Come Tralci n.4 2014

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Bollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia 4 Anno 2 - Numero 2 Aprile-Giugno 2014 Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

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Come Tralci Linfa di Vita dei Camilliani d'Italia - Bollettino delle Province Italiane

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Bollettino delle Province Italiane

Ufficiale per gli Atti di Curia

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2014

Linfa di Vitadei Camilliani d’Italia

Passata la tempesta...l’arcobaleno è f írma dell ’Amore

di Dio per l ’uomo.

Quando splende nel nostro cielo f íorisce la Speranza!

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SOMMARIO

Editoriale115 Passata é la tempesta ... P. Carlo Vanzo117 Foto nel 400° di San Camillo

Atti Ufficiali 118 Atti della Congragazione per gli Istituti di Vita Consacrata

Atti della Consulta Generale 119 Seconda intimazione del Capitolo Generale Straordinario122 Messaggio del Capitolo generale straordinario dei Camilliani I Religiosi Capitolari 123 Come un ex-Superiore Generale ha visto il 58° Capitolo Generale P. Angelo Brusco 128 Messaggio del Superiore Generale e dei Consultori dell’Ordine Atti dei Consigli Provinciali 1 Provincia Italiana 135 Atto del Consiglio Provinciale n .XII 137 Informazioni del Consiglio Provinciale n. XVI139 Seconda Intimazione del Capitolo Provinciale Straordinario 2014142 Capitolo Provinciale Straordinario 2014144 Informazioni dal Capitolo Generale Straordinario 2014145 Sintesi del Consiglio Provinciale circa le riflessioni e proposte dei Capitoli locali della Provincia Italiana

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Come TralciBollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia

Anno 2 - Numero 2 - Aprile-Giugno 2014

Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

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153 Statuto della Provincia Italiana159 Atti del Consiglio Provinciale 162 Giornata ella Fraternità

Provincia Romana 164 Atti del Consiglio Provinciale Provincia Siculo/Napoletana165 Riassunto dell’estratto del Consiglio Provinciale P. Rosario Mauriello167 Verbale dell’assemblea generale P. Rosario Mauriello

IV Centenario di San Camillo170 Chiusura dell’Anno Giubilare Camilliano Fr. Carlo Mangione171 Chiusura dei Festeggiamenti a Napoli Alfredo M. Tortorella173 ‘Cuore nelle mani’ ... Utopia? P. Lucio Albertini180 Schegge di Pastorale verso le periferie esistenziali P. Angelo Brusco183 Ciò che a Gesù preme di più P. Domenico Ruatti187 Identità del Prete e suo messaggio P. Mario Bizzotto192 Dal Centro Camilliano di Formazione Dott.sa Malaika Ribolati

Dal Mondo Camilliano197 Giornata di formazione e fraternità a San Giorgio a Cremano Gabiela Spaguolo200 Forte dei Marmi - Benedizione nuova Cappella P. Davide Negrini201 Il Convegno dei Cappellani Ospedalieri a Napoli Alfredo Maria Tortorella202 Cremona ricorda il ‘Padrino Santo’, P. Enrico Rebuschini P. Virginio Bebber204 Il VI Centenario ad Acireale Fr. Vincenzo Duca

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206 Festa di San Camillo a Piossasco (TO) Piera Tua208 Vieni con me. La vita e la spiritualità di Fr. Ettore Boschini Roberto Allegri210 Una giornata a Maskheta - Tbilisi Franca211 Missione Haiti212 I vincitori del concordo disegni su San Camillo Renato Bicego213 Torino-Madian: conti trasparenti214 Nominate le nuove Superiori delle Ministre degli Infermi e delle Figlie di San camillo

F. C. L. (Famiglia Camilliana Laica)215 Verbale della III Assemblea Generale Mottinello 18-23 maggio 2014 Elvira Scalise e Maria Hajnalka Bakò220 Chiusura dell’Anno sociale 2013-14 FCL di Verona/Marzana Palman Dianalori223 Un anno dedicato al Testamento di San Camillo Marisa Sfondrini

Ricordiamo i nostri morti225 P. Albino Turcato227 Omelia per P. Albino P. Vittorio Paleari231 Breve ricordo di P. AlbinoTurcato P. Ermenegildo Calderaro233 Un piccolo grande uomo al servizio di Dio Gruppo Collaboratori234 Nel ricordo di altri Volontari Carmen Toniolo e Cristina Galati235 P. Enrico Menozzi237 Omelia nelle esequie di P. Enrico P. Roberto Corghi239 P. Enrico Menozzi: un appassionato reggio-emiliano della storia camilliana P. Rosario Mauriello241 P. Camillo Degetto

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Direttore: P. Carlo Vanzo

Collaboratori: P. Antonio Marzano, Alfredo Tortorella, Franca Berardi

Direzione e Redazione: Religosi Camilliani - San Giuliano Via C. C. Bresciani 2 - 37124 Verona Tel. 045 8372723 /8372711 (centralino)E-mail: [email protected]

Progetto grafico e stampa: Editrice Velar - Gorle (BG)www.velar.it

In copertina:Bucchianico, ammantato di vigne, visto dall’arco della casa di Giovanni De Lellis. Qui Camillo è nato, ha vissuto l’infanzia e la sua svogliata giovinezza. All’amato paese natale tornava sempre con gioia e nostalgia. Ma la ‘sua vera vigna’ sarà l’ospedale. Qui Camillo diventerà il tralcio rigoglioso, innestato alla vera Vite, il Crocifisso, per produrre il vino che dà speranza e rallegra il cuore del malato. (Progetto grafico T-Studio s.n.c).

243 Il Parroco di Rossano Veneto ricorda così P. Camillo Don Sergio Martello244 P. Camillo nel ricordo di un confratello e concittadino m. b.245 Chi é P. Camillo246 P. Angelo Alberti248 Omelia per P. Alberti Angelo P. Vittorio Paleari251 Ricordando P. Angelo Alberti P. Rosario Messina251 In memoria di P. Angelo Don Piero Malvaldo253 P. Alberti, dono ai malati e agli Operatori Sanitari Francesco Di Grande253 P. Angelo, una guida sicura nel mondo infermieristico Francesco Truscello254 Lutto nella F.C.L. Fischnaller Pircher Maria Fr. Gianni Dalla Rizza

257 Preghiamo per i nostri morti

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Editoriale

Passata la tempesta... ora la potatura

per una nuova primavera!Passata è la tempesta ed ecco, finalmente, anche il cielo camilliano torna sere-

no, solcato da un arcobaleno di pace!Questi ultimi mesi sono stati ‹un calvario›, un ‹rosario› di speranza e di delusioni,

di croci e di risurrezioni. Tutto aveva il sapore del fallimento, ma... anche il nostro fragile quotidiano è stato inserito, come gemma, nella Corona dei Misteri di Gesù ed ora sta rifiorendo come vita nuova. Come ci ricorda San Paolo, il ‹misterion› per eccellenza è ‹il disegno di Amore e di Salvezza che il Padre vuole realizzare in Gesù›. Solo innestando ogni nostra speranza, ogni nostro dramma alla Croce del Cristo, arri-veremo allo splendore della sua Risurrezione. A qualcuno può sembrare ‹devozioni-smo sterile›, a me è parsa una lettura autenticamente cristiana che mi apre all’infinito.

Anche ieri un violento temporale si è abbattuto sulla mia città. Sembrava che tutto fosse in balia dell’uragano, ma…, passata la tempesta, altrettanto velocemen-te, ecco un ridente arcobaleno abbracciare Verona. Era lo stesso arcobaleno che stava spuntando sulla ‹vigna di Camillo›. I colori c’erano tutti! Il viola opaco delle nostre paure e delle nostre incertezze; il rosso dell’ardore del Carisma di Camillo; il verde delle nostre speranze, così umane e così fragili; l’azzurro dei nostri sogni di servizio al Cristo sofferente, sulle orme di Camillo!

Poiché ‹Come Tralci è il diario di bordo› della Province Camilliane Italiane e sintetizza le nostre iniziative ed attese, il primo sentimento che vogliamo esprimere, con un sorriso che è la nostra anima e con un abbraccio fraterno che è il nostro cuore, è la nostra stima, riconoscenza e fraternità al nuovo Superiore Genetrale, P. Leocir Pessini, a P. Laurent Zoungrana, Vicario Generale e ai Consultori, Fr. José Ignacio Santaolalla, P. Aris Miranda e P. Gianfranco Lunardon.

P. Leocir Pessini, Superiore Generale, P. Laurent Zoungrana, Vicario, Fr. José Ignacio Santaolalla Sáez, P. Aristelo Miranda, P. Gianfranco Lunardon.

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Siamo certi che, con l’aiuto del N. S. P. Camillo, della Regina dei Ministri degli Infermi e di quel Crocifisso che ha staccato le braccia dal legno per consolare lo sfidu-ciato Camillo, il nuovo Governo Centrale dell’Istituto saprà guidarci nelle incertezze e nelle speranze di oggi, verso le sfide e le mete che ci attendono.

L’orizzonte, tornato terso, ora sembra aprirsi all’infinito. Sì, nei progetti di Dio ci sono speranze ed opportunità nuove. Sul campo è rimasto qualche ferito e molte devastazioni, ma un sussulto di fede ci dice che anche questa è una opportunità per un domani radioso perché, dice un proverbio spagnolo: ‘Dio non sceglie le persone capaci ma rende capaci coloro che ha scelto!’. Il Disegno di Dio è un divenire peren-ne. Chi crede e coltiva un grande ideale sa bene che va incontro a gioie e dolori, a vittorie e sconfitte. Ora la provocazione è ‹cambiare›! Ma attenzione.

C’è una tentazione sempre attuale: ‹cambiare tutto per non cambiare nulla›? Ancora una volta, guardando la copertine del nostro Bollettino, mi viene spon-

taneo pensare alla Vigna di Camillo e al coraggio del buon contadino che la deve far rifiorire. Gesù amava proclamarsi ‹il Buon Pastore› e ne ha preso decisamente le sembianze, ma certamente ammirava molto anche i ‹contadini› che hanno il compito di custodire, lavorare e far fruttare la sua Vigna. Spesso li ha osservati con simpatia e indicati come modelli. Anche quando la cinta di protezione della vigna sembrava caduta, anche quando il cinghiale del bosco pareva la devastasse ed ogni viandante ne facesse vendemmia, era sereno e fiducioso perché – diceva – ‹il Padre mio è il Vignaiolo!› (Gv 15,1).

‹La sua Vigna› l’ha affidata a un grande contadino, ‹il Padre›, che la difende, l’inonda di sole e di pioggia e ad ogni inverno, o quando viene la tempesta, la pota perché porti più frutti. Ciascuno ha i suoi ricordi e le sue nostalgie. Io ricordo il vecchio papà, così saggio e così tenace, quando, ‹con la sua brusca era impegnato a bruscar le vigne›, con la sua forbice potava le vigne.

Se la natura è sempre madre e maestra, anche dal saggio contadino ecco alcuni insegnamenti: “ogni tralcio che non porta frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Gli altri sono potati perché fruttifichino di più”. Papà Vittorio diceva: questi tralci folti e slanciati nel cielo devono essere tagliati perché producano solo foglie e rubano il sole e la linfa ai più piccoli e nascosti. Proteggiamo questi perché sono aggrappati alla vigna e solo questi ci daranno l’uva quest’estate.

Se ‹la vigna di Camillo› è il nostro campo di lavoro, se ci sentiremo innestati nel suo Carisma, non temeremo certe potature, anche se possono avere il sapore di una sconfitta. Non avremo paura di cambiare quanto non sembra più rispondere adegua-tamente alle esigenze e alla cultura di oggi anche nel mondo camilliano, ecclesiale e sanitario: incarnare nella storia il messaggio della misericordia di Gesù per i malati.

Può sembrare una preghiera, un sogno: è certamente un cammino faticoso e paziente, un sereno abbandonarsi nelle mani della Provvidenza, del Padre che è il ‹nostro vignaiolo›. Credo che nelle numerose iniziative, nelle riflessioni e nelle manifestazioni realizzate al tramonto ormai dell’Anno Giubilare Camilliano per il 400° della morte del N. S. P. Camilllo, già si intravvedano nuove gemme e si possano raccogliere i primi frutti.

Anche il presente numero di Come Tralci vuol semplicemente portarcene l’eco per aprirci e sorridere alle speranze del nostro futuro.

P. Carlo Vanzo

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Foto nel 400° di San Camillo

Il Cuore di San Camillo veglia e benedice l’abbraccio di Padre Leocir Pessini,

Superiore Generale dei Religiosi Camilliani con Mons. Ercìlio Turco,

Vescovo emerito della Diocesi di Osasco.Al nuovo Superiore Generale

e alla sua Consulta presentiamo i più fraterni e gioiosi auguri. Il Signore lo benedica,

San Camillo gli sorrida dal Cielo perché possa guidare il nostro Ordine con forza e dolcezza

nel rinnovamento necessario per il prossimo futuro!

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CHIUSURA DELL’ ANNO GIUBILARE CAMILLIANO NELLA CHIESA DELLA MADDALENA A ROMA

Carissimi confratelli e membri della Grande Famiglia di San Camillo,

ci prepariamo alla solenne chiusu-ra dell’anno giubilare alla Maddalena. Dopo aver concordato il programma con il nuovo Superiore Generale e la sua Consulta, vi comunico gli appunta-menti più importanti del programma, in modo che, chi lo desidera, possa parteci-pare alle celebrazioni.

Chiaramente la chiusura dell’anno giubilare avviene in tutte le Province, delegazioni e comunità: è però desiderio del Padre Generale che i confratelli che possono e i rappresentanti della grande famiglia di San Camillo siano presenti a Roma per vivere questo forte momento di comunione.

Domenica 13 LUGLIO 2014Angelus con Papa FrancescoDalle ore 10.00 alle 12.30 appun-tamento in piazza San Pietro, dove faremo animazione con canti e danze, diffondendo materiale divulgativo su San Camillo in 4 lingue.

Lunedì 14 LUGLIO 2014Solennità di San Camillo e chiusura dell’anno giubilare camilliano

Ore 19.00 Solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta dal nuovo superiore generale P. Leocir Pessini con la nuova Consulta, la Consulta uscente e i membri della grande Famiglia di San Camillo (Religiosi camilliani, Figlie di San Camillo, Ministre degli Infermi di San Camillo, Ancelle

dell’Incarnazione, Istituto secolare Missionarie degli Infermi e Famiglia Camilliana laica)

Ore 20.00 Buffet per tutti

Ore 21.00 Solenne Celebrazione del Transito di San Camillo con la grande famiglia di San Camillo. (San Camillo muore il 14 Luglio 1614 alle 21.30). Esattamente 400 anni dopo, vogliamo vivere insieme questo importante momento.

Martedì 15 LUGLIO 2014Nella Patria del Fondatore a Bucchianico

Ore 19.00 Santa Messa solenne in piazza San Camillo, presieduta dal Vescovo di Trivento monsignor Domenico Angelo Scotti. Concelebreranno il Superiore Generale padre Leocir Pessini e il Superiore Provinciale padre Emilio Blasi. Seguirà la processione.

NOTA BENE: ognuno deve provve-dere personalmente per la sistemazione alberghiera; la Maddalena non potrà ospitare perchè già al completo.

-ferma della presenza del Papa alla Maddalena

-blicheremo il programma completo delle celebrazioni

Fratel Carlo Mangione coordinatore attività del IV Centenario

iv Centenario di San Camillo

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CHIUSURA DEI FESTEGGIAMENTI A NAPOLI

Lo scorso 15 e 16 giugno, i Camillia-ni di Napoli hanno chiuso ufficialmente, sul territorio diocesano, i festeggiamen-ti per il IV Centenario della morte di San Camillo de Lellis. Due celebrazioni hanno caratterizzato particolarmente la chiusura dei festeggiamenti, la prima del-le quali si è svolta presso la Basilica dell’ Incoronata Madre del Buon Consiglio a Capodimonte dove, nel contesto della liturgia eucaristica, si è radunata la pre-senza partenopea dei Camilliani costitu-ita non solo dai religiosi, ma anche dalla Famiglia Camilliana Laica, dalle religiose Figlie di San Camillo presenti a Casoria, dalle associazioni di volontariato ospeda-liero vicine alla spiritualità del santo di Bucchianico. La Santa Messa è stata pre-sieduta da Mons. Armando Dini, Arcive-scovo emerito di Campobasso-Boiano, delegato ad hoc dal Cardinale Crescenzio Sepe. Prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, don Nicola Longobardo, ret-tore della Basilica, ha accolto la insigne reliquia del cuore di San Camillo prove-niente dalla chiesa di Santa Maria Mad-dalena in Campo Marzio a Roma, curia generalizia dei Camilliani.

Alla Santa Messa hanno preso par-te anche movimenti ecclesiali e alcune associazioni cittadine legate al mon-do della carità e della cultura: il Real Circolo Francesco II di Borbone, l’As-sociazione Medici Cattolici, l’AVO, il Rinnovamento nello Spirito Santo. Sia Mons. Dini nell’omelia, sia il Superiore Provinciale padre Rosario Mauriello nel ringraziamento finale, hanno evidenziato il grande messaggio che Camillo de Lellis lascia alla Chiesa: quello della carità sine glossa e senza barriere, che non guarda alla burocrazia, né alle differenziazioni sociali, ma che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta e tutti abbraccia!

Il giorno 16 giugno la reliquia di San Camillo è stata accolta presso la par-rocchia Santa Maria di Costantinopoli a Cappella Cangiani, comunità parroc-chiale “immersa” nella zona ospedaliera di Napoli e quindi fortemente vocata al ministero di misericordia verso i soffe-renti. Durante il rosario meditato è stata illustrata la vita di San Camillo, da molti non profandamente conosciuto.

La Santa Messa, molto partecipa-ta, è stata presieduta dal camilliano P. Domenico Pesce e concelebrata dal novello sacerdote della parrocchia don Salvatore Tosich. Anche la parrocchia di Cappella Cangiani ha così dunque accolto il messaggio di San Camillo ad avere “più cuore nelle mani” e “più amore dentro il cuore”!

Alfredo M. Tortorella

Mons. Armando Dini, il Superiore Provinciale, P. Rosario Mauriello e Concelebranti nella Basilica dell’Incoronata a Capodimonte per la chiusura dell’Anno Giubilare di San Camillo.

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“CUORE NELLE MANI …” UTOPIA?

Mi è piaciuta la descrizione dell’uto-pia fatta dal poeta Eduardo Galeano e riportata nella Rivista: “Insieme per Servire” (n. 98 pag. 33):

Lei è all’orizzonte:mi avvicino di due passi,lei si allontana di due passi.Cammino dieci passi e l’orizzontesi sposta dieci passi più in là.Per quanto io cammini,non la raggiungerò mai.A che serve l’utopia?A questo serve: a camminare.

PremessaAd Assisi, dal 14 al 17 Ottobre

2013, è stato celebrato il Convegno dell’Associazione AIPAS. È stato trat-tato il tema: “Il ministero della consola-zione”. Alla conclusione, il presidente dell’Associazione, Dott. Gianni Cer-vellera, augurava che questo Carisma si concretizzasse in un reale ministero ecclesiale.

P. Angelo Brusco, con la sua ben nota competenza, ha presentato la Genesi e il significato di un sussidio: “Il Ministero della consolazione. Un Ministero laicale accanto a chi soffre”. Osserva P. Adriano Moro, consigliere nazionale AIPAS: “È un documento che i Camilliani della Provincia Lombardo - Veneta hanno prodotto di recente pro-prio sul “Ministero della Consolazione”, con l’obiettivo dichiarato di richiamare l’attenzione di tutta la Chiesa su questa realtà e in particolare sul compito che i laici si assumono in campo sanitario” (“Come Tralci” n. 2 - pag. 178).

Un progetto veramente attuale del Carisma Camilliano.

Nella sua relazione, P. Brusco giu-stamente sottolinea che per quanto riguarda S. Camillo e gli altri santi della carità, è chiaro che la “consolazione” da essi recata ai sofferenti non era frutto di sentimentalismo, bensì di “mani” mos-se dal “pulsare del cuore” (Insieme per Servire pag. 29).

Questa precisazione mi è sembrata molto convincente per suggerire una riflessione, penso, utile spiritualmen-te alla conclusione dell’anno giubilare della morte del nostro Fondatore: ricor-dare le “origini e i gesti” caratteristici di S. Camillo nell’esercizio della “con-solazione”.

La vera fonte delle origini è la “Vita del P. Camillo de Lellis”, scritta da P. Sanzio Cicatelli nel 1615. Ho riletto anche la breve biografia del Cicatelli scritta da P. Piero Sannazzaro nell’edi-zione della “Vita del P. Camillo,” edita nel 1980 a cura della Curia Generalizia - Roma.

P. Sanzio Cicatelli afferma di “aver praticato con P. Camillo per 26 anni … perché esso mi ricevette nella sua Con-gregazione qui in Napoli e mi menò in Roma, dove mi diede l’habito alli tre di Marzo dell’anno 1589, et ho conversa-to con lui quasi fino alla fine della sua morte, facendo molti viaggi insieme …”

“Manifesta la sua cura di raccogliere testimonianze della vita sia dallo stesso P. Camillo che dai primi compagni. “Per l’ordinario lo diceva a me solo, perché ne gli facevo istanza, avendo in animo di scrivere le cose che passavano”.

Pastorale

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Nota P. Pietro Sannazzaro: “ La minuziosa deposizione del Cicatelli è serena, ordinata, senza l’enfasi declama-toria di altri testimoni, rivela una mente che comprende ciò che dice, e un cuo-re che ama sinceramente senza lasciarsi vincere dalla fantasia. L’ultima testimo-nianza P. Cicatelli l’ha offerta dopo la ricognizione della salma del Servo di Dio”. “Scopertolo trovassimo tutto bel-lo, integro ed incorrotto, eccetto il viso ch’era alquanto negro et abbruggiato…, et io lo vidi, toccai, et basciai più volte” “Aveva espresso in quell’atto – scrive P. Sannazzaro – la sincerità del suo affetto e del suo amore, che l’aveva accompa-gnato durante tutta la sua vita religiosa, anche quando non poteva acconsentire alle di lui vedute”.

Nella sala capitolare della Casa Generalizia in Roma, sotto il ritratto dal P. Cicatelli, quarto Generale dell’Ordi-ne (1619/1625) si legge: ... “Beati Patris sui fundatoris gesta eleganter conscripit, vulgavitque ac imitatione complevit”.

Tra gli agiografi contemporanei di S. Camillo, P. Cicatelli è il più affidabile e il preferito perché “testimone ocula-re, attento e curioso della realtà umana quotidiana e di coglierla con vivacità, d’indagarne i moventi psicologici dei singoli. Sa innestare l’aspetto cronachi-stico, con quello più alto, propriamente storico” (P. Sannazzaro).

Siamo tutti convinti che il “Mini-stero della consolazione”, rimane solo una bella espressione per una proposta di vita, se non viene realizzato nella concretezza dagli atti resi vivi da “mani mosse da un cuore pulsante di amore.”

P. Cicatelli offre una vera antolo-gia di gesti che descrivono la “conso-lazione” operata da S. Camillo verso

gli ammalati e le persone in difficoltà.Mi è stato difficile fare una scelta

preferenziale, anche perché tutti cono-sciamo e ricordiamo gli episodi già tra-scritti nelle varie agiografie del Fonda-tore.

Alla conclusione dell’Anno Giubi-lare mi sembra un invito da accogliere: ovvero rileggere, e quasi celebrare litur-gicamente, il Capitolo XIII in appendi-ce alla “Vita del P. Camillo De Lellis” di P. Cicatelli; è una pagina incante-vole che coinvolge il lettore a lodare il Signore e ad ammirare la miracolosa trasformazione del Santo che “meglio in gloria del ciel si canterebbe” (Dante: Par. XI, 96).

Oramai è diventata una forma di celebrazione, che è anche la più uti-le e convincente, rileggere in “lettura continua” l’opera principale del festeg-giato. Le più recenti celebrazioni che ricordo sono la lettura continuata dei “Promessi Sposi” a Milano in S. Fedele, la chiesa frequentata quotidianamente dal Manzoni, per celebrare la data della sua morte (22 Maggio 1873) e la let-tura continuata dei quattro Vangeli a Vicenza per la Settimana Biblica delle tre Diocesi: Vicenza - Padova - Rovigo.

“Il Cuore nella mani” di P. Camillo...

Leggiamo questo capitolo suggesti-vo che fotografa Camillo nel quotidia-no fervore della “consolazione” animata dalle sue ormai “proverbiali mani nella pasta della carità”. La vera celebrazione è conoscenza e imitazione del protago-nista: il Fondatore.

