Come Tralci n. 9 2015

100

description

Come Tralci - Linfa di Vita dei Camilliani d'Italia - Bollettino delle Province Italiane

Transcript of Come Tralci n. 9 2015

Page 1: Come Tralci n. 9 2015
Page 2: Come Tralci n. 9 2015

SOMMARIO

Editoriale229 Essere Famiglia Religiosa P. Carlo Vanzo

Atti Ufficiali 232 ATTI DELLA CONSULTA GENERALE

Messaggio inter-congregazionale241 La nostra risposta alla crisi dei rifugiati in Europa244 Sconvolti ed impotenti davanti a un dramma

ATTI DEI CONSIGLI PROVINCIALI

1 Provincia Nord Italiana 245 ATTI DELLA CONSULTA GENERALE 245 ATTI DEL CONSIGLIO PROVINCIALE

Provincia Romana 247 Atti del Consiglio Provinciale Provincia Siculo/Napoletana248 Il Superiore Generale incontra i Confratelli250 Verbale del Consiglio Provinciale

– 225 –

Come TralciBollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia

Anno 3 - Numero 3 - Luglio-Settembre 2015

Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

9

Page 3: Come Tralci n. 9 2015

– 226 –

Anno della Vita Consacrata253 La crisi del religioso nel nostro tempo P. Mario Bizzotto 260 Quale futuro per la Vita Consacrata Enzo Bianchi P. Domenico Ruatti 262 Festa a Bucchianico “Tre giovani prendono i voti con i Camilliani” Debora Zappacosta 264 Con il cuore perpetuamente rivolto a Dio! Professione solenne di Antonio Zinni Walter Vinci 266 Festa ad Haiti La professione religiosa di James, Jean e Joubency P. Joaquim Paulo Cipriano271 Incontro a Capriate Giornata della fraternità all’insegna della Vita Consacrata P. Pasquale Anziliero274 Intervista a P. Alfredo nel 50° di Sacerdozio Dario Malizia276 Perù/Lima 50° di Sacerdozio e di missione di P. Cristiano Leso

Anno Santo della Misericordia277 La Bolla, la Porta Santa: 10 (più una) cose da sapere

Formazione280 “Effatà” (Mc 7,34) P. Domenico Ruatti282 “Perché niente vada perduto …” (Gv 6,12) - II parte P. Lucio Albertini Pastorale308 Caledoscopio pastorale P. Angelo Brusco

Page 4: Come Tralci n. 9 2015

– 227 –

C.P.V.314 Campo fraternità camilliana Provincia Siculo-Napoletana P. Alfredo M. Tortorella315 Giornata di spiritualità camilliana a Mesagne (Brindisi) Suor Bernadette, fsc Dal Mondo Camilliano317 Festa di San Camillo a Bucchianico Nicola Mastrocola319 Occhi che vedano, orecchi che odano Con i giovani festeggiamo San Camillo - Piossasco (TO) Piera Tua321 Festa di San Camillo a Villa Lellia Franca Berardi322 Il sorriso di San Camillo sui monti della Lessinia A Bolca (VR) Giancarla Gugole323 Festa di San Camillo a Messina P. Bruno Hounkonnou325 Festa del Santo all’ospedale San Camillo di Roma 326 All’ascolto del Cristo in mezzo al fango Missione a Copiapó (Cile) Cristián Orellana, m.i.330 Khokwat - Thailandia Da 50 anni crocevia del carisma di Camillo per i più poveri Fr. Gianni Dalla Rizza331 Professione solenne di due chierici a Taiwan P. Didone Giuseppe333 Associazione di volontariato “Villaggio Eugenio Litta” Filippo Bruni334 Il santuario di S. Giuseppe Appuntamenti di Torino Spiritualità Franca Berardi

Sommario

Page 5: Come Tralci n. 9 2015

– 228 –

Direttore: P. Carlo Vanzo

Collaboratori: P. Antonio Marzano, P. Alfredo Tortorella, Franca Berardi

Direzione e Redazione: Religosi Camilliani - San Giuliano Via C. C. Bresciani 2 - 37124 Verona Tel. 045 8372723/8372711 (centralino)E-mail: [email protected]

Progetto grafico e stampa: Editrice Velar - Gorle (BG)www.velar.it

In copertina:Bucchianico, ammantato di vigne, visto dall’arco della casa di Giovanni De Lellis. Qui Camillo è nato, ha vissuto l’infanzia e la sua svogliata giovinezza. All’amato paese natale tornava sempre con gioia e nostalgia. Ma la ‘sua vera vigna’ sarà l’ospedale. Qui Camillo diventerà il tralcio rigoglioso, innestato alla vera Vite, il Crocifisso, per produrre il vino che dà speranza e rallegra il cuore del malato. (Progetto grafico T-Studio s.n.c).

È possibile visionare on line il notiziario “Come Tralci” sul sito dei religiosi camilliani www.camilliani.it

Famiglia Camilliana Laica - F.C.L.335 Convegno: per ricordare Germana Sommaruga

Ricordiamo i nostri morti336 Padre Merlo Pietro338 Omelia in morte di P. Pietro Merlo P. Alessandro Viganò340 P. Pietro Merlo nel ricordo di un confratello missionario P. Renzo Roccabruna e P. Carlo Vanzo342 Ricordando zio Pietro… Nipoti e pronipoti

344 Preghiamo i nostri morti

Page 6: Come Tralci n. 9 2015

Editoriale

Essere Famiglia Religiosa!Un caldo nido di rondini o una gabbia di canarini?

Corriamo verso la conclusione dell’Anno della “Vita Consacrata”, voluto da Papa Francesco perché ogni Comunità Religiosa preghi, rifletta e si rinnovi con scelte corag-giose per essere “segno di gioia e svegliare il mondo”.

Dai mass media abbiamo avuto molte opportunità, qualcuno dice addirittura trop-pe, di confrontarci e di riflettere. Anche “Come Tralci” unisce la sua flebile voce a questo coro, talvolta armonioso e tal’altra stridente, per offrirci riflessioni di nostri Confratelli. Ne siamo grati perché tutti vogliamo vivere intensamente e concludere con frutto quest’anno di grazia. Mi auguro che sia letta con benevolenza anche questa semplice riflessione, colorata da un po’ di poesia, e questa provocazione, fatta con umiltà.

Lo scopo è quello di risvegliare il mio impegno religioso prima di pretendere di svegliare il mondo.

Il life motive che guida anche le nostre Costituzioni è: essere Famiglia, per cantare l’Amore di Dio e servirLo nei fratelli. Famiglia: la parola che riassume i nostri sogni, la parola che dà speranza alla nostra solitudine, paura e fallimenti!

La Famiglia è il luogo ideale, sia a livello umano che di fede, perché voluto da Dio, dove si nasce e si muore, si soffre e si gioisce, si dona e si riceve amore, si vive l’espe-rienza del tempo nella speranza, in cammino verso la vita in Dio.

immaginandolo” così: il nostro Dio è Famiglia, arcano rapporto di dono, di amore e di comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo!

Gesù” nell’umile, silenziosa e laboriosa Santa Famiglia di Nazaret. In Dio, si sa, tutto è disegno e strategia di salvezza. I trent’anni di Nazaret sembrano avvolti da un particolare velo di misteriosità

incomprensibile: trent’anni monotoni e ritmati, come colpi di remo nella barca sul lago di Tiberiade, come rumore di martello e fruscio di sega nella bottega del falegna-

Dio è Amore e la Famiglia è l’icona dell’amore.La vita nasce, cresce e si realizza nella gioia della Famiglia.La Famiglia è un dono che fiorisce e si esalta solo nel dono reciproco.

Page 7: Come Tralci n. 9 2015

me. Solo tre anni per percorrere le strade della Galilea ed annunciare la sua Buona Notizia, solo tre giorni per morire e risorgere. Viene da pensare: trent’anni sprecati nel nascondimento di una famiglia… perché? Forse perché era una lezione tanto lunga, monotona e difficile per noi… certamente per insegnarci che questo sarebbe stato il tempo e il luogo dove rispondere al suo “disegno di Amore” e dove realizzare e il nostro “cammino di salvezza”!

inviato dal Padre, è la nuova Famiglia dei figli di Dio. Solo in questa dinamica di dono e di amore si gioca il nostro essere “figli di Dio e fratelli tra noi”!

nella Chiesa, si sente, si chiama e si impegna ad essere Famiglia.Terreno immenso dove sperimentare gioie e dolori; dono ed impegno per essere

nel cuore del Vangelo.Anche la nostra vita personale e quella della nostra Comunità Religiosa sem-

brano tessute da un filo d’oro: il dono, la fraternità e l’amicizia. È un filo misterioso che si intreccia, si annoda, si abbraccia, si lega, si libera, si espande e… talvolta si spezza.

Ogni Comunità può diventare un caldo nido di rondine dove riposarsi in sere-nità dopo lunghi voli nel cielo della vita e del ministero, dove assaporare il tepore della fraternità, dove essere accoglienti e sentirsi accolti nelle ore della paura e della sofferenza da una voce e da una mano amica, dove “sentirsi a casa”, senza essere giudicati, criticati o emarginati.

Ma attenzione! La stessa Comunità può diventare una gabbia fredda e ferrea di passeri e fringuelli che sembrano fortunati solo perché hanno sempre e gratuitamen-te il cibo in abbondanza, un riparo dalle tempeste del mondo, possono svolazzare tra un’altalena e l’altra e cinguettare su comando ma… sono sempre tristi perché prigionieri. I loro sogni si spengono, le loro ali si afflosciano. Talvolta guardano le rondini volteggiare nel cielo e pensano che quello sia solo un sogno. Le loro giornate in cattività sono diventate interminabili. Bisogna fare qualcosa. Ecco, ora lo hanno scoperto. Pare che il modo migliore per passare il tempo sia quello di infastidire, beccare, borbottare contro i compagni di sventura. Diventare prepotenti e despoti per essere padroni della situazione in quel piccolo angolo di schiavitù.

Ricordo bene e con tanta nostalgia. C’erano tre nidi di rondine sotto la gron-daia, aggrappati alla nostra vecchia casa di contadini. Ogni anno si ripeteva un rito

Una mamma che solca i cieli per nutrire i figli, i piccoli che attendono nel tepore del nido

e crescono nel calore del dono.È la libertà e la felicità

anche della “Vita Consacrata” che vola nel cielo di Dio come le rondini.

Ogni nido è la certezza di una vita riuscita!

– 230 –

Page 8: Come Tralci n. 9 2015

– 231 –

quasi religioso perché il tempo, allora, era ritmato dalle feste parrocchiali: “È San Benedetto, ecco arriva la rondine sotto il tetto!”.

Non era tanto la festa della primavera, quanto la gioia di un arrivo, di un mes-saggio di libertà, un dono di amicizia: un insegnamento. Tornare sempre allo stesso nido per essere nel caldo tepore di una famiglia che ti ama, ti protegge e ti prepara alle battaglie, ai voli e alle sfide della vita.

Mi fermavo stupito ad ascoltare il loro brusio familiare e le ammiravo, la sera, schierate sui fili della luce a riposarsi, a riflettere e a borbottare pettegolezzi del giorno felice…

Non so bene perché, ma mi davano tanta spensieratezza, forse gioia infantile e sogno di libertà.

Ripenso e mi rivedo oggi nella mia ormai obsoleta e diroccata casa di campagna. Quanti cambiamenti! Sarà il lento ed inesorabile mutare delle stagioni, saranno

i veleni di un’agricoltura moderna e devastante, saranno le pretese di avere sempre tutto e subito senza volare lontano, senza attendere, sarà il voler dimenticare e cancellare il passato per lanciarsi in nuove avventure, saranno i mille sogni di una vita diversa, ma, purtroppo, tanti nidi sono rimasti vuoti, là, incollati alle grondaie delle nostre case,… dei nostri Seminari. Tante, troppe rondini non sono più ritor-nate, hanno costruito i loro nidi altrove, forse… perché le nostre contrade non sono più accoglienti.

Qualche suggestione potrebbe essere utile anche per le nostre famiglie, per le nostre comunità!

Come scoprire il tepore di un nido comunitario? Come rompere le gabbie di cattività psicologica, organizzativa, relazionale che ci vincolano?

Forse è in queste sfide, in queste proiezioni di convivenza da “gabbia a nido” si gioca il futuro della Chiesa, dell’irrequieto mondo giovanile che è alla ricerca di ideali nuovi, della famiglia e della stessa Vita Consacrata.

Nessuna contestazione, nessuna nostalgia ma… un piccolo messaggio e tanta speranza!

P. Carlo Vanzo

Gli uccelli in gabbia cantano e sognano la libertà.Gli uccelli liberi volano!”.

È bello fermarsi, riposare e riflettere al tramonto di una giornata, come questo stormo di rondini.

Coniugare sogno e realtà, vivere la libertà e l’impegno, essere individuo e famiglia è vivere la dinamica,

l’impegno, la gioia e il dono della Vita Consacrata!

Page 9: Come Tralci n. 9 2015

– 253 –

LA CRISI DEL RELIGIOSO NEL NOSTRO TEMPO

La nostra società è stata definita liquida, ossia povera di identità. Già da oltre un secolo un pensatore ha usa-to termini ancora più duri. Ha parlato d’una società ridotta ad un lazzaretto: malata, inerte, indifferente, nihilista.

A queste connotazioni negative fa eco il noto saggio di Spengler: “Il tra-monto dell’Occidente”, un titolo che ha continuato ad interessare l’intelligentia contemporanea. Da qui la domanda del poeta tedesco Hölderlin: “Perché i poeti nel tempo della miseria?”. Cosa stanno a fare messaggi rivolti alla coscienza quando si sprofonda nella fame? L’in-terrogativo è retorico. La miseria infatti cui il poeta allude non è tanto quella sociale, quanto lo smarrimento morale. La sofferenza del nostro tempo è causata dalla caduta degli ideali e in partico-lare dall’assenza di Dio, prescindendo dal quale l’intero edificio dei valori si sgretola.

Oggi viviamo nel tempo della “not-te”. I valori: giustizia, libertà, umanità, rispetto della vita cedono il passo alla seduzione degli interessi. Formulando la sua risposta il poeta evoca in particolare i sacerdoti, chiamati a scovare nel buio le tracce del dio scomparso. È proprio l’argomento che ci interessa. Non c’è classe così vistosamente colpita dalla crisi quanto quella religiosa.

Una serie di fenomeni negativi sono alla portata di mano. Che signi-ficato hanno ancora le basiliche, mae-stose nella loro grandezza, con le loro guglie protese verso l’altro come braccia imploranti? Non interpretano più un sentimento popolare. Tra la sensibili-tà religiosa del momento e le nostre cattedrali si dà una frattura. Restano come retaggio d’altri tempi, sono ope-re religiosamente morte, sopravvivono come musei conservati per il loro valore artistico. Non è questo però il carattere più grave che segnala una miseria spi-rituale. Si nota la diserzione delle isti-tuzioni religiose. Gli stessi seminari più efficienti sono semivuoti. La frequenza festiva ridotta ad adulti o anziani rima-sti legati alla loro educazione giovanile. Alla domenica il celebrante si trova davanti ad un esiguo numero di perso-ne che non interpretano una comuni-tà viva. È abituale in questi frangenti appellarsi alla speranza o ad altri tempi molto difficili nella storia della Chie-sa. Viene da domandarsi se perfino il richiamo alla speranza non sia utilizzata come un alibi comodo.

Anno della Vita Consacrata

Page 10: Come Tralci n. 9 2015

– 254 –

È molto triste essere orfani, ma lo è molto di più essere senza discendenti. Che giova l’enorme patrimonio di ricchezza che abbiamo alle spalle, lo stesso esempio dei santi se non c’è continuità. Finché si è orfani resta aperta la possibilità della vita, ma dove la catena della successione si interrompe è la speranza stessa che viene intaccata. Il tempo che mette fine alla generazione è il tempo della morte, cui non ci si deve arrendere nonostante tutto sembra pararsi contro. C’è anche la spes contra spem, una speranza che resiste alla caduta di tutte le speranze terrene o sociologiche, basate su stati-stiche inoppugnabili.

Una società decadente e la speranzaDi fronte ad una situazione tanto

disorientante si recrimina la mancan-za di testimonianza di chi segue una vocazione profetica. In parte è vero. Il mancato esempio non può pretendere di meritare seguito e prestigio. Tuttavia la maggiore responsabilità della crisi va scaricata sulle spalle della stessa società: spenta, stanca, egoista, apatica, di cui noi stessi siamo figli. Nonostante tutto è giusto rifiutarsi di accettare un atteg-giamento disfattista e rassegnato. Si deve reagire con la provocazione. L’ur-to con la società mette in campo due forze che fanno pensare al confronto tra il gigante Golia e il piccolo David. La sproporzione di peso è enorme. Un confronto diventa impensabile. Il suo esito è scontato in partenza. Anzitut-to si ha a che fare con un clima, che non è determinato da una classe, da un individuo o un avversario con un volto ben definito. Il clima avvolge, è appun-to liquido e informe. Non facilmente

identificabile, esclude ogni avversario, perché assimilandolo a sé, lo disarma. Non è pensabile di affrontarlo di pet-to, si è infatti dentro come un pesce nell’acqua. Ha sempre la meglio con le sue maniere morbide. Posta in questi termini la questione resta ancorata ad un modo di ragionare puramente uma-no. La valutazione sociologica ci ha già archiviato da tempo.

Un’opportunità che potrebbe mostrarsi mordente è quanto viene indi-cato dall’apostolo Pietro: essere testimoni della speranza. Si può esaurire il calenda-rio della vita, ma le risorse incluse nella speranza sono inesauribili. Pur andando incontro alla fine, il cristiano spera. Si pensi ad es. all’incontro con la morte e l’annuncio di un’altra vita. Davanti allo sguardo, alla immaginazione e all’espe-rienza tutto si conclude. Non c’è facoltà al di fuori della speranza che aiuti ad aprire uno spiraglio di vita. Contro ogni previsione il cristiano credente nutre una fiducia che va oltre le proprie forze naturali. A queste non riuscirà mai spo-stare il centro di gravitazione dall’al di qua all’al di là, di cui non si ha alcuna garanzia se non quella della parola di Cristo. L’esperienza della morte è la più evidente e sfacciata che esista, mentre l’al di là si fonda solo sulla fiducia. Ai fini della valutazione umana non c’è alcuna proporzione, anche se la sfida resta stimolante.

Qualcosa di analogo si è costretti a vivere nella nostra epoca. Tutto sem-bra darci torto, tutto corre verso altri obiettivi. Per uscire dalla crisi non resta aperto altro percorso se non il sal-to compiuto dalla speranza. Si è nota-to che essa è la fede nel tempo della sofferenza. Aiuta a non arrendersi. Il

Page 11: Come Tralci n. 9 2015

– 255 –

titolo delle lettere spedite da Bonho-effer durante la sua prigionia potrebbe valere come lo slogan nella situazione presente: Resistenza e resa, resistenza ai disagi del momento e resa alla parola di Dio. Per la storia della Chiesa non è questa la prima prova contro cui è indotta a lottare. Da tutte le sciagure è sempre uscita con ferite ma viva. Sarà la stessa cosa anche ora? Trovandoci in mezzo al guado non possiamo dare alcu-na risposta rassicurante, dal momento che le nostre previsioni sono formula-te con criteri umani. Il disegno di Dio non è interamente scrutato neppure dai profeti. Per quanto perspicaci le nostre previsioni urtano con l’insondabile. Si scopre sempre qualcosa di incoercibile che ci sfugge di mano e non si è in gra-do di gestire. Si è come sommersi nella “notte” di cui parla il poeta. Si ha l’im-pressione che la stessa parola del vange-lo sia disattesa. La parola è tale se trova ascolto ed proprio questo che manca in un ambiente secolarizzato.

Facciamo la prova con un esempio. Il Signore rivolto ai suoi uditori ricorda: Chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua. L’in-

vito non è molto allettante in un conte-sto dove trionfa il disimpegno, ciò che è fatuo e frivolo. Viene meno la sensibi-lità di accogliere la parola pungente del vangelo. L’esperienza s’impone già nella diserzione del precetto festivo, che tra le tante occupazioni scivola all’ulti-mo piano. A precederlo sono interessi di carattere immediato: sport, festini, ritrovi, la palestra, una gita, una mostra, una sfilata di gatti. Qualsiasi pretesto è sufficiente per esimersi dal precetto festivo. Diventa chiaro come si contesti il fatto di rendere vincolante la frequen-za domenicale. La festa della domenica non può non essere comandata. Cosa sarebbe se non lo fosse? Si ridurrebbe a qualcosa di arbitrario e non ci si sen-tirebbe comunità. Ecco un altro valore perduto, un’altra opportunità formati-va sciupata. No, un mondo così fatto è posto fuori dalla serietà d’una proposta cristiana. In un clima tanto evanescen-te non sono concepibili tensioni, lotte per una causa di fede.

L’esperienza del fallimentoMolte vocazioni religiose venute

dai tempi delle ristrettezze e dell’impe-gno nell’immediato dopoguerra han-no la percezione di fronte alla cultura contemporanea di trovarsi davanti ad un fallimento. L’appello alla croce può essere di grande sostegno. Anche Cri-sto ha concluso la sua storia terrena in un naufragio. Se non fosse risorto la sua figura si ridurrebbe a quella d’uno dei tanti saggi. Non si presenta come un trionfatore ma come uno sconfitto, non con il segno della gloria, ma dell’umilia-zione, non come un vincitore che sale su un trono, ma come un condannato che sale sul patibolo della croce. Da questa

Anno della Vita Consacrata

Page 12: Come Tralci n. 9 2015

– 256 –

cattedra partono parole edificanti per coloro che si sentono degli sconfitti, non perché pentiti delle loro scelte ma per i risultati deludenti del loro mini-stero al quale si sono votati. Tuttavia anche questa esperienza è arricchente, se non altro perché consente di capire più in profondità il messaggio di Cristo, che è anche fatto di venerdì santi.

Fa parte della natura stessa del cri-stianesimo il destino della croce. Cri-sto batte una via che non conduce ad alcuna conquista terrena. Non rientra nelle sue aspirazioni il successo in que-sto mondo. Il suo linguaggio fa largo uso del futuro: sarete consolati, sarete saziati, troverete misericordia, vi sarà data una ricompensa. E ancora più chiaramente

per quanto riguarda la sorte del discepo-lo nel presente: vi insulteranno, persegui-teranno, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia (Mt 5,11). Non offre potere e dominio, chiede però servi-zio e attenzione premurosa all’altro. Il suo annuncio ha un chiaro obiettivo: la promozione d’un uomo autentico, capace di resistere a qualsiasi fallimen-to. Incoraggia i suoi: non sia turbato il vostro cuore! Non è segno di ritirata se il cristiano arriva alla conclusione della sua esistenza tirando un bilancio nega-tivo sulla sua attività apostolica. Non è esclusa l’amara confessione di sentir-si nella solitudine e nella conclusione dell’insuccesso.

Si incontrano soprattutto religio-

Solo la Parola di Gesù dà speranza e futuro ad ogni nostra paura.“Vi odieranno, vi perseguiteranno...

ma la vostra ricompensa sarà grande nel cielo”.

Page 13: Come Tralci n. 9 2015

– 257 –

se che arrivate alla vecchiaia e messe da parte si sentono tanto amareggiate da esclamare: Se avessi saputo la condi-zione cui sono confinata ora, avrei fatto tutt’altra scelta. Bernanos descrive bene questo dramma del prete deluso tanto da farlo confessare: Mi sento nella mia parrocchia come un estraneo, come un cuore che pulsa al di fuori del corpo, la mia funzione di curatore d’anime è boicottata. È l’esperienza di molti cui è stato sot-tratto il loro mondo. Avevano iniziato il loro ministero alcuni decenni fa in un ambiente di alta frequenza alla Chiesa, ora si sentono incompresi o sopportati. La loro attività è giudicata superflua. Se ne potrebbe fare a meno. Il mondo cam-bia rapidamente e chi non sta al passo è messo a parte come un oggetto inu-tilizzabile. Lo stesso annuncio sembra apparentemente inadeguato ai tempi. Viene recepito come oppressivo, ostile alla gioia e ad ogni aspirazione ad una vita felice.

Parlare di conversione, discipli-

na, abnegazione, serietà, valori della coscienza, principi morali è far uso d’un vocabolario estemporaneo, che solo una piccola parte della popolazione sa afferrare. Non può non essere traumati-co trovarsi in una sala, adibita alla cate-chesi, di fronte ad un pubblico ridotto a poche presenze. Un tempo la stessa sala era insufficiente per accogliere il pubblico interessato all’istruzione reli-giosa. Il prete è lo stesso, non è lo stesso il mondo, non è la stessa la sensibilità, erosa dal secolarismo. C’è una mentali-tà nuova che si insinua dentro l’anima e la piega senza che essa se ne accorga, in maniera sottile e conciliante crea costume. Ciò che un tempo passava

come trasgressione e vergogna viene ora accettato come naturale. In caso di rimprovero la giustificazione è pronta: fanno tutti così. Questo vale come punto di riferimento, come principio al quale ispirarsi, per regolare le proprie scelte. Non è dunque la ragione ad evidenziare un valore-guida ma la piazza. È in que-sto contesto che si è chiamati all’eser-cizio della propria vocazione.

“Afflitti ma sempre lieti”Bonhoeffer nota che essere cristia-

ni comporta associarsi alle sofferenze di Cristo. Che impressione può suscitare in una persona del nostro tempo un annuncio del genere? Come è possibi-le parlare ancora di croce, di sequela, rinuncia, servizio, perdono o amore al nemico? Questo linguaggio da sempre è percepito come stridente e inquietan-te, mai però come nella società liquida dell’indifferenza e del piatto conformi-smo.

Non è difficile immaginare come in un ambiente del genere il religioso non si senta a suo agio. Se vuole essere presente come testimone del vangelo non può esserlo se non con la grinta di andare contro corrente. Sono troppe le forze che lo rifiutano o lo ignorano. Proprio a lui, fatto per la comunità, è negato un posto all’interno di essa. È il caso di appellarsi all’apostolo Paolo, alle sue parole di aperta sfida: Mi glorio della croce di Cristo. E scrivendo ai Corinzi (2Cor 6,3ss) osserva: “In ogni cosa ci pre-sentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigio-ni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni…”. Eppure la testimonianza chiede di essere lieti, sapendo che la

Anno della Vita Consacrata

Page 14: Come Tralci n. 9 2015

– 258 –

gioia fa parte del vangelo. Chiamati a svolgere il proprio ministero in una mentalità inquinata di paganesimo è difficile essere lieti, d’altra parte non c’è altra maniera di provare la bontà della nostra avventura se non vivendo e figu-rando come persone contente. Ancora l’apostolo Paolo: “afflitti, ma sempre lie-ti”. Penso che non esista un’attrazione più affascinante quanto quella esibita da chi offre la prova di essere una per-sona felice.

Ci sono religiosi sereni, generosi,

pazienti, umili che sono veri testimoni del vangelo, i veri profeti, capaci di tra-scinare altri nella loro scia. Forse non trovano nel gruppo un posto di riguar-do, ma neppure lo desiderano. D’altra parte se avanzassero delle rivendicazio-ni non sarebbero più contenti. La loro presenza discreta e attenta agli altri è importante per l’andamento comuni-tario. Non solo. Offrono una attrazio-ne nelle persone con le quali entrano in contatto. Se c’è ancora aperta una possibilità di conquistare delle voca-

zioni, questa non può essere data che dalla gioia. È un motivo prediletto da Bernanos. Nel suo romanzo La gioia presenta la protagonista a colloquio con il suo maestro di spirito: “Figliola, quanto è messo al vivo dall’orgoglio non si cura della pazienza né della dolcezza … È come versare una goccia d’acqua su un ferro incandescente”. “Allora gli risponde-va la fanciulla, sfidando con i suoi quieti occhi, se pazienza e dolcezza non possono nulla, basta la gioia, la gioia che viene da Dio…”. Ad essa va riconosciuta una forza irresistibile in grado di convince-re. Perché ci siano persone invogliate ad abbracciare la vita religiosa non bastano le argomentazioni del dotto né la bravura di chi sa parlare né l’abilità di chi sa esporre la nobiltà d’un ideale. Costoro mietono ammirazione, ma non basta per trascinare nella sequela. Vale molto di più il volto felice. Esso non ha bisogno di molti discorsi né di gesti spettacolari, parla già di per sé anche senza volerlo.

Si sa, la gioia è un dono, in quan-to tale nessuno se la può dare. La può tuttavia desiderare e disporre lo stato d’animo alla sua accoglienza, domi-nando gli impulsi istintivi, le fiammate dell’ira, mortificando la lingua, le spinte alla vendetta ed è già quanto basta per creare un’atmosfera gradevole. Se non è data per natura la gioia, si può fare mol-to per favorirla. L’apostolo Paolo impar-tisce al riguardo delle ricette adeguate: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda, siate lieti nella speranza, solleciti per le neces-sità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità, non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece” (Rm 12,9ss). Dal religioso non si può pretendere che sia perfetto, ma che

Page 15: Come Tralci n. 9 2015

– 259 –

sia una persona contenta. Solo soste-nuto da questo sentimento elementare può far proprio l’invito alla sequela e suscitare interesse. Purtroppo le comu-nità religiose così come si presentano non sono edificanti come non lo è la società che non ci viene in soccorso. Questo però non dev’essere un moti-vo di resa anche se spesso sconforta. La gioia di cui noi dovremmo essere i testimoni viene da Dio, in quanto tale passa al di sopra delle alterne vicissitu-dini della storia.

…..Una volta che passiamo ad un con-

fronto con la testimonianza delle nostre comunità, si deve costatare che esibi-scono molte figure edificanti per lo più liete, come pure esempi di individui scontenti, invidiosi, orgogliosi, ambi-ziosi e talvolta anche meschini fino al ridicolo. A portare malumore e irrita-zione non manca a volte chi riveste una certa autorità, esercitata in pessimo modo, tanto da guastare l’armonia del gruppo. Ci sono alcuni che sopportano come dei crocifissi, altri al contrario si comportano come crocifissori. Fortuna-tamente si tratta di casi limitati, che si ripetono però molto frequentemente nelle comunità femminili. È penoso ascoltare in confessione recriminazio-ni esasperate contro persone che sono alla guida d’un determinato incarico. Ci sono umiliazioni che potrebbero esse-re evitate se ci fosse un po’ di tatto. Le lamentele sono soprattutto di persone anziane, bisognose di cure. Se costoro fossero efficienti, impegnate in un’at-tività apostolica, potrebbero superare con meno difficoltà certi conflitti. Non è così di persone, una volta cariche di

entusiasmo ed attive nel servizio degli altri ed ora costrette ad un riposo for-zato.

La gioia non può convivere con un animo amareggiato e tanto meno delu-so. Se essa è l’unica opportunità per attirare vocazioni, si è impegnati in un compito delicato e difficile. Siamo così avari di gioia – esclama Bernanos – e ciò perché si è poveri di fede. Se quella non posasse in Dio sarebbe un senti-mento aleatorio, volubile quanto sono volubili gli intrecci degli eventi che ci toccano in sorte. È la fede che assicu-ra continuità e stabilità alla gioia, non un successo o una sorpresa lieta. Siamo poveri della gioia perché siamo poveri di fede. Nietzsche muove un rimprove-ro tutt’altro che irrilevante: “Altre can-zoni dovrebbero cantare perché io credessi al loro redentore, più redenti dovrebbero apparirmi i suoi discepoli”. Finché si into-nano lamenti e si cantano nenie non si può pretendere di guadagnare seguito. Non si offre quello di cui l’uomo, non appena si risveglia a se stesso, avverte la mancanza. Se il clima culturale non ci aiuta, è necessario resistere fino alla fine per essere all’altezza del proprio manda-to (cfr. Mt 10,22).

Ci rimane una sola arma: la testimo-nianza dell’anima lieta. Nella sua sem-plicità essa è in grado di rispondere in modo signorile alla domanda di parten-za: perché i poeti, nel nostro caso perché i religiosi, nel tempo della povertà? Perché infondono fiducia nonostante le tribo-lazioni, sono l’esempio d’una serenità che irradiano con il loro stile di vita.

P. Mario Bizzotto

Anno della Vita Consacrata

Page 16: Come Tralci n. 9 2015

– 260 –

QUALE FUTURO PER LA VITA CONSACRATA

Due religiosi, a noi noti per motivi diversi, ci presentano, alla luce della loro esperienza di Vita Consacrata, due riflessioni. Conflittuali o complementari?

