Direttiva «televisione senza frontiere»: ultimo atto per ... STUDIES/CONCORRENZA 1- TV senza...

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Giampiero di Plinio Direttiva «televisione senza frontiere»: ultimo atto per Italia e Lussemburgo 1 1. – La spinta verso la liberalizzazione delle telecomunicazioni, sull’onda della “naturale” vocazione transnazionale di queste 2 , segna uno dei principali sentieri della ri-regolazione, in sede WTO e in sede comunitaria, delle essential facilities, su diversi fronti: apertura e liberalizzazione degli accessi e delle interconnessioni, privatizzazione dei colossi pubblici del settore, ristrutturazione organizzativa dei mercati, e altro 3 . Negli anni novanta si è avviato un tumultuoso processo di convergenza tra servizi e infrastrutture di telecomunicazione, televisione e information technology; ciò ha sollevato a tutti i livelli problemi di politiche antitrust, di ridefinizione della struttura dei mercati, di uniformizzazione e unificazione degli strumenti di regolazione 4 , che hanno direttamente coinvolto in tutti gli Stati europei l’ancien régime dei monopoli pubblici e privati, ed hanno avuto un effetto incrementale sul parallelo sviluppo della “comunitarizzazione” della disciplina in materia di “contenuti” della programmazione televisiva. In sostanza, la liberalizzazione dei mezzi di informazione ha esasperato la competizione per la conquista del mercato, sia all’interno della “industria europea dell’audiovisivo”, sia nei confronti dei giganti statunitensi. La Commissione, nel dicembre 1992, rese pubblico un libro verde su Pluralismo e concentrazione dei mezzi di informazione nel mercato interno (COM 92/480), in cui, ribadendo che spetta principalmente agli Stati membri mantenere la diversificazione dei mezzi di informazione, affermò che, già in quel momento, esistevano mezzi adeguati per impedire la concentrazione nel settore, e audiovisivo, e individuò tre differenti possibilità: delegare interamente ogni azione agli Stati, intervenire direttamente sull’accesso e la trasparenza in materia di proprietà dei mezzi di informazione, procedere mediante l’armonizzazione delle norme nazionali. Nel libro bianco su Crescita, competitività e occupazione (COM 93/700), la questione fu posta al centro delle proposte per la costruzione di una società europea dell’informazione, e nel libro verde Scelte strategiche per potenziare l’industria europea dei programmi nell’ambito della politica audiovisiva dell’Unione europea (COM 94/96) fu avviato un sistema di consultazione con l’industria audiovisiva europea sulla competitività e concorrenza nel settore, in seguito al quale molti tra i principali gruppi europei hanno accelerato una serie di importanti fusioni ed acquisizioni e si sono orientate alla diversificazione mediante la creazione di nuovi settori e alla necessità di garantire l’accesso a più ampi mercati internazionali 5 . 1 Pubblicato in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, IV, 1935. 2 P. Costanzo, Profili costituzionali delle telecomunicazioni, in F. Bonelli e S. Cassese (cur), La disciplina giuridica delle telecomunicazioni, Giuffrè, Milano, 1999, 11. 3 Senza pretese di completezza, oltre al volume collettaneo appena citato, cfr.: G. Bognetti, Costituzione, televisione e legge antitrust, Giuffrè, Milano, 1996; Telecomunicazioni e servizio universale, a c. di S. Frova, Giuffrè, Milano, 1999; G. Venturini, Servizi di telecomunicazione e concorrenza, Giappichelli, Torino, 1999; L. G. Radicati di Brozolo, il diritto comunitario delle telecomunicazioni, Giappichelli, Torino, 1999 4 In arg. v. A. Valli, A. Costa, La convergenza nelle telecomunicazioni e con la televisione. Aspetti legali e regolamentari, in La disciplina giuridica delle telecomunicazioni, cit., 125 ss. 5 La Commissione ha inoltre utilizzato specifici interventi di spesa per iniziative e progetti, come i programmi MEDIA (avviato nel 1990 per il 1991-1995, che ha destinato 200 milioni di ecu all’industria audiovisiva europea) e MEDIA II (dec. CE 95/563 del Consiglio, del 10-6-1995, in G.U.C.E., L 321, del 30-12-1995, 31 ss., che dispone per il 1996-2000 stanziamenti di bilancio pari a 310 milioni di ecu), i quali hanno lo scopo di favorire la libera circolazione delle opere audiovisive europee e potenziare la competitività dell’industria dei programmi, e MEDIA PLUS (dec. CE 163/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19-1- 2001, relativa all’attuazione di un programma di formazione per gli operatori dell’industria europea dei programmi audiovisivi, in G.U.C.E., L 26/1, del 27-1-2001, 31 ss.).