“… Nel fine di giugno 1609 Camillo si conferì in Roma, dove fece risolutio-ne di far la sua stanza ferma per con-

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solar l’anima sua co’ la visita dé santi luoghi. Ma desiderando di esser colto dalla morte con le mani impastate nel-la santa carità, ottenne licenza del P. Generale di poter co’l suo compagno restar ogni notte nell’Hospital di San-to Spirito per aiuto dé poveri gravi, e morienti... Cominciò dunque dalla festa di tutti i Santi dell’anno suddetto a tener il seguente modo di vita: ogni notte, dopo aver dormito quattro, o cinque ore, si alzava di letto, e discen-dendo nell’Hospitale, faceva alquanto di oratione davanti il Santissimo Sacra-mento. Dava poi una passata per tutti i letti, facendo una breve visita se per sorte vi fosse stato alcun moriente, o’ altro infermo pericoloso…

Finita detta visita, inginocchiando-si di nuovo avanti il Santissimo Sacra-mento, o’ vero avanti l’Altare della Beata Vergine, faceva l’hora della ora-tione mentale, conforme l’obbligo della nostra regola; ma essendovi alcuno ago-nizzante, la faceva appresso di quello, aiutandolo fino all’ultimo passaggio. Fatta l’oratione (nel che ordinariamen-te in più volte della notte soleva spen-dere due ore e mezza) quando era d’in-verno incominciava di nuovo a ripassar per tutto l’Hospitale: andando di letto in letto coprendo gli infermi, scaldan-dogli i piedi, asciugandolì le camiscie, o le lenzuola bagnate dal sudore, ò mutandogli le traverse. Ma nel tempo d’estate, quando tutto l’Hospitale era pieno d’infermi, che passavano alle volte quattrocento, alhora essendo essi infermi scalmanati dalla sete, andava egli con acqua fresca sciaquando , e rin-frescando à tutti la bocca”.

“E se Cristo in S. Matteo dice, che non perderà la mercede sua quello,

che in nome di un discepolo darà un bicchier d’acqua fredda ad un povero, quanta rimuneratione pensiamo c’havrà riserbata al Buon Padre nostro, che ne diede tanti per amor suo? Finita questa sorta di carità, che non solo rinfrescava le lingue, ma anco refrigerava i cuori di quei poverelli, ne dava principio ad un’altra da lui chiamata il Reficia-mento: consistendo questo in arrostir molte fette di pane sopra una graticola di ferro, e facendone molte zuppe nel vino, le andava dando alli più languidi e distrutti. A’ quali anco dava qualche ovo fresco, qualche bicchiero di pisto, o’ qualche sorte di confettione; guidan-dosi in ciò conforme alla fiacchezza, e bisogno d’essi infermi: e in questo modo molti di loro venivano da lui risuscita-ti e ritornavano in vita… Dandosi poi li sciroppi, e le medicine, si ritrovava ancor presente in detta attione, aiutan-do, e dando animo a’ molti di pigliarle, e di ritenerle: confortandogli con qual-che poco di arancio, o di melagranato ò d’altra cosa simile.”

Pastorale

«L’utopia è l’ultimo rifugio per i sognatori».

«Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quelloche non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare».

Proverbio

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tempo ale era

no alle do essi

andava, e rin-

ce, che quello,

che non si ha voglia, capacità,o coraggio di fare».

Proverbio

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“Quando si approssimava il tempo della comunione, egli andava svegliando tutti quelli, che si dovevano comunicare; interrogandogli s’havevano mangiato, o’ bevuto alcuna cosa in quella notte, o vero s’havevano bisogno di riconciliarsi; esortandogli a star preparati per ricevere tanto Divino Sacramento.

Fatta la comunione, andava egli subito esortando uno per uno tutti i sopraddetti, che non dormissero, che non sputassero così presto e che diman-dassero perdono a Dio dé lor peccati; dicendogli ch’alhora era il vero tempo di trattar con Sua Divina Maestà della lor salute; mirandogli anco in bocca, s’havevano inghiottita l’Hostia Sacra-tissima, per timore, che non accadesse qualche disordine, com’altre volte sape-va essere occorso”.

“Faceva poi alcuni letti, mutando le lenzuola a’ più gravi; non curandosi di sentire in ciò per amor d’Iddio, puzza quasi intollerabile. Queste, e altre simili opere di carità faceva ordinariamente nel mezzo delle tenebre e silenzio della notte quando le sue fatiche nessun’altro testimonio haveva che li pietosi e vigi-lanti occhi d’Iddio, dé medesimi infer-mi e di qualche servente del medesimo Hospitale… E con tutto ch’egli stasse tante ore in piedi, cioè da mezzanot-te fin all’hora di pranzo della mattina, nondimeno pur si doleva, che l’hore erano corte e che l’horologio di Castel Sant’Angelo sonava troppo presto, non parendogli di far cosa alcuna per servi-gio dé poveri”.

“ … Giunta l’hora del desinare, aiu-tava anco in ciò, cibando essi infermi, o’ vero andava dispensando ad alcuni di loro qualche melo, o’ pero cotto. Essen-do poi finito il tutto, facendo quattro o’

cinque letti a più gravi, con tal dolcezza in bocca se n’andava a casa …”

P. Cicatelli, in questo capitolo, riporta la testimonianza di P. Pelliccio-ni, una parte di una lettera scritta dopo la morte del Servo di Dio, dicendo così: “non parlo dell’affetto con che servi-va alli poveri in Santo Spirito, perché sarebbe come adombrare la ruota del sole. Vero è che non posso restar d’am-mirarmi di questo, che non mi si può levar dalla mente che quando si met-teva intorno ad un ammalato, sembra-va veramente una gallina sopra i suoi pulcini, o’ vero una madre intorno al letto del suo proprio figlio infermo. Poi-ché come se non havessero soddisfatto all’affetto suo le braccia, e le mani, per lo più si vedeva incurvato, e piegato sopra l’infermo, quasi che volesse co’l cuore, e co’ l fiato, e con lo spirito por-gerli quell’aiuto che bisognava. E pri-ma che si partisse da quel letto, cento volte andava tastando il capezzale, e le coperte da capo, da piedi e da fianchi: e come se fosse trattenuto, o’ tirato da una invisibile calamita, pareva che non trovasse la via di distaccarsene, mol-te volte andando, e tornando dall’una all’altra parte del letto, dubitando e interrogandolo se stava bene, se biso-gnava altro, ricordandogli qualche cosa appartenente alla salute. E chi non l’ha’esse conosciuto, il Padre, non havrebbe giudicato, ch’egli fosse anda-to all’Hospitale per servir indifferente-mente à tutti gli ammalati, ma per quel solo, come se gli fosse molto cara, e di grande interesse la vita di quel poveri-no, e come se non havesse havuto al mondo altro pensiero …”.

Il Padre Pelliccioni osserva anche che tutto questo servizio, Camillo lo

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prestava soffrendo con grandissimo dolore della gamba piagata e “di sua bocca intesi ch’alcune volte si era sen-tito tanto male, che gli pareva di non potersi in alcun modo levare … dentro l’Hospitale se n’andava così languido da un letto all’altro appoggiandosi à gli stessi letti e tenendosi alla colonne per non cascare. Ma appena passati cinque, ò sei letti, gli pareva sentirsi tutto invi-gorire, acquistando nuovo fiato, e lena per le solite faccende: dopo le quali se ne veniva (come V. R.sa) da Santo Spi-rito in casa, e quanti passi faceva, tante volte per i calli, che teneva sotto i piedi, vedeva le stelle di dolore”.

La giornata di Camillo è fotocopia della giornata di Gesù

Questa pagina ampia e meraviglio-sa, che non sfigurerebbe se accostata alle pagine famose lasciateci da Manzoni sul-la peste di Milano, richiama la preziosa giornata di Gesù a Cafarnao descritta dall’evangelista Marco (1, 21 – 45).

“Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni, ma non permetteva ai demoni di parlare perché lo conoscevano”.

“Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito si ritirò in un luo-go deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con Lui si misero sul-le sue tracce. Lo trovarono e gli disse-ro: “Tutti ti cercano!” Egli disse loro: “Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto! E andò per tutta la Galilea predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni”.

Gesù “faceva quello che diceva”, non come gli altri che dicono e non fanno! Così agisce subito con quel povero leb-broso che “lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!” Ne ebbe compassione (come il Samari-tano …) tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”.

Gesù è il “Ministro perfetto della consolazione”: “Venite a me voi tut-ti che siete affaticati ed oppressi e io vi darò ristoro” (Mt 12, 28). “ La sua consolazione” è affidata alle “mani”, al “toccare”, alla tenerezza. All’avverbio “subito” così insistentemente segnalato dai sinottici: senza indugiare sulle rac-comandazioni e riflessioni fuori posto in quelle situazioni! “L’Amore (in Gesù) ha superato leggi e regole” ed è “andato spedito sulla via della carità” dei gesti così umani e commuoventi. (Pregh. Cons. Gen.)

L’Utopia é un’isola persa nell’oceano.

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È stato detto che “i Santi sono i migliori esegeti del Vangelo”. S. Camil-lo è in questa “scia luminosa che illumi-na di vivida luce il mondo”, e da secoli forgia persone di ogni latitudine che guardano (a lui) come modello attra-ente ed inarrivabile, perenne e sempre nuovo” (Pregh.Cons.Gen.).

Nelle varie cronache delle case reli-giose dell’Ordine, in questo anno giu-bilare occupa un posto di particolare rilievo il “pellegrinaggio del Cuore di S. Camillo” visibile nella preziosa teca che lo contiene. P. Mario Vanti, storio-grafo appassionato e vero innamorato del S. Fondatore, scrive nel suo ancora godibile “Lo Spirito di S. Camillo”: “I testimoni della carità di Camillo erano

persuasi che il suo cuore dovesse portar-ne un contrassegno visibile; fu così che dopo la morte del Santo si volle vedere il suo cuore. Era tanto bello da sembra-re un rubino, e di tanta grandezza da restare tutti ammirati” (“Spirito di S. Camillo” pag. 379/380).

Ma… è tutto utopia?Veramente lodevole è stata l’inizia-

tiva di celebrare la “Giornata del Cuore di S. Camillo” il 16 Aprile, offrendo, a quanti la richiedevano una visita

«Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contemplail solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo.E quando vi getta l’ancora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela».

(Oscar Wilde)

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cardiologica gratuita, nei nostri Cen-tri Sanitari. È lo “stampo vivente” del Carisma Camilliano nell’alone lumi-noso del Cuore di Cristo che “tanto ha amato la nostra umanità sofferente!”.

Abbiamo iniziato queste riflessioni chiedendoci con il poeta Edoardo Gale-ano:” A che serve l’utopia?” A che serve “il modello attraente” “ma inarrivabi-le?” (Pregh. della Consulta Generale). A che serve anche la celebrazione litur-gica di un centenario se la consideriamo solo come oggetto di ammirazione?

A questo serve: a camminare! Serve a convincerci di “restare fedeli nelle giornate luminose, fruttuose e di suc-cesso, e in quelle che sembrano oscure, aride e di fallimento... (Pregh. Consulta Generale).

Riconfermiamo la fede “umile e obbediente” di Maria “nostra Regina e nostra guida:” a Lei appartiene l’origi-ne, la nascita, lo sviluppo, la proprietà della nostra Compagnia: “essa è tua, tu la coltivi, tu la dirigi, tu la diffondi” (P. Novati).

E accogliamo con gioia anche le due garanzie che suggellano i nostri deside-ri: Le mille benedizioni del Fondatore e una sua beatitudine per il Ministro degli Infermi, e per coloro che con generosità donano un tempo della loro giornata al servizio dei sofferenti: “Beati voi, se potrete essere accompagnati al tribuna-le di Dio da una lacrima, da un sospiro, da una benedizione di questi poverelli infermi”.

La “consolazione” si trasformerà in “gioia”. “Venite benedetti dal Padre mio! Entrate nella gioia del vostro Signore!” È la gioia che “il mondo irri-de ma che rapir non può” (Manzoni). “Anche questa è utopia?”

“Aljoscia, è vero quello che dice la religione: che risusciteremo dai morti, e tornati in vita, ci vedremo di nuovo tutti?” E Aljoscia, il più giovane dei fra-telli Karamazov, risponde nella certezza della sua fede: “Risusciteremo senz’altro e ci vedremo e ci racconteremo l’un l’al-tro allegramente e gioiosamente tutto ciò che è stato!”. “Camillo ha fatto ciò che ha detto” e ci racconteremo tutto allegramente e con gioia perché allora l’utopia si dissolverà nella pienezza della realtà e verità di Dio! “Nella tua luce, vedremo la luce!”. Ora “canta e cammi-na” (S. Agostino).

Perché non citare anche Papa Fran-cesco, visto il fascino che calamita tan-to “popolo di Dio?”.

Dialogando con 120 Superiore Reli-giose a Roma, il 27/28 novembre 2013, confidò che nel rapporto con il Signore vi è una cascata di tenerezza e di conso-lazione. “Ogni cristiano, e soprattutto noi, siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona sereni-tà e gioia, la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti” (Testimoni. Febr. 2014).

“Un uomo di missione un giorno pregava così: “Fa, mio Signore, che le mie mani siano sempre aperte per tutti e, quando non avrò più niente da offri-re o da condividere, ch’io possa avere ancora un po’ di tepore tra le mie dita per riscaldare chi ha freddo e paura” (Maria Romana De Gasperi su “Avve-nire” 03.05.14).

Veramente c’è ancora molto “cuore in quelle mani” ischeletrite dall’amore!

E non è utopia!

P. Lucio Albertini

Pastorale

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SCHEGGE DI PASTORALEVERSO LE PERIFERIE ESISTENZIALI

L’invito rivolto ripetutamente alla Chiesa da Papa Francesco di andare verso le periferie esistenziali non ha ces-sato di rimbalzare sui mass media, incon-trando sia consensi che avversità. Nella mente del Pontefice, le periferie sono i luoghi dove si trovano le persone che, per diverse ragioni, la Chiesa non può raggiungere se non uscendo dai circoli protetti dove svolge il proprio ministe-ro. Tra quanti abitano fuori dalla città, sono soprattutto i poveri, feriti nel cor-po e nello spirito, ad attirare l’attenzio-ne del Papa.

Per chi segue la letteratura eccle-siale, gli interventi del Pontefice non costituiscono una novità. Lungo la storia

della Chiesa, infatti, sono stati frequenti i richiami a prendersi cura delle persone che si trovano al margine della società. In tempi abbastanza recenti, numerosi documenti sull’amore preferenziale dei poveri hanno popolato gli scaffali delle librerie. L’originalità degli interventi di Papa Francesco consiste, forse, nel fat-to che egli comunica il suo messaggio con uno stile nuovo, accompagnandolo con un regime di vita che lo rende più immediato e incisivo. Anche ai tempi di San Francesco si parlava dell’amore verso i poveri e si attuavano, nell’ambito ecclesiale, provvidenze in loro favore. La forza del messaggio del poverello di Assisi, però, colpiva in maniera nuova e con più forza le coscienze perché il santo metteva al centro della sua predicazione l’uguaglianza di tutti gli uomini, renden-dola più credibile ponendosi al livello di quanti erano discriminati a causa della povertà.

La scossa impressa dal Papa alla Chiesa, che trova una elaborazione concettuale nell’Esortazione apostoli-ca Evangelii Gaudium, non può lasciare indifferente il nostro Ordine, fondato da San Camillo per aiutare quanti, ai suoi tempi, si trovavano alla periferia della società. Nel corso della storia dell’Istituto, l’amore preferenziale per i meno privilegiati ha conosciuto manife-stazioni particolari, come l’assistenza agli appestati, la cura dei malati a domicilio e, più recentemente, le missioni nei Paesi in via di sviluppo.

In alcuni momenti di stasi, si sono alzate voci per richiamare l’Ordine alla fedeltà al carisma originario. Una delle

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più eloquenti è stata quella di P. Camil-lo Cesare Bresciani, per il quale l’atten-zione ai più poveri doveva essere radi-cata, come voleva San Camillo, sull’os-servanza gioiosa della povertà, vissuta nella comunione fraterna. Un secolo più tardi, e in un contesto diverso, nel capitolo generale del 1989, vi è stato un richiamo ufficiale ad affinare la sensibi-lità verso i poveri e il Terzo Mondo. Tut-te le comunità dell’Ordine, coinvolte nella preparazione dell’assemblea capi-tolare, hanno apportato preziosi con-tributi. L’obiettivo non era la riforma dell’Ordine, ma solo la ricerca di nuove vie per mettere in pratica il dettato della Costituzione: “Il nostro Ordine dedi-ca di preferenza le proprie attività agli infermi più poveri ed abbandonati, ed è sollecito nel rispondere ai loro bisogni nelle nazioni in via di sviluppo e nel-le terre di missione” (n. 51). In quella circostanza si è preso coscienza, ancora una volta, che, se il cuore di San Camil-lo batte dovunque vi è un gesto di carità verso gli ammalati, esso pulsa con mag-gior intensità quando oggetto dell’amo-re misericordioso sono i più poveri, gli ultimi. In seguito alla celebrazione del capitolo, vi è stata una migliore presa di coscienza che l’opzione preferenziale per i poveri è parte del nucleo centra-le della fede cristiana, è la condizione necessaria di fedeltà alla tradizione fon-dazionale della Chiesa.

Ciò ha portato - e qui le mie osser-vazioni riguardano solo l’ambito italia-no - a dare uno sguardo più attento alle iniziative dei Fratelli Ettore Boschini e Francesco Zambotti, all’opera avan-guardista di Madian (Torino), all’Opera San Camillo di Predappio per gli ex-malati psichiatrici, al Centro Psichia-

trico riabilitativo-residenziale “Maso San Pietro” di Pergine, all’ospedale degli Alberoni (Venezia) per malattie degenerative, alla Fondazione PRO.SA ONG Onlus, al Villaggio Eugenio Litta di Grottaferrata (Roma) per la riabilitazione infantile e al sorgere di altre iniziative come la Casa sollievo “San Camillo” di Acireale per i senza dimora, la Casa Famiglia “Tenda di San Camillo” per malati di AIDS e l’Istituto psico-pedagogico per disabili psichici di Mangano, senza dimenticare la crescita delle Case di riposo per anziani. Tutte iniziative, queste, in cui si può vedere l’attuazione della Disposizione generale n. 15 che invita ad aprire gli occhi sulle nuove povertà: gli anziani soli, i dimessi dagli ospedali psichiatrici, gli immigrati del Terzo Mondo, i lavoratori clandesti-ni, i profughi irregolari, i tossicodipen-denti e i malati di Aids…

Malgrado qualche rallentamento, la spinta ad andare verso le periferie non si è esaurita nel mondo camilliano ita-liano, per cui una risposta al richiamo di Papa Francesco non parte da zero. Oltre a quelle già ricordate, non man-cano iniziative recenti che mirano a investire le energie nelle periferie esi-stenziali. Sempre nel contesto italiano, va ricordato l’hospice di Capriate e nella stessa istituzione, il reparto riservato ai malati di Alzheimer, il Centro di relazione “San Camillo” del Centro Camilliano di Formazione di Verona, che offre un ser-vizio gratuito a quanti hanno bisogno di essere accompagnati in momenti di difficoltà, il progetto di una Comunità di accoglienza per ex-malati psichiatrici a San Giuliano.

Nell’invito del Papa ad andare verso le periferie non vi è il disconoscimento

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del valore del ministero compiuto nella città, ma solo l’intenzione di far com-prendere che la tensione verso gli ultimi deve crescere nella Chiesa, superando resistenze ed ostacoli. Nel nostro con-testo, uno degli strumenti – non l’unico – per mantenere viva tale tensione, è costituito dalle iniziative, già operan-ti, rivolte ai più poveri. Esse, infatti, ricordano ai singoli religiosi, in qual-siasi posto si trovino ad operare, in che direzione deve rivolgersi il pulsare del loro cuore.

Tale consapevolezza aiuta:- in primo luogo, a considerare la

crisi in cui si trovano alcune Case di

Cura – che hanno avuto e continua-no ad avere innegabili meriti – come un’occasione per pensare ad altre forme di presenza nel mondo della salute più rispondenti, oggi, al carisma camilliano;

- a presentare come fiori all’occhiel-lo dell’Ordine o della Provincia quelle opere che, pur avendo meno prestigio dal punto di vista umano, evidenzia-no con più incisività, accanto all’ap-propriatezza dei servizi, le motivazioni evangeliche che ne sono all’origine. È di aiuto a porsi in questa prospettiva l’esempio di Gesù che, interrogato dai discepoli di Giovanni se fosse lui il mes-sia o se si dovesse attenderne un altro, non ha presentato, nella sua risposta, programmi umanamente eclatanti, ma unicamente il servizio amoroso prestato ai sofferenti del corpo e dello spirito. Al termine del suo messaggio a Giovanni, il Cristo ha proclamato beato chi non si sarebbe scandalizzato di lui, cioè non avrebbe trovato ostacolo nelle sue umi-li origini e nell’assenza di potere mon-dano e di trionfalismo nelle sue azioni (Cfr. Mt 11,1);

- a incoraggiare i singoli religiosi e le comunità a porsi questo interrogati-vo: cosa possiamo fare per i poveri, nel corpo e nello spirito, nel contesto in cui ci troviamo? Se le celebrazioni del IV Centenario della morte di San Camillo – ben organizzate e riuscite – contribu-iranno a lasciare nei singoli religiosi e nelle comunità questa tensione verso ciò che costituisce uno dei nuclei centrali della spiritualità del Fondatore, saranno esenti dal rischio di essere qualificate come un fuoco d’artificio, bello da veder-si ma di poca durata.

P. Angelo Brusco

Milano, 1987: Fratel Ettore in compagnia di un barbone appena incontrato e di una bambina libanese.

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CIÒ CHE A GESÙ PREME DI PIÙ (Gv 14,1-12)

Sarebbe un gesto di straordinaria novità se Papa Francesco, affacciando-si, come fa ogni domenica dalla finestra del palazzo apostolico in Roma, sul-la piazza di San Pietro annunciasse ai fedeli: “Oggi, fratelli e sorelle, vi voglio dire la cosa che più di tutto sta a cuore a Gesù”.

Effettivamente questa cosa c’è ed è una sola, quella che premeva a Gesù più di tutte: che chi lo ascoltava diven-tasse una persona convinta e contenta di potersi rivolgere a Dio chiamandolo Padre.

Non si può negare che in Gesù vivesse questa nostra vocazione eterna. L’unica cosa che Gesù voleva era che noi potessimo rivolgere a Dio Padre la nostra fede, contro ogni paura e ango-scia, in modo così fermo e incrollabile che il nostro cuore diventasse, per mez-zo di questa fede, così vasto da essere capace di fare il bene senza le minacce di castighi.

Gesù non tollerava che la paura e il timore di Dio, unitamente al giudizio di vanità di tutte le cose, (Qo 1,1) fossero l’ultima informazione che ci lascia la religione. Purtroppo, dispiace doverlo dire. La religione cristiana non è sta-ta presentata nel suo complesso, lungo i secoli come la religione della gioia, almeno per quanto riguarda la gioia del vivere in questo mondo. Piuttosto è sta-ta la religione del santo (santo?) timor di Dio, retaggio della religiosità ebraica.

Quanto deve essere stato penoso per Gesù il constatare la fatica menta-le nell’abbracciare il suo Vangelo del

Padre Celeste perfino da parte delle persone che voleva accanto perchè continuassero la sua opera. Forse l’uni-co a comprendere in qualche modo la novità assolutamente dirompente del messaggio di Gesù fu Giuda, il solo giu-deo di Giudea tra gli apostoli. E non lo sopportò.

Gesù comunque, che non aveva bisogno di informazioni per sapere che cosa c’è nel cuore di ogni uomo (Gv 2,25), per la fede nel Padre non può perdere la sua fiducia neppure nei suoi futuri ambasciatori.

Per Gesù deve arrivare nella vita dell’umanità, nella coscienza di ciascun individuo, il momento in cui diventa chiaro il fatto che solo se si diventerà persone convinte e contente di essere amate da Dio Padre si avrà a questo mondo la pace. La guerra si può fare, la pace no. La pace c’è solo quando gli uomini hanno il cuore in pace.

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“Non abbiate paura, non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” raccomanda Gesù ai suoi prima di lasciarli. Queste sono parole che nessuno mai ha pro-nunciato prima di Lui su questa terra: parole di grande fiducia. Parole nelle quali è racchiuso tutto il vissuto perso-nale di Gesù e tutto ciò che gli preme che viva nel cuore della gente. Non c’è assolutamente niente a questo mondo per Gesù che possa sostenere una per-sona in modo che il suo vivere non pre-cipiti, come dice Dante, in “un correre alla morte”.

Correre alla morte sta ad indicare la vita quando è diventata un guazza-buglio, un ginepraio di contorcimen-ti ascetici che tolgono la serenità e il gusto i vivere.

“Presentavano a Gesù dei bambini perchè li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù al vedere questo “si indignò” e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perchè, è a chi è come loro che appartiene il regno di Dio. In verità vi dico, chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Lc 10,13-16).

