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Empatia Io mi vedo come una persona empatica, soprattutto nei momenti più difficili per gli altri, perché mi sembra che tutto questo potrebbe accadere anche a me, ad esempio la morte di un parente o di un familiare. Mi ricordo di un episodio in cui sono stato “empatico”. Ero in vacanza all’isola d’Elba, vidi una persona in difficoltà, mi misi a piangere da quanto mi dispiaceva, allora ho chiesto a mio papà di poterla aiutare. Successe, inoltre, in 5 elementare quando prendevo l’autobus, c’erano dei bulletti che picchiavano un ragazzo e io lo difendevo mettendomi in mezzo. Mia mamma è una delle persone più empatiche che io conosca, perché nei momenti più difficili, quando ero alla Bachelet, mi incoraggiava ad andare avanti e mi consolava. Mia mamma, in quell’occasione, mi ha trasmesso tanta sicurezza per superare quell’ostacolo. L’empatia per me è un’abilità, quella di vedere le cose con gli occhi degli altri e sentire le loro stesse emozioni. (Un ragazzo di 1 D)

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Empatia

Io mi vedo come una persona empatica, soprattutto nei momenti più

difficili per gli altri, perché mi sembra che tutto questo potrebbe

accadere anche a me, ad esempio la morte di un parente o di un

familiare.

Mi ricordo di un episodio in cui sono stato “empatico”. Ero in vacanza

all’isola d’Elba, vidi una persona in difficoltà, mi misi a piangere da

quanto mi dispiaceva, allora ho chiesto a mio papà di poterla aiutare.

Successe, inoltre, in 5 elementare quando prendevo l’autobus, c’erano

dei bulletti che picchiavano un ragazzo e io lo difendevo mettendomi in

mezzo.

Mia mamma è una delle persone più empatiche che io conosca, perché

nei momenti più difficili, quando ero alla Bachelet, mi incoraggiava ad

andare avanti e mi consolava. Mia mamma, in quell’occasione, mi ha

trasmesso tanta sicurezza per superare quell’ostacolo.

L’empatia per me è un’abilità, quella di vedere le cose con gli occhi degli

altri e sentire le loro stesse emozioni. (Un ragazzo di 1 D)

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Un nuovo compagno di

Classe Era lunedì mattina, suonò la sveglia alle 6.40, ma come ogni giorno mi

alzai alle 7.00. Ero stanco perché il giorno prima ero andato a dormire

tardi. Mi alzai dal letto strisciando e mi diressi in bagno a darmi una

rinfrescata, successivamente andai in cucina a fare colazione, ma

proprio in quel momento mia madre mi disse che sarebbe arrivato un

nuovo studente. L'idea non mi rallegrò molto, perché nella nostra classe

c'erano abbastanza problemi, come ad esempio il bullo Jeremy e il suo

gruppetto di leccapiedi, ma ero curioso di conoscere il nuovo compagno.

Arrivato in classe mi accorsi che il mio posto era occupato da Bunny,

nonché il nuovo alunno. Mi diressi verso di lui per dirgli che doveva

spostarsi. Si alzò, si scusò e, cercando un altro banco, inciampò nello

zaino di Jeremy, rompendo i suoi occhiali.

Soccorsi Bunny e lo portai al banco di fianco al mio, ma proprio in quel

preciso istante Jeremy prese il mio di zaino e lo rovesciò per terra.

Caddero il libro di scienze, il quaderno di italiano, l'astuccio e il

portachiavi delle principesse di mia sorella. Capii che per il resto

dell'anno mi avrebbe preso in giro, non mi preoccupavo di ciò, ma di

essere deriso da Camilla, la ragazza più carina della scuola. Era l'ora di

matematica, il prof iniziò a distribuire i libri usati dell'anno prima e,

credetemi, è davvero difficile studiarci. Dopo altre tre ore di estenuanti

lezioni, era finalmente ora di pranzo. Essendo lunedì, per pranzo c'erano

patatine fritte e pesce. Stavo addentando il pesce quando Bunny si

sedette vicino a me proponendomi di passare il pomeriggio da lui, gli

risposi di dover andare dai miei zii, anche se non era vero. Mi

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dispiaceva, ma non volevo essere amico di una persona che indossava i

vestiti di mio nonno.

