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In Italia più di 450 realtà del terzo settore gestiscono proprietà sottratte alle mafie. Un centinaio di queste esperienze sono legate alla Chiesa, con il forte contributo delle Caritas: l’illegalità cede il passo a Vangelo e Costituzione Riprendersi speranza la POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Terrorismo Non cediamo alla sterilità della violenza Lotta alla povertà Alleanza, proposta di legge per il Reddito d’inclusione Il mondo in dieci alimenti Senza miele sarà un futuro amaro Italia Caritas MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLVIII - NUMERO 1 - WWW.CARITAS.IT febbraio 2015

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In Italia più di 450 realtà del terzo settoregestiscono proprietà sottratte alle mafie.Un centinaio di queste esperienze sonolegate alla Chiesa, con il forte contributodelle Caritas: l’illegalità cede il passo a Vangelo e CostituzioneRiprendersi

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Terrorismo Non cediamo alla sterilità della violenzaLotta alla povertà Alleanza, proposta di legge per il Reddito d’inclusioneIl mondo in dieci alimenti Senza miele sarà un futuro amaro

Italia Caritas

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febbraio 2015

NON CEDIAMOALLA STERILITÀDELLA VIOLENZA

editoriali

trovai più volte a sostenere la Caritaslocale e a chiedere ad altre che venis-sero incontro a necessità del luogo.

In Pakistan, l’impegno di Caritas èanzitutto nell’accoglienza dei rifugiatiafgani: servizio aperto a tutti, senza di-stinzioni di credo religioso, e a tantipoveri locali. Nel sud-est asiatico, ilMyanmar faceva i primi passi di aper-tura negli anni Novanta: riuscimmo afar sorgere Catholic Karuna, parola diorigine sanscrita che vuol dire “com-passione”, cioè “faticare con”, parteci-pare alle sofferenze di fratelli e sorelle.In Laos non era possibile costituireuna Caritas (Karuna o Mettà), ma potemmo svolgere attività per malati di leb-bra, ragazzi disabili e anziani: un aiuto che ha anche permesso di aprire spazidi libertà, fino ad riavviare un seminario. In Tailandia mi colpì l’articolo di unsociologo musulmano, che affermava che i buddisti si caratterizzano per la se-renità degli atteggiamenti, i musulmani per l’abito e l’osservanza di rituali, i cri-stiani per le opere di solidarietà. Un bell’omaggio a tanta generosità.

Ora, da presidente di Caritas Italiana, vorrei esortare a proseguire nell’im-pegno quotidiano. Siamo consapevoli di appartenere a un tessuto vivo, che hascritto e sta scrivendo magnifiche pagine di solidarietà. Così rispondiamo alleintenzioni di Paolo VI, finalmente riconosciuto beato, che la volle istituire comeorganismo pastorale per animare alla carità tutta la comunità ecclesiale, sot-tolineandone la prevalente funzione pedagogica.

Il mio mandato non sarà lungo, ma non sarà un servizio formale e sostitutivo.Collaboriamo per essere insieme, in Italia e nel mondo, segno visibile di quelRegno di Dio che tramite la Chiesa-comunione si edifica e porta – come esortapapa Francesco – la gioia del Vangelo anche nelle periferie dell’umanità.

rande clamore e giusta indigna-zione per l’esecrabile attentatodi Parigi. Ma troppi altri orrori ri-schiano di restare senza voce. La

strage di bambini in Pakistan, gli eccididi cristiani in Nigeria e Niger con i rapi-menti di minori, il dilagare del terrori-smo di matrice fondamentalista in Iraqe Siria. Isis, Ttp, Boko Haram: nomi di-versi, che si richiamano a quel fonda-mentalismo religioso che – come papaFrancesco ha detto nel suo discorso alCorpo diplomatico – «prima ancora discartare gli esseri umani perpetrando or-rendi massacri, rifiuta Dio stesso, rele-gandolo a un mero pretesto ideologico».

Di fronte a tanto orrore, la fantoma-tica comunità internazionale e i governirestano in silenzio, lasciando spazio afalsi profeti che parlano alla pancia del-la gente, fomentando ulteriore odio eviolenze. Per questi agghiaccianti fatti dimorte, che puntano a distruggere l’ideastessa di società, servirebbe invece unareazione forte e comune a livello politi-co, ma anche religioso e culturale.

Lavati dalle lacrimeC’è un tempo per ogni cosa. Gridiamolodai tetti, rompendo l’immobilismo del-la comunità internazionale, ma nellostesso tempo evitiamo reazioni scom-poste, recuperando il valore del silenzio,del pianto e della preghiera. «Quando ilcuore è pronto a interrogare se stesso ea piangere – ha detto il Papa ai giovaninelle Filippine – saremo in grado dicomprendere qualcosa», perché «alcu-ne realtà della vita si vedono soltantocon gli occhi lavati dalle lacrime».

Al Signore chiediamo aiuto perché lasterilità della violenza e della mortepossa fiorire in nuova vita e in una cul-tura capace di generare una nuovaumanità.

Il neopresidente di Caritas Italiana,

l’arcivescovo di Trentomonsignor Luigi

Bressan, riflette sullanatura e sui compiti

della Caritas, a partiredalla sua esperienza di Nunzio apostolico

(in vari paesi del sud-est asiatico,negli anni Novanta)

Gdi Luigi Bressan di Francesco Soddu

UNA FAMIGLIACHE PORTA IL REGNONELLE PERIFERIE

aritas ha il volto di tante persone impegnate ogni giorno accantoai bisognosi, da un lato per dare ascolto, accompagnamento, re-lazione fraterna, dall’altro per sensibilizzare e animare le comu-

nità locali e sollecitare le istituzioni. La sua caratteristica è anche es-sere inserita nella Chiesa: espressione vitale, non organismo separato.

La Caritas, nell’esperienza diplomatica, l’ho incontrata in varie par-ti del mondo, con nomi e volti diversi, sempre con uno stile di prossi-mità. Nei due anni trascorsi in Segreteria di Stato seguivo le relazionidi Caritas Internationalis con le istituzioni mondiali e altrettanto fa-cevo a Ginevra, all’Onu:un ruolo prezioso! Da Nunzio apostolico mi

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GLI ULTIMIIN PRIMA PAGINA

UN ANNO CON

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Chiuso in redazione il 23/1/2015

Italia Caritas

In Italia più di 450 realtà del terzo settoregestiscono proprietà sottratte alle mafie.Un centinaio di queste esperienze sonolegate alla Chiesa, con il forte contributodelle Caritas: l’illegalità cede il passo a Vangelo e CostituzioneRiprendersi

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febbraio 2015

sommario

rubriche

3 editorialidi Luigi Bressane Francesco Soddu

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

10 dall’altro mondodi Manuela De Marco

15 databasedi Walter Nanni

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia SUSSIDI DI QUARESIMA,MONTENEGRO CARDINALE

24 poster IL PANE DI OGNI GIORNO

30 zero povertydi Silvia Sinibaldi

34 mercati di guerradi Silvio Tessari

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondo SOLIDARIETÀ DOPOGLI ATTENTATI

47 generatoridi speranzaIL CARBONE E L’INGLESE,KYAW SA QUEL CHE VUOLEdi Enrica Hofer

nazionale

6 ALLEATI CONTROLA POVERTÀ,NEL 2015SCOCCA L’ORADELLA LEGGEdi Francesco Marsico

11 BENI CONFISCATI,STORIE DIUMANITÀ NUOVAdi Davide Pati

16 CARCERI:MEDIAZIONE, OLTRE I DOLORI E I RANCORIdi Alessandro Pedrotti

internazionale

26 Viaggio intorno al mondoin dieci alimenti / HAITI

MONDO AMAROSENZA MIELEdi Lorella Beretta

31 GUERRA, ALCOL,POVERTÀ: UCRAINA,PAESE DI ORFANIdi Clara Iatosti

35 GUINEA:CONVIVENZASOTTO L’ALBEROdi Michele Pasquale

anno XLVIII numero 1

IN COPERTINAVolontari potano le vignecoltivate dalla cooperativaTerre di Puglia – Libera Terra in un terreno sottratto a una cosca della Sacra corona unitafoto archivio Libera

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ticamente realizzato nella vicenda di Caino: «Maledetto siitu dalla terra che ha aperto la bocca per ricevere il sanguedi tuo fratello» (Genesi 4,11). La maledizione di Caino sirealizza per mezzo di una terra che si apre per ricevere lasemente dalla sua mano: ma lui è un un agricoltore che, in-vece di spargere il seme, ha sparso il sangue del fratello.

Ricorda Proverbi 30,14: «C’è una categoria di gente i cuidenti sono come spade e i cui molari sono come coltelli,per divorare i poveri sulla faccia della terra e i bisognosi inmezzo agli uomini». Generazioni a somiglianza di Caino,quelle che spargono sulla terra il sangue dei fratelli pertrarre nutrimento dalla violenza. Sarà precisamente questaviolenza fratricida a determinare la sterilità della terra, che«non ti darà più i suoi prodotti» (Genesi 4,12).

La vita della terra e la vita dei fratelli: affidate ambedue dalcreatore alla sua creatura come beni da custodire, affinchéla sua somiglianza trovi espressione e compimento.

Si tratta di un cibo costituito da ce-reali («erba che produce seme») e frut-ta; una tale precisazione, nell’inten-zione del racconto, non rappresentasolo l’indicazione di un menu perl’uomo. Collocato immediatamentedopo l’indicazione del dominio sulcreato e gli animali, il dono del cibovegetale indica la modalità concretacon cui questo dominio potrà realiz-zarsi: senza uccisione alcuna, cioè aribadire senza violenza. La semplicitàdel testo è solo apparente: non si trat-ta, infatti, solo di rispetto per gli ani-mali, c’è molto di più.

Non si potrà succhiareL’immagine del cibo donato rappre-senta la possibilità che l’uomo ha divivere, di nutrirsi senza spargimentodi sangue; ciò che potrà garantire lavita all’uomo non sarà una relazioneviolenta, che sopprime la vita.

Per vivere non si dovranno soppri-mere altre vite, non si potrà assimilaree succhiare un’altra vita per garantirela propria; in altre parole, non è possi-bile che la vita di un altro diventi cibo.Questo ammonimento sarà dramma-

parolaeparoledi Benedetta Rossi

io disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la no-stra somiglianza […] Dio creò l’uomo a sua immagine, a im-magine di Dio lo creò» (Genesi 1,26-27). Al lettore attento non

sfuggirà che la realizzazione del progetto di Dio risulta incompleta:la somiglianza sparisce dal racconto. Questa mancanza apre il rac-conto verso un oltre: ogni incompletezza, infatti, lungi dall’esseresegno di un’imperfezione da lamentare, è indicazione per un cam-mino da compiere e una meta da raggiungere.

Così si apre uno spazio per la missione dell’uomo: «Domini suipesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutta la ter-

DOMINIO SENZA SANGUEPER ESSERE SOMIGLIANTI A DIO

ra, e su tutti i rettili e che striscianosulla terra» (v. 26). La relazione con laterra e tutto ciò che la abita è dunqueil primo spazio in cui compiere la so-miglianza con il creatore, ma comerealizzare il mandato?

Lo sguardo rivolto all’opera di Dioindica la strada. Il racconto della crea-zione si apre con l’immagine delle for-ze di morte e del caos che erano sullaterra: «La terra era informe e deserta ele tenebre ricoprivano l’abisso» (Gene-si 1,2). Dio domina queste potenze dimorte non con la forza, né con la vio-lenza di una battaglia – come accadenei miti del Vicino Oriente –, ma attraverso una parola chesepara, distingue e divide. Con la parola creatrice Dio poneun limite al male e lo ordina verso il bene: le tenebre, adesempio, non vengono cancellate, ma messe al loro posto,definendo la loro funzione rispetto alla luce. Il dominio aimmagine di Dio attuato mediante la parola è dunque undominio mite, che non fa uso di violenza.

La relazione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda,la custodia della terra devono essere contrassegnate dallamitezza di una parola che ordina e separa, che dona si-gnificato al creato, non distruggendolo e impossessando-sene. Il dominio indicato si rivela così una vera e propriacustodia, da cui scaturisce la vita per tutti. Ecco il sensodel comando che regola il regime alimentare: «Ecco, io vido ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, eogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostrocibo» (v. 29).

Terra e fratelli: beniaffidati, da custodire.

L’uomo si riscopresimile al suo creatore

se impostauna relazione mitecon l’ambiente che

lo circonda.E soprattutto se, per

nutrirsi e prosperare,non sparge il sangue

di altri uomini

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le risorse in piccoli interventi, come ivariamente denominati bonus.

La logica del “meglio di niente”non è infatti sostenibile in termini dipolitiche pubbliche. E diviene ancorpiù paradossale in una fase di riduzio-ne della spesa: me-glio non sprecare, econcentrare le risorsesu pochi, utili e ragio-nevoli obiettivi.

La consapevolez-za che bisognerà at-tendere ancora al-meno un anno, percominciare a vedereattuata e finanziatauna misura univer-salistica, quale è ilReddito di inclusio-ne sociale (Reis),proposto dall’Allean-za contro la povertà in Italia, rete diorganizzazioni al lavoro sul tema or-mai da più di un anno, e che nel 2015intende rafforzare la sua azione a piùlivelli, per stimolare, incalzare e sup-portare l’azione dei decisori politici.

L’Alleanza è uno schieramentodavvero inedito per la storia del no-stro paese; vede insieme una ventinadi soggetti (vedi box), tra cui CaritasItaliana, che si sono dati obiettivi am-biziosi. Anzitutto, l’elaborazione diuna proposta di legge di iniziativa po-

Il Reddito di inclusione sociale richiederà,a regime, una cifra elevata. Ma questonon giustifica, intanto, la dispersione

delle risorse in piccoli interventi, comei variamente denominati bonus

ancora segnato dalla crisi economicae coronato da un ulteriore declassa-mento del debito italiano da partedelle agenzie di rating – molte e fon-date. Se si volesse combattere la po-vertà estrema con una misura uni-versale, bisognerebbe disporre e im-mobilizzare circa 7 miliardi di euroall’anno, una volta stabilizzato lostrumento (che può però avere an-che un’introduzione graduale). Unacifra elevata: ma tutto questo nongiustifica, intanto, la dispersione del-

polare, che definisca con ulteriorechiarezza – a partire dalla dettagliataproposta del Reis – in che modo poterrealizzare nel nostro paese una misu-ra universalistica di contrasto alla po-vertà assoluta, ovvero uno strumento

non solo di sostegnoal reddito, ma cardi-ne di politiche inclu-sive e sussidiarie.

Interlocuzione e radicamentoTutto questo sarà pre-liminare a un’azionedi interlocuzione conle forze politiche sultema della povertà,finalizzata all’infor-mazione, alla divul-gazione e al confron-to sul tema della po-

vertà. Sarà condotta chiamando incausa tutti gli interlocutori politici dilivello nazionale e locale: gruppi par-lamentari (capigruppo e commissionicompetenti) di Camera e Senato, pre-sidenti regionali e sindaci verrannoprogressivamente interpellati, per svi-luppare una riflessione comune e al-largata, che superi un dibattito spessoconfuso, contraddittorio e scarsa-mente argomentato sul piano delleevidenze di ricerca. Ovviamente que-sta azione è propedeutica alla richie-sta di un Documento di economia efinanza (Def) per il 2016, che inseriscala proposta del Reis nella previsione difinanza pubblica del governo.

Parallelamente l’Alleanza sta predi-sponendo l’avvio di coordinamenti re-

L’Alleanza contro la povertà in Italia è uno schieramento inedito per la storia del nostro paese. Vede insieme, quali soggetti fondatori,Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Confcooperative, Conferenza delleRegioni e delle Province autonome, Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Fio.psd, Fondazione Banco Alimentare, Forum nazionale del Terzo Settore, Jesuit Social Network, Legautono-mie, Save the Children, Umanità Nuova – Movimento dei Focolari.

Vi sono poi gli aderenti: Adiconsum, Associazione Professione in Fami-glia, Atd Quarto Mondo, Banco Farmaceutico, Cilap Eapn Italia, CsvNet –Coordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, Federa-zione Scs, Fondazione Banco delle Opere di Carità, Fondazione Ébbene,Piccola Opera della Divina Provvidenza del Don Orione e Unitalsi.

Per conoscere la proposta del Reddito di inclusione sociale (Reis):www.redditoinclusione.it

Alleanza: schieramento inedito,decine di sigle tra fondatori e aderenti

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Anche per il 2015governo e parlamentonon hanno varato unostrumento universaledi lotta alla povertàassoluta. L’Alleanzacontro la povertà varainiziative di forteimpatto per inserirenell’agenda dellapolitica il Reddito di inclusione sociale

a legge di stabilità che il par-lamento ha approvato nonaffronta come priorità, per il2015, in Italia, il tema dellalotta alla povertà. La logica

dei provvedimenti temporanei e nonuniversalistici, purtroppo, continua adominare, nel nostro paese, il pano-rama delle politiche pubbliche in am-bito sociale. In parte si tratta del re-taggio di un uso fidelizzante – abbon-dantemente praticato durante glianni della cosiddetta prima repubbli-ca, ma reso stabile nelle scelte dellaseconda – delle risorse pubbliche ri-spetto a quote di elettorato. In parte èl’esito della volontà di non assumerealcuni temi rilevanti per l’agenda delgoverno, rendendo minimo l’utilizzo

delle finanze pubbliche in questi set-tori. In questo modo la platea di in-terventi paradossalmente categorialisi è ampliata negli anni, creando unafantasiosa galleria di misure che pro-voca – a vederle allineate nel tempo –sconcerto e stupore.

Il fatto è che singole misure unatantum o categoriali non fanno poli-tiche, non orientano le scelte dei cit-tadini e, soprattutto, non modificanoil destino sociale di quanti vivonocondizioni di fragilità strutturale.

Dispersione ingiustificataLe motivazioni che il governo adduceper non aver assunto la lotta alla po-vertà assoluta come prospettiva stra-tegica sono – purtroppo, in un anno

di Francesco Marsico

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Si sta concludendo il processo di pianificazione strategica, da parte delgoverno italiano, per l’impiego dei fondi europei per il settennato 2014-2020. È stato approvato a ottobre l’Accordo di partenariato tra governoe Commissione europea, cioè lo strumento attraverso il quale ciascunostato definisce strategie, priorità e modalità di spesa. Con circa 44 miliardi di euro – di cui 22,2 alle regioni del Sud – l’Italia è il secondostato membro Ue per dotazione di bilancio, dopo la Polonia. Le risorsesono distribuite tra i quattro fondi strutturali e di investimento europei,la cooperazione territoriale europea e il programma Garanzia Giovani.Ai fondi comunitari si affianca il cofinanziamento nazionale, che per la programmazione 2014-2020 ammonta a 20 miliardi di euro.

L’obiettivo di fondo è realizzare la Strategia Europa 2020. Che indivi-dua tre macrobiettivi: crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Con il nuovo Accordo, l’Italia cerca di superare le criticità emerse nei cicli pre-cedenti, che hanno portato a notevoli ritardi nella spesa dei fondi struttu-rali. Essi saranno utilizzati in funzione antirecessiva, tra i quali anche la lotta alla povertà e l’inclusione sociale, novità della politica di coesione.In particolare le risorse del Fse (Fondo sociale europeo) e del Fesr (Fondoeuropeo di sviluppo regionale) dovranno contribuire a migliorare qualità e accessibilità dei servizi. Saranno concentrate in due ambiti: riduzionedella povertà e servizi per l’infanzia e le persone non autosufficienti. Ma sono menzionati interventi anche in altri settori, per esempio a favoredi minoranze discriminate e persone senza dimora. Poiché l’Ue è moltoattenta alla dimensione territoriale, ciascuna regione italiana è stata chia-mata a individuare un Piano di azione regionale. Spazi importanti, a livel-lo nazionale, ma soprattutto regionale, si aprono così al contributo dellasocietà civile: è previsto che anche i soggetti non profit abbiano un ruolodi interazione con le istituzioni, svolgano un’azione di indirizzo, sviluppinoprogettazioni e sperimentazioni. L’attenzione dell’Ue al tema della coesio-ne sociale dunque stimola la centralità di un impegno sussidiario.

L’attuale stagione di crisi richiede interventi che, per essere efficaci,sappiano coinvolgere interi sistemi territoriali. La strategia europea man-tiene dunque connessi il tema dello sviluppo economico e dell’occupa-zione con quello dell’inclusione. E pone al centro i valori di solidarietà e fraternità come fattore di rigenerazione sociale, in contrasto con la ten-denza persistente a concepire l’esclusione sociale come circoscritta adalcune categorie di persone e affrontabile con pratiche assistenziali.Un approccio e uno sforzo che tutti (istituzioni, organismi della societàcivile, cittadini) dobbiamo ora impegnarci a tradurre in atto. [l.s.]

Fondi europei anti-esclusione,proviamo a utilizzarli al meglio

ne, va non solo richiesta una sua limi-tazione, ma vanno operate scelte di di-stanziamento da certe pratiche, supe-rando ogni comportamento adattivo oopportunistico.

Il dramma della crisi – che accentuala questione del reperimento delle ri-sorse – pone un’ulteriore questione: sela sussidiarietà è stata interpretata inquesta anni come esternalizzazionedella gestione di servizi, invece che co-me coinvolgimento dei soggetti socialinella elaborazione di politiche territo-riali, va segnalata una grave debolezzadella cooperazione sociale in Italia.

I dati Istat relativi al Censimento delterzo settore indicavano nel 2014 –non soltanto per il settore cooperativo– che “le entrate da contratti e conven-zioni con istituzioni ed enti pubblicinazionali e internazionali costituisco-no più del 50% delle entrate totali nellasanità (65,5%) e nell’assistenza sociale(52,4%)”. Il dato aggregato probabil-mente sottostima il dato della coope-razione, ma ci dà la misura di una pe-ricolosa tendenza: questo settore è ec-cessivamente esposto alle dinamichedi contrattazione con i decisori pub-blici locali – sia politici che ammini-strativi –, e ciò ne riduce forzosamentel’autonomia.

