presentato lo scorso luglio. L’interlocuzioneproseguirà: il ministro Poletti ha manifestato l’intenzionedi approntare quanto prima misure in grado di dare con-creti segnali di cambiamento nella lotta allo sfruttamentolavorativo, attraverso il coinvolgimento di altri ministeri,associazioni sindacali e di categoria.

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LAVORO SFRUTTATOProgetto Presidio presentato al ministro:«Azioni comuni contro il caporalato»

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te alla Caritas, alle farmacie aderenti al pro-getto o attraverso bonifico bancario. La som-ma permetterà di acquistare farmaci per i più bisognosi. Per i farmaci da ban-co, quelli a pagamento, basta la dele-ga del parroco, mentre per i farmacispecifici servirà la ricetta del Centromedico sociale della Caritas lodigiana.

Il caffè sospeso sbarca poi anche in Veneto: a Rovigo la Caritas diocesana nel periodo natalizioha sperimentato l’iniziativa, coinvolgendo una decina di bar e raccogliendo 200 ticket. Preparati dalla stessaCaritas, vengono distribuiti alle persone bisognose e danno diritto a un caffè o a una brioche. L’iniziativa potrebbe proseguire anche nei prossimi mesi. E a Rovi-go a essere sospesa è anche la torta: ogni martedì, chiusufruisce delle docce della Casa Giovanni Paolo II puòfare anche colazione, consumando torte e dolci offertida cittadini e volontari.

chiesa del Sacro Cuore. Sarà la Caritas diocesana a curare la realizzazione del progetto,grazie anche a fondi otto permille Cei. Il dormitorio offrirà25 posti letto (18 per uomini, 7 per le donne) e spazi fruibilianche di giorno. Non sarà unastruttura isolata: sarà allestitoanche un centro d’accoglienzaper profughi e donne in difficol-tà, che potrà diventare anchealloggio per detenuti con misu-ra alternativa e familiari di re-clusi nel carcere di Trani.

SIRACUSAAperto il “Bazardella solidarietà”:non solo emporio,servizio antipovertà

Affrontare le vecchie e nuove povertà, con

un’azione coordinata e a tuttotondo: a Siracusa, nell’ex Istitu-to Buona Fanciulla di via RivieraDionisio il Grande, è stato inau-gurato il “Bazar della solidarie-tà”, realizzato dalla Caritas dio-cesana con fondi Cei. Si trattadi un emporio solidale, analogoper impostazione ai numerosigià presenti in molte realtà ita-liane, che nella diocesi siciliana

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Una tradizione locale, diventata modello universa-le. Nel mondo, e in altre parti d’Italia. Anche Lodi

reinventa la tradizione filantropica napoletana del caffèsospeso: alla Farmacia Barbieri di piazza della Vittoriaha preso infatti il via un progetto di “farmaco sospe-so”, voluto dalla Caritas diocesana, primo esperimentodi un’iniziativa che si vorrebbe portare in tutta la pro-vincia. Nuova la formula: niente più donazioni di farma-ci, ma un contributo economico da versare direttamen-

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contesto euro-mediterraneo,sia italiani che stranieri, grazieai quali saranno presenti giova-ni e partecipanti (massimo 50)anche da Libano, Giordania,Grecia, Tunisia e Albania.

IGLESIASAl via “Iscòlade maduridàde:”borse di studio antidispersione

Tra le principali criticitàdella scuola italiana c’è

l’elevato tasso di dispersionescolastica, in lento calo negli ul-timi anni, ma ancora molto piùalto che nel resto d’Europa, conpunte inquietanti in alcuni regio-ni del sud, soprattutto Campa-nia, nonché in Sicilia e Sarde-gna. Proprio in Sardegna hapreso il via il progetto “Iscòla de maduridàde”: 60 borse di studio da 500 euro e un’azio-ne di mentoring scolastico, pro-mosse dalla diocesi di Iglesiasper contrastare il disagio giova-nile che, assieme alla crisi eco-nomica, è tra le principali causedell’interruzione degli studi.L’iniziativa, aperta a tutte lescuole superiori della provincia,è gestita dalla Caritas diocesana.

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assume, però, la dimensione di un vero e proprio presidio so-ciale, coinvolgendo parrocchie,famiglie, aziende e associazionidel territorio in una più ampiaazione di sostegno alle personein difficoltà.

AGRIGENTO“MeET”, forumtra giovanidel Mediterraneosulle sfide future

Un’occasione per incon-trarsi: to meet. E per

studiare e approfondire temi di drammatica attualità oggi, e di strategica prospettiva peril domani. Ad Agrigento, pro-mossa da Caritas diocesana e Fondazione Mondoaltro, sisvolgerà il 5 e 6 aprile la quar-ta edizione del “Forum MeET –Mediterraneo / Europa / Tran-snazionalismi”, dedicata al te-ma “Giovani del Mediterraneo,costruttori di pace”. Program-ma molto ricco; l’iniziativa avràcome focus i percorsi per la co-struzione della pace, sia a livel-lo politico che riguardo all’im-pegno della società civile.L’evento vedrà collaborare nu-merosi enti ed ong attivi nel

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LODI E ADRIA-ROVIGO

La tradizione napoletana fa scuola:dai farmaci alla colazione ai dolci,sospeso fa rima con condiviso

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alla Cittadella della Carità. «La proliferazione dell’offerta e la pubblicità sul gioco d’az-zardo – spiegano dalla Caritasromana – concorrono alla diffu-sione di un comportamento oggettivamente rischioso, an-che se la gran parte delle per-sone sottovaluta la possibilitàche si trasformi in una dipen-denza rovinosa».

RIETIPensiero di Gandhiispira il laboratoriodi teatro apertoa diverse culture

Esplorare le moltepliciforme delle espressioni

artistiche di diverse culture,confrontandole e sperimentan-dole in prima persona, per co-noscere meglio se stessi e glialtri: è l’obiettivo del laborato-rio interculturale di teatro, rea-lizzato nell’ambito del progettoSprar del comune di Rieti, ge-stito dalla Caritas diocesana.Quest’anno, guidati dagli attoridella compagnia Teatro Alche-mico, gli allievi lavoreranno sul pensiero di Gandhi e suuna delle sue frasi più celebri: «Sii tu il cambiamento che vuoivedere avvenire nel mondo». Il laboratorio, gratuito e apertoa tutti senza limiti di età, si tie-ne ogni martedì dalle 15.30 al-le 17.30 nella sede del proget-to Sprar, in via Sant’Agnese.A giugno una performanceconclusiva.

TRANIAl Sacro Cuoreil primo dormitoriocittadino, 25 postie spazi diurni

I tempi esatti per la realiz-zazione e apertura ancora

non si conoscono, ma ora è uf-ficiale: a Trani nascerà il primodormitorio cittadino. Ad ospitar-lo il vecchio salone parrocchia-le, da tempo in disuso, della

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ROMAFormazionefino a giugnosui rischi delgioco d’azzardo

Approfondire le problema-tiche connesse al gioco

d’azzardo, fornendo strumenti

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utili per riconoscere e comuni-care le contraddizioni su cui si regge l’intero sistema: è l’obiettivo dei corsi gratuiti di formazione, organizzati dallaCaritas diocesana di Roma e rivolti a operatori e volontari,animatori ed educatori sociali,in programma fino a giugno 10

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ottopermille/Lucca

Si chiama “5 pani”, è una bottega solidale ed è nata circa due anni fa nella dio-cesi di Lucca, grazie alla collaborazione tra parrocchie e centri d’ascolto della zo-na sud del comune di Capannori. È un emporio solidale, inteso però come realtàdi comunità; condotto da 15–20 volontari, sotto il coordinamento di un diacono,il progetto gode del supporto della Caritas diocesana e del comune di Capanno-ri, mentre lo sviluppo dell’iniziativa è stato assicurato da fondi otto per mille Cei.

All'emporio si approvvigionano circa 80 famiglie, individuate grazie a un lavorodi ascolto e discernimento operato in modo congiunto da centri di ascolto e ser-vizi sociali territoriali. Chi accede alla bottega, può trovare prodotti freschi e sec-chi, recuperati dalla rete di produzione e distribuzione locale, o forniti grazie ad accordi commerciali da una filiera corta e biologica, spesso con un occhio alle piccole aziende in difficoltà. I produttori forniscono i prodotti a prezzi specia-li, in cambio di un bollino di eticità, che ne testimonia la partecipazione al pro-getto. Quanto alle verdure fresche e biologiche, provengono da un'esperienza di orto sociale, condotta da vari centri di ascolto su un terreno parrocchiale.

Valutati dal nutrizionistaDa subito, “5 pani” è stato concepito come luogo per sperimentare un “laborato-rio di diritto al cibo”, con attenzione alla qualità degli alimenti e all’educazione a una dieta non solo sana, ma anche sostenibile. I prodotti sono organizzati secondo categorie nutrizionali e l’orientamento degli acquirenti è facilitato da un sistema di colori che individuano i componenti di una dieta sana.

I beneficiari del servizio hanno una tessera punti, corrispondenti a un quanti-tativo di alimenti acquisibile mensilmente (gratis) nella bottega. I punti sono caricati sulla base delle esigenze nutrizionali del nucleo familiare, valutate con il supporto di una nutrizionista in base al numero dei componenti e alle loro ca-ratteristiche (bambini, anziani, particolari diete, ecc...)

I volontari accompagnano i beneficiari, affiancandoli nelle scelte di consumo,e il sistema monitora, oltre al numero di punti speso,anche la tipologia di alimenti acquisita, segnalando carenze e aiutando a ricomporre in modo appropriato il paniere.

Una volta al mese, nello spazio bambini, vengonoanimati momenti di educazione nutrizionale e al consu-mo: si impara a cucinare insieme, si riflette su comespendere le scarse risorse economiche. La bottega diventa una piazza nuova nel paese, dove si incoraggia-no l’incontro e la condivisione, oltre il rischio di ghettiz-zare chi è nel bisogno.

Bottega solidale, per battere la povertàe incoraggiare un consumo sostenibile

9di Lorella Sestini

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Migrare? Rimanere?

Investire sui microprogetti e sulla cooperazione.E pretendere giustizia. Dalla politica e dall’economia.

Perché miliardi di individui e interi popoli possano scegliersiil futuro nella libertà

Raccoglisviluppo

Seminadignità

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www.caritas.it

FRUTTO DEL CORAGGIORaccolta di pomodori a Mading Achueng, regione di Abyei,territorio contestatotra Sudan e SudSudan, sede di unprolungato conflitto

Campagna Caritas-Focsiv-Missio

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Diciotto morti al giornoIl 2015, l’anno della beatificazione dimonsignor Romero, resterà infatti im-presso indelebilmente nella memoriadi El Salvador pure per un’altra, tragi-ca ragione: el pulgarcito (il pollicino)d’America ha ottenuto il drammaticorecord di nazione più violenta al mon-do. Con 103 omicidi ogni centomilaabitanti, per un totale di 6.650 nel cor-so dell’anno, il più piccolo stato delcontinente americano ha scippato ta-le traguardo all’Honduras.

L’esercito salvadoregno ha stimatoche nei dodici anni di conflitto civile(dal 1980 agli accordi di pace del1992), in media venivano assassinate16 persone al giorno. Ora sono 18. Unsalvadoregno ogni mille abitanti, sin-tetizza Óscar Martínez, giornalista diEl Faro, tra i più noti esperti di violen-za. Solo ad agosto, per esempio, sono

state ammazzate 907 persone. «Stia-mo vivendo la peggior guerra dellanostra storia», ha affermato sconfor-tato Dagoberto Gutiérrez, ex coman-dante del Frente Farabundo Martí, laformazione guerrigliera, nata dalla fu-sione dei diversi gruppi d’opposizio-ne, che costrinse il governo dittatoria-le ad aprirsi alla democrazia.

In realtà, il processo di democra-tizzazione di El Salvador è stato lun-go e faticoso. Dopo gli accordi di pa-ce del 1992, il partito di destra Arena– legato alla vecchia élite e all’ala duradel paramilitarismo – ha governatoininterrottamente per 17 anni. Solodal 2009 si è avuta una vera alternan-za con l’elezione di Mauricio Funes,esponente del Frente, ora trasforma-to in partito politico. Anche l’ultimovoto, nel 2014, è stato vinto dal cen-trosinistra, rappresentato dall’attuale

L’esercito salvadoregno ha stimato chenei dodici anni di conflitto civile (dal 1980agli accordi di pace del 1992) in media

venivano assassinate 16 persone al giorno.Ora sono 18: un salvadoregno ogni mille

presidente, Salvador Sánchez Cerén.Il paese – soprattutto negli ultimi set-te anni – ha visto progressi nell’am-bito della scolarizzazione, della salu-te, della riduzione delle diseguaglian-ze. Perché allora tanta violenza?

