Dottor Roberto Pagnanelli - edizionilpuntodincontro.it - E... · Anoressia e bulimia secondo la...

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Dottor Roberto Pagnanelli

E LIBERACI DAANORESSIA E BULIMIA

Manuale di auto-aiuto per madri e figlie:conoscere i disturbi alimentari e affrontarli insieme

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Indice

L’autore 10Ringraziamenti 10Dedicato a voi, mamme speciali 11...E a voi, figlie adorate 14Piccina mia, finchè eri bambina 16Alla ricerca della propria strada… 19“Avanti, tocca a lei!” 20

Parte Prima 23In Clinica Psichiatrica... qualche anno dopo 24Vieni anche tu a lezione? 27Cosa sono i DCA? 28Breve excursus storico sulle patologie alimentari 30E ora diamo i numeri… 32Qual è il significato delle parole anoressia e bulimia? 36Quali sono i disturbi del comportamento alimentare? 37Impariamo a riconoscere i primi sintomi 40Anoressia e bulimia secondo la psichiatria biologica 42Quali psicofarmaci? 44Fra le mille cause della psicologia analitica 49Come si fa una diagnosi? 55Paola e lo sciopero della fame 62Ricordi di un’anoressica 63La terapia 75Riflessioni di una mamma 78E ora lasciamole sole... 81

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Parte Seconda 85Uno scoglio vagante 86Il significato del cibo 89L’anoressia come rifiuto dell’affetto 94Ragazze, che disciplina! Meglio che al servizio militare! 96Che cosa rappresenta la bulimia? 97Abbuffarsi… che bontà! 100I segreti del carattere delle madri 102I segreti racchiusi nel cuore delle figlie 104

Parte Terza 109Sbalzati nell’acqua 110

Ascolta l’uomo e le sue distanze 113Che aria tira fra madre e figlia 115Si può morire di troppo amore? 116

Come si fa a non “stringere” troppo la figlia 117Non sei capace, figlia mia... 119E allora proviamo ad allenarci... 123

Il decondizionamento della madre 130Consigli e tecniche di auto-aiuto per le mamme 133Consigli e tecniche di auto-aiuto per le figlie 146Il guardiano del faro 155Linee guida sui disturbi alimentari 158

Proposta di un modello organizzativo 164Formazione 167

Aspettateci, siamo ancora noi! 168Domande e risposte tra genitori e medico 171Domande e risposte tra figlia e medico 185Conclusioni 199Indirizzi utili 201Bibliografia 204

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Dedicato a voi, mamme specialia cui daresti la vita e vorresti posse-desse tutto l’oro del mondo e che vedispegnersi, un giorno dopo l’altro, frale tue braccia... Mentre tu non puoifar niente, ti senti impotente, il pesodi una donna tutto in una mano”.

Ogni mamma parla dal cuore, daquella parte del cuore che le è rima-sta, che sente ancora... Da un lato unapena infinita che cresce fino a farlemale, fino a soffocarla, dall’altro qual-cosa che scende... scende... scende enon si ferma più... quel maledetto agodella bilancia... quell’odio che si puòprovare per se stessi e che travalicagli argini della follia, si getta oltre il li-mite del consentito, oltre quello dellalogica, oltre la pazzia!

A voi genitori che ci state in mezzoe non potete farci niente.

“Uno scheletro in carne e ossa, unabilancia e nulla più. Ecco la nostra fa-miglia. Ecco cosa ci è rimasto di noi edelle nostre figlie, caro dottore”.

Una mamma per tutte: “Seguo l’agopersino di notte. L’ago di quella stra-maledetta bilancia che piega verso il

A voi, per tutto ciò che avete provato,per tutto il bene che volete ai vostrifigli.

E anche per quel peso, quel pesogrosso grosso, alto come un muro. Perquel buco nero, profondo come unanfratto senza fine, in cui perdersi. Perquella maglia addosso, dello stessocolore, la maglia nera del ciclismo,quella che qualifica “l’ultimo in classi-fica”, il peggiore, il più disperato, il piùinetto. Per quell’onta difficile da lava-re, per quella malattia più grande divoi che vi travolge e da cui sembra dinon potersi più liberare.