Consorziarsi non bastaLa logica delle aggregazioni consortilinon riduce il problema: il mero au-mento dell’ampiezza dei soggetti, senon è affiancato da un’effettiva capa-cità di costruire progetti di impresa di-versificati, capaci di stare nel mercatocon attività economiche non sottopo-ste al finanziamento pubblico, nongarantisce autonomia né futuro. In re-altà, il vero nodo è nella capacità di ri-dare senso ai valori fondativi dellacooperazione, dentro dinamiche dieffettivo sviluppo locale: e il territorionon è riducibile al comune o alla Asl.

Il territorio è una comunità di per-

sone: è bisogni, opportunità, risorselocali, capitale sociale. O la coopera-zione riparte da lì, rigenerandosi, osarà uno dei tanti competitori dellerisorse, pubbliche o private che sia-no, senza una strategia, senza unprogetto. Certo, tutto questo non èun comportamento criminale, ma ri-definisce progressivamente la gerar-chia dei valori di riferimento, ristrut-tura profondamente le priorità pro-gettuali e i comportamenti. Fino acondurre ad augurarsi non di co-struire un mondo migliore, ma a li-mitarsi a gestire gli “scarti” del peg-giore possibile. [f.m.]

SOLIDALI DI FACCIATAPessime condizioni di vita

in un campo romalla periferia di Roma.

Anche sugli appalti relativialla gestione di questi campi

puntavano le cooperativesociali coinvolte nello

scandalo Mafia Capitale

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nazionale verso il reis

gionali e locali, che – sulla base delleadesioni nazionali – sviluppino noditerritoriali che agiscano non solo sulpiano della diffusione della proposta edella raccolta di firme rispetto alla pro-posta di legge di iniziativa popolare,ma anche per effettuare il monitorag-gio delle poche misure anti-povertàpreviste dalla legge di stabilità 2015 (inparticolare, nelle regioni meridionali,la sperimentazione Sia – Nuova socialcard, che dovrebbe essere avviata neiprimi mesi del 2015, insieme al nuovoIsee). Accanto a queste azioni, sarannoprogrammati momenti pubblici e ver-

Democraticità, coinvolgimento dei soci,partecipazione: i valori della cooperazionevanno non solo declamati come jingle

da convegno o campagna di marketing,ma professati come prassi quotidiana

periamo che il 2013 sia un an-no pieno di monnezza, profu-ghi, immigrati, sfollati, minori,piovoso così cresce l’erba datagliare e magari con qualche

bufera di neve: evviva la cooperazionesociale». Cominciamo da qui. Non ser-ve evocare Zygmunt Baumann o papaFrancesco e la loro denuncia della“cultura dello scarto”: ci basta volarepiù basso, per avvertire un profondosenso di straniamento, di fronte a unacomunicazione di tale tenore, che ildirigente di una cooperativa sociale hainviato ai suoi collaboratori.

La teoria della mela marcia in que-sti casi non funziona. Questo sempli-ce messaggio sms, intercettato dagliinquirenti romani nel quadro delle in-dagini su Mafia Capitale, parla quan-tomeno di una acquiescente condivi-sione di un certo stile. Certo, il caso ro-mano è anche un episodio grave dicriminalità. Ma ciò che più colpisce èche non solo la politica e l’ammini-strazione pubblica siano state così

permeabili alle lusinghe del denaro,ma che il mondo della cooperazionesociale sia stato spettatore muto o,peggio, veicolo significativo di questavicenda. Peraltro non pezzi isolati esommersi di cooperazione, ma realtàaffiliate a una delle principali reti na-zionali, e che godevano di una signifi-cativa rispettabilità.

Esternalizzare, coinvolgereSe la politica deve essere la primachiamata a rispondere di tutto que-sto, per le inevitabili responsabilitàistituzionali, non sembra ancora ade-guata la reazione di chi ha ruoli signi-ficativi nel contesto cooperativo, chedismetta una ormai non più sosteni-bile retorica di alternatività positivaall’interno del mondo economico.

La cooperazione sociale è stata, nelnostro paese, in questi ultimi decen-ni, portatrice di una nuova culturaeconomica. Ma da ora in poi potrà es-serlo solo ad alcune condizioni. Unadelle prime riguarda l’assunzione

«SLo scandalo Mafia Capitale svela crimini e connivenze. Controlli,valori, risorse: la cooperazione sociale deve interrogarsi. E riformarsi

dell’onere, che le principali reti nazio-nali devono assumersi, di costruiremeccanismi di controllo sugli affiliati,tali da essere effettivo deterrente con-tro i comportamenti devianti. E, dipiù, siano in grado di garantire un’ef-fettiva promozione di innovazionesociale e di atteggiamenti virtuosi: al-trimenti diventerebbero un alibi perle singole realtà associate.

D’altro canto, i valori della coopera-zione devono essere non solo declama-ti come jingle da convegno o campa-gna di marketing, ma professati comeprassi quotidiana. Democraticità, coin-volgimento dei soci, partecipazione: osono strumenti di effettiva governanceinterna e – in questo senso – forme dicontrollo diffuso e partecipato, o cor-rompono gravemente l’esperienza diquanti, soprattutto i più giovani, incon-trano un mondo della cooperazioneche tradisce l’ispirazione che rivendica.

Vi è altresì la questione morale, chel’aggiudicazione emergenziale delle ri-sorse pone: su questo si deve svilup-pare una trasparente, credibile e inci-siva battaglia con le amministrazioni,senza ricerca di alibi: se l’assegnazionedi ingenti fondi, motivata da emergen-ze che in Italia non mancano mai, èuna delle più potenti leve di corruzio-

rà rafforzato il sito dell’Alleanza, cheospita ora i materiali della propostanella versione sintetica.

Insomma un grande schieramentodi soggetti, i cui iscritti, aderenti e so-stenitori sono milioni di cittadini ita-liani, si muove in maniera coordinatanon per la difesa di interessi diretti,ma per costruire un diritto effettivo –già consolidato, nei paesi dell’Unioneeuropea –, essenziale per tutti gli ita-liani e vitale per chi, oggi, sperimentauna dura condizione di deprivazioneed esclusione: essere davvero cittadi-no, nonostante la povertà.

Cooperazione acquiescente?Criteri per rigenerarsi e ripartire

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a legislazione italiana ormaidal 1982 considera la confi-sca dei beni alla criminalitàorganizzata, e dal 1996 il lororiutilizzo per finalità sociali,

come un’opportunità di sviluppo co-munitario: possono generare occupa-zione, inclusione sociale, migliora-mento della qualità della vita e parte-cipazione democratica.

La nostra legislazione viene presa amodello in Europa, come ha evidenzia-to la Commissione europea nel 2013,quando ha detto che «la confisca deibeni viene inclusa tra le iniziative stra-tegiche nell’ambito di un’iniziativa po-litica più ampia, destinata a tutelarel’economia lecita da infiltrazioni crimi-nali, contribuendo alla crescita e all’oc-cupazione in Europa». Allo stesso tem-po, una direttiva europea approvata nel2014 ha invitato gli stati membri «a va-lutare se adottare misure che permet-tano di utilizzare i beni confiscati perscopi di interesse pubblico o sociale».

Slancio all’economiaÈ un riconoscimento importante per

l’esperienza italiana di contrasto pa-trimoniale alle mafie. Oggi, però, è ne-cessario rafforzare l’intervento dellepolitiche di coesione europea e l’uti-lizzo dei fondi strutturali della pro-grammazione 2014-2020 da parte del-le amministrazioni statali e regionali,nonchè approvare con urgenza le mo-difiche legislative già presentate inparlamento, al fine di superare le cri-ticità esistenti nell’impiego dei beniconfiscati e di sostenere i percorsi vir-tuosi di welfare e di buona economia.

Una recente indagine conoscitivadell’associazione Libera ha appuratoche in Italia sono più di 450 le asso-ciazioni, le cooperative sociali e le re-altà del terzo settore che gestisconobeni confiscati per finalità educative,di formazione, di accoglienza, di ser-vizi alla persona e di reinserimentolavorativo; essi ospitano progetti dicontrasto al disagio sociale e al-l’emarginazione, di integrazione dellapopolazione immigrata, di sostegnoa minori, famiglie svantaggiate, per-sone emarginate. Queste esperienzedanno nuovo slancio a un’economia

di Davide Pati presidenza nazionale di Libera

Indagine di Libera: in Italia più 450 realtàdel terzo settoregestiscono proprietàsottratte alle mafie. Un centinaio di questeesperienze sonolegate alla Chiesa, con il forte contributodelle Caritas:l’illegalità cede il passo al Vangelo e alla Costituzione

Lstorie di umanità nuovaconfiscati,

Beni

nazionale lotta alle mafie

I FIORIDELLA LEGALITÀUn giovane volontarioal lavoro a Cirò Marina(provincia di Crotone)in un terrenosottratto a una coscadella ’ndrangheta

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di prodotti contraffatti, coltivazione espaccio di droga, e addirittura, seppu-re con frequenza ben minore, rimo-zione di organi e matrimoni forzati.

Se nel complesso la consistenzareale del fenomeno resta sostanzial-mente sconosciuta, l’esperienza neiterritori e tra gli operatori dei centridi accoglienza evidenzia come spes-so, nel percorso dei richiedenti asilo,ci siano situazioni identificabili cometratta e, al contrario, in quello dellevittime di tratta condizioni che pos-sono essere equiparabili a quelle deirichiedenti asilo.

In effetti, una domanda di protezione internazionalepresentata da una vittima di tratta può derivare da circo-stanze diverse: la persona potrebbe essere stata trafficataa scopo di sfruttamento e aver chiesto protezione allo sta-to in cui si trova in quel momento; potrebbe essere fug-gita all’estero a seguito di un’esperienza di tratta interna;potrebbe non essere stata coinvolta nel trafficking ma te-mere concretamente di esserlo e quindi lasciare il propriopaese in cerca di protezione. O ancora, potrebbe rischiaredi subire un danno grave (discriminazioni, ritorsioni, iso-lamento, ecc.) o di essere ri-trafficata nel caso in cui rien-trasse nel paese di origine.

Da trasformare in prassiIn Italia il sistema di protezione per richiedenti o titolaridi protezione internazionale e il sistema di protezioneper vittime di tratta – l’uno coordinato a livello centrale,

zione tra i vari attori chiave nel processo di identificazio-ne, coinvolgendo sia le ong specializzate che altre agenziedel settore nell’individuazione dei bisogni e dei percorsipiù consoni di integrazione.

Ne consegue l’esigenza di ampliare le competenzemultidisciplinari di quanti (forze di polizia, operatori so-ciali, magistratura, funzionari dell’immigrazione, perso-nale sanitario e dei centri per l’impiego, ecc.) operanocon le vittime di tratta e i richiedenti protezione interna-zionale, di standardizzare criteri di valutazione oggettivisoprattutto nello svolgimento dell’intervista e di armo-nizzare meccanismi di coordinamento all’interno delleCommissioni preposte alla valutazione dei casi. Ma so-prattutto, c’è bisogno di rafforzare i dispositivi di tuteladelle vittime di tratta, cercando di dotare l’Italia di mec-canismi efficaci di monitoraggio e di valutazione degliinterventi.

ASILO E TRATTA,SISTEMI DA COORDINARE

dall’altromondodi Manuela De Marco

l’altro di valenza territoriale e conforme di presa in carico diretta – co-stituiscono strutturalmente due cir-cuiti separati e paralleli. Tuttavia, dipari passo con la diffusione di unamaggiore consapevolezza del feno-meno tra gli operatori del settore,iniziano a crearsi proficui momentidi sovrapposizione e coordinamen-to, che sarebbe auspicabile trasfor-mare in prassi. Difatti, anche se l’ob-bligo di collegamento tra rispettiveamministrazioni competenti è statoistituito solo recentemente, con ildecreto legislativo 24/2014, è docu-mentato che la protezione interna-zionale è stata riconosciuta a vittimedi tratta in più occasioni.

Rafforzare le tutelePertanto, la necessità di un set for-malizzato di indicatori e prassi pro-cedurali, dotato però di un certo gra-do di flessibilità, è fortemente sentitatra gli operatori del settore italiani,insieme all’attuazione di un sistema-tico programma di formazione. Oc-corre inoltre rafforzare la valutazionedei casi e intensificare la collabora-

I n Italia la correlazione e l’interdipendenza tra protezione inter-nazionale e tratta di esseri umani nell’ambito dei flussi migra-tori irregolari appare sempre più forte, sebbene la letteratura

sull’argomento risulti scarsa e non siano disponibili dati quantitativi.Il fenomeno della tratta di esseri umani, in costante evoluzione,comprende attualmente modalità di azione, tipologie di vittime eforme di sfruttamento sempre più diversificate e complesse. Accantoai modelli per così dire “tradizionali” di sfruttamento, stanno infattisorgendo nuove forme di tratta, finalizzate a una vasta gamma di at-tività illegali coercitive: furto, borseggio, accattonaggio, vendita

Sovente, nel percorso dei richiedenti asilo, ci sono esperienzeidentificabili cometratta. E, viceversa, le vittime di tratta

presentano esigenzeequiparabili a quelle dei

richiedenti asilo. I duefenomeni non possono

più essere affrontatitramite circuiti separati

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na, grosso centro della Piana di GioiaTauro, feudo della famiglia dei Piro-malli e dei loro potenti alleati. Proprio

a Polistena, al numero 43/53 di viaCatena, al centro di un quartiere po-polare, recentemente è stato tagliato

Don Moreno Locatelli, 46 anni, è direttore della Caritas diocesana di Vigevano, cittadina lombarda che negli anni Ottanta è stata teatro di diversi omicidi e intimidazioni da parte della cosca Valle-Lampada.Lo stesso don Moreno ricorda la figura di Maria Grazia Trotti, gioiellierae vittima dell’usura mafiosa, che con coraggio, nel 1992, permise l’arre-sto di diversi esponenti del clan. Negli anni Novanta si è dato inizio alla confisca di gran parte dei beni della famiglia mafiosa dominante;attualmente, a Vigevano i beni confiscati alle mafie sono 11.

Una di queste proprietà è affidata alla Caritas diocesana: in viale Artigia-nato 35 il bar Giada, confiscato a Francesco Valle nel 1995, venivautilizzato dal clan per incontrarecollaboratori e vittime. Oggi ospitaCasa Josef, un centro di prima e seconda accoglienza. Un’altra, in via Oroboni 32, era la villa pa-dronale del boss, su due piani, perun totale di 2.231 metri quadrati:oggi servizi sociali ed educativipromossi dal comune di Vigevano.

Don Moreno, fedeli e cittadini comprendono il valore di un benemafioso confiscato, che crea valore per la comunità?

Il percorso che dal sequestro porta alla destinazione dei beni deve fon-darsi su due pilastri fondamentali: trasparenza e partecipazione. Abbia-mo la fortuna di avere sul territorio un presidio di Libera, con il quale si è creata una buona sinergia e negli ultimi anni è stato organizzato un campo estivo Libera-Caritas, durante il quale persone (in prevalenzagiovani) provenienti da tutta Italia scelgono di fare un’esperienza di volontariato e di formazione civile sui terreni confiscati alle mafie.Segno, questo, di una volontà diffusa di tradurre l’impegno antimafia in un’azione concreta di responsabilità e condivisione.

Quanta fatica si fa a portare avanti progetti di recupero per i beniconfiscati alle mafie?

Prima che un bene sia riqualificato e valorizzato possono passare an-che diversi anni. Per snellire le procedure, nel 2010 si decise di istituirel’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità,affidandole il compito di censire i beni, amministrarli, custodirli e poidestinarli. Oggi, a distanza di quattro anni, si pensa a una riforma del-l’Agenzia, considerando che i problemi sono rimasti immutati, sia pergli immobili, sia per le aziende sottoposte a confisca... Sappiamo che vi sono liquidità “mafiose” rimaste troppo a lungo bloccate nel Fondounico giustizia: perché non utilizzarle e garantire l’accesso al credito per l’avvio di cooperative e imprese giovanili? [d.p.]

VIGEVANO«Usare le liquidità mafioseper creare credito e lavoro»

La ’ndrangheta non ha nulla di cristiano,anzi è un’offesa esplicita alla religionecristiana. Bisogna chiedere perdono

per le connivenze di pochi, e i silenzi omertosidel passato: parola di vescovi calabresi

Beni confiscati in Italia allacriminalità organizzata (*)

Distribuzione geografica dei beni confiscati (*)

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1.707

12.944

11.237IMMOBILI

TOTALE BENI

AZIENDE

CAMPANIA14.82%

PUGLIA8,70%

CALABRIA13,99%

ALTREREGIONI19,89%

SICILIA42,61%

* Dati aggiornati all’inizio di gennaio 2013

il nastro tricolore: taglio di inaugura-zione, ma soprattutto taglio col vio-lento e illegale passato. Beni confisca-ti alle famiglie mafiose del territoriosono tornati alla comunità locale.

Il palazzo dei Versace, cinque pianiche appartenevano alla più potentefamiglia della ’ndrangheta locale, èdiventato un avamposto di legalità.

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spesso turbata dalla presenza mafio-sa e una risposta concreta alla do-manda di legalità che la cittadinanzapone, creando reti virtuose e dimo-strando che la legalità conviene.

Molte di queste buone pratiche,circa cento, sono legate alla Chiesaitaliana. Gesti concreti del progettoPolicoro, opere segno di Caritas, dio-cesi, parrocchie, gruppi scout, coo-perative e associazioni. Sono storieche meritano di essere fatte conosce-re a tutti, anche lungo il cammino dipreparazione al Convegno ecclesialenazionale di Firenze.

Il percorso “Libera il bene. Dal beneconfiscato al bene comune”, promos-so dall’associazione Libera in collabo-razione con l’Ufficio nazionale per iproblemi sociali e il lavoro della Cei, ilServizio nazionale di pastorale giova-nile e Caritas italiana, giunto oramaialla terza annualità, vuole rivolgerel’attenzione all’impegno di cittadini egiovani del nostro paese, ispirandosi aiprincipi della nota pastorale Educarealla legalità del 1991 e del documentoPer un paese solidale. Chiesa italiana eMezzogiorno del 2010.

Verso il bene comuneNell’ambito di questo percorso, Libe-ra ha curato una pubblicazione intito-lata Dal bene confiscato al bene comu-ne. Chiesa italiana e storie riuscite dinuovo umanesimo, con l’obiettivo di

dare voce alle circa cento buone pra-tiche che coinvolgono beni confiscatie contribuiscono a renderli parte atti-va del cambiamento del territorio.

Numerose Caritas diocesane e par-rocchiali sono impegnate in manieradiretta o indiretta nella gestione di be-ni confiscati alle mafie: accade in Ca-labria, Campania, Lazio, Lombardia,Piemonte, Puglia e Sicilia. In tantediocesi, inoltre, sono stati organizzatipercorsi e iniziative di animazione so-ciale e di educazione alla legalità, dimappatura, monitoraggio e progetta-zione per il riutilizzo sociale dei beniconfiscati, oltre a campi di volontaria-

nazionale lotta alle mafie

to e scuole estive “Già – Giovani, im-prenditoria e innovazione”.

Queste iniziative coinvolgono ve-scovi, sacerdoti, religiosi e religiose,laici e tanti giovani che testimonianocome le varie forme di illegalità, dicorruzione e di mafie sono incompa-tibili con il Vangelo e la Costituzioneitaliana. E come l’azione pastorale –l’ha ricordato papa Francesco nella vi-sita a Caserta del 26 luglio 2014 – deveinvitare tutti «a non cedere, ad avere ilcoraggio di dire no al male, alla violen-za, alle sopraffazioni, per vivere unavita al servizio degli altri e in favoredella legalità e del bene comune».

a ’ndrangheta «non ha nulladi cristiano», è anzi una «of-fesa esplicita alla religionecristiana». Parola di vescovidella Calabria, nella nota

pastorale – che porta la data del 25dicembre ma è stata diffusa a iniziogennaio – intitolata Testimoniare laverità del Vangelo. La Conferenza epi-

scopale calabra marca il confine ri-spetto alla pervasività delle coschenella società e nella religiosità. E ri-badisce principi che troveranno ap-plicazione concreta in un imminentedirettorio sugli aspetti della celebra-zione dei sacramenti e sulle feste po-polari. Il testo dei vescovi chiede an-che «perdono» per le «irresponsabili

LI vescovi calabresi ribadiscono che la ’ndrangheta è “anti-religione”. E a Polistena un parroco cambia destinazione a Palazzo Versace…di Daniela Palumbo

connivenze di pochi, nonché silenziomertosi» che si sono registrati inpassato. Ma conferma l’impegno del-la Chiesa, al fianco dello Stato, nellalotta alla criminalità.

Di questo impegno, teso a dimo-strare con i fatti che la ’ndrangheta è“l’anti-religione”, è testimone donPeppino De Masi, parroco di Poliste-

«A dare fastidio ai mafiosi è il fattodi non essere più ritenuti padroni»

DA VERCELLI A PALERMO,TANTE CARITAS GESTISCONOTante le Caritas che gestiscono beni confiscati alle mafie per finalità sociali. Tra esse, le Caritas delle parrocchie Maria SS. del Rosario di Cittanova(Reggio Calabria), S. Giuseppe a Villa di Briano(Caserta) e Ostia (Roma), le Caritas diocesane di Vigevano, Vercelli, Velletri, Conversano-Monopoli,Andria (che ha promosso la cooperativa Sant’Agostino), Oppido-Palmi, Lamezia Terme (con la Comunità Progetto Sud) e Catania, in diocesi di Milano le Caritas di Assago e Ballabio (Lecco)e la cooperativa sociale L’Arcobaleno a Galbiate(Lecco), infine il Centro di educazione ambientale San Francesco, gestito anche dalla Caritas di Altavilla Milicia (Palermo).

