Came Tralci n.3 2014

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Come Tralci Linfa di Vita dei Camilliani d'Italia Bollettino delle Province Italiane

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SOMMARIO

Editoriale5 Signore, risali in barca con noi P. Carlo Vanzo7 Nuova urna di San Camillo per il 400° Atti Ufficiali Atti della Consulta Generale 8 Aggiornamento - Comunicato - Nuovo aggiornamento Atti dei Consigli Provinciali 1 Provincia Italiana 10 Informazioni del Consiglio Provinciale n. XII 11 Convocazione generale della Provincia Italiana 12 Lettera del Provinciale 13 Assemblea Generale Provincia Italiani P. Vittorio Paleari Provincia Romana 17 Informazioni del Consiglio Provinciale P. Emilio Blasi Provincia Siculo/Napoletana19 Estratto del Consiglio Provinciale P. Rosario Mauriello

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Come TralciBollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia

Anno 2 - Numero 1 - Gennaio-Marzo 2014

Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

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IV Centenario di San Camillo 24 Guarda ... sta spuntando l’alba25 Riflessioni di un Canfratello P. Giovanni Aquaro27 Sfide per la Spiritualità Camilliana nel mondo della salute oggi Fr. Carlos Bermejo27 Comunicazione importante per i Religiosi P. Vittorio Paleari29 Senza passato nessun avvenire P. Mario Bizzotto35 Le geniali e sorprendenti intuizioni di San Camillo P. Rosario Messina Pastorale44 San Pio X e i Camilliani P. Angelo Brusco

Formazione51 Luce e sale per il mondo P. Domenico Ruatti53 Le favole di Fedro in convento54 Storia di un evento: prova o messaggio? P. Lucio Albertini

C.P.V. 59 Per un’estate vocazionale P. Paolo Gurini

Dal Mondo Camilliano61 Due giorni di formazione: “Evangelizzazione e mondo sanitario” P. Marco Causarano61 Prevenzione e salute pubblica: aspetti teologico-pastorali Dott. Giovanni Cervellera68 Essere Diaconi: con il Cuore di Camillo nella Chiesa di Dio Walter Vinci

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70 Curare amando, amare curando. Il Cuore di San Camillo al S. Camillo di Roma P. Sergio Palumbo72 Dopo quasi 400 anni San Camillo torna all’Ospedale San Giovanni di Roma P. Antonio Marzano74 Giornata Mondiale del Malato in Indonesia P. Luigi Galvani75 IV Centanario del “dies natalis” di San Camillo. Messina Ricorda! P. Médard Aboué77 Convegno per la G.M.M. e il 400° di San Camillo. Ospedale di Treviso P. Luigino Zanchetta 78 Sintesi delle relazioni P. Giovanni Stragliotto81 Camillo Gigante della carità torna a Bucchianico con il suo Crocifisso Umbarto Saraullo82 Anno Giubilare Camilliano a Napoli Alfredo M. Tortorella84 San Camillo Patrono della Sanità Militare - 40° Anniversario85 Torino: ‘La San Camillo, una squadra che vince!’86 Con i Camilliani in Giorgia Daniele Mellano89 Dopo quattro secoli S. Camilo torna ad Ischia Giovanni Campo92 Missione Camilliana per i Malati 15-18 maggio 2014 - Montefalcione P. Alfredo Maria

F. C. L. (Famiglia Camilliana Laica)94 Qualche notizia ‘di Famiglia’ della F.C.L. Rosabianca Carpene96 F.C.L. di Piossasco (TO) Visita Pastorale dell’Arcivescovo Mons. Nosiglia Piera Tua

Sommario

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In copertina:Bucchianico, ammantato di vigne, visto dall’arco della casa di Giovanni De Lellis. Qui Camillo è nato, ha vissuto l’infanzia e la sua svogliata giovinezza. All’amato paese natale tornava sempre con gioia e nostalgia. Ma la ‘sua vera vigna’ sarà l’ospedale. Qui Camillo diventerà il tralcio rigoglioso, innestato alla vera Vite, il Crocifisso, per produrre il vino che dà speranza e rallegra il cuore del malato. (Progetto grafico T-Studio s.n.c).

Ricordiamo i nostri morti99 P. Nazareno Rossetto101 Omelia per le esequie di P. Nazareno Rossetto P. Vittorio Paleari104 Ricordo dalla Thailandia P. Peter Phakhawi105 Così le Ministre degli Infermi ricordano P. Nazareno Suor Noemi e Consorelle107 Lavorare e ... sognare con accanto un amico P. Armando Tenuzzo108 Preghiamo per i nostri morti

Direttore: P. Carlo Vanzo

Collaboratori: P. Antonio Marzano, Alfredo Tortorella, Franca Berardi

Direzione e Redazione: Religosi Camilliani - San Giuliano Via C. C. Bresciani 2 - 37124 Verona Tel. 045 8372723 /8372711 (centralino)E-mail: [email protected]

Progetto grafico e stampa: Editrice Velar - Gorle (BG)www.velar.it

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Editoriale

Signore, risali in barca con noi (Mt. 8,23)

Uno dei ‘pulpiti’ che Gesù prediligeva per annunciare la sua Buona Notizia era la ‘barca’, che diventava anche il ‘guanciale’ dove posare il capo per riposare. Quel giorno pareva che Lui si fosse proprio addormentato, ed ecco una tempesta improvvisa ed impetuosa. Anche Pietro, vecchio “lupo di mare”, si vede travolgere dalle onde e dal vento insieme agli altri e... si lascia prendere dalla paura: ‘Signore, siamo perduti!’. Gesù si sveglia, stende la mano, il mare si calma e... nell’ultima folata di vento che arriva dà loro un accorato rimprovero: ‘Perché avete paura, uomini di poca fede!’. Quante volte la ‘Barca di Pietro’ ha attraversato tempeste paurose, quante volte la Chiesa di Gesù ha avuto paura e... si è meritata lo stesso

Venezia è sorta, cresciuta sul mare ed è diventata ‘la Regina del Mediterraneo’. Mille inondazioni hanno segnato la sua storia e il sole di ogni giorno fa risplendere la sua bellezza. Ecco Venezia in un giorno di ‘alta marea’. La barca di Camillo in laguna per salvare quel naufrago perenne che è il malato.

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paziente rimprovero, ‘perché avete paura, io sono con voi!’ Ad ogni alba ha ripreso la sua millenaria navigazione nel mare del tempo verso l’oceano azzurro ed infinito del Regno!

L’accostamento può sembrare un po’ ardito, ma anche il nostro Istituto, piccola e privilegiata parte della Chiesa di Gesù, sta attraversando una tempesta violenta e devastante che fa pensare al mare di Tiberiade, là, quando Gesù dormiva sulla barca di Pietro. È sempre serpeggiante la paura, ma noi siamo sicuri: quando si stenderà la mano del ‹timoniere› della storia, che ora sembra dormire, riprenderà la navigazio-ne serena anche della ‹piccola barca di Camillo›. Se la storia è sempre ‹maestra di vita›, quante cose possiamo imparare anche da questa sofferta esperienza! La prima è certamente l’umiltà. Consapevoli del nostro limite, ci abbandoniamo nelle mani di Colui che ci ama, non ci lascia mai soli e veglia su quella che il Crocifisso ha chiamato «Opera mia»! Anche Pietro, il grande pescatore del lago di Tiberiade, ha avuto bisogno di toccare con mano il suo fallimento per arrivare ad esclamare: «Signore, Tu sai tutto, Tu sai che io ti amo!». Solo dopo questo grande atto di umil-tà e di fede Pietro potrà diventare il ‹nocchiero della Chiesa›, la Nave di Gesù che sfiderà le tempeste della storia e sarà inaffondabile, fino a quando ci porterà tutti sulle sponde della vita che non conosce tramonto!

Eravamo nel cuore delle Celebrazioni del 400° della morte del N. S. Padre Fon-datore. Stavano fiorendo mille piccoli segni della grande e preziosa presenza della Famiglia di Camillo nel Mondo della Salute. Proprio come quella notte, sul lago di Tiberiade ecco l’ora della prova. Una grande tempesta... ma, all’alba soffierà il ‘libeccio’ e domani tornerà il sole a riscaldare la nostra navigazione se anche noi, con fede, saremo capaci di dire: ‘Bonum, Domine, quia umiliasti me!’.

Anche il presente numero di Come Tralci segna alcune tappe, ora sofferte ed ora gioiose, del ‘cammino’ delle Province Italiane. Mentre ringraziamo quanti ci hanno offerto la loro preziosa collaborazione, invitiamo tutti i Confratelli a trasmetterci le loro esperienze e le loro iniziative pastorali.

Come augurarci Buona Pasqua? L’esplosione di Luce, di Pace e di Gioia che nasce dal Sepolcro vuoto nel giardino di Giuseppe di Arimatea, illumini, rassereni e riscaldi il Nostro Istituto. E, come i due discepoli di Emmaus, che hanno incontrato il Risorto nella sera della tristezza, anche noi corriamo nella notte ad annunciare che Cristo è veramente risorto.

P. Carlo Vanzo

Nuova urna di San Camillo per il 400°

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Roma, Chiesa della MaddalenaCosì ce la presenta l’artista, Alessandro Romano: “Sposare la propria croce e

intervenire senza indugi nel momento del bisogno, questo è ciò che fece San Camillo, questa la strada che conduce alla salvezza, questo il messaggio e l’invito racchiuso nella scultura dedicata al grande Santo. Nel gruppo di sinistra un camilliano aiuta un giovane sofferente e guarda il cielo: la carità generosa è la strada che conduce alla salvezza, piegare le proprie croci per aiutare il prossimo è uno sguardo sull’eternità. Nel gruppo di destra il camilliano soccorre un fratello ormai morente, gli benda la ferita del costato, lo accudisce amorevolmente, lo consola e, aiutando il fratello, aiuta Cristo. Le croci d’oro piegate che partono dalle Sante reliquie di Camillo de Lellis vogliono suggerire che, come l’arcobaleno dopo la pioggia annuncia il sereno, così l’atto di carità annuncia il premio eterno”. Un lavoro che, come tutte le celebrazioni centenarie, ha visto tanto entusiasmo e ... qualche momento di difficoltà, ma che ora mette bene in risalto ‘il Messaggio di tenerezza del N.S. Padre Fondatore per chi soffre’. San Camillo continui a sorriderci dal cielo e a guidare la sua ‘pianticella’ che sta crescendo nel mondo intero (pvc).

Foto nel 400° di San Camillo

Nuova urna di San Camillo per il 400°

Roma, Chiesa della Maddalena - nuova urna di San Camilo.

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“GUARDA... StA SPUNtANDo L’ALBA!”

In questi ultimi mesi sono state molte le Celebrazioni, i Convegni e le Commemorazioni che si sono svolte in varie Comunità Camilliane nel mondo per il 4° Centenario della morte di San Camillo. Non ‘una macedonia’ di even-ti ma la storia delle nostre comunità, di ciascuno di noi, dell’Istituto che fa memoria, si interroga e si proietta verso un futuro ricco di sfide e di speranze

Di alcune avremo modo di riferire, ma una in particolare ci sembra meriti adeguato risalto: la Tre giorni di Spi-ritualità nell’Anno Giubilare Camil-liano, svoltasi dal 18 al 20 marzo 2014 nella nostra Casa Generalizia a Roma sul tema ‘Il Carisma di Camillo dono prezioso in fragili mani’ .

Venivamo da tutt’Italia. Un tramon-to sereno e frizzante ci ha accolti nella Casa Madre. Alcuni ‘cirri di porpora e

d’oro’ dipingevano il cielo di Roma e ci facevano ben sperare. Personalmente ritengo che questa sensazione e questa segreta speranza siano state confermate dai messaggio di quei giorni.

La scoperta che il ‘Carisma’ di Camillo è sempre più prezioso, sia per noi che per la Chiesa; che le ‘nostre fragili mani’, provate dall’incertezza e dalla tristezza di questi giorni, sono sta-te davvero un po’... rinfrancate ed irro-bustite dalla certezza che San Camillo continua a guidarci dal cielo.

La Chiesa Istituzionale ha dimostra-to attenzione e sensibilità nell’affronta-re i problemi di incertezza e di sofferen-za che l’Istituto sta vivendo.

Gli Atti ufficiali verranno pubbli-cati e a quelli si rimanda. Possono inol-tre essere consultati sui siti camilliani. (p.v.c.)

iv Centenario di San Camillo

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RIFLESSIoNI DI UN CoNFRAtELLo

Due giorni di spiritualità camilliana: ‘un dono prezioso in fragili mani’. “Questa Famiglia ti benedice!”

Questa famiglia ti benedice, ti benedice Signore. È stato il canto del Ciombini il vero tema (on my opinion) della due giorni di spiritualità camilliana, cele-brata a Roma-Maddalena. Non me ne vogliano i promotori e i relatori. Sono anni che sentiamo parlare di Kairòs e cronos, di memoria e profezia, formazio-

ne permanente e sfide nel mondo della salute, fuoco e cenere. De re nostra agi-tur. La sottile allusione, e mica tanto sottile, stava nel sottotitolo: dono pre-zioso in fragili mani.

Qui gli orecchi eran tesi dal nord al sud. Come stanno le cose con le fragili mani, le fragili decisioni, le autonome decisioni, del fragil comandante? Ecco la domanda. Il Cardinale lo comprende bene e con un po’ di humour esordisce: prima del testo bisogna entrare nel conte-

Roma - Casa della Maddalena, 19 marzo 2014. La Grande Famiglia Camilliana fa corona a Sua Eminenza il Cardinale Joao Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrate e le Società di vita apostolica che ha trattato il tema:

‘Essere nella Chiesa e con la Chiesa per testimoniare il carisma della misericordia di San Camillo’, ha presieduto la Concelebrazione e ci ha trasmessa la vicinanza

del Santo Padre, Papa Francesco e notizie confortanti sull’evoluzione del nostro ‘caso’.

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sto. L’assemblea, smorzando un sorriso, annuisce. Questo periodo – prosegue il presule – è stato un periodo sofferto, dif-ficile per tutti. Difficoltà sul piano umano, ma anche occasione di approfondimento su quello divino. Ho incontrato il Padre Renato e ho avvertito in lui una profon-dità e una serenità non comune. In una situazione così dolorosa noi della Congre-gazione e lo stesso Papa Francesco abbia-mo desiderato seguirvi da vicino. Questo vi deve far stare tranquilli, uniti. E prendere coscienza che bisogna camminare insieme, non lavorare da soli, isolati. Camminando insieme c’è più luce. Ed è più bello.

Ci voleva il tocco canoro femmi-nile a confortare gli apostoli riuniti e smarriti – propter metu judeorum – nel cenacolo più antico dell’Ordine. Que-sta famiglia ti benedice, ancorché scossa e sfiduciata per le dolorose vicende che hanno sballottato la barca di Camil-lo. Questa famiglia ti benedice, perché nonostante le ferite, può ricominciare. Ripartire. Prendere il largo.

Le nostre Sorelle, chitarra alla ma-no, sono partite contagiando col can-to: Questa famiglia ti benedice, vuole benedirti, prendere animo, perché nel dolore le viene data la forza di sperare, di tornare a sorridere. La voce si fa canto e preghiera: “mia forza e mio canto è il Signore”! Sì questa famiglia ti benedice.

La ferita è grossa, non si è ancora rimarginata, è aperta, però questa fami-glia ti benedice. Ha subìto uno scossone magnitudo dieci ma si sta riprendendo con fiducia. Ti benedice, perché le viene dato amore e gioia per vivere insieme. E uno scopo per continuare.

C’è stata una caduta (ai posteri l’ar-dua sentenza) ma questa famiglia rimane unita e ti benedice.

Chi percorre un holzwege (sentiero nel bosco), conosce avanzamento e smar-rimento, registra interruzioni; se però si rialza e riprende il cammino trova la legna. Questa famiglia ti benedice; nono-stante le fragili mani, ha un cuore gio-vane, una mente aperta, un corpo sano.

Anche a noi oggi – come a Camillo un tempo – il Crocifisso tende le braccia con le stesse parole: “Pusillanime questa è opera mia. Coraggio!”

P. Giovanni Aquaro

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SFIDE PER LA SPIRItUALItà CAMILLIANA NEL MoNDo DELLA SALUtE oGGI

Introduzione alla relazione di Fr. Carlos Bermejo

Prima sfida:“Andare dal medico di famiglia”. La sfida di riscoprire il concetto di spiritualità.

Seconda sfida: “Andare dal nutrizionista dietista”. La sfida di coltivare la sete e la passione.

Terza sfida:“Andare dall’oculista”. La sfida di coltivare la dimensione trascendente.

Quarta sfida:“Andare dall’immunologo. La sfida di ritenersi indegni servitori.

Quinta sfida:“Andare dallo psichiatra”. La sfida di orientarsi nei tempi: passato, presente e futuro.

Sesta sfida:“Andare dal cardiologo”. La sfida di verificare la competenza spirituale.

Settima sfida:“Andare dal medico legale”. La sfida di ricuperare l’identità di consacrati.

Ottava sfida:“Andare dal traumatologo”. La sfida di svolgere la liturgia dell’incontro e del servizio.

Nona sfida:“Andare dal sessuologo”. La sfida di diventare donna nello stile di servizio.

Decima sfida:“Andare da Gesù, il vero medico”. La sfida di evangelizzare l’Ordine.

CoMUNICAzIoNE IMPoRtANtE PER I RELIGIoSI

Cari Confratelli, All’interno della “Tre giorni di Spi-

ritualità” organizzata presso la nostra Casa Generalizia dal 18 al 20 Marzo 2014, S.E. Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, mercoledì 19 Marzo alle ore 16.00 ha tenuto una conferenza dal titolo “Essere nella Chiesa e con la Chiesa per testimoniare il Carisma del-la misericordia di San Camillo”.

Prima di tale intervento ha condivi-so con l’Assemblea alcune informazioni riguardanti P. Renato Salvatore:- Il giorno 5 Marzo, Lui stesso (il

Cardinale) e S.E. Josè Rodriguez Carballo, segretario della medesima Congregazione hanno incontrato P. Renato Salvatore.

- Il giorno dopo P. Renato Salvato-re ha inviato una lettera alla Santa Sede in cui rimetteva il suo manda-to di Superiore Generale dei Reli-giosi Camilliani.

- Ora è dovere della Santa Sede rispondere per accettazione secondo la richiesta di P. Renato Salvatore. Tale risposta è già stata preparata dalla Congregazione ma è ancora al vaglio del Santo Padre al quale tocca l’avvallo finale.

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Infine S.E. Card. Joao Braz de Aviz, assicurando che sia la Congregazione, sia il Santo Padre ci sono e ci saran-no sempre vicini, invita (cito diretta-mente) “a stare sereni ed a continuare nella testimonianza del vostro prezioso e grande Carisma... predisponendovi a celebrare prossimamente un nuovo Capitolo Generale”.

Ha assicurato che a breve, queste notizie saranno ufficiali e con ulteriori specificazioni metodologiche. Ha inol-tre esortato (cito direttamente) “ a non vivere questi momenti, come divertiti

di portare in superficie gli sbagli altrui e di allenarci invece alla pazienza, alla benevolenza e al perdono reciproco”.

Invio questo breve scritto per rag-guagliare i confratelli circa le ultime sulle vicende dell’Ordine.

Come da tempo, quindi, restiamo ancora in attesa.

Saluti fraterni

Capriate S. Gervasio (BG), 21 Marzo 2014

P. Vittorio Paleari

Roma - Aula Capitolare, 18 marzo 2014. I partecipanti alla ‘tre giorni’ con Sua Ecc. Mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti

di vita consacrata che ha tratto il tema: ‘La formazione: una ricchezza e una sfida per tutto l’Ordine’.

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SENzA PASSAto NESSUN AVVENIRE

In margine al quarto centenario dalla morte di S. Camillo

La regola-madre lasciata in eredi-tà ai suoi da S. Camillo non è un fatto definito entro una situazione acciden-tale, per cui una volta accaduto è fini-to per sempre, è anzi la proposta d’un valore sovratemporale che prescrive un dovere.

I termini con i quali viene presen-tata sono chiari ed esigenti, forse trop-po esigenti tanto da dubitare della loro proponibilità. Il testo dice: “Se alcuno inspirato dal Signore Iddio vorrà esercita-re l’opre di misericordia, corporali, et spi-rituali secondo il Nostro Istituto, sappia che ha da essere morto a tutte le cose del mondo, cioè a Parenti, Amici, robbe, et a se stesso […]. Non si curi ne di morte, ne di vita, ne de infermità, o sanità, ma tutto come morto al mondo …”.

La formulazione così provocatoria esprime la misura di chi l’ha dettata. Si va ad un tutto radicale, punta molto in alto tanto da far pensare ad un ideale utopico, che non lascia posto se non ad un seguito di eroi e, purtroppo, noi eroi non lo siamo. Non sarebbe conforme allo spirito dei tempi. La regola com-pie uno stacco netto dalla mediocrità. A sua giustificazione si deve osservare che una regola del genere non è fatta con calcoli sociologici e con quel piat-to realismo che tiene conto di come la proposta può assestarsi nella media. Il suo senso va cercato nella speranza. Ci proietta al futuro e questo è tanto più chiaro e definito quanto più tradizio-ne ha alle spalle. Ad essa riconosciamo il merito di aver dato una risposta al nostro dubbio circa la sua attuabilità.

Gli esempi di fedeltà Anzitutto ci sono figure di reli-

giosi che hanno preso sul serio quan-to il Fondatore ha proposto e si sono comportati coerentemente, sono stati all’altezza, hanno compiuto ciò che a noi, figli d’un tempo languido e senza ideali, appare incredibile. Se ci sono questi esempi, non sono qui per essere ammirati: chiedono di essere imitati. La tradizione emette stimoli ed inviti, ma anche salutari rimproveri. Incoraggia a seguire la via irta della dedizione alla causa evangelica adottata dall’Istituto. Il prezzo chiesto lascia molto esitanti e questo, ad essere onesti, non deve far meraviglia. Gli esempi, ad iniziare dal Fondatore, hanno qualcosa da denun-ciare del nostro costume. Se incute timore il dovere di imitarli, è già qual-cosa proporsi di seguirli, sia pure a lunga distanza, come è riferito delle pie donne che seguivano il convoglio della cro-ce “a longe” . Ciò nonostante anche la loro presenza è significativa. Ad essere crocifisso è soltanto il loro maestro, ma il fatto di aver partecipato è già qualcosa che fa loro onore. La regola che chiede di morire apre il futuro, è più speranza che realtà di fatto. Se non c’è l’imitazione, c’è però l’aspirazione.

Nell’ideale passato e futuro La regola originaria contiene un’i-

dea forza che, per quanto sviluppata, lascia sempre aperta la possibilità di nuove esplicitazioni. Essa riporta il lin-guaggio paradossale del Vangelo con la sua spinta creativa. Supponiamo fosse

iv Centenario di San Camillo

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stata coniata in veste prudenziale e più morbida, avrebbe perso di mordente, si sarebbe appiattita ad un livello medio-cre, finendo per essere un enunciato povero di futuro e di speranza. Da essa, al contrario, parte una corrente ad alta tensione che scuote la coscienza, la mette alla prova inquietandola. In essa si scoprono passato e futuro. Il passato che riconduce al fondatore e da questo ancora più indietro al Vangelo che a sua volta culmina in Dio, principio e fine di tutto. Qui ci si imbatte con la radice ultima. Apre il futuro perché avvia ad una sua realizzazione che non viene mai sufficientemente esplicitata in tutte le sue possibilità.

Non c’è futuro senza passato, cui si è debitori più di quanto si creda. Noi non sappiamo quanto passato ci sia in noi.

Ad esso dobbiamo il sangue che circola nelle nostre vene. Da esso proveniamo come si proviene dai genitori. Siamo più eredi che creatori, è più quello che riceviamo che non quello che diamo di nostro. Ci troviamo immersi nel passa-to come un pesce nella corrente d’un fiume in continuo divenire. È un dove-re di onestà cercare il giusto rapporto con la tradizione. Nella nostra epoca è disturbato da un atteggiamento di indif-ferenza. Si cerca di liberarsene e si viene castigati nella prigione del presente. Si vive nella dimenticanza e staccandosi dalle radici si è messi allo sbando, con-dannati al vagabondaggio in una terra d’esilio. Assediati dagli attuali mezzi di comunicazione, l’intera attenzione è confinata nell’effimero e nell’immedia-to. Slegati dal passato, lo si è anche dal futuro. Ci viene tolto semplicemente il tempo, per cui non fa più meraviglia sentirsi dire che non si ha tempo. Si vive di istanti e di brividi improvvisi come lampi. Il destino di chi intende spezzare ogni legame col passato crea rapporti di dipendenza nei confronti del presente ma soprattutto smorza ogni ideale, dal momento che esso ha sempre un ante-cedente che presuppone un tempo di incubazione con un prima e un dopo.

Nell’ideale l’incompiutoL’antico detto: dal nulla, nulla. Tutto

parte da una radice, più o meno remo-ta, che irrompe nel presente e si dilata nel futuro. Il nesso tradizione e speran-za è ovvio. Si spera rivolti a quanto di incompiuto è stato trasmesso dal pas-sato. Quanto ci è comunicato da un fondatore ha radici remote ed è affi-dato a dei successori come un compito non ancora definitivamente ultimato.

Più le tue radici si estendono al passato lontano, più l’albero fiorirà e porterà frutti.

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Porta con sé nova et vetera, cose nuo-ve e antiche. Il riformatore capta come un’antenna ciò che è già nell’aria. Lo si capisce dal fatto che la sua propo-sta trova seguito e consensi. Se questa fosse del tutto nuova non troverebbe alcuna risonanza e la sua figura scompa-rirebbe nell’isolamento. La differenza che intercorre tra il geniale creatore e i discepoli è data dalla chiarezza nell’e-splicitare un contenuto presente ma inespresso. In fondo, si voglia o no, si porta sempre alle calcagna un passato. L’eredità che la tradizione depone nelle nostre mani non è un materiale morto da depositare in un archivio, è piutto-sto flusso vivente proiettato nel futuro. Trova la sua spinta nella speranza. La surriferita immagine del fiume serve a capire il senso dell’ideale, sempre in perenne movimento: non si ferma mai, altrimenti non potrebbe essere ritenuto ideale, sarebbe ridotto ad un evento for-tuito, che una volta avvenuto è definiti-vamente compiuto, come nel caso d’un fenomeno meteorologico, ad esempio un’eclissi. Ma dove regna la vita, le cose si comportano diversamente. Rivendi-cano tempo, forze, impegno, sangue, materiale caldo. Occupano il passato come il futuro senza esaurirsi. Lascia-no posto a novità e a sorprese. Dall’i-deale si traggono continui impulsi, si operano scelte adeguate alle situazioni o emergenze, si creano nuove prospet-tive. L’acqua del fiume scaturisce dalla stessa sorgente ma è sempre nuova, non è mai la stessa. Così è della luce del sole. Arriva ogni giorno ed è sempre nuova, si espande di continuo e non si consu-ma. Le immagini del fiume e del sole sono pertinenti, dicono come l’ideale sia dotato d’un’energia inesauribile.

