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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 – CONTIENE INSERTO REDAZIONALE Paolo VI Il Santo del Concilio che volle la Caritas anche in Italia Povertà Lo Stivale dei diseguali, gli squilibri si ampliano Sahel Siccità, carestia, conflitti: popoli di nuovo in preda alla fame MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO LI - NUMERO 7 - WWW.CARITAS.IT ottobre 2018 Italia Caritas Nei Balcani i flussi migratori si sono ridotti, non interrotti. Chi arriva da Medio Oriente e Asia punta al cuore d’Europa: percorsi più tortuosi e pericolosi, a causa dei muri

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Paolo VI Il Santo del Concilio che volle la Caritas anche in ItaliaPovertà Lo Stivale dei diseguali, gli squilibri si amplianoSahel Siccità, carestia, conflitti: popoli di nuovo in preda alla fame

M E N S I L E D I CA R I TA S I TA L I A NA - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O L I - N U M E R O 7 - W W W. C A R I T A S . I T

ottobre 2018

Italia Caritas

Nei Balcani i flussi migratori si sono ridotti, non interrotti. Chi arriva da Medio Oriente e Asia punta al cuore d’Europa: percorsi più tortuosi e pericolosi, a causa dei muri

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editoriali

LE PAUREE LA LENTEDI DIO

istituire Caritas Italiana, e con il vesco-vo del popolo e dei poveri, copatronodi Caritas Internationalis.

La canonizzazione avviene a pochigiorni dal 17 ottobre, Giornata interna-zionale di lotta alla povertà, in cui Ca-ritas Italiana presenta il rapporto Po-vertà in attesa. Romero, in un’omeliadel 9 settembre 1979, denunciava: «Èinconcepibile che qualcuno si dica cri-stiano e non assuma, come Cristo,un’opzione preferenziale per i poveri».Parole di una Chiesa fedele a Dio eaperta alla speranza.

Era la stessa speranza arrivata inmodo chiaro dal Concilio Vaticano II: invece di deprimenti diagnosi, incorag-gianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia. «La religione cattolicae la vita umana – osservava Paolo VI negli Insegnamenti dell’ultima sessione pub-blica del Concilio – riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza: per co-noscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio; [ma] senoi ricordiamo come nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparentedalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cri-sto, possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo».

Proprio sull’onda del Concilio e di queste riflessioni, papa Montini volle darvita alla Caritas, con il singolare obiettivo di accompagnare l’azione caritativadella Chiesa con quanto dovrebbe sostenerla, l’aspetto comunitario, e quantoessa dovrebbe alimentare, ossia la prevalente funzione pedagogica.

Da allora l’impegno della Caritas è dar corpo a una pedagogia dei fatti, con unostile di carità vissuto nell’affrontare i problemi dei poveri. E impegnato ad acco-glierli, a rispettarne la dignità, a difendere i loro diritti, a coinvolgerli nella solu-zione dei problemi. In definitiva, a farli sentire soggetto, non oggetto di cura.

mmigrazione, sbarchi e acco-glienza: da mesi se ne parla, spes-so sull’onda mediatica, anche asproposito. Tutto questo impone

di fermarsi, per interrogarsi su sceltee posizioni. L’inserto Le opinioni degliitaliani nei confronti degli immigrati,allegato a questo numero di IC, estrat-to dalla rivista Il Regno, vuole essereun aiuto per la riflessione.

Papa Francesco ammette che «lecomunità locali hanno paura che inuovi arrivati disturbino l’ordine co-stituito (…) e avere dubbi e timori nonè peccato». Però aggiunge: «Il peccatoè lasciare che queste paure determi-nino le nostre risposte». Per questo af-ferma: «Politica giusta è quella che sipone al servizio della persona (…),prevede soluzioni adatte a garantire lasicurezza, il rispetto dei diritti e delladignità di tutti (…), sa guardare al be-ne del proprio paese tenendo conto diquello degli altri paesi».

Immersa nell’umanitàNoi cristiani abbiamo il dovere diguardare i fratelli con la lente di Dio.Ogni migrante, ogni escluso è una vitache s’intreccia con la nostra. Hannonome, sognano, sono pieni di paure,vogliono famiglia e lavoro. Proprio co-me noi. In fondo, è la strada della mis-sione, additata da Gesù ai discepoli:essere Chiesa di strada, che sa ricono-scere la strada come luogo privilegiatoper fare esperienza del Risorto e di-mostrarsi non solo esperta di umani-tà, ma immersa in essa. Come hannofatto, fino all’estremo sacrificio, duedonne legate al mondo Caritas, en-trambe uccise in Somalia in ottobre,mese che la Chiesa dedica alla missio-ne: Annalena Tonelli, 15 anni fa, eGraziella Fumagalli, 23 anni fa.

Il 14 ottobre verrannocanonizzati papa

Paolo VI e monsignorRomero. L’uno fondò

Caritas Italiana, l’altroè copatrono di Caritas

Internationalis.Promotori ed emblemi

della stagioneconciliare: fedeltà a Dio,vicinanza a ogni uomo,

centralità dei poveri

Idi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

SANTI DI UNACHIESA APERTAALLA SPERANZA

ompito della Chiesa è vigilare contro qualsiasi strumentalizzazio-ne e denunciare ogni violazione della vita e della dignità umana.«In questo consiste il proprio magistero – diceva monsignor Oscar

Arnulfo Romero, assassinato sull’altare a San Salvador il 24 marzo 1980–: nell’essere immagine di Dio nell’uomo». E aggiungeva: «Una Chiesache non si unisce ai poveri per denunciare, partendo dalle ingiustizieche si commettono verso di loro, non è la vera Chiesa di Gesù Cristo».

Il 14 ottobre Romero viene canonizzato in piazza San Pietro, insiemea Paolo VI, durante il Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani. Un intrec-cio significativo, che unisce i giovani con il Papa del Concilio, che volle

C

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direttore responsabileFerruccio Ferrante

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in redazionePaolo Beccegato, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosati, Francesco Spagnolo

hanno collaboratoDanilo Angelelli, Chiara Bottazzi,Francesco Carloni, FrancescoDragonetti, Roberta Dragonetti

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sommario

rubriche3 editoriali

di Francesco Soddue Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

9 databasedi Walter Nanni

12 dall’altro mondodi Oliviero Forti

19 contrappuntodi Domenico Rosati

21 panoramaitalia IMMIGRAZIONEE SERVIZIO CIVILE

30 zeropovertydi Laura Stopponi

39 contrappuntodi Alberto Bobbio

40 panoramamondoUN IMPERATIVO E TRE CONCORSI PER“CHIUDIAMO LA FORBICE”

47 a tu per tuSILVIA AVALLONEE LA VIA D’USCITA DI ADELE:«L’ISTRUZIONEROVESCIA IL DESTINODELLA PERIFERIA»di Daniela Palumbo

anno LI numero 7

IN COPERTINAMigranti mediorientalidurante un trasferimentoin un paese balcanico.La chiusura degli approdi all’Uetramite Ungheria e Croaziasta causando una pressionesulla Bosnia ed Erzegovina(foto Arie Kievit / Caritas Svizzera)

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nazionale6 IL SANTO DEL DIALOGO

CHE CI TENNE A BATTESIMOdi Antonio Cecconi

10 POVERI DI ISTRUZIONE,IL DISAGIO SI FA CRONICOdi Federica De Lauso

13 LO STIVALEDEI DISEGUALIdi Salvatore Morelli

«TEMPO DI ALLEANZE,NON È INEVITABILECHE GLI SQUILIBRIGENERINO REGRESSO»di Paolo Brivio

internazionale

26 SICCITÀ, RISORSE,CONFLITTI:NEL SAHELRITORNA LA FAMEdi Fabrizio Cavalletti

31 BOSNIA ERZEGOVINAE BALCANI:TU BLINDI I CONFINI?IO CAMBIO LA ROTTAdi Daniele Bombardi

35 MAROCCO:L’APPRODOPER CASODEI NON ACCOMPAGNATIdi Chiara Bottazzi 35

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Non c’è giustizia senza denuncia, ma non basta: è ne-cessario prendere posizione attiva contro coloro che pa-scolano se stessi. In Ezechiele i pastori vengono rimossidal loro ufficio (34,10) e le pecore sono strappate loro dibocca, così che esse «non saranno più il loro pasto»(34,10). Non c’è spazio per il silenzio e per l’inerzia col-pevole. Alla denuncia e all’azione immediata di salvezza,fa seguito la ricerca dei lontani, la cura di chi è ferito e fra-gile, senza dimenticare chi non lo è («curerò quella ma-lata, avrò cura della grassa e della forte», 34,16).

Fasciare le ferite non è compatimento, ma è formaconcreta della giustizia del pastore, che dispiega la suaesistenza per la vita dell’altro. Il dono che il pastore fadella propria vita è la forma più alta di quella giustiziache denuncia, salva e si prende cura: una giustizia a im-magine di Cristo, che ama le pecore (Giovanni 10,11) finodare la vita.

si contraddistingue per la violenza ela crudeltà esercitate contro chi nonha alcuna possibilità di reazione,proprio per la sua fragilità. Il concor-so di colpa non esiste, agli occhi diDio: «Per colpa del pastore si sono di-sperse e sono preda di tutte le bestieselvatiche: sono sbandate» (34,5). Lamancanza di cura, e ancor peggio lacrudeltà e violenza dei responsabili,consegnano inesorabilmente la co-munità alla dispersione.

Nell’abitudine a custodire se stessi,e a pascersi delle pecore, i pastori han-no dimenticato qualcosa: le pecorenon appartengono a loro. «Vanno er-rando le mie pecore […] le mie pecoresi disperdono […] e nessuno va in cer-ca di loro e se ne cura» (34,6-7). La co-munità appartiene a Dio, che ne riven-dica il possesso, e invoca la presenzadi qualcuno che se ne prenda cura. Lacifra distintiva dell’azione del pastoresarà la giustizia («io stesso le pasceròcon giustizia», 34,16), della quale tuttele azioni messe in atto sono espressio-ne, a cominciare dalla denuncia aper-ta dei crimini di chi dovrebbe custodi-re e tutelare.

a prima lettera di Pietro si rivolge ai responsabili della comuni-tà, apostrofandoli come pastori: «Pascete il gregge di Dio che ètra voi» (5,2). L’attitudine del pastore è modellata su quella del

«pastore supremo» (5,4), Cristo stesso. In particolare, si esorta a pa-scere il gregge «non per vergognoso interesse, ma con animo gene-roso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovimodelli del gregge» (5,2-3). L’appello ai responsabili della comunità,ai «presbiteri che sono tra voi» (5,1), rimanda per contrasto a Ezechie-le 34, dove Dio lancia una durissima accusa. L’esordio del discorsoevidenzia la piaga: «Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi!

LA GIUSTIZIA DEL PASTORE,FINO A DARE LA PROPRIA VITA

I pastori non dovrebbero forse pasce-re il gregge?» (5,2).

L’invito della prima lettera di Pietro(«Pascete il gregge di Dio»), che potevasembrare ovvio all’indirizzo dei pasto-ri, dunque forse scontato non è. Sipossono pascere le pecore, ma è an-che possibile pascersi delle pecore: «Vinutrite di latte, vi rivestite di lana, am-mazzate le pecore più grasse, ma nonpascolate il gregge» (Ezechiele 34,3).La condizione dei pastori (di sazietà ebenessere, come indicano il nutri-mento abbondante e la veste di lana)non è in sé oggetto di biasimo; ciò cheviene denunciato dal profeta, piuttosto, è che al proprio be-nessere non corrisponde la ricerca della vita della comuni-tà: «Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curatole inferme, non avete fasciato quelle ferite» (34,4).

Ben pasciuti, ma crudeliDio posa lo sguardo sui più fragili, su coloro che all’inter-no della comunità necessitano di maggior cura e dedi-zione; coloro da cui, di certo, non si può trarre guadagno.C’è qualcuno, nel gregge, che è più debole, infermo o fe-rito; a Dio non interessa il motivo per cui questo accade.Piuttosto, ciò contro cui punta il dito è il disinteresse deipastori, l’omissione di tutte quelle azioni che dovrebberosostenere, rafforzare, guarire.

E il disinteresse dei pastori prosegue: «non siete andatiin cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltàe violenza» (34,4). L’azione dei responsabili ben pasciuti

Tra Nuovo e VecchioTestamento, emerge la qualità principale che deve distinguere i responsabili di ogni

comunità. Non c’è spazioper interessi personali,silenzi, inerzie. Bisogna

denunciare, salvare,prendersi cura: fino

al sacrificio totale di sé,come ha fatto Cristo

L

parolaeparoledi Benedetta Rossi

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to” (il numero tre della gerarchia ec-clesiastica). Nel 1924 fu nominato as-sistente del circolo romano della Fuci(l’organizzazione degli studenti uni-versitari cattolici) e l’anno dopo ne di-venne assistente nazionale. Lo sarà fi-no al 1933, quando dovette lasciare invirtù dell’accusa di vicinanza dei suoigiovani alle idee del Partito popolare,quindi in sostanza di antifascismo. Aldi là degli incarichi formali, non ces-serà mai di essere educatore di co-scienze cristiane, attraverso un’auten-tica “carità intellettuale”.

Montini fu sempre attento a non se-parare l’impegno religioso da quello ci-vile, attraverso numerosi contatti, in-contri e viaggi in molte città italiane eun’intensa attività editoriale: si dedicò

a riviste (Studium e Azione Fucina) esoprattutto alla traduzione e divulga-zione delle opere del filosofo cattolicofrancese Jacques Maritain. Sarà soprat-tutto grazie alle idee del pensatore fran-cese e a tutto un lavoro di riflessione in-tellettuale sull’assetto dello stato de-mocratico – a partire dalla dignitàcostitutiva della persona umana – cheuna generazione di giovani cattolici sipreparerà a giocare un ruolo fonda-mentale nella formulazione della Co-stituzione e nella ricostruzione moralee civile del paese, dopo le tremendeprove della dittatura e della guerra. Nona caso si è parlato di “resistenza cultu-rale”, che coinvolse uomini (due nomitra tutti: Giorgio La Pira e Aldo Moro)destinati a giocare ruoli di primo piano

Il Concilio, aperto da un Pontefice che dichiarava il suo dissenso dai «profetidi sventura», fu portato a termine da un altro

Papa, che dichiarava «simpatia immensa» verso il mondo contemporaneo

nell’Italia repubblicana. È stato scrittoche «è determinante la comprensionein profondità della forza ispiratrice delsostituto Montini in tutta una fase di ri-costruzione civile e democratica delpaese, e di rinnovamento ecclesiale».

Quando don Battista (così lo chia-mavano i giovani fucini) divenuto Pao-lo VI si rivolgerà alle Caritas diocesane,al loro primo convegno nazionale, nonmancherà di ricordare la necessità di«stimolare gli interventi delle pubblicheautorità e un’adeguata legislazione».

Simpatia immensaDopo i lunghi anni romani, monsignorMontini divenne arcivescovo di Milanoil 6 gennaio 1955. Si è parlato di “esilio”,per la distanza di buona parte dellaCuria romana dalla sua visione eccle-siale e anche dal modo di relazionarsicon la politica italiana. Ma La Pira “pro-fetizzò” che il trasferimento milanesefosse una preparazione al papato. Glianni nella metropoli lombarda videroMontini spendersi per tradurre in pro-getti pastorali concreti, a partire dalladimensione parrocchiale, la sua visio-ne di Chiesa. Con una particolare at-tenzione al mondo del lavoro e ai quar-tieri poveri, in tempi di forti migrazioniinterne dal sud al nord del paese, sem-pre privilegiando la priorità dell’an-nuncio evangelico, a partire dalla per-cezione dell’esistenza di una “Milanopagana”. Per scuotere le «coscienze as-sopite e addormentate» organizzò unaMissione cittadina in cui coinvolse ilfior fiore dell’intelligenza cattolica, in-cluse personalità guardate con sospet-to in molti ambienti ecclesiastici: Tu-roldo, Balducci, Mazzolari.

E siamo al giugno del 1963: elezionedi Montini alla cattedra di Pietro, aConcilio in corso. Scelse un nome in-consueto, come già il suo predecesso-re, indizio della volontà di riportare ilVangelo al centro: Giovanni, il teologodel Verbo incarnato, per Roncalli; Pao-lo, l’apostolo delle genti e quindi deipagani, per Montini. L’ottimismo lun-gimirante con cui Roncalli aveva aper-to il Vaticano II trovarono continuitànella tenace, lucida e spirituale intelli-genza di Montini. Il Concilio, aperto daun Papa che dichiarava il suo dissensodai «profeti di sventura», fu portato atermine da un altro Papa, che dichia-rava «simpatia immensa» verso ilmondo contemporaneo, che si propo-

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el decreto di erezione di Ca-ritas Italiana, emanato dalpresidente della Cei, cardi-nal Antonio Poma il 2 luglio1971, si legge che la costitu-

zione del nuovo organo ecclesiale av-viene «avendo ben presenti le diretti-ve conciliari e il coerente magisteropontificio». È ben più di un’afferma-zione di circostanza, di un formale os-sequio al Santo Padre. La semplicebrevità dell’inciso coglie la sostanzadelle cose, il senso di che cosa la Cari-tas doveva essere – e nei fatti è stata:un frutto maturo del Concilio, proba-

Domenica 14 ottobre, in piazza San Pietro, papa Paolo VI sarà proclamato san-to. Il suo magistero fu fondamentale, oltre che per completare la stagione delConcilio Vaticano II, per la nascita dell’organismo pastorale Caritas in Italia.Abbiamo chiesto a don Antonio Cecconi, per un decennio vicedirettore di CaritasItaliana, una riflessione sul tema.

Insieme a Giovanni Battista Montini, sarà canonizzato Oscar Arnulfo Rome-ro, arcivescovo di San Salvador, trucidato all’altare nel 1980. Per il suo sacrificioe le sue lotte in favore dei poveri, dal 2015 è stato scelto come co-patrono di Ca-ritas Internationalis.

bilmente il più visibile e incisivo nellacompagine ecclesiale italiana; la tra-duzione pastorale motivata e concre-ta di un modo di intendere il rapportoChiesa-mondo, fondata sulla coeren-za evangelica. Tutto questo, in conso-nanza con la visione ecclesiale di coluiche in quel momento sedeva sullacattedra di Pietro.

Giovanni Battista Montini – nato aConcesio (Brescia) il 26 settembre1897, ordinato prete nel 1920 – vennechiamato presso la Segreteria di Statonel 1923. Vi svolgerà servizio per oltretrent’anni, da “minutante” a “sostitu-

N

nazionale vita della chiesa

di Antonio Cecconi vicedirettore Caritas Italiana1991-2001

Domenica 14 ottobreviene canonizzatoPaolo VI, il Papa che sollecitò e orientòla nascita di CaritasItaliana. Il suoesemplare commentoallo statuto del nuovoorganismo rimane una bussola per l’oggi.Insieme a lui, divienesanto anchemonsignor Romero

Il Santo deldialogo

ci tenneabattesimo

ABBRACCIOTRA PADRI

Paolo VI insieme amonsignor Giovanni Nervo,primo presidente di Caritas

Italiana, in occasionedel primo Convegno nazionale

delle Caritas diocesane

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RETI SOCIALI, IL PAESECHE AIUTA SENZA OBBLIGHI

un maggiore numero di volte e per unnumero di ore superiore; gli uomini,nel corso di un mese, danno aiuti perpoco meno di 7 volte, le donne perpiù di 8, con un impegno in terminidi tempo di 3,1 ore per volta per gliuomini e di 3,6per le donne.

L’età media di chi fornisce aiuti ècresciuta dal 1998 di circa 3 anni e nel2016 è stata di circa 50 anni per en-trambi i generi. Trovarsi in una faseavanzata del ciclo di vita favorisce il pre-stare aiuto, verosimilmente anche per-ché viene meno il carico di lavoro di cu-ra legato alla presenza dei figli in casa.

Al primo posto degli aiuti dati, figu-rano quelli per compagnia, accompa-gnamento, ospitalità (35,9%), seguitida quelli per l’espletamento di praticheburocratiche (30,4%) e dall’aiuto nelleattività domestiche (28,8%). Questi ti-pi di aiuto erano i più forniti anche nel1998. Se si osserva il tipo di aiuto dato,emergono differenze tra uomini e don-ne. Gli uomini forniscono principal-mente aiuto nell’espletamento di pra-tiche burocratiche (33,9%), per com-pagnia, accompagnamento, ospitalità(33,7%) e sul versante economico

(25,8%); per le donne al primo posto si trovano compagnia,accompagnamento e ospitalità (37,7%) e a seguire le atti-vità domestiche (33,6%) e l’assistenza ai bambini (28,6%).

La ricerca riporta dati anche sulle famiglie che ricevo-no aiuto dalla rete sociale informale. Nel 2016, il 16,1%delle famiglie italiane ha ricevuto almeno un aiuto gra-tuito (nelle 4 settimane precedenti l’intervista) da partedi persone non coabitanti; il dato è rimasto sostanzial-mente stabile rispetto al 1998.

Sul fronte degli aiuti ricevuti dalle famiglie, i primi tremotivi di aiuto ricalcano quelli forniti, anche se con ordi-ne diverso. Oltre un terzo delle famiglie aiutate informal-mente ha ricevuto aiuto per attività domestiche (34,5%),più di 1 famiglia su 4per compagnia, accompagnamen-to, ospitalità e il 24,8%per espletamento di pratiche bu-rocratiche, tutte forme di aiuto in forte aumento rispettoal 1998 (quando erano il 18,1 e il 17,4%).

Secondo i dati raccolti da Istat, il78,7% delle persone di 18 anni e piùdichiara di poter contare almeno suun parente, un amico o un vicino. So-no gli amici la categoria più indicata(62,2% dei casi), seguiti da vicini(51,4%) e altri parenti (45,8%).

Oltre a ciò, il 44,7%degli individuidichiara di avere almeno una perso-na non coabitante su cui contare incaso di bisogno urgente di denaro(800 euro); il numero medio di per-sone disposte a fornire un aiuto eco-nomico si riduce però all’aumentaredell’età, passando da una media di 3persone fino ai 64 anni a 2,6dopo i 74 anni. Il 23,6%del-le persone che vivono sole e che hanno 65 anni e più di-chiara di non avere nessuno su cui contare.