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Giampiero di Plinio Direttiva «televisione senza frontiere»: ultimo atto per Italia e

Lussemburgo 1 1. – La spinta verso la liberalizzazione delle telecomunicazioni, sull’onda della “naturale”

vocazione transnazionale di queste2, segna uno dei principali sentieri della ri-regolazione, in sede WTO e in sede comunitaria, delle essential facilities, su diversi fronti: apertura e liberalizzazione degli accessi e delle interconnessioni, privatizzazione dei colossi pubblici del settore, ristrutturazione organizzativa dei mercati, e altro3. Negli anni novanta si è avviato un tumultuoso processo di convergenza tra servizi e infrastrutture di telecomunicazione, televisione e information technology; ciò ha sollevato a tutti i livelli problemi di politiche antitrust, di ridefinizione della struttura dei mercati, di uniformizzazione e unificazione degli strumenti di regolazione4, che hanno direttamente coinvolto in tutti gli Stati europei l’ancien régime dei monopoli pubblici e privati, ed hanno avuto un effetto incrementale sul parallelo sviluppo della “comunitarizzazione” della disciplina in materia di “contenuti” della programmazione televisiva.

In sostanza, la liberalizzazione dei mezzi di informazione ha esasperato la competizione per la conquista del mercato, sia all’interno della “industria europea dell’audiovisivo”, sia nei confronti dei giganti statunitensi. La Commissione, nel dicembre 1992, rese pubblico un libro verde su Pluralismo e concentrazione dei mezzi di informazione nel mercato interno (COM 92/480), in cui, ribadendo che spetta principalmente agli Stati membri mantenere la diversificazione dei mezzi di informazione, affermò che, già in quel momento, esistevano mezzi adeguati per impedire la concentrazione nel settore, e audiovisivo, e individuò tre differenti possibilità: delegare interamente ogni azione agli Stati, intervenire direttamente sull’accesso e la trasparenza in materia di proprietà dei mezzi di informazione, procedere mediante l’armonizzazione delle norme nazionali. Nel libro bianco su Crescita, competitività e occupazione (COM 93/700), la questione fu posta al centro delle proposte per la costruzione di una società europea dell’informazione, e nel libro verde Scelte strategiche per potenziare l’industria europea dei programmi nell’ambito della politica audiovisiva dell’Unione europea (COM 94/96) fu avviato un sistema di consultazione con l’industria audiovisiva europea sulla competitività e concorrenza nel settore, in seguito al quale molti tra i principali gruppi europei hanno accelerato una serie di importanti fusioni ed acquisizioni e si sono orientate alla diversificazione mediante la creazione di nuovi settori e alla necessità di garantire l’accesso a più ampi mercati internazionali5.