Il giorno dopo, entrato in classe, mi accorsi che non c'era Bunny, il che

non mi fece né caldo né freddo, ma dopo cinque minuti, mi resi conto

che mi mancava. Scesi in giardino a cercarlo, lo trovai steso per terra,

circondato da Jeremy e dal suo gruppetto che gli tiravano calci,

inizialmente non sapevo cosa fare e, quindi, pensai che la cosa più giusta

era scappare.

Poi capii che poteva diventare il mio unico, vero e speciale amico e che

era in pericolo. Mi immedesimai in lui indifeso e sofferente, quindi mi

precipitai verso Jeremy e lo spinsi. Si rialzò subito e mi tirò un pugno, io

caddi per terra vicino a Bunny. Dopo dieci minuti il professore di arte ci

salvò portandoci in infermeria. Dopo quell’episodio terribile,

diventammo amici inseparabili e fu la cosa migliore che mi accadde in

tutto l'anno.

(Un racconto di Nermin 1D )

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UN PIATTO D’AMORE

Vi parlerò dell’empatia,

proprio tramite questa poesia.

“Forza tesoro fai un assaggio,

non ho messo apposta formaggio”

disse la mamma che è una maestra

nel cucinare la sua minestra.

“Non mi piace già sento l’odore”

rispose il figlio di malumore.

“Sai che per me è una schifezza!”

disse il bimbo con amarezza.

La faccia di lei triste e stanca

sembrò per quella risposta franca.

Gli occhi di lui super attenti,

smisero di essere prepotenti.

Fece un assaggio con poca fatica

e non sembrò cambiargli la vita.

Ecco qua un bel sorriso

le illuminò subito il viso.

Così un abbraccio ci fu,

amore e gioia sempre più.

Ci vuole un po’ di comprensione

per trovare la giusta soluzione! (Francesca 1 D)

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IL DONO

Questa è la storia di Benjamin. Benjamin era un

ragazzo di sedici anni che viveva in America. Suo

padre era un uomo ricco con una villa gigante, auto

supercostose e oggetti di molto valore, inoltre era

il sindaco di Boston. Benjamin aveva sempre

disprezzato gli uomini poveri, senza vestiti eleganti.

Frequentava un college molto costoso. Un giorno

mentre camminava per le strade di Boston vide una

vecchia donna che chiedeva l’elemosina, la signora

gli baciò la scarpa. Benjamin arrabbiatissimo disse:

“Come osi sporcare la mia scarpa con le tue labbra

sporche , vecchia! Ora vedi”. Prese il bicchiere dalle

mani della donna con dentro due spiccioli e lo buttò

nel cestino. Il cielo si oscurò e la vecchietta

cominciò a ridere

dicendo:

Da adesso in poi sentirai tutte la emozioni della gente che ti sta accanto e che tu toccherai. Fino a quando non imparerai a essere EMPATICO!

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La donna scomparve, Benjamin spaventato corse a

casa. Suo padre era seduto sulla poltrona, il

ragazzo si avvicinò e sentì come una sensazione di

tristezza e di paura senza motivo. Il padre si mise a

piangere. Benjamin si girò e dalla finestra vide la

vecchietta che rideva, poi scomparve. Di nuovo.

Forse il ragazzino aveva capito, la maledizione si

era avverata. La mattina seguente andò a scuola e

vide Nicola il secchione della scuola, preso di mira

dai bulli, ma lui rideva. Benjamin si avvicinò, sentì

solitudine e tristezza, allora mandò via i bulli, che

non si misero contro il figlio del sindaco. Nicola si

alzò e ringraziò Benjamin, riprese i libri e andò in

aula. Benjamin fu stupefatto dalla sensazione che

provò dopo aver salvato Nicola, si sentì felice. Il

pomeriggio ricevette una brutta notizia il padre era

malato di un cancro terminale. Fu costretto ad

andare a vivere dai suoi zii. A quel punto Benjamin

non sentì piu’ nulla, senza il padre e la madre che

era morta durante il parto. Il giorno seguente

Nicola salutò Benjamin in corridoio, Benjamin

sofferente per il padre gli sferrò un pugno. Riusciva

a provare solo rabbia.

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I giorni passarono e arrivò la notizia della morte

del padre, la villa fu demolita, gli oggetti requisiti,

lo zio si prese le auto del padre, a mensa tutti lo

lasciarono da solo, perché senza suo padre lui non

era niente… Ormai cosa rimaneva a Benjamin!? Non

lo sapeva ma il suo dono, il potere speciale che la

vecchia gli aveva donato, poteva salvarlo dalla

grande solitudine in cui era caduto.