C’è un’altra immagine che viene uti-lizzata parlando della tradizione. Si ricor-da che essa è come l’albero, la cui chio-ma si espande in proporzione alle radici. Quanto più queste si affondano nel suolo, tanto più la pianta è solida. La metafora chiarisce come, a sostegno d’un valore, siano imprescindibili le radici. L’ope-ra avviata da S. Camillo è chiaramente ispirata al Vangelo e più in particolare all’attività misericordiosa. Ad essa si è votato “con tutto il cuore, con tutte le forze e tutta la mente”. Vi ha dedicato l’inte-ra esistenza, che tuttavia non basta per appagare quanto esige la misericordia. È richiesta la durata di altre vite, sono necessarie altre forze. Camillo ha chiuso i suoi giorni all’età di 64 anni, ma se fosse vissuto altri trenta il suo obiettivo non sarebbe stato ugualmente raggiunto. L’o-pera alla quale si è consacrato è più gran-de di lui, travalica i limiti d’un’esistenza. Ha bisogno di altre braccia. Risponde infatti all’indigenza dell’essere umano. Di questo si è reso conto lo stesso Camillo. Lo manifesta il suo lamento: vorrei ave-

Il Carisma di Camillo é la ‘piccola pianticella’ che raccoglie la linfa, l’acqua e la luce dalla sofferenza di tutto il mondo

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re cento braccia! Ne avesse anche mille ancora non basterebbero. Avesse anche una schiera di seguaci, ancora non sareb-be sufficiente per rispondere alle richieste del suo ideale.

L’eredità d’un valore e d’un impegnoLo stesso Follerau ha esplicitamente

sottolineato come la sua causa non deve terminare con la sua vita. Nel suo testa-mento consegna la sua opera ai giovani, cui lascia in eredità quanto di incom-piuto è rimasto dietro la sua attività tra i lebbrosi. Ci vogliono nuovi testimoni per liberare quella parte dell’umanità oppressa da gravi sofferenze. L’osser-vazione di Follerau rivolta ai giovani potrebbe essere fatta dallo stesso S. Camillo che ha qualificato la sua opera come una pianticella sperduta nel mare della sofferenza. È sua aspirazione che diventi pianta rigogliosa. Con parole profetiche esorta il suo piccolo gregge: ”verrà tempo che questa piccola famiglio-la si spargerà per tutto il mondo”. Le sue sono parole di speranza, che vorrebbero essere proporzionate alla sofferenza che affligge innumerevoli persone. In lui si trovano l’intuizione originaria e la pro-iezione in avanti di chi, sostenuto dalla speranza, non si rassegna alla presenza del male. Tra l’uno e l’altro momento intercorre la tradizione. Dal momento che Camillo è sopraffatto dalla passione nell’esercizio della misericordia, si sente alle sue dipendenze come servo, e per di più servo indegno. Prega: “Signore, ben-ché io sia indegno”, sono stato chiamato all’esercizio della misericordia, “causa meraviglia … che (Dio) si sia voluto servi-re di me tanto peccatore”(63). L’ideale da lui professato lo sente più come opera di Dio che sua: “quest’umile pianticella non

da me, uomo vilissimo, ma dalla vostra potente mano piantata”. Non è invenzio-ne sua ma un dono che viene da Dio e come è dato a lui, è offerto anche a tutti coloro che si sentono chiamati alla stessa vocazione vicino agli infermi. In tutti si scopre una storia irripetibile, in tutti parla lo stesso spirito ma sempre in modo diverso. Per capire la portata della chiamata di Dio alla misericor-dia non basta perciò domandarsi che cosa voleva intendere il fondatore. È la comunità, che pur facendo capo a lui, è in grado di dare una risposta sul carisma della carità: è quanto viene affermando-si nella tradizione che esplicita la porta-ta della vocazione alla carità.

Camillo è sì un fondatore, non è però il monopolizzatore dello spirito che l’Istituto intende praticare. Lui resta un punto di riferimento, un esempio alta-mente qualificato, ma sono succeduti poi altri a interpretare e continuare quanto egli stesso aveva proposto. Ha il diritto di sentirsi geloso dell’iniziativa uscita dalle sue mani ed è pure com-prensibile come si sia risentito nei con-fronti di altri suoi diretti collaboratori, che, pur non sempre in intesa con i suoi piani, al pari di lui, avevano la vocazio-ne allo stesso ministero. Anche a loro spetta la parola che può rendere ancora più esplicita la testimonianza della atti-vità misericordiosa. Oltre il fondatore c’è anche la tradizione che può dire più di quanto abbia detto una singola perso-na, per quanto eccezionale e per quanto profetica essa sia. La voce della tradi-zione è una voce corale, un’esperienza collettiva che esprime meglio il valo-re proposto come programma di vita. Anche la comunità s’impossessa del carisma e lo consolida traducendolo in

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costume ed ethos. Non appena l’obiet-tivo del fondatore è trasmesso ad altri, egli cessa di essere l’unico competente. Fin dai primi passi della compagnia è affiorato il problema. Camillo si è tro-vato a fare i conti con dei confratelli di opinioni diverse. Doveva costargli caro vedersi contestato, ma poi a vincere è il buon senso. Il carisma, passando nelle mani di altri collaboratori che ne con-dividevano le finalità, assume ulteriori significati e metodi operativi. Nel viva-ce interscambio, alla fine Camillo ha saputo arrendersi al parere altrui dan-do prova di umiltà. Ha rinunciato alla carica di generale lasciando ad altri la conduzione dell’ordine. Rivolgendosi ai confratelli confessa “chiedo perdono del mal governo che finora ho fatto della Religione, pregando… a non voler mai per l’avvenire darmi altro incarico di governo. Mi protesto di non voler godere nella Religione di alcun privilegio … ma di voler stare sotto il giogo dell’obbedien-za”. E ancora: “Ho rinunziato l’ufficio del Generalato con molto mio contento speciale e gusto” (367s).

Il valore della tradizioneDopo quattro secoli di storia avrà

pure qualcosa da dire sull’Istituto la tra-dizione. Ci sono figure che hanno dato prova di eroica dedizione nel servizio dei malati. Hanno affrontato la mor-te nei lazzaretti tra gli appestati. E non solo. Ci sono religiosi che, se non han-no incontrato malati contagiosi, non hanno conosciuto se non le corsie degli ospedali. Anche costoro hanno qual-cosa da dire sulle opere misericordiose. Certo la presenza di Camillo è centrale, tuttavia non è l’unica. Davanti al cari-sma si è tutti servi, che – si sarebbe ten-tati di dire – sono un’amplificazione del Fondatore. L’espressione non è precisa. Infatti non è tanto importante la perso-na, quanto piuttosto il Vangelo che essa interpreta e vive. Il programma di vita espresso nella regola-madre è consegna-to ad altri. Si stacca dal suo autore, rice-ve un’esistenza sua propria, è in grado di fare una sua storia, si arricchisce di nuove testimonianze, diventa tradizio-ne. Al di sopra dei singoli esempi è il messaggio evangelico che deve impor-si. Rivolgendo l’attenzione ad esso si sanno prendere le dovute distanze dalle stesse personalità forti. Ad esse è dove-roso appellarsi per capire la forza con la quale parte l’ideale e avanza sfidando il tempo. I singoli vengono e passano; quello che regge contro il logorio del tempo e non deve venir meno è il valo-re, sempre vivo e sempre nuovo.

Camillo si era augurato mille vite nel servizio al Cristo sofferente nel povero, ma per quanto si faccia, per

Come quest’albero: solo se i tuoi piedi sono piantati su un solido passato le tue mani possono elevarsi alte nel cielo e segnare un futuro sereno.

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quanti generosi individui esso trascini dietro la sua scia, la pratica della mise-ricordia resta sempre sproporzionata alla vastità del dolore. Ad un sofferen-te segue un altro, poi un altro, poi un altro ancora, una serie interminabile, che ogni giorno fa ricominciare da capo. La causa abbracciata da Camillo non può mai dirsi appagata. È sempre in via di compimento senza mai toc-care la fine. Come mai, pur ingaggia-ti in questa avventura che non trova mai sosta e conclusione, si ha la forza di continuare? Qual è il segreto di questa resistenza, pronta ad iniziare sempre di nuovo, pronta ad un nuovo incontro con dei sofferenti? Da dove si attinge la forza? C’è una risposta: la speranza. Se si è inadeguati al compito assunto, il dolo-re straripa come un mare senza confini. Si procede senza vedere la riva, sospinti da una speranza, che trasferisce il tra-guardo oltre il tempo. Su questa rifles-sione S. Camillo richiama di continuo l’attenzione dei confratelli. Li sollecita a non desistere puntando lo sguardo a Dio. “Beato chi si dà pensiero del bisogno-

so e del povero, nel giorno della sventura Dio lo libererà”. “Beati voi … che vi è toccata la pietanza grossa della carità agli infermi, per il che siate sicuri di guadagnare il cielo”. L’apostolo Paolo afferma che la carità non ha mai fine, perché essa “tutto spera”. Avrebbe potuto dire: spera sempre. In questa totalità cui allude l’a-postolo spunta anche la corona eterna. Come la carità così anche la speranza non ha mai fine, dal momento che noi Dio non lo conosciamo mai nella sua interezza, più che conoscerlo continu-iamo a sperare di conoscerlo.

L’idea originaria di Camillo è frutto d‘un’ispirazione creativa di Dio, riflette qualcosa di Dio, è perciò inesauribile, in quanto tale si nutre di speranza. Quan-to più si è ancorati alle fonti tanto più si è chiamati ad un atteggiamento di speranza e viceversa. Sarebbe illusorio protendersi in avanti liberandosi dal passato come se questo, anziché essere una riserva ricca di contenuti ed esempi edificanti, fosse un giogo che soffoca. Come è possibile essere protesi alla rea-lizzazione d’un ideale e avere alle spalle il vuoto? Solo se agitati da un valore, solo se si ha in sé un messaggio che si riconosce ispirato da Dio, si può spie-gare la costante dedizione di affrontare la sofferenza. La pianticella di Camillo è in prima linea opera di Dio. Le sue stesse parole lo rilevano. Solo dopo aver riconosciuto il primato a Dio, aggiunge che anche la sua gamba dolorante ha cooperato per la fondazione dell’Istitu-to. La gamba era considerata un dono di Dio che gli richiamava trasferendo nella sua stessa carne la sofferenza di Cristo crocifisso.

P. Mario Bizzotto

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LE GENIALI E SoRPRENDENtI INtUIzIoNI DI SAN CAMILLo

San Camillo può essere conside-rato uno dei grandi protagonisti della Riforma Cattolica: più lo conosco, più lo amo e più resto ammirato delle sue felici e attualissime intuizioni, che non sono frutto solo della sua intelligenza e tantomeno della sua cultura teologica, se dobbiamo credere al Professore del Collegio Romano (oggi Università Gre-goriana) che l’esaminò per ammetterlo all’Ordine del Sacerdozio e che scrisse nei suoi confronti: ”Camillo de Lellis: per quello che ha detto merita di essere bocciato, ma per come l’ha detto, penso che farà grandi cose nella Chiesa! Pro-mosso”.

“La sua intelligenza, afferma Padre Vanti che lo studiò a fondo, non fu in lui né acuta né speculativa, ma suffi-cientemente intuitiva e singolarmen-te pratica. Nello stesso tempo affer-ma: pochi santi sono stati prevenuti e accompagnati dal soprannaturale come e quanto San Camillo de Lellis”.

Lo stesso San Filippo Neri, a opera compiuta, riconosce l’intervento divi-no nella determinazione di Camillo e dichiara: “Padre, veramente la riuscita di quest’opera a me pare miracolosa e non fatta con mezzi e sapere umano”.

A - Camillo, strenuo difensore della liberta’ religiosa degli infermi, antici-pa di quattro secoli la dichiarazione del Concilio Vaticano II “dignitatis humanae”.

Per capire appieno questa rivoluzio-naria intuizione di Camillo, è necessario seguire l’evoluzione di una legge eccle-siastica imposta dal Papa Innocenzo III e confermata dal Concilio Lateranense

IV(1215), la quale stabiliva che tutti i malati, appena giunti all’ospedale, dovevano confessarsi e che soltanto dopo potevano essere soccorsi dai medi-ci, poiché afferma la Bolla “Cum infir-mitas corporalis nonnunquam ex peccato proveniat” che la malattia corporale spesso è frutto del peccato ed anche perché tutti i malati muoiano muniti dei santi sacramenti. A commento di tale imposizione del Papa, dobbiamo ricordare che a quel tempo non esiste-vano ospedali dipendenti dalla Pub-blica Amministrazione come oggi, ma erano strutture ospedaliere totalmen-te realizzate dalla Chiesa attraverso le generose offerte dei fedeli e gestite dalle Confraternite, Ordini Ospedalieri o singoli fedeli. Questa formula domi-nerà tutta la legislazione ospedaliera medioevale ed anche più tardi, anche negli ospedali così detti “degli Incura-bili”: tutti i malati, per esservi ammessi, dovranno esibire l’attestato di essersi confessati e comunicati. (1) Gli effetti deleteri di tale prescrizione li possia-mo immaginare: molti si confessavano sacrilegamente per paura di non essere ricevuti nell’ospedale o di essere trattati male, “ovvero bruggianti di caldo per la febre senz’alcun sorte di preparazione erano necessitati a confessarsi lascian-do per tal impreparazione la metà de’ peccati.”(2) I tristi inconvenienti non sfuggirono a Sant’Ignazio di Loyola, il quale per provare la vocazione dei suoi Novizi, li inviava ad assistere gli infer-mi negli ospedali. (3) Egli conosceva la prescrizione di Innocenzo III la quale stabiliva, che prima di tutto si dovesse far uso del medico spirituale e solo dopo

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del corporale “(4), però desiderava che fosse mitigata alquanto. A tal fine chiese alla Sacra Penitenzieria che “gli ammalati pur non confessati, potessero essere per qualche giorno soccorsi dai medici e che soltanto dopo tre giorni questi dovessero abbandonarli, se rifiu-tavano ancora di confessarsi”. La richie-sta fu esaudita il 30 maggio 1543 con un decreto firmato da tutti i responsabili di quel sacro dicastero. (5)

Anche se con questo documento un passo avanti era stato compiuto verso una più larga interpretazione della Leg-ge, il problema però rimaneva insoluto perché i principii addotti da Innocenzo III erano ancora da tutti strenuamen-te difesi. I medici, dal canto loro, mal sopportavano questa concezione, soste-nendo che era più possibile e ragione-vole una conversione del malato una volta ottenuta la guarigione, piuttosto che lasciandolo così irrimediabilmente morire senza alcuna assistenza. Sant’I-gnazio respinge decisamente questa opi-nione con l’argomento del bene comu-ne, interpretando il loro punto di vista come mancanza di fede ed eccessiva pre-occupazione per la salute del corpo. (6)

Gli stessi Padri del Concilio di Tren-to, pur avendo apportato molte rifor-me alla vita degli ospedali, lasciarono intatta questa prescrizione che contava ormai parecchi secoli di vita. (7)

I medici però, col tempo, aumen-tarono sempre più le pressioni per non osservare la Prescrizione di Innocenzo III, onde Pio V nel 1566 fu costretto a promulgarla nuovamente con estrema energia e violenza, comminando ai tra-sgressori pene severissime, degradandoli tra l’altro dalle loro professioni ed esclu-dendoli dal collegio dei medici. (8)

Nel 1584 San Camillo compone le prime Regole per la nascente Compa-gnia, le quali sono frutto di una grande esperienza acquisita nel servizio degli ospedali, e le consegna ad un Cardi-nale perché le consegni al Papa per l’approvazione. Il Pontefice “rimesse la supplica alla Sacra Congregatione sopra gl’affari de’ vescovi e negotii de’ Regolari, acciò che consultasse, in qual forma si dovesse approvare questo nuo-vo modo di vivere” (9). In particolare il Santo, nella Regola XLI, aveva sta-bilito quanto segue: “Circa la diligentia è cura che si ha da tenere de l’anima del’infermi la prima sarà questa. Ognu-no procuri quando visita qualch’infer-mo saper da lui se è ben confessato, cioè con le circunstantie necessarie alla buona confessione è quelli che si troverà che non saranno ben confessati esortarli a confessarsi ben quanto prima, insegnandolile dette circunstantie, è dandoli altri ricordi spirituali, et esortarli a far la confessione generale, è se conoscerà che ne habbiano bisogno

Camillo: catino d’acqua e grembiule per servire il malato nelle prime esigenze di cura.

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havertirà il Padre Confessore quanto prima con consenso però dell’infermo”.

Le Regole furono approvate, ma nel-le “Adnotationes” l’esaminatore, rife-rendosi alla regola sopra citata, propose di rimettere in vigore le Disposizioni di Innocenzo III e Pio V. Di fatto però la regola rimase immutata e vi compare anche nella successiva approvazione per la concessione dei voti solenni. (10)

Certamente, su questa eccezionale deroga influì molto l’altissima stima che Gregorio XIV e Clemente VIII ebbero di Camillo, chiedendo a lui consiglio per rimediare ai disordini degli ospedali. Clemente VIII infatti “essendo andato due volte... el principio del suo pontifi-cato, a visitar… l’hospidale di S. Spiri-to... restò di Camillo tanto edificato…che si servì alhora non poco del parer suo, per servigio di detto hospidale: havendolo trattenuto almeno un’hora con lui in una stanza da solo, trattando del sudettonegotio”. (11)

Nella successiva visita del 1592, il Papa dispose che agli infermi che giun-gevano all’ospedale, prima si dovessero lavare i piedi, poi ai più gravi fossero amministrati i sacramenti; ma anche per questi, non è più la confessione condizione per l’ammissione, né si fa cenno alcuno all’obbligo dei medici di chiamare il sacerdote.” (12)

Non abbiamo documenti espliciti per dimostrare che il Papa con questa nuova Regola abbia sanzionato, con la sua autorità, suggerimenti avuti da Camillo; vi sono però molte ragioni per crederlo. Rimane poi sempre vero il fat-to che ancor prima il Santo l’aveva già attuata e stabilita come norma per il suo Istituto.

Finalmente, quindi, cessava di esi-

stere la Prescrizione di Innocenzo III, creando per gli infermi un ambien-te di maggiore serenità e di libertà di coscienza, e solo dopo quattro secoli la Chiesa si pronuncerà ufficialmente con l’emanazione della Dichiarazione “Dignitatis Humanae” del Concilio Ecumenico Vaticano II.

B - La carità cuore del vangelo, fonte di santità, sorgente di gioia: insieme ci fa vivere in pienezza la fede e la spe-ranza.

Camillo, al termine di un lungo cammino di purificazione, di ascesi e di discernimento personale, conquista la indiscutibile certezza e formula la geniale intuizione radicata nel Vange-lo, che chi assiste i malati con amor ha un segno sicuro di predestinazione. La carità verso gli infermi non è concepita come mezzo ma come fine, che trasfor-ma l’ospedale in un paradiso terrestre, che riassume tutta la perfezione cristia-na ed evangelica.

Se Camillo esige un sacrificio ed una oblazione del proprio essere per solleva-re le membra di Gesù, dall’altra però, è pienamente convinto che quanto più il suo Istituto si “affogherà nel mare della carità, si donerà interamente agli altri, con altrettanta maggiore abbondanza e dovizia si arricchirà dei tesori, delle pietre preziose nascoste nel profondo abisso della carità, che formeranno la felicità piena in questa vita e adorne-ranno il capo dei Ministri degli infermi nel santo Paradiso”.

Camillo si reca all’ospedale per dimostrare con le opere la propria fede, và a trovare Gesù, fine e scopo di tutta la sua esistenza, la gioia del suo cuore, di tutto se stesso; per questo, avvicinandosi

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a Lui, impiagato nei letti e servendoLo umilmente si sente felice e traboccante di gaudio; vorrebbe rimanere sempre lì, giorno e notte, per soccorrerLo in ogni suo bisogno, dimenticando ogni altra preoccupazione. La stessa vita religiosa, con l’osservanza dei Voti, delle Regole, delle pratiche di pietà, ha funzione di mezzo e deve tendere a disporre, prepa-rare, infervorare i Religiosi all’incontro con Gesù negli infermi, per servirLo con perfezione, nell’anima e nel corpo. La carità basta a renderci perfetti. Per Camillo tutta la Scrittura sta a conferma di tale verità: “Ama il Signore Dio tuo e il prossimo tuo. A questi due comanda-menti si riduce tutta la legge e i profeti”. (13) In realtà questi due amori non sono che due aspetti “d’una medesima virtù teologica, perché l’amore dei fratelli non va disgiunto dall’amore per Dio, né l’amore di Dio da quello per i nostri fratelli”. (14) “Il buon soldato – ripete – muore nella guerra, il buon marinaio nel mare, il buon Ministro degli infermi nello hospitale”. Pertanto è volontà di Camillo che non si sacrifichi l’assisten-za ai malati nemmeno per ragione delle pratiche di pietà; permette che si lasci la Messa per una occupazione “più grata a Dio” dicendo esso: “che non gli pia-ceva quella pietà che tagliava le mani alla carità. E che era somma perfezione mentre era tempo da far bene a’pove-ri aiutargli, e lasciare alhora Iddio per Iddio poi che di contemplarlo non ci saria mancato tempo in paradiso”. (15)

Servendo Cristo negli infermi Camillo raggiunge la sua nuova e più alta conquista che trasforma l’ospedale in luogo di delizie, pieno di rose e fiori, di profumi e di dolci armonie. Camillo è tanto convinto che questo sia l’aspetto

nuovo della sua istituzione, che quando si avanzò la proposta alla Congregatio-ne de’ riti di elevare l’Istituto ad Ordine religioso, e questa voleva concedere la Professione a condizione che militas-se sotto la Regola di Sant’Agostino, il Cicatelli sottolinea che “né a Camillo né agli altri piacque, non perché essi sdegnassero di militar sotto quella santa regola nella quale tante altre Religioni militavano, ma perché essendo il loro istituto nuovo e distinto da gli altri, così anco desideravano che la loro Religio-ne fusse nuova e distinta da tutte l’altre che non havessero almeno il medesimo Instituto.” (16)

Tale chiaro convincimento non lo si trovava infatti in altre Congregazioni del tempo.

Pensiamo ad esempio a sant’Igna-zio che inviava i novizi all’ospedale non perché fosse fonte di santità, ma perché i giovani aspiranti si allenassero alla santa indifferenza (17), e quando si accorse che il servizio degli ospe-daliri chiedeva uomini già perfetti, e non poteva costituire una prova per gli incipienti, saggiamente dispose che il superiore potesse renderla incompara-bilmente più mite inviando i probandi a servire nell’ospedale solo per qualche ora al giorno. (18)

Pensiamo ancora a santa Caterina da Genova, la quale pur avendo rag-giunta la santità, occupata continua-mente nel servizio dei malati incurabili, andava all’ospedale per distrarsi dall’ar-dente fuoco che dentro la bruciava. (19) Il suo colloquio interiore non ave-va rispondenza con quanto la circonda-va, e pur servendo gli infermi con ogni sollecitudine e delicatezza, era d’altra parte assorta in Dio e come assente.

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Le dispiaceva rompere il colloquio con Dio per portarsi all’ospedale a ser-vire gli infermi, era convinta che l’amo-re dato agli uomini fosse tolto a Dio e diceva al suo Signore: “tu mi comandi ch’io ami il prossimo, e io non posso amare se non te, ne metter’altra mistura con teco, come farò donque?” (20)

Come si può notare, è una spiri-tualità che si distingue nettamente da quella di San Camillo, che trovava le sue delizie nello stare accanto agli infer-mi e stimava come perle preziose i ver-mi che trovava nei poveri giacigli.

Possiamo concludere affermando che quando il Papa Benedetto XIV, nella Bolla di Canonizzazione, affermò solennemente che San Camillo ha fon-dato nella Chiesa “Una Nuova Scuo-la di Carità” senza dubbio si riferiva soprattutto a questo aspetto innovativo e sorprendente della carità agli infer-mi così come concepita e incarnata da Camillo, modello sublime per quanti vorranno santificarsi servendo con cuo-re di madre i poveri infermi.

C - Camillo anticipa di quattro secoli i moderni princìpi della umanizzazione dell’assistenza e dell’emergenza nelle epidemie e sui campi di battaglia

Quanto oggi viene doverosamen-te scritto e insegnato nelle moderne Università ai futuri operatori sanitari sul rapporto medico-paziente, lo trovia-mo già previsto e attuato negli “Ordini et modi che si hanno da tenere nelli hospitali in servire li poveri infermi” scritti di proprio pugno da San Camillo nel 1584, arricchite e sviluppate nelle edizioni successive del 1607 e 1613.

Se leggiamo a caso due testi di umanizzazione del Professore Costan-

tino Iandolo, uno dedicato agli infer-mieri “Approccio Umano al Malato” e l’altro dedicato ai medici “Parlare al Malato” (21) troviamo che i capisaldi di una moderna umanizzazione dell’as-sistenza poggiano su basi molto sempli-ci ed elementari: curare tutto l’uomo tenendo conto della sua unità esisten-ziale di “spirito incarnato”, stabilire un rapporto di fiducia e di empatia con il malato, rispetto per la sua dignità e libertà, importanza della terapia e dei farmaci ma ancora più importante per il medico e l’infermiere è la capacità di prestare un servizio alla persona malata coinvolgendo contemporaneamente le mani, gli occhi, la lingua, la mente e il cuore, la comunicazione verbale e non verbale, la postura, il consenso infor-mato, ecc.

L’infermiere Camillo: sempre antico e sempre moderno! “Dobbiamo servire il malato come una mamma cura l’unico figlio infermo”. Forse Camillo ha precorso i tempi, le conquiste tecnico-sanitarie ed aveva davanti agli occhi questa immagine.

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Se ora rileggiamo le Regole di San Camillo, che non sono frutto di studio, ma di conoscenza, di esperienza e di amore per ogni uomo malato, dobbiamo prendere atto che Camillo è, se voglia-mo, anzitutto un grande Umanista dei nostri giorni, un magnifico esempio per gli operatori sanitari e un grande Santo per i credenti.

Camillo ribadisce, anzitutto che l’assistenza deve essere perfetta, tale cioè da abbracciare tutto l’uomo, nel-la sua unità sostanziale di anima e di corpo: assistenza corporale e spiritua-le che, secondo la volontà di Camillo, non devono essere mai disgiunte, ma costituire piuttosto due aspetti di un medesimo servizio. La cura olistica del malato, come si esprime oggi la moder-na Medicina, trova nella regola 37 di San Camillo una lezione impareggiabi-le: “Mentre le mani fanno la parte loro, gli occhi devono mirare che non man-chi al malato cosa alcuna, gli orecchi stare aperti per intenderne i comandi e i desideri, la lingua per esortare il poveri-no alla pazienza e alla speranza, la men-te e il cuore per pregare Dio per lui”. Ma Camillo non era uno che insegnava dalla Cattedra, ma trascinava con l’e-sempio: “Nel proprio atto di cibar gli infermi stava egli tanto occupato in far bene quella attione che pareva non gli restasse di far altra cosa nel mondo. Con una mano gli porgeva il cibo in bocca, e con l’altra gli faceva vento, o caccia-va le mosche. Con gli occhi compativa alle loro miserie e con le orecchie sta-va pronto ed accorto per obedire à lor comandamenti. Con la lingua li esorta-va alla pazienza e col cuore finalmente pregava Iddio che gli ne desse gratia. Quando poi haveva finito di cibargli, o

di fargli altra sorte di charità pareva che non si potesse distaccare da loro se pri-ma quelli di propria bocca non confes-savano di restar contenti e soddisfatti, e di non volere altro da lui. Nel distaccar-si da loro, soleva dire: Dio volesse che nell’hora della mia morte mi giungesse un sospiro o una benedittione di questi poveri”. (22)

Camillo insegna “l’arte di servire” non solo con l’esempio e la parola, ma anticipa e inventa anche le esercita-zioni pratiche: “Facendo anco tal volta portare nella presenza di tutti le tavo-le, i scanni, il materazzo, le lenzuola, il capezzale e le coperte per vedere s’es-si lo sapevano fare come lui giudicava bene”. (23)

Nel rapporto intensamente umano tra Camillo e i malati, si notano un sus-seguirsi di emozioni, di delicate atten-zioni, di passione accorata per il malato, di amore sofferto e viscerale che sfiora l’eroismo. Ma anche al di fuori dell’o-spedale Camillo assume il ruolo di soc-corritore e di samaritano: “Ritrovando alcun povero pellegrino infermo o spe-dato per la strada subito gli faceva pro-vedere di cavallo, o di alloggiamento: lasciando poi la mattina danari all’hoste come fece il Sammaritano, che n’haves-se cura”. (24) “carità – ripete Camillo – deve essere universale, senza badare a stirpe, colore o fede religiosa”.

