Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

20
ANNO V NUMERO TERZO DICEMBRE 2014 GENNAIO 2015 C O M UN I T A’ A P ER T A C O M UN I T A’ A P ER T A NEWS PERIODICO DELLA COMUNITA’ PARROCCHIALE DI S. BENEDETTO

description

Periodico della comunità parrocchiale San Benedetto di Milano - Numero terzo dicembre 2014 gennaio 2015

Transcript of Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

Page 1: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

ANNO VNUMERO TERZO

DICEMBRE 2014GENNAIO 2015

COMUNITA’APERTA

COMUNITA’APERTA

NEWS

PERIODICO DELLA COMUNITA’ PARROCCHIALE DI S. BENEDETTO

Page 2: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

2

Parrocchia S. Benedettovia Caterina da Forlì,19 20146 Milano

Segreteria: tel 02471554 fax 024223677

Orari S. Messe:

Feriali: ore 9.00 e 18.00

Festive: vigiliari ore 18.00

domenica ore 8.30/10.00/11.30/18.00

• Carissimi parrocchiani

• Obiettivosu!

• ALT

• VitadiComunità

• Flash

• Missionepossibile

• Calciod’angolo

• Inbacheca

3

4

6

7

10

15

16

18

Indice

Direttore:

Responsabile redazione:

Collaboratori

Coordinamento esecutivo:

Redazione:

Segreteria:

Distribuzione

Contatti

Don Ugo Dei Cas

Don Alessandro Digangi

Don Valeriano GiacomelliDon Paolo Clerici

Luciano AlippiDavide Cassinadri

Letizia AlippiLuca CeciCarla FerrariFederico LucreziSara SantusGiulia Soresini

Stefania De Mas

Luca Cartotto

[email protected]

NajlaFederico Lucrezi

Merry Christmasgluten freeSara Santus

IN COPERTINA: Natività, Lorenzo Lotto , 1525

LaRedazione

Romania... Romania!Vilma Rotoli

Work in progressdon Ale

Page 3: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

3

Carissimi parrocchiani...Carissimi parrocchiani...Lasciamoci incontrare da Gesù, che non smette mai di camminare sulle strade di questo nostro mondo per condividere con noi la gioia di essere membri della Famiglia di Dio.Carissimi parrocchiani, rieccoci all’inizio di un nuovo Anno Liturgico. La Chiesa, ogni anno, ci prende per mano e ci propone un cammino che ci porta dapprima ad accogliere Gesù nella sua “piccolezza” e nella sua “fragilità”, ad accoglierlo “neonato” proprio perché cresca con noi, per poi farci divenire suoi “discepoli” affinché, come il Battista, possiamo dire a coloro che incontriamo: eccolo, è lui quello che dobbiamo seguire!Gesù percorre instancabilmente le strade della nostra vita e desidera incontrarci, incontrarci nella semplicità della quotidianità perché desidera offrirci, con la sua presenza, la luce, l’illuminazione necessaria alle nostre domande di senso, ai nostri perché. Gesù, in questa nostra società che porta l’uomo ad isolarsi dall’uomo e a chiudersi in se stesso rifugiandosi in un mondo “privato”, illusorio, desidera incontrarci per ribadire l’importanza fondamentale del dialogo, delle relazioni, che sono state, sono e saranno il fondamento di una vita sana, perché l’uomo, più di ogni altra creatura, ha alla base della sua realizzazione proprio il relazionarsi con Dio e con gli altri uomini. Ecco cosa dice a riguardo il Concilio: “Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana.Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori. Ha rivelato l’amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d’ogni giorno.Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale”. (Gaudium et Spes, 32)Ma, c’è un ma, Gesù anche oggi, come nel Vangelo, riesce a “incontrare” solo l’uomo che desidera farsi incontrare, un uomo in ricerca, magari affaticato, schiacciato da tanti problemi, dalla solitudine, dalla malattia, dalle incomprensioni, dalla perdita del lavoro, dalle delusioni, troppo spesso provocate da coloro che ti sono vicini, insomma un uomo ferito più dentro che fuori... Sempre, quando avviene l’incontro, la storia personale di quell’uomo cambia radicalmente e inizia per lui un nuovo cammino pieno di luce, di forza. Quella luce e quella forza che ti permettono di accettare e seguire le proposte che ci vengono fatte proprio da Gesù, tramite la sua Parola, la sua presenza nei Sacramenti e l’esempio di tanti modelli che noi chiamiamo, con semplicità e devozione, santi.Gesù ci incontra e dimostra di conoscerci dentro, fino in fondo! Dimostra così di essere il Signore della vita, colui che ci ha fatti e sa bene cosa c’è nel nostro cuore. Avviene questo con Natanaele e con tutti gli altri personaggi del Vangelo. Avviene così anche con noi: Egli ci conosce fino in fondo! Troppo spesso cediamo all’illusione di poter fare da soli, nascondendoci da Lui (dai genitori, dai parenti, dagli amici, da coloro che ci vogliono bene) per sentirci realizzati... Ma è solo una menzogna che raccontiamo a noi stessi, perché solo Lui sa, ci conosce, ci visita e ci rimane sempre accanto.Gesù ha sempre lo sguardo rivolto su di noi. Questo sguardo, però, non ha la caratteristica di tanti sguardi umani che di volta in volta ci feriscono, ci legano, imponendosi con un giudizio, che spesso è pregiudizio o, peggio ancora, condanna. Gesù ci guarda, ci incontra, si manifesta sempre con infinito amore perché vuole promuoverci, vuole liberarci, vuole condurci per mano sulla “Via della Salvezza!”. Ricordiamoci di quello che diceva il beato papa Paolo VI: “solamente nel mistero del verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era la figura di quello futuro (Rm 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”.

Solo accogliendo lo sguardo e la chiamata di Gesù possiamo trovare noi stessi ed incominciare un cammino di vita nuova.Sarà anche per noi così? Preghiamo perché questo Avvento sia per tutti l’occasione buona!

Tanta Fede, Pace e Salute per tutti! don Valeriano Giacomelli

Page 4: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

4

Obiettivo su! Merry Christmas

“ Se succedesse a me, giuro che morirei”. Di conforto.

“Ma cosa vuoi che ti succeda se ne mangi poco’”. Scientifico.

“ Secondo me... sono tutte balle, è un business il gluten-free”. Valorizzante.