Ma cosa sta succedendo nella vita religiosa, visto che nemmeno essa vive in modo convinto quest’anno che la riguar-da? Sono impressionanti il silenzio, la disillusione, la stanchezza, l’inerzia di molti appartenenti a questa vita che sem-bra aver perso il suo sapore e la capacità di segni profetici.

Così la vita religiosa muore e la si aiuta a morire. Ognuno però si assuma le proprie responsabilità perché in un’epoca in cui le persone sono fragili e le sequele con-traddette, in cui i legami vengono meno e l’appartenenza diventa affettiva e non più comunitaria, occorrerebbe un richiamo alla “fortezza, alla coerenza, alla perse-veranza ai voti, all’oggettività di una vita comune non soggetta a personalismi”. Una vita religiosa, cioè, radicata nella chiesa locale, sotto la vigilanza del vesco-vo o dell’autorità della congregazione, una vita trasparente che, senza cercare di essere ammirata, sia presente nel tessuto ecclesiale e sociale. Crisi pasquale, quindi, o scomparsa, dol-ce morte nel silenzio generale? Eppure un resto rimarrà: se anche la vita religiosa fosse ridotta a un ceppo, ma quel ceppo sarà santo, allora sarà capace di offrire ancora qualche nuovo virgulto.

Enzo Bianchi

Page 17: Come Tralci n. 9 2015

– 261 –

Si sta per concludere l’Anno dedica-to dal Papa alla Vita Consacrata. Alla meraviglia del noto commentatore di avvenimenti religiosi, Enzo Bianchi, che denuncia come quest’anno specia-le sia stato gestito “sottotono” perfino dai diretti interessati, i Religiosi, se ne può aggiungere un’altra di meraviglie. Come mai si è arrivati a sentire l’esi-genza di istituzionalizzare un tale anno speciale?

Mi pare sia un po’ da ingenui mera-vigliarsi, come lascia intendere Enzo Bianchi, di una certa fiacchezza religio-sa di celebrazione e sia proposta “statim” la terapia (a noi famigliare ma sempre fallace): dovere, responsabilità, coeren-za, mortificazione, perseveranza, ecc. Ogni pianta cresce bene solamente alla luce e al calore del sole.

Mi pare che Enzo Bianchi distin-gua tra appartenenza affettiva e appar-tenenza comunitaria nell’ambito della Vita Religiosa consacrata, privilegiando questa ed avanzando riserve a proposito della prima.

Ma se non c’è nella vita, in ogni vita, la prima esigenza, la seconda si trasformerà per davvero in quel “mea

maxima penitentia vita communis” di chi è sempre perciò alla ricerca della pagliuzza e non si accorge della trave. Enzo Bianchi conclude la sua “provo-cazione” spingendoci nella dimensione prevalentemente moralistica, sorvolan-do sul carattere salvifico dell’esperienza religiosa. È sempre stato e sempre sarà che più l’angoscia esistenziale di un gruppo diventa grande e più autorita-rio diventa il sistema di direzione e di governo nell’intento di risolvere il pro-blema, non si approda alla salvezza ma alla totale rovina.

Un tempo, la vita “stricte religiosa” era il massimo dell’ideale. Una volta la religiosità in genera era segnata dalla Croce, dalle mortificazioni. I migliori religiosi erano quelli che si mortifica-vano di più, che facevano più sacrifici. Oggi si blatera “di gioia, di vita fraterna, di comunità/famiglia” ma anche queste possono essere etichette appiccicate. La gioia come il coraggio nessuno se li può dare se non li ha nel cuore, attraverso la fede-fiducia di essere “persona amata dal Padre Celeste”.

P. Domenico Ruatti

Page 18: Come Tralci n. 9 2015

– 262 –

FESTA A BUCCHIANICO‘TRE GIOVANI PRENDONO I VOTI CON I CAMILLIANI’

Bucchianico: hanno emesso i voti e si sono consacrati nel servizio ai mala-ti. La patria nativa di San Camillo De Lellis abbraccia l’ingresso nell’Ordine dei Camilliani di tre nuovi religiosi che ieri mattina, durante la messa solenne nella chiesa di Sant’Urbano, hanno emesso la loro prima professione religio-sa professando i voti di castità, povertà e obbedienza e, secondo il carisma di San Camillo, si sono consacrati con il quarto voto del servizio dei malati sia negli ospedali e sia in qualunque altro luogo, anche con il rischio della vita e hanno indossato per la prima volta l’a-bito camilliano nero con la croce rossa sul petto.

Nicola Mastrocola, 31 anni, di San Martino sulla Marrucina; Walter Vin-ci, 30 anni, di Mesagne, in provincia

di Brindisi, e Dario Malizia, 40 anni, di Palermo, hanno risposto alla chia-mata di Dio davanti a parenti, amici, a trenta sacerdoti arrivati dalla Provincia Romana e Siculo-Napoletana che han-no concelebrato la messa e alla folla di fedeli presenti alla messa domenicale. La cerimonia è stata presieduta dall’ar-civescovo emerito di Brindisi-Ostuni, monsignor Rocco Talucci, mentre i voti sono stati ricevuti dal padre supe-riore provinciale Emilio Blasi.

“Con la professione religiosa siete chiamati a rassomigliare a Gesù e a San Camillo”, ha detto l’arcivescovo Taluc-ci nell’omelia. Poi si è rivolto ai tre religiosi portando alla folla di credenti intervenuti le loro vite come esempio di fede e conversione: “Tu, Walter, quando mi hai detto di voler diventare

Bucchianico, 6.9.2015. I giovani Camilliani Nicola Mastrocola, Walter Vinci e Dario Malizia

con il sorriso sul volto e la gioia nel cuore nel giorno della loro Professione Religiosa.

Page 19: Come Tralci n. 9 2015

– 263 –

CON IL CUORE PERPETUAMENTE RIVOLTO A DIO!Professione Solenne di Antonio Zinni

Quest’anno, dedicato alla Vita Consacrata, la nostra Provincia Reli-giosa sta vivendo molti momenti di grazia, fra cui la Professione Solenne di Antonio Zinni.

Antonio, originario di Vasto, dopo un lungo periodo lavorativo, ha intra-preso il discernimento vocazionale per consacrarsi a Dio, che l’ha portato a fare il suo ingresso nell’Ordine dei Ministri degli Infermi, ben otto anni fa.

Che cosa augurare ad Antonio in questo giorno molto importante per la sua vita di uomo e di uomo consacrato perpetuamente a Dio?

Bene! Non bisogna andare in cerca d’immagini o espressioni articolate per augurare buon cammino ad Antonio, basta prendere seriamente e concreta-mente quanto ha promesso il 12 luglio, nella Chiesa di Sant’Urbano in Buc-chianico, durante la solenne Celebra-zione Eucaristica presieduta da Padre Emilio Blasi, superiore provinciale e concelebrata da numerosi sacerdoti.

Preghiera litanicaIl rito della Professione Perpetua

prevede, dopo l’interrogazione, la pre-ghiera litanica e la prostrazione sulla nuda terra.

camilliano io ti ho chiesto se stavi fug-gendo dalla tua diocesi, se chiedevi di più dalla vita e se conoscevi il carisma di San Camillo De Lellis. Tu mi hai risposto di essere sicuro della tua scel-ta e che comprendevi l’importanza del tuo passo e io ti ho dato la mia bene-dizione. Nicola, tu hai conosciuto la malattia e con essa hai aperto gli occhi e hai capito che Dio è vicino a chi sof-fre. Mentre, tu, Dario sei avvocato, hai conosciuto gli affetti della vita, e avevi davanti a te un mondo comodo ma non ti sentivi soddisfatto. Quando hai speri-mentato la vicinanza ai più poveri hai trovato la vera gioia e non hai avuto paura di saltare il ponte invisibile che ti ha legato ai malati e ti darà la salvezza”.

Commovente il momento della vestizione dei tre religiosi che per la prima volta hanno indossato l’abito camilliano davanti a Dio e ai fedeli. La comunità ha accolto con un caloroso applauso l’entrata nell’Ordine dei tre religiosi e la giornata è proseguita con una grande festa a cui erano invitati gli amici e i parenti arrivati da tutto il Centro-sud Italia. I tre giovani oggi faranno ritorno allo studentato camil-liano di Roma e continueranno per altri tre anni il loro periodo di formazione e di attività prima di poter approdare alla professione perpetua che, per chi vorrà, farà accedere all’ordinazione presbite-rale.

Debora Zappacosta

Anno della Vita Consacrata

Page 20: Come Tralci n. 9 2015

– 264 –

Che cosa vuol significare questo profondo momento?

Con la preghiera litanica si chie-de l’intercessione della Beata Vergine Maria e dei Santi affinché il candidato si possa identificare a coloro che sono stati maestri e guida nel cammino terre-no e chiedere loro l’intercessione sulla sua vita e sul suo ministero. Ad imma-gine dei Santi operare nel mondo, per il mondo e con il mondo.

Tale momento è caratterizzato dal-la prostrazione sulla nuda terra. Segno tanto discreto e umile quanto profondo e intenso per chi lo vive. Sii, sulla nuda terra a richiamarci l’umiltà, la semplici-tà, la povertà nel vivere la propria scelta di vita.

Allora, carissimo Antonio, il pri-mo augurio che ti facciamo: Sii, sem-pre umile, semplice, povero, docile agli insegnamenti della Chiesa, nella Chiesa

e a servizio degli uomini. Ricordati ogni momento del tuo servizio in ospedale e in comunità di questa prostrazione che hai compiuto il 12 luglio e che culmine-rà gli ultimi istanti della vita. L’umiltà, la povertà, la semplicità rende nobile il religioso, soprattutto il camilliano, che anche con il pericolo della vita serve gli ammalati, nostri signori e padroni.

La consegna del Crocifisso“Ricevi la croce di Cristo, segno di

risurrezione e di vita: essa ti ricordi la con-tinua presenza del Signore accanto a noi e il costante impegno a servizio dei fratelli sof-ferenti”. Siano queste parole, carissimo Antonio, lapidarie nella tua vita. Ogni uomo, a maggior ragione ogni consacra-to, agisce in nomine Christi. Ogni nostra parola, ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero è a nome di Cristo, per Cristo e con Cristo. Allora tutto è vissuto in

Bucchianico, 12 luglio 2015.Il Superiore Provinciale riceve la Professione Solenne di Antonio Zinni.

Page 21: Come Tralci n. 9 2015

– 265 –

maniera diversa, ma soprattutto tutto è accompagnato dalla misericordia di Dio.

Il Cristo crocifisso ci ricorda la con-tinua presenza nella nostra vita della morte e della risurrezione. La nostra vita è un continuo morire e risuscita-re a vita nuova. Inoltre, noi camilliani, siamo chiamati ad accompagnare l’am-malato a morire e a vivere a vita nuova, sia fisicamente che spiritualmente.

L’abbraccio di paceIl rito della professione perpetua è

suggellato dall’abbraccio di pace con i confratelli presenti. Tale gesto indica l’incorporazione del neo professo all’in-terno della grande famiglia religiosa.

L’abbraccio di pace, oltre ad indica-re l’accoglienza all’interno dell’Ordine, a mio avviso, ha e deve avere un altro significato molto più profondo: diventa-re comunione.

Il termine comunione etimologica-mente significa “con-unione”, unione di più persone, o meglio l’armonia che c’è tra due o più persone.

Siamo chiamati, ad essere un unico corpo all’interno della Chiesa, un’uni-ca famiglia camilliana. Quanto è brutto quando all’interno di un Ordine non troviamo un’unica comunità, ma diver-se e sparse “isole”. Ricordiamoci che ci siamo consacrati per essere unione, per essere armonia nella Chiesa, nel mon-do, nell’Ordine religioso, nella Provin-cia Religiosa, nella Comunità di appar-tenenza.

Solo vivendo questo possiamo dire che abbiamo messo in pratica e vissuto in pieno quanto professato.

Carissimo Antonio, allora, duc in altum! Prendi il largo…

Walter Vinci

Padre Emilio Blasi riceve la Professione Solenne di Antonio Zinni.

Anno della Vita Consacrata

Page 22: Come Tralci n. 9 2015

– 266 –

Festa ad Haiti LA PROFESSIONE RELIGIOSA DI JAMES, JEAN E JOUBENCY

Cari amici, è con immensa gioia che celebriamo

questa Eucarestia nella quale James JEAN, Jean Charles MAXO e Joubency Guilaire BLAISE, figli di questa bella ter-ra haitiana, faranno la loro professione religiosa ed entreranno ufficialmente a fare parte dell’Ordine Camilliano. Emetteranno i voti di povertà, castità, obbedienza e servizio ai malati anche con il pericolo di vita.

Siamo nell’anno della Vita Con-sacrata indetto da Papa Francesco e la Chiesa chiede a tutti i consacrati, e in modo particolare a noi Camilliani, una radicalità nel vivere i consigli evange-lici e ci invita a un rinnovamento pro-fondo della nostra vita religiosa, affin-ché possiamo essere “sale della terra e luce del mondo”.

Siamo chiamati e inviati dal Signo-re, con la certezza che Lui non ci abban-donerà, neanche nei momenti più bui della nostra vita, nei quali tante volte alla fede e alla speranza subentrano il buio e la disperazione. “Non abbiate pau-ra” è la parola d’ordine del Signore a ognuno che crede in Lui.

Il Vangelo di oggi manifesta il pun-to di svolta nel cammino di Gesù e dei suoi discepoli.

Marco ci conduce dietro a Gesù per un lungo viaggio che ci porta al Calva-rio, dove Gesù sarà riconosciuto come figlio di Dio.

La domanda che Gesù rivolge, quasi a sorpresa, ai suoi discepoli è la stessa che rivolge a ognuno di noi e alla quale ci invita a dare una risposta: “Ma voi chi dite che io sia?”.

La folla era confusa, come lo siamo tante volte noi quando pensiamo e par-liamo di Dio.

Ha sconvolto i suoi non solo ordi-nando loro di fare silenzio ma dicendo loro che la strada da percorrere sarebbe stata di sofferenza, rifiuto, morte e resur-rezione, li ha talmente scandalizzati al punto che Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera.

Credo che anche noi che siamo abi-tuati a pensare Dio come l’onnipotente, facciamo fatica ad accettare Gesù nella sua umanità e nella sua debolezza.

Dio si manifesta pienamente nella fragilità di Gesù poiché è una fragilità che nasce dall’amore per l’umanità, per ognuno di noi.

Il nostro è un Dio fragile, ma fra-gile per amore e nell’amore sta la Sua potenza.

Dio interviene nella storia dell’uo-mo per salvarlo e non per condannarlo.

Isaia ci presenta un Messia che si realizzerà in Gesù e che è diverso da quello che si aspettavano gli ebrei. Il popolo ebraico aspettava un Messia che lo liberasse dal dominio romano e Dio si presenta nella fragilità della persona di Gesù.

Fragilità che scandalizza per primi i suoi discepoli, a cominciare da Pie-tro, fragilità che scandalizza anche noi quando non sappiamo aprire il cuore a questo amore che salva e non condan-na.

Il percorso della fede e della seque-la è tante volte tormentato come pos-siamo vedere da Pietro che addirittura rimprovera il Signore dopo aver ricevu-

Page 23: Come Tralci n. 9 2015

– 267 –

to l’investitura del primato: “Tu sei Pie-tro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Nello stesso contesto Gesù dice a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana, perché ragioni secondo gli uomini”.

Pietro è un uomo e ragiona da uomo inserito in un’epoca, in una cultura e la sua conversione sta nella capacità di cambiare il modo di ragionare e passare a ragionare come Dio.

Passare dalla logica del mondo, dove la forza sta nella legge che non perdona, alla logica del regno, dove l’a-more supera la legge perché porta in sé il perdono e la salvezza, è lo sforzo che deve fare ogni cristiano. Questo si chia-ma conversione.

Anche noi siamo figli di un tempo e di una cultura e facciamo fatica a vivere i valori che Gesù ci propone, facciamo

fatica a perdonare e ad accettare l’uo-mo nella sua debolezza e fragilità, ma soprattutto facciamo fatica a sentirci bisognosi di salvezza e non apriamo il cuore alla trasformazione che Dio vuole operare in noi.

Il discorso di Gesù ha il suo riferi-mento non nella cultura del mondo che assoggetta gli uomini creando divisioni – ricchi, poveri, colti, ignoranti – ma nella cultura di coloro che non contano e che vivono giorno dopo giorno nella speranza che la vita migliori.

La speranza messianica è il luogo di incontro tra la parola di Dio e il mondo

Haiti, 13/09/2015. La Comunità Camilliana haitiana è in festa. P. Joaquim Paulo Cipriano ha accolto la Professione Religiosa di tre giovani: James Jean, Jean Charles Maxo e Joubency Guilaire Blaise.

Anno della Vita Consacrata

Page 24: Come Tralci n. 9 2015

– 268 –

degli esclusi, pensare secondo gli uomi-ni, come dice Gesù, è pensare secondo lo spirito di potenza e di dominio.

Se Pietro rimprovera Gesù è perché sente che le Sue parole porteranno la gente ad allontanarsi e a perdere il Suo potere sulle folle, come era già successo quando tanti altri discepoli, dinanzi ai Suoi discorsi, si erano allontanati mor-morando: “Hai parole troppo dure”.

Ancora oggi chiunque ricorda che la predilezione di Dio passa attraverso gli esclusi (e gli esclusi non mancano) e che la passione di Cristo continua nei poveri, turba il sistema sociale e reli-gioso e viene tacciato di essere incauto e rimproverato. Il primo ad essere rim-proverato fu Gesù proprio da colui che aveva messo a capo della Chiesa.

Cari confratelli e cari amici, se ci disponiamo a seguire le orme di Gesù prepariamoci al rimprovero: “Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia… perché vostro è il regno dei cieli”.

Quando accettiamo l’ideologia del tempo e la logica del mondo, che cre-ano divisione e ingiustizia, diventiamo anche noi Satana, ossia assoggettiamo il messaggio evangelico alla mentalità del mondo.

Questo pericolo lo corriamo tut-ti e in modo particolare gli uomini di Chiesa, poiché quanto più grandi sono le responsabilità, tanto più grandi sono i rischi che si corrono.

Il conflitto tra Pietro e Gesù è e rimane ancora oggi un conflitto inter-no alla Chiesa.

Quanti cristiani, laici e religiosi, sono stati messi a tacere per le loro parole scomode in difesa degli ultimi, dei poveri, degli esclusi?

Se nelle nostre assemblee e comu-

nità non c’è posto per queste persone le nostre sono comunità che svolgono il loro ruolo a metà.

Se nella nostra vita di consacrati, come Camilliani, manca la compas-sione verso queste persone e il tempo per accoglierle e dialogare con loro, la nostra resta una consacrazione a metà.

Seguire Gesù e rinnegare se stessi, per un Camilliano si manifesta nella donazione e nel servizio totale a favore dei poveri e dei malati che portano su di sé il peso della sofferenza, della malattia e dell’ingiustizia.

Se stiamo dalla parte di queste per-sone, non sbaglieremo mai, perché in loro scopriremo il volto misericordioso di Dio.

Come diceva San Camillo “i poveri e i malati sono i nostri signori e padroni”.

“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ecco la frase che ha portato Pietro a rimproverare Gesù.

Che cosa significa rinnegare noi stessi e a che cosa dobbiamo rinuncia-re e per che cosa poi…? Questa è la domanda alla quale ognuno di noi è invitato a dare una risposta.

Cari James, Guilaire e Jean Char-les, il Signore chiede che lasciamo da parte i nostri interessi, i nostri progetti e i nostri sogni e che prendiamo a cuo-re la sorte dei nostri fratelli più poveri, più abbandonati e specialmente i più malati.

Se crediamo in Gesù la nostra pre-occupazione per il regno si deve manife-stare in una preoccupazione per l’uomo, soprattutto per queste persone.

Dio non ha bisogno di essere salva-to da noi, ma ha bisogno della nostra collaborazione per riportare all’umanità

Page 25: Come Tralci n. 9 2015

– 269 –

sofferente la dignità che la vita gli ha rubato.

Gesù non viene per ripristinare una religione, un codice morale o dei buoni principi, ma viene per valorizzare l’uo-mo cominciando dal più povero e più abbandonato che soffre il peso dell’in-giustizia, della malattia e della miseria.

La gloria di Dio, come dice il sal-mista, è l’uomo vivente e questa gloria non sta nelle grandi celebrazioni piene di pompa, ma nel recupero dell’essere umano e della sua dignità.

Cari confratelli James, Guilaire e Jean Charles, avete appena finito un anno di noviziato, in un paese straniero, eravate stranieri in terra straniera, così che portate nel vostro bagaglio umano l’esperienza della nostalgia per la vostra Patria e potete capire meglio le migliaia e migliaia di perseguitati e rifugiati che vagano in paese in paese cercando rifu-gio, pane e lavoro.

Non chiudete mai gli occhi alle loro necessità, se il buon Dio vi ha permes-so di fare questa esperienza di allonta-

namento dai vostri cari e dalla vostra cultura, usate la vostra esperienza per aiutare chi si trova in queste situazioni.

Avete lavorato con malati gravi e meno gravi, con poveri e abbandonati, questo vi ha arricchiti umanamente, vi ha dato la possibilità di aprire il vostro cuore, ebbene usate queste ricchezze a favore di tutti i malati che troverete nel vostro percorso di consacrati facendo particolare attenzione ai più miserabili, come avete fatto in Africa.

“I malati sono i nostri signori e padro-ni”, diceva il nostro caro San Camillo.

Ecco come possiamo mettere in pratica le parole di Gesù “chi vuole seguirmi rinneghi se stesso”: a che cosa possiamo noi rinunciare? Rinunciare al nostro tempo, ai nostri desideri, bisogni e sogni per realizzare il sogno, il proget-to di Dio in Gesù.

Rinunciare ai nostri ideali per rea-

I tre nuovi Confratelli James, Jean e Joubency che danno gioia e speranza alla realtà camilliana in Haiti.

Page 26: Come Tralci n. 9 2015

– 270 –

lizzare l’ideale di Cristo, che era fare la volontà del Padre.

Ed è a questa collaborazione con Dio per la salvezza dell’uomo, che Dio ci invita a partecipare con la nostra vita, dimenticando noi stessi.

Avete sperimentato nel “deserto” con la preghiera, la meditazione e l’a-scolto della parola quanto Dio vi è stato vicino, quanto è grande il Suo amore per ognuno di voi e quanto è potente la forza del perdono di un Dio che non tiene in conto il peccato dell’uomo, ma che trasforma la vita liberandoci dalla paura e facendoci diventare creature nuove.

Questa esperienza di gioia e sere-nità, insieme a una sete di giustizia, il buon Dio vi ha permesso di farla affin-ché possiate essere di aiuto all’uomo che smarrisce la strada della vita e si trova per i sentieri oscuri di morte e sofferenza.

Tutti noi, specialmente i consacra-ti, abbiamo un compito fondamentale: continuare a cercare Dio dopo averlo trovato. È l’unico modo per poter conti-nuare a fare la Sua volontà, poiché Dio non si lascia possedere ma in Gesù ci invita a seguirlo come ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Forse il nostro grande sbaglio tan-te volte è pensare che di Dio abbiamo capito tutto, e che dobbiamo solo dire agli altri cosa devono o non devono fare.

Tante volte usiamo un linguaggio talmente freddo e autoritario che riu-sciamo a ottenere l’effetto contrario, ossia allontaniamo da Dio quelli che lo cercano.

Parlare di Dio è sempre un rischio, e

il rischio più grande è quello di far dire a Dio ciò che Dio non ha mai detto. Parlare di Dio richiede umiltà, pazienza, dolcezza e retta coscienza, solo così pos-siamo parlare dell’amore di Dio. Parlare di Dio ad un uomo, per giunta malato, richiede tanto rispetto per il suo dolore, la sua sofferenza, che tante volte non capiamo.

Molte volte al malato si parla più con la presenza, tante volte silenziosa, perché per certi drammi umani non ci sono parole e allora ogni parola è vana e lascia il tempo che trova.

Sapersi mettere al posto di chi soffre è il primo atteggiamento del cristiano e del Camilliano, e bisogna chiedersi: “Come mi sarei sentito se fossi stato nella sua situazione?”. Solo così possia-mo farci prossimi di chi ha bisogno di noi. “Chi di loro è stato il suo prossimo?” chiede Gesù al dottore della legge; “Chi ha avuto cura di lui.”

Come vedete cari confratelli il Signore ci consacra, ci invia ad annun-ciare al povero la buona novella e noi siamo chiamati a restare fedeli a questo comando, la nostra fedeltà sta nel dare sempre la precedenza ai poveri, soprat-tutto se malati.

Gesù ci invita a collaborare nella realizzazione del Regno che, come dice San Paolo: “Non è questione di mangiare o di bere, o di cose materiali, ma è pace, giustizia e gioia dello spirito”. Valori che creano fraternità negli uomini e comu-nione con Dio.

Gesù strappa i discepoli dai loro ide-ali, dai loro sogni di gloria, mettendoli sul cammino della croce, che è la via della donazione totale di se stessi.

P. Joaquim Paulo Cipriano

Page 27: Come Tralci n. 9 2015

– 271 –

INCONTRO A CAPRIATEGIORNATA DELLA FRATERNITÀ ALL’INSEGNA DELLA VITA CONSACRATA.

Si è svolta mercoledì 23 settembre a Capriate S. Gervasio (BG), presso la casa Provincializia, la Giornata della Fraternità 2015.

Alle 9.30 erano previsti gli arrivi, e nelle comunità della Nord Italia in molti hanno scelto di partecipare all’in-contro. La giornata della Fraternità è l’appuntamento annuale nel quale tra confratelli festeggiamo gli anniversari di professione religiosa e ordinazione sacerdotale; quest’anno, dedicato alla Vita Consacrata, la giornata richiamava una delle tematiche dell’anno, la gioia di essere religiosi, e di conseguenza alla festa, soprattutto per coloro che com-pivano l’anniversario. I festeggiati per gli anniversari erano i primi invitati; vi hanno partecipato in molti, alcuni era-no assenti giustificati per lontananza o malattia, altri semplicemente assenti; ecco i festeggiati:

50° Prima ProfessioneP. Bonaldi Giovanni (Verona S. Giuliano), P. Corradi Erminio (Verona S. Giuliano), P. Lovera Domenico (Torino Villa Lellia), P. Montin Zeffirino (Milano Niguarda), P. Pangrazzi Arnaldo (Roma), P. Ramponi Luciano (Colombia), P. Scapin Camillo (Perù), P. Zanotti Luigi (Verona S. Giuliano).

60° Prima ProfessioneP. Alberton Giuseppe (Rossano Veneto),

Fr. Aldegheri Angelino (Milano S. Camillo), P. Metrini Dorino (Verona S. Giuliano), P. Michelini Giancarlo (Taiwan), P. Rizzi Celestino (Taiwan), P. Roccabruna Renzo (Trento).

70° Prima ProfessioneP. Nicolodi Ettore (Capriate S. Gervasio), P. Rizzi Giovanni (Taiwan).

25° SacerdozioP. Cadorin Guglielmo (Milano Niguarda), P. Montagna Pietro (Torino Cappellanie), P. Ratti Riccardo (Predappio), P. Viganò Alessandro (Venezia).

50° SacerdozioP. Calderaro Ermenegildo (Thailandia), P. Ghilardi Cesare (Genova),

Anno della Vita Consacrata

Page 28: Come Tralci n. 9 2015

– 272 –

P. Leso Cristiano (Perù), P. Locci Efisio (Roma), P. Te Nuzzo Armando (Thailandia).

60° SacerdozioP. Florio Diano (Verona S. Giuliano), P. Spagnolo Francesco (Capriate S. Gervasio), P. Zambiasi Mario (Besana Brianza).

Il momento della festa si è celebra-to dapprima, ore 12.30, attorno alla Mensa Eucaristica, e poi è continuato attorno a quella mangereccia, con un ottimo menù quasi integralmente a base di pesce.

Ma facciamo un passo indietro; il primo momento della giornata, dopo i convenevoli, è stata una riunione

assembleare nella quale era proposto un tema che ognuno di noi dovrebbe sen-tire di scottante attualità: “La pastorale giovanile e vocazionale”.

Relatrice era Suor Katia Roncalli delle Suore Francescane Alcantarine (laureata in Pedagogia presso l’Univer-sità Cattolica di Milano, e collabora-trice della CEI, CEE, dell’USMI e del CISM, per il servizio della Pastorale Vocazionale e Giovanile e l’Area For-mazione), una suora giovane, brillante e soprattutto concreta.

Suor Katia ha lanciato diverse provocazioni sul tema della pastorale giovanile-vocazionale, sottolineando in più passaggi come un punto fermo per rilanciare la pastorale è la nostra fede, la testimonianza, e l’annuncio del Vangelo come primo atto da cui partire per impostare un cammino vocazionale; ognuno di noi è chiamato a sentire l’e-vangelizzazione come parte costitutiva della propria vocazione.

Partendo dal brano di Mt 5,16 dove Gesù ai discepoli dice: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”, Sr. Katia ha posto alcuni interrogativi di stimolo e aiuto al nostro essere religiosi.

La domanda “grande”, quella impor-tante che ognuno di noi deve farsi, è questa: Quello che facciamo tutti i gior-ni è opera dell’annuncio del vangelo? Le nostre opere hanno il sapore della paterni-tà di Dio? Non si può essere religiosi se non ci si è lasciati evangelizzare e non è scontato anche dopo tanti anni di vita religiosa sentire nel cuore il bisogno di essere evangelizzati ancora.

Una seconda domanda: È acceso il fuoco della memoria, da cosa Cristo ti ha

Capriate San Gervasio (BG).Alcuni dei festeggiati, al termine della Celebrazione Eucaristica, sotto la protezione benedicente del Risorto.

Page 29: Come Tralci n. 9 2015

– 273 –

salvato, e come continua questa opera di salvezza nella nostra vita? Il peccato più grave è la superbia di chi pensa di non aver bisogno ancora di salvezza.

Una terza domanda: Senza il vangelo gli uomini moriranno! Questa affermazio-ne ci trafigge l’anima, la sentiamo come qualcosa che non ci lascia in pace?

Da questi interrogativi, ai quali ognuno di noi è chiamato a dare delle risposte, alcuni suggerimenti concreti.

Qual è la mentalità eccle-siale della nostra provincia? C’è una conversione gran-de da fare; fede, mentalità ecclesiale, carisma sono temi che vanno riportati alla luce come la matrice del nostro modo di fare pastora-le giovanile-vocazionale.

È il Signore che ha finito di chiamare alla vita consacrata? o c’è qualche altra cosa…: fede, vita spirituale seria, vita fraterna e qualità della vita insieme, e l’annuncio diretto del vangelo, sono le basi da cui sono ripartite le congregazioni che oggi riescono ancora ad avere vocazioni.

Ritornare quindi a credere per tor-nare a sperare, a rivedere Cristo vivo nella nostra vita.

Sull’esempio dei nostri fondatori, che sono stati profetici aprendo spazi che nessuno vedeva, torniamo alle radi-ci della chiamata che ha radici nel dono della profezia, una conversione grande.

Si presenta la necessità di aprire un nuovo cantiere di lavoro: ripensare la pastorale vocazionale dentro un progetto più ampio, di evangelizzazione e pastorale giovanile per tutte le vocazioni.

La vocazione inizia con l’annuncio del kerygma, del Vangelo, ritornare quindi ad evangelizzare con un progetto catechetico serio; i giovani hanno sete di qualcosa che li disseti per davvero.

Come Provincia siamo in grado di offrire, pensare, maturare, pregarci sopra insieme, un cammino di evangelizzazione per giovani e adulti per tutte le vocazioni?

Mettiamo la nostra vocazione a servizio dell’evangelizzazione, si deve

partire da dove si è; è que-sta la prima domanda che Dio fa all’uomo: dove sei?. L’evangelizzazione ha un grande compito: restituire alle creature il diritto di amare e sentirsi amati, è questa la vocazione radi-cale di tutti.

Se le nostre relazioni non sono autentiche cosa possiamo offrire? La qualità delle nostre relazioni deve misurarsi partendo dal-la conversione della vita

fraterna, questa è una nostra grande responsabilità.

Dopo il kerygma abbiamo un com-pito didascalico, nei confronti dei gio-vani, aiutare la gente a fare i nessi tra la Pasqua di Cristo e la vita concreta; ossia cosa c’entra Cristo con la vita di tutti i giorni.

La terza tappa è quella del discer-nimento vocazionale specifico, quello che noi vorremmo fare subito saltando le tappe precedenti.