Nelle varie carestie che afflissero particolarmente le città italiane ed in specie Roma, Camillo non si dava pace o requie per alleviare nel modo possibi-le le miserie e infermità degli uomini, andandoli a cercare perfino nelle grot-te o nei sotterranei, e “quanto dolore sentisse, e quanti sospiri buttasse nelle suddette caverne, o più tosto sepolture

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d’huomini vivi, confesso la mia penna non esser bastante per raccontarlo”. (25)

Per questo inventa un “Pronto Soc-corso e il 118” ante litteram, desideran-do che i suoi religiosi fossero molto dili-genti ad accorrere alle chiamate, “nel che per tenergli maggiormente svegliati tal volta senza bisogno, faceva prova et esperienza di loro, mandandogli a dire che si levassero per andare a qualche moriente et essendo poi vestiti gli man-dava a dire che si ricorcassero perché non era più bisogno”. (26)

Ma per Camillo si aprono provvi-denzialmente nuove frontiere di azio-ne: il Pontefice nel 1595 deve spedire delle truppe contro l’esercito turco che vuole invadere Austria ed Ungheria e chiede che alcuni religiosi di Camillo si uniscano a loro per svolgere la propria missione sul teatro di guerra, assistendo feriti e moribondi durante e dopo la bat-taglia. Fu un evento epocale nella sto-

ria della Compagnia: per la prima volta sacerdoti e fratelli operarono al seguito di un esercito, sui campi di combatti-mento, in modo diretto e continuo, col compito di assistere sul piano sia medi-co che spirituale le vittime del conflit-to. Grazie all’abito e allo stemma che i religiosi di Camillo portavano sul petto, fece così la prima comparsa sugli scena-ri bellici la Croce Rossa, che tre secoli dopo sarà rifondata in dimensione lai-ca, mondiale e squisitamente sanitario-militare. Ma la matrice storica della benemerita organizzazione mondiale è

indiscutibilmente camilliana, perché la Croce Rossa, Ente Internazionale, è il risultato delle considerazioni di un viaggiatore svizzero – Enrico Dunant, – passato per il campo di battaglia di Solferino. È opportuno, a questo punto, citare quanto scrive Carlo Andersen, su quel che vide “il Viaggiatore Sviz-zero, Dunant, passando per Solferino”. Infine, dice l’Andersen, occorre dire

Battaglia di Solferino 1859.Su questi campi di guerra i Religiosi Camilliani hanno assistito i feriti e i morenti. Dalla Croce Rossa sul petto di quei samaritani Dunant ebbe l’idea della Croce Rossa Internazionale.

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che la Croce Rossa era già stata vista sul campo di battaglia di Solferino nel 1859. Dalle città di Verona, Mantova, Cremona, circa 100 fratelli camilliani (la cui veste è nera con una croce rossa sulla destra del petto) parteciparono al servizio sanitario volontario durante e dopo la battaglia. Insieme a trentasei infermiere, capitanate da una signora francese, svolsero un lavoro immenso e grandemente meritorio”. (27)

Dunant non fa menzione alcuna di ciò nel suo opuscolo, per questo l’An-dersen soggiunge: “Non giova molto alla fama del protestante Dunant, che questo contributo dei religiosi cattolici non sia stato citato nemmeno con una parola nelle sue ”Memorie di Solferi-no”. È Impossibile ch’egli abbia igno-rato questo fatto.(28) Una semplice constatazione: nel tempo in cui scrive-va l’autore, l’atmosfera tra i Cattolici e i Protestanti, i rapporti cioè, la com-prensione vicendevole, era ben diversa, tutt’altro che quella odierna. E si spiega tutto. Dobbiamo riconoscere pertanto a San Camillo l’appellativo di vero Pre-cursore della Croce Rossa. (29)

Da quanto fin qui detto, possiamo con tutta certezza affermare che San Camillo ha oggi molto da insegnare alla moderna Medicina Umanistica, e non lo dico io, ma un eminente studioso della Moderna Assistenza Sanitaria, il Professor Alessandro Bazzoni (30) che introducendo un trattato “Verso la Car-ta Etica degli Operatori delle strutture sanitarie” lapidariamente afferma: “È imbarazzante parlare oggi di etica pro-fessionale in ambito sanitario, in quan-to, da un punto di vista storico, circa quattrocento anni fa scopriamo che Camillo de Lellis rivoluzionò il mondo sanitario di allora realizzando una vera e propria riforma, introducendo nei fat-ti e per la prima volta, il concetto di costituzione “gruppi di lavoro”e “lavoro di gruppo orientato al raggiungimento di obiettivi comuni” (i Ministri degli Infermi), la formazione degli operatori all’assistenza sanitaria con prove prati-che (oggi lo chiameremmo applicazio-ne del “metodo attivo di Guilbert” con rol play e successiva supervisione), la trascrizione delle regole comportamen-tali (oggi le chiameremmo procedure), diffusione e implementazione di tutto questo in giro per gli ospedali italiani (oggi lo chiameremmo marketing sani-tario e applicazione di un medesimo standard nella qualità dell’assistenza, a prescindere dalla posizione geografica), oltre ad avere introdotto la croce ros-sa nei campi di battaglia, inventato la barella e il carro che trasporta i feriti (il 118), e introdotto la difesa della dignità umana della persona malata con la pro-cedura sull’accoglienza del malato mai fatta prima, (vedere recenti direttive OMS in materia…), promuovendo di fatto una visione olistica della persona

Henry Dunant al tempo della Battaglia di Solferino.

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(“non chiedersi quale malattia ha quel-la persona, ma quale persona ha quella malattia”, OMS, Conferenza di Ottawa, 1986). Con queste premesse, parlare oggi di etica professionale e umanizza-zione della relazione, ricorda qualcosa di antico, ma di non ancora pienamen-te compiuto. È imbarazzante ritrovare ciò che abbiamo scoperto dell’opera di San Camillo in alcuni Piani Sani-tari Regionali e Nazionali. Oggi come allora, l’etica professionale del singolo operatore può pienamente realizzarsi se individuata, discussa e confrontata non solo all’interno della propria coscienza umana e professionale ma soprattutto all’interno del proprio gruppo di lavoro, partendo dalla base e non da norme e codici deontologici che, seppur neces-sari, sono esterni al soggetto e spesso non integrati all’interno del proprio codice etico.” Ancora più importante è l’affermazione del Prof. Giorgio Cosma-cini, studioso di storia di Medicina, il quale concludendo la sua preziosa pub-blicazione: “Camillo de Lellis il santo dei malati” afferma: “Camillo de Lellis, per l’eccellenza della sua opera celebra-ta dal triplice patronato - dei malati e ospedali, del personale ospedaliero, della sanità militare a lui conferito da tre Papi (Leone XIII, Pio XI, Paolo VI), viene accreditato del titolo di ‘Rifor-matore dell’assistenza’ e, in questo libro anche di ‘Rivoluzionario della cultura medico-sanitaria’ e, ‘Precorritore della Croce rossa’ (pp. 163-114).” [31]

P. Rosario Messina

BIBLIOGRAFIA(1) Vanti, M. S.Giacomo degli Incurabili, pag. 50, Roma 1938.

(2) Cicatelli, S. Vita Manoscritta, fol. 109. (3) Tacchi-Venturi, La Prova dell’indifferenza, Roma, pagg. 7-23.(4) Ibidem.(5) Lettera al Card.Cervini in Monumenta Igna-tiana, Ser. I, Tom.1, pagg. 261-263.(6) Ibidem, pag.267, nota 5.(7) Lallemand, L., HIstoires de la Charitè, Vol.III, pagg. 27-29 Paris 1902.(8) Bolla: “Supra gregemDominicum” in Bull. Rom. Tomo VII, pagg. 430-431.(9) Regi, D. Memorie Historiche, lib. II, cap. 2, pag. 29.(10) Archivio Generale Camilliani, Doc. VI, testo B.(11) Cicatelli, S. Vita di San Camillo, Ediz. 1620, pagg. 185-186.(12) Archiv. Segr. Vatic, Arm. VIII, Tom. 3. Documento scoperto e pubblicato da P. Vanti inDomesticum 33 (1936), pagg. 35-45.(13) Cfr. Mt. cap.22 vv. 34-40.(14) Prat, F. in Dict.de Spit., v. Charitè, col. 512 – San Tommaso, II.II. quaest. 184, a.1.(15) Cicatelli, S. Vms. Fol. 347.(16) Ibidem, fol. 120.(17) Cfr. Tacchi-Venturi, op. cit., pag. 21.(18) Storia della Compagnia di Gesù, Roma 1931, Pag. 260.(19) Vita di S. Caterina da Genova, cap. 37. fol. 97.(20) Ibidem, cap. 23, fol. 61.(21) Costantino Iandolo: Parlare col malato, Roma, Armando Editore 1983 - L’Approccio Umano al Malato, Roma, 1980(22) Cicatelli, S. Vms. Foll. 327-328.(23) Ibidem fol. 320.(24) Ibidem, foll. 316-317.(25) Ibidem, foll. 318-319.(26) Ibidem, fol. 321.(27) Andersen, C. En Scabone under Genfer-korset, Carl Allers Bogforlag, 1941, pag. 120.(28) Andersen, C. op. cit.(29) V. Dalla Giacoma F. Precursori della Croce Rossa, Torino Meschini E. San Camillo de Lellis Patrono della Sanità militare italiana, Roma 1974.Idem, San Camillo De Lellis, il Santo della Croce Rossa, Roma 1977.(30) Bazzoni A., Docente di Storia Sanitaria, Ospedale S. Spirito, Roma.(31) Giorgio Cosmacini, Camillo de Lellis il santo dei malati, Ed. Laterza 2013.

iv Centenario di San Camillo

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SAN PIo X E I CAMILLIANIL’amicizia e la stima per il carisma dell’Ordine

In occasione del I Centenario della morte di San Pio X, a Venezia il Centro Culturale Laguna di Venezia, ha orga-nizzato cinque Conferenze per illustrare i vari aspetti della persona e dell’opera di questo grande Pontefice. Una di esse, che ha avuto luogo nella Chiesa dei San-ti Apostoli l’8 marzo 2014, aveva come tema il rapporto tra Papa Sarto e gli Isti-tuti religiosi. A rappresentare il nostro Ordine – unitamente ai Carmelitani, ai Salesiani e all’Istituto guanelliano – è stato chiamato P. Angelo Brusco che ha tenuto la presente relazione1.

***

Quando nel 1903, il 3 agosto, il patriarca di Venezia Giuseppe Sarto venne eletto Papa con il nome di Pio X, nella rivista Domesticum apparve un editoriale, accompagnato da un’ode in latino, in cui venivano enumerati i motivi della gioia che, in quell’oc-casione, aveva pervaso tutti i religiosi dell’Ordine. “Se il grido di evviva erom-pe spontaneo da ogni Cattolico - si leg-ge - deve specialissimamente erompere da ogni Camilliano, poiché la Provvidenza innalzando il Card. G. Sarto all’onor delle somme chiavi, ha innalzato un nostro vero amico: diciamo amico, ci si permetta, poiché egli dimostrò sempre molto affetto al Nostro Santo Ordine e godeva intrattenersi famigliarmen-te con i nostri Religiosi, specialmen-te della Provincia Lombardo-Veneta,

1. Nel pubblicarlo su “Come Tralci” il testo è stato modificato in più punti.

averli ospiti, fatti segni di speciali sue gentilezze e non disdegnava pure di farsi nostro ospite, specialmente quando era a Mantova2.

Il periodo mantovano e venezionoGiuseppe Sarto fu nominato vesco-

vo della città dei Gonzaga nel 1884 e rimase pastore di quella diocesi fino al 1993, anno in cui passò a Venezia per reggere, come patriarca, quella chiesa. Il ministero dei Camilliani nell’Ospe-dale di Mantova iniziò nel 1857. Fino alla soppressione degli Ordini religiosi (1866) essi non solo accompagnavano spiritualmente i malati, ma esercitava-no anche un’attività infermieristica, secondo una tradizione che risaliva ancora a San Camillo e che era stata riaffermata nel Lombardo-Veneto ad opera di P. Camillo Cesare Bresciani. Espulsi dall’ospedale, i Religiosi vi ritor-narono nel 18843, anno in cui Mons. Sarto iniziò il suo servizio pastorale in quella diocesi. Non solo le cronache della comunità camilliana di Mantova ricordano gli incontri con il loro vesco-vo, ma egli stesso, pochi mesi dopo la

2. Dopo l’espulsione dall’ospedale, i Camilliani rimasero a Mantova in una casa che il canonico Marchese Corradino Cavriani , con rara munifi-cenza, fece fabbricare per loro nel 1860. La presen-za dei Camilliani a Mantova cessò nel 1933, causa la mancanza di personale.3. Dopo l’espulsione dall’ospedale, i Camilliani rimasero a Mantova in una casa che il canonico Marchese Corradino Cavriani , con rara munifi-cenza, fece fabbricare per loro nel 1860. La presen-za dei Camilliani a Mantova cessò nel 1933, causa la mancanza di personale.

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sua elezione a Papa, durante un’udienza concessa ai Camilliani, intrattenendo-si con il Vicario Generale dell’Ordine, si deliziava nel raccontare “parecchi ameni fatterelli, in specie poi il carat-tere gioviale e la versatile operosità” dei religiosi dell’ospedale mantovano.4 Durante la sua permanenza a Mantova, il 14 aprile 1889, Mons. Sarto ordinò sacerdote Enrico Rebuschini nella Cap-pella della Casa camilliana.

Lo stile fraterno e ilare che lo caratterizzavano nei suoi incontri con i Camilliani, è ancora ricordato nel-la già citata rivista Domesticum. Il 16 settembre 1893, appena iniziato il suo ministero pastorale a Venezia, accettò di andare a Verona a benedire la nuova porta d’ingresso della Casa provinciali-zia dei Camilliani. L’avvenimento viene

4. Domesticum, 10(1903), p. 223.

ricordato da una lapide che così suona: “Em. Card. Josepho Sarto – Venetia-rum Patriarchae Hanc domum Die XVI Ingredienti. – Janua haec primum patu-it – Filiis S. Camilli – Summa Laetitia gestientibus”. In quell’occasione fu pure commensale della comunità. Il cronista scrive: “Della bontà del suo cuore n’è prova l’essersi tolto spontaneamente di mezzo ai Padri e l’essersi intrattenuto con molta ilarità coi nostri Chierici” che era-no venuti dalla Casa di formazione per salutarlo.5

L’amicizia con i Padri. Giuseppe Sommavilla e Alfonso Maria Andrioli

Il rapporto positivo di Giuseppe Sarto con l’Ordine di San Camillo è stato rafforzato “dall’affetto veramen-te fraterno” che lo legava con un emi-nente religioso camilliano: P. Giuseppe Sommavilla. Nato a Revine (TV) il 10 giugno 1835, dopo l’ordinazione sacer-dotale P. Sommavilla rivestì gli incari-chi di superiore della Provincia Lom-bardo-Veneta e, nel 1898, di superiore generale dell’Ordine. Alla conoscenza teorica e pratica dell’ascetica univa la santità personale, possedendo quel discernimento che lo rendeva un vero direttore spirituale. D’una dolcezza e affabilità che affascinava, si mostrava fermissimo quando il dovere lo esigeva; di un cuore pieno di generosità, saggezza e pazienza nel confessionale, era ricco di unzione e dottrina sul pulpito e negli scritti. Questi doni, a cui si univa un amore generoso verso gli ammalati, egli li mise a servizio dei religiosi della Pro-vincia e dell’Ordine6. Alcuni dettagli

5. Domesticum, 9(1903), p. 199.6. Ibid., p. 200.

San Pio X, “Diciamo amico perché egli dimostrò sempre molto affetto al Nostro Santo ordine”.

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di cronaca lasciano trasparire il carat-tere particolare dell’amicizia tra questi due uomini di Dio, in cui era presente il tono scherzoso e la profonda sinto-nia spirituale. Se nell’inviare a P. Som-mavilla, da Venezia, le congratulazioni per la sua elezione a superiore generale nel 1898, “celiando dicevagli di avere i Capitolari fatta una pazzia”7, le reazioni alla sua morte – avvenuta il 28 febbraio 1903 - misero in luce la profondità della relazione che lo legava a lui. Da Vene-zia, scrisse una lunga lettera al superiore provinciale di Verona dove, tra l’altro, si legge: “Beato lui che, ricco di meri-ti fu chiamato dal Signore a ricevere il premio e di lassù guarderà di certo a noi, ai cari suoi camilliani, imploran-do le grazie di cui abbiamo bisogno per essergli un giorno compagni”.8 Più tardi, nel 1907, concesse il privilegio della Porziuncola in perpetuo alla Chie-sa Parrocchiale di Revine, patria del Sommavilla. Nel rescritto, egli affer-ma che tra le cose belle da lui vissute prima dell’elezione a Pontefice vi era il ricordo dell’ “ottimo amico Giuseppe Sommavilla, Moderatore dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi”, mor-to poco prima della sua ascesa al soglio pontificio, lasciando a lui e a tutti un grato ricordo.9

Un altro religioso verso cui Pio X era legato se non da profonda amici-zia certamente da stima e fiducia era P. Alfonso Maria Andrioli. Cresciuto alla scuola dei Padri Luigi Artini e Giuseppe Sommavilla, esercitò per molti anni il ministero della formazione, rivestendo,

7. Ibid., p. 200.8. Ibid., p. 200.9. Domesticum, 17(1907).

poi, gli incarichi di superiore provin-ciale e generale (1920-22). Nel 1908 venne chiamato a Roma da Pio X, che l’aveva conosciuto durante il periodo mantovano e che gli affidò la cura pasto-rale della parrocchia di San Camillo e lo nominò consultore del Santo Ufficio, chiedendogli anche di visitare i semina-ri dell’Italia meridionale, incarico che P. Andrioli però non poté accettare.

Due gesti di grande rilievoQuanto è stato ricordato sopra – a

cui si potrebbero aggiungere altri detta-gli10 – rivestirebbe una relativa impor-tanza se non venisse messo in relazione con due gesti di grande rilievo compiuti da Pio X a favore dell’Ordine camillia-no. Essi vengono illustrati nella “Sup-plica” rivolta a Pio XI dai partecipanti al 43° Capitolo generale, celebrato nel maggio del 1929, per chiedere la beati-ficazione del papa Giuseppe Sarto.

Ai motivi, comuni a tutte le diocesi e istituzioni, i Capitolari ne adducono alcuni riguardanti il rapporto di questo Pontefice con l’Ordine camilliano: “Per Noi Pio X non è solo il grande Ponte-fice che ogni cosa volle instaurata in Cristo, non è solo quel Leone di Giuda che schiacciò il capo all’idea audace, proterva e versipelle del Modernismo, non solo il Papa dell’Eucarestia, che chiamando tutti alla Mensa Eucari-stica riportò il mondo alla fonte più limpida della vita cristiana... per noi è qualcosa di più, è uno dei grandi Pon-tefici, Benefattori speciali dell’Ordine Camilliano”.11

10. Domesticum, 17(1907). 11. Domesticum, 17(1907).

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La parrocchia di San Camillo. Come primo segno della bontà di Pio X verso l’Ordine, nella Supplica viene ricorda-ta la Chiesa di San Camillo, costruita a Roma in via Sallustiana con angolo in Via Piemonte. Nel documento si legge che “per quanto fossero deside-rosi i Figli del De Lellis di elevare un tempio al Fondatore, non indegno del loro affetto, degno del Santo e di questa Roma così ricca di splendide Chiese, essi non vi sarebbero così presto riusci-ti, se non fosse venuto in loro soccorso la generosità di PIio X; ed il soccorso fu tale che il munifico Pontefice, ver-sò tutta la somma occorrente, e per la Chiesa non solo, ma anche per la Casa che si volle fabbricare accanto a questa. Così la Chiesa di S. Camillo e la Casa Religiosa annessa sono un dono fatto al nostro Ordine dalla generosità di così gran Papa12. La chiesa venne costruita su disegno dell’architetto Tullio Passa-

12. Domesticum, 17(1907).

relli. La costruzione iniziò nel 1906, e la prima pietra venne posata dal cardinale Antonio Agliardi. La facciata si presen-ta a due ordini, con un grande portale centrale e due laterali. Ricoperta in pie-tra rossa, ha elementi decorativi in tra-vertino. Al termine della larga scalinata d’accesso vi sono tre portali d’ingresso, ciascuno adornato da una lunetta con bassorilievo: il centrale raffigura Cristo che presenta san Camillo agli amma-lati, quelli ai lati Cristo tra i fanciulli e Il perdono dell’adultera. L’interno è a tre navate, con un breve transetto e cappelle laterali. Colpisce soprattutto il catino absidale nel quale si aprono cinque vetrate su cui sono raffigurati Cristo e i quattro evangelisti; al di sotto delle vetrate, in una nicchia, è posta la statua di san Camillo, opera di Alberto Galli del 1911. Dello stesso scultore è il bassorilievo nella lunetta della porta che conduce alla sacrestia, che raffigura Pio X, mentre osserva il modello della chiesa. Consacrata chiesa parrocchiale nel 1910, nel 1965 Paolo VI la elevò al rango di basilica minore.

Il privilegio dell’altare portatile. Il secondo gesto, più importante del pri-mo, “come il dono più ambito e più pre-zioso”, è il privilegio dell’altare portatile, concesso all’Ordine nel 1905, privilegio per il quale è data ai religiosi camillia-ni la facoltà di celebrare la S. Messa nelle camere degli ammalati “così dei ricchi come dei poveri, e di dar loro la S. Comunione”. “Privilegio altissimo, si legge nello stesso documento, che permette di svolgere in modo efficacis-simo il nostro ministero di carità tutto consacrato al sollievo spirituale e cor-porale degli Infermi; privilegio ecce-

Roma - Basilica San Camillo. “Dono fatto al nostro Ordine dalla generosità di Papa Sarto”.

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zionale perché, nello stesso rescritto di concessione, vien ricordato a tutti che nessuno, in seguito, per avere altrettan-to potrà farsi forte di quanto fu dato ai Religiosi Ministri degl’Infermi”. Non c’è quindi da meravigliare, conclude la Supplica, se, “presso di noi, il nome di Pio X è benedetto e venerato quanto può esserlo quello di Sisto V e di Gre-gorio XIV che approvarono l’opera di S. Camillo, e la elevarono alla dignità di Ordine Religioso”.

Del privilegio concesso da Pio X ai Camilliani che, in seguito alla riforma liturgica promossa dal Concilio Vatica-no II ha perso il suo carattere di esclu-sività, ha beneficiato una moltitudine

di ammalati, come risulta dalle statisti-che conservate negli archivi dell’Isti-tuto. Alcune Associazioni, ad esempio la Salus di Verona e l’OFTAL, hanno posto tra i loro obiettivi l’attuazione concreta di questo privilegio, accompa-gnando i sacerdoti nelle case dei malati.

Al di là dell’amiciziaSe nel rendere Pio X così munifico

nei confronti dell’Ordine camilliano ha certamente contribuito il legame di amicizia stabilito con i religiosi nei vari luoghi dove egli ha esercitato il suo ministero, sarebbe superficiale identifi-carne la motivazione principale in tale rapporto amichevole.

Scavando nell’esperienza e nella spiritualità di Pio X è possibile ipotizza-re l’influsso di due fattori che possono dare ragione dei suoi gesti a favori dei Camilliani.

Il ministero nelle parrocchie. Il pri-mo va ricercato nell’attività pastorale da lui compiuta negli anni precedenti la sua nomina a vescovo di Mantova. Per ben 18 anni egli svolse il ministero parrocchiale, prima come cappellano a Tombolo (Padova) e, poi, come parro-co a Salzano, grosso borgo della provin-cia veneziana. Nell’esercizio ordinario dell’attività pastorale, un prete di par-rocchia viene necessariamente a con-tatto con la sofferenza della gente. Ai tempi di Pio X, non vi erano le attuali risorse mediche e farmacologiche, e i pastori della parrocchia costituivano uno dei principali punti di riferimenti per le persone in difficoltà.

Questa familiarità di don Giusep-pe Sarto con il soffrire dei suoi fedeli è stata segnata in maniera drammatica dallo scoppiare del colera a Salzano nel

P. Sommavilla, Superiore Genrale dell’ordine ed amico di Papa Sarto.

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187313. Era la terza volta che tale epide-mia colpiva la popolazione. In quest’ul-tima occasione, le vittime furono nove. I testimoni che deposero ai processi di beatificazione e canonizzazione sono stati unanimi nell’attestare l’azione continua del parroco con interventi sempre all’altezza della situazione. Egli era onnipresente, “andava, di giorno e di notte, a tutte le ore, guardava, soc-correva e consigliava”, come sacerdote e come infermiere. Ne uscì segnato nel fisico, ma in seguito riuscì a riacquistare il suo abituale vigore.

Il contatto con i Camilliani a Man-tova contribuì certamente ad approfon-dire la sua conoscenza di San Camillo, proclamato santo da Leone XIII, nel 1886, insieme a San Giovanni di Dio, patrono di tutti i malati e ospedali del mondo. Nei suoi incontri con i Camil-liani, egli parlava della sua devozio-ne a San Camillo, ricordando che da patriarca di Venezia aveva tenuto un panegirico del Santo. L’insistenza nel far procedere con rapidità la costruzio-ne della Chiesa in onore di San Camil-lo può quindi trovare una spiegazione nell’influsso sul suo ministero esercitato dalla spiritualità del Santo dei malati.

La spiritualità eucaristica. Il secondo fattore, che potrebbe spiegare il privi-legio dell’altare portatile ai Camilliani, è da vedere nel posto che ha occupa-to l’eucaristia nella spiritualità e nel ministero di Pio X. Nel discorso tenu-to il giorno della canonizzazione, Pio XII mise in forte risalto la dimensione

13. Quando arrivò in questa seconda parrocchia, dopo aver vinto un concorso, la gente – abituata ad avere grandi teologi… - rimase scontenta. La frase che ricorreva era: “El xé on poro prete che no se ghe darìa on scheo”.

eucaristica di questo santo: “Sacerdote innanzi tutto nel ministero eucaristico, ecco il ritratto più fedele del santo Pio X. Servire come sacerdote il mistero della Eucaristia e adempiere il comando del Signore ‘Fate questo per mio ricor-do’ (Lc. 22, 19), fu la sua via. Dal gior-no della sacra ordinazione fino alla mor-te da Pontefice, egli non conobbe altro possibile sentiero per giungere all’eroi-co amore di Dio e al generoso contrac-cambio verso il Redentore del mondo, il quale per mezzo della Eucaristia ‘quasi effuse le ricchezze del divino suo amore verso gli uomini’ (Conc. Trid. sess. XIII, cap. 2). Uno dei documenti più espres-sivi della sua coscienza sacerdotale fu l’ardente cura di rinnovare la dignità del culto, e specialmente di vincere i pregiudizi di una prassi traviata, pro-movendo con risolutezza la frequenza, anche quotidiana, dei fedeli alla men-sa del Signore, e là conducendo senza esitare i fanciulli, quasi sollevandoli sulle sue braccia per offrirli all’amples-so del Dio nascosto sugli altari, donde una nuova primavera di vita eucaristica sbocciò per la Sposa di Cristo”.