La risposta è contenuta in cinquelettere: maras. Le bande criminali checontrollano le periferie cittadine di ElSalvador – ma anche dei confinantiGuatemala e Honduras, dove si sonoestese – non sono un fenomeno nuo-vo. Le gang sono nate nei ghetti di LosAngeles, dove erano riparati i piccoliprofughi del conflitto negli anni Ot-tanta. Gli adolescenti latinos crearonobande “etniche”, sul modello degli altrigruppi nazionali immigrati negli Usa.In bilico tra difesa dell’identità e cri-mine, le maras sono scivolate defini-tivamente in quest’ultimo dopo la“reimportazione” in patria, grazie alleespulsioni di massa decretate da Wa-shington nel decennio successivo.

Ambigua pausa tecnicaI mareros sono stati catapultati in unCentro America ancora in macerieper i recentissimi conflitti. In una pa-tria straniera e senza più familiari, iragazzi hanno rafforzato la loro ap-partenenza alla banda. Il caos del do-poguerra e le liberalizzazioni selvag-ge hanno fatto in modo che altri gio-vani ne ingrossassero le fila. Arduo,per democrazie fragili, far fronte allapotenziale minaccia. Spesso, anzi, lestesse politiche statali hanno contri-buito ad aggravare il fenomeno, tra-sformando le due principali gang –Mara Salvatrucha (Ms) e Mara Barrio18 (M18) – in macchine da guerra dioltre 60 mila esponenti.

«Il boom di mareros si è avuto conla politica di “mano dura”, tolleranzazero, del 2003-2004: gli arresti indiscri-minati e la violenza della polizia han-no prodotto un’ondata di “consenso”sociale verso le maras. E queste ultimesi sono radicalizzate, diventandostrutture criminali potenti, specializ-zate in estorsioni e sequestri», spiegaÓscar Alirio Campos, coordinatoredell’Unità di giustizia penale minoriledella Corte suprema. La svolta politica– la cosiddetta “tregua”, un esperi-mento interessante quanto ambiguo– è avvenuta con il precedente gover-no, guidato dal presidente Funes.

L’esecutivo non ha preso ufficial-mente l’iniziativa di aprire un dialogo

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PROFETADI PACE.INASCOLTATOLa folla allabeatificazionedi monsignorRomero. Soprae a destra, fedelialla cerimonia,e una statuadedicata alvescovo martirenella capitaleSan Salvador.A sinistra sotto,murales dedicatoad altri martiri

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la vita per difenderlo dall’ingiustizia edall’oppressione di una élite esiguaquanto miope. Incapace di vedere inuna situazione di violenza strutturalee diseguaglianza vergognosa, le radicidella feroce guerra civile che sarebbescoppiata poco dopo, e avrebbe ingo-iato più di 80 mila vite.

Fu quello stesso gruppo sociale –di cui facevano parte governo, lati-fondisti, militari e milizie paramilitari– a condannare a morte l’arcivescovoscomodo. La “sentenza” fu eseguitanella cappella dell’Ospedale della Di-vina Providencia: mentre Monseñorcelebrava l’Eucaristia, un proiettilegli trafisse il cuore. Il secondo arcive-scovo – sottolinea Alberto Vitali inÓscar A. Romero, Pastore di agnelli edi lupi (Paoline) – ucciso sull’altaredopo Thomas Beckett. Immediata-mente, Monseñor fu “canonizzato”dal popolo salvadoregno che nellesue parole – scrive ancora Vitali –continua a trovare “una possibilità diriscatto e di vita”. Anche oggi, in unmomento in cui la morte di nuovosembra divorare la società.

di Lucia Capuzzi

pastoreparoledelLe

paesenelpiùviolento

l 2015 è stato un anno storicoper El Salvador. Per due ragioniopposte. Compresse parados-salmente nello stesso spazio – omeglio tempo – angusto del ca-

lendario. Il 3 febbraio dell’anno scor-so, papa Francesco ha riconosciuto“martire in odio alla fede” l’arcivesco-vo Óscar Arnulfo Romero, assassinatoil 24 marzo 1980. Un «giorno ispiratoda Dio» – ha detto il postulatore dellacausa, monsignor Vincenzo Paglia –poiché «in tale data cade l’anniversa-rio della nomina di monsignor Rome-ro come guida dell’arcidiocesi dellacapitale». Il 23 maggio successivo, do-po 35 anni di attesa e speranza, Mon-señor è stato quindi proclamato beato,in una San Salvador radiosa di festa.

Alla Messa, celebrata dal cardinaleAngelo Amato ai piedi della statua delSalvador del Mundo, patrono ed em-blema del paese –, ha partecipato unafolla di 260 mila persone, nascostesotto ombrelli colorati per ripararsidal sole accecante. Un omaggio spon-taneo del popolo al “suo” pastore che,sul modello del Buon Pastore, diede

Il 2015, in Salvador, è stato l’anno del record di omicidi e migrazioni forzate, a causa della lotta tra “maras”, selvaggegang criminali. Ma un anno fa il paeseha visto proclamaremartire e beatomonsignor Romero. Il cui insegnamento è fonte di speranza

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anno. «La violenza provoca una mi-grazione “ad allontanamento progres-sivo” – spiega padre Mauro Verzelletti,responsabile della casa rifugio per mi-granti di San Salvador –. Le famigliecambiano, prima, quartiere. Là, in ge-nere, incappano però negli stessi pro-blemi, e allora si trasferiscono inun’altra città o in campagna. Alcuni,alla fine, emigrano oltre-frontiera, masempre all’interno della regione».

Perché non prendono la tradizio-nale rotta verso El Norte, gli Usa? Lamaggior parte non ha i 7-8 mila dollarinecessari per pagare il coyote (traffi-cante di esseri umani) che lo faccia

entrare, illegalmente,negli Stati Uniti. L’emi-grazione verso gli Usa,in realtà, continua, alritmo di 250-300 perso-ne al giorno, poco piùdella metà dei 500 salva-doregni che, quotidia-namente, si danno allafuga. La crescente chiu-sura del confine sud-messicano – passaggioobbligatorio per gli irre-golari –, con il Plan

Frontera Sur, voluto e finanziato dallaCasa Bianca, ha spinto tanti a sceglie-re altre nazioni della regione.

Così, in un anno, sono raddoppia-te del 200% le richieste di asilo di sal-vadoregni in Costa Rica. Aumentatein modo esponenziale anche le peti-zioni a Panama e Nicaragua. «Lamaggior parte degli sfollati, però,non fa domanda. Ha troppa paura. Inumeri reali potrebbero essere perfi-no peggiori degli anni della guerra ci-vile», conclude padre Mauro.

Di fronte all’enormità del proble-ma, sembra difficile ipotizzare solu-zioni. Eppure, nella tragedia attualecome in quella passata, «la voce diMonseñor può essere fonte di ispira-zione – afferma Gregorio Rosa Chá-vez, vescovo ausiliare di San Salvador,amico e collaboratore dell’arcivescovomartire –. Dobbiamo essere creativi,come lo è stato lui. Monsignor Rome-ro ci ha insegnato che la violenza hamolte facce, la prima è l’emarginazio-ne. Si deve andare alla radice dei pro-blemi per risolverli. Per questo, le sueparole e la sua testimonianza possonoaiutarci a ritrovare la strada, verso unfuturo di pace e giustizia».

interni, per i salvadoregni, sono asso-ciati agli anni della guerra civile. Orasono il tratto distintivo di questo con-flitto anomalo e non dichiarato. Unaguerra che ufficialmente non c’è, ep-pure uccide. E tanto.

Verso “El Norte” o l’internoCome in ogni conflitto, i superstiti so-no obbligati a scappare, per salvarsi. Idati, appena diffusi dal Consiglio nor-vegese per i rifugiati, sono allarmanti:288.900 sfollati interni, più della metàdell’intera America Centrale (circa 550mila). I primi casi risalgono al 2009. Ilpicco, però, si è raggiunto nell’ultimo

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Caritas Italiana e Rerum – Rete Europea RisorseUmane presentano a Roma, all’inizio di marzo,L’ultima parola, 15°audiolibro della collana Pho-noStorie, con testi di Oscar Arnulfo Romero. L’arci-vescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980(da allora, in quella data si celebra la Giornata dei missionari martiri), accusato di aver travalica-to i confini della religione per scendere nell’agonepolitico, ha invece costantemente trasmesso la sua incrollabile fiducia nella riconciliazione, primo passo verso una doverosa giustizia sociale,che sola rende possibile la liberazione. Questocuore del suo messaggio è evidenziato dai testiscelti per l’audiolibro (a cui prestano la voce atto-ri, giornalisti, sindacalisti e imprenditori) e dallaprefazione del cardinale Oscar Rodriguez Maradia-ga, già presidente di Caritas Internationalis.

A partire dal volume dedicato a Romero è pre-vista, grazie al nuovo distributore (Em Dabliu Em)e attraverso i più importanti digital store, la distri-buzione digitale in 240 paesi. L’opera sarà dispo-nibile anche in streaming nelle piattaforme pre-senti in rete. Il tutto, tramite la struttura BelieveDigital Italia.

CARITAS-RERUMA marzo l’audiolibro con il cuoredel messaggio dell’arcivescovo

PECORESMARRITEMembri di marasin un carcere.Sopra, copertinadell’audiolibro.Sotto, memorialedelle vittimedella guerra civile

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con le bande. A mediare con i bossdetenuti, a titolo personale, sono statil’ex guerrigliero Raul Mijango e il ve-scovo Fabio Colindres. In cambio diun regime carcerario più morbido peri loro leader, Ms e M18 hanno smessodi combattersi. Gli omicidi si sono di-mezzati, passando da 70 ogni 100 mi-la abitanti nel 2011 a 39 due anni do-po. Ma secondo gli oppositori, si sa-rebbe trattato di una “pausa tecnica”delle maras per prendere fiato e rior-ganizzarsi, perfezionando e amplian-do la macchina delle estorsioni.

In ogni caso, la tregua è stata ar-chiviata, tra le polemiche, nell’estate2014. E l’escalation è cominciata.«L’impennata di violenza dipende damolti fattori – spiega Jeannette Agui-lar, docente dell’Università Centroa-mericana Simeón Cañas, fondata daigesuiti e tra le più prestigiose di SanSalvador –. Durante la tregua, le ma-ras hanno constatato l’enorme pote-re di “ricatto” nei confronti dello statoattraverso il “dosaggio” della violen-za. E cercano di utilizzarlo, per co-stringerlo a scendere a patti. Non di-mentichiamo che in Salvador, dasempre, la violenza viene utilizzatacome “strumento politico”. Non soloperché la questione sicurezza vieneagitata o manipolata per acquisireconsensi. Vi sono “poteri forti”, legatiai gruppi criminali, in grado di utiliz-zare il fattore violenza per distrarrel’opinione pubblica, squalificare l’av-versario, favorire affari occulti».

Manovrate dai narcosA tal proposito, imprescindibile percomprendere la situazione di El Salva-dor è il tema del narcotraffico. Daquando le grandi organizzazioni dinarcos messicani – i cosiddetti “cartel-li” – hanno ottenuto il controllo del bu-siness della cocaina latinoamericana,trasformandosi in multinazionali ma-fiose, dall’inizio del Duemila, il CentroAmerica è diventato, al contempo, ba-se e trampolino dei signori della droga.

Fonti locali parlano di una penetrazio-ne sempre più intensa del cartello diSinaloa e di Los Zetas in Salvador, im-piegato fondamentalmente come “la-vatrice” del denaro sporco. In qualchemodo, i narcos sono in grado di “ma-novrare” le maras, la cui ferocia rap-presenta un ottimo diversivo per potercontinuare a operare nell’ombra.

In questo giochi di specchi e diequilibri criminali, il fardello più pe-sante ricade sulle spalle dei poveri. Lebande hanno preso il controllo – se-condo il ministero della giustizia – di2.024 sobborghi, concentrandosi inparticolare sulle zone marginali, do-ve la presenza delle istituzioni è piùdebole. Di certo, non ci sono marerosnella lussuosa colonia Escalón o neiquartieri dei “nuovi” ricchi di San Sal-vador: Santa Elena, San Benito, Anti-gua e Nueva Cuzcatlán. Ma spostan-dosi dall’occidente verso il centro edesplorando la sterminata cintura ur-

Imprescindibile il tema del narcotraffico:da quando i grandi gruppi di narcosmessicani controllano il business della

cocaina, il Centro America è diventato basee trampolino dei signori della droga

bana della capitale, il panoramacambia drasticamente.