Un progetto di evangelizzazione pastorale vocazionale giovanile unita-rio, autentico. È questa la sfida che ci aspetta.

P. Pasquale Anziliero

Anno della Vita Consacrata

La relatrice, Sr. Katia Roncalli

delle Suore Francescane Alcantarine.

Page 30: Come Tralci n. 9 2015

– 274 –

INTERVISTA A P. ALFREDO NEL 50° DI SACERDOZIO

Il 14 agosto di cinquanta anni fa P. Alfredo Buracchio veniva ordinato sacerdote nella Parrocchia di Bucchia-nico, sua città natale; per ringraziare il Signore del dono del sua ordinazione sacerdotale P. Alfredo ha concelebra-to una messa solenne nella Chiesa di Sant’Urbano con alcuni confratelli tra i quali il Consultore generale P. Laurent Zoungrana e il Provinciale P. Emilio Blasi.

P. Alfredo, durante l’omelia, mi ha colpito la tua esclamazione: “È bello fare festa tutti insieme: è la gioia con Dio!”. Sembra che tu abbia manifestato il desi-derio di gioire con il Signore o meglio di partecipare alla gioia del Signore per il dono del Sacerdozio che vivi con fedel-tà e generosità da cinquanta anni.

Dopo tanti anni di ministero sacer-dotale al servizio degli ammalati come definiresti l’uomo sacerdote?

Il sacerdote “è un uomo di compassione ponte tra Dio e il mondo”, questa afferma-zione lapidaria di Benedetto XVI eviden-zia la missione del sacerdote: immergersi con passione nel mondo per trasformar-lo e portarlo a Dio. Una missione forte dettata dall’esigenza di rispondere alle paure di una società sempre più smarrita. Quando penso al ministero sacerdotale mi viene in mente una frase del Vangelo di Matteo: “Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e candidi come le colombe” (Mt 1,16-17).

Il Provinciale P. Emilio Blasi nel ringraziarti per la generosità del mini-stero sacerdotale svolto in questi cin-quanta anni, ha ricordato che questo

anniversario può essere occasione per rileggere il cammino compiuto alla luce della fede e per far memoria della Sua presenza sia nei momenti belli come in quelli più faticosi e impegnativi.

Senza dubbio in questi anni ho provato il dolce e l’amaro del cammino sacerdotale, ma è anche vero che ho gustato sempre la gioia dell’incontro, dell’amicizia e dell’a-more del Signore. Sono passati cinquanta anni da quando sono stato ordinato sacer-dote e nella mia mente scorrono diverse esperienze pastorali che in questo tempo giubilare sono come le tessere del mosaico della mia vita, consapevole che i progetti di Dio, il cui amore “muove il sole e le altre stelle”, trascendono spesso le nostre visioni umane.

In questo mosaico della vita i nostri limiti si possono considerare delle “tes-sere sbiadite” utili per dare compiutezza all’immagine disegnata da Dio?

San Camillo è stato definito il guaritore ferito perché è stato capace di riconoscere le proprie ferite, fino a trasformarle in fonte di guarigione. Prendere coscienza dei limiti mi ha reso più umano ma sono convinto che una persona non può diventare san-ta prescindendo dalla sua umanità; forse nella mia vita ho puntato più sul fare con-sapevole che non potevo incontrare Cristo nel malato senza prima essergli diventato intimo nel silenzio e nella preghiera, ma è anche vero che questo limite ha generato nel mio spirito quella sana inquietudine che mi invita al cambiamento.

In questo giorno speciale era palpa-bile l’affetto delle tue sorelle e di tanti parenti che sono venuti a Bucchiani-co per festeggiare questo anniversario, quanto ha influito l’affetto dei tuoi

Page 31: Come Tralci n. 9 2015

– 275 –

Oggi a conclusione degli esercizi spirituali presso il Centro di spiritualità Nicola D’Onofrio, P. Alfredo Buracchio, camilliano, figlio di queste terre, ha festeggiato il 50° anniversario di Ordinazione Sacerdotale insieme ai confratelli della Provincia Romana e Siculo-Napoletana. I migliori auguri di serena e gioiosa vita religiosa!

cari in questi anni di vita consacrata al servizio degli infermi come sacerdote camilliano?

Durante l’omelia ho ricordato come la figura della mamma di Camillo abbia avuto una parte determinante sulla for-mazione affettiva che il nostro fondatore avrebbe riversato verso i malati. Penso che lo stesso valga per me, non ho dubbi che la scelta d’amore verso i malati è stata anche determinata dal desiderio di corrispondere l’amore ricevuto dai miei genitori e dalla mia famiglia.

Il tuo cammino formativo è inizia-to da giovanissimo, in tutti questi anni avrai conosciuto tanti confratelli che ti hanno sostenuto e incoraggiato con il loro esempio di vita, chi vorresti ricor-dare in questo giorno speciale?

Un religioso camilliano che tanto ha influito nella mia scelta vocazionale è stato fratel Carmine D’Angelo; la lumi-nosità del suo sguardo, la generosità, la passione di un ideale, e la sua totale e assoluta donazione a Dio hanno permea-to la mia vita di ragazzino e di chierichet-to, soprattutto durante il periodo estivo, quando tornavo qui a Bucchianico; dopo

tanti anni lo ricordo ancora con grande affetto, provo per questo confratello un sincero sentimento di riconoscenza.

P. Alfredo, un ultima domanda, anche se sono passati cinquanta anni ricorderai come ieri l’emozione del giorno dell’ordinazione e posso anche immaginare che avrai provato un senso di inadeguatezza alla chiamata di Dio; quest’anno la tua comunità è stata sede di noviziato, cosa potresti consigliare ai tre novizi che si apprestano alla prima professione religiosa?

Ricordo tutto benissimo, mi ripetevo quasi ossessivamente: sarò l’uomo di Dio? Ne sarò capace? Sarò all’altezza del mio compito? Sacerdote e peccatore come tutti gli altri uomini, ero chiamato a predicare parole che come scrive don Primo Mazzo-lari “sono più alte della vita del prete e lo condannano”… Iniziai a ripetere la frase del Salmo 23: “Anche se dovessi cam-minare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicu-rezza”, fu così che il timore scomparve e mi sentii più sollevato.

Dario Malizia

Page 32: Come Tralci n. 9 2015

PERÙ/LIMA50° DI SACERDOZIO E DI MISSIONE DI P. CRISTIANO LESO

P. Cristiano ha coronato la sua mis-sione, in una terra che era per noi “un sogno di opportunità, vale un Perù”, facendo memoria del suo mezzo secolo nella Terra degli Incas come missiona-rio camilliano.

Il 20 giugno 2015, con una solen-nità degna della fede e tradizione peru-viana, ha celebrato solennemente nella Chiesa di “Santa Maria della Buena Muerte” in Lima, il suo 50° di Sacerdo-zio e di Missione con la partecipazione della comunità camilliana religiosa e laica in Perù.

La festa vissuta con entusiasmo e riconoscenza dai giovani studenti camilliani e dai laici collaboratori è il “grazie’”di P. Cristiano al Signore per il dono del Sacerdozio e il “grazie” del-la Comunità peruviana a P. Leso per il suo dono operoso, silenzioso ed orante all’Istituto.

Una vita, una festa che sono segni di speranza per la Vice-Provincia che sta fiorendo con forze nuove per nuovi orizzonti camilliani in America Latina.

Lima, 29.6.2015. P. Cristiano Leso presiede la Celebrazione Eucaristica per il

suo 50° di Sacerdozio e di Missione in Perù. Gli fanno corona i Confratelli:

P. Giuseppe Villa, P. Camillo Scapin, P. Gerardo Diaz Lobato, Diac. Cleve Huaman, P. Norberto Aguilar Oliva

e Cardenas Vasquez.

Page 33: Come Tralci n. 9 2015

– 277 –

Anno Santo della Misericordia

LA BOLLA, LA PORTA SANTA: 10 (PIÙ UNA) COSE DA SAPERE

L’Anno Santo della Misericordia – come sottolinea una lunga nota esplica-tiva della Sala Stampa della Santa Sede – è stato annunciato nel secondo anni-versario dell’elezione di Papa Francesco, durante l’omelia della celebrazione peni-tenziale con la quale il Santo Padre ha aperto l’iniziativa 24 ore per il Signore. Come l’anno scorso questa iniziativa, proposta dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangeliz-zazione presieduto da monsignor Rino Fisichella, promuove in tutto il mondo l’apertura straordinaria delle chiese per invitare a celebrare il sacramento della riconciliazione. Il tema di quest’anno è preso dalla lettera di San Paolo agli Efe-sini: «Dio ricco di misericordia» (Ef 2,4).

Il ConcilioL’apertura del prossimo Giubi-

leo avverrà nel cinquantesimo anni-versario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel 1965, e acquista per questo un significato par-ticolare spingendo la Chiesa a conti-nuare l’opera iniziata con il Vaticano II.

Il Vangelo della MisericordiaNel Giubileo le letture per le dome-

niche del tempo ordinario saranno pre-se dal Vangelo di Luca, chiamato “l’e-vangelista della misericordia”. Dante Alighieri lo definisce “scriba mansuetu-dinis Christi”, “narratore della mitezza del Cristo”. Sono molto conosciute le parabole della misericordia presenti nel Vangelo di Luca: la pecora smarrita, la dramma perduta, il padre misericordioso.

La Bolla di indizioneL’annuncio ufficiale e solenne

dell’Anno Santo avverrà con la lettura e pubblicazione presso la Porta Santa della Bolla nella Domenica della Divi-na Misericordia, festa istituita da San Giovanni Paolo II che viene celebrata la domenica dopo Pasqua. Papa France-sco ha affidato al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evange-lizzazione l’organizzazione del Giubileo della Misericordia.

Le origini ebraicheAnticamente presso gli Ebrei, il

giubileo era un anno dichiarato santo che cadeva ogni 50 anni, nel quale si doveva restituire l’uguaglianza a tutti i figli d’Israele, offrendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi, invece, l’anno giubilare ricor-dava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuova-mente uguali a loro, avrebbero potuto

Page 34: Come Tralci n. 9 2015

– 278 –

rivendicare i loro diritti. “La giustizia, secondo la legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli” (San Giovanni Paolo II, in “Tertio Mil-lennio Adveniente”, n. 13).

La storia dei GiubileiLa Chiesa cattolica ha iniziato la

tradizione dell’Anno Santo con Papa Bonifacio VIII nel 1300. Bonifacio VIII aveva previsto un giubileo ogni secolo. Dal 1475 – per permettere a ogni gene-razione di vivere almeno un Anno San-to – il giubileo ordinario fu cadenzato con il ritmo dei 25 anni. Un giubileo straordinario, invece, viene indetto in occasione di un avvenimento di parti-colare importanza.

Gli Anni SantiGli Anni Santi ordinari celebrati

fino ad oggi sono 26. L’ultimo è stato il Giubileo del 2000. La consuetudine di

indire giubilei straordinari risale al XVI secolo. Gli ultimi Anni Santi straordi-nari, del secolo scorso, sono stati quelli del 1933, indetto da Pio XI per il XIX centenario della Redenzione, e quello del 1983, indetto da Giovanni Paolo II per i 1950 anni della Redenzione.

Il senso del GiubileoLa Chiesa cattolica ha dato al giubi-

leo ebraico un significato più spirituale. Consiste in un perdono generale, un’in-dulgenza aperta a tutti, e nella possibi-lità di rinnovare il rapporto con Dio e il prossimo. Così, l’Anno Santo è sem-pre un’opportunità per approfondire la fede e vivere con rinnovato impegno la testimonianza cristiana.

Il tema della misericordiaCon il Giubileo della Misericordia

Papa Francesco pone al centro dell’at-tenzione il Dio misericordioso che invi-ta tutti a tornare da Lui. L’incontro con Lui ispira la virtù della misericordia.

La Porta SantaIl rito iniziale del Giubileo è l’a-

pertura della Porta Santa. Si tratta di una porta che viene aperta solo duran-te l’Anno Santo, mentre negli altri anni rimane murata. Hanno una Por-ta Santa le quattro basiliche maggiori di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore. Il rito di aprire la Porta Santa esprime simbolicamente il concetto che, durante il Giubileo, è offerto ai fedeli un “percorso straordi-nario” verso la salvezza. Le Porte Sante delle altre basiliche verranno aperte successivamente all’apertura della Por-ta Santa della Basilica di San Pietro.

Page 35: Come Tralci n. 9 2015

– 279 –

Il motto di BergoglioLa misericordia è un tema mol-

to caro a Papa Francesco che già da vescovo aveva scelto come suo motto “Miserando atque eligendo”. Si tratta di una citazione presa dalle Omelie di San Beda il Venerabile, il quale, commen-tando l’episodio evangelico della voca-zione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi)”. Questa ome-lia è un omaggio alla misericordia divi-na. Una traduzione del motto potrebbe essere “Con occhi di misericordia”.

La misericordia nel pontificato di Francesco

Nel primo Angelus dopo la sua ele-zione, il Santo Padre diceva: “Sentire misericordia, questa parola cambia tut-to. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericor-dia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza” (Angelus, 17 marzo 2013). Nell’Ange-lus dell’11 gennaio 2015 ha affermato: “C’è tanto bisogno oggi di misericor-dia, ed è importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambien-ti sociali. Avanti! Noi stiamo vivendo

il tempo della misericordia, questo è il tempo della misericordia”. Ancora, nel suo messaggio per la Quaresima 2015, il Santo Padre ha detto: “Quanto desi-dero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino del-le isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!”. Nel testo dell’edizio-ne italiana dell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” il termine miseri-cordia appare ben 31 volte.

Anno Santo della Misericordia

Page 36: Come Tralci n. 9 2015

– 280 –

“EFFATÀ” (Mc 7,34)

Una persona per poter vivere da persona, cioè umanamente, a questo mondo, oltre alla facoltà fisiologica che le permette di parlare (lingua, corde vocali), deve essere soggettivamente convinta che ne ha diritto. Gesù, il Figlio di Dio, è venuto sulla terra pro-prio per questo: per farci persuasi, con-vinti e contenti, di poter sempre “dire la nostra”.

Dal Vangelo di Marco veniamo a sapere che in pieno territorio della Decapoli c’è stata della gente che un giorno portò a Gesù un sordomuto, con la preghiera che gli imponesse la mano e lo guarisse.

Il porre la mano a qualcuno vuol dire creargli intorno un clima amico, uno spazio di sicurezza e di protezione.

Gesù fa il miracolo e tutti fuori di sé per l’accaduto prorompono esclaman-do: “È straordinario! Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.

Quanto sia indispensabile e neces-sario per una persona, affinché possa crescere psicologicamente e sana, un ambiente accogliente, Gesù ce lo ha lasciato intendere nel Discorso della Montagna: Mt 5,21s. Quando venia-mo fatti oggetto di insignificanza da un modo di dire grossolano e sprezzante si può effettivamente scatenare nella psi-che una devastazione tale della persona-lità che difficilmente se ne può valutare la gravità. Viene tolta all’individuo ogni fiducia in sé al punto di essere ridotto a un autentico sordomuto: incapace di dire di sé una parola vera, e insensibile, completamente chiuso alla percezione

di ogni voce che proviene da fuori.Ci viene spontaneo domandarci

subito riguardo alla conduzione della nostra ordinaria convivenza se anche noi per caso non passiamo gran parte del nostro stare insieme da veri e propri sordomuti. Ci si incontra per evitarci o perlomeno per ignorarci. Si sa che il “sordomutismo” ama tanto rivestir-si di chiacchiericcio. Il tempo meteo-rologico, l’andamento delle stagioni e dei prezzi, il vitto, il fatto di cronaca più o meno nera, sono tutti oggetto di discorsi che non ci costano niente e si possono macinare per ore senza che ci tocchino minimamente. Gesù che non vuole essere preso per il solito “medico generico” delle anime e dei corpi, come usa la predicazione religiosa che si espri-me volentieri seguendo la dicotomia scientifica, non crede di poter guarire la persona che gli hanno portata se prima, preliminarmente, non la conduce via, in disparte, lontano dalla folla (v. 33).

“Dove finisce la solitudine, comin-cia il mercato; e dove comincia il mer-cato, comincia anche il chiasso dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose”, osserva Nietzsche.

Penso che non sia assolutamen-te un’eccentricità affermare che Gesù davanti al sordomuto non abbia potuto escludere un fattore psicogeno, come causa delle sue evidenti menomazioni. Per questo motivo ci sta bene l’isola-mento terapeutico.

Adesso il sordomuto e Gesù sono rimasti soli. Tra di loro avvengono del-le cose davvero umanamente straordi-

Formazione

Page 37: Come Tralci n. 9 2015

– 281 –

narie. Gesù avvicina il sordomuto, lo accarezza, “gli pone le dita negli orec-chi”, affinché comprenda che d’ora in poi non gli sarà più rivolta alcuna parola di imperio, di intimidazione e di squalifica.

“Gesù prese in disparte il sordomu-to, dice il testo, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”. “Ecco Gesù che fa l’istrione, che compie gesti superstizio-si”, sarà il commento di ogni positivista. Gesù in realtà fa quanto fa una mam-ma al suo bambino spaurito perché si è fatto male. Con fare protettivo e tene-ro gli comunica la sensazione di essere totalmente protetto, sempre circondato da un abbraccio, il suo, che lo salverà, anche se non è vero, da ogni pericolo. Una madre sa che il suo bambino più ancora che per un dolore fisico soffre di essere solo e abbandonato. Per questo soffierà sulla parte dolorante e la strofi-nerà con la sua saliva, ecc.

Se il positivista giudicherà Gesù un istrione, anche l’esegeta cristiano cre-dente deve stare attento, visto il “come” avviene la guarigione, a non infioretta-re troppo precipitosamente il percorso, per troppo zelo pastorale, con formule teologiche ipersacramentarie che sbar-rano alle persone (d’oggi) l’accesso a un’esperienza di un’umanità risanan-te. Gesù non può essere preso come il

taumaturgo che distribuisce miracoli a gogò. Si può iniziare a “vedere” chi è Gesù se nella vicinanza alla sua per-sona, sentendo e vedendo quello che dice e fa, si scorge la via di una fiducia che in primo luogo permette all’essere umano di riscoprire in Dio il Padre che risana. Tutto quanto avviene tra Gesù e il sordomuto è di un lirismo religioso nient’affatto difficile da comprendere. I gesti sono della massima semplicità e naturalezza, come quelli di una mamma appunto con il figlio, anzi di più. Gesù depone la propria saliva sulla lingua dell’uomo muto per mettergli in bocca la sua parola di libertà, il suo Vangelo.

Questo Vangelo, sempre quello, sempre lo stesso: Dio Padre è materno fin dal principio. Dio Padre desidera dire alla sua creatura ciò che nessuna madre può dire in modo così chiaro e vero a suo figlio: noi tutti abbiamo il diritto di vivere senza più avvolgere il semplice fatto di essere in questo mon-do nel lenzuolo funebre di antichi sensi di angoscia e di colpa.

“Effatà! Apriti!” sospira nel gergo linguistico del sordomuto. Apriti! Non solo gli occhi, ma il cuore. Gesù alza gli occhi al Cielo perché è solamente di là che gli viene il coraggio e la sicurezza di osare l’estremo.

In questa terra, fra i miliardi di esse-ri umani, ognuno ha una parola sua, ori-ginaria da dire. Una parola che solo lui può pronunciare, nessuno per lui, nes-suno al suo posto. Nessuno ce la può rubare proprio perché è Gesù che ce la dà, Lui che fa bene ogni cosa, “fa udire i sordi e fa parlare i muti”.

P. Domenico Ruatti

“Effatà!”. Solo se Dio ti tocca le labbra, le orecchie e gli occhi puoi vedere, sentire e proclamare le meraviglie del Signore!

Page 38: Come Tralci n. 9 2015

– 282 –

“PERCHÉ NIENTE VADA PERDUTO …” (Gv 6,12)II parte

In continuità a quanto pubblicato sul nostro Bollettino, a pag. 435 del n. 4/2014, il novantenne P. Lucio, nella sua lucida e fervida senilità, ci offre un’ulteriore riflessione sugli scritti del N. S. Fondatore. È un testo un po’… lungo, quasi come i suoi anni, ma certamente bello, utile e speriamo gradito ai nostri lettori. L’autore ce lo presenta così: “Caro P. Carlo, approfitto della tua ospitalità per il secondo articolo sulle Lettere di S. Camillo (solo autografe nella firma: così le presenta P. Vanti nel suo volume “Gli scritti di S. Camillo” a pag. XXV). Queste lettere mi sembrano interessanti per l’Anno della Vita Consacrata che celebriamo, raccogliendo così l’invito di Papa Francesco di ‘ricordare la nostra storia’ perché non si affievolisca, o addirittura, non si spenga lo spirito del Fondatore. Non ‘perdere l’odore delle pecore…’ o affievolire l’impulso di quel cuore che sempre deve pulsare nelle mani del camilliano! Perdonami la solita lungaggine che dipende non dal respiro ‘bolso’ dell’anziano, ma dalla sovrabbondante ricchezza del tesoro! Ricordiamoci solo nella preghiera perché il Signore ci usi misericordia!

FraternamenteP. Lucio

“Le fondazioni, distribuite su tutta o quasi la lunghezza e la larghezza della penisola, impegnarono Camillo a due grandi imprese: scrivere e viaggiare. Lo scrivere fu e rimase per lui un peso in continuo crescendo, per la difficoltà e ripugnanza che provava ad adattarvisi, e via via per l’estrema scarsezza di tem-po a cui la santa smania della carità lo spinse e ridusse”. “…Per sei anni (dal 1588 e il 1594) per la prima fondazione a Napoli, tenne regolare corrispondenza con P. Oppertis, da un corriere all’altro o poco meno. Scriveva a lungo, allora, in risposta a quanto gli era chiesto, pro-ponendo lui stesso quesiti e difficoltà, partecipando progetti, iniziative, dispo-sizioni, pene e speranze”. “Le successi-ve, numerose e lontane fondazioni, lo impegnarono, necessariamente, a cor-rispondere con i superiori locali e i sin-goli religiosi”.

Per qualche tempo si disimpegnò da

sé; poi, per le lettere di ufficio, n’ebbe incarico il segretario di Consulta. Ma ai religiosi che si rivolgevano a lui, supe-riori e sudditi, ed erano molti e spesso, Camillo, fin quando gli riuscì, scriveva di sua mano. Tutt’al più qualche volta chiedeva l’aiuto di un giovane studente, dove e quando si trattava di argomenti di ordinaria amministrazione o di istru-zioni a carattere generale.

“La sua corrispondenza è spiccia e trascendente: sono richiami a Dio, alla carità, ai doveri della vocazione, all’ob-bedienza, alla santità, alla brevità della vita. Se detta, sottoscrivendo aggiunge una frase, una parola di suo. Attendeva di solito all’importante dovere la sera, dopo cena, quando non era di guardia all’ospedale, ma stanco per esservi stato fino a quel momento. Malgrado questo vi metteva tutto l’impegno, sacrifican-dosi sopra le forze. Così le sue lettere sono espressioni vive e accese della sua

Page 39: Come Tralci n. 9 2015

– 283 –

anima sempre vigile, della sua carità mai sazia” (P. Vanti, “Vita di S. Camil-lo”, pag. 307).

Le molte lettere e scritti di S. Camillo, raccolti nel volume di P. Van-ti, sono 82.

Le lettere complessivamente sono ventinove di cui: 11 interamente auto-grafe - 3 con postilla e firma autografe - 10 con sottoscrizione autografa - 5 in copia.

Le cinque lettere più importanti scritte a P. Oppertis, a P. Palma, a P. Sor-rentino, a Fr. Olimpio Nofri le abbia-mo già lette nell’articolo pubblicato su “Come Tralci” n. 6, pag. 435-449. Ora sono sempre spinto dal desiderio di leg-gere e conoscere il contenuto anche delle lettere non autografe, con la sola firma e qualche postilla del Fondatore. Il mio proposito veniva confermato da due “suggerimenti” espressi da Papa Francesco nella lettera ai religiosi per l’Anno della Vita Consacrata e nel discorso ai Gesuiti in occasione della presentazione ufficiale della Fondazio-ne Carlo M. Martini e opera omnia del Cardinale biblista.

-la Vita Consacrata: il primo è guarda-re il passato con gratitudine”. “Alle sue origini è sempre presente l’azione di Dio”. “Raccontare la propria sto-ria è indispensabile per tenere viva l’identità… È un prendere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia…”.

È come “scoprire le meraviglie die-tro l’angolo… Non c’è paese al mondo come il nostro che possa proporre tante meraviglie… né tale varietà di bellezza ancora vive in un tempo dove la tecno-logia tende a ridurre lo spazio della bel-

lezza a favore dell’utilità” (M. Romana De Gasperi).

nell’udienza ai Gesuiti della Fondazione Martini è di grande incoraggiamento: “La memoria dei padri è un atto di giusti-zia. E Martini è stato un padre per tutta la Chiesa”.

Il presidente della Fondazione, il gesuita Carlo Casalone, scrive: “Vale la pena sostare per un momento su questa indicazione. La parola ‘memoria’ viene da una radice sanscrita (smar-) da cui deriva anche il termine ‘martire’ cioè ‘testimone’, colui che rammenta. Il com-pito che il Papa ci affida non è quindi solo quello di raccogliere e custodire un insieme di cose, ma di esserne testimo-ni… traendone ispirazione per nuove iniziative…” (da “Avvenire”, 25 giugno 2015). Conclusione? Mi sembra vera e da accogliere con gioia quanto afferma lo scrittore Paolo Di Paolo: “Scrivere è anche un po’ risorgere: senza scomoda-re secoli di letteratura, mi pare che si

Formazione

Page 40: Come Tralci n. 9 2015

– 284 –

possa parlare, anche in una prospettiva solo terrena, del ricordo, di ogni ricor-do come di una risurrezione: l’esistente scomparso risorge in noi. Risorge ogni giorno… ogni minuto è vivo, vive in noi” (da “Avvenire”).

-ni”, mi convinco di poter riferire alle lettere (e scritti vari) di S. Camillo quanto è stato affermato dai padri della Chiesa riguardo alla Bibbia: “La perga-mena sulla quale pulsa il cuore di Dio”. “I due polmoni con cui Dio respira”. “Pergamene vive e parlanti”. Così negli scritti di S. Camillo: in essi si rispecchia la sua anima.

Qual era il metodo usato da Camillo nello scrivere così tante lettere, impe-gnato sempre in tante “opere di mise-ricordia” per gli ammalati assistiti ogni giorno nell’ospedale?

P. Vanti lo descrive così: “La sua corrispondenza è spiccia e trascenden-te: sono richiami a Dio, alla carità, ai doveri della vocazione, all’obbedienza, alla santità, alla preghiera, alla brevità della vita”.

“Attendeva di solito all’importante dovere la sera, dopo cena, quando non era di guardia all’Ospedale, ma stanco per esservi stato fino a quel momen-to. Malgrado questo vi metteva tutto l’impegno, sacrificandosi sopra le forze. Così le sue lettere sono espressioni vive e accese della sua anima sempre vigile, della sua carità mai sazia”.

dell’Ordine fino alla morte del Fonda-tore, si contavano quindici città o gros-si borghi: Napoli - Milano - Genova -

Bologna - Firenze - Ferrara - Messina - Palermo - Mantova - Viterbo - Buc-chianico - Chieti - Borgonovo e Cal-tagirone.

Nel 1607, quando Camillo rinun-ziava al Superiorato Generale, l’Ordine contava 242 religiosi professi : 88 sacer-doti, altrettanto, o poco più, i fratelli. Il rimanente erano studenti (chierici). I novizi erano 80 e più.

“Nei 23 anni dalla Fondazione, Camillo aveva offerto a Dio il sacrificio di 135 suoi religiosi, purificati e santifi-cati dalla carità ai malati”.

Altrettanto intensa e ricca di carità è la “rete dei messaggi” che San Camillo ha intessuto con Superiori e Confratelli nelle sue lettere personali.

nella corrispondenza epistolare con il Fondatore?

Anzitutto il P. Luca Antonio Cata-lano. P. Vanti riporta sei lettere e ne dà anche la ragione di questo privilegio pre-sentandoci una biografia essenziale. P. Catalano è nato a Galatina (Lecce) ed è ricevuto a Roma da Camillo nella sua compagnia l’8 Agosto 1587 quando era

“I mille sentieri della carità di Camillo”. Ecco i luoghi dove San Camillo è arrivato a portare il suo ‘Carisma’, testimoniato dal servizio fino alla morte di almeno 136 suoi Religiosi, purificati e santificati dalla carità verso i malati, fino all’anno della sua morte.

Page 41: Come Tralci n. 9 2015

– 285 –

al seguito del Card. Santori. Fa parte dei primi 25 professi dell’8 Dicembre 1591.

È ammesso agli ordini minori fin dal 1592 e raggiunge il sacerdozio la Pasqua del 1600.

Carattere ardente, nutre per Camil-lo una singolare devozione che esterne-rà con entusiasmo al processo di bea-tificazione di lui. “Non vi è persona – dice ai giudici – che ne sappia tanto (di Camillo) come io” (Proc. Ian. AG 12). È così convinto, fin d’ora, della santità di Camillo che ne conserva gelosamen-te le lettere. Si rivolge spesso a lui, che “fortiter et suaviter” lo anima, compati-sce, sopporta, riprende anche, ma sen-za disanimarlo, confermandolo invece nella vocazione, ora con l’esempio e la parola, poi, nei trentadue anni che lo precede al sepolcro, col ricordo” (St. Ord. III, 165 n.73).

“Camillo usa con lui gli stessi ter-mini di considerazione e rispetto per P. Oppertis”.

“La prima lettera in ordine cronolo-gico, è scritta da Napoli a P. Catalano, a Palermo, ed è datata il 27 Settembre 1600”.

È in parte autografa, ma da questa data in poi, Camillo è costretto ad affi-dare ad altri la corrispondenza con i suoi religiosi: le detta, ma è “sempre presen-te e determinante la sua volontà”.

L’occasione storica è stata la fonda-zione della casa di Palermo. La Consulta Generale con decreto del 20 Settembre 1599, incarica P. Francesco Antonio Nigli e il diacono Giovanni Antonio Alvina per la fondazione a Palermo. “Questa fondazione è un po’ avventu-rosa ed è anticipata dalla fondazione a Messina” così scrive P. Vanti nella “Vita di S. Camillo” (ed. 1982).

P. Nigli e il diacono Alvina par-

tono il 9 Dicembre 1599, ma per il “mare grosso” sono costretti a scende-re a Messina, “dove sono trattenuti per una fondazione ‘in loco’, autorizzata a giro di posta, da Camillo”. Scrive P. Vanti: “Costretti a fermarsi lì in attesa d’altra nave che li portasse a destina-zione, chiesero ospitalità all’ospedale, offrendo in cambio i propri servizi ai malati. La carità dei due religiosi rac-colse l’attenzione e l’ammirazione di quanti dimoravano nel nosocomio o lo frequentavano: furono perciò invitati a rimanere, anzi, con piacevoli industrie, impediti a ripartire. Ne scrissero pertan-to a P. Camillo, che, lieto del provvi-denziale incontro, promise di mandare subito altri religiosi per l’una e l’altra fondazione”.

“Il 18 Maggio 1600 sopraggiungono da Napoli per Messina, tredici Ministri degli Infermi, così P. Nigli, con P. Luca Antonio Catalano e alcuni dei nuovi arrivati, partono per la fondazione di Palermo, dove giungono l’8 Giugno”.

Catalano una prima elemosina di 2.500 ducati per comperare una casa dove stabilirsi al momento. È la “carità fat-taci da Palermo” cui accenna la lettera. Frattanto Camillo assicura P. Nigli che giungeranno presto altri rinforzi, guidati dal nuovo Superiore P. Giovanni Alvi-na, ordinato sacerdote da qualche mese appena. Al loro arrivo P. Nigli ritornerà a Messina. Camillo affida a Napoli, ai religiosi in partenza, la presente lettera datata il 22 Settembre 1600.

è incaricato di scriverla, che “voglia-mo pigliar luogo (= stabilirci) a Paler-mo… e così scriverò a P. Francesco Ant. (Nigli) si mandano li Padri richiesti. Perciò si metta “in ordine quanto pri-

Formazione

Page 42: Come Tralci n. 9 2015

– 286 –

ma, la casa, anzi “si compri il luogo… Infine fate da parte vostra quel tanto che saperete… con questo però che il tutto conferiate e faciate con ordine del Superiore… Preghi per noi et cerchi di portarsi bene”.