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DIETRO LE SBARRESI ANNIDA IL MALE DI VIVERE

nelle carceri italiane è drammatica:soffre di disturbi psicotici l’1-9% deidetenuti, di depressione il 10-15%, didisturbi di personalità il 35-45%. Ilproblema riguarda l’intera penisola:ad esempio nella sola Lombardia, su8.650 detenuti ben 911 (il 10,56%)sono affetti da disturbi psichiatrici. Sitratta della patologia più diffusa nellecarceri, insieme all’uso di sostanze.

Sempre sul fronte del suicidio, gliistituti penitenziari del nostro paesedetengono il secondo risultato peg-giore di tutta Europa. Secondo gli ul-timi dati comparativi disponibili, dif-fusi da un rapporto del Consiglio d’Europa (aprile 2014),nel 2011 nelle carceri italiane si erano suicidati 63 dete-nuti, numero superato soltanto dalla Francia, dove sierano tolte la vita 100 persone. Il rapporto considera an-che il numero complessivo di morti dietro le sbarre: inquesto caso in cima alla lista c’è l’Ucraina, dove nel 2011sono morte 1.009 persone, mentre in Italia i decedutisono stati 165. Le cause di decesso non sono esplicitate,ma nessuno è stato vittima di omicidio.

Psichiatri giovani, l’altra fallaNonostante questi numeri, non è ancora disponibile uncensimento vero e proprio di soggetti con problemi psi-chiatrici nelle carceri, e questo crea problemi ai fini dellapianificazione dell’assistenza. Lo screening del rischiosuicidio deve essere fatto appena la persona entra in car-cere, così da prevenire l’episodio e poter seguire il per-

Tornando ai numeri forniti dal Consiglio d’Europa,l’Italia può però vantare il minor numero di evasionid’Europa. Per quanto riguarda le fughe durante i traspor-ti verso il tribunale o direttamente dal carcere, in totalein Italia nel 2011 sono riusciti a scappare 5 detenuti. Ilprimato per numero di evasioni spetta alla Svizzera (33),seguita da Austria (30), Francia (29), Belgio (28), Turchiae Scozia (entrambe con 24 evasioni).

Dal rapporto 2012 sulle carceri del Consiglio d’Euro-pa, risulta però che la maggior parte dei detenuti fuggedurante i permessi d’uscita o quando si trova in regimedi semi libertà. Nonostante i diffusi pregiudizi sull’effi-cacia delle misure alternative al carcere, le persone fug-gite in Italia in queste circostanze sono state molto po-che: solamente 148 nel 2011. Numero molto distante daquelli riportati per la Spagna (1.510), la Francia (888) oil Belgio (702).

corso detentivo con l’assistenza ade-guata di specialisti. L’altra falla nelnostro sistema carcerario, hanno de-nunciato gli psichiatri, è che nellecarceri lavorano di solito giovani psi-chiatri, mentre sarebbero necessarispecialisti con percorsi professionaliconsolidati e specifici.

Fuggono in pochiOltre il suicidio, l’Italia detiene un re-cord negativo anche per quanto ri-guarda il sovraffollamento degli isti-tuti penitenziari. Ogni 100 posti di-sponibili, ci sono 145,4 detenuti.Peggio fa soltanto la Serbia. Il feno-meno si è in parte ridotto dopo l’en-trata in vigore del decreto “svuota-carceri” (convertito in legge il 21 feb-braio 2014): l’Italia è passata dalle 70mila persone presenti in carcere a54 mila. Resta comunque elevatal’emergenza igienico-sanitaria: il ri-schio di infezioni, dietro le sbarre, re-sta alto; secondo i dati della Societàitaliana di medicina e sanità peni-tenziaria (novembre 2014) 1 detenu-to su 3 ha l’epatite C, mentre 1 su 2l’epatite B.

N ei primi mesi del 2014 sono tornati ad aumentare i casi di chiha deciso di togliersi la vita nelle carceri italiane: il 40% deidecessi avvenuti dietro le sbarre è rappresentato da suicidi.

Il dato è tornato a crescere dopo una leggera flessione registrata nel2013, quando i detenuti che si suicidarono furono il 30%. L’istan-tanea è scattata dalla Società italiana di psichiatria, che riporta unaltro dato emblematico della grave condizione in cui si vive negliistituti di pena: sono circa 10 mila le persone che soffrono di unapatologia psichiatrica, su un totale di 64 mila detenuti (circa il16%). Per quanto riguarda i disturbi psichici gravi, la situazione

Torna ad aumentare la percentuale di suicidi

sul numero di decessiregistrati nelle carceriitaliane. Tra i detenuti,molto numerosi i casi di disturbi psichiatrici.

Eppure mancaun’analisi dettagliata

del fenomeno,per elaborare risposte

adeguate

databasedi Walter Nanni

che diventa bene pubblico?Risiede nello sviluppo che parte dalterritorio. Che produce occupazionee servizi, vivibilità, lotta al disagio, fa-vorendo la costruzione di un tessutosociale attivo, vero deterrente controil potere mafioso. Inoltre produce ef-fetti negativi sul consenso di cui godo-no i mafiosi e che, in molti casi, conti-nua a esercitare un forte potere di at-

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Nella città pugliese di Andria ci sono 21 beni confiscati alle organizzazioni malavito-se locali, ma solo 6 sono stati “assegnati”. Una di queste ospita il centro Zenith, ser-vizio ricreativo per persone diversamente abili, un’altra Casa Santa Croce, affidataall’associazione Migrantes. Interessante è il terreno di Contrada Scinati: è stato affi-dato a Libera di Mesagne, che a sua volta lo ha concesso in comodato d'uso allacooperativa Sant’Agostino, insieme alla quale la Caritas diocesana, diretta da donDomenico Francavilla, sta avviando il progetto Green Life, che prevede la coltivazio-ne del terreno e la distribuzione a chilometri zero dei prodotti agricoli.

Don Domenico, quali sono i problemi che incontrate con i beni confiscati? Essenzialmente due. Anzitutto i tempi che intercorrono dalla confisca del beneall’assegnazione dello stesso al comune di appartenenza: ci sono stati tempi di attesa anche di 15 anni! Nel frattempo, il bene spesso continua a essere gesti-to dalla malavita organizzata, tramite vari prestanome. Il secondo problema è la mancanza di una vera sensibilizzazione della politica su questo fronte: ad esem-pio noi stiamo sollecitando da quasi un anno e mezzo le forze politiche in meritoall’assegnazione degli altri 15 beni in possesso del comune di Andria, ma dopovari incontri e riunioni il bando non è stato ancora pubblicato. E nel frattempo terreni e immobili restano incustoditi e non si creano opportunità di lavoro.

Come si potrebbe garantire un uso appropriato dei beni confiscati alle mafie?Un’idea potrebbe essere affidare temporaneamente questi beni, fino alla confi-sca definitiva, non a curatori ma a enti già riconosciuti, che possano garantire la legalità e una giusta amministrazione delle ricchezze sottratte alla mafia, penso a Libera Terra e alla stessa Caritas Italiana. [d.p.]

ANDRIA«Riduciamo i tempi lunghitra confisca e assegnazione»

«È stato assegnato alla parrocchia diSanta Marina Vergine, la chiesa di cuisono parroco – spiega don Peppino,che fa parte di Libera Terra –. Al pianoterreno un tempo c’era il Bar 2001.Poi era diventato “Au petit bijou”, unsuono delicato per un ambiente dovesi punivano, in uno scantinato, coloroche si opponevano al racket delleestorsioni; luogo di incontri e di affariper i mafiosi e i loro alleati, ma pur-troppo anche di tanti giovani, l’unicooltre alla strada. Proprio per questo alpianterreno e al primo piano si è de-ciso di realizzare un centro di aggre-gazione giovanile sociale. Al secondopiano, l’ambulatorio di Emergencyaccoglie per cure sanitarie i numerosimigranti di Rosarno e dintorni, men-tre a breve apriranno i battenti labo-ratori per la formazione professiona-le, la “Bottega dei sapori e dei saperidella legalità” e l’ostello per i giovani.Il cammino è lungo. Ma noi siamo

convinti che il quartiere cambierà. Esi avvicinerà sempre più a questa casacomune».

Qual è il valore simbolico e cultu-rale del bene confiscato alle mafie

nazionale lotta alle mafie

ENTI E GENERAZIONIGiovani e anziani, associazioni e istituzioni:l’alleanza tra i vari soggetti del territorioassicura un buon uso dei beni confiscati

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trazione. La cosa che dàmaggiore fastidio ai mafiosiè proprio il non essere con-siderati più “padroni” delterritorio.

L’utilizzo sociale dei beniconfiscati in che modosta cambiando la menta-lità delle persone?

Tra Vangelo e mafie non c’èpossibilità alcuna di con-vergenza: promuovere la le-galità e la giustizia sociale,per il credente e per noi sa-cerdoti e operatori pastora-li, significa vivere evangeli-camente. Spendersi per to-gliere terreno alla malavita,utilizzando anche i beniconfiscati, fa parte dell'im-pegno quotidiano del cre-dente in Cristo. Io ho pun-tato soprattutto sui giovani,aiutandoli a diventare pro-tagonisti del cambiamento,in nome del Vangelo di Ge-sù Cristo e della Costituzio-ne italiana. I più grandi diloro ripetono spesso chesono stati cresciuti con ilVangelo e con vitamina L (=legalità)...

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dei crimini commessi da entrambe leparti durante il regime, richiedere econcedere – se possibile – il perdonoper azioni svolte durante l’apartheid,per superarlo non solo per legge, maper riconciliare realmente vittime ecarnefici, oppressori ed oppressi.”

Il ruolo delle donneL’esperienza collettiva della Truthand Reconciliation Commission hapermesso a un intero paese di cerca-re la via per la verità, senza rimanereancorati alla vendicatività, riuscendocosì a superare un conflitto che sem-brava insanabile. Il contesto cultura-le in cui viviamo oggi in Italia, sebbe-ne non segnato da una vicenda sto-rica tanto grave e drammatica, nonci fa ben sperare, rispetto alla discus-sione, che pure sarebbe auspicabile,anche in relazione ai mali di cui sof-fre il nostro sistema carcerario, sul-l’introduzione di un nuovo modellodi giustizia. Pare esserci poco spazio,per ragionare di un modello che pos-sa rendere maggiormente partecipile vittime dei reati, e possa nello stes-so momento permettere un lavoro diresponsabilizzazione agli autori diquei reati stessi.

Nonostante le difficoltà culturali emediatiche, alcuni passi in questa di-rezione vengono in ogni caso quoti-dianamente compiuti. Nei mesi scor-

come se solo lo stato o la vendicativitàpotessero ricucire una ferita aperta emai suturata. Nelson Mandela, il sim-bolo vivente delle vittime e delle feritedi quel paese, riuscì nel difficilissimocompito di convogliare tutto quel do-lore e tutta quella rabbia, covati peranni, in un “processo di conciliazionecollettiva”: nel 1995 in Sudafrica ven-ne infatti istituita la Truth and Recon-ciliation Commission, un tribunale “ilcui scopo fu raccogliere la testimo-nianza delle vittime e dei perpetratori

Pare esserci poco spazio, per un modelloche possa rendere più partecipi le vittimedei reati, e nello stesso momento permetta

un autentico lavoro di responsabilizzazionea chi ha compiuto quegli stessi reati

si a Genova si è svolto il decimo Con-gresso mondiale della mediazione. Inquella sede, così come anche durantealcuni workshop precongressuali, sisono potuti conoscere e apprezzarealcuni modelli di giustizia riparativa,in particolare il modello messicano,molto applicato negli istituti peni-tenziari del paese latinoamericano.

Ma da cosa muove l’esigenza diuna giustizia ripartiva e conciliativa?Perché applicare modelli di mediazio-ne? Per rispondere a domande simili,vengono in aiuto soprattutto alcuneesperienze di donne. Le donne che af-frontano il dolore, la rabbia, la vogliadi vendetta. E riescono a superareenormi difficoltà, riuscendo a cogliereun senso nel non senso del dolore, nelnon senso dell’essere vittime. Espe-rienze e testimonianze che avvicina-no a modelli di giustizia conciliativacominciano a farsi strada, sia pure afatica e tra mille resistenze, nella men-talità comune e nella prassi della giu-stizia italiana. Un esempio viene dallastoria di Claudia Fracardi e Irene Sisi(vedi box in queste pagine). Altra trac-cia è contenuta nelle parole di AgneseMoro, figlia del leader ucciso dalle Bri-gate Rosse, che in un’intervista al gior-nale A scuola di libertà, realizzato a so-stegno dell’omonimo progetto (vedibox) ha dichiarato: «Quando è statoucciso mio padre io avevo 25 anni eadesso ne ho 61. (…) Un pezzo di meè fermo tra il 16 marzo e il 9 maggio1978. È come se fossi attaccata a unelastico, vado avanti, vado avanti manon so mai se quell’elastico mi ripor-terà indietro. E comunque io non mi

A SCUOLA DI LIBERTÀA destra, un incontro del progetto

promosso dalla Conferenza nazionalevolontariato giustizia per le scuole

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n bambino viene rapito esuccessivamente trovato uc-ciso in campagna. La giova-ne mamma viene ripresa datutti i media che ne eviden-

ziano lo strazio. Dopo alcuni giorni diindagine, la giovane mamma vienearrestata. I media riportano alcuniparticolari dell’arresto: «Ad attenderlaanche un centinaio di persone chehanno inveito contro di lei e urlato“Assassina, assassina!”».

In una società così incattivita, dovenon esiste spazio né di comprensionené di pietà per una madre che è accu-sata di aver ucciso suo figlio, esisteancora e davvero la possibilità di par-lare di giustizia conciliativa e ripara-tiva? Alle volte, per fare un passo

avanti si deve compierne uno indie-tro, che consente di cambiare pro-spettiva nell’inquadramento di unproblema. In Sudafrica, alla fine delregime dell’apartheid, erano in po-chissimi a pensare che si potesserosuperare decenni di torture e soprusi.Le vie che si prospettavano erano ap-parentemente solo due: un bagno disangue, per vendicare quanto subito,o tribunali con punizioni esemplariper le persone che avevano perpetra-to quelle torture. In entrambi i casi,nessuna comprensione, né per chiaveva subito torture e angherie (chenon avrebbe potuto godere di unascolto partecipe, finalizzato alla co-struzione di una memoria storicacondivisa), né per chi le aveva inflitte,

U

nazionale carcere

oltre i dolori e i rancoriMediazione,di Alessandro Pedrotti

C’è un mododi fare giustiziache cerca di superarela concezione punitivadella pena. Rieducare,facendo dialogareautori di reatie vittime, in vistadella riconciliazione:esempi internazionali,esperienze in Italia.Che una legge recentepuò rafforzare

contrappuntodi Domenico Rosati

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SOCIETÀ SFILACCIATA, DOV’ÈL’ANIMA DEI CORPI INTERMEDI?

strati sociali escono per forza propriadall’analfabetismo e dall’asservi-mento e conquistano gradi di libertàsempre più elevati, non solo per i sin-goli ma per l’intera classe cui appar-tengono. Coscienza di classe e co-scienza di società vengono poi a so-vrapporsi, quando le tiene insieme ilcemento di una solidarietà che si faattitudine alla sintesi politica.

Solidarismo o corporativismo?È chiaro che di pari passo con l’evo-luzione dei sistemi si realizza ancheun’evoluzione dei contenuti e deimetodi dell’intermediazione sociale.Ed è evidente che oggi il moto di di-sgregazione si fa più aggressivo, per ilvenir meno o l’indebolirsi delle for-me di compensazione che la solida-rietà sociale ha saputo per lungotempo offrire, attraverso l’espansio-ne del welfare e il pieno impiego, manon solo. Si profila allora il rischio diuna regressione generale dal solida-rismo al corporativismo: come dire,dalla visione generale a quella digruppi che inevitabilmente si affron-tano in combattimenti mortali.

La diagnosi, ad ogni modo, va precisata. È da escludereche la caduta delle infrastrutture sociali dipenda da unaminore capacità di autotutela degli interessi in campo:questa si realizza in tutti gli ambiti, compreso quello po-litico-parlamentare. Basti constatare la composizione de-cisamente corporativa delle commissioni: giuristi allagiustizia, medici alla sanità, professori all’istruzione, sin-dacalisti al lavoro...

È invece da considerare l’ipotesi che si sia indebolitala capacità di ragionare in termini di sintesi – ossia di be-ne comune – all’interno dei diversi comparti della strut-tura sociale; e c’è da chiedersi se questo dipenda soltantoda fattori esterni, come l’incombere violento della crisi,o non sia da attribuire anche all’affievolirsi dell’attitudinedelle associazioni e dei movimenti a porsi come centri dieducazione civica alla solidarietà, al servizio e (le ultimevicende romane lo reclamano) alla legalità.

U n lamento si leva da molte contrade. C’è la crisi dei corpi in-termedi. Si è stracciato il tessuto connettivo della società. Chesempre più somiglia a una nebulosa di cellule impazzite. È il

trionfo dell’“individuo casuale”, avrebbe detto Achille Ardigò. Per-sino alcuni di quelli che nel secolo passato avevano fatto il versoalla signora Thatcher («non conosco la società, conosco solo gli in-dividui») si associano all’universale compianto.

Il fenomeno riguarda in modo speciale la sociologia cattolica, chesempre aveva coltivato l’idea di una “società organizzata”, cioè modu-lata su infrastrutture finalizzate al buon funzionamento dell’insieme.Ve ne è traccia nella Costituzione Ita-liana, il cui secondo articolo evocaespressamente le “formazioni socia-li” dove si “svolge la personalità” deisingoli. E dunque famiglie, associa-zioni professionali, cooperative, im-prese, partiti: che si prolungano nellafigura di uno stato, armonica espres-sione del tutto. Un ordine del giornodi Giuseppe Dossetti alla Costituenteconteneva la chiave ideologica del-l’impianto: le formazioni sociali, inquanto riflessi dell’ordine naturaledelle cose, precedono lo stato, il qua-le è semplicemente chiamato a rico-noscerne esistenza e prerogative. Fu condiviso da tutti.

Ora bisogna chiedersi quando, dove e come sia avve-nuta l’esplosione di tale ordine sociale. Anche se la storiadelle società avanzate rivela che, mentre declinano le for-me arcaiche di organizzazione sociale, altre modalità diaggregazione si manifestano, a salvaguardia dei valoridella convivenza civile.

Una speciale rilevanza è assunta dalle associazioni,che prendono consistenza in diversi ambiti, non solo co-me coaguli di interessi ma anche come fattori di incivili-mento. Il sindacato dei lavoratori o il movimento coope-rativo, ad esempio, non funzionano soltanto come agentidi tutela dei diritti attraverso il contratto o l’azione poli-tica, ma anche come fattori di educazione e di promozio-ne della coscienza sociale di vaste masse umane.

Oltre la retorica dell’emancipazione del “quarto stato”,c’è insomma la verità di un processo storico in cui interi

C’è la pressione esternadella crisi. Ma anche

la caduta della capacitàdi pensiero solidale.

Il ruolo delleformazioni sociali parecompromesso: trionfal’“individuo casuale”,

mentre i soggettiassociativi sembranoincapaci di ragionare in termini di sintesi

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nazionale carcere

sono mai staccata da quel momento.Come fare allora ad avere giustizia eanche a riuscire a sciogliere quell’ela-stico e a scalfire quella pietra, quelsasso che soffoca, renderlo più picco-lo, farlo sparire, fino a che ti lascia piùspazio per un respiro completo? Io vo-glio giustizia, ma quella giustizia perme non è data da quegli anni di pri-gione e non è che mi sento colpitaperché quelle persone sono uscite dalcarcere. Il momento che credo più vi-cino ad aver ricevuto un atto di giusti-zia è stato quando ho avuto la possi-bilità, la fortuna, grazie a persone chemi hanno aiutato, di conoscere le per-sone che erano responsabili dell’omi-cidio di mio padre, guardarle in facciae vedere la loro riflessione, il loro cam-biamento, il loro dolore, scoprire conmeraviglia che lo stesso sasso che hoio, lo stesso elastico che ho io ce l’han-no anche loro. E allora forse una con-solazione viene dal provare insieme, asciogliere quell’elastico e a scalfirequel sasso. Certamente non dal pen-sare che la persona responsabile deltuo dolore non tornerà mai più a casadai suoi figli».

Conciliazione, non eccezioneIn queste parole, espresse insiemecon forza d’animo e profonda pietà dauna persona che ha subito un dannoirreparabile, vi è davvero il senso deipercorsi di mediazione e riconcilia-zione. Alla base, essi hanno l’idea chevittima e carnefice possano trovare unterreno comune dal quale poter ripar-tire, nel quale sia permesso alla vitti-ma di liberarsi dal rancore e da senti-menti che alle volte non permettonodi vivere, e nel contempo al carneficedi comprendere la gravità del reatocommesso, la portata del male fatto.

In una società incattivita, nellaquale una madre che commette il piùatroce dei delitti, uccidendo suo fi-glio, rischia di non trovare alcunospazio di dialogo, nella quale il suoingresso in carcere viene salutato con

insulti e grida, diventa fondamentalecostruire spazi di dialogo e di media-zione. Un’altra giustizia è possibile:molte persone stanno lavorando perpreparare un terreno dove sia possi-bile ragionare sul dolore inflitto, nonsolo sugli anni di pena da scontare.

Vittima e carnefice possono trovare un terreno comune da cui ripartire, chepermettaallavittimadi liberarsidasentimenti

che impediscono di vivere, e al carnefice di capire la portata del male fatto

Così anche lo spazio apertosi graziealla legge 67/2014, con l’introduzionedell’istituto della messa alla prova pergli adulti, può essere un utile punto dipartenza per percorsi conciliativi. Ser-ve ora anche un’azione culturale, chesostenga questi primi interventi diprobation e che prepari il terreno af-finché questi percorsi non siano piùeccezioni nel nostro panorama peni-tenziario, ma possibilità davvero este-se a molti, se non a tutti.