Qui le colonias (quartieri) sonospezzati da frontiere invisibili ma in-valicabili. Ogni “frazione” è “proprie-tà” della cellula locale di una delle duemaras, Ms o M18. E questa riscuote larenta dagli abitanti: una sorta di tassaimposta ad ambulanti, autisti di buse, spesso, anche ai residenti. In cam-bio, nella retorica mafiosa, le bande sifanno carico della “sicurezza” dellacolonia. A modo loro, si intende… Chiattraversa senza “permesso” il confinerischia la vita: dall’altra parte – anchese spesso si tratta dell’incrocio succes-sivo – viene considerato una spia dellafazione rivale. E pertanto ucciso.

La legge delle maras non ammetteignoranza né deroghe. Alla vessazio-ne economica, si aggiungono una se-rie di abusi sui locali: dal reclutamen-to forzato di bambini e adolescenti,al “fidanzamento” obbligatorio per leragazzine più carine con i boss, aicontinui ricatti.

La pressione insostenibile sta co-stringendo tanti a fuggire. All’estero o,anche, all’interno del paese. Un terri-bile déjà vu, quest’ultimo: gli sfollati

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«Tragicamente e con nessuna fine invista per la guerra in Siria»: una visionefosca, che dovrebbe spingere tutti al-l’indignazione. E che invece sembra li-mitarsi a condannare un intero popo-lo, o quel che ne resta, a rimanere in untunnel apparentemente senza sbocco.

Arrivati in un secondo tempoIl dramma dei siriani si inserisce, note-volmente inasprendolo, in un drammadi portata più vasta, quello delle migra-zioni forzate. Provocate da guerre, con-flitti e persecuzioni, nell’ultimo bien-nio hanno raggiunto i massimi livellidai tempi della seconda guerra mon-diale. Secondo l’ultimo rapporto an-nuale dell’Alto commissariato delleNazioni Unite (Unhcr), nel mondo era-no 59,5 milioni i profughi alla fine del2014, rispetto ai 37,5 milioni di diecianni fa. Più della metà sono bambini.

Dunque, in dieci anni i rifugiati so-no aumentati del 62%. Ogni giorno, ri-porta ancora l’Unhcr, più di 42 milapersone sono costrette a lasciare il lo-ro paese; nel 2010 erano quasi 11 mila.L’ultimo lustro – il lustro della guerrain Siria – ha dunque dato un tragico

di Silvio Tessari

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Cinque anni di guerrain Siria. Non si contanopiù i morti. I costretti a fuggire (rifugiatiall’estero o sfollatiinterni) sono ben più di metà popolazione.Quotidianità atroce,accoglienzacontroversa: eppure al capezzale del paeseci sono i potenti del mondo...

fine dicembre 2015, a qua-si cinque anni dall’inizio(marzo 2011) del conflittoin Siria, l’Agenzia interre-gionale che raggruppa oltre

cento fra ong private, governative o af-filiate alle Nazioni Unite (3RP Resilien-ce Plan 2016-1017) ha diffuso le ultime,raggelanti cifre disponibili sul drammasiriano. Il paese, che prima della guerraaveva una popolazione di circa 22 mi-lioni di abitanti, è stato sconvolto esvuotato dagli eventi bellici. A un lustrodal primo colpo di cannone, sono 4,6milioni i civili fuggiti e accolti – si fa perdire – nei paesi confinanti e del NordAfrica: a fine 2016 si prevede che saran-no 4,7 milioni. Gli sfollati interni sonovari milioni, le stime variano da 7 a 12.Quanto ai morti, non sono più contati.Duecentomila? 250 mila? 470 mila, co-me sostiene l’ong Syrian Centre for Po-licy Research? Non lo sapremo mai conprecisione.

Non c’è rapporto, di ong o delle Na-zioni Unite, che non cominci più o me-no con le stesse parole del rapporto3RP sopra ricordato: «Tragicallly, andwith no end in sight to Siria’s war...».

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RITRATTI DI FAMIGLIAIN UN (PAESE) ESTERNO

I coniugi Darwish,con due dei quattro figli:

rifugiati nella Valledella Bekaa da Ghouta,località disastrata della

Siria. Sotto, madre e figliosiriani nell’inverno libanese

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cibodiguerradi Paolo Beccegato

FONDATA SUI DIVARI,LA SICUREZZA SI DISUMANIZZA

I fronti di guerra di oggi sembranoricalcare i confini di un mondo rela-tivamente pacificato e privilegiato,intento a ristrutturarsi lungo linee diausterità conformi a dettami neo-li-beristi. Diversamente dal più poveromondo che esiste extra muros, i citta-dini del mondo ricco dispongono didiritti e protezioni che subiscono unadegradazione, venendo anch’esseprogressivamente riallocate versofluttuanti dinamiche di mercato e fi-nanza, generando (all’interno) nuoveforme di ineguaglianza ed esclusione.I cittadini del mondo prospero (alme-no alcuni) diventano sempre più as-sicurati: mentre nel resto del pianetasi muore ancora per malattie infetti-ve, nel mondo prospero la morte di-venta spesso un algoritmo di rischio-salute, calcolato da una polizza assi-curativa. Questi stessi individui,peraltro, vivono in uno spazio che sipercepisce sempre più come accer-chiato, per quanto – imbevuto dellapersuasione di vivere in un’epocapost-ideologica – raramente esso ab-bia occasione di chiedersi e spiegarsicome mai questo accada.

Spesso affidato per contratto ad agenzie private, il be-ne pubblico “sicurezza” alle frontiere del mondo prospe-ro (e sempre più spesso anche al suo interno) dà segnodi potersi trasformare in nient’altro che un prodotto diun calcolo statistico sulla rischiosità di determinate classidi individui e circostanze, affidata a software avanzati diriconoscimento facciale e alla competenza tecnica di“esperti”. Diversamente da quanto accade per il mondopovero e non-assicurato, l’incertezza del futuro nelle so-cietà cosiddette avanzate non rappresenta più un osta-colo all’azione, ma diventa invece la base stessa a partiredalla quale, in virtù di un calcolo preventivo, si innescanole politiche di sicurezza. In un mondo in cui vengonoprogettati killer robot in grado di compiere scelte in au-tonomia, le conseguenze che tale tendenza può avere intermini di de-umanizzazione e de-politicizzazione nondovrebbero sfuggire a nessuno.

V iviamo in un mondo sempre più diseguale, quindi semprepiù ingiusto. Non solo a livello economico (l’1% della popo-lazione possiede ormai più del restante 99%), ma anche so-

ciale. E, in definitiva, da ogni punto di vista. È un mondo intercon-nesso e veloce, in cui la massiccia preponderanza di risorsetecnologico-militari e di sorveglianza da parte di alcuni stati spingele dinamiche di conflitto verso opzioni di asimmetria più estrema,come le tattiche belliche di auto-immolazione.

È un mondo in cui è sempre più difficile tracciare linee fra core e peri-ferie, fra ciò che è nazionale e dinamiche sovranazionali e internazionali.Lo stesso accade, in scenari bellici, incui diverse forme di milizia spadroneg-giano, e anche per le filiere del terrori-smo e della criminalità organizzata.

Le società moderne a capitalismoavanzato si trovano così a essere spes-so percorse da tensioni provocate datentazioni populiste, incentrate sulconcetto di sicurezza, e da ricette fon-date sull’illusione di poter chiudere lefrontiere innalzando barriere semprepiù alte e tecnologicamente sofistica-te, che in teoria dovrebbero fungereda deterrenti rispetto ai flussi migra-tori forieri, secondo alcuni, di incer-tezza e minaccia. Tali ricette, essenzialmente fondate suesclusione e criminalizzazione, tendenti all’identificazionedi capri espiatori, hanno costi enormi sotto ogni profilo eassai spesso falliscono nel produrre i risultati sperati, ge-nerando mostri. La storia recente della frontiera america-na con il Messico e della deriva di violenza, armi e crimineche l’ha accompagnata, è solo uno di tali casi.

La morte, un algoritmoNel pianeta delle diseguaglianze, aumenta dunque la di-vergenza fra un mondo prospero che combatte guerre inmodalità post-eroica, affidandosi alla tecnologia, curan-dosi di evitare perdite umane fra i propri ranghi e di mi-nimizzare “danni collaterali” sul versante degli interventi,e un mondo più povero, che esalta il martirio in guerra esi propone di esibire mediaticamente il massimo di dan-no causato fra i ranghi nemici.

Le diseguaglianzeeconomiche sono

sempre più acute. Ciò hariflessi sulla diffusionedei conflitti. E sul mododi intendere politiche

e prassi di difesa. Killerrobot e kamikaze:i volti estremi di

un mondo in cui moltiesclusi “assediano”pochi “assicurati”

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tante forze armate e milizie che si di-sputano il territorio, dando vita a unamacabra spartizione di aree di control-lo e di influenza. A tutto ciò si aggiun-gono le inenarrabili difficoltà che vive,nel quotidiano, anche chi non si trovasulla linea del fronte: i continui tagli dicorrente e di acqua potabile, la scarsitàdi personale sanitario, in gran partefuggito. «Quando scrivo una ricetta,scrivo 4 o 5 medicine in alternativa, e ilpaziente poi mi domanda cosa deve fa-re, perché non ne trova nes-suna!», confida un medicodella capitale Damasco.

Il rapporto Caritas docu-menta l’aumento del costodella vita: molti generi ali-mentari primari costano die-ci volte più di cinque anni fa,anche a causa di repentiniaumenti, dovuti a improvvisiscoppi di violenza. A Dama-sco il pane è passato da 50 a4 mila lire siriane in due

quartieri della città. Anche questi fattispiegano il continuo spostamento deglisfollati interni, continuamente in cercadi una situazione più “tranquilla”.

Comprimari e potentiÈ legittimo chiedersi se si possa fer-mare, o se la comunità internaziona-le voglia veramente fermare l’eccidiosiriano. Il ginepraio del Medio Orien-te non è nato ieri e la crisi siriana è ilclassico esempio di una somma di

interessi contrastanti dai quali non siriesce a vedere la fine. Tutti voglionoaccaparrarsi una fetta di torta, oquantomeno conservarla: non solofra gli attori locali, ma anche fra lepotenze che sostengono l’uno o l’al-tro di questi attori. La lista dei com-primari e degli interessi sovrappostiè ben nota: Russia, America, Turchia,Arabia Saudita, Iran, Israele, l’Europacon in prima fila le vecchie potenzecoloniali Francia e Inghilterra… tuttiora alle prese con l’Isis, ultimo natodal terreno di coltura violenta che è ilMedio Oriente.

Insomma, intorno al capezzale (incerti momenti verrebbe da dire: al ca-davere) della Siria si affollano i più ric-chi e i più potenti del mondo. Eppurenon si trova il modo di porre fine a unaguerra tremenda. Se, come molti stu-diosi prospettano, il conflitto dovessecontinuare a lungo, potremo davverosostenere che sarà stata solo colpa diqualche dittatore arabo?

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MADRISRADICATELinda e (a destra)Amar, giovanidonne siriane con figli, insediatein appartamentia Beirut. Al centro,registrazione difamiglie profughe

L’impegno Caritas

Nei sette paesi più toccati dalle crisi siriana e irachena (ovvero, oltre aglistessi Siria e Iraq, anche Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Cipro) le organizzazio-ni ecclesiali (Caritas nazionali, diocesi, congregazioni) si sono avvalse negli ultimianni di oltre duemila operatori e 5 mila volontari per l’assistenza umanitaria (viveri, sanità, alloggi, istruzione). Nel 2014 hanno stanziato 113 milioni di euro(126 milioni di dollari) e nel 2015 (conto ancora incompleto) hanno mobilitato135 milioni di euro. I beneficiari diretti sono stati, in totale, più di 4 milioni.

Caritas Italiana è attiva nell’area, in collaborazione con le Caritas nazionali dellaregione, fin dalle prime avvisaglie della crisi siriana, nel 2011. Partecipa alla strut-tura di coordinamento (Syria Working Group) che la rete Caritas ha organizzato, come avviene per le emergenze maggiori, ed è presente con un suo operatore a Beirut (Libano) dall’aprile 2014, a sostegno di una “cellula d’appoggio” a CaritasSiria. Si tratta di un punto di coordinamento degli aiuti richiesti, di acquisto di viverie medicinali, di informazione e di studi di fattibilità di progetti da realizzare in Siria.