Secondo Natale per la sottoscritta marchiato Gluten-Free, il che mi fornisce l’occasione di fare qualche riflessione. Ci sono due modi di affrontare questo “problemino”... perché di problema si tratta. Voglio dire, non sarà una malattia grave, ma a quelli che mi dicono “è semplicemente una caratteristica di te”, “ognuno ha le sue”, “non sentirti diversa”, invito a consultare alla voce “Negazione e razionalizzazione” il manuale dei meccanismi di difesa psicologici della mente umana di Lingiardi e Madeddu; una chicca. Una celiaca invitata al pranzo di Natale penso potrebbe gettare nello sconforto anche Masterchef. Ma questo non verrà mai fatto pesare all’ospite scomodo in questione; suvvia, è questione di eleganza, si accolgono tutti! E a questo punto le famiglie hanno due modi di gestire l’incombenza e se festeggiate sia la Vigilia che Il pranzo di Natale, avrete la fortuna di provarli tutti e due. La cena della Vigilia per me rappresenta il Modo 1 per affrontare il problema. Potrebbe essere riassunto con la voce prima citata: la “Negazione”. Ognuno prende posto e nessuno dice niente. Nessuno sembra sapere niente. Fantastiche tartine iniziano a passarti di fronte, ma non si sa come passano come un razzo davanti a te senza che

il vassoio si soffermi mai. Sorrisetti, al massimo accenni di dispiacere ma tutto celato dalla solita atmosfera di sempre. Poi per fortuna c’è il salmone. E di quello te ne vengono fornite cinque, sei, a volte sette fette. Abbozzi un “va bene così” ma negli occhi di chi ti sta servendo capisci che è meglio “fare il pieno”, perché non si sa se potrai mangiare altro. Potresti quasi morire di fame, o almeno questo percepisci dalla faccia di chi ti sta gentilmente servendo. Poi arrivano i tortellini in brodo e il “a te tanto non piacciono molto, giusto?”. Giusto, discutibile eh, ma giusto. Poi il cappone con il ripieno, il ripieno del nonno. E lì tu che hai le minime nozioni per sapere cosa si intenda per “contaminazione” ti senti male, ma con un lavoretto certosino, salvi la tua coscia di pollo senza il ripieno, su cui invece tutta la tavolata dirige la sua attenzione in commenti tipo “quest’anno è venuto buonissimo”, “è proprio come lo faceva il nonno”. La serata passa tranquilla, nessuno si è accorto di te, di glutine non si è parlato. Fame non si può dire di averne, grazie al salmone. Si potrebbe perfino dire che nessun celiaco era presente. Il pranzo di Natale per me rappresenta invece il Modo 2 per affrontare il problema. Non sei neanche entrata a casa che... gallette. Gallette ovunque. Pane gluten free, pasta gluten free, cartelli con scritto non toccare, non contaminare, non guardare. Ci sediamo a tavola e per far sentire accolto l’ospite “scomodo”, in tal caso sempre la sottoscritta, tutto viene presentato con un “lo puoi mangiare anche tu”. E’ tutto gluten free. Persino l’acqua e l’insalata. Anche la tovaglia. E così, per la gioia dei commensali che assaporano la delicatezza e la consistenza dei cibi senza glutine esclamando un “beh non sono poi tanto diversi da quelli NORMALI”, ma che in realtà vorrebbero ucciderti rimpiangendo gli stessi piatti cucinati per i comuni mortali, senti che effettivamente non sei l’unica persona celiaca a quel pranzo. Siete in dodici. Dodici celiaci che non sapevano di esserlo ma che vengono trattati come

gluten free

Page 5: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

5

Obiettivo su!

tali, perché così non si fanno differenze. Il risultato è una mangiata ciclopica, una leggera aggressività nell’aria da parte dei commensali e – soprattutto – un nuovo argomento di conversazione per quattro ore e passa di pranzo: il glutine. Altro che parlare di politica e mezze stagioni. Ne esci esausta. Sorrido e non posso che pensare che, a modo loro, tutte queste persone hanno pensato a me. Il risultato è talvolta catastrofico, come spesso capita quando ci sforziamo di non fare pesare a una persona un suo limite. Così mi ritrovo a pensare a quante volte anche i miei di sforzi per minimizzare i problemi, o non farli sembrare tali, abbiano

avuto risultati piuttosto deludenti. Così mi trovo a pensare a come l’attenzione dovrebbe essere posta più sul “progetto” che sul “risultato” e mi propongo di prendermelo come impegno per questo Natale.Siamo fallibili, facciamo dei disastri cosmici anche quando vogliamo fare del nostro meglio. Specie perché il nostro meglio raramente coincide con il meglio dell’altra persona. E allora penso che l’unica cosa che ci può salvare sia avere un atteggiamento più

compassionevole verso gli altri, ma anche verso di noi. In fondo, se Lui è venuto nelle sembianze di un bambino, cioè di qualcosa di indifeso, fragile e per sua natura anche un po’ pasticcione, che speranza abbiamo noi di avere sempre performance impeccabili? Forse, guardare quel Bambino nella culla può aiutarci a a rivolgere ogni tanto uno sguardo di compassione verso l’essere umano, che è un po’ disastroso, ma cerca di fare del suo meglio. A quel punto, poco importa se alla fine hai la pancia piena o no, ti senti comunque sazio – sazio di affetto e degli sforzi delle persone che hanno provato a fare del loro meglio, anche magari senza esserci riusciti. Sara Santus

STUCCHI RoSa 03-10FoNSo aTTIlIo 06-10CoRBEllINI ada 09-10GaNNa aNaClETo 10-10EllI FERdINaNdo 13-10BRaMBIlla aRTURo 22-10MUSICo VINCENza 23-10GaNdINI FRaNCo 25-10PRESoT aNToNIETTa 25-10MaRCHESI MaRIa 02-11CoCaTo BRUNo 05-11CIaNCIoTTa TERESa 10-11VIaNEllo ElENa 11-11CaNUTI TERzo 12-11PElaTI BERNaRdINo 14-11PoRCHERa lINda 20-11

GROSSO LORENzOROVARIS LAURAOPRANDI JACOPO

Sono entrati a far parte della nostra comunità

Hanno lasciato la nostra comunità

Page 6: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

6

ALT Aziona La

Testa

Per la cuoca inesperta che fatica a preparare con successo un piatto nonostante segua con attenzione tutti i passaggi della ricetta, la soddisfazione le si dipinge sul volto se, dopo serate intere impegnate in corsi di cucina, frustrazioni provate dopo l’ennesimo piatto buttato nella spazzatura, amici che rifiutano continuamente l’invito a cena, riesce a sentire frasi come: “Complimenti, mai mangiato un piatto così”; “Mi dai la ricetta che lo faccio anch’io?”.Anche educando capita di avere fasi/frasi che possiamo definire “prove del nove”, momenti in cui quello che hai trasmesso (atteggiamenti, modi di vivere ed affrontare la vita) si trasforma in vita dell’altro. Ma la “prova del nove” non influisce sul risultato, non lo cambia, dice solo se esso è giusto o meno.Mi è capitato così un po’ di tempo fa in oratorio.Era un pomeriggio di ordinaria amministrazione: alcuni ragazzi giocavano a pallone sul campo in cemento, il bar erogava i servizi di sempre, qualche ragazzino entrava scontento all’incontro del catechismo, le panche di pietra erano abitate dagli avventori di sempre: un misto di educatori, allenatori della sportiva, ragazzi che partecipano a qualche incontro di formazione. Mentre passo vicino uno di loro mi chiede: “Cosa posso fare per chiedere un miracolo?”. Mi fermo, la prima risposta che mi viene è: “Semplice, basta pregare!”. Fa eco la voce femminile di un’animatrice di un gruppo dopo cresima, una di quelle che ti sei lavorato per bene, per la quale hai speso tempo, hai fatto formazione, hai curato come un piatto da presentare a cena dopo anni di faticoso

allenamento. La sua voce è chiara ed il giudizio sintetico, per la gioia di Hegel, “Pregare non serve a niente!”.