Età media, 50 anniOltre l’ambito della percezione, c’è quello degli aiuti effetti-vamente erogati. Dal 1998 al 2016, la quota di caregiver (per-sone che hanno dato almeno un aiuto gratuito nelle quattrosettimane precedenti l’intervista) è aumentata di poco piùdi 10punti percentuali, passando dal 22,8al 33,1%. A pre-stare aiuto sono in misura maggiore le donne (35,4%) ri-spetto agli uomini (30,7%), anche se l’aumento dei caregi-ver ha riguardato in egual misura uomini e donne: nel 1998,i primi si attestavano infatti al 20,7%e le seconde al 24,8%.

A fronte di un aumento della quota di persone che pre-stano aiuto, si registra una diminuzione del monte orecomplessivo di aiuti prestati. Le donne forniscono aiuto per

Nel Rapporto annuale,l’Istat fornisce dati sul

supporto di cui personee famiglie possono

godere, al di là dellacerchia dei conviventi.

I risultati sonoconfrontati con la

situazione di vent’anni fa:aumentano i caregiver,

ma diminuisceil tempo degli aiuti

Istat, nel suo Rapporto annuale 2018, offre una serie di datisul peso e il significato delle reti sociali: l’insieme di attori edelle relazioni nelle quali ogni persona è immersa, e che co-

stituisce il capitale sociale su cui poter contare nei diversi ambiti divita in cui gli individui e le famiglie agiscono.

Un indicatore cruciale della presenza della rete potenziale di soste-gno è rappresentato dalla percezione che le persone hanno di potercontare su qualcuno che non appartiene al nucleo di persone coabi-tanti, dunque su un parente, un amico, un vicino. Il tipo di sostegnopuò riguardare un sostegno morale o un aiuto di tipo materiale.

L’

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databasedi Walter Nanni

Rapporto annuale,

caregiver

8 I TA L I A C A R I TA S | O T T O B R E 2 0 1 8

neva di incontrare attualizzando «l’an-tica storia del samaritano».

Né barriere né riserveProprio nel corso del Concilio, Paolo VIpubblicò (1° luglio 1964) una delle suepiù importanti encicliche: EcclesiamSuam. Con tono non magisteriale, maintensamente personale, appassionatoe confidenziale – potremmo dire “mon-tiniano” –, il Papa indicò per quali vie laChiesa poteva rimanere se stessa, anzidiventarlo sempre più: lo spirito di po-vertà, lo spirito di carità e l’atteggia-mento del dialogo, parola inedita per ilvocabolario ecclesiastico, ma assuntacome strategica per le relazioni Chiesa-mondo. Non a caso quella fu definita“enciclica del dialogo”, da praticare acerchi concentrici: con tutta l’umanità,compresi non credenti e atei; con i noncristiani; con tutte le grandi religionidell’umanità; con i cristiani non catto-lici, impulso al cammino di ecumeni-smo già tracciato da Giovanni XXIII edivenuto palpabile nell’abbraccio colpatriarca di Costantinopoli Atenagora.

Ma c’è un altro gesto, emblematicodi un’idea di dialogo senza barriere nériserve, di una Chiesa che si confrontaalla pari con altri soggetti: la visitaall’Onu, anche questa a Concilio incorso (4 ottobre 1965). A New YorkPaolo VI fece un discorso forte, un ap-pello intenso alla pace, un’apertura dicredito verso ogni popolo: no allaguerra, lotta contro fame e povertà, ri-chiamo a diritti e doveri umani fonda-mentali, alla necessità di principi spi-rituali per illuminare le coscienze.

Sulla linea di questa strategia si col-locò anche la Populorum Progessio(1967), enciclica sullo sviluppo dei po-poli, con cui il magistero sociale pon-tificio andò oltre l’attenzione preva-lente e quasi esclusiva ai problemi dal-le società occidentali. Paolo VI fecememoria di due viaggi in America La-tina e Africa per porre le questioni de-cisive della giustizia e della pace. Sulla

nazionale vita della chiesa

scia del Concilio, ricordò la necessitàdi un’equa distribuzione dei beni dellaterra a vantaggio di tutti i suoi abitanti,«secondo la regola della giustizia, cheè inseparabile dalla carità». Ancora,l’affermazione che «lo sviluppo è ilnuovo nome della pace». Tutto quelloche negli anni a seguire è stato operatoda molti soggetti – Caritas in prima fila– per la solidarietà internazionale e lacooperazione allo sviluppo, deve mol-to a quel fondamentale documento.

Altro lascito di papa Montini allaChiesa e al mondo fu l’istituzione del-la Giornata mondiale della pace il pri-mo giorno dell’anno, a partire dal1968, divenuta occasione di riflessio-ni, preghiere e impegni concreti permolte comunità, faro per il magisterodi molti vescovi, bussola di importantipercorsi educativi.

Estrema attualitàE torniamo a Caritas Italiana. E al me-morabile discorso con cui Paolo VI la“tenne a battesimo”, il 27 settembre1972. Monsignor Giovanni Nervo haraccontato più volte che, quando laSegreteria di Stato gli chiese un pareresu che cosa la Caritas si aspettava dalPapa, la sua risposta fu: «Che il SantoPadre ci commenti lo statuto che la Ceici ha dato». Compito eseguito in ma-

Il dialogo, a cerchi concentrici: con tuttal’umanità, compresi non credenti e atei;con i non cristiani; con le grandi religioni

dell’umanità; con i cristiani non cattolici,impulso al cammino di ecumenismo

niera esemplare. La rilettura del testoindicò un percorso ancora attualissi-mo e insieme sviluppò, quasi in filigra-na, tracce del percorso di vita di Mon-tini: un insieme di pedagogia ecclesia-le e di forte sensibilità storica e sociale.

Qui c’è spazio per citare alcuni te-mi fondamentali: le accresciute esi-genze della carità e dell’assistenza inItalia; la società moderna, più sensibi-le alle applicazioni delle giustizia cheall’esercizio della carità; la crescita delPopolo di Dio nello spirito del Conci-lio Vaticano II; una maggior presa dicoscienza, da parte della comunitàcristiana, delle proprie responsabilitànei confronti dei bisogni dei suoimembri; la sensibilizzazione delleChiese locali e dei singoli fedeli al sen-so e al dovere della carità, in formeconsone ai tempi; la necessaria cono-scenza dei bisogni e delle loro cause,per un’efficace programmazione degliinterventi; l’apertura del cuore alleistanze delle nazioni meno favorite.

Accanto a questa sommaria me-moria, non può mancare un cenno aun altro fondamentale documento diPaolo VI: Evangelii Nuntiandi, esorta-zione apostolica del 1975 su quellache era e resta la principale sfida perla Chiesa nel nostro tempo. Non è uncaso che a quel testo faccia riferimen-to, fin dal titolo, l’Evangelii Gaudium,vale a dire il programma del pontifi-cato di papa Francesco. E infatti il te-sto di papa Montini risulta il docu-mento più citato nell’esortazioneapostolica di papa Bergoglio.

Non potremmo trovare attestazio-ne più chiara della profondità e del-l’estrema attualità del magistero dicolui che la Chiesa si appresta a di-chiarare Santo.

CO-PATRONO CARITASStriscione all’epoca dellabeatificazione di monsignorRomero, che viene proclamatoSanto insieme a Paolo VI

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ne agli anni dell’inizio della presa incarico si nota che, spesso, corrispon-dono a quelli più bui della recessioneeconomica (2012-2013). Si tratta, dun-que, di un “esercito di poveri” che daallora non sembra trovare risposte e lecui storie si connotano per una croni-cizzazione e una multidimensionalitàdei problemi davvero pericolose.

Quasi il 40% delle persone ascoltate(197.332) presso i centri d’ascolto ma-nifesta problematiche relative con-temporaneamente a tre o più ambitidi bisogno (povertà economica, disa-gio abitativo, problemi di salute, pro-blemi familiari, problematiche occu-pazionali, problemi connessi all’im-

migrazione, problematiche connessealle dipendenze, detenzione e giusti-zia, handicap e disabilità): una ten-denza che sembra crescere negli anni,a fronte di un calo dei “nuovi ascolti”.

Ostinati circoli viziosiA pesare in modo determinante sullostato di bisogno sono chiaramente latotale assenza di reddito, le situazionidi reddito insufficiente e i problemi oc-cupazionali. I dati Caritas evidenzianopoi una stretta relazione tra livello diistruzione e povertà (confermata an-che dalla statistica ufficiale): il 68,4%delle persone prese in carico possiedeal massimo una licenza media (la quo-ta tra gli italiani sale al 77,4%).

Il tema della povertà educativa – checostituisce l’approfondimento temati-co della prima parte del Rapporto – gio-ca un ruolo determinante nella possi-bilità di emancipazione rispetto ad al-cune situazioni di disagio e di povertà.Tuttavia, i dati della letteratura e quelliCaritas dimostrano relazioni ancoratroppo strette tra status socio-econo-mico dei genitori, risultati scolastici equindi livelli di istruzione dei figli. Sonocircoli viziosi difficili da arrestare: la pri-vazione materiale è causa della povertàeducativa e viceversa, tramandandocosì di generazione in generazione lasituazione di svantaggio. E a tal propo-sito è bene sottolineare che il 63,9%delle persone ascoltate ha figli (in valo-re assoluto, circa 89 mila persone, di cuioltre 26 mila vivono con figli minori),dato niente affatto irrisorio.

Nell’ultimo anno, inoltre, i dati deicentri di ascolto evidenziano altre ten-denze prevalenti: un incremento dellagrave marginalità (persone senza di-mora) e delle storie connotate da mi-nor capitale relazionale (famiglie uni-personali); il fatto che ancora oggi larottura dei legami familiari possa co-stituire un fattore scatenante dell’en-trata in uno stato di povertà e di biso-gno; una certa stabilità dei cosiddettiworking poor, lavoratori che vivono inuno stato di sotto-occupazione o disotto-retribuzione (lavori occasionali,lavori atipici, lavoretti in nero). Di

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Ci sono relazioni strette tra status socio-economico dei genitori e livello di istruzione dei figli. Sono circoli viziosi

difficili da arrestare: la privazione materialeè causa della povertà educativa, e viceversa

fronte a tali situazioni di criticità, leCaritas rispondono come possono espesso cercano di risollevare la situa-zione, favorendo almeno una rispostaal disagio primario e materiale.

Problemi non economiciC’è infine un’ultima dimensione deldisagio che non va dimenticata. Ri-guarda chi si avvicina alla rete Caritasper problemi che non afferiscono di-rettamente all’ambito economico. Pertali soggetti, in gran parte italiani, learee di maggiore criticità sono legatealla salute (per lo più casi di malattiamentale e depressione), a problemi fa-miliari (morte di un congiunto, sepa-razioni e divorzi, conflittualità di cop-pia, difficoltà di assistenza di parenti) ealla macro-area della detenzione o co-munque dei problemi con la giustizia.

Queste fragilità sono l’emblema diuna povertà che può assumere millevolti e declinarsi in tante sotto-dimen-sioni, per rispondere alle quali un ap-proccio puramente economicista nonè sufficiente; urge un paradigma per ilquale il sociale vada di pari passo conl’economico. E la misura del Redditodi inclusione – la prima misura univer-sale di contrasto alla povertà, introdot-ta a dicembre – alla quale è dedicatal’intera seconda parte del rapporto Po-vertà in attesa – sembra andare pro-prio in questa direzione. Essa infattiprevede, per le persone che sperimen-tano una conclamata difficoltà econo-mica, un intervento che coniuga be-nefici economici e progetti personaliz-zati, atti a favorire l’inclusione socialee lavorativa per il superamento dellostato di povertà. Il tutto promuovendoil coinvolgimento delle comunità lo-cali, indispensabili per la costruzionedi sistemi territoriali solidali a soste-gno delle situazioni di fragilità.

Per questo motivo il Rei rappresen-ta un’ opportunità storica, attesa daanni ed evocata da un gran numero direaltà attive nel sociale. Il rapportoCaritas non nega una serie di aspettiproblematici che stanno caratteriz-zando la sua applicazione. Ma è unostrumento che, oltre a prevedere l’ero-gazione di sussidi economici ai poveriassoluti, prevede il rafforzamento deiservizi sociali territoriali. Un approc-cio multidimensionale e innovativo:va ampliato e rafforzato, non c’è ra-gione perché venga interrotto.

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di Federica De Lauso l 17 Ottobre, Giornata mondialedi lotta contro la povertà, vienepubblicato il 17° rapporto Cari-tas su povertà e politiche di con-trasto, dal titolo Povertà in atte-

sa. Lo studio, che rappresenta uno deiprodotti di ricerca più longevi di Cari-tas Italiana (viene pubblicato con unacerta regolarità dagli anni Novanta),assume oggi una veste inedita. In unmomento storico di “incertezza post-crisi”, Caritas ha deciso di unire la con-sueta indagine su povertà ed esclusio-ne sociale, basata principalmente suidati dei centri di ascolto, con il rappor-to di valutazione delle politiche, unostrumento di ricerca più giovane, natonel 2014 con lo scopo di favorire l’atti-vazione di politiche nazionali struttu-rali di contrasto alla povertà.

Il testo quest’anno offre dunque unadoppia lettura del fenomeno: da un la-to favorisce una dettagliata descrizione

della povertà attraverso i dati della sta-tistica pubblica e i dati Caritas; dall’altraaffronta la questione delle politichepubbliche chiamate a dare – oggi piùche mai – risposte puntuali ed efficacialle situazioni di fragilità. In Italia, infat-ti, le persone che vivono in uno stato dipovertà assoluta (quindi al di sotto diuno standard minimo accettabile) su-perano i 5 milioni 58 mila, numero incostante crescita dal 2005. Ad allarmarein modo particolare è la situazione digiovani e minori, che risultano i più pe-nalizzati: tra le loro fila si contano 2 mi-lioni 320 mila poveri e l’incidenza dellapovertà risulta più alta rispetto ad altrefasce di età. In altre parole, oggi un po-vero su due ha meno di 34 anni.

I dati Caritas, in effetti, evidenzianonel 2017 una crescita della cronicizza-zione del disagio. Aumentano i casi dipersone accompagnate da molto tem-po (5 anni e più) e se si presta attenzio-

il disagio si fa cronicoistruzione

Poveridi

IIl 17 ottobre CaritasItaliana pubblica il rapporto “Povertà in attesa”: per la primavolta, all’indagine su coloro che accedonoai centri d’ascolto si unisce l’analisisull’incisività dellepolitiche di settore.L’impatto dellapovertà educativa,l’opportunità del Rei

nazionale rapporto povertà

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VITE IN ATTESAUna ragazza guarda dallafinestra: resta elevatoil numero di giovanie minori che in Italia vivonoin condizione di povertàed esclusione

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articolo 3 della Costitu-zione repubblicana san-cisce il principio di ugua-glianza sostanziale degliindividui e conferisce alla

repubblica il dovere di “rimuovere gliostacoli che limitano la libertà el’uguaglianza dei cittadini”. Eppure,in molti dei paesi avanzati e in un nu-mero crescente di paesi in via di svi-luppo, gli indici di diseguaglianza direddito e di ricchezza, migliorati neldopoguerra, mostrano un peggiora-mento progressivo generalmente apartire dagli anni Ottanta o Novanta.Non è dunque una sorpresa che il te-ma delle crescenti disuguaglianzeeconomiche sia sempre più in cimaagli interessi di ricercatori, società ci-vile, istituzioni e politica.

Il celebre lavoro dell’economistafrancese Thomas Piketty (Il capitalenel XXI secolo, 2014) e il recente rap-

porto sulle disuguaglianze globaliWorld Inequality Report (2018) han-no evidenziato la forte crescita dellaconcentrazione della ricchezza pri-vata e dei redditi in una serie di paesiavanzati e in via di sviluppo. I risultatitestimoniano quanto sproporzionatasia la sperequazione dei mezzi eco-nomici a favore delle persone in cimaalla piramide economica.

In Italia, il tema è stato portato allaribalta dalla creazione del Forum di-suguaglianze e diversità, nato per ini-ziativa di otto organizzazioni di citta-dinanza attiva (tra cui Caritas Italia-na, ndr) e di un gruppo di ricercatorie accademici impegnati nello studiodella disuguaglianza e delle sue ne-gative conseguenze sullo sviluppo,con l’obiettivo di promuovere pro-getti di ricerca-azione originali, idea-re campagne e azioni di advocacy eprodurre e promuovere proposte per

L’In Italia le diseguaglianzeeconomiche si stanno ampliando. È un processo globale,ma nel nostro paeseappare più pronunciato.La tendenza ha accelerato a causadella crisi, ma è in attodagli anni Ottanta. Il ruolo del Forumdisuguaglianze e diversità

di Salvatore Morelli

StivaleLo

disegualidei

nazionale tendenze sociali

SOPRATTUTTOIN ITALIA

C’è chi calza echi lustra. Da sempre.

Ma la distanza,di reddito

e opportunità,da alcuni decenni

si va ampliando

UN NUOVO LINGUAGGIOPER TORNARE ALL’OBIETTIVITÀ

corda che «nella deriva a cui è statoabbandonato, soprattutto negli ultimitempi, il buon senso di una rispostastrutturata ed efficace alle sfide postedal fenomeno migratorio, non possia-mo sottovalutare il ruolo dell’infor-mazione nel processo che ha determi-nato un graduale avvelenamento e in-cattivimento dei rapporti sociali».

A partire anche da questa preoc-cupazione, Caritas e Migrantes han-no voluto immaginare un prodottoeditoriale in grado di ristabilire unsano equilibrio tra realtà e percezio-ne della realtà, che oggi, più che mai,appare compromesso. La strutturadel Rapporto rimane quella consue-ta, con una parte internazionale chesi focalizza sulle dinamiche a livelloglobale ed europeo, e una nazionaleche si concentra sulla presenza nelnostro paese di oltre 5 milioni di cit-tadini stranieri: il lavoro, la scuola, lacittadinanza, la salute e la devianzasono i principali temi oggetto del-l’analisi. Evidentemente il Rapportodà voce anche a esperti della materiae delle sue molteplici declinazioni,che contribuiscono ad approfondire

alcuni aspetti ritenuti particolarmente attuali nel dibat-tito pubblico sul tema dei migranti.

Tra gli altri autori, vanno citati monsignor Robert J. Vi-tillo, Segretario generale della commissione internazio-nale cattolica per le migrazioni (Icmc), padre Fabio Bag-gio (sottosegretario del Dicastero per il servizio dello svi-luppo umano integrale – Sezione Migranti e Rifugiati),Paola Bignardi (coordinatrice dell’Osservatorio giovanidell’Istituto Giuseppe Toniolo) e l’avvocato Luca G. Insa-laco (del Foro di Palermo).

Non dimenticando il passato, si è voluto, comunque,mantenere anche una parte statistica, riservando l’ap-pendice del Rapporto a una selezione di tabelle che ri-portano i principali dati sul fenomeno migratorio in Ita-lia, dal numero dei residenti alle acquisizioni di cittadi-nanza, fino alle principali nazionalità dei cittadinistranieri presenti in Italia.

È l’ultimo sforzo editoriale di due organismi della Conferenzaepiscopale italiana, ovvero Caritas Italiana e Fondazione Mi-grantes. Ed è frutto di un incessante lavoro di rinnovamento,

che ha interessato sia i contenuti che l’impaginato. Un nuovo lin-guaggio per le migrazioni è il titolo del Rapporto immigrazione2017-2018, che è stato presentato a Roma a fine settembre.

La scelta di procedere a un restyling dello storico Rapporto è natadalla necessità di tener conto dei profondi mutamenti sociali e po-litici intervenuti negli ultimi anni, in conseguenza dei quali la nar-razione pubblica del fenomeno migratorio è cambiata nello stile enella forma. La necessità di raggiun-gere un maggior numero di lettori,non di rado preda di una costante di-sinformazione sul tema dell’immi-grazione, ha richiesto un interventoeditoriale volto innanzitutto a rende-re i contenuti del rapporto più acces-sibili e immediati. A partire, dunque,dal formato del volume, che si avvi-cina sempre più a una rivista, pas-sando per una riduzione dell’impagi-nato, e puntando su un layout piùmoderno, con l’inserimento di map-pe e grafici, si è cercato di raggiunge-re l’ambizioso obiettivo di riportarela riflessione relativa ai migranti e all’immigrazione su unpiano di obiettività, scevra da strumentalizzazioni e ana-lisi faziose, che sovrabbondano nel dibattito pubblico delnostro paese.

Tecnologia più veloce dell’antropologiaNon a caso, dunque, il tema scelto quest’anno per il Rap-porto è stato Un nuovo linguaggio per le migrazioni. Comeefficacemente sottolinea nella prefazione monsignorGuerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes,il dibattito su un tema tanto cruciale e delicato oggi «si po-ne in un contesto di realtà sempre nuove e imprevedibili,in un mondo in cui la tecnologia corre più veloce dell’an-tropologia. Occorre quindi un nuovo linguaggio (…)».

Il professor Mario Morcellini, commissario dell’Autoritàper le garanzie nelle comunicazioni, ha contribuito con unbreve saggio al nuovo Rapporto immigrazione; in esso ri-

Caritas e Migranteshanno pubblicato il

“Rapporto immigrazione2017-2018”. Il prodottoeditoriale si presenta

in una veste rinnovata:obiettivo, raggiungereun maggior numero di lettori, non di radopreda di una costante

disinformazionesull’argomento

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dall’altromondodi Oliviero Forti

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Reddito disponibile familiare pro-capite

Ricchezza delle famiglie pro-capite

Pil pro-capite

Figura 1.Variazioni di reddito disponibile,Pil pro capite e ricchezza netta pro capite delle famiglie

Figura 2. Variazione dei redditi delle famiglie italianedopo la crisi. Intensità della diminuzione tra il 2006 e il 2016

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l’azione pubblica, che favoriscano larealizzazione dell’articolo 3 della Co-stituzione Italiana e contrastino l’au-mento delle disuguaglianze.