Nel luglio 2014, grazie anche a un generoso contributo Cei di un milione di euro, Caritas Italiana ha potuto sostenere, soprattutto in Siria, oltre che in Liba-no e in Giordania, attività di emergenza, fornendo viveri, medicine e alloggi nelleregioni di Aleppo, Hassaké e Damasco. Dove è stato possibile, si sono sostenutele scuole, come ad Aleppo, frequentate da 2 mila bambini. A fine 2015 sono statiimpegnati, per gli interventi 2016, altri 350 mila euro.

Azioni in 7 paesi, per 4 milioni di persone

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contributo a questa accelerazione.Anche se noi, all’inizio, parevamo nonaccorgercene. Non ci sono state gran-di ondate di siriani in fuga verso l’Eu-ropa, infatti, fino al 2013-2014: i pro-fughi erano accolti per lo più nei paesiconfinanti, soprattutto in Turchia, nelpiccolo Libano, in Giordania, in Iraq.La pressione su quei paesi, con l’an-dar del tempo, si è fatta però insoste-nibile. E così, nel 2015, almeno mezzomilione di siriani ha attraversato ilMediterraneo verso l’Europa: circa il50% di tutti coloro che hanno percor-so questa rotta migratoria.

Le Nazioni Unite, sempre secondoil rapporto 3RP, valutano che i fondinecessari per aiutare nel 2016 tutti iprofughi siriani, ammontino a 4,5 mi-liardi di dollari. Una cifra ragguarde-vole, ma approssimativamente fra lo0,2 e lo 0,3% del Pil della sola Italia. Inogni caso, all’accrescersi dei bisogni,non corrisponde un analogo incre-mento dell’assistenza umanitaria in-ternazionale, che anzi sta pericolosa-mente calando: così la povertà crescevelocemente tra i rifugiati.

Mina sociale vaganteLa distribuzione di cibo o anche di“voucher”, sorta di buoni-pasto perl’acquisto di viveri, se mitiga la pover-tà dei rifugiati nell’immediato, rimaneperò lontana da una forma matura edemancipativa di aiuto. I rifugiati spes-so non riescono a lavorare, né a par-tecipare a vere e proprie attività eco-nomiche, circostanza che ovviamentenon li aiuta a riprendere fiducia in séstessi. Sarebbe dunque urgente pro-muovere politiche di crescita econo-mica nelle aree che li ospitano: le crisiumanitarie, se non diventano oppor-tunità di crescita economica, sfocianoinevitabilmente in crisi sociali.

Pericoli specifici minacciano poi iminori. I bambini rifugiati possonotrovare un soddisfacente grado di pro-tezione, ma anche incertezza per il lo-ro futuro. Mancanza di scuole e po-

vertà fanno aumentare i matrimoniprecoci e forzati delle ragazze, i lavoripericolosi prima dell’età legale, formedi sfruttamento e violenza. In Libano,ad esempio, il 70% dei rifugiati sirianivive sotto la soglia di povertà (stabilitaa 3,84 dollari al giorno) e il 90% di loroè intrappolato nel circolo vizioso deidebiti. Le cattive condizioni delle fa-miglie spingono spesso i minori a im-piegarsi in agricoltura, ricevendo (co-me le donne) salari da fame: 4 dollarial giorno, o anche meno.

Con il passare del tempo, la situa-zione dei rifugiati peggiora di per sé.Tra i siriani “ospiti” da anni nei paesilimitrofi, molti di coloro che, all’iniziodella crisi, si erano sistemati nelle abi-tazioni disponibili, rimasti oggi senza

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Pericoli specifici minacciano i minoririfugiati: possono trovare un soddisfacentegrado di protezione, ma assenza di scuole

e povertà causano matrimoni forzati, lavoripericolosi, forme di sfruttamento e violenza

capacità di pagare anche modesti af-fitti, sono costretti a trasferirsi nelletendopoli o a tentare la fortuna in Eu-ropa. Questi fattori, insieme ad altri, dinatura geopolitica, spiegano il perchéla fuga verso il Mediterraneo è iniziatarelativamente tardi. Ed è destinata adiventare sempre più imponente.

Fuga continua nel quotidianoSyria is still aching, “La Siria sta ancorasoffrendo”: è il triste titolo dell’ultimorapporto di Caritas Siria, pubblicatoverso fine 2015. Lo costellano foto diedifici distrutti. Ad Aleppo e a Damascosi sentono quasi ogni giorno esplosioni,eppure si cerca di riparare il riparabile.Purtroppo, vanno perse memorie dalvalore inestimabile: il monastero di Qa-raytan, fondato nel 432 d.C., è stato di-strutto e 230 persone rapite; la devasta-zione dei resti dell’antica città di Palmi-ra ha fatto il giro del mondo. Poi ci sonole città sotto assedio (sino a ridurre allafame i loro occupanti) da parte delle

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CONTINUANO AD ARRIVAREE L’EUROPA A NON DECIDERE

Allarme GreciaUn’attenzione particolare va rivoltaalla Grecia, il paese più a rischio. Ilflusso dei migranti dalla Turchia nonsembra cessare e i paesi a nord stan-no gradualmente chiudendo i confi-ni o inasprendo le misure di control-lo: così la Grecia rischia in breve dinon avere un meccanismo di ridistri-buzione dei migranti o una rotta lun-go la quale farli proseguire. Il tutto, inun paese già drammaticamente col-pito dalla crisi economico-finanzia-ria degli ultimi anni.

L’attenzione mediatica e le tantestorie di sofferenza dei migranti nonriescono tuttavia a scalfire il muro diostilità innalzato dalle autorità dellamaggior parte dei paesi dell’Unione.Le politiche unilaterali (chiusure deiconfini, abrogazione di fatto degli ac-cordi di Schengen, quote fissate arbi-trariamente, rifiuto di ricollocare imigranti nel proprio territorio) van-no nella direzione opposta a una ra-zionale gestione del fenomeno.

È certo, infatti, che nessun paeseeuropeo potrà risolvere la questioneda solo. Vi sono anche ragioni econo-

miche (per esempio, l’elevato costo, fino a 10 miliardiall’anno, comportato dal ripristino dei controlli alle fron-tiere, in deroga all’accordo di Shengen) a consigliare ipaesi europei a ragionare unitariamente.

Ovviamente, dovrebbero contare ancora di più le ragioniideali e politiche. A 70 anni dalla scrittura del Manifesto diVentotene da parte di Altiero Spinelli, aleggia in Europa unsenso di impotenza, mentre infuriano i combattimenti inSiria, che generano e genereranno nuove ondate di profu-ghi. Tante questioni rimangono drammaticamente aperte:la creazione dei canali umanitari, l’efficacia e la credibilitàdel sistema comune d’asilo, il superamento del regolamen-to di Dublino, la collaborazione tra stati per il contrasto deltraffico di essere umani… La questione migratoria va af-frontata nella sua complessità. Limitarsi a elevare muri, si-gnifica rinchiudersi dentro recinti, che soffocano ogni pro-spettiva di un futuro aperto e prospero.

H anno continuato ad arrivare. A decine di migliaia. Nonostan-te l’inverno. Migranti, rifugiati, richiedenti asilo: continuanoa percorrere la rotta balcanica, nel tentativo di raggiungere

l’Europa centrosettentrionale. Solo a gennaio 2016, oltre 46 mila.Ma circa 300, tra cui molti bambini, non ce l’hanno fatta, e hannoperso la vita in mare.

Mentre le sofferenze di chi cerca di arrivare in Europa aumentano,è sempre più palese l’assenza di una risposta coerente a livello diUnione europea. Il timore che le frontiere possano divenire invalica-bili sta accelerando il movimento di migranti e rifugiati. L’accordotra Unione europea e Turchia, nelfrattempo, non sembra aver raggiun-to i risultati sperati. La Turchia ha giàaccolto 2,5 milioni di profughi, ha in-tensificato i controlli lungo le coste,ha chiuso le frontiere via terra con laSiria e reimposto la richiesta di vistoai siriani. Ma non basta per frenarechi fugge dalla guerra; semplicemen-te, aumentano coloro che si rivolgo-no ai trafficanti.

Non si scorgono segnali, da partedella Ue e degli stati, circa l’organiz-zazione di modalità di viaggio più si-cure, controllate e legali, stabilendodi fatto “corridoi umanitari” (richiesta che le organizza-zioni umanitarie avanzano ormai da anni) dai luoghi diorigine ai luoghi di destinazione. E desta preoccupazionela condizione di quei migranti che, non essendo consi-derati rifugiati “veri”, sono stati respinti alle frontiere: almomento per loro non ci sono soluzioni. C’è il rischioche tutto il peso della loro gestione ricada sui paesi ditransito lungo la rotta balcanica, nei quali non esistonopolitiche strutturate e definite di accoglienza di medio-lungo periodo. Di certo non possono bastare le tende at-trezzate per accogliere “provvisoriamente” centinaia diprofughi: nel prossimo futuro saranno molti coloro chedovranno fermarsi per periodi non troppo brevi; diventaurgente avviare nei paesi di transito politiche sulla mi-grazione e sull’accoglienza, con risorse finanziare e uma-ne adeguate, istituendo meccanismi di collaborazionepiù chiari tra soggetti pubblici e del privato sociale.

Decine di migliaia di arrivi e passaggi,

lungo la rotta balcanica,anche in inverno.

Migranti e rifugiati,molti dalla Siria, non

arrestano il loro“assalto” al nostro

continente. Che però si ostina a ignorare

le soluzionipiù “umane” e razionali

zeropovertydi Laura Stopponi

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internazionale siria

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Erano circa centomila gli armeni in Siria,discendenti dai sopravvissuti al genocidiodel 1915. Oggi si stima che non siano più

di 15 mila. Molti sono scappati nel Caucaso:per tanti, un ideale ritorno in patria

Europa è, ad un tempo,terreno di traversata emeta finale. Ma per chiscappa dalle guerre, anzi-tutto dal mattatoio siria-

no, c’è anche una rotta caucasica. Mi-noritaria quanto ai numeri; quasi unparadosso, o una dolorosa retromar-cia, se vista con gli occhi della storia.

Monsignor Raphael François Minas-sian è arcivescovo cattolico di Armenia,Georgia e Russia. Incontrato a Roma,racconta che le strutture dell’ordinaria-to per gli armeni cattolici dell’Europaorientale, a Erevan, capitale armena,accolgono da alcuni anni, esattamentedal 2012, centinaia di famiglie di originearmena scappate dalla Siria. Sono arri-vate sempre più numerose, man manoche il conflitto in Siria si esacerbava.Ancora oggi sono 160 le persone chesoggiornano nella sede vescovile.

Tra costoro c’è una famiglia, circa30 persone, arrivata da poco, di cuifanno parte una donna ultra-centena-ria, Azniv, e la nipotina Arta. La picco-la ha vissuto a 4 anni la stessa tragediasperimentata alla stessa età dalla bi-snonna: aveva proprio 4 anni, Azniv,quando dovette fuggire, nel 1915, dauna piccola cittadina turca verso la Si-ria. La famiglia ha perso tutto nella fu-ga dalla Siria, non i ricordi di un esodoantico, prodromo dell’attuale.

Un ideale ritorno Erano circa centomila gli armeni chevivevano in Siria prima che scoppias-se la guerra, in gran parte discendentidai sopravvissuti al genocidio arme-no del 1915. L’ultima fermata delledeportazioni di un secolo fa era infatti

il deserto siriano, e alla città di Deir al-Zor giunsero dalla Turchia, stremati,poche migliaia di sopravvissuti. Nellacittà siriana si trovava una chiesa ar-mena, che fungeva da memoriale delgenocidio, con le reliquie delle vitti-me del 1915: è stata distrutta dalle mi-lizie della guerra in corso.

Professionisti, commercianti e ar-tigiani costituivano la maggioranzadella minoranza armena in Siria. Oggisi stima che non più di 15 mila armenivivano ancora in Siria. Molti di lorohanno scelto di scappare nel Caucaso:fatto abbastanza sorprendente, datal’instabile situazione politica ed eco-nomica della regione. In diversi casi laloro scelta è stata vista come un idealeritorno in patria: dal 2012, hanno scel-to di compierlo circa 15 mila persone.