La frase mi ha dato da pensare, non per l’animatrice, magari l’ha detta senza troppa cognizione di causa, piuttosto per il procedimento che ha portato a tale risultato. La ricetta mi sembrava di averla seguita pedissequamente e gli ingredienti posti in essere da me “chef-educatore” mi erano parsi persino ben amalgamati. Potevo dire: “Esiste la libertà della persona, noi siamo solo dei momenti di passaggio”? Potevo far ricadere davvero tutto la “colpa” di questo piccolo fallimento sull’altro? Non credo! Almeno non è il mio stile.

Stile! Già perché è di questo che si parla, di modo di vivere, di capacità di affrontare la vita e le situazioni. Ed allora la prima critica che mi faccio, pur rispettando la libertà del singolo, è che l’educare non è solo la capacità di inventare incontri belli e creativi ma (“Che novità!” -direte-) è vivere in pienezza ciò che si cerca di insegnare. Educare è vita! Non quella dell’educando, la mia, di educatore. E’ il mio stile a formare ed educare l’altro, perché se preparo qualcosa di bello che poi non vivo, il messaggio non passa. Nel mio caso forse la mancanza più grande è avere sempre detto che pregare è importante ma poi non aver mai pregato con loro. Oppure essermi lamentato di alcune situazioni senza ricorrere all’aiuto della preghiera preferendo invece il pettegolezzo e la critica. L’impegno di educare spetta a me, impegno che

devo cercare di trasmettere in ogni momento e situazione, opportuna e non opportuna.Come al solito servirebbe altro spazio per parlare del rovescio della medaglia, del perché a volte, pur in famiglie perfette e con educatori preparati, abbiamo ragazzi che compiono scelte sbagliate, per ora fermiamoci qua.

Ogni ragazzo con la sua storia, le sue scelte, le sue parole ed i suoi atteggiamenti ci interpella nel nostro affrontare la vita, ci aiuta a migliorare la nostra azione per essere educatori, non solo a parole ma soprattutto con i fatti.

L’antitesi dell’educare

don Ale

Page 7: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

7

Work in progress

Entrando in oratorio tutti si sono accorti della barriera arancione che delimita il passaggio alla discesa, dunque alla cripta, agli ambienti dell’oratorio e al bar. Se la vita è un continuo cantiere aperto, ancora di più un luogo educativo come l’oratorio necessita di cambiamenti, ammodernamenti e miglioramenti. Molti già li vedo che storcono il naso e si chiedono: “Ma in questo tempo di crisi è proprio necessario spendere tutti questi soldi?” Oppure: “Certo che la Chiesa di soldi ne ha!”; ancora: “Ma non potevano dare i soldi ai poveri invece di spenderli per rifare muri?”. Senza inoltrarmi in discorsi complicati posso dire che in questi sei anni mi sono accorto di due cose: la prima che la Divina Provvidenza viene sempre in nostro soccorso; la seconda che senza giovani le nostre parrocchie, le nostre città, le nostre società sono destinate ad estinguersi. Per questo motivo appena c’è stata la possibilità di presentare in Curia un progetto per accedere ai finanziamenti riguardanti l’8% degli oneri di urbanizzazione che il Comune stanzia alla Diocesi, con don Renzo abbiamo subito colto la palla al balzo. D’altronde bisogna riconoscere che l’oratorio è l’ambiente in cui passano, in una settimana, tantissime persone: tutte le attività dei gruppi si svolgono all’interno, molti riconoscono nell’oratorio un centro di aggregazione o un luogo in cui incontrarsi, la presenza del bar rende l’ambiente luogo in cui scambiare quattro chiacchiere; insomma fare dei lavori era necessario. In questi anni siamo riusciti a ristrutturare gran parte della parrocchia: l’opera di insonorizzazione della Chiesa, il rifacimento del campo di calcio, la costruzione - grazie ad una benefattrice - del nuovo centro d’ascolto che da poche settimane lavora a tutto spiano. Ripeto spesso che educare necessita in prima istanza di luoghi belli, accoglienti e funzionali alle attività che bisogna svolgere. Il nostro oratorio vanta di tanti spazi rispetto ai centri giovanili della zona e della Diocesi, certamente era necessario rendere tali ambienti più consoni all’utenza che li frequenta e più adatti all’attività

educativa che si svolge all’interno. Di per sé l’oratorio una volta riaperto rimarrà uguale a prima, almeno come gestione degli spazi (la maggior parte dei muri sono portanti e non possono essere toccati), cosa andremo a fare allora? In sintesi la ristrutturazione prevede:- demolizione e ristrutturazione dei bagni in entrata;- insonorizzazione della sala blu e della sala bianca;- costruzione di un bagno per persone disabili;- rifacimento dei pavimenti di tutta la superficie dello oratorio;- rifacimento dell’impianto elettrico;

- imbiancatura di tutte le superfici.Non sembra tanto, almeno rispetto ad altri desideri che abbiamo: il cambiamento degli infissi, la realizzazione di una cucina a norma e l’ammodernamento della sala musica già presente ma da ristrutturare, il ripensamento della logistica della sala detta missionaria attraverso l’acquisto di alcuni armadi con chiusura. Ricordando l’adagio della Disney: “I sogni son desideri” continuo a sognare ma con i piedi ben fissi in terra; da una parte so che voi parrocchiani siete e sapete essere generosi, credo inoltre che la Divina Provvidenza che ci ha assistito fin d’ora non ci lascerà certo mancare nulla. Siate generosi, se potete, se volete, se desiderate che i sogni un po’ si realizzino.