I bambini sono per Gesù l’immagine di come si può, anzi, di come si deve trovare la strada giusta della vita.

I bambini hanno questo di peculia-re e di esclusivo che li distingue dagli adulti: sono originariamente convin-ti di essere da tutti coccolati pur non avendo fatto nulla per meritarselo. Noi adulti no, ma Gesù ci avverte: “ Se non diventerete come i bambini...”

Senza esagerare, queste sono le parole più meravigliose che ci abbia tramandato il Nuovo Testamento.

Per questo gli esegeti si sono scer-vellati a stabilire cosa volessero esatta-mente dire.

Ma chi era per Gesù stesso, perso-nalmente, Dio? Del Dio di Gesù non si può dire altro se non che per lui era (sit venia verbo) la realtà centrale dalla quale traeva la linfa e il vigore per tutta l’intera sua umanità. Dio per Gesù è la volontà che si spiega da sola, onnipo-tente e benevola. È di più per Gesù, se così ci si può esprimere, di misericor-dioso. Per Gesù Dio è esclusivamente buono, totalmente buono, da sempre buono.

Non ci perdona solamente ciò che facciamo, ma anche ciò che siamo: “Dio è amore”. Dopo averci messi al mondo non desidera altro se non che viviamo del suo amore.

“Non per aver a sé di bene acquisto, ch’esser non può, canta Dante, ma per-ché suo splendore potesse risplendendo dir “Subsito”, s’aperse in nuovi amor l’etterno amore” (Par. XXIX).

“O Dio, come è immensa la tua ric-

“Se non diventate come bambini ...”.

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chezza”, (Rm 11,33ss), “davvero nessu-no potrebbe capire le tue vie verso la salvezza... Chi ti ha dato qualcosa per riceverne il contraccambio?

Tutto viene da te... A te solo, o Dio, il nostro inno di lode per sempre. Amen”.

Quando Gesù parlava di Dio (ma c’è mai nella sua vita un momento in cui direttamente o indirettamente non si sia riferito a Lui?) ha in mente e nel cuore non il filo conduttore della parola della filosofia metafisica: ‘dio’, vocabolo proveniente dalla cultura politeistica, ma il sapore del nome proprio della lin-gua santa: ‘Yhwh - Sarò quel che sarò, con l’invito... fidati di me’.

“Un giorno Gesù andò in un luogo a pregare, quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore inse-gnaci a pregare, anche Giovanni lo ha insegnato ai suoi discepoli”. Allora Gesù disse: “Quando pregate, dite così: Padre, fa che tutti ti riconoscano come Dio, fa che il tuo regno venga”.

Noi, cosiddette persone istruite, sap-piamo benissimo che a questo mondo esistono culture nelle quali non è quasi possibile dire “padre” senza richiamare qualcosa di particolarmente odioso.

In bocca a Gesù... Padre è la voce che evoca ogni fiducia. Senza questa fiducia diventiamo come foglie al ven-to o come bolle d’acqua sulla corrente, da essa sostenuti invece possiamo essere specchi di luce infinita e risonanza di un altro mondo.

Noi sappiamo anche che se si va a scuola di filosofia -metafisica, se seguia-mo l’analogia del’ente, possiamo venire a capo di una certa idea di Dio, ovvia-mente tenendo ben presente l’assioma che “inter creaturam et creatorem non

potest tanta similitudo notari quin maior dissimilitudo sit notanda”. Ma questo Dio non è propriamente il Dio di Gesù.

Ciò che di Dio Gesù ha nel cuore e gli preme farci toccare con mano, lo si coglie fissando lo sguardo su “colui che abbiamo trafitto”( 19,37).

Tutto quello che Gesù diceva e faceva, tutto serviva a quietare in modo mansueto e paziente l’angoscia che ci fa continuamente sbandare nel male, e ad aprire il nostro cuore all’amore del Padre.

“Filippo, sono stato con voi per tanto tempo e non mi conosci ancora? Chi ha visto me ha visto il Padre”. Gesù incarna nella sua persona il “carattere” del suo Dio, e vuole molto semplice-mente che noi guardiamo, una volta per sempre, a questo Dio con occhi rinati di bambini che non hanno ancora impa-rato ad aver paura e sono capaci solo di una grande e sconfinata fiducia.

Così accadeva che stando vicino a Gesù gli occhi dei ciechi cominciavano a brillare, persone che si erano dovute considerare inaffidabili e perfino dete-stabili venivano restituite a se stesse.

Altre persone che non si erano mai fidate di camminare con le proprie gam-be, ascoltando Gesù, acquistavano un punto di vista sicuro e cominciavano a muovere da sé nella vita un passo dopo l’altro. Perfino chi si era murato in una tomba risorgeva.

Lontana da ogni entusiasmo escato-logico, ma anche da ogni moralismo e da ogni casistica Gesù esige per entrare nel regno di Dio già qui in terra la fede fidu-ciosa, unica, insostituibile, pura grazia.

La fede ha la forza, è il solo princi-pio attivo per guarire dal peccato del mondo. Questo peccato, al singolare, è

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universale, è prima, ed è radice di tut-ti i peccati-trasgressione di ogni legge. Riferendosi agli scritti di Kierkegaard si può dire che è la “malattia mortale” che ghermisce ogni esule figlio di Eva. Non è un peccato di superbia né di disobbedienza. Volerlo situare sul pia-no di una trasgressione morale e non collocarlo piuttosto essenzialmente sul piano dell’esistenza, nella tensione tra fede-fiducia e angoscia-sfiducia, è con-fondere il sintomo con la causa. Il pec-cato del mondo sta nella “sfiducia” di cui è vittima ogni creatura umana fuori dall’Eden1.

Fuori dall’Eden i figli di Adamo, che vogliono pur tuttavia restare sempre ancora dalla parte di Yhwh, trovano il motivo di essere buoni e contenti nel-la paura di lui. È una contraddizione, ma non se ne esce se non per una sola via: la conversione religiosa. L’esigenza della fede-conversione è l’unico impe-rativo posto da Gesù nel suo messaggio sul regno di Dio. È rivolto a tutti senza eccezione con durezza inesorabile per indicare l’unica vera via di salvezza.

Secondo il libro della Genesi (3,1-7) ciò che rende cattivo l’uomo è l’infi-nita “inermità” a causa della quale ogni individuo, per paura di perdere Dio, si impegna in proprio, chiuso in sé, per essere come lui. “Ecco, l’uomo è diven-tato come uno di noi”, dice Yhwh.

Questa visuale del peccato univer-sale insegna a vedere gli uomini invi-schiati nel male con occhi molto più buoni di quanto non riescano a darci tutte le considerazioni morali del pec-cato del mondo.

Il giorno dopo che Giovanni Batti-sta aveva spiegato a coloro che appar-

tenevano al gruppo dei farisei, sacerdo-ti e addetti al culto, chi era e che cosa intendeva fare, vede venire verso di sé Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo” (Gv 1,29).

Gesù intende toglierlo di mezzo con il suo ‘Vangelo del Padre’ che difende fino a morire sulla croce per esso. Per Gesù incontrare Dio Padre e incontra-re se stessi, è la stessa identica cosa. La seconda è il segno della prima e vicever-sa. Questo è il vero senso della croce. Ma è proprio per questo, viene da chie-derci per l’ultima volta, che Gesù deve morire? Sì, solo per questa ragione e per nessun’altra.

“Io sono la via, io sono la verità e io sono la vita”, rassicura Gesù il perplesso Tomaso. Gesù è vita perchè ciò che dice e fa, fa vivere, fa sentire le persone vive e riconoscenti (Lc 7,38-50) è via perchè ascoltando il suo Vangelo si scopre che la vita non è un correre alla morte, è verità perchè stando in compagnia di Gesù ogni cosa e ogni persona viene messa al suo giusto posto, ha il suo giu-sto valore. Con Gesù ogni persona può cominciare a vivere come Dio Padre l’ha pensata, voluta e fatta.

“Signore Gesù, se tu non fossi venu-to in mezzo a noi, noi non avremmo mai conosciuto il tuo e il nostro Dio. Come è diverso da tutti gli idoli fabbricati dal-la nostra paura! Quante incrostazioni, quanto sgorbi, veri tratti demoniaci, abbiamo proiettato sulla figura di Dio. Tu sei l’unico vero restauratore dell’im-magine di Dio Padre. Grazie a te, ma prima ancora al Padre Nostro”.

P. Domenico Ruatti

1. Cfr Vita Nostra, 2013: “Il rapporto religioso personale con Dio”, 105-113.

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IDENTITÀ DEL PRETE E IL SUO MESSAGGIO

È ovvio come ogni professione sia tanto proficua nella convivenza quanto più si presenta con la identità del com-pito che si prefigge di svolgere. Questo vale in particolare in ambito religioso. L’agnostico avrà un modo di vedere il mondo e la vita diverso dal credente, e chi è in cura d’anime emetterà valu-tazioni congeniali alla sua vocazione, alquanto diverse da chi aspira ad una carriera politica o imprenditoriale. Da un rappresentante della comunità ecclesiale ci si aspetta che si comporti in corrispondenza al messaggio deposto nelle sue mani. Di questo deve rendere conto a Dio e ai fedeli affidati alle sue cure.

Camus ha sottolineato, in un intervento sul dialogo, come questo sia fruttuoso quando i partners ci ten-gono ad essere quello che sono con le loro funzioni. “In altre parole: il mondo di oggi esige dai cristiani che essi rimanga-no cristiani. Poco tempo fa – prosegue lo scrittore – ho ascoltato alla Sorbona un prete cattolico che rivoltosi ad un relatore marxista confessò apertamente di essere un anticlericale. Ohimè, io non amo i pre-ti che sono anticlericali, come non amo le filosofie che si vergognano di sé”. (Fragen der Zeit, 60) L’affermazione di Camus è forse più attuale ora d’una volta. Ci sono ad esempio, tra le fila del clero, individui che secondo le convenienze assumono atteggiamenti che vogliono sorprendere, addirittura si fanno vanto nel proclamare gli scandali verificate-si nella storia della chiesa. Si ha l’im-pressione che la loro denuncia goda d’un compiacimento autolesionista. Si scarica delle responsabilità su altri, pro-

babilmente sospinti dall’ambizione di mettere in luce se stessi, la propria ret-titudine e serietà di coscienza. Viene da chiedersi se lo stato d’animo del fariseo non parlasse allo stesso modo. Davanti a lui si dispiegava un’umanità malvagia, rea di tutti i mali e disordini che afflig-gono la convivenza. Per fortuna lui non vi fa parte, lui è bravo.

Denunciare sì, ma soprattutto fareNon mancano all’interno della

chiesa fatti incresciosi, di cui, in quan-to cristiani, ci si dovrebbe vergognare come ci si vergogna d’un familiare tro-vato colpevole d’un grave crimine. È vero, nella storia della chiesa ci sono state lotte meschine, ingiustizie, abusi, a denunciare i quali ci pensano già gli addetti ai lavori. Un esempio. Qualche mese fa è apparso nelle edizioni Laterza un saggio intitolato: Un papa tra i lupi. Basta questo titolo per capire la serietà e lo schieramento dell’autore. Dunque un ambiente dove ci si sbrana. Nessuno, al di fuori della vittima, si salva. Che questo venga detto da un anticlericale non mette a disagio. Disturba però se detto da un credente. Non si può evita-re il sospetto d’una posa profetica o d’un voler gareggiare nell’insulto con l’avver-sario. In ogni storia si scopre del male di cui ci si rammarica, se si volesse però essere onesti, si dovrebbe aprire gli occhi anche al bene. Nel caso della chiesa ad es. ci sono i santi, i martiri, figure cari-smatiche che si prodigano per il ricupero di chi si trascina in ristrettezze di salute, età avanzata e situazioni economiche. Ci sono anche molti che per la loro fede soffrono persecuzioni e violenze.

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Camus lascia intendere di vole-re sentire anche la loro voce, la testi-monianza di chi non si tira fuori dalla mischia e accetta con umiltà e sofferen-za la condotta indecente di confratelli, ma nel contempo sa vedere la presenza di uomini retti e integerrimi fino a sfi-dare qualsiasi intimidazione. Anche in un terreno limaccioso può scorrere un ruscello di acqua limpida. C’è chi non chiude gli occhi al male di cui si assume il peso, come non li chiude a quanto di edificante si dispiega sotto lo sguardo. Costa poco la denuncia, costa però rim-boccarsi le maniche e passare ad esempi operativi.

Fede, non religioneUno dei bersagli maggiormente

colpiti nel dibattito religioso rispolvera la distinzione, oramai datata, tra fede e religione. L’una punta tutto sull’ani-ma, sul centro della persona, sullo spi-rito allo stato puro mentre l’altra sposta l’attenzione sulla facciata esteriore: atti di culto, apparati liturgici, strutture giu-ridiche, rapporti burocratici, impianti dogmatici, leggi, comandamenti, solen-nità celebrate nello sfarzo delle luci e dei paramenti dai colori sgargianti. Tut-to questo è fuori posto, storna l’atten-zione dallo spirito e va a scapito della vita interiore. Nessuno mette in dubbio che nel rapporto con Dio il primo posto deve essere assegnato alla fede. Fin qui niente da eccepire. La difficoltà sorge quando si avanza la pretesa di arrivare alla pura interiorità, liberandosi d’ogni manifestazione esteriore. Il tentativo è destinato a svanire come un fuoco di paglia. Il suo fallimento è deciso dalla stessa natura umana, che proprio per-ché umana e non angelica, proprio per-

ché costituita di corpo e non di puro spirito, non può prescindere da espres-sioni sensibili. La fede è un vissuto, non un puro pensato. Tocca sì la ragione, investe però anche le facoltà emotive: immaginazione, fantasia, sensi, udito, vista e tatto. L’apostolo Giovanni ne dà una testimonianza: “Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quello che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita […] quello che abbiamo visto e udito, noi l’annunciamo a voi” (1 Gv 1,1ss). La proposta d’una fede senza religione è un’astrazione, è un assurdo quanto lo sarebbe un uomo senza corpo. Non solo, sarebbe pure un venir meno a quanto è richiesto a chi è preposto a guida d’una comunità.

Lo stesso Hegel, cui vanno riferi-te le radici della secolarizzazione e in certo senso della demitizzazione, par-lando della libertà osserva che Epitte-to in catene gode d’una libertà fittizia, tutta racchiusa nel petto, tutta interiore perciò illusoria. Analogamente la fede tutta interiore, ridotta ad un puro pen-siero è una chimera. Anche la fede deve passare per un corpo, deve avere delle mani. Lo ricorda lo stesso apostolo Gia-como. “Che giova, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha le opere? […] mostrami la tua fede senza le opere”. Il fatto stesso che l’ipotetico soggetto dice di aver fede, è già segno che non la tie-ne solo chiusa nel petto. L’apostolo però vuole dire qualcosa di più, sofferman-doci sulla domanda: come manifestarla agli altri? Come testimoniarla davanti ai fedeli, affidati alle proprie cure? Vera-mente prima di mostrarla agli altri, si deve anzitutto mostrarla a se stessi. Sup-posto poi che la voglia tenere tutta per

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sé, come nel caso della libertà di Epit-teto, non potrebbe ingannarsi ed essere vittima di presunzione?

Il compito di annunciareUn atteggiamento fondamentale,

dove il prete rivela particolarmente la sua fede, si esplica nel triplice compito di annunciare il Vangelo, interpretarlo e passare alla sua applicazione. Il suo insegnamento non dispone di prove scientifiche del tipo della fisica o dell’a-stronomia. Non ne ha neppure bisogno, avendo a che fare con misteri e verità trascendenti, che, supposto per ipote-si di terzo tipo, venissero dimostrate, perderebbero il loro stesso senso. Per questo i teologi parlano d’un linguag-gio “mitico”, da non confondere con la fiaba o racconti fantasiosi di gusto estetico e d’altra parte da diversificare dal linguaggio scientifico i cui concet-ti definiscono ed esplicano in maniera esauriente il tema trattato, dicono tutto senza lasciare niente in sospeso. Non così il messaggio della rivelazione che sconfina nel mistero e nell’insondabile, ha carattere sacro, in quanto tale dice e non dice, svela e nasconde, è luce ed è ombra, rivela e allude, dà a conosce-re ma solo in parte. La presenza di Dio ad es. è raffigurata con la nube, che si vede ma nel contempo nasconde. Il profeta Isaia esclama: veramente tu sei un Dio nascosto! Quanto più si rivela tanto più ci si accorge che è nascosto. Se chi annuncia non dovesse rispettare, in nome d’una secolarizzazione frain-tesa, la sacralità del messaggio verreb-be meno al suo compito, cadrebbe nel banale. Per salvare l’imperscrutabilità dell’essere di Dio è imprescindibile l’ur-to con l’insondabile. Gli enunciati della

Bibbia non si afferrano una volta che se ne espliciti il loro senso etimologi-co, geografico, sociologico e culturale. Per quanto si spieghino, restano sempre immersi in un’atmosfera misteriosa.

Nel clima del disincanto scientifico e della secolarizzazione si è proposto di demitizzare il linguaggio biblico, osser-vando come esso sia basato su modelli di conoscenze condizionati da conce-zioni smentite dalle scoperte scienti-fiche. Si sa però che la Bibbia, come nota Galileo “non insegna come va il cielo ma come si va in cielo”, per cui il senso inteso dall’autore ispirato resta sempre valido. Il processo della demitizzazio-ne è una tentazione che compromette l’identità dell’annunciatore. Una volta che questo rifiuta il linguaggio “mitico” della sacra Scrittura cessa di essere un messaggero, un pastore di anime. Fini-sce per indossare la veste dello scien-ziato. La comunità alla quale si rivolge, non si presenta all’ascolto della parola per avere delle dimostrazioni o delle prove, viene, piuttosto, perché sospinta dalla fede. Vuole ascoltare il messag-gio profetico più che delle spiegazioni sociologiche e psicologiche, senza con questo sottovalutarne l’utilità. Il ten-tativo di sfrondare il linguaggio biblico

Un carroarmato russo. Simbolo di una fede e di una religione che ha esaltato e tradito l’uomo.

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da ogni intralcio “mitologico” è motivato dall’aspirazione di arrivare al suo nucleo puro e originario. Spunta ancora la ten-tazione del purismo. Ancora una vol-ta s’impone il richiamo all’interiorità e al superamento di strutture esteriori. Muovendo da questo presupposto vie-ne conseguente eludere l’incontro con il mistero. La Scrittura non può fare a meno del linguaggio mitico, abolire il quale comporta la scomparsa dello stes-so mistero.

“L’anima bella”Il motto adottato suona: andiamo al

nucleo essenziale, alla nuda verità origi-naria, andiamo oltre ogni sua veste este-riore! Sorge il problema: come arrivare alla verità pura tirandola fuori dalla sua veste senza intaccarne la sostanza? Una verità nasce con la sua veste o con il suo corpo. Voler separare il rivestimento dal contenuto è una violenza insensata. L’uno e l’altro formano un’unità inscin-dibile, quanto è inscindibile nell’uomo l’unità di anima e corpo. Si supponga si riesca a liberare il nucleo dalla zavorra che lo copre, si urterebbe sempre con l’incomprensibile e il mistero. Se ad esempio parlo della sanzione divina che implica condanna o salvezza e rifiuto le immagini mitiche, ricorrenti nella Bib-bia, del paradiso in alto e dell’inferno in basso, dovrò sostituire questi due termini con altri equivalenti. Se così, l’operazio-ne dello svestimento mitologico risulta inutile. Alla radice della demitizzazio-ne si trova ancora il disegno utopico di spogliare la fede dalla veste religiosa. Fede sì, religione no, Cristo sì, Chiesa no, spirito sì, carne no. Le conseguen-ze sono perniciose. A farne le spese non sono solo i riti, il culto, la liturgia e le

connesse solennità, ma l’intero impianto giuridico e la stessa gerarchia. Ci si tro-va davanti alla nota figura dell’”anima bella”, di romantica memoria. È “bella”: immacolata, innocente, tutta pura ed integra, purtroppo per conservarsi tale non deve mettere piede nella storia, altrimenti si macchierebbe. Non si può pensarla se non sospesa per aria come un fantasma senza mani e senza piedi, ma anche senza volto, perché se ne avesse uno potrebbe tradire dei difetti.

Il prete: colui che attualizza il linguaggio mitico

In questo quadro s’inserisce la discussione sorta tra Jaspers e Bult-mann, filosofo l’uno e teologo l’altro. È nel loro confronto che compare la figura del prete, cui spetta presentare ai fedeli la parola di Dio. Jaspers rim-provera al suo interlocutore di svilire la rivelazione, togliendo ad essa qual-cosa di essenziale: la veste “mitologica”. La missione del prete si concentra in fondo nello spiegare la “corporeità” del linguaggio della fede, che fa leva su immagini, raffigurazioni, simboli, meta-

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fore. Non è solo esegeta, è soprattutto testimone e lo è tanto più quanto più si appropria d’uno spirito di fede. Non ha paura di non apparire scientifico nel veicolare il messaggio. “Il pastore d’a-nime – nota Jaspers – cerca di ascoltare il linguaggio della Trascendenza come lin-guaggio di Dio e di parlare della stessa real-tà di vita comunitaria di fronte ad eventi e destini, a speranze e a disperazioni” ( Cf. La demitizzazione, 103ss). Il posto che la sua vocazione gli assegna lo immette nella realtà e nella vita, al di là della teologia accademica. È chiamato “al let-to d’un morente, in un matrimonio o fune-rale, nella miseria dell’esistere” per dare a questi eventi il senso che media dalla parola di Dio. Prosegue ancora Jaspers sul prete: “È in grado di fare ciò che nes-suna filosofia può capire: amministrare il culto nella comunità, i sacramenti, com-memorare solennemente le feste sacre”. “Grazie a lui il linguaggio mitico diventa efficace. Egli accoglie il mondo mitico e lo attualizza”. Forse la sua vocazione può figurare impossibile, e lo è, se deluso. Altrettanto impossibile “per chi trasfor-ma la propria fede in assoluta interiorità, per chi smarrisce la corporeità del sacro”.

Jaspers non risparmia lusinghieri termini elogiativi nei confronti della vocazione sacerdotale. “Si resta pieni di ammirazione e di preoccupazione di fron-te al coraggio di chi, nella vita personale e nell’impegno, ricerca la salvezza non solo per sé ma per tutti”. Nella sua attività si manifesta, come uomo di fede, a delle persone che, come lui, sono credenti. Non si arrende ad un “mondo deforma-to in senso razionalistico”, allarga il suo orizzonte oltre la realtà puramente ter-rena appellandosi “alla buona coscienza di chi vuole, e può, ancora credere”. Chi

ascolta l’annuncio chiede di essere con-fortato nella sua fede. Desidera che l’an-nunciatore si manifesti per quello che deve essere con la sua identità, proprio come lo vuole Camus. È interessante come il richiamo all’identità del prete venga da persone che non si professano credenti cristiani. Il loro invito suona come un rimprovero mosso contro quel-la secolarizzazione radicale che rifiuta qualsiasi manifestazione sensibile, di cui la fede non può fare a meno. Volere fare a meno di ogni manifestazione esterna bollandola come formalismo o facciata farisaica è una tentazione che, motiva-ta da presupposti ideologici, non aiuta a vivere la fede concretamente. Non è vero che l’anima popolare, attacca-ta a manifestazioni esteriori e a prati-che devozionali vive di superstizioni. È nel semplice popolo che circola la vita genuina, la fede calata nel costume, la preghiera verace e cordiale. Certe for-me di secolarizzazione sono frutto di speculazioni accademiche, fredde, senza soffio vitale e senza cuore.

Fa piacere ascoltare la voce di chi non si sente di appartenere al cristiane-simo e alla comunità ecclesiale. Attra-verso di loro veniamo a sapere quello che essi si aspettano dal prete. Rivendi-cano il diritto di incontrarlo con la sua identità, non come un emulo che ne condivide il pensiero. La testimonian-za di Camus e Jaspers, cui si potrebbero aggiungere altri nomi, torna utile par-ticolarmente nel contesto della cultura attuale, dove nel clero si riscontrano delle confusioni e soprattutto dove il mimetismo minaccia di cancellare le diversità, condannandoci ad un appiat-timento avvilente.

P. Mario Bizzotto

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DAL CENTRO CAMILLIANO DI FORMAZIONE

Un lusinghiero bilancioIl primo semestre (gennaio-giugno)

del 2014 si è chiuso con un lusinghiero bilancio: 1232 persone hanno benefi-ciato delle risorse formative del nostro Centro, 921 di esse nella Sede di Vero-na e 311 in altre località (Parrocchia di Albaredo, Centri dell’Unitalsi e della Caritas di Verona, Ospedale di Negrar, Università del tempo libero di Rove-reto, Milano-San Camillo, Cremona, Mantova).