Si è conclusa a dicembre la seconda edizione di “A scuola di libertà”,manifestazione che la Conferenza nazionale volontariato giustizia (orga-nismo che raggruppa i gruppi di volontariato che operano nelle carceri)ha indetto per “permettere alle scuole di incontrare il carcere”. Sonodue mondi che si devono conoscere e confrontare “per riflettere insie-me sul sottile confine tra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ognuno di noi”.

Il sottotitolo dell’edizione 2014 era “Un’altra giustizia è possibile”.Tema conduttore della riflessione è stata la giustizia ripartiva, a partireda un’esperienza concreta e di profondo valore: quella che stanno vivendo Claudia Francardi, moglie del carabiniere Antonio Santarelli, e di Irene Sisi, madre di Matteo Gorelli, il ragazzo che, fermato a un posto di blocco, ha aggredito Antonio e gli ha causato le lesioniche lo hanno portato alla morte.

Da questa esperienza, dagli abissi “di rancore e di dolore” che han-no sperimentato, queste due donne sono riuscite a uscire, grazie pro-prio a un’esperienza di giustizia conciliativa. Un percorso che gli oltre15 mila ragazzi e ragazze coinvolti in “A scuola di libertà” hanno sapu-to apprezzare e cogliere nelle più intense sfumature, grazie a un videodi 36 minuti che, raccontando la storia di Claudia e Irene tramite la loro stessa voce, pone i ragazzi di fronte a un dolore enorme, ma anche alla prova di come si possa superare rancore e sofferenza,grazie all’incontro con l’altro.

Claudia e Irene sono due persone apparentemente “modeste”, ma la loro testimonianza riesce a far comprendere come i percorsi di mediazione non siano una chimera: possono essere attivati e servo-no davvero a permettere alle persone, anzitutto alle vittime, ma ancheai carnefici, di non restare congelati in un interminabile circuito di sensidi colpa e risentimenti. I ragazzi degli oltre duecento istituti coinvoltidall’iniziativa in tutta Italia hanno potuto riflettere su come si possa arrivare a commettere un delitto gravissimo e su come nessuno possadirsi davvero immune dalla possibilità di diventare un “trasgressore”.Ma nella loro mente sono rimaste impresse le parole di Claudia Fran-cardi: «Io non mi sopportavo nel dolore e nel rancore. Anzi nel dolore sì, perché per me il dolore è stato uno stato di grazia, un capire moltopiù profondamente (…). Non mi riconoscevo nel tempo di rabbia (…): io il mio dolore lo voglio spendere bene, perché so quanto mi è costato».

Davvero, insomma, un’altra giustizia è possibile: la storia di Claudiae Irene ha mostrato a tanti ragazzi come vicende che possono spezza-re vite e personalità, e possono rendere individui e comunità nemicisenza remissione, possono essere convertite in “un abbraccio di dolo-re”, che riesce a dare un senso alla follia del reato commesso.

Claudia e Irene, no alla rabbia:un’altra giustizia è possibile

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panoramaitalia

alle 22 e usufruire, oltre che di un tetto e un letto, anche del-la possibilità di fare la doccia.

LIVORNOInaugurata la casa“Papa Francesco”per i bambini che rimangono soli

L’inaugurazione è avve -nuta il 19 dicembre,

e la struttura è intitolata a pa-pa Francesco: in zona Quercia-

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nella, all’interno della CasaSan Giuseppe, ha preso formaun progetto su cui Caritas dio-cesana livornese e suore vin-cenziane Figlie della Carità era-no al lavoro da tempo. Si trattadi una comunità per bambinisotto i 6 anni, costretti a vivereseparati dai loro genitori per vari motivi, magari per decisio-ne del tribunale. Il progetto è finanziato da molti soggettilocali, oltre che da Caritas Italiana con fondi 8 per mille.

ta un anno fa dalla Caritas dio-cesana, per rendere più acco-glienti e caldi gli spazi di via sanVincenzo, frequentati ogni gior-no da una sessantina di ospiti. I ragazzi del Cassinari hanno po-tuto mettersi alla prova, entran-do in contatto con le tante faccedella povertà contemporanea.

FIRENZEIn dieci annipiù di 22 milai migranti seguitidal Centro impiego

Sono stati 22.590 i mi-granti che si sono rivolti

dal 2005 al Centro per l’impie-go degli stranieri, istituito dallaprovincia di Firenze insieme allaCaritas diocesana e all’associa-zione Arcobaleno. In dieci anni il progetto ha consentito di rea-lizzare numerosi avviamenti lavorativi, alcuni con contratti a tempo indeterminato. Il servizioaveva una funzione prettamentedi orientamento, ma ha compiu-to anche azioni di inserimento.Vi si sono rivolti soprattutto ro-meni, peruviani, marocchini, al-banesi, somali e cingalesi, e hafornito 3 mila consulenze legali.

AREZZOA San Sepolcroriaperto il servizioper accoglierei senza dimora

Dopo la positiva esperien-za del 2013-’14, è riparti-

to poco prima di Natale a SanSepolcro il servizio di emergen-za per i senza dimora “Acco-glienza San Domenico”, grazieall’intesa con le istituzioni localie i padri domenicani, che hannoconcesso nuovamente gli spazidi via Padre Caprara, nell’ex con-vento. A garantire il servizio, chepuò ospitare fino a 25 persone,è la Caritas diocesana aretina,attraverso un gruppo di volonta-ri. È possibile accedere al dor-mitorio ogni giorno dalle 20.15

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levocingiro ((()))

Vito Piccinonna (Caritas Bari-Bitonto). Ci siamo accorti che i padri separati ospitial dormitorio diocesano non manifestavano solo necessità abitative, ma anche undisagio relazionale. Dopo la separazione a volte crollano tutti i ponti relazionali conla famiglia di origine, con il gruppo di amici. Allora attraverso il progetto Osa (Oasistrade aperte), offriamo un luogo, una struttura, ma soprattutto cerchiamo di andareincontro a quella sete di relazione, a quel lumicino che resta e che permette di ri-prendere in mano la propria vita e di guardare oltre. L’Oasi offre la possibilità a seipadri, per un periodo fino a un anno, di ricevere vitto e alloggio, cercando quando è possibile di far riprendere i contatti con l’ex coniuge, e comunque sempre di sup-portarne la paternità. Molti padri che incontriamo ci hanno infatti confidato l’amarez-za, quasi la disperazione di non avere un luogo idoneo all’incontro con i figli.

Giampaolo Mortara (Caritas Alessandria). Tra i nostri obiettivi per i prossimimesi c’è la realizzazione di 76 orti da destinare a persone anziane o famiglieche vivono situazioni di difficoltà. Si tratterà di persone anche di nazionalità diverse: coltivare in piccoli terreni confinanti darà loro la possibilità di conoscer-si, scambiarsi consigli ed esperienze. Il terreno, messo a disposizione dal comu-ne di Alessandria, è in un quartiere molto popolato della città. Su un fazzolettodi terra coltiveremo poi ortaggi da destinare alla mensa diocesana Caritas e all’Emporio solidale. In questo periodo stiamo sensibilizzando, rafforzando collaborazioni, coinvolgendo enti – come la locale società dei servizi dell’acqua,che si è resa disponibile a costruire il pozzo per irrigare gli orti –, cooperative sociali, realtà parrocchiali, associazioni di agricoltori, scuole…

Giovanni Calleri (Caritas Livorno). Il Corso di cucina sociale cerca di delineareun percorso di senso e di gusto. Si rivolge a tutti coloro che abbiano voglia di ritrovare tra i fornelli il sapore perduto dei propri talenti. È un percorso di for-mazione “informale”, cioè rappresenta solo un primo passaggio, a cui seguiràl’offerta, per le persone maggiormente motivate, di una formazione certificata.Questa iniziativa rientra nella Scuola dei Mestieri, un’ope-ra segno della Caritas di Livorno, che realizza percorsi chepermettono agli utenti di scoprire le proprie potenzialità e di riattivarsi nel mondo del lavoro. Sono spazi di espres-sività e di recupero dei vecchi lavori manuali, di bottega,che richiedevano precisione e dedizione.

Nell’Oasi i padri incontrano i figli.Gli orti anticrisi, la cucina è sociale

7di Danilo Angelelli

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ne di locazione; se l’operazioneandrà a buon fine, si arriverà alla stipula di un nuovo contrat-to d’affitto, ridotto di almeno il 15% rispetto alla cifra di par-tenza. In una seconda fase, sa-rà prevista in via sperimentaleper un anno un’ulteriore riduzio-ne del nuovo canone fino a unmassimo del 25%: la sommasarà corrisposta al proprietarioper metà dal comune e per l’al-tra metà dalla Caritas tarvisina.

PIACENZA-BOBBIOStudenti licealidecoranol’ingresso dellamensa Caritas

Uno skyline che rappre-senta una metropoli

e l’unione di popoli, con funam-boli intenti a proseguire il pro-prio cammino con grazia, nono-stante il precario equilibrio dellavita, circondati da occhi racchiu-si in bolle eteree: così alcunistudenti del liceo Cassinari di Piacenza hanno decorato i locali d’ingresso della Mensadella Fraternità. L’iniziativa è na-

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COMOAl via il fondo“Dona Lavoro”con i social bonddi una banca

Nel 2009, agli albori dellacrisi, la diocesi di Como fu

tra le prime a istituire un fondodi solidarietà, il Fondo Famiglia-Lavoro. Ora la Caritas diocesanarilancia, presentando il Fondo Do-na Lavoro. Primo obiettivo, la rac-colta di 50 mila euro, che si tra-durranno, attraverso il sistemadei voucher Inps, in 5 mila ore di lavoro erogate attraverso le parrocchie per piccole attivitàa beneficio delle comunità. Metàdelle risorse arriva da un gruppobancario locale, che emetterà so-cial bond per 5 milioni di euro.

TREVISO, PADOVA E VENEZIAContratti di lavoroper “over 35”;progetto e risorsecontro gli sfratti

Un progetto da 453 milaeuro per dare lavoro ai di-

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Il pane di ogni giorno lo si guadagna con il proprio lavoro.Ma oggi il lavoro manca; qualche volta è sottopagato esenza garanzie, qualche volta crea moderni schiavi in ma-no a “caporali” e padroni senza scrupoli. Il pane di ognigiorno ci viene donato da Dio per condividerlo, come lamanna nel deserto che sfamò il popolo ebraico: bastavaa ognuno ogni giorno, senza la necessità di accumularlooltre misura. Il pane di ogni giorno viene spezzato quandomigliaia di donne e uomini reagiscono all’ingiustizia viven-do una vita di condivisione e servizio accanto a chi fa piùfatica, spesso in situazioni estreme. Il pane di ogni giornoè l’Eucarestia: Dio si fa pane e dà senso e nutrimento

al nostro vivere, al nostro servire, allapovertà scelta per amore, alla rinuncia,per condividere quanto si ha con i poveri.

Il pane di ogni giorno è anche il titolodei sussidi che Caritas Italiana, in colla-borazione con Città Nuova Editrice, ha

predisposto per vivere il tempo di Quaresima, in vistadella Pasqua. Come di consueto, l’opuscolo per le fami-glie mette in ascolto della Parola di Dio, di quelle del pa-pa, della testimonianza di persone che narrano la propriavita all’interno di quelle periferie (geografiche ed esisten-ziali) che sempre più siamo chiamati ad abitare e incon-trare, e che sono popolate da molte persone provate dall’esclusione e dalla crisi economica. Per i bambini, un libretto aiuta a scoprire qual è Il pane di ogni giornonelle diverse culture: attraverso cinque leggende che narrano l’origine del cibo quotidiano di comunità diverse e lontane, i bambini sono invitati a scoprire una comunefraternità. Il testo di Cosetta Zanotti è valorizzato da colo-rate illustrazioni di Giuseppe Braghiroli. Libro utile anchead accompagnare chi si prepara alla Prima comunione.

Infine, come sempre, poster (scaricabile su www.citta-nuova.it) e salvadanaio completano il kit dei sussidi.www.caritas.it e www.cittanuova.it

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SUSSIDIIl pane di ogni giorno, tra cronaca ed Eucarestia:strumenti per vivere una Quaresima di condivisione

soccupati della Riviera: le Cari-tas di Treviso, Padova e Vene-zia, con Consorzio Insieme,Fondazione di Comunità Rivie-ra del Brenta e 16 comuni delterritorio hanno siglato a metàdicembre un protocollo d’inte-sa che ufficializza un’esperien-za iniziata tre anni fa, anchegrazie al contributo economicodella regione Veneto. L’iniziati-va coinvolgerà un’ottantina di persone over 35 disoccupa-te e iscritte ai centri per l’im-piego: saranno impiegate concontratto di lavoro a tempo de-terminato (5 mesi, 18 ore set-timanali) per lavori di pubblicautilità, come pulizie, manuten-zioni o attività di vigilanza.

Sul fronte casa, invece,sempre la Caritas diocesanadi Treviso ha promosso, insie-me al comune, il progetto #Affittosociale. Ora è stata approvata una delle azioni del progetto: sono stati stan-ziati 100 mila euro per aiutarele famiglie a rischio di sfrattoper morosità incolpevole. L’in-quilino in difficoltà sarà segui-to in una mediazione sul cano-

Francesco nel Concistoro del 14 febbraio a Roma. Caritas Italiana, per il tramite del direttore, monsignor Francesco Soddu, ha rivolto sinceri auguri al neocardinale, con l’auspicio di «proseguire nell’impegno a serviziodel Vangelo, della Chiesa e dei poveri e nella promozione di un’autentica pastorale delle relazioni». Monsignor Montenegro ha ringra-ziato e sottolineato la sua riconoscenza nei confrontidella Caritas, che ha segnato sin dall’inizio il suo servizio pastorale, prima come direttore diocesano e poi come presidente nazionale.

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prima di Natale, la Caritas diocesana di Bari ha inaugurato un nuovo servizio di accoglienzaabitativa e di sostegno persona-le per padri separati che si tro-vano in condizione di precarietàeconomica, relazionale e mora-le (vedi box a pagina 21).

Offrire accompagnamento spirituale e promuovere la geni-torialità responsabile: sono gli obiettivi principali del nuovoCentro Osea, promosso dallaCaritas diocesana di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela e inaugurato nel capoluogo siciliano, in un’ala di un istitutoreligioso, prima di Natale. Ai padri separati è offerta la possibilità di un periodo di accoglienza temporanea (fino a un anno) con il supportodi avvocati matrimonialisti, psicoterapeuti e mediatori fami-liari, per ritrovare autonomia psicologica ed economica.

LECCECasa San Vincenzo,nuova accoglienzaper senza dimorae senza documenti

Una nuova struttura d’accoglienza per le per-

sone senza dimora di Lecce e dintorni: è stata inaugurata a inizio dicembre la Casa della solidarietà di San Vincen-zo de’ Paoli, in un immobile da-to in comodato d’uso alla Cari-

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Monsignor Francesco Montenegro, 68 anni, arcivescovo di Agrigento (diocesi nel cui territorio

si trova Lampedusa), presidente della Commissioneepiscopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes della Cei, già presidente di Caritas Italianadal 2003 al 2008, sarà nominato cardinale da papa

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concerti, laboratori di danza e teatro. Ogni giornata è statadeclinata secondo una diversasfumatura dell’accoglienza, in rapporto con il mondo della scuola, della famiglia e delle istituzioni.

REGGIO CALABRIA“Sosta di speranza”per donnedisoccupate e vittime di violenza

Un sostegno concreto per donne disoccupate

o vittime di violenze: “Sosta di speranza” è il progetto dellaCaritas diocesana di ReggioCalabria-Bova, varato dopoun’attenta analisi dei bisognidel territorio. Essa ha fattoemergere, tra le altre cose, la delicata condizione di donnevittime di violenze domesticheche hanno trovato il coraggio di ribellarsi e di badanti rima-ste senza lavoro a causa della morte dell’anziano assistito. “Sosta di Speranza“è un servizio a bassa soglia:offre gratuitamente a questedonne un’accoglienza notturnatemporanea per un massimo di 15 giorni. Ai 4 posti letto si può accedere dopo una valu-tazione della situazione di disa-gio presentata dalle richiedentida parte dei referenti di centrid’ascolto e servizi di Caritas,Migrantes e Cav.

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tas diocesana, che ospiterà fino a un massimo di 18 perso-ne in attesa delle autorizzazio-ni (permessi di soggiorno, passaporti e carte d’identità) da parte delle istituzioni. La Ca-sa della solidarietà è la terzastruttura in città destinata a questo scopo: a Lecce opera-no anche la Casa della carità(30 posti letto per uomini, com-pleta di mensa, docce, servizi e assistenza di vario genere) e Casa Emmaus, che accoglie15 donne bisognose.

LAMEZIA TERMESeminari e concerti,cene e laboratoriper la Giornata suidiritti dei migranti

Anche Lamezia Terme ha celebrato il 18 dicem-

bre l’International MigrantsDay, la Giornata mondiale di azione contro il razzismo e a tutela dei diritti di migranti,rifugiati e sfollati, istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite.Lo ha fatto con una serie di eventi organizzati dalla Comunità Luna Rossa in colla-borazione con la Caritas dioce-sana: per quattro giorni, dal 16al 19 dicembre, il Chiostro San Domenico e il Teatro Umberto hanno ospitato semi-nari, convegni e proiezioni di film sul tema. Il tutto arric-chito da cene multietniche,

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AGRIGENTOMontenegro cardinale: auguri da Caritas Italiana,di cui è stato presidente

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Caritas Italiana e Fondazione 7 Novembre, che prevede ancheuna piattaforma logistica in gra-do di raccogliere e ridistribuire i prodotti (in particolar modo alimentari, messi a disposizionegratuitamente da supermercati,aziende, panifici, pizzerie e pa-sticcerie) non più valorizzabili dal punto di vista economico, ma ancora utilizzabili.

NAPOLISportellod’ascolto peraiutare le vittimedell’azzardo

La diocesi di Napoli in campo contro il gioco

d’azzardo: l’arcivescovo Cre-scenzio Sepe in dicembre, nel corso di un convegno dioce-sano, ha annunciato la nascita di un centro d’aiuto per le ludo-patie. La struttura, attivata pres-so la sede della Caritas, saràuno sportello di ascolto, aiuto e sostegno. Di cui c’è estremobisogno, stando ai dati presen-tati nel convegno: a Napoli si spendono 207 euro a testasolo per lotto e super-enalotto;il 20% degli adolescenti tra i 10 e i 17 anni frequenta le sale da gioco e molti bambinitra i 7 e i 9 anni spendono la paghetta settimanale in grat-ta e vinci. Le donne over 45 gio-catrici sono in numero superiorerispetto al resto d’Italia. E si fastrada con sempre maggior for-za il gioco online. A Napoli ci so-no 106 sale gioco e oltre 2 milaesercizi commerciali con slotmachine (quasi 17 mila in tuttala Campania).

BARI E MESSINAPadri separati,accoglienzeper provarea riprogettarsi

Si moltiplicano le iniziati-ve che tendono la mano

ai padri separati. A Modugno,

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FANOInauguratoRiCibiAmo,polo cherecupera alimenti

È stato inaugurato l’11gennaio il nuovo centro

RiCibiAmo (Ri=riutilizzo, Cibi= alimentari, Amo=amore). La struttura, situata in via Piave

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a Fano, è un polo logistico perraccolta, stoccaggio e redistri-buzione di prodotti alimentari e beni di prima necessità, da destinare a persone in situa-zioni di difficoltà socio-economi-ca residenti nel territorio. RiCi-biAmo, gestito dai volontari dellaCaritas diocesana, è parte delprogetto biennale “– Scarti + Ci-bo & Lavoro”, finanziato da Cei,

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ottopermille/Spoleto-Norcia

La regione Umbria è la seconda in Italia (dopo l’Emilia Romagna) per incidenza della popolazione immigrata sul totale dei residenti. In questo contesto, il “Centrodiocesano per l’assistenza giuridica e la tutela del diritto alla salute dei cittadini immigrati” è nato come evoluzione dell’attività dell’Ufficio immigrati della Caritasdiocesana, che da oltre dieci anni offre consulenza legale e informativa ai migranti.

Nella prima annualità del progetto, finanziato grazie a Caritas Italiana con fon-di otto per mille Cei, è stata rafforzata l’azione di consulenza per rinnovo del per-messo di soggiorno, ricongiungimento familiare, richiesta di rilascio del permes-so per soggiornanti di lungo periodo, richiesta di concessione della cittadinanzaitaliana, provvedimenti per minori non accompagnati, consulenza sulla normati-va, sui servizi sanitari, sul rapporto di lavoro domestico, ecc.

La persistente crisi socio-economica ha però determinato, nel volgere di unbiennio, un mutamento radicale delle prospettive anche dei lavoratori migrantiresidenti in Umbria. Molti, una volta terminati gli ammortizzatori sociali, si sonorivolti alla Caritas diocesana non più per informazioni sulla normativa di settore,ma per la richiesta di contributi economici, per una consulenza legale in materiadi sfratto, o per il recupero di crediti da lavoro.

Decisione soffertaLa seconda annualità del progetto si è così concentrata nell’attività di sostegnoal reddito dei cittadini immigrati, attraverso l’erogazione di contributi economicifinalizzati a pagare utenze domestiche e canoni di locazione.

La mancanza, in Italia, di una misura di sostegno economico alla povertà estre-ma può avere inciso sulla sofferta decisione, assunta da alcuni, di abbandonare il paese di cui si è divenuti cittadini. Per molte altre famiglie straniere residenti, dive-nute povere assolute, si è deciso di intervenire con il Fondo regionale di solidarietàdella chiese Umbre e con il Fondo diocesano di sostegno alla povertà estrema, di fatto incrementando il sempre più consistente numero di persone e famiglie che ri-corrono a tale misura per la mancanza di lavoro o di qualsiasi altra forma di reddito.