«Il governo armeno, attraverso il mi-nistero della diaspora, da subito si è ri-velato pronto ad accogliere queste fa-miglie – osserva monsignor Minassian

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Arta, rifugiata all’incontrarioun secolo dopo la bisnonna AznivC’è un flusso di rifugiati siriani verso il Caucaso. Sono gli eredi di coloroche, cent’anni fa, scamparono al genocidio armeno in Turchiadi Laura Stopponi

– e ha sostenuto la Chie-sa armena cattolica nellesue attività di aiuto uma-nitario». Le autorità han-no adottando ben prestouna serie di provvedi-menti, al fine di facilitarela permanenza nel paesedei profughi siriani, in-cluse norme che rendo-no molto facile, agli stra-nieri di origine armena,ottenere residenza e cit-tadinanza. Hanno di-chiarato valide le patentidi guida siriane, hannoesonerati i profughi daidazi doganali. È stato

possibile per i bambini frequentare lescuole ordinarie e per gli adulti cercareun lavoro».

Ciò non ha impedito a monsignorMinassian di avviare una serie di pic-cole attività (nel settore agricolo e ali-mentare) per offrire un lavoro alle per-sone ospitate dalla diocesi. Tuttavia,l’impatto iniziale con una realtà nuovaè stato duro anche per queste famiglie.Persino la lingua, apparentemente si-mile, si è rivelata un problema. Il diva-rio fra “armeni orientali” e “armeni oc-cidentali” è oggi talmente profondoche si è reso necessario attivare a Yere-van corsi di armeno, pensati per gli ar-meni siriani. Molti sono inoltre gli ar-meni siriani bloccati in Turchia, chechiedono di poter varcare la frontiera(chiusa dal 1993) con l’Armenia.

Se quindi l’immigrazione dei siria-ni verso il Caucaso, e in particolare inArmenia, è stata legata alle origini deifuggitivi, l’apertura e la disponibilitàdegli armeni ad accogliere le vittimedel conflitto siriano, nonostante le dif-ficili condizioni economiche del pae-se, può rappresentare un esempio.Anche per noi europei, trincerati die-tro muri di mattoni e diffidenza.

GUERRA CALDA, VITA GELIDANevicata, nelle zone interne e montuose del Libano,sulla precarietà dei campi rifugiati di tende e baracche

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tale, il numero delle “vittime” aumen-terà drasticamente nei prossimi mesi,specialmente quando la crisi toccheràl’Africa orientale, dove avrà un impattosignificativo sulla produzione agricola.

In Africa questo fenomeno – ac-centuato da politiche di sviluppo nonorientate al rafforzamento delle co-munità più vulnerabili, dal cambia-mento climatico, dall’estrema fragilitàdelle risorse di cui dispongono i pic-coli contadini, dall’instabilità politicae dai conflitti che attraversano moltidei paesi colpiti – ha aggravato note-volmente le condizioni di indigenzacronica in cui versa una componenteampia della popolazione, arrivando aprovocare una catastrofe umanitaria.

In effetti, i principali effetti del Ni-ño sono visibili nel forte impatto sulleattività di agricoltura e pastorizia, peresempio la diminuzione della produ-

zione alimentare, della disponibilitàdi foraggio e di acqua, che si sono si-gnificativamente attestate sotto lemedie stagionali.

In America centrale e Africa orien-tale, le rilevazioni satellitari hanno di-mostrato che la scorsa stagione dellepiogge primaverili è stata la più seccadegli ultimi 35 anni. Non sorprendeche molti contadini che vivono diagricoltura di sussistenza abbiano re-gistrato una produzione minore (finoal 50%) rispetto a quanto accade nor-malmente, e alcune famiglie non ab-biano avuto alcun raccolto.

È stato inoltre previsto che El Niñoè e sarà responsabile di una riduzionedelle piogge da ottobre ad aprile inAfrica meridionale, dove la produzionedi mais è già sotto la media degli ultimicinque anni, e dove il livello di malnu-trizione è già più grave del solito, spe-

In Africa, El Niño – accentuato da fattorieconomici e politici locali – ha aggravatole condizioni di indigenza cronica in cui

versa un ampio settore della popolazione,provocando una catastrofe umanitaria

cialmente in Malawi e Zimbabwe.In parziale controtendenza, in alcu-

ne zone del Corno d’Africa alcunepiogge tra ottobre e dicembre sonostate registrate come abbondanti e so-pra la media stagionale. La produzio-ne agricola ne ha beneficiato in alcunezone, ma nella maggior parte delle zo-ne aride e vulnerabili le precipitazionihanno provocato inondazioni edesondazioni di fiumi e laghi. Le pioggeeccessive potrebbero anche innescareun’esplosione di malattie trasmesseattraverso l’acqua, come colera e tifo,e altre malattie come la malaria.

Bisogno di cibo per 15 milioniStoricamente El Niño ha un impattovariabile nella regione del Cornod’Africa, con episodi di rilevante im-portanza, come accaduto in occasio-ne delle inondazioni che colpironopiù di 3,4 milioni di persone nel 2006-2007 e della carestia che ha colpito 14milioni di persone nel 2009-2010.

Questa volta, a dicembre 2015 leinondazioni avevano colpito 144 milapersone in Somalia e 76 mila in Kenya.

UN MONDO A SECCOPanorami aspri, attività umane rese difficoltose dallacarenza d’acqua: è così normalmente, in diverse zonedell’Etiopia. E a maggior ragione con la siccitàC

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El Niño, da un anno a questa parte,sta dunque provocando siccità e inon-dazioni in tutto il mondo, in particolarenella fascia tropicale meridionale del-l’Asia e dell’Africa, sino ai Caraibi e al-l’America Latina. È responsabile anchedi prolungati periodi di siccità, non solonei paesi africani, ma anche in altrearee, come India, Tailandia, Vietnam.Gli effetti economici e sociali di questiepisodi sono tutt’altro che trascurabili.In questi paesi del sud-est asiatico laproduzione di riso resta generalmentebuona, ma la sua diminuzione è co-munque significativa, e potrebbe por-tare a forme di insicurezza alimentarein altre zone del mondo, poiché la partedella produzione eccedente il fabbiso-gno locale viene esportata in altri paesidel mondo: in Africa, in America cen-trale e Caraibi, dove rappresenta unafondamentale componente della do-manda di consumo di cereali.

Fattori di accentuazioneSe le conseguenze del Niño hanno giàcolpito almeno 4 milioni di persone inAmerica centrale, Haiti, e Africa orien-

di Anna Arcuri

NiñoImplacabile

all’inizio del 2015, particolarie instabili condizioni clima-tiche, caratterizzate da sicci-tà in alcune aree e inonda-zioni in altre, hanno dura-

mente colpito numerosi paesi, indiverse regioni del pianeta. Particolar-mente colpito è il continente africano,dove circa 31 milioni di persone sonostate ridotte in condizione di fame ecarestia. La regione africana maggior-mente colpita è il Corno d’Africa, inparticolare Etiopia, Eritrea, Kenya, So-malia, Sudan e Sud Sudan.

Questa tragedia è un riflesso “loca-le” dal fenomeno atmosferico globalechiamato El Niño, un evento climati-co periodico che si verifica in mediaogni cinque anni, caratterizzato da unaumento anomalo della temperaturadella superficie dei mari, nella zonaorientale e centrale dell’oceano Paci-fico. Questo surriscaldamento marinomodifica l’equilibrio dell’energia glo-bale, provocando una circolazioneanomala dell’atmosfera e rilevanticambiamenti nelle precipitazioni re-gionali, rispetto ai consueti modelli.

Il Corno d’Africa, a cominciaredall’Etiopia, da oltreun anno subisce le pesanti conseguenzedi un fenomenoclimatico globale. Che alterna alluvioni,in aree limitate, a prolungate siccità,in gran parte dellaregione. Costringendoalla fame milioni di persone

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contrappuntodi Alberto Bobbio

NESSUNA ARMASE NE STA AL GUINZAGLIO…

sistemi d’arma fino ai fucili, alle pi-stole, ai mitragliatori individuali, allepallottole. Sembra poca roba, ma ilmercato delle armi leggere, di piccolocalibro, e delle indispensabili pallot-tole può cambiare il destino delle na-zioni, e imporre nuove logiche geo-politiche nel grande gioco della glo-balizzazione economica.

Chi è in grado di produrre e di ven-dere, in fretta e bene, poi si assesta algoverno di fatto di intere regioni. Ediventa un paese con il quale fare iconti a livello geopolitico. È il casodel Kenya, che produce ogni giornodecine di migliaia di proiettili, di cuisolo il 10% serve al paese. E il resto?Armano pistole e fucili mitragliatoriper tutte le guerre d’Africa. Così perogni problema africano bisogna farei conti con Nairobi, perché per leguerre africane non servono sofisti-cati sistemi d’arma, ma milioni dipallottole tradizionali.

L’Africa è uno sbocco straordinarioper la versione grigia e nera del mer-cato, oltre naturalmente che per quel-lo legale. Il conto è presto fatto. Se ilrapporto legale-illegale è uno a dieci,

i conti sono presto fatti. La Francia invia in Africa il 21%del proprio export armigero: siamo sicuri che controlla ilresto e che le industrie si attengano alle regole? Ma il ra-gionamento vale per tutti, da Washington a Mosca, da Pre-toria alla Cina. In Africa si trova ogni tipo di made: fatto inGermania, in Austria, in Italia, in Cina, in Svezia, Turchia,Ucraina, Cipro... E l’elenco potrebbe continuare.

Le pressioni geopolitiche per la guerra o la pace dipen-dono dunque (anche) dal business delle armi, senza dub-bio alcuno. E la crescita record del settore militare nondepone a favore di un futuro di pace: le armi prima o poisi devono usare, non fosse che per svuotare i magazzini.La stessa analisi vale per i sistemi d’arma, strutture com-plesse, che per essere testate e portare buon business de-vono ogni tanto essere utilizzare, e non soltanto nei gio-chi di guerra dei generali. Nessuna arma è costruita perstare buona al guinzaglio…

È uno dei mercati più redditizi del mondo. La cosiddetta spesaglobale aggregata per la difesa vale nel mondo 1.779 miliardidi dollari e non soffre i problemi della finanza, cioè non co-

nosce crisi periodiche. Perché non si tratta di un mercato che offrequalcosa che non ha, come quello per esempio dei derivati. Il mer-cato della cattiva finanza, prima della crisi del 2005, in valore con-tabile arrivava a 630 mila miliardi di dollari, che significa quattordicivolte il Pil di tutto il pianeta. Ma era evanescente e pericoloso, comesi è visto poi. Quello delle armi vale molto meno, ma è drammati-camente più stabile, considerata la natura sensibile del prodotto.

Eppure proprio per questo motivoil perimetro reale del mercato non siriesce a definire, né a misurare. Qualè il margine del mercato? È vero chesiamo in possesso di tutti i cosiddetti“dati sensibili”? Le analisi degli spe-cialisti dicono che quello legale, dellearmi e dei sistemi d’armi, rappresentiin realtà solo il 10% dell’intero busi-ness. Poi ci sono il mercato nero equello grigio, zone parallele i cui at-tori sono spesso gli stessi del mercatolegale, ma con molto più margine ditrattativa, quindi di guadagno. Così lacifra schizza alle stelle e il diritto in-ternazionale, sulle cui norme è definito il mercato legale,calpestato, così come le regole dei singoli stati.

Aiuti militari: quali?La voce “aiuti militari” lascia troppi cassetti aperti nei bi-lanci pubblici, nei quali infilare cose che i canali ufficialie regolamentati non possono prevedere. Non è difficile ebasta falsificare qualche certificato di destinazione finaleo corrompere qualche funzionario. Pochi soldi, massimirisultati.

È così che il mercato delle armi esce dal controllo. Ècosì che il suo fatturato globale diventa indefinito. Ed ècosì che diventa un problema geopolitico, in grado dimuovere interessi che vanno al di là del semplice calcoloeconomico. Il protagonismo di paesi e blocchi, come av-veniva fino alla caduta del Muro di Berlino, ha alcune suefondamentali ragioni nel mercato delle armi, dai grandi

Il mercato di armamentie munizioni non

conosce flessioni:stabile, anche in tempi

di crisi. Dietro l’ufficiale,prosperano anche

quello nero e grigio.Innescando conflitti

e instabilitàgeopolitiche. Perché

un fucile non è costruitoper rimanere zitto…

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Ma è la siccità, e la conseguente care-stia, la minaccia peggiore. In Etiopia,la diminuzione delle piogge primave-rili (sempre nel 2015) ha causato au-mento dell’insicurezza alimentare,malnutrizione e deperimento deimezzi di sussistenza, e ci si aspetta, giàper i primi mesi del 2016, che circa 15milioni di persone avranno bisogno diassistenza alimentare. Al momento lefonti d’acqua sono pressoché esaurite,i pascoli completamente aridi, si regi-strano forti perdite dei capi di bestia-me e malnutrizione acuta, soprattuttotra i bambini sotto i 5 anni.