don Ale

Page 8: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

8

Vita di comunità

MGO: corri e non ti fermareMi hanno chiesto di parlarvi, o meglio, scrivervi dell’MGO (movimento giovanile orionino) e mi sono chiesto come riuscire ad essere chiaro e sintetico senza annoiarvi e farvi girare pagina prima che finiate di leggere.Vi ricordate quel cartone sul corpo umano? “Esplorando il corpo umano quante cose che impariamo..” ancora me la canticchio in testa.. Beh, l’altro giorno mi sono imbattuto proprio sul libro di quel cartone e lì è scattata l’idea. Il corpo umano.Già il corpo umano: l’intera struttura fisica dell’organismo umano. l’MGo è proprio la struttura che tiene in piedi tutto quello che ora vado a descrivervi.Il cuore. Il cuore siamo noi, ragazzi e ragazze che decidono (o quasi) di incontrarsi due, tre volte l’anno (sembrano poche, ma vi assicuro che trovare delle date è una mission impossible...altro che 007!). Durante questi incontri ci si conosce, si fa festa e comunità e ci si confronta su quello che si vive nelle proprie realtà, essere animatori/educatori comporta responsabilità, impegno e volontà e i ragazzi hanno bisogno di ricaricarsi perché a volte è facile scoraggiarsi.Poi ci sono loro, i polmoni. Senza ossigeno, si sa non si può sopravvivere, perciò eccoli, i Polmoni! E non a caso sono due: il primo è rappresentato dal segretariato zonale, organo “amministrativo” delle diverse zone italiane, l’altro è quello rappresentato dal segretariato nazionale di pastorale giovanile, organo amministrativo, decisionale che si occupa di tracciare le linee guida per un cammino di pastorale giovanile simile se non uguale in tutta Italia, da Palermo a Milano, passando per Copparo, Fano e tutte le altre città Orionine.Il segretariato nazionale si incontra due volte l’anno per programmare,verificare e aiutare a migliorare dove serve. Come un Oki o un Aulin (a seconda delle preferenza), aiuta a risolvere quei malesseri dovuti agli obiettivi non sempre raggiunti che, come nel corpo umano, assumono i fastidiosi sintomi di una forte influenza.Il cervello. Di sicuro un ruolo importante il suo, determinato da scelte e decisioni (anche se spesso e volentieri scegliamo, come direbbe il nostro Don Ale, “di pancia”).

Il segretariato è composto da due/tre rappresentanti per zona che si incontrano proprio per decidere a nome di tutti i giovani delle parrocchie orionine italiane e che a breve si incontreranno di nuovo a Reggio Calabria per continuare a tracciare un cammino comune per tutta l’Italia.E poi c’è lei: l’anima. Qui cari lettori entrate in gioco ANCHE voi. Si perché l’anima in un corpo è fondamentale quanto

la musica in un oratorio (diceva qualcuno), e perché essa esista serve anche il vostro aiuto, il vostro impegno, anche solo con una preghiera o un pensiero. MGO vuol dire movimento, vuol dire muoversi insieme. Allora siate per noi braccia e gambe. Braccia forti per rialzarci l’uno con l’altro nei momenti di difficoltà, gambe solide per camminare e crescere insieme, piano sì, ma a passo costante.E io?!? Io sono una delle tante e piccole cellule che partecipano alla crescita di questo “corpo umano”. Faccio parte del segretariato zonale e nazionale da ormai quasi due anni.Molti mi chiedono spesso “ Ma che sbatti c’hai??” e io rispondo “Quando hanno chiesto, io ho alzato la mano, mannaggia a me!” …No scherzo! Io mi sono preso un impegno perché credo in questo movimento, credo nella sua forza, nelle sue potenzialità e credo che con la determinazione giusta si possa andare avanti e continuare a testimoniare e a seguire il cammino tracciato da San Luigi Orione. Credeteci anche voi con me.

Luca Cartotto

Page 9: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

9

Vita di comunità

Tra calcoli e vasi“Ognuno di noi è come un vaso. Intendo proprio l’oggetto: siamo un vaso con una specifica capienza e stiamo certi che, diversamente da come alcuni affermano, non abbiamo infiniti spazi per trattenere tutto. [...] Quando vediamo che il nostro mondo personale è bloccato, che le relazioni sono stagnanti, che il lavoro non ha più emozioni da regalarci nonostante i nostri sforzi, stiamo ricevendo forti segnali che il nostro vaso interiore è pieno oltre misura. [...] Ci è stato messo in testa che accumulare continuamente sia conveniente mentre lasciare andare significhi perdere.Eppure, in varie culture, il concetto della rinuncia è alla base della vittoria del guerriero, del saggio. [...] Ma nel momento in cui inizi a toccare con mano la forza che scaturisce da una rinuncia, piccola o grande che sia, si manifesta in te e attorno a te un rinnovamento oltre ogni possibile previsione. Fa un gran bene.”(Francesco Lorenzi, La strada del sole, Rizzoli 2014)

Rinunciare sembra brutto, una rinuncia suona come una sconfitta e chi rinuncia passa per debole.È naturale. Ci sta.E d’altra parte se dietro a una rinuncia mascheriamo la pigrizia, la poca determinazione o la troppa fatica allora sì: rinunciare è brutto, una rinuncia è una sconfitta e chi rinuncia è un debole. Ma ben diverso, e Francesco, il frontman dei The Sun, nel raccontare la sua storia dimostra

di averlo capito bene, è il caso in cui le cose sono calibrate male fin dall’inizio. Chi studia fisica lo sa: ci sono problemi risolvibili con una miriade di equazioni complicatissime che a volte semplicemente non sono il metodo migliore. Basta rendersene conto, mettersi l’anima in pace, strappare il foglio, impostare una nuova strategia e arrivare alla risoluzione con la metà della difficoltà.Certo, bisogna avere il coraggio di mettere in discussione tutto quello che si è fatto fino a quel momento. Ed è proprio questo coraggio quello che spesso manca, annientato dalla convinzione che tutto quello che abbiamo fatto sia sempre e comunque da preservare, come se relazioni e progetti intrapresi fossero ormai un dogma indiscutibile, parte di uno status quo che è assolutamente riprovevole andare ad intaccare. Eppure, proprio come con quel problema di fisica, non sempre ci è chiaro dall’inizio dove si andrà a parare, non sempre possiamo prevedere tutto e ci troviamo imbrigliati in rapporti, situazioni, eventi mal costruiti in partenza che a lungo andare incancreniscono, ma a quel punto ci sembra così normale che procediamo stancamente per inerzia finché la cancrena sarà troppo estesa per poter essere curata.E tanti saluti ad entusiasmo e voglia di fare.È qui che diventa assolutamente necessario fermarsi, fare un bilancio e come per una vecchia soffitta da svuotare mettere tutto in discussione, chiedersi cosa valga la pena tenere e cosa invece sia il caso di buttare. A volte sono proprio i mobili più grossi, che ormai ci sembravano un’intoccabile estensione dei muri stessi, a dare più spazio e respiro alla stanza una volta rassegnati a toglierli di mezzo.A ben vedere poi l’importanza di saper buttare via qualcosa ce l’ha insegnata il Capo in persona.Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, poi vieni e seguimi.Il giovane ricco è un personaggio straordinario. In poche parole racconta tantissimo facendosi paradigma dell’uomo il cui vaso è ormai pieno. Ha tutto, dovrebbe essere in pace e felice ma ecco che la sua stessa vita comincia ad apparirgli bloccata e stagnante. Lui la possibilità di svoltare ce l’ha e non la coglie. Compare per poche righe, poi prosegue il suo cammino e la palla passa a noi. Noi che magari non abbiamo i soldi del giovane ricco (magari...) ma possiamo capire benissimo, duemila anni dopo, quel senso di pienezza molesta che lo attanaglia.