Il progetto del Centro diocesano, ora riconvertito nella più ampia attività di so-stegno al reddito delle famiglie povere, ha avutoil merito di intercettare e quantificare il numerodi lavoratori stranieri che hanno subito la perditadel posto di lavoro, e che per la prima volta, darichiedenti una consulenza legale o informativasulle norme, si sono rivolti alla Caritas per richie-ste di tipo economico.

Prima la consulenza legale,oggi il sostegno al reddito

9di Giorgio Pallucco

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ci si sono messi la Psilla dell’eucaliptoproveniente dall’Australia, la vespavelutina originaria del sud-est asiati-co, l’Aethina tumida del Nord Ameri-ca. Lo scorso novembre quasi quat-tromila arnie sono state date a fuocoin Calabria, con l’intento di arginarel’effetto devastante dell’Aethina: di si-curo il risultato è stato di mandare infumo milioni di insetti, mentre sia gliallevatori che gli esperti bollano comeinutile il provvedimento.

I falsi del Sol LevanteAltrove, come in Florida o in Canada,funziona invece un sistema di trappo-le, che impediscono in maniera più

controllata ai parassiti di attaccare glialveari. Addirittura il presidente degliStati Uniti, Barack Obama, ha espressopreoccupazione, in termini economi-ci, per la grave crisi che sta attaccandol’apicoltura, quantificando in 200 mi-liardi di dollari le perdite nel settore.

L’attenzione della Casa Bianca ri-spetto a un comparto erroneamentesottovalutato si era già evidenziatanel 2008, quando la first lady Michel-le decise che nella tenuta presiden-ziale, oltre a frutta e verdura bio, siproducesse anche miele genuino: ilsuccesso si replica ogni anno, tantoche il vasetto presidenziale del pre-giato nettare, tassativamente in vetro

Le api cartina di tornasole della salutedel pianeta? C’è di che preoccuparsi...Anticrittogamici, primo fattore di rischio;

altri sono il surriscaldamento climatico,l’abuso di territorio e diversi insetti

senza piombo, ormai è diventato undolce pensiero per gli ospiti illustriche sfilano a Washington.

Relegare la “crisi del miele” allenotiziole di colore, sarebbe però unerrore. Perché dagli insetti a striscegialle e nere dipende l’80% delle spe-cie vegetali, tramite l’impollinazione:l’entomologo Giorgio Celli già tantianni fa aveva avvertito che avanti diquesto passo si finirà per impollinarea mano le coltivazioni, esattamentecome già avviene in alcune zone del-la Cina, dove le api non ci sono più.Eppure la Cina sembra essere, tra al-larmi e allarmismi vari, in piena in-vasione anche del mercato mieliferoeuropeo, dove ha sostituito il domi-nio argentino degli anni passati: aBruxelles l’attenzione è alta, ancheper le continue sollecitazioni dei 600mila apicoltori attivi nei paesi del-l’Unione europea, preoccupati dalla

PROGETTO DOLCEZZAA sinistra e in alto, un apicoltore haitianoche opera nell’ambito dell’iniziativa“Pull down the line”. Qui sopra, collinedi Haiti, dove le api svolgono il loroprezioso ruolo di impollinatrici

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amaroMondosenza

miele

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dall’eventuale scomparsa degli insettifondamentali per l’impollinazione equindi per il ciclo vitale. E allora c’è datemere la fine del mondo dietro l’an-golo, se si dà fede all’allarme molto se-rio lanciato dalle associazioni degliapicoltori italiani: la produzione dimiele nel 2014 è crollata del 50%! Stes-so dato in Sud America, mentre vapeggio nell’Europa dell’est, dove si èregistrato un calo addirittura del 60%.

La responsabilità principale vieneattribuita agli anticrittogamici impie-gati nell’agricoltura intensiva, ma an-che nel giardinaggio domestico: e sele api sono, come si dice, la cartina ditornasole della salute del pianeta, c’èdavvero di che preoccuparsi. Gli altrifattori di rischio sono il surriscalda-mento climatico, l’abuso del territo-rio e vari insetti che si spostano da unangolo all’altro del pianeta: a frenaredrasticamente la produzione di miele

uarda qua cosa combinano icontadini, i nostri contadi-ni… Però in primavera gliservono le api… Vergogna!».Maggio 2014: un apicoltore

astigiano mostra sul guanto giallo de-cine e decine di api morte e puntal’indice sull’agricoltura, che con l’usodi pesticidi sta facendo strage di al-veari. Nel suo urlo di dolore c’è la fo-tografia di un ecosistema malato.

Sarebbe stato facile iniziare con unadotta citazione dalla Bibbia o di Plato-ne o Aristotele, Virgilio, Plinio, di unotra i tanti letterati che, nel corso dei se-coli, hanno guardato alle api e alla loroorganizzazione sociale come esempiocui dovrebbero tendere gli umani.Non certo immaginando, invece, cheun giorno l’uomo ne avrebbe fattoscempio: delle api e del loro sistema.

Albert Einstein aveva vaticinato lafine dell’umanità entro quattro anni

«GApi sotto attacco, in diverse parti del globo: strage di alveari e produzionemielifera crollata, a causa di pesticidi,mutamenti climatici e parassiti. Conl’impollinazione, a rischio la biodiversità.Per fortuna, moltiprogetti cercano di rimediare. Ad Haiti,per esempio…

di Lorella Beretta

internazionale viaggio intorno al mondo in10 alimenti /1

mielead Haiti

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italiani, meritano di essere citati ilprogetto di Ipsia (ong delle Acli) nellacomunità rurale di Flor del Pago, inArgentina, dove è stato creato unconsorzio per la produzione di mielebiologico certificato. O il programmadi sostegno dell’apicoltura nel norddell’Albania, a Zadrima, promosso daFriuli Venezia Giulia e Toscana.

Un caso che può colpire l’atten-zione, anche per la sua capacità evo-cativa, è l’intervento di affiancamen-to degli apicoltori della Valle della Be-qa’, nel nord-est del Libano, la biblica“terra del latte e del miele”: oltre chea rafforzare le capacità produttive de-gli apicoltori, che in quell’area, cometestimonia la Bibbia, vantano lungatradizione, il motore del lavoro diApau, insieme al comune di Foligno,è stato volto a stimolare l’associazio-nismo dei singoli operatori locali.

Giù i confini a HispaniolaIl risultato più significativo da tutti ipunti di vista, compreso quello politi-co, si è invece raggiunto a Hispaniola,cioè la piccola isola che si dividono, incagnesco, due repubbliche caraibi-che: Haiti e Repubblica Dominicana.Qui il Fondo provinciale milanese perla cooperazione internazionale, attra-verso il progetto Pull Down The Line

(Abbattere la frontiera), è incredibil-mente riuscito a far sedere allo stessotavolo istituzioni e apicoltori di PortAu Prince e Santo Domingo, costi-tuendo poi il primo Consorzio bina-zionale delle realtà che si trovano lun-go i 500 chilometri di confine verticalee impermeabile tra i due paesi.

In quell’area di frontiera si concen-trano le produzioni agricole, ma anchela forte pressione migratoria di haitia-ni che cercano di raggiungere la Re-pubblica Dominicana per conquistaremigliori condizioni di vita. Una situa-zione di estrema povertà e di disagio,accresciutasi dopo il catastrofico ter-remoto di Haiti, che nel 2010 causòcentinaia di migliaia di vittime e feritie milioni di senza tetto. Ancora oggi il54% degli haitiani e il 34% dei domini-cani vive al di sotto della soglia di po-vertà assoluta, molti con meno di undollaro al giorno. I redditi familiari so-no insufficienti per garantire una cor-retta alimentazione: un paradosso, sesi pensa che nelle stesse aree di produ-cono latte, frutta, verdura e – appunto– miele, destinati ai mercati ricchi.

Nel territorio rimane ben poco diquanto vi si produce, così è natal’idea di rendere più autonoma l’eco-nomia locale attraverso un consor-zio, sul modello di quelli italiani degli

Biodiversità e democrazia non sono parole vuote, usate per ingentilire il già nobile miele. Sono centinaia i progetti

di cooperazione per valorizzare il settore apistico, in aree soffocate da conflitti

anni Settanta. Un sogno nel cassettodel battagliero sindaco di Comen-dandor, Luiz Minier, che si è realizza-to grazie al sostegno economico epratico del personale messo a dispo-sizione dal Fondo milanese. Con ilConsorzio binazionale e il progetto,sarà più facile saltare il soffocanteruolo degli intermediari, che defini-scono quanto e cosa produrre e aquanto vendere e rivendere.

Pull Down The Line ha quindi uni-to due popoli separati e spesso inconflitto, e lo ha fatto dolcemente,grazie al miele: «Abbiamo girato ilconfine per mesi cercando di indivi-duare le debolezze e le potenzialitàesistenti e abbiamo capito che pote-vamo investire sull’implementazionedella qualità e della quantità di mieleprodotto», spiega Guido Milani, di-rettore del Fondo provinciale milane-se. Così, dal 2010 a oggi sono quasitriplicati i 240 mila chili inizialmentedestinati al mercato americano: so-prattutto, allora, per il riutilizzo neiprodotti industriali, data la bassaqualità. Invece a metà 2015 è previstoche vasetti di ottimo nettare doratoarrivino in Europa, Italia compresa, aesaudire una domanda di miele cherischia di rimanere almeno parzial-mente inevasa, a causa del crollo del-la produzione, alle nostre latitudini.E si ritorna così all’inizio di questa ri-flessione. E alla sua conclusione piùintelligente, che dovrebbe essere il ri-spetto della natura. E la conservazio-ne delle specie: apiaria e umana.

ALLARME GLOBALEUn apicoltore in una zona montuosa

d’Italia. Nel 2014, crisi del mieleanche nel nostro paese: la

produzione è calata del 50%

Nel 2011 il miele prodotto in tutto il pianeta è stato di oltre 2 milioni di tonnellate. In Italia ci sono 75 mila operatori, poco più di 1,2 milioni gli alveari. Mediamente ogni apicoltore ha una ventina di arnie, mentrealcune “grosse” realtà arrivano a 2 mila.

Nel 2013 si è registrato un record delle importazioni di miele in Italia:hanno raggiunto i 17 milioni di chili (17 mila tonnellate) per soddisfarela metà della richiesta, non evasa dal made in Italy. La Cina, secondoquanto dichiarato da Coldiretti, avrebbe registrato un aumento di oltre il 20% rispetto all’anno precedente, attestandosi come secondo paeseesportatore verso di noi, dopo l’Ungheria. Il Belpaese vanta peraltrouna delle più ricche varietà di tipi di miele, una trentina circa: oltreai classici millefiori, di castagno o d’acacia, ci sono quello di corbezzolo,di edera, marruca, agrumi… E mieli rari: quello di Barena, frutto dellalaguna veneta, o della macchia mediterranea di Migliarino-San Rossore.I prodotti certificati devono esporre, come da normativa Ue, l’etichettacon l’origine produttiva del miele.

Importazioni record in Italia,metà della richiesta inevasa

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dendo. Ma se le api muoiono, non sirigenera il ciclo produttivo naturale.

«L’apicoltura è parte integrantedell’agricoltura, è essenziale per lapropagazione e il miglioramento ge-netico delle specie vegetali. È primagaranzia di una sicurezza alimentarenon derogabile. E le monocolture im-poste anche in Europa e in Italia dallemultinazionali stanno rendendo laterra infertile, stanno desertificando inostri territori senza che ce ne accor-giamo: la cura e il possesso degli al-veari hanno garantito nei secoli laconservazione e l’evoluzione dei no-stri micro e macroambienti, attraver-so un percorso di trasmissione di pra-tiche e saperi tradizionali. E la biodi-versità è la massima espressione didemocrazia»: non ha dubbi, VincenzoPanettieri, e su queste convinzioni hafondato, insieme ai suoi colleghi, unalunga e spesso inascoltata battaglia,che riguarda, invece, ciascuno di noi.

Panettieri è presidente di Apau(Associazione degli apicoltori umbri)e anche di Apimed (Federazione de-gli apicoltori del Mediterraneo). IlMare nostrum, del resto, è il bacino incui, a livello globale, si concentra lapiù alta quantità di miele di qualità:dentro ci sono Italia, Spagna, Maroc-co, Algeria, Tunisia, Palestina, Libano,Albania e Croazia. E poiché biodiver-sità e democrazia non sono parolevuote, usate per ingentilire il già no-bile miele, sono centinaia i progettidi cooperazione internazionale im-pegnati a valorizzare e promuovere ilsettore apistico, in aree con enormipotenzialità, soffocate da conflitti oprofonde sperequazioni.

Tanto per nominare iniziative pro-mosse da soggetti (ong o istituzioni)

qualità delle produzioni importate.È di novembre 2014 una proposta

di risoluzione del Parlamento euro-peo sul falso miele in arrivo dal Sol Le-vante, in cui si chiedono alla Commis-sione misure a tutela della salute: testeffettuati negli Stati Uniti hanno infat-ti riscontrato in tre barattoli su quattrola presenza di piombo e di altre so-stanze dannose per la salute, tra cui ilcloramfenicolo, un antibiotico. In più,nei vasetti made in China ci sarebbe,anziché nettare degli dei, un compo-sto di sciroppo di mais o di riso condolcificanti aggiunti a base di malto ezucchero grezzo di scarsa qualità.

Qualità mediterraneaDi situazioni simili la Ue si occupò giàa inizio del secolo attuale, con un bloc-co delle importazioni cinesi, al qualePechino rispose con misure altrettanto

Non è certo un segreto che il miele sia un ottimo decongestionante, per esempio contro la tosse, e che essendo composto di zuccheri semplicisia facilmente digeribile. Ha anche un’azione disintossicante del fegato e cicatrizzante di ferite esterne. È inoltre un ottimo elemento per la cosme-si, sia in aggiunta a creme base, sia da solo: una maschera di miele è il mi-glior idratante della pelle, entra in profondità più di ogni altro prodotto.

In virtù di queste e altre proprietà, sta crescendo un vero e proprioamore per le api, con l’aumento di “apicolture urbane”: ci sono “alleva-menti” sui tetti degli alberghi o nei cimiteri, nelle aree dismesse o neicortili condominiali, da New York a Londra a Copenhagen, passando perParigi e arrivando in Italia: a Torino c’è il progetto Urbees, ideato da Anto-nio Barletta, a Bologna Bee-Sos-tenibile, del Caab. L’attività parte conmeno di 500 euro, ma è fondamentale frequentare un corso di formazio-ne, perché le cose da sapere sono tante, non ultime le tecniche da utiliz-zare per estrarre il miele nel rispetto di insetti che fanno paura, ma in re-altà sono molto fragili e necessitano di grande tutela.

Ottimo per salute e bellezza,adesso si produce in città

lesive dell’economia del vecchio con-tinente: la diplomazia europea si miseal lavoro e si trovò un compromessoche garantisse i consumatori. Però gliapicoltori continuano a storcere il na-so rispetto a un modello di produzio-ne che svilisce le qualità organoletti-che dell’alimento più “puro” che ci sia,che non ha bisogno di lavorazioni eche si può consumare tale e quale.

Per questo all’indice non c’è solo laCina, ma anche le multinazionalidell’agroalimentare e le coltivazionigeneticamente modificate, in un di-scorso articolato ma logico, in cui s’in-crociano ecologia e democrazia. Ilteorema, dimostrato, è semplice: unabuona apicoltura necessita di un buo-no stato di salute dell’ambiente. E logarantisce, rafforzandolo. Se l’aria èinquinata e la terra impoverita, le apimuoiono, esattamente come sta acca-

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mielead Haiti

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naio del Vecchio continente, tra spi-ghe e campi di girasole, si annida lapovertà estrema delle campagne: ortie piccole serre casalinghe, cresciutiall’ombra di ciminiere dal fumo neroe denso, prodotto dell’industria pe-sante. A Zaporizhya, sesta città delpaese, incombente è la presenza dellapiù grande centrale nucleare d’Euro-pa (sei reattori attivi), che a fine no-vembre ha fatto tremare – e temereuna nuova Chernobyl – per un inci-dente, minimizzato una settimanadopo (!) dal governo. Intorno, le fatto-rie dai tetti di amianto, che portanonelle famiglie malattie e lutti, serviteda piccoli e pericolosi tubi esterni delgas. Anche le strade di grande scorri-mento che attraversano l’Ucraina delsud sono spesso accompagnate a latoda condutture del gas a cielo aperto,dalla manutenzione distratta.

Per raggiungere le zone non urba-ne, tanti i pullman in servizio, che as-somigliano alle nostre vecchie corrie-re. Oppure automobili private, messea disposizione da autisti improvvisati,artigiani, operai, padri di famiglia

testi e foto di Clara Iatosti

internazionale ucraina

povertàGuerraalcolUcraina, paese di orfani

Viaggio nel più estesostato d’Europa,lacerato dal conflittotra regioni occidentali,filoeuropeiste, e orientali, filorusse. I problemi di tantefamiglie e tanti minori hanno radici che affondano nel periodo sovietico. E si intreccianoall’attuale emergenza

ra aprile e due giorni dopo sisarebbe festeggiata la Pa-squa ortodossa. Due ore divolo ed ero a Kiev, capitalemagnifica ed eroica. Ma ba-

stava guardarsi attorno, e la realtà so-ciale dell’Ucraina appariva in tutta lasua crudezza. Appannaggio delledonne tutti i lavori pesanti: le ho vistescaricare sacchi di frutta e verdura,raccogliere immondizia, guidare au-tobus e camion. Ai lati delle strade,tanti uomini, ubriachi di alcol a pocoprezzo e piegati da una vita di stenti.

La dissoluzione dell’Unione Sovie-tica ha lasciato un paese corrotto esenza speranza. Per 70 anni, il marxi-smo imperante ha proposto e impo-sto il modello di uno stato padre-pa-drone, pervasivo in ogni ambito dellavita, e lo schema di una società in cuila famiglia è stata considerata un di-svalore. L’atto solenne di indipenden-za dalla Russia sovietica (agosto1991)ha così trovato nuclei spezzati e istitu-ti stracolmi di bambini, abbandonatima non necessariamente orfani.

In quello che era considerato il gra-

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PIOVESUL BAGNATO

Due donne sfollatenelle regioni

dell’est, aiutate daCaritas Ucraina.Sotto, condizionidi vita spartanenelle campagne

del paese

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SVILUPPO SOSTENIBILE,DIRITTO FONDAMENTALE

zeropovertydi Silvia Sinibaldi

Caritas Europa

migliare e di piccola scala: per ognu-no di questi temi vengono elencatesfide piccole e grandi ed elaborateindicazioni precise.

Il rapporto del parlamento euro-peo sul post-2015 è stato, in propo-sito, un banco di prova importante.Per la prima volta, deputati di diver-sa provenienza geografica e politicahanno trovato un accordo nello sta-bilire che il cibo è un diritto umanofondamentale. L’esito del voto nonera affatto scontato, soprattuttoconsiderata la diversa opinione uffi-ciale di alcuni stati membri. Ma èstato la dimostrazione che un ap-proccio basato sui diritti umani èl’elemento più forte su cui basarequalsiasi attività di pressione politi-ca. È bello sapere che l’Europa, spes-so «piegata su se stessa», per usare leparole di papa Francesco, ha trovatoil coraggio di esprimersi in manieraforte sul tema del cibo.

Obiettivi oltre il 2015Certo, la strada è ancora lunga. Leraccomandazioni del report richie-dono lo sforzo di tante persone, a più

stato presentato in Italia a fine novembre il rapporto di CaritasEuropa sul diritto al cibo e la sicurezza alimentare (scarica-bile dal sito www.caritas.eu). Si tratta di uno strumento utile

e fruibile per tutti coloro che possono fornire raccomandazioni pra-tiche, tangibili e misurabili a chi può influenzare e decidere le po-litiche alimentari e di lotta alla povertà.

Il diritto al cibo deve essere soddisfatto per tutti in maniera soste-nibile e completa. Ma oggi ancora 805 milioni di persone nel mondosoffrono la fame, oltre 3 milioni di bambini muoiono ogni anno acausa di sottonutrizione e malnutrizione, circa 2 miliardi di individuisoffrono di una o più deficienze mi-cronutritive, accusando la mancanzadi vitamine. Il tutto, mentre la Fao ri-badisce che il cibo prodotto nelmondo è sufficiente per tutti, e lo sa-rebbe addirittura per una dieta di2.770 chilocalorie al giorno. Progres-si reali sono stati fatti nella lotta con-tro la fame (nel 2000 erano 930 mi-lioni le persone che ne soffrivano, se-condo le Nazioni Unite), ma ancoramolta strada resta da fare per rag-giungere quanto previsto, nel 2000entro il 2015, dagli Obiettivi del Mil-lennio fissati in sede Onu.

Urge insomma pensare a un modello di sviluppo rin-novato, efficace e misurabile. Il rapporto di Caritas Euro-pa avanza precise raccomandazioni, rivolte alle istituzio-ni europee, per ottenere politiche sostenibili, trasparentie, soprattutto, efficaci. Sia le raccomandazioni che le con-clusioni finali sono date a seguito dell’esperienza sulcampo delle Caritas nazionali e diocesane, in collabora-zione con i partner locali e le comunitá beneficiarie, intanti paesi del mondo dove i deficit nutrizionali sono an-cora realtà estesa, per esempio Cambogia, Bangladesh,Mauritania, Burkina Faso, Etiopia...

Sfide e indicazioni preciseIl documento cerca di affrontare tutte le dimensioni checondizionano la possibilità di vedere garantito il dirittoal cibo per tutti. Le parole d’ordine del testo sono nutri-zione, resilienza, cambiamento climatico, agricoltura fa-

Anche il parlamentoriconosce la portata

universale e ineludibiledel diritto al cibo.