1 Pubblicato in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, IV, 1935. 2 P. Costanzo, Profili costituzionali delle telecomunicazioni, in F. Bonelli e S. Cassese (cur), La disciplina giuridica delle

telecomunicazioni, Giuffrè, Milano, 1999, 11. 3 Senza pretese di completezza, oltre al volume collettaneo appena citato, cfr.: G. Bognetti, Costituzione, televisione e legge

antitrust, Giuffrè, Milano, 1996; Telecomunicazioni e servizio universale, a c. di S. Frova, Giuffrè, Milano, 1999; G. Venturini, Servizi di telecomunicazione e concorrenza, Giappichelli, Torino, 1999; L. G. Radicati di Brozolo, il diritto comunitario delle telecomunicazioni, Giappichelli, Torino, 1999

4 In arg. v. A. Valli, A. Costa, La convergenza nelle telecomunicazioni e con la televisione. Aspetti legali e regolamentari, in La disciplina giuridica delle telecomunicazioni, cit., 125 ss.

5 La Commissione ha inoltre utilizzato specifici interventi di spesa per iniziative e progetti, come i programmi MEDIA (avviato nel 1990 per il 1991-1995, che ha destinato 200 milioni di ecu all’industria audiovisiva europea) e MEDIA II (dec. CE 95/563 del Consiglio, del 10-6-1995, in G.U.C.E., L 321, del 30-12-1995, 31 ss., che dispone per il 1996-2000 stanziamenti di bilancio pari a 310 milioni di ecu), i quali hanno lo scopo di favorire la libera circolazione delle opere audiovisive europee e potenziare la competitività dell’industria dei programmi, e MEDIA PLUS (dec. CE 163/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19-1-2001, relativa all’attuazione di un programma di formazione per gli operatori dell’industria europea dei programmi audiovisivi, in G.U.C.E., L 26/1, del 27-1-2001, 31 ss.).

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Sul piano normativo, lavorando su una base giuridica frammentata ma consistente (gli articoli 23, 25, 28, sulla libera circolazione delle merci, compresi i prodotti audiovisivi, 39-55, su libera circolazione dei lavoratori, diritto di stabilimento, libertà di circolazione dei servizi, 81 e 82, sulle regole di concorrenza, 95, sull’armonizzazione tecnica, compresi servizi televisivi avanzati), l’Unione europea si è posta obiettivi ambiziosi (la creazione di un’area comune di informazione, compresa la definizione di norme comuni; la promozione di programmi televisivi con «contenuto europeo» a integrazione dei programmi nazionali esistenti; la regolazione della concorrenza tra gli Stati membri mediante liberalizzazione o nuova regolazione delle attività delle emittenti), e ha prodotto una fitta rete di normazione derivata6.

2. – Particolare rilievo in questo contesto possiede la direttiva CEE 89/552 del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive7, che fu subito battezzata “Televisione senza frontiere”, e diede il via alla sperimentazione di un primo tentativo di disciplina europea uniforme della programmazione televisiva negli Stati membri, in particolare in relazione alla pubblicità, alla sponsorizzazione, ai produttori indipendenti, alle preferenze e agli standard “etici” europei relativi ai contenuti delle emissioni8.

I punti chiave della disciplina di armonizzazione contenuta nella direttiva, che in alcune sue parti sarebbe self executing9, sono due. In primo luogo vi è la creazione delle condizioni per la libera circolazione dei servizi televisivi tra gli Stati membri, i cui maggiori ostacoli, relativi alla disciplina di pubblicità, sponsorizzazioni, tutela di minori, diritto di rettifica, sono smussati da una regulation minimale e standardizzata, che impedisce a uno Stato di escludere la divulgazione di messaggi televisivi provenienti da altri Stati utilizzando barriere tecniche o regolazioni nazionali particolari. In secondo luogo, la direttiva si propone di stimolare la produzione di programmi di ”fabbricazione” europea (per arginare il dilagare dei programmi d’oltreoceano), mediante misure nazionali (riserva di “quote” di programmazione, promozione e incentivi per la produzione europea).