Per voi mamme e le vostre doman-de: “È mai possibile essere colpita daqualcosa che non ti riguarda, eppureti fa sentire in colpa per sempre? Lavita, la vita stessa che ti offre un donoimmenso, una figlia, e te lo sottrae, telo strappa dalle mani, portandolo aiconfini dell’Ade, sulla linea che dividei vivi dai morti e lo lascia in bilico sulprecipizio, come Persefone e il suochicco di melagrana, un piede di quae uno di là, crudele, ingiusta. La figlia

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basso, che scandisce i chili persi comeun orologio svizzero e quello, truce,della siringa che il dottore infila nelbraccio ormai scheletrico, evanescen-te fino a non trovare più le vene”.

“Ma si rende conto, fin dove si puòarrivare? Si rende conto dove può ar-rivare il cuore di una mamma?”.

“L’ho visto e non lo dimenticheròmai! L’ago che le penetra dentro, at-traverso quel sottile pertugio che dàla vita e la morte... Una bocca che ledà da mangiare, che la nutre attraver-so la pelle e un ago pungente nel cer-vello, come un’ossessione che maci-na la mente. Che avrò fatto di male?Che ho fatto di male per meritarmitutto questo? Ma io... guardi, sono incarne, sto bene... eppure... perché stotanto male?”.

“Una malattia che non ti riguardaeppure ti sta dentro, uno specchiodistorto in cui guardarsi amaramente:da una parte ci sei tu, dall’altra lei”.

Le dita delle mani s’intrecciano,inconsapevolmente. Da una parte cisiete voi, dall’altra le vostre figlie.

Una madre parla di sé e della suadiletta. Troppo violentemente, trop-po velocemente lontane. Strappatel’una all’altra, eppure così intrecciateda non lasciarsi più.

“Il ricovero non lo dimenticheròmai. I due giorni più lunghi della miavita. Una speranza di vita e una dimorte, contrapposte”.

Sono gli stessi impulsi di cui parla-va Sigmund Freud, il padre della psi-canalisi. L’istinto di vita e quello dimorte, la voglia di conservazione el’autodistruzione.

“Ho letto tanto, sa, dottore...? Tan-to... Mi sono tuffata in tutti i libri adisposizione, mi sono saziata di tuttociò che potrebbe essere utile, a me ea lei, per tornare a galla, per tirarci fuoridai guai...

“Mi son nutrita di tutto... ma inutil-mente... Non ho un peso in meno nelcuore, questi libri non ti sollevano daltuo dilemma. Semmai spesso ti insi-nuano sottopelle un pensiero stri-sciante, facendolo scivolare fra le pie-tre e il terreno ghiaioso della tua men-te: Perché proprio a me? Perché? È davverocolpa mia? È davvero colpa delle mamme?Di tutte le mamme del mondo? “.

Il padre è assente, lontano, alme-no lui non soffre... “Ma io soffro tuttele pene dell’inferno, tutto ciò che leipuò solo immaginare, dottore”.

Madre e figlia.Due cellule che diventano una, nel-

l’utero. Così vicine, eppure mai cosìlontane.

“Un rapporto difficile, dottore. Pos-siamo ammalarci di anoressia e buli-mia anche noi mamme? Siamo de-presse, abbattute, così sole. Appren-diste stregone persino dei nostri pen-sieri. Aggredite inconsciamente dallepersone a cui ci rivolgiamo, colpevoli

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di qualcosa di cui non siamo consa-pevoli. La prego, può spiegare in unlibro alle mamme ciò che devono fare,dottore? Alle mamme e alle figlie incrisi che non meritano questo e chenon si ritrovano più... a tutte le mam-me che hanno perduto ciò che di me-glio hanno avuto nella vita... il lorotesoro. A tutte coloro che lottano enon vogliono arrendersi... a coloro chevogliono risollevarsi... che non lo ac-cettano... che sono troppo affrante...per poterlo accettare all’infinito. Aquelle figlie che, incagliate sul fondodella loro disperazione, soffrono coigenitori e non si danno pace”.

Una delle tante mamme che ven-gono da me per risollevarsi... per im-parare a solcare i mari della vita intranquillità e in compagnia delle figlie,per smettere di piangersi addosso eper trovare uno strumento con il qua-le risollevare lo scafo di un natante inagonia, che rischia di perdersi inghiot-tito dalle profondità del suo male.

Un libro con le fattezze di un rimor-chiatore arancione, provvisto di unargano talmente grande da poter sol-levare di peso oltre cento tonnellateincagliate sul fondo. Lo immagino colsuo colore fosforescente e la scrittadi prua ben in evidenza, sottile comeil suo augurio: di anoressia e bulimiasi può guarire!