Le ore d’insegnamento in sede sono state 300, quelle fuori sede 132. Sono escluse da questo conteggio le confe-renze occasionali tenute dal Direttore in varie occasioni.

I corsi brevi (dalle 12 alle 30 ore), ai quali ha partecipato un totale di 138 persone, sono stati:

e di bioetica

vita alla luce di immagini bibliche

-na

-to

mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto

(week-end)

Di più ampio respiro sono stati soprattutto i Corsi triennali di counseling

nelle due formule, professionale e pasto-rale, ambedue accreditate dal Coordina-mento Nazionale Counselor Professio-nali (CNCP) e i Corsi per il volontariato.

In questa breve rassegna, vogliamo soffermarci ad illustrare il Corso trien-nale di Counselling, l’Università del volontariato, l’Associazione di promo-zione sociale “Perché lasciarti andare?” e il ciclo di conferenze “Verso il centro del labirinto”.

Il Corso di counsellingIl counselling è una “relazione d’a-

iuto” professionale, disciplinata dalla Legge n°4 del 14 gennaio 2013. Essa consiste nell’applicazione da parte del professionista di un insieme di abilità e competenze tese a facilitare il clien-te nell’uso delle sue risorse personali, affinché questi possa trovare la soluzio-ne ad un problema che crea disagio e migliorare complessivamente la qualità della sua vita.

Lo scopo del counselling è quel-lo di offrire al cliente l’opportunità di esplorare e riconoscere i propri schemi d’azione e di pensiero e aumentare il livello di consapevolezza, così da saper utilizzare al meglio le proprie risorse personali per gestirsi in modo efficace e raggiungere un maggiore benessere.

Il corso è rivolto a chi, anche se non laureato in psicologia, vuole accompa-gnare persone e gruppi in percorsi di crescita e di maggiore consapevolezza là dove non occorrano percorsi psico-terapeutici.

Il counselor che esce dalla nostra scuola è una persona con una visione positiva dell’altro, in grado di restare in

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contatto con il disagio che nasce dalle crisi esistenziali, dai momenti di passag-gio della vita, dalla fatica di prendere decisioni, dalle difficoltà relazionali e familiari, ma anche dalla malattia, dalle paure ad essa legate, e dal lutto. L’ap-proccio del nostro corso è umanistico-integrato.

Il percorso di counselling con un cliente può avere una durata che va da uno a dieci-dodici incontri, in cui, attraverso tappe e obiettivi condivisi, si affronta un problema specifico che la persona può superare grazie alle proprie risorse, e che con l’aiuto di un professio-nista della relazione di aiuto può mette-re a fuoco e utilizzare.

Il counselling non è dunque un percorso di cura o di psicoterapia o di consulenza psicologica, ma un cammi-no in cui il cliente aiutato dal counselor comprende meglio la propria difficoltà, lo scenario sperato e il modo di perse-guirlo.

Il counselor formato dal Centro è in grado di ascoltare anche la dimensione spirituale della persona, la sua ricerca di senso, e di mettersi a fianco senza mai suggerire soluzioni personali. L’attenzione alla dimensione spirituale della persona è particolarmente prestata nel corso di counseling pastorale.

Il corso ha una durata triennale. Si tiene un sabato al mese e quattro week end all’anno nella sede di Verona del Centro Camilliano di Formazione (Via C.C. Bresciani, 2) e in quella di Milano (Via Mauro Macchi, 5).

Il corso prevede quindi un percor-so su vari piani: quello strettamente didattico, in cui gli allievi apprendono le conoscenze necessarie per avere un background culturale adeguato al ruo-

lo di counselor, quello esperienziale di apprendimento del counselling con una modalità di laboratorio, e quello auto-formativo con un percorso di gruppo che facilita la conoscenza di sé e delle proprie modalità relazionali.

Completa necessariamente la for-mazione il tirocinio, che prevede che un allievo conduca colloqui di counselling con la supervisione da parte di docenti esperti.

Il corso triennale di counselling è attivo a Verona dal 2005. Attualmente i counselor del nostro Centro di Forma-zione iscritti al CNCP sono 112.

I partecipanti per l’anno 2014 pres-so la sede di Verona sono:- 76 per il corso triennale di counsel-

ling- 23 per il corso triennale di counsel-

ling pastorale- 29 per il IV° anno per un totale di 129 studenti.

I partecipanti per l’anno 2014 pres-so la sede di Milano sono 26.

Il 21 giugno c.a. sono stati consegnati

P. Angelo Brusco con il Consultore Generale, P. Zoungrana.

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38 diplomi di counselor e counselor pro-fessionista.

Riteniamo che questi numeri indi-chino, in primo luogo, lo sviluppo che il counselling ha avuto negli ultimi anni in Italia, ma anche la priorità di scelta che le persone fanno sul territorio non solo veronese frequentando il nostro Centro. Ciò ci suggerisce di continuare nel percorso formativo con il medesimo impegno.

L’Università del volontariato“Quello che facciamo è come una goc-

cia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.

Il volontariato è una delle espres-sioni di autentica civiltà e umanità del vivere sociale; esso ricorda il primato della gratuità e dello scambio di risor-se e testimonia che la solidarietà è la prima prevenzione del disagio. Occorre però possedere un sufficiente bagaglio di competenze, perché anche il volon-tario è chiamato ad agire con professio-nalità e a rispondere in modo adegua-

to alle richieste che gli vengono fatte. Le competenze richieste sono umane e tecniche, trasversali e specifiche e sono necessarie se si vuole non limitarsi all’improvvisazione.

Per questo è nato il progetto desti-nato a tutti coloro che agiscono nel mondo del volontariato, indipendente-mente dall’appartenenza o meno ad una associazione, dalla eventuale tipologia associativa a cui appartengono e dal

ruolo che vi ricoprono.Il percorso formativo è aper-

to anche a quanti desiderano comprendere meglio la realtà del volontariato e valutare la possi-bilità personale di spendere parte del proprio tempo e delle proprie energie per gli altri.

Il corso ha durata annuale (questa è la III edizione) ed è suddiviso in moduli che posso-no essere frequentati comples-sivamente o singolarmente. Per citare alcuni moduli: i mol-ti volti della solidarietà; crisi:

rischi e opportunità; accompagnare il malato grave e terminale; l’età anziana nel ciclo della vita; la considerazione positiva; ansia amica e ansia nemica; l’educazione alla bellezza; l’ottimismo... e molti altri!

La metodologia prevede lezioni frontali, seminari, laboratori. In questa III° edizione i partecipanti sono 34.

L’Associazione “Perché lasciarti andare?”

L’associazione di Promozione Socia-le “Perché lasciarti andare?” è nata nel Febbraio 2012 dalla sensibilità di alcuni sacerdoti e laici che lavorano e operano sul territorio veronese sulla tematica del

Verona, San Giuliano, Centro Camilliano di Formazione: P. Angelo con il Gruppo dei diplomati in counselling il 21 giugno 2014.

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lutto. È un’iniziativa in cui brilla una bella collaborazione tra l’Ufficio dio-cesano per la pastorale della salute e il nostro Centro. È aperta a tutti coloro che sono sensibili, per esperienza perso-nale o indiretta, al tema del lutto e della sua elaborazione.

L’associazione cerca di favorire la diffusione di una cultura attorno ai temi della morte e del lutto che aiuti le persone ad affrontare e ad elaborare le varie perdite della vita, cercando di promuovere gruppi di sostegno e di auto mutuo aiuto per persone colpite dal lut-to, preparando adeguatamente operato-ri capaci di affiancare queste persone.

Il 17 Maggio c.a. si è svolto il con-vegno “Perché lasciarti andare?” che si proponeva di sensibilizzare la comunità civile ed ecclesiale alle problematiche psicologiche, sociali e spirituali riguar-danti l’esperienza del lutto, di creare collaborazione tra quanti sono impegna-ti in questo settore e di proporre nuove iniziative. A tale convegno hanno par-tecipato alcuni relatori noti nel settore dell’elaborazione del lutto, che hanno proposto un percorso di riflessione a partire dalla riflessione sul lutto nella cultura moderna come sfida e oppor-tunità (dott.ssa Livia Crozzoli Aite di Roma), per poi individuare un percorso possibile di aiuto attraverso i gruppi di auto mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto (p. Pierpaolo Valli), e infine è stata inserita la testimonianza di due coniugi che attraverso il gruppo di auto mutuo aiuto hanno potuto vivere con dignità la perdita del loro figlio (Don Luciano Ferrari con i coniugi Modena).

La partecipazione è stata notevole nonostante il tema molto impegnativo e oggi rimosso spesso anche dalle nostre

semplici conversazioni: circa 100 perso-ne. A questo evento hanno fatto segui-to tre incontri specifici su temi riguar-danti il lutto: Come comunicare e parlare ai bambini del lutto e della morte (dott.ssa Zanotti); Gli adolescenti di fronte alla morte (dott. Lizzola); Il suicidio: il lutto di chi resta (p. dott. Pangrazzi).

Anche per questi tre incontri la par-tecipazione è stata di circa 60 persone ad incontro.

Riteniamo che questi eventi abbia-mo raggiunto la mente e il cuore di molte persone che hanno vissuto diret-tamente o indirettamente esperienze dolorose di lutto e ci auguriamo che questo possa contribuire a sensibilizzare il territorio sulla tematica della morte e sullo strumento dei gruppi di auto mutuo aiuto (AMA) per l’elaborazio-ne del lutto, come risorsa per affrontare e condividere il dolore della perdita di una persona cara.

Il ciclo di conferenze“Verso il centro del labirinto”

Il labirinto è uno dei simboli del viaggio interiore compiuto dall’uomo per comprendersi, risolvere i propri pro-blemi umani e spirituali e dare una dire-zione al proprio agire. Lo troviamo nella cultura di tutti i popoli, illustrato nella letteratura di ogni tempo, disegnato o scolpito nelle caverne preistoriche, in numerose chiese. Anche attualmente, tale simbolo è utilizzato largamente da gruppi impegnati in progetti di crescita umana e spirituale.

Nell’esperienza del labirinto vi è sia la ricerca del centro, cioè della meta del cammino esistenziale, di ciò che è importante, sia l’impegno per tro-vare una via d’uscita che consenta di

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applicare alla vita quotidiana, soprat-tutto nel rapporto con gli altri, quanto si è appreso nel viaggio all’interno di sé. Ambedue questi movimenti sono caratterizzati da una serie di tentativi per trovare la giusta direzione che porta alla meta.

Nel cammino verso il centro del labirinto, la persona vive numerose esperienze: l’amicizia e l’amore, il con-flitto, l’incontro degli aspetti negativi del proprio essere, la ricerca spirituale, l’aiuto di una guida… Alla luce di que-sto simbolo, in questo primo ciclo di con-ferenze sono stati illustrati alcuni aspetti del viaggio nella vita:1. Verso il centro del labirinto: la fatica e

la bellezza della ricerca umana e spiri-tuale (p. dott. A. Brusco)

2. Quando il cambiare è necessario per rimanere se stessi (dott.M. Masotto)

3. Uno sguardo colorato di ottimismo (dott.ssa M. Mengali)

Il poter riflettere su aspetti della vita, quali la ricerca umana e spiritua-le, il cambiamento, il positivo, sembra aver attirato la curiosità e l’interesse di molte persone tanto che i partecipanti sono stati circa 60 per incontro.

Il Centro di relazione di aiuto “San Camillo”

Il Centro di Relazione di Aiuto “San Camillo” (RdA) è un luogo in cui counselor professionisti, non specializ-zati in psicologia o psicoterapia, svolgo-no un servizio di ascolto attivo che per-mette alle persone in situazione di biso-gno di sentirsi accolte e accompagnate nel comprendere e superare le difficoltà in cui si trovano. Se la situazione lo richiede, esse potranno essere indirizza-

te a specialisti che potranno offrire loro un aiuto specialistico. Il Centro RdA non è, quindi, rivolto a quanti cercano beni materiali: soldi, cibo, casa o altro. Questo per una chiara scelta di campo: sono già molti i centri di ascolto che hanno lo scopo di andare incontro alle esigenze materiali delle persone. Cre-diamo che manchi invece un servizio autentico ad una povertà oggi trascura-ta: la povertà di non poter parlare di sé con qualcuno capace di ascoltare.

Destinatari del Centro RdA sono tutte le persone che sentono il bisogno di essere ascoltate e di approfondire la conoscenza di se stesse e delle proprie relazioni, per poter eventualmente superare le situazioni problematiche in cui si trovano. È un servizio di ascol-to che offriamo gratuitamente e che in questo primo semestre ha fornito aiu-to a circa 40 persone per un totale di 250 ore di relazione di aiuto. L’obiet-tivo è rispondere al bisogno di ascolto, accompagnamento e sostegno che le persone vivono quando si trovano in una situazione difficile a livello perso-nale o interpersonale.

ConclusioneLe attività svolte nel passato tri-

mestre e lo spirito con cui sono state compiute, radicato nei valori di un sano umanesimo e della spiritualità cristia-na e camilliana, ci incoraggiano a pro-seguire il nostro cammino con sereno impegno per offrire un contributo effi-cace alla promozione della salute uma-na e spirituale delle persone.

Dott.ssa Malaika RibolatiCollaboratrice

del Centro Camilliano di Formazione

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GIORNATA DI FORMAZIONE E FRATERNITÀ A SAN GIORGIO A CREMANO

Il giorno 3 maggio si è tenuta a San Giorgio a Cremano, presso la casa pro-vincializia camilliana della Provincia Siculo-Napoletana, una giornata di for-mazione e fraternità fra le varie realtà che, pur con modalità diverse, vivono il carisma camilliano di assistenza ai sof-ferenti e ai bisognosi di ogni necessità.

È stata una giornata voluta all’interno della Primavera Camilliana, cioè di tutte quelle celebrazioni orga-nizzate in occasione del IV Centenario della morte di San Camillo.

Erano presenti, oltre ai religiosi camilliani, don Leonardo Zeccolella, Direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute della Diocesi di Napoli, e nume-rosi laici appartenenti alla Famiglia Camilliana Laica di Casoria, dell’ospe-dale Cardarelli, di Melito; i volontari dell’ospedale Pascale e del Policlinico; il gruppo del RnS Guarigione e Libera-zione che svolge attività di volontaria-to presso l’ospedale Monaldi attraver-so l’associazione di volontariato “San Camillo del Lellis”; la Fraternità Comu-nione e Liberazione di San Giorgio a Cremano che si occupa delle famiglie più povere attraverso il Banco Alimen-tare; il personale e i volontari dell’ospe-dale di Casoria; l’AVO.

Dopo un momento di accoglienza, i lavori sono iniziati con l’intervento di p. Germano Policante, camilliano presso la casa di cura “San Camillo” di Mila-no, docente di Sociologia della Salute al Camillianum di Roma. Padre Germano ha proposto ai presenti alcune riflessioni sul tema: “Educazione e Promozione della

Salute”, spiegando con chiarezza innan-zitutto il significato di salute che, secon-do la Carta di Ottawa del 1986, non deve essere intesa soltanto come assenza di malattia, ma piuttosto come armonia e integrazione tra le varie dimensioni della persona: fisica, emotiva, intelletti-va, sociale, religiosa. Da qui l’importanza del mondo esterno nel quale si vive, cioè l’ambiente, la natura; il mondo interno, cioè il corpo vivo; il sistema sociale, cioè l’organizzazione del sistema sanitario; il soggetto nel suo mondo vitale insieme alle persone per lui più significative, ossia parenti e amici. Pur rimarcando, quindi, l’importanza della presenza delle persone care nella vita di ciascuno di noi e in particolare degli ammalati, assistia-mo, invece, proprio nei nostri ospedali, all’allontanamento di queste persone da parte del personale ospedaliero, lascian-do l’ammalato in una solitudine che va ad accrescere ancora di più la sua soffe-renza.

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S. Giorgio a Cremano (NA). Gruppo di partecipanti alla giornata di formazione e fraternità.

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Nel corso della meditazione, sono stati affrontati anche gli ostacoli e le dif-ficoltà che minano la salute di ognuno di noi. È pertanto necessario che tutti noi cambiamo atteggiamento di fronte a queste difficoltà, che cambiamo pensieri e comportamenti individuali e collettivi, perché a nessuno sia negato il diritto alla salute. Padre Germano ha poi concluso con un auspicio finale: vogliamoci più bene, perché così sapremo amare anche gli altri, per realizzare le parole del Van-gelo: “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Dopo una breve pausa, padre Médard Aboué, sacerdote camilliano del Benin, ha proposto un excursus storico della Missione Camilliana di Africa.

La Comunità religiosa in Africa è nata in Benin nel 1973 con l’arrivo di tre missionari italiani: padre Gino Cisternino, padre Vincenzo Di Blasi e fratel Antonio Pintabona. Tanto è stato realizzato da quella data, infatti oggi è possibile raccogliere i frutti di questa missone: dal 2005 non ci sono più italiani, ma solo autoctoni che pro-seguono il lavoro dei missionari; sono state realizzate sette-otto case rispetto alle tre esistenti nel 2005; i sacerdoti sono diventati circa 60, aiutati da tanti laici e collaboratori con i quali condi-vidono il carisma di san Camillo; sono state aperte nuove missioni: due ospe-dali in Togo, uno in Centrafrica e uno al nord del Benin. Oggi l’ospedale in Centrafrica è chiuso a causa della guer-ra, e i religiosi presenti, pur dietro l’in-vito del superiore di rientrare in Benin per i rischi altissimi a cui vanno incon-tro, non hanno voluto abbandonare la popolazione martoriata e bisognosa di aiuto anche per seppellire i loro defunti uccisi nei combattimenti.

Padre Médard ha mostrato una serie di fotografie che meglio hanno aiuta-to a comprendere la realtà africana: i sacerdoti sono medici, infermieri impe-gnati negli ospedali e negli ambulatori; svolgono attività di accompagnamento e di operatori sociali per l’istruzione e l’apprendistato di bambini, ragazzi e delle loro famiglie; sono formatori e accompagnatori dei giovani che sen-tono la chiamata del Signore alla vita consacrata; celebrano quotidianamente la S. Messa per le intenzioni dei bene-fattori. Oggi gli aiuti economici sono impiegati soprattutto a sostegno delle case di formazione, in quanto per la gestione degli ospedali si cerca di anda-re verso l’autonomia, garantita anche dai prodotti derivanti dalla fattoria dei camilliani, nella quale lavorano, oltre ai laici, anche i sacerdoti.

E, sempre in Benin, è stato nomina-to il primo vescovo camilliano, Mons. Prosper Kontiebo del Burkina Faso, ritratto insieme ai giovani religiosi della Casa di Formazione di Ouidah.

Nel pomeriggio i lavori sono ripre-si con un momento di condivisione, durante il quale è stato possibile rivolge-re domande a padre Alfredo Maria Tor-torella e a padre Médard e condividere anche ciò che più aveva colpito il cuore dei partecipanti: l’attenzione comple-ta da prestare agli ammalati durante le visite negli ospedali, attenzione discreta e mai invadente nel massimo rispetto del dolore e delle idee dei sofferenti; l’importanza della presenza dei familia-ri e degli amici accanto agli ammalati; l’entusiasmo, il senso di riconoscenza, la fiducia nella provvidenza che trapelava-no dalle parole di padre Médard mentre presentava le opere concrete dell’attivi-

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tà camilliana in Africa. Continuamente padre Médard ripeteva: “quello che pos-siamo fare lo facciamo”.

La giornata si è poi conclusa con una rappresentazione di Gaetano e Sal-vatore, della Famiglia Camillina Laica del Cardarelli, i quali hanno messo in scena una immaginaria intervista a San

Camillo, al quale si presentava anche la difficile realtà degli ospedali di oggi e le difficoltà di tanti giovani. Ma l’invito è stato chiaro: “mai smettere di sogna-re”, non per evadere dalla realtà, ma per poter trasformare proprio quei sogni in opere concrete.

Gabriela Spagnuolo

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FORTE DEI MARMI - BENEDIZIONE NUOVA CAPPELLA

Nel pomeriggio di domenica 25 maggio 2014, a benedire la nuova cap-pella della Casa di Cura San Camillo di Forte dei Marmi, in occasione della ricorrenza della nascita di San Camillo de Lellis (25 maggio 1550) e nel corso del 4° centenario della sua morte (14 luglio 1614), è stato l’Arcivescovo di Pisa Mons. Giovanni Paolo Benotto, che ha presieduto la concelebrazione insieme ai Camilliani che prestano ser-vizio di assistenza religiosa nella struttu-ra e ad alcuni parroci della zona.

Hanno partecipato anche le Auto-rità locali e alcuni noti concittadini, tra i quali Andrea Bocelli che ha deliziato la celebrazione con alcuni canti.

Nel porgere il benvenuto P. Davi-de Negrini, superiore della comunità, ha sottolineato come sia stata precisa volontà dei Camilliani restituire alla Casa di Cura una nuova Cappella, dandogli una più opportuna collocazio-ne all’entrata della struttura stessa, in modo tale che il luogo di culto diventi il luogo di elezione per la riflessione e la preghiera di quanti, ospiti visitatori e personale, frequentano quotidianamen-te questa struttura.

“La nuova Cappella”, ha detto Padre Negrini “risulta così essere il cuore pul-sante della Casa di Cura, il luogo dove il Signore si fa conoscere; il luogo in cui cerca l’uomo e si lascia trovare, purché abbiamo l’umiltà di saperlo cercare; il luogo del pellegrinaggio di preghiera per un popolo che non può fare a meno del Signore, nei momenti di sofferen-za e perfino della morte; il luogo dove

avvengono i “miracoli” che non sono le guarigioni dei mali che affliggono il corpo, ma quelli di vedere Dio-Amore anche nel buio del dolore”.

È poi intervenuto il direttore della Casa di Cura, dott. Alessandro Lombrano che, nel condividerne il significato, ha sottolineato che la Cappella è nata dalla collaborazione di molte realtà del territorio: le due parrocchie di Forte dei Marmi, che hanno fornito un importante contributo economico; alcune realtà imprenditoriali della zona, che hanno donato, tra l’altro, il marmo per la pavimentazione; il personale della Casa di Cura, che ha contribuito alla realizzazione dei lavori.

La giornata di festeggiamenti è ter-minata con un momento conviviale tra tutti i presenti.

P. Davide Negrini

A destra. Napoli, Palazzo Arcivescovile: il Card. Crescenzio Sepe, il relatore P. Giuseppe Cinà

e altri partecipanti al Convegno per i Cappellani Ospedalieri della Diocesi di Napoli

sul tema: “Il Vangelo della salute oggi, nel IV Centenario della morte di San Camillo”.

San Camillo, Forte dei Marmi: Mons. Giovanni Paolo Benotto, con il Superiore, P. Davide Negrini ed altri Concelebranti, presiede la Concelebrazione per la benedizione della nuova Cappella.

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IL CONVEGNO DEI CAPPELLANI OSPEDALIERI DI NAPOLI NEL IV CENTENARIO DI SAN CAMILLO DE LELLIS

Sabato 24 maggio, presso il palaz-zo arcivescovile in Via Donnaregina, si è tenuto il convegno per i cappella-ni ospedalieri della Diocesi di Napoli avente come tema: “Il Vangelo della salute oggi, nel IV Centenario della morte di San Camillo”. L’incontro è stato programma-to dall’Ufficio di Pastorale della Salute in collaborazione con i Camilliani, che celebrano quest’anno i quattrocento anni della nascita al cielo del loro fon-datore Camillo de Lellis (1550-1614), il quale in vita si prodigò tantissimo a Napoli negli ospedali dell’Annunziata e degli Incurabili e fondando, proprio nel capoluogo partenopeo, la prima comu-nità religiosa fuori dalla città di Roma.

Il convegno è iniziato con la Messa presieduta da don Leonardo Zeccolella – direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute – a cui ha fatto seguito un’inte-ressante conferenza di padre Giuseppe Cinà, camilliano e docente di antropo-logia teologica presso il Camillianum di Roma. Padre Cinà ha cercato di delineare in particolare il senso di portare il Van-gelo oggi all’uomo secolarizzato che però, a contatto con la sofferenza, acquista coscienza della propria finitudine e tende a desiderare nuovamente la salute come esperienza che lo apre a orizzonti più ampi. Da qui il riferimento a Camillo de

Lellis che, in un’epoca di grande riforma, innovò l’assistenza attraverso l’attenzione a tutto l’uomo, da lui visto non più pla-tonicamente scisso, ma unità profonda e immagine stessa del Signore crocifisso.

Camillo ebbe la geniale intuizio-ne, inoltre, di costituire una “primitiva pastorale ospedaliera” attraverso l’im-piego di uomini “pii e dabbene”, antesi-gnani dei volontari ospedalieri.