Una mattina, infatti, andando a scuola incontrò un

bambino che era seduto accanto a un palo e

chiedeva l’elemosina, allora senza esitare tirò fuori

il portafoglio e gli diede qualche spicciolo. Il bimbo

sorrise e Benjamin si sentì in pace. A scuola c’era

un nuovo compagno Gaetano, seduto sulla sedia a

rotelle: occhiali, pugni stretti, braccia lunghe, ma

gambe molto corte. Non aveva problemi mentali,

anzi era molto intelligente. Tutti lo prendevano in

giro e lui si sentiva diverso. Un giorno un ragazzino

lo prese in giro chiamandolo “scherzo della natura”,

tutti risero tranne Benjamin. In quelle risate

Gaetano riuscì a trovare il sorriso di Benjamin e da

quel pomeriggio i due divennero molto amici,

ridevano e scherzavano insieme e non si sentivano

più soli.

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Benjamin capì che essere empatico non è una

maledizione anzi è un dono, che in pochi hanno. Il

cielo si oscurò e arrivò la vecchia: ”Non me l’

aspettavo ragazzino, non da te, comunque sono

pronta a toglierti la maledizione e….” Benjamin la

fermò e le disse “Ferma, non è una maledizione

ma un dono, ti prego non togliermelo! Anzi,

grazie, mi hai fatto scoprire una cosa

importante: solo col CUORE si può vedere

veramente, provando EMPATIA”. Si ricordò che

aveva letto da qualche parte che” l’essenziale è

invisibile agli occhi , non si vede che col cuore” e

finalmente ne aveva compreso il vero significato.

Gabriele 1D

LA MORALE DI QUESTA STORIA E’ DI ESSERE EMPATICI NEI CONFRONTI DEGLI

ALTRI, DELLE PERSONE CON HANDICAP FISICI O MENTALI, DEI POVERI, O PIU’

SEMPLICEMENTE DEI NOSTRI GENITORI CHE FANNO MOLTI SACRIFICI PER NOI.

PER ME EMPATIA VUOL DIRE METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI E PROVARE I

LORO SENTIMENTI AVENDO COMPASSIONE.

⛈Progetto Raggio Di Luce

.

FILASTROCCA

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Il sole appena sorto cosa prova la luna non lo sa, ma nel buio più profondo presto lo scoprirà. L' empatia con tanta allegria porta sempre magia. Insieme ci aiutiamo , e le difficoltà superiamo. Un gruppo unito siamo , e nessuno abbandoniamo. Sempre pronti ci troviamo, davanti agli ostacoli non ci arrendiamo. Della tristezza non abbiam paura, grazie all’ amicizia la trasformiamo in fortuna. Da supereroi con empatia agiamo. Della resilienza , l'empatia ne è l' essenza. Adesso cosa aspettate? Presto subito andate ! Tanta gente contagiate con allegria e tante risate!

(Aurora e Sofia 1D)

FILASTROCCA

FILASTROCCA

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L'empatia è amica mia. I miei compagni insieme mi aiutano a star bene. Tutti pieni di allegria fan la tristezza andar via. Solo grazie all'empatia. siam felici, siam contenti e lo dobbiam agli insegnamenti di maestri e conoscenti L'empatia. è amica mia. Nei panni del prossimo dobbiamo stare, essere sempre pronti ad aiutare. Nella vita degli altri vogliamo entrare, insieme poterci consolare. Per finire ci dobbiam divertire, tutti quanti a proprio agio si devon sentire Questa è l'empatia secondo noi, e adesso tocca immaginarla a voi (Aurora e Sofia 1D)

L’EMPATIA È LA CAPACITÁ DI COMPRENDERE APPIENO LO STATO

D’ANIMO ALTRUI SIA CHE SI TRATTI DI GIOIA CHE DI DOLORE.

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IL SIGNIFICATO DEL TERMINE, DUNQUE, È SENTIRE LO STATO D’ANIMO

DELLA PERSONA CON CUI SI VIENE IN CONTATTO.

C’era una volpe di nome Ariel che non era come le altre di

colore rosso, ma di due colori: rosso e nero, per questo motivo

veniva esclusa da tutti e piangeva sempre quando tornava a casa,

nella sua tana.

Un giorno arrivó un’altra volpe di nome Agatha, sia bianca che

rossa, che fece amicizia con lei perché la capiva e sentiva che

stava male dentro, anche se non lo faceva vedere. Poteva

comprendere quanto era difficile per lei la sua condizione,

perciò sembrava un’ottima compagna.