Malgrado il tenore “minimale” dell’approccio normativo10, la maggior parte degli Stati membri incontrò serie difficoltà nella trasposizione della direttiva, specie in ordine alle quote di programmazione da riservare alla produzione comunitaria, che fecero partire una raffica di procedure di infrazione da Bruxelles, ma anche una serie di ricorsi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia; la maggior parte delle sentenze della Corte in materia, nel periodo compreso tra il 1990 e il 1997, riguarda appunto queste tipologie, e insiste principalmente sulle diverse configurazioni del sistema di ripartizione delle competenze e sui criteri giuridici di collegamento tra le imprese televisive e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, specie in relazione all’estensione della

6 Principali provvedimenti: decisioni CEE 89/337 e 89/630 del Consiglio concernenti la televisione ad alta definizione,

rispettivamente in G.U.C.E., L 142, del 25-5-1989, 1 s., e in G.U.C.E., L 363, del 13-12-1989, 3 ss.; dir. CEE 92/38 del Consiglio, dell’11-5-1992, relativa all’adozione di standard per l’emissione via satellite di segnali televisivi, in G.U.C.E., L 137, del 20-5-1992, 17 ss.; ris. del Consiglio, del 22-8-1993, concernente lo sviluppo della tecnologia e delle norme nel settore dei servizi televisivi avanzati, in G.U.C.E., C 209, del 03-8-1993, 1 ss.; dir. CE 95/47 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24-10-1995, relativa all’impiego di norme per l’emissione di segnali televisivi, in G.U.C.E., L 281, del 23-11-1995, 51 ss.

7 In G.U.C.E., L 298, del 17-10-1989, 23 ss. 8 A. Tizzano, La direttiva CEE sulla “televisione senza frontiere”, in Foro it., 1990, IV, 92 ss.; F. Rolla, la disciplina

comunitaria dei servizi televisivi, in Dir. informaz., 1991, 213 ss.; G. Strozzi, R. Mastroianni, La disciplina europea delle trasmissioni televisive, in Rapporto ‘93 sui problemi giuridici della radiotelevisione in Italia, a c. di P. Barile e R. Zaccaria, Giappichelli, Torino, 1994, 323 ss.

9 A. Lamberti, L’informazione televisiva tra diritto comunitario e diritto interno, Giuffrè, Milano, 1997, 233 ss.; G.B. Garrone, Profili giuridici del sistema dell’informazione e della telecomunicazione, Giappichelli, Torino, 1999, 78.

10 In questo senso, v. Corte giust., sent. 9-2-1995, causa C-412/93, Leclerc-Siplec c. TF1 Publicité SA e M6 Publicité SA, in Racc., I-179 ss.

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juridiction du pays d’origine, alla possibilità per gli Stati di adottare regolazioni più rigide e dettagliate per le imprese ricadenti nella sfera della loro competenza, i limiti al potere degli Stati di bloccare le trasmissioni provenienti da altri Stati membri. In linea di principio l’interpretazione della Corte di giustizia ha generalmente coinciso con il punto di vista della Commissione, e in un certo senso ha completato e arricchito le scelte del legislatore europeo fatte nella direttiva 89/552, contribuendo a “formare” il sistema normativo e dettando in sostanza i “comandamenti” per la revisione della direttiva, avvenuta poi nel 199711.

Non dovrebbe sorprendere che in alcuni Stati membri le resistenze nei confronti dell’applicazione della direttiva furono molto forti12. Per quanto riguarda l’Italia, la “legge Mammì” (n. 223 del 6-8-1990,), oltre a sollevare forti critiche in dottrina e provocare una pronunzia parziale di illegittimità da parte della Corte costituzionale13, fu oggetto degli strali della Commissione sin dal novembre del 1992, con una prima procedura di infrazione, seguita da una pietosa storia di dilazioni e pseudo-attuazioni a singhiozzo da parte del Governo italiano e di infinita pazienza della Commissione14, la quale, tuttavia, avviò nel gennaio 1996 una seconda (e nuova) procedura di infrazione, che fu comunque assorbita dalla sopravvenuta riforma della direttiva 89/552, attuata con la direttiva CE 97/36 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 30 giugno 1997, che spostò al 31 dicembre 1998 il termine utile per la trasposizione15.