Page 10: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15
Page 11: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15
Page 12: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

12

Vita di comunità

Najla“...quindi mi hanno portata in fretta e furia in Marocco. Mi sarei dovuta sposare. Avevo 16 anni.”

Ci sono storie che è bene non raccontare, altre che meritano di essere raccontate, altre ancora che non possono proprio non essere raccontate. Questa è una di quelle.Non è mai facile raccontare una storia che non ci appartiene, ma quando questa è così straordinaria da non poter restare indifferenti si può provare ad avvicinarsi, con le dovute distanze e il dovuto rispetto, per provare a rendere giustizia a un esempio di grande coraggio e forza interiore.

Questa è la storia di Najla, vent’anni, di origine libica-marocchina, arrivata in Italia dalla Libia nel 2005. Tutto, per la verità, ha inizio in maniera quasi normale, per quanto un cambio di vita così radicale all’età di 11 anni possa dirsi normale.Arrivata a Milano inizia a guardarsi intorno, comincia a scoprire la realtà del quartiere, la parrocchia del Murialdo in particolare, ed è proprio qui che ha luogo un bellissimo esempio di vera integrazione. Spinta da una sana curiosità inizia ad avvicinarsi un po’ alla volta agli incontri del dopocresima e si iscrive alle varie attività del centro diurno. Tutto procede a gonfie vele, anche nelle relazioni con le persone che incontra. Najla diventa addirittura

Federico Lucrezi

And what have you done? Another year over and a new one just begun – Un altro anno termina e uno nuovo sta per cominciare, e noi cosa abbiamo fatto? – cantava John Lennon. Dove siamo? Cosa stiamo facendo? Dove stiamo andando? Non c’è periodo migliore di questo per fare bilanci e propositi. L’importante è non avere paura di buttare via quelle azioni su cui abbiamo investito tanto finendo per perdere molto e guadagnare poco, non avere paura di stracciare quel foglio pieno di calcoli macchinosi e inutilmente complicati, non avere paura di mettere una pietra su tutto ciò che nonostante il nostro impegno capiamo che non potrà mai dare risultati.Un vaso che ha ancora spazio dentro di sé può guardare con spirito di ricerca a tutte le opportunità, le relazioni e i progetti capaci di riempirlo con nuova acqua cristallina che fino ad un istante prima parevano

impensabili. L’importante è non avere paura di mettere un punto e virgola alla fine della frase, voltare pagina e trovare gli spunti per continuare a raccontare la nostra storia.

un punto di riferimento nella parrocchia, prezioso elemento per tradurre e arrivare a integrare i tanti ragazzi stranieri presenti nel quartiere. Ma come spesso accade, è proprio quando tutto sembra andare per il meglio che le cose si complicano, si complicano terribilmente.E l’idillio si rompe.La famiglia di Najla, di cultura e tradizione islamica, comincia a non vedere di buon occhio l’assidua frequentazione dell’oratorio da parte della figlia; la situazione diventa insostenibile quando conosce e inizia a frequentare un ragazzo italiano.È l’estate del 2011, l’anno della GMG di Madrid, l’ultima con Benedetto XVI. Najla con il suo gruppo si sta preparando a partire, l’attesa è tanta. E, in effetti, di lì a poco parte. Ma la destinazione non è la Spagna e ad attenderla non è il papa. Non c’è possibilità di scelta, tutto è già stato programmato. Il volo, l’arrivo in Marocco, il matrimonio.L’idea di un matrimonio combinato probabilmente oggi ci fa tornare in mente le fiabe di un vecchio libro o le storie d’altri tempi di qualche bisnonno. Per Najla in quel momento è la realtà. Lei non può chiudere il libro e tornare al presente. È lontana da quella che ormai è la sua casa, nessun contatto, nessun appoggio. Najla è sola.È a questo punto che interviene Don Samuele, viceparroco del Murialdo, che venuto a conoscenza della situazione

Page 13: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

13

Vita di comunità

decide di intervenire. Dall’Italia riesce in extremis a organizzare il viaggio, quasi una fuga per la verità, che riporta a Milano Najla.Ma ormai niente potrà più essere come prima.Incrinati in maniera irreversibile i rapporti con tutta la famiglia, riappropriarsi della propria vita non è facile. Tutti i parenti si chiudono completamente nei suoi confronti e tutto, anche la più semplice quotidianità, diventa difficile, molto difficile da sopportare. Troppo difficile.Nonostante l’appoggio della comunità del Murialdo, il grande coraggio e la grandissima forza dimostrati fino a quel momento non bastano più. E quando tutto diventa complicato e così pesante da sopportare e da vivere giorno dopo giorno, tutto ciò che si vorrebbe è semplicemente non doverlo più vivere.Najla tenta un gesto estremo che fortunatamente non va a buon fine. Si risveglia in ospedale dopo qualche giorno di incoscienza.L’ambiente familiare compromesso e la pesante situazione in cui è ormai costretta a vivere sono però riconosciuti sufficienti a garantirle l’allontanamento della famiglia.All’età di sedici anni, libera di ricominciare, trova un appoggio nella Comunità ‘La zattera’ per i primi mesi, prima di iniziare un percorso con una cooperativa del quartiere che la aiuta moltissimo a riprendersi e ricominciare, arrivando a darle la possibilità di vivere autonomamente

in un appartamento, finalmente libera.Passano i mesi, è l’estate del 2013 e Najla decide di partecipare agli esercizi spirituali estivi della sua parrocchia. Se fino ad allora ha sempre avuto un approccio di reciproco scambio e confronto con la parrocchia e le sue attività, Najla descrive l’esperienza di quella estate come il primo vero approccio cristiano che l’ha poi portata a iniziare un percorso di fede. Un cammino, non una conversione come lei stessa tiene a precisare, senza nessuna intenzione di rinnegare niente del suo percorso di vita sino ad oggi.