Alimento della persona umana, l’Eucaristia acquista un particolare significato per ogni momento della vita dell’uomo. Quando viene celebrata con i malati e per i malati, essa è “fortezza nel dolore e nella debolezza, speranza nella disperazione”14. Memoriale della croce di Cristo, l’Eucaristia è anche memoriale della croce del cristiano, non solo perché dà la forza di lottare contro la sofferenza o di accoglierla quando è insuperabile, ma anche per-ché essa è il sacrificio del Cristo totale,

14 Christifideles Laici, 54.

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di Cristo Capo e delle membra del suo Corpo, che è la Chiesa. La croce del cri-stiano, nella celebrazione eucaristica, è dunque offerta al Padre, per la sua gloria e per la salvezza del mondo, insieme con l’offerta di Cristo. L’Eucaristia rende possibile e impegna a vivere ogni croce “dentro” la croce di Cristo, diventando così sua memoria vivente. Concedere ai Camilliani di celebrare l’eucaristia nella camera dell’ammalato significava quindi, per Pio X, rendere più facile, a quanti vivono la difficile stagione della sofferenza, collegare il proprio dolore a quello di Cristo, infondendo ad esso lo stesso significato che aveva per Gesù, cioè un’espressione di amore.

Conclusione Nell’Ordine camilliano, la devozio-

ne a San Pio X è rimasta costante, ren-dendo familiare la sua figura e frequente il ricorso alla sua intercessione. Dei segni visibili della riconoscenza dell’Ordine di San Camillo a questo grande Papa resta una Casa di Cura, costruita a Milano nel 1965 e intitolata a Lui: Casa di Cura “San Pio X”. Le persone, sane e amma-

late, che entrano in quella Istituzione, destinata a lenire la sofferenza, e vedo-no il ritratto del Santo, facilmente si domandano il perché di quel quadro. Ai religiosi camilliani, però, quel volto mite ricorda un rapporto di amicizia e suscita un sentimento di gratitudine per il rico-noscimento autorevole della validità del proprio ministero esercitato a favore di quanti vivono nel corpo e nello spirito, le conseguenze della fragilità umana.

Quest’anno, il nostro Ordine cele-bra il IV Centenario della morte di San Camillo. Cent’anni fa, in occasione del Terzo Centenario del transito del nostro Fondatore, Pio X inviò le con-gratulazioni a P. Francesco Vido, in que-sti termini: “Ci congratuliamo di cuore col diletto Figlio, Padre Generale, e coi parimenti diletti Religiosi Ministri degli Infermi, e pregando da Dio ogni ottimo e salutare successo nelle Feste Centenarie, impartiamo di cuore l’A-postolica Benedizione. Dal cielo, quella benedizione raggiunga, anche oggi, il nostro Istituto”.

Angelo Brusco

S. Messa in camera del malato - Privilegio dato da Papa Pio X ai Padri Camilliani. “Quando viene celebrata con i malati e per i malati, essa è “fortezza nel dolore e nella debolezza, speranza nella disperazione”.

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LUCE E SALE PER IL MoNDo (Mt 5, 1-14)

“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Forse non sono pochi i cristiani che si ricordano che Gesù iniziò il celebre Discorso del-la Montagna con queste parole. Beati coloro, ci dice, che per la loro fiducia in Dio Padre vivono su questa terra con-tenti di essere quello che sono. Sono i disperati a non essere contenti e a voler sempre quello che non sono. I poveri in spirito, perché sono in pace con il loro Dio, vivono in pace con se stessi e con tutto il mondo. Sono pacifici e totalmente pacifisti.

Gesù, nel suo Discorso della Mon-tagna, fa presente ai suoi di possedere tra le altre cose anche questa: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo”. Cosa intende? Forse ha l’intenzione di conferire ai “poveri davanti a Dio” una speciale autorizzazione, titoli di merito, per governare con competenza la storia? Assolutamente niente di simili preroga-tive. Nella sua ottica, Gesù non mette in conto nemmeno particolari sforzi di buona volontà, di impegno morale: accortezza di decisione e rapidità di realizzazione. Queste parole di Gesù non alludono neppure a una specie di piano pastorale, a una sia pur minima programmazione di una qualche stra-tegia a breve o medio termine per una Nuova Evangelizzazione di cui oggi si sente tanto parlare.

Voi siete il sale della terra e la luce del mondo è l’affermazione che Gesù fa dall’alto del suo spirito (la vera mon-tagna delle Beatitudini!), per disvela-re a chi l’ascolta tutto il potere di cui può disporre Dio Padre nel cuore delle

persone che lo accolgono. Il regno di Dio: Dio è vivo e regna in voi, lascia intendere Gesù, purché voi vi risolvia-te ad assumervi il coraggio di essere da lui amati, il coraggio di fare ciò che vi rende felici perché il Padre stesso vive in voi. Non c’è bisogno che sia procla-mato in pompa magna nelle piazze, il regno di Dio è in voi se l’accogliete. Chi può darvi la pace? Questo è il pensie-ro dominante di Gesù, il suo sogno: la nostra vocazione eterna di Dio Padre che da sempre ci ha pensati, voluti e messi al mondo.

“Voi siete il sale della terra”, sulle labbra di Gesù sono parole che non hanno né possono avere il senso di un imperativo morale. Per allargare i con-fini del regno dei Cieli in terra Gesù non ha in mente una specie di invin-cibile Armata di intrepidi Crociati, oggi magari anche ben addestrati nel maneggio dei più sofisticati mezzi di comunicazione sociale. Forse anzi non è fuori luogo prendere atto, nell’attuale situazione, come qualsiasi tentativo di procurare alla Chiesa una nuova poten-za tecnologica-artificiale non possa dir-si esente dal pericolo di “metallizzare” l’annuncio salvifico del Vangelo.

Il sale sala, rende saporiti i cibi, ma non è qualcosa di estraneo che resta altro dai cibi stessi. Più di ogni altra for-ma di evangelizzazione è divina quella che rinuncia a ogni tipo di potere affin-ché diventi efficace il più naturalmente possibile nel cuore il potere che spetta solo a Dio Padre. Nelle cose di Dio suc-cede come quando uno ha seminato e, in primavera, il seme cresce da sé senza

Formazione

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la nostra fatica (Mc 4, 26). Noi tutti ci ci dovremmo comportare come l’aria pura che lascia filtrare senza deformare i raggi del sole.

Costituirebbe una rovinosa sban-data, un pericoloso avventurarsi fuori pista il voler istituzionalizzare il senti-mento della Nuova Umanità che Gesù ci ha portato, per farlo diventare ancora una volta il mestiere di un nuovo ceto di scribi e farisei. A nessuno è consentito che la religione delle Beatitudini, nata nel nome del Padre, ed evangelizzata dallo stesso Gesù in opposizione a una repressione delle persone (cfr. Mt 23), esercitata in nome di un dio dispotico, torni ad essere l’ideologia di determina-te strutture di potere.

Dalle Beatitudini discendono, recta via, delle conclusioni, non si deducono leggi canoniche.

Al fine di una soddisfatta, piacevole e piena convivenza, Gesù ritiene indi-spensabile, come l’aria che si respira, che noi liberiamo nelle relazioni umane tutto ciò che c’è di vivo in ciascun indi-viduo. Questo presuppone che si rinun-ci a pregiudizi e convenzioni e si appli-chino inventiva, fantasia, sensibilità e poesia a risvegliare quanto vuol vivere,

ma si cela qualcosa di ancora non det-to in ogni persona. Penso a Gesù con Nicodemo, con la Samaritana, con Zaccheo. Penso anche al giovane ricco. Gesù toccava le persone e subito la loro testa incominciava a pensare da sola, guardava gli individui e i loro occhi incominciavano a brillare dal di den-tro. Gesù prendeva tra le sue mani le mani della gente, in modo tale che il bene diventasse per loro così naturale che alla fine la destra di ognuno non sapeva più cosa facesse la sua sinistra.

Gesù, quando parlava alla folla, voleva che ci fosse tutt’intorno quel clima di felicità che permette ad ogni persona di scoprirsi singolare e unica a questo mondo, con una parola originale da dire, impronunciabile da chiunque altro al posto suo. Che cosa voleva offri-ci se non questa Bella Notizia quando Gesù diceva che Dio consoce anche il numero dei capelli del nostro capo (cfr. Lc 12, 7)?

Per poter essere sale che sala e dà gusto, abbiamo tutti assoluto bisogno di poter riposare nella fiducia in Dio Padre come un bambino svezzato sul petto di sua madre (Sal 130). Nella fiducia di un così rassicurante amore possiamo essere

“Se il sale perde il sapore ... Né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ...”.

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nella vita quello che siamo senza più bisogno di particolari convulsioni e vir-tuosi contorcimenti.

Di fede si tratta non di virtù!Beati i poveri davanti a Dio Padre.

Sono soltanto questi poveri che diven-tano luce e sale, perché solo loro capi-scono che, fintantoché si indossano i panni del maestro competente o dello specialista esperto, tutta questa “ric-chezza” sarà di ostacolo per stare vìs-à-vìs, cuore a cuore con le persone e comunicar loro il gusto di vivere. Amorevole e fidata è solo la povertà. Il resto, facendo mostra di sé, è incapace di accendere e dare stabilità al vivere buono e benevolo proprio dei salvati.

“Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il messaggio di Dio con l’eccellenza della parola e della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Cristo e Cristo crocifisso. Mi pre-

sentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2, 1-5).“Stai con noi, Signore, e inizieremo a risplendere come tu risplendi,a risplendere fino a essere luce per gli altri.La luce, o Gesù, verrà tutta da Te:nulla sarà merito nostro.Sarai Tu a risplendere,attraverso di noi, sugli altri …Da’ luce a loro e da’ luce a noi;illumina loro insieme a noiattraverso di noi…”.(H. Newman)

P. Domenico Ruatti

“Se il sale perde il sapore ... Né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ...”.

Formazione

LE FAVoLE DI FEDRo IN CoNVENto

Un fervente religioso, dotto e sem-pre dedito alla riflessione e alla pre-ghiera, al termine di un sereno raduno comunitario, esclamò:

‘quante bestie si aggirano in con-vento!’

‘Ma di quali animale parli mai? - domandò il Priore -

Simili bestie non le abbiamo mai avute nel nostro convento!’.

Quel confratello rispose: ‘purtroppo la verità è che noi le abbiamo veramen-te e le stiamo coltivando anche nel con-vento! I due ‘falchi’ sono i miei occhi,

che io devo quotidianamente sorveglia-re, perché non guardino cose cattive e peccaminose, anche solo qualcosa che non sia bene. I ‘maiali’ sono i miei pen-sieri che corrono sempre il rischio di rotolarsi dentro il pantano di certe ten-tazioni. Il ‘serpente’ è la mia lingua che vuole spesso uscire dalla bocca per pun-gere in modo cattivo gli altri. ‘L’asino’ è la mia pigrizia e il ‘leone’ in fine é la mia tendenza all’ira. che io devo tenere ben legata perché talvolta ruggisce ancora’.

La favola insegna che il tempo continua a scorrere veloce ma il cuore dell’uomo è sempre ‘quell’arca di Noè’ dove ogni animale vive ancora con i suoi istinti primordiali.

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STORIA DI uN EVENTO: PROVA O MESSAGGIO?(Può essere castigo, può essere misericordia!)

Caro P. Carlo, dopo aver superato la mia naturale ritrosia a manifestare pubblicamente e soprattutto per iscrit-to le mie impressioni su fatti e persone, riprendo con coraggio la biro ora un po’ esaurita, per esprimere a te, vecchio amico, le congratulazioni sincere per la nuova veste tipografica della gloriosa Vita Nostra. L’hai ringiovanita con una copertina piena di simboli e colori viva-ci e di una impaginazione graficamente moderna, arricchita di una abbondante documentazione fotografica che atten-de di essere “vitalizzata” e resa piacevole dai colori vivaci e naturali. Congratula-zioni, perché sei riuscito a trasformare la storica rivista da Bollettino ufficia-le della Provincia Lombardo Veneta in Bollettino delle Province Italiane. Naturalmente conserva l’ufficialità dei Bollettini, ma è arricchita di articoli riguardanti i vari Segretariati delle Pro-vince: pastorale, formazione, mondo camilliano, Famiglia Camilliana Laica, biografie dei nostri religiosi defunti nel trimestre della pubblicazione.

Sotto il bel titolo nuovo, Come Tralci, ecco la qualifica dell’identità della rivista: “Linfa di vita dei Camilliani d’Italia”. È l’operosità generosa e sincera dei nostri confratelli nell’esercizio del carisma che San Camillo ha consegnato come gemma preziosa al grande tesoro della Chiesa, che vive per annunciare al mondo il Vangelo della Carità: è la nuova evangelizzazione.

Ora, con una certa enfasi gustosa, prendendo tra le mani “Come Tralci”, sento nel mio intimo una gioia e una certa voglia di esclamare, senza inter-

pretazioni “ermetiche”: “Mi illumino di immenso!” perché “lì c’è proprio di tutto e di più”.

Caro P. Carlo, approfitto di questa occasione per confidare a te e ai con-fratelli una riflessione che da un po’ di tempo mi “rumina” con insistenza. Credo indispensabile un corollario al bell’articolo di P. Mario Bizzotto: “L’o-ra della prova” che hai pubblicato sul-la rivista. Condivido quanto P. Mario ha scritto con sincerità e sofferenza sull’amarissima “prova” che il nostro Ordine sta ancora sopportando. Ecco la mia “ruminazione”: è una storia tri-ste, che però si può trasformare anche in un evento provvidenziale. Ricordi l’incontro drammatico di Renzo Tra-maglino con il suo implacabile rivale, Don Rodrigo, colpito e devastato dal-la peste nel Lazzaretto di Milano? “Tu vedi!, - disse P. Cristoforo a Renzo con una voce bassa e grave - può essere casti-go, può essere misericordia”. Commen-ta il critico Natalino Sapegno: “È una profonda parola del romanzo: il rispetto per tutto quello che è disposizione divina naturalmente misteriosa e non facilmente spiegabile da noi” (Promessi Sposi, cap. XXXV).

L’autore del Salmo 127, 1-2 riflette: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella”. Commenta l’esegeta della Bibbia “Via Verità e Vita”: “è riflessione sapienziale; non serve all’uomo affannarsi con il suo cervello per procurarsi sicurezza, destinata a fallire!”.

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Seguendo con apprensione la con-clusione della vicenda giudiziaria del nostro Padre Generale, non poteva non venire in mente il risveglio spontaneo della Chiesa in preghiera narrato negli Atti degli Apostoli. Nell’apprendere la notizia che “Pietro era tenuto in car-cere, dalla Chiesa saliva incessantemen-te a Dio una preghiera per lui” (At. 12, 5). Certamente il riferimento agli Atti degli Apostoli mi sembra applicabile al nostro caso tenendo presente però (“coeteris paribus”) sia le proporzioni che le motivazioni dei due fatti: negli Atti sono la “dimensione ecclesiale” e la motivazione ad essere evidentemen-te diverse. C’è però un punto di riferi-mento estremamente prezioso, quello della comunità in preghiera insistente e quotidiana: la nostra, alla Madonna (P. Novati) e a San Camillo (Consulta Generale precedente). Questa iniziati-

va mi ha confermato la certezza che è da sempre: la storia può trasformarsi in evento; la certezza che un fatto storico può essere o diventare anche un evento quasi miracoloso.

Questa certezza è nata in me agià dalla mia famiglia povera e numerosa, ricca di fatti luttuosi ma illuminata da genitori pieni, direi anzi “esondanti”, di fede nella Provvidenza. È la prima scuo-la in cui sono stato educato alla fede e fiducia in Dio e in Maria, donna forte e coraggiosa e piena di amore. Educata a pregare “insieme” nella prima comunità di fede che è la famiglia.

Ricordo ancora la pazienza e il son-no della corona del Rosario alla sera prima di dormire veramente.

La preziosità della preghiera comu-nitaria, sempre ispirata dallo Spirito Santo, è resa “sacramento della presenza dell’Autore e Perfezionatore della nostra

Formazione

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Fede” che ha garantito la Sua presen-za là dove “sono due o tre riuniti nel Suo nome”.

Molto bella è la riflessione di Sant’Agostino nel commentare i ver-setti 2 e 3 del Salmo 60: “ascolta, o mio Dio, sii attento alla mia preghiera”: il com-mento l’abbiamo letto nel Breviario, la prima domenica di Quaresima.

Scrive San Agostino: “Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta di una per-sona sola. Dice infatti: ‘dai confini della terra io ti invoco, mentre il mio cuore è angosciato’. Dunque non si tratta di un solo individuo: ma intanto sembra uno in quanto uno solo è Cristo di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, non potrebbe gridare dai confini della terra. Dunque è questo possesso di Cristo (dal Battesimo), questa eredità di Cristo, que-sto Corpo di Cristo, quest’unica Chiesa di Cristo, quest’unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra. E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: ‘ascolta o Dio il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io ti invoco cioè da ogni luogo. Perché grido? Perché il mio cuore è in angoscia, ma non è abbandonato: poiché il Signore volle pre-figurare noi che siamo Suo corpo mistico nelle vicende del Suo Corpo reale nel quale Egli morì, risuscitò e salì al Cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute”.

Il Catechismo della Chiesa Cattoli-ca ha due affermazioni che confermano la riflessione di Sant’Agostino. Sono i paragrafi 2740 e 2741 che recitano: “La preghiera di Gesù fa della preghiera cri-stiana una domanda efficace perché Egli ne è il modello, Egli prega in noi e con noi” (2740). “Gesù prega anche per noi,

al nostro posto e in nostro favore. Tutte le nostre domande sono state raccolte una volta per sempre nel Suo grido sulla cro-ce, ed esaudite dal Padre nella Sua risur-rezione ed è per questo che Egli non cessa di intercedere per noi presso il Padre (Eb 5,7; 7,25; 9,24). Se la nostra preghiera è risolutamente unita a quella di Gesù nella confidenza e nell’audacia filiale, noi otteniamo tutto ciò che chiediamo nel Suo nome. Ben più di questa o quella cosa: lo stesso Spirito Santo che contiene tutti i doni” (2741).

Caro P. Carlo, sai bene che l’appetito viene mangiando, soprattutto se il sapo-re del cibo dona un piacevole diletto al palato. Ora, il miglior sapore è quello dello Spirito! Sono andato a rileggere sul nuovo Dizionario di Teologia Biblica l’intervento del Card. Ravasi sui Salmi che recitiamo ogni giorno nella Liturgia delle Ore, definita la “preghiera ufficiale della Chiesa”, maggiormente gradita al Signore perché è stata la preghiera di Gesù nel lungo periodo di preparazione alla Sua missione di annuncio del Van-gelo. È la preghiera del Suo popolo da Lui stesso ispirata per sostenere la fede nei momenti felici e drammatici vissuti nella storia quotidiana.

Osserva il Card. Ravasi: “Il segno dominante sotto cui si colloca la preghie-ra biblica è quella del dolore e del lamento anche se si registrano sempre una sobrietà e una compostezza ignorate al mondo extra biblico delle lamentazioni. Anzi le finali di queste suppliche salmodiche sono sempre aperte alla fiducia dell’esaudimento anche perché la visione della storia biblica è sem-pre aperta al futuro e alla speranza. I per-sonaggi protagonisti di questi Salmi sono: Dio, il nemico e l’orante”. Al momento m’interessa sapere chi è il nemico. E

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Ravasi scrive: “il nemico può essere una malattia grave che minaccia la vita e che nella prospettiva retribuzionistica è segno della maledizione divina (Salmi 6; 22; 38; 102); altre volte il nemico è una tragedia nazionale o un processo che può risolversi in una condanna capitale; altre volte, è un nemico implacabile con le sue persecuzioni (Salmi 7; 142) o il suo odio (Salmi 35; 38; 69; 76) la sua violenza (Salmi 86; 14) sembra essere una potenza demoniaca. Ma il nemico può essere ancora interiore, cioè il peccato che separa il credente dal suo Signore facendogli così sperimentare il silenzio di Dio”. Ma continua ancora Ravasi: “Nella tensione drammatica sorge l’eterna domanda: ‘perché? Fino a quan-do?’ ‘Fino a quando, o Signore, starai a guadare? (Salmo 35, 17)’. L’ultimo atto del dramma però è sempre aperto al futu-ro. Il Dio ‘muto’ e lontano ha esaudito la supplica; il Suo intervento liberatore si è manifestato; il fedele sta preparando il suo sacrificio di ringraziamento o promette di sciogliere il voto e di testimoniare a tutti l’amore liberatore di Dio” (Dizionario di TB, voce Salmi, pagg. 1405 – 1406).

Il frutto di questa preghiera biblica è la fiducia inseparabile dal ringrazia-mento. La fiducia, che è sinonimo della fede, si è radicata sempre più anche nel nostro Santo Fondatore, Camillo de Lel-lis, specialmente dopo l’esperienza delle due “visioni” del Crocifisso. Mi è molto piaciuto il libro originale e suggestivo di P. Angelo Brusco “Sentieri di vita - lettere a San Camillo de Lellis”. Nella sesta let-tera “Non Temere”, Padre Brusco scrive a san Camillo confidandogli: “[…] Quan-do corse la voce che la fondazione dell’Or-dine si doveva all’iniziativa di un gesuita, la tua reazione non si è fatta attendere. A chi ti comunicava la notizia, hai risposto ‘con volto allegro e sereno’ che prima Dio e poi la tua gamba piagata avevano fondato l’Or-dine. A testimone della tua affermazione chiamavi il Crocifisso che ti parlò animan-doti a realizzare la fondazione. Le difficoltà e gli imprevisti hanno messo in moto questo processo di svelamento in cui la Grazia e la tua collaborazione si sono messe in mirabile sinergia. Dio teneva l’arco e dava direzione alla freccia; tu tenevi la corda tesa affinché l’azione del Signore potesse realizzarsi. Non ti aveva detto il Crocifisso che il tuo progetto era ‘opera Sua’?”.

Papa Francesco, a sua volta garanti-sce la fiducia della Chiesa nella certezza e attualità della risurrezione di Cristo: sono i paragrafi 276 e 279 dell’Esorta-zione Apostolica “Evangelii Gaudium”. Raccolgo due espressioni perché le ritengo molto attuali ed efficaci in que-sto nostro momento storico in cui un laicismo assai incisivo, purtroppo, inse-gna a vivere come se Dio non ci fosse nella gelida indifferenza delle coscienze.

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La Fiducia: ‘come un bambino serenomi addormento nella buone e grandi mani del Padre’.

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Scrive il Papa: “La Risurrezione di Cristo non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mon-do. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza ugua-li. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuisco-no. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi pro-duce un frutto. In un campo spianato tor-na a apparire la vita, ostinata e invincibi-le...” (276). “Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo a apparenti fallimenti, per-ché ‘abbiamo questo tesoro in vasi di creta’ (2 Cor. 4, 7). Questa certezza è quello che si chiama ‘senso del mistero’. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo (cf. Gv 15, 5). Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita” (279). E perché non deve circolare anche nel nostro Ordine?

Desidero terminare queste “con-fidenze” con una parabola che ho let-to recentemente come premessa del

romanzo storico della vita di Gesù: Let-tere di Nicodemo, dello scrittore polac-co Jan Dobraczynski (15.ma edizione, 2009). L’autore della parabola è lo stesso autore dell’incantevole gioiello, Piccolo Principe, Antoine De Saint-Exupéry “[…]’Signore – dissi – là, su un ramo c’è un corvo. So bene che la tua Maestà non può abbassarsi fino a chi ti parla. Tuttavia, ho bisogno di un segno. Quando avrò finito la mia preghiera, fa’ volar via quel corvo. Ciò sarà per me come un cenno, una prova che non sono completamente solo al mon-do […]’. Fissai l’uccello, ma questi non si mosse dal ramo. Allora mi rivolsi nuo-vamente alla pietra: ‘Signore – dissi – hai certamente ragione. La tua Maestà non può degnarsi di accogliere le mie sollecita-zioni. Se il corvo fosse volato via, io sarei ancora più triste, poiché un tale segno io non l’avrei ricevuto che da uno come me, dunque da me stesso. Sarebbe stato ancora un riflesso del mio desiderio. È ancora non avrei incontrato che la mia solitudine’. E dopo essermi prostrato mi allontanai. Ma proprio allora la mia disperazione cedette a una serenità singolare quanto inaspettata”.

Sarò nella vera pace e gioia del cuo-re quando mi sarò liberato dalle mie “pretese” anche religiose e avrò posto tutta la mia fiducia solo in Dio. “Lui sa scrivere anche sulle righe storte” (Beato Giovanni XXIII).

Caro Padre Vanzo, scusa la mia lunga chiacchierata che personalmen-te ho gustato come “logoterapia” nella mia vecchiaia silenziosa, preludio della perenne giovinezza dell’eternità festosa.

A te, e a tutti i confratelli auguro buona Pasqua e “ad meliora semper!”. Fraternamente.

P. Lucio Albertini

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C.P.V. (CENTRO PROVINCIALE VOCAZIONALE)PER UN’EStAtE VoCAzIoNALE

3 weekend per proporre e testimoniare

Lo scopo di questo scritto? Chieder-vi un aiuto!

Chiedervi di pubblicizzare e fare conoscere le iniziative che lanciamo per la prossima estate.. Chiedervi di avvi-cinare giovani, fermarvi con loro e sug-gerire loro che anche noi, come Istituto (religiosi camilliani), abbiamo, per i lai-ci tra i 18 e 30 anni, i ‘nostri pozzi e le nostre piscine’. Abbiamo luoghi e tempi in cui fermarsi, si può trovare qualcuno con cui rimettere in discussione la pro-pria vita per poi riprendere a correre e viverla con più libertà. Insomma, vivere esperienze ed incontri come quelli che hanno segnato la storia della Samari-tana, del cieco nato, del paralitico del Vangelo e di tanti altri. La Persona da incontrare è sempre Lui, Gesù, uomo come noi, risorto prima di noi, ancora vivo e operante nella storia attraverso mediazioni con cui si fa presente. Ma sempre Lui. Questo è il senso dei tre weekend di cui vi arriveranno manifesti e volantini a breve.

Rispetto all’anno scorso, in cui vi era una sola proposta, anche se ripetut-ta più volte, quest’anno ci saranno tre percorsi differenti. In tempi e luoghi diversi per facilitare la partecipazione.

Per aiutarvi nella loro presentazio-ne, vi presento le proposte che trattere-mo, aggiungendovi quei sottotitoli che non sono stati messi nel manifesto, ma che chiariscono la domanda significa-tiva su cui inviteremo a riflettere chi verrà a trovarci.

Ecco le tre proposte:

n “SoNo StAto CoNQUIStAto DA CRISto”. Ed io? Faccio il punto del mio cammino vocazionale

20-22 Giugnoc/o l’Opera e la Comunità di San CamilloVia della Libertà 9 - Predappio (FC)

Breve percorso per interrogarsi e darsi risposte su quello che è il proprio modo di prendere sul serio l’iniziativa di Dio nella propria vita e aprire il cuore all’azione dello Spirito che nell’attuali-tà ripropone l’invito del Creatore. Sarà molto biblico.

n “IL CARISMA CAMILLIANo”.La mia via per servire i malati anche a 400 anni dalla morte di San Camillo?

10-13 Luglioc/o Comunità di San GiulianoVia Bresciani 2 - Verona

Breve percorso di riflessione, con-fronto, servizio, silenzio e preghiera per conoscere il Carisma di San Camillo e il modo in cui lo viviamo noi camillia-ni nell’oggi. Per interrogarsi sul proprio modo di amare, fare servizio e fare di questo servizio una dimensione decisi-va della propria vita. (È lo stesso campo dell’anno scorso, riproposto perché risul-tato vincente in base al nostro riscontro e a quello dei giovani partecipanti).