E il problema, come detto, si estendeall’intero Corno d’Africa, dove ci sonoindizi per ritenere che quella in corsopossa rappresentare la peggiore care-stia degli ultimi 40 anni. Solo in Etiopia,nelle ultime settimane le persone chenecessitano di assistenza alimentaresono giunte a essere più di 18 milioni.E anche le previsioni per il 2016 sonoestremamente pessimistiche, soprat-tutto per febbraio e marzo, mesi in cuisi teme l’aggravarsi della siccità, oltreche il verificarsi di nuove forti inonda-zioni nelle zone più aride. Come già ac-caduto in passato, la crisi è dovuta an-che a fattori economico-politici conco-mitanti, a cominciare dall’aumento deiprezzi del cibo che, anche laddove di-sponibile, è inaccessibile per un’ampiafascia della popolazione, gravata daredditi insufficienti.

Cinque capre per ripartireChe cosa voglia dire, convivere con sic-cità di tale portata, lo dimostra la storiadi un uomo (beneficiario di aiuti Cari-tas), che vive con la propria famiglia(moglie, tre figlie e due figli) nell’areadella capitale etiope Addis Abeba. Luiha 54 anni ed è disabile a causa dellapoliomelite, ma la sua famiglia possie-de un ettaro di terreno, che è stato col-tivato nella scorsa stagione solo trami-te l’affitto di un trattore per due ore algiorno, cosa che ha comportato la ne-

cessità di contrarre un forte debitoeconomico. Purtroppo, a causa dellatotale assenza di piogge, il raccolto èfallito completamente: il terreno nonha prodotto nemmeno foraggio utileper i capi di bestiame. La moglie del-l’uomo è impegnata in un’occupazio-ne manifatturiera: assembla materassi,intrecciando foglie secche da vendereal mercato della città, ma questa attivi-

internazionale corno d’africa L’impegno Caritas

Caritas Etiopia e le Caritas degli altri paesi del Corno d’Africasin dai primi mesi della carestia hanno attivato le proprie reti nei territo-ri, monitorando l’evolversi della situazione e predisponendo piani per rispondere all’emergenza, con interventi di prevenzione e di assistenzaalla popolazione. I vescovi dell’Etiopia, riunitisi il 22 dicembre 2015 ad Addis Abeba, hanno lanciato un appello alla solidarietà internazionalee di denuncia dei cambiamenti climatici e delle loro cause, sottolinean-do come essi provochino un’ulteriore pressione sui flussi migratori.

Molteplici, si diceva, sono le azioni di aiuto in via di implementazione,non solo di carattere assistenziale, ma anche di rafforzamento della ca-pacità di adattamento delle famiglie colpite. I principali interventi consi-stono nella fornitura di cibo altamente nutritivo a persone affette damalnutrizione (in particolare bambini, donne incinte e madri che allatta-no), la distribuzione di sementi resistenti alla siccità, interventi per favori-re l’accesso all’acqua potabile, forme di sostegno all’allevamento (forni-tura di animali e foraggio), azioni di sostegno al reddito familiare,favorendo l’accesso al lavoro.

Caritas Italiana è impegnata da anni nell’area, con la presenza di ope-ratori e un vasto programma di interventi, avviato in seguito alla crisi alimentare del 2011 e alla conseguente colletta, che ha consentito la realizzazione di progetti per oltre 9 milioni di euro in favore di centina-ia di migliaia di persone. Per questa nuova emergenza, Caritas Italianaha stanziato ulteriori 100 mila euro a sostegno degli interventi delle Caritas locali e di altri organismi impegnati nella risposta all’emergenza.

Azioni per la sussistenza e l’adattamento

Il problema affligge l’intero Corno d’Africa,dove si profila la peggiore carestia degliultimi 40 anni. Solo in Etiopia, le persone

che necessitano di assistenza alimentaresono giunte a essere più di 18 milioni

tà le frutta un salario risicato, non ingrado di fare fronte anche solo alle spe-se di mera sussistenza della famiglia.

L’intervento di aiuto si è concretiz-zato nella fornitura di 5 capre, quattrofemmine e cinque maschi. La famigliapotrà portare la piccola mandria a pa-scolare lontano dalla propria abitazio-ne, in una zona montagnosa resa piùverde, grazie a un intervento di raccol-ta dell’acqua e irrigazione del terreno.Le capre potranno fornire latte percirca due-tre mesi all’anno, e la fami-glia – questo è l’obiettivo del progetto– potrà vendere qualche capretto, perottenere una piccola entrata, utile aintegrare le spese quotidiane, o ad ac-quistare piccoli utensili per migliorarela produzione manifatturiera, quindiaccrescerne la qualità, di conseguen-za il guadagno dei manufatti venduti.

Per battere la siccità, in altre parole,servono politiche serie. Ma anche con-creti e creativi microprogetti. Che dia-no a milioni di famiglie e persone glistrumenti iniziali per innescare circolivirtuosi di lavoro, reddito e qualità del-la vita. La siccità secca le terre, non ne-cessariamente la capacità degli uominidi migliorare il proprio domani.

BENE DA PRESERVARESulle montagne dell’Etiopia, lavori percreare bacini di contenimento dell’acqua

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DIRITTO AL FUTURO,

Tutti gli uomini hanno la stessa dignità. Ma le diseguaglianze chesempre più caratterizzano i rapporti tra popoli, paesi e gruppi socialifiniscono per negare a molti opportunità fondamentali. Il compitodella campagna “Il diritto di rimanere nella propria terra”

di Francesco Maria Carloni

FIGLIO DELLA GIUSTIZIAE DELLA COOPERAZIONE

Dio non fa preferenze di persone, poiché tutti gli uomini hannola stessa dignità di creature. Solo con il riconoscimento delladignità umana di ciascuno, si rende possibile la crescita comu-

ne di tutti.È nell’offerta di pari opportunità per curarsi, istruirsi, lavorare, abi-

tare e muoversi, che si concretizza la possibilità di scegliere il proprioavvenire. In realtà, però, un tale diritto è ancora negato a centinaiadi milioni di persone, a causa di intollerabili diseguaglianze econo-mico-sociali; si stima per esempio che oggi, nel mondo, 805 milionidi persone non abbiano accesso al cibo.

È dalla possibilità, da riconoscere a ogni persona, di scegliere ilproprio futuro, che muove la campagna “Il diritto a rimanere nellepropria terra”, promossa in occasione del Giubileo della misericordiada Missio, Caritas Italiana e Focsiv, in risposta all’invito contenuto inun documento stilato, nello scorso autunno, dalla Conferenza epi-scopale italiana.

Tra le altre cose, la campagna giubilare offre l’opportunità di con-tribuire a realizzare una microrealizzazione in ambiti fondamentalidella vita delle persone che risiedono in paesi africani e mediorientali(ma anche asiatici e latinoamericani) martoriati da guerre, fame, di-

sastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose, contri-buisce a creare condizioni di vita più accettabili, e contem-poraneamente aiuta le comunità italiane ad approfondiree comprendere le motivazioni, spesso complesse, che co-stringono milioni di persone a lasciare la propria terra. So-no problemi enormi, la cui soluzione sembra irraggiungi-bile, ma forse no… se solo si applicassero percorsi dicooperazione che sappiano dialogare, investano in capitaleumano e sociale, ambiscano a vedere oltre l’emergenza, sipropongano di essere sostenibili e responsabili.

“Il diritto di rimanere”:accoglienza in Italia,microprogettinei paesi d’origine

Tra le azioni concrete propostedalla campagna “Il diritto a rima-nere nella propria terra”, vi è l’invi-to – rivolto alle diocesi d’Italiae ad altri soggetti sensibili – a finanziare non solo progetti di accoglienza in Italia di personemigranti, ma anche una piccola e concreta iniziativa di sviluppo(microrealizzazione) in uno dei paesi di origine dei migranti.

Dal lancio (Avvento 2015) della campagna giubilare, numero-se sono state le diocesi che han-no aderito; tante altre lo farannonel corso dell’anno.

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panoramamondo

Nell'anniversario del tragicoevento, Caritas Italiana ha pub-blicato il dossier Concentrato di povertà. Investire nella scuolaper liberare un paese (scaricabiledal sito Caritas), che approfondi-sce i temi dell’indigenza e delladisuguaglianza. In effetti la Re-pubblica haitiana è il paese piùpovero dell’America Latina e pre-senta grandi squilibri: Il 10% de-gli haitiani possiede il 70% delleentrate dell’intero paese, mentredue haitiani su tre vivono conmeno di due dollari al giorno.

Un focus è dedicato al temadell’educazione, diritto ricono-sciuto e valorizzato a livello mon-diale, pilastro di ogni politica diemersione dei paesi poveri dallesituazioni di emarginazione e mi-seria in cui si trovano. Il dossier

presenta in proposito i risultati di un’indagine condotta in alcunescuole di Haiti, non solo per ave-

re una visio-ne reale del livellod’istruzionedel popolohaitiano,ma ancheper coglierele moltesfumaturesociali cheruotano

attorno all’ambito scolastico. Nel paese, il 100% delle scuolecomunitarie non riceve né testiné materiale dallo stato e solo il 22% delle scuole rurali ha sem-pre accesso alla corrente elettri-ca. La scuola può però diventareun decisivo strumento di libera-zione. A patto che vi sia un’azio-ne comune della società civile e politica, dalla famiglia allo sta-to, dal non profit alla Chiesa.

Il dossier su Haiti segue i die-ci pubblicati nel 2015, dedicati a diversi temi internazionali: lacrisi in Grecia, il conflitto in Siria,la condizione dei carcerati sem-pre ad Haiti, lo sfruttamento lavo-rativo in Asia, la condizione gio-vanile in Bosnia ed Erzegovina, le migrazioni nel Corno d'Africa,i cristiani perseguitati in Iraq,lo sfruttamento ambientale nellaRepubblica del Congo, la salutementale e la dignità dei malatinei paesi balcanici, lo svilupposostenibile in Asia, America Lati-na e Africa.

archivium di Francesco Maria Carloni

«Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi». È a partire da questo pensiero (contenu-to nell’esortazione apostolica Christifideles Laici, pubblicata da papa GiovanniPaolo II nel 1988) che Caritas Italiana organizza nel marzo 1989 un incontro di studio e riflessione sul tema della parrocchia, alla luce delle indicazioni emer-se dal Concilio Vaticano II.

Nel corso di tre giornate si confrontano, sul tema della parrocchia, suddivisi in due gruppi di studio, direttori e collaboratori di tredici Caritas diocesane, dopoaver ascoltato due riflessioni di carattere teologico e pastorale sul tema. Fin dal-la sua nascita, Caritas Italiana è stata animata da una costante riflessione sullaparrocchia come entità teologica, pastorale e fisica e come luogo comunitarioper l’esercizio della carità.

Le due riflessioni di base e la sintesi dei gruppi di studio verrannopoi rese disponibili a tutte le Caritas diocesane d’Italia e ai rispettivivescovi, in forma di ciclostilato, raccolte in una cartellina dedicata.Grazie a questa sia pur semplice pubblicazione, molti contenuti del-l’incontro saranno ripresi dai vescovi italiani negli orientamenti pa-storali per gli anni Novanta (Evangelizzazione e testimonianza di cari-tà), nei quali, tra l’altro, si chiederà e si porrà come obiettivo per ognichiesa particolare il dar vita a una «Caritas parrocchiale in ogni co-munità». Obiettivo ancora da raggiungere, in molti luoghi…

La parrocchia, luogo comunitarioper un autentico esercizio della carità

LA PRIORITÀIstruzione, perfar rinascere Haiti

Sei anni fa, il 12 gennaio 2010,un violentissimo terremoto colpivaHaiti, provocando almeno 230 mi-la morti accertati, oltre 300 milaferiti e un milione e mezzo di sen-za tetto. Caritas Italiana sin daiprimi giorni è stata accanto allapopolazione terremotata e allaChiesa locale, insieme alla rete internazionale Caritas. In sei annidi lavoro, sono stati finanziati 192progetti di solidarietà, per unimporto di oltre 23 milioni di euro,in diversi ambiti: aiuti immediati,ricostruzione, socio-economico;idrico-sanitario; animazione, for-mazione e istruzione. La maggiorparte dei progetti sono stati realizzati nelle zone più colpite dal sisma (ovest e sud-est), ma si è comunque intervenuti in tuttele dieci diocesi del paese caraibico.