Najla ci racconta la sua storia con una freschezza e allo stesso tempo una consapevolezza davvero impressionanti; con una stabilità ritrovata e dei punti di riferimento saldi, ci propone la sua idea, l’idea di chi ha avuto modo di vivere due modi di intendere la religione, ma con essa la vita stessa, che appaiono così contrastanti.“la differenza fondamentale tra l’Islam e il Cristianesimo – ci spiega – è una questione di prospettiva: nell’Islam la religione supera la persona, l’uomo è chiamato a seguire rigidamente dei codici di comportamento che non ammettono eccezioni. Il Cristianesimo è molto più flessibile, la persona è al centro, l’uomo ha un ruolo decisamente più importante.Il Corano non è questo però, credo che in fondo siano gli uomini a fare l’Islam, questo Islam nella forma che conosciamo.”

“Perché non scrivi un pezzo su quella ragazza del Murialdo che si è convertita al cristianesimo?”

Quella mattina sono uscito di casa pensando di ascoltare la storia di una ragazza che aveva semplicemente scelto di convertirsi al cristianesimo. Ho avuto modo di ascoltare molto di più. Una storia allo stesso tempo dura e delicata, triste e ricca di gioia, ma sempre raccontata

Page 14: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

14

Vita di comunità

con naturalezza, quasi con una leggerezza che però non ne riduce in alcun modo la profondità, al contrario la esalta e la rende estremamente vera.La storia di Najla è incredibilmente motivante, su un piano personale e su un piano comunitario. Da una parte ci invita a non arrenderci anche quando ci sembra di aver perso le redini della nostra vita, mostrandoci come anche il muro apparentemente più invalicabile possa essere abbattuto con la giusta determinazione, arrivando così a vedere la ripresa di quel sentiero, il nostro sentiero, che ci sembrava irrimediabilmente interrotto e che invece è lì e attende solo noi; dall’altra ci pone con decisione di fronte a un’importante riflessione come comunità cristiana. Troppo spesso sottostimiamo le realtà parrocchiali che rappresentiamo e viviamo, troppo spesso ci adagiamo nella nostra autoreferenzialità, dimenticandoci il grandissimo impatto che potremmo avere rivolgendo il nostro sguardo fuori dei nostri cancelli. La vocazione delle parrocchie a vivere il loro territorio non deve mai essere dimenticata, dovremmo anzi sempre tenere a mente l’obiettivo concreto di andare a costruire e a presentare una proposta solida e credibile per chi a sua

volta vive questo territorio. Dovremmo poter essere per quelle persone che vivono per anni in solitudine, magari a due metri dal muro delle nostre parrocchie senza mai entrarvi, un punto di riferimento, una casa, una famiglia.È difficile, è faticoso. Ma la storia di Najla ci insegna che se come comunità parrocchiale e quindi cristiana impariamo a prendere a cuore la realtà che ci circonda e le persone che la vivono, fare la differenza nella vita degli altri è davvero possibile. Federico Lucrezi

Come ogni anno, sabato 29 novembre 2014 si è svolta l'annuale edizione della Colletta Alimentare. Come gruppo, gli "Scialli in Wifi" hanno partecipato, aiutando la raccolta al LIDL di via Bezzi. Per tutta la durata del pomeriggio si sono organizzati in vari turni e hanno contribuito a raggiungere un sorprendente risultato: più di 19 quintali di cibo sono stati raccolti! Oltre 600 kg in più rispetto all’anno scorso! Si può dunque dire che, nonostante alcuni momenti di quiete nel supermercato, e quindi nel lavoro dei volontari, la giornata è stata molto impegnativa per tutti, ma ha fruttato grandi risultati!

Giulia Lucaccioni

Colletta alimentare

Page 15: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

15

possibile!!!Missione. . .

COMUNITA’ APERTA NEWS

15

Romania Romania...

29 giugno 2014: Prima Santa MessaDi Sergin Stefan Vesache

Noi c’eravamo...

Anche quest’anno ho avuto la gioia di andare in Romania, nonostante la mia permanenza a Taşi sia stata più breve del solito. Sono arrivata direttamente al piccolo, solo per ora, aeroporto della città, risparmiando a me, e, soprattutto, a chi mi veniva a prendere, l’ulteriore più o meno lungo viaggio in macchina, per raggiungere il Seminario.Ho trovato ad accogliermi Don Valeriano, il Direttore, giunto oramai quasi al termine del suo apostolato tra i ragazzi, avendo già avuto notizia, seppure in via ufficiosa, del suo nuovo incarico come Prevosto proprio nella nostra Parrocchia di Milano. In quell’ultimo periodo di permanenza a Taşi penso stesse vivendo momenti di nostalgia nel lasciare la Romania dopo diciassette anni di missione, ma anche di gioia per il prossimo rientro in Italia dopo tanti anni di lontananza e, soprattutto, per il riavvicinamento alla sua famiglia.al seminario trovo la consueta affettuosa accoglienza: è sempre bello ritrovare tanti amici, rivedere persone care e incontrare e fare la conoscenza anche dei nuovi ragazzi entrati in Seminario con l’inizio dell’anno scolastico. L’atmosfera è quella gioiosa di sempre, anzi, con un motivo grande in più per far festa, visto che, all’indomani, Sergiu, novello sacerdote, avrebbe celebrato la sua Prima Messa

nella Chiesa di Sant’antonio in Taşi, sua Parrocchia d’origine.È sempre molto emozionante vivere questa celebrazione e il primo pensiero è di gratitudine al Signore per il dono di questo nuovo Sacerdote che ha scelto di seguirlo e amarlo come centro della sua vita. Gratitudine alla quale si deve aggiungere l’impegno nell’accompagnare il suo apostolato con la nostra più costante preghiera: in una società come quella attuale, così spesso incurante delle proprie responsabilità e molto preoccupata nella ricerca di potere e di ogni bene materiale, si impone la testimonianza di questi giovani che, chiamati dal Signore e lasciato tutto, rispondono liberamente “si” alla Sua chiamata.Questo pensiero mi ha riportato alla vista che il Nunzio Apostolico della Romania aveva fatto qualche anno fa al seminario di Taşi, durante il periodo estivo in cui anch’io ero presente: prima di lasciarci aveva elogiato i seminaristi per il cammino che avevano scelto di fare in un mondo in cui tanti giovani della loro età sono occupati in mille altre cose, in altri interessi purtroppo non sempre positivi; aveva ringraziato i formatori per il loro impegno educativo e aveva continuato dicendo come, visitando tante realtà in quella terra i cui abitanti sono prevalentemente di religione ortodossa, potesse fare anche delle considerazioni e definì questo Seminario di don orione “una perla” per la Chiesa cattolica in quella terra moldava. Ricordo di aver pensato subito a Don Orione, al suo grande amore per la Chiesa e per il Santo Padre e a quanto dovesse essere

soddisfatto per un simile riconoscimento!La celebrazione della Prima Messa di Sergiu si è svolta poi in un clima di serenità, ma anche di grande familiarità, come è, del resto, nello stile “orionino”, per la presenza di tanti parenti, seminaristi, parrocchiani, amici, tra i quali ha spiccato un nutrito numero di ospiti disabili provenienti dal Piccolo Cottolengo di Bucarest, dove Sergiu aveva già svolto il suo servizio e... non potevano certo mancare le “perle” di Don Orione! Tutto poi si è concluso con una bella festa in fraternità, dove, musica e balli, inevitabili in Romania, hanno rallegrato il cuore di tutti i presenti. E, una volta di più, Deo gratias!