Formazione

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n “LA GRAtUItA’ ”. Bibbia e psicologia degli atteggiamenti della carità!

25-27 Luglio

c/o la Comunità camilliana e la Casa di Riposo di San Gervasio (BG)via Cerruti 6

Per una formazione personale. Rilegge-re il proprio stile relazionale e d’amore alla luce di spunti biblici e psicologici, per fare verità su di sé e intravvedere nuovi spazi di libertà e di azione, nuove sfide per la pro-pria crescita. Per evangelizzare il proprio approccio agli altri ed incontro con loro. (È Il primo di una serie di 8 incontri che continueranno durante tutto l’anno. Per valorizzare quanto veniva fatto a Castel-lanza anni fa con ‘La Scuola della Carità’).

A gestire il tutto saremo noi dell’EPPV (P. Paolo Gurini, P. Danio Mozzi, P. Pier-paolo Valli, P. Marco Causarano, P. Aldo Magni e P. Domenico Lovera), anche se con coinvolgimenti diversi.

Lavoriamo tutti quanti perché sia come lo scorso anno. Da quell’esperienza stiamo raccogliendo frutti.

P. Paolo Gurini

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DuE GIORNI DI FORMAzIONE: “EVANGELIzzAzIoNE E MoNDo SANItARIo”.3-4 marzo - Mottinello

La due giorni di formazione tenu-tasi a Mottinello dal 3 al 4 marzo ha avuto come titolo: “Evangelizzazione e mondo sanitario: prevenzione e salute pubblica”.

Un tema questo, che il documen-to della Consulta generale (progetto camilliano, per una vita fedele e crea-tiva) ci esorta ad approfondire. La due giorni è stata ridotta rispetto agli altri anni, e la formula scelta ha favorito la partecipazione di tutti per l’intera dura-ta dell’evento formativo.

Il pomeriggio del 3 ha visto l’ap-profondimento del tema “Prevenzione- Salute pubblica”, tema di cui abbiamo sentito parlare, ma che probabilmen-te non è stato mai messo all’interno dell’orizzonte del nostro ministero. Il dott. Massimo Valsecchi, direttore del dipartimento Prevenzione della Ulss 20 di Verona, ci ha aiutati a fare emerge-re i risvolti tecnico-socio-sanitari della tematica, e la dott.ssa Loretta Berti, ci ha riportato la sua esperienza di preven-zione nei centri di salute mentale.

La mattina del 4 ha visto come rela-tore il dott. Gianni Cervellera, presi-dente Nazionale AIPAS, che ci ha aiu-tato ad entrare nei risvolti teologico-pastorali del tema, scoprendone la rela-zione che anche queste realtà possono avere con il nostro ministero, sempre nell’orizzonte della missione evangeliz-zatrice. Una griglia di domande ci ha permesso, nei due giorni, di mettere insieme le nostre idee nei lavori di grup-po, che sono stati fondamentali anche

per approfondire una conoscenza reci-proca delle varie esperienze vissute nei luoghi di ministero, e per comprendere come tanti laici lavorano e collaborano con noi religiosi.

Alla fine del convegno, abbiamo constatato come questa formula modi-ficata di due giorni, abbia favorito non solo la partecipazione per l’intera durata del corso, come si diceva, ma ci abbia anche permesso di concentrare il lavo-ro di ascolto e di gruppo senza troppe dispersioni.

Come sempre, bella e calorosa è stata l’accoglienza dei religiosi di Mot-tinello che hanno reso la permanenza piacevole e gustosa sotto tutti i punti di vista.

Auspichiamo che giornate come queste possano essere riproposte nuo-vamente secondo questa modalità, per l’arricchimento teologico pastorale e per favorire una maggiore conoscenza reciproca tra le diverse realtà della Pro-vincia.

P. Marco Causarano

PREVENzIoNE E SALUtE PUBBLICA: ASPEttI tEoLoGICo-PAStoRALI

Sintesi di una relazione alla ‘Due Giorni’ di Mottinello

I due temi in oggetto possono, per certi aspetti, essere considerati uno solo. Senz’altro nella prospettiva con

Dal Mondo Camilliano

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cui oggi li guardiamo, a partire da due domande principali: • Perchédobbiamooccuparcidipre-

venzione e quindi di salute pubbli-ca?

• ComepossiamoilluminareconilVangelo questi spazi del mondo del-la salute?Un unico tema con due risvolti:

evangelizzare attraverso la prevenzione e la salute pubblica, ed evangelizzare la prevenzione e la salute pubblica.

Sullo sfondo di queste domande dichiariamo subito due prospettive fon-damentali che attraversano le direttri-ci della nostra riflessione teologica su entrambe le questioni.

Senz’altro uno sguardo di totalità sull’uomo. La considerazione antro-pologica della originaria costituzione unitaria dell’essere umano, unita alla consapevolezza della complessità della persona, della connessione delle diver-se dimensioni da cui è composta, della necessità di intervenire a più livelli per parlare di guarigione, ci spingono ad interessarci di ogni bisogno della per-sona, in altri termini, come professio-nisti della salute a noi interessa l’uomo in toto. (...)

L’altra grande prospettiva che si intravede dice che non solo ci interessa tutto l’uomo, ma ci interessano tutti gli uomini. A questo si richiama l’àmbito della salute pubblica. Una società sta bene se tutti i suoi componenti stan-no bene. Così come la legge dovrebbe essere uguale per tutti, a maggiore ragio-ne la sanità dovrebbe essere uguale per tutti. (...)

Prevenzione(...) Vediamo qualche altra compro-

missione teologica di questo tema. Per questo utilizziamo una figura dai tratti sconcertanti e affascinanti, austeri e provocatori, vigorosi e attraenti: Gio-vanni Battista. Una figura evangelica che guardiamo attraverso due canali interpretativi: quello della preparazione all’avvento del Regno, nella purifica-zione dai peccati e nel raddrizzare le vie storte, e quello di una pre-evangelizza-zione che è già annuncio del Vangelo.

Giovanni Battista prepara la strada alla salvezza e alla salute. Questa figura è così decisiva per l’annuncio cristiano da essere uno dei pochi racconti che hanno in comune i sinottici con il Van-gelo di Giovanni.

Nella versione di Luca, quasi nasco-sto, c’è un piccolo sommario: “Con mol-te altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. (...)

Il riferimento è ancora oggi di estre-ma attualità. Quali esortazioni possia-mo usare? Che discorsi fare? Cosa dire e cosa no? Quando tacere?

Il Battista predispone i suoi ascol-

Mottinello - P. Adriano Moro e Dott. Gianni Cervellera,

moderatore e relatore del convegno.

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tatori e seguaci ad una vita spirituale intensa, di purificazione, di ritorno sulle vie del Signore, di uno stile di vita che metta la preoccupazione per il Regno di Dio sopra ogni cosa. Il centro della sua predicazione è il richiamo alla conver-sione. (...)

La voce di Giovanni ha il forte sapore del richiamo profetico, in lui rivivono i grandi profeti del passato di Israele. (...) Giovanni è l’ultimo gran-de profeta. Egli si fida della parola del Signore e alza la voce, si fa sentire, non ha paura di rischiare la propria pelle, tuona contro i potenti, quasi in una sorta di preparazione al martirio; vive una vita fisica di stenti (su questo non è proprio un esempio di prevenzione della salute), la passione per l’annuncio del Regno lo prende a un punto tale da fargli perdere la testa: forse non è un caso che il suo martirio consista nella decapitazione. (...)

C’è una categoria che Giovanni attacca in particolare, e sono i potenti, Erode in particolare. Erode non è tra-montato, esiste ancora oggi e si veste da politicante che guarda solo il pro-prio interesse. (...). Usa ogni mezzo per affermare il suo dominio, ruba perfino la moglie al fratello. È chiaro che se un profeta lo mette di fronte ai suoi peccati, Erode reagisce, e la vendetta dei potenti diventa pericolosa. Non di meno il profeta arretra. Egli non teme la ripicca di chi è colpito negli interessi. Egli annuncia il bene del popolo.

Accorrevano a lui da tutte le parti. Quando l’annuncio è sincero la gente accorre. C’è un bisogno di spiritualità che attraversa tutti i tempi e che non si mette a tacere, che necessita di una risposta. Dove c’è la verità di un annun-

cio non si può non credere. La verità dell’annuncio è data dalla testimonian-za che viene resa: se tu testimoni con autenticità di vita, il tuo messaggio ver-bale è credibile: senza questo le parole sono destinate a passare senza lasciare traccia. (...)

Il rapporto tra prevenzione ed evan-gelizzazione è simile a quello che passa tra evangelizzazione e promozione uma-na. La prevenzione non consiste solo nel migliorare le condizioni che impe-discono il fluire della malattia. In essa, mentre ci si adopera in termini sanitari, si difende anche la dignità della persona secondo lo spirito del Vangelo. La con-seguenza è che si tratti di un campo con grandi possibilità di evangelizzazione.

Quali conseguenze comporta l’an-nuncio della conversione e dell’immi-nenza del Regno? Ci viene incontro il Vangelo di Luca (3,10-14). Ecco le azioni che compie chi fa prevenzione.

“Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altret-tanto”.

La condivisione dei beni mette al riparo il povero e l’indigente, l’orfano e la vedova.

“Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”.

L’invito rivolto agli esattori si esten-de su chiunque debba ricevere qualcosa dagli altri. Ricevere il giusto e nulla di più, non fare la cresta. (...)

Non abusate del vostro potere.Condividere, operare con giustizia,

rispettare: ecco tre azioni di prevenzio-ne. A queste condizioni possiamo ope-rare nel campo della prevenzione con credibilità facendo una vera e propria opera di evangelizzazione. (cfr Is 40, 1ss)

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La prevenzione esiste già come pro-gramma delle istituzioni. Come evan-gelizzare questo mondo? Come purifi-carlo? (...)

Sono tante le questioni etiche, ma una che senza dubbio può presentarsi in questo settore è lo sfruttamento econo-mico della questione e l’uso strumentale delle iniziative. Per esempio, le campa-gne di vaccinazione sono davvero utili alle persone o sono remunerative per le aziende farmaceutiche? I mesi di pre-venzione diversificata sono un veicolo pubblicitario o rappresentano un ser-vizio? (...)

La profilassi si serve degli strumenti più avanzati della tecnologia, ma la sua azione fondamentale riguarda gli stili di vita. Il presidio igienico-sanitario serve nell’urgenza, ma senza un’edu-cazione ad uno stile di vita sano, ben presto il corpo verrà attaccato da fonti di malattie.

Come si può educare ad uno stile di vita?

La profilassi è nella missione degli operatori sanitari, rientra nella missio-ne di ministri della vita (Carta degli operatori sanitari, n° 1).

Strumenti di prevenzione(...) L’ospedale come luogo di cura

e di educazione. Chi si reca in ospedale per una urgenza o anche una semplice vista ambulatoriale, riceve informazioni sul suo stato di salute e contemporane-amente istruzioni su come modificare il proprio stile di vita. Una cura comporta sempre un cambiamento delle abitudini.

Creare una rete è un’esigenza impre-scindibile per intessere relazioni che permettano di “pescare” gli uomini. La rete è fatta delle diverse professionalità

che agiscono in ambito sanitario.La rete vuol dire anche avere una

sana coscienza ecclesiale, sentirsi parte di un corpo per cui anche quando il sin-golo o un gruppo agisce su un parziale settore, si sente parte di una comunità che vive nel nome del Signore la sua esistenza.

Infine, una nota di spiritualità. Qualcuno ha anche parlato di etica o bioetica della prevenzione, sostenu-ta da una spiritualità che vorrebbe un riferimento alle virtù della prudenza, della temperanza e della carità. Ora, la prudenza è una virtù che avverte del pericolo ed evita le situazioni a rischio, quindi utile per il singolo che non vada ad infilarsi in pericolosi àmbiti di conta-gio; la temperanza rende forti e avvedu-ti nell’affrontare i problemi e le soluzio-ni, mentre la carità permette di offrire il proprio sostegno a chi è nella sofferenza. Forse in questo settore ciò che serve è il coraggio della profezia e la virtù della giustizia. Sulla scia del Battista, che rese testimonianza alla luce, siamo chiamati ad essere luce per sconfiggere le tenebre della malattia e della fragilità, a volte rischiando di essere “voce di uno che grida nel deserto”, altre volte stuzzican-do Erode e accettandone le ripercussio-ni, sempre indicando la verità, la via e la vita di colui che si fece Agnello di Dio (Gv 1,29).

Un altro grande tema che sta a cavallo dei due poli di attenzione del nostro discorso è l’ecologia, la tutela dell’ambiente, condizione primaria, indispensabile per la buona salute delle persone.

Esiste anche un’ecologia della men-te, a cui la dimensione spirituale offre un significativo apporto.

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Salute pubblica(...) Seguiremo come punto di rife-

rimento di questa seconda parte l’e-pisodio dell’emorroissa (Mc 5,21-43; Mt 9,18-26; Lc 8,40-55). Prima, però, un cenno al rapporto di Gesù con i malati. (...)

L’episodio è incastonato all’inter-no del racconto della guarigione del-la figlia di Giairo (il nome ce lo dico-no Marco e Luca). Questo capo della sinagoga si reca da Gesù perché la sua figlioletta è morta. Gesù non dice nulla e lo segue con i suoi discepoli. Mentre vanno, la gente si accalca attorno a lui. In mezzo alla folla, una donna che sof-friva di perdite di sangue da dodici anni vuole toccarlo per essere guarita, anzi si accontenta di toccare solo il lembo del mantello. Somiglia alla Cananea a

cui bastano le briciole della tavola dei padroni. Questa donna era socialmente condannata a causa della sua malat-tia, veniva isolata perché la società non sapeva difendersi dalle infezioni e allontana le persone colpite. Le sue perdite erano un pericolo per la purezza e veicolo di contagio, inoltre la rende-vano maledetta perché la sua malattia le impediva di procreare.

La salute pubblica del tempo non era riuscita a guarirla, anzi ella aveva soffer-to di più proprio a causa dei medici del tempo, che le avevano fatto spendere tutti i suoi averi, e come se non bastasse la sua situazione era peggiorata. Il mira-colo resta la sua ultima possibilità.

Al tocco quasi impercettibile da par-te della donna accade il miracolo. È la fede di questa donna che favorisce la

I Partecipanti alla ‘Due Giorni’ a Mottinello.

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guarigione. Gesù avverte una forza che esce da Lui: guarire l’altro, curarlo, com-porta sempre uno sforzo e un dispendio di energie, nulla avviene senza consu-mazione di qualcosa. (...)

Questa donna non ha solo fede, ha anche coraggio perché, sebbene scoper-ta, non fugge. Si presenta a tutti e dice che cosa ha fatto, col rischio di essere maltrattata, perché una donna impu-ra non può toccare un uomo. Gesù la difende e la salva.

La donna non ha paura di mani-festare la sua malattia, o meglio di mostrarsi in pubblico nonostante la sua malattia. Se pensiamo a quanto sforzo impieghiamo nella difesa della priva-cy sulla salute, pur giusta e rispettosa della dignità, dovremmo ricordare che l’uomo non perde dignità a causa della malattia ,e che tenersi dentro un dolo-re, una sofferenza, una malattia non risolve il problema. Certo, con questo non vogliamo dire che dobbiamo met-tere in piazza i nostri mali, ma neanche esserne gelosi come fosse un tesoro da custodire. L’esempio di Giovanni Paolo II dice della possibilità di continuare un dialogo anche quando la parola è solo un impercettibile suono.

Finita l’inserzione, il racconto si conclude con la risurrezione della figlia di Giairo. A questo punto la versione di Marco scioglie la tensione drammatica dell’intreccio, svelando che la piccola ha dodici anni. I lettori attenti ricor-deranno che l’incipit dell’emorroissa dichiarava che la donna soffriva da dodici anni di perdite, quel “da” segna un tempo preciso, ma potremmo anche intenderlo, vista la connessione con la figlioletta di dodici anni, che la don-na soffrisse di perdite a partire dai suoi

dodici anni. Anche se questa deriva-zione risultasse azzardata, l’indicazione anagrafica ci permette di associare le due donne come donne imperfette. La piccola non aveva ancora avuto tempo di realizzarsi come donna; l’altra, a cau-sa della malattia, non lo era mai stata pienamente. Entrambe sono da con-siderare come persone delle quali non occuparsi. Sono carne perduta!

Gesù rivoluziona le situazioni: dove nessuno pensa di fare nulla, grazie alla fede del padre e della donna, guarisce l’una e risuscita l’altra. Crea dal nulla, come un nuovo inizio, una nuova cre-azione.

(...) Gli episodi citati della figlia di Giairo e dell’emorroissa (non c’è il nome di questa donna, e quindi il mira-colo è allargato a chiunque soffra di quella malattia e per estensione ad ogni malato) insieme ad altri episodi evan-gelici ci confermano il movimento di ricerca di Gesù che si realizza nella fede delle persone che sperano in Lui. Sono i malati che vanno in cerca del medico. La sua parola è così affascinante che la gente si avvicina a lui con fiducia. La preoccupazione di Gesù è l’annuncio del Regno. La conseguenza di questo proclama e di questa nuova presenza è la guarigione.

Allo stesso modo la Chiesa non è una istituzione addetta alla cura dei malati, ma quando un malato si presen-ta alla sua porta non può fare a meno di curarlo. La Chiesa annuncia il Regno e dentro questo Regno c’è posto per tutti, malati compresi, anzi essi sono i primi.

Se andasse in cerca dei malati agi-rebbe con una strumentalizzazione col fine di giustificare le proprie istituzioni. Non poche volte abbiamo tenuto “den-

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tro” orfani, malati, anziani perché altri-menti l’istituzione ne avrebbe sofferto.

Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, è parola di Dio che risana. La Chiesa è vita secondo il Van-gelo. Ribadire questo primato significa collocare l’azione ecclesiale nelle sue giuste proporzioni.

La Chiesa vive nel mondo, lo ali-menta con il suo spirito e questo crea già un ambiente che previene la malat-tia. (...)

Certo, la Chiesa deve tradurre lo spirito in una dimensione istituzionale, ma guai se non fosse pronta a stravol-gere i propri schemi se questo servisse a curare anche un solo malato.

L’invito di papa Francesco ad aprire le porte dei nostri conventi dismessi e semi-deserti è proprio l’invito evange-lico a scardinare le sicurezze umane per ascoltare il grido dei poveri.

Questo è lo spirito delle beatitudini che non proclamano un valore da difen-dere ma, promettendo a quell’uomo povero il regno dei cieli, al misericor-dioso la misericordia, al puro di cuore

la visione di Dio, realizzano una gran-de rivoluzione sociale. Gesù non dice: dovete vivere la giustizia perché questo è un grande valore. Lui dice: beati colo-ro che hanno fame e sete della giustizia. La versione di Luca è ancora più diretta. Beati voi poveri... Quella parola rivolta a chi si trova in quella condizione è una promessa di beatitudine e di felicità che troverà il modo di realizzarsi sulla terra e nei cieli. La parola di Dio non ritorna a Lui se non ha prodotto il frutto desi-derato.

Ma se spalanchiamo le nostre strut-ture come faremo? Di cosa vivremo? Come daremo da mangiare? Di queste cose si preoccupano i pagani. Qual-cuno dirà: questa è utopia! Certo, ma dal vendere tutto per darlo ai poveri a rimanere serrati nelle proprie strutture c’è la possibilità di fare qualche passo in avanti.

Grazie.Dott. Gianni Cervellera

Presidente Nazionale AIPaS (Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria)

Risurrezione della figlia di Giairo, Ilya Repin, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo.

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ESSERE DIACONI:CoN IL CUoRE DI CAMILLo NELLA CHIESA DI DIo

La Comunità Camilliana in questo anno giubilare si arricchisce di tre nuo-vi diaconi, che scelgono di configurarsi a Cristo servo e obbediente.

P. Alfredo Maria Tortorella, della Provincia Siculo-Napoletana, rice-ve l’Ordine del Diaconato il 23 mar-zo nella Chiesa Parrocchiale Santa Maria delle Grazie in Mileto di Napoli per l’imposizione delle Mani e la Pre-ghiera Consacratoria di S. E. Rev.ma Mons. Lucio Lemmo, Vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Napoli.

P. Germano Santone e P. Umber-to D’Angelo, della Provincia Romana, ricevono l’Ordine del Diaconato il 29 marzo nella Cappella “Salus Infirmo-rum” dell’Ospedale San Camillo in Roma per l’imposizione delle Mani e la Preghiera Consacratoria di S. E. Rev.ma Mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo delegato per l’Assistenza Religiosa negli Ospedali di Roma.

Un giorno di festa bello e signifi-cativo per l’intero Ordine: il Signore chiama ancora operai nella sua Messe.

La parola Diacono deriva dal greco “diaconìa” che significa ministero/mini-stro o servizio/servo. P. Germano, P. Umberto e P. Alfredo, con l’ordinazione diaconale, sono chiamati ad essere sem-pre più segni visibili di Cristo servitore. La spiritualità è quella del servizio; un servizio che non si esplica soltanto nel-le opere, nei ministeri loro affidati, ma che plasma la vita nella sua dimensione umana, spirituale, culturale, pastorale e comunitaria.

Il diaconato, oltre ad essere un dono è anche un compito, una missio-ne. Sull’esempio di Gesù che è venuto per servire e non per essere servito, la missione del Diacono è quella di pre-stare servizio. Si tratta di essere dono per i fratelli mediante il ministero della Parola, della liturgia e della carità.

Mons. Lorenzo Leuzzi con P. Germano Santone e P. Umberto D’Angelo della Provincia Romana che ricevono l’ordine del Diaconato il 29 marzo nella Cappella “Salus Infirmorum” dell’ospedale San Camillo in Roma.

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Servire mediante il ministero della Parola

Questo servizio viene evidenziato durante la solenne Celebrazione Euca-ristica dell’Ordinazione, allorquando viene consegnato il libro dei Vangeli perché lo annuncino ai fratelli. Il dia-cono ha il compito di proclamare il Vangelo nella celebrazione della Messa, ma ancor prima di annunciarlo con la parola e con la vita, rivelando l’amore di Dio e il suo progetto di salvezza per tutti gli uomini. È un andare tra la gen-te, ascoltare, dialogare e far conoscere la bellezza dell’accogliere Cristo nella propria vita come fonte di gioia e di pace per ognuno.

Servire mediante il ministero della Liturgia

Sarà ufficio di assistere il Vescovo e i Presbiteri durante la Celebrazione Eucaristica, amministrare alcuni sacra-menti e celebrare per intero la liturgia delle Ore sostenendo, quali intercessori, il cammino del Popolo di Dio. È singo-lare la vicinanza che il diacono stabili-sce con l’Eucaristia; essa è modello della Chiesa, la forma più alta della Carità.

Servire mediante la testimonianza concreta della carità

L’esercizio della carità appartiene fin dall’inizio al ministero diaconale: i primi diaconi, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli, erano stati eletti per ser-vire le mense. Il diacono è il ministro che si incarna nella storia rendendosi attento ai bisogni dei fratelli, testimo-niando con gesti concreti l’amore mise-ricordioso di Dio.

I novelli diaconi, con l’ordinazione diaconale, alimentano e rafforzano la

loro consacrazione a Dio attraverso il carisma della carità proprio dei camil-liani. Ora, ancor di più, sono “diven-tati” carità non solo per l’Ordine nella Chiesa Universale, ma per la Chiesa nel mondo di oggi e di domani. La carità, che un religioso camilliano accoglie attraverso il quarto voto «di consacra-zione al servizio dei malati, sia negli ospe-dali che in qualunque altro luogo, anche con il rischio della vita» (cfr. Costituzioni Generali nn. 25-41), si completa attra-verso l’annuncio della Parola e il servi-zio dell’altare.

Abbiamo partecipato con gioia a questo momento di festa e di preghiera che ha vissuto l’intero Ordine. È stata un’emozione forte per i loro genitori, per l’intera famiglia camilliana, per tutti coloro che hanno partecipato a questa solenne celebrazione, nel vedere dei giovani fratelli donarsi al Signore in questa società dell’«usa e getta», del-la «vita facile», della «vita apparente-mente bella, carica di significato», del «tutto e subito».

Il nostro grazie al Signore per il dono di questi tre nuovi diaconi diven-ta augurio per P. Germano, P. Umberto e P. Alfredo, affinché ognuno di loro sia «un uomo liberato, non solo un uomo libero che dà il suo tempo libero agli altri. I poveri non hanno bisogno del vostro tempo libero, ma del vostro tem-po liberato, liberato dagli impegni che vi sovrastano. Sii un uomo liberato, un uomo liberatore, che libera gli altri dal-le angosce! (Dall’omelia di don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, in occasione dell’ordinazione di un diacono, avvenuta il 4 ottobre 1989)».

Walter Vinci

Dal Mondo Camilliano

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CURARE AMANDo, AMARE CURANDo.

Il Cuore di S. Camillo all’ospedale S. Camillo di Roma9-12 febbraio 2014

È stato intenso il programma che ha accolto la Reliquia del Cuore di San Camillo de Lellis presso l’ospedale San Camillo di Roma, nei giorni in cui si è celebrata anche la XXII Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno ha avuto come tema: “Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fra-telli” (1Gv 3,16). La Reliquia è arrivata in ospedale domenica 9 febbraio ed è stata accolta dal Direttore Generale, il Prof. Aldo Morrone insieme a Sua Ecc. Mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo inca-ricato per la Pastorale della Salute per la Diocesi di Roma, che ha presieduto alla Concelebrazione delle 10.30 nella Chiesa “Salus Infirmorum”. La Reli-quia del cuore è passata in quasi tutti i reparti dell’ospedale, con momenti di preghiera, celebrazioni e riflessioni, animate dai cappellani, in collabo-razione con gli operatori sanitari e le varie Associazioni e gruppi di preghiera.

Sotto la protezione della Beata Vergine Maria di Lourdes, il cuore di Camillo si è fatto prossimo per e tra i suoi amma-lati. In tanti hanno voluto “accarezzare” il suo cuore, fermarsi per una preghie-ra personale. In tanti hanno chiesto direttamente al gigante della carità di alleviare le proprie sofferenze, di guarire dalle proprie infermità, di essere liberati dai propri affanni.

Partecipata è stata la catechesi per tutti gli operatori sanitari dell’ospe-dale animata da P. Sergio Palumbo, responsabile della cappellania dal tito-lo: “Curare amando, amare curando”. Durante la riflessione è stata sottoline-ata l’importanza di una cura attenta e responsabile che ogni “professionista” della salute ha il dovere di compiere nei confronti di ogni sofferente. (…) Curare amando vuol dire anche solle-vare. Sollevare vuol dire innanzitutto farsi vicini, diventare prossimo. Vicini al cuore dell’altro, ai suoi angoli bui, alle sue facce più difficili da guardare, più fastidiose.

Avvicinarsi senza reticenze e pau-re, come Francesco d’Assisi al lebbroso, come Camillo agli ammalati più gravi, nella capacità e nella stupenda follia di chi sa cogliere l’altro senza remore. E poi chinarsi. Per sollevare devi necessa-riamente chinarti, cambiare prospettiva e livello, inginocchiandoti, perché non ci si può sollevare se non insieme. “Non c’è in un’intera vita cosa più importan-te da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi”. Ma si solleva, anche, dando speranza. La

Roma, ospedale San Camillo. Una paziente bacia la reliquia e sembra aggrapparsi al Santo dei malati.

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speranza è il motore ed il fine di ogni prendersi cura, è ciò che contro tut-to e tutti mi spinge ancora a dire “ne vale la pena”. È in questa prospettiva che Camillo, dopo la sua conversione, vive tutta la sua vita: una celebrazione del prendersi cura dell’altro, la persona malata, “con la tenerezza di una madre”.