La seconda parte del convegno ha visto la partecipazione del Cardinale Crescenzio Sepe, il quale ha esortato i cappellani alla missione nei luoghi di cura. “Siete un vero esercito! – ha detto Sua Eminenza ai cappellani – e la vostra è una missione che fa rima con passione che fa rima poi con carità”, ha detto il Cardinale ai convenuti. Sua Eminenza ha poi ricordato come la missione, per forza di cose, non è mai rivolta solo al malato ma anche alle famiglie dei pazien-ti e al personale medico, che sempre più domanda alla Chiesa la consulenza etica su tanti campi. La benedizione finale del Cardinale ha coronato così l’incontro, il cui messaggio principale è stato quello di poter fare di più e meglio, valorizzan-do tra l’altro l’ausilio dei laici volontari, chiamati ad essere parte viva e responsa-bile della cappellania ospedaliera.

Alfredo Maria Tortorella, m.i.

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CREMONA RICORDA IL ‘PADRINO SANTO’ P. ENRICO REBUSCHINI

Molti Cremonesi hanno ancora impressa nella memoria e nel cuore la mattina del 4 maggio 1997, quan-do in Piazza S. Pietro, nel contesto di una solenne e suggestiva cerimonia presieduta da Papa Giovanni Paolo II, dichiarato recentemente santo, il telo si alzava ed appariva l’immagine radiosa e sorridente di P. Enrico Rebuschini che veniva proclamato “beato”.

Il “Padrino santo”, così veniva indi-cato dalla pietà popolare, che percor-reva le strade di Cremona per visitare gli ammalati nelle loro case, vedeva riconosciute anche dalla Chiesa quelle virtù eroiche sviluppate nel realizzare il carisma della carità e del servizio agli infermi sulle orme di S. Camillo.

Sabato 10 maggio, giorno della sua festa liturgica, viene ricordato con particolare solennità presso la cappel-la della Casa di Cura S. Camillo di via Mantova. La presenza del Vescovo di

Cremona, Mons. Dante Lafranconi, che presiede l’Eucaristia alle ore 10,00 è un segno che tutta la comunità eccle-siale di Cremona vuole rendere grazie al Signore per questo dono di santità espresso attraverso un suo figlio.

Il celebrare la figura di questo reli-gioso camilliano diventa, come sotto-lineava in un suo scritto don Alessan-dro Pronzato, un appello per tutti ad un impegno di santità. Il citato autore, presentando il Beato, scriveva: “Dun-que, uno come noi eppure tanto diverso da noi. Questo il paradosso, il problema inquietante che ci pone questa santità con l’abito di tutti i giorni. Una gran-dezza raggiunta con gli stracci della nostra vita di ogni giorno. Un capolavo-ro realizzato con un materiale ordinario. Un ideale conseguito non infilandosi su un provvidenziale e sicuro ascensore precluso ai più, ma graffiandosi mani e ginocchia sù per le ruvide pareti di una esistenza comune.

Cremona, Casa di Cura San Camillo. Il Superiore, P. Virgilio Bebber guida la liturgia presieduta dal Vescovo, mons. Dante Lanfranconi in occasione della Festa liturgica del Beato Enrico Rebuschini.

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Con una santità di questo genere non è possibile scantonare. E la nostra inguaribile mediocrità ne esce con le ossa fracassate. Tipi come padre Enri-co sono veramente... insopportabili. Ti dimostrano, ostinatamente, che quella faccenda della santità riguarda anche noi”.

Parole che non possono non smuo-vere il nostro cuore per impegnarci, proprio sull’esempio del Beato, in un servizio di attenzione a chi è più fragi-le, a chi è più debole come il fratello ammalato. Forse dovremmo ricordarci di quanto è accaduto su quella strada da Gerusalemme a Gerico, di quell’uo-mo incappato nei briganti e da loro picchiato a sangue; uno straniero, un samaritano si è fermato, ha avuto com-passione e si è preso cura di lui. Non sappiamo se su quella strada, in un momento della nostra vita, potremmo trovarci anche noi in attesa di un aiuto, di una mano caritatevole, di una perso-na che si chini su noi prendendosene cura. Certamente il Beato P. Enrico, nello svolgimento del suo ministero, è stato un samaritano accanto a tanti fra-telli ammalati, sia lungo le corsie della Casa di Cura S. Camillo, sia tra le mura delle case private nei confronti di quei fratelli che quotidianamente affronta-vano la difficile stagione della malattia e della sofferenza.

Presso la Casa di Cura S. Camillo è nato un gruppo di Volontariato – “Ama-re e Donare” – con lo scopo di essere dei semplici fratelli che si fermano accanto alla sofferenza di altri fratelli; il grup-po è aperto a chiunque si senta portato a spendere un po’ del proprio tempo a favore di un fratello ammalato. Nell’oc-

casione della festa del Beato P. Enrico l’invito può bussare anche alla porta del tuo cuore …

Sei disponibile a pensarci? Anche questo è un modo di realizzare concre-tamente la propria vocazione cristiana, guidati e spronati dall’esempio di P. Enrico Resbuschini.

Attraverso un percorso formativo, anche il tuo servizio di volontariato risulterà più qualificato e più rispon-dente alle aspettative del mondo della sofferenza.

P. Virginio Bebber

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IL IV CENTENARIO AD ACIREALE: UN ANNO DI GRAZIA GRANDE!

Il 14 luglio 2013 ad Acireale, con una solenne celebrazione eucaristica, il nostro pastore S. E. Rev.ma Mons. Antonino Raspanti ha aperto l’anno giubilare in occasione del IV cente-nario della morte del nostro fondato-re san Camillo. I giorni seguenti, fino all’ottava della festa, sono stati pieni di testimonianze camilliane, di feste con gli ammalati e i poveri e... e poi ci aspettava un anno tutto da vivere per meglio diffondere il gran nome di Camillo de’ Lellis, che nella Diocesi di Acireale è alquanto noto e conosciuto: basti pensare che una delle tante messe nel giorno della festa, l’ultima in gene-re, è piena di tutti coloro che portano il nome del santo. In maniera partico-lare si è curata durante tutto l’anno, la “Messa del 14 del mese”, animata di volta in volta da vari gruppi ecclesia-li. In occasione di questa messa, ogni volta il gruppo presente, come atto di affidamento al santo, ha offerto l’olio per alimentare la lampada che per tutto il mese è rimasta accesa davanti al simu-lacro presente nella nostra splendida chiesa - rettoria del 1700. I gruppi sono

stati davvero vari: la Grande Famiglia di san Camillo, i gruppi mariani, le par-rocchie, la comunità del seminario dio-cesano, le forze dell’Ordine della città; e siccome le nostre sorelle del monastero delle Visitazione non si potevano spo-stare per ovvi motivi di clausura, san Camillo è andato da loro il 14 di aprile!

A queste celebrazioni si sono aggiunte due missioni parrocchiali per i malati – una nella parrocchia “Sacra Famiglia” di Cibali (Catania) e un’altra presso l’ospedale di Ragusa – che han-no dato il tocco ministeriale all’intero anno, avendo raggiunto con questi due momenti missionari, molti ammalati e poveri, in diverse case private e case di riposo. A Cibali in particolare, una lun-ga processione molto partecipata con la reliquia del cuore di Camillo ha coin-volto tutta la gente del quartiere.

Con l’avvicinarsi del 25 maggio si è pensato ad una “Maratona di lettura dello Spirito di San Camillo”, opera di p Mario Vanti. Siamo riusciti a portar-la a termine nelle date comprese tra il 22 e il 25 maggio, con la partecipazio-ne stupita di molti fedeli che alla fine hanno detto con le loro semplici paro-le: “È stato bello conoscere la vita di san Camillo. Davvero una bella occasione ci è stata data!”. Il giorno 25maggio, festa del “compleanno” del Santo, la celebra-zione eucaristica è stata presieduta da S.E. Mons. Giuseppe Costanzo, Vesco-vo emerito di Siracusa che, partendo dalla Parola del giorno, ha tratteggia-to Camillo nella varie sfumature dell’ amore proveniente dal vivere il Vange-

Acireale. Solenne celebrazione per il IV Centenario di San Camillo.

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lo. La nostra chiesa di via Galatea era gremita di persone: persino in sacrestia si sono dovute approntare sedie per i fedeli partecipanti alla celebrazione.

L’ultima settimana di maggio, ci ha visti impegnati in “una quattro giorni” molto intensa e molto partecipata sulla figura di Germana Sommaruga, fonda-trice delle Missionarie degli Infermi di Cristo Speranza.

E adesso siamo in attesa della festa finale, quella di luglio che, come si sa, ad Acireale assume connotati molto popo-lari e di grande devozione. L’augurio – anche per dopo il IV Centenario – è di continuare ad essere parte di quelle “cen-to braccia” che il santo auspicava dal cie-lo per raggiungere tutti gli ammalati!

Fr. Vincenzo Duca

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FESTA DI SAN CAMILLO A PIOSSASCO (TO)

Con questa festa, dedicata a San Camillo, la Casa di preghiera di Piossa-sco “Fraternità San Camillo” ha chiuso l’anno sociale 2013-2014, ricordando con gratitudine al Signore i trent’anni della sua missione vocazionale.

Come sempre, p. Domenico Lovera ha programmato nei minimi particolari la preparazione di questo evento.

Da un po’ di giorni il clima era cal-do e tutti i fiori erano al massimo dello splendore per dare gloria a Colui che è il Signore della Casa!

I tanti volontari e benefattori arri-vavano portando fiori recisi, piatti pre-parati con amore per l’agape fraterna; tutti eravamo felici e tranquilli, certi che la Vergine Maria, come sempre, ci avrebbe donato il tempo sereno e non troppo caldo...

Invece… la mattina del 15 giugno, mentre cominciavano ad arrivare gli invitati, provenienti dal Piemonte, Liguria, Sicilia, Toscana e Abruzzo, sono arrivati anche la pioggia, il vento e il freddo. La casa è situata ai piedi del monte san Giorgio e da esso rivoli di acqua scendevano ad allagare la distesa di ghiaia sotto il tendone, inzuppando i piedi dei partecipanti, ai quali sono stati forniti ciocchi di legno da mettere sotto le scarpe…

P. Mimmo Lovera, malgrado il fred-do, accoglieva tutti e all’ora prefissata ha dato inizio alla giornata di festa.

La grande corale inizia a scaldar-ci con gioiosi canti che ci distolgono dal pensiero della pioggia che picchia sul tendone e ci aiuta a immergerci in un momento di adorazione, e quindi di testimonianze. Sul palco salgono

per primi i responsabili della Famiglia Camilliana Laica che presentano la loro realtà locale e mondiale; poi un fisioterapista dà testimonianza del suo ministero presso il Presidio Sanitario San Camillo di Torino, dove al lavoro unisce l’impegno di evangelizzazione.

Quindi, un gioioso stuolo di giovani suore Ministre degli infermi, ringrazia p. Mimmo e la Casa Vocazionale per averle guidate nella scelta della loro vocazione, che ormai vivono da alcuni anni in letizia.

L’Eucarestia corona la mattinata di preghiera. Ha presieduto p. Antonio Menegon che ci ha donato una delle sue magnifiche omelie. Concelebrano i due fratelli pp. Gianfranco e Mimmo Lovera, p. Walter Dall’Osto, i due padri Cappuccini, p. Marcello della Valle d’Aosta e p. Antonino di Alessandria, un Padre dei Missionari della Consolata e infine il diacono Arturo Baudo.

Sotto il tendone i 750 posti sono tutti occupati, malgrado le difficoltà metereologiche . Volti gioiosi, contenti di essere presenti a festeggiare il San-to del quale ricorrono i 400 anni dalla morte.

Al termine della cerimonia è stato consegnato a tutti un opuscolo che rac-conta la storia dei trent’anni della Casa di Preghiera, del lavoro coraggioso di p. Mimmo e dei tanti volontari e benefat-tori che hanno contribuito affinché la Casa potesse essere il “faro” sul monte in grado di attirare tanti giovani, tante vocazioni e guarito molti nel corpo e nello spirito.

Nel pomeriggio, illuminato da un pallido e freddo sole, dopo il pranzo

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che si è tenuto all’interno del-la casa, tutti si sono radunati nuovamente sotto il tendone per ascoltare e ammirare un bel recital tenuto da un gruppo di giovani che con canti, preghie-re, danze, hanno aiutato tutti i fedeli rimasti a dimenticare il brutto tempo del mattino.

Lasciando “Casa Madre”, malgrado il tempo inclemente, tutti hanno lodato Dio per le meraviglie compiute. Il messag-gio e-mail che segue, è arrivato il giorno successivo alla festa, e testimonia come si vivono le gioie e le prove di Dio.

“Carissimo Padre Mimmo, ti scrivo per raccontarti un fatto sorprendente che è avvenuto ieri a conclusione della bellissi-ma festa che neppure la pioggia ha potuto rovinare. Forse la più bella! Mentre par-cheggiavo la mia macchina, ho dimenticato di spegnere i fari e, come puoi immaginare, al nostro ritorno la batteria era completa-mente scarica.

Non avevo neppure finito di pronun-ciare le parole: “E adesso, Signore, che fac-cio?” che ho visto accanto alla mia macchina una Punto grigia con una coppia di persone anziane. Lui sorridendo mi ha chiesto: “Non parte eh? Ha lasciato i fari accesi?”, “Sì”. “Non si preoccupi. Ho visto la sua macchina alle nove del mattino mentre accompagnavo mia moglie. Aveva i fari accesi. Sono andato a casa ho preso i cavetti. Adesso la faremo ripartire”. Due minuti ed era nuovamente in moto. Le mie passeggere erano esterrefatte e lodavano la Provvidenza.

Quel signore mi ha detto che si chiama Sisto e che vuole tanto bene allo “zio pre-te”. La moglie è una donna umile e dolce. Che emozione!

Caro Signore, mi hai parlato dell’amo-re fraterno prima con le parole del Van-gelo, poi con l’omelia di Padre Antonio e subito dopo attraverso il messaggio vivo di quest’uomo che si è precipitato ad aiutare una sconosciuta prima ancora di sapere chi fosse e di essere chiamato in aiuto.

Mi sono venute in mente le parole delle suore rivolte a te sul palco: “perseguitato dall’amore di Dio”; e così mi sento anche io ogni giorno, ogni momento della mia esi-stenza, e non smetto di lodarlo, adorarlo e ringraziarlo.

Ringrazio tutti voi per questa Casa nel-la quale Lui è sempre al primo posto ed è il senso di ogni giornata. Mi sono sentita presa in braccio prima ancora di cadere, coccolata e amata dal mio Papà celeste, riempita di doni senza alcun merito. Che emozione...!”.

Ora, al termine di un anno intenso, coronato dalla gioia di questa festa, un periodo si silenzio ci aiuterà a ritemprare le forze e a prepararci ad accogliere le sor-prese che il Signore ha predisposto per il nuovo anno”.

Piera Tua

Piossasco (TO) - P. Antonio Menegon presiede la Conselebrazione.

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‘VIENI CON ME’. LA VITA E LA SPIRITUALITÀ DI FR. ETTORE BOSCHINI

Roberto Allegri è nato nel 1969. Ha studiato Scienze Biologiche all’Univer-sità Statale di Milano. È collaboratore fisso del settimanale CHI fin dal primo numero. Ha pubblicato una trentina di libri, l’ultimo dei quali quello su Fr. Ettore. Non lo ha conosciuto personal-mente ma, incuriosito ed affascinato dalla sua immagine, ha raccolto nume-rose interviste con personaggi che gli sono stati accanto e lo hanno accompa-gnato nella sua missione. Ed ecco come ce lo presenta.

Il libro si intitola “Vieni con me. La vita e la spiritualità di fratel Ettore”.

“Vieni con me” era la frase che fratel Ettore usava quando avvicinava qualche disperato, trovato in stazione o per la strada. Gli si accostava con la corona del Rosario in mano, recitan-do l’Ave Maria, e con lo sguardo di un padre che ritrova un figlio perduto dice-va: “Amico, vieni con me”.

Non ho avuto la fortuna di conosce-re Ettore di persona. E così, l’unico modo per poter scrivere un libro su di lui, era quello di seguire le sue tracce, raccoglie-re il racconto del maggior numero possi-bile di persone che avevano lavorato con lui, che gli erano state al fianco, che gli avevano voluto bene e non solo. Infatti, ho raccolto anche la testimonianza di persone che non hanno mai avuto stima di Ettore e che ancora oggi lo considera-no con una certa diffidenza.

Per più di un anno, ho incontra-to amici e conoscenti, collaboratori, volontari, medici, avvocati, politici, religiosi che in qualche modo, chi più e chi meno, hanno avuto a che fare con

fratel Ettore. Attraverso queste inter-viste, ho cercato di ricostruire tutta la vita di Ettore facendo luce anche su periodi che prima erano rimasti al buio. Ad esempio, nei libri precedenti scritti su Ettore, non sono mai stati approfon-diti i venti anni che ha trascorso agli Alberoni di Venezia. Periodo impor-tantissimo, essenziale per tutto quello che è venuto in seguito. L’ho ricostrui-to attraverso il ricordo di padre Arturo Tait, superiore di Ettore a quel tempo, di padre Mariano Florio, di padre Fran-cesco Zambotti e di fratel Cesare Zam-barda, suoi confratelli al Lido. Inoltre, ho studiato i numerosi scritti lasciati da Ettore in quegli anni. Ho potuto farmi così un’idea molto chiara di come fratel Ettore ha vissuto a Venezia, di quello che ha fatto e in che condizioni lo ha fatto, e dei motivi della profonda crisi che poi lo porterà a Milano.

Ho ricostruito anche le basi della vocazione di Ettore con il ricordo di sua sorella Carla e con quanto Ettore aveva raccontato a suor Teresa: la sua conver-sione avvenuta nel 1945, l’incontro con fra Michele Villafranca, l’importanza del parroco del suo paese, don Everardo Corvi.

E infine, Milano. Ettore arriva a Milano nel 1974, quarant’anni fa. Per trent’anni si dedica ai poveri tra i più poveri, diventando una leggenda. Questi trent’anni sono densi di episodi, successi e delusioni, colpi di scena, fatti incre-dibili che sembrano usciti dalla trama di un film. Me li sono fatti raccontare nei dettagli da padre Carlo Vanzo, da padre Adriano Moro, da monsignor De

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Scalzi, allora segretario del cardinale Martini, da Gabriele Albertini, dal-la moglie di Mike Bongiorno, da Piero Pirovano, giornalista di Avvenire che nel 1979 portò Madre Teresa di Calcut-ta al Rifugio del Cuore Immacolato di Maria, da Giacomo Properzj, presiden-te della Provincia negli anni Novanta, dall’avvocato Goffredo Grassani, che ha sempre gestito la parte legale dell’Opera, da stretti volontari di Ettore come Tizia-no Lonardi, Rosaria Longoni, Tiziano Macalli, Mario Furlan e tanti altri. L’ul-timo periodo della vita di fratel Ettore l’ho ricostruito grazie a suor Teresa, suo braccio destro negli ultimi dieci anni, e al professor Lambertenghi che lo ha avuto in cura. Ho spulciato libri, articoli di giornali, interviste televisive, filma-ti amatoriali, lettere: insomma credo di avere realizzato la più completa biogra-fia di fratel Ettore che esista. Un vero e proprio reportage giornalistico, in nome della verità, senza nascondere nulla, neppure gli episodi che lo stesso Ettore non amava ricordare. Nella convinzione che fratel Ettore sia già un grande san-to e che occorra mettere tutto in tavola perché la sua doverosa elevazione agli

altari avvenga senza alcuna ombra. Lavorando a questo libro, ho sco-

perto un grande santo. È impossibile avvicinare persone di questo genere senza esserne toccati. La fede così ele-mentare ma così tenace di Ettore, la sua fiducia nelle parole del Vangelo, la sua carità, il suo carattere forte e deciso e la sua dolcezza verso i bisognosi mi hanno conquistato. Ed è così che bisogna fare quando si scrive un libro: bisogna inna-morarsi della storia che si vuole raccon-tare. Scrivere di Ettore, entrare nel suo cuore, nel suo intimo, dire quello che avrebbe detto lui se fosse stato ancora vivo è stato una grande occasione per migliorare come uomo. E così è stato. Sono convinto che chiunque legga que-sto libro non potrà più dimenticare un personaggio del genere.

Roberto Allegri

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UNA GIORNATA A MSKHETA - TBILISI: RIPOSARE E SENTIRSI DESIDERATO!

Dal 2001 i Camilliani, sostenuti dalla Madian Orizzonti Onlus, svolgo-no un servizio di assistenza infermieri-stica domiciliare per i poveri e i malati della periferia di Tbilisi. Gli operatori del servizio, le Figlie di San Camillo e i volontari visitano settimanalmente i beneficiari, controllando lo stato di salute dei pazienti, parlando con loro e cercando di capire i loro bisogni: spes-so provvedono a portare loro medicine, cibo, vestiti e tutto ciò di cui maggior-mente necessitano.

Il 20 di Giugno scorso, lo staff del servizio ha organizzato una gita per dare la possibilità ai pazienti di trascorrere una giornata all’aria aperta e socializzare.

Era la prima volta che il servizio di assistenza infermieristica dei Camilliani organizzava una gita, così è stata scelta una destinazione non troppo lontana: si è deciso di visitare l’antica città di Mskheta e i suoi luoghi più famosi. La risposta dei beneficiari del servizio è stata entusiastica! I Camilliani hanno così provveduto a chiamare una guida per dare ai partecipanti la possibilità di ricevere informazioni sulla storia dei luoghi che avrebbero visitato.

La prima tappa è stata la cattedrale Sweti Cchoweli, una delle più impor-tanti chiese della Georgia. La nostra preziosa guida Giorgi ha descritto l’architettura e le leggende legate alla costruzione di questo edificio, quindi ha guidato il gruppo all’interno della chiesa. Qui, i nostri beneficiari hanno potuto vedere il luogo dove la tradizio-ne vuole sia sepolta la ragazza giudea che morì stringendo al petto la tunica che Gesù indossava prima di venire cro-cifisso. Il padre Camilliano Zygmund ha procurato le candele per tutti i parteci-panti, così in gruppo ci siamo avvicina-ti all’icona del Cristo Pantocratore, a lato dell’altare principale, e ognuno ha acceso una luce per sé e per i cari che porta nel cuore.

Più tardi la guida Giorgi ha mostrato alla comitiva la chiesa Samtawro, sorta sui luoghi in cui la Santa Nino visse i suoi primi tre anni in Georgia. All’in-terno abbiamo potuto vedere la tomba del Re Mirian III (primo re cristiano della Georgia), ma tra i nostri amici disabili c’era grande emozione per la presenza di Mama Gabriele (monaco venerato per la sua vita monastica, per la sua pietà, misericordia e per i miracoli che gli sono stati attribuiti, morto nel 1995 e canoniz-zato ufficialmente dalla Chiesa Georgiana Ortodossa il 20 dicembre 2012) e ognuno desiderava onorare questo sant’uomo dei nostri giorni: così tutti sono andati intorno alla teca trasparente che con-

Davanti al Cristo Pantocratore, nella Cattedrale Sweti Cchoweli, una delle più importanti chiese della Georgia, il nostro ‘gruppo turistico’ prega,si riposa e... si sente amato.

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tiene i resti di Padre Gabriele e hanno pregato Dio chiedendo la guarigione e ogni grazia. Questo momento è stato molto emozionante specialmente per Gaga, un ragazzo assistito dai Camillia-ni, e per sua madre Lia.

Gaga è costretto sulla sedia a rotel-le e ha fede, come moltissime persone in Georgia, che Padre Gabriele possa intercedere presso Dio per lui. Così il suo modo speciale di pregare, con tutta l’energia e l’entusiasmo che possiede, ha attirato l’attenzione dei turisti presenti, delle monache e dei bambini che hanno fatto cerchio attorno a lui, ammirando la sua fede spontanea e la sua fiducia in Dio. L’ultimo luogo in programma era il Monastero di Jvari, ma prima di rag-giungere la cima della collina, abbiamo deciso di fermarci per mangiare il pasto preparato per noi dalle Suore e dalle

cuoche del Centro San Camillo. Men-tre tutti gustavano il pranzo, il nostro amico Gaga non riusciva a contenere l’impazienza all’idea di dover aspettare a visitare la Chiesa di Santa Croce, dove desiderava ancora pregare per la sua salute! Questa chiesa è stata eretta sulla sommità della collina di Jvari, per cui è stata necessaria la forza di molte braccia per portare Gaga fino in cima!

Tutti si sono prodigati per far sì che la sua carrozzella superasse la pendenza e i gradini fino all’interno della chiesa. Specialmente Gurjiev si è dato da fare in tutti i posti visitati per aiutare Gaga!

Questa giornata ha mostrato come simili iniziative siano davvero impor-tanti per creare relazioni umane e di aiuto reciproco fra le persone e anche per sentirsi desiderati!

Franca

Missione Haiti“Vilaj Lavi”: Villaggio della Vita,

Villaggio della Speranza, Villaggio dei sogni.