3. – La direttiva 97/36 chiarisce in primo luogo (art. 2) l’inquadramento giuridico della comunicazione televisiva, specificando che le emittenti televisive sono soggette alla competenza di uno Stato membro secondo il criterio dello «stabilimento nel territorio», cioè quando esse nello Stato abbiano la sede principale e assumono le decisioni editoriali sul palinsesto, con la conseguenza che uno Stato non può sottoporre a vincoli e condizioni restrittive la ricezione o la ripetizione nel suo territorio di trasmissioni televisive conformi alla regolazione del paese di origine di queste, se non per motivi attinenti alla protezione dei minori o all’ordine pubblico16; essa inoltre precisa le nozioni di «pubblicità televisiva», «televendita» «opere europee», «ritrasmissione di avvenimenti rilevanti per la società», «emittenti dedicate esclusivamente all’autopromozione» pubblicitaria. La direttiva inoltre rafforza la normativa a protezione dei minori (art. 22), in particolare introducendo l’obbligo di avvisi per identificare programmi “nocivi”; l’art. 2-bis, par. 2 della direttiva prevede al riguardo una particolare procedura, in deroga al principio della libertà di circolazione dei programmi, consentendo agli Stati, nel caso in cui rilevino una «grave, seria e manifesta» violazione dell’art. 22, e non riescano a raggiungere una soluzione in accordo con l’emittente, di adottare provvedimenti unilaterali di carattere cautelare, sulla cui compatibilità con il

11 Tra le pronunce più significative, oltre alla citata Leclerc-Siplec, v. le sentenze: 10-9-1996, causa C-222/94, Commissione c.

Regno Unito, in Racc., I-4025 ss.; 10-9-1996, causa C-11/95, Commissione c. Belgio, in Racc., I-4115 ss.; 12-12-1996, cause riunite C-320/94, C-328/94, C-329/94, C-337/94, C-338/94, C-339/94, Reti Televisive Italiane SpA e al. c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, in Racc., I-6471 ss.; 29-5-1997, causa C-14/96, Paul Denuit, in Racc., I-2785 ss.; 5-6-97, causa C-56/96, VT4 Ltd c. Vlaamse Gemeenschap, in Racc., I-3143 ss.; 9-8-1997, cause riunite C-34/95, C-35/95, C-36/95, Konsumentombudsmannen c. De Agostini Svenska Förlag AB e TV-Shop i Sverige AB, in Racc., I-3843 ss.

12 J.M.Y. Pérez de Nanclares, La directiva de la televisión. Fundamento jurídico, análisis y transposición al derecho de los estados miembros de la Unión Europea, Colex, Madrid, 1995.

13 Sent. 24-12-1994, n. 420; in dottrina v. G. Bognetti, Costituzione, cit., in part. 123 ss. 14 Dettagli in A. Lamberti, L’informazione televisiva, cit., 195 ss. 15 In G.U.C.E., L 202, del 30-7-1997, 60 ss.; sulla riforma v., oltre ai lavori di Garrone e Lamberti già citati, G. Votano, TV

europea senza frontiere, atto secondo, in Dir. informaz., 6/1997, 994 ss. e J.M.Y. Perez de Nanclares, La politica audiovisual europea. Especial referencia a la directiva television sin fronteras y su reforma, in Cuad. Eur. Deusto, 16/1997, 91 ss.

16 Tale disciplina è sostanzialmente conforme a quanto aveva già statuito la Corte di giustizia nella citata sent. 10-9-1996, causa C-222/94, Commissione c. Regno Unito.