HAITIL’isola dopo il terremoto,concentrato di povertà chedeve investire sulla scuola

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LASTORIAIo sono sordomutasin dalla nascita,

i miei genitori sonopoveri e lavorano in

un campo di cassava.Non hanno potuto

farmi studiare inuna scuola speciale

NIGERIABrava Aminah,“persona speciale”:«Vivevo in un mondoimmaginario, oggi lavoro»

Mi chiamo Aminah Enakar-

hire, ho 15 anni, sono ospite del St. Joseph Centre di Nkpura, situato nel sud della Nigeria (diocesi di Ogoja – Cross River State). Si tratta di un centro per ragazzi con vari gradi di disabi-lità, fisiche e psichiche. Io sonosordomuta sin dalla nascita, i mieigenitori sono poveri e lavorano inun campo di cassava. Non hannopotuto farmi studiare in una scuolaspeciale. Io vedevo i bambini “nor-mali” così diversi da me, vivevo in un mondo quasi immaginarioche mi faceva sentire lontana edemarginata. Una decina di anni fa,i miei hanno saputo che alcunesuore avevano aperto un centroper disabili, dove si prendevano cura dei ragazzi, facendoli studiare e insegnando loro – grazie ad esperti – arti e mestie-ri, soprattutto calzoleria e varie forme di artigianato.

Grazie al contributo di 4.500euro di Caritas Italiana, recente-mente le suore hanno acquistatomacchine per cucire e organizzatocorsi di sartoria. Ora noi confezio-niamo divise scolastiche a prezzimodici, non solo per il nostro cen-tro, ma anche per le scuole di altrivillaggi. Io lavoro: mi sento final-mente parte di una comunità, ho ripreso fiducia in me stessa.Immaginate la gioia che ho provatoquando ho letto sulle labbra dell’insegnante le parole: «Brava!Continua così: sei una personaspeciale...».

Grazie, non stancatevi di soste-nere un microprogetto!

> Microprogetto 81/15 NIGERIAUna macchina da cucire per sentirsi come gli altri

5 Realizzato!

Un filo di dignità, un futuro più saldo. L’avvio di corsiformativi di taglio e cucito, l’acquisto di sei macchine

per cucire e di materiali da sartoria sono il contenuto di unmicroprogetto pensato per 60 donne povere, affette da Aids,provenienti da due villaggi rurali nel comune di Pallapatti, Tamil Nadu, centro-sud dell’India. Selezionate tra 105 candi-date, le donne impareranno a confezionare vestiti; durante il corso riceveranno un piccolo compenso, e successivamen-te, quando saranno in grado di cucire abiti in proprio, potran-no autosostenersi economicamente.

> Costo 2.560 euro> Causale MP 99/15 INDIA

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INDIADonne con l’Aids, futuro da sarte

MICROPROGETTO

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MICROPROGETTO

VIETNAMIstruzione per bambini di varie etnie

Offrire vitto, alloggio e prima istruzione a 120bambini poveri (dai 3 ai 5 anni, appartenenti

a differenti etnie: Bahnar, Rongao, Xedang, Jarai, ecc.)che sono accolti dalle suore della Divina Provvidenzanella scuola materna di Kon Tum, zona montagnosa delsud del Vietnam, vicino ai confini con Cambogia e Laos.L’obiettivo è garantire ai piccoli l’ingresso nella scuolaelementare e sostenere le famiglie (che vivono in villag-gi isolati tra le montagne), che non possono permettersidi mandarli alle scuole governative.

> Costo 4.500 euro> Causale MP 201/15 VIETNAM

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

MICROPROGETTOMICROPROGETTO

PERÙLa musica, strumento per crescere

La musica, maestra di vita. Il microprogetto prevede l’ac-

quisto di strumenti musicali (organo,batteria, chitarra, banjo, ecc.) e attrez-zatura multimediale (proiettore, amplifi-catore, microfoni, ecc.) da far utilizzare ai ragazzi che, da una vasta zona nei din-torni, frequentano l’oratorio salesiano dome-nicale “Juan Soador” (distretto di Castiglia). Il laboratorio musicale avrà anche risvolti sociali,al fine di tenere i ragazzi lontani dalla strada e dallacriminalità, consentendo loro di esprimersi e di imparareun’attività che potrebbe anche offrire un lavoro in futuro.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 195/15 PERÙ

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BURKINA FASOBere a scuola,senza attese sfibranti

La costruzione di un deposito so-praelevato dell’acqua, l’acquisto

di una pompa a immersione e di una tu-batura di raccordo a un pozzo esistente:il microprogetto ha come beneficiari 221bambini che frequentano la scuola catto-lica di una parrocchia di Dargo (circa 200 chilometri a nord-est dalla capitaleOuagadougou) e 42 ragazze che vivononella casa d’accoglienza e frequentano la scuola superiore. Oggi esiste un solopozzo che serve scuola, casa d’accoglien-za e alcune case dei dintorni: il nuovo de-posito permetterà di accedere all’acquada punti diversi senza fare file di ore.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 176/15 BURKINA FASO

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villaggioglobale

gattola. Il documentario illustrala quotidianità delle ragazze: a scuola, a casa, mentre parlanocon gli psicologi, nel centro per i disturbi alimentari Heta. L’ano-ressia non è una malattia dellepersone superficiali – come an-cora si mormora –, né questionedi linea: in realtà nasconde unmale di vivere fatto di solitudine,senso di vuoto, difficoltà a inte-grarsi nella realtà. Nel documen-tario, uno spazio importante vie-ne dato ai genitori. Quando iniziala terapia psicologica, possonoessere decisivi: è fondamentaleche condividano il percorso di cu-

ra, ne comprenda-no importanza e logica, in mododa aiutare le figliea percorrerlo. Il filmsarà presentato il 15 marzo 2016,giornata nazionaledei Dca, i disturbidel comportamentoalimentare. L’ideadel regista è di farcircolare il docu-mentario nellescuole superiori.

anni un luogo di morte. Qui so-no sepolti centinaia di migliaiadi cadaveri, i cosiddetti “dissi-denti” del Cile di Pinochet. L’immenso deserto di Atacama,dunque, nasconde non solo i segreti del cielo e della terra,ma anche quelli della malvagitàumana: migliaia di cadaveri, an-cora oggi oggetto di ricerca daparte dei familiari. Sono soprat-tutto le donne a partire, percor-rono chilometri sotto il sole, alla ricerca di tracce che possa-no ricondurle alle persone ama-te. Il regista le racconta, madri,mogli, sorelle, figlie: viaggi in cerca di affetti incancellabili,in un luogo incredibile.

DOCUMENTARIO“Mangiami”:il male di vivereprende la formadell’anoressia

Un documento drammatico. Manecessario. Diverse ragazze ado-lescenti raccontano i loro disturbialimentari, in particolare l’ano-ressia, nel documentario Eat Me(Mangiami) del regista Ruben La-

FOTOGRAFIAL’infanzia in America Latina:scatti di rinascitada nove paesi

Un reportage fotografico. Fattosilibro. Curato dal fotografo Stefa-no Guindani. E realizzato in oltredue anni in nove paesi dell’Ame-rica Latina: Haiti e RepubblicaDominicana, Honduras, Guate-mala, Nicaragua, Messico, El Sal-vador, Bolivia. In Do you know?Guindani, fotografo di moda e re-portage (da anni volontario e so-stenitore della Fondazione Fran-cesca Rava), ha documentatocon i suoi scatti il lungo percorsodi rinascita dei bambini accoltinelle case-orfanotrofio Nph (Nue-stros pequen os hermanos, “I no-stri piccoli fratelli”), presenti neinove paesi. Il libro è stato com-missionato a Guindani da Nph,l’organizzazione internazionale di aiuto all’infanzia, rappresenta-ta in Italia dalla Fondazione Rava.I proventi del libro fotografico(edito da Skira) andranno allaFondazione Rava e ai suoi proget-ti per l’infanzia in America Latina.

zoom

Un calderone digitale, nel quale ogni utente può gettaremessaggi di ogni tipo, senza che venga individuato. Lapiattaforma sta spopolando negli Stati Uniti e si è giàdiffusa in più di 22.300 scuole superiori. Segreti, dubbi,paure nascoste. Ma anche messaggi di violenza e pen-sieri offensivi. Il tutto in forma anonima. E imperniato suun sistema informatico progettato per essere accessibi-le solo agli adolescenti. After School è un’app che staspopolando negli Stati Uniti e che si è già diffusa in piùdi 22 mila scuole superiori. Un calderone digitale, nelquale ogni utente può gettare messaggi di ogni tipo,senza essere individuato o rintracciato. Una libertàd’azione potenzialmente letale, con un elevato pericolodi derive violente, come dimostrano i casi di suicidio diadolescenti proprio a causa delle ricadute sociali delleoffese e delle minacce diffuse. Insulti e messaggi sub-doli, che vanno ad agire su malesseri e insicurezze, mor-

tificando la vittima e spingen-dola talvolta a gesti estremi.

Già da qualche tempo sisono diffusi social network epiattaforme improntati alla lo-gica dell’anonimato: Whisper,Wut, Whispero, Social Num-ber e Secret (quest’ultimo molto diffuso anche in Italia),oltre ad Ask.fm, il social dal quale sono arrivati gli insul-ti che hanno recentemente portato al suicidio Aurora,quattordicenne della provincia di Torino.

Il boom di After School tra i più giovani crea di fattouna community chiusa agli adulti, che non possono ac-cedere: al momento dell’iscrizione viene infatti verifica-to se l’utente sia iscritto al liceo attraverso le pagineFacebook e vengono create bacheche riservate per ognicampus di scuola superiore.

Successo delle app anonime riservate ai ragazzi:“After school”, libertà d’espressione. O di insulto?

MINORIFRAGILIUn’immaginedel documentariodedicato alleragazze vittime dianoressia e, sotto,la copertina dellibro fotograficosugli orfani latino-americani

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Svezia, hanno raggiunto il cuoredei molti che seguono con co-stanza l’account. «Anche se con

un testo brevissimo, l’im-portante è che le storiedei rifugiati arrivino allepersone là dove leggonole notizie, ovvero semprepiù sui social media», ha

spiegato Karl Dalèn, social mediaeditor del quotidiano Dagens Ny-heter, che si è inventato il popola-re hashtag. «È un format brevema speriamo che i lettori ricavinoda queste poche righe una forteimpressione personale. Le perso-ne che si raccontano sono moltopiù che numeri», ha concluso Da-lèn. Intanto, il direttore del quoti-diano, Peter Wolodarski, ha an-nunciato la volontà di donare unaparte del ricavato degli abbona-menti fatti al suo giornale ai mi-granti che arrivano in Svezia.www.dn.se

zoom

SOCIAL MEDIAHashtag peri rifugiati: la Sveziachiude i confinima apre Twitter

È diventato in poche ore un ac-count da grandi numeri: @refu-geeSweden. Ha raggiunto in po-che ore migliaia di follower sutwitter, ma sta crescendo semprepiù. Non male, specie perché i ri-fugiati non sono granché popola-ri, di questi tempi, anche in unpaese – la Svezia – che ha datomolto, sul piano dell’accoglienza,e ricco di buone pratiche in temadi diritti. E che però in questi ulti-mi tempi ha deciso di chiuderefrontiere e respingere decine di migliaia di non aventi dirittoall’asilo. Eppure foto e storie bre-vissime, da twitter appunto, neiquali i rifugiati raccontano la lorofuga e l’approdo in Europa e in

La Caritas diocesana di Novara ha scelto le mani per dare una forma visibile e immediata allaMisericordia. Le vediamo disegnate da Paola Avvignano mentre consigliano, insegnano, ammoni-scono, consolano, perdonano, sopportano, pregano… in una serie di sussidi realizzati per l’annogiubilare. Riuniti sotto il titolo Le mani della Misericordia, vengono proposti un libro per l’appro-fondimento personale, con contributi di autori noti (Falletti, Rivoltella, Ciotti, Montenegro, Rigoldi,Bregantini, Canopi), un sussidio per famiglie e comunità, sette schede per la catechesi dei picco-li, un dvd con sette filmati, brevi spunti offerti dalla tecnica del disegno con le mani sulla sabbia.