Dopo i primi disagi dei nuovi arri-vati, ancora senza casa e le cose neces-sarie, verrà incontro la Provvidenza, come narrerà il Lenzo nei suoi annali. Palermo, come Messina, regalerà 2.000 ducati per comperare la casa.

postilla “autografa” di Camillo; è un solenne monito, scrive P. Vanti: “agiun-ti… la pace et unione di tutti, patri et fratelli, e V.R. sia il primo a dare bono esempio” è confortato, per entrambi, dalla fiducia di darne e di averne presto assicurazione: “et (di) questo spero sen-dirne (bona) nova”. Conclude, “pregate il Signore…”.

Nota P. Vanti: “il richiamo alla pace e all’unione” è per Camillo, nel diffici-le momento, la “voce magna” della sua anima a tutti i suoi figli; l’autografo ne dà le proporzioni.

Al P. Luca Antonio Catalano a Palermo da Roma il 27 Aprile 1601.

Il periodo di tempo 1601- 1607 è mol-to ricco di scritti di S. Camillo. È il periodo nel quale il Fondatore si batte da solo, o quasi, “per stabilire l’Ordine dove la santa volontà di Dio lo vuole”. Camillo vive in un clima spirituale di soddisfazione per la Bolla ottenuta (“Superna dispositione” del 29 Dicembre 1600) e con l’ansia giustifi-cata di tradurla in atto.

Il motivo di questa lettera lo si leg-ge nelle parole stesse di Camillo: “Il desiderio che, per dono di Dio nostro Signore, ho di vederla crescere nel suo divino servizio e correre con gioia e leti-

zia spirituale verso la perfezione a cui è chiamato, mi spinge a scriverle queste parole per sua consolazione e per inco-raggiarla a perseverare con frutto nella sua vocazione.

Io ho gran desiderio di ricevere qualche volta sue notizie e soprattutto di sapere ciò che lei pensa e sente circa la nuova Bolla ‘Superna dispositione’ che ci è stata concessa da Papa Clemen-te VIII, suggerita dallo Spirito Santo, per la crescita, il progresso e la stabilità dell’Ordine nostro. Già questa stabili-tà e questo progresso, con grandissima nostra gioia, cominciano a realizzarsi nell’ospedale di Firenze, di cui abbiamo ormai assunto il servizio e dove andran-no a stabilirsi una trentina di nostri reli-giosi. Infatti vi siamo stati accolti con grande cordialità: ci sono state offerte tutte le comodità e vantaggi possibili da Mons. Zanichini, direttore di tale ospedale, e dal Granduca Ferdinando I.

Perciò l’esorto a rallegrarsi con noi per questa nostra comune gioia, ad ani-marsi a lavorare e usare ogni suo talen-to per cooperare allo sviluppo di questa vigna del Signore a noi affidata, perché quando Egli vorrà raccoglierne il frutto, non la trovi in cattivo stato per nostra negligenza. Con ciò termino pregando-la di darmi qualche volta notizie del suo stato di salute e raccomandandomi alle sue preghiere. Servo nel Signore Camil-lo de Lellis” (trascrizione in lingua cor-rente di Germana Sommaruga).

Purtroppo la fondazione di Firenze ha avuto una conclusione “a sorpresa”.

Nota P. Vanti che il “Granduca più tardi (Nov. 1606), allarmato per il pre-stigio in crescendo, dei nuovi religiosi cadrà in sospetto che col tempo essi si possano impadronire dell’ospedale.

Page 43: Come Tralci n. 9 2015

– 287 –

Impotente a superare questa ingiustifi-cata angustia, Camillo sarà costretto a ritirare con dispiacere e sacrificio, i suoi religiosi (Vms 293).

A P. Luca Antonio Catalano a Mantova da Roma il 1° Maggio 1604.

Da un anno all’altro, l’impegno di Camillo per l’assistenza ai malati degli ospedali, si accentua e allarga. Di con-seguenza è spesso in viaggio per la visita alle case da un’estremità all’altra della penisola, sbriga la corrispondenza che esige regolarmente dai superiori (a P. Cicatelli da Genova chiede di scriver-gli ogni settimana… “erano in corso le pratiche per il ‘servizio completo’ dei malati…” 28 Maggio 1604 - pag. 235 “Scritti di S. Camillo”).

Dà soddisfazione alla corrisponden-za che i singoli religiosi gli indirizzano. Con tutto questo trova tempo e modo di praticare ogni giorno la carità ai malati ovunque arrivi o si fermi.

uno dei più facili e pressanti corrispon-denti. Il Santo detta per lui questa let-tera (da Roma il 1° Maggio 1604) sotto-scrivendola di proprio pugno: ‘di Vostra Riverenza servo del Signore’, anziché ‘fratello’, come nella prima (del 22 Set-tembre 1600). Da Palermo era passato a Mantova. Camillo, badando a non lasciarlo troppo a lungo in un luogo, con dolcezza e carità riesce a servirse-ne non solo, ma a tenerlo affezionato all’Ordine” (Storia Ord. IV pag. 165).

Di tale “dolcezza e carità” Camillo dà prova in questa lettera.

permettere, e affatto alieno dall’inco-raggiare manifestazioni di culto che distraessero i suoi religiosi dalla carità, indulge all’entusiasmo del Catalano per

il sepolcro preparato per la settimana Santa, dandogli per buona la soddisfa-zione dell’interesse suscitato. “Mi è pia-ciuto, sia lodato il Signore”. Risposte brevi e significative, che gli consento-no il richiamo fermo e determinante: “Attendiamo alla perfetione et allo Spi-rito… alla pace et unione con tutti, che è quello che il Signore vuole da noi”.

“Pace et unione con tutti”. È quel-lo che P. Catalano deve sempre tener presente e ben guardato. “Cambiano gli amanuensi, ma il dettato rimane quel-lo” (P. Vanti).

Comunica al destinatario la confer-ma di P. Scipione Carozza a superiore della comunità (di Mantova).

P. Carozza è nato a Gaeta ed era uno dei primi professi dell’Ordine. Inspera-tamente guarito da mortale infermità da Camillo nel 1594 a Roma, fu superiore a Milano dal 29 Gennaio 1599 al 28 Giugno del 1600, dopo brevi soggiorni a Bologna e a Ferrara, passò a Mantova nel 1603 superiore dove rimase fin al 1607.

Scrive Camillo: “P. Scipione è sta-to confermato Superiore di codesta Casa, piaccia al Signore che tutto sia con beneficio della Religione et perché le cose vadino bene et con osservan-za, come spero per altro. Il Signore vi benedica”.

Al P. Luca Antonio Catalano a Fer-rara da Napoli il 27 Novembre 1604.

A Napoli, di ritorno da Bucchianico, Camillo trovò quattro lettere da Ferrara scritte da P. Catalano “con notizie non buone”. Era passato da superiore a Man-tova a superiore a Ferrara, “trovando anche lì da lamentarsi e mettere a buona prova la carità e la pazienza di Camillo”.

Scrive P. Vanti: “I termini di vivace

Formazione

Page 44: Come Tralci n. 9 2015

– 288 –

reazione con i quali P. Catalano dovette presentare al Santo la situazione venu-tasi a trovare per un’imprudenza del Padre Guglielmo Mutin, ottimo reli-gioso del resto, furono tali che il Santo n’ebbe non soltanto lo ‘smisurato dolo-re et disgusto’, di cui si parla in questa lettera, ma tanto improvvisa e acuta reazione da ‘sputar sangue’.

Tutto è dovuto alla ‘sfacciata et rabbiata guerra che ci fa l’inferno per l’invidia che tiene di tanta grand’opera di pietà che fa la religione (nostra) con li poveri’.

Germana Sommaruga annota nel suo libro sugli Scritti di S. Camillo: “Non sappiamo di cosa si tratti… forse un’imprudenza di P. Mutin Guglielmo con le autorità locali? Il momento è difficile e segno certo dell’odio dell’in-ferno contro l’Ordine. Bisogna riparare: preghiera, carità, umiltà”.

Camillo raccomanda che l’“accaduto rimanga riservato e soprattutto i novizi non ne siano scandalizzati”. Vale la pena rileggere nell’originale buona parte della lettera per conoscere lo stato d’animo e la passione di Camillo per “proteggere l’opera del Crocifisso”.

“Il mio smisurato dolore et disgu-sto di tanta abominazione successa può lei immaginarsi quale sia stato, né altro vorrei se non piangere per placare il Signore Iddio, al quale si fa oratione et si offeriscono sacrifici; acciò egli rimedi a tanto male, che all’ultimo d’Iddio sarà la vittoria, toccando con mani la sfac-ciata et rabbiata guerra ci fa tutto l’in-ferno per l’invidia (che) tiene di tanta grand’opera di pietà fa la religione con li poveri. Però V.R. dal canto suo facci quanto può et si sforci più che mai in essere diligente et dar edificatione et

pigliar grand’animo più che mai per la gloria del Signore acciò la nostra edifi-catione et humiltà smorci in parte que-sta confusione cagionataci dal nostro immico, et soprattutto stia avvertito del fatto del’Hospitale acciò non si innovi cosa alcuna, ma con carità si tratten-ghi (tenga fede all’impegno) perché io spero essere molto presto di perso-na presente, et dato che loro volessero scemare la provisione del vitto per non poter supplire secondo dicono, tuttavia noi confidati nel Signore provediremo a questo, ne perciò intendemo scemare del servicio corporale et spirituale de’ poverelli per nostro profitto et gloria del Signore. State dunque avertito in tut-to et avisateci minutamente di quanto occorre. Fate che li novitij non presen-tino (non avvertano) li nostri mali ne si distrahino in cotesti intrichi, ma rac-colti attendino al loro profitto et Nostro Signore Iddio vi benedichi…”.

Conclusione della vicenda: Camil-lo non riuscì di lasciare Napoli, però comunicò alla Consulta Generale in Roma il da farsi. Questa il 14 Gen-naio 1605 scriveva a P. Rinalducci, riconfermandolo superiore della casa, ordinandogli di trasferire, se già non vi fosse andato, P. Catalano a Bologna, e di mettere tutto a tacere anche “con precetto di obbedienza” occorrendo; lo stesso giorno la Consulta scriveva al superiore di Bologna, P. Marcello Mansi, di andare a Ferrara a prendere informazioni dell’accaduto e inviarne relazione a Roma (AG 1519, 152-153).

Camillo non poté giungere a Ferrara che dopo il 14 Febbraio 1605.

arte per mettere in difficoltà la presen-za e l’azione dei Ministri degli Infermi

Page 45: Come Tralci n. 9 2015

– 289 –

nell’ospedale. Perciò il Santo racco-manda al destinatario di star ‘soprattut-to… avvertito del fatto del hospitale acciò non si innovi cosa alcuna’. Se i signori che lo governano ‘volessero scemare la provisione del vitto per non poter supplire secondo dicono’, prov-vedere al nostro bisogno, noi “confidati nel Signore” non intendiamo per questo “scemare punto” (diminuire minima-mente) il servitio corporale et spirituale dei poverelli per il nostro profitto (spi-rituale) et gloria del Signore”. Camillo non intende sottrarsi al suo impegno di carità verso i malati, neanche quando l’ospedale mancasse al proprio (impe-gno) pattuito il 7 Ottobre 1602.

custodire, a formare spiritualmente i novizi, Camillo raccomanda che non distraggano “in cotesti intrichi, ma rac-colti attendano al loro profitto”.

E aggiunge di sua mano una postil-la “pesante per autorità e inchiostro, sul margine della lettera: vuole che si “habia diligente cura di novisi in tutte le cose per loro profitto spirituale, vigi-lando che non vengano a conoscenza dell’accaduto e se n’abbiano a scanda-lizzare”.

Al P. Ferrante Palma a Palermo da Napoli il 21 Maggio 1604.

È una lettera molto breve, scritta tutta da Camillo per il nuovo Supe-riore, P. Ferrante Palma. La nomina a Superiore, come per altri Superiori, ebbe luogo a Roma il 29 Aprile (1604) da parte della Consulta Generale, pre-sieduta dal Fondatore. In questo scritto Camillo manifesta tutta la sua attenzio-ne per il nuovo Superiore: “Siate fede-le al Signore et bon pastore delle sue pecorelle”.

Invita P. Palma a collaborare con P. Dionisio Navarro, economo del-la Comunità, al quale Camillo aveva “scritto a lungo” e lo aveva incaricato per ottenere il consenso di “entrare all’assistenza dei malati nell’Ospeda-le di Palermo”. Camillo aggiunge due postille alla lettera, con raccomanda-zione che gli stanno a cuore: la fedel-tà all’impegno della povertà stabilita e professata.

Scrive P. Vanti: “Anche nel pre-cedente anno 1603, la Sicilia aveva dato prova di fedeltà e riconoscenza ai Ministri degli Infermi con mille scudi Palermo e millecinquecento Messina, per il mantenimento dei novizi e per la casa ad essi destinata (noviziato). Non si doveva e poteva, quel denaro, adope-rare per altri scopi.

L’economo della casa, P. Dionisio,

Lettera di Camillo a P. Ferrante Palma.

Formazione

Page 46: Come Tralci n. 9 2015

– 290 –

aveva collocato a frutto il denaro rice-vuto per i novizi… Camillo ricorda al Superiore che ‘le elemosine raccolte (colecite) per i novizi sono esclusiva-mente per il loro mantenimento; ciò che sopravanza è da mettere a frutto’ allo stesso scopo.

Camillo pensa anche ai confratelli defunti: P. Balsamo Francesco a Napoli e un novizio a Milano “a ciò se gli dica le messe et corone…”.

Al P. Ferrante Palma a Palermo da Napoli il 19 Aprile 1605.

È una comunicazione, rimessa certa-mente in copia conforme a tutte le case dell’Ordine. Nello stesso giorno (19 Apri-le) Camillo ricorda in una postilla alla let-tera “hoggi mi parto per Roma”. Il motivo di questa segnalazione? “Il 5 Marzo era morto Papa Clemente VIII; Leone XI, eletto il 1° Aprile e intronizzato il 10, aveva chiesto di Camillo. Il Santo giunse appena in tempo per presentarsi a lui che gli dimostrò ‘particolar stima e benevolen-za’. Il nuovo pontefice moriva il 27 di quel mese e anno” (P. Vanti).

Ma c’era un altro motivo, e questo più urgente. L’11 Aprile, martedì dopo Pasqua, moriva a Roma Fr. Francesco Lapis, di Firenze, Consultore Genera-le. Camillo tramite il suo amanuense, comunica la morte del Consultore e predispone per la nomina del succes-sore. Era dal 25 febbraio che Camillo non riuniva, né di presenza né per suo ordine, la Consulta Generale. In questa lettera dà delle istruzioni minuziose e precise. Da Napoli scrive a P. Palma a Palermo anzitutto “non manchi fargli dir subito le messe et corone”.

“…et perché è necessario subito far l’altro Consultore in luogo suo”. “Lei non manchi di proporre subito ai reli-

giosi di indicare un nome e di inviarlo a Roma con l’atto relativo del Segretario che la Casa indicherà con tale scopo. Appena terminate le votazioni circa il nome, faccia leggere nella Costituzione le regole sul Capitolo là dove voglio-no che nessuno scriva o manifesti per chi ha votato, e aggiunga subito come comando formale che nessuno osi scri-vere e manifestare la persona da lui nominata. Con diligenza mandi poi in doppia copia l’avviso a Roma, a noi. Occorre fare in fretta per non ritardare le elezioni e, perché le lettere giungano subito, potrà mandarle anche per posta o per mezzo di qualche nave che si trovi costì”. E conclude: “Il Signore la fac-cia santo. Le mando l’elenco di tutti i professi che possono essere nominati da tutte le case: lei lo appenda in luo-go pubblico, e lo faccia leggere perché nessuno s’inganni pensando di dover-si limitare a nominare solo quelli del-la propria casa”. “Mi raccomando alla preghiera di tutti. Preghi per me! Servo del Signore Camillo de Lellis”.

A P. Giovanni Califano a Messina da Napoli il 17 Dicembre 1604.

P. Vanti informa che Camillo scrive questa lettera tutta di sua mano perché l’argomento è “scabroso e preferisce trat-tarlo da sé per non aggiungere peso alle ansie dei suoi religiosi vicini e lontani”. “Oggetto della lettera è l’aggravio dei debiti della Religione”.

L’urgenza del bisogno costringe Camillo a scrivere e la strettezza del tempo non gli consente di farlo nei ter-mini di convenienza che vorrebbe. Per-tanto chiede a P. Califano di scusarlo. Comincia con dire: “non ho tempo” e lo ripete ancor più avanti, dimostran-dolo ai fatti con la scrittura affrettata di

Page 47: Come Tralci n. 9 2015

– 291 –

questa lettera. Leggiamo questa lettera nella trascrizione, di Germana Somma-ruga: “M. Rev. Padre, non ho tempo per scriverle a lungo, ma le dico solo che ho ricevuto l’assegno bancario per mano di quel marinaio padrone di un battello. Ho ricevuto pure per posta il secondo assegno bancario. Nella sua lettera lei mi dice che avremmo potuto riscuote-re, subito, ma non è stato così perché il banco non ci ha voluto versare i denari, ma vuole che passino più o meno quin-dici giorni, come si suol fare quando l’assegno è spiccato con la formula ‘a frutto’. Questo ci è stato però di grande intralcio perché ne avevamo estrema necessità”.

“Sia lodato il Signore. Non man-chi di inviarci gli altri trentatré ducati napoletani perché non si può spiegare quanto sia grande il bisogno di que-sta casa a Napoli. Occorrono infatti migliaia e migliaia di scudi, non solo per i molti nostri debiti, ma anche per diverse cose che dobbiamo procurare: sia le vesti sia quanto è necessario per il vitto. Attendiamo con gran desiderio il novizio Pacio. Io spero che venga al più presto, prima che io parta da Napoli, per poterlo accogliere bene mentre sarò presente. Volevo scrivergli, ma non ho avuto tempo…”.

“Circa i denari di questo novizio, mi pare che egli potrebbe portare un assegno bancario; bisognerà suggerirgli che tale assegno sia ‘a vista’ e non ‘a frutto’ perché si possa depositare subito per garanzia.

Potrebbe anche capitargli – che Dio lo custodisca! – di incontrare qualche pericolo lungo il viaggio. Lei stia atten-to a questo, anche se l’assegno bancario non potrà perdersi nel caso il giovane

si trovasse in qualche pericolo. Lei sia diligente perché si seguano entrambi i miei avvertimenti; sia cioè attento in questo come lo è stato nell’altro caso, così io spero”.

“Circa le richieste della baronessa nostra benefattrice, provvederò perché sia accontentata quanto prima, non solo per la polizza del denaro, ma anche per gli oggetti che dobbiamo mandarle. Mi raccomando a lei e a tutte le nostre benefattrici.

Il Signore la benedica. Preghi per me come io faccio sempre per lei”.

È un volto nuovo di Camillo (per me): quello preoccupato per problemi economici… al bene dell’Ordine, “nel-la carità”.

Al P. Giovanni Califano a Messina da Napoli il 28 Settembre 1607.

S. Camillo scrive a P. Califano, “incaricato della questua in Calabria e in Sicilia”. In appendice alla lettera trascritti da un “Libro di Memoria” di Camillo, i testi originali delle “Regole e brevi instru-zioni per li nostri Padri che andaranno alla cerca”.

Califano di “essere Ministro fedele al Signore”. “Le mando due scatole conte-nenti le lettere credenziali per la Cala-bria, al di qua e al di là dello Stretto di Messina, insieme alla licenza del Magi-strato incaricato dell’amministrazione delle spese militari e anche una lettera del Viceré di quelle parti.

Prima di cominciare la questua sarà bene consegnare a lui la lettera. Però se nella via tra Messina e la residenza del Viceré si presentasse l’occasione di località adatte per la questua, lei può farla per non perdere tempo in essa durante il viaggio.

Formazione

Page 48: Come Tralci n. 9 2015

– 292 –

Le mando le istruzioni circa il modo di comportarsi in tutto. Le porterà sem-pre con sé e le leggerà spesso, in modo che anche il compagno le senta. Cer-chi di essere zelante e servo fedele al Signore”.

“Il P. Prefetto le procurerà le caval-cature, la biancheria, e ogni altra cosa, secondo le sue necessità. Non tardi a mettersi subito in viaggio, e se, men-tre continua la questua, il tempo fosse cattivo al punto che le strade e i fiumi non permettessero in nessun modo di terminarla e non ci fosse speranza di un miglioramento del tempo, siamo d’ac-cordo che la questua terminerà in pri-mavera. In poche parole non si allon-tani dalle mie istruzioni. Il Signore la faccia Santo” (18 Sett. 1607).

“istruzioni”? Sarà pedanteria la mia? Ma la mia cesta raccoglie i “frammen-ti scritti” (non quelli orali… “verba volant scripta manent”) e questi sono di un Santo che ha segnato un via alla santità con il carisma della carità… sono preziosi come quelli di un padre che ha formato o va formando una famiglia nella Chiesa di Cristo e alla quale gioisce di appartenere!

Ecco le istruzioni generali: “Vada quanto prima con la benedizione del Signore e si regoli secondo l’istruzione che le mando. La legga spesso, la porti con sé; presenti bene l’Istituto in tutte le località e città. Porti con sé anche le prime nostre Bolle di cui le invio alcune copie, e le faccia leggere. Le mando due crocifissi, uno per ciascuno: portateli con voi, insieme al libro per la racco-mandazione delle anime. Se occorresse raccomandare l’anima a qualcuno, met-tete sul morente la medaglia benedetta.

Nel distribuire le medaglie e nell’ap-plicare le indulgenze annesse, abbiate intenzione di farlo come se le dessi pro-prio io con le mie mani, perché è mia volontà di darle io in persona. Distri-buisca tutte le medaglie indulgenziate. Oltre a quelle che lasciai al P. Prefetto da consegnare a lei perché le portasse con sé, le mando più di 80 medaglie uguali a quelle che lasciai; porti le mie e le altre, e anche 500 medaglie con la benedizione ordinaria, e 200 con annes-se le indulgenze. Anch’esse le serviran-no e perciò le porterà con sé”.

Seguono poi le “Regole e brevi instruzioni, per li nostri Padri che anda-ranno alla cerca” .

Son 13 brevi articoli ispirati dal Santo “essenziali e semplici”:

- “Principale fine nostro è la buona gloria di Dio; l’edificatione particolare et generale della nostra Religione, e con l’esempio non solo si rinnovano a fare la carità, ma insieme restino informati et edificati dal nostro Instituto”.

Camillo raccomanda gli impegni religiosi fondamentali: - “Si sforzi ogni mattina di dire la

Messa, di confessarsi da Religiosi Regolari potendoli avere, overo, da Patri secolari lato dei primi (et il Fratello si comunichi secondo l’uso della Religione)” (VI).

- “Faccino ogni mattina l’orazione mentale, l’esame della conscientia, dichino le litanie et osservino per quanto si può le nostre Regole (et il compagno si confessi dal Padre sacerdote)” (VII).

- “Esortiamo per amor di nostro Signore che siano uniti sulla carità fraterna et amore di Nostro Signore, in tutte le loro attioni procurino la

Page 49: Come Tralci n. 9 2015

– 293 –

edificatione del prossimo” (VIII).- Con insistenza raccomanda le virtù

della prudenza e della povertà anzi-tutto nell’avvisare tempestivamente i parroci sulla licenza del raccoglie-re elemosine mostrando “la licenza espressa de’ Vescovi” nelle lettere scritte (II).

- “Evitare gli inconvenienti che pos-sono occorrere in portar denaro adosso” consegnandoli “cautelata-mente o alli Tesorieri, delle parroc-chie overo a Mercanti sicuri (con farsene fare ricevuta)” (III).

- “Le robbe, che haveranno per ele-mosina, come grano, lino, tela, e simili le vendino e mettano li dena-ri insieme con gl’altri” (IX).

- “Tenghino dui libretti, in uno delli quali noteranno l’elemosina delle Università (parrocchie), le qualità, et il giorno, e nell’altro notino l’e-lemosina delle Particolari” (le per-sone, famiglie private) (X).

“Si sforzino allo spesso (di frequen-te) dare aviso a noi et in nostra absentia al P. Provinciale e diano ragguaglio delli denari, che si fanno e dove sono consignati” (XI).

- “Sopra il tutto faccino ogni sforzo circa l’alloggiare di notte che sia in casa di Religiosi v.g. (cioè) Cappuc-cini, Francescani, Domenicani etc. (overo nelle case delli Parrocchia-ni)” (IV).

- Può anche capitare che l’uno o tutte e due i questuanti si ammalassero: “e fossero in terre piccole, con la Consulta del medico, e senza peri-colo, si trasferiscano in città grosse dove fossero buoni Hospedali, et in questo non s’habbi riguardi e spese alcuna (con darne avviso ai Supe-

riori della loro famiglia [comunità religiosa])”.

- Di propria mano (autografo) Camil-lo aggiunge: “Dicemo che circa le lettere, leggerle, aprirle, mandarle, scrivere, e serrare habbino licen-za generale et levamo via come di sopra li precetti e scomuniche” (con la firma aggiunta: Camillo de Lellis) (XIV).

- “Circa lo spendere s’habbi riguardo alla nostra povertà sparmiando al possibile…” (XXV).

Mi sia concessa una piccola confi-denza: rileggendo questa “regola e brevi istruzioni” mi si è risvegliata la memoria dei tempi remoti, delle vacanze estive da liceale a S. Giuliano: l’esperienza della questua con l’indimenticabile e infaticabile Fr. Guido Coser al tempo della vendemmia a Monteforte Alpone. Giornate belle ma… faticose soprattut-to per un giovane allora emotivo e timi-do… ma entrava nel programma della formazione e sono ancora ammirato per il sacrificio del Fratello. Ammiravo in lui la verità del sommo Alighieri che provava sulla sua pelle “si come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” (Par. XVII 58-60).

Esempi inimitabili di generosità per l’Istituto e di umiltà! Ed è la “piccola grande storia” della Provvidenza che illumina l’apparente inutile dell’uomo che si “eterna” in Dio!

Ai Padri e Fratelli della Religione, da Roma il 14-15 Ottobre 1607.

A fine Settembre del 1607, Camillo ricevette ordine a Napoli, dal Card. pro-tettore Domenico Ginnasi, d’intesa con il Pontefice Paolo V, di rientrare quan-

Formazione

Page 50: Come Tralci n. 9 2015

– 294 –

to prima a Roma. Il perché del richiamo gli venne presto comunicato. Bisognava ridurre così impegnativo apostolato di cari-tà negli ospedali e ripristinare il governo dell’Ordine nei termini previsti dalla Bolla Gregoriana (1591), Clementina (1600) e dall’ultimo Capitolo Generale (1602).

È una pagina molto triste nella storia del nostro Fondatore, scritta con estrema delicatezza dal P. Cicatelli e ripresa da P. Vanti nella “Vita di S. Camillo” (pag. 340 e seg.).

Accenno solo a qualche particolare di P. Cicatelli per raccogliere lo spirito di fede e la santità del nostro Fondatore. Scrive P. Cicatelli:

“Erano gli obblighi, i pesi, le fatiche, et i debiti della Religione in estremo gra-do d’impossibilità saliti, aggiungendovi anco li molti stratij, e male portamenti che venivano fatti a’ nostri alcuni offi-ciali de gli hospitali nemici de Religiosi che da ogni cosa andavano continua-mente nuovi richiami al Pontefice sup-plicandolo d’alcun provedimento. Dal che quasi infastidita sua Santità, ordi-nò espressamente il Cardinale che si rimediasse… Il Cardinale desiderando che la Religione non facesse naufragio sotto la sua tutela dispiacendogli anco molto ch’un Instituto così importante dovesse quasi per far troppo bene anda-re in ruvina; non ostante che il Capito-lo Generale fusse molto vicino, intimò una dieta in Roma nella sua presenza… Camillo conobbe benissimo che in det-ta Dieta non si poteva trattar d’altro che di restringere di nuovo la sua auto-rità… vedendosi… egli vecchio, e qua-si distrutto dalle fatiche, si risolvé… di ritirarsi sotto il quietissimo giogo della Santa Obbedienza…” ( Vm pag. 217).

Ma non si sottrasse dall’altro “giogo”

di scrivere ancora fedelmente a quanti desideravano la sua corrispondenza.

Dalla corrispondenza di Camillo alla Consulta Generale e ai Consultori.

P. Vanti: “Dal Settembre 1608 al 10 Gennaio 1609, abbiamo di Camillo: 5 lettere autografe, delle maggiori; 5 brani di testi autografi trascritti dal Cicatelli; 5 segnalazioni di altrettante lettere del Santo alla Consulta Generale. Quindici testi autografi, nel breve giro di cinque mesi”.

Due lettere son per il P. Alessandro Gallo, secondo Consultore e segreta-rio della Consulta e di Camillo, uffici esercitati “con particolare impegno e capacità” (P. Vanti).

Camillo scriveva a Milano: “Sap-piate, per grazia di nostro Signore, sono così contento che non cambierei la mia condizione attuale per tutto il mondo e per qualsiasi altro stato, nessuno esclu-so. Sia a gloria di Nostro Signore che mi ha fatto questa grazia”.

quanto a scrivere se sono contento, io le dico che, per grazia del Signore, sono così felice da non poter dire di più purché in due cose. Mi angustia innan-zitutto il fatto che ignoro se sono nel-la grazia del mio Creatore; e poi sarei felice pienamente se Nostro Signore mi rivelasse, per dir così, che mi sono per-donati i miei peccati e che sarò salvo. Ora questo, Padre mio, mi farebbe stare più contento e sarebbe una gioia vera”.

Qui Camillo è veramente l’uomo che vive sotto l’ispirazione e nell’atmo-sfera dello Spirito Santo.

P. Francesco Pelliccioni, suo segretario personale e soprattutto suo confessore. “Sommamente caro al suo cuore e utile

Page 51: Come Tralci n. 9 2015

– 295 –

al suo Ordine, per le non comuni virtù, per la distinzione e la scienza”.

Era stato ricevuto nell’Ordine nel Natale del 1595, all’età di 16 anni appe-na, era di nobile famiglia e studiava al collegio Brera dei Padri Gesuiti. Dopo il noviziato e la professione (8 Gen-naio 1598) compì gli studi a Roma al Collegio Romano. Ordinato Sacerdo-te, agli obblighi quotidiani della carità, che disimpegnava con grande ardore, chiedendo fin d’allora a Dio la grazia del martirio della carità, aggiunse quel-lo di maestro dei novizi, e in seguito di segretario della Consulta o Consiglio Generale dell’Ordine.

Di P. Pelliccioni, Camillo disse poi “ch’era l’Angelo del Signore inviato-gli a conforto e sostegno, suo e della Religione con la dottrina e la santità della vita”. L’avrebbe voluto suo suc-cessore nel governo dell’Ordine; l’ebbe invece fedele imitatore nella umiltà e nella carità. Morì il 22 Agosto 1625, a 46 anni, nell’assistenza alle truppe spa-gnole, sequestrate nel porto di Savona, colpite e decimate da febbri pestilenzia-li (Tifo castrense)” (Vanti, “Vita di S. Camillo”, pag. 230-231).

due frammenti di lettere scritte al “pre-diletto” P. Pier Francesco Pelliccioni che “più di tutti conosceva le ansie del suo cuore e le ‘terribili’ decisioni della sua ‘mente di carità’”. Una è di carattere “economico-spirituale” e l’altra è “ansia paolina tesa tra l’eternità del paradiso e la presenza dell’‘opera del Crocifisso’ nella Chiesa con il carisma della cari-tà”. Ecco la prima:

“Mi usi la carità di scrivermi qual-che volta circa la salute sua e di tutti, se ci sono infermi negli ospedali e altrove,

se si va nell’Ospedale Santo Spirito, se ci vengono elemosine e se Nostro Signore ci ha mandato qualche aiuto per sollevarci in parte dai debiti. Ciò sarebbe per me di sommo conforto, per-ché questi debiti sono stati fatti da me. Tra le altre cose che chiedo al Signore nelle mie fredde preghiere c’è questa: che ci liberiamo dai debiti. Spero che il Signore ci concederà questo e altro”.

Ed ecco “l’ultimo scritto intera-mente autografo per il prediletto P. Pier Francesco Pelliccioni: ‘Patre mio, se non ci vedremo in questa (vita) spe-ramo vederci nell’altra, mediante il Sangue di Cristo. Tra tanto da parte de Nostro Signore ve mando milione de beneditioni. Gli raccomando il santo nostro istituto; habiatene quello zelo santo che si conviene, che beato voi et tutti quelli che l’haverà…’”.