Passarono gli anni e diventarono migliori amiche.

Si divertivano tanto insieme, ridevano, scherzavano e tutti le

invidiavano.

Cosí le altre volpi si accorsero di cosa si stavano perdendo.

Piano piano una terza volpe di nome Cleo, che si era unita a

loro, riuscí a far cambiar idea alle altre.

Quando accadde, tutte le volpi incluse Ariel e Agatha, si

ritrovarono a giocare insieme nel bosco.

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In questo modo diventarono tutte amiche e, da quel giorno, non si staccarono piú.

Ariel non aveva motivi per piangere, Agatha riusciva a capire che stava bene e che era felice quando stava con loro. (Sara e Gaia 1D)

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Empatia: le mie riflessioni e un racconto

Prima di iniziare questo tema ho più volte chiesto ai miei genitori di spiegarmi il

significato della parola “empatia”. Guardando anche sul vocabolario, la

spiegazione non è facile da capire per un ragazzo della mia età. Infatti trovo

scritto: “E’ la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che

si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è sentire

dentro, ad esempio mettersi nei panni dell’altro, ed è una capacità che fa parte

dell’esperienza umana ed animale”.

Dopo aver letto il concetto insieme ai miei genitori, ci avevo ancora capito poco.

La frase del vocabolario diceva anche che è una capacità che si sviluppa con

l’esperienza: come potevo capire io, che sono ancora poco più di un bambino, cosa

potesse essere una cosa che si sviluppava con l’esperienza e quindi con l’età. La

confondevo poi con la simpatia, una parola per me più semplice che associo in

genere ai miei amici o alle persone che conosco. Alcuni sono simpatici e mi fanno

ridere, altri invece sono meno simpatici.

Poi mio padre mi ha detto una frase che ricordo ancora. Tu puoi far ridere un

altro bambino per una battuta che fai, ma non è detto che lo hai reso felice. Non è

quella l’empatia. L’empatia viene usata anche da alcuni medici per aiutare i

bambini che hanno delle disabilità soprattutto fisiche. E’ la capacità di capire il

loro stato d’animo, di mettersi nelle loro condizioni e capire cosa provano. Prova a

pensare di esser loro e comportati di conseguenza. Quelle parole mi hanno fatto

capire in un istante quale era il tema dell’empatia e quindi quale era il “tema del

tema” che dovevo esprimere in questo lavoro per l’associazione Raggio di luce.

Ho capito che forse, chi ha una disabilità fisica ha solo una disabilità fisica, ma

se noi bimbi e ragazzi riusciamo ad entrare in sintonia con loro, ci divertiamo tanto

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tutti insieme. Forse avevo capito che cos’era l’empatia, ma non la sapevo davvero

spiegare.

Paolo Manfredi è un ragazzo di 13 anni che vive a Falerna, il paese in provincia di

Catanzaro sul mar Tirreno dove ogni anno trascorro le mie vacanze estive. E’ un

ragazzo disabile, biondo con gli occhioni grandi, ma con movimenti un po’ strani

delle braccia. Vive nella casa accanto a quella dei miei nonni. In Calabria tutti i

vicini si comportano come parenti: i miei nonni conoscono bene la famiglia di

Paolo e, quando vado in Calabria, spesso vado a casa sua a trovarlo. E’ un super

appassionato di grandi velieri militari. Costruisce dei modellini riproducendoli nei

minimi particolari. Vorrei tanto saper fare anch’io quello che riesce a fare Paolo.

Lui compra dei fogli di legno sottilissimi da cui, con un piccolo seghetto, ricava dei

piccoli pezzetti di legno per costruire lo scafo, le ringhiere del pontile, l’albero

maestro. Compra la stoffa e chiede alla mamma, che ha la macchina da cucire

antica col pedale, di produrre delle piccole vele. Poi se ne va nella sua piccola

cameretta e in quella stanza passa intere giornate con il suo modellino. Io ogni

tanto passo da lui, ma non ci sto tanto, perché poi ho voglia di andare a giocare.

Lui invece, non potendo giocare, lavora sul veliero. Un giorno l’ho aiutato a

montare dei piccoli cannoncini sul lato dello scafo. Lo ha fatto incollare a me. Ero

felice di aver costruito una parte del veliero.

Lo scorso anno ha concluso il suo lavoro più importante: l’Amerigo Vespucci.

Ricordo l’immagine di quella nave: era perfetta. Ogni singolo particolare era

curato. Aveva persino collegato il timone all’aletta dietro la nave, credo si dica

poppa. Sembrava pronta per andare sul mare. Mi ricordo che mi raccontò la storia

di quel veliero dicendomi che era il vanto della nostra Marina Militare.

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La sua mamma allora organizzò una festa con altri ragazzi e i genitori per

festeggiare quel lavoro. Lui girava per la stanza con il veliero appoggiato sulle sue

esili e sottili gambe, spingendo con le mani le ruote della sua carrozzina. Poi si

fermava, prendeva il veliero e lo muoveva su e giù facendo con la bocca il verso del

mare e della barca che si muoveva in mare.

Lui sembrava felice, ma io lo vedevo triste. Parlando con lui avevo capito, anche

senza che lui me lo dicesse, quale era il suo sogno. Parlava sempre del mare, delle

vele che col vento si gonfiavano e spingevano la barca. E quando parlava si

fermava e alzava lo sguardo come se sognasse. Il suo sogno era quello di salire su

una barca a vela.

Alla fine della festa mi avvicinai alla sua mamma chiedendole se potevamo far fare

insieme un giro in barca. Ma sua mamma mi disse che, purtroppo, era troppo

pericoloso e che a Paolo bastava guardare la televisione per capire cosa si provava

su un veliero.

Tornato a casa la sera, ne parlai ai miei genitori, che riuscirono a convincere i

genitori di Paolo a fare una gita sull’isola di Vulcano.

Ricordo il viaggio in macchina fino a Villa San Giovanni, poi la traversata dello

Stretto e lo sbarco a Messina. Da Messina arrivammo a Milazzo. A Milazzo c’erano

degli aliscafi che ci trasportarono sull’isola dove avevamo affittato un residence.

Paolo sapeva solo della vacanza, ricordo già la sua felicità quando salì sull’aliscafo.

Il giorno dopo lo portammo in spiaggia dove avevamo affittato per tutta la

giornata una barca a vela. Quando Paolo la vide spalancò gli occhi. I signori che

erano sulla barca, lo fecero salire legando la carrozzina. La barca aveva cinque

vele e un grande timone come quelle che si vedono in televisione in mano ai

nostromi. Quando girarono la barca, le vele si gonfiarono e la barca partì per il

giro delle altre Isole vicine.

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Ricordo il rumore del vento contro le vele e i due proprietari che strillavano delle

parole tirando delle lunghe corde. Paolo era al timone insieme a suo padre, ci stava

guidando. Il viso di Paolo cambiò. La sua bocca si aprì per la meraviglia, il vento

gli spostava i capelli indietro, sentivo le sue urla di gioia. Sentendo le sue urla, io

chiusi gli occhi. Sentivo anch’io il vento tra le dita, l’aria fresca che mi passava sul

viso, il rumore dell’acqua spostata dalla barca. E fu allora che provai una

sensazione di libertà, che sono sicuro stava provando anche lui. Era la stessa, ero

felice come lui. Stavo provando le sue stesse emozioni. Avevo capito in quel

momento che, come Paolo, stavo ridendo ed ero felice, non perché lui era

simpatico ma per qualche altra cosa che qualcuno chiama empatia…ma non

chiedetemi di spiegarla.

Francesco 1D

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L’empatia

È una caratteristica, una sensazione,

ti fa comprendere degli altri l ’ emozione.

Se in quel momento puoi aiutare,

o semplicemente con il silenzio consolare.

Puoi averla di natura o puoi svilupparla,

puoi tenerla da parte o provare ad usarla.

Puoi capire se è il momento di donare un sorriso,

o semplicemente asciugare una lacrima da un viso.

Spero che questa poesia vi sia piaciuta,

e la poetessa con un abbraccio vi saluta

(Una ragazza di 1D)

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DUE FELINI… DUE DESTINI !! Nel 2015 Ginevra andò in vacanza a Parigi, insieme al suo gatto Figaro,

ospite dell’amico Leonardo.

Per quindici giorni i due ragazzi visitarono le varie attrazioni della città.

Il tempo passò veloce e, per Ginevra, giunse il giorno del rientro. Una volta

arrivata in aeroporto, dalla fretta, smarrì il gatto.

Allora, consapevole che avrebbe perso l’aereo, preferì tentare di ritrovare

Figaro e, per questo, non le restava che chiedere aiuto a Leonardo.

Tornata dal suo amico, gli raccontò l’accaduto, ma lui si innervosì, l’accusò di

essere stata un’irresponsabile e non volle aiutarla. A quel punto Ginevra,

offesa, rientrò a casa sua, sostenendo che non gli avrebbe mai più rivolto la

parola.

L’anno dopo Leonardo si trasferì a San Francisco per avvicinarsi alla sua

famiglia, in particolare alla cugina Marica che lavorava in uno zoo. Lei era

l’addetta alla gabbia delle tigri con cui familiarizzava molto e alle quali era

molto affezionata. Un giorno una delle tigri, Cybil , la sua preferita, scappò

dallo zoo. Marica, disperata, si rivolse a Leonardo che, ricordandosi

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dell’esperienza con Ginevra, si rese conto che, in quell’occasione, il suo

comportamento poco solidale e disponibile gli aveva fatto perdere un’amica.

Per non rifare lo stesso errore, non accusò Marica, anzi la consolò,

mettendosi nei suoi panni. Poi l’aiutò, mettendocela tutta, a cercare la tigre.

Dopo aver percorso varie strade della città, trovarono Cybil in un vicolo, ma

non sola. Infatti la tigre era insieme a tutti i suoi piccoli tigrotti appena nati.

Marica era felicissima di aver ritrovato Cybil e, ancora di più, di avere un

cugino così affidabile.

Leonardo, a sua volta, era contento e soddisfatto per come si era comportato

aiutando la cugina e facendola stare bene. Avrebbe dovuto darsi da fare allo

stesso modo con Ginevra! Chissà se aveva poi ritrovato Figaro!?

(Gianluca 1 D)

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Era un giorno d’autunno

Un bambino passeggiava entusiasta e molto felice in giro per

Milano, insieme ai suoi genitori. Ad un certo punto arrivò

nella piazza del duomo.

L'ambiente era grande, molto affollato. C'erano un sacco di

famiglie che passeggiavano come loro. Il duomo era enorme e

c'erano anche dei palazzi molto particolari. Successivamente,

il bambino, vide sotto il portone di un palazzo, un signore

dall'aspetto sporco, disteso per terra.

In quel momento la felicità del bambino cominciò a

trasformarsi in tristezza, perchè provava pena per quella

povera persona.

Avrebbe voluto portarlo a casa con lui per fargli fare un

bagno, dargli da mangiare perchè sembrava affamato e,

soprattutto, per farlo sentire meglio.

Allora chiese ai suoi genitori se potevano invitarlo a casa, ma

loro risposero che non se la sentivano di assumersi un

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impegno tanto grande.

Così il bambino tornò a casa un po' triste.

Quella notte fece un sogno molto strano, che però lo consolò.

Sognò di vivere in una casa abbastanza grande per ospitare i

senzatetto ed aiutarli ad avere una vita migliore.

Ancora oggi quel bambino vorrebbe realizzare il suo sogno

perchè crede che tutto puo’ diventare realtà… e magari ci

riuscirà. (Dereck 1D)

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IL BRANCO DEI DODO

Durante l’era glaciale nacquero dei cuccioli di dodo,

tra loro era compreso Rudy.

Fin dalla nascita il cucciolo era diverso, piuttosto

piccolo rispetto alla norma e quindi faceva fatica a

fare anche le cose più semplici, tipo procurarsi il cibo.

Venne il cambiamento climatico, il suo branco doveva

migrare verso posti più caldi, ma durante il percorso

cadde in una buca troppo grande per lui e, quindi,

non riuscì ad uscire.

Rudy cadendo si fece male. Un cucciolo di nome Pachi

lo vide e lo tirò fuori, prendendolo in spalla. Chiamò

gli altri che aiutarono Rudy, accerchiandolo per non

farlo uccidere dai predatori. Durante il viaggio Rudy

resistette fino alla fine anche se, strada facendo,

trovarono dei mammut inferociti che riuscirono a

seminare. Grazie al loro coraggio, i cuccioli ebbero

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successo nell’intento di salvare Rudy e se lo fecero

amico. Quando arrivarono a destinazione, i nuovi

amici lo sostennero ogni volta che c’era qualcosa che

lui non poteva fare.

Ormai rassicurato, Rudy fece nuove amicizie. In caso

di bisogno, non sarebbe mai più stato solo.

(Due ragazze di 1D)