Il sogno di ridare speranza alle vit-time del terremoto e permettere ad alcune famiglie povere di affrontare la vita con un solido riparo diventa realtà grazie agli amici di Madian Orizzonti Onlus. Le 10 famiglie hanno beneficia-

to di una casa e di un piccolo lotto di terreno per migliorare la loro condizio-ne economica.

Questo sogno realizzato apre un nuo-vo orizzonte verso la speranza di un’av-venire migliore per la propria famiglia, per i propri figli. Un grazie infinito ai cari amici e benefattori che hanno contribui-to alla sua realizzazione!

Nel Vilaj Lavi vivono 47 persone!

A sinistra:Prima festa nel villaggio: Natale 2013

Dal Mondo Camilliano

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I VINCITORI DEL CONCORSO DISEGNI SU SAN CAMILLO

Il 13° concorso di disegno ‘arte fantasia ragazzi’ “le tue mani colorano il mondo... più anima in quelle mani”, organizzato per celebrare tra i giova-ni e le scuole (tremila partecipanti) il 4°Centenario della morte di San Camil-lo de Lellis, il Gigante della carità, dalla Montefortiana con l’Associazione Ami-ci Don Angelo Marini, l’Ufficio scola-stico 12 Verona, la Curia Diocesana e i Camilliani, ha avuto il suo culmine per i 3 vincitori e le loro famiglie nella settimana santa 2014 a Roma.

Giorgia Pasqualotto, prima classi-ficata, scuola secondaria di S. Pietro di Morubio con l’insegnante Tiziana Meo-la, Alessia Barbon, seconda classificata, scuola I.C. di Cerea, Nancj di Filippo, terza classificata, scuola primaria di Bro-gnoligo sono state per 3 giorni nella Città eterna, ospiti nella Casa Generalizia dei

Camilliani, accompagnate dagli organiz-zatori.

Il Gruppo è stato accolto dal Vicario Generale dei Camilliani, P. Paolo Gua-rise, assieme alla Comunità religiosa per alcuni momenti conviviali sia di benve-nuto che di arrivederci nel 2015.

Hanno partecipato alla Sante Messa nella Chiesa dei Camilliani della Mad-dalena, visitato i luoghi ove San Camillo risiedeva, il Cubiculum dove è morto e il museo storico con il famoso Crocifisso che ha parlato a San Camillo.

Durante l’udienza generale del mer-coledì in Vaticano è stato donato a Papa Francesco il disegno vincitore, che rap-presenta San Camillo e le varie attivi-tà che l’Ordine Camilliano svolge da sempre nel mondo della salute, in tutto il mondo. Speciale è stato l’incontro in Ambasciata della Repubblica di Cina

Roma - I Vincitori del concorso di disegno su San Camillo “Le tue mani colorano il mondo ...”

accolti nella Casa Generalizia dell’Oridine.

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presso la Santa Sede con S E. Larrj J/Juan Wang. Il gruppo è stato accolto con amicizia e cordialità e al termine lo stesso Ambasciatore con i suoi col-laboratori ha invitato il gruppo ad un momento conviviale in un ristorante di Roma.

Nelle 3 giornate il Gruppo ha potu-to visitare il Colosseo, i Fori Imperia-le, l’Altare della Patria, la Fontana di Trevi, il Panteon, il Quirinale, Came-ra e Senato della Repubblica, Castel Sant’Angelo e San Pietro.

Tre giorni intensi di visite che ha creato nelle famiglie partecipanti ami-cizia, cordialità, familiarità e stupore nel conoscere una Roma speciale anche

in vista della beatificazione dei 2 Papi Santi e il ‘mondo camilliano’ da dove è partito e anche oggi è più che mai vivo il servizio dell’Ordine di San Camillo per il bene della Chiesa e del mondo della salute.

La mostra dei Disegni su San Camil-lo sarà esposta in varie scuole, sul mon-te Baldo e per un mese alla Fiera del riso di Isola della Scala (Vr).

Diciamo ‘Grazie’ alla Montefor-tiana per la sua sensibilità al mondo camilliano e al mondo della sofferenza, e restiamo in attesa dei 40 anni delle sua attività e de 14° concorso di disegno per il 2015.

Renato Bicego

TORINO- MADIAN: CONTI TRASPARENTI

Alla Curia non sembra sia andata giù la presentazione del bilancio socia-le di «Madian» dei padri Camilliani, in contemporanea con la solenne cele-brazione della messa dell’arcivescovo Nosiglia alla Consolata. Inoltre, a parlare di «chiesa povera e bilanci trasparenti», i Camilliani ave-vano chiamato mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, uno dei dieci «padri conciliari» superstiti.

Chiesa di via Santa Teresa affollata per ascoltare Bettazzi, che ha sottolineato

la straordinaria scelta in Conclave di Papa Francesco e il suo impegno «per una Chiesa dei poveri». Quelli che anche da Torino, i Camilliani sosten-gono in tutto il mondo.

I sorriso di una bambina di Haiti che vuol dire “Grazie!”.

Dal Mondo Camilliano

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Madre Lauretta Gianesin, Superiora Generale delle Ministre degli Infermi

Gli auguri a Suor Lauretta li fac-ciamo tutti noi della comunità di Por-to Santa Rufina. Ma papa Francesco, che ci ha anticipati tutti, glieli ha fatti già di persona, salutandola e incorag-giandola personalmente.

Madre Zelia Andreghetti, Superiora Generale della Figlie di San Camillo

Fraterni auguri alla nuova Supe-riora Generale delle Figlie di San Camillo, Madre Zelia Andreghetti, già Superiora provinciale della Provincia Brasiliana, qui con P. Alberto.

Marie Christine Brocherieux,nuova Presidente della F.C.L.

Il 22 maggio 2014, alle 10.30, l’assemblea internazionale della Famiglia Camilliana Laica, riunita a Mottinello, ha elettoil suo nuovo Presidente nella persona di Marie Christine Brocherieux.

Formuliamo felicitazione e gli Auguri più fraterni per un proficuo servizio a beneficio di tutta la Famiglia Camilliana sparsa nel mondo.

NOMINATE LE NUOVE SUPERIORI GENERALI E LA PRESIDENTE F.C.L.

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Famiglia Camilliana Laica - f.c.l.

VERBALE III ASSEMBLEA GENERALEMottinello, 18-23 maggio 2014

18 maggioIl primo giorno di Assemblea s’ini-

zia con un ritiro spirituale predicato dal p. Paolo Guarise.

19 maggioLa giornata è iniziata con la reci-

ta delle Lodi per invocare l’aiuto del Signore e la sua protezione.

0re 9,00: Riunione delle persone nel salone.

Per l’assenza della presidente uscen-te, Rosabianca Carpene, dovuta ad una malattia; la vice presidente, Amalia Pintado, ha dato il benvenuto ai mem-bri della FCL ed agli assistenti religio-si di 21 paesi e province. La relazione della presidente uscente è stata letta da Elvira Scalise, segretaria.

Nella sua relazione, Rosabianca ha fatto una sintesi del lavoro volto in que-sti anni. Ha ringraziato le moltissime-persone che hanno collaborato in questi anni, sia religiosi che laici. Ha scritto:

assemblea generale della FCL, dopo quella del 2008, vissuta sempre qui a Mottinello, e dopo la prima, vis-suta a Bogotà nel 2002. In questi sei anni l’associazione si è sviluppata, è cresciuta, ci auguriamo non sola-mente in numero, ma in qualità.

In Europa: Italia, Francia, Spagna, Austria, Ungheria, Slovacchia, Slo-venia, Inghilterra, Irlanda, Georgia;

in Asia: Taiwan, Filippine, Viet-nam;

in America del Nord: Stati Uniti; e nell’America Centrale e Sud

America: Haiti, Mexico, Perù, Colombia, Ecuador, Argentina, Uruguay, Cile e Brasile;

in Africa: Burkina Faso, Benin, Tanzania, Togo;

in Australia.

Il numero dei membri attualmente supera le 2.500 unità.

Ci ha poi parlato dell’identità del-

la FCL, dello Statuto approvato dalla consulta generale e dalla Santa Sede e del lavoro che ha svolto la Commissio-ne Centrale, che si è riunita una volta l’anno, in diversi Paesi, per condivide-re la vita delle FCL, formulare propo-ste, possibilità di incontri, accogliere problemi e gioie della vita associativa, confrontarsi sul cammino compiuto. La presidente, insieme ad altri membri del-la commissione centrale, ha incontrato vari gruppi di FCL. L’ultimo incontro è stato con la FCL cilena, insieme a Elvira. Nel 2012 entrambe abbiamo partecipato, nel mese di luglio, all’in-contro che si è svolto per i 90 anni di presenza camilliana in Brasile. All’in-contro in Brasile hanno partecipato alcuni rappresentanti di FCL dei Paesi latino-americani. Nel mese di maggio 2012, la presidente e la vice-presidente hanno incontrato per alcuni giorni la FCL francese. Il padre Jesus Maria, assi-stente centrale, sempre nelle sue visite alle comunità camilliane, ha incontra-to le FCL del luogo, incoraggiandole

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e sostenendole nel loro cammino. Dal maggio del 2013 l’assistente spirituale della FCL a livello centrale è padre Pao-lo Guarise.

Durante questi anni (si era già ini-ziato nel sessennio precedente) è stato pubblicato un “Manuale di formazione”.

I riscontri che ci sono stati, riguardo il primo “manuale”, sono stati buoni. Per questo, si è iniziata già lo scorso anno la preparazione di un secondo testo, chiedendo a diverse persone, camilliani e laici, di sviluppare un tema proposto dalla commissione. Si era sperato di poterlo offrire a tutti, come segno della partecipazione della FCL al quarto centenario della morte di San Camillo, ma non è stato possibile.

Rosabianca ci ha fatto poi riflette-re sulla nostra realtà soffermandosi su quattro parole:

Al termine del mandato di presi-denza, la conclusione è che questa è una tappa del cammino per la FCL. È stato fatto un tratto di cammino insieme, e vogliamo guardare avanti con fidu-cia e con speranza, perché la Famiglia Camilliana Laica non è opera nostra. Le persone che ne fanno parte, anche se ovunque non mancano i problemi, sono molto impegnate, disponibili, donano tempo e forze, con tanto amore ai mala-ti che incontrano. In questi anni, dice Rosabianca, ha potuto incontrare mol-te Famiglie, in diversi Paesi, e ovunque ha conosciuto persone che vivono con grande disponibilità il loro servizio, con gioia, generosamente, persone che amano San Camillo, che sentono che il

Carisma donato dallo Spirito a Camil-lo è vivo, vive nel mondo, continua ad essere vivo e presente nelle persone che, ovunque nel mondo, agiscono per amore e con amore disinteressato verso i sofferenti. E anche ciascuno di noi è parte viva di questa “famiglia”, di que-sto seme che si diffonde e cresce.

C’è stata poi la relazione del teso-riere che ha evidenziato un bilancio positivo, permettendo alla nuova Com-missione di poter lavorare con un buon margine.

Nel pomeriggio c’è stata la relazione dei rappresentanti dei gruppi mondiali: Spagna, Colombia, Perù, Cile, Brasile, Argentina, Messico, Stati Uniti, Irlanda, Australia. Ciascuno di loro ha illustrato l’attività della FCL, dimostrando quanto siano vivi, anche nelle difficoltà, l’amore verso i malati e la spiritualità camilliana.

20 maggioS’inizia la giornata con la preghiera

delle lodi.

Ore 9,00: s’iniziano i lavori.Questo giorno si è dimostrato

importante perché ci ha permesso di:

1. Ascoltare gli altri gruppi presenti: Francia, Austria, Ungheria, Roma-

nia, Provincia Siculo- napoletana, Provincia Lombardo-Veneta, Pie-monte, Togo, Taiwan, Filippine, Benin.

Dalle relazioni è emerso come tutti i gruppi, pur essendo di culture diver-se, attuino con lo stesso impegno ed entusiasmo il loro servizio.

2. Verificare il numero dei membri di diritto all’assemblea. Sono risultati 34.

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3. Approvare il regolamento dell’As-semblea Generale. Il regolamento ha ricevuto, dopo qualche chiarifi-cazione, l’approvazione dei 9 articoli.

Domani verrà eletto il Consiglio di Presidenza, che porterà avanti l’assem-blea e le elezioni della nuova Commis-sione centrale, composto da un presi-dente e da due collaboratori.

La votazione della nuova commis-sione centrale avverrà il 22 Maggio. Vi è stato inoltre l’intervento di p Alberto Marques e di Marco Iazzolino sugli scopi e le attività della Task Force nelle cala-mità naturali. Ha invitato i membri del-la FCL ad unirsi a loro nelle necessità.

Alle 18,30 si è concluso con la S. Messa.

21 maggioSi è iniziata la giornata con la pre-

ghiera delle Lodi.

0re 9,00: Inizia la giornata di lavoro con P. Angelo Brusco che ha presentato l’argomento: “Significato ed importan-za dell’Assemblea Generale dell’Asso-ciazione”.

Ore 10,30: scambio di impressioni e domande a P. Angelo Brusco.

Nel pomeriggio si sono presentate le modifiche allo Statuto Generale, le quali non sono state approvate dato che alcuni dei membri avevano poca cono-scenza dello Statuto, e sarà la nuova Commissione Centrale a continuarne lo studio per poi presentarlo.

Si verifica poi il numero dei membri con diritto di voto attraverso la firma di ciascun membro. Sono presenti in 34.

Si procede all’elezione del Con-siglio di Presidenza (presidente e due collaboratori) per preparare l’elezione della nuova Commissione Centrale.

Sono risultati eletti: Anita Ennis, Joan Prats e Giovanni Campo.

La commissione ha assunto la Pre-sidenza dell’Assemblea per organizzare le votazioni. Si propone come regola di elezione la nomina di una terna di per-sone competenti per ogni carica.

Vengono consegnate ad ogni mem-bro votante 4 schede, su ciascuna delle quali ognuno ha espresso la propria pre-ferenza con due nomi ciascuno: 2 per il Presidente, 2 per il vicepresidente, 2 per il segretario e 2 per il tesoriere.

Si è formata così una terna di nomi da proporre all’assemblea votante per il giorno successivo.

Per presidente:Isabel CalderonAnita EnnisM. Christine Brocherieux

Per vicepresidente:Maria BakòAnita EnnisM. Christine Brocherieux

Per segretario:Maria BakoGiovanni CampoAnita EnnisSusana Heinike

Per tesoriere:Sparacino GiosuèLuciano BarasitsJoan Prats

Famiglia Camilliana Laica

Mottinello, 18-23 maggio. Gruppo dei partecipanti all’Assemblea Generaledi F.C.L.

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22 maggioGiorno dell’elezione della nuova

Commissione Centrale.

Si inizia la giornata con la preghiera delle lodi.

Ore 9,00: s’inizia la preparazione per le votazioni.

Le tre candidate alla Presidenza si presentano all’assemblea per farsi cono-scere: Isabel Calderon, Marie-Christine Brocherieux ed Anita Ennis.

La commissione fornisce poi alcu-ne regole per la votazione: si raggiun-ge la maggioranza con 18 voti su 34 e, se non si raggiungesse la maggioran-za, si procederà al ballottaggio dei due membri che hanno ottenuto più voti. Si procede così:

1) Voto per il Presidente:Due scrutini. Nel primo Isabel Cal-

deron ha ottenuto 14 voti, Anita Ennis 10 voti e Marie-Christine Brocherieux voti 10.

Si procede poi al ballottaggio tra Isabel Calderon e Marie-Christine Brocherieux; Anita Ennis si ritira dalle votazionie perchè è la più giovane. Vie-ne eletta Christine Brocherieux, con 18 voti su 34. Lei accetta la carica.

2) Voto per la Vice Presidente:Le candidate sono Maria Bakò,

Anita Ennis e Rosabianca Carpene alla quale, tramite telefono, si chiede se avrebbe accettato l’eventuale carica. Rosabianca risponde affermativamente.

Ottengono nel primo scrutinio Maria Bakò 8 voti, Anita Ennis 1 4voti Rosabianca Carpene 12 voti.

Si procede al secondo scrutinio: Anita Ennis ottiene 22voti e Rosa-bianca Carpene 12 voti. Anita Ennis accetta l’incarico.

3) Voto per il segretariaRitirano la propria candidatura sia

Luciano Barasits che Campo Giovanni. Maria Bakò ottiene 31 voti e Giovanni Campo 3 voti. Lei accetta l’incarico.

4) Voto per il TesoriereSi vota per Giosuè Saracino, Lucia-

no Barasits e Rory Gillespie. Giosuè Saracino ottiene 31 voti. Lui accetta l’incarico.

Essendo le ore 12,30 finiscono le votazioni.

La nuova Commissione Centrale inizia ufficialmente la propria attività.

Elvira Scalise

La nuova Commissione Centrale della FCL,

da sinistra: Maria Bako (Segretaria)

Giosuè Sparacino (Tesoriere), Marie

Christine Brocherieux (Presidente) e Anita Ennis

(Vice Presidente).

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“Più cuore… come una madre…”

22 maggio 2014:Dopo l’elezione della nuova Com-

missione Centrale della Famiglia Camilliana Laica a Mottinello, il 22 maggio 2014, immediatamente ci sia-mo impegnati, Marie-Christine Bro-cherieux presidente, Anita Ennis vice-presidentessa, Maria Hajnalka Bakó segretaria e Giosuè Sparacino tesoriere, a organizzare i lavori del pomeriggio.

Abbiamo elaborato le prime due domande per i gruppi linguistici da trattare:1. Quali sono le vostre attese dalla

neo-eletta Commissione Centrale? 2. Come possiamo realizzare le vostre

proposte?

Per facilitare il discorso nei gruppi linguistici, abbiamo proposto i seguen-ti “simboli” da seguire, presentati nel-la relazione di Padre Angelo Brusco durante la mattinata:

armonia

statua

Ciascuno di noi della Commissio-ne Centrale ha partecipato al discorso pomeridiano del proprio gruppo lingui-stico. Una persona ha preso nota dei temi emersi nel gruppo per iscritto.

Come punto di luce della giornata, nel tardo pomeriggio è stata celebrata la santa messa presso la grotta di Lourdes nel giardino della casa, offrendo la nuova Commissione Centrale alla Madonna.

Verso sera, la Nuova eletta Com-missione Centrale ha occupato il suo posto al tavolo nella sala dell’Assem-blea, guidando la presentazione dei gruppi linguistici con i temi trattati.

In tarda serata, la Commissione Centrale insieme al Padre Paolo Gua-rise, segretario della Consulta dell’Or-dine Camilliano, ha elaborato in lin-gua inglese i temi emersi presentati per iscritto dei gruppi linguistici, e ha reso evidente i Lineamenti per i seguenti sei anni.

Sono emersi i seguenti sette temi più importanti:

Hanno ricevuto priorità i primi cin-que temi.

23 maggio 2014:La giornata è stata introdotta, come

il solito, con la celebrazione liturgica della preghiera mattutina.

Durante la mattinata, la Commis-sione Centrale ha presentato all’Assem-blea i Lineamenti elaborati con i sette temi emersi più importanti e le cinque priorità scelti per i seguenti sei anni.

Chiusura dell’Assemblea.

Maria Hajnalka Bakò, segretaria della nuova Commissione

Centrale della FCL

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CHIUSURA DELL’ANNO SOCIALE 2013-14FCL DI VERONA-MARZANA

L’anno appena trascorso è stato caratterizzato da alcuni cambiamenti al vertice del gruppo: è stato eletto un nuovo Consiglio di Presidenza (2013), con la Presidente Dianalori Palman, ed è arrivato un nuovo Assistente Spiri-tuale, P. Adriano Moro.

La composizione del gruppo è di 20 aderenti a Verona, dei quali 13 affiliati, e 3 aderenti a Marzana.

Il programma dell’anno appena trascorso si è svolto con incontri men-sili, quattro momenti di adorazione, e momenti di riflessione su questi temi:

Camillo”

Emmaus”

globale”

cuore rivolto verso gli altri”-

ma le nostre relazioni?” ed altri 3 incontri formativi:

relatore P. Adriano Moro-

tore P. Pierpaolo Valli

Gianluigi ValtortaDurante l’anno sono stati organizza-

ti due ritiri spirituali:Il primo in prossimità del S. Nata-

le, è stata un’occasione per riflettere sull’attualizzazione nella vita quotidia-na della spiritualità camilliana; il tema è stato: “Dal Testamento Spirituale di S. Camillo alla nostra vita quotidiana: per vivere meglio il Natale”, riflessio-

ne proposta da P. Bruno Nespoli, alla quale hanno fatto seguito uno scambio di esperienze, ed un momento di con-divisione.

Due volontari dell’associazio-ne ABEO (ass. bambino emopatico-oncologico) hanno poi presentato la loro esperienza e attività all’interno del Policlinico di Borgo Roma. Il ritiro si è concluso con la celebrazione della S. Messa e con un momento di convivia-lità in Pizzeria.

Il secondo, in prossimità della San-ta Pasqua, si è svolto alla vigilia della Domenica delle Palme, presso il Cen-tro Camilliano di Formazione ed è sta-ta anche un’occasione per salutare P. Angelo Brusco, il direttore del Centro e nostro Assistente Spirituale Provinciale.

P. Danio Mozzi ha proposto una meditazione dal titolo: “Il canto dell’exultet”, seguita da uno scambio di esperienze e da un momento di condi-visione.

Alcuni Volontari dell’Ass. “La Ron-da della carità” – Associazione per l’as-sistenza, il sostegno, la cura, il soccorso dei senza fissa dimora – hanno presen-tato la loro attività. Ai volontari, come gesto concreto di vicinanza e solidarie-tà, abbiamo consegnato del vestiario e delle coperte.

A conclusione della giornata la S. Messa con la benedizione dei rami d’u-livo e la consegna da parte della vice-presidente di un segno, un ramoscello di ulivo con una campanella in lana, da lei abilmente preparate.

Il momento di convivialità è stato autogestito dal gruppo.

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È seguito lo scambio degli auguri ed è stato fatto un ringraziamento alle col-laboratrici del Centro, alle quali dob-biamo la nostra riconoscenza.

Alcuni eventi dell’anno trascorso:Luglio 2013, partecipazione a Buc-

chianico all’apertura del giubileo per il quarto centenario della morte di S. Camillo.

Settembre, partecipazione al ritiro organizzato dalla FCL Provinciale sul tema: “Interpretare il carisma camillia-no da religiosi e laici a 400 anni dalla morte di S. Camillo e lettura critica del testamento di S. Camillo”.

Settembre, presso L’Ospedale Borgo

Trento: saluto a P. Pierpaolo Valli e P. Danio Mozzi che lasciavano la comu-nità per quella di S. Maria del Paradiso.

Ottobre, saluto a P. Aldo Magni, che concludeva con il gruppo il man-dato di Assistente Spirituale e lasciava la comunità di S. Maria del Paradiso per quella del Santuario S. Camillo di Milano. Durante questo incontro, è sta-ta celebrata la S. Messa in ricordo suf-fragio del nostro vice-presidente Lugi Sarcheletti, deceduto a seguito di un incidente stradale.

Ottobre, partecipazione al funerale di P. Alberto Roman a Mottinello.

Marzo 2014, partecipazione al convegno “Evangelizzazione e mondo

P. Adriano Moro con il Gruppo della F. C. L. di Verona-Marzana.

Famiglia Camilliana Laica

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sanitario: prevenzione e salute pubbli-ca”, organizzato dal Segretariato inter-provinciale per il Ministero in collabo-razione con l’Aipas, tenutosi a Motti-nello.

Partecipazione alla vita ecclesialeNerina Gennari è stata nominata

rappresentante della F.C.L. di Vero-na nella Consulta delle aggregazioni Laicali presso la Diocesi di Verona al posto del compianto Sarcheletti. La Presidente è stata invitata a Trento da Fratel Lino Casagrande e ha illustrato, durante l’incontro annuale dei parenti dei camilliani missionari, l’attività del gruppo della FCL allo scopo di creare in un imminente futuro un gruppo FCL a Trento.

Nel mese di maggio alcuni membri del gruppo, invitati da P. Marco Causu-rano a Predappio (FC), hanno svolto lo stesso incarico.

Appuntamenti futuriA metà settembre avremo ospite il

gruppo “amare e donare” di Cremona,

che ricambia la nostra visita dello scor-so marzo 2013 durante la quale aveva-mo visitato la Casa di Cura S. Camillo di Cremona, e pregato presso la tomba del Beato Enrico Rebuschini.

L’incontro di chiusura dell’anno sociale si è svolto presso la casa della vice-presidente L. Genovesi, abitudine consolidata da alcuni anni; la casa offre una splendida vista sui vigneti della Valgatara e sulla città di Verona.

L’incontro aveva lo scopo di verifi-care il cammino percorso, raccogliere le idee e gettare la basi per il prossimo anno. Si è concluso con una risottata preparata dal gruppo di Marzana e con i dolci preparati dalle partecipanti.