Non posso trascurare i due “fram-menti” di lettere autografe scritti alla Consulta Generale che rivelano la san-tità di Camillo nella sua disponibilità nell’obbedienza.

al comando dei superiori di recarsi da Milano a Genova per appianare le diffi-coltà dei religiosi di Genova.

Scrive: “Reverendi Padri e Fratel-li, ho ricevuto una vostra lettera nella quale mi comandate che io mi rechi a Genova. Ho avuto ieri la lettera e oggi parto. Non mancherò di fare tutto, ciò che dipende da me perché le cose vada-no bene, senza imporre né comandare niente a nessuno, ma solo esortando e sforzandomi di dar a tutti buon esem-pio col mio comportamento. Se di altro sono capace, comandatemi e non risparmiatemi in niente per il servizio del Signore e dell’Ordine”.

Formazione

Page 52: Come Tralci n. 9 2015

– 296 –

-mento, “da Genova Camillo scrive ai superiori la sua gioia: perché eserci-ta l’obbedienza e perché cerca il bene dell’Ordine”. Leggiamo dalla lettera i sentimenti migliori perché spontanei e veramente sinceri:

“Fratelli e Padri reverendi, avrei pensato a qualsiasi cosa eccetto questa, cioè che mi comandassero di fare questa visita alla comunità di Genova. Ma la farò volentieri per due motivi. Il primo è la santa obbedienza: per tanti anni l’ho promessa e non l’ho mai sperimentata. L’altro motivo è la speranza che que-sta visita sarà per il servizio di Nostro Signore e per il bene del mio Ordine. Del resto, Padri Reverendi, loro sanno molto bene che io ho comandato assai in ventitré anni e più. È tempo che io attenda a me stesso. E questo non per fuggir la fatica, ma per la gloria di Sua Divina Maestà, per la salvezza mia e per il bene dell’Ordine. So che loro Padri conoscono tutto questo. Tuttavia i giu-dizi di Dio sono occulti. Mi rimetto alla santa obbedienza e a tutto quello che sarà la volontà del Signore. Si ricordino che sarò sempre fedele ai miei superiori e al mio Ordine….

La mia gamba sta alquanto peggio del solito, cioè la piaga si è fatta più grande. Oggi ho cominciato a conce-derle un tantino di riposo per alcuni giorni perché si possa ridurre un poco”.

La missione di Camillo ebbe buon esito grazie anche la presenza di P. Ilario Cales definito da P. Vanti “alter ego” del Fondatore.

Chi era P. Cales? “Era uno dei reli-giosi più qualificati per virtù. Nato in Lorena (Francia) a Mandres aux Qua-tre Tours intorno al 1565, aveva pre-

so l’abito dei Ministri degli Infermi a Roma, dalle mani di P. Camillo, il 18 Novembre 1592. Professo nel 1594, era sacerdote dal 1600. Nel 1608 dimorava da due anni a Genova: ‘un grande dono’ per la nuova fondazione nell’ospedale del Pammatone di Genova, l’‘alter ego’ di P. Camillo. Vi rimase fino alla morte, 20 Marzo 1636, trent’anni! Visse e morì in concetto di Santo, sopravvivendo a Camillo di ventidue anni, continuan-done a Genova, con perseverante e cre-scente intensità di spirito, la presenza e l’opera. Alla morte non ci fu geno-vese che non lo venisse a vedere. Per soddisfare alla pietà dei fedeli si rese necessario lasciarlo otto giorni sopra la terra”. “I signori dell’ospedale – ricor-dano le cronache cittadine – piangono la perdita d’un ministro tanto fedele; gli infermi, un operaio di tanta carità; per tutti un padre e un fratello specchio di virtù” ( Domesticum 1908/1909).

Non posso rinunziare alla rilettura della pagina commovente della “Vita di S. Camillo” di P. Vanti, esempio irri-petibile di umiltà e obbedienza al “vero e unico fondatore dell’Ordine: il Cro-cifisso; era giusto e necessario, diceva

Camillo davanti al Crocifisso e P. Ilario Cales (Genova, Casa Sacro Cuore).

Page 53: Come Tralci n. 9 2015

– 297 –

Camillo, ch’io dovessi scomparire”. “… il card. Ginnasi, protettore dell’Ordine, invitò Camillo a parlare (nella “dieta del 2 Ottobre 1607”).

Premesso “un lungo ragionamento sopra l’Istituto e l’amore dei poveri che l’avevano forzato a pigliare tanti ospe-dali, tanti novizi e a fare tanti debiti” parlò della sua rinunzia e del proposito fermo di ottenere dal Papa il consenso”. Il Cardinale gli rispose d’essere auto-rizzato a riceverla. Prostrandosi allora ai piedi di lui, fece formale rinunzia al generalato, pregando i presenti di non gravarlo, per l’avvenire, d’altre responsabilità di governo. Rinunziava a qualsiasi titolo di onore e precedenza, ripetendo infine la sua protesta “di non aver avuto mai altra mira che la gloria di Dio e la salute de’ prossimi, per la quale aveva egli sempre procurato che la Religione si annidasse in quei santi luoghi degli ospedali”.

Sia il Cardinale protettore che Mons. Seneca lodarono quella “azione di un uomo santo e fondatore” prote-standosene “molto edificati”.

L’indomani, in comunità alla Maddalena, Camillo comunicò la sua rinunzia e ne dette avviso a tutte le case dell’Ordine con una breve lettera circo-lare e ricopiata di sua mano.

“Sapranno come ho rinunziato l’ufficio del generalato, con mio mol-to contento speciale et gusto. Spero che Nostro Signore mi darà la grazia a cavarne quel frutto che Lui vuole, et per bene della Religione e mio particolare. Non mancate di agiutarmi con le vostre orazioni. Del resto qual padre e fratello amorevolissimo che sempre sono stato, li sarò sempre. Nostro Signore li bene-dica”. Il sacrificio era compiuto (P. Van-

ti, “Vita di S. Camillo”, pag. 341).A P. Sanzio Cicatelli a Genova da

Napoli il 18 Maggio 1604.P. Sanzio Cicatelli, con P. Biagio

Oppertis, era uno dei più vicini al Fonda-tore. Merito particolare del Cicatelli è stato e rimane il suo impegno di primo cronista dell’Ordine e biografo del Fondatore.

È nato a Napoli nel 1570 ed entrò nell’Ordine, a 19 anni, nel 1589 e fu nel numero dei primi 25 Professi l’8 Dicembre 1591. Sacerdote nel 1594, fece parte della seconda Consulta Generale dal 4 Agosto 1599. Il 29 Aprile 1604 fu nominato Pre-fetto a Genova, Primo Provinciale di Mila-no nel 1605, Consultore per un secondo sessennio dal 1608 e infine terzo succes-sore di Camillo nel governo dell’Ordine (7 Aprile 1619 - 4 Maggio 1625). Chiuse i suoi giorni a Napoli il 29 Giugno 1627.

P. Cicatelli era stato nominato prov-visoriamente Primo Superiore a Viterbo il 7 Gennaio 1604, ma già il 29 Aprile era trasferito come Prefetto a Genova. Camillo aveva a cuore di raccomandare due religiosi infermi: Fr. Antonio Gros-siano e Fr. Giacomo di Mattia e voleva “arrivare… a tempo delli rimedi”, dei due religiosi.

Nel dubbio che P. Cicatelli fosse già arrivato a Genova, appose nell’indirizzo esterno della lettera: “in assenza del P. Santio, a chi tiene il suo posto” e tutta la sua preoccupazione è sul tempo: “arri-vino a tempi delli rimedi. Non altro”. Il Fratello Grossiano era reduce dall’Un-gheria, nell’esercito pontificio per l’as-sistenza dei feriti e malati, e portava le stigmate dell’eroico apostolato. Le premure di Camillo gli facilitarono la guarigione, consentendogli un genero-so servizio degli infermi per molti anni ancora. Morì nel 1637.

Formazione

Page 54: Come Tralci n. 9 2015

– 298 –

Fr. Giacomo di Mattia, invece tra-sportato a Napoli, nonostante le cure, moriva il primo Agosto. Era professo dal 1592.

Fratel Antonio Barbarossa (Barbaroux) francese, della Provenza, ordinato sacerdote a 52 anni, nel 1606 e cono-sciuto come “persona virtuosa, religiosa e da bene”. Camillo era stato pregato di trasferire il Fratello a Roma: “ma non ritiene espediente che per adesso si por-ti a Roma, ma rimanga a Genova dove è ‘di buon esempio’ e non potrebbe esser tolto dall’ospedale senza ‘ammirazione’ cioè dispiacere della città”.

-telli di scrivergli ogni settimana “come passano le cose” dell’Ospedale, dove erano in corso le pratiche per il “servi-zio completo” dei malati.

A P. Sanzio Cicatelli a Genova da Napoli l’11 Dicembre 1604.

Questa seconda lettera al P. Cicatelli ha per argomento l’Ospedale di Genova. Mentre a Napoli Camillo è “affogato” in tanti impegni di assistenza ai malati negli ospedali delle città, pensa e provvede a intavolare, tirare avanti, concludere trat-tative per “il servizio completo” in altri grandi ospedali d’Italia. In quello di Geno-va erano in corso da due anni almeno. I suoi religiosi frequentavano l’ospedale ogni giorno praticando la carità ai malati senza impegni di servizio regolare e continuato, meno l’assistenza spirituale da parte di alcuni di essi.

Il 31 Ottobre 1603 era stata firmata una convenzione per il servizio completo, ma prima che si potesse mandare ad effet-to, venne a scadere, a Natale, il mandato dei governatori in carica che ne lasciarono ai nuovi eletti. Questi riprendendo in esa-me la pratica, ne rimandavano da un mese all’altro la conclusione. Per questo Camillo nella precedente lettera, raccomandava a P. Cicatelli di tenerlo informato “ogni set-timana, delle cose dell’ospedale”.

presa una “determinazione”, mentre se ne rallegrava molto, ricorda che “siamo (stati) scottati et dovemo andare molto cautelatamente”. Chiede perciò che “si facci decreto”, dice di “accennare”, in una lettera a quei signori, di concludere la pratica in tal senso.

Scrive P. Vanti: “La lettera, passa-ta nell’archivio dell’ospedale, non si è potuto fin qui, ritrovare, ma il con-tenuto di essa del resto, è sufficiente-mente indicato da questa. Il Santo non

P. Sanzio Cicatelli, compagno, testimone e storico di San Camillo. Una delle “centro braccia” che Camillo auspicava per la sua “pianticella”.

Page 55: Come Tralci n. 9 2015

– 299 –

si mostra affatto disposto a perdere la partita per un mancato ‘decreto’ per-ciò ‘se fossero molto duri’ (= fermi) nel proposito di non impegnarsi al di là del-la loro ‘parola o fede’, consente che si concluda”.

non solo sopra le forze, ma al di là delle attuali possibilità numeriche dell’Ordi-ne su quelle che potrà avere in seguito. Sapendo che il destinatario (P. Cicatel-li) è prudente… spera saprà negotiare, impegnandosi per 19 religiosi, anche se al momento non può averne che otto o sette. Sono calcoli che oltrepassano i termini della prudenza umana, ma il Santo li trova facili e sicuri. Per questo insiste, quasi che il detto e ripetuto non bastasse: “gli raccomando molto questo negotio del hospitale”.

P. Cicatelli, al centro della vicen-da, lascerà scritto nella sua cronaca (Vita manoscritta, pag. 295): “Quel sant’uomo di Camillo benché venis-se e toccasse con mano tante infinite difficoltà, et si vedesse con l’acque fino alla gola, nondimeno quelle non pote-rono mai estinguere la sua gran charità non vedendosi mai satio d’abbracciar sempre nuovi pesi sopra pesi. Dicendo egli e defendendo rapidamente che mai la Religione s’era ritrovata in miglior stato… come ingolfata et annegata in tutto e per tutto nell’abisso della santa charità”.

“denari della tassa di Roma”. La Con-sulta Generale per provvedere agli estremi bisogni della Casa Generalizia aveva disposto, rivedendolo di anno in anno, il versamento di una modesta quota da parte delle singole case.

La comunità di Genova, maggior-mente aiutata dai suoi benefattori, con-tribuiva più delle altre, provvedendo nello stesso tempo a fabbricarsi la casa”.

Al P. Sanzio Cicatelli a Genova da Napoli il 18 Marzo 1605.

Dopo la lettera al P. Cicatelli dell’11 Dicembre 1604, le “cose dell’Ospedale di Genova” come il Padre ne informava Camillo, subirono un imprevisto arresto da parte dei nuovi governatori che ripre-sentarono la proposta nei termini di par-tenza: otto religiosi per la sola assistenza spirituale. Il Santo ne aveva offerto dieci religiosi in più per l’assistenza corporale, predisponendo col superiore una comunità di 19 religiosi dentro l’ospedale. Sul nume-ro diciannove egli aveva fermata ormai la sua attenzione e nonostante le difficoltà, si teneva certo per la primavera di soddisfare l’impegno. Invece al momento di conclude-re, quei signori si rifecero da capo.

-me pertanto il suo rammarico, ricor-dando il “bonissimo partito” da lui offerto che “sarebbe stato con beneficio dell’Hospedale – fa dire dal destinatario (P. Cicatelli) ai governatori – il peso spi-rituale senza il corporale sarebbe contro la determinazione della seconda Bolla”.

“A me dispiace non poterli servi-re, si lamenta, ma ‘avrebbe contro le costituzioni’. Il partito da prima, insiste, era giustissimo”. Vuole che P. Cicatelli “non tema di dirlo chiaro” “scusandosi su la sua persona”. Camillo si prende la propria responsabilità; se ci cacceranno da Genova “scoteremo la polvere dalli piedi”; ma al Santo rimane la fiducia che “al Signore piacerà disporre altri-menti”.

P. Vanti osserva che a dar ragione delle resistenze che i governatori dei

Formazione

Page 56: Come Tralci n. 9 2015

– 300 –

vari ospedali, tutti egualmente (a Firen-ze, Ferrara, Mantova, Milano, Genova, Napoli, Viterbo, Chieti), opponevano a Camillo, è utile ricordare il maggior elemento in causa. Il processo di evo-luzione che Umanesimo e Rinascimen-to, in armonia su questo piano con la Restaurazione Cattolica determinaro-no con la concentrazione ospedaliera, si proponeva un regime amministrati-vo di più larga partecipazione laicale. Superate le ristrette formule medievali, sia di ricovero sia di cure dei malati, le amministrazioni ospedaliere, ispirate tuttora, del resto, a vivo senso di cari-tà, andavano caute e perfino sospettose a introdurre, e soprattutto ad affidare a comunità religiose giuridicamente costituite i nuovi grandi istituti ospeda-lieri. Gli assillava il timore, il sospetto, che prendendone esse il sopravvento se ne potessero alla fine nuovamente impossessare (vedi doc 30, 2° pag. 297).

È accaduto a Firenze per l’ospedale S. Maria Nova: “Il Granduca (Ferdi-nando I) allarmato per il prestigio, in crescendo, dei nuovi religiosi, cadrà in sospetto che col tempo essi si possa-no impadronire dell’ospedale. Camil-lo, per questa ingiustificata angustia, sarà costretto a ritirare con dispiacere e sacrificio i suoi (30!) religiosi” (Vita nostra 247).

-zioni della prima Bolla, ottenne con la seconda (1600) che dopo i quattro voti solenni, i suoi religiosi si impegnassero con voto “a non accettare né consen-tire d’aver cura dell’amministrazione e direzione degli ospedali, per dedicarsi interamente e con maggior purità d’in-tenzione al ministero spirituale e corpo-rale degli infermi” (pag 106.C4).

(“Messe et corone”) per il defunto Fr. Lorenzo Mazzola, fiorentino ma morto a Napoli il 23 Febbraio. Era professo dal 1598.

Camillo, al di là dei problemi istitu-zionali, si preoccupa degli impegni spi-rituali dovuti ai Confratelli che si sono “offerti al servizio della carità!”.

Ai Padri Consultori a Roma da Messina il 27 Settembre 1601.

L’informazione storica che P. Vanti premette a questa lettera è veramente inte-ressante per conoscere lo spirito di sacrifi-cio di Camillo nel seguire la formazione, lo sviluppo del suo Istituto. “Camillo, partendo il 16 Giugno a Roma, ‘andò per tutta la Religione’, allo scopo di spiegare il contenuto della nuova Bolla ‘Su Superna dispositione’ che alcuni non avevano ben compreso. Dopo Firenze, dove accompa-gnò i trenta religiosi per l’ospedale di S. Maria Nova, si diresse a Bologna, visitò Mantova e Ferrara, sostò a Milano e a Genova rientrando di là a Roma. Prose-guì per Napoli dove si imbarcò i primi di Agosto sulle galee di Spagna approdando a Palermo”. Dal 16 Giugno (Roma) ai primi di Agosto (il 10 Agosto) approda a Palermo e il 27 Settembre a Messina.

“L’accoglienza che vi ebbe a Mes-sina come a Palermo “è stata di tanta carità et amorevolezza che ho riciputo da questa città di Messina che no posso contarlo”.

in Roma in questa lettera: anzitutto si scusa che “per essere maltempo in mare non me lassa partire, però facendo bon tempo subito con gratia del Signore partirò”.

ammirazione al Fondatore delli “Mini-

Page 57: Come Tralci n. 9 2015

– 301 –

stranti all’Infermi, detti, del “ben morire, in Sici-lia, ricorda il testimonio oculare e Primo Superiore P. Nigli, era “per le opera-zioni sante che vedevano compresi dai suoi figli”.

Destinava la somma di scudi (2.000 + 2.500 scudi) alla costruzione di “case di noviziato nelle due città e così assicurare le continuazione e lo svi-luppo dell’opera di carità, per il mantenimento dei novizi e dei religiosi infer-mi”.

“Tutto a gloria del Signore, qui ho ritrovato tanti soggetti che voglio-no intrare che credo che passa vinti (passano il numero di 20) tra li quali ne sono molti studenti sacerdoti. Se ne sono riciputi alcuni bonissimi che ave-vano perseverato molto tempo (di esse-re ammessi). In questa città la Religione (dei Ministri degli Infermi) è molto ben vista. Mi raccomando alle loro orazioni. Servo nel Signore Camillo de Lellis”.

Camillo ripartì da Messina per Napoli i primi di Ottobre 1601, con un gruppetto di giovani aspiranti. Il 26 Ottobre rientrava a Roma, concluden-do il lungo viaggio incominciato il 16 Giugno 1601.

-dalena il 3° Capitolo Generale. Camil-lo ottiene di “governare la Religione assolutamente conforme a quel santo fine che Dio gli andava dimostrando. Concluso il 6 Maggio il Capitolo, ‘a gui-

sa di rapidissimo fiume di carità …. per lungo tempo trattenuto’. Il Santo parte alla conquista degli ospe-dali” (Vrm, p. 279).

visita le case di Toscana e Lombardia, poi da Geno-va, scende a Napoli. Più presto che gli riesca, rag-giunge e visita la Sicilia, rientra a Napoli per risa-lire, il 14 Settembre per mare a Genova. Per la strada di Milano, si parte a Ferrara…

Nel lungo rapidissimo viaggio, Camillo, riordi-nato lo stato personale delle diverse comunità, lasciò disposizioni per il buon governo di ciascu-na, informandone a Roma

i nuovi Consultori, eletti il 29 Aprile (1602) dal 3° Capitolo Generale.

Interessante è la panoramica dell’at-tività “itinerante” di Camillo (i viaggi nelle diverse comunità che formarono la compagnia o la Religione dei Mini-stri degli Infermi presenti nelle città di Milano, Genova, Bologna, Manto-va, Ferrara, Firenze, Napoli, Messina, Palermo… “come torrente ch’alta vena preme!”.

Al Padre Marchesello Lucatelli a Bucchianico da Roma 20 Febbraio 1610.

Chi è P. Marchesello Lucatelli? Nato a Talamello di Montefeltro, nelle Marche, era professo dal 1596. Nel 1604 era tanto grave di salute, che la comuni-tà alla Maddalena fu chiamata “intorno al suo letto per vederlo spirare. Camillo, mentre medici e confratelli non davano

P.F. A. Nigli

Formazione

Page 58: Come Tralci n. 9 2015

– 302 –

all’inferno più di ‘quarto d’ora’ di vita, disse ‘che non sarebbe morto’ di quel male, e così fu (V.m. pag. 286-287).

Nel 1606, al termine del suo ses-sennio di Consultore fratello, il Luca-telli fu ordinato sacerdote. Cresciuto alla scuola di carità di Camillo gli restò fedele e devoto fino alla morte (28 mar-zo 1621).

Superiore per più anni (1608-1614) a Bucchianico, vi raccolse preziose memorie del Santo, informandone a suo tempo (25 Agosto) il Processo di Roma (Arch. Gene-rale e Storia dell’Ordine II pag. 28-286)” (P. Vanti, “Scritti di S. Camillo, pag. 384).

Camillo risponde alle richieste presen-tategli dal mittente, durante l’ultima visita in patria. Scopo della fondazione a Bucchianico era per il Santo: riparare i cattivi esempi dati in gioventù; assicu-rare in perpetuo un’assistenza religiosa caritativa alla sua terra (AG. 1519).

-to l’argomento delle indulgenze col P. Cicatelli (in assenza del P. Generale Biagio Opertis, impegnato a Napoli)” (P. Vanti) e si mostrava favorevole alla divisione della comunità di Bucchiani-co da quella di Chieti: i due superiori saranno P. Lucatelli, a Bucchianico con quattro religiosi, e P. Montin Guglielmo con altrettanto quattro religiosi.

“sollecita la posa della prima pietra per la costruzione della casa e così pure per il pozzo dell’acqua necessaria alla stes-sa costruzione. Faccia in modo che il P. Guglielmo Montin scriva alla Con-sulta che conceda la licenza di vendere le due piccole proprietà che abbiamo, per comprare la casa che deve essere demolita.

Nostro Signore le conceda di ini-ziare bene la Quaresima e di terminarla ancora meglio per la salvezza dell’anima sua e la santità della sua vita” (Germana Sommaruga, pag. 174-175).

Al P. Generale Biagio Oppertis a Napoli da Roma.

Camillo, da Giugno a Dicembre 1611, è a Roma nell’arcispedale di Santo Spirito. Il Generale P. Oppertis è a Napoli per cure e con lui, per la stessa ragione, è anche P. Alessandro Gallo, Consultore. “La Con-sulta, per la presenza di Camillo a Roma, può radunarsi due volte alla settimana” (P. Vanti).

Il frammento di questa lettera cer-tamente autografa, è riportata dal Cica-telli nel Vms del 1627 e conferma gli atti di culto divino e della religione di Camillo zelantissimo…”. È la vita spi-

P. Biagio Oppertis, uno dei Confratelli in sintonia con la mente, le mani e il cuore di P. Camillo.

Page 59: Come Tralci n. 9 2015

– 303 –

rituale vissuta quotidianamente. Scri-ve S. Camillo: “Sì che, Padre mio, mi sto persuadendo sempre più che Nostro Signore Dio mi ha fatto una grande gra-zia chiamandomi in questa santa vigna e chiedendomi di cercare di piacergli, ed essergli gradito nel seguirlo in questa strada. Non bisogna piegare né a destra né a sinistra, camminare diritto con l’animo unito al Creatore mediante la preghiera raccolta e continua, e con la lettura di libri spirituali, con frequenti sacrifici, la confessione, il disprezzo di se stessi, fondati nella santa umiltà”.

È un invito del Fondatore a pro-grammare l’ultimo tratto ascetico e spi-rituale oramai sulla dirittura d’arrivo e di incontro con l’autore e il Perfeziona-tore della mia fede! (Eb 12,2).

Al P. Frediano Pieri a Bologna da Roma il 28 Maggio 1611 (copia).

Dopo un soggiorno a Bucchiani-co richiesto dal Superiore di Chieti, P. Guglielmo Mutin, per “particolari bisogni di quella fondazione, Camillo rientrando a Roma riprese il suo posto a Santo Spi-rito. Dal 19 Gennaio 1611, d’ordine del Pontefice Paolo V comunicatogli dal Card. Ginnasi, entrò a far parte della Consulta con voto pari a quello degli altri consultori” (Arch. Gen. 1519, pag. 397).

“Il 28 Maggio scrisse da Roma al Superiore di Bologna P. Frediano Pieri, rispondendo ‘a una sua carissima’, que-sta lettera. Deciso a non intervenire se non chiamato in causa, il Santo approfittò dell’incontro per mettere a segno, col desti-natario e in quella città, i termini dell’apo-stolato dei Ministri degli Infermi”.

Lucca (1576), “era religioso zelante, ossequiente, accettevole. Formato alla

scuola di carità di Camillo, era salito, più tardi, al sacerdozio con l’impegno di continuare egualmente ‘a servir nelli hospitali’. Da sua parte era ben disposto a farlo come l’aveva fatto fin lì. Ma destinato poco dopo a Bologna, ed entrato l’11 Giugno di quest’anno (1611) al posto di P. Marcello Mansi come superiore, si trovò nell’occasio-ne di giustificarsi dal praticare l’ospe-dale, come e quanto sarebbe piaciuto a Camillo, per attendere ai ministeri ecclesiastici” (P. Vanti).

Con questa lettera il Santo lo met-te sull’avviso del pericolo e “consacra le reiterate disposizioni della Consulta prima e dopo il ritorno del Santo a far parte di essa”.

È un documento prezioso che con-ferma la mente e il cuore di Camillo sulla finalità del suo Istituto.

sua lettera a me carissima perché sen-to che lei e tutti quelli di casa stanno bene. Nostro Signore le conceda di continuare sempre bene in meglio nel suo servizio, di crescere spiritualmente secondo la nostra santa vocazione, e di non scordarsi di quello che ha promes-so con voto solenne non al Papa, ma a Dio, creatore dell’universo, il quale, dopo questa breve caduca vita, dovrà giudicare le nostre opere. Si ricordi dell’obbligo assunto nella professione religiosa, pensi che ne va di mezzo la salvezza dell’anima. Pensi − ma credo che non se ne scordi – che se uno dei nostri facesse miracoli ma non fosse affezionato al nostro santo ministero, io non gli crederei per niente: questo però non accade.

Padre mio pensiamo ai casi nostri: lei sta dove non c’è comodità di andare

Formazione

Page 60: Come Tralci n. 9 2015

– 304 –

all’ospedale come invece in altre città; però un ospedale c’è e, se non è possi-bile servire come in altri luoghi, si deve fare quanto si può per giungere dove si può e, dove non è possibile, basta avere il desiderio ardente di fare cose grandi non solo ai poveri negli ospedali, ma anche ai morenti nelle case private, e desiderare di aver migliaia di vite da spendere in questi due campi dell’assi-stenza. Lei, come superiore, deve esse-re il primo a fare la sua parte, perché i capitani devono trovarsi in prima linea, alla frontiera, davanti ai nemici, nella battaglia: così farà in modo che i suoi religiosi compiano anche loro il proprio dovere”.

“Ricordi che fine della nostra santa vocazione non è confessare in chiesa e riempire le chiese di confessionali. Questo è solo un poco di scorza, e guai a chi consuma tempo in ciò.

Il fine nostro è invece servire perfet-tamente i poveri dell’ospedale, i moren-ti nelle case; ecco la nostra santa voca-zione. Guai a chi si dimentica di questa verità! Verrà il tempo che al tribunale di Cristo in questo saremo strettissi-mamente giudicati. Perciò, Padre mio, vigiliamo in una cosa così importante. Ricordi che molti santi dottori ritengo-no che tanti prelati vanno all’inferno perché non fanno quel che devono. Il Signore la benedica” (Germana Som-maruga, pag. 42).

Al P. Marchesello Lucatelli a Buc-chianico da Roma il 9 Novembre 1623.

“A Genova, dove giunse per l’ulti-ma volta da Milano sulla fine di Giugno 1613, desideroso di rientrare quanto più presto a Roma, Camillo fu costretto per qualche tempo a letto”. Il 10 Ottobre salpò da Genova per Civitavecchia e giunse a

Roma la sera del 13 Ottobre. Nei giorni che seguirono, pur obbligato a letto, il San-to provvide a scrivere e dettare “non poche lettere”. Purtroppo non c’è rimasto nulla di qualcuna e il ricordo di altre.

Il primo testo in ordine di tempo, originale e interamente autografo, è questa lettera al P. Marchesello Luca-telli.

Il destinatario è superiore a Buc-chianico, impegnato tra molte diffi-coltà, a mandare avanti la fondazione. Camillo lo incoraggia a continuare. Nota P. Vanti: lo scritto accusa la stan-chezza e l’infermità del Santo. I medici gli avevano ordinato quindici giorni di assoluto riposo; ne erano trascorsi tren-tasette, e tanti non erano bastati: “Pre-gate per me, sto debolissimo” confida ed aggiunge “vorrei, se piacesse al Signore, un po’ di salute per suo servitio”.

“La Vostra Riverenza, non se perda de animo che il Signore tiene cura delli soj’ servi”.

“Non era appena il pensiero della casa in costruzione e della chiesa da cominciare ma, a momenti, quello di provvedere il necessario alla comunità, mancando sovente ai sacerdoti anche l’elemosina della Santa Messa” (Arch.Gen., 6.5.1610).

centoquindici intenzioni di Sante Mes-se con l’elemosina di un carlino napole-tano ognuna, la moneta del luogo, equi-valente presso a poco al giulio romano, l’offerta che si dava s Roma” (Cic Vm 1627).

Camillo si preoccupava anche della consegna dell’offerta e desiderava che i Padri fossero “consapevoli di questa elemosina… a ciò se ne edifica (no) e che (vedano che) il Signore gli provedé

Page 61: Come Tralci n. 9 2015

– 305 –

et gli provederà per l’avenire”. Sapeva che se ne mostravano talvolta preoc-cupati.

Nella lettera c’è anche un motivo di coscienza per Camillo da chiarire e risolvere. Un motivo che sta a confer-ma dell’estrema sua delicatezza. Ricor-da che due o tre anni addietro, volendo regalare al nipote Alessandro, a Buc-chianico, “due libretti spirituali” n’ebbe “scrupolo” per non esser più superiore.

P. Lucatelli si offerse di soddisfare la piccola spesa, usando della facoltà concessagli dalla Consulta di disporre di uno scudo al mese per fare elemosina.

Così per un altro ‘libretto’ regala-to al ‘Vice Marchese’, il gentiluomo Camillo della Magna di Salerno (“dot-tore e ammiratissimo di Camillo del quale non perdeva mai ragionamento spirituale dicendo sempre (che) li pare-va sentire lo Spirito Santo”).

Poiché quel conto era rimasto aper-to, il Santo chiede al Padre di soddisfare con l’applicazione di tredici Sante Mes-se per la casa di Roma, cui è dovuto il prezzo di quei libri. “V.R. mandi la rice-puta del tutto (che riceverà) et li noti nel libro (di cassa), anco faccia memo-ria (su lo stesso) delli tredici carlini che paga delli libretti”.

Sono le ultime due lettere che prece-dono la lettera testamento, il documento “storico” che il Padre lascia in eredità ai suoi figli presenti e futuri per la loro san-tificazione e la perennità della volontà del Crocifisso cui è legata la perennità della “sua opera”. Ma la lettera testamento merita “ben altro studio e commentato-re…”! Accontentiamoci ancora dei soli “frammenti”.

A P. Ilario Cales a Genova da Roma il 20 Giugno 1614 e a P. Pier Francesco Pelliccioni a Ferrara da Roma il 5 Luglio 1614, Camillo accompagnò la lettera testamento alle singole comunità e case dell’Ordine con brevi parole di racco-mandazione al Superiore di “leggerla in pubblico e che tutti l’intendano”.

Ci sono rimasti due originali con firma autografa. Il primo è indirizzato al P. Cales, maestro dei novizi a Genova e superiore all’ospedale, dove i novizi dovevano formarsi alla pratica dell’isti-tuto.

A Genova P. Ilario Cales era l’“alter Camillus”, all’ospedale ne continuava la carità ai malati; in comunità era a tutti di edificazione per la singolare osservanza, mortificazione, bontà con tutti.

La Consulta Generale ammirata di lui, dal Novembre del 1613, cominciò a metterne da parte la corrispondenza (il che non fece nemmeno per il Fon-datore) accumulata via via fino alla santa morte del Cales, il giovedì santo (20 marzo) 1636: novantacinque origi-nali, in gran parte autografi, pubblicati e commentati sul “Domesticum” tra il 1939 e il 1942.