Caduta dei redditi personaliL’evoluzione delle disuguaglianzeeconomiche presenta, in Italia, unconnotato quasi unico, rispetto al pa-norama delle economie democrati-che avanzate. In primo luogo, e al pa-ri di altri paesi, la crisi finanziaria glo-bale del 2007-2008 ha inferto un durocolpo ai bilanci delle famiglie italia-ne. In secondo luogo, e diversamenteda altri paesi europei, redditi e bilan-ci delle famiglie erano già afflitti dauna stagnazione, che si protrae dallaprima metà degli anni Novanta.

La figura 1 mostra chiaramente che:. il Prodotto interno lordo pro capiteera nel 2016 ancora circa il 10% in-feriore al periodo pre-crisi;. la ricchezza familiare netta pro ca-pite (ovvero la somma dei patri-moni immobiliari e finanziari, alnetto di tutti gli indebitamenti) nel2016 ha perso cumulativamente il15% rispetto al 2007;. la dinamica relativa al reddito di-sponibile pro capite (al netto diimposte e trasferimenti) delle fa-miglie italiane appare, invece, me-no negativa dell’andamento delPil pro capite e sembra aver quasirecuperato il terreno perso.

Il panorama appare, tuttavia, moltopiù negativo, allungando lo sguardoindietro nel tempo, alla metà deglianni Novanta. In un recente studio(Brandolini, Gambacorta e Rosolia,2018) si afferma che «l’Italia è l’unicotra i paesi maggiormente avanzati adavere sofferto, nell’ultimo ventennio,una caduta dei redditi personali realipro capite».

Più poveri, più penalizzatiUn’ulteriore caratteristica della re-cente crisi italiana è che, a partire dal

2006, le perdite di reddito reale dispo-nibile sono state registrate lungo tuttala distribuzione del reddito. Ovvero,tutti hanno perso, in media (il redditomediano delle famiglie è calato di cir-ca il 15%). Ma c’è chi ha perso più dialtri. Dividendo la popolazione italia-na in dieci gruppi per grandezza direddito, le famiglie con perdite eco-nomiche più ampie sono infatti col-locate nel primo decile della distribu-zione dei redditi (secondo l’indaginecampionaria sui bilanci delle famiglieitaliane, a cura della Banca d’Italia –figura 2): il reddito medio del 10%delle famiglie più povere ha registratoun calo del 20% circa, il doppio delcalo di reddito registrato per il 10%delle famiglie più ricche. Anche que-sto pone in contrasto l’Italia con le al-tre maggiori economie europee, dove

nazionale tendenze sociali

Ma c’è chi ha perso più di altri. Dividendola popolazione italiana in dieci gruppi pergrandezza di reddito, i nuclei con perdite

economiche più ampie sono collocati nelprimo decile della distribuzione dei redditi

la disuguaglianza dei redditi appareleggermente diminuita negli annisuccessivi alla crisi. Perdite lavorativepiù elevate per le classi di lavoratorimeno specializzati e con minoreesperienza, insieme a una minore ef-ficacia dei sistemi di welfare di sup-porto al reddito, potrebbero spiegareparte di queste dinamiche.

Inifne, il declino generalizzato deiredditi ha fatto anche sì che più per-sone varcassero la soglia della pover-tà. Sempre Brandolini, Gambacorta eRosolia (2018) hanno stimato che ipoveri (con reddito al di sotto di unasoglia prestabilita, 9 mila euro) sianoaumentati, dal 2004-2006 al 2012-2014, dal 14 al 19%. E in effetti secon-do le rilevazioni Istat, gli individui instato di grave deprivazione sono rad-doppiati dal 2010 al 2012 (dal 7 al15% circa), per poi stabilizzarsi al12% fino al 2016. Le regioni del sudd’Italia hanno tassi di incidenza dideprivazione più che doppi, rispettoad alcune regioni del Nord. Infine,ancora l’Istat stimava che nel 2016 il

30% dei residenti in Italia fosse a ri-schio di povertà o esclusione sociale.

L’evoluzione delle disuguaglianzedi reddito non appare contenutanemmeno se spostiamo indietro neltempo il livello di riferimento. La figu-ra 3, riassumendo l’evoluzione di unaserie di indicatori, indica che l’Italia èoggi un paese sostanzialmente più di-seguale rispetto agli anni Ottanta oNovanta. I dati dati sono presi dalChartbook of Economic Inequality(Atkinson, Hasell, Morelli, Roser,2017), una banca dati che rielaboraanaliticamente le diverse misure didisuguaglianza economica relative a26 paesi nel corso della storia. Quantoall’Italia, ognuno degli indicatoridell’evoluzione di disuguaglianza direddito o salari mostra segno positi-vo: ciò conferma un generico aumen-to medio delle disuguaglianze econo-miche a partire dagli anni Ottanta.

Ricchezza concentrataLa ricchezza netta media pro capite (lasomma dei patrimoni immobiliari e fi-

nanziari, al netto di tutti gli indebita-menti) in Italia è relativamente eleva-ta, grazie a un ammontare di ricchezzareale e finanziaria alto e a un indebita-mento molto basso, almeno in rap-porto ad altri paesi industrializzati. Se-condo i dati di contabilità nazionale,elaborati da Banca d’Italia e Istat, laricchezza netta pro capite negli annivicini al 1995 era di circa 110 mila euro,nel 2007 è cresciuta a circa 165 milaeuro, mentre nel 2013 si è ridotta a 145mila euro. Il valore dell’indebitamentopro capite si aggirava sui 7 mila euronel 1995 e sui 15 mila negli anni pre-cedenti e successivi la crisi del 2007.Tutti questi dati sono in euro 2014.

In Italia, grazie alle rilevazionidell’indagine campionaria condottadalla Banca d’Italia sui bilanci dellefamiglie, le stime sulla disuguaglian-za di ricchezza delle famiglie sono di-sponibili a partire almeno dal 1987.Utilizzandole, si ricava che l’1% piùricco della popolazione adulta posse-deva nel 2014 e nel 2016 circa il 14%della ricchezza totale, quota legger-

mente superiore a quella presente al-la fine degli anni Ottanta (13%).

La concentrazione appare, tutta-via, più alta se utilizziamo dati di na-tura fiscale, a partire dalle dichiara-zioni delle imposte di successione.Questi dati presentano una serie didifficoltà di analisi, ma hanno il pre-gio di mettere a fuoco meglio l’accu-mulazione di ricchezza tra le fascepiù ricche della popolazione, miglio-rando, presumibilmente, le stime didisuguaglianza. Ad esempio, si stimache l’1% più ricco della popolazioneadulta (definito come gli individuicon almeno 1,5 milioni di euro di pa-trimonio) possedeva nel 2014 più del25% della ricchezza personale nettatotale, lasciando il 5% della ricchezzaal 50% più povero della popolazione.

Come si nota in figura 4, a partiredal 1995 (primo anno di rilevazioneutilizzando i dati fiscali) la quota di ric-chezza totale nelle mani dell’1% piùricco è aumentata sostanzialmente(era circa il 17% nel 1995). Pertanto,con i dati di origine fiscale, il livello di

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grande automazione, quella fordista,con il suo bisogno di operai abili – an-zi, di formiche –, poteva apparire ine-vitabile. Eppure l’umanità, organiz-zandosi, ha saputo trasformarla inuna liberazione, operando per la ridu-zione del numero delle ore di lavoro edall’asservimento in fabbrica.

Costituzioni e legislazioni social-mente orientate, organismi sovra-nazionali, movimenti sindacali,predominio di culture politicheispirate al primato della comunitàe del collettivo sull’individuo: ar-nesi vecchi, o ancora utili per con-durre battaglie di equità?

Non sono arnesi vecchi. Proprio losmantellamento di quegli strumentiha determinato le disuguaglianze. Oggivanno ricostruiti tutti. Ma partendo da

le? Insostenibilità del welfare assi-stenziale “di massa”?

A causa di tutte queste componenti.Compresa la globalizzazione, pur coni suoi effetti straordinariamente posi-tivi. Questi fenomeni hanno sfidato ilmodo in cui ci eravamo organizzati.Noi non solo non abbiamo risposto inmaniera appropriata, ma abbiamocostruito politiche neo-liberali che di-cono: «Non abbiamo più bisogno del-lo stato, ci pensano le grandi corpora-tion». L’intelligenza necessaria per de-cidere cosa fare, dove investire, inquali territori, in quali industrie, inquali tecnologie, ce l’hanno le grandicorporation. È stata compiuta un’atti-va scelta di rinunzia all’esercizio diuna funzione pubblica collettiva.Questa è l’autentica determinantedelle diseguaglianze. Anche la prima

Abbiamo costruito politiche neo-liberalied è stata compiuta un’attiva sceltadi rinunzia all’esercizio di una funzione

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Confronto tra media post 2007 e media anni Ottanta

Figura 3. Disuguaglianze e povertà di reddito in Italia dagli anniOttanta a oggi. Variazioni percentuali di diversi indicatori di disuguaglianza

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Figura 4. Concentrazione di ricchezza – Top 1% in Italia.Percentuale di ricchezza personale netta detenuta dall’1% dei cittadini più ricchi

1995 ’96 ’97 ’98 ’99 ’00 ’01 ’02 ’03 ’04 ’05 ’06 ’07 ’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16

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un nuovo strumento, che è la grandenovità di questa fase della storia e deverianimare tutti i vecchi strumenti. Sitratta della capacità, della volontà deicittadini di organizzarsi direttamente,non delegando completamente allostato, come si è pensato nella vecchiasocial-democrazia, la realizzazione de-gli obiettivi collettivi. L’Italia è un paeseche ha organizzazioni di cittadinanzaattiva che raccolgono 2 milioni di vo-lontari, con 500 mila occupati. Questeorganizzazioni manifestano la vogliadei cittadini di realizzare il proprio be-ne collettivo, non solo votando, quindisecondo le regole di una democraziaelettiva, ma attraverso una democraziadeliberativa, a cui i cittadini stessi con-corrono, protestando, costruendo,producendo, agendo. Questo è l’ele-mento di novità, che però si deve me-scolare con gli altri. Se pensiamo che lisostituisca, che sostituisca lo stato, isindacati, i parlamenti, costruiamoun’utopia non realizzabile.

Squilibri sempre più accentuatidentro i paesi e tra paesi e aree delpianeta: hanno qualcosa a che ve-dere con il rafforzarsi dei flussimigratori, e con la loro dramma-tizzazione?

In quella che un tempo consideravamola parte non industrializzata del mon-do, dalla Cina all’India all’Indonesia, siè formato un importante ceto medio.In altri ambiti di quegli stessi paesi, pe-rò, e in un pezzo di mondo enorme,che è l’Africa, il reddito non è cresciutoper niente. Complessivamente si è ri-dotta la disuguaglianza tra paesi, ma alprezzo di un aumento della disugua-glianza dentro i paesi. L’Europa – con-tinente straordinario, pur con tutti isuoi limiti – rappresenta un potentepolo di attrazione per chi, nei propripaesi, non riesce a trovare pace, sereni-tà, giustizia. Il grande movimento ditrasferimento di popoli, che ha naturastorica, quasi secolare, è una sfida nonfacile, perché facilmente strumentaliz-zabile: «La ragione delle vostre disegua-glianze – è il messaggio che viene tra-smesso ai poveri e ai trasandati dell’Oc-cidente – è legata ai poverissimi di altreterre». Per vincere tale sfida, occorrecombattere insieme le diseguaglianzeinterne ai paesi e tra i paesi.

L’Italia avverte con maggiore o mi-

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Coefficiente di Gini(reddito familiare lordo)

La quota del redditototale dichiarato al fisco detenuto dal Top 1% degliindividui più ricchi

Tasso di povertàrelativo (individui che vivono in famigliecon meno del 60% del reddito mediano)

Rapporto fra il salariodel decile più riccorispetto a quellomediano

Top 1% stimato con dati fiscali

Top 1% stimato con l’indagine campionaria sui bilanci delle famiglie

16 I TA L I A C A R I TA S | O T T O B R E 2 0 1 8

nazionale tendenze sociali

abrizio Barca (nella foto), sta-tistico ed economista con pre-stigiosi incarichi in istituzioninazionali e internazionali, unrecente passato di militanza

politica nel Pd, un’esperienza da mini-stro per la coesione territoriale nel go-verno Monti, è tra i promotori e gli ani-matori del Forum disu-guaglianze e diversità(cui sin dagli inizi – metàfebbraio 2018 – e insie-me ad altre sette organiz-zazioni aderisce ancheCaritas Italiana). Il pro-fessor Barca ha incrocia-to spesso, nella sua vitadi studioso, il tema dellediseguaglianze. Ora, ri-tiene, è venuto il mo-mento di unire le forze,per disegnare politichepubbliche e azioni collettive che necontrastino l’abnorme ampliamento.

Professore, viviamo in un’epoca didiseguaglianze socio-economiche

crescenti. Dobbiamo rassegnarcia essa, nonché ai risentimenti so-ciali e alle strumentalizzazioni po-litiche che genera?

Dipende da noi. Non c’è nulla di ine-vitabile nel fatto che le grandi disu-guaglianze si traducano in regressio-ne sociale. Lo fanno, perché c’è sem-

pre qualcuno che èpronto a intercettare el’insoddisfazione socia-le e a tramutarla in ri-sentimento per gli “al-tri”. Ma è possibile an-che che si coagulinoforze culturali che tra-ducano il conflitto ge-nerato dagli squilibri inun movimento oppo-sto. Nella storia, le enor-mi disuguaglianze delprimo capitalismo sono

state superate traducendole in rabbiaqualche volta, in altri casi momenti inmomenti di avanzamento sociale. Ainostri giorni non sta avvenendo. Maè possibile che avvenga.

Dopo le guerre mondiali, per alcu-ni decenni all’interno delle societàeuropee e occidentali si era assi-stito a una diffusa ed equilibratadistribuzione di risorse e ricchez-ze. Parentesi storica inedita e irri-petibile?

In ognuno di noi esistono due com-ponenti: l’apertura agli altri, che trovasoddisfazione nel migliorare le cosedel mondo, e l’orientamento auto-centrico, che può condurre alla derivadella chiusura in microcomunità. Neldopoguerra, la batosta causata daiconflitti mondiali era diventata unvaccino fortissimo, tanto forte da farcitrovare la forza di costruire il welfare.Poi ci siamo seduti, e non è casualeche ci si trovi nella situazione attuale.Ma guardando alla storia vediamo cheè possibile riprendere il cammino.

Quando si è inceppato il meccani-smo redistributivo? E a causa diquali fattori, in prevalenza? Pri-mato della finanza? Accelerazionidel digitale? Competizione globa-

«Tempo di alleanze, non è inevitabileche gli squilibri generino regresso sociale»Intervista a Fabrizio Barca, economista e politico, tra i promotoridel Forum diseguaglianze, nato a febbraio, cui aderisce anche Caritas di Paolo Brivio

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concentrazione della ricchezza e il suotrend di aumento nel tempo appaionomolto più marcati di quelli stimati uti-lizzando l’indagine campionaria.

I numeri dimostrano dunque chel’aumento delle disuguaglianze di red-dito e di ricchezza avvenuto in Italianegli ultimi 30 anni è reale. Le politi-che pubbliche devono farsi carico diinvertire questa rotta, per favorire lamobilità sociale e garantire un pienosviluppo delle libertà sostanziali e del-le opportunità per tutti gli Italiani. Solocosì sarà possibile garantire chel’obiettivo ultimo del “Forum disugua-glianze diversità” possa divenire real-tà, e nel paese si ristabilisca la fiducianella possibilità di riprendere un per-corso di avanzamento sociale. IM

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C’È UN ANTIDOTOA CHI SPACCIA PERCEZIONI?

Lo mettiamo in atto noi stessi quando,per esempio, in presenza di un bruscomutamento climatico, ci sorprendia-mo ad affermare che una cosa del ge-nere non s’era mai vista, salvo esseresmentiti dalle statistiche, se ci si piegaa consultarle.

Ma in politica le rettifiche non sonoagevoli, perché il transito dal reale alpercepito non segue i ritmi delle rea-zioni spontanee, ma è provocato dasoggetti che consapevolmente gonfia-no le cifre reali per ottenere un risul-tato politico congeniale alle loro istan-ze. L’intervento della speculazionepolitica – ché di questo si tratta – av-viene in modo autonomo, comeespressione di soggetti che hanno bi-sogno di una misura percepita dellarealtà che giustifichi le loro rivendica-zioni. L’importante, per essi, non è laverità ma, per dirla con Pirandello, ciòche come verità è creduto.

Corpo a corpo necessarioSi comprende che il quadro non è lostesso, se l’analisi descrive un’impor-tante trasmigrazione di persone o se,sulla scia della percezione diffusa,

esonda verso termini come “emergenza” o “invasione”. Perinvocare misure corrispondenti non al dato reale, ma alla“verità percepita”.

In questo scenario, due sono le direttrici che è possi-bile percorrere. La prima è il recupero dell’autenticitàdelle cifre, materia che però non tange gli… spacciatoridi cattiva moneta. La seconda comporta la denunciaesplicita delle deformazioni che alimentano le percezioninegative e muovono le reazioni più spicce, se non brutali.È un lavoro che comporta una paziente attenzione e unacapacità di documentazione inoppugnabile. Non per de-scrivere una realtà idilliaca, ma per misurarsi con i pro-blemi reali, senza il bisogno di alterazioni fuorvianti.

Non è la scelta di un fronte tranquillo. Ma il corpo a cor-po con la speculazione è l’unica via per riportare il dibat-tito alla sua dimensione costruttiva, e come tale risolutiva.Altrimenti restano gli espedienti. Al limite... l’esorcismo.Con la certezza, però, di lasciare intatto il nodo.

della quantità ha un rapporto obbli-gato con la qualità dei fenomeni. Ilpunto problematico consiste nell’esi-genza di individuare con esattezza ilmomento-luogo in cui un mutamen-to avviene; se si accetta che l’elemen-to determinante sia quello quantitati-vo, che descrive la consistenza di unfatto sociale di rilievo, la certezza deinumeri è il presupposto dell’autenti-cità di una tendenza, di uno sviluppo,di un processo. Con la conseguenzache, se si sbagliano i numeri o se si de-formano i calcoli e le stime, si travol-gono le basi essenziali del giudizio. Esi lascia campo sterminato all’invadenza del pregiudizio.

Mulini a vento artificialiI pregiudizi sono, in sostanza, mulini a vento contro i qualisi rischia di combattere invano: pur infondati, non sono ef-fetti di fantasia, ma realtà empiriche artificiali, che in poli-tica assumono una consistenza con cui bisogna fare i conti.Si tratti delle migrazioni o del Pil, dell’occupazione o del-l’andamento dei mercati.

Questa sfida si gioca nel campo della psicologia socia-le, dove impera l’intreccio tra verità effettiva e verità per-cepita, la prima coincidente con le cifre giuste, l’altra conquelle alterate dalla percezione soggettiva di singoli ogruppi organizzati. All’interno di questo campo si produ-cono i fattori che, dilatando le quantità reali, determina-no pressione politica, urgenza sociale, necessità indero-gabile d’intervento, pena la catastrofe.

Il meccanismo funziona anche al di fuori della politica.

Occorre la pazienza di tornare a ragionare

sui dati reali deiproblemi, invece di farsi

trascinare dallespeculazioni. Ma comeavversare le alterazioni

del reale? Con ladenuncia esplicita delledeformazioni, fondata

su una documentazioneinoppugnabile

uanti sono gli immigrati in Italia? Quanti ne arrivano ogni gior-no? Quanti mussulmani o cristiani o altro? La tendenza degliarrivi è in crescita o in calo? Ecco, se per ogni tema che implica

una dimensione quantitativa si cominciasse a ragionare dalle cifre,il risultato sarebbe diverso da quello che normalmente si verifica.

Il discorso vale anche per tante altre questioni, sulle quali ci si ac-capiglia ogni giorno sia ai pieni alti della politica che agli ammezzatidell’intermediazione quotidiana: bar, treni, piazze, ritrovi di una di-mensione sociale che è in declino ma sussiste.

Il discorso si può riprodurre per tutti i casi in cui la dimensione

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contrappuntodi Domenico Rosati

18 I TA L I A C A R I TA S | O T T O B R E 2 0 1 8

nazionale tendenze sociali

nore acutezza, rispetto allo scena-rio globale, il divaricarsi della for-bice di redditi, ricchezze e oppor-tunità?

I numeri dicono che la disuguaglianzaè peggiorata, ma soprattutto è aumen-tata in maniera inammissibile la quotadi ricchezza dei ricchissimi. A questosi aggiunga che nelle aree rurali delpaese, nelle aree interne e lontane daicentri di servizio, nelle periferie, si ma-nifestano difficoltà molto forti di ac-cesso ai servizi fondamentali. Le “cau-se”? Politiche sbagliate. L’Italia è cadu-ta nella trappola neo-liberale comealtri. Ha fatto, cioè, i suoi 25 anni di po-litiche neo-liberali: basta con il sinda-cato, basta con il ruolo troppo invasivodello Stato, privatizzazioni a ogni co-sto... Con un elemento peggiorativo(un’amministrazione particolarmentedebole, arcaica, inadeguata a un nuo-vo mondo dove non si può più proce-dere con decisioni uguali per tutti, maè richiesta una forte discrezionalità) euno migliorativo (come già detto, ladiffusa presenza delle organizzazionidi cittadinanza).

La polarizzazione delle risorse nonrisulta attenuata dai grandi e rico-nosciuti ammortizzatori sociali dicui in fondo ancora disponiamo?

Questi fattori non bastano per un mo-tivo che riguarda anche gli altri paesidove il wellfare c’è, dalla Gran Bretagnaalla Svezia alla Germania. In una socie-tà, la redistribuzione è fondamentale,perché il capitalismo tende a creareconcentrazione di ricchezza e reddito.Ma non si può caricare tutto sulla redi-stribuzione: bisogna che già la distri-buzione primaria del reddito, cioè laformazione di salari e profitti, non creitroppe differenze. Se io lascio che inpochissimi possano produrre e con-trollare le informazioni sul web, o go-vernare la formazione delle preferenzedei consumatori, se il potere dei mo-nopoli si consolida e il livello di con-

correnza diminuisce, se di conseguen-za la concentrazione della ricchezza èmolto forte, la redistribuzione non puòfarcela. La stessa etica del capitalismo(secondo cui chi è più bravo e più ca-pace va messo in condizione di espri-mere le proprie capacità, anzitutto im-prenditoriali) chiede di modificare iprocessi di ripartizione della ricchezzain una direzione pre-distributiva, an-cor prima che re-distributiva.