A ispirare Caritas Novara è stata una frase della Misericordiae Vultus, la bolla con la quale papaFrancesco ha indetto l’anno giubilare. Ricordando l’impegno per i più fragili e poveri, il Santo Padrescrive: «Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità». Da qui i sussidi, che, concentrandosi sulle operedi misericordia spirituale, raccontano uno stile, un modo di fare e di essere. «Non volevamo cade-re nel facile dualismo che ritiene le opere di misericordia corporale più adatte al mondo Caritas, e quelle spirituali più aleatorie e disincarnate – rivela don Giorgio Borroni, vicedirettore della Cari-tas diocesana di Novara –. Le opere spirituali riguardano la crescita della persona e la riconcilia-zione delle relazioni, fino alla preghiera per tutti. Se in questo anno giubilare le nostre Caritas e le comunità parrocchiali si mettessero in attento ascolto delle persone per farle crescere nellafede e fossero capaci di riconciliare relazioni divise, rapporti familiari e amicali strappati, costrui-rebbero un grande canale attraverso il quale passa la Misericordia del Padre». Tra le pagine deisussidi, don Giorgio sceglie una frase: «È del presidente di Caritas Italiana, il cardinale FrancescoMontenegro: “Consolare gli afflitti! Se riuscissimo davvero a farlo sarebbe già un tempo di grazia,un Giubileo! Per noi, perché vuol dire che abbiamo capito qualcosa dell’agire di Dio; per gli afflitti,perché potranno sperimentare che la consolazione di Dio non si è mai allontanata!”». [d.a.]www.caritasdiocesananovara.it

DOCUFILMNostalgia di luce:la bellezza e il malead Atacama, sottolo stesso cielo

Riflettori accesi sull’immensodeserto cileno di Atacama. Ov-vero l’unico punto di colore mar-roncino che appare guardando il pianeta Terra dalle sonde spa-ziali e dai satelliti che ci giranoattorno. Nostalgia della luce è un docufilm (regista PatricioGuzman) che esplora un luogoincredibile, affascinante ma ino-spitale. Al punto che non puòaccogliere la vita. Un luogo datempo utilizzato dagli astronomiper studiare l’universo e i suoifenomeni celesti più nascosti.Eppure, Atacama è anche teatrodi agghiaccianti occultamenti:questo meraviglioso angolo del-la terra è stato infatti per tanti

DOLORI PASSATIE PRESENTIHashtag svedese,volti siriani. Sotto,la locandina deldocufilm sui cilenidesaparecidos

Le mani, strumenti di Misericordia:«Oltre il dualismo tra corporale e spirituale»

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villaggioglobale

di Daniela Palumboatupertu / Giuseppe Stroppa

Un bel libro. Dieci racconti di vita degli ospiti della casadi accoglienza “Enzo Jannacci”, più nota a Milano co-me “dormitorio di viale Ortles” (si dice, il più granded’Europa). Inciampi di Vita, però, è soprattutto il risul-tato di un progetto di responsabilità sociale d’impresaavviato da Zeta Service, società che offre servizi a me-die e grandi aziende. E dunque parrebbe non aver nullaa che vedere, con il mondo degli homeless. Invece èscoccata una scintilla. Quale, lo racconta GiuseppeStroppa, dipendente della Zeta Service.

Come è cominciata questa avventura?Siamo su questa terra e ci guardiamo intorno. Premiati(Ambrogino d’oro 2014) per i progetti di volontariatod’azienda e per la valorizzazione delle differenze, un an-no fa abbiamo avviato un progetto di responsabilità so-ciale d’impresa. Dipendenti e collaboratori hanno pro-posto alcune iniziative sulle quali impegnarsi. L’aziendaha contribuito concedendo un monte ore da dedicare alprogetto scelto. Così abbiamo iniziato a collaborare conla “Casa” intitolata a Jannacci, chesta a due passi da noi: corsi di ita-liano e informatica e di aiuto e con-sulenza nella compilazione dei cur-riculum vitae. Poi, un giorno, alla mia collega Debora è venuto in mente di scrivere un libro.

Ed è nato Inciampi di vita. Auto-prodotto. Acquistabile on linee su Facebook\inciampidivita.Come avete scelto gli ospiti

Responsabilità in azienda, dieci ritratti di homeless:«La vita e i suoi inciampi,potremmo essere noi…»

La maggior partedegli ospiti dellacasa di accoglienza

“Enzo Jannacci” hastorie “banali”. Chepossono capitarea ognuno: inciampidi vita, appunto

e le storie da raccontare?Il libro è frutto di un lavoro collettivo tra me, Debora, Fe-derica e Marilu. Ma soprattutto è realizzato grazie ai pro-tagonisti, cioè i dieci ospiti intervistati, scelti in base allaloro disponibilità a raccontarsi. Noi abbiamo dovuto fareun delicato lavoro di “scavo”. Gli ospiti tendevano a rac-contare la loro attualità. A noi interessavano la loro vitae i loro sogni.

Come sta andando il libro?Abbiamo venduto circa un migliaio di copie. Abbiamo an-che realizzato e pubblicato diverse video-testimonianze di artisti (e non solo) che si sono prestati con entusiasmo.

Per lei Enzo Jannacci è qualcosa di più di un perso-naggio famoso...

Enzo, per me, ha sempre rappresentato la parte belladella mia Milano, quella che si dice con il “cuore in ma-no”. Un medico che pensava che il suo lavoro dovesseservire a far star bene gli altri, un artista unico, un poetadi strada, una splendida persona. Il ricavato delle vendi-

te del libro finisce su un conto perrealizzare piccoli progetti degli ospi-ti: anche avere i soldi per rinnovarei documenti può essere un grandeobiettivo raggiunto. Le persone chefrequentano la “Casa di Enzo” sia-mo noi… È vero, qualche storia uni-ca c’è, ma la maggior parte degliospiti ha storie “banali”. Che pos-sono capitare a ognuno: inciampi di vita, appunto.

a famiglie che scelgono di emi-grare per sopravvivere.

È importante comprenderemeglio “le vite degli altri” e co-noscere le storie dei migranti,per verificare se l’ambito familia-re sia risorsa di accoglienza o spazio di chiusura versol’esterno. Ed è altrettanto crucia-le osservare l’immigrazione secondo il tema della famiglia,interrogandosi sui vissuti di spe-ranza e di sofferenza, di distac-co e di recupero degli affetti, di rischio del fallimento e di tena-

ce costruzione del proprio futuro.Queste chiavi di lettura del

fenomeno sono proposte da Giu-seppe Dardes e Ignazio Punzi in Dov’è tuo fratello? Famiglia,immigrazione e multiculturalità(San Paolo Edizioni, pagine210). Il testo esplora il tema del viaggio e dei suoi effetti sulle famiglie migranti (chi parte,chi resta) e si chiede se le fami-glie italiane sono o meno capaci di accoglienza

Il testo si propone di riflette-re, attraverso alcune storie,

su un modo diverso di concepiree vivere il rapporto con gli stra-nieri, chiedendosi se la famigliapossa essere risorsa di integra-zione e di riconoscimento reci-proco, in una società realmenteinterculturale, capace di valoriz-zare la diversità di storie, tradi-zioni e valori.

Il volume contiene anche un racconto di Cosetta Zanotti,che prende spunto dai contenutidel libro: anche i più piccoli vengono coinvolti e sollecitati a un confronto in famiglia. f.d.

Che cosa vuol dire essere felici?È possibile imparare a vivere,costruendo armonia tra dentro e fuori

di Francesco Dragonetti

Giovanni Ventimiglia(a cura di) Opere dimisericordia spiri-tuale (Emp, pagine

111). Ripartire dall’es-senziale, cioè da carità e misericordia: esigenzasottolineata dagli ultimidue pontefici. Nel 2013,Francesco ha detto: «Lamisericordia cambia tut-to. È il meglio che noipossiamo sentire».

LIBRIALTRILIBRI

Lucetta ScaraffiaLe opere di miseri-cordia spirituale(Emp, pagine134).

Un approfondimento a più voci, intenso e completo, sulle operedi misericordia spiritua-le, che ogni credente è tenuto a compiere, intervenendo di fronteai diversi bisogni del prossimo.

Bruno Di GiacomoRusso Il valore del-la sussidiarietà(Città Nuova, pagi-

ne 152). Il principio di sussidiarietà afferma il diritto all’azione del sin-golo e dei gruppi sociali,che perseguono insiemeil bene comune. Il volumeevidenzia la centralità ditale principio, anche nellarecente storia d’Italia.

paginealtrepagine

Abbiamo spesso l’impressione che la felicità sia qualcosa di cui tutti parlano, ma cheben pochi raggiungono. Essere felici oggi è praticamente un dovere! E non c’è più po-sto per chi non ci riesce, per chi deve fare i conti con delusioni e disgrazie. Ma che significato ha parlare di felicità nella società del benessere e della pubblicità che pro-mette tutto e subito, dove i valori tradizionali vengono superati da nuovi stili di vita?

Studi psicologici hanno dimostrato che la felicità ha origine per il 50% da fattori genetici, sui quali non si può agire; il 10% deriva, invece, dalle circostanze esterne,che non dipendono da noi. Ma il restante 40% è nelle nostre mani: esperienze passa-te, attitudine verso presente e futuro.

Ma al di là dei numeri, cosa è la felicità? Pierre Pradervand La felicità si impara. La via del cuore (Il Punto d’Incontro, pagine 102) insegna che la felicità è una sorta di dono che la vita elargisce a chi vive in armonia con le sue leggi: secondo il sociolo-go e formatore ginevrino, che gode di fama internazionale, è perciò possibile impararea vivere, per costruire le basi della felicità nella vita di tutti i giorni.

È necessario, dunque, intraprendere un percorso di conoscenza del proprio io,che ha come meta l'accrescimento della propria autostima e dell’amore verso sestessi. La felicità nasce dall’armonia tra quello che è dentro ogni persona, i pensierie le emozioni, e quella che è la dimensione esterna, fatta di azioni, incontri ed espe-rienze. È quanto propone il monaco benedettino Anselm Grun Ogni giorno un passo verso la felicità (Queriniana, pagine 136), secondo cui, per trovarela vera strada “verso la felicità” occorre dare valore alle vite, ma soprattuttoalla “propria” vita.

Ne è convinta Chiara Amirante E gioia sia. Il segreto per la felicità (Piem-me, pagine 179), da vent’anni in prima linea a sostegno di chi soffre: ragazzisbandati, alcolisti, disoccupati, manager affermati ma infelici, e tante personeimpaurite e sole, che patiscono il peso di una società disumanizzata, che ha smarrito la preziosità delle relazioni autentiche. Molti di loro sono riusciti a cambiare vita e a rinascere. Poiché, come rileva l’autrice, la felicità dipendeda come decidiamo di utilizzarla, per non fuggire di fronte a tutto ciò che di doloroso e meraviglioso la vita ci regala.

Forse, in definitiva, aveva ragione Oscar Wilde, con il suo celebre aforisma:«La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha».

CALENDARIFascino oltrele sbarre: posanole detenute, aiutoai bimbi reclusi

Hanno posatoper un calenda-rio, i cui proventisono destinatialle madri dellasezione “nido”del carcere ro-mano di Rebib-

bia. Le detenute del penitenzia-rio hanno preso parte a Fascinooltre le sbarre, iniziativa in 41scatti, nata grazie ai fotoreporterMauro Rosatelli e Claudio Laco-ni. Un racconto della femminilitàe della creatività di 16 donne,detenute in via definitiva. L’inizia-tiva, approvata dal ministero della giustizia, dal dipartimentodell’amministrazione penitenzia-ria e naturalmente della casa cir-condariale, ha portato alla pub-blicazione di un calendario di 24mesi (2016-17). Il ricavato è in-teramente destinato al migliora-mento delle condizioni di vita nel carcere, in particolare all’as-sistenza all'infanzia. Al progettohanno collaborato il LaboratorioRicuciamo, Nero Luce made in Rebibbia e Accademia Koefia.

LIBRILa famiglia, risorsadi integrazionenell’epocadelle migrazioni

I flussi migratori verso l’Europae l’Italia pongono problemi di re-lazione con culture “altre” e diinterazione con esse, oltre chedi accoglienza e inserimento so-ciale. Gli italiani sovrastimano il numero degli immigrati presen-ti in Italia e faticano a uscire dal-la rappresentazione dell’immi-grazione in quanto emergenza;l’immagine che prevale è quelladi individui considerati invasorie ladri di risorse ed opportunità,mentre più raramente si pensa

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SEZIONEMANIFESTI -ANNUNCIOSTAMPA

Brief Caritas FUNDRAISING PER IMICROPROGETTICARITAS

Short list(sezione Manifestoannuncio stampa e Internet)Umberto Catalano,Luciana D’Andrea,Stefano Muscettaed Eugenio Peluso

Scuola la Tecnica -Benevento

Quattordicesimaedizione Premiazione a Salerno 29 maggio 2015

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