Page 16: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

16

Calcio d’ango

lo

“Incrociare lo sguardo di un altro uomo può aiutarci a capire meglio la realtà ed a scoprire delle verità nascoste.”Giacomo era il portiere del Real Mattone. Era un portiere molto forte, di quelli che giocano in nazionale e parano molti rigori. Fu proprio durante un calcio di rigore che decise di chiudere la porta non al tiro dell’avversario ma al calcio. Ad un calcio che gli aveva dato soldi, celebrità, macchine sportive, ma stava cancellando la sua sensibilità. Giacomo, per fortuna, riuscì ad accorgersi in tempo del rischio che stava correndo.Capitò che nel corso di una partita, il Real Mattone, che ospitava il Ferrocarburi, subì un rigore. Il risultato era fissato sullo 0 a 0 e la gara era importantissima. L’ambiente iniziò a ribollire. Il pubblico di casa non solo non voleva accettare la decisione arbitrale, ma iniziò pure ad insultare pesantemente il giocatore del Ferrocarburi che si apprestava ad effettuare il tiro dagli undici metri. Al dischetto si era presentato Ibou Salah, centravanti della Costa D’avorio, che per i tifosi del Real Mattone aveva il difetto di essere più scuro di loro. Lo stadio era pieno ed in molti ululavano: “Buuu!Buu!” e rivolgevano al giocatore parole più pesanti della loro stupidità. In certi casi della vita essere stupidi non è un’attenuante.Non era la prima volta, purtroppo, e non sarebbe stata di certo l’ultima che in uno stadio veniva fischiato un giocatore di colore e lo stesso Giacomo aveva disputato decine di gare dove questo episodio si era verificato. A questi fenomeni non aveva destato troppa attenzione, forse per superficialità, forse perché tutto il contorno di illusioni che impoveriva la sua vita di giovane calciatore l’aveva reso cieco ed insensibile davanti a certi episodi. Così anche quella volta Giacomo non sentiva gli insulti rivolti al collega, ma pensava solo a parare il tiro.Come al solito fissò negli occhi l’avversario. Giacomo era famoso perché spesso sembrava quasi che ipnotizzasse i rivali per poi telecomandare i loro tiri. Questa volta, però, incontrando gli occhi di Ibou, non vide gli occhi dell’attaccante avversario, bensì quelli pieni di lacrime di un ragazzo come lui. Quelle lacrime aprirono una voragine nell’animo di Giacomo. Di colpo sentì tutte le frasi terribili non ascoltate negli anni precedenti. Era come se si fosse scoperchiata improvvisamente una fogna colma di parole cattive. Giacomo si era svegliato da un sonno lunghissimo. Quello davanti a lui non era un avversario, eraun uomo. Un ragazzo della sua età che non aveva commesso niente per meritarsi quella valanga di cattiveria. Il portiere prima cercò di tapparsi le orecchie con le mani, ma questo non bastò, le urla erano sempre più violente. A quel punto levò le braccia al cielo. Fece cenno all’arbitro di interrompere l’esecuzione del tiro e si diresse verso la curva alle sue spalle che ospitava i tifosi del Real Mattone e li supplicò di stare zitti. Questi, per risposta, iniziarono ad insultare pure lui. A quel punto Giacomo non sapeva più cosa fare. Se tornare in campo, come lo stesso arbitro gli stava sollecitando, o andarsene per protesta. Il direttore di gara l’ammonì per perdita di tempo. Fu la chiave che aprì definitivamente la sua mente: era giunto il momento di dire basta e lui trovò il coraggio di farlo. Si tolse la maglietta, abbracciò Ibou ed imboccò di corsa il tunnel che conduceva agli spogliatoi. I fischi si fecero sempre più assordanti e nel tunnel rimbombavano ancora di più. Per lui, però, non erano fischi, ma applausi. Se ti fischia uno stupido perché ti comporti da uomo, lo stupido non sei tu e l’uomo, di certo, non è lui. Nel dopo partita, il suo comportamento fu criticato da compagni e dirigenti. Lui decise di lasciare il calcio.Per un po’ visse rinchiuso nel suo appartamento. Fino a quando, un bel giorno, vedendo in televisione delle immagini di un campo d’accoglienza per profughi, si rese conto che la sua vita non poteva finire in uno stadio e non poteva essere distrutta dagli insulti di un gruppo

L’ultimo rigore

Page 17: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

17

Calcio d’angolo

di incivili.Capì che nel suo spirito c’era la voglia di riprendere i libri in mano e riuscì a conseguire un diploma di infermiere. Da lì ad entrare in un campo d’accoglienza il passo fu breve. Incominciò a lavorare a Otranto dove settimanalmente arrivano tantissime persone bisognose d’aiuto.Giacomo era lontano dalle metropoli dove aveva giocato, non viaggiava più su macchine di lusso, non cambiava telefonino con la stessa frequenza con cui alternava le camicie, però si sentiva finalmente realizzato. Una cosa sola gli mancava: il calcio.Il calcio vero, quello fatto di divertimento e sudore, di dribbling riusciti e parate miracolose, quello fatto di fratellanza e pura voglia di divertirsi, quello senza insulti e troppa televisione.Si guardò intorno. Vide che il centro d’accoglienza era pieno di giovani come lui che amavano lo sport.Fu così che decise di creare una squadra di cui sarebbe stato allenatore. Una squadra composta da curdi, albanesi, kosovari, montenegrini, pakistani, indiani, marocchini, senegalesi. Una squadra senza bandiere e mille colori. Ognuno parlava la sua lingua, tutti parlavano la lingua del vero sport: divertirsi.Ora Giacomo è ancora ad Otranto. Se volete trovarlo è lì dove si era perso e poi ritrovato: negli occhi felici di un bambino che, insieme ad un po’ di cibo e qualche vestito, ha trovato un amico che gli ha insegnato a tirare due calci a pallone.