E così Caritas Europapubblica un agile

ed efficace rapportosulla sicurezza

alimentare, in cuielenca sfide e indirizza

raccomandazioni ai decisori politici

È

livelli. Intanto, il 2015 costituirà un anno prezioso, conle molte occasioni di confronto che offre. La campagnaCaritas “Una sola famiglia umana, cibo per tutti” sarà vi-va almeno ancora per qualche mese, in Europa è l’Annodello sviluppo, Expo sarà una vetrina importante, a set-tembre ci sarà l’assemblea generale delle Nazioni Uniteper definire i prossimi obiettivi sostenibili per lo svilup-po. E a dicembre, a Parigi, è attesa la grande conferenzasul clima, che porterà ad accordi vincolanti per tutti glistati membri.

Resta molta strada da fare. L’Ue con i suoi 28 statimembri è il principale donatore mondiale di aiuti allosviluppo: è necessario che persegua obiettivi ambizio-si, per un’efficace lotta alla povertà, sia al proprio in-terno che ovunque, nel mondo. Girare la testa dall’altraparte non può più essere considerata un’opzione, pernessuno.

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Attenzione personaleSono tornata più volte in Ucraina e mihanno sempre più colpita gli occhi diquesti piccoli. Non dimenticherò maila prima visita in un istituto, nella zonaoggi teatro di combattimenti, a sud-estdel paese. Era un po’ fuori dall’abitato,in una strada intitolata senza troppafantasia “via Scuola”. C’era un orto, do-ve ogni bambino era responsabile di unfazzoletto di terra, che doveva coltivarecon il freddo che tagliava le manine; uncampo-giochi; un edificio adibito adormitorio, uno a scuola, un altro de-stinato ai piccoli fino a tre anni, che ipiù grandi contribuivano a curare. Intutto, ospitava 150 minori.

Scesa dall’auto con la mia inter-prete, siamo state circondate. Era evi-dente che non ricevevano molte visi-te ed io era chiaramente una stranie-ra, forse in cerca di un bambino daadottare e da portare via. Ancora oggi,ho i brividi: i loro occhi chiedevanoattenzione personale, speravano…

Nel piazzale, ogni classe aveva unabicicletta sgangherata a disposizione.Un bambino faceva un giro, poi scen-deva e la passava al compagno di clas-se. Non più di un giro, o non sarebberoriusciti tutti a fare una piccola corsa.

Negli istituti per l’infanzia abbando-nata, i bambini chiamano “mamma”le insegnanti. Le strutture possono es-sere più o meno organizzate, qualcunaè più preparata all’accoglienza, moltesono fatiscenti, ma quello che mancadavvero ai piccoli mendicanti di affettoè un interesse personale. «Cosa tiaspetti di trovare in Italia?», è stato do-mandato ad un bambino ucraino arri-vato con una delle tante associazioniche propongono piccole vacanze “dirisanamento” (si chiamano così, daitempi di Cernobyl). «Una mamma “ve-ra”», è stata la risposta.

Intanto, l’euforia per l’offensiva an-ti-russa nell’est è svanita e ora si con-tano le bare dei giovani soldati man-dati a combattere le milizie russofone.Secondo molti ucraini, queste ultimesarebbero rafforzate da mercenarirussi e dai giovani soldati dei qualil’associazione delle mamme dei mili-tari russi dice che non si hanno piùnotizie da tempo. “Volontari” e in re-altà coscritti, come quelli che combat-terono contro la ribellione indipen-dentista e islamista in Cecenia.

Ma gli effetti del conflitto si fannosentire anche in altri settori. Con l’ar-

rivo del “generale inverno”, le tempe-rature ampiamente sotto zero e le dif-ficoltà “di dialogo” con i vicini russihanno imposto un rafforzamentodell’autonomia energetica dell’Ucrai-na: sono partite le forniture di gas dal-la Slovacchia tramite il reverse flow,ossia con gas russo venduto all’Euro-pa e poi reindirizzato in senso inversoall’Ucraina.

Con il freddo, d’altronde, in Ucrai-na non si scherza. Il gelo artico “sor-prende” nella notte le persone ubria-che ed è responsabile di tante morti.Molti dei bambini ricoverati negli or-fanotrofi non hanno più visto rien-trare a casa i loro padri, morti cosìper strada. Le donne, più intrapren-denti, scelgono spesso la via del-l’emigrazione, in cerca di lavoro e dimigliore fortuna. I figli, se va bene,vengono lasciati ai nonni, altrimentidiventano “orfani bianchi” negli isti-tuti, dove riempiono stanzoni spoglie disadorni, imparano a non averescrupoli, a cavarsela secondo il mot-to spietato “mors tua, vita mea”. Di-venteranno adulti duri, con un’ama-rezza nel cuore inconsolabile.

MITI DI IERI, POVERTÀ DI OGGIDistribuzione di acqua potabile a sfollati

nell’est del paese da parte di CaritasUcraina. Sopra, l’istituto Osipienko, unorfanotrofio. A destra, sfollati nell’est.

Sotto, statua di Lenin a Gulay Pole

L’impegno Caritas

In Ucraina, la rete Caritas è attivamente impegnata a favoredelle vittime dei conflitti in corso da un anno. Caritas Ucraina, tramite il sostegno della rete delle Caritas europee e di Caritas Italiana, conduceattività in cinque aree prioritarie: l’assistenza medica, sociale e materialea favore delle vittime delle proteste di Maidan e dei loro familiari; il trat-tamento medico e la fisioterapia-riabilitazione dei feriti durante le prote-ste e gli scontri avvenuti nell’est del paese; l’assistenza psicoterapeuticaalle vittime delle proteste, ai loro familiari e ai testimoni; l’assistenza ai profughi e agli sfollati interni provenienti da Crimea e Ucraina orienta-le; l’assistenza alle vittime della crisi umanitaria nelle regioni dell’est.

Al lavoro per vittime e profughi

Secondo fonti Unicef, un milione di sfollatiha dovuto abbandonare la propria casa;un terzo degli sfollati sono minori. A causa

della guerra, 147 scuole chiuse e lezioniinterrotte per almeno 50 mila bambini

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internazionale ucraina

il referendum: ma per la prima volta,dopo la guerra nei Balcani, in Europasono cambiate le frontiere.

Le scuole sotto tiroNegoziati e accordi successivi per ilcessate il fuoco non sono serviti a evi-tare oltre 4 mila morti e numerose vit-time civili. E poi ospedali distrutti o so-vraffollati, mercato nero dei farmaci,un numero sempre maggiore di fami-glie che, dalle zone distrutte dell’est, sispostano a Kiev, in cerca di cure e rifu-gio. Fonti Unicef rivelano che un mi-lione di sfollati ha dovuto abbandona-re la propria casa e che un terzo deglisfollati sono minori. La guerra ha cau-sato, dal 1 settembre a oggi, la chiusuradi 147 scuole (cannoneggiate, danneg-giate, distrutte) e l’interruzione dellelezioni per almeno 50 mila bambininella provincia di Donetsk, epicentrodei combattimenti. Molti istituti sonostati lesionati e altri sono chiusi perproblemi di sicurezza; per i bambinisfollati, le possibilità di essere integratinel sistema scolastico delle comunitàche li ospitano sono limitate, ancheperché i genitori (che si aspettano didoversi nuovamente spostare, oppuresperano di tornare a casa) tendono anon iscriverli.

gliaia di persone. Una crisi degenera-ta in una guerra civile, che si combat-te alle porte d’Europa. Tutto è partitoa fine 2013: innescate dopo il rinviodell’accordo di associazione conl’Unione europea, a febbraio le pro-teste di piazza a Kiev si fecero violen-te. Iniziò la “rivoluzione di Maidan”,culminata – sempre a febbraio – nellafuga del presidente della repubblica,Viktor Yanukovyc, e nella liberazionedell’ex eroina della rivoluzione aran-cione del 2004, Yulia Tymoshenko.

A quel punto il paese si è scopertopiù che mai spaccato tra filo-europei efilo-russi. La decisione del nuovo par-lamento di abolire l’uso della linguarussa, in particolare, ha fatto esploderela polveriera. Il 3 marzo, centinaia dimanifestanti filo-russi hanno occupatoi palazzi del potere in diverse città delDonbass. Il 16 marzo, in una regionepresidiata dalle truppe di Mosca, laCrimea, si è votato per l’unificazionecon la Russia. La comunità internazio-nale, balbettando, non ha riconosciuto

messi in ginocchio dalla crisi. La reces-sione ha cambiato le nostre economiedi mercato e abitudini di vita, mentrei paesi già in sofferenza arrancano, incerca di soluzioni di sopravvivenza.

Spaccato più che maiPerestrojka e glasnost furono, negli an-ni Ottanta, le due parole nelle quali sicondensò il progetto politico di “rin-novamento e trasparenza”, intrapresoda Mikhail Gorbaciov per l’adegua-mento della società sovietica, totalita-ria e collettivistica, ai capisaldi liberalidelle moderne democrazie occidenta-li. Fino al crollo del Muro di Berlino, inUcraina (come in tutta l’Unione) lostato aveva provveduto ai cittadini dal-la culla alla tomba. Poi, senza più unadirezione centrale della cosa pubblicae una dirigenza amministrativa capa-ce e responsabile, la situazione è de-flagrata. La corruzione è dilagata findalle più alte cariche del paese e le fa-miglie sono finite in miseria. A farne lespese, soprattutto i più piccoli e debo-li, minori e anziani in primis.

Il paese più esteso d’Europa è oggidiviso dalle diverse aspirazioni dellesue parti orientale e occidentale. Percomprendere, bisogna fare un passoindietro nella storia recente. E risalirealla collettivizzazione forzata delleterre, voluta da Stalin, che tra il 1929e il 1933 provocò la morte per fame diquattro milioni di persone: Holodo-mor, il “genocidio ucraino”, si ricordaoggi, ogni anno, il quarto sabato dinovembre. Forse per questo, fra il1941 e il 1944, trentamila ucraini si ar-ruolarono nelle SS naziste, in funzio-ne antibolscevica e antirussa. Nel pe-riodo sovietico, inoltre, il grande svi-luppo industriale premiò soprattuttoil bacino carbonifero del Donbass eciò spostò l’equilibrio economicodell’Ucraina a favore delle aree orien-tali e russofone.

Oggi, proprio in quell’area, unconflitto fratricida sta uccidendo mi-

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cittadina per assistere a un impor-tante incontro tra leader religiosi. Nelquartiere Nyean Kpama II l’incontrosi svolge nel quadro di un’iniziativaavviata da Catholic Relief Service(Crs) e Ocph, in collaborazione conCaritas Italiana. È in quartieri comequesto che ogni giorno vivono fiancoa fianco musulmani, cristiani, animi-sti, nonché le etnie Konianké, Malin-ké, Peulh, Soussou, Toma, Guerzé(Kpèlè), Manon, Kissien, cui si ag-giungono i rifugiati da Liberia, SierraLeone, Costa d’Avorio, Mali.

Tribunale dei saggiSvoltato l’angolo, numerosi moto-taxisono parcheggiati all’ombra degli al-beri ove corrono bambini scalzi, vesti-ti di stracci, accanto a polli, capretti,roditori chiusi in gabbia, gruppi didonne che parlano, uomini appoggia-ti alle selle dei motocicli, avvolti in unagrande nube di polvere rossa che vol-teggia nell’aria. Al centro del grandecortile, sotto un antico albero di man-

testi e foto di Michele Pasquale

internazionale guinea

Convivenzasotto

In un territorio della Guinea forestale,da dove è partital’epidemia di Ebola,l’anno scorso siscatenò un sanguinosoconflitto nato per questioni banali, poi divenuto etnico e religioso. Ora i leadercercano percorsi di riconciliazione:all’ombra della tradizione

ome possono convivere quat-tro religioni, undici lingue ealtrettante etnie in pochi chi-lometri quadrati? Guinea Co-nakry, «terra ricchissima, po-

polata da una popolazione maledet-ta», intona un proverbio locale.N’Zérékoré (Nze), cittadina della re-gione forestale, è sunto di questocomplesso nodo di convivenze, scon-tri e ricerca di soluzioni. La “maledi-zione” che affliggerebbe tale territo-rio, ricchissimo di risorse naturali fa-gocitate dalle multinazionali chelasciano la popolazione in una im-mutabile, estrema povertà, è non soloavvalorata dal fatto che da qui ha avu-to origine l’epidemia di Ebola che staallarmando l’intero pianeta, ma risie-de appunto in questo groviglio. Soloapparentemente inestricabile.

Con un traballante fuoristrada diOcph (Organisation catholique pourla promotion humaine) raggiungia-mo, attraverso una dissestata pista diterra rossa battuta, la periferia della

CARBRE À PALABRESNel territorio di N’Zérékorégli incontri tra capi religiosie popolazione si svolgonoall’ombra di un antico alberodi mango, dove per tradizionevengono affrontatele dispute comunitarie

l’albero

LIBIA, PAESE DEFLAGRATOL’INDIFFERENZA NON SERVE

di non ben chiara natura. Insomma,si è ancora sull’orlo del baratro: lepossibilità di una nuova guerra civilesono tutt’altro che teoriche.

Coinvolgere le dodici tribùInutile dire che non manca chi pensache, se questa è la democrazia, erameglio “prima”, quando la Libiaesportava un milione e mezzo di ba-rili di petrolio al giorno, mentre ora siè a 250 mila. O quando, nonostantela dittatura, il reddito dei libici era frai più alti del mondo arabo e i proventidel petrolio rendevano praticamenteinesistenti le tasse e garantivano unwelfare di tutto rispetto.

La società libica ha una forte tra-dizione tribale. La tribù, o per esserepiù precisi la kabila, ha permesso lavita per secoli, in un territorio deser-tico ostile, come è la maggior partedi quello libico. Si tratta di uno stret-to legame parentale, che viene primadi ogni affiliazione politica. E chenon solo non si regge, ma non puòreggersi sulle regole occidentali dellademocrazia.

Non per questo si devono accetta-re i regimi autoritari, che non rispettano i diritti civili. Es-si, però, sono stati sostenuti o tollerati per decenni, per-ché garantivano petrolio e business. C’è da chiedersi se ipaesi che, a partire dal 2011, hanno contribuito alla tra-vagliata transizione in Libia (fonte di un cumulo di sof-ferenze per la popolazione, soprattutto perché lo statonon funziona più), non dovrebbero avvertire l’obbligomorale di mettere in opera tutto quanto è necessario perriportare la pace nel paese. Perché – in concreto – nontentare di mettere attorno a un tavolo, sotto l’egidadell’Onu, tutti i protagonisti del complesso quadro?Compresi stati fiancheggiatori, e soprattutto i capi delletribù (le più importanti sono dodici)? Forse, per renderepossibile e fruttuoso tale tentativo, sarà necessario di-spiegare un corpo di peace keeping, non un altro inter-vento militare. Quello che è sicuro, è che l’indifferenzanon produce effetti.

I l 2014 è stato senza dubbio un anno terribile per il MedioOriente, con il riacutizzarsi della crisi a Gaza, il peggioramentodel già grave conflitto in Siria, l’apparizione (tra Iraq e Siria)

dello Stato Islamico... Eppure solo tre anni fa, all’inizio del 2011, ilNord Africa aveva dato speranze di novità per l’intero mondo arabo,con la cosiddetta “primavera araba”, e le prime rivolte contro i po-teri autoritari in Tunisia, Egitto e Libia. Si era diffusa l’idea che ilcambiamento fosse possibile, anzi inevitabile. Idea manifestatasianche in Bahrein, Yemen, nella stessa Siria.

Tranne che in Tunisia, quasi ovunque, e con modalità diverse, laprotesta aveva provocato repressioniviolente. Sfociate, in alcuni casi, in unbrutale conflitto civile. È il caso dellaLibia, allora governata dal dittatoreGheddafi, oggi sprofondata in un caoscompleto, ma praticamente ignoratodalla stampa. La Libia è stato l’unicopaese arabo in rivolta dove la Nato hadeciso di intervenire, in seguito allareazione del dittatore alle protestescoppiate a Bengasi, città rivale dellacapitale Tripoli. L’intervento militare,spinto da Francia e Gran Bretagna,ha però avuto la conseguenza para-dossale di innescare una conflittuali-tà senza precedenti nella storia recente del paese.

Dal 1951, anno dell’indipendenza, al 2011 non si erainfatti mai vista una situazione di guerra come l’attuale,di tutti contro tutti: tra Tripoli e Bengasi, tra Misurata eSirte, fra Yefren e Zenten, e si potrebbe continuare. Miliziearmate dominano nel paese e reclutano su base tribale;raggiungono, secondo alcuni analisti, i 120 mila affiliati(in un paese di 6 milioni di abitanti). I partiti islamisti (tracui il radicale Ansar al Shari’a) sono divisi fra loro; i “lai-ci”, con le due figure di Khalifa Haftar e Mahmoud Jibril,si contendono la leadership. Nella città di Derna il gruppoAnsar al-Sharia ha proclamato la nascita di un califfatosulla scia dell’Is iracheno.

A completare (forse) il quadro, il fatto che il nuovo par-lamento, eletto il 4 agosto 2014 e installato a Tobruk, ècontestato da molte fazioni: ammettendo la propria im-potenza, ha fatto appello a un intervento internazionale

Dopo l’intervento Natodel 2011, nel paese

nordafricanolo stato non funziona più.E lo spettro della guerra

civile è sempre vivo.Dominano le milizie

armate. Il crollo dellaproduzione di petrolio

diffonde povertà. Perché non pensarea un tavolo di pace?

mercatidiguerradi Silvio Tessari

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Le noci dei cuginiLe assemblee dell’Arbre si innestano inuna quotidianità fatta di incontri,scontri e rivalità, costituendo un’avan-zata iniziativa di risoluzione dei con-flitti. Altra pratica ripresa dalla tradi-zione è quella denominata Cousin àPlaisanterie: la soluzione di un proble-ma viene affidata alla mediazione dicugini che, presentando simbolica-mente delle noci di cola, ricordanol’importanza dell’alleanza famigliareche unisce le parti. Appellarsi a quel le-game è sufficiente per considerare unproblema molto grave risolvibile inquanto passeggero, “terreno”, pen-sando a “ciò che verrà” e lasciandosialle spalle ogni rancore.

La valorizzazione di metodi “tradi-zionali” è una strategia pragmatica,che poggia su una quotidianità vissu-ta per le strade, nelle baracche di le-gno che fungono da negozidi scatolame, pesce e uovagrigliate sul carbone, e nelgrande mercato locale. È so-prattutto in quest’ultimoluogo che la convivenza di-viene complessa: esso èsimbolo dell’incontro e del-la contrattazione, ma è an-che luogo in cui emergonodifferenze, motivi di scon-tro, una sorta di palcosceni-co in cui si svolgono le “pro-ve generali” di una difficile

convivenza in un territorio segnatoda presenze tanto eterogenee.

«Il sentimento di superiorità Peuhl,parte etnica maggioritaria, è una scin-tilla che può accendere un focolaio –commenta l’abbé Henri Loua –, ilquale sarà seguito da rappresaglie,vendette, regolamenti di conti». Inol-tre, il secco rifiuto opposto dalla Gui-nea all’ingerenza coloniale si è tramu-tato oggi in diffidenza verso tutto ciòche è “occidentale”, “bianco” e dun-que “ricco”, “ingannevole”, “stranie-ro”: ciò è causa di una grande difficol-tà nel creare rapporti lavorativi e per-sonali sul campo. E così altre forme diipocrisia e menzogna, altre incrosta-zioni negative (sentimenti di superio-rità, conflitti irrisolti) guastano le re-lazioni personali e sociali: la societàguineana ha estremo bisogno di attin-gere dalla sua tradizione vie pratica-

bili di mediazione e purificazione.Sulla via del ritorno, le bancarelle

del mercato, ancora affollato all’oradel tramonto, suggeriscono riflessioniutili e fruttuose, preziose chiavi di let-tura. Abbé Henry Loua osserva che«non tutti possono essere cristiani omusulmani. Comprenderlo è questio-ne di cultura personale. Ci vuole fles-sibilità nel capire che non tutti abbia-mo la stessa formazione. Per me è giàun grande passo riunirsi e lavorare in-sieme». Quanto alle possibili soluzionidi conflitti “micro” che possono sfo-ciare in violenze “macro”, il sacerdoteritiene che «anche dire poche sempli-ci parole, “mi dispiace”, è un inizio.Può essere una grossa occasione perricominciare. Non ci sono errori chenon si possono regolare, aggiustare.Tutte le parti in gioco, dalla scuola allachiesa alle autorità al quartiere, devo-no però essere implicate».

L’impressione generale che emer-ge è una reale volontà di provarci, difare un piccolo, grande passo, cheforse darà avvio a cambiamenti deci-sivi. Il rischio che attività simili, in zo-ne di conflitto, siano condannate aun fallimento che potrebbe produrreulteriori divisioni, è evidente. Ma leparole del giovane imam sono un ri-tornello che incoraggia a non diser-tare la strada del cambiamento: «Oc-corre dire la verità, occorre cercare laverità. E io lo voglio per primo».

DIALOGO ALL’OMBRAL’intervento di un interprete

linguistico, mediatore tra imolti idiomi della regione.Sopra e a destra, le mani

raccolte in preghiera di unanziano imam. Sotto,

un giovane imam e il piùanziano prete cattolicosiedono e collaborano

fianco a fianco

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go, decine di persone sono pronte a di-scutere, a cercare una soluzione agliscontri avvenuti negli mesi precedenti,nella speranza che non si ripetano. Sichiama Arbre à Palabres, l’“Albero del-le discussioni”: una riunione finalizza-ta a risolvere un conflitto interno allacomunità, una tavola rotonda mirataa far emergere una decisione per mez-zo di un’assemblea di “saggi”.