Chi nella società civile si battecontro la povertà e per i redditid’inclusione, dovrebbe prima bat-tersi per una maggiore giustiziasociale, nel segno dell’equa redi-stribuzione delle risorse?

Per certe battaglie, lo strumento cano-nico, nel mondo democratico, sonosempre stati i partiti, in cui ceti socialidiversi si sono mescolati per provare aregolare e governare i mercati, la finan-za, la tecnologia. Oggi in tutto l’occi-dente i partiti vivono una grave crisi,però esistono grandi organizzazione dicittadinanza, che con la loro capacità diallearsi possono produrre risultati. Co-me è accaduto in Italia, recentemente,nel caso della battaglia dell’Alleanzacontro la povertà per il Reddito di inclu-sione sociale. La stessa cosa deve valereper le politiche pre-distributive: singole

In una società, la redistribuzione è fattorefondamentale. Ma non si può caricare tuttosu di essa: bisogna che già la distribuzione

primaria del reddito, cioè la formazione di salari e profitti, non crei troppe differenze

organizzazioni possono cambiare la vi-ta di singole persone attaccando le di-seguaglianze, ed è importante che lofacciano. Ma solo alleandosi riescono aincidere sui meccanismi profondi estrutturali. In ogni caso, l’eliminazionedella povertà relativa e assoluta è lacondizione perché gli esclusi possanosvolgere la funzione di cittadini attivi,capaci di scelte e iniziative volte a co-struire maggiore giustizia. L’impegnocontro la povertà e quello per l’equitàsono necessariamente connessi.

In questo scenario, quale funzioneambisce ad assolvere il Forum di-seguaglianze e diversità?

Il Forum ha visto allearsi organizzazio-ni culturalmente diverse, le quali av-vertono il bisogno di trovare alleanzeper incidere di più, in termini di advo-cacy, sul parlamento e sulle forze po-litiche. Noi abbiamo individuato trecampi rispetto ai quali provare a ela-borare proposte concrete di cambia-mento delle politiche. Le presentere-mo a febbraio, riguardano la ripresadel governo del progresso tecnico, l’in-tervento sul delicato momento del tra-sferimento intergenerazionale dellaricchezza e l’individuazione di stradenuove con cui i lavoratori, precari e re-golari, possano tornare ad accrescereil loro peso all’interno dei luoghi di la-voro. Abbiamo inoltre messo in can-tiere ricerche-azioni sull’attività che leorganizzazioni promotrici del Forumgià conducono: esistono tante espe-rienze importanti, in Italia, che meri-tano un supplemento di analisi. Perdar loro forza, per accrescerne la no-torietà, per farle diventare prassi diffu-sa di lotta alle diseguaglianze.

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NEL SOTTOSCALA DELLA STORIALa parte povera della popolazione vedela sua condizione in costante discesa

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RAVENNATutti i bambinivanno a scuola:raccolta dimateriali didattici

Si è svolta per il sesto anno l’iniziativa di solida-

rietà “Tutti i bambini e le bambi-ne vanno a scuola!”, promossa

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LODI E CREMAOrti sociali,la venditasupporta le azionidi inclusione

È iniziata a luglio la vendi-ta diretta di prodotti del-

l’orto sociale, avviato da unacooperativa sociale anche grazieal finanziamento ottenuto dallaCaritas diocesana di Lodi. Per-sone disoccupate, vulnerabili e disabili hanno consentito di mettere in vendita prodotti a chilometro zero, coltivati senzafertilizzanti chimici. L’obiettivo è assumere nell’orto (13 milametri quadrati) a tempo indeter-minato persone con disabilità,per lo più psichica. I prezzi alchiosco sono accessibili a tutti,da 1 a 3,50 euro al chilo; ecce-denze donate al locale Centroraccolta solidale.

Buoni frutti stanno dando anche gli orti sociali attivi alla“Casa della carità” della Caritasdiocesana di Crema. Anche inquesto caso, frutta e verdura col-tivate da persone in difficoltà so-no distribuite ai cittadini, a offer-ta libera; la Caritas valuta ancheuna distribuzione a domicilio.

CREMONACongelatoriper migliorarele condizionidei detenuti

La Caritas diocesana di Cremona ha donato,

su richiesta della direttrice delcarcere, dieci congelatori a poz-zetto alla casa circondariale del-la città lombarda, per alleviarealmeno in parte i disagi estividei detenuti. I congelatori sonostati destinati a tutte le sezionidetentive, per far sì che i detenu-ti possano avere acqua fresca e conservare i prodotti alimenta-ri. L’iniziativa risponde anche al-la scelta della diocesi, di coinvol-gere il mondo penitenziario nelSinodo diocesano dei giovani.

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panoramaitalia

1dal Tavolo della solidarietà ravennate, per permettere allefamiglie in difficoltà di mandarea scuola i figli con un corredoscolastico completo e adeguato.Tra fine agosto e inizio settembre,raccolte riuscite davanti a super-mercati e cartolerie del territorio,a cura di volontari, inclusi quellidel centro d’ascolto Caritas.

Il progetto “Costruire segni di speranza”, giunto alla terza annualità e finanziato con fondi Cei otto per mille, è stato ideato per far fronte alla crescente complessitàdelle situazioni incontrante dal centro di ascolto diocesano. La complicazione e cronicizzazione delle povertà hanno richiamato alla necessità di costruire, pazien-temente, percorsi di prossimità alle persone povere, proponendo loro cammini di progressiva responsabilizzazione, caratterizzati da accompagnamento costante e dal coinvolgimento del territorio di provenienza. Per raggiungere questi obiettivi si è scelto di lavorare principalmente su quattro temi: disagio lavorativo, abitativo,alimentare, infine l’accompagnamento dei territori.

Su ognuno di questi fronti si sono fatti, grazie anche al progetto, significativi inve-stimenti e innovazioni. Riguardo al lavoro, i tre anni di progetto hanno permesso di affinare un iter di accompagnamento, articolato e personalizzabile, che partendodalla ricostruzione della fiducia in sé stessi e dalla messa a fuoco delle potenzialitàdella persona, cerca di accompagnarla verso un’occupazione. Si anche è conclusala costituzione della opera-segno “NuovaMente”, nata per favorire l’inserimento socio-lavorativo, in ente autonomo, al fine di qualificare l’attenzione al tema.

Camminare insiemePer quanto riguarda il disagio abitativo, si è rafforzato il circuito di accoglienza diffusache impegna 30 unità pastorali, in particolare nel periodo invernale, nell’accoglienzaa persone e famiglie in difficoltà. A questa attività si è affiancata l’apertura di unanuova opera-segno, la “Locanda di San Francesco” (nella foto, l’edificio dove è situata),struttura flessibile, capace di accogliere sia singoli che nuclei, concepita per le secon-de accoglienze in semi-autonomia, ma in grado di consentire anche la condivisione di spazi e momenti e caratterizzata da una forte propensione ad animare il territorio.

Sul fronte alimentare, il progetto è riuscito a uniformare la gestione di due delletre mense dei poveri attive a Reggio Emilia, attraverso la costituzione di un unicopunto di accesso, l’unificazione dei requisiti e soprattutto l’adozione di un unicoprogramma informatico di accesso.

Infine ci si è dedicati all’accompagnamento delle Caritas e dei centri di ascol-to territoriali, per rilanciare e qualificare la disponibilità a camminare insieme alle per-sone in difficoltà; sono state costituite équipe territoriali, composte da pool di operatori con competenze diverse, chiamati a supporta-re le unità pastorali nell’assumere carità e accoglienza come autentico stile di vita delle comunità cristiane.

Lavoro, casa, cibo, territorio:c’è da costruire la speranza

6di Andrea Golliniottopermille/Reggio Emilia

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Cento persone migranti, sbarcate dopo il “sequestro”agostano sulla nave “Diciotti”. Il rapido transito nel Cen-tro di accoglienza straordinaria (Cas) presso la struttura“Mondo Migliore” di Rocca di Papa, è stato solo il prelu-dio della “dispersione” ai quattro angoli d’Italia. Che in re-altà è stata un’articolata operazione di accoglienza, volutadalla Conferenza episcopale italiana, coordinata da Cari-tas Italiana e resa possibile dalla disponibilità ad acco-gliere manifestata da oltre 40 Caritas diocesane. L’interaoperazione viene coperta dai fondi otto per mille messi a disposizione dalla Conferenza episcopale italiana, e si pone in continuità con un programma consolidato di accoglienza diffusa con cui la Chiesa italiana ha ospita-to e accompagnato, negli ultimi tre anni, oltre 26 mila migranti, spesso in famiglie e parrocchie.

Alcune decine di migranti e richiedenti asilo sbarcati

dalla “Diciotti” hanno deciso di allontanarsi, tentando di proseguire in autonomia il loro viaggio; decine di altrisono seguiti in diversi territori, da Milano a Cassano alloJonio, perché possa aver corso l’esame della loro doman-da di asilo o protezione umanitaria, e nel contempo si svi-luppi un fruttuoso percorso di integrazione sociale. «L’im-pegno dei cristiani – ha dichiarato don Francesco Soddu,direttore di Caritas Italiana, commentando la vicenda –deve tradursi in una sempre maggiore capacità di analisidelle situazioni, di proposta per la giustizia, di promozionedel sostegno ai più deboli, di controllo sulle procedure in rapporto ai fini da conseguire. Da una parte occorresvegliare l’attenzione delle amministrazioni pubbliche, dall’altra bisogna far sì che le realtà sociali che operanoper l’inclusione non si sentano abbandonate a se stesse,ma invece siano rafforzate con supporti e reti».

IMMIGRAZIONEAffidati a Caritas i migranti della Diciotti

Il 20 agosto è stato emanato il Bando nazionale volontariper la selezione di 28.967 giovani da impiegarein progetti di servizio civile in Italia e all’estero.Caritas Italiana ha visto finanziati 198 progetti,per 1.394 posti, più 6 all’estero, per 42 posti.La scadenza per le domande dei giovani è il 28settembre. Possono presentare domanda citta-dini italiani, degli altri paesi dell’Ue e non comu-nitari regolarmente soggiornanti in Italia. Per

partecipare al bando occorre aver compiuto 18 anni e non aver superato i 28 alla data di presenta-zione della domanda, oltre ad avere altri requisi-ti. È prevista anche una riserva di posti destina-ta ai giovani Fami, per 4 progetti (11 posti) dialtrettante Caritas diocesane: gli aspiranti devo-no anche essere titolari di protezione internazio-nale (ossia rivestire lo status di rifugiati o esseretitolari di protezione sussidiaria) o umanitaria.

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ferto supporto e collaborazioneall’Ambito territoriale sociale 35affrontare situazioni di precarie-tà di individui e famiglie, collabo-

rando anche allosmistamento delleofferte di beni materiali. In terzoluogo, supporta le associazioni

cattoliche (in particolare AzioneCattolica e Agesci) che si sonorese disponibili per attività di animazione rivolte a bambini,adolescenti, anziani e personefragili, o per altre forme di aiuto.Infine, ha aperto un conto cor-rente dedicato per offerte (Iban:IT81F0617501400000003364480 – Banca Carige, sede di Ge-nova, causale “Emergenza sfol-lati Ponte Morandi”).

GENOVAPonte Morandi:quattro azioni peraiutare le vittime e sostenere chi aiuta

Sono quattro le azionimesse in atto dalla Cari-

tas di Genova per aiutare la po-polazione colpita dal crollo delponte Morandi. L’intervento si èsviluppato, a partire da fine ago-sto, per coordinare, supportare e potenziare le azioni di aiutoche parrocchie e altre realtà ec-clesiali hanno garantito sin daiprimi giorni dopo la tragedia. LaCaritas diocesana ha deciso an-zitutto di potenziare l’attività deicentri di ascolto e supportare lerealtà ecclesiali operanti nel ter-ritorio. In secondo luogo, ha of-

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LA SPEZIAIntegr-Azioni,l’agricolturafattore di sviluppoe coesione sociale

È giunto al terzo anno il progetto “Integr–Azioni”,

sostenuto tra gli altri dalla Cari-tas diocesana. Il progetto offreattività formative e opportunitàlavorative, attraverso borse lavo-ro, a persone svantaggiate e a rischio di esclusione sociale,giovani migranti e italiani residen-ti nello Spezzino e in Lunigiana.Nell’ultimo anno, ha coinvolto 35persone in attività di manutenzio-ne di spazi verdi e di salvaguar-dia del territorio. Dal 2017 sonostate inserite in via sperimentaleattività in campo edile.

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SERVIZIO CIVILEBando servizio civile, con le Caritas 208 progetti per quasi 1.500 giovani

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colletta nazionale indetta dalla Cei e a numero-se donazioni, sono pervenuti a Caritas Italianaoltre 27,5 milioni di euro; secondo una con-solidata esperienza, sono stati promossigemellaggi tra località terremotate e de-legazioni regionali Caritas. Contempora-neamente, Caritas Italiana si è attivatanella costruzione di luoghi polifunzionali, pensati per rendere possibili le attività religiose, culturali e aggregative delle comunità. Tra le iniziative attuatedalla rete Caritas, c’è anche una lettura di tipo sociale, eco-nomico e sociodemografico delle province terremotate, perdefinire linee progettuali di sviluppo economico e sociale.

Tra interventi e aiuti d’urgenza, l’impegno di progettazio-ne sociale e l’ampio programma di realizzazione di strutturepolifunzionali (32 Centri di comunità, 24 realizzati e 8 in fa-se istruttoria; 4 strutture di accoglienza; 7 tra servizi caritati-vi e spazi socio-pastorali, 5 realizzati e 2 in istruttoria) e distrutture all’interno del cimitero di Amatrice, due anni dopoil sisma risultavano erogati quasi 14 milioni di euro, mentrealtri 7 milioni erano già stati impegnati per altri interventi.

di San Bernardino a Montefran-co, dove – grazie anche al soste-gno di Caritas Italiana – è nata la cooperativa “Valle Mea”, conl’obiettivo di offrire posti di lavorotramite un’attenta gestione di al-cune proprietà ecclesiastiche. A cominciare proprio dal conven-to. La parte nuova del conventodi San Bernardino a Montefrancoè stata adibita a casa per ferie:può accogliere venti persone; la cooperativa per gestirla ha as-sunto due giovani del territorio.

ISCHIATutti gli aiutia imprese e famiglie dopoil terremoto

A un anno dal sisma che il 21 agosto 2017 colpì

Ischia (in particolare i comuni di Casamicciola Terme e LaccoAmeno), la Caritas diocesana ha pubblicato un rapporto sull’in-tervento della Chiesa locale in favore delle comunità colpitedal sisma. Passata la prima fase emergenziale, l’intervento si è focalizzato sull’organizzazio-ne di tre centri di ascolto per as-

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Nella notte del 24 agosto 2016 iniziò una scia di eventi sismici, che per mesi avrebbe interessato intere aree del-l’Appennino e dell’Italia centrale. La lunga scia di terremo-ti, frane e valanghe colpì, tra la seconda metà del 2016 e l’inizio del 2017, 140 comuni, ricompresi in 4 regioni e 11 diocesi, causando un numero di sfollati che, nel no-vembre 2016, raggiunse il picco (quasi 32 mila persone).

La Conferenza episcopale italiana e i suoi organismi,tra cui Caritas Italiana, sin dai primi momenti ha manife-stato attenzione alle popolazioni terremotate. Grazie alla

tari, alternandosi nei vari servizi,hanno consentito alle personebisognose di avere accesso aipasti caldi e all’assistenza dellaCaritas diocesana. All’Help Cen-ter della stazione Catania Cen-trale sono state offerte ogni gior-no colazione e cena, e nelledomeniche anche il pranzo; attivi anche il centro di ascolto,la Rete di accoglienza sanitaria, il guardaroba. La mensa “BeatoDusmet” a Librino ha conferma-to le aperture, così come sem-pre attiva è stata l’unità di stra-da, col servizio di ronda serale.

Anche in molte altri territori le Caritas locali hanno assicuratoservizi d’estate. “Locanda d’Ago-sto” ha assicurato a Novara, per esempio, il funzionamentodella mensa per i poveri. Per oltre un mese ha sostituito le altremense presenti in città. La men-sa era organizzata per assicura-re particolare attenzione al-l’aspetto relazionale della cenae alla condivisione con l’altro,con chi è in difficoltà. Molti frui-tori dell’iniziativa vi hanno parte-cipato per non restare a casa da soli: ad accoglierli hanno tro-vato una sessantina di volontari.

sistere materialmente e psicolo-gicamente i nuclei familiari. Gliaiuti assegnati a famiglie e im-prese hanno tenuto conto dellasituazione reddituale e patrimo-niale dei soggetti, oltre che deidanni subiti. Alla dotazione fi-nanziaria degli interventi hannocontribuito le diocesi della Cam-pania, altre diocesi italiane, il Va-ticano, la Cei, diversi privati e as-sociazioni. In totale, sono statepresentate circa 320 richiesteda 16 aziende e 304 famiglie(oltre 250 da Casamicciola e oltre 50 da Lacco Ameno); sonostate accolte quasi tutte le istan-ze. Sono stati stanziati comples-sivamente 360 mila euro (20 mi-la a imprese, il resto a famiglie).

NOVARA E CATANIADal Sud al Nord,servizi Caritasaperti d’estate.Grazie ai volontari

Aperti d’agosto. Anchemolti servizi basati sul

volontariato chiudono i battenti,per periodi più o meno brevi, nel cuore dell’estate. Non a Ca-tania, dove un centinaio i volon-

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TERREMOTO CENTRO ITALIAA due anni dalle prime scosseimpegnati 21 milioni su 26 peremergenza, ricostruzione e sviluppo

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il Refettorio ambrosiano, oltre a funzionare di sera per i senzadimora, è stato aperto a pranzoper gli anziani. A beneficiare del turno pomeridiano sono stati58 over 65 residenti nel quartie-re di Greco e nelle altre periferiecittadine. Hanno avuto l’opportu-nità di pranzare e di socializzarein un ambiente accogliente; alprogetto “Et voilà, il pranzo è ser-vito” hanno aderito 25 volontari.

SPOLETO-NORCIAUna cooperativacrea lavorogestendo beniecclesiastici

È stato inaugurato a metàagosto dal cardinal Gualtie-

ro Bassetti, presidente della Cei,il nuovo corso del Convento

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RIMINISave Meal,l’app segnalaquando sonodisponibili pasti

Si è conclusa in agosto la prima fase di Save Me-

al, un sistema per donare pastigratuiti alle persone in difficoltà.Grazie a un’applicazione digitale,utilizzabile su smartphone, le persone che usufruiscono del servizio vengono avvertitequando un ristorante ha dei pastida donare. La sperimentazionesi è svolta a Rimini, con la parte-cipazione del comune, di Asso-ciazione Isnet, della Caritas dio-cesana e del ristorante “HastaLuego”. I pasti segnalati dall’appsi possono consumare in sala, o ritirare e mangiare fuori. Il pro-

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getto è nato per limitare gli spre-chi alimentari e nel contempoaiutare chi è in difficoltà.

FOLIGNO E MILANOOratorio dei nonni,Refettorio d’estate:con gli anziani,contro la solitudine

Aiutare gli anziani menoabbienti a combattere la

solitudine. Che nel periodo esti-vo si fa sentire di più. La Caritasdiocesana di Foligno in agostoha così promosso l’“Oratorio deinonni”: la sede dell’Arca del Me-diterraneo, nel cuore del centrostorico folignate, è stata apertatutti i giorni per attività ricreative,che prevedevano anche uscitegiornaliere e gite fuori porta.

Anche a Milano, ad agosto,

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Serena Langhetti (Caritas Mondovì).«In estate la nostra Caritas ha organiz-zato un campo di volontariato pressola Caritas di Saluzzo. I giovani parteci-panti hanno operato nell’ambito delprogetto “Saluzzo Migrante”, che offresupporto, accoglienza e integrazione

ai migranti stagionali. Sono state 627 le persone transi-tate all’Infopoint, 121 i curriculum preparati, 82 le bici-clette fornite su cauzione. A fare la differenza, però, è ilcontatto con le persone. Quelle incontrate nei giorni delcampo hanno, come tutti, un nome. E quando si imparaa dare un nome, a non generalizzare, cambia moltissimola percezione delle cose. Si fugge dalla guerra, ma a vol-te c’è la povertà estrema, altre il desiderio di migliorarele proprie condizioni di vita. Tante le domande che i ra-gazzi del campo si sono poste; l’indifferenza e l’assurdaretorica a cui spesso assistiamo hanno lasciato spazio al desiderio di ascoltare la realtà. Che non è fatta di procla-mi, ma di vita e dell’esperienza autentica delle persone».

Enzo Capitani (Caritas Grosseto). «Dallo scorso febbraiotre sacerdoti originari di differenti paesi del mondo fannoservizio in Caritas. Hanno accolto la proposta, noi li rin-graziamo. Questi sacerdoti affiancano il cammino dellepersone che si rivolgono a noi, rendendosi più facilmente

prossimi ai loro bisogni, perché riescono a calarsi meglionelle problematiche di chi arriva dall’America Latina o dall’Europa dell’est. È un’esperienza partita a conclu-sione di un percorso di formazione per volontari, nel qua-le i tre sacerdoti erano già stati coinvolti per spiegare lecaratteristiche, anche di tipo spirituale, delle popolazioniprovenienti dalle diverse aree del mondo».

Raffaele Cerciello (Caritas Nola).«Il Centro antiviolenza di genere“Maya” nasce dalle storie incontra-te ogni giorno nei centri di ascolto e nelle altre opere segno della dio-

cesi. Abbiamo intercettato un tipo di violenza di cui pocosi parla, quella economica. Donne sposate che non sonopercettori di stipendio, vengono sottoposte a violenza da parte dei mariti, uniche persone ad avere lo stipendioall’interno dei rispettivi nuclei familiari. Questo crea unaverticalizzazione dei rapporti tra i coniugi, che sfocia, ap-punto, nella violenza. Ovviamente l’orizzonte di cui ci oc-cupiamo è più vasto. Tre gli sviluppi del progetto collegatial centro: prevenzione (parliamone, lavoriamo sull’aspet-to culturale delle nostre comunità); presenza (avere unosportello aperto, informare il territorio di questo presi-dio); infine la realizzazione, nell’arco di tre anni, di unacasa-rifugio».