La comunità ospedaliera ha par-tecipato, insieme a tutta la diocesi di Roma, alla Concelebrazione Eucaristi-ca del’11 Febbraio presso la Basilica di

San Giovanni in Laterano presieduta dal Vicario Generale di Sua Santità il Cardinale Agostino Vallini.

La Reliquia del cuore è stata infine accompagnata mercoledì 12 febbraio presso il Centro di cure palliative Fonda-zione Roma Hospice - SLA - Alzheimer, dove i cappellani camilliani dell’O-spedale San Camillo, hanno da poco avviato una collaborazione di volonta-riato per assicurare l’assistenza religiosa e spirituale agli ospiti del Centro. Un luogo nel quale la virtù teologale della speranza si vive celebrando la speranza. Ha presieduto la Celebrazione Eucari-stica Mons. Andrea Manto, Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Salute.

P. Sergio Palumbo

Roma, ospedale San Camillo. I Concelebranti insieme a Mons. Lorenzo Leuzzi e il Direttore Generale, Aldo Prof. Morrone.

tHAIWAN - 80° CoMPLEANNo DI P. ANtoNIo DIDoNè

Lotung, 8 dicembre 2013

P. Giovanni Rizzi, P. Giuseppe Didoné e Fr. Davide Cattaneo, a nome di tutta la Comunità, degli Operatori Sanitari e degli Amici, formulano preghiere, ringraziamenti ed auguri a P. Antonio che ha fatto dei suoi 80 anni di Religioso Camilliano e medico, un dono alla Missione di Taiwan. P. Antonio, dalla sua carrozzina, ringrazia con un sorriso!

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DoPo QUASI 400 ANNI SAN CAMILLo toRNA ALL’oSPEDALE SAN GIoVANNI DI RoMA

Il Cuore di Camillo, in pellegri-naggio lungo lo stivale, è giunto all’O-spedale San Giovanni-Addolorata di Roma nella mattina del 28 marzo scor-so, dopo una sosta al Policlinico mili-tare “Celio” di Roma in occasione del 40° anniversario della proclamazione di San Camillo a Patrono della Sanità militare.

La presenza della Reliquia ha susci-tato un benefico movimento coinvol-gendo tutte le realtà presenti nel noso-comio. Malati, personale sanitario e amministrativo, volontari, allievi infer-mieri, seminaristi ecc. hanno potuto auscultare i battiti di un cuore ardente di carità lasciandosi raggiungere dall’e-

sempio del Gigante che ha vissuto la carità con viscere di misericordia.

Consegnato dalle autorità del “Celio” e dal cappellano militare, l’ac-coglienza del Cuore ha visto presenti la Direzione sanitaria, medici, infermie-ri, ausiliari, malati, volontari, allievi infermieri, gente di passaggio incurio-siti dall’evento, oltre ai cappellani, le

Suore Ospedaliere della Misericordia e rappresentanti della Grande Famiglia Camilliana. In ognuno ha suscitato stu-pore e meraviglia.

Nella solenne Celebrazione Eucari-stica, Mons. Andrea Manto, Direttore del Centro per la pastorale della salu-te per la Diocesi di Roma, ha indica-to San Camillo quale eccelso patrono per i malati e modello nel servizio degli infermi. «San Camillo – ha detto Mons.

Roma, ospedale San Giovanni. Il Superiore, P. Antonio Marzano, Confratelli e giovani studenti fanno corona al Cuore di San Camillo.

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Manto – con la sua parola e il suo esem-pio, insegna a tutti noi il modo in cui servire gli infermi, e ci invita a riscoprire i profondi motivi che ci spingono a fare dell’assistenza un’opera della carità».

Nei giorni della presenza del Cuo-re, la Cappellania insieme al Consiglio pastorale ha offerto un nutrito program-ma con spazi di preghiera (personale e comunitaria), catechesi (per operatori sanitari, volontari, religiosi e religiose presenti in ospedale, allievi delle scuole infermieristiche), momenti indirizzati a singoli gruppi, come al Pontificio Semi-nario Maggiore Romano, alla Comunità Gesù Ama, ai pellegrini del Beato Ange-lo Paoli, oltre al passaggio della Reliquia nelle corsie dell’Ospedale e la preparazio-ne di sussidi liturgici e divulgativi.

I vari momenti sono stati opportuni-tà, mezzi o strumenti di un incontro tra San Camillo e quanti operano nel campo della salute al fine di sentire la sua pre-senza viva e palpitante ed incoraggiare a servire il malato “come una madre assiste il suo unico figlio infermo”. Nell’incontro con Camillo i malati hanno scoperto un compagno di viaggio per affrontare con coraggio e fiducia la stagione della malat-tia e una presenza amica per colmare la solitudine; i familiari hanno trovato un sostegno ed una spalla su cui affidare pre-occupazioni, fatiche, lacrime e speranze.

Il pellegrinaggio si è concluso lune-dì 31 marzo con una veglia di preghiera per ringraziare il Signore, per intercedere per coloro che hanno consegnato a San Camillo le proprie intenzioni di preghiera e per chiedere un cuore tenero e docile come lo è stato il Cuore di Camillo.

L’onda evangelica – come qualcuno ha definito la sosta del Cuore – che ha “investito” la struttura ospedaliera ha testimoniato che Gesù continua a sen-

tirsi torcere il cuore e spezzarsi l’anima di fronte al malato, al povero, a colui che vive senza lievito o senza sale, a far-si vicino incoraggiando uomini e donne “pii et dabbene, che volontariamente, per amore di Dio” si accostino al malcapitato, ferito nel corpo e nello spirito, per offrire una presenza, un aiuto.

P. Antonio Marzano

IN RICoRDo DI P. GIoVANNI MARIA RoSSI

15 febbraio, San Giuliano (VR) - Il Coro Santa Cecilia di Fumane (VR), fondato da P. Giovanni Maria Rossi,

anima la liturgia con i canti di P. Giovanni facendo memoria dei 10 anni dalla sua morte.

Dal Mondo Camilliano

Se tendi l’orecchio percepisci la sua armo-niosa presenza; se entri in una Chiesa senti ancora i suoi canti liturgici e la sua voce gio-iosa; se incontri qualche cantore dei numero-si Cori da lui fondati e diretti, ti confermano che P. Giovanni Maria Rossi è più che mai vivo nella sua musica e nel messaggio gioioso di speranza che ci ha trasmesso. Alcuni Cori Parrocchiali e non, lo hanno voluto ricordare e ‘celebrare’ nel decimo anniversario della sua morte: Bologna, Fumane, Parma ecc. Siamo lieti e riconoscenti e vogliamo sentir-lo vicino anche noi quando intoniamo i suoi canti. Lo rivediamo impegnato alla tastiera o a dirigere l’assemble. P. Giovanni Maria Rossi è stato un ‘piccolo’ ma ‘grande mae-stro’ che ci ha trasmesso la bellezza della musica e del canto. (p.c.v.)

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GIoRNAtA MoNDIALE DEL MALAto Maumere, Flores, Indonesia - 11 febbraio 2014

La prima delle varie iniziative che la Delegazione Camilliana dell’Indonesia ha promosso nel 2014 per ricordare i 400 anni della morte di San Camillo, è stata la Giornata Mondiale del mala-to celebrata nell’ospedale governativo di Maumere, isola di Flores. L’ha pre-sieduta nella cappella dedicata a San Camillo, il vescovo della diocesi, Mons. Kherubim Pareira.

La cerimonia liturgica con l’unzione dei malati, è stata, inoltre, trasmessa in diretta, per la prima volta, dalla Radio locale, “Rogate” e ha visto la viva e sen-tita partecipazione di più 300 persone tra malati, personale e familiari.

La celebrazione, che per ragioni pastorale è stata anticipata a domeni-ca 9 Febbraio, è stata animata dai nostri 36 seminaristi e da un coro cittadino di volontari. Sono felice di poter costata-re, ha affermato il Vescovo nel suo mes-saggio, che la presenza dei missionari Camilliani con il loro carisma di servi-zio ai malati sta portando un contributo nuovo in diocesi. Il loro servizio pastora-le non solo qui nell’ospedale della città, ma anche nei due ospedali cattolici della diocesi – ha aggiunto – mi ha fatto giun-gere commenti molto positivi.

Per questo, desidero ringraziarli sentitamente per il loro contributo nel far conoscere ai nostri sacerdoti e alle

nostre parrocchia l’importanza di que-sto ministero che Gesù ha privilegia-to durante la sua missione. Esprimo il desiderio, ha poi detto, che il prossimo anno, questa celebrazione venga fatta anche nella nostra cattedrale per far partecipare e interessare maggiormente la diocesi, i parroci, le famiglie e i grup-pi di volontari alla pastorale dei malati.

Al termine della celebrazione, è sta-to commovente accompagnare il vesco-vo nella visita agli ammalati di alcuni reparti e amministrare il sacramento dell’unzione dei malati. Per molti di loro era la prima volta che potevano incontrare e parlare con il vescovo e, a motivo di ciò, tante mamme erano commosse fino alle lacrime.

La storia dei Camilliani in Indone-sia è iniziata solo 4 anni fa e, attualmen-te, il seminario raccoglie una quaranti-na di seminaristi. Il servizio nell’ospe-dale della città, invece, ha avuto inizio l’8 Dicembre 2011 e, solo dopo alcuni mesi, la cappella dell’ospedale, su sug-gerimento dell’amministrazione, è sta-ta dedicata a San Camillo. È la prima chiesa in Indonesia che porta il nome del protettore dei malati.

È bello constatare come i nostri missionari, solo dopo pochi anni, sia-no riusciti ad animare positivamente la pastorale sanitaria non solo negli ospedali della città, ma ora anche nella diocesi di Maumere. L’Indonesia è il più grande paese mussulmano del mondo e il cammino sarà ancora lungo, ma “tut-to è possibile a chi crede” con lo spirito di carità lasciatoci da San Camillo.

P. Luigi Galvani

Il Vescovo, Mons. Kherubin Pareira, presiede la Celebrazione con P. Luigi Galvani ed amministra l’Unzione degli Infermi.

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IV CENtENARIo DEL “DIES NAtALIS” DI SAN CAMILLo.MESSINA RICoRDA!

Il IV centenario di San Camillo continua ad essere celebrato, con il dovuto impegno, dalla comunità par-rocchiale camilliana di Messina e da tanti devoti del gigante della carità, che fu il Santo dalla “croce rossa”. In tale contesto, si è tenuto venerdì 7 marzo 2014, alle ore 16.00, il primo dei tre convegni organizzati dal comitato diocesano delle celebrazioni, presieduto dal parroco P. Pietro Petrosillo.

Questo convegno dal titolo “I mini-stri degli infermi a Messina. Aspetti storici della presenza in città di San Camillo e dell’Ordine da lui fondato”, ha approfon-dito i quattro secoli della lunga presenza camilliana, non solamente a Messina ma in tutta la Sicilia.

Celebrato nel “Salone delle bandie-re” della sede comunale, il convegno si è aperto con il saluto del Vice Sindaco, Dott. Guido Signorino che ha mani-festato l’interesse dell’intero Consiglio

comunale e di tutta la cittadinanza per San Camillo, che dal 1750 è stato pro-clamato dal Senato cittadino “Patrono Speciale” della Città di Messina. Mes-sina, ‘Salone delle bandiere’.

La qualità delle relazioni e la par-tecipazione attiva di numerosi studio-si universitari e degli addetti ai lavori, hanno saputo suscitare e catturare l’at-tenzione e l’interesse del nutrito pubbli-co presente.

Il secondo convegno sugli “ Aspetti medici ed etici del carisma di San Camillo” si è svolto venerdì 14 marzo, alle ore 16.00, presso il salone dell’Ordine dei Medici di Messina, con, in apertura, il saluto del Presidente dell’Ordine, il Dott. Giacomo Caudo.

La serie dei convegni si concluderà il 16 maggio presso l’Istituto teologico San Tommaso di Messina con l’ultimo convegno sul tema: “Aspetti teologici, spirituali e pastorali del carisma camillia-

Messina, Salone delle bandiere. Primo dei tre Convegni programmati per la Celebrazione del 400° di San Camillo.

Messina, Salone dell’ordine dei Medici.Parte dell’attenta assemblea al 2° convegno su San Camillo.

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no nel mondo e nella chiesa della Nuova Evangelizzazione”. Nella preparazione di questi convegni, la necessità di appro-fondimento e di rivitalizzazione della spiritualità di San Camillo a Messina si è simbolicamente abbinata alla scel-ta dei luoghi, in modo che ciò che si può dire oggi di Camillo de Lellis trovi agganci di concretezza.

Possiamo dire che dall’apertura dell’Anno giubilare, il 14 luglio 2013, con la solenne Concelebrazione euca-

ristica, presieduta dell’Arcivescovo di Messina Mons. Calogero La Piana, nel-la nostra chiesa parrocchiale dedicata al Santo, le numerose iniziative cele-brative proseguono meravigliosamen-te bene. Speriamo che tutto questo e, soprattutto, le ricchissime relazioni dei convegni confluiscano in documento ricordo come patrimonio per le genera-zioni future.

P. Médard Aboué

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CoNVEGNo PER LA G.M.M. E IL 400° DI S. CAMILLo“PIU’ CUoRE IN QUELLE MANI” ospedale Ca’ Foncello di treviso

Presentazione La celebrazione del quarto cen-

tenario della morte di San Camillo è un’occasione quanto mai propizia per riflettere sull’importanza che riveste il tema dell’umanizzazione delle strutture sanitarie.

Il nostro tempo ha conosciuto, in questi ultimi decenni, un progresso tec-nico-scientifico davvero straordinario.

Tuttavia, questo non è sempre stato accompagnato da un altrettanto ade-guata preparazione umanistica. Certa-mente, dobbiamo tenere presente che le mutate condizioni sociali e politiche hanno creato nuovi rapporti tra Azien-de sanitarie, personale assistenziale e malati. Sono sorti problemi di diversa natura, legati, per esempio, agli orari di lavoro e ultimamente alle ridotte risor-se economiche. Da qui, l’eliminazione di alcuni posti letto negli ospedali e la riduzione del numero del personale.

Oggi, inoltre, l’invecchiamento del-la popolazione ha creato numerose pro-blematiche che hanno portato i Respon-

sabili della salute pubblica ad escogitare nuove strategie di intervento.

La nostra Regione, e la nostra ULSS 9, sotto questo profilo, vanno lodate per tutti i tentativi e le relative soluzioni, finora trovate, anche se incomplete, per venire incontro alle esigenze fon-damentali dell’assistenza.

Il messaggio che San Camillo ci ha lasciato quattrocento anni fa, oggi è più che mai valido.

Si tratta, a mio avviso, di saper andare “oltre l’emergenza sanitaria”, per scorgere i bisogni primari di chi si trova in un letto di ospedale o in una casa di riposo. È la capacità di entrare nell’animo di chi sta vivendo la diffi-cile stagione della malattia e coglierne quelle esigenze interiori che invocano attenzione, ascolto, fiducia, speranza.

Giorni fa, una parente che assisteva la madre morente, ebbe a dirmi: “Padre, devo ringraziare il medico che ha cura-to mia mamma, per il modo con cui l’ha trattata e per le parole con le quali ci consolava; mi è sembrato - riporto testualmente - un vero amico!

È quello che spesso leggiamo sul-le bacheche dei nostri reparti. Sono biglietti semplici, scritti con il cuore, che esprimono la gratitudine per il ser-vizio ricevuto in questa struttura.

Qualcuno mi dirà che non sempre è così. È vero.

Però, se vogliamo celebrare degna-mente questo anniversario e onorare

Treviso - Ospedale Cà Foncello 5 febbraio 2014.P. Luigino zanchetta, moderatore e i relatori del convegno.

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San Camillo, il nostro sforzo sarà quel-lo di mettere in pratica, ogni giorno, le stupende e significative parole che il Santo ripeteva spesso ai suoi confratel-li: “Fratello, più cuore in quelle mani”.

Sì, le strutture talvolta possono essere obsolete, inadeguate, scarse di personale. Le risorse economiche pos-sono mancare, ma la volontà, il deside-rio di andare “oltre”, per metterci dalla parte di chi soffre, devono animare il servizio. A tutti i livelli. È la ragione che ci ha spinto a programmare l’incon-tro di questa sera.

Mi piace terminare con le altre con-solanti parole di San Camillo: “I malati che noi serviamo, con amore, un giorno ci faranno vedere il volto di Dio”.

Ringrazio vivamente tutti i relato-ri che ben volentieri hanno accolto il nostro invito e grazie a voi tutti, che avete aderito numerosi alla nostra ini-ziativa.

P. Luigino zanchetta

SINtESI DELLE RELAzIoNIIl 5 febbraio scorso, presso l’Ospe-

dale Ca’ Foncello di Treviso, il Con-siglio pastorale ospedaliero e l’Ufficio diocesano della Pastorale della salute hanno organizzato un convegno di pre-parazione della 22a Giornata mondiale del malato, nel 400° Anniversario della morte di San Camillo.

Si è trattato il tema: “Più cuore in quelle mani” e sono intervenuti Padre Angelo Brusco, con una riflessione sugli “Aspetti innovativi della Scuola di cari-tà di San Camillo de Lellis”, assieme al Professor Silvio Brusaferro, ordinario di Igiene presso l’Università di Udine,

con la relazione “La salute al centro del nostro futuro”.

Padre Luigino Zanchetta, Superiore della Comunità dei Padri Camilliani e Responsabile della Cappellania, ha pre-sentato il convegno e sottolineato l’at-tualità del messaggio di San Camillo, che si rivolge con particolare attenzione alla persona del malato.

Il Direttore generale dell’USSL 9, il Dottor Giorgio Roberti, ha portato il suo saluto ringraziando gli organizzatori dell’iniziativa e ribadendo l’importanza dell’umanizzazione delle cure al cen-tro della programmazione dell’Azienda ospedaliera.

Ha portato il suo saluto, a nome del Vescovo di Treviso Mons. Gianfranco Agostino Gardin, Monsignor Giusep-pe Rizzo Vicario generale, cui ha fat-to seguito il saluto della Professoressa Daniela Costantini, Presidente dell’As-sociazione AVO di Treviso. Il Dottor Umberto Gasparotto, Presidente del Comitato di Bioetica dell’Ospedale ha moderato l’incontro.

Angelo Brusco ha preso la paro-la citando il teologo Hans Urs Von Balthasar : “Lo Spirito Santo, tutto d’un tratto, mette in luce delle cose già note, ma sulle quali non si è mai riflettuto veramente… ed Egli si avva-le della testimonianza di alcuni santi”. San Francesco ha fatto comprendere la povertà di Cristo, Sant’Agostino l’amo-re di Dio, Sant’Ignazio l’obbedienza di Cristo al Padre, ecc.

Nessuno o pochi, prima di San Camillo, avevano penetrato nel loro significato più profondo le parole di Gesù: “Ero malato e mi avete visitato”. Camillo l’ha fatto con il tocco della per-sonalità e dell’impulso ricevuto da Dio;

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per questo Benedetto XVI ha dichiara-to San Camillo iniziatore di una nuova Scuola di carità.

Nonostante il progresso della scien-za e della tecnologia medica, i princìpi umani e spirituali della filosofia assi-stenziale di San Camillo mantengono tutta la loro attualità. Questi gli ele-menti innovativi della Scuola:

•Lacentralitàdelmalato:“signoree padrone” di quanti lo assistono. Gesù, nel suo insegnamento, non solo appare modello di terapeuta, ma è presente in ogni persona che soffre. San Camillo ha affermato, con insistenza, la centralità del malato e ne ha indicato la modalità per onorarla nella pratica.

•Ilcoinvolgimentoaffettivo:chiassiste o cura non solo deve incontrare il malato nella globalità della sua perso-na, ma deve anche avvicinarsi a lui con la globalità del suo essere, conoscen-za, affettività, tecnica e amore tenero e compassionevole. Nel modo di assi-stere i malati, promosso e praticato da

Camillo, è possibile notare una felice sintesi del curare e prendersi cura, di cui si parla e si scrive molto ai nostri giorni.

• La vulnerabilità a servizio delmalato: nella pratica sanitaria e pasto-rale non è possibile accogliere la fra-gilità e curare le ferite dell’altro senza aver prima accolto la propria. Dice Carl Jung: “Solo il dottore ferito può guarire, sia egli medico o sacerdote”.

•Lalibertàreligiosadelmalato:San Camillo ha superato la visione pastorale del suo tempo, che proibiva di curare i malati se prima non avessero ricevuto i sacramenti. Egli ha afferma-to che i malati prima dovevano esse-re curati e poi preparati ai sacramenti, qualora ne avessero avuto bisogno e se acconsentivano ad accedervi.

È possibile rendersi conto dello spirito innovatore di San Camillo, se si pensa che “il diritto della persona umana alla libertà civile e sociale in materia di religione” è stato dichiarato solennemente solo nel 1965, in

Ospedale Cà Foncello (TV). Gli attenti auditori al convegno “Più cuore in quelle mani”.

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occasione del Concilio Vaticano II.Padre Brusco ha concluso ricordan-

do Sant’Agostino: “I tempi sono 3: il presente del passato, il presente del pre-sente, il presente del futuro. Il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro è l’attesa” (Confessioni XI).

Ricordando il 4° Centenario della morte di San Camillo, è utile dare uno sguardo al passato, facendo memoria di quanto da lui compiuto nella cari-tà verso chi soffre, uno sguardo che ci riporta al presente su come noi vivia-mo il Comandamento dell’amore verso i malati, per attivare speranze e con-tinuare un cammino di crescita sulle orme di Cristo, divino samaritano delle anime e dei corpi.

Il Professor Brusaferro ha poi spie-gato lo scenario della Sanità di oggi ed il concetto di salute/felicità. L’individuo è promotore della propria salute. Nella vita il riscontro di patologie è inevitabi-le, quindi è necessario imparare a con-vivere con la precaria condizione della vita umana, cercando però di trovare delle soluzioni.

Cambia lo scenario della patologia. Sono più frequenti le patologie menta-li, cardiache, traumatiche da incidenti di varia natura. Storicamente, all’ini-zio del ‘900, i poveri si curavano negli ospedali, i ricchi a casa. Oggi il discorso di “equità sociale” fa la differenza sulla possibilità di prolungamento della vita da parte di tutti. Nella rete sociale la persona vive meglio e più a lungo, men-tre la persona sola e isolata vive male. È dunque un’esigenza primaria incenti-vare la equità-solidarietà, la salvaguar-dia della salute, la promozione della progettazione sanitaria. Dal ‘900 in poi

l’umanità ha raddoppiato la vita media. Su questo ha inciso anche la promozio-ne della cultura e la formazione di gio-vani e adulti, specie delle donne, che sono le educatrici dell’umanità e coloro che particolarmente si prendono cura dell’uomo.

È importante ribadire che le opere ecclesiali hanno dimostrato una grande capacità di intercettare i bisogni socio-sanitari. Produrre salute significa avere una particolare visione sociale, non solo “somministrare un’Aspirina”! La cura della salute è requisito irrinunciabile per la crescita di un Paese. È recente la normativa europea di libera circolazione dei pazienti nelle strutture sanitarie di tutta Europa.

Requisiti importanti sono: mani-festare la massima trasparenza nella conduzione delle attività; promuovere l’alfabetizzazione sanitaria, ossia spiega-re quanto viene fatto; incentivare una sana e corretta informazione sulla salu-te; conviene quindi investire in qualità e fare le cose bene, perché costa persino meno!

In Italia, rispetto ad altri Paesi euro-pei, si può dire che vengono ancora sal-vaguardati certi valori etici, oltre alla tutela delle reti tra le micro-comunità e la creazione di sistema sociale. Nella gestione della salute ciascuno è chia-mato ad essere protagonista-leader, a manifestare la sua sensibilità e profes-sionalità. Ha senso dire che i bisogni sono visti da persone “profetiche”. È indispensabile che tutti si impegnino nel bene con gesti quotidiani. È sem-pre vero il detto che “i valori guidano i sogni”!

P. Giovanni Stragliotto

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CAMILLo GIGANtE DELLA CARItà toRNA A BUCCHIANICo CoN IL SUo CRoCIFISSo

Siamo nell’agosto del 1582 e Camil-lo de Lellis, nominato Maestro di casa dell’ospedale “San Giacomo degli Incu-rabili” di Roma, è intento a riformare l’assistenza agli infermi. Cominciano però le prime difficoltà. Come spesso accade, non tutti sono propensi alle riforme e diversi cercano di ostacolarlo: lo accusano di volersi impossessare del comando totale dell’ospedale, e alcuni ignoti disfano il piccolo oratorio che lui e i suoi primi compagni hanno allesti-to in una stanza dell’ospedale. Camillo è così scoraggiato che è sul punto di abbandonare l’iniziativa che ha nel cuo-re, la sua opera di carità. Ma, mentre sta per crollare sotto un peso che non riesce a sostenere, il Crocifisso che custodiva nell’oratorio in cui pregava insieme ai suoi compagni, animandosi, stacca le braccia dalla croce e gli si rivolge con le parole: “Di che t’affliggi, pusillani-me? Continua ch’io ti aiuterò, perché questa è opera mia e non tua! “. Da

quel momento nulla potrà più fermarlo. Ora, in occasione delle celebrazioni

dei 400 anni della morte di San Camil-lo (1614-2014), quel Crocifisso che lo confortò - l’originale - sarà a Bucchiani-co dal 5 al 13 aprile. Fortemente voluta dal Comitato giubilare San Camillo de Lellis 2014 e dai religiosi Camilliani, la permanenza di questa importante Reli-quia a Bucchianico avverrà nella setti-mana che dalla V domenica di Quare-sima ci porterà alla domenica delle Pal-me, a vivere cioè la domenica della Pas-sione del Signore. Un ulteriore stimolo, questo, a dare un’impronta spirituale, oltre che fortemente emotiva, all’even-to. Tanti saranno gli appuntamenti, in particolare i momenti di preghiera alla presenza del Crocifisso miracoloso, che si susseguiranno durante tutta la setti-mana.

Umberto Saraullo

Il Crocifisso che parlò a San Camillo accolto processionalmente a Bucchianico.

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ANNo GIUBILARE CAMILLIANo A NAPoLI

Continuano le celebrazioni Continuano le celebrazioni giubi-

lari in onore di san Camillo de Lellis, santo della Carità e patrono dei malati, degli operatori sanitari, degli ospeda-li e della sanità militare. I Camilliani presenti a Napoli, in unione all’ufficio della Pastorale della Salute nella per-sona di don Leonardo Zeccolella, han-no programmato una serie di appunta-menti che, tra l’altro, vedranno l’arrivo della reliquia del Cuore di san Camillo, proveniente da Roma, dov’è custodita nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Campo Marzio, luogo dove Camillo rese la vita a Dio il 14 luglio 1614.

Il Santo, abruzzese di nascita, apo-

stolo di carità nella Capitale, è lega-to profondamente anche alla città di Napoli che visitò più volte, dandosi con i suoi confratelli alla cura dei malati negli antichi ospedali dell’Annunziata e degli Incurabili.

Come ricordava anche il Cardinale Crescenzio Sepe nella sua lettera del 28 giugno 2013 indirizzata ai Camilliani, è veramente forte il legame tra l’Or-dine religioso e la città partenopea. A Napoli san Camillo giunse addirittura prima della sua conversione, nel 1574: era un giovane soldato di ventura preso dal vizio del gioco, e non lontano dal porto, si giocò tutto, finanche i vestiti che in quel momento indossava.