Nella notte tra il 14 e 15 luglio 2013(e giorni seguenti), un presunto ten-tativo di furto in una stazione di rifor-nimento a Koulé, sotto-prefettura si-tuata a 40 km da Nze, aveva portatoall’uccisione del sospetto ladro, di et-nia konianké, da parte del proprieta-rio della stazione, di etnia kpèlè. Lapopolazione konianké ha reagito agliavvenimenti bruciando la pompa dibenzina e rovinando l’attività del so-spetto omicida. Ciò ha innescato unaspirale di violenza, che si è presto tra-sformata in scontro religioso, con se-guente messa al rogo di templi, chiese

e moschee. Dati locali parlano di 95morti e ben 3.658 rifugiati.

I fatti restano da chiarire, i colpevolida individuare. Ma necessari sonocertamente interventi rapidi, per evi-tare ulteriori stragi. Cominciando dauna puntuale, non parziale ricostru-zione di quanto accaduto, per indica-re vie di riconciliazione. E dai terribiliricordi di quegli avvenimenti, narratida diversi cittadini: spesso si preferi-sce il silenzio, ma esso è rotto da par-ticolari che fanno breccia, rendendochiara la portata della tragedia. Inoltreci si interroga: come è possibile cheun regolamento di conti tra individuidi diverse etnie sia divenuto una que-stione religiosa che ha coinvolto leistituzioni politiche?

Strategie, collaborazioni e soluzioninon possono che passare attraverso lamediazione dei locali, influenti capireligiosi. La proposta di dialogare fian-co a fianco, andando oltre le differen-ze religiose, etniche, storiche e politi-

Cruenti scontri, per ragioni da accertare,tra comunità di etnia kpèlè e konianké.Strategie, collaborazioni e soluzioni non

possono che essere affidate alle mediazionidei locali, assai influenti capi religiosi

che, nasce da un prete cattolico, abbéHenry Loua, un iman musulmano, ElHadj Ibrahima Sacko, un pastore pro-testante, pasteur Maurice Zogbele-mou. A queste figure si aggiungonoun mediatore culturale, Cécé FulbertZogbelemou, incaricato di presentaremetodi di prevenzione e risoluzionepacifica dei conflitti, e il responsabiledel progetto Ocph, Paquile Robert; in-fine, un traduttore locale, fulcro dellacomunicazione tra i partecipanti. Loscopo dell’Arbre è dare un “buonesempio”, andandosi a sostituire alleistituzioni ritenute assenti, corrotte,disinteressate: «Dove sono i politiciora?», ripetono in coro i cittadini.

L’idea alla base dell’Arbre in fondoè semplice: riprendere i tribunali tra-dizionali presieduti dagli anziani deivillaggi, per risolvere le diatribe villa-geoises utilizzando il dialogo comepotente mezzo risolutivo. Parallela aquest’opera sul territorio, vengonotrasmessi programmi radiofonici e te-levisivi dedicati, che trasmettono nu-meri di telefono ai quali il pubblicopuò inviare la propria opinione. Im-portante, inoltre, è la formazione dicento “ambasciatori di pace”, prontia gestire situazioni di conflitto.

L’AFRICA COL GREMBIULEOGGI GUARDA A ORIENTE

contrappuntodi Giulio Albanese

Capo, nel luogo dove ora sorge, perironia della sorte, il parlamento suda-fricano (che peraltro continua a ospi-tare, come cimelio per i posteri, iltempio originario), il GoedehoopTempel, realtà fortemente egemone,che ha annoverato nelle sue fila CecilJohn Rhodes, uno dei padri della co-lonia segregazionista, e Ernest e HarryOppenheimer, fondatori della poten-tissima società diamantifera De Beers.

Certo, poi è stata proprio la mas-soneria ad aiutare Nelson Mandelanel garantire il passaggio indolore dalregime dell’apartheid a quello libera-le e democratico. Oggi, d’altronde, lamassoneria sudafricana è potentissi-ma, e annovera alcune decine di mi-gliaia di adepti, molti dei quali espo-nenti di rilievo dell’industria estratti-va mineraria nazionale.

Sul versante francofono, la primaloggia africana massonica venne fon-data a Saint-Louis, in Senegal, dalGodf nel 1781, senza affiliati autocto-ni. Solo dopo molti anni venne con-sentito agli africani delle colonie dientrare nella massoneria, con l’in-tento di salvaguardare la cooperazio-

ne commerciale, soprattutto per quanto concerne losfruttamento delle immense risorse minerarie, come iricchi giacimenti di uranio del Niger.

Oggi in Africa vi sono almeno tre grandi tipologie di mas-soneria. A parte le logge di obbedienza straniera, sono pre-senti anche logge autoctone (come quella del presidente ca-merunese Paul Mbya, il Centro internazionale di ricercheculturali e spirituali, branca dissidente della Società dei RosaCroce), oltre a quelle legate agli ex schiavi delle Americhe chetornarono liberi in Africa dopo l'abolizione dell'ignobile trat-ta. Sia a Monrovia che a Freetown, rispettivamente capitalidi Liberia e Sierra Leone, alcuni edifici pubblici mostranosimboli massonici. Il futuro della massoneria africana è co-munque aperto a nuovi scenari: i propri affiliati, avendo piùvolte accusato i paesi occidentali di ingerenze neo-coloniali(soprattutto in Mali e Repubblica Centrafricana), ora sonoaperti alla cooperazione con la Cina e i paesi arabi.

F orse non tutti sanno che l’ex presidente burkinabé BlaiseCompaoré, recentemente deposto a furor di popolo, è iniziatoal Grande Oriente di Francia (Godf). Non è un caso se il suo

grande sponsor, quando si trattò di rovesciare nel 1987 il carismaticoThomas Sankara, sia stato l’allora presidente francese François Mit-terrand, anche lui massone del Godf. Come se non bastasse, i colle-gamenti tra il regime di Ouagadougou e Parigi sono avvenuti in que-sti anni grazie a personaggi come il socialista Guy Penne, dal 1981al 1986 o, a partire dal 1995, il gollista Fernand Wibaux: entrambimembri di spicco del Godf, hanno rivestito la carica di consiglieripresidenziali per gli affari africanidell’Eliseo.

E allora non sorprende se il Com-paoré di cui sopra, mentre scrivia-mo, nonostante abbia commessocrimini a non finire nei suoi 27 annidi potere assoluto, si stia godendo,allegramente, un esilio dorato a Ya-moussoukro, in Costa d’Avorio, doveè stato accolto con tutti gli onori. Ac-compagnato da uno stuolo di fami-liari e collaboratori, nella residenzaa cinque stelle del presidente ivoria-no massone Alassane Ouattara, oggiCompaoré si sente protetto e tutela-to dalla propria loggia di appartenenza.

Una cosa è certa: la stragrande maggioranza dei leaderpolitici africani, defunti e viventi, è legata alla massone-ria. Basti pensare all’ex presidente gabonese Omar Bongo(gran maestro della Grande loggia simbolica) o a suo fi-glio Ali Bongo, per non parlare del ciadiano Idriss Déby odell’ex presidente congolese Pascal Lissouba. E anche l’expresidente centrafricano François Bozizé (costretto al-l’esilio) è un massone, pare iniziato dal suo omologo con-golese Denis Sassou Nguesso, per accedere nella poten-tissima Grande loggia nazionale francese (Glnf).

Salvaguardare la cooperazioneLa massoneria, in Africa, rappresenta il collante tra colo-nialismo e neocolonialismo. Tornando indietro con la mo-viola della storia, è bene ricordare che la prima loggia nelcontinente risale al 1772, quando venne fondata a Città del

L’esilio dorato del tiranno deposto.

L’affiliazione dei padridell’apartheid, ma

anche l’aiuto a Mandelanella fase di transizione.E l’interesse per risorsenaturali e minerarie…

La massoneria ha segnato la storia

del continente. E continua a farlo

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internazionale guinea

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La crisi si pagherà a lungo: la sicurezzaalimentare preoccupa in modo prioritariogli operatori umanitari; il sistema sanitario,

già fragilissimo, è duramente colpito, per le molte vittime tra medici e infermieri

in quando ci sarà anche un so-lo nuovo caso di ebola, ci saràemergenza». Il dottor TimothyFlanigan, medico e professorestatunitense, esperto in malat-

tie infettive e volontario nell’emergen-za ebola in Liberia, riassume in manie-ra lapidaria, ma alquanto efficace, ilsenso del dramma (sanitario, sociale,umano) che da mesi sconvolge diversipaesi dell’Africa occidentale.

Nonostante per la maggior parte deimezzi di comunicazione internazionaliebola non sia più una notizia da primapagina, l’emergenza infatti continua.La Guinea è il paese, tra i tre più colpiti– Liberia e Sierra Leone gli altri due –,con il minor numero di casi (comun-que più di 2.300, con più di 1.400 deces-si) e in cui sembra che la situazione stialentamente ma progressivamente mi-gliorando. Ma non ci sono certezzesull’evoluzione, la crisi umanitaria èancora all’apice, i bisogni ingenti. Così,la necessità di continuare a informaree sensibilizzare le popolazioni resta unapreoccupazione prioritaria. «Avere si-stemi di allerta precoce efficaci ed effi-cienti, capaci di raggiungere anche i vil-laggi più piccoli, è la migliore strategiaper combattere la diffusione del virus– spiega il responsabile dei programmidella Caritas nazionale guineana, dot-tor Antoine Dopavogui –; noi stiamolavorando affinché il sistema sia sem-pre più capillare e affidabile».

Se è impossibile illudersi che l’emer-genza stia finendo, è d’altronde certoche popolazioni poverissime paghe-ranno le conseguenze di questa crisi alungo: la sicurezza alimentare preoc-cupa in modo prioritario gli operatoriumanitari; il sistema sanitario, già fra-

«Fgilissimo e duramente colpito dalla cri-si (molte le vittime tra medici e infer-mieri), necessita di interventi struttu-rali ingenti e sul lungo periodo; la sen-sibilizzazione non può arrestarsi, madeve anzi continuare sin nelle aree piùremote, perché ci sia maggiore consa-pevolezza e accettazione di una realtàinizialmente rifiutata.

Proprio in questo settore i leader re-ligiosi, come quelli che partecipano alpercorso di riconciliazione Arbre à pa-labres, hanno un ruolo fondamentale:«Una loro parola vale molto per le co-munità – dice padre Matthieu Loua,segretario generale di Caritas Guinea –ed è per questo che un loro coinvolgi-mento è fondamentale nel raggiunge-re le popolazioni, insieme a quello deinumerosi animatori locali che abbia-mo dispiegato sul terreno». In partico-lare in Guinea, l’attività d’informazio-ne sin nelle aree rurali e più difficili daraggiungere è un fattore chiave percombattere l’epidemia: proprio nellaregione forestale, infatti, vi è stato ilprimo focolaio del virus, prima negato,poi sottovalutato, e proprio qui si sonoverificati i più gravi episodi di protesta,e in alcuni casi violenza, contro gli or-ganismi impegnati nella lotta al virus,

Ebola, emergenza continua:«Antidoti? Informazioni capillari»Nei paesi dell’Africa occidentale l’epidemia non smette di mietere vittimee produrre danni sociali ed economici. Sempre intensa l’azione Caritasdi Moira Monacelli

che hanno provocato anche morti eferiti tra i membri di una delegazionegovernativa.

Il destino degli orfaniD’altronde ci sono ancora diverse zonedel paese in cui si manifestano reticen-ze. «Proprio qui dobbiamo focalizzarela nostra attenzione – afferma il dottorDopavogui –. In un paese che vive nel-l’instabilità politica, su equilibri moltoprecari, in una situazione sociale ditensione e di forte rivalità tra gruppi et-nici, che non raramente degenera inconflitti locali, le risposte devono tene-re conto di un contesto politico, socia-le, economico e culturale peculiare».

Bisogna inoltre pensare al futuro.«Preoccupa, in particolare, il destinodei minori, alcuni dei quali rimasti or-fani a causa del virus – sottolinea padreLoua –. Va programmata un’assistenzanel breve e lungo termine per gli orfani,specialmente per chi vive le situazionidi più grave difficoltà, e fare in modoche le scuole, oggi chiuse, possano ria-prire al più presto». Perché, quandoebola sarà superato, non si continui amorire d’ignoranza e d’ingiustizia.

Caritas Italiana è al fianco dellechiese locali sin dagli inizi della crisi.All’interno della rete internazionaleCaritas, da subito ha affiancato le Ca-ritas locali nella risposta all’emergenzae ha sostenuto azioni a beneficio dellapopolazione: in particolare, iniziatived’informazione e sensibilizzazione, di-stribuzione di kit igienico-sanitari, as-sistenza alimentare alle famiglie inquarantena, assistenza agli orfani, sup-porto alle strutture sanitarie cattoliche.

In una seconda fase d’intervento si èintensificato l’impegno negli stessi set-tori, grazie a un progetto coordinato daCaritas Italiana, svolto in collaborazio-ne con molteplici organismi della chie-sa italiana impegnati nella risposta aEbola e sostenuto da un contributo del-la Conferenza episcopale italiana.

NO ALLA FAME,

L’iniziativa “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compitonostro” nel 2014 ha realizzato, grazie all’impegno di 32 aderenti e 16 snodi territoriali, un centinaio di eventi. Ora si preparaall’esposizione di Milano, per avanzare proposte all’Onu

A un anno dal suo lancio ufficiale, la campagna italiana “Unasola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” trac-cia un bilancio delle attività svolte e propone percorsi per il

2015. Ben 32 organismi, associazioni, movimenti e media cattoliciitaliani si sono uniti nell’iniziativa, e 16 “snodi” territoriali si sonoattivati per diffonderne i tre temi portanti (diritto al cibo, una fi-nanza a servizio dell’uomo, relazioni di pace): nei territori, oltre aorganismi (tra cui molte Caritas diocesane), associazioni e ong, an-che scuole, parrocchie, province, comuni, università e cooperativesi sono resi protagonisti di iniziative per sviluppare conoscenza ecoscienza.

Sono stati organizzati un centinaio di eventi: seminari, confe-renze, convegni e percorsi didattici, corsi di formazione e labora-tori, eventi pubblici, veglie di preghiera, cineforum e mostre foto-grafiche. E poi ci sono stati segni concreti di condivisone: cene econcerti, microprogetti di sviluppo, percorsi di mutuo-aiuto, ortiurbani e campi estivi. Ai materiali della campagna si sono aggiuntistrumenti di sensibilizzazione prodotti nei territori (minivideo,pubblicazioni, dossier, opuscoli, piccolo gadget).

Questa ricchezza di alleanze e impegni non intende fermarsi. Il2015 si presenta con un’agenda ricca di appuntamenti internazio-nali di grande significato per la lotta contro l’ingiustizia della fame.Il cammino continua, in vista anzitutto dell’Expo di Milano; inquella sede la campagna, oltre a presentare i risultati conseguiti,

avanzerà richieste politiche in vista dell’Assem-blea generale Onu di settembre. A tale scopo, il22 aprile, Giornata mondiale della terra, le real-tà aderenti alla campagna organizzeranno a Ro-ma un evento-seminario, per mettere a puntoazioni e richieste comuni.

di Roberta Dragonetti

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IN CAMPAGNAVERSO L’EXPO

Un annodi mobilitazionein trenta città

L’articolata mobilitazione promos-sa dalla campagna ha toccatouna trentina di città italiane (in ordine alfabetico): Andria, Cagliari, Caltanissetta, Città di Castello, Como, Cosenza, Cuneo, Faenza, Fano, Firenze, Forlì, Genova, Grosseto, Gubbio,Lanciano, Lecco, Loreto, Lodi, Lucca, Milano, Oristano, PortoSan Giorgio, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Roma, Savona,Sorrento, Torino, Ventimiglia-Sanremo, Verona, Viareggio.Per conoscere l’elenco di soggettipromotori (tra cui Caritas Italiana),aderenti e media partner, oltre ai contenuti e alle proposte della campagna: www.cibopertutti.it

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panoramamondo

ultimi nelle comunità locali e in collaborazione con quantihanno a cuore la costruzione di un mondo aperto all’intercul-turalità, al dialogo interreligiosoe al reciproco arricchi- mento”.

In questa direzione va anchela mobilitazione a favore dellevittime della tremenda strage di civili realizzata in Nigeria tra il 3 e il 7 dai miliziani islamisti di Boko Haram. Dal 2009 le vio-lenze di Boko Haram hanno pro-

archivium di Francesco Maria Carloni

Nei giorni 10-13 febbraio 1969, si tenne a Roma il quarto Congresso di studiodella Poa (Pontificia opera assistenza) dal titolo – espressamente richiesto da Papa Paolo VI – “Solidarietà e Carità in un mondo in trasformazione”. Quattrogiorni di lavori videro alternarsi oltre 18 relatori di grande livello ecclesiale e civile, impegnati ad approfondire il tema della carità e della solidarietà a partire dai principi fondativi, per giungere alla lettura della situazione sociale del tempoe alle prospettive ecumeniche. In più, un focus sulla carità nella città di Roma.

Nell’introduzione agli Atti del congresso (edizioni “Caritas”, pagine 327), pub-blicati appena cinque mesi dopo, monsignor Abramo Freschi, presidente dellaPoa dal 1963 fino alla nascita di Caritas Italiana, cosi scrive in riferimento ai po-veri: «Apriamo l’orecchio del cuore a questo coro possente, fraternizzando conogni voce, che è persona viva, che è massa umana, fino a renderci in questo mo-mento vicini a ogni uomo in conoscenza di aspirazioni, di ansie, di idee, di sforzi,di esigenze, di sofferenze, nel grido paolino: chi di voi patisce e io non sono conlui a soffrire? Accoglimento delle molteplici voci, chiamate sag-giamente e autorevolmente segni dei tempi».

Quel congresso ebbe un’importanza storica, nell’ambito ecclesiale, per il coraggio manifestato nell’affrontare il tema e la pratica della carità alla luce dei mutamenti storici. Un fortesegnale premonitore, che determinò, appena due anni dopo, la decisione di papa Paolo VI di chiudere la Pontificia opera assistenza e di istituire Caritas Italiana.

Solidali nel mondo che si trasforma:riflessione Poa, preludio a Caritas

PACE MARCIATAE MINACCIATAEsiti e simbolidel terrore:bandiera francesea lutto e (sotto)miliziani nigeriani di Boko Haram.A destra,i partecipantialla Marciadi Vicenza,al santuariodi Monte Berico

dotto oltre 1,5 milionidi sfollati e profughi e migliaia di vittimeprincipalmente nelnord-est del paese (lo stato del Borno è controllato per il 70%dai miliziani), ma an-che in alcune aree delcentro-nord. Caritas Nigeria, con l’appoggiodi Caritas Italiana e altre Caritas del mon-

do, è da mesi impegnata nell’as-sistenza agli sfollati, con sussidiper l’acquisto di cibo, assisten-za medica alle persone ferite, supporto psicosociale attraversogruppi di auto-aiuto per facilitareil superamento dei traumi.

PACEMille in marciaa Vicenza controle schiavitù chegenerano violenza

Oltre mille persone hanno parte-cipato, nel pomeriggio e nellanotte del 31 dicembre, alla 47ªMarcia per la pace, svoltasi a Vicenza su iniziativa dell’Ufficionazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, Caritas Italia-na, Pax Christi Italia e AzioneCattolica Italiana, insieme alla locale diocesi e al locale comunee all’iniziativa diocesana “Quellidell’ultimo”. L’iniziativa era ispi-rata al tema del messaggio di papa Francesco per la 48ª Gior-nata mondiale della Pace, dal titolo “Non più schiavi, ma fratel-li”: un appello che invita a supe-rare, in tutto il mondo, gli squili-bri e le ingiustizie che generanoe alimentano conflitti. Alla mar-cia di Vicenza, partita dal celebresantuario del Monte Berico, han-no preso parte circa mille perso-ne; la città veneta è stata sceltaperché cent’anni fa aveva iniziola prima guerra mondiale, a lun-go combattuta anche sulle mon-tagne del vicentino, e perché la presenza di basi militari, nelterritorio, è molto significativa.

FRANCIA E NIGERIASolidarietàcon parole e fatti alle vittimedel terrorismo

“Il terrore non avrà l’ultima paro-la”. È il titolo della nota che Secours Catholique – CaritasFrance (insieme a Ccvfd – Terresolidaire e al Secours Islami-que) ha diffuso il 7 gennaio, subito dopo l’attentato alla re-dazione del giornale pariginoCharlie Hebdo. Caritas Italianaha espresso vicinanza al Se-cours Catholique e per suo tramite alle famiglie delle vitti-me e a tutta la popolazione locale, con un messaggio in cuisi ribadisce che “la fraternità è l’unico antidoto alla barbarie e la solidarietà è più forte dellaviolenza”, e che occorre “prose-guire e intensificare l’impegnoin tutto il mondo a servizio degli

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LASTORIASono tre anniche non vadopiù a scuola.

La vita,nel “bairro”,

è difficile, moltodifficile. Qui ogni

giovane immaginasolo un futurodi stenti. Ma io

ho potuto seguireun corso

di meccanica…

BRASILEDura la vita nel bairroe senza scuola:il corso di meccanicami assicura un futuro

Mi chiamoHenrique

e vivo con la mia famiglia nel bairro di Miguel Couto, situato nell’area metropolitanadi Rio de Janeiro. Ho 16 anni e 5 fratelli, tutti più grandi me.Mio padre fa lavori saltuari, mia madre da due anni lavoracome donna delle pulizie presso una famiglia benestantedi Rio. Si alza la mattina alle 4 e rincasa dopo le 21: così tutti i giorni, domeniche incluse.Sono tre anni che non vado più a scuola. La vita, nel bairro,è difficile, molto difficile.Qui ogni giovane immagina solo un futuro di stenti.

Grazie al consiglio di alcuninostri cugini, la mia vita, nel-l’agosto del 2013, ha però avu-to una svolta positiva. Ho comin-ciato a frequentare la Casa do Menor São Miguel Arcanjo,che da circa 27 anni si adope raper dare un futuro ai giovani e agli adulti delle periferie di Rio de Janeiro. Ho potuto seguire un corso di meccanicale cui attrezzature (costate4.200 euro, ndr) erano state finanziate da Caritas Italiana.Nel giro di un anno ho appresole basi di un mestiere e ora lavo-ro in un’officina che ripara auto-mobili e ciclomotori. Al momentopercepisco un piccolo salario,ma sono sicuro che con il tempoe l’esperienza potrò permettermiuna vita dignitosa: un futuro non più di stenti.

Grazie a chi mi ha dato fiducia!

> Microprogetto 56/14 BRASILE“Ampliare gli orizzonti”: corso di meccanica per giovani disoccupati

5 Realizzato!

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La Repubblica democratica del Congo, unitamente a Re-pubblica popolare del Congo, Camerun, Uganda dell’est

e Ruanda dell’est, è popolata, lungo la zona tropico-equatoria-le, da tribù pigmee, caratterizzate da bassa statura, colore della pelle marrone chiaro e grande abilità nella danza. Unapiccola tribù, presente nella città di Mungbere, diocesi di Wamba, ai confini con Uganda e Sud Sudan, lavora con i missionariComboniani, per fronteggiare le continue violazioni di diritti e discriminazioni. Il progetto, finanziando il vitto di due scuole e l’acquisto di attrezzature destinate ai laboratori di falegname-ria e meccanica, sosterrà 200 bambini della scuola primaria.

> Costo 4.500 euro> Causale MP 164/14 CONGO R.D.

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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGOI diritti dei pigmei, “danzatori degli dei”

MICROPROGETTO

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

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MICROPROGETTO

MICROPROGETTO

ARGENTINAIn biblioteca, “Una famiglia tira l’altra”

L’ultimo Rapporto sullo sviluppo umano in Argentinaevidenzia che la spesa per l’istruzione, al di sopra

del 6% del Pil, non “produce” reale efficacia educativa per le fasce e i soggetti fragili, né riduzione della disparità di op-portunità. La scuola materna “Horgacito de Belén”, apertadall’arcidiocesi di Mendoza, si trova in piena città: è un pun-to d’incontro tra le famiglie, per favorire il confronto sui temieducativi e sul rendimento scolastico dei bambini. Il micro-progetto finanzia l’acquisto di giochi, video, televisore, video-registratore, un computer e libri per creare una biblioteca,strumento per una significativa attività di aggregazione.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 177/14 ARGENTINA

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MICROPROGETTO

GUATEMALALavoro, per far contare le donne

Il Guatemala ha individuato nell’equa partecipa-zione delle donne al dialogo sociale e alle deci-

sioni politiche una condizione ineludibile per la ridu-zione della povertà e la prevenzione della crisi. Nellacittà di Tacanà, caratterizzata da una massiva povertàfemminile, la parrocchia dell’Assunzione sostiene i diritti e la promozione delle donne. Il progetto consentirà di migliorare le condizioni di vita di circa120 donne (tra i 18 e i 50 anni) e delle rispettive famiglie, grazie all’acquisto di 600 galline ovaiole e a azioni di formazione all’allevamento.

> Costo 4.500 euro> Causale MP 181/14 GUATEMALA

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SENEGALPari opportunità dall’allevamento

Il Senegal, paese caratterizzato dal ruolo fondamentaledella donna nella produzione di cibo, costituisce una

delle regioni del mondo con la più alta percentuale di lavorofemminile. A Ngazobil, cittadina sulla costa atlantica, lo sanno bene le Figlie del Santo Cuore di Maria, il cui centro di accoglienza e formazione ospita ragazze appartenenti a “gruppi atipici”, cui è negato il diritto all’istruzione, e che ne promuove l’inserimento lavorativo. Il progetto, finanziandola ricostruzione di una porcilaia, l’acquisto di venti porcellini e mangime sufficiente per dodici mesi, sostiene un program-ma di formazione triennale teorico-pratica.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 175/14 SENEGAL

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villaggioglobale

stati. Altre risposte destano più di una perplessità su comeviene raccontata la violenza di genere in Italia; unico dato positivo: secondo il 74,8% degliadolescenti la violenza domesti-ca non deve essere sopportatadalle vittime, neanche per il pre-sunto bene dei figli.

Per combattere preconcetti e discriminazioni presenti neipreadolescenti e fornire a inse-gnanti e genitori strumenti edu-cativi efficaci, Terre des Hommesha condotto incontri di sensibiliz-zazione e prevenzione della discriminazione di genere nellescuole secondarie di primo gra-do. Dai corsi è nato il primo ma-nuale per le scuole medie, Di pa-ri passo (Settenove). Sul temadella violenza sui bambini Terredes Hommes ha invece realizza-to cinque pillole in animazione,dal titolo “Mimì Fiore di cactus”.

LIBRIStorie di piante:fonte di cibo, maanche di culturain tutto il mondo

Un “omaggio in sette storie allabiodiversità vegetale che nutre

zoom

RICERCAViolenza di genere,stereotipi da batterecon un libro epillole d’animazione

I risultati di un’indagine per la campagna “Indifesa”, dell’as-sociazione Terre des Hommes,fanno riflettere su come gli ste-reotipi – in questo caso, per quelche riguarda la violenza di gene-re – siano duri a morire. Lo testimoniano le rispostedate da oltre 1.300 studentidelle scuole secondarie superio-ri italiane a un questionario. Piùdel 45% si è detto d’accordo sulfatto che la violenza domesticanon è molto frequente: si tratte-rebbe di casi isolati, spesso ingi-gantiti dai media. Quasi il 70%dei ragazzi intervistati concordasull’affermazione “Se una donnaviene maltrattata continuamentela colpa è sua, perché continuaa vivere con quest’uomo”. Perquasi 4 ragazzi su 10, la violen-za è un fatto “interno alla cop-pia”, in cui nessun altro dovreb-be intromettersi, mentre in ognicaso la gelosia come motivo diuna “punizione fisica” è giustifi-cata da più del 20% degli intervi-

Nell’irreversibile processo di frammentazione degliascolti, la fiction è il genere televisivo che in molti casiriesce ancora a far registrare numeri da “era” pre-digita-le terrestre. È auspicabile, allora, che sempre più spes-so grandi nomi della cinematografia e della regia

si avvicinino alla tv per raccontare il nostro passato e soprattutto il nostro presente. Come fa PupiAvati (nella foto, accanto alla cine-presa), alla sua terza prova per Ra-iuno in poco più di un anno. DopoIl bambino cattivo e Un matrimonio,il regista bolognese torna in que-sto mese di febbraio con Il sole

il pianeta e al ruolo della cultu-ra agronomica e gastronomicanella civiltà”. È il volume Piantecibo del mondo, curato da Mim-ma Pallavicini – una delle piùapprezzate “giornaliste del ver-de” –, pubblicato in occasionedella 14ª edizione di Murabilia-Murainfiore, la mostra mercatodel giardinaggio di qualità, chesi svolge ogni anno a Lucca e che ha tra gli obiettivi quellodi far crescere la consapevolez-za del ruolo del regno vegetalein tutti gli ambiti della vita, a cominciare dall’alimentazione.E infatti le sette storie ci guida-no in un veloce ma non superfi-ciale percorso di comprensionedi quanto alcune piante e i lorofrutti siano davvero parte dellacultura di un luogo, o ancorameglio di quanto in alcuni casiabbiano addirittura contribuitoa determinarla, quella cultura.Si va così dal Messico al Min-danao (Filippine), dall’Argentinaal “viaggio” Sicilia-Sudafrica e ritorno, dalle Alpi al Salento,fino a un breve saggio su un ortaggio diffuso in tutto il pia-neta, la lattuga. Perché le pian-te possono aiutarci ad acquisireuna nuova coscienza culturale.

negli occhi. Al centrodel film, la fuga di unbambino siriano dalsuo paese in guerraalla ricerca della pro-pria famiglia, destina-zione Germania, via Lampedusa. Una storia per farci entrare nella Storia, vista con gli occhi di un bambino e tratteggiata con una sensibilità che può aiutare a riflet-tere sul fenomeno delle migrazioni meglio di tanti Tg.Perché, come ricorda Avati, «Questi esseri umani devonoessere visti come singoli. Non sono una massa». Tra gli interpreti, Laura Morante (nella foto, impegnata sul set) e il piccolo Amor Faidi.

Fiction grandi firme: “Il sole” di Avatipercorre l’odissea dei profughi siriani

NO AIPREGIUDIZIIl logo dell’indaginedi Terre desHommes; sotto, la copertinadel libro diMimma Pallavicini

Stop Slot, una mano gialla dei ragazzi del Beccariascende in campo contro il gioco d’azzardo. I giovani detenuti del carcere minorile di Milano hanno infattiideato e realizzato un logo: si tratta di una vetrofaniadell’impronta di una mano gialla con un foro al centro.Una bella immagine da incollare all’ingresso degli eser-

cizi commercia-li; accanto alla mano gialla che intima lo “Stop”, si nota la scritta: “Questo negozioNON promuove

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Il lavoro sociale nelle dipenden-ze da alcol e droga (EdizioniErickson): l’autore, Valerio Quer-cia, costruisce una guida prati-ca, rivolta agli operatori socialiche si occupano di persone conquesti problemi. Il loro compito,infatti, non è facile. E spesso rischiano di sentirsi soli.

MOSTREGuerra calpestata:l’arte dei tappetidiventa memoriaper la pace

L’allestimento Calpestare la Guerra – finoal 1° marzo allaCasa d’arte futu-rista Depero, a Rovereto (Tn) –è inserito nel-l’ampio program-ma culturaleMart / Grandeguerra 1914-2014, ideato peril centenario del-la prima guerramondiale. Il pro-getto espositivosull’Afghanistanè a cura di Nico-

zoom

LIBRIAlcol e droghe:sostanze,dipendenze e sfidenel lavoro sociale

La cannabis va sempre più dimoda tra gli adolescenti. Gli ulti-mi dati riferiscono che in Italia ungiovane su quattro tra i 15 e i 19anni l’ha usata almeno una voltanell’ultimo anno. Ma ci sono an-che nuove sostanze stupefacentie nuove modalità d’uso. E i mixdroga-alcol, diffusi e preoccupan-ti. Un “mondo” – quello delle dro-ghe e dell’alcol – che non smettedi sedurre adulti e giovani. Com-presi i giovanissimi: c’è chi fumail primo spinello a 12 anni e siubriaca già a 11. Le percentualidi binge drinker (chi beve sei o piùbicchieri di alcolici in un’unica occasione) crescono sempre piùrapidamente, fino a raggiungere i valori massimi tra i giovani di etàcompresa tra i 18 e i 24 anni.

Chi vive queste dipendenzespesso non è facile da avvicina-re. Perché le dipendenze cam-biano, così come le sostanzeutilizzate e le norme che regola-mentano il settore. Da questipunti di partenza è nato il libro

letta Boschiero e Edoardo Mari-no e presenta parte di una del-le maggiori collezioni d’Europadi tappeti di guerra. Il museoospita 50 tappeti di guerra pro-venienti dall’Afghanistan, pro-dotti a partire dal 1979, a se-guito dell’invasione sovietica.Realizzati tradizionalmente daimaestri annodatori, per uso do-mestico, i tappeti rappresenta-no la memoria collettiva e l’ar-te dei diversi gruppi etnici che,disorganicamente, compongo-no la popolazione dell’Afghani-stan. “Calpestare la guerra” è però soprattutto una campa-gna per la pace e i diritti uma-ni, condotta dalla onlusCooperAction attraverso l’orga-nizzazione di mostre, eventi e con la produzione di documen-tari, libri e saggi per la sensibi-lizzazione sulla questione afga-na e il rafforzamento dellacondizione femminile in quelpaese martoriato dalle guerre.Insieme ai tappeti, in mostra a Casa Depero ci sono anche i “fazzoletti della pace”, realiz-zati da donne e bambini: rap-presentano scene della vitaquotidiana di chi vive la guerracome condizione abituale.

il gioco di azzardo”.L’immagine

è insolita e si notasubito, anche perchéil colore giallo richia-ma, non a caso,quello dell’oro. La campagna di cuiè emblema è un’iniziativa lanciata dal comune di Mila-no e fa parte della campagna contro la diffusione del gioco d'azzardo patologica promossa dallo stessocomune, che chiedendo il coinvolgimento degli studentidell’Istituto penale minorile Beccaria ha inteso dareall’iniziativa anche una spiccata valenza culturale.

La mano gialla dei ragazzi del Beccariadalle vetrine dice no al gioco d’azzardo

LA PACESOTTO I PIEDILa copertinadel libro sulledipendenze; sotto,due tappeti dellamostra Calpestarela guerra

IL CARBONE E L’INGLESE,KYAW SA QUELLO CHE VUOLE

generatoridisperanzadi Enrica Hofer volontaria in servizio civile in Tailandia

locale, che ha dovuto lasciare dopo due anni, a causa delle difficoltà economichedella famiglia. Così, a 11 anni Kyaw faceva già due lavori: di mattina venditore diacqua filtrata, di sera netturbino. La sua vita era molto dura, e ciò nonostante nonha mai abbandonato il sogno di studiare, perché sperava in una vita migliore.

Quando i problemi finanziari hanno costretto la famiglia di Kyaw a trasfe-rirsi a Ranong, città tailandese al confine con il Myanmar, dove i salari eranopiù alti, lui e i famigliari hanno iniziato a lavorare in una fabbrica di carbone.Ed è proprio qui che la storia di Kyaw è cambiata drasticamente.

In azienda, infatti, un giorno è diventato amico di un altro ragazzo birmanoche, al contrario di lui, aveva studiato per dieci anni e che si è offerto di insegnarglil’inglese. Kyaw ha preso lezioni per un mese, poi ha continuato da autodidatta,anche se non è stato per nulla facile. Ha acquistato libri e audiolibri; cuffiettenelle orecchie, ascoltava le lezioni di inglese mentre lavorava. All’inizio ripetevale frasi senza capirle e la cosa lo frustrava; poi, lentamente, con l’aiuto di un di-zionario, ha iniziato a imparare i significati. Ha dovuto sopportare i commenti

sprezzanti dei colleghi che ritenevano inutili i suoi sforzi. Ma ha perseverato. E un giorno i suoi sforzi sono stati ripagati.Quando ha incontrato nuovamente il suo insegnante, che gli ha parlato di un learning centre per immigrati birmani,

gestito da un gruppo di missionari maristi, ha deciso di iscriversi ai corsi serali gratuiti di inglese e informatica. Quandoè stato preso nuovamente di mira dagli altri studenti, ha deciso di concentrarsi sul suo sogno. Fino a che, un giorno,ha iniziato a frequentare lezioni di preparazione a un corsodi diploma online in arti umanistiche offerto da un’universitàaustraliana. Nessuno pensava che ce la potesse fare, a partela sua famiglia, che lo ha spronato a provarci. Il ragazzo hasbarrato gli occhi, il giorno in cui ha letto il risultato positivodell’esame.

Oggi è uno studente di questo corso, insegna inglese un pa-io di mattine a settimana e, al contempo, continua a lavorarenella fabbrica di carbone. A breve otterrà un titolo di studioequivalente alla maturità italiana, e pensa al suo futuro. La suasperanza è continuare a studiare a livello universitario, ma nonsolo: sogna di diventare manager aziendale e di lavorare nelsettore dell’istruzione. Per aiutare chi, come lui, vuole studiarema non ha potuto farlo. Con il coraggio e la perseveranza cheha dimostrato, nessuno dubita che possa riuscirci.

Dovette abbandonarela scuola a 7 anni. Poi,da immigrato birmano

in Tailandia, entròin una fabbrica

di carbone. Dovericominciò a studiare.Oggi, a 29 anni, pensa

all’università. E infuturo insegnerà.

Per aiutare bambinicon storie come la sua

pesso nella nostra vita non ci facciamo caso, ma ci sono vicende che per fortuna ce lo rammen-tano: i traguardi si possono tagliare, anche se gli eventi sembrano tutti a nostro sfavore. Lavorandocon gli immigrati birmani in Tailandia, capita quasi ogni giorno di ascoltare storie di povertà e

sofferenza. Ma capita anche molto spesso di incontrare persone forti e determinate che, malgrado ledifficoltà della vita, non abbandonano i propri obiettivi.

Tra loro c’è Kyaw Naing, un sorridente 29enne birmano immigrato in Tailandia, che incontro ogni gior-no tra i corridoi del Marist Mission Ranong, il centro educativo in cui presto servizio civile. Coraggio eperseveranza: è la formula che ha portato Kyaw Naing a cambiare vita. Nato in un pacifico e povero vil-laggio di montagna del Myanmar, a 5 anni Kyaw ha iniziato a frequentare la piccola scuola elementare

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Viaggi sentimentali e analisi politicheper aiutare a fare luce sulle foibe,pagina oscura della nostra storia

di Francesco Dragonetti

Giuseppina Cavrotti(a cura di) PrimoMazzolari. Con li-bertà e audacia

apostolica (Ave, pagine200). Gli articoli pubbli-cati da don Mazzolarisul settimanale La VitaCattolica (diocesi di Cre-mona), dal 1927 al ’59:scritti su vari temi, daChiesa e fede al rappor-to con ultimi e lontani.

LIBRIALTRILIBRI

Mario Rosa Il gian-senismo nell’Italiadel Settecento.(Carocci, pagine

295). Frastagliato percor-so di un movimento di ri-forma della Chiesa nelsecolo dei Lumi: il gian-senismo accolse i princi-pi di tolleranza e libertàreligiosa, contribuendoa collocare i cattolicinel pluralismo religioso.

Lucetta Scaraffia(a cura) Le operedi misericordiaspirituale

(Emp, pagine 136). Un approfondimento intenso e completo sulle opere di miseri-cordia spirituale, cheogni credente è tenutoa compiere, intervenen-do di fronte ai bisognidel prossimo.

paginealtrepagineLIBRIQuarant’anni“fatti” di Caritas,opere e progettiin riva allo Stretto

Si è svolto a metà gennaio a Messina, nell’aula magnadell’Università, il convegno sui40 anni della Caritas diocesa-na, nel corso del quale è statopresentato sarà presentato

il volumeQuarant’anniFATTI di Caritas,che ripercor-re la vita della Caritasmessinese.

«Le “storiedi vita”, che papa Francescochiama “la carne viva del Cri-sto” – ha sottolineato il diretto-re di Caritas Italiana, don Fran-cesco Soddu – rappresentanonon già un’appendice, ma il cuore della pubblicazione».Nel libro infatti, «oltre a restitui-re all’opinione pubblica quantoprodotto, la Caritas diocesanasi interroga e verifica se stessa,la propria capacità di essereall’altezza della propria missionedi organismo pastorale e non di semplice erogatore di servizi».

«Abbiamo scelto di ripercor-rere questa storia, consapevoliche quanto è stato raccolto e scritto, pur mettendo in lucefatti, opere, azioni, storie e pro-getti, non potrà mai raccontaretutto ciò che la carità discretae silenziosa ha compiuto e compie – ha affermato don Gaetano Tripodo, direttoredi Caritas Messina –. Contrad-dizioni, povertà, debolezze, fragilità, sconfitte, morte, pro-ve, incapacità umane, scarsecompetenze, mezzi insufficien-ti, strategie che si rivelano falli-mentari non hanno fermato la carità, che sempre si mesco-la con il mistero del male e lo sconfigge, anche se non in modo definitivo».

La data è passata quasi inosservata ai media, ma non per questo il tema meritadi essere lasciato nel dimenticatoio. “Il Giorno del Ricordo sia di monito per farprevalere le ragioni dell’unità su quelle della discordia, oggi che le ferite si sonorimarginate in un’Europa pacifica, unita e dinamica”, si esprimeva infatti qualcheanno fa il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ricordando il 10 feb-braio, anniversario dedicato – ormai da un decennio – alle vittime delle foibe.

Istituito con una legge del parlamento del 2004, la Giornata si svolge in unadata importante per la storia, ovvero quella del Trattato di Parigi del 1947, e ser-ve a commemorare una tragedia ancora poco conosciuta, mentre la stessa sto-riografia è tuttora in fase di elaborazione su una delle pagine più angoscianti della nostra vicenda collettiva.

Costantino Di Sante Nei campi di Tito. Soldati, deportati e prigionieri di guer-ra italiani in Jugoslavia (1941-1952) (Ombre Corte, pagine 269) narra la vicen-da degli oltre cinquantamila italiani, ex soldati, reduci dai lager nazisti,partigiani, deportati dalle zone dell’Istria, vicenda poco studiata, ancheperché gran parte dei documenti sono stati “secretati” dallo stato ita-liano fino al 1997, mentre nella Repubblica jugoslava la loro memoriaè stata completamente cancellata.

Raoul Pupo, Roberto Spazzali Foibe (Mondadori Bruno, pagine 288)è l’opera di due autori che sono stati fra i protagonisti del rinnovamen-to degli studi sul problema delle foibe, avvenuto a partire dalla fine degli anni Ottanta. All’argomento hanno dedicato alcuni fondamentalicontributi, e un gran numero di interventi di taglio didattico. Il libro for-nisce la documentazione necessaria al lettore per comprendere auto-nomamente i fatti e orientarsi nelle varie interpretazioni storiografiche.

Anna Maria Mori Nata in Istria (Rizzoli, pagine 289) ci riporta invecenella penisola in cui l’autrice è nata e dà voce alle testimonianze di chi abita ancora lì, e di chi dovette prendere la via di un dolorosoesilio. Un viaggio un po’ sentimentale, molto storico, inevitabilmentepolitico, che è anche una dichiarazione d’amore per la bellezza di una terra immersa nel mare, incoronata di rocce bianche e pini scuri, da troppi amata e troppe volte perduta.

MA CHE “RAZZA” DI PAROLE

Campagna sociale per dire “no alla discriminazione”, ad alta voce. Aderisce anchewww.famigliacristiana.it #migliorisipuò