Le sue catene di ferro manovratesapientemente da mani esperte, scen-dono nel cuore del mare fino al na-tante in avaria, pronte a risollevare isuoi centotrenta quintali di dubbi epesi ancora non risolti. Un Nautilus delterzo millennio. “Vorrei portare in su-perficie tutte la mamme e le figlie checredono ancora in se stesse e nel fat-to che l’acqua sia un elemento mobi-le...”, mi dico. “Con la certezza di tro-vare il modo di tornare in superficie edi poter tornare a navigare per sem-pre nei vasti mari della vita”.

“Ne vorrei la certezza, dottore”.“Ci possiamo provare”.

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Lo sciopero della fame. La voglia dinon esserci più, di sparire dal mondo.Il desiderio bruciante di scappare, discomparire dalla faccia della terra enon tornare mai più. Essere invisibili,diventare trasparenti, filiformi, bian-che come un foglio di carta da butta-re nel cestino o tutto da scrivere o dariscrivere. Chi può riscriverlo? Voi stes-se o gli altri?

“Ora basta!”, sembrate dire. “Orabasta, mamma e papà, non capiteniente. Non mi avete mai capita”.

“Eppure quanto ho bisogno di voi...di voi due, genitori, ma anche deglialtri, degli amici, delle maestre, delleprof, dei parenti... Non conto più lepersone a cui vorrei piacere... pur dinon soffrire, pur di non morire. Per-ché per me è essenziale, pur di vivere,piacere, compiacere, fare come diconogli altri, dall’alto della loro esperienza. Ècosì che sono finita laggiù, propriocosì. Perché così sono tutti contenti.È questo il mio male oscuro: “sì, farecome dite voi, va bene?”.

“Quante volte l’ho pensato, quan-

te volte l’ho detto, un po’ per il miocarattere, un po’ per la mia indole in-sicura... così diversa da quella di miofratello. Perché possono esistere duepersone tanto diverse fra loro, dotto-re? Lui questi problemi non li ha maiavuti... eppure c’è... è mio fratello...figlio loro... i genitori sono sempre glistessi... ma perché due figli così diffe-renti?

“Forse a ben pensarci era già insitonel mio carattere fin da piccina... Forse erascritto così... buona... docile, dispo-nibile verso gli altri... sempre pronta adire di sì.

“L’essere idealista fino a farmi male,il darmi da fare per gli altri, a qualsiasicosto, prima che per me stessa... ilguardare il mondo con gli occhi deglialtri, come un pesce con la sua visio-ne panoramica, a trecentosessantagradi. Perché non potevo avereun’angolazione tutta mia? Un fa-scio di luce tutto mio, nel mon-do?”.

“Perché... quanti perché... nella miavita, ma a che servono i perché... se

...E a voi, figlie adorate

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non mangio più? Sono in lotta colmondo, col cibo e col mio mondo. Colmio vomito sembro tener lontani glialtri, sembro rigettare tutto al mitten-te. Il cibo, l’amore, tutto ciò che dibuono c’è in me.

“Ma cos’è che non voglio più? Melo spiega, dottore? Non ci capisco piùniente. Se ne sentono raccontare ditutti i colori, proprio su di noi, figliepredilette! Se la sente di spiegare ame e ai miei genitori tutto quel chesuccede attorno a noi e in una mentemalata d’una ragazza che rischia d’in-castrarsi sul fondo della sua oceanicaprofondità, fino a morire?”.

“Sì, Paola. Ci provo. Ognuna di voiè diversa, non si può generalizzare,tuttavia c’è qualcosa in voi che vi ac-comuna. La voglia di tornare indietro,al porto d’origine.

Perché se state leggendo... questavoglia c’è... non s’è ancora spenta,c’è...

Ma anche la voglia di guardare avan-ti, con occhi nuovi, i vostri. La voglia difarvi guidare ma dolcemente, come fo-ste cullate dalle onde di un mare tran-quillo oltre il quale non perdersi, con

occhi nuovi, diversi, più luminosi. Nonpiù a strattoni, non più incatenate, nonpiù in quella perfezione di cui vi sieteammantate come in una volta di roc-cia che vi trattiene sul fondo marino.Non più quel buio interno che vi cir-conda. Perché se è vero che siete ca-paci di andare fino in fondo, sul fonda-le della vostra vita come sul fondo delcursore della bilancia da lì, ricordatelo,non potete che risalire”.

‘Solo quando hai toccato il fon-do, veramente’, mi ha detto una vol-ta una paziente, ‘puoi piantarci ipiedi saldamente e spiccare unsalto per risalire’.