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diritto comunitario si pronuncia nei successivi due mesi la Commissione17. La nuova direttiva, infine, istituisce un forum di consultazione, mediante un «comitato di contatto», tra gli Stati membri e la Commissione sulla applicazione e sugli sviluppi della regolamentazione, e prevede infine che la Commissione elabori un rapporto periodico sugli sviluppi delle tecnologie.

Il banco di prova della nuova regolamentazione è naturalmente quello della trasposizione negli ordinamenti nazionali. Da notare che, contemporaneamente al varo della direttiva, ad Amsterdam, in sede di Conferenza intergovernativa, fu approvato un protocollo aggiuntivo, in tema di servizio pubblico radiotelevisivo, con il quale si consente agli Stati di finanziare le televisioni pubbliche “nella misura in cui tale finanziamento è accordato agli organismi di radiodiffusione ai fini dell’adempimento della funzione di servizio pubblico conferita, definita e organizzata da ciascun Stato membro, purché tale finanziamento non perturbi le condizioni commerciali e concorrenziali della Comunità in misura contraria all’interesse comune tenendo conto della missione di servizio pubblico”. Anche se qualcuno ha evidenziato il rischio, a dire il vero più teorico che reale, che in mano agli Stati il protocollo diventi un’arma contro la costruzione del mercato unico in materia radiotelevisiva18, è più probabile che la convergenza temporale dei due eventi esprima una forma di scambio legislativo, rassicurando gli Stati sulla sorte dei propri “gioielli di famiglia” anche in regime di piena libertà di circolazione e stabilimento dei servizi televisivi. Ciò potrebbe contribuire a spiegare perché le difficoltà in sede di attuazioni nazionali della nuova direttiva siano state di gran lunga meno intense, rispetto alla applicazione della prima.

Nella Terza Relazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale riguardante l’attuazione della direttiva 89/552/CEE «Televisione senza frontiere» (COM 01/9 def.), pubblicata nel gennaio 2001, la Commissione ha preso atto di un buon livello di attuazione della direttiva e della sua riforma: tutti gli Stati membri erano in regola, avendo provveduto a notificare i rispettivi provvedimenti interni di attuazione (che doveva essere completata, secondo espressa previsione della direttiva 97/36, entro la data del 30 dicembre 1998), con la vistosa eccezione di Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, che hanno continuato a pasticciare con rinvii e scuse, e talora, come nel caso della legge italiana n. 122 del 30 aprile 1998 sulle telepromozioni e sulle interruzioni pubblicitarie, a veri e propri imbrogli (l’art. 3 della legge è una fotocopia degli art. 10 e 11 della direttiva, che sanciscono la eccezionalità dell’interruzione pubblicitaria, ma introduce alla fine del terzo comma un perfido inciso, che sottrae alla nuova normativa i programmi i cui diritti siano stati acquisiti prima del 28 febbraio 1998!). È comprensibile che la Commissione abbia perso la pazienza, stringendo tutti i tempi delle relative procedure di infrazione e dei relativi ricorsi alla Corte, sinora già decisi i primi due (nelle sentenze che qui si annotano), ancora in corso il terzo (causa C-145/00).

4. – Con due sentenze di condanna (rispettivamente della Repubblica Italiana e del Granducato del Lussemburgo)19, la Corte di giustizia ha accelerato il processo di ravvicinamento delle

17 Un’applicazione in Trib., sent. 13-12-2000, causa T-69/99, Danish Satellite TV A/S c. Commissione, in questa Rivista, 2001,

660 ss., con nota di L. Ciliberti e L. Sanfilippo. 18 A. Frignani, G. Rossi, Che cosa resterà dello «spazio audiovisivo europeo»?, in Dir. informaz., 4-5/1997, 677 ss. 19 Corte di giustizia delle Comunità europee (quarta sezione). Sentenza 21 giugno 2001, causa C-119/00. Commissione delle