Per 29 anni, prima e dopo la morte del Fondatore, P. Cales visse e si prodigò al Pammatone di Genova.

predilezione unì Camillo e P. Cales.P. Giacomo Mancini, superiore

alla Maddalena e confessore del San-to dall’ottobre 1613, si tenne in dovere di comunicare direttamente a P. Ilario il paterno ricordo per lui di Camillo morente. Quattro giorni dopo la morte del Santo, il 18 Luglio 1614, P. Manci-ni scriveva a P. Cales dicendogli come

Formazione

Page 62: Come Tralci n. 9 2015

– 306 –

“tutta Roma” concorresse a venerare la salma di Camillo, chiamato Santo e Beato per le segnalate grazie e prodigi.

“Ed io, aggiunse il teste, prima che il Padre nostro benedetto morisse, mi inginocchiai in terra e gli chiesi la benedizione per Vostra Riverentia par-ticolare (…et me la diede volentieri. Però vegga conclude soddisfatto – come io mi sono ricordato di lei, per pregare per me)” (Dom. 1939, pag. 176-177).

Camillo, in quest’ultima lettera al diletto figlio e discepolo P. Cales, con-fida di sentirsi “gravissimo e disperato da medici” perciò col presentimento di andarsene “fra pochi giorni” all’al-tra vita. “Fatta sia la volontà di Nostro Signore” esclama fiducioso e sereno il nostro Santo.

* Non chiede orazioni perché sa che non manca di pregare e far pregare per lui, per ottenergli misericordia e la sal-vezza dell’anima.

* Al centro della missiva, il richia-mo alla lettera “scritta in comune a tutti di cotesta Casa” da “leggere in pubblico e che tutti l’intendano” fiducioso che darà consolazione a tutti.

* L’addio finale è ormai per il cielo: “ci rivedremo nell’altra vita”.

L’amanuense è P. Matteo Morruel-li, la firma del Santo è fatta con “mano tremante”.

P. Morruelli è testimone oculare della morte di S. Camillo e lo storico P. Lenzo nota: “All’invocazione ‘mitis, atque festivus, Christi Jesu tibi aspec-tus appareat’ Camillo sorridente (‘ore ridenti… feliciter expiravit’), dette l’ul-timo, quasi impercettibile respiro. Era-no le ore ventuna e trenta minuti del lunedì 14 Luglio 1614. Camillo contava 64 anni, un mese e venti giorni”.

II) A P. Pier Francesco Pelliccioni a Ferrara da Roma il 5 Luglio 1614.

È questa l’ultima lettera di Camillo giunta a noi. Un testo interamente auto-grafo che ha le proporzioni del suo cuore. Scritta il 5 Luglio a Roma; giunse a P. Pelliccioni a Ferrara il 14, il giorno che Camillo moriva.

per la Provincia Religiosa di Bologna, residente, per ragione di ministero, all’ospedale di Ferrara. Figliolo e reli-gioso prediletto, Camillo si era servito di lui come segretario, maestro di spirito per i novizi e, quando l’aveva comodo, per suo confessore. Formato alla scuola di carità del Santo, P. Pelliccioni aveva condiviso le maggiori responsabilità di governo del Fondatore con incondizio-nata, benché non sempre facile, confor-mità agli ideali e alle maggiori iniziative di apostolato di lui. Camillo l’avrebbe preferito per suo successore nel governo dell’Ordine. A lui, con uguale fiducia e considerazione che a P. Ilario Cales, lasciò morente, questo codicillo alla lettera-testamento sicuro di affidarlo a un religioso erede della sua mente e del suo spirito. “Offrendosi all’assistenza dei contagiosi, morì per essi il 24 Agosto 1625”.

l’espressione e la grafia “fissa” l’ultimo ritratto di Camillo. Scrive P. Vanti: “tremante e cascante, a cominciare dal-la grafia, se la mano del Santo, accusa la violenza del male, l’ardore della carità e lo slancio del cuore”.

L’espressione in questo ultimo scrit-to di Camillo è di eccezionale “tene-rezza”. La lettera inizia con “Carissimo

Page 63: Come Tralci n. 9 2015

– 307 –

Padre” e Camillo confida di aver scritto “per una consolatione” sopra le forze, con predilezione, con la “speranza” mediante il Sangue di Cristo di riveder-lo nell’altra vita.

Da parte del Signore manda al figlio prediletto non soltanto le “mille bene-dizioni, lasciate a tutti, ma ‘un milione’. Un numero mai incontrato negli scrit-ti del Santo, anzi neppure nei mastri di amministrazione del tempo, da noi compulsati” (P. Vanti).

Particolarmente commovente l’u-mile fiduciosa richiesta di preghiere “per la mia salute dell’anima”. Un affet-to, dunque vigilato dal più alto rispet-to, da parte del Santo, che ha avuto nel figliolo e discepolo anche un maestro e un padre: “Di vostra Riverenza, Servo nel Signore”.

Il contenuto è solenne e impegna-tivo, sia pure “laconico”. In considera-zione dal paterno affetto, della singo-lare fiducia che ha in questo discepo-lo, figliolo e padre, il Fondatore lascia raccomandata a lui, e per lui a tutti i suoi religiosi, l’opera affidatagli da Dio. “Gli raccomando il santo nostro Istitu-to, habiatene quello zelo santo che si conviene, che beato voi e tutti quelli che l’averà”.

Camillo, così facile a postillare i suoi scritti, ha con quest’ultimo auto-grafo postillato la sua lettera-testamen-to sanzionando la beatitudine dei Mini-stri degli Infermi d’ogni tempo e luogo”.

A conclusione di questa “lunga” lettura voglio porre il mio “sigillo”, la mia postilla su questa seconda “cesta dei frammenti” perché “nulla vada perdu-to”.

È la sorprendente sintonia di pen-siero di S. Camillo e di Papa Francesco in quest’anno dedicato alla “Vita Con-sacrata”.

Leggo nella lettera-testamento del Fondatore: “Io dichiaro che la mia volon-tà è che non soltanto si fondi l’Ordine nelle città grandi o meno grandi, ma anche nei luoghi piccoli, dove si possano mantenere dodici religiosi mediante le ele-mosine, e ciò allo scopo di aiutare i poveri infermi che muoiono in questi ospedali. In più intendo che non si prenda mai cara soltanto dell’assistenza spirituale senza l’assistenza corporale secondo che dice la nostra seconda Bolla ‘Superna dispo-sitione’. Infine, se rimane qualcosa che io non ho chiarita in questa mia lettera, per il servizio di Dio, io mi raccomando all’Altissimo di ispirare a tutti i padri e fratelli presenti e futuri quello che è per la gloria sua”.

E Papa Francesco nella sua “Lettera ai Consacrati”, in quest’anno dedica-to a loro: “Attendo da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da se stessi per andare nelle peri-ferie assistenziali… C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in dif-ficoltà… ammalati e vecchi abbando-nati, ricchi sazi di bene e con il vuoto nel cuore… uomini e donne assetati del divino… Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’a-more amando”.

“Facit Deus!” Al prossimo incontro, a Dio piacendo!

P. Lucio Albertini

Formazione

Page 64: Come Tralci n. 9 2015

– 308 –

CALEDOSCOPIO PASTORALE

IntroduzioneAl termine dell’estate mi sono sof-

fermato a riflettere sulle esperienze vis-sute durante i mesi di luglio, agosto e settembre, cercando di farne un bilan-cio e di identificare le risonanze che hanno avuto nel mio spirito.

L’insegnamentoLuglio e settembre mi hanno visto

impegnato nell’insegnamento, prima in Colombia e poi a Verona. In ambe-due i luoghi ho dato un corso intensivo (quattro settimane) di Educazione pasto-rale clinica a gruppi ristretti di persone, di cui sei camilliani, alcune delle qua-li già coinvolte nella pastorale o nella relazione di aiuto, altre ancora impe-gnate nella formazione teologica. La partecipazione attiva degli studenti e le loro reazioni positive ai contenuti e al metodo mi hanno fatto riflettere, anco-ra una volta, alla differenza con cui la Chiesa guarda alla pastorale della salute nei Paesi anglosassoni e in quelli latini. Tale differenza si manifesta soprattutto nella formazione richiesta a quanti sono inviati a esercitare il ministero nelle istituzioni sanitarie.

Nei Paesi latini, né i vescovi né le amministrazioni ospedaliere domanda-no una preparazione specifica ai sacer-doti. Per quanto riguarda i laici, che possono collaborare, tranne qualche eccezione, solo su base volontaria, la formazione richiesta si limita a smil-zi programmi, di carattere soprattutto teorico. A questa disattenzione fanno contrasto le molte parole con cui alcu-

ni Organismi ecclesiali proclamano l’importanza della formazione. Una delle cause – e anche una delle conse-guenze − di questo stato di cose piut-tosto deplorevole è la scarsa rilevanza del ministero esercitato negli ospedali. Nel mondo latino, infatti, l’operatore pastorale nel mondo della salute non è considerato un professionista, la cui ope-ra contribuisce alla cura del malato. E questo malgrado le pretese che vengono presentate in molta letteratura.

Diversa è la politica attuata nei Paesi anglosassoni. La mentalità pragmatica che li caratterizza porta gli amministra-tori delle istituzioni sanitarie a valutare la presenza dell’operatore pastorale alla luce dell’apporto che egli può offrire all’orchestrazione delle cure ammini-strate ai malati. Per questo si esige da lui una formazione che lo renda competente non solo dal punto di vista teologico-spirituale ma anche comunicativo-rela-zionale. La Chiesa si adegua a queste esigenze chiedendo ai sacerdoti di pre-pararsi specificamente al ministero nel mondo sanitario e ai laici, che possono essere assunti e quindi rimunerati dagli ospedali, di ottenere un titolo accade-mico in teologia e una formazione post-accademica specifica includente un tiro-cinio con supervisione.

Questo avviene anche in una regio-ne italiana, precisamente nel Sudtirolo, dove domina la mentalità anglosassone. Ne ho avuto conferma da un gruppo di operatori pastorali laici – uomini e don-ne – che esercitano il ministero negli ospedali sudtirolesi, in occasione di una

Pastorale

Page 65: Come Tralci n. 9 2015

– 309 –

visita, nello scorso settembre, al nostro Centro, dove molti di essi hanno parte-cipato a dei corsi intensivi. Negli ospe-dali di Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, la maggioranza assoluta degli operatori pastorali sono laici, assunti regolarmente dalle istituzioni sanitarie, su mandato del vescovo, e dotati della preparazione descritta sopra. Nelle équi-pes vi è almeno un sacerdote, stabile o di riferimento; la sua presenza, infatti, è necessaria perché si possa parlare di servizio pastorale. A lui spetta non solo rispondere alla domanda sacramentale e alle richieste particolari dei malati e del personale ma anche essere punto di riferimento per gli operatori pastorali. Nella diocesi sudtirolese vengono stu-diate, con l’ausilio dello stesso vescovo, modalità concrete per accompagnare i morenti quando non è possibile la presenza del sacerdote, soprattutto di notte.

Come in altri settori anche in quel-lo della pastorale della salute si nota la lentezza della Chiesa italiana nella pro-mozione del laicato. Lo fa notare, con la solita acutezza, Bartolomeo Sorge in uno dei suoi ultimi libri: La traversata: la Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi (Mondadori 2010).

Un Centro di Pastorale attivoA Bogotá ho avuto modo di pren-

dere atto, ancora una volta, dell’attività svolta dal Centro camiliano de humaniza-ción y de pastoral de la salud. Essa s’irra-dia non solo nella diocesi della capitale ma si estende anche all’intera Chiesa colombiana. Due sono i settori in cui si esprime l’impegno del Centro: la pasto-rale e l’umanizzazione.

La pastorale della saluteIn Colombia, la pastorale della salute

è una sezione della pastorale sociale e la sua struttura assomiglia a quella ita-liana. C’è un Ufficio nazionale coordi-nato dal nostro P. Adriano Tarrarán, il cui scopo è di animare gli organismi regionali e diocesani attraverso l’offer-ta di svariate risorse: corsi e materiale didattico e liturgico. Anche se limitata numericamente, la presenza camillia-na gode non solo di stima ma anche di autorevolezza. A detta di molti, infatti, questo ramo della pastorale si presenta come una delle meglio organizzate. Ma è soprattutto nell’archidiocesi di Bogotá che il Centro camilliano costituisce un punto importante di riferimento per quanti operano nel modo della salute, soprattutto a livello comunitario.

Bogotá.Gruppo di Corsisti con P. Angelo Brusco.

Page 66: Come Tralci n. 9 2015

– 310 –

L’attività compiuta dagli operatori del Centro si esprime nel coordinamen-to (P. Adriano è coordinatore diocesano della pastorale della salute, coadiuvato da un’efficiente collaboratrice) e soprat-tutto nella formazione degli operatori pastorali impegnati nelle istituzioni e nelle parrocchie, della cui consistenza numerica mi sono reso conto in occa-sione della festa di San Camillo tro-vandomi davanti ad una folla di più di quattrocento persone. Delle proposte formative del Centro beneficiano anche gli altri gruppi che lavorano negli ospe-dali a Bogotá, Medellín e Calí, offrendo una bella testimonianza.

L’umanizzazione del mondo della salute

L’impegno del Centro camillia-no nell’ambito dell’umanizzazione del mondo della salute data da molti anni e i risultati ottenuti sono lusinghieri. Questo tipo di attività, consistente in corsi offerti in molti ospedali del Paese, ha contribuito non solo a far conosce-re il nostro Ordine nelle regioni in cui non vi sono nostre comunità ma anche, e soprattutto, a favorire una sensibilità nei confronti di questo tema, sfociata nella costituzione di un organismo di governo, di cui il Centro è parte attiva, amministrando programmi formativi ben strutturati e di alta qualità. Agli inizi di agosto le Edizioni San Paolo hanno pubblicato un significativo volu-me: AA.VV., La humanización en salud. Tarea inaplazable, curato da P. Tarrarán e Isabel Calderón, che raccoglie gli Atti di un convegno internazionale tenuto a Bogotá, nel nostro Centro, l’autunno scorso.

Il discorso sull’umanizzazione del

mondo della salute mi ha richiamato, ancora una volta, un limite della lette-ratura e delle iniziative pastorali riguar-danti questo argomento. Si scrive e si parla molto sull’urgenza di umanizzare il servizio agli ammalati, cadendo però troppo spesso in toni e atteggiamenti moraleggianti e leggendo questo feno-meno quasi esclusivamente dal punto di vista sociologico o blandamente umani-stico. Se può valere, a detta di alcuni, la giustificazione che tale approccio è dovuto al fatto che la riflessione e il lin-guaggio devono rimanere ad un livello umanistico, rivolgendosi ad un conte-sto sempre più secolarizzato, essa però non è sufficiente a spiegare la povertà di rimandi ad una soda antropologia teolo-gica, necessaria per includere l’impegno per l’umanizzazione nell’ambito della pastorale della salute.

La Famiglia Camilliana LaicaSarei tornato in Italia frustrato se

non avessi avuto l’occasione d’incon-trare la Famiglia Camilliana Laica di Bogotá, che trova il suo punto d’appog-gio nel Centro di pastorale. Avendo contribuito, nel 1995, al suo nascere mi premeva conoscerne lo sviluppo. Col-loquiando con la Presidente naziona-le Luz Marina Flores, ho potuto essere informato sulla struttura dell’Associa-zione, sulla consistenza numerica dei Soci, sulle modalità di animazione e sui programmi formativi.

Ne è uscito un quadro positivo, frut-to dell’impegno di tante persone, tra cui Isabel Calderón che è stata la pri-ma Presidente internazionale dell’As-sociazione. Attualmente i componenti della Famiglia Camilliana Laica sono 180, distribuiti in 12 città. L’itinerario

Page 67: Come Tralci n. 9 2015

– 311 –

per diventare membri dell’Associazio-ne segue le indicazioni dello Statuto, adattate alle esigenze locali. L’anima-zione a livello nazionale avviene attra-verso la visita della presidente, l’invio di lettere e di materiale didattico e un Incontro nazionale annuale di tre giorni. È a livello locale che ha luogo l’attività più importante: formazione, incontri di preghiera, apostolato. Ricca di una sto-ria di generosa dedizione a favore dei poveri e dei malati, anche in Colombia la Famiglia Camilliana Laica risente della crisi dell’associazionismo, speri-mentando lo scarso interesse dei giova-ni. Incontrando il gruppo di Bogotá e ammirandone la gioia e l’entusiasmo ho avuto l’impressione che queste difficol-tà, comuni a tutti, siano vissute come sfide da affrontare coraggiosamente, sotto lo sguardo benedicente di San Camillo.

Nei momenti che ho trascorso con la Famiglia Camilliana Laica non ho potuto ignorare ciò che Papa France-sco ha scritto nella Lettera Apostolica ai Consacrati: “Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condivi-dono ideali, spirito, missione.

Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la ‘famiglia carismatica’, che comprende più Isti-tuti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica. Incoraggio

anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la ‘famiglia’, per crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nel-la società odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze del-le altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostener-vi reciprocamente”.

Verso gli ultimiLa mia permanenza a Bogotá mi ha

permesso anche di prendere atto delle attività rivolte ai poveri. Partecipando ad una celebrazione commemorativa di P. Dino Dezan, rimpianto da moltissima gente, ho rivisitato il Centro da lui fon-dato e finalizzato alla cura dei malati e alla formazione professionale di quella frangia di giovani che non ha la possi-bilità di accedere ad una formazione di alta qualifica lavorativa. Le due inizia-tive, sanitaria e formativa, continuano anche se con difficoltà a causa dei cam-biamenti nelle politiche assistenziali ed educatrici.

Non poteva mancare la visita all’o-pera del Servo di Dio Ettore Boschini. Si tratta di una piccola Casa di acco-glienza aperta ai poveri della strada. Se la struttura, tenuta bene in ordine, si limita ad ospitare circa 15 persone, l’at-tività che in essa si compie è ben più vasta. Infatti, i poveri di passaggio pos-sono trovarvi ospitalità giornaliera con possibilità di una doccia e di un pasto. Inoltre, con i soldi dei benefattori ven-

Pastorale

Page 68: Come Tralci n. 9 2015

– 312 –

gono aiutate una ventina di famiglie povere. Lo poche ore trascorse in quella Casa, che avevo già visitato in compa-gnia di Fratel Ettore, i dialoghi con gli ospiti, la preghiera comune e i semplici momenti conviviali mi hanno riportato alla memoria la figura di questo nostro grande confratello, del quale sono stato amico e con il quale ho spesso discusso, a volte anche con toni elevati, e che considero uno dei religiosi che, più da vicino, hanno imitato San Camillo.

Uscire…Durante il mese di settembre, sono

sceso in Puglia per incontrare un gruppo che accompagno da 28 anni. Un perio-do molto lungo che indica la bontà del progetto. Con queste persone, costituite da professionisti – insegnanti, medici, infermiere, psicologi… −, ci diamo un appuntamento annuale per trascorre-re insieme un week-end, trattando ogni volta un tema particolare.

Ricordo quest’iniziativa perché mi ricorda l’invito di Papa Francesco ai religiosi a uscire non solo per raggiun-

gere i poveri, ma anche coloro che sono lontani: “Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chie-sa: uscire da se stessi per andare nelle periferie esistenziali. ‘Andate in tutto il mondo’ fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolge-re oggi a tutti noi (cfr. Mc 16,15). C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, fami-glie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…”.

Del gruppo che animo in Puglia fan-no parte credenti convinti ma anche agnostici e qualche ateo, tutte persone, però, animate da uno spirito di ricer-ca e impegnate nel sociale. I temi che affrontiamo vengono svolti partendo da una base umanistica che si apre sempre ai valori spirituali. Frequentando que-ste persone mi rendo conto della sete spirituale che le abita e del cammino che compiono per dare un senso più alto alle loro attività. Mi fanno pensare alla samaritana del vangelo, che Gesù ha aiutato a passare dalla ricerca dell’acqua materiale a quella dello spirito.

Il tema dell’uscire riguarda anche l’attività compiuta nel Centro Camil-liano di Formazione al quale accedono persone di differente orientamento spi-rituale. Accanto a coloro che frequen-tano i corsi di pastorale o di spiritualità, in possesso di un chiaro orientamento religioso, vi sono persone che, pure ade-

Gruppo di Corsisti, rilassati e sorridenti, dopo l’incontro con P. Angelo in Puglia.

Page 69: Come Tralci n. 9 2015

– 313 –

rendo ad una scala di valori in accordo con la filosofia del nostro Centro, si sen-tono estranei alla fede e lontani dalla Chiesa. L’aiuto da offrire a queste perso-ne, che apprezzano i nostri programmi, costituisce una sfida da affrontare con coraggio ma anche con delicatezza.

L’umanità dei sacerdotiIn un paio di uscite estive ho incon-

trato due gruppi di sacerdoti, il primo formato da giovani di un Istituto reli-gioso, l’altro dai componenti di una Congrega della diocesi veronese. Il tema sviluppato in ambedue le circostanze riguardava l’umanità del prete. L’atten-zione a questo argomento trova la sua motivazione nel fatto che l’umanità è la via normale attraverso cui il sacerdote comunica il messaggio di salvezza del Vangelo.

Ne deriva che essa deve essere tra-sparente, mediazione che non frappone ostacolo, e che consente il più possibile un passaggio lineare della grazia da Dio all’uomo. Se, oggi, si sente il bisogno di parlare dell’umanità del prete è perché,

nel passato, questo aspetto della perso-nalità del presbitero è stata trascurata. Non sempre, infatti, si è guardato a una autentica e piena visione cristia-na dell’uomo; in alcune epoche essa è stata distorta, insistendo su una vera e propria separazione fra materia e spirito, corpo e anima, nel rifiuto della realtà materiale. Secondo Enzo Bianchi si tratta di una malattia in fondo docetica, che impedisce di mettere in evidenza la rilevanza incarnazionista della vita cristiana, non riconoscendo la bontà della realtà creazionale e l’assunzione da parte di Cristo della natura umana e di quanto ad essa appartiene.

Il discorso sull’umanità del prete va applicato anche ai religiosi, i quali pri-ma di essere bravi religiosi sono chiamati ad essere bravi cristiani e, prima ancora, bravi uomini. Scorrendo la letteratura sulla vita consacrata, trovo che que-sto tema meriterebbe di essere preso in maggiore considerazione.

ConclusioneL’estate appena trascorsa è stata una

stagione piena. Le attività compiute mi hanno

rubato buona parte del tempo che avrei voluto – e forse dovuto – concedere alle vacanze. Non ho esitazioni però ad affermare che tale rinuncia è stata suf-ficientemente compensata dalla varietà di esperienze vissute. Quanto ho ricevu-to, infatti, non è stato inferiore a quan-to mi sono sforzato di dare.

P. Angelo Brusco

Verona, Centro Camilliano Formazione,Gruppo di Corsisti con il Direttore.

Pastorale

Page 70: Come Tralci n. 9 2015

– 314 –

CAMPO FRATERNITÀ CAMILLIANAPROVINCIA SICULO-NAPOLETANA

Dal giorno 6 al giorno 12 luglio, durante la preparazione alla festa di San Camillo, si è tenuto a Napoli un Campo di Fraternità Camilliana. Il Cam-po in questione è stato rivolto ai giova-ni desiderosi di conoscere meglio San Camillo e la spiritualità di servizio che i Ministri degli Infermi vivono accanto a chi soffre. Sette giovani – tra cui anche un sacerdote diocesano – hanno così condiviso con i Camilliani momenti di preghiera e di servizio, di ascolto e di fraternità. Volutamente il Campo è sta-to denominato di fraternità, sottoline-ando in modo particolare la gioia della conoscenza reciproca e la scoperta di nuove amicizie vissute all’insegna della vicinanza ai malati dell’Ospedale “S. Maria della Pietà” di Casoria.

La coincidenza con i festeggiamenti in onore di San Camillo – con la venu-ta da Roma −, ha fatto sì che i giova-ni conoscessero non solo i Camilliani

presenti a Napoli, ma anche gli stu-denti di Roma, i novizi di Bucchianico e un nutrito gruppo di Suore Figlie di San Camillo giunte da Grottaferrata. I momenti di festa si sono arricchiti di momenti importanti e profondi, qua-le l’Adorazione eucaristica, l’ascolto di alcune testimonianze di confratelli missionari o impegnati coi poveri, il cineforum sulla vita di San Camillo.

Uno di questi giovani – che già fre-quentava una nostra casa da due anni – a settembre farà il suo ingresso in postu-landato; due continuano a frequentare i nostri religiosi come aspiranti; altri hanno deciso di diventare volontari ospedalieri presso le cappellanie da noi rette.

Che il Signore continui a benedire e a dare forza alle vocazioni che a piene mani semina anche nel nostro Ordine!

p. Alfredo M. Tortorella

C.P.V. (CENTRO PROVINCIALE VOCAZIONALE)

Napoli - Il Gruppo di Confratelli e Consorellecon i partecipanti al Campo Fraternità Camilliana.

Page 71: Come Tralci n. 9 2015

– 315 –

GIORNATA DI SPIRITUALITÀ CAMILLIANA A MESAGNE (BRINDISI)

Una giornata di collaborazione fra-terna, di visita agli ammalati e di lode al Signore per la professione religiosa del nostro confratello Walter Vinci: ecco una bella definizione della giornata di spiritualità camilliana vissuta il 14 set-tembre scorso nella serena cittadina di Mesagne, in Puglia.

La nostra giornata è iniziata con la visita agli ammalati della parrocchia di San Pio da Pietrelcina. Il gruppo “mis-sionario” era composto dal parroco Don Alessandro, dai Ministri Straordinari dell’Eucaristia, da P. Germano Santone, da Walter e un bel gruppo di Figlie di San Camillo. Per le visite a domicilio siamo stati accompagnati dai ministri straordinari, mentre Walter, Cristina

Acquistapace (una giovane down con-sacrata nell’Ordo Virginum) e alcune consorelle si sono recati presso la casa di riposo Villa Bianca, dove le nostre Sorelle prestano servizio.

Per ognuno di noi è stata un’espe-rienza bellissima, di vicinanza, di ascol-to ed arricchimento personale, poiché

quando ti accosti alla sofferenza ti rendi conto che i tuoi “problemi” sono polve-re e che quanto ricevi da questi incontri supera di gran lunga quanto pensavi di offrire. Ed è in questi momenti che senti la forza del carisma camilliano che va

Mesagne-Puglia, 14 settembre 2015. P. Mario Agasantis e Concelebranti nella Giornata di Spiritualità Camilliana con la presenza e testimonianza di Walter Vinci.

Page 72: Come Tralci n. 9 2015

aldilà dei tuoi limiti e, per grazia di Dio, diventi un portatore di consolazione.

Circa una cinquantina gli ammala-ti visitati durante la mattinata e poi il rientro in parrocchia, con la speranza e il desiderio di tornare a trovare quel-le persone che erano felici soltanto di vederci e ci ringraziavano per la visita mentre eravamo noi a dover ringraziare loro per la forza e la gioia ricevuti.

La giornata si è conclusa con la santa Messa presieduta da Padre Mario Agasantis e concelebrata da diver-si sacerdoti, amici di Walter, con la partecipazione di tutta la comunità

parrocchiale. Ed è stato molto bello vedere una comunità che accompagna e sostiene il proprio figlio che ha scel-to di seguire Cristo più da vicino. Una comunità viva, presente, orgogliosa di aver dato alla Chiesa, e in specifico alla famiglia camilliana, un giovane nato e cresciuto nel proprio seno.

In conclusione della Celebrazione Eucaristica si è svolto un breve momen-to di testimonianza di Cristina Acqui-stapace e di Suor Bernadette delle Figlie di San Camillo, che hanno mostrato la bellezza di seguire Cristo, di donarsi a Lui così come siamo, con i nostri limiti e le nostre fragilità, perché il protago-nista è sempre Lui; a noi la libertà di rispondere alla sua chiamata ed il corag-gio di abbandonarsi senza riserve al suo progetto d’amore.

Che San Camillo ci assista in que-sto cammino e soprattutto benedica il giovane religioso Walter Vinci, assieme a Nicola e Dario che iniziano questa meravigliosa avventura.

Suor Bernadette, FSC

Page 73: Come Tralci n. 9 2015

– 317 –

FESTA DI SAN CAMILLO A BUCCHIANICO

È trascorso un anno dalla conclusio-ne dell’importante anno giubilare, dove sono stati messi in atto tantissimi even-ti per sensibilizzare le persone al carisma camilliano. La festa di San Camillo che c’è stata in questo anno 2015 non è sta-ta meno importante della precedente. Anno dopo anno la festa acquista mag-giore importanza, perché si rinnova e continua a rinnovarsi la memoria di un testimone dell’amore misericordioso di Dio, come Camillo. Celebriamo la memoria di Camillo, certamente non per lodare noi stessi, ma per lodare Dio che attraverso San Camillo ha fatto grandi cose e continua a farlo, anche, attraverso di noi. Una memoria che va costruita, vissuta e valorizzata, partendo innanzitutto dalla vita di San Camillo de Lellis affinché la celebrazione della sua vita possa colpire le persone nel loro cuore.

Quest’anno, in particolare, abbia-mo rinnovato la sua memoria, inizian-do sabato 11 luglio con l’apertura del

Triduo a San Camillo celebrato da p. Germano Santone. Nella stessa serata si è tenuta nella piazza di Bucchianico la notte bianca dal titolo “Mille cuori per San Camillo”. Ha tenuto il concerto il gruppo dei Joymix Team, ed è inter-venuta con una testimonianza l’attrice Beatrice Fazi.

Domenica 12 luglio, nella chiesa di Sant’Urbano, Antonio Zinni ha emesso la professione dei voti perpetui davanti al Provinciale della Provincia Romana dei Camilliani, p. Emilio Blasi.

Lunedì 13 luglio, Sua Eminenza il Cardinale Edoardo Menichelli, Arcive-scovo di Ancona-Osimo e già Arcive-scovo di Chieti-Vasto, e grande devoto di San Camillo, ha celebrato la Mes-sa nella chiesa di Sant’Urbano. Nella stessa serata si è svolta la 25a edizione della Marcia della Carità da Chieti a Bucchianico.

Martedì 14 luglio si è tenuta la “Compagnia della Castellara”, un pel-legrinaggio che parte dal suddetto rione

Dal Mondo Camilliano

Bucchianico15 luglio 2015. Concelebrazione Eucaristica, presieduta da Mons. Camillo Cibotti, Vescovo di Isernia-Venafro.

Page 74: Come Tralci n. 9 2015

– 318 –

del paese fino al Santuario e si conclude con l’esposizione della statua taumatur-ga. Nella serata del 14 luglio p. Germa-no Santone ha tenuto la commemora-zione della morte del Santo. Successi-vamente ci sono stati gli storici fuochi nella piazza di Bucchianico.

Mercoledì 15 luglio si è svolta la 56a edizione della Fiaccola della Carità con la consueta consegna dell’olio. Succes-sivamente abbiamo concluso la festa con la Santa Messa sulla piazza princi-pale di Bucchianico presieduta da Sua Eccellenza Monsignor Camillo Cibotti, Vescovo di Isernia-Venafro. A conclu-

sione la processione per le vie del paese.Continuando a rinnovare la memo-

ria di Camillo, abbiamo quindi la spe-ranza di rinnovarci, per rispondere sempre meglio alle esigenze del tempo presente e del futuro che verrà. Atten-diamo, quindi, ogni festa nella speranza che essa ricordi alle persone la testimo-nianza dell’amore misericordioso di Dio in Camillo, affinché anche loro, attra-verso la grazia di Dio, possano imitarne l’esempio, portando rinnovamento e nuova speranza a tutto il mondo.

Nicola Mastrocola

Page 75: Come Tralci n. 9 2015

– 319 –

OCCHI CHE VEDANO, ORECCHI CHE ODANO Con i giovani festeggiamo San Camillo - Piossasco (TO)

“La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: ‘Chi è inesperto accorra qui!’. A chi è privo di senno essa dice: ‘Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza’” (Prv 9,1-6).

Mentre si avvicinava per la Fra-ternità di Piossasco la grande festa del nostro Santo Fondatore Camillo de Lel-lis, mi accorgevo con quanta minuzia e con quanto amore P. Mimmo preparava il luogo che ci avrebbe accolto.

Le colonne che sostengono il ten-done erano state infiorate. Grande cura poi poneva intorno all’altare: il messale, il calice con la patena, il grappolo d’u-va con le spighe, i fiori che dovevano presentare il nostro amore a Gesù che sarebbe venuto in mezzo a noi per offrir-si al Padre con la sua passione, morte e resurrezione. Poi, in disparte, il pane e il vino che sarebbero stati portati e offerti al sacerdote per la Cena del Signore.