“Perché emergere, saltare verso l’al-to è nella vostra indole, smettere dicorrere come forsennate verso obiet-tivi fittizi che, anche quando raggiun-ti, non vi soddisfano affatto, i trentachili come le corse in palestra, percamminare su un sentiero in salita chepermetta a voi e agli altri di aiutarvi”.

“Perché sono sicura che nel mon-do degli adulti c’è qualcuno pronto atirarci fuori dai guai, a tirarci fuori da-gli abissi della nostra malattia”.

“Sì, certo, ne sono sicuro anch’io”.

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“Finché eri bambina, insieme erava-mo felici. Eri piena di gioia, ma nellatua felicità non c’era nulla di superfi-ciale, di scontato. Era un entusiasmoin cui stava sempre in agguato l’om-bra della riflessione, del pensiero, dallerisate più esaltanti passavi al silenziocon una facilità sorprendente.

‘Cosa c’è che non va, cosa pensi?’,ti chiedevo e tu, come se parlassi conla merenda della colazione, mi rispon-devi: ‘Penso se il cielo finisce o vaavanti per sempre, all’infinito’ “.

Ancora ricordi. “Ti ricordi i pianti chefacevi appena alzata negli ultimi tem-pi? Stavi lì seduta davanti alla tazzadel latte bollente e le lacrime scende-vano giù silenziose lungo le guancepaffute. ‘Perché piangi, cara?’, ti chie-devo allora e tu sconsolata o piena dirabbia dicevi: ‘Non lo so, lasciami inpace’.

Alla tua età ci sono tante cose dasistemare dentro l’animo. Ci sono deiprogetti e nei progetti tante insicurez-

ze. La parte inconscia non ha un ordi-ne o una logica chiara, limpida e, coni rimasugli del giorno, distorti e defor-mati, mescola le aspirazioni più altee, tra quelle più profonde, infila i bi-sogni del corpo.

Così, se hai fame sogni di trovartiseduta a tavola e di non poter mangia-re, se hai freddo di essere al Polo Sud edi non possedere un cappotto, se haisubito un torto diventi un guerrieroassetato di sangue e pronto a vendi-carsi. Che sogni stai facendo laggiù frai libri e i tuoi pensieri? Vorrei tanto sa-perlo anch’io. Chissà se qualche voltalà in mezzo, magari vestita da indiana,compaio anch’io? Chissà se sotto men-tite spoglie di coyote compare Flint?Hai nostalgia? Ci pensi?”.

Già... ci siamo vicini... “Avevi appenafinito la scuola e brancolavi nel buiopiù totale, non sapevi quello che avre-sti voluto fare da grande. Da piccinaavevi tanto entusiasmo: volevi diven-tare medico con la tua passione da

Piccina mia, finchè eri bambina

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esploratore, amica dei bambini piùpoveri.

Di questi desideri non è rimasta lapiù piccola traccia. L’ardore inizialeche avevi manifestato verso il prossi-mo e i tuoi cari genitori col passaredel tempo si è andato spegnendo; tut-to quello che era filantropia, deside-rio di comunione, di condividere qual-cosa con gli altri, in un brevissimo las-so di tempo si è trasformato in cini-smo, chiusura, cattiveria, in concen-trazione ossessiva sul cibo e sul tuodestino infelice.

Se alla TV ci capitava di vedere qual-che notizia particolarmente cruda, ir-ridevi le mie parole di commento di-cendo: ‘Di cosa ti meravigli, mamma?Non sai ancora che è la selezione na-turale a governare l’Universo, la cru-deltà dell’uomo?’.

Inizialmente di fronte a questo tipodi considerazioni restavo senza fiato,mi sembrava di avere un mostro accan-to a me, un mostro dalle profonditàumane assetato di sangue, pronto abattermi e a farmi affondare per trasci-narmi con sé negli abissi del nulla.

Guardandoti con la coda dell’oc-chio mi ero chiesta da quale anfrattonascosto tu fossi venuta fuori; se eratutto ciò che ti avevo insegnato, conil mio esempio. Non ti ho mai rispo-sto, ma intuivo che il tempo del dialo-go era finito e qualsiasi cosa ti avessidetto sarebbe stata soltanto l’appiglio

per uno scontro frontale, denti con-tro denti. La lotta era l’unica cosa chepotevo avere da te. Da un lato teme-vo la mia fragilità, l’inutile perdita ditempo, dall’altro intuivo che lo scon-tro in mare aperto era proprio ciò chedesideravi, ciò che volevi, che dopo ilprimo ce ne sarebbero stati molti al-tri, sempre di più, sempre più cruenti.