Comunità europee c. Repubblica italiana (http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it),; questa è la massima: «L’esistenza di un inadempimento di uno Stato membro nei confronti degli obblighi e dei termini imposti da una direttiva deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi. – Anche nel caso in cui l’inadempimento venga sanato successivamente alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, vi è interesse alla prosecuzione del giudizio onde stabilire la base di una responsabilità che potrebbe incombere a uno Stato membro, in conseguenza dell’inadempimento, nei confronti di altri Stati membri, della Comunità o di singoli»; Corte di giustizia delle Comunità europee (quarta sezione). Sentenza 14 giugno 2001, causa C-207/00. Commissione delle Comunità europee c. Granducato del Lussemburgo (http://curia.eu.int/jurisp/cgi-

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legislazioni in materia di libertà di circolazione dei servizi televisivi in Europa. Si tratta di due pronunce aventi lo stesso tono sbrigativo (che dà l’impressione di una sonora, “annunciata” lezione) e dispositivi virtualmente identici, ma con alcune differenze (che la diversità degli estensori delle rispettive Conclusioni non è certo sufficiente a spiegare) anche di impianto, conseguenti ad asimmetrie nei formanti dei due ordinamenti.

La configurazione della sentenza Commissione c. Lussemburgo (causa C-207/00) è molto più semplificata di quella che condanna l’Italia, più puntuale, perché questa, a differenza del Granducato, possiede una specifica e articolata legislazione in materia televisiva, con la quale può in qualche modo giostrare; al Lussemburgo, che fino al 1997 non aveva neppure provato ad avviare progetti di legge di attuazione della direttiva 89/552, viene infatti contestata l’integrale inapplicazione della medesima, nel testo riformato dalla direttiva 97/36 («Conformemente al procedimento previsto dall’art. 226, primo comma, CE, la Commissione, dopo aver messo in grado il Granducato di Lussemburgo di presentare le proprie osservazioni in merito alla trasposizione nel proprio diritto nazionale della direttiva 97/36, con lettera 9 luglio 1999 ha rivolto a tale Stato membro un parere motivato ingiungendolo di adottare le misure necessarie per conformarsi agli obblighi che gli derivano dalla detta direttiva entro due mesi a partire dalla notificazione di tale parere. Poiché dalle informazioni comunicate alla Commissione dal governo lussemburghese a seguito del detto parere è risultato che la direttiva 97/36 non era stata ancora trasposta nel diritto lussemburghese, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso», punti 6 e 7 della sentenza). A sua difesa il governo lussemburghese adduce motivi di complessità tecnica e interferenze lobbistiche, che avrebbero bloccato l’iter del progetto di legge n. 4584, che modifica la legge 27 luglio 1991 sui media elettronici e che dovrebbe provvedere alla detta trasposizione, depositato dinanzi al Consiglio di Stato e alla Camera dei Deputati il 30 giugno 1997, e conclude «tuttavia che la legge sarà adottata nel prossimo futuro e considera che il procedimento non ha più ragione di esistere» (punto 11). Si tratta della pura verità. Il Lussemburgo, in primo luogo, è uno “Stato cablato”; vi è la più alta densità in Europa di penetrazione di fibre ottiche, connessioni ISDN e tv-cavo; oltre il novanta per cento dei residenti è connesso a reti fisiche; un mercato di questo genere è difficilmente inseribile in un circuito di liberalizzazione e di full competition. In secondo luogo, nel “piccolo” Stato (poco più di quattrocentomila abitanti), hanno sede e si muovono i maggiori giganti europei delle telecomunicazioni; dopo la fusione tra la Compagnie Luxembourgeoise de Télédiffusion e la sezione audiovisivi del gruppo tedesco Bertelsmann, la CLT-UFA il più importante gruppo europeo nel settore dei media, ed ha appunto a Lussemburgo il suo quartier generale20.

La Corte, naturalmente, è insensibile a questi argomenti, e richiama la costante giurisprudenza secondo cui l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della

bin/form.pl?lang=it); la massima è uguale alla precedente, con l’aggiunta del seguente punto di diritto: «Uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini imposti da una direttiva».