Un ringraziamento particolare va alla Presidente Internazionale uscen-te, Rosabianca Carpene, per la collabo-razione, e gli spunti interessanti per la programmazione dell’anno, e a tutto il direttivo che si è impegnato per la buo-na riuscita di questo anno di attività.

La PresidentePalman Dianalori

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UN ANNO DEDICATO AL TESTAMENTO DI SAN CAMILLO

La principale preoccupazione dei componenti il gruppo F.C.L. di Mila-no è la formazione permanente (come per gli altri gruppi, del resto); una for-mazione permanente che permetta a ciascun appartenente di riscoprire: la consacrazione al Signore e ai fratelli nel Battesimo ricevuto a suo tempo; il senso di questa consacrazione nella vita quotidiana; la scelta di servire i poveri e i sofferenti ovunque li incontriamo; il desiderio di farlo secondo le indicazioni di san Camillo de Lellis, indicazioni che oggi possono essere considerate di bru-ciante attualità, vista la situazione della sanità e la “disattenzione” generale per il prossimo che possiamo riscontrare con facilità ogni giorno, nelle piccole e grandi circostanze.

La meditazione su alcuni punti salienti del cosiddetto “Testamento di san Camillo” ha fornito motivo di rifles-sione personale e condivisa nel grup-po. Abbiamo pregato insieme, studia-to e riflettuto insieme; abbiamo anche condiviso il pranzo con la comunità camilliana residente presso la Casa di cura S. Pio. Purtroppo, il fatto di aver deciso (ed era decisione condivisa) di cambiare il giorno in cui incontrarci e l’orario, ha forse causato qualche defe-zione dovuta a impegni personali non prorogabili.

In ogni caso, la lettura meditata del Testamento di san Camillo ha aiutato tutti ad avere idee più chiare sul signi-ficato di alcuni detti camilliani come “più cuore in quelle mani” o “le cento braccia…”: sono indicazioni che riguar-dano certamente più da vicino chi sente importante per la propria vita (sociale,

spirituale, affettiva e anche familiare) la cura del prossimo, soprattutto di chi è più debole, o povero, o malato, o comunque sofferente; ma riguardano anche tutti i battezzati, poiché l’impera-tivo “ama il prossimo tuo” vale per ogni discepolo del Cristo Gesù.

Semmai, a chi si sente interpella-to dalla figura di san Camillo, dalla sua stessa vita (e morte), dal carisma a lui donato dallo Spirito santo, spetta una responsabilità in più: quella di testimo-niare con scelte concrete la bellezza e la bontà di quanto “regalato” anche a lui dallo Spirito per il tramite del santo di Bucchianico.

Famiglia Camilliana Laica

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Un anno nuovo: come sarà?Formalmente, anche per il gruppo

di Milano il nuovo anno sociale si apri-rà a Mottinello, dal 17 al 19 ottobre prossimo, durante il “minicorso” ormai divenuto un appuntamento inderoga-bile.

Quest’anno il relatore principale del corso sarà padre Mario Bizzotto M.I. che approfondirà un tema “tremendo”: Soffrire, perché? Il dolore in Gesù e in san Camillo.

Nella riunione del 21 giugno si è presentato anche il problema della scel-ta di un tema da proporre, come ormai tradizione, all’approfondimento e alla riflessione comune.

Padre Bizzotto si è detto disponibile per fornire linee guida per la formazione di tutto l’anno, a partire dal tema ogget-to dell’incontro di Mottinello. Questo in attesa di conoscere le linee guida per la formazione che sicuramente l’As-semblea generale della F.C.L. ha deciso nella sua riunione del maggio scorso, ma non ha ancora comunicato ai vari

gruppi. Si sa, in ogni caso, che è stato deciso di redigere un nuovo “Manuale di formazione” sulla falsariga di quello del 2009 e che il Gruppo di Milano ha utilizzato, scandagliandone i vari temi.

Nell’anno passato gli incontri men-sili erano stati fissati nella mattinata di sabato (restavano sempre alla giornata di sabato quelli precedenti i tempi litur-gicamente forti di Avvento e Quaresi-ma, nonché quello di verifica); questa decisione non si è rivelata felice per molti motivi. Il Gruppo ha quindi deci-so di tornare a incontri mensili fissati nel tardo pomeriggio di un giorno infra-settimanale; la scelta è caduta su marte-dì, dalle ore 18.00 alle ore 19.30, presso la Casa di cura san Camillo di Milano, con la possibilità di celebrare la S. Mes-sa nel Santuario di san Camillo annesso alla Casa di cura, alle ore 17.30.

Un anno si è chiuso e uno si è aper-to: viva il nuovo anno!

Marisa Sfondrini

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06.03.2009

PADRE ALBINO TURCATO(1927 - 2014)

Albino Turcato nasce a Galliera Veneta (PD) il 27.02.1927 (anche se i docu-menti registrano 01.03.1927) da papà Francesco e mamma Ada Stocco.

La fanciullezza lo vede crescere estroverso e vivace a Mottinello Nuovo, in una famiglia animata dalla fede semplice e schietta, dalla laboriosità e dall’armonia che caratterizzano tante famiglie della terra veneta di quel tempo. La conoscen-za e la frequentazione della locale comunità camilliana lo portano ad entrare, a dodici anni, nel Postulandato di Villa Visconta, Besana Brianza - MI (01.10.1939) dal quale tuttavia deve essere dimesso per le condizioni di salute che si sono fatte precarie, e suggeriscono un temporaneo rientro in famiglia. Vi ritorna otto anni dopo (12.08.1947), pienamente ristabilito, vivamente raccomandato dai Religiosi Camilliani di Mottinello Nuovo che scrivono al Superiore di Villa Visconta: “nel periodo trascorso in famiglia ha sempre frequentato la nostra Chiesa, sotto la direzione di un nostro Padre, ed ha aiutato la famiglia lavorando… in quest’ultimo periodo si è dedicato agli studi dietro insegnamento dei nostri chierici… interrogato sulla vocazione, ha riconfermato la sua immutata decisione di rimanere con noi”. Fra i tratti caratte-ristici della sua personalità emerge così quell’animo determinato che, unito alla vivacità del carattere, talvolta irrequieto, e all’immancabile dose di entusiasmo, gli permetterà di superare ostacoli e realizzare sogni apparentemente irraggiungibili. La formazione alla vita religiosa camilliana, poi a quella sacerdotale, prosegue con pro-fitto scandendo le tappe del Noviziato (07.09.1947), della Professione temporanea (08.09.1948), della Professione Perpetua (22.10.1951), fino all’Ordinazione sacerdo-tale (08.12.1953) avvenuta per mano di Mons. Bordignon, vescovo di Padova. Negli anni dedicati allo studio preparatorio alla vita sacerdotale, Padre Albino, mostra già uno spiccato senso pratico e una propensione ai servizi concreti, che si tradurranno nella straordinaria intraprendenza che lo accompagnerà per tutta la vita.

Ricordiamo i Nostri MoRTi

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Divenuto sacerdote, Padre Albino esercita il ministero camilliano negli Ospe-dali di Treviso e di Padova (1954), poi inizia la sospirata esperienza missionaria che alterna, con grande disponibilità verso i superiori, al servizio di cappellania nei periodi di rientro in Italia. Lo vediamo in Thailandia (1960) dove è Superiore a Siracha (1962) ed iniziatore dell’attività per i lebbrosi e poi Superiore del Lebbro-sario di Kokwat (1965); è collaboratore al Centro Missionario di Milano (1966); è cappellano a Venezia-Alberoni (1967) e negli Ospedali Civili di Lodi (1968), Giussano-MI (1969) e Cremona (1972); è nuovamente missionario in Thailandia (1973) e periodicamente tra i profughi della Cambogia; passa nelle Filippine (1981); ritorna in Italia come cappellano all’Ospedale di Codogno-LO (1986); è collabora-tore di Fratel Ettore nelle Opere di Seveso-MI e di Novate-MI (1986); è missionario in India (1990); è nuovamente collaboratore di Fratel Ettore fra i malati di AIDS al “Paolo Pini” di Milano (1991); infine è fondatore ed infaticabile organizzatore della Comunità d’accoglienza “Maria Oasi della salute”, per ex-tossicodipendenti, malati di AIDS ed emarginati sociali, ad Arcisate-VA (1992).

L’elenco delle date e dei luoghi di permanenza di Padre Albino può lasciarci intuire il suo animo di “giramondo della carità”, ma non basta a rivelare il suo spirito camilliano e la sua instancabile dedizione. Alcune brevi istantanee, riportate solo per accenni, manifestano meglio il suo essere figlio di San Camillo.

Per “i suoi fratelli” più emarginati, umiliati e talvolta rifiutati dalla società, ovun-que si trovassero, in Italia o all’estero, aveva un fiuto infallibile, una predilezione manifesta e una tenerezza commovente, da loro immancabilmente ricambiata. Tra le tante fotografie dell’esperienza missionaria rintracciate in archivio o tra i suoi ricordi del passato, la quasi totalità lo ritraggono con bambini denutriti, o con leb-brosi, o nei campi-profughi, sempre sorridente, nell’atto di servirli o inginocchiato per medicarli. Era il suo “ambiente” più naturale.

Nei rapporti con la stampa, mai cercata o sollecitata per farsi pubblicità, teneva a mettere in mostra la sua identità camilliana e a porre in primo piano la Missione Camilliana. Non appena avuta la notizia della sua morte, Parroci, Sindaci, Assi-stenti sociali, Associazioni di Volontariato e popolazione di Arcisate-VA e dei paesi limitrofi hanno subito presentato le loro vive condoglianze e la profonda stima per Padre Albino, esprimendo la loro gratitudine per la sua preziosa attività e il desiderio che la stessa non avesse a terminare.

Nelle sue volontà testamentarie si legge: “Ringrazio il Signore delle moltissime gra-zie accordatemi, delle innumerevoli concessioni divine con cui la mia povera persona poté applicarsi al lavoro per il bene del prossimo, a gloria di Dio. All’Ordine di San Camillo chiedo preghiere per ottenere perdono da Dio di ogni debolezza che possa aver turbato la mia vita religiosa. Grazie. Di mio pugno. P. Albino Turcato

Ci ha lasciato per recarsi nella Casa del Padre, certamente accolto festosamente da san Camillo e dai confratelli missionari con i quali ha collaborato, la mattina del 12.04.2014, alle ore 5.30, nella Casa di Cura S. Pio X, dopo varie complicazioni.

Le esequie avranno luogo nella Chiesa parrocchiale di Brenno Useria, frazione di Arcisate (VA), il giorno martedì 15 Aprile, alle ore 14.30. La salma sarà poi tumulata nel cimitero locale, tra i suoi “amici” che ha servito con affetto materno.

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OMELIA PER P. ALBINO

Padre Albino Turcato ci ha lasciato alla bella età di 87 anni, dopo una vita intensa ed originale, spesa sulle orme di San Camillo di cui era fiero figlio. Con lo sguardo e il fiuto da vero Camillia-no, non ha tralasciato l’estro artistico, il tocco estetico che ha caratterizzato la sua natura umana spontanea e genuina. Ricco di iniziativa che portava avanti personalmente con senso di respon-sabilità verso i comandamenti di Dio, aveva una capacità formidabile di indi-viduare le necessità della povera gente che andava a cercare nelle loro capan-ne, nelle loro case senza alcun timore o vergogna. Si sentiva attratto, quale sacerdote, buon Religioso Camilliano, da Gesù Cristo incarnato negli ultimi, nei disprezzati, negli schiacciati dalle troppe difficoltà, e nei momenti più cri-tici della vita stava con loro come quan-

do si fa una veglia di preghiera, un’A-dorazione, in silenzio, attento ad ogni particolare bisogno, “come una madre cura il suo bambino malato”.

Non disdegnava il sacrificio per coe-renza di scelta di vita, di consacrazione a Dio e agli altri in necessità. Sembrava non sfiorato dalla fatica e non gli dava fastidio stare con chi alla società un certo “fastidio” lo procurava, e neppure il pericolo lo fermava, convinto cre-dente che anche nel fondo torbido di un incallito peccatore avrebbe comun-que trovato Cristo che lo attendeva. E P. Albino era ben contento di recarsi all’appuntamento, all’incontro col cuo-re in mano. Riguardo questo “incontro”

P. Albino Turcato con P. Bolech in visita alla Missione Camilliana in Thailandia. Non c’era pioggia o vento che potessero frenare il suo slancio missionario.

Padre ALBINO TURCATO

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bisogna essere chiari: l’incontro con l’uomo equivale all’incontro con Cristo e cioè con Dio.

Dove l’uomo ha bisogno d’essere rinfrancato nella sua dignità decadu-ta o compromessa per emarginazione, indifferenza da parte di altri o per errori, sbagli scelte disastrose proprie oppure per un duro destino avverso, Cristo è lì ed attende l’incontro. P. Albino, radi-cale e coerente in questo, ha cercato di non mancare mai all’appuntamento con l’Ostia Santa Cristo Signore nelle membra e nei cuori dei fratelli in difficoltà, senza giudizio o pregiudizio.

In questo era testar-do un po’ per carattere ma molto per amore, cioè come quelli che innamo-rati desiderano stare solo e sempre con la persona amata: Cristo natural-mente, visto nei malati.

Alla veneranda età di ottant’anni e più, già pieno di acciacchi lui stesso e operato per un brutto tumore alla prostata, non disdegnava di dedicare tempo ai suoi assistiti fino a consumare le notti all’o-spedale al loro capezzale... e intanto che era lì conosceva infermieri, dottori: altri malati, altri parenti, gente da incorag-giare, da confessare, gente da consolare.

P. Albino è vissuto in una totale identificazione con la sua vocazione religiosa e sacerdotale ed ha sempre operato nella spiritualità dell’imitazio-ne del Buon Samaritano. Il suo spiri-to irrequieto l’ha sempre mantenuto finchè ha trovato pace morendo in Cristo per vivere da risorto. Così non

si è risparmiato, e in oltre 60 anni di sacerdozio ha attraversato 18 comunità di ministero pastorale alternando Italia con Thailandia, Filippine o India così come alternando assistenza spiritua-le nelle Cappellanie Ospedaliere con quella materiale, e non privilegiando una piuttosto che l’altra, ma cercando di essere zelante e premuroso per assi-stere le persone nella loro globalità, senza disdegnare i servizi fisici più umi-li e passando repentinamente a quel-

li spirituali con estrema naturalezza. Era sempre capace di far apparire di tutto, alla bisogna, dagli alimenti, alle medicine, ad una piccola stola viola e all’Olio Santo.

Se pensiamo che alla “Marinona” di Arcisate c’è stato per poco oltre gli ultimi 20 anni significa che nei primi 40 di sacer-dozio ha cambiato città per esercitare la sua missione sacerdotale per ben 17 vol-

te. Era disponibile verso i Superiori. Una delle doti che si è potuto ammi-

rare in P. Albino è stata la capacità di “organizzare” la carità. Dalle sue mani è passata una quantità di Provviden-za notevole; attraverso la sua opera di sensibilizzazione alcuni sono diventati generosi benefattori ed altri fortunati beneficiari. Questo ruolo di anello di congiunzione nella catena della soli-darietà lo inorgogliva un poco; era una delle sue piccole soddisfazioni.

Lo spirito di iniziativa non gli man-cava ed era solerte in prima persona nel mettere in pratica ciò che andava orga-nizzando.

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Vorrei ricordare infatti le due attivi-tà fondamentali che hanno caratterizza-to il suo ministero.

In Thailandia ha intrapreso il lavo-ro di assistenza per i lebbrosi per primo tra i Cattolici.

Così scrive un giornale trenti-no (L’Adige) nel 1979 “L’attività dei Camilliani è sussidiaria a quella svolta dalle autorità sanitarie della Thailan-dia. Il P. Albino, seguendo le indicazio-ni ufficiali, va a ricercare i lebbrosi nei loro tuguri, nei villaggi, nei boschi per renderli non più contagiosi dal punto di vista sociale, medicandoli per creare quella difesa organica che li possa far sentire uomini, fratelli di altri fratelli più fortunati”.

In questo, P. Albino era sostenuto oltre che dal suo carattere tenace anche da un voto. Insieme ai tre voti evangeli-ci nella professione religiosa di povertà, castità ed obbedienza, infatti P. Albino così come tutti i Camilliani, ha fatto il 4° voto di servizio ai malati anche a rischio pericolo di vita, magari a causa di un contagio. In un tempo in cui le possibilità terapeutiche erano ancora limitate per i lebbrosi, molto contava la “vicinanza” umana per l’igiene e l’a-limentazione per infondere coraggio, speranza e, nonostante tutto, voglia e forza di vivere.

In ultimo la “Marinona”, chiamata “Maria Oasi della Salute”. Dal 1992, trovato il permesso dei Superiori, si è

Foto sopra e a sinistra:Thailandia. il missionario P. Albino, sempre attento ai più poveri.

Padre ALBINO TURCATO

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messo in proprio perché voleva costitu-ire una comunità di accoglienza secon-do le sue idee, il suo modello di carità totalmente gratuita. In questo, bisogna dirlo, ha trovato molto aiuto nella cit-tadinanza e nelle autorità locali.

I volontari Carmen, Cristina, An-na, Livia etc. lo hanno sostenuto, fino in fondo, insieme all’ Associazione “Amici di Padre Albino”, gli stessi ospi-ti della casa, che da assistiti, lo hanno invece aiutato moltissimo, e alle auto-rità cittadine che in nome della carità hanno chiuso molto più di un occhio di fronte all’estrosità e all’intraprendenza di Padre Albino, non sempre concilian-te con le varie normative, soprattutto quelle edilizie.

Non era di sicuro uno che si fermava di fronte a certe difficoltà e cercava di oltrepassare la burocrazia, a modo suo, presentando “il dato di fatto” e diceva “al massimo mi tocca pagare la multa se avrò i soldi”.

Quelli che nel bene o nel male ave-vano a che fare con lui, si accorgevano subito di che tipo originale fosse, perché se sospettava soltanto d’essere stato pro-vocato, con la lingua non risparmiava niente a nessuno. Tutti però sono stati disposti a perdonarlo e ad assecondar-lo nei suoi intenti che indubbiamente erano sempre evidenti per l’opera cari-tativa.

In un certo senso devo dire a tutti grazie per la pazienza e la magnanimità dimostrata sopportando cristianamen-te. Ora P. Albino capisce le vostre buo-ne intenzioni e assicura imperitura vici-nanza spirituale. Direi senza timore di sbagliare che è più amico ora di allora: d’altronde ce ne siamo accorti tutti che il suo aspetto a volte burbero nascon-

deva solo un grande bisogno di affetto.Ma P. Albino ha cercato di vive-

re anche la solidarietà ecclesiale con le comunità parrocchiali dei comuni della Val Ceresio, dandosi da fare per Sante Messe e confessioni più che ha potuto fino all’ultimo, fino anche nella debilitazione evidente per la malattia in quest’ultimo anno.

Anche ai parroci che lo hanno aiu-tato tanto, e ricevuto un po’ del suo aiuto, va il ringraziamento dei Religiosi Camilliani e degli ospiti della “Marino-na”. Anche attraverso di voi, cari sacer-doti della Chiesa locale, P. Albino si è sentito meno solo.

Così, in fondo, la malattia lo ha richiamato a rientrare in sé stesso, ad interiorizzare tutta la sua forza spirituale camilliana, la sua fede, la sua speran-za e la sua carità. È stato chiamato ad accudirsi, ad accudire sé stesso, per pre-sentarsi a Dio, a mettere il vestito bello dell’umiltà per richiedere il perdono e per ottenere misericordia per entrare alla festa del Regno dei Cieli, al ban-chetto eterno; ha fatto da infermiere per il suo corpo e da sacerdote per la sua stessa anima, così si è riconciliato preparandosi al vero ed unico incontro che ha sempre assaggiato nella sua vita e che da sempre ha desiderato: quello con Cristo risorto che ora gode nella Pasqua eterna.

Così il nostro P. Albino ci ha lascia-to la mattina della vigilia della Dome-nica della Palme.

Quest’anno aveva fretta di entrare nella Settimana Santa e direttamente nella Resurrezione perché di Via Crucis ne aveva già fatta abbastanza!

P. Vittorio Paleari

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BREVE RICORDO DI P. ALBINO TURCATO

Pur non avendo conosciuto P. Albi-no Turcato per un lungo tempo, eccetto che per qualche mese nei diversi periodi della sua permanenza in Tailandia, mi sento in dovere di esprimere, anche se in poche righe, quanto sento dentro di me e quanto mi hanno riferito tre anzia-ni che sono ancora vivi qui a Khokwat e che hanno conosciuto P. Turcato Albino quando si recava nei diversi luoghi dove scovava dei lebbrosi per

dare loro assistenza, mentre il Villaggio San Camillo di Khokwat ancora non esisteva.

Tutti e tre, ex lebbrosi ed ora com-pletamente guariti ma ancora residenti a Khokwat per la loro avanzata età, mi hanno riferito che di P. Turcato hanno un ottimo ricordo. Se lo ricordano pie-no di iniziative, sempre attento alle loro

necessità: curava le loro piaghe con il sorriso sulle labbra, dava loro una parola di conforto, li riforniva di medicine, di cibo e di vestiti e di altri oggetti di prima necessità. Aveva un modo di comunica-re che attirava e spesso suscitava una bella risata che li animava e li rendeva felici. Aveva un cuore grande che mani-festava bontà, tenerezza e misericordia. Peccato, continuano i tre ex lebbrosi intervistati (i loro nomi: Bhumma, Bua

Loi, Ta phai) che sia dovuto rientrare in Italia cosi presto.

Molti altri, già scomparsi, parlavano sempre bene di lui ed il loro ricordo era sempre positivo. Anche le poche vol-te che ha fatto visita al Villaggio (Ora:

Arcisate - P. Albino con il Vecovo di Varese, Mons. Marco Ferrari

Padre ALBINO TURCATO

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Camillian Social Center, Prachinburi per anziani completamente abbando-nati o derelitti) dopo il suo ritorno in Tailandia, per coloro che erano ancora vivi e lo avevano conosciuto era una festa e P. Turcato se la godeva con gran-de commozione.

Sembrava che P. Turcato avesse un fiuto speciale per scovare i lebbrosi che poi radunava in un posto nel qua-le li assisteva. Quando era a Bangkhok assieme a me, dopo essere stato assen-te tutto il giorno mi confidò: “Sai oggi sono stato in un posto qui di Bangkhok molto ben nascosto dove vivono diverse decine di lebbrosi che al mattino (dopo aver indossato il vestito da lavoro: degli stracci) vengono caricati su dei camion-cini e scaglionati nei diversi punti della

citta’ a chiedere l’elemosina che, alla sera, devono consegnare ai loro padroni da cui hanno in cambio solo del cibo. Non so cosa posso fare per loro per-ché sono controllati in ogni momento. Impossibile entrare là dentro, è troppo pericoloso e la polizia non se ne inte-ressa.” Mentre parlava si vedeva che soffriva non potendo dare loro un po’ di sollievo.

P. Turcato aveva delle grandissime doti e qualita’ che sapeva usare per il bene degli altri. Basta un accenno alla sua bonta’, al suo animo magnanimo e pieno di misericordia, al suo coraggio, al fiuto nel trovare lebbrosi, alla sua spon-taneità.

Aveva facilità nello scrivere e nel comporre poesie. La dote della pit-tura era una qualità innata (ne sono testimonianza le vetrate della Chiesa di Lukkhè (parrocchia a circa 20 Km dall”ospedale San camillo di Banpong) e della Cappella dello stesso ospedale San Camillo.

Peccato che tutte queste ottime qualita’ fossero associate anche ad un forte senso di indipendenza che, se da una parte lo portava a delle conti-nue nuove iniziative (vedi il Villaggio San Camillo) che forse non avrebbero preso vita e di cui siamo riconoscenti, dall’altra potevano provocare un po’ di disarmonia con gli altri confratelli della allora Delegazione Tailandese.

Caro P. Albino, pur con le tue debo-lezze, come vedi, il tuo ricordo è ancora forte e molto positivo in chi ti ha cono-sciuto e da te è stato beneficato. Non dimenticarti di noi come noi non ci dimenticheremo di te. Ciao.

P. Ermenegildo Calderaro

Bangkhok. Gli occhi di questa bimba thailandese

attendono ancora la figura di P. Albino.

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UN PICCOLO GRANDE UN UOMO AL SERVIZIO DI DIO.

Un amico, un fratello, un padre, un sacerdote e tanto altro, era, ed è per noi Padre (don) Albino Turcato, un servo di Dio; sempre pronto a fare, a dare e a sostenere, senza mai dire di no a nes-suno. A volte, il suo fare instancabile, umile, e semplicemente spontaneo, non era sempre accettato da chi lo guarda-va con incredulità. Lo si poteva vede-re troppo in contrasto con l’abitudine egoistica umana di volere per sè, e non di dare, tanto più con gratuità. Tanta era la l’umiltà con cui operava, che in molti avrebbero voluto seguirlo.