Anche a Maria, Regina della nostra Casa, furono posti i fiori con un garbo che mi faceva pensare che la mano di P. Mimmo fosse guidata da quella degli angeli.

La grande statua di Camillo con il malato troneggiava nel centro dietro l’altare.

L’invito agli amici per la Festa era stato lanciato, unito a una benedizione per chi lo riceveva, per mezzo del tele-fono, per posta e per posta telematica!

Oggi, 28 giugno, tanta gente arri-vava da nord e dal centro Italia e pren-deva posto sotto il tendone. Gli amici che frequentano da sempre la nostra Casa, le giovani famiglie con i loro pic-coli che scorrazzavano giocando per il parco, tanti giovani, la corale, il gruppo “Punto giovani”.

Saluti e abbracci si incrociavano in un gioioso brusio.

I canti tra il rumoreggiare della bat-teria e delle chitarre davano inizio alla giornata.

Il Santissimo giungeva tra noi incensato e accolto dai canti di gioia.

Cominciava l’adorazione guidata dai giovani che ci portava a meditare sul nostro modo di superare l’indiffe-renza che ci avvolge nel mondo in cui viviamo rispondendo ai bisogni dei nostri fratelli che protendono verso di noi le mani. San Camillo ci insegna ancora oggi, con le testimonianze dei nostri Camilliani ad avere occhi che vedano, orecchi che odano, “più cuore nelle mani” per soccorrere con solleci-tudine il nostro prossimo.

I problemi in questa società, nelle nostre famiglie, sono tanti ma dobbia-mo abbandonarci alla fedeltà del Signo-re.

Prima dell’Eucarestia abbiamo ascoltato le testimonianze missionarie di P. Francesco Zambotti e di P. Cre-scenzo Mazzella. Poi la testimonianza di Suor Assunta e delle sue giovani postu-lanti e di Francesco Sardi.

Il racconto di P. Francesco ci ha tra-passato nell’intimo. Ci ha insegnato a rispolverare le radici di San Camillo,

Dal Mondo Camilliano

Page 76: Come Tralci n. 9 2015

– 320 –

radici dono che lo Spirito Santo gli ha fatto e che deve essere donato soprat-tutto ai poveri, ai malati, ai tossicodi-pendenti, ai malati di Aids, agli ultimi, ai bimbi abbandonati sulla strada.

Proprio per loro sono nate le 18 sue comunità chiamate “Tenda di Cristo”. Comunità dalle profonde radici camil-liane che sanno accogliere in questi “tabernacoli viventi” il Signore che ha fame, sete, è malato, carcerato.

Questa testimonianza fatta dal Padre Camilliano, con il groppo in gola per l’emozione dei ricordi, ci ha trapas-sato il cuore ancora troppo piccolo. Ma anche la testimonianza camilliana di P. Crescenzo, da 17 anni ad Haiti e che si prende cura dei piccoli del Foyer Saint-Camille, ci ha fatto comprendere che in quelle terre di missione i poveri sono sempre tanti e sempre tabernacoli nei quali Gesù chiede amore, quell’amore più grande che ci ha testimoniato con la vita e con la morte e che desidera rice-vere ancora oggi nel mondo nel quale ci invia.

Centro della giornata di festa è la

celebrazione dell’Eucarestia celebra-ta da P. Francesco Zambotti, con lui concelebravano: P. Walter Dall’Osto, P. Crescenzo Mazzella, P. Gianfranco Lovera, P. Mimmo Lovera, P. Carlo Vagnina (domenicano), P. Tommaso (cappuccino), P. Antonio Menegon e il diacono Festa.

Durante l’offertorio è stato portato all’altare il “Santo abito” di P. Mimmo con un ringraziamento speciale a Maria Regina dei Ministri degli Infermi per la sua materna presenza durante i suoi 50 anni di vita camilliana al servizio dei sofferenti.

Questa sorpresa è stata il nostro gra-zie a Padre Mimmo, per quanto lui ha sempre fatto per tutti noi.

La giornata è terminata prima con un fraterno momento conviviale e nel pomeriggio con un gioioso anche se abbastanza “caldo” recital “L’Amo-re più grande” organizzato dal gruppo RnS, animato da Jole e i suoi giovani.

Piera Tua

Piossasco (TO) - 28 giugno 2015. Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta da P. Francesco Zambotti per la Festa di San Camillo.Gli fanno corona: P. Walter Dall’Osto, P. Crescenzo Mazzella,

P. Gianfranco Lovera, P. Mimmo Lovera, P. Carlo Vagnina (domenicano), P. Tommaso (cappuccino), P. Antonio Menegon e il diacono Festa.

Page 77: Come Tralci n. 9 2015

– 321 –

FESTA DI SAN CAMILLO A VILLA LELLIA

Domenica 12 luglio 2015, alle 10,30, con la Celebrazione Eucaristica, presieduta da p. Gianfranco Lovera e concelebrata da p. Walter Dall’Osto, è iniziata la giornata di festa dedicata a San Camillo, nella casa a lui intitolata, Villa Lellia, che ospita il Presidio Sani-tario San Camillo.

Nell’omelia p. Gianfranco ha dipin-to la figura di questo grande Santo, rac-contandone la vita e le opere che anco-ra oggi continuano a vivere e a produrre frutti grazie a tutti i religiosi che ne pro-seguono le iniziative.

Ha poi ringraziato tutti gli amma-lati presenti alla celebrazione, quindi gli amici, i dipendenti e i volontari che aiutano i Camilliani a portare avanti il loro ministero.

La premiazione di una volontaria Avo di ben novant’anni, per la quale

il p. Gianfranco ha avuto parole di elo-gio e di affetto, ha costituito il fulcro di questa celebrazione in onore del primo grande servitore dei malati.

Dopo la benedizione, i festeggia-menti sono continuati con un aperitivo offerto a tutti i presenti e con le risate e l’allegria proprie delle giornate di festa.

Franca Berardi

Dal Mondo Camilliano

Page 78: Come Tralci n. 9 2015

– 322 –

IL SORRISO DI SAN CAMILLO SUI MONTI DELLA LESSINIA A BOLCA (VR)

In una bella giornata di luglio anche quest’anno San Camillo de Lellis è stato ricordato a Bolca, presso il “Soggiorno per anziani” a lui dedicato. Nel piazzale della Casa si sono ritrovati gli ospiti, i loro familiari, gli operatori in servizio e la popolazione anziana del territorio, con la presenza di P. Carlo Vanzo e del Sindaco di Vestenanova, Edo Dalla Verde.

La cornice era magnifica: prati, boschi, monti e un cielo limpido face-vano corona all’evento, in un’atmosfera di gioia, di serenità e di ammirazione per la splendida natura in cui è immersa la Casa di Bolca, un piccolo angolo di paradiso sperduto fra i monti.

La Santa Messa e l’Unzione degli infermi sono stati il fulcro della cele-brazione, presieduta da P. Carlo e dai due parroci dell’Unità pastorale, Don Gianluca e Don Gianfranco. Numerosi i presenti, fra cui il Coro della parroc-chia di Bolca che ha animato la Messa e tutta la funzione liturgica.

Il celebrante ha ricordato San Camillo e la sua vita, consacrata alla

cura degli ammalati e alla riforma dell’assistenza sanitaria del suo tempo. E ben si adattavano la generosità, la disponibilità e la dedizione del Santo al contesto del luogo in cui veniva ricor-dato.

La Casa di Riposo e Soggiorno di Bolca si connota infatti per le caratte-ristiche di assistenza e di attenzione ai bisogni degli Ospiti, che trovano in essa un clima familiare, sereno e di grande solidarietà.

Tre belle immagini ricordano San Camillo nella Casa di Bolca: nel piaz-zale una statua inserita in un blocco di marmo della Lessinia (che ricorda i monti circostanti); nella chiesetta un’altra statua di San Camillo, meta di quotidiane visite degli ospiti e familiari che a lui si rivolgono con fede; nell’uf-ficio la riproduzione di un dipinto di Pierre Subleyras, del 1746, rappresen-tante San Camillo de Lellis che pone in salvo gli ammalati dell’ospedale Santo Spirito di Roma.

Una giornata memorabile che gli anziani ospiti ricordano con piacere e con gratitudine nei confronti della Casa che si prende cura di loro, così come San Camillo si dedicava ai sofferenti del suo tempo.

Giancarla Gugole

Casa di Riposo San Camillo di Bolca (VR), 25 luglio 2015 - Festa del Santo dei malati, presieduta ed animata dal nostro concittadino Camilliano P. Carlo, e somministrazione dell’Unzione degli Infermi per i malati della Vicaria di Vestena.

Page 79: Come Tralci n. 9 2015

– 323 –

FESTA DI SAN CAMILLO A MESSINA

La festa di San Camillo a Messina è stata bellissima, un momento di onore, di ringraziamento al Signore per il dono di questo gigante Santo della Carità fat-to al nostro Ordine, alla Chiesa e all’u-manità, specialmente al mondo della sofferenza, della malattia, dei malati.

San Camillo da quattro secoli è venerato a Messina. Nel 1753 il Senato lo scelse come Compatrono della cit-tà per onorare i 19 religiosi camilliani (Crociferi) morti per assistere gli appe-stati nel tremendo contagio avvenuto a Messina dieci anni prima. Attualmente siamo presenti in città con la parrocchia San Camillo e l’omonima Casa di Cura. Due strutture adeguate per la pratica del carisma camilliano: prendersi cura dell’anima e del corpo del malato. A Messina, la festa del Patrono dei malati, di tutti gli operatori sanitari e di tutte le strutture sanitarie è stata organizzata e celebrata per quanto riguarda l’aspetto spirituale, religioso e civile dai Religiosi Camilliani con la collaborazione diretta dell’Arciconfraternita “Madonna della Salute e San Camillo”.

Domenica 12 luglio nella parrocchia San Camillo

Dietro mandato del parroco, P. Pie-tro Petrosillo, il vice-parroco P. Bruno Hounkonnou, aiutato all’Arcicon-fraternita, dai membri della FCL, dai ministri straordinari della comunione e dai volontari, ha portato la Reliquia del Cuore di San Camillo ai malati e operatori sanitari di tutte le strutture sanitarie del nostro territorio parroc-chiale e anche oltre. Celebrazione della santa Messa, venerazione, preghiera e

benedizione con il Cuore del Santo per tutti i malati e operatori sanitari, infat-ti, si sono celebrate il 4 luglio presso la clinica “Cristo Re”; il 6 luglio presso la “Casa di cura Carmona” e il 7 luglio presso l’ospedale “Piemonte”.

La festa è stata preparata con un tri-duo di preghiera e Santa Messa nei gior-ni 9, 10 e 11 luglio. Ogni giorno, men-tre era esposto il Cuore di S. Camillo, abbiamo recitato il “Santo Rosario con il Cuore di San Camillo”, scritto dal nostro confratello P. Giovanni Aquaro (M.I.), e celebrato la Santa Messa.

Questo bel rosario ci ha permesso di approfondire un po’ di più il miste-ro della sofferenza e il carisma di San Camillo. La Messa del primo giorno è stata presieduta da Padre Mario Allegro, superiore della comunità dei Camilliani di Messina; il secondo giorno da Don Giuseppe Triglia, amico e devoto di San Camillo; il terzo giorno abbiamo avuto la gioia e la grazia di accogliere il Busto-Reliquiario di Sant’Anniba-le Maria Di Francia, un grande santo, devoto e difensore della reliquia del Cuore di San Camillo. Grazie a lui, tale insigne reliquia è rimasta a Messina. Il Busto-Reliquiario è stato portato da P. Mario Magro, Rogazionista e Rettore della Basilica Pontificia Sant’Antonio di Messina che ha inoltre presieduto la Santa Messa, durante la quale è stato impartito il sacramento degli infermi ai malati presenti.

Dopo la Messa di sabato 11 luglio, vigilia della festa, è stata la volta delle manifestazioni culturali e ricreative nel cortile della chiesa.

Dal Mondo Camilliano

Page 80: Come Tralci n. 9 2015

– 324 –

Domenica 12 luglio, il giorno del-la festa, sono state celebrate tre Messe: alle ore 8.00 presieduta dal P. Bruno Hounkonnou, vice-parroco; alle ore 11.00 e alle ore 18.30 presiedute dal M.R. Padre Rosario Mauriello, Supe-riore Provinciale.

Subito dopo la Messa delle 18.30, ha avuto inizio la processione con il Simulacro e la Reliquia del Cuore di San Camillo nelle vie del territorio della nostra parrocchia. Una bella pro-cessione in onore del Santo. Al termine della quale abbiamo assistito allo spet-tacolo dei fuochi pirotecnici.

Martedì 14 luglio 2015Martedì 14 luglio, giorno della festa

liturgica, sono state celebrate due Sante Messe in chiesa: alle ore 8.00, presiedu-ta da P. Bruno Hounkonnou, e alle ore 18.30 da P. Pietro Petrosillo.

Alle ore 10.30 nella Casa di Cura San Camillo, la Santa Messa è stata concelebrata in mezzo ai malati, veri protagonisti della festa, i loro familia-ri, amici e operatori sanitari, dai P.P. Mario Allegro e Vincenzo Li Calsi M.I. e Roger Kafando M.I., Cappellano

all’ospedale “Saint-Camille” de Bry sur Marne (Paris), in visita fra noi.

Una bellissima festa in onore del gigante Santo della carità. Abbiamo pregato per tutti i membri della gran-de Famiglia Camilliana, i Religiosi, le Religiose e i membri della FCL e poi abbiamo chiesto al Signore di manda-re tante vocazioni sante per perpetua-re questo bellissimo e sempre attuale carisma di San Camillo per il bene dei malati nel mondo.

San Camillo vi benedica sempre.

P. Bruno Hounkonnou, Vice-Parroco, Messina.

Messina. La Reliquia di San Camillo percorre trionfalmente le strade della città tanto cara al Nostro Fondatore.

Concelebranti, autorità, organizzatori e fedeli rendono onore alla Reliquia di San Camillo portandola in solenne processione.

Page 81: Come Tralci n. 9 2015

– 325 –

FESTA DEL SANTO ALL’OSPEDALE SAN CAMILLO DI ROMA

Come ogni anno la comu-nità dei cappellani, che svol-ge il servizio di assistenza spi-rituale e religiosa presso l’O-spedale San Camillo, insieme a tutti gli operatori sanitari, ha organizzato, con una serie di iniziative, la festa del Santo che dà il nome al medesimo ospedale: San Camillo De Lel-lis. Figura straordinaria e molto consi-derata nell’ambiente ospedaliero del “San Camillo”.

L’obiettivo di questo annuale appun-tamento diventa, ogni anno, una nuova opportunità per conoscere più da vicino Camillo De Lellis e accrescere sempre di più la sensibilità sui temi della salute e della sofferenza: passaggi obbligatori dell’esistenza terrena dell’uomo.

Il programma della tre giorni si è così svolto:

Venerdì 29 maggio - Tavola Rotonda “La musica come

balsamo sulle ferite dell’anima” presso il Salone della Casa di acco-glienza per malati “Casa del Sole”:

Bria, Docente di Psichiatria Uni-versità Cattolica S. Cuore e Diret-tore dell’U.O.C. di Consultazione Psichiatrica Policlinico A. Gemelli - Roma

scoprirsi opera d’arte” - Fr. Vincenzo Duca, Religioso Camilliano, musi-coterapeuta

-stro Stella Parenti, docente di Canto presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma.

Sabato 30 maggio - Chiesa principale “Salus Infirmorum”: Concerto per voce sax e pianoforte esegui-

to da P. Francesco Orsini, Paolo Cola-franceschi, Antonio Pochiero, Debora Maruska Giordani.

Domenica 31 maggio - Solenne Concelebrazione Eucaristi-

ca presieduta dal Superiore Genera-le dei Camilliani P. Leocir Pessini, e ricordo del 25° Anniversario di Sacerdozio del religioso camilliano P. Krzysztof Wilk M.I., cappellano presso l’Ospedale San Camillo.

Concelebrazone presieduta dal Superiore Generale P. Leocir Pessini. Gli fanno corona i Cappellani dell’Ospedale San Camillo ed altri Confratelli. Sopra: Fr. Vincenzo Duca.

Dal Mondo Camilliano

Page 82: Come Tralci n. 9 2015

– 326 –

ALL’ASCOLTO DEL CRISTO IN MEZZO AL FANGOMissione a Copiapó (Cile) Tre Camilliani nella Pastorale dell’emergenza intercongregazionale

Siamo Básil, Cristián ed Emanuel, tre religiosi Camilliani cileni; abbia-mo lasciato la città di San Bernardo il giorno 14 luglio, solennità del Nostro Santo Padre Camillo, per andare con un viaggio di 11 ore a Copiapó nel nord del Cile, dove nel mese di marzo un’i-nondazione aveva causato ingenti dan-ni e morti. Si trattava di una missione di ascolto e contenimento emozionale, ci avevano detto, ed eravamo disposti a questo, a lavorare con questa Chiesa che soffre dando il meglio di noi stessi. Tut-tavia, nell’affrontare la realtà, già con i piedi in quella terra, capivamo che pri-ma di tutto era necessaria la docilità allo Spirito Santo, che ci avrebbe mostrato ciò che si doveva dare e ricevere.

Arrivammo nella città di Copiapó circa alle 7.30 della mattina, che era fredda e oscura. Ci aspettava alla discesa dal bus Padre Guido Castagna, missio-nario italiano, parroco del luogo e uno degli incaricati della missione. Dopo una calorosa accoglienza, ci condusse dove dovevamo alloggiare durante quei giorni. Durante il tragitto padre Guido ci raccontava della situazione in diocesi dopo l’alluvione. Tutta Copiapó stava nel fango e c’erano luoghi dove non si poteva passare semplicemente per il fatto che l’altezza del fango superava il metro e mezzo. La gente stava sui tetti delle case o nei piani superiori, altri era-no saliti in luoghi posti in alto dove non potesse arrivare il fango. P. Guido ci parlò delle difficoltà per consegnare l’a-iuto agli inizi, di come iniziava a mobi-litarsi la Chiesa per andare in aiuto dei

fratelli e le difficoltà che la stessa soffrì, prodotte dalla situazione. Arrivati alla casa “Ana María Janer”, ci sistemammo e aspettammo gli altri missionari che sarebbero arrivati in mattinata.

Uscendo a comprare al supermer-cato, in quei scarsi 15 minuti di bus già potevamo percepire alcuni aspetti della tragedia: da una parte della strada c’e-rano ancora macerie e fango a mucchi, inoltre tutte le case erano macchiate ancora con il segno dove era arrivato il fango nell’inondazione e imperava l’odore di umido e di sporco (prodotto dalla distruzione del sistema fognario): tutto ciò mostrava il livello di distru-zione nonostante fossero passati quattro mesi dalla tragedia; ascoltando i passeg-geri, ci rendevamo conto che il fatto era presente come fosse successo il giorno prima... i ricordi delle angustie vissute in quei momenti era vivo nel racconto di una signora: le persone, la mancan-za di comunicazione, la fuga, ecc. era uno sconvolgimento emozionale ancora attuale.

Équipe missionaria intercongregazionale: tutti i carismi al servizio del popolo che soffre

L’équipe missionaria era costituita da 19 membri venuti da tutto il Cile, inclusi tre coordinatori: padre Guido, Sr. Veronica (Schiave del Sacro Cuore, congregazione argentina) e Sr. Giulia (Francescane olandesi). Tra i missiona-ri c’erano religiose francescane, dome-nicane, un sacerdote missionario della Sacra Famiglia, Serve di San Giuseppe,

Page 83: Come Tralci n. 9 2015

– 327 –

una religiosa dell’Immacolata Conce-zione e noi, i tre missionari religiosi camilliani, due professi e un postulante.

Carismi tanto diversi, come semi di diversi fiori, andati a dare frutto tra le macerie, offrendo il meglio di ciascuno. Come poteva realizzarsi una tale mera-viglia se non attraverso l’azione dello Spirito Santo presente nella Chiesa di Cristo? Il nostro popolo ci stava chia-mando, voleva essere ascoltato, abbrac-ciato, contenuto… nei nostri orecchi risuonava la voce del Papa Francesco: “Bisogna andare nelle periferie!” e noi ci preparavamo per andare in questa periferia, perché non potevamo conti-nuare ad essere comodi e indifferenti.

Ci si informò della situazione, si pro-cedette a ordinare la logística della mis-sione e avvisare i settori che sarebbero stati visitati e per sapere in che condi-zioni si trovava la chiesa in quei settori. Organizzato tutto, finalmente potemmo riposare per riprendere il lavoro il giorno dopo alle prime ore del mattino. Prima missione: la festa della Vergine del Car-mine nel paese di Los Loros e un passag-gio per la villa de emergencia4.

La missione a Pintores de Chile, Los Loros e Paipote

Il Cile è un paese in cui la natura si manifesta costantemente… Le piogge crearono uno smottamento immenso in quel giorno di marzo e il materiale delle colline cedette provocando una valanga di fango che entrò nel centro della città

4. Villa de emergencia = un insieme di case di 3x6 mt. che si costruisce con pannelli di legno, con l’obiettivo di dare una soluzione provvisoria aspettando case più grandi e solide… che arriveranno solo Dio sa quando, nonostante si dica entro i tre anni.

di Copiapó (che una volta era il letto di un fiume), inondando la città di fango e macerie. “Fu come da un momento all’altro… noi vedevamo piovere molto e all’alba arrivò la quebrada5 – ricorda una signora del borgo Pintores de Chi-le –. L’acqua col fango arrivò dentro la casa e l’unica cosa che riuscii a fare fu di togliere i miei figli dal cortile e salire su per la collina che stava dietro la casa… fu terribile, fratello, terribile! Non glie-lo auguro a nessuno!”.

Pintores de Chile è un borgo di Copiapó, nato nel 1982, quando si costruirono le case per i lavoratori dell’ ENAMI. Il posto dove sorge non è adatto per case abitabili perché si tro-va in una specie di fosso. Si permise di costruire, e così rimase; fu inondato da queste valanghe di fango già altre due volte. Oggi ritorna a soffrire gli strali della natura, nonostante che in questo caso il governo ha dichiarato che le case devono essere demolite, vista la loro inabitabilità e il pericolo costante. La maggioranza degli abitanti se ne sono andati, però alcuni rifiutano di abban-donare la loro casa. Il maggior problema di questa situazione, in questo momento,

5. La quebrada = si produsse l’ inondazione con la rottura delle colline.

Básil, Cristián ed Emanuel, i tre Confratelli cileni sul campo di lavoro.

Page 84: Come Tralci n. 9 2015

– 328 –

non è la perdita materiale, ma l’aspetto emozionale. La popolazione riconosce la presenza della Chiesa e ringrazia sempre la visita dei missionari che li ascoltano e accompagnano. I missionari da parte loro realizzano lavori di contenzione e di spiritualità dando consolazione alle persone attraverso visite alle famiglie. La piccola cappella del settore fu distrutta completamente nel suo interno dal fan-go, ma un segno ha riempito di speranza la comunità cristiana del luogo: la statua della Vergine Maria si è salvata dal fan-go galleggiando. La statua fu recuperata dagli abitanti del luogo e data a un’altra chiesa. Da lì si porta tutte le domeniche nella piazza del borgo distrutto per cele-brare la Santa Messa.

Anche a Los Loros la forza dell’i-nondazione non fu minore. Trascinò via case e altri edifici e riempì tutto di fango. “Vede lassù, fratello? Sì?... Bene, lì c’erano 10 case”; io guardavo e vedevo la collina come se lì non ci fosse mai stato niente. Me lo indicava un abitante che ricordava che pochi mesi fa in quel luogo viveva molta gente. Varie fami-glie di quella località furono alloggiate in ville di emergenza aspettando una solu-zione definitiva che si stima non arrive-rà prima di due anni. La Chiesa è stata presente attraverso il parroco, fedeli e diaconi che li assistono fino ad oggi. Molti collaboratori di padre Guido (il parroco) ricordano il suo impegno nel passare con la sua camionetta lasciando un aiuto, superando i vari blocchi delle strade. Con l’acqua e il fango fino alla cintura, i gruppi di Chiesa hanno assisti-to le famiglie che si ritrovarono isolate o alloggiate sui tetti delle case o nei piani superiori. Questi gesti la gente non li dimentica. Essendo quel giorno la solen-

nità della Vergine del Carmine, come missionari abbiamo partecipato alla festa della comunità e visitato le fami-glie. Credo sia importante dire che la Chiesa della località Los Loros, che esi-ste dal 1850, non fu colpita direttamen-te dall’inondazione ma solo dall’alluvio-ne e ha subito gravi danni economici… solo l’intervento della mano potente di Dio lo ha impedito, cambiando il corso del fango e dell’acqua. Più tardi la chiesa di questa località è servita come allog-gio e centro di raccolta per gli aiuti che arrivavano dalla città.

A Paipote la situazione era veramen-te disastrosa. Blocchi di fango secco e macerie dappertutto, resti di mobili e automobili distrutti dall’inondazione si vedevano da tutte le parti. Le famiglie ricevettero i missionari con molta alle-gria, parlando di quello che era successo quella notte orrenda di marzo. Tuttavia la speranza stava in loro, e nonostante ricordassero con dolore ciò che era suc-cesso, concludevano che si sarebbero di nuovo rimessi in piedi, che questa avversità non li avrebbe lasciati a terra e che, con l’aiuto di Dio, le cose sareb-bero tornate come prima.

La fede del nostro popolo ci edificaTutta questa tragedia, con le perdi-

te materiali e di persone che ha portato con sé, ha comportato un meditare del popolo, facendo sì che potessero trasfor-mare tanti mali in un bene: la comunica-zione e l’interesse per l’altro sono aumenta-ti. Commentava la gente ai missionari, che prima dell’alluvione quasi nessuno si salutava. Oggi riconoscono che questa disgrazia ha portato qualcosa di buono, in quanto, in quei giorni, il bisogno di salvarsi e di ricevere aiuto dagli altri ha

Page 85: Come Tralci n. 9 2015

– 329 –

fatto sì che persone che non si conoscevano si ten-dessero la mano per coo-perare a un bene comune. Molte persone vedono in questo cambio la mano di Dio, del quale si ricono-scono figli e, per questo, anche fratelli. Oggi si salutano, si conoscono, si domandano come stanno, se hanno bisogno di qualcosa e si orga-nizzano per potersi aiutare nei bisogni che ancora hanno. Cos’è questo se non Dio che tira fuori un bene dal male?

D’altra parte, è edificante vedere come la gente non dà la colpa a Dio di questa disgrazia, ma anzi, vedono la sua presenza nella persona di coloro che li aiutano con i loro beni materiali e con l’assistenza spirituale e psicologica. Come non vedere la presenza di Dio in mezzo a questi avvenimenti, se il popolo stesso non ha mai smesso di percepirlo tanto chiaramente?

ConclusioneL’esperienza di questa missione nel

nord del paese ci ha fatto pensare anco-ra una volta alla docilità alla volontà di Dio. Era una missione semplice, di ascol-to, contenzione e soprattutto, di portare la presenza e la misericordia di Dio tra persone che soffrono. Non servivano qui piani prefabbricati, né schemi rigi-di “ultra collaudati”: qui era lo Spirito Santo che ci guidava e ci rafforzava. In virtù della promessa dello stesso Gesù, abbiamo sentito la sua presenza reden-trice e liberatrice, abbiamo visto in ogni fratello che soffre il volto di Cristo che reclamava giustizia di fronte a un gover-no che, per ristrette mire politiche, non ha distribuito a tempo opportuno l’aiuto

opportuno; abbiamo visto il volto del Cristo senza casa stabile, come ospi-te; il Cristo che chiedeva acqua nella sua baracca in un accampamento e che, per una questione econo-mica, non gliela forniva-no; abbiamo visto il Cristo della terza età, abbando-nato e debole, il Cristo

che ha dovuto abbandonare la sua casa per salvare la vita… tanti Cristi crocifissi in diversi modi. Tuttavia, abbiamo visto la solidarietà del popolo cileno, che si è organizzato e ha potuto iniziare un cam-mino di ricostruzione, non solo delle sue case, ma anche delle propria vita, gente che con fede e, solo per amore, ha accol-to altri nella propria casa, che ha dato un the e qualcosa da mangiare a fratelli. Questa è la presenza di Dio in mezzo al mondo.

Come missionari abbiamo coinciso nel fatto che siamo stati inquieti, con la voglia di darci di più alla missione, di uscire dalla comodità della capitale o delle grandi città del centro per anda-re in queste “periferie” dove il nostro popolo chiede la presenza di Cristo. Questi pochi giorni che abbiamo dato alla missione, ci hanno aiutato a ricon-siderarci nella nostra vita di religiosi, a pensare che dobbiamo stare un passo avanti in queste tragedie, e pronti per l’azione missionaria d’emergenza. Non possiamo conformarci con il solo avere compassione a distanza dei nostri fratel-li, guardando le notizie in televisione. Non basta dare, bisogna “darsi”, darsi fino a che dolga, come dice il nostro san-to cileno Sant’Alberto Hurtado.

Cristián Orellana, M.I.

Chiesaparrocchiale.

Page 86: Come Tralci n. 9 2015

– 330 –

Khokwat - ThailandiaDA 50 ANNI CROCEVIA DEL CARISMA DI CAMILLO PER I PIÙ POVERI

Khokwat, oltre che dedicarsi alla cura e al recupero delle persone colpi-te dalla lebbra, nella storia dei suoi 50 anni è stata coinvolta in altre attività. Ancor oggi, per esempio, è sede del noviziato sia per i giovani thai che per i vietnamiti.

Soffermandoci però sull’aspetto sociale merita attenzione la pagina di storia che Khokwat ha scritto, in aiu-to ai profughi, durante la tragedia che ha colpito la Cambogia alla fine degli anni Settanta. I profughi, per sfuggire ai Kmer rossi, dovevano attraversare i “killing filds” dove migliaia di mine antiuomo erano state disseminate.

P. Ermenegildo Calderaro fu incari-cato di seguire questo aspetto e si dedicò con competenza e passione. È stato un lavoro enorme poiché oltre ai problemi logistici, di trasporto, di acquisto del materiale… c’era anche l’aspetto buro-cratico per ottenere visti e permessi ai

volontari, soprattutto per il personale paramedico, indispensabile nell’affron-tare quella tragedia. Mi limito a ripor-tare testualmente la testimonianza di P. Calderaro sui profughi cambogiani:

“Era l’anno 1978 quando la notizia, che migliaia e migliaia di cambogiani scappavano profughi dalla Cambogia e si rifugiavano in Thailandia, è giunta velocemente.

I camilliani della Thailandia non potevano rimanere indifferenti di fronte ad una simile tragedia e dopo una rapida visita al confine ci si è resi conto della immane tragedia; subito siamo accorsi e con l’aiuto della COER thailandese (associazione umanitaria) abbiamo cominciato l’opera di soccorso nel campo di Sakkeo prima (40.000 pro-fughi) con l’assistenza a 500 bambini all’inizio e un po’ alla volta anche agli altri rifugiati nello stesso campo profughi. In seguito con l’aiuto del-

P. Ermenegildo Calderaro, P. Armando Tenuzzo e Fr. Eligio Valentini ricordano con gioia e gratitudineal Signore i 50 anni di sacerdozio e di vita missionaria.

Page 87: Come Tralci n. 9 2015

– 331 –

PROFESSIONE SOLENNE DI DUE CHIERICI A TAIWAN

Con gioia e tanta gratitudine al Signore comunico che il giorno 4 luglio, dopo tanto tempo, abbiamo avuto l’occasione di attendere alla professione solenne di due chierici, uno vietnamita, Paolo Chen, e uno filippino, Henry i Angupa.

A presiedere la celebrazione abbiamo invitato l’arcivescovo di Taipei, Mons. John Hung. A ricevere le due professioni c’era il Provinciale delle Filippine, Rollyt Fernandez, e il rappresentante del Provinciale della Thai-landia, P. Giovanni Contarin.

Il chierico Paolo Chen resterà ancora aggregato alla provincia thilande-se, Delegazione del Vietnam, aiutando la missione di Taiwan per un periodo indeterminato.