20 Sui problemi del settore televisivo in Lussemburgo M. Hirsch, Das Rundfunksystem Luxemburgs, in Hans-Bredow-Institut, Internationales Handbuch für Hörfunk und Fernsehen 2000-2001, Nomos Verlag, Baden-Baden, 2000, di cui vi è una traduzione in francese, Systèmes de radio et télévision en Europe. Edition 2000-2001, Observatoire européen de l’audiovisuel, Strasbourg, 2000; S. Le Goueff, La réforme des télécommunications: pour rapprocher les hommes, in Droit de l’informatique et des télécommunications, Paris, 1996, 49 ss.; Id., Vers un cadre commun. Droit des télécommunications, des technologies, de l’information et du multimédia, Bruylant, Bruxelles, 1999.

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Commissione e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi21. Ricorda inoltre che uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni (meno che mai pressioni di lobby) del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini imposti da una direttiva22. Aggiunge, infine, che, se pure l’inadempimento dovesse essere rimosso successivamente alla scadenza del termine impartito nel parere motivato, l’interesse alla prosecuzione del giudizio per stabilire il fondamento dell’eventuale responsabilità dello Stato membro in conseguenza dell’inadempimento persiste comunque23.

La sentenza che dichiara inadempiente l’Italia segue un analogo iter argomentativo, ma, come si è detto, è diversamente articolata; la Commissione, infatti, nell’introdurre il ricorso, specifica punto per punto, articolo per articolo della direttiva modificata, le inadempienze italiane (art. 1 , lett. c, sulla nozione di pubblicità televisiva, l’art. 2, n. 1 e 2, sulla estensione della competenza degli Stati sulle emittenti, l’art. 2-bis, sui limiti e le procedure del potere statale di oscurare emittenti di altri Stati membri, l’art. 3-bis, sui limiti dei diritti speciali ed esclusivi in ordine a trasmissioni “socialmente rilevanti”, gli art. 10, 12, 13 e 16 n. 2, su pubblicità televisiva e televendite) costretta a ciò, come si è già visto, dai giochi di prestigio del legislatore, e del governo italiano, che, come quello lussemburghese, rileva di aver presentato al Senato gli emendamenti necessari per conformare il progetto di legge A.S. n. 1138, del quale sarebbe prevista la rapida approvazione, alla direttiva 97/36.

Il governo italiano, invece, non addusse pressioni di gruppi economici, e questo spiega perché nella motivazione della relativa sentenza non è richiamato il principio secondo cui uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini imposti dal diritto comunitario.

Naturalmente anche da noi esistono le lobby, e quelle “televisive”, private o pubbliche, sono ben attrezzate; tuttavia le peculiarità dell’italian style non hanno permesso al governo italiano di introdurre, simmetricamente all’argomentazione del Lussemburgo, alcun riferimento a questo aspetto, a giustificazione dell’inadempienza, ma non gli hanno impedito di cercare addirittura di convincere la Commissione di aver attuato la direttiva con un decreto del ministro delle telecomunicazioni (8 marzo 1999, «Disciplinare per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione privata televisiva su frequenze terrestri, in ambito nazionale»24).

Pare che a Bruxelles, ricordando questo aneddoto, si sorrida ancora.

21 V. da ult., sent. 15-3-2001, Commissione c. Francia, causa C-147/00, in http:// curia.eu.int/ jurisp/ cgi-bin/ form. pl?lang=it,

punto 26. 22 Corte giust., sent. 15-6-2000, causa C-470/98, Commissione c. Grecia, in Racc., I-4657, punto 11. 23 Corte giust., sent. 18-3-1992, causa C-29/90, Commissione c. Grecia, in Racc., I-1971, punto 12 24 In G.U. del 12-3-1999, n. 59.