L’accoglienza è (anche) una bicicletta,i motivi economici della violenza di genere

9levocingiro di Danilo Angelelli

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16 ottobre, Giornata mondialedell’alimentazione.

Nel mondo 821 milioni di persone

(cifra tornata a crescere) sono prive

di cibo, mentre672 milioni sono

in grave sovrappeso.All’Onu, gli stati si sono

dati un traguardo, daraggiungere entro

il 2030. Non puòrimanere uno slogan:

è un compito cheinterpella tutti noi

VALENTINARISO E FAGIOLI

Ha 7 anni, ed è una delle beneficiarie del programma

varato da Caritas Venezuelacontro la malnutrizione,

problema che toccail 70% degli under 5

del paese latinoamericano

Obiettivo famezero

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Vulnerabilità cronicaIl Sahel è ciclicamente investito dacrisi dovute a siccità ricorrenti, com-binate a condizioni di vulnerabilitàcronica della popolazione nei con-fronti di un ambiente tra i più com-plessi del pianeta. Vulnerabilità pro-vocata da decenni di politiche nazio-nali e internazionali, a vantaggio diinteressi esterni ed élite di potere lo-cali, inadeguate e controproducentirispetto alle esigenze di solidità e so-stenibilità dei sistemi alimentari, eco-nomici e di protezione sociale locali.

Il fenomeno ha avuto origine nelperiodo coloniale ed è poi proseguitoper adattamento al mercato globale ea diversi altri fattori: i piani di aggiusta-mento strutturale dettati da Fondo

monetario e Banca mondiale, il dum-ping causato dai sussidi all’agricolturanei paesi industrializzati, gli investi-menti a vantaggio di monocolture in-tensive volute dalle multinazionaliagroalimentari, lo sfruttamento dis-sennato delle ingenti ricchezze natu-rali presenti nell’area (uranio, petrolio,oro, argento, zinco), da cui la gran par-te della popolazione non ha tratto van-taggio e che anzi hanno creato, sin daiprimi anni della decolonizzazione,conflitti prima economici e poi etnici epolitici. Ne sono scaturiti sistemi eco-nomici fragili e sistemi alimentari for-temente dipendenti dalle importazionidi cibo, oltre che altamente vulnerabilied esposti a shock di prezzi e clima.

Sul piano ambientale, se da un latoprecipitazioni irregolari e siccità con-traddistinguono da sempre la regione,popolata da comunità con stile di vitatradizionalmente nomadico e basatosu un fragile e mutevole equilibrio trarisorse naturali e uomo, d’altro cantoil Sahel è dinnanzi a una delle sfidepiù difficili e complesse del nostropianeta. È dagli anni Ottanta, infatti,che il Golfo di Guinea e la fascia sahe-liana registrano temperature medie incostante rialzo e un progressivo e im-portante calo della pluviometria. Stu-di recenti evidenziano un’espansionedi circa il 10% del deserto del Sahara,soprattutto in Senegal e Mali. Secon-do gli esperti, il fenomeno è dovuto in

Il deserto del Sahara si è espanso di circail 10%, soprattutto in Senegal e Mali.Fenomeno dovuto in parte ai cicli naturali

delle correnti atmosferiche, in parte al mutamento climatico di natura antropica

parte a cicli naturali delle correnti at-mosferiche e in parte al cambiamentoclimatico di natura antropica, che haaccentuato la naturale aridità e l’irre-golarità pluviometrica.

Instabilità protrattaLa vulnerabilità ambientale è acuita dacondizioni di insicurezza e conflitti vio-lenti diffusi nell'area, dovuti a crisi mul-tiple e protratte nel tempo. Da un lato,l’instabilità generata ai confini meridio-nali della Libia, a seguito del collassodello stato: milizie mercenarie, per lopiù maliane e nigerine, che erano alsoldo di Gheddafi, rientrando nei ri-spettivi paesi li hanno ulteriormentedestabilizzati. Di ciò ha risentito in mo-do evidente il Mali, con la crisi scoppia-ta nel 2012 e della quale, nonostante gliaccordi di pace del 2015, il paese pagaancora le conseguenze, con ampie por-zioni del centro-nord fuori da un effet-tivo controllo dello stato e teatro discontri e attentati da parte di gruppi ar-mati di varia estrazione. Si tratta, di fat-to, di una zona franca per traffici illegalidi droga, armi e esseri umani: dal norddel Mali si estende al Niger, al sud del-l’Algeria, al Ciad, sino alla Libia.

Ma c’è anche la crisi che dal 2009 in-veste il nord-est della Nigeria, causatadal gruppo armato Boko Haram, dimatrice jihadista, che colpisce un’am-pia area intorno al lago Ciad, popolatada milioni di persone ed estesa sino aiterritori di confine di Camerun, Nigere Ciad. La crisi, nei quattro paesi coin-volti, ha provocato circa 2,5 milioni disfollati interni e profughi, persone infuga in cerca di luoghi più sicuri. L’at-teggiamento fortemente repressivo dei

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L’impegno Caritas

Caritas Italiana è da molti anni impegnata nei paesi del Sahel, in collaborazione con le Caritas locali, attive da sempre sul frontedella sicurezza alimentare, il rafforzamento della capacità di risposta dellecomunità alle crisi, l’assistenza a profughi e sfollati provocati da conflitti violenti. A seguito della nuova emergenza, Caritas Italiana e la rete interna-zionale Caritas hanno lanciato un appello alla solidarietà per sostenere interventi di assistenza alimentare immediata e fornire i mezzi necessari a consentire la coltivazione e l’allevamento del bestiame. Gli interventi si concentrano in Burkina Faso, Niger, Mauritania, Camerun. Caritas Italianainoltre aderisce al Gruppo di lavoro per il Sahel, tavolo a cui partecipano leCaritas nazionali della regione e altre della rete internazionale, per rafforzarela risposta congiunta alla crisi alimentari e sul fronte della mobilità umana.

Emergenza e sicurezza alimentare

di Fabrizio Cavalletti

Da maggio una severacrisi alimentarecolpisce, appena sottoil Sahara, 6 milioni di persone in 7 paesi.La scarsità di piogge è l’innesco, il resto lo fanno gli uomini:interessi esterni ed esteri, monocolture,traffici illeciti,instabilità politica e militare

internazionale africa

a diversi mesi una severa cri-si alimentare sta colpendouna vasta area della regionedel Sahel, la fascia che attra-versa l’Africa da est a ovest al

di sotto del deserto del Sahara, com-presa tra il Golfo di Guinea e il Cornod’Africa. Già all’inizio di maggio 2018le agenzie delle Nazioni Unite aveva-no lanciato l’allarme, a causa di cre-scenti livelli di malnutrizione provo-cati da raccolti molto al di sotto delleaspettative, tra i peggiori degli ultimianni. L’allarme si è concretizzato inuna crisi che sta colpendo milioni dipersone in Senegal, Mauritania, Mali,Burkina Faso, Niger, Ciad e Camerun.

Secondo l’Ocha, i livelli di insicu-rezza alimentare sono paragonabili aquelli del 2012, quando la fascia sahe-liana fu colpita da una dura carestiache investì oltre 18 milioni di persone.Le zone più toccate sono nella fasciacentrale del Ciad, nel sud-est e sud-ovest della Mauritania, nella regione

dei laghi di Goudam e nelle aree dovesi pratica la pastorizia di Gao e Tim-buktu in Mali, nel nord del BurkinaFaso, in Niger nella regione del LagoCiad e nelle aree agricole e pastoralidella fascia centro-meridionale.

Sono oltre 6 milioni le persone col-pite dalla crisi. Le precipitazioni scar-se e irregolari del 2017 e 2018 hannocausato raccolti al di sotto della me-dia e perdite di bestiame, provocandoun deficit alimentare tra la popolazio-ne dedita all'agricoltura di sussisten-za e alla pastorizia. In Niger, esempio,si registra una carenza di foraggiocorrispondente al fabbisogno di oltreil 40% del bestiame del paese. Alla ri-duzione della disponibilità di ciboautoprodotto e all’esaurimento dellescorte si è poi aggiunto un considere-vole aumento dei prezzi, soprattuttodi alcuni cereali, come miglio, sorgo emais. Ciò ha reso inaccessibile ai nu-clei familiari più poveri anche il ciboimportato disponibile sul mercato.

DNelSahel tornalafame

rısorse, conflittıSiccità,

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CRISI INTRECCIATEDue donne rifugiate, originarie del Mali,portano acqua nel villaggiodi Miel, popolato di profughi:l’instabilità politico-militareamplifica i problemi climatici

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(NON) EVAPORALA SPERANZA

Pescatori che fruiscono deiprogetti di ripopolamento

condotti dalla rete Caritasnella regione del lago Ciad.

Sotto, paesaggio inariditonell’Estremo Nord del

Camerun, colpito nel 2018,da una siccità eccezionale

mila sfollati interni. Un’emergenzanell’emergenza.

Questi popoli alla deriva sono il ri-sultato delle violenze senza confinedel gruppo terroristico nigeriano Bo-ko Haram, che da diversianni colpisce direttamentee indirettamente anchel’Estremo Nord del Came-run. Nei primi mesi del2018, sono stati registratialmeno dieci attacchi a set-timana, con persone ucci-se, ferite, donne violentate,villaggi saccheggiati e datialle fiamme. E un senso diinsicurezza devastante, chetrattiene le persone lonta-ne dalle loro case.

Su tutto ciò ha infierito la pesantis-sima siccità dell’ultima stagione. «So-no in Camerun da 28 anni e non homai visto niente del genere!», testimo-nia padre Danilo Fenaroli, missionariodel Pime a Mouda, dove vive dal 1990.È una delle poche voci che hanno rot-to la pesante barriera di silenzio che hacircondato questa immane catastrofe.Milioni di africani che soffrono la famenon fanno più notizia. «Conosco inte-re famiglie che rischiavano di morire –racconta il missionario –. Alcune di lo-ro, quest’anno, non hanno avuto al-cun raccolto, per mancanza di piogge.E quando la stagione secca si trascina-va verso il suo termine, non avevanoassolutamente niente per nutrirsi».

Pluviometria dimezzataNella regione dell’Estremo Nord, ne-gli ultimi anni, la pluviometria è scesaattorno ai 510 millimetri, mentre inpassato si superavano facilmente an-che i 1.100 millimetri. «In media – ri-corda padre Danilo – ogni famigliaraccoglieva dai 20 ai 30 sacchi di mi-glio, che venivano gestiti in parte pernutrirsi (circa la metà), in parte peressere venduti: con il ricavato si man-davano i bambini a scuola o si facevafronte a eventuali malattie. Questavolta, moltissime famiglie non hannoraccolto quasi nulla: chi un sacco odue, chi addirittura mezzo sacco dimiglio. La situazione era drammatica.Anche al mercato i prodotti di primanecessità scarseggiavano e i prezzierano saliti alle stelle».

Anche Bouba, che lavora presso imissionari del Pime a Yagoua, al confi-ne con il Ciad, ma è originario della re-gione di Mouda, è sbalordito: «In vitamia non ha mai visto così tanta gentesoffrire la fame. Molti di quelli che co-nosco ormai mangiano solo una volta

al giorno. E solo miglio». Di ritorno dalfunerale di un parente, racconta di unasituazione allarmante: «Al villaggionon avevano più nulla. Normalmente,una famiglia consuma un sacco di mi-glio al mese. Io ho cinque figli e se ab-biamo anche un po’ di tuberi riuscia-mo ad andare avanti un po’ più a lun-go. Ma se abbiamo solo miglio, non siriesce a superare il mese. Ho visto tantagente che soffriva davvero. Verso Mou-tourwa, in particolare, non sono riusci-ti a raccogliere quasi niente».

Anche lui si lamenta dei prezzi. Per-ché anche in queste situazioni e a que-ste latitudini c’è chi specula sulla pelledelle gente: «Un sacco di miglio di 120chili – racconta Bouba – costava a Ga-roua, capoluogo del Nord Camerunma un po’ più a sud, attorno ai 12-13mila Franchi Cfa (20 euro circa, ndr);nell’Estremo Nord è arrivato a superarei 25 mila franchi Cfa, ovvero quasi 40euro. Un prezzo totalmente inaccessi-bile per la maggior parte delle famiglieche, già in situazioni normali, vivonoin condizioni di grande povertà».

Piogge, ma regolari…«Negli ultimi mesi ci siamo trovati difronte a una situazione di grave emer-genza – ribadisce padre Danilo –. Fa-miglie intere che non avevano piùniente da mangiare perché i raccolti,nella migliore delle ipotesi, sono statiscarsi, e in molti casi completamenteinesistenti. Anche molte trivellazioniche abbiamo fatto per trovare l’acquasono andate a vuoto. Non ci era maisuccesso con simile frequenza. Pur-troppo molte falde acquifere non so-no state alimentate ed è diventatoestremamente difficile anche realiz-zare i pozzi».

Si spera ora che la nuova stagionedelle piogge sia abbondante e regola-re. Perché il problema – ormai da tem-po – non è solo la mancanza d’acqua,ma anche il ripetersi di fenomeni at-mosferici estremamente violenti, cheprovocano alluvioni e devastazioni.Riproponendo in maniera uguale econtraria il problema della distruzionidei raccolti. Anche in questo caso, pe-rò, nonostante i molti allarmi, moltifingono di non vedere. Come se icambiamenti climatici non fosserogià una sfida dell’oggi (o addirittura diieri), ma un’ipotesi da rimettere con-tinuamente in discussione.A

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governi ha alimentato ulteriormente ilconflitto, con ritorsioni sulla popola-zione civile da parte delle forze gover-native, facendo guadagnare ulterioreconsenso e reclute ai miliziani. Con-senso favorito da condizioni di povertàestrema, carenze educative e assenzadi servizi di base, che delegittimano leistituzioni e creano il substrato socio-culturale di cui l'estremismo si nutre.

Pagano i poveriIntrecciando molteplici fattori, la crisinel Sahel rappresenta dunque unesempio paradigmatico delle contrad-dizioni e le profonde ingiustizie che ca-ratterizzano il mondo contemporaneo:milioni di persone tra le più povere delpianeta e meno responsabili dei muta-menti climatici, pagano le conseguen-ze peggiori di un modello di sviluppoiniquo e dannoso per l’ambiente. Traqueste, anche coloro che proprio daquest’area partono, sfidando il desertoe violenze di ogni tipo, per tentare la viaverso le coste del Mediterraneo.

internazionale africa

Queste regioni non hanno pace. In cambio,abbondano di profughi e sfollati: quasi 100mila provenienti dalla Nigeria e 200 mila

sfollati interni. Emergenza nell’emergenza,risultato delle violenze di Boko Haram

l cielo bianco, piatto, quasi im-mobile. E sotto, distese senzafine color sabbia e ocra. Losguardo si perde all’orizzonte,dove cielo e terra si sfiorano

senza mai veramente toccarsi. La ter-ra – e la sua gente – prostrate in ras-segnata attesa della benedizionedell’acqua che non arriva mai.

È stato così per lunghi mesi nella re-gione dell’Estremo Nord del Camerun.Qui sono abituati al gran caldo e allasiccità. Sono terre estreme, non solo

nel nome. Ma come nei primi mesi diquest’anno, non s’era mai visto.

Le piogge si sono fatte attenderetroppo, gli allarmi sono stati datitroppo tardi. E comunque nessunoha fatto quasi niente. Quasi tre mi-lioni di persone hanno rischiato dimorire di fame. E ora che le pioggesono tornate si cerca di riprendereun po’ alla volta una vita quotidianasegnata dalla miseria e dalla preca-rietà, aggrappandosi a un po’ di spe-ranza. Ma quel che è perso è perso.

Estremo Nord senz’acqua per mesi:«Ci è rimasto un pugno di miglio»Il settentrione del Camerun, emblema della crisi del Sahel. Poche strutture,istituzioni lontane, profughi: amplificati gli effetti dei mutamenti climaticidi Anna Pozzi

IE il prossimo raccolto sarà solo traqualche settimana.

La fame non fa notiziaQuello che succede nell’EstremoNord del Camerun è emblematico diuna situazione più ampia, comples-sa e drammatica, che riguarda l’in-tero bacino del Lago Ciad e chechiama in causa non solo i fattoriclimatici, ma anche l’intervento ne-fasto dell’uomo.

Queste regioni, innanzitutto, nonhanno pace. Trascurate dal governocamerunese, poverissime e arretrate,mancano di tutto: infrastrutture,scuole, centri sanitari… Abbondanoinvece di profughi e sfollati: quasi 100mila provenienti dalla Nigeria e 200

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a migrazione verso l’Europanon avviene più solo attra-verso le rotte mediterranee,con gli sbarchi sulle costespagnole e italiane. A parti-

re dal 2015, chi migra sfrutta un’ulte-riore rotta che, dalla Turchia, consen-te via terra di risalire l’intera penisolabalcanica. La meta rimane la stessa:l’Unione europea, in particolare Au-stria, Germania, i paesi scandinavi.

La “rotta balcanica” salì alla ribaltain tutta Europa tra 2015 e 2016, quan-do oltre un milione di persone la per-corse per cercare rifugio nel territoriocomunitario. Sin da allora, viene uti-lizzata da migranti soprattutto deipaesi medio-orientali (persone in fugada Siria, Iraq, Palestina), ma ancheorientali (Pakistan, Afghanistan e mol-ti altri paesi). Dalle coste turche, dopouna breve traversata via mare, i mi-granti approdano sulle isole della Gre-cia (Lesbos, Chios, Samos...), da cui

vengono trasferiti ad Atene. Parte da lìun lungo percorso di risalita via terra:dopo la Grecia, Macedonia o Bulgaria,fino ad arrivare in Serbia, ultima tappaprima del territorio comunitario.

Fino alla primavera 2016, i migran-ti che giungevano in Serbia riusciva-no ad entrare in qualche modo nel-l’Ue, alcuni dal confine con la Croa-zia, altri dal confine con l’Ungheria.Ma nel febbraio-marzo 2016 due ac-cordi misero fine alla migrazione li-bera lungo la rotta balcanica. Il pri-mo, tra Turchia e Ue, prevedeva ampifinanziamenti allo stato turco in cam-bio del controllo più serrato delle co-ste e dei confini e dell’accoglienza(forzata) di tutti i migranti provenien-ti dal Medio Oriente. L’accordo è in vi-gore da oltre due anni e oggi la Tur-chia ospita circa 4 milioni di profughi,il 90% provenienti dalla Siria.

L’altro accordo avvenne invece trai governi dei paesi balcanici, che in-

LRespinti da Croazia e Ungheria, i migranticoprono nuovi e piùpericolosi percorsi per cercare di entrarenell’Ue. Vengono da Medio Oriente e paesi asiatici, moltiormai anche dall’Iran.E convergono sullaBosnia ed Erzegovina,paese del tuttoimpreparato

di Daniele Bombardi

Io cambio la rotta

Tu blindiı confini?

internazionale balcani

APPRODO FATISCENTEMigrante mediorientale,in uno degli edifici della cittàbosniaca di Bihac, occupatisulla rotta verso il centro Europa

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DA AGGIORNARE,NON DA DISINTEGRARE

il parlamento europeo ha moderniz-zato la legge elettorale e lanciato unacampagna (“Stavolta io voto”), per at-tivare reti di cittadini e realizzare oc-casioni di sensibilizzazione, al fine difavorire l’affluenza al voto. Lo stessoha fatto la commissione europea,proponendo i candidati capilista, unariforma della composizione del par-lamento e della commissione stessa,la scelta di un unico presidente percommissione e consiglio europeo.

Saremo quindi tutti chiamati apartecipare al dibattito che coinvol-gerà la comunità europea nei prossi-mi mesi. «L’Europa sarà forgiata dallesue crisi e sarà la somma delle solu-zioni trovate per risolvere tali crisi»,dichiarava Jean Monnet (Memoires).Ma sarà lo schieramento vincente adeterminare la soluzione per il futu-ro, non esclusa – stando ai progetti incampo – la disintegrazione del pro-getto europeo.

Come affrontare le grandi questio-ni odierne – lotta alle diseguaglianze,migrazioni, giustizia sociale, cambia-menti climatici, pace – se non con po-litiche condivise a livello europeo e

globale? Occorre cogliere l’occasione per riaffermare l’oriz-zonte verso cui tendere. «I progetti dei Padri fondatori (…) non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruireponti e abbattere muri», dichiarò papa Francesco ai par-lamentari europei a Strasburgo nel 2016, invitandoli «anon accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromes-si». Nel discorso ai Capi di stato riuniti a Roma nel marzo2017, il Papa li invitò ad «“aggiornare” l’idea di Europa.Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo,basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacitàdi dialogare e la capacità di generare». La speranza perl’Europa di oggi e di domani si ritrova dunque nei pilastrisui quali i Padri intesero edificare la Comunità economicaeuropea: «la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva,l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dellosviluppo, l’apertura al futuro». È precisamente la posta ingioco, anche per i prossimi mesi.

E uropa, che domani hai? Era il titolo del dossier pubblicato suItalia Caritas nel marzo 2017, in occasione del 60° anniver-sario dei Trattati di Roma. Un titolo da riproporre, in vista

delle elezioni europee, previste per maggio 2019, chiamate a sele-zionare i rappresentanti del parlamento europeo, unica istituzionecontinentale a essere eletta direttamente dai 500 milioni di cittadinidell’Unione. A maggio si terrà anche il vertice speciale dell’Ue a Si-biu, Romania, durante il quale i leader nazionali dovrebbero com-pletare il processo avviato con il vertice di Bratislava (2016), per la ri-forma delle istituzioni europee, necessario per svecchiarle e renderlepiù rispondenti alle esigenze di so-cietà a cittadini.