Questo è il mio regalo per questo Santo Natale, un racconto contro le discriminazioni. Televisione e giornali ci mostrano sempre più spesso quanto la società stia “regredendo”; numerose ultimamente sono state le manifestazioni e gli eventi da cui si evince che è ancora forte il razzismo nei confronti di persone straniere. Io inviterei tutti quanti a fermarsi un momento per riflettere bene su quello che sta accadendo; la verità è che nella società di oggi chi sta ai vertici costringe le persone a combattere una “guerra tra poveri”. La crisi è evidente ormai da tempo, ma negli ultimi mesi ha portato alla fuoriuscita di numerosi pretesti per attaccare persone di differente razza, orientamento religioso, nazionalità ecc. Invito pertanto tutti quanti a sfruttare questo momento di festa e unione per riflettere sul fatto che le persone che abbiamo accanto sono tutte indistintamente uguali. Questa storia rappresenta come lo sport sia un modo per Luca Ceci

TERZA CATEGORIA1 Fatima 262 Orione 243 Gudo Visconti 224 Forza e Coraggio 215 Red Devils 20

JUNIORES1 Sp. Valleambrosia 312 Città di Opera 293 Accademia Gaggiano 284 Frog Milano 257 Orione 21

ALLIEVI A1 Triestina 342 Sempione Half 303 Iris 234 Barona 226 Orione 16

ALLIEVI B1 Accademia Gaggiano 342 Travaglia 263 Trezzano 234 Iris 148 Orione 8

GIOVANISSIMI B1 Alcione 332 Olmi Cesano 303 Iris 244 Muggiano 168 Orione 6

www.usorionemilano.itGIOVANISSIMI A

1 Basiglio Milano 3 362 Rogoredo 243 Franco Scarioni 194 Forza e Coraggio 124 Orione 12

combattere le discriminazioni, i colori della maglia di calcio rendono tutti uguali e dobbiamo impararlo anche fuori dal campo. Proprio come nella nostra società di calcio in cui possiamo vantare bambini e ragazzi uniti in ogni squadra che si divertono insieme senza fare alcuna distinzione. Purtroppo anche loro vedono i telegiornali e le immagini che hanno invaso le televisioni negli ultimi mesi non sono educative; penso piuttosto che dovremmo imparare da loro e dallo sport che unisce tutti per un unico obbiettivo, il divertimento. Il mio augurio è che questo Natale faccia riflettere tutti sul fatto che l’unica cosa che ognuno di noi vuole raggiungere è la felicità e la serenità, ma senza dover combattere una “guerra tra poveri”. Siamo tutti uguali e tutti meritiamo di accogliere nelle nostre case quel Bambino che ci riunisce tutti insieme come fratelli e nello stesso presepe.

Page 18: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

18

In

bacheca

Dicembre20141 L

2 M

3 M

4 G

5 V

6 S

7 D Sant’Ambrogio

9 M

8 L Immacolata Concezione

10 M

12 V

13 S Betlemme anno zero h.16.00 e h. 20.45 auditorium via Strozzi

14 D

15 L Scuola della Parola

16 M

17 M

18 G

19 V

20 S 7:30 Messa di Natale studenti Cardarelli - In chiesa

21 D Pranzo di Natale

M23

22 L

M24

G25 Natale

V26 Santo Stefano

S27

D28

11 G

25 gennaio

Festa famiglia e ricordo degli anniversari di matrimonio

20 dicembre

Messa di Natale studenti

Cardarelliin Chiesaore 7.30

29 L

M30

Messa ore 11:30 a seguire pranzo in Bocciofila su prenotazione

M31

24 dicembre

Messe di Nataleore 18.00ore 24.00

Page 19: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15

COMUNITA’ APERTA NEWS

19

In bacheca

Gennaio20151 G

2 V

3 S

4 D

5 L

6 M Epifania

7 M

9 V

8 G

10 S

12 L Adorazione h.21.00 Step up h. 21.00

13 M

14 M

15 G

16 V

17 S

18 D

19 L Catechesi superiori h.19.00 Scuols della Parola h.21.00

20 M

21 M

V23 Lectio divina h.21.00 in cripta

22 G

S24

D25 Festa della Famiglia e ricordo degli anniversari di matrimonio h.11.30

L26 Consiglio Pastorale h. 21.00

M27

M28

11 D

29 G

V30

S31 MGO Operai e apprendisti a Voghera

Noi, ragazzi di terza media, ci siamo ritrovati con alcuni oratori del Decanato, per la consegna del Padre Nostro, all’oratorio San Vito.Abbiamo svolto alcune attività per conoscerci, per analizzare il significato delle parole del Padre Nostro. E’ stata un esperienza che nel complesso ci ha entusiasmato particolarmente perché ci ha consentito di scoprire nuovi aspetti di questa preghiera, di cui prima non eravamo consapevoli. Negli anni del catechismo ci hanno infatti insegnato a recitare questa preghiera a memoria, ma senza comprenderla veramente, mentre adesso si è trasformata in un vero e proprio modo per comunicare con Dio.Ma torniamo alla nostra giornata … Abbiamo incominciato il pomeriggio con un ballo molto stravagante dove abbiamo avuto modo di fare conoscenza con i ragazzi degli altri oratori (eravamo molto spaesati e imbarazzati …!): è stato un modo divertente e originale. A seguire abbiamo visto delle scene tratte dal film “Una settimana da Dio”, da cui abbiamo tratto spunto sulle attività che avremmo svolto in un secondo momento.abbiamo riflettuto sul modo di pregare attraverso un quiz a squadre riguardante le caratteristiche del Padre Nostro;

ciò lo ha reso divertente nonostante sia molto profondo e personale.Verso la fine del pomeriggio abbiamo fatto una attività divisi in quattro gruppi, dove abbiamo spiegato, attraverso delle immagini attaccate sui cartelloni, come e quando usiamo la preghiera, e poi ci hanno lasciato dieci minuti per riflettere e comprendere cosa era davvero per noi il Padre Nostro.Alle sette dei sera siamo andati nella cappella per fare una celebrazione in cui abbiamo illustrato ciò che abbiamo fatto sui cartelloni e, grazie all’aiuto degli educatori, abbiamo ascoltato vari modi per definire la preghiera: la preghiera è ASCOLTO; la preghiera è PAROLA; la preghiera è RElazIoNE. Infine il prete ci ha benedetti e i nostri animatori ci hanno consegnato un foglio su cui c’era scritto il Padre Nostro.la serata è finita con la cena a base di pizza e Coca Cola e con un po’ di tempo libero per giocare. Per tutti noi è stata una bellissima esperienza che ci è servita a capire come relazionarci con Dio e con gli altri, unendo la riflessione e la preghiera al divertimento! :)Per gli H2O:

Consegna del Padre Nostro

Clara, Lalla, Lollo e Madda

Page 20: Comunità Aperte Dicembre14 - Gennaio15