A volte un po’ burbe-ro nella “correzione fra-terna”, sapeva poi imme-diatamente farsi perdo-nare con grande dolcezza, rinfrancando una più intensa amicizia.

Con i suoi assistiti, che lui scherzosamente appellava “i miei sarace-ni”, andava molto d’ac-cordo, anche perché a suo dire, lui era uno di loro. Molti suoi “ospiti”, grazie al suo esempio, sono riu-sciti a cambiare profondamente, arri-vando a fare pace con se stessi e con il mondo.

Un anziano sacerdote, che avreb-be potuto finire i suoi giorni in pace, in una casa per sacerdoti in pensione, instancabile e caparbio tanto da vedere sempre fratelli da aiutare, alla fine del suo periodo di servizio “ufficiale”, insie-me a pochi, ma fedelissimi volontari di

fiducia, con l’aiuto di alcuni benefatto-ri, ha iniziato la sua opera “Maria oasi della salute”, una comunità che tuttora vive e si alimenta unicamente di carità.

Da principio molto osteggiato, spesso P. Albino subiva, in cambio dei suoi servigi, offese e calunnie, e a volte quando si schierava in difesa dei propri assistiti, veniva deriso e malmenato,

fino ad essere minac-ciato di morte con coltelli. Questo pote-va accadere, perché lui raccoglieva nel paese di Arcisate e dintorni, persone non volute da nessuno, e non solo emarginati, ma anche considera-ti indesiderati dalla società. Al contra-rio don Albino pun-tualmente, andava a cercarli per portarli a casa. Maria Oasi… offrendo loro prima di tutto dignità, facen-doli sentire a proprio agio, accettati, voluti

ed amati, seguiti caritatevolmente nei disagi sia fisici che psicologici. Con un’amorevole assistenza, li seguiva per-sonalmente anche se a volte venivano ricoverati in Ospedali fuori dalla Lom-bardia.

Anche se molto anziano, stanco e debilitato, ha continuato in maniera autonoma le sue opere, aiutando anche le persone delle comunità limitrofe con ogni sorta di servizio, portando loro assistenza anche sacerdotale; ha dato

P. Albino: Missionario arditoe coraggioso nei tmpi della giovinezza;

Pastore e guida dei più paveri ed emarginati negli ultimi anni della sua vita Sacerdotale e Camilliana.

Padre ALBINO TURCATO

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ogni sorta di servizio alle chiese locali, senza risparmiarsi in nessuna fatica.

Con l’aiuto di Dio ha portato a ter-mine la sua missione tenacemente con amore senza mai risparmiarsi, donando, donando, donando.

Grazie amico, grazie fratello, grazie papà, grazie sacerdote testimone di Cristo.

Carmen Toniolo, Franco Vanotto, Gianni, Cristina Galati, Balbi Marzio, Bruna For-madali, Sesini Giancarlo, Lidia Meloni, Visturini Giovanni, Anna Malnati, Zoc-chini Oscar, Buttiglioni Luigi

NEL RICORDO DI ALTRI VOLONTARI

Io sono Carmen Toniolo, volontaria di P. Albino Turcato per ventidue anni, al suo fianco quasi come una sorella, per aiutarlo, per fare crescere e miglio-rare questa comunità come lui voleva anche in mezzo a moltissime difficoltà, per renderla vivibile. Pian piano, agli inizi degli anni 90, cominciarono ad arrivare persone disagiate ed ammalate. P. Albino le ha sempre accolte anche a fronte di qualche rischio; non aveva paura di nessuno.

In questa suo ‘olio su tela’ identifica il malato con Gesù; quasi lo sovrappone a Lui tra le braccia di San Camillo.

Era sostenuto dal suo carattere forte, dall’aiuto di volontarie e da benefatto-

ri. Dopo molti sacrifici, questa casa della Mari-nona è diventata una bellissima comunità.

Da qualche anno P. Albino si è ammalato peggiorando sempre più; avanti ed indietro tra casa ed ospedale fino quando è arrivato il giorno in cui è torna-to alla casa del Padre.

Con tanto rimpianto e tristezza di non essere più al fianco di Padre Albino.

Carmen Toniolo

Io, Cristina Galati, ultima tra le volontarie, ho conosciuto P. Albino die-ci anni fa quando si recava la domenica mattina a celebrare la S. Messa delle 8.30 a Piamo, frazione di Bisuschio, in una piccola chiesetta. P. Albino era molto contento di frequentare quella località.

Era bello ascoltarlo perché parla-va molto e con soddisfazione della sua comunità. Allora gli dissi: “P. Albino quando andrò in pensione verrò nella sua comunità come volontaria”.

Così, da sei anni a “Maria Oasi della Salute” dò il mio contributo, trovando anche Carmen che mi ha fatto entrare in questa famiglia in cui mi sono senti-ta voluta bene. Quando avevo qualche problema mi hanno consigliata ed aiu-tata.

Anch’io volevo molto bene ad Albi-no come un Padre e a Carmen come una mamma. Non avendo più entrambi i genitori, mi sentivo protetta.

Addio Padre Albino! Sentirò sem-pre la sua mancanza. Proteggimi da lassù.

Cristina GalatiP. Albino amava la pittura e, nei momenti di distensione, si dilettava a mettere su tela i suoi valori.

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06.03.2009

PADRE ENRICO MENOZZI(1923 - 2014)

Padre Enrico nasce a Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia e diocesi di Gua-stalla, il 3 febbraio 1923, da Gaetano e Annunziata Lusetti. In anni che lasciano già intravedere l’avvicinarsi delle travagliate vicende politiche e belliche che segneran-no la bassa reggiana e l’intera nazione, il papà, agricoltore, e la mamma, casalinga, provvedono all’educazione dei loro cinque figli (Enrico è il secondo), crescendoli in un clima ricco di affetti famigliari, di fede, di laboriosità, di partecipazione alla vita ecclesiale nella parrocchia. È in questo contesto che Enrico, conversando con il compaesano e coetaneo Eligio Ferrari, studente camilliano in vacanza (suo futuro confratello e collaboratore), chiede di entrare anch’egli in Postulandato. Ha tredici anni. Nelle lettera di presentazione ai Superiori, il Parroco scrive: “Il giovanetto Enrico Menozzi ha sempre tenuto una condotta esemplarissima, lontano dalle cattive compagnie; spesso afferma che egli non conosce che casa e chiesa, accostandosi spesso anche ai SS Sacramenti. Per cui formulo su di lui la più radiosa speranza. Il Parroco Sac. Francesco Bozzoli”.

Le tappe della formazione di Enrico si avvicendano mostrandone l’animo gioviale e comunicativo, la perseveranza, e buoni risultati negli studi: aspetti che emergeranno costantemente lungo gli anni della sua vita camilliana. È Postulante a Besana Brianza-MI (27.09.1936), quindi Novizio a San Giuliano-VR (07.09.1941), poi Professo temporaneo (08.09.1941) e Professo solenne (08.09.1945) ancora a San Giuliano-VR, infine Diacono (08.12.1948) e Sacerdote (02.04.1949) a Mottinello (Vicenza).

Il ministero sacerdotale di Padre Enrico si svolge prevalentemente come Cap-pellano, percorrendo varie città d’Italia e le loro rispettive Provincie religiose, nelle quali spesso viene anche incardinato giuridicamente per poter svolgere con completezza e maggior frutto il suo servizio ai malati e alle Comunità dove risiede: a Cremona (1949), Marchirolo (VA) in qualità di insegnante nello studentato (1949), a Venezia-Alberoni (1951), a Malcesine-VR (1953), poi a Bologna e nuo-

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vamente a Cremona (1955). Da quell’anno Padre Enrico alterna lunghi periodi nella Provincia Siculo-Napoletana con altri trascorsi nella Provincia Lombardo-Veneta, Romana e Piemontese: è Superiore a Taranto (1959,) Segretario Provinciale a Mes-sina (1962), poi, dopo una pausa a Verona-Paradiso (1974), seguono nuovamente l’Ospedale Cardarelli di Napoli (1975), l’Ospedale San Camillo di Roma (1976), il rientro in Lombardo-Veneta presso il Sanatorio di Sondalo e l’Ospedale di Borgo Roma a Verona; (1986), il ritorno in Sicilia a Mangano-CT (1987), il periodo pie-montese e la cappellania a Forte dei Marmi (1999), infine il rientro definitivo nella Lombardo-Veneta. Gli anni, si sa, cominciano a farsi sentire anche se sono ancora portati egregiamente.

La rilettura della vita di Padre Enrico pone in spiccata evidenza alcune sue particolari attitudini che vorremmo ricordare. Innanzitutto il suo carattere incline al buon umore, all’amicizia, all’ordine e alla proprietà, al garbo quasi signorile. Poi un grande amore all’Ordine e al patrimonio lasciatoci dalle generazioni dei confra-telli del passato, approdato spesso a pregevoli articoli e pubblicazioni varie. Valga, fra tante possibili, la citazione del volume “I Camilliani in Sicilia: tre secoli di storia” (Edizioni Camilliane, 2003). Infine la disponibilità e spontaneità nello svolgere il ministero camilliano “a tutto campo”, vale a dire esercitandolo in città, ambienti e Provincie Religiose di tutt’Italia (un precorritore dei tempi attuali incamminati verso la realizzazione completa della “Provincia Italiana”).

Negli ultimi tempi che trascorre a Capriate, Padre Enrico dà prova di grande serenità, frutto certo della sua dimestichezza con la sofferenza di tanti ammalati che per anni ha assistito e incoraggiato, ma, in primis, del suo ormai abituale e sponta-neo riferimento al Signore. Al ritorno da una degenza trascorsa nel vicino Ospedale di Zingonia, viene trasferito nella Casa di Riposo RSA di Capriate, ma la nuova residenza non lo estranea dai Confratelli che lo visitano quotidianamente, né dalla Comunità che egli stesso frequenta come può, come nella ricorrenza del suo 91° com-pleanno e del santo Natale. Ogni giorno lo si vede scendere dalla stanza per sostare in Chiesa, al primo banco, davanti al tabernacolo (è il suo posto preferito), mentre nel pomeriggio è sempre presente per la celebrazione della santa Messa. Ascolta con docilità il Personale che lo accudisce e che, alla fine, ringrazia sempre con cortesia. A chi gli chiede “Come va, Padre?” risponde pacatamente: “Bene. E come potrebbe essere diversamente? Il Signore mi ha donato tanti anni ed ora mi risparmia anche dai dolori frequenti a questa età. Non ho che da ringraziarlo!” Qualche settimana prima di morire chiede di accostarsi nuovamente al sacramento dell’Unzione degli Infermi. Lo riceve al letto della propria stanza dal P. Superiore, attorniato dai confratelli della Comunità, rispondendo lucidamente ed annuendo con commozione alla concessione dell’Indulgenza Plenaria e all’invocazione alla Madonna, “nostra Regina”. Trasferito all’ “Hospice P. Luigi Tezza” per essere assistito dai nostri Fratelli e con maggior con-tinuità, si addormenta nel Signore il giorno 4 maggio, di primo mattino, alle ore 1.30.

Lo ricordiamo con affetto e nella certa speranza che ora è alla presenza dell’ama-to Signore, di San Camillo e della numerosa schiera dei nostri confratelli defunti.

La salma, in attesa dell’Alba della Pasqua Eterna, riposa nel cimitero del paese natale, Fabbrico (RE).

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OMELIA NELLE ESEQUIE DI P. ENRICO (Gv 17,1-9.20-21)

Siamo nel tempo liturgico pasquale, tempo dedicato agli incontri evangeli-ci con il Risorto: gli incontri di Gesù con le donne, gli apostoli, i discepoli di Emmaus, altri discepoli. Come loro, anche noi ritorniamo su quanto Gesù aveva detto, per non rimanere noi pure tristi, disorientati, di fronte alla dipar-tita del carissimo Padre Enrico. Una morte, certo, ma solo esteriormente. In realtà, anche questo, un incontro con Gesù risorto.

Il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha riportato all’ultima sera terrena di Gesù, sera di una sua gior-nata e allo stesso tempo della sua vita, sera densissima di intimità, di emozioni, di affetti, ma anche di incertezze e di timore, di amarezza per un tradimento annunciato come imminente.

Gesù ha di fronte a sé il mistero del-la morte, anzi, della sua morte. Nelle sue parole ci manifesta ciò che porta in cuore, i sentimenti che prova per i suoi discepoli, le ultime raccomandazioni che vuole lasciare loro.

Li incoraggia: “non sia turbato il vostro cuore”. Li assicura che si allonta-nerà da loro solo nel suo corpo perché in realtà, nella sua persona, sarà ancora più vicino a loro. Per introdurli a questa sua nuova presenza istituisce l’eucari-stia, sacramento della piena comunione con Lui. Poi dà loro un comandamento nuovo: “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Infine, nella grande pre-ghiera sacerdotale, Gesù prega il Padre: “Padre, ti ho glorificato sulla terra com-piendo tutto ciò che mi avevi chiesto, ora glorificami presso di Te … Ti prego, Padre, per questi discepoli che tu mi hai dato … consacrali a te rendendoli perfetti nella verità” … Poi, passando con lo sguardo dal presente al futuro: “Non prego solo per questi ma anche per quelli che crede-ranno in me per la loro parola.”

Quella sera, nella preghiera di Gesù, c’eravamo anche noi, come pure Padre Enrico.

Padre Enrico ci ha lasciati così, al modo in cui ci ha assicurato Gesù: in comunione di vita con Lui, in que-sti giorni di Pasqua così significativi. Ma non solo in questi giorni pasquali di morte e risurrezione. Ci ha lasciati anche in questo “anno giubilare”, quar-to centenario di un’altra morte, anche

P. Enrico con la mamma Annunziata e le sorelle Ernesta, Ilva e Zita.

Padre ENRICO MENOZZI

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quella eminentemente pasquale, fecon-da di vita: la morte di san Camillo.

È sorprendente come, se ritorniamo anche su tutto quello che san Camillo ci ha detto, se rileggiamo la sua Lettera Testamentaria che tutti ben conoscia-mo, man mano che proseguiamo nello scritto, vi troviamo quasi pari pari gli stessi sentimenti, le stesse espressioni di Gesù dette in quell’ultima sua sera testamentaria dell’ultima cena.

Anche san Camillo, ad esempio:

- ci incoraggia: “Dio ha posto nelle nostre mani un talento così prezioso perché conseguiamo la santità nella vita e poi la gloria eterna”;

- ci invita all’amore vicendevole: “Non voglio mancare di ricordare l’u-nione, la pace e la concordia tra Padri e Fratelli poiché il Signore ha volu-to che noi abbiamo questo nome di Ministri degli Infermi che comprende tutti, Padri e Fratelli”;

- ci indica la perfetta consacrazione a Dio esortandoci a: “camminare per la strada dello spirito, cioè della vera mortificazione religiosa … infat-ti il nostro Ordine richiede uomini perfetti”;

- guarda con fiducia all’avvenire ed invia a tutti le sue: “mille benedi-zioni, non solo ai presenti ma anche ai futuri che sino alla fine del mon-do saranno membri di questo santo Ordine”.

Anche in questo cuore grande, il cuore di san Camillo, eravamo presenti tutti noi. Anche tu, Padre Enrico. E vi hai corrisposto percorrendo nei lunghi anni della tua vita la via tracciata dal Signore, poi ripresa e riproposta da san Camillo nella forma del servizio ai mala-ti. Quella via che, raccomandandola in una lettera al cugino Onofrio, chiama-va: “la strada che porta al cielo”. Con fidu-cia e costanza, anche fra le immancabili manchevolezze da cui non sono esenti neppure i santi, come, per sua esplicita ammissione, lo stesso S. Camillo.

Lascia che ti ringraziamo, Padre Enrico, per gli affetti familiari che ti hanno cresciuto nella fanciullezza e ai quali hai sempre corrisposto con altret-tanto affetto; per il tuo carattere buono e gioviale e per quella tua caparbietà tipi-camente reggiana che, se talvolta può aver fatto sorridere qualcuno, è apprez-zata e gradita al Signore quando è posta al suo servizio; per la decisione vocazio-nale di entrare in una nuova famiglia, la nostra famiglia religiosa camilliana; per il tuo grande amore all’Ordine e ai tuoi Confratelli; per quel tuo viaggiare che ti ha portato, come san Camillo, a percor-rere in lungo e in largo l’intera nostra penisola; per i buoni esempi che ci hai lasciato in questi ultimi anni.

Il Signore, nell’affidarti a Lui, che è Signore della Vita, ci vuole nella gioia, la sua gioia. E sia così, per quanto ne sia-mo capaci.

Ma lo preghiamo di lasciarci anche un po’ di nostalgia di te. Ci aiuterà anch’essa a sentirci ancora vicini e inco-raggiati da te. Arrivederci nel Signore.

P. Roberto Corghi

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P. ENRICO MENOZZI:UN APPASSIONATO REGGIO-EMILIANO DELLA STORIA CAMILLIANA

Mai come in queste occasioni sento la responsabilità del mio essere sacerdo-te e la mia inadeguatezza davanti ad un mistero così grande come la morte di un Confratello che di persona non ho cono-sciuto, ma del quale ho ascoltato raccon-ti da vari confratelli della Provincia.

Dalle varie testimonianze ho “cono-sciuto” un uomo semplice, il nostro padre Enrico, con una volontà forte di andare avanti nonostante tutto, ricco d’interessi per l’Ordine, cultore dell’a-micizia e della storia vera a tal punto che con un forte zelo e inquietudine per l’Ordine diventa, possiamo dire, lo “storico”, l’antesignano dell’unità delle Province, classificandosi un po’ come lo “zingaro” dell’Ordine, giungendo poi a pubblicare il grande volume “I Camillia-ni in Sicilia: tre secoli di storia” (edizioni Camilliane, 2003), opera non portata a

termine nella seconda parte riguardante i “Religiosi in Campania”. All’interes-se storico che coltivava la tenerezza e la gioia di stare vicino ai malati con le sue “battute umoristiche”, ma ricche di un amore per chi viveva il dramma del dolore e della malattia. S’intravvede-va nel suo essere, un uomo alla ricerca continua del Signore.

Oggi questa storia qui in terra s’in-terrompe per dare inizio a una nuova storia, incomprensibile ai nostri sguardi umani che vedono solo morte e fine, ma comprensibile agli occhi della fede che vedono gloria eterna e vita.

Capisco in lui lo stesso grido di Cri-sto sulla croce: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ecco, il nostro Dio vive in se stesso il dolore più grande, la mor-te ingiusta non per esaltare la morte ma per redimerla, per farla diventare pas-

P. Enrico con famigliari. Anche negli anni della prova ha sempre sorriso alla vita.

Padre ENRICO MENOZZI

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saggio alla vita eterna. Senza la morte e la risurrezione di Cristo la nostra morte sarebbe stata davvero una fine assurda, mentre per mezzo suo diventa nuova nascita: oggi padre Enrico, per merito di Cristo, è nato al cielo, appartiene all’a-more di Dio: “Chi crede in me anche se è morto vivrà”.

E allora desidero elevare a Dio insie-me a tutti i Confratelli della Provincia Siculo-Napoletana questa preghiera, raccogliendo il dolore e l’angoscia, ma anche la speranza: “Signore ti presentia-

mo oggi padre Enrico, con il bagaglio della sua vita e tutto il bene che in essa ha com-piuto. Noi gli siamo grati. Grazie di averlo donato per anni alla nostra Provincia, agli amici… avremmo voluto averlo ancora qui per nutrirci della sua amicizia, della sua simpatia, del suo amore… ma il tuo cuore lo ha portato via, ha terminato la missione che tu gli avevi affidato… e anche di questo ti siamo grati… grati per il dono della spe-ranza che un domani ci incontreremo con il sorriso sempre pronto”.

Sono tanti i Religiosi in Provin-cia che riconoscono l’alta qualità del-le sue doti umane e professionali, ma soprattutto la sua presenza sollecita e premurosa, attenta a ogni persona, rico-

nosciuta nella sua povertà creaturale, ma anche con tutte le potenzialità insi-te nella sua altissima vocazione uma-na. Sono numerose le persone che gli devono riconoscenza. In modo speciale, lo ricordano con cordiale affetto i tanti sacerdoti e laici dell’ospedale di Casoria cui egli ha prestato servizio, per tanti anni, con sollecite cure, senza far pesare il suo ministero, in tutta umiltà, sempli-cità e letizia. Così come per l’amicizia forte come la morte con padre Eligio Ferrari, anch’egli oggi, nella Gloria.

Perciò oggi salutiamo un confratello che, proprio perché ha creduto all’amo-re di Dio, ha onorato profondamente la nostra Provincia servendo l’uomo e, da Religioso com’era, si è lasciato trasfor-mare dall’amore di Dio, utilizzando il suo impegno come mezzo e via di san-tificazione.

Grazie padre Enrico e… arrivederci in Paradiso.

Il Superiore ProvincialeP. Rosario Mauriello

P. Enrico Menozzi in Sicilia dove ha vissuto un lungo periodo di ministero camilliano negli ospedali. L’Etna, sullo sfondo, ne è smbolo e testimonianza.

A sinistra: P. Enrico celebra il 50° di matrimonio dei genitori.

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06.03.2009

PADRE CAMILLO DEGETTO(1928 - 2014)

Camillo Degetto, nato a Rossano Veneto (Vicenza) il 16 giugno 1928, da papà Fortunato e da mamma Rosa Maria Marcon. Dopo un periodo di sofferenza, grazie a padre Attilio Giuseppe Balbinot, fa il suo ingresso nella Provincia Siculo-Napo-letana il 17 ottobre 1956. Entra in noviziato all’Oasi di Aci Sant’Antonio (CT) il 7 dicembre 1957; nel giorno solenne dell’Immacolata, l’8 dicembre 1958 emise la Professione semplice e il 13 marzo 1960 la Professione solenne ad Acireale (CT). Il 2 aprile 1960 all’Oasi di Aci Sant’Antonio viene ordinato Sacerdote e inviato come Cappellano all’Ospedale “Principe di Piemonte” di Napoli il 16 agosto 1960. Il 1 agosto 1962 è inviato come Cappellano all’Ospedale “Elena d’Aosta” di Napoli, svolgendo il ministero fino al 5 luglio 1965. Il 6 luglio dello stesso anno svolge il servizio di Cappellano all’Ospedale “Antonio Cardarelli” di Napoli, oltre ad essere segretario per la Pastorale Ospedaliera della Provincia Siculo-Napoletana e della Diocesi di Napoli. Il 3 ottobre 1972 è nominato Superiore della Comunità di Taran-to, prestando servizio all’Ospedale SS. Annunziata, e nel 1975 presta servizio al I° Policlinico di Napoli; in quel periodo gli viene affidato il compito di Consulente Regionale dell’ACOS della Campania, Basilicata e Puglia.

Il 15 ottobre 1977, con l’incarico di assistente dell’UCI per la Campania e la Puglia, viene trasferito all’Ospedale “Vincenzo Monaldi”, ex Ospedale “Principe di Piemonte” di Napoli. Su richiesta del Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli, padre Camillo viene nominato Parroco della Chiesa di Santa Croce ad Orsolone in Napoli il 17 ottobre 1983 e al termine del mandato, il 16 settembre 1991, viene trasferito all’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria. Nell’ottobre 1994 viene trasferito alla Comunità di Messina e ritorna con l’incarico di Superiore di nuovo a Casoria il 23 settembre 1995. Nel 1998 parte per Palermo. Nel 2001 viene

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trasferito al Policlinico II di Napoli e il 6 ottobre 2004 svolge il servizio di cappel-lano all’ospedale “Vincenzo Monaldi” di Napoli. Il 9 gennaio viene trasferito presso l’Istituto “San Camillo” in San Giorgio a Cremano (NA). L’anno successivo, per un malore, viene trasferito all’Ospedale Santa Maria della Pietà in Casoria di Napoli.

Padre Camillo è sempre stato, all’interno delle Comunità in cui è vissuto, un Religioso sui generis, e molte volte il suo essere uomo scherzoso superava il limite della tolleranza. Egli, orgoglioso di essere camilliano, ha amato intensamente l’Or-dine, anche se nel raccontare la sua vocazione mostrava solchi di sofferenza e di incomprensioni. La voce tremava e i suoi occhi si riempivano di lacrime, come si legge nella pubblicazione L’altro don Camillo edita da Laruffa, Reggio Calabria 1995. È stato un uomo di preghiera: l’amore verso la Madonna, l’amore per l’Eucarestia e il fascino della figura di san Camillo sono stati per padre Camillo il segreto che l’ha reso capace di dare ai malati e ai sofferenti speranza, sollievo e abbondono in Dio. Il fuoco che viveva nel cuore lo portava a indossare l’abito religioso con grