Benessere è/e empatia nell'arte-la fotografia

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BENESSERE E’/E EMPATIA NELLARTE: LA FOTOGRAFIA Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens, Una foto, per essere efficace, deve trasmettere qualcosa a colui che la guarda. Mostrare foto ad altri è sempre un atto comunicativo, altrimenti sarebbe sola- mente un appunto personale scritto con un mezzo un po' diverso dalla carta e penna. Quindi, anche nella più banale delle composizioni, bisogna mettere in atto regole comunicative. Solo se ho provato emozioni al momento dello scatto, restando tuttavia razionalmente cosciente delle problematiche tecniche e comunicative, posso in qualche modo ambire ad offrire emozioni ad altri. Se io non ho provato emozioni, non è possibile che ciò accada. Questo è quello che, generalmente, la foto muove: l'emozione dell'autore conse- gnata al fruitore, una sorta di macchina del tempo e dello spazio. Per far questo, ovviamente, è importante conoscere lo strumento, le tecniche ed avere allenamento ed esperienza, ma non è ancora sufficiente, poiché sono ne- cessari alcuni importanti ingredienti: predisposizione mentale, empatia ed emo- zione. Una foto che comunicadeve avere unanima. Perciò è estremamente importan- te la predisposizione mentale verso il soggetto. Ciò indica conoscenza, frequen- tazione e studio di quel soggetto. E poi l'empatia che, in parole povere, significa che non posso ritrarre il mare se l'acqua mi fa schifo e che non saprò ritrarre la montagna se non amo camminare tra i meandri più faticosi di essa. E che, digerito tutto questo cancellandolo dalla mente, alla fin fine devo lasciar- mi andare e gustare quel brivido di carezza che mi scorre sulla pelle e lungo la schiena quando osservo, e trasformare questo nell'atto di premere un pulsante.

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BENESSERE E’/E EMPATIA NELL’ARTE: LA FOTOGRAFIA

Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens,

Una foto, per essere efficace, deve trasmettere qualcosa a colui che la guarda.

Mostrare foto ad altri è sempre un atto comunicativo, altrimenti sarebbe sola-

mente un appunto personale scritto con un mezzo un po' diverso dalla carta e

penna.

Quindi, anche nella più banale delle composizioni, bisogna mettere in atto regole

comunicative. Solo se ho provato emozioni al momento dello scatto, restando

tuttavia razionalmente cosciente delle problematiche tecniche e comunicative,

posso in qualche modo ambire ad offrire emozioni ad altri.

Se io non ho provato emozioni, non è possibile che ciò accada.

Questo è quello che, generalmente, la foto muove: l'emozione dell'autore conse-

gnata al fruitore, una sorta di macchina del tempo e dello spazio.

Per far questo, ovviamente, è importante conoscere lo strumento, le tecniche ed

avere allenamento ed esperienza, ma non è ancora sufficiente, poiché sono ne-

cessari alcuni importanti ingredienti: predisposizione mentale, empatia ed emo-

zione.

Una foto “che comunica” deve avere un’anima. Perciò è estremamente importan-

te la predisposizione mentale verso il soggetto. Ciò indica conoscenza, frequen-

tazione e studio di quel soggetto.

E poi l'empatia che, in parole povere, significa che non posso ritrarre il mare se

l'acqua mi fa schifo e che non saprò ritrarre la montagna se non amo camminare

tra i meandri più faticosi di essa.

E che, digerito tutto questo cancellandolo dalla mente, alla fin fine devo lasciar-

mi andare e gustare quel brivido di carezza che mi scorre sulla pelle e lungo la

schiena quando osservo, e trasformare questo nell'atto di premere un pulsante.

Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens,

Shirin Neshat

Nata a Qazvin, in Iran, nel 1957, Shirin Neshat vive attualmente tra il suo paese di

origine e New York. Esplora da alcuni anni la complessità delle condizioni sociali

all'interno della cultura islamica, rivolgendo uno sguardo particolare al ruolo che qui

ha la donna: nelle sue foto e nei suoi video incontriamo corpi velati, martiri, sotto-

messi, che si devono relazionare con la violenza ed il terrorismo, immagini intense e

fortemente connotate. Il suo è un corpo che sente, nel confronto intimamente vissuto

delle culture, le possibilità di intersezione che l'hanno portata ad avere una visione

anticonvenzionale e a mantenere un forte distacco dai pregiudizi, tanto quelli del

mondo Orientale quanto quelli del mondo Occidentale. Ha partecipato, lo scorso an-

no, alla Biennale di Istanbul, luogo appartenente ad una cultura, da cui anche lei pro-

viene, in cui per tradizione il ruolo delle donne è stato sempre demandato alle deci-

sioni degli uomini.

Colpisce sicuramente l'ondata di inquietudine che trapela in un ansimo continuo da

sotto il velo di “The Shadow under the Web”, il video che ha realizzato per la Bienna-

le di Istanbul: una proiezione simultanea su quattro pareti, una corsa continua attra-

verso luoghi diversi, piazze, strade deserte, un'ombra velata che a volte ci viene in-

contro, altre volte ci sfugge.

Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens,

Erano presenti molte donne che esponevano, ed è forse più di una coincidenza, suppongo

che questo dipenda soprattutto dal fatto che ci sono veramente molte donne oggi che fan-

no arte e che si esprimono in questa maniera forte; è probabile che Rosa Martinez,

(direttrice della Biennale) sia stata sensibile a questo tipo di lavoro perché tutte le donne

presenti, provenendo da differenti contesti e ambiti culturali, hanno fatto, più che delle

opere, delle vere e proprie dichiarazioni, molto forti. Si sono imposte su argomenti so-

ciali e politici utilizzando l’arte come mezzo di denuncia.

Shirin Neshat fa parte di un gruppo di artisti che considera “l 'artista stesso” come un'e-

spressione di realtà, non tanto per gli oggetti che produce ma proprio perché è incluso

nella realtà delle cose e nel loro accadere. Per questo cerca di andare oltre i tradizionali

mezzi dell'arte quali

la scultura e la pittura, per indagare i linguaggi multimediali che posseggono una forza

più coinvolgente. L'uso delle tecnologie è una delle intenzioni più stimolanti di questo

nuovo millennio, l 'idea di realizzare sempre di più una contaminazione tra video, compu-

ter e corpo, come anche

l'idea di far partecipare sempre di più il pubblico all'interno dell'opera. Quello che inte-

ressa a Shirin Neshat è la possibilità di realizzare opere che siano il più possibile poeti-

che, opere in cui conta molto il fatto di esprimere delle emozioni, nonostante il fatto che

toccano argomenti sociali, religiosi e politici.

La sua idea di emozione e credo si intuisca appieno in “Unveiled or Women of Allah”. In

questa serie di opere l’artista non ha cercato di entrare in merito all'aspetto politico del

velo, ma piuttosto alla sua poetica, che era il campo che veramente le interessava sin

dall'inizio, l 'idea di provare a guardare oltre la superficie; per esempio: Come fa una

donna a relazionarsi con i mutamenti del mondo esterno quando c'è un velo tra lei e

il mondo? Come il velo separa il privato dal pubblico, l'interno dall'esterno? Come

un semplice pezzo di stoffa è realmente capace di dettare ed imporre una tale limita-

zione su una persona? Sh ir in Nesha t è molto in t er essa ta a ll' idea d i visib ile e invisi-

bile, e anche come, alla fine, una donna riesce ad esprimere sé stessa nonostante tale li-

mitazione. Le sue opere artistiche sono caratterizzate sia dall ’evidenziare dei contrasti,

che da un carattere di enorme ambiguità (una caratteristica del femminile è quella di non

pensare a una visione dualistica dell'esistenza).

Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens,

La giustapposizione delle armi rappresenta la violenza come simbolo dell'immagine ste-

reotipata dell'Islam del mondo occidentale. Tuttavia, la complessità degli ideali spirituali

della religione islamica è superficialmente ignorata. L'interesse per il velo nasce per Shi-

rin Neshat proprio dalla natura ambigua nella società Islamica: il velo protegge le donne

dall'essere considerate un oggetto, dotandole di rispetto; contemporaneamente nasce dalla

consapevolezza degli uomini dell'incapacità di controllare la propria sessualità, costrin-

gendo le donne a coprirsi.

Nonostante tali proibizioni, la rivoluzione ha “costretto” le donne ad occupare ruoli pub-

blici, mettendole su un’uguale posizione con gli uomini. Lo scopo dell ’artista è quello di

uscire dalle ovvietà di discorsi su culture di cui si conosce, in fondo, ben poco. Le inter-

pretazioni del velo sono molteplici, è un segno dei tempi iniziare a parlarne, altrimenti

sarà un argomento che continuerà a generare solo controversie.

Shirin Neshat ha scelto il proprio corpo come superficie per trascrivere dei segni molto

forti, direttamente sulla sua pelle, che compare però pochissimo e questo rende sicura-

mente più forte il messaggio essendo lei stessa a rappresentarsi così.

È stato quasi casuale l'utilizzo del suo stesso corpo. Quando ha iniziato a fotografarsi era

semplicemente una questione di comodità, facendo lei stessa la performance perché sape-

va cosa stava cercando. Era come vivere la sua stessa vita.

Dopo le prime serie è come se avesse collocato la sua immagine nel passato del suo lavo-

ro, come se si fosse lasciata alle sue spalle e di conseguenza ha scelto altre donne da foto-

grafare.

Shirin Neshat è stata più volte accusata di usare sé stessa e giocare su questo ruolo di

identificazione con immagini nostalgiche, ma ella non ha necessariamente bisogno di es-

sere di fronte alla camera. Semplicemente, il corpo è molto importante nelle sue opere,

perché sono tante le cose che sono passate nella cultura islamica attraverso il corpo della

donna, soggetto a ferree regole sociali, diventando contemporaneamente un corpo politico

e il referente visivo dell'effettivo svolgersi di alcuni accadimenti.

In opere come “Seeking Martyrdom” o “Rebellious Silence”, la presenza delle armi è stata

rapportata esclusivamente ad una situazione politica che esiste al momento nei paesi

orientali, ma consideriamo anche il fatto che lei vive a New York, un posto dove la vio-

lenza si vive ugualmente. Probabilmente, di queste di opere è stata data una lettura di que-

sto tipo, ma non era l'aspetto legato alla violenza o alla militarità quello che le interessava

Marte e Rea Silvia (Peter Paul Rubens,

indagare, bensì era quello che più si riferisce all'idea del corpo femminile, nel suo essere

militante che prende posizione, inteso come “corpo combattente”.

Nel lavoro di Shirin Neshat, l 'immagine delle donne, della violenza, del chador e l'intero

complesso della bellezza delle immagini (che è molto importante nella tradizione islami-

ca; la società stessa ruota intorno all'idea della bellezza, come il contatto tra l'uomo e il

divino, davvero intenso) viene trasformato in una dimensione di confusione. Non è mai

stata sua intenzione prendere una direzione univoca, o comunque una posizione, poiché

non è interessante per un artista diventare giudice di cosa è bene e cosa è male o decidere

quali culture sono nel giusto e quali no. Lei si definisce “un’osservatrice forestiera” ed il

suo lavoro è una combinazione di che cosa esperisce della propria storia personale, che

indubbiamente è molto legata a tutto questo.

“Sento di avere ancora molto da dire sulle culture diverse, che ogni tanto possono appa-

rire molto strane, molto lontane, ma che penso alla fine diverranno un insieme universa-

le. C'è molto che deve essere ancora detto e che dovrà essere detto. Forse l'interattività

sarà un buon mezzo per veicolare questi messaggi e soprattutto potrà aiutarmi a cercare

le varie possibilità di trasmettere e tradurre questi messaggi, senza sminuire il loro pro-

fondo significato, rispettando il loro senso e, cosa ancora più importante, fare in modo

che possano raggiungere molte persone ed essere compresi al meglio ”.

Shirin Neshat

Dott.ssa Stella Emmanuele Pedagogista, Progettista educativa e Collaboratrice alla Ricerca Mail: [email protected] Cell: 346/6773480