Il processo di riforma e sviluppodell’Unione cerca di rispondere allecrisi recenti che hanno scosso le fon-damenta dell’Europa: crisi economi-ca, emergenze umanitarie, minacciadel terrorismo, vittoria della Brexit.Se c’è chi propone, contro i fattoridestabilizzanti, di rinchiudersi neiconfini nazionali, erigendo muri, ed’altro canto si rafforza la voce di chichiede di rilanciare il progetto d’inte-grazione europea, orientandolo di-versamente e recependo le legittimiistanze di critica e insofferenza.

La Commissione europea ha promosso negli ultimi 18mesi una serie di iniziative per alimentare il dibattito epromuovere la partecipazione dei cittadini europei. Hapubblicato il 1° marzo 2017 il Libro bianco sul futurodell’Europa; organizzato eventi di dialogo con i cittadini(dal 2012 quasi 700 dibattiti pubblici in 160 città e altri500 nei prossimi mesi); infine ha organizzato una consul-tazione pubblica online, aperta fino a maggio, elaboratada un gruppo di 96 cittadini provenienti dai 27 statimembri, per capire preoccupazioni, speranze e aspetta-tive sul futuro dell’Europa e delle sue istituzioni.

Forgiata dalle sue crisiLe elezioni europee, con la scelta di 705 deputati eletti asuffragio universale diretto, rappresentano una tappa de-terminante. Per rafforzare la partecipazione dei cittadini,

I prossimi mesi sarannodecisivi per le sorti

dell’Unione europea. A maggio 2019 i cittadini

voteranno per il parlamento, i leader

si pronunceranno sullariforma delle istituzioni.

Il progetto che i Padrieressero su pilastri

di civiltà sarà compiutoo cancellato?

zeropovertydi Laura Stopponi

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scita del turismo verso il paese, hastretto un accordo con il governo ira-niano per liberalizzare i visti per i tu-risti. In sostanza, ciascun cittadinoiraniano può comodamente prende-re un aereo da Teheran e atterrare aBelgrado, senza bisogno di visto.

L’accordo ha avuto più conse-guenze sulle politiche migratorie chesu quelle turistiche. Migliaia di ira-niani, infatti, hanno colto l’occasionedi atterrare legalmente in Serbia, e ri-trovarsi a pochi chilometri dal terri-torio Ue. Invece di fare i turisti, moltihanno iniziato da Belgrado la propriaavventura migratoria. I dati Unhcrconfermano che da alcuni mesi inSerbia arrivano migranti non solo“via terra” da Macedonia e Bulgaria,ma sempre più anche per “via aerea”dall’Iran. A giugno, ad esempio, benil 15% degli arrivi totali di migranti èavvenuto con un aereo da Teheran.

«A novembre ho comprato un bi-glietto per Belgrado per me, mia mo-glie e nostra figlia appena nata. Siamoatterrati in aeroporto, lì abbiamo fattodomanda di asilo – racconta Parviz –.Ho passato alcuni mesi in un campoprofughi a Bogovadja. Presto abbia-mo capito che da lì non saremmo mairiusciti a entrare in Ungheria o Croa-

La grande maggioranza (80%) provie-ne invece dalla vicina Serbia ed entranel paese dal confine orientale. Si trattadi migranti che, partiti per seguire larotta balcanica originaria, si sono tro-vati i confini sigillati con Ungheria eCroazia, e provano dunque a passareattraversando le montagne bosniache.

Tra i migranti che arrivano dallaSerbia, da qualche mese cresce un fe-nomeno particolare. Parte tutto dauna scelta (autunno 2017) del gover-no serbo: allo scopo di favorire la cre- R

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L’impegno Caritas

Fin dall’inizio della crisi migratoria lungo la prima rotta bal-canica (estate 2015), Caritas Italiana è attiva a fianco delle Caritas deipaesi coinvolti: in Grecia, Macedonia e Serbia sono stati sviluppati pro-grammi di accoglienza, distribuzione di aiuti, supporto psicosociale e inte-grazione per i migranti in transito. Nella fase più acuta dell’emergenza, l’intervento è stato possibile anche grazie ai fondi otto per mille resi dispo-nibili dalla Cei, che hanno consentito l’avvio di 8 progetti: case di acco-glienza, mense e cucine per i migranti, servizi di lavanderia. Caritas Italia-na ha inoltre supportato i diversi emergency appeals lanciati dalle Caritasdella regione e ha coordinato gli interventi di molte diocesi italiane.

Con l’apertura della seconda rotta balcanica (autunno 2017), CaritasItaliana si è nuovamente attivata per affiancare le Caritas di Albania,Montenegro, Bosnia ed Erzegovina. Sono stati offerti consulenza tecnicanella progettazione degli interventi, formazione agli operatori locali, sup-porto economico, assistenza tramite l’invio di volontari. Gli interventi che le Caritas locali stanno avviando riguardano l’accoglienza, la fornitura di aiuti di prima necessità (cibo, acqua, kit sanitari), il miglioramento dellecondizioni di vita nei campi profughi (social cafè, postazioni wi-fi, anima-zione dei bambini), oltre che la preparazione al rigido inverno (fornitura di abiti invernali e scarpe). Anche lungo questa rotta, Caritas Italiana coordina il supporto offerto dalle Caritas diocesane italiane e collaboracon altre ong italiane, come Ipsia-Acli.

Emergenza e sicurezza alimentare

ACCAMPATI ALLE FRONTIEREMigranti a Bihac; sotto, tendopoli a Velika Kladusa, confine con la Croazia

Le “rotte balcaniche”: coinvolta anche la Bosnia ed Erzegovina

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Si tratta di un gioco molto rischioso: sevinci, sei in Ue e puoi sperare di ricostruirtiuna vita. Ma spesso succede che perdi:

arrestato dalla polizia croata, picchiatoe rimandato indietro in malo modo

sieme decisero di chiudere i confini erendere dunque illegale qualsiasi mi-grazione lungo la rotta. A questo ac-cordo fece seguito l’irrigidimento deicontrolli effettuati da Croazia e Un-gheria, per provare a sigillare defini-tivamente i confini comunitari.

Falliti gli accordi 2016La realtà, però, si è dimostrata moltopiù complessa. Il progetto di chiude-re la rotta balcanica e di sigillare ilconfine orientale dell’Ue non ha ret-to alla prova dei fatti. Sebbene i flussisiano stati notevolmente ridotti, larotta continua a essere utilizzata.

Da un lato, il progetto di bloccare iflussi dalla Turchia alla Grecia non reg-ge alla pressione migratoria. Secondo idati Unhcr, nel 2017 sono stati 29.718 imigranti che sono riusciti a lasciare laTurchia per approdare in Grecia, e altri21.963 lo hanno fatto nei primi 7 mesidel 2018. Flussi più numerosi, addirit-tura, di quelli verso Italia e Spagna: nel-lo stesso periodo, sulle nostre coste so-no approdate circa 17 mila persone esu quelle iberiche circa 18 mila. La Gre-cia in agosto ospitava oltre 61 mila per-sone, la gran parte delle quali aveva inprogramma di proseguire verso l’Ue.

Dall’altro lato, il progetto di sigillarela rotta balcanica è solo parzialmenteriuscito. È vero che si sono drastica-mente ridotti gli ingressi nel territoriocomunitario dalla Serbia, e in partico-lare sono stati di fatto azzerati gli in-gressi verso l’Ungheria. Ma, come diceun vecchio adagio, quando l’acqua in-contra un muro, non torna indietro nési ferma, bensì fluisce cercando altrivarchi. E così è successo: dall’autunno2017, si è aperto un secondo percorsomigratorio, che aggira i muri innalzatida Ungheria e Croazia. Una “rotta bal-canica 2.0”, che muove i migranti finoalla Bosnia ed Erzegovina (BiH), di-ventata la nuova ultima stazione pri-ma dell’ingresso nell’Ue, lungo la qua-le in estate sono arrivate a muoversi

circa 650 nuove persone a settimana.

“The game”, rischioso e caroLa BiH si è trovata dunque all’improv-viso al centro di una delle principalirotte migratorie in Europa. Nessuno loaveva immaginato. La rotta balcanicaoriginaria attraversava i paesi vicini(Serbia e Croazia) e nessun migranteaveva mai pensato di passare dalla Bo-snia ed Erzegovina negli ultimi 3 anni,anche perché il territorio montuoso eimpervio rende difficili gli spostamen-ti. Invece, negli ultimi mesi, è stato uncrescendo inarrestabile: 230 arrivi agennaio, 480 a febbraio, 670 a marzo,1.400 ad aprile, fino agli oltre 2.300 ar-rivi al mese durante l’estate, per un to-tale di 11.873 persone tra il 1° gennaioe il 26 agosto (dati Unhcr).

Una volta entrati, i migranti pun-tano al confine nord-ovest del paese,presso le città di Bihac e Velika Kladu-sa: da lì sperano di trovare il varcogiusto per entrare in Croazia. Ognigiorno decine di persone provano

quello che, nel loro gergo, chiamanothe game, il gioco: attraversare illegal-mente il confine per entrare nell’Ue.

Si tratta di un gioco molto rischio-so: se vinci, sei nell’Ue e puoi speraredi ricostruirti una vita. Ma più spessosuccede che perdi, finendo arrestatodalla polizia croata, picchiato e ri-mandato indietro in malo modo. Edè un gioco rischioso anche perchéquel confine è tra i più pericolosi inEuropa: territorio montagnoso, im-pervio, ancora pesantemente mina-to. Le mine messe negli anni Novan-ta, durante la guerra bosniaca, quinon sono ancora state bonificate.

Il game è anche un gioco moltocaro: negli ultimi mesi nelle zone diconfine sono aumentati i trafficanti(veri o presunti) che promettono aimigranti di farli arrivare in Italia o inaltri paesi comunitari, pagando cifreelevate, anche 3 mila euro per attra-versare il confine. Ma spesso il tenta-tivo finisce male, e i respingimentisono più numerosi dei successi.

Persiani a BelgradoIl 20% degli arrivi in BiH utilizza unpercorso lungo la costa adriatica: dallaGrecia, lungo Albania e Montenegro, sientra nel paese dai confini meridionali.

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edere il confine, ma nonpoterlo attraversare. Sonoal massimo 44 i chilometriche separano le coste delMarocco della Spagna. Ol-

tre quattro volte in meno della distan-za tra la Libia e Lampedusa, una dellevie marittime più battute dai migran-ti. Eppure, il dibattito pubblico è prin-cipalmente incentrato sulle rotte mi-gratorie che partono dalle coste libi-che verso l’Italia e raramente sfioratodalle cronache delle traversate dei mi-granti dal Marocco verso la Spagna.

Questo fenomeno in realtà esiste.Ed è tutt’altro che da sottovalutare. IlMarocco, da sempre conosciuto co-me paese di emigrazione, negli ultimidecenni sta cambiando. Non solo tra-sformandosi in un paese i cui cittadi-ni decidono di restare. A partire dallametà degli anni Novanta, è diventatoanche punto di passaggio per perso-ne provenienti dal Medio Oriente, dazone del Nord Africa e soprattutto

dall’area subsahariana, intenzionatea raggiungere il vecchio continente.

La maggior parte di loro seguetratte specifiche, attraverso Maurita-nia, Niger, i confini con l’Algeria, vi-cino alla città marocchina di Oujda.La loro idea iniziale è attraversare ilMarocco e continuare il loro viaggioin Europa, una volta scampato il pe-ricolo di essere arrestati dalle autoritàmarocchine, attraverso le enclavespagnole di Ceuta e Melilla. Il nume-ro di migranti che usa queste rotte èaumentato esponenzialmente: dai5.003 del 2010 ai 28.349 del 2017, perarrivare a luglio 2018 a sfiorare già i22 mila arrivi in territorio spagnolo.

Non riescono a pagareIl Marocco ha assunto dunque un ruo-lo chiave, come luogo di transito versol’Europa. Il paese è stato il primo, traquelli del Nord Africa affacciati sul Me-diterraneo, a firmare una Mobility Par-tnership con l’Unione europea, con

VIn Marocco si arena il “viaggio della vita”di tanti minori, partitidai paesi subsaharianialla volta dell’Europa.Una ricerca Caritasmette a fuoco il fenomeno. Che è molto più ampio.E in parte figlio di uno dei paradossidelle migrazionicontemporanee

di Chiara Bottazzifoto archivioCaritas Internationalis

dei nonaccompagnaticaso

L’approdoper

internazionale marocco

A METÀ DEL GUADOUn giovane subsahariano:molti, come lui, cercandouna via per raggiungere l’Europa,restano soli e “impigliati” in paesidi transito, come il Marocco

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zia. Da altri migranti abbiamo sentitoparlare della possibilità di passaredalla Bosnia, così ci abbiamo provato.Una notte, era marzo, abbiamo attra-versato il fiume Drina con un gom-mone, siamo entrati in territorio bo-sniaco, abbiamo passato due nottiall’aperto nei boschi, alla fine siamoriusciti ad arrivare a piedi nella cittàdi Tuzla, per fare domanda di asilo».

A pochi mesi dall’accordo sui visti,in Serbia il 19% degli ospiti dei campiprofughi sono iraniani. E con l’apertu-ra della “rotta balcanica 2.0”, anche lavicina Bosnia ed Erzegovina conta un11% di presenze iraniane tra i migranti.Proprio come Parviz e la sua famiglia.

Boicottatiper ragioni elettoraliLa Bosnia ed Erzegovina è stata colta disorpresa dal fenomeno migratorio, edè completamente impreparata. Nonavendo mai conosciuto finora grossiflussi migratori, non erano mai statielaborati reali piani di intervento e finoa pochi mesi fa nel paese esisteva ununico centro per richiedenti asilo, aDelijas, 40 chilometri dalla capitale Sa-rajevo: 120 posti letto, nulla rispetto al-la necessità di dare ospitalità agli oltre7 mila migranti arrivati di recente.

La crisi migratoria è inoltre esplo-sa in un periodo critico: ai primi diottobre in BiH si vota per l’elezionedel parlamento nazionale e della pre-sidenza del paese. E le migrazioni,come ormai ovunque in Europa, so-no diventate subito un tema delicatoe impopolare. Così, in piena campa-gna elettorale, nessun partito politicoe nessuna autorità pubblica voglionoprendere iniziative che sembrino fa-vorire i flussi migratori. In 7 mesi, amalapena è stato aperto un secondocentro di accoglienza, nei pressi dellacittà di Mostar, con altri 230 posti let-to. Tutti i progetti di ulteriori strutturepubbliche di accoglienza vengono si-stematicamente frenati, bloccati,

internazionale balcani

boicottati dalle forze politiche.I migranti arrivati in BiH hanno

dunque dovuto cercare rifugio in luo-ghi improvvisati: parchi pubblici, edi-fici abbandonati, binari delle stazioni,sottoscala dei palazzi. Da mesi uomi-ni, donne e molti bambini sono co-stretti a vivere in condizioni inumane.Parviz prosegue: «Purtroppo in Bo-snia le condizioni sono molto peggio-ri che in Serbia. Non ci sono campiprofughi. Con la mia famiglia sono aBihac da varie settimane e dormiamoin questa tenda improvvisata, monta-ta da volontari. Siamo in un prato,senza acqua corrente né bagni, conuna bambina di pochi mesi. Abbiamoprovato un paio di volte a passare ilconfine, ma ci hanno respinto. Il traf-ficante che ci prometteva di portarciin Italia in realtà stava mentendo».

Un paese allo specchioCi pensano allora i cittadini comuni adare l’aiuto necessario e spontaneo achi sta migrando. Nella capitale Sara-jevo sono nati, tramite Facebook,gruppi di volontari auto-organizzatiche distribuiscono i pasti ogni giorno,portano tende e sacchi a pelo, forni-scono vestiti o materiali igienici. Al

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I migranti hanno dovuto cercare rifugio inluoghi improvvisati: parchi pubblici, edificiabbandonati, sottoscala dei palazzi, binari

delle stazioni. Ormai da mesi uomini, donnee bambini vivono in condizioni inumane

IL TAPPETO, SOLA CERTEZZASorrisi di migranti “parcheggiati”in uno stabile di Bihac, prima del confinecon la Croazia, ingresso dell’Ue

nord, nella città di Velika Kladusa, unristoratore da mesi cucina decine dipasti caldi al giorno, che offre gratui-tamente ai migranti: «Abbiamo avutola guerra qui in Bosnia vent’anni fa,noi tutti sappiamo bene di cosa ha bi-sogno chi sta fuggendo dalla guerra –spiega Asim Latic –. Ho pensato chese volevo dare il mio contributo dove-vo soltanto fare quello che so fare me-glio, cioè cucinare. La cosa bella è che,dopo le prime settimane, piano pianoho cominciato a ricevere il supportoda tanti cittadini. Qualcuno porta ci-bo, qualcuno soldi, qualcuno si offreper cucinare, pulire o servire a tavola.Tanti sono concittadini bosniaci, masono arrivati aiuti e volontari ancheda Croazia e Slovenia».

La recente apertura della “rotta bal-canica 2.0” è stata per molti, in BiH, ladimostrazione plastica di come gira laruota della storia. Durante la guerra,nel periodo 1992-1995, migliaia di bo-sniaci si rifugiarono all’estero; ancoroggi, sebbene la guerra sia finita, mi-gliaia di giovani fuggono dal paese incerca di un futuro migliore. L’empatiacon i migranti odierni, dunque, è o do-vrebbe essere inevitabile. MonsignorFranjo Komarica, vescovo di Banja Lu-ka, la diocesi del nord del paese nellaquale si trova la gran parte dei nuovimigranti in transito, trova una sintesiper la storia di un quarto di secolo:«Ogni migrante ha la propria dignità esi aspetta di essere rispettato in quan-to essere umano. Come potremmocercare aiuto dalle istituzioni interna-zionali per i nostri sfollati bosniaci, senon siamo noi i primi a trattare bene inuovi rifugiati?».

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Dei 102 minori non accompagnatiintervistati, solo 10 (2 ragazze e 8 ra-gazzi) hanno fatto domanda per lacarta di soggiorno, e solo 2 ragazzi l’-hanno ottenuta. Il 24% sono rifugiati(7) e richiedenti asilo (18), mentre so-lo 21 degli altri minori hanno un do-cumento di identità (passaporto, car-ta consolare o certificato di stato ci-vile). In altre parole: più della metàdei componenti del campione (vale adire 53 ragazzi) non hanno identità.

Isolamento e precarietàLo studio realizzato dalla Caritas ma-rocchina ha ben evidenziato come iMna siano una categoria vulnerabile,esseri umani facilmente accalappia-bili da organizzazioni criminali na-zionali e internazionali.

Secondo i dati raccolti dalla ricerca,volta a conoscere meglio i bisogni deiminori in termini di strategie di soste-gno e per promuovere la protezionedei loro diritti, in Marocco la popola-zione di Mna in relazione alla popola-

zione migrante totale è il 9,9%, cifra digrande rilievo, anche se da prenderecon cautela, data la mancanza di in-formazioni precise. Nonostante le sto-rie personali molto diverse, i minorivivono situazioni simili, caratterizzatedall’isolamento e da condizioni di vitaprecarie. Le ragioni che spingono igiovanissimi a lasciare il paese di ori-gine sono molteplici, con una combi-nazione di fattori pull & push nellamaggior parte dei casi, anche se loscopo del viaggio è principalmentestudiare o lavorare; tuttavia l’indagineevidenzia che il 30% non è animato daobiettivi precisi, se non migliorare leproprie condizioni di vita.

Fra i minori intervistati solo il16,7% aveva considerato il Maroccocome paese di destinazione, mentre il45,8% intendeva recarsi in Europa. Lereti sociali che fungono da conduttoriper il sogno europeo e la percezioneminimizzata dei rischi, tipica dell'età,incoraggiano ulteriormente le parten-ze alla volta del vecchio continente.

CERCASI FUTUROFamiglia (donna e i tre figli)originaria di un paese subsaharianoper le vie di un paese del Maghreb.Sopra, partita di pallone traragazzi di un paese subsahriano:senza opportunità, molti di lorotentano viaggi solitari e disperativerso l’Europa. A destra, minorinon accompagnati in un centrodi accoglienza Caritas

Le ragioni che spingono i giovanissimi a migrare sono molte, con una combinazionedi fattori pull & push nella maggior

parte dei casi. Anche se lo scopo del viaggio è principalmente studiare o lavorare

Su altri versanti, anche i dati Euro-stat e Frontex (l’istituto di statistica eu-ropeo e la missione militare di pattu-gliamento delle coste del nostro con-tinente) segnalano peraltro chel’arrivo di minori stranieri non accom-pagnati non è fenomeno transitorio,ma in costante crescita. Occuparsi del-la questione non è però affatto sempli-ce, poiché ovunque mancano daticoncreti e affidabili. Molti Mna nonvengono rilevati né registrati nemme-no all’atto dell’ingresso nell’Ue.

Più probabile che ce la facciaFra i dati più recenti, si apprende dauna comunicazione della Commissio-ne europea al Consiglio e al Parlamentoeuropeo, datata 12 aprile 2017 e intito-lata Protezione dei minori migranti, cheil 30% dei richiedenti asilo del periodo2015-2016 era costituito da minori.Inoltre si puntualizza che negli ultimisei anni la cifra totale delle richieste diasilo relative a minori è aumentata disei volte, nonostante una progressivadiminuzione dei flussi migratori (esclu-so il 2015, anno straordinario), dovutaalle politiche securitarie europee.

Dai dati traspare insomma chel’inasprimento delle politiche migrato-rie europee non impedisce che i mino-

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l’obiettivo di promuovere un approc-cio globale alla migrazione e alla mo-bilità, soprattutto per contrastare l’im-migrazione irregolare. Tuttavia, nonavendo mai praticato espulsioni dimassa dei migranti irregolari, il Ma-rocco è divenuto anche meta di desti-nazione, non solo di transito. Tanti so-no i migranti che, una volta raggiuntoil paese, decidono di non partire più.

Il primo motivo è di carattere eco-nomico: molti migranti non riescono apagare i trafficanti che organizzano inseguito i viaggi verso l’Europa. In se-condo luogo, la decisione è dovuta an-che alla paura di essere arrestati allefrontiere, sia nella parte marocchinache spagnola, e di essere riportati nelpaese di provenienza. Le grandi cittàmarocchine, a cominciare da Rabat eCasabianca, diventano così casa permolti africani del sub-Sahara che lavo-rano nel mercato informale, o che, nel-la speranza di raggiungere prima o poil’Europa, vivono accampati nei pressidelle stazioni degli autobus, chiedendol’elemosina. Moltissimi sono bambinie ragazzi, minori non accompagnati(Mna) fortemente vulnerabili.

Legalmente – è noto e recepito an-che dalle legislazioni nazionali – unminore è una persona che non ha rag-giunto i 18 anni d’età, secondo quantoprevisto dalla Convenzione delle Na-zioni Unite sui diritti dell’infanzia. Perquanto riguarda il termine “non ac-compagnato”, la definizione è conte-

nuta al numero 6 delle Osservazionigenerali (2005) del Comitato sui dirittidel bambino: il riferimento è a «unapersona separata da entrambi i geni-tori e altri parenti stretti e non assistitada un adulto investito da tale respon-sabilità per legge o consuetudine».

In Marocco è difficile stimare ilnumero di Mna. Da un lato, i migran-ti irregolari si trasferiscono e vivononascosti per paura di essere arrestatio deportati alla frontiera. Dall’altro, iminori non accompagnati cercano di

passare inosservati, di essere invisi-bili, nascondendo la loro vera età co-me strategia di protezione. A causadella mancanza di dati sul numero diMna, è molto difficile – più in gene-rale – anche definire il numero diquanti, nel paese, vivono in una si-tuazione di irregolarità. Le stimepubbliche del ministero dell’interno,che nel 2013 parlava di un numerofra i 25 e 40 mila stranieri clandestini(Iom, 2013), non distinguono traadulti e minori e, tra i minori, gli “ac-compagnati” e quelli che sono soli.

Caritas Marocco sul tema ha con-dotto uno studio (Minori non accom-pagnati in cerca di un avvenire) che of-fre uno spaccato sulla vita di tanti ado-lescenti provenienti per lo piùdall’Africa subsahariana. Il documentoprova a ricostruire la situazione fami-gliare e sociale dalla quale i minori so-no partiti, e analizza quella in cui si tro-vano a vivere. L’indagine qualitativa èstata compiuta su un campione di 116ragazzi e ragazze, dei quali 102 Mna frai 13 e i 19 anni; gli intervistati proven-gono da 11 paesi: Benin, Burkina Faso,Camerun, Repubblica Centrafricana,Repubblica del Congo (Brazzaville),Congo (Rdc), Costa d'Avorio, Ghana,Guinea Conakry, Mali e Senegal.

internazionale marocco

A fine luglio Caritas Italiana ha pubblicato il dossier Partire era l’unicascelta. L’obiettivo del documento è creare una maggiore consapevo-

lezza intorno al fenomeno della tratta minorile e riguardo allo status dei minori non accompagnati.Il dossier si propone, al tempo stesso, di rifletteresulla situazione globale di violenza e ingiustizia di milioni di persone che gridano in silenzio.

A ”innescare” queste riflessioni c’è il focus sul caso del Marocco, paese che è sia meta di arrivodi lunghe migrazioni attraverso l’Africa, sia startingpoint per il viaggio finale verso l’Europa.

Il dossier è scaricabile dal sito www.caritas.it.

DOSSIER ONLINEPiccoli, ma… “Partire era l’unica scelta”

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LA “PATRIA GRANDE”,DI NUOVO UNA POLVERIERA

70 anni, né di quella tuttora in corsonel Messico del narcotraffico (cioè250 mila, solo negli ultimi 10 anni,ovvero un morto ammazzato ogni 25minuti). E poi ci sono le violenze inBrasile, le uccisioni selettive di chiprotegge i poveri, il ritorno della vio-lenza politica ed economica che nonabbraccia il fucile, ma non fa menodanni, con corruzione e scelte strate-giche che aumentano la forbice traricchi e poveri.

Tutto sarà perduto?Oggi i paesi dell’America Latina sonodi nuovo una polveriera: recessione,crollo dei prezzi delle materie prime,rivolte politiche innescate dalla po-vertà. Di fronte al rischio, nessun lea-der sembra opporre politiche oppor-tune a evitare lo scontro sociale. Ac-cade in Brasile, che va alle elezioni inautunno; accade nell’Argentina dinuovo sull’orlo del default, impedito(non si sa fino a quando) solo dagliaiuti del Fondo monetario interna-zionale, pagati a caro prezzo dallapopolazione; accade nel Venezuelaprigioniero di Maduro; accade in Ni-

caragua, ostaggio dell’ultimo caudillo.La crisi della politica, e soprattutto dei politici, colpisce

come una frusta il subcontinente, ma la consapevolezzadi ciò che si rischia a livello globale ancora non fa partedell’agenda internazionale. Solo Jorge Mario Bergoglio, ilPapa argentino, sembra averne. Durante l’estate ha in-contrato diversi esponenti politici e sociali dei paesi lati-noamericani, per avere un quadro chiaro della situazio-ne. Lo preoccupa il deterioramento delle democrazie fa-ticosamente costruite dopo gli anni delle dittaturemilitari, dove gli aggiustamenti delle regole e delle Costi-tuzioni assomigliano a volte a golpe bianchi, incruenti madrammatici, denunciati dal Papa già due anni fa, parlan-do alla presidenza del Celam. Non è facile, ma occorreevitare che “la Patria grande” faccia la fine del colonnelloAureliano Buendia, il protagonista di Cent’anni di solitu-dine: colui che tutto promosse e che tutto perse.

il romanziere brasiliano João Guima-rães Rosa – dove la speranza inciam-pa, nel procedere di un’infinita lottatra bene e male.

La letteratura latinoamericana mi-schia gli elementi che nella geopoli-tica hanno sempre costituto oppor-tunità, ma nello tempo stesso travol-to il continente in un “perennefuturo”. Popoli e persone sono tuttiparenti, eppure faticano a far partedella grande famiglia; dissimulano,intrigano ora con uno ora con l’altropotente, di casa o di fuori. Sembrava,negli ultimi anni, con la presidenzadi Obama alla Casa Bianca, con il governo di Lula in Bra-sile, che ha strappato dalla povertà 40 milioni di personein dieci anni, con le speranze della Bachelet in Cile, con icambiamenti a Cuba, che l’America centrale e meridio-nale si potessero finalmente emancipare dalla guida deglieterni caudilli e della permanente indolenza delle rivo-luzioni promesse e finite nello scantinato della storia.

Ma così non è accaduto. E con Trump in sella al cavallostatunitense, con la sua ossessione del Muro sul Rio Bra-vo, le Americhe del Sud sono state abbandonate di nuovoai caudilli. Così, le crisi dello secolo scorso si riaffaccianointatte. Il piccolo Nicaragua di Daniel Ortega e delle suefisse ideologiche ne è l’esempio più calzante. Ma in filac’è tanto altro, che ribolle e inquieta, dal Messico alla Ter-ra del Fuoco. Peraltro non sembra colpire e smuoverel’opinione pubblica globale. Non lo fanno i numeri deimorti nella guerra (finita) in Colombia, oltre 260 mila in

L’America centralee meridionale tornaterradi convulsioni,

di inquietudini violente,di incertezze socio-

economiche, ditradimenti di democrazie

faticosamenteconquistate. Ma solo il Papa sembra avere

consapevolezza della crisi montante

esta un continente fragile, resta la terra “del perenne futuro”,come l’aveva definita il poeta messicano Octavio Paz. Lo spa-zio immenso a sud del Rio Bravo fatica trovare identità poli-

tica, economia comune, governo condiviso delle immense ricchez-ze. E, insieme, una strategia che offra dignità ai popoli. Forse avevaragione il Libertador Simon Bolivar (però fallì anche lui), con la suaprofezia sull’America Latina continente sostanzialmente “ingover-nabile”. Così, l’unica metafora che ancora vale è quella di GabrielGarcia Marquez, che in Cent’anni di solitudine ha creato personaggitutti condannati, senza riscatto. O quella del sertão, luogo – secondo

R

contrappuntodi Alberto Bobbio

I TA L I A C A R I TA S | O T T O B R E 2 0 1 8 39

L’impegno Caritas

ri africani partano, o che le loro fami-glie li spingano a partire; anzi, sembraquasi che queste politiche rappresen-tino, come effetto indotto, un incentivoalla migrazione di Mna. Questo para-dossale risultato trova una sponda nelrobusto corpus normativo internazio-nale (dalla Convenzione di Ginevra alProtocollo relativo allo status di rifugia-to, dalla Convenzione Onu sui dirittidell’infanzia alle più recenti disposizio-ni Ue), che vede nella protezione deiminori migranti una sacrosanta e indi-scutibile priorità. Tuttavia, questa stes-sa impostazione normativa relativa aiminori sembra costituire un canalepreferenziale – essendo gli altri ostruiti,o sempre più difficilmente praticabili –per la migrazione irregolare.

Magari non espresso, ma il ragiona-mento di tante famiglie sembra in al-tre parole basarsi su un assunto moltosemplice: se il migrante è un minore,è più probabile che qualcuno se neprenda cura. Ed è molto improbabileche venga rispedito alla frontiera.

La minore età sembra quindi con-figurarsi, date le crescenti difficoltàposte alla migrazione regolare degliadulti, come condizione favorevole alraggiungimento della meta europea.L’altra faccia della medaglia sta, na-turalmente e purtroppo, nella realtàdi fatti terribili: i minori che viaggia-no soli sono una preda privilegiataper aguzzini e trafficanti, vittime fa-cili di abusi, violenze, trafficking. Imaschi diventano manodopera abasso costo impiegata in lavori di fa-tica, oppure entrano a far parte dellacriminalità locale. Le ragazze, invece,scivolano facilmente nell’esperienzadella prostituzione, costrette a ven-dere il proprio corpo per paura di ri-torsioni nei confronti delle famiglieche vivono nel paese di origine.

Bisogno di canali sicuriInoltre, utilizzando il caso del Maroc-co come sineddoche (una parte per il

internazionale marocco

tutto) rispetto allo scenario interna-zionale, è vero che le misure previstedai codici di procedura penale nazio-nali per curare e proteggere i minoriche si trovano in situazioni precarie,o in conflitto con la legge, appaionocompletamente soddisfacenti. Quel-la che risulta però problematica èl’applicazione di tali disposizioni.

Dalla ricerca sui Mna condotta daCaritas Marocco, si evince infatti che«il numero di strutture che possonoospitare minori appare inadeguato ele strutture esistenti meriterebbero

I maschi diventano manodopera a bassocosto impiegata in lavori di fatica, oppureentrano a far parte della criminalità locale.

Le ragazze, invece, scivolano facilmentenell’esperienza della prostituzione

un adattamento per la gestione deiMna. Viene inoltre da chiedersi se ireati previsti dal codice penale (ven-dita di bambini, sfruttamento perpornografia, lavoro forzato, sfrutta-mento della prostituzione) sianodavvero ricercati e perseguiti».

Appare quindi sempre più chiaroche i minori stranieri non accompa-gnati costituiscono una categoriaumana estremamente vulnerabile, daproteggere senza se e senza ma. Altempo stesso, la comunità internazio-nale non può limitarsi alla sola gestio-ne della problematica, estremamentedelicata: impostazione che ha il sapo-re di un palliativo, più che di una me-dicina risolutiva della questione. C’èbisogno invece di garantire canali si-curi di migrazione per tutti, evitando,attraverso la creazione di vie legali,che i minori partano da soli e privile-giando, ad esempio, la partenza di nu-clei famigliari, che costituiscono unnaturale nucleo protettivo per i picco-li. Al tempo stesso, è sempre più ne-cessario investire su tutte le infrastrut-ture e i sistemi che, a livello transna-zionale e nei singoli paesi, di transitoe di destinazione, si occupano di ac-coglienza e di cura dei minori. Perchéi più piccoli non possono e non devo-no essere lasciati soli.

38 I TA L I A C A R I TA S | O T T O B R E 2 0 1 8

Caritas Italiana da anni sostiene Caritas Marocconel suo impegno in favore dei migranti. L’impegno si articola in un vastoprogramma multisettoriale, volto alla promozione dei diritti dei migranti,con un’attenzione specifica ai minori non accompagnati. Il programmasi sviluppa attorno ai servizi offerti da tre centri di Caritas Marocco, a Rabat, Casablanca e Tangeri, caratterizzati da un approccio basatosull’ascolto e sull’accompagnamento personalizzato, in rete con istitu-zioni e società civile. Nel 2017 sono stati circa 8 mila i migranti accoltinei tre centri; il 26% erano Mna.

Nel resto del Nord Africa, Caritas Italiana collabora con le Caritas nazio-nali e diocesane di Tunisia, Algeria e Mauritania attive sul fronte migratorioe partecipa al “Programma mobilità internazionale”, che coinvolge, oltre alle Caritas del Nord Africa, anche Caritas europee (Spagna, Francia,Germania), ed è volto a rafforzare il lavoro in rete nei diversi paesi.

Infine, nell’ottobre 2017 è stata lanciata dalla Conferenza episcopaleitaliana la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”: grazie a fondi otto per mille assegnati alla chiesa cattolica e al coinvolgimento operativo di Caritas, l’iniziativa supporta programmi in favore di migranti nei paesi di origine, di transito e di destinazione, con un’attenzione specifica ai mino-ri non accompagnati. Sono in atto progetti in Tunisia, Algeria, Niger, Mali,Albania; altri sono in via di studio.

Rete di centri per tutelare i diritti dei minori

EUROPA TRINCERATAFilo spinato lungo le coste di unadelle “enclave” spagnole in Marocco

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pratiche di emancipazione nei territorie nelle comunità locali, esempi positividi creazione del bene comune, da cuisia possibile evincere linee guida peruna politica trasformativa».

Sensibilizzazione e partecipazionePer essere all’altezza di questo im-pianto teorico e di questi obiettiviculturali, declinati in tre ambiti parti-colari (produzione e consumo del ci-bo, pace e conflitti, mobilità umananel quadro delle nuove sfide sociali eclimatiche), la campagna si deve do-tare di efficaci strumenti di comuni-cazione, informazione, sensibilizza-zione e partecipazione.

Tra questi, figurano i tre concorsidestinati a entrare nel vivo nel mesedi ottobre ed estesi all’intero territo-rio nazionale. Si tratta, in particolare,di un concorso video e un concorsofotografico aperti a tutti, nonché diun concorso di disegno, solo perbambini fino ai 12 anni.

Ai concorsi possono partecipare gio-vani e adulti, religiosi e laici, individui ogruppi (classi scolastiche o famiglie,gruppi parrocchiali, sportivi, sociali,ecc…). Per contribuire a diffondere ilmessaggio della campagna con la pro-pria creatività, non è necessario essereprofessionisti della comunicazione (uneventuale loro contributo sarà comun-que ben accetto…). Occorrono invecela volontà e la capacità di esprimere vi-sivamente lo spirito e i contenuti di“Chiudiamo la forbice”, possibilmentecome frutto di un percorso di riflessio-ne, approfondimento e confronto.

Le Caritas diocesane sono impegna-te a diffondere la proposta dei concorsinell’ambito delle proprie comunità ter-ritoriali. La scadenza per presentare ilavori e partecipare ai tre concorsi è il31 ottobre. La premiazione avverrà aRoma il 18 dicembre 2018, in occasionedi un seminario di studio che rappre-senterà un evento nazionale. Regola-mento e scheda di partecipazione aiconcorsi sono scaricabili dal sito inter-net della campagna (per informazionie assistenza, è possibile scrivere ancheall’indirizzo di posta elettronica [email protected]).

La campagna “chiudiamo la forbice” è promossa da Azione cattolica italiana,Caritas Italiana, Centro turistico giovanile, Coldiretti – Fondazione CampagnaAmica, Comunità Papa Giovanni XXIII, Earth Day Italia, Focsiv – Volontari nel mondo, Missio Italia, Movimento cristiano lavoratori e Pax Christi Italia. Tra i primi aderenti, Giovani salesiani per il sociale, Volontariato internazionaleper lo sviluppo, Comunità di vita cristiana – Lega missionaria studenti e Fonda-zione finanza etica; i media partner sono Avvenire, Sir, RadioinBLu e Tv2000.

A ottobre, la campagna non propone solo i tre concorsi relativi alla comuni-cazione, ma anche una singolare e appassionante iniziativa: un lungo pellegri-naggio, promosso da Focsiv – Volontari del mondo, che partirà il 3 ottobre da piazza San Pietro a Roma e arriverà a Katowice, in Polonia, percorrendo la “Via Francescana” e la “Via di Karol” (in onore di papa Giovanni Paolo II, nato vicino a Katowice). Lo scopo è per richiamare l’attenzione sui drammaticieffetti ambientali e sociali che un aumento della temperatura al di sopra di 1,5 gradi centigradi potrebbe comportare. Il pellegrinaggio vuole essere il veicolo, a partire dai territori, dalle realtà sociali e dalle comunità locali, per esprimere un messaggio pacifico di preoccupazione per gli effetti che i cambiamenti climatici possono sortire sul futuro del pianeta e dell’umanità,soprattutto dei soggetti e delle comunità più fragili.Info www.chiudiamolaforbice.it

L’INIZIATIVAPellegrinaggio da Roma alla Poloniaper far riflettere sui rischi del clima

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casione del terzo anniversario dell’usci-ta dell’enciclica di papa Francesco Lau-dato Si’, la quale interpella tutti i fedelie tutti i cittadini a «cercare soluzioni in-tegrali, che considerino le interazionidei sistemi naturali tra loro e con i siste-mi sociali» (Laudato si’, n.39). Con que-sto mandato metodologico, “Chiudia-mo la forbice” intende «porre attenzio-ne agli ostacoli che incontrano le

iniziative volte a ridurre la distanza trachi ha troppo e chi non ha abbastanza;alla concentrazione sproporzionata delbenessere e delle opportunità; al poteree allo spazio operativo che questo squi-librio rischia di perpetuare ed aggrava-re». Intende inoltre sollecitare a «cerca-re nuove soluzioni per una piena uni-versalizzazione dei diritti, a partire daiceti sociali più vulnerabili, cercando

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SPINTI A PARTIREUna famigliaprovenientedal Medio Orientesu una spiaggiamediterranea.I movimentimigratori hannonegli squilibri socio-economiciun potente fattore di propulsione

«U n’ampia alleanza di soggetti promotori, aderenti e media partner. Un nuovosito, un documento base, tre concorsi nazionali, materiali per approfondi-menti, l’apporto (social e non solo) di tutti, strumenti per azioni diffuse nei

territori, che hanno già contribuito all’impostazione della campagna. La quale si carat-terizza per un approccio partecipativo e inclusivo. In linea con i contenuti». Così, a metàgiugno, veniva presentata dai promotori, nel comunicato stampa di lancio, la batteria distrumenti che fanno e faranno da impalcatura alla campagna “Chiudiamo la forbice”.

L’iniziativa intende mettere al centro del dibattito pubblico, e del lavoro pastorale

ed educativo, il tema delle disugua-glianze. Da dove nasce questa esi-genza? «L’iniquità è la radice dei malisociali», ha scritto papa Francesconell’esortazione apostolica EvangeliiGaudium (202), invitando a lavoraresulle cause strutturali di un sistemaeconomico che uccide, esclude, scar-ta uomini, donne e bambini.

La disuguaglianza segna in manieraprofonda tutte le società del pianeta.Al prezzo di ferite profonde, che gene-rano malcontento sociale, rabbia,paura e rassegnazione. Ad aggravare lasituazione, il fatto che la paura diventiil facile collante per un’agenda politicache crede di affrontare i problemi, esa-sperando i problemi e approfondendoi solchi che attraversano la società e ilpianeta. E creando muri che generanonuove esclusioni e conflitti.

Chi ha troppo, chi non abbastanzaChiudere la forbice delle disegua-

glianze è dunque un imperativo cru-ciale per la contemporaneità. Un im-perativo che va alla radice di tanti fe-nomeni sociali ed economici (unesempio su tutti, i flussi migratori glo-bali), che non possono essere com-presi e affrontati, se non come mani-festazione degli squilibri profondi estrutturali che solcano il pianeta.

Ne sono convinti i circa venti sog-getti, perlopiù di matrice ecclesiale,che hanno promosso la campagnatriennale “Chiudiamo la forbice: dallediseguaglianze al bene comune, unasola famiglia umana”, che vi hannoaderito o che ne sono media partner.Si tratta di un impegno che completa esupera quello sui temi della povertà edell’esclusione sociale: «significa infattiinterrogarsi – evidenzia il documentobase della campagna – circa le cause diqueste, e sulle conseguenze concretedei meccanismi attraverso cui la po-vertà stessa si produce e si riproduce».

La campagna è stata lanciata in oc-

a cura dell’Ufficio comunicazione

Entra nel vivo, conottobre, la campagna“Chiudiamo la forbice”, promossatra gli altri da Caritase che intendesensibilizzare sulle profondedisuguaglianze che marchianosempre più il mondocontemporaneo.Per diffondere il messaggio, serve la creatività di tutti

UN IMPERATIVO,TRE CONCORSI

panoramamondo

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panoramamondo

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LASTORIAA Laikipia l’Aids è fra

le principali causedi morte. Oltre 10 mila

persone sono colpitedalla malattia, 1.400sono bambini. Tante

le famiglie con minoriorfani di genitori

morti per Aids

KENYA“Tutti a scuola!”:la musica aiuta Johna non farsi rinchiuderenella prigione dell’Aids

Siamo nella con-tea di Laikipia,

che nel dialetto locale vuol dire “radura senza alberi”, un tempoabitata dai Masai, elegante popolodallo sguardo fiero. Nel tempo alleloro leggende sulle leggi della sava-na si sono sostituite storie dram-matiche, protagonista un assassinosenza corpo: il virus Hiv.

A Laikipia l’Aids è fra le principalicause di morte. Oltre 10 mila perso-ne sono colpite dalla malattia,1.400 sono bambini. Come se nonbastasse, il 44% della popolazionevive sotto la soglia di povertà. E tan-tissimi sono i casi di famiglie com-poste da 8-10 persone, con minoriorfani di genitori morti per Aids.

Nel 2003 l’arcidiocesi di Nyeri ha avviato un centro per minori orfa-ni sieropositivi, il “Tumaini Children’shome”, che ospita circa 50 bambinie ragazzi affetti da sindrome da im-munodeficienza. Il centro ha propo-sto il microprogetto “Tutti a scuola!”,sostenuto da Caritas Italiana con un contributo di 4.800 euro, per faredell’educazione l’inizio di un cammi-no di riscatto sociale. E di musica,fotografia e teatro strumenti percombattere lo stigma della malattia,che pesa sulle vite dei ragazzi. Il pro-getto ha realizzato corsi di educazio-ne ambientale, cultura generale e lingua inglese. Ma soprattutto ha permesso la libera espressionedei ragazzi, grazie a laboratori di tea-tro, musica e fotografia. RaccontaJohn, 15 anni, chitarrista in erba:«Da grande vorrò fare il musicista e girare il mondo. La musica mi per-mette di essere libero; le note sonocapaci di spalancare le porte di unaprigione che non ho scelto. E nellaquale non voglio essere rinchiuso».

> Microprogetto 143/17 KenyaI ragazzi del “TumainiChildren’s home”

5 Realizzato!

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PAKISTANSette pompe per acqua potabile, contro disagi e malattie

Nella grande città di Karachi, molte comunitàvivono marginalizzate e vulnerabili. Fra i proble-

mi maggiori c’è l’acqua; difficile un approvvigiona-mento sicuro. Molte madri sono costrette a percorre-re chilometri per arrivare al punto d’acqua più vicino,anche d’estate, con temperature sopra i 42 gradi.Per risparmiare l’acqua si trascura l’igiene, verdure e piatti vengono sciacquati sommariamente. Il micro-progetto, proposto dalla Caritas diocesana, prevededi installare sette pompe idrauliche per acqua potabi-le negli slum e in aree rurali, per facilitare l’accessoall’acqua sicura e diminuire disagi e malattie.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 107/18 PAKISTAN

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5MICROPROGETTO

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TANZANIAContro la malnutrizione, si condividono… le anatre

MICROPROGETTO MICROPROGETTO

CAMERUNIo lavoro in carcere,per potermi reinserire fuori

Nelle carceri camerunesi, i detenuti vivono in con-dizioni disumane: nelle celle fino a 70 persone;

letti solo per chi può pagarne l’affitto; cibo una volta al giorno; igiene assente. La maggior parte dei detenuti,soprattutto i giovani, è arrestata per crimini legatialla fame. Ma i tempi di attesa sono lunghi, spesso in carcere si passano anni per reati minori. Il micropro-getto “Io lavoro in carcere” ha l’obiettivo di favorire il reinserimento sociale dei detenuti al termine della pena; prevede l’acquisto di due banchi per il lavoro artigianale, materiale didattico e un surplus alimentare.

> Costo 5 mila euro > Causale MP 91/18 CAMEROUN

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

PERÙFormazione al lavoro nel centro “Ideal Luis Monti”

Il Perù è fra i paesi meno sviluppati dell’AmericaLatina, con tassi di scolarizzazione secondaria

molto bassi (56% per le donne, 66% per gli uomini). Nella zona rurale di Santa Eulalia si colloca il micropro-getto a sostegno del potenziamento del centro “IdealLuis Monti”, che offre corsi di formazione tecnico-profes-sionali accessibili a tutti, in informatica, sartoria, gioielle-ria. Grazie al microprogetto sarà possibile acquistare il materiale necessario per lo svolgimento dei corsi(guanti, cacciaviti da elettricista, cavi, banchi per simula-zione impianti elettrici, stabilizzatore, ecc).

> Costo 4.900 euro> Causale MP 106/18 PERÙ

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MICROPROGETTO

Sull’isola di Zanzibar la malnutrizione è un problemaserio. La maggior parte del cibo è importata dalle

nazioni vicine, e ciò aggrava la situazione di crisi economi-ca. Sovente ai bambini nei primi sei mesi di vita non è assicurato il giusto nutrimento, e ciò produce graviscompensi nella crescita. Il microprogetto proposto dalladiocesi di Zanzibar prevede la distribuzione di 500 anatre a 50 famiglie vulnerabili e la donazione di semi di ortaggi e patate dolci. Ogni famiglia sarà responsabile del proprioallevamento e incaricata di donare 10 anatre che nasce-ranno dall’allevamento a un’altra famiglia in difficoltà.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 103/18 ZANZIBAR

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villaggioglobale

le parole di odio, in rete. Unaparte dei social sostiene conmodalità diverse – appelli, grup-pi, flash mob – i principi dell’ac-coglienza e della prossimità.Una di queste voci è un gruppopubblico, su Facebook. Fondatoda scrittori e illustratori per ra-gazzi e bambini, ha un manife-sto di adesione che accogliechiunque ne voglia fare parte:«Noi scrittrici e scrittori, illustra-tori e illustratrici per bambini eper ragazzi – si legge sul profilodel gruppo – abbiamo spessoraccontato il mondo che è stato,con i suoi mille soli ma anchecon le sue tenebre: guerre, vio-lenze, persecuzioni, schiavitù erazzismi. Altrettanto spesso ab-biamo immaginato mondi nuovi,capaci di sanare le piaghe degliultimi e di ridare respiro ai princi-pi dell’accoglienza, del rispetto,della cura e della carezza tra es-seri umani, a qualsiasi latitudine

la sorte abbiadecretato la lo-ro nascita. Pertutto questooggi non esitia-mo a dire fortela nostra co-sternazione, lo smarrimen-to, la vergognaper le paroled’odio e diesclusionescagliate darappresentantidel governo ditutti “noi” con-tro i pochi “loro” (…). Convinticome siamo che le parole pos-sano pesare e costruire comepietre, o volare e far sognare come piume, ribadiamo la ne-cessità del rispetto fedele e feli-ce della Costituzione”.Facebook Scrittori e illustratoriper i diritti civili

LIBRIIl Paese chenon ti aspetti,piccoli comunipatrie del Welcome

Tre sono i problemi principaliche riguardano il 73% dei co-muni italiani con meno di 5 milaabitanti: spopolamento progres-sivo, invecchiamento e abban-dono ambientale. Il volumeL’Italia che non ti aspetti (Città Nuova Editrice), autoriGabriella Debora Giorgione, Angelo Moretti e Nicola De Bla-sio, propone una strategia pertrasformare gli approcci di wel-fare mix in un’azione strategicadi welcome locale, capaci di da-re un futuro alle piccole comu-nità, trasformandole in luoghidi accoglienza e di crescita so-ciale ed economica. Il volumeracconta e analizza le esperien-ze scaturite dal “Manifesto per

zoom

Alla seconda edizione della “Notte Sacra”, sorta di “peri-plo” per le chiese del centro di Roma, tra momenti di ri-flessione, interiorità e spiritualità, ma anche di musica(tema dell’edizione 2018, la francescana “Perfetta leti-zia”), ha partecipato, con un concerto nella basilica diSant’Andrea della Valle, anche Giovanni Caccamo. Sco-perto da Franco Battiato, noto per aver vinto il Festival di Sanremo 2015 categoria “Nuove proposte” con il bra-no Ritornerò da te, scritto da lui stesso, ed essere giun-to terzo al Festival 2016 nella categoria “Big”, il cantan-te siciliano ha risposto ad alcune domande di IC.

Studi di architettura: cosa si prova a cantare in un’importante basilica, sotto la splendida cupoladi Carlo Maderno?

L’arte è la sublime testimonianza del passaggio dell’uo-mo sulla terra. Una manifestazione di ingegno, emozioni,fatiche, desiderio. Il corpo diventa polvere, l’arte rimanelinfa perenne per le anime.

Il brano Eterno, parlando dell’amore, dice: «Sentoche in questo momento Qualcosa di strano, qualco-sa di eterno, mi tiene la mano». L’amore può durareper sempre?

In un mondo che corre, in preda alla fugacità, segnato

da relazioni“usa e get-ta”, l’amore“Eterno”appare lon-tano, fuorimoda, qua-si surreale.Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco esempi magnificidi relazioni autentiche, sincere, di conseguenza durature.Quanto tempo dedichiamo alle nostre relazioni? Amare è come coltivare un seme, prendersene cura, avere la pa-zienza di aspettare che nasca un fiore, aiutarlo a resiste-re alle intemperie, affinché si mantenga forte e saldo.

La religione occupa un posto importante nella suavita?

La fede, la spiritualità, la preghiera sono le fondamentadella mia quotidianità, nutrimento per la mia serenità,per la mia luce. La relazione con Dio è una relazionevera e propria, e necessita di dialogo, tempo, costruzio-ne, fatica, gioia. Il silenzio è il suono dell’anima. Il buio è culla della luce. [f.d.]

L’Eterno di Giovanni Caccamo: «Il silenzio è il suono dell’anima»

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zoom

VIDEOIl concorso “Cortidi lunga vita”esplora la gioiasecondo gli anziani

Corti di lungavita è un con-corso lanciatodall’associa-zione 50&Piùper incorag-giare e pro-muovere la realizzazione di audiovisivi riguardanti l’anzia-nità, sviluppando ogni anno un aspetto specifico. Il concor-so è alla seconda edizione e quest’anno avrà il titolo“Viaggio all’origine della gioia”.La partecipazione è aperta a tutti. Le opere proposte dovran-no essere ineditee la scadenza è fissata per ve-nerdì 13 ottobre.

La dipendenza dei minori dal gioco d’azzardo è il titolodi un’indagine del Consiglio nazionale delle ricerche(Cnr), dalla quale è emerso che in Italia il 33,6% degliunder 18 tenta la sorte con i gratta e vinci, mentre fre-quenta agenzie di scommesse il 30% dei giovani italia-ni. Per contrastare la dipendenza da gioco d’azzardo è nata una guida dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù (presentata a Roma insieme alla Caritas diocesa-na, che a sua volta ha illustrato la ricerca Adolescenti

e azzardo: cresceranno dipendenti?),con consigli di esperti, percorsi terapeutici da seguire, un indirizzoe-mail per chiedere aiuto. È unostrumento utile anche per genitoried educatori: aiuta infatti a capire i segnali di una possibile dipenden-za da scommesse, e ad agire in tempo. La dipendenzada gioco d’azzardo deriva da una complessa interazionetra fattori biologici, psicologici e ambientali, che variada persona a persona. In ogni caso, è assai pericolosa;chi gioca perde la capacità di controllare volontariamen-te i propri comportamenti, non riesce più a stabilire e rispettare un limite di tempo e denaro da impiegare e ha come unico scopo della giornata la ricerca compul-siva dell’attività che genera piacere. Diventare vittima di questa forma di dipendenza è più facile oggi per gli adolescenti, anche a causa dell’utilizzo – persino tra i più piccoli – di app o siti internet che consentonoun facile accesso al gioco.

Per ricevere l’aiuto degli specialisti di Neuropsichiatriainfantile dell’ospedale pediatrico della Santa Sede, è atti-vo un indirizzo di posta elettronica: [email protected]

I giovanissimi si giocano la vita,ricerche e una guida per fare prevenzione

siderati. Scende l’onda socialdell’odio verso disabili e omo-sessuali, resta costante quellaverso le donne, bersaglio prefe-rito sui social. Sono stati moni-torati e geolocalizzati 6,5 milionidi tweet in 10 mesi (maggio-no-vembre 2017 e marzo-maggio2018): secondo Vittorio Lingiar-di, docente al dipartimento di Psicologia dinamica e clinicaalla Sapienza di Roma, la map-patura evidenzia un aspettonuovo nella rete: «Se in passatol’odio veniva custodito in segre-tezza e anche con vergogna, oggi si assiste all’esplosionedella legittimazione sociale».

APPELLOAutori perl’infanziaschierati controle parole d’odio

Non c’è solo l’hate speech,

Bando sul sito (www.cortidilun-gavita.it), che entro il 16 no-vembre pubblicherà i titoli selezionati. Giuria tecnica pre-sieduta da Pupi Avati, premia-zione a dicembre a Roma.

INTERNETL’Italia che odiatramite i social,migranti (e donne)nel mirino

I ricercatori di Vox – Osservato-rio italiano sui diritti (www.vox-diritti.it) e di 4 università italia-ne hanno mappato 6,5 milionidi tweet, ricercando i semi del-l’intolleranza social. La Mappadell’intolleranza, progetto onli-ne giunto al terzo anno di pub-blicazione, svela che è in au-mento l’hate speech contro i migranti: da 38 mila tweet registrati nel 2016, a 73.390nei dieci mesi 2017-2018 con-

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villaggioglobale

di Daniela Palumboatupertu / Silvia Avallone

Da dove la vita è perfetta è il più recente dei tre ro-manzi di Silvia Avallone che, da Acciaio in poi, non hascritto moltissimo, ma ha mantenuto le promesse sca-turite dal fortunato esordio (2010, ad appena 26 anni).Il nuovo romanzo non promette niente, se non l’onestàdi una narrazione asciutta, aperta a un possibile riscat-to sociale. Adele, la protagonista, vive in un ambientedi palazzi di periferia che somiglia a una condanna.Una gravidanza indesiderata le faràcomprendere che il destino sta scrittofino a quando non ti metti alla guida,verso un’altra destinazione. Nelle peri-ferie le parole di Silvia Avallone irrom-pono con tenerezza, accompagnando i protagonisti, sovente adolescenti, ver-so una via d’uscita alla rassegnazione.

I tre romanzi si svolgono nei luoghidove lei hai vissuto. Biella, Piombi-no, Bologna...

I luoghi hanno un impatto sulla nostravita simile a quello delle persone im-portanti. Soprattutto durante le fasi di crescita. I luoghi ci ostacolano, oppure ci insegnano a desiderare, a sognare. Naturalmente, il romanzodà l’occasione di forzare un po’ le cose. La mescolan-za di realtà e forzatura consente di giocare con i luoghi,che diventano “personaggi” importantissimi.

Adele è seguita – in un contesto di parole crude –

Adele accompagnataverso una via d’uscita:«L’istruzione rovesciail destino della periferia»

Sono sempre vicinaai miei personaggi.Però li lascio liberi

di fare tante cose che nonapprovo, e resto dalla loroparte anche quandosbagliano. Mi sentomaterna, in questo

con cura, vicinanza, compassione…Sono sempre vicina ai miei personaggi. Però li lascio liberi di fare tante cose che non approvo, e resto dalla loro parte anche quando sbagliano. Mi sento materna, in questo. Gli adolescenti sono protagonisti di una rivolu-zione fragile, delicata. Adele è una ragazzina che crede di non avere talento, passioni, non sa cosa vuole diventa-re, la sua strada è solo in salita e non è colpa sua.

La colpa è del luogo dove nasci, dellascarsa istruzione, delle poche occasionidella periferia: è una responsabilità dellacomunità. La maternità diventa occasioneper guardarsi in un altro modo.

Come sono i ragazzi che incontra nelle scuole?

A quell’età si ha fame di voci diverse dai propri genitori. I libri e le parole amplifi-cano la fame di vite differenti. Agli adole-scenti d’oggi manca forse la passione perla partecipazione politica, per un ideale chenon sia solo un posto di lavoro e lo stipen-dio, ma qualcosa di più corale. Credo cheabbiano bisogno di sentire narrazioni piùambiziose, e non intendo la competizione,fin troppo presente. Noi diamo per sconta-

to che chi cresce in periferia debba sognare di fare il picco-lo gangster, oppure che il talent show di turno sia l’unicomodo per uscire dal ghetto. Ma così siamo noi a ghettizzar-li, lasciandoli nella povertà di parole: l’istruzione e i libri sono capaci di grandi rivoluzioni.

assurda e figlia della violenzadi regime, di liberarle da tuttequelle condotte non consone.

CINEMADon Luigi,una vitain prima lineaper gli ultimi

Così in terra si intitola il documentario che il registaPaolo Santolini ha dedicato a don Luigi Ciotti. Sacerdote

dal 1972, ha compiutoun lungo percorso da sacerdote,con il Grup-po Abele al fianco dei tossicodi-pendenti, poi con Libera al fianco delle vittime di mafia. La passione per il Vangelo e la passione civile lo hannoportato a vivere da 30 anni

sotto scorta. Ma sempre in pri-ma linea per i diritti e la dignitàdegli ultimi. Paolo Santolini ha firmato un film non facilissi-mo: insieme alla sua squadradi regia, per tre anni ha seguito,con discrezione e cura, la vita di don Ciotti. «Fotografare e do-cumentare lo stato del paeseattraverso le forme di opposizio-ne e invenzione incarnate dal“fare” di don Ciotti – ha dichia-rato il regista – è stato per noiun nitido atto di speranza».

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Un anno di tragedie, lutti e gioie:in un’estate tre Papirimasti nella memoria della Chiesa

di Francesco Dragonetti

Emmanuela Vivia-no Le parole dellaliturgia (Paoline,pagine 160). Il te-

sto (insieme ai successivi),fa parte della nuova colla-na “Spazio liturgia”, cui col-laborano le Pie Discepoledel Divin Maestro. Il piccolodizionario è dedicato a far comprendere gesti e riti dell’azione liturgica.

LIBRIALTRILIBRI

Micaela MonettiCibo e bevandadi salvezza (Paoli-ne, pagine 128).

Andiamo alla messa, siamo presenti, facciamosegni e pronunciamo parole: ma ci siamo mai chiesti il significato di quello che facciamo?

Emmanuela Vivia-no Proclamare la Parola (Paoline,pagine 160). Attin-

gendo alle fonti patristi-che, ai libri liturgici e ai documenti del magi-stero, il volume proponeun itinerario sul ministerodel lettore, dalla Chiesadei primi secoli fino alla situazione attuale.

paginealtrepagine

Il 1978 è stato un anno di tragedie, provocate nel nostro paese dal terrorismo.L’apice di una grave crisi morale e istituzionale, che minava il faticoso procederedella democrazia, si ebbe in occasione del 16 marzo, con l’eccidio di via Fani e, aseguire, i drammatici giorni del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da partedelle Brigate Rosse.

Anche la Chiesa rimase coinvolta da quel clima e da quegli eventi. Ne fu celebreesempio la lettera di Paolo VI ai terroristi delle Br, in cui il pontefice chiedeva congrande forza, eppure con mitezza, la liberazione dello statista.

Oltre Tevere, però, quell’anno fu contrassegnato dalla miscela di due sentimenti:lutto e gioia. Il 1978 fu, non a caso, definito “l’anno dei tre papi”: infatti, nel volgeredi 70 giorni (agosto-ottobre) si succedettero la morte di papa Paolo VI, la sera di do-menica 6 agosto, Trasfigurazione del Signore, il brevissimo pontificato di GiovanniPaolo I, durato 33 giorni (dal 26 agosto) e l’elezione al soglio pontificio di GiovanniPaolo II (16 ottobre). Claudio Sorgi Un’estate di Pentecoste (Edizioni Messaggero Pa-dova, pagine 125) aiuta a rivivere le emozioni di quelle giornate. Illustrando le figure,assai diverse, di tre Papi destinati a rimanere nel cuore dei credenti per lungo tempo.

Nicola Currado Paolo VI, papa del dialogo (Armando Editore, pagine80) illustra la figura di un pontefice (la cui canonizzazione è prevista perottobre) che ha dato un apporto decisivo alla vita della Chiesa contempo-ranea: con la sua volontà di rinnovamento e la sua tenacia nelle riformeistituzionali, ha completato il cammino del Concilio Vaticano II, tentandodi allineare la Chiesa alle esigenze del mondo moderno.

Marco Placentino Papa Luciani. Il gigante dell’umiltà (Paoline, pagine176) racconta invece di un Papa che, pur nell’effimero pontificato, ha fattodell’umiltà la virtù per eccellenza, che trascendeva ogni sua azione.

Infine Giovanni Paolo II: Alain Vircondelet Giovanni Paolo II. La biogra-fia del Papa che ha cambiato la storia (Ed. Lindau, pagine 480) ricostrui-sce il pontificato del “Papa venuto da lontano”, che intraprese sin dalprincipio una vigorosa azione politica e diplomatica contro l’oppressionepolitica, ed è considerato uno degli artefici del crollo dei sistemi del so-cialismo reale. Ma il segreto della sua forza comunicativa era una profon-da unione con Dio, e l’amore di Gesù era la sua motivazione a farsi apo-stolo per far trionfare la “Civiltà dell'Amore”.

una rete dei piccoli comuni delWelcome”, lanciato dalla Cari-tas diocesana di Benevento e che oggi unisce 15 comunicampani.

LIBRICorpi sbagliati,donne neimanicomifascisti

A 40 anni dalla leggeBasaglia, che decretò la chiusuradei manicomi,riemergonostorie e volti

di migliaia di donne che in queiluoghi hanno consumato le loroesistenze, in epoca fascista.Finirono in manicomio non solole donne che si erano allonta-nate dalla norma comandata,ma anche le più deboli e indife-se, segnate dal medesimo stigma di diversità: bambineabbandonate, ragazze vittime di violenza, donne incapaci di superare gli smarrimenti prodotti da eventi traumatici.Lo racconta Annacarla Valeria-no, che ha raccolto Il libro rac-coglie fotografie, diari, lettere,relazioni mediche e cartelle cliniche, in Malacarne: donne e manicomio nell’Italia fascista(Donzelli). La “malacarne” eracostituita da coloro che non riu-scivano a rispettare le aspetta-tive dello stato fascista. Lapossibilità di avvalersi del ma-nicomio trasformò l’assistenzapsichiatrica in un capitolo ulte-riore della politica sanitaria delregime, orientata alla difesadella razza e alla realizzazionedi obiettivi di politica demografi-ca, attraverso l’eliminazione deimediocri della salute, del pen-siero e della sfera morale. Suqueste presunte anomalie dellafemminilità, il dispositivo disci-plinare applicò la terapia dellareclusione, con la pretesa,

Page 25: Italia Caritass2ew.caritasitaliana.it/.../2018/IC07_ott2018.pdf · 2018. 11. 7. · POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritas.it

Brief CaritasAZZARDO: NON GIOCHIAMO CON LA VITA

Primo classificato (sezione Digital)Alberto Boni, Clara Capucci, Alessandro Gemignani, Jacopo Murari e Lamberto Sechi

Istituto europeo di design – Milano

Sedicesima edizione Premiazione a Salerno 26 maggio 2018