GMG A BUCCHIANICo

Anche quest’anno i giovani della nostra diocesi si ritrove-ranno per la Giornata mondiale della gioventù. L’incontro si

terrà a Bucchianico il 12 aprile, in occasione del IV centenario della morte di san Camillo de Lellis. La sua testimonianza di vita

aiuterà i giovani a vivere meglio nello spirito delle Beatitudini il messaggio di Papa Francesco per questa XXIX edizione: «Beati i

poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli » (Mt 5,3). Questo è il programma della giornata.

Alle ore 16.00 accoglienza dei giovani in piazza San Camil-lo de Lellis; ore 16.30 presentazione della Gmg. Saluto dell’ar-civescovo, dei padri Camilliani e del Sindaco; ore 17.00 sulla via della felicità e dell’amore con San Camillo (visita guidata

al santuario e alla casa natale).Festa, testimonianze e confessioni; ore 18.30 preghiera pre-

sieduta dall’arcivescovo; ore 19.30 musical “Camillo, soldato di Dio”; ore 21.30 Notte bianca al santuario. Per quanti vorranno,

ci sarà la possibilità di prolungare la propria preghiera e di approfondire la visita dei luoghi legati al Santo fino a notte fonda. In caso di maltempo, la manifestazione si svolgerà nel palazzetto dello sport.

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Nell’ambito della Diocesi, i Religio-si Camilliani continuano ancora oggi la vicinanza ai sofferenti, in particolare nelle cappellanie degli ospedali “Pasca-le”, “Monaldi” e “Policlinico Federico II”, presso l’antica chiesa del Divino Amore a via San Biagio dei Librai in collaborazione con le Suore dell’Assun-zione, nonché a Casoria e a San Giorgio a Cremano.

Ecco i prossimi appuntamenti

Domenica 23 marzo, ore 18.00: il camilliano Alfredo M. Tortorella rice-verà l’Ordinazione Diaconale per la mani del Vescovo Ausiliare S.E. Mons. Lucio Lemmo, presso la Parrocchia “Santa Maria delle Grazie” in Melito di Napoli (NA).

Prima tappa del pellegrinaggio della reliquia del Cuore di san Camillo presso gli Ospedali:

Lunedì 7 aprileNel pomeriggio, arrivo all’Ospedale “Santa Maria della Pietà” a Casoria;

Martedì 8 aprileIn mattinata, arrivo presso la cappella dell’Ospedale “Pascale”;

Mercoledì 9 aprileIn mattinata, arrivo presso la cappella Madonna di Lourdes - Edificio 6,dell’Ospedale “Policlinico Federico II”;

Giovedì 10 aprileIn mattinata, arrivo presso la cappella del Crocifisso dell’Ospedale “Monaldi”;

Venerdì 11 aprileIn mattinata, arrivo presso la cappella dell’Ospedale “Cardarelli”. Fine della prima tappa a Napoli.

Lunedì 14 aprilePrecetto pasquale con i commercianti di via San Biagio dei Librai presso la chiesa del Divino Amore. Ore 18.00, Santa Messa e preghiera per i sofferenti.

Sabato 3 maggioGiornata di Fraternità e Formazione presso l’Istituto “San Camillo” a San Giorgio a Cremano con padre Germano Policante, camillianoe docente di Sociologia Sanitaria al “Camillianum”. La giornata è aperta alle realtà di volontariato che operano accanto ai sofferenti: Famiglia Camilliana Laica, Volontari.

Mercoledì 14 maggioOre 18.30 Santa Messa e preghiera per i sofferenti presso la chiesa del Divino Amore.

Dal 22 maggio al 7 giugnoPresso la chiesa del Divino Amore, sarà presente una mostra d’arte su “Il Gigante della Carità” della Compagnia Artisti di Sansepolcro.La mostra è visitabile il martedì, giovedì e sabato dalle 9 alle 12.

Sabato 24 maggioOre 10, Convegno diocesano per i Cappellani ospedalieri di Napoli presso la Curia Arcivescovile, alla presenza del Cardinale Sepe.Il tema del Convegno sarà proposto da padre Giuseppe Cinà, camilliano e docente di Pastorale della Salute al Camillianum”, e verterà sulla figura di san Camillo, quale modello sacerdotale di assistenza a chi soffre.

Mercoledì 11 giugnoOre 18.30 Santa Messa e preghiera per i sofferenti presso la chiesa del Divino Amore.

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SAN CAMILLo PAtRoNo DELLA SANItà MILItARE 40° ANNIVERSARIo

Il primo contatto dei camilliani con “la sanità militare” risale al 2 giugno del 1595. Allora fu Papa Clemente VIII a richiedere 8 religiosi che andassero a seguito di una spedizione militare contro i Turchi a Strigonia (Gran) in Ungheria, con il compito di prestare i necessari soccorsi a malati e feriti. Gli inviati assolsero il loro compito in modo lodevole; uno di loro fr. Anni-bale Montagnoli, sfinito dalle fatiche, spirò su un cariaggio in Ungheria. Con la bolla « », oltre agli otto ministri degli infermi, il Papa fece accompagnare le truppe da otto cappuccini e otto gesuiti, concedendo a tutti facoltà e privilegi speciali.

Seconda tappa del pellegrinaggio della reliquia del Cuore di San Camillo:

Domenica 15 giugno: Ore 18.30 Santa Messa presso la Basilica “Maria Santissima del Buon Consiglio” a Capodimonte, presieduta da S. E. Mons. Lucio

Lemmo, Vescovo Ausiliare di Napoli. Sono invitati, oltre alla Grande Famiglia di San Camillo, gli operatori sanitari e le Associazioni di Volontariato ospedaliero e caritativo presenti in Diocesi.

Alfredo. M. tortorella

Fu Papa Paolo VI che il 27 marzo 1974 proclamò San Camillo de Lellis “Patrono particolare della sanità militare italiana”.

A sinistra: Il Vicario Generale, P. Paolo Guarise nella celebrazione del 40°di San Camillo Patrono della Sanità militare con Autorità militari e religiose.

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Celebrazioni al policlinico militare ‘’Celio’’ di Roma:

Il policlinico militare ‘’Celio’’ di Roma organizza tre giorni di celebra-zioni, in collaborazione con l’Ordine dei Ministri degli Infermi.

Si comincerà mercoledì 26 marzo, alle 9.00, con l’accoglienza della reli-quia del cuore di san Camillo, a cui seguirà una conferenza su ‘’San Camillo ieri e oggi’’, tenuta dal vicario generale dell’Ordine padre Paolo Guarise.

Alle ore 15.00 il direttore del Cen-tro diocesano per la Pastorale sanitaria

di Roma, monsignor Andrea Manto, presiederà una celebrazione eucaristi-ca; alle 20.30 è prevista una Veglia di preghiera.

Giovedì 27 marzo alle ore 11.00 sarà l’arcivescovo ordinario militare per l’I-talia monsignor Santo Marcianò a cele-brare una messa solenne, mentre nel pomeriggio la reliquia andrà in proces-sione per le corsie dell’ospedale.

Venerdì 28 marzo, in mattinata la

reliquia del cuore lascerà il Policlinico Celio per raggiungere l’ospedale “San Giovanni” di Roma.

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TORINO: ‘LA SAN CAMILLO’, uNA SQuADRA ChE VINCE!

Si comunica (con orgoglio) che la squadra del San Camillo ha vinto anche la II edizione del triangolare di calcio organizzato dal Presidio Fatebenefratel-li con la partecipazione dell’Ospedale Koelliker. San Camillo - vs Koelliker: 7-1 San Camillo - vs Fatebenefra-tell: (0-0) 5-4 dopo i calci di rigore.

Si ringraziano: Valerio, Gianluca R., Carmelo, Gianluca S., Adrian, Alber-to, Max, Gianluca M., Andrea, Alessio, Giovanni e Gianluca S. Un ringrazia-mento particolare anche agli allenatori Dott. Paolo Bruni e Roberto Garbolino. In attesa di nuovi successi... Forza San Camillo!

una foto storica: la squadra ‘San Camillo’ con tifosi e simpatizzanti dopo la trionfale vincita del secondo torneo torinese.

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CoN I CAMILLIANI IN GIoRGIA

Appunti di viaggio

Il centro San Camillo di Tblisi è un’opera complessa, alla quale collabo-rano religiosi e laici, giorno per giorno, a beneficio dei poveri della periferia della capitale.

Tblisi è una grande città che supera il milione di abitanti. Nella sua parte storica offre al visitatore luoghi e scor-ci incantevoli, dove la presenza di una sinagoga, una moschea, chiese armene, ortodosse e romane, getta in un tempo remoto le fondamenta di una pacifica convivenza tra forme di spiritualità diverse.

Nel centro piazze, negozi, parchi e passeggiate sono quelli di una classica città capitale.

La periferia invece, dove sorge il centro San Camillo, è fatta di gigan-teschi palazzi grigi, macchine scassate, donne anziane sedute sul marciapiede con davanti tre ceste di lattuga e due pacchetti di sigarette, in vendita per un soldo. Branchi di cani randagi che vaga-bondano nei parchi e lungo le strade in cerca di cibo. Un traffico pazzesco, immondizia, parabole alle finestre e sui tetti, miseri panni stesi e sacchetti di plastica impigliati ai rami degli alberi che, tra gli stenti comuni ad animali e uomini, cercano di rispondere al richia-mo della primavera che avanza.

I Camilliani sono presenti qui con un policlinico per visite specialistiche ed esami di laboratorio, e il centro diur-no per ragazzi disabili. Questi servizi sono a disposizione di tutti gli abitanti di Tblisi, la cui particolare situazione familiare ed economica ha portato a

contatto con l’opera camilliana, anche attraverso un ufficio di servizio sociale presente all’interno del policlinico.

La giornata al centro diurno comin-cia alle nove, quando arrivano i ragazzi, e si fa colazione insieme. Poi ognuno trova un’occupazione adatta al suo livello di autonomia e inclinazione: le ragazze hanno a disposizione dei labora-tori dove, con l’aiuto di brave assistenti dipingono, ricamano e creano oggetti; i ragazzi, aiutati da un educatore, scendo-no al piano inferiore nella falegname-ria, dove possono sfogarsi martellando chiodi, segando e incollando pezzi di legno, o magari prendendo uno dei pal-loni dall’armadio per andare a giocare nel campetto fuori, ora che cominciano le belle giornate!

Per tutti è cominciato a metà feb-braio il corso di ballo. I ragazzi in carroz-zella sono aiutati nelle coreografie dai volontari e animati dall’allegria delle suore e delle maestre!

Chi, per motivi familiari, non può lavarsi a casa, durante la giornata utiliz-za i bagni del centro per fare la doccia con l’aiuto di infermiere e volontari; a seconda dei problemi personali poi i ragazzi hanno a disposizione una pale-stra di fisiokinesiterapia e sono seguiti da due logopediste.

Mi ha colpito la storia di Giorgi, un ragazzo che ho conosciuto pochi giorni fa, seguendo le lezioni di Olga, una del-le logopediste.

“Giorgi viene dalla città due volte la settimana. Era un ragazzo sano - mi ha detto Olga - . Oggi ha 23 anni ed era

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un soldato. Quattro anni fa, attraver-sando la strada, è stato travolto da una macchina”.

Oggi Giorgi è seduto in carrozzina, può utilizzare solo la mano destra men-tre le dita della mano sinistra rimango-no prevalentemente chiuse a pugno. Giorgi è un ragazzo che ha conservato l’esuberanza della sua età. Dopo esser-ci presentati, mi ha guardato con occhi vivaci e si è portato più volte la mano aperta alla fronte per farmi capire che era un soldato.

Alla fine della lezione è entrato suo padre e si sono abbracciati e baciati. Ho pensato a quanto è dura la vita, a come possono cambiare le cose in un attimo,

all’amore che nonostante tutto li lega profondamente. Alla sera, con due pul-mini, si riportano a casa i ragazzi tra risate e schiamazzi! Queste occasioni permetto-no di vedere dove vivono, in quali con-dizioni, e di conoscere le loro famiglie.

Il mercoledì e il venerdì invece, assieme a un infermiere del policlinico, mi occupo dell’assistenza domiciliare: si tratta di percorrere le strade della peri-feria per andare a casa di persone che i camilliani assistono in modo continua-tivo a causa delle particolari condizioni di vita.

Sono povere persone che che spes-so abitano in case in case spesso buie e fredde. Sempre molto sporche.

Giorgia-Tblisi: Gruppo di ospiti nel Centro diurno per ragazzi disabili.

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La settimana scorsa, per la prima volta, sono stato a casa di un uomo sen-za le gambe e senza un braccio. Il suo nome è Giorgi (San Giorgio è Patrono della nazione. Qui il suo nome è molto comune).

È successo che qualche anno fa ha deciso di attraversare i binari, è inciampato ed é arrivato il treno a tut-ta velocità. Le gambe e un braccio sono rimasti sui binari mentre lui, da sotto il treno, è rimasto fermo a guardare sfilare sopra il suo naso 40 vagoni che intanto gli maciullavano gli arti. “Ha perso 2 litri di sangue ed è vivo per miracolo” mi ha detto Irakli, l’infermiere del poli-clinico.

L’uomo se ne sta tutto il giorno sul divano, su una sudicia coperta, in mez-zo a bicchieri vuoti e cicche di sigaret-ta. Quando ci vede è contento, perché per una volta alla settimana può fare due chiacchiere con qualcuno durante il bagno. Così lo aiutiamo a svestirsi e a lavarsi e lui ci parla della situazione in Georgia, dei vecchi tempi, ci parla di Stalin, della polizia, del comunismo e della dittatura di Mussolini in Italia per farmi sentire partecipe della con-versazione, e mi dice che anche Putin é di origine georgiana, ma che non è orgoglioso delle sue origini … Alla fine lo rivestiamo, lo rimettiamo sul divano e gli diamo appuntamento alla prossima settimana.

“Il servizio non è fatto di cose stra-ordinarie, ma bisogna essere disposti ad entrare in quelle case e condividere un po’ della giornata e dei pesi di quelle persone. «La dittatura comunista – mi ha detto padre Pawel, responsabile della missione – ha costruito questi palazzi innalzati come templi all’ateismo, alla

negazione di ogni bellezza e possibilità di gioia”.

Il poeta americano Allen Ginsberg metteva in guardia i suoi concittadi-ni urlando contro i grattacieli di New York, dove squillano mille telefoni e arrivano montagne di fax, che ingurgi-tano uomini e defecano soldi. Il Moloch del Capitalismo lo chiamava …

Qui invece c’è un altro Moloch: quello che ha cercato di far vivere gli uomini tra l’azzurro del cielo e il ver-de della terra, in mezzo e all’interno di giganteschi palazzoni grigi. L’obiettivo però mi sembra pressappoco lo stesso: togliere la luce dagli occhi, le espressio-ni dai volti, saccheggiare i cuori, piega-re gli uomini perché rimangano buoni davanti a grandi televisori…

Anche oggi il potere politico agisce pericolosamente, negando nei fatti l’in-terdipendenza tra gli individui.

I Camilliani, qui in Georgia, cor-rono su e giù per le scale di quei palaz-zi, con gli handicappati in braccio, nel cielo terso del mattino, oppure la sera tirandosi dietro le carrozzine quando gli ascensori non funzionano, perché “il loro carisma si esprime e si attua nel-le opere di misericordia verso i mala-ti, seguendo l’esempio di San Camillo, anche a rischio della vita” (Costituzio-ne, Art. 10 e 12) e perché “l’amore si esprime non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”.

La verità di Gesù, ancora e sempre opposta agli slogan urlati nelle piazze, alle parole bisbigliate in un orecchio nei palazzi del potere…

Daniele Mellano volontario

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DoPo QUAttRo SECoLI S. CAMILLo toRNA AD ISCHIA

Il 23 marzo 2014, nell’ambito del-le celebrazioni del IV centenario della morte di S. Camillo de Lellis, si è svolta nella diocesi di Ischia una conferenza su “Il carisma di S. Camillo nel Mon-do”, organizzata da P. Antonio Puca in accordo con Sua Eccellenza, Mons. Pie-tro Lagnese, Vescovo di Ischia, e con la grande disponibilità di don Agostino, parroco di “Santa Maria delle Grazie in San Pietro” Ischia Porto, sede dell’e-vento.

La giornata è stata preceduta da scrupolosa preparazione organizzativa per consentire alla reliquia del Cuore di S. Camillo, custodita nella Parroc-chia di Messina, di giungere sull’isola di Ischia per l’occasione.

La reliquia del Santo ha viaggiato da Messina fino a S. Giorgio a Cremano con Giovanni Campo, Presidente della FCL della Provincia Siculo Napoleta-na, e da S. Giorgio a Cremano fino alla Chiesa S. Maria Delle Grazie in S. Pie-tro di Ischia con P. Antonio Puca.

L’accoglienza della reliquia del Cuore di S. Camillo da parte dei fedeli ischitani è stata calorosa e carica di tan-ta devozione al Santo, che nell’isola ha suscitato molte vocazioni Camilliane nel corso dei secoli passati.

Inutile dire che dell’affetto e della devozione al Santo da parte dei fedeli ha beneficiato anche chi ha consenti-to al Cuore di S. Camillo di giungere in quei luoghi che Egli aveva calpesta-to durante la sua vita terrena. Il breve soggiorno è stato caratterizzato da vero rapporto fraterno, come fra persone che si conoscono da sempre e che vivono gli stessi ideali.

La reliquia del Santo è stata esposta sull’altare maggiore, vicino al quadro di S. Camillo presente in quella chiesa e, per l’occasione, esposto ai piedi dello stesso altare.

La conferenza, con la chiesa gremi-ta di devoti, è iniziata con l’intervento in collegamento via Skipe del camil-liano ischitano missionario in Haiti P. Crescenzo Mazzella, che ha saluta-to familiari e compaesani presenti in chiesa e ha illustrato come il carisma di S. Camillo si attua in quella povera terra lontana, dove la popolazione rie-sce a stento a procurarsi un solo pasto al giorno. Ha confermato che l’opera dei camilliani è apprezzata e richiesta in molte realtà , ma purtroppo i mezzi sono scarsi e le braccia poche.

Chiuso il collegamento con Haiti, ha preso la parola P. Antonio Puca, che ha illustrato, seguito con viva attenzio-ne dai presenti, la vita di S. Camillo e come si è diffuso il suo carisma prima in Italia e poi nel mondo fino ai gior-

Dal Mondo Camilliano

Ischia Porto - P. Antonio Puca con Mons. Pietro Lagnese e il Parroco don Agostino.

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ni nostri. Notevole effetto, in quanti l’ascoltavano, ha suscitato quando, in dialetto napoletano, ha riportato l’epi-sodio di Camillo che a Napoli perdette la “camisella” per pagare un debito di gioco.

Successivamente, il Dott. Giovanni Campo, in qualità di presidente della Famiglia Camilliana Laica della Pro-vincia Siculo-Napoletana, ha illustrato come S. Camillo, fin dalla fondazione del suo istituto, avesse pensato alla collaborazione dei laici formando un gruppo di uomini pii che affiancassero i Ministri degli Infermi nel servizio ai poveri e ai malati, e come solo dopo il Concilio Vaticano II la Famiglia Camil-

liana Laica sia stata istituzionalizzata e si sia diffusa nel mondo.

Infine, ha concluso i lavori della conferenza Sua Eccellenza, Mons. Pie-tro Lagnese, che ha ringraziato il Signo-re che con la presenza della reliquia di S. Camillo e dei camilliani aveva per-messo di riflettere e riscoprire il carisma di questo grande apostolo della carità. Carisma conosciuto nell’isola e fecon-do, avendo suscitato vocazioni di reli-giosi Camilliani.

La giornata si è conclusa con la con-celebrazione Eucaristica di Sua Eccellen-za, Mons. Lagnese, e di P. Puca, animata dai canti del coro parrocchiale, e con il bacio finale della reliquia del Santo.

Giovanni Campo

Ischia Porto.L’intervento del dott. Giovanni Campo, Presidente della F.C.L. Siculo-Napoletana.

Sotto: Ischia, Concelebrazione presieduta da Mons. Lagnese e P. Antonio Puca.

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MISSIoNE CAMILLIANA PER I MALAtI 15-18 MAGGIo 2014Parrocchia S. Maria Assunta in Montefalcione (AV) Arcidiocesi di Benevento(in occasione della festa del compatrono San Feliciano)

Programma Giovedi 15: •Ore17.00:Incontroorganizzativo

dei Missionari (Religiosi Camilliani, Suore Ministre degli Infermi, Ministri straordinari della Comunione);

•Ore19.00:MessadiiniziomissioneConsegna crocette ai missionari

•Ore20.00:AdorazioneEucaristicaparrocchiale animata dai Missionari

Venerdi 16:•Ore8.30: Lodi mattutine in Parrocchia•Ore9.00:partenzaperlecasedegli

infermi. Visite e cenacoli di preghiera•Ore9.30: S. Messa presso la casa di un infermo•Ore12.15: rientro in Parrocchia. Angelus.•Ore13.00:pranzo•Ore16.00:partenzaperlecasedegli

infermi. Visite e cenacoli di preghiera•Ore16.30: S. Messa presso la casa di un infermo•Ore19.00:S.Messapresieduta da un padre Camilliano. •Ore20.15:cena•Ore21.00:IncontrosuCamillo: la conversione di un giovane con Scout

(Reparti e Capi), OFS, Focolarini

Sabato 17:•Ore8.30: Lodi mattutine in Parrocchia

•Ore9.00:partenzaperlecasedegliinfermi. Visite e cenacoli di preghiera

•Ore9.30: S. Messa presso la casa di un infermo•Ore12.15: rientro in Parrocchia. Angelus.•Ore13.00:pranzo•Ore16.00:partenzaperlecasedegli

infermi. Visite e cenacoli di preghiera•Ore16.30: S. Messa presso la casa di un infermo•Ore19.00:S.Messapresieduta da un padre Camilliano. Celebrazione comunitaria dell’Unzione degli Infermi•Ore20.30:cena•Ore21.15:IncontrosuCamillo: la carità cristiana con Caritas, Ministri straordinari della Comunione,

futuro Gruppo della Consolazione

Domenica 18:•Ore8.30:SantaMessaallaCasa di Cura “Le Ville” e alla RSA “Villa Troisi”•Ore10.30:Messaconclusiva della Missione in Parrocchia

Vi aggiungo i siti del Comune di Montefalcione dove troverete indicazio-ni su come raggiungere il paese, e quello della Parrocchia, su cui è stata già pub-blicizzata la Missione. Potete contattar-mi per ogni evenienza. In Cristo

P. Alfredo Maria

Per informazioni:http://www.comune.montefalcione.av.it/Dynamic.aspx?page=23http://www.parrocchiadimontefalcione.it/

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Dal Mondo Camilliano

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QUALCHE NotIzIA “DI FAMIGLIA” DELLA FAMIGLIA CAMILLIANA LAICA.

In preparazione all’Assemblea mondialeMottinello, 18-23 maggio 2014.

Sembra quasi un avvenimento impossibile da attuarsi, convocare così tante persone da molte parti del mon-do, superare difficoltà di vario genere, ma invece, pian piano, ci stiamo pre-parando per celebrare per la terza volta un momento così importante nella vita dell’associazione.

Saremo laici e religiosi, provenienti da diversi Paesi, che, insieme, staremo insieme alcuni giorni: per alcuni sarà l’opportunità di una prima conoscen-za, e, per la maggior parte di noi, sarà approfondire la conoscenza, per met-terci in ascolto reciprocamente anche

attraverso le relazioni dei diversi grup-pi che verranno presentate (anche da parte di qualche gruppo che non rie-sce ad essere presente), per verificare il cammino fin qui compiuto, e guardare avanti, al futuro con speranza.

Il cammino della FCL, come ogni esperienza umana, è fatto di gioie ma anche di fatiche. Ma i laici che hanno incontrato San Camillo, il suo Cari-sma e la sua spiritualità, si impegnano e cercano di rispondere con fede e con speranza alle sfide che la vita pone loro davanti. Insieme alla solidarietà di ogni giorno, alla testimonianza accanto alle

Famiglia Camilliana Laica - f.c.l.

La Presidente mondiale, Rosabianca Carpene con la Famiglia Camilliana Francese

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persone sofferenti, alle quali cerchiamo di essere vicini ogni giorno, i membri della FCL vivono dei momenti comu-nitari, che sono altrettanto importanti per la vita; per esempio nella prossima assemblea dedicheremo un tempo alla revisione di alcuni articoli dello Statuto generale, approvato nel 2001, perché sia sempre più rispondente alle esigenze della vita associativa.

L’assemblea generale della FCL ha compiti elettivi, dovrà eleggere la nuova commissione centrale, che per i prossimi sei anni avrà compiti di guida dell’associazione, di promozione del-la vita associativa attraverso le visite ai diversi gruppi, la partecipazione a incontri nazionali delle “Famiglie”, nel-la fedeltà alla propria vocazione laicale, di persone che condividono il Carisma e la spiritualità di San Camillo, nella fedeltà quotidiana, nel servizio ai soffe-renti e ai poveri. Attraverso la testimo-nianza della vita, ciascuno di noi saprà essere “animatore” della vocazione di persone che sentono di poter rispon-dere all’invito del Signore, facendosi compagni di strada, solidali, attenti a

quanti vivono la difficile stagione della sofferenza.

È una felice coincidenza che possia-mo celebrare la nostra assemblea gene-rale nell’anno giubilare per il quarto centenario della morte di San Camillo. E concluderemo l’assemblea con una celebrazione eucaristica a Roma, nella Chiesa della Maddalena, il 25 maggio, giorno natale di San Camillo.

Invochiamo la Sua benedizione per la prossima assemblea, chiedendo che ci aiuti ad avere “un cuore di madre” verso le persone sofferenti che incontriamo, per essere anche noi tra i suoi figli che sanno farsi “mille braccia” verso ogni sof-ferente.

E, con San Camillo, siamo certi del sostegno e della vicinanza dei religiosi camilliani, che sentiamo accanto a noi come fratelli, perché accompagnino con il ricordo e la preghiera la nostra assemblea: perché sappiamo rinnovar-ci nella fedeltà e continuare il nostro cammino!

Rosabianca Carpene Presidente mondiale

della FCL

San Paolo/Brasile. Rosabianca Carpene, Presidente mondiale, con la Famiglia Camilliana Laica Brasiliana.

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F.C.L. di Piossasco (to) VISItA PAStoRALE DELL’ARCIVESCoVo MoNS. NoSIGLIA Presentazione e Programmi

In occasione della visita pastorale di Mons. Cesare Nosiglia, Arcivesco-vo di torino, anche la Famiglia Camil-liana Laica, quale Associazione carita-tiva, ha partecipato agli incontri ed ha potuto dire a sua Eccellenza chi siamo e che cosa facciamo.

In questo mese di marzo 2014 la Famiglia Camilliana Laica di Piossasco si è trovata a dover gestire alcuni incon-tri che l’hanno un po’ movimentata.

Il primo marzo è stata una giornata di festa e di gioia!

Abbiamo avuto il grande ritiro mensile di formazione, che in questo mese è particolarmente importante e molto sentito da tutti i membri, e abbia-mo rinnovato i nostri voti. Sì, siamo una FCL un po’ particolare perché da molti anni prima che nascesse la FCL mondiale, eravamo già un gruppo di consacrati nella Spiritualità camillia-

na, ma non per questo siamo differen-ti dalle altre FCL del mondo perché, come ci dice il nostro Padre Spiritua-le, P. Mimmo Lovera, tutti i cristiani dovrebbero vivere in modo semplice e non attaccati ai beni del mondo, tutti i cristiani dovrebbero essere casti secon-do il loro stato di vita, e tutti i cristiani dovrebbero essere obbedienti alla voce del Signore, ai suoi Comandamenti, ai suoi Consigli. E, infine, tutti dovreb-bero donarsi al prossimo, soprattutto al prossimo sofferente.

Due giorni dopo, il 3 marzo, alcune di noi sono partite con Padre Gianfran-co Lovera per i due giorni di formazio-ne a Mottinello. Giorni molto densi. Il primo giorno molto tecnico e, a mio parere, per addetti ai lavori, ha comun-que allargato la nostra mentalità sul problema della prevenzione che abbia-mo compreso essere importante anche nel campo dei malati mentali. Il secon-do giorno il dott. Gianni Cervellera ci ha introdotto in maniera magistrale a vedere questo problema dal punto di vista biblico ed evangelico.

In questi due giorni abbiamo gioito nel vedere gli abbracci e la gioia di tutti i Religiosi Camilliani che si rivedevano dopo molto tempo.

L’accoglienza, molto fraterna e tipi-ca camilliana, ci ha fatto sentire che è bello far parte di questa Grande Fami-glia Religiosa!

Alla Grotta, sotto lo sguardo materno della Vergine.I partecipanti della F.C.L. di Piossasco alla “due giorni di formazione” a Mottinello (VI).

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Anche noi Laici abbiamo incontra-to per la prima volta altri membri della FCL del Veneto che ora fanno parte, come noi piemontesi, della medesima Provincia Italiana.

Il 4 marzo siamo rientrati a Piossa-sco. Il Vescovo, Mons. Cesare Nosiglia era già nella nostra zona. Dovevamo prepararci per incontrarlo e farci cono-scere come gruppo attivo nella Parroc-chia nel servizio ai malati e ai poveri.

Per due volte ci siamo incontrati con il Vescovo presentandoci con il nostro stendardo mentre la Vice-presi-dentessa, la dottoressa Rosanna Borello Gugliotta, e suo marito il dottor Tito, spiegavano la nostra presenza camillia-na in zona, il nostro essere persone che vivono la spiritualità di San Camillo de Lellis, guidati da Padre Mimmo Lovera.

Altri membri della FCL erano poi presenti all’incontro del Vescovo con il Consiglio Pastorale, con i catechi-sti, con i giovani del catechismo, con i ministri straordinari dell’Eucarestia. Sono stati quindici giorni molto inten-si, e il nostro Vescovo si è complimen-tato con tutti noi raccomandandoci di costruire la “rete”, ossia la collaborazio-ne con tutti gli altri gruppi parrocchia-li, perché il nostro lavoro produca una maggior qualità e porti maggior frutto.

Ora continuiamo il nostro solito cammino, ma siamo già proiettati ver-so la grande Festa di San Camillo che avverrà il 15 giugno, giorno nel quale ricorderemo i trent’anni della nostra Casa di Preghiera!

Chi siamo? Cosa facciamo?La nostra F.C.L. di Piossasco comin-

ciò ufficialmente circa 13 anni fa, unen-do circa una sessantina di persone atti-

rate dalla spiritualità verso il malato. Persone già impegnate nel mondo della salute o per lavoro, o per volontaria-to e che facevano già da alcuni anni (dall’anno 1984) un cammino partico-lare di consacrazione laica camilliana nella Casa Vocazionale “Fraternità San Camillo” in Piossasco.

Anche se alcune persone sono dislo-cate in Abruzzo e Liguria, la maggioran-za dei membri, risiede però in Piemon-te. Tutti si incontrano ogni mese a Pios-sasco nella fraternità di San Camillo, per un ritiro di formazione per crescere nella spiritualità camilliana e rendersi più atti ad operare secondo la Scuola di Carità del fondatore San Camillo a favore dei più poveri ed infermi.

I suoi membri sono ormai più di una settantina e operano ognuno (come la nostra Regola di vita ci impone) nell’ambito del proprio campo di lavoro e della propria Parrocchia e del proprio Comune; 5 sono i medici,5 gli infermie-ri, una la farmacista, alcuni, come Mini-stri straordinari di Comunione, aiuta-no il Parroco nel servizio all’altare, ma soprattutto nel visitare gli infermi nelle

Piossasco - P. Lovera Mimmo e l’attenta FCL.

Famiglia Camilliana Laica

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loro abitazioni o nelle Case di riposo e portano loro la Comunione. Servi-zio molto importante sia per il valore dell’Eucarestia nella vita dell’infermo, ma anche per il costante collegamen-to del malato e dei suoi familiari con la vita parrocchiale.

Alcuni, ancora attivi nel campo del lavoro, come ad esempio i 5 infer-mieri in strutture sanitarie o i medici che lavorano nelle ASL della propria zona, altri membri ancora operanti nel-la scuola, sono per varie ore al giorno in contatto con giovani spesso feriti da famiglie disgregate, o abbandonati a se stessi davanti alla TV, davanti ad un computer intenti a navigare… o sulle strade dove spesso possono fare incon-tri pericolosi, e, proprio durante il loro lavoro, li possono aiutare spiritualmen-te e moralmente. A queste persone aggiungiamo le mamme e le nonne, che con il loro amore crescono i loro pic-coli e ricostruiscono un’umanità nuova insegnando loro la carità verso il mala-to, l’anziano e proponendo la figura del Gigante della Carità.

Alcuni, poi, sono entrati a far parte delle associazioni volontari Ospedalieri (AVO o AVULS) e operano nelle strut-ture sanitarie o nelle case private.

Altri sono membri del Centro per

l’aiuto alla vita dove si impegnano con tutte le loro forze e il loro cuore per aiu-tare le mamme in difficoltà nell’accettare le nascite e, in seguito, assicurare a loro i mezzi di prima necessità per la crescita dei loro bambini che, senza un prezioso aiuto, sarebbero stati destinati all’aborto.

Lo scorso anno, nella sede del Cav aperto a Giaveno Torinese da una signo-ra, membro attivo della nostra FCL di Piossasco, furono più di una decina i bimbi nati e le mamme aiutate a por-tare avanti, spesso contro il parere dei familiari, la vita dei piccoli con tutto il necessario per la loro crescita. In questo ministero si prodiga anche un medico ginecologo e altri membri della FCL.

Molte persone che abitano nei pres-si della Casa di Preghiera vocazionale, oltre al ministero presso malati, anziani, depressi, infermi nelle case private i in strutture vicine, sono costantemente e quotidianamente impegnate alla pulizia e in ciò che serve nella Casa, perché possa esistere a favore di tutti quei gio-vani alla ricerca della propria vocazione o alla ricerca di Dio e anche a favore di quella moltitudine di persone che arri-vano per trovare pace, guarigione, senso di vita che con grande carità vengono ascoltate da Padre Mimmo Lovera, assi-stente spirituale della Famiglia Camil-liana Laica (FCL), che con il suo esem-pio educa tutti noi a fare altrettanto.

Molte sarebbero le testimonian-ze che vengono condivise nel piccoli gruppi di compartecipazione mensile, durante le quali si condivide sia una propria riflessione sulla istruzione men-sile tenuta dall’Assistente Spirituale, sia su quanto viene fatto durante il mini-stero apostolico.

Piera tua

Assemblea F.C.L. nell’incontro con l’Arcivescovo Cesare Mons. Nosiglia.

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Ricordiamo i Nostri Morti

06.03.2009

PADRE NAzARENo RoSSEtto(1933 - 2014)

Padre Nazareno Luigi (questo è il nome completo di Battesimo) figlio di Adele e Prosdocimo, è nato il 18 settembre 1933 a San Gregorio di Camin, nei sobborghi di Padova.

Nel 1944, in piena seconda guerra mondiale, ha iniziato il suo itinerario for-mativo per la Vita Consacrata e il Sacerdozio presso il Seminario Camilliano di Besana Brianza (MI). Ricordava i difficili tempi della guerra come tempranti il suo carattere: essenziale, schivo ed incline al silenzio.

A Verona San Giuliano nel 1950, all’età di 17 anni, entra nel Noviziato e nella medesima casa nel 1955 professa solennemente la consacrazione a Dio. A Motti-nello di Rossano Veneto completa la formazione teologica ed il 21 Giugno del 1959 viene ordinato sacerdote per mano del Vescovo di Padova Mons. Bortignon.

I primi anni di sacerdote sono caratterizzati da brevi cappellanie a Mezzane e al Chievo (VR) e da un’esperienza come assistente ed insegnante per gli “aspiranti” nel seminario di Mottinello.

Poi, finalmente, ciò che desiderava da tempo: la preparazione alla vita missio-naria con lo studio dell’inglese, in Inghilterra, tra il 62 e il 63 e la partenza per la Thailandia il 13 settembre del 1963.

Dal 1963 al 1976 prenderà parte alla vita comunitaria e pastorale delle comu-nità di Sriracha, Bangkok, Bang Pong e Khokwat ricoprendo ruoli di Vocazionista, di Economo, di Superiore e di Delegato Provinciale.

Nel 1976 lo ritroviamo a Manila nelle Filippine per rinnovare i suoi studi secon-do le linee guida del Concilio Vaticano Secondo. Era molto fiero di aver avuto la possibilità di aggiornamento teologico e liturgico, soprattutto per le nuove aperture dell’inculturazione. Frequenta nel 1977 anche un corso di Leprologia a Bangkok per

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completare la sua preparazione camilliana, pronta non solo per il servizio spirituale al malato, ma anche per quello materiale al bisogno.

Dal 1977 al 1986 fa parte della Comunità del Camillian Hospital di Bangkok. Anni in cui ha ricevuto più volte soprattutto l’incarico di Economo della Dele-gazione; anni in cui è stato ricostruito l’intero ospedale. Scrupoloso e preciso, la responsabilità economica sembrava tagliata su misura per lui.

Dall’ 86 al 2013 lo ritroviamo ricoprire svariati incarichi da Superiore ad Eco-nomo a Cappellano, nelle comunità e case della Thailandia.

Uomo pio, buono e timido, concentrato sulla vita consacrata e sul ministero; religioso a cui non piacevano certo il chiasso e l’appariscenza mentre coltivava ed apprezzava l’umiltà e la disponibilità.

Da rilevare il fatto che a Tawà, una località non lontana da Bang Pong, P. Naza-reno ha aperto insieme ad altri confratelli un ambulatorio per malati di lebbra che lui stesso seguiva organizzando équipe di medici e di infermieri. E ancora lui più tardi ha trasformato lo stesso come centro nutrizionale in cui si distribuiva latte in polvere per i bambini di famiglie povere: era il lato materiale del servizio camilliano a cui P. Nazareno non ha mai rinunciato.

Dopo 50 anni di missione in Thailandia, avendo visto lo sviluppo camilliano in quella terra, dopo sempre più frequenti visite in Italia, nel 2013 ha deciso di “ritirarsi” definitivamente presso la Comunità di Verona San Giuliano.

Qui però non lo attendeva il giusto riposo bensì una neuropatia degenerativa, solo ultimamente classificata come SLA, che prima lo ha costretto a muoversi poco e poi lo ha inchiodato alla croce del suo letto di ricovero. Repentinamente all’età di 80 anni il Signore lo ha chiamato a sé nel giorno solenne dell’Annunciazione il 25 Marzo 2014.

Puntiglioso come possono essere alcuni caratteri dediti alla riflessione, tanto d’aver imparato la lingua thai in modo quasi perfetto, P. Nazareno si è sempre impegnato per poter comunicare con le parole e con le opere Cristo ed il Vangelo della Misericordia.

Ora P. Nazareno riposa in pace, quella pace che ha sempre cercato incarnandola e di cui ci ha fatto partecipi: la pace serena in Cristo. “Vieni servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco ora hai potere su molto”.

La salma sarà tumulata nella tomba di Istituto al cimitero monumentale di Verona.

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oMELIA PER LE ESEQUIE P. RoSSEtto NAzARENo

Cari amici, parenti, in particolare la sorella Agnese ed il fratello Giovanni, del P. Nazareno, confratelli e fedeli; a voi familiari per la carne e per il san-gue e a tutti noi familiari per lo Spirito, pace e bene alla maniera sobria e lieve, che ci ha fatto imparare P. Nazareno, ovvero nel modo in cui le cose sogliono essere fatte tra gente che si vuol bene: cioè senza ostentazione, senza metter-si in mostra e con gentilezza, segno di offerta gratuita, non imposta.

Padre Rossetto Nazareno si sentiva poco, parlava poco e sottovoce, segni costitutivi di un carattere essenziale, schivo e meditativo.

Ed è perciò che in questa celebra-zione di saluto vorrei far parlare lui stesso attraverso la bella lettera che ha scritto alla sola età di 17 anni per essere ammesso al Noviziato.

Così nel 1950 scriveva:“La mia vocazione non ha niente di

straordinario, se non che il Signore ha chiamato proprio me, misero peccatore, da un paese dove vi sono molti giovani più buoni, intelligenti e virtuosi di me, per salvare anime.

La vocazione viene da Dio, perché ha stabilito che gli uomini si salvino con gli uomini.

Questa chiamata io l’ho sentita al primo scorgere delle Croci Rosse e ave-vo sette anni; sarà stata più “attrattiva” che vera vocazione, ma il Signore si ser-ve di tutto per attirare un giovane a sé.

Entrai in seminario senza compren-dere che significasse farsi Religioso. Sapevo sì che studiando in questa casa sarei diventato un giorno sacerdote con

Ospedale di Bangkock. Fiori e sorrisi: segni e traccia di una presenza autenticamente Camilliana.

Padre NAZARENO ROSSETTO

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una croce rossa sul petto, ma non scan-dagliavo tutta l’importanza e la subli-mità.

Ora, dopo tante istruzioni, la mia cognizione della vita religiosa è: un contratto spontaneo che si fa con Dio, sapendo a che cosa si rinuncia per tutta la vita.

Questo contratto spontaneo consi-ste nei 4 voti solenni che sono: Povertà, Castità, Obbedienza e Carità.

Col volto di Povertà si stabilisce con Dio di non avere il cuore attacca-to alle ricchezze, sapendo inoltre che povertà non significa trascurare la pro-prietà personale o vivere in miseria.

Col voto di Castità si contratta con Dio di rinunciare alla procreazione dei figli, all’amore sentimentale verso un’altra creatura ed al bisogno di sentir-si riamati e chiamarsi padri di figli natu-rali. Rinunciando a queste cose sante, perché stabilite da Dio, non significa odiare la natura umana, ma si lasciano cose minori per un fine superiore: cioè amare nella Santa Chiesa non pochi figli, ma tutte le anime.

Col voto di obbedienza non si rinuncia alla libertà che Dio ci ha dato. Si trova gioia nel servirlo e nell’amarlo, ma (si rinuncia) solamente alla volon-tà, al proprio pensare, per seguire una sola volontà, quella di Dio.

Ed infine col voto di Carità o assi-stenza agli infermi, proprio dell’Ordi-ne a cui aspiro, si stabilisce con Dio di essere in continua agonia d’amore per il prossimo infermo, affetto da qualsiasi male, spinti a fare questo dalle parole di Gesù: “Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”.

“Questa concezione che io ho dei

voti religiosi, con la Grazia di Dio, sen-to che sarò capace di osservarli, vincen-do qualsiasi tentazione con la preghiera e la penitenza e col ricorrere al Consi-glio dei Superiori”.

Per essere il 17 settembre e nel 1950, molto prima del Concilio Vaticano II, Nazareno aveva non solo le idee chiare ma “intima sicurezza e certezza dell’aiu-to di Dio e dei Superiori”, sicurezza che contrastava col suo carattere timido ma appunto non rinunciatario.

Da seminarista era stimato buo-no, pio ed esemplare, coscienzioso e diligente, devoto senza sdolcinature e osservante ma... di una “impressionabi-lissima timidezza fino all’inverosimile, ma il seminarista è sorridente. Non si è mai sentito offendere qualcuno, così come nessuno ha avuto osservazioni negative sul giovane”.

Così scriveva sempre nel 1950 il Prefetto del seminario: P. Mario Maria Mariani di gradita memoria.

Credo che queste righe bastino per mostrare quanta decisione aveva nell’a-nimo il giovane Nazareno.

Dopo l’Ordinazione Sacerdota-le avvenuta a Mottinello di Rossano Veneto il 21 Giugno 1959, i Superio-ri lo assecondano nella sua richiesta di poter essere missionario, e così nel 1963 parte per la Thailandia.

La vocazione missionaria di P. Naza-reno è così da lui stesso precisata, “si fonda su un principio fondamentale, una mia convinzione radicata, di ser-vire i malati non solo spiritualmente perché Sacerdote bensì e in particolare materialmente perché Religioso Camil-liano. È quest’ultima opportunità che vado cercando”.

Nella lettera che abbiamo ascoltato

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e nella motivazione missionaria, io tro-vo il vero carattere di P. Nazareno: al di là della sua timidezza o propensione al silenzio, era una persona, un Religio-so, un Sacerdote ben orientato fin dagli albori della sua vocazione e determina-to nel perseguire gli obiettivi della vita consacrata.

E, in questa determinazione, secon-do le sue caratteristiche umane, ha fatto crescere in sé la virtù della “modestia laboriosa”: cioè era instancabile nel met-tersi a disposizione senza farsi notare!

E guardando i vari incarichi che ha ricoperto nei suoi 50 anni di Missiona-rio in Thailandia, vorrei far notare che nella sua vita consacrata ha obbedito per 16 trasferimenti da una casa all’altra con incarichi diversi tra l’Economo, il Superiore, il Cappellano… mostrando versatilità e capacità di adattamento non indifferente.

Ma fedele al suo “patto” con il Signore, si è dato da fare per servire i poveri e i malati in modo diretto, il più possibile. Ha sempre appoggiato ogni iniziativa a carattere sociale per i senzatetto, per i poveri e per i lebbrosi in particolare. Ha partecipato diretta-mente e senza risparmio all’attività di un centro nutrizionale per bambini di famiglie povere, e questo l’ha fatto sin dagli inizi della sua missione con una passione encomiabile.

Da Economo, in tempi di ristrettez-ze, poteva lesinare qualcosa riguardo la comunità, ma verso i poveri era puntua-le, preciso come garantito nell’impegno spirituale con loro.

Quel “contratto” con Dio di cui abbiamo ascoltato il testo di quando era giovane ed entusiasta, ora si stava incar-nando in un “contratto” con i poveri. E

così come non ha mai tradito il primo, è stato sempre fedele al secondo.

Questa parte sociale di P. Rossetto è poco conosciuta, lo abbiamo visto infatti per anni svolgere compiti ammi-nistrativi, ma la sua parsimonia e la sua capacità di risparmio, mai erano finaliz-zate alla sola vita comunitaria o dell’i-stituzione ospedaliera. In lui è sempre stato presente lo sguardo compassione-vole e misericordioso verso i poveri che davvero stimava prediletti da Dio. Ma non lo ha mai sbandierato come mini-stero privilegiato per sua scelta persona-le e fondamentale.

Ed in ultimo è arrivato il tempo “dei ritorni”.

La fatica ha incominciato a farsi sentire. P. Nazareno viveva intensa-mente anche la preoccupazione per le sorelle malate, anziane.

Così nel 2013 ritornò definitiva-mente dall’amata Thailandia e già pen-sava a come rendersi utile, nel silenzio e nel nascondimento, per la comunità in cui è stato inserito di Verona San Giuliano, senza pretese, in servizi umili.

P. Nazareno ha acceso ovunque la Luce della Speranza in Cristo.

Padre NAZARENO ROSSETTO

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Ma neppure in questa umiltà ha potuto riposare. Una brutta malattia neuro-logica degenerativa, solo ultimamente classificata come la micidiale SLA, lo ha trasformato in chicco di grano con-sumato nel silenzio, pronto per il grande ritorno al Padre.

Così P. Nazareno, come è vissuto nella discrezione, è morto nella discre-zione, velocemente, quasi come “offer-ta” di colui che non voleva far pesare il disturbo che avrebbe potuto recare.

Caro Padre, a nome dei Confratelli della Provincia Italiana e della Provin-cia Thailandese, ti ringrazio per tutto il bene che sei stato per noi e a nome nostro per tutti i poveri cha hai incon-trato.

Noi tutti insieme alla tua famiglia ti ringraziamo per il tuo dono, il dono di te alla missionarietà dell’Ordine.

Pur con tutti i limiti, ti sei aperto agli altri e hai lasciato che gli altri attra-

verso di te conoscessero Gesù il com-passionevole, il misericordioso.

Ringraziamo anche la tua famiglia che ti ha consegnato a noi: il Signore ricompensi la generosità dei tuoi geni-tori, fratelli e sorelle.

Noi della tua compagnia ne abbia-mo goduto e ringraziamo Dio per questo bel tratto di cammino insieme.

Preghiamo il Signore perché ti fac-cia ricongiungere non solo ai tuoi fami-liari che ti hanno preceduto, ma anche alla schiera dei Confratelli con cui hai condiviso il grande dono del Carisma di San Camillo ed in modo particolare con P. Marino Carli, Fr. Giulio Mantovanel-li, P. Rino Metrini, P. Damiano Trette-ne, P. Ernesto Nidini missionari camil-liani in Thailandia con te, figli della grande chiesa veronese come te, non di nascita ma di adozione. Quest’anno celebrerete la Pasqua insieme.

P. Vittorio Paleari

RICoRDo DALLA tHAILANDIA

Da quando ho conosciuto P. Ros-setto Nazareno mi ha sempre colpito il fatto che fosse una persona molto tranquilla a cui piaceva parlare poco e a bassa voce.

Ma c’è un proverbio quanto mai attuale “Le azioni valgono molto di più di mille parole”.

Questo può spiegare e riassumere la vita di P. Nazareno molto bene.

In tutto il tempo che P. Rossetto è stato qui con noi in Thailandia come missionario ha svolto un prezioso lavo-ro, molto più importante di tante parole.

Noi, giovani dell’Ordine di San Camillo, possiamo imparare molto

dall’esempio di Padre Rossetto: dal modo in cui ha vissuto la vita religio-sa, dall’amore e la cura con cui visitava e serviva i malati e le loro famiglie e dall’amore e la dedicazione verso Dio.

Tutti noi vogliamo ringraziare Dio per averci donato P. Rossetto, e dire

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CoSì LE MINIStRE DEGLI INFERMI RICoRDANo P. NAzARENo

Incredula ho ricevuto la notizia del-la dipartita da questo mondo di P. Ros-setto. Sapevo che era andato in Italia per le vacanze, ma nessun’altra notizia ha fatto pensare che non sarebbe più ritornato in Thailandia.

Ripensando alla figura di P. Rossetto molte cose mi vengono alla mente, pri-ma fra tutte la sua riservatezza. Quando gli chiedevamo, in qualche occasione speciale, di venire a celebrare l’Euca-restia nella nostra Cappella rispondeva sempre: “Ora lo dico al Superiore e cer-tamente verrà”. Se veniva lui, era solo perché non poteva rifiutare o era man-dato espressamente dal Superiore. È sta-to P. Rossetto, allora responsabile della missione Thailandese, a fare richiesta di noi Suore Camilliane per una fonda-zione a Banpong in Thailandia, e la sua gioia è stata grande quando ha appre-

so la notizia che le Superiore avevano accolto favorevolmente la domanda. Dunque la sua persona è molto legata alle radici della nostra missione in que-sta cara terra.

Ricordo P. Rossetto sempre schivo nel mettersi in mostra, nel parlare di sé; negli ultimi tempi faceva persino fati-ca ad emettere il suono della voce. Ma il suo servizio spirituale agli ammalati era costante ed instancabile, di giorno e di notte. È sempre stato per tutte noi Ministre degli Infermi un esempio di

vero religioso figlio di San Camillo. Noi tutte eravamo contente ogni qualvolta avevamo l’occasione di incontrarlo, di parlargli. È sempre stato un ammiratore del nostro spirito; ci incoraggiava a con-tinuare sulla via della semplicità evan-gelica e del servizio agli ultimi fatto con carità. Ci diceva: “Brave, continuate così e il Signore vi benedirà sempre”. Il Signore ci ha benedetto anche per le sue preghiere, perché desiderava solo che lo spirito del Fondatore si incar-nasse in questa terra. Si preoccupava

‹grazie!› anche a lui perché ha amato la Thailandia come sua seconda patria. La sua serenità e il suo sorriso si sono incon-trati con la serenità e il sorriso del popolo thailandese. Così P. Rossetto ha testimo-niato in maniera indelebile la ‹tenerezza› di San Camillo per chi soffre nei suoi 50 anni di missione. Ora che non è più tra noi, ci sorride dal cielo e ci lascia una testimonianza e un grande patrimonio che non dimenticheremo mai.

P. Peter Phakhawi Sengcharoen

I Superiori Delegati Viceprovinciali e Provinciali di Thailandia, da sinistra: P. Rino Metrini, P. Nazareno Rossetto, P. Armando te Nuzzo, P. Damiano trettene, P. Ernesto Nidini, P. Sante tocchetto, P. Pairat Sriprasert, P. Cherdchai Lertjitlekha. Manca P. Vittorio Paleari.

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e molte volte era anche in apprensione per il fatto di non poter essere di esem-pio chiaro ai religiosi locali.

Caro P. Rossetto, ora dal cielo guar-da a questa pianticella dallo spirito camilliano, aiutala con le tue preghiere perché possa camminare sempre sulle

orme della Madre Fondatrice Maria Domenica e di San Camillo. Possa dila-tare il suo aiuto alle necessità di questo popolo che per tuo mezzo siamo state chiamate a servire.

Suor Noemi e Consorelle Ministre degli InfermiThai

Banpong - Casa Betania. P. Nazareano con Suor Noemi, Suor teresa, P. Domenico e le Novizie delle Ministre degli Infermi.

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LAVoRARE E ... SoGNARE CoN ACCANto UN AMICo

Alla triste notizia della morte di P. Nazareno, assieme ai miei ragazzi semi-naristi abbiamo pregato e celebrato l’Eucarestia, certi che il Signore avesse già accolto tra le sue braccia amorose il Suo servo fedele, che ha donato la sua vita a servizio dei malati e dei lebbrosi in Thailandia.

Il sottoscritto, da quando P. Naza-reno è ritornato in patria, ha vissuto la sua partenza come una grande perdita: sentivo che non avrei più’ incontrato un mio ‘fratello maggiore’ quale Naza-reno è stato veramente per me. Da quando sono arrivato in Thailandia, ho sempre sentito la sua vicinanza nel mio lavoro per la promozione vocazionale. Ci incontravamo spesso, scambiandoci idee, programmi di Formazione e pre-occupazioni per la riuscita delle nostre vocazioni camilliane.

Anche nei momenti di profonde delusioni e sconforti lui mi esortava a

guardare sempre in avanti, al futuro del-la Missione Camilliana in Thailandia come pure in altre nazioni dove i Supe-riori mi hanno mandato.

Le nostre realizzazioni vocaziona-li in altri paesi sono anche frutto dei consigli, indicazioni e programmi che P. Nazareno ha saputo tramandarmi. Ci esortavamo spesso a pregare l’uno per l’altro e questo ci faceva sentire più vicini e rafforzava le nostre speranze nel lavoro vocazionale.

“Nazareno, adesso che non possia-mo più sentirci, cerchiamo di pregare ‘tu da lì ed io da qui’ come è sempre sta-to; lontani e pure sempre assieme nel-lo spirito e nella donazione alla nostra missione thailandese. Ciao, Nazareno, anche se non sento più la tua voce, so che mi sei ancora e sempre vicino.

P. Armando tenuzzo

P. Nazareno con collaboratorie ed amici.Lavorare con lui era come sedere alla mensa della sua amicizia.

Padre NAZARENO ROSSETTO

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PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI

Sig.a Matilde, sorella di P. Lucio Albertini

Sig.ri Ignace e Geneviève Yabi, genitori di P. Marius Yabi

Sig. Mariano, fratello dei compianti P. Giuseppe senior e P. Ernesto Bressan

Sig.ra Carmela, mamma di P. Giuseppe Lechthaler

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