P. Didone Giuseppe

Taipei, 4 luglio 2015 L’arcivescovo,Mons. John Hung presiede la Concelebrazione nella Professione Solenne dei due nostri Confratelli, Paolo Chen e Henry.

la Caritas Italiana che ci ha delegato come suoi rappresentanti in Thailandia si è allargato il soccorso anche al campo di Khao Idan (200.000 profughi) e con l’aiuto dei medici e infermieri volonta-ri venuti dall’Italia anche ai profughi lungo il confine tra i due stati per una lunghezza di circa 800 chilometri fino

Dal Mondo Camilliano

Page 88: Come Tralci n. 9 2015

– 332 –

al campo di Mairut. È stato un lavoro duro, direi massacrante, ma tutti erava-mo felici e tutti disposti a sostituirci nel lavoro che a ciascuno era stato affida-to in modo che tutti potessero avere la gioia di fare quanto San Camillo aveva fatto ai suoi tempi in adempimento del nostro quarto voto.

Khokwat, che quest’anno festeggia i suoi cinquant’anni di vita, può sentirsi orgogliosa di aver offerto la sua colla-borazione ai volontari camilliani (quasi tutti i confratelli thai sono stati coin-volti e alcuni sono venuti dall’Italia [n.d.r.]) e non camilliani, offrendo loro alloggio e vitto, medicine e materiale vario utile sia ai profughi che ai volon-tari stessi quando alla sera ritornavano stanchi per il duro lavoro (Sakkeeo, il campo che ci ha visto più coinvolti, dista solo 100 chilometri da Khokwat e allora si poteva raggiungere in un’ora e un quarto). L’assistenza è durata circa

tre anni fino a quando, grazie all’inter-vento delle Nazioni Unite, i profughi sono ritornati un po’ alla volta in Cam-bogia. Queste sono le tragedie dovute a qualche pazzo che pensa di essere l’on-nipotente e che può sistemare la vita dell’uomo eliminando tutti quelli che non si inchinano a lui o non sono del-la sua stessa tribù. E le nazioni che si dicono civili (!) li aiutano vendendo o donando loro armi in cambio di petro-lio, pietre preziose o uranio. Nel festeg-giare i 50 anni di Khokwat rivolgiamo il nostro pensiero e la nostra preghiera anche per i confratelli che in questo momento stanno sacrificandosi in aiu-to ai malati di Ebola, ai terremotati del Nepal o in altre parti del mondo dove la Carità di Cristo ci chiama” .

Questa testimonianza di padre Cal-deraro ha un significato particolare poi-ché nel giorno in cui si sono ricordati i cinquant’anni di attività della casa si sono festeggiati i 50 anni di Ordinazio-ne sacerdotale dello stesso P. Ermenegil-do Calderaro e di P. Armando Te Nuzzo, mentre fr. Eligio Valentini ha ricordato i suoi 50 anni di vita missionaria.

Padre Ermenegildo e Padre Arman-do sono due confratelli che hanno un significato particolare nella storia della presenza camilliana non solo in Thailan-dia, ma in molte nazioni dove le nostre missioni si sono stabilite. Infatti hanno dato il loro contributo nelle Filippine, in India, in Vietnam, in Kenya…

Impegnati soprattutto nel campo formativo, sempre pronti a rinnovarsi, ad aggiornarsi per impiantare quella pianticella di Camillo dove la Carità ci chiama.

Fr. Gianni Dalla Rizza

Page 89: Come Tralci n. 9 2015

– 333 –

ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO “VILLAGGIO EUGENIO LITTA” 10 anni di servizio - Grottaferrata (Roma)

Si è concluso il 31 agosto 2015 il decimo “Campo Arcinazzo” per i ragazzi diversamente abili ospiti del Villaggio Eugenio Litta dei Camilliani di Grot-taferrata. Lo abbiamo fatto innanzi-tutto ringraziando il Signore con la celebrazione della Messa presieduta da Padre Germano e l’attuale assistente del Gruppo Padre Modeste, per i doni che ognuno dei volontari ha ricevuto in questi anni. Sono cresciute splen-dide amicizie, coppie di fidanzati che hanno coronato il loro sogno grazie all’esperienza vissuta nella sofferenza e nella speranza vivendo con i ragazzi del Villaggio, collaborazioni con Par-rocchie e Diocesi. Tantissime cose sono cambiate in questi dieci anni: il primo soggiorno infatti, avvenuto nel 2005, era un soggiorno lavorativo ed aveva come accompagnatori giovani operatori dell’istituto e qualche ragazzo esterno. Il tutto era gestito da Fr. Domenico Moffa M.I., che ha iniziato a gettare le fondamenta per un gruppo di Giovani volontari Camilliani Laici. Con il suo esempio ci ha dimostrato quanto sia “normale” relazionarsi con il “diverso”, ci ha fatto conoscere la Carità Camil-liana: quella Carità che insegna ad essere braccia per chi non ha braccia e gambe per chi non ha gambe con cuo-re di madre, e con l’ottica cristiana di servire Cristo nell’aiutare il prossimo bisognoso.

L’associazione nasce dunque da un desiderio di Fratel Domenico, che tro-vando in noi terreno fertile, ci propo-se di creare un gruppo di volontariato camilliano, che seguisse il carisma di

Padre Camillo, persone “pie e da bene” che avessero come obiettivo principa-le quello di essere famiglia per chi non ne aveva e di prendersi cura dei ragazzi ospiti del Villaggio Eugenio Litta con quella sensibilità davvero “tutta camil-liana”.

Tantissime cose sono cambiate da quel 2005: gli operatori sono diventa-ti volontari a tutti gli effetti; abbiamo iniziato a organizzare raccolte di bene-ficenza ed a comprare attrezzature e materiale per migliorare la qualità delle uscite per i nostri ragazzi; abbiamo ini-ziato a festeggiare ogni loro complean-no, a stargli vicino durante i ricoveri in ospedale e ad essere presenti in ogni momento della loro vita “come una mamma farebbe con il suo unico figlio infermo”.

Abbiamo iniziato ad aprirci anche all’esterno: ci siamo impegnati con i Religiosi Camilliani nel periodo del ter-

Campo “Arcinazzo”. Religiosi e Laici nel Gruppo Camilliano di Volontariato “Villaggio Eugenio Litta”

Dal Mondo Camilliano

Page 90: Come Tralci n. 9 2015

– 334 –

remoto a L’Aquila, abbiamo richiesto il riconoscimento ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica) ed organizza-to per i ragazzi i Giochi della gioventù presso la struttura del Villaggio Litta, con tanto di premiazione.

Ogni estate abbiamo organizzato il Campo Arcinazzo, tanto da aver creato una rete di amici e benefattori che ogni anno vengono a trovarci, proprio come se fossimo una famiglia in vacanza. Gli altipiani di Arcinazzo considerano ormai la nostra Grande Famiglia par-te integrante della comunità cittadina aspettando ogni anno il nostro arrivo.

Ovviamente, come volontari, nel corso del nostro servizio abbiamo sem-pre trovato molte difficoltà, ma non ci spaventano, dopotutto è normale: quest’opera d’Amore di Dio non può non essere vista male dal maligno, che sicuramente cerca di fermarla in ogni modo... Ma come disse il Crocifisso a Padre Camillo: “Continua... questa non è opera tua ma Mia”. Così eccoci qui, dopo dieci anni, pronti ad accogliere sempre più braccia che il Signore chia-merà a questo servizio.

Filippo Bruni

IL SANTUARIO DI S. GIUSEPPE APPUNTAMENTI DI TORINO SPIRITUALITÀ

(24 - 26 settembre)

Torino Spiritualità è uno spazio privilegiato di riflessione, è la casa di quanti non rinunciano mai a farsi domande, è il luogo in cui cercare, lontano dalla frenesia di tutti i giorni, il significato profondo del nostro essere e del nostro tempo. Cinque giorni di incontri, dialoghi, lezioni e letture per crescere insieme, attraverso il confronto tra coscienze, l’incro-cio di fedi, culture e religioni provenienti da ogni parte del mondo (cfr. www.torinospiritualità.org).

Gli appuntamenti presso il Santuario di San Giuseppe sono iniziati giovedì 24 settembre alle ore 18.30 con Padre Roberto Maggi che ha celebrato la Santa Messa e alle ore 21.00 ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Gesù, l’ospite indigesto”.

Sono continuati sabato 26 settembre, alle ore 21.00, quando si è svol-to il reading di Sergio Claudio Perroni tratto dal libro “Renuntio vobis”.

Domenica 27 settembre, alle ore 16.00, con l’incontro tra Angela Volpini e Padre Antonio Menegon, dal titolo ”La seconda nascita: con-cepire se stessi”, si è conclusa presso il Santuario l’11a edizione di Torino Spiritualità.

Franca Berardi

Page 91: Come Tralci n. 9 2015

– 335 –

CONVEGNO: PER RICORDARE GERMANA SOMMARUGA

Si è svolto oggi 3 ottobre, a Vero-na, presso il Centro Camilliano di For-mazione il convegno “Per ricordare la Serva di Dio Germana Sommaruga a vent’anni dalla sua morte”, organizzato dall’Ass. “Amici Insieme con Germa-na”.

Al convegno sono intervenute circa 50 persone provenienti dalla città e dal nord Italia; erano presenti componenti dell’Associazione “Amici Insieme con Germana”, delle Missionarie degl’In-fermi “Cristo Speranza” della Fami-glia Camilliana Laica, alcuni religiosi camilliani e altre persone interessate.

I lavori sono stati aperti dal saluto

di Luciana Tasinato e dalla prolusione di Lorenzo Moser che ha illustrato il cammino dell’Associazione e il perché della giornata. Sono poi intervenuti Marisa Sfondrini e Rosabianca Carpe-

ne, e P. Angelo Brusco che ha chiuso i lavori in sala.

La giornata è continuata con la Celebrazione eucaristica e si è conclusa con il pranzo.

Gli interventi dei relatori hanno

trattato i seguenti temi:

Introduzione al convegno

Germana, ha vissuto la sua vita, nella storia: quali indicazioni per l’oggi?

La donna, attraverso la vita e il pensiero di Germana

Da san Camillo a Germana, una vita accanto ai sofferenti.

Famiglia Camilliana Laica - f.c.l.

Verona - San Giuliano, 3.10.2015. Presidenza e relatori al tavolo del convegno.

Page 92: Come Tralci n. 9 2015

– 336 –

06.03.2009

PADRE MERLO PIETRO (1929 – 2015)

Pietro nasce l’11 dicembre 1929 a Montebelluna (Treviso), da papà Vittorio e mamma Erminia. Ottavo figlio di undici, fratello minore di P. Francesco (secondo-genito), nel 1937 è rimasto orfano del padre. Dopo la quinta elementare all’età di 11 anni viene presentato, per entrare in seminario, dal Prevosto di Montebelluna Mons. Bortoletto, quale “ragazzino buono, sveglio, pieno di volontà e gioviale”.

Così la mamma in una breve lettera al responsabile del Seminario nel 1940: “Mi incombe il dovere di annunciarle il desiderio e la vocazione di un altro figlio, …ogni giorno provo questo mio figlio con tante espressioni, per sentire se la sua vocazione sia proprio resistibile e lui mi promette che la sente nel cuore e nell’a-nimo…”. Inizia così l’itinerario proprio della formazione alla Vita Consacrata tra i Religiosi dell’Ordine di San Camillo e al Sacerdozio.

Nel 1940 entra nel Seminario di Besana Brianza (Milano); nel 1946 è novizio a Verona; nel 1951 emette la Professione Solenne a Mottinello di Rossano Veneto (Vicenza), luogo in cui nel febbraio del 1953 viene ordinato Diacono e nel giugno dello stesso anno Sacerdote, per mano di S.E. Mons. Bortignon, Vescovo di Padova.

Durante i giorni di festa per la prima Santa Messa, P. Pietro scrive da “Biadene” la sua felicità di stare con i suoi cari e con Monsignore arciprete e la disponibilità fiduciosa nelle mani delle autorità. Si congeda dal Superiore Provinciale con “in attesa dei suoi ordini, la ossequio”.

Alla fine di luglio del 1953 ritroviamo P. Pietro incaricato per l’ufficio “accetta-zioni” della Casa di Cura S. Camillo, a Milano. Questo incarico lo terrà inchiodato presso gli sportelli a contatto col pubblico per ben 11 anni.

Nell’agosto del 1964 la svolta della vita di P. Pietro. Chiede ed ottiene di partire con il primo gruppo di confratelli, per la missione della Colombia, America Latina.

Ricordiamo i Nostri MoRTi

Page 93: Come Tralci n. 9 2015

– 337 –

P. Vezzani così testimonia: “Dopo diversi anni di esemplare servizio nella comu-nità di San Camillo a Milano è partito, dietro suo desiderio… P. Pietro ha espresso la precisa volontà di essere missionario e di dedicarsi ai poveri malati…”.

In Colombia inizia il suo ministero di cappellano prima nell’Ospedale Nazio-nale di Bogotá e poi in quello di Barquisimeto in Venezuela, stato del Lara.

Ma il meglio di sé P. Pietro lo realizza presso l’Ospedale Militare di Bogotá che ha servito per oltre 20 anni, testimoniando il carisma di San Camillo, amando gli infermi tra cui molti giovani militari mutilati o feriti a causa della guerriglia che ha imperversato in quegli anni in Colombia.

L’esercito riconosce ed apprezza il ministero di P. Pietro consegnandogli varie medaglie onorifiche. A tutt’oggi testimonia P. Roccabruna, suo compagno di prima “spedizione” cinquant’anni fa, presso l’Ospedale militare ancora affermano che “dopo P. Pietro nessun cappellano è stato apprezzato, amato e riconosciuto come lui”.

Nel 1995 rientra definitivamente in Italia, si stabilisce a Mottinello, e affronta anche non poche difficoltà sanitarie. Nonostante tutto lo ritroviamo disponibile per altri 5 anni come cappellano all’Ospedale di Cittadella (Padova), infine il ritiro definitivo ancora a Mottinello prima e poi, dato l’avanzare della malattia, a Venezia fino alla morte avvenuta il 29 agosto, presto nel mattino, “nell’ora in cui le donne coraggiose stavano già attonite e trepidanti presso la tomba vuota di Gesù”.

P. Pietro ha imitato Cristo da cui si è lasciato guidare lungo tutta la sua vita.Ha cercato di trasmettere ai fratelli sofferenti, e a tutti coloro che incontrava sul

suo cammino, quella luce che aiuta ad affrontare con coraggio le difficoltà della vita sfruttando la sua semplicità d’animo, il sorriso e la piccola ed innocente “battuta” tendente a sdrammatizzare i momenti pesanti della vita.

San Camillo di Venezia/Lido 2.9.2015.Molte volte P. Pietro aveva sorvolato gli oceani, ora dalla laguna del Lido di Venezia

il suo ultimo viaggio in motoscafo verso l’Oceano dell’Amore di Dio, nel Regno.La sua salma, in attesa delle Risurrezione, riposa, con molti Confratelli,

nella Cappella dei Religiosi Camilliani del Cimitero Monumentale di Verona.

Page 94: Come Tralci n. 9 2015

– 338 –

OMELIA IN MORTE DI P. PIETRO MERLO1a Lettura: Isaia 25,6.7-9; Salmo 22; Vangelo: Giovanni 6,51-59

Siamo qui riuniti insieme questa mattina, in questa chiesa, per dare l’ul-timo saluto al nostro caro confratello padre Pietro che dopo una lunga malat-tia ci ha lasciato per incontrarsi e ripo-sare nella braccia di Dio Padre.

Siamo posti di fronte alla realtà della morte, una realtà che suscita in noi dolore, tristezza, inquietudine per la scomparsa di una persona cara, si spezza quel legame umano creatosi con il tra-scorrere della vita, degli anni.

Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano a vivere questo momento in modo diverso, ad avere un atteggiamen-to di serenità di fronte alla morte, in quanto Dio ha preparato per noi quel banchetto eterno che è la bellezza del-la sua Presenza, del suo stare con noi e di gioire noi con Lui. Una promessa di bene e di vita per sempre che dovrebbe riempire ogni nostra paura con la pie-nezza del suo Amore Infinito.

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un ban-chetto…

Se crediamo a questa Parola di Dio, ogni turbamento ed ogni paura dovreb-bero scomparire. Infatti sul monte di Dio, che è il monte dell’Alleanza, il Signore preparerà questo banchetto che è il segno più bello del suo voler rima-nere con noi nella gioia della festa che non ha fine, con la promessa e la cer-tezza che la paura finirà: che Lui, il Dio della vita, eliminerà la morte per sempre. Quale promessa più grande il Signore potrebbe farci!

Maggior conforto lo troviamo nelle parole del ritornello del salmo responso-

riale: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”. Niente può mancare a colui che possiede in pienezza l’amicizia di Dio, a chi si fida di questo Pastore eterno che ci conduce ai verdi pascoli e alle acque tranquille del suo Regno. Amicizia, fidu-cia che p. Pietro ha cercato di vivere ogni giorno lungo la sua vita. Inoltre il Vangelo ci pone di fronte la promessa di Gesù: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno… come un pegno di salvezza ed un’assicurazione di vita eterna.

Padre Pietro si è nutrito di questo cibo, anzi ha partecipato con il suo sacerdozio al sacrificio di Cristo e, in modo particolare, la sua consacrazio-ne religiosa è stata segno di questa vita eterna che Gesù ci ha promesso. Per questo, il funerale di padre Pietro, reli-gioso camilliano e sacerdote, deve esse-re per noi tutti un momento di grazia e di serenità, consapevoli che la nostra vita ed anche la nostra morte sono un segno di speranza per la Chiesa e per il mondo. P. Pietro ha concluso il suo cammino terreno iniziato tanti anni fa, 11 dicembre 1929, a Montebelluna in una famiglia nella quale ha respirato fin da bambino la fede cristiana grazie ai suoi genitori, mamma Erminia e papà Vittorio; da adolescente ha risposto alla chiamata del Signore alla vita religiosa ed entra nel seminario di Besana Brian-za dove inizia il suo cammino formativo che si snoderà poi tra le case di Verona San Giuliano con il noviziato, e poi a Mottinello dove verrà ordinato Diaco-no e poi Sacerdote nel 1953. Giovane prete viene mandato a Milano nella nostra clinica San Camillo a lavorare

Page 95: Come Tralci n. 9 2015

– 339 –

nell’ufficio accettazione dove vi rimarrà fino al 1964, anno in cui partirà come missionario per la Colombia. In que-sta nuova realtà inizia il suo ministe-ro di cappellano, prima nell’ospedale nazionale di Bogotá e poi nell’ospedale militare sempre in Bogotá, dove dà il meglio di sé nel testimoniare il cari-sma e l’amore per gli infermi tra i tanti giovani militari mutilati e feriti a cau-sa della guerriglia. Viene riconosciuto anche con medaglie onorifiche da parte dell’esercito. Rientra in Italia nel 1995 a Mottinello dove si ferma per alcuni anni come aiuto alla conduzione della casa. Nel 2002 viene mandato all’ospe-dale di Cittadella dove vi rimarrà fino al 2007, anno in cui ritorna a Mottinello a godersi la vecchiaia. Arriva nella nostra comunità di Venezia nel 2013 dove si è fatto amare da tutti, non solo dai confra-

telli ma anche dai malati, parenti, ope-ratori, bambini che quando incontrava nelle sue passeggiate in giardino sempre salutava con il suo sorriso contagioso. Ringraziamo il Signore per avercelo donato, per aver camminato con lui lungo questi anni e vogliamo ricordarlo con questi doni che provengono dalla grazia dello Spirito: la fede e l’amore a Gesù e Maria, la coerenza e fedeltà alla sua consacrazione camilliana e al suo ministero sacerdotale, testimoniando l’amore ai malati, ai più poveri, vivendo quotidianamente le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato.

Caro P. Pietro, che la Vergine Maria e San Camillo ti prendano per mano e ti conducano all’incontro eterno con Dio e con tutti i tuoi cari.

P. Alessandro Viganò

P. Pietro Merlo con i famigliari in serena armonia.

Ricordiamo i nostri moRTi

Page 96: Come Tralci n. 9 2015

– 340 –

P. PIETRO MERLONEL RICORDO DI UN CONFRATELLO MISSIONARIO

È sempre un piacere incontrare P. Renzo, vecchio compagno negli anni di formazione… anche se la circostan-za è velata di mestizia: ricordare un Confratello, che ci ha lasciato recen-temente e con il quale lui ha vissuto l’esperienza camilliana in Colombia, P. Pietro Merlo.

D. - Guardiamo assieme e con i nostri lettori questa foto: è del 1964 e ci presenta il vostro arrivo in Colombia e l’incontro con l’Arcivescovo di Bogotà, Card. Luis Concha Córdoba. Abbiamo appena fatto memoria e dato l’addio a P. Emilio Stenico ed ora eccoci a ricordare e salutare P. Pie-tro. Tutti lo chiamavano “Padre Pedrito”. Quali sono i tuoi ricordi e le tue reazioni nel ricordo di un amico e confratello mis-sionario?

R. La mia prima sensazione è pro-prio questa: aver perso un amico e un confratello! Quando lui era in compa-gnia non ci si poteva annoiare. Con lui abbiamo partecipato a mille iniziative nella nostra lunga esperienza colombia-na: a celebrazioni religiose ma anche a tornei calcistici, a manifestazioni cul-turali, sportive e patriottiche. Precise, metodiche e partecipate erano le sue celebrazioni liturgiche. Sapeva coglie-re ed esaltare la devozione religiosa del popolo colombiano. Lo rivedo sbrac-ciarsi: era incontenibile la sua gioia quando riusciva a segnare un goal. Pur conservando il suo genuino carattere veneto ha saputo davvero farsi “colom-biano con i colombiani” . Ricordo come momento significativo, proprio agli ini-zi della nostra Fondazione: siamo andati

a celebrare la Festa di San Camillo, il 14 luglio 1964, nella Cattedrale di sale a Zipaquirá, 80 km. da Bogotà, sull’alti-piano, a 2.700 metri s.m. Una splendida Cattedrale fatta di sale, a 300 metri di profondità, nel cuore delle Ande. L’e-sperienza fu indimenticabile ed utile per tanti motivi ed anche… per imparare, se non altro, a mettere un po’ più “di sale” nei nostri progetti e nel nostro nuovo lavoro.

D. - P. Pietro era amorevolmente chia-mato “Padresito” sia per la sua statura che la sua simpatia. Perché?

R. Anche nel travagliato mondo colombiano era sempre ottimista. Con il suo sorriso, con la sua parola simpati-ca e brillante sapeva sempre trovare la risposta più rasserenante e sapeva rela-zionarsi fraternamente con tutti.

D. - Dopo varie esperienze, per molti anni è stato Cappellano all’Ospedale mili-tare di Bogotá. Qual è il tuo ricordo di P. Pietro Cappellano militare?

Page 97: Come Tralci n. 9 2015

– 341 –

R. La presenza di P. Pietro nei circa 30 anni di cappellano all’Ospedale mili-tare è stata così incisiva, coinvolgente ed apprezzata dai malati, dagli Operatori Sanitari e dai Responsabili del servizio militare della nazione che ha lasciato un segno indelebile. Molti lo ricordano ancora con affetto e con riconoscenza. A dire di alcuni, dopo P. Pietro non c’è stato ancora Assistente Religioso che lo abbia sostituito adeguatamente. C’è ancora nell’Ospedale militare di Bogotá una “una certa nostalgia” del suo sorri-so e del suo messaggio. Significativa per me è stata la consegna della targa per i 50 anni della Fondazione Camilliana in Colombia che ho potuto consegnare a P. Pietro all’Ospedale San Camillo degli Alberoni, Lido/Venezia. Eravamo com-mossi come e forse più di 50 anni or sono, quando mettemmo piede in Colombia.

D. - Come P. Pietro seguiva i malati e i casi particolarmente bisognosi?

R. L’Ospedale dove lavorava P. Pie-tro era l’ospedale militare nazionale. Incontrava sistematicamente i milita-ri feriti, amputati degli arti o lacerati orribilmente dalle mine, dai guerriglieri o dai narcotrafficanti. A tutti portava la sua parola di conforto e di speranza cristiana. Spesso sui loro volti leggeva il terrore degli scontri della guerriglia, ma per tutti aveva la “buona parola” e faceva tornare il sorriso. Si prendeva a cuore i casi più bisognosi anche eco-nomicamente e per loro evolveva gran parte dei suoi introiti. La cosa non gli riusciva sempre facile perché poteva suscitare qualche incomprensione.

D. - Un altro Confratello che ci ha improvvisamente e prematuramente lasciati è stato il P. Dino De Zan. Caro P. Renzo, so che con te è stato il fondatore e il direttore del Centro Medico Jan Rey. Qual’era la sintonia e come collaborava P. Pietro con P. Dino?

R. Il Centro Medico Jan Rey è un’opera meravigliosa. Per esso anche P. Pietro ha collaborato con entusiasmo e sacrificio. P. Dino e P. Pietro erano molto amici, e l’amicizia la dimostra-vano nella condivisione delle difficoltà e dei progetti. Sappiamo che le relazio-ni interpersonali di P. Pietro non era-no semplici e facili. Ma …con lui era sempre in sintonia. Si incontravano frequentemente, si sostenevano frater-namente. Sono sicuro che ora sono tutti e due a guardarci e a sorriderci gioiosa-mente dal Cielo!

P. Renzo Roccabruna

P. Carlo VanzoUn Colombiano o un Italiano? No! È sempre “Padresito Pedro”.

Ricordiamo i nostri moRTi

Page 98: Come Tralci n. 9 2015

– 342 –

RICORDANDO ZIO PIETRO…

È stata sicuramente la fede a sostene-re Erminia, giovane madre vedova con 12 figli (di cui tre deceduti in infanzia), nella difficile scelta di affidare il sosten-tamento e la formazione di due di loro (Francesco e Pietro) ai Padri Camillia-ni di Mottinello (Padova/Vicenza). In quell’ambiente i due fratelli hanno intra-preso un cammino vocazionale che li ha portati a diventare essi stessi membri dell’Ordine di San Camillo de Lellis.

Padre Pietro Merlo ricordava la sua infanzia definendosi un monello. E come dargli torto? La sua mamma non fece certo i salti di gioia quando, avendolo mandato ad acquistare un bottiglione di vino, lo vide tornare con il vino misto ad acqua del canale perché, lungo la stra-da del ritorno, stanco e affamato, non aveva resistito dal berne un po’. Sorte migliore non toccò ai pantaloni: aven-doli strappati, pensò di riparare il danno aggiustandoli con del fil di ferro, facendo quello che in dialetto veneto si definisce “fa peso el tacon del sbrego”.

Sappiamo che per un periodo Padre Pietro ha esercitato il suo servizio a Mila-no, ma è certo che l’esperienza più signi-ficativa di tutta la sua vita da consacrato sono stati i moltissimi anni trascorsi in Colombia a Bogotá in un difficile clima politico-economico del quale raccontava durante le riunioni di famiglia.

Anche a migliaia di chilometri di distanza, lo zio riusciva a stare vicino ai famigliari con la preghiera, con gli auguri per le festività ma anche con scambi epi-stolari per sostenerli nelle gioie e nelle difficoltà della vita.

Povero per destino da bambino, cre-scendo Pietro sceglie la povertà, rinun-ciando a tutto per stare al fianco di chi soffre nel corpo e nell’anima e di chiun-

que la vita gli faccia incontrare. Riparti-va per la Colombia con la valigia piena di abiti, ma teneva per sé l’indispensabile e donava ai bisognosi il resto, compresi, in un caso, gli abiti religiosi, perché ne riutilizzassero il tessuto. Al rientro in Ita-lia distribuiva tra parenti e amici quasi tutto ciò che possedeva. Tutti noi abbia-mo ricevuto da lui almeno un crocifisso, o un rosario, o una Bibbia, o un oggetto che era stato prima regalato a lui. Anche a tavola si accontentava di poco perché conosceva molto bene la vera fame.

Il ritorno a casa dello zio Pietro dalla Colombia era sempre una gioia in fami-glia. Alloggiava presso uno dei fratelli o sorelle e la sua era una presenza discreta e gioviale. Chiedeva a tutti con since-ro interesse a che punto fossero col loro cammino di vita. Il suo passatempo pre-ferito era giocare a dama o a carte con il cognato o con altri parenti che venivano a fargli visita. Ci siamo sempre chiesti se fosse per talento, per fortuna o per inter-cessione divina se riusciva quasi sempre a “scalare quaranta” dopo aver scartato due “matte”. Aveva la straordinaria capacità di appianare le piccole incomprensioni con una battuta di spirito: in risposta a chi si adirava o imprecava, assumeva un atteggiamento di raccoglimento e diceva imitando il Vangelo: “Perdona loro per-ché non sanno quello che fanno”.

Era molto apprezzato dai sacerdoti e dai fedeli delle parrocchie dove prestava servizio mentre risiedeva dai parenti. Le sue prediche, brevi ma significative, pro-nunciate con l’accento spagnolo, gli ave-vano fatto guadagnare il soprannome di “Speedy Gonzales” tra i giovani, i quali a volte lo cercavano per una confessione. Molti sono i famigliari e i conoscenti ai quali, subito dopo la messa, regalava il

Page 99: Come Tralci n. 9 2015

– 343 –

foglietto con la sua predica. Te lo mette-va in mano con l’atteggiamento di chi ha scoperto un tesoro e lo vuole condivide-re. Come dimenticare quanto fosse lega-to a Maria? Ci sembra ancora di sentire il suo caratteristico tono di voce mentre intonava “Santa Maria del cammino” in spagnolo.

Sapeva vedere il lato positivo in ogni situazione. A chi si lamentava per i troppi pensieri che gli passavano in testa rispondeva di stare contento per-ché almeno su quelli non c’erano tasse da pagare.

Aveva l’umiltà di scherzare anche su se stesso. In particolare giocava col suo cognome. Diceva sempre “Mi son Merlo, no son Tordo” creando un gioco di parole basato sul fatto che in Veneto si da del “tordo” non solo a un certo tipo di uccel-li ma anche a chi è poco sveglio. Quando doveva andare alla toilette annunciava di doversi assentare un attimo per fare un deposito in banca.

L’ilarità era un tratto che lo acco-munava al fratello Francesco, anch’esso Padre Camilliano. Come dimenticare il giorno in cui Pietro e altri fratelli hanno convinto con l’inganno Padre Francesco a sedersi su una sdraio rotta: immagina-te le risate di fronte alla caduta che ne seguì! Oltre a questo lo zio Francesco era un uomo che amava la vita in tutte le sue manifestazioni. Giocoso con i bambini, fidato consigliere con gli adulti, amante

del bel canto, talentuoso cantore, buo-na forchetta, attento fotografo. Come dimenticare le sue battute? Alla fine di un lauto pranzo alla padrona di casa dice-va: “Mi no vegne pì magnar qua parchè a me ha fat pasar l’apetito”. Al padrone di casa diceva: “Sera el cancel che vien dentro el fret”.

L’obbedienza che ha portato Padre Pietro in Colombia per tanti anni, lo ha riportato in Italia per anzianità di servi-zio e per accudire il fratello Francesco malato terminale. Questo gli ha permes-so di frequentare di più la famiglia e di prestare il suo servizio tra gli ammalati italiani. Ma dai racconti che ci regala-va era chiaro che una parte di lui era rimasta in Colombia. Iniziava dicendo “Mai dimentico la Colombia…” e poi ricordava… le lezioni di Etica alle infer-miere,… la paura di uscire di sera dopo una certa ora,… vedere l’uomo sotto alla divisa dei soldati feriti,… accostare gli ammalati con discrezione (senza impor-re i sacramenti ma offrendo innanzi tut-to ascolto),… il rispetto per la persona umana,… il modo in cui lo chiamavano: Padre Pedro o Pedrito.

Purtroppo la malattia ha offuscato sempre di più i ricordi di Padre Pietro. Ma noi “mai dimenticheremo” quello che lui e lo zio Francesco sono stati per noi e per gli ammalati.

Con affetto e stima.Nipoti e pronipoti

P. Pietro Merlo con nipoti e pronipoti e, a destra, con i famigliari. “Il ritorna a casa di zio P. Pietro era sempre una gioia in famiglia”.

Page 100: Come Tralci n. 9 2015

PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI

I PARENTI DEFUNTI

Sig. Angelo Montin, fratello di P. Zeffirino

Sig.a Giuseppina Cecere, mamma di P. Antonio Puca

Sig. Albino Tamanini, fratello di P. Lino

RELIGIOSI DEFUNTI DI ALTRE PROVINCE

P. Cristian Frings, della Provincia Tedesca

AGGREGATA ALL’ORDINE

SUORE DEFUNTE

Sr. Angelina Musumeci, Ancelle Missionarie Camilliane