Sotto le tue parole percepivo il ri-bollire dell’energia, una forza arrogan-te, pronta a deflagrare e trattenuta amalapena; il mio smussare gli angoli,la mia finta indifferenza di fronte agliattacchi più deleteri ti hanno costret-ta a prendere la tua strada.

Nei mesi seguenti continuavi a par-larmi dell’idea di una scuola professio-nale. ‘Se mi iscrivo là’, ripetevi con os-sessione, ‘almeno imparo una lingua enon perdo inutilmente altro tempo’.

Ti irritavi in modo terribile quandoti facevo notare che perdere temponon è affatto così grave. Il massimodell’astio, però, l’hai raggiunto nelmomento in cui ti ho detto che la vitanon è una corsa, ma un tiro al bersa-glio: non è il tempo che conta, bensìla capacità di trovare il tuo baricen-tro, la capacità di centrare il tuo obiet-tivo. C’erano due tazze sul tavolo e icroissant della colazione fumanti, chesubito hai fatto volare via strapazzan-doli con un braccio. Poi sei scoppiataa piangere a dirotto.

‘Cosa vuoi da me, stupida? Sei stu-

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pida’, dicevi singhiozzando, nascon-dendo il volto con le mani. ‘Sei stupi-da, mamma. Non capisci che distrug-gere me e distruggere te è proprio ciòche voglio?’.

Ero senza parole, allibita.Per settimane siamo state come

due militari che, dopo aver sepoltouna mina in un campo, stanno attentia non saltarci sopra. Sapevamo do-v’era, dove l’avevamo messa, perché,cosa rappresentava, ma camminava-mo distanti, fingendo che la cosa datemere fosse un’altra. Quando èesplosa tu singhiozzavi, dicendomiche non capivo niente, che non avreicapito mai niente... e allora ho dovu-to fare degli sforzi sovrumani per nonfarti intuire il mio smarrimento, la miapena, il mio dolore.

Di tutto ciò che ho dentro di menon ti ho mai parlato e forse ho sba-gliato. Il fatto che tacessi ti ha porta-to a credere che ogni cosa per me fos-se indifferente, che tu non esistessi,che fossi poco importante, che nonme ne importasse nulla nemmeno dite.... Ti sei convinta, a causa dei mieisilenzi, che fossi una mamma forte ecorazzata, che non avessi bisogno dinulla, mai. Ma tu sai cosa contiene ilcuore di una mamma? Forse lo sai einvece di dirlo te lo tieni dentro, altri-menti non posso spiegarmi certi tuoisguardi, certe tue parole cariche di

astio. Di noi, a parte il vuoto, tu nonhai altri ricordi: eri ancora troppo pic-cola il giorno che ti ho messa al mon-do, che ti ho partorita. Io invece nellamia memoria conservo ancora ven-t’anni di ricordi”.

‘Sei stupida. Ma non lo capisci? Noncapirai mai nulla, mamma!’, il volto cheavvampa, color delle fiamme. Il visoda nascondere... le tazze volate lag-giù, sul pavimento... L’ossessione cheminaccia, le mine, i soldati pronti acombattere.

‘Ti farei notare che... Di questo forse nontieni conto...’. Conto... calcolo... sforzo...lo sforzo sovrumano per trattenere,per non far intuire quello che c’è den-tro... per non fare intuire che...

Intuire...? Già... A volte basta pocoper intuire.

A volte basta un briciolo di tempoper aprire il proprio cuore insieme alcorpo, gettare la maschera e non re-citare più, non sforzarsi di apparirequello che non si è... non tenere i contiaperti sul tavolo di cucina, non cova-re dentro.

Un semplice abbraccio porta consé più di mille inutili parole, porta ingrembo e racchiude più di mille reci-proche parole.

Va’, o cerca di andare, alla ricercadi questo abbraccio.

Va’ dove ti porta il cuore.

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Alla ricerca della propria strada...Una strada di montagna, in leggerasalita, che piega dolcemente a destra.Una staccionata che sembra contene-re i pensieri, impedendo loro di spin-gersi troppo in là. Un cielo troppo az-zurro solcato da nuvolette bianche.Due alberi in fiore.

Lo state già immaginando?La strada in penombra sembra av-

volgerne uno prima di scomparire die-

tro la collina.Due donne.Madre e figlia.Unite da uno stesso, strano e inso-

lito destino.Unite per salire in mezzo ai fiori su

una lenta strada sterrata, insieme,mano nella mano come due innamo-rati.

È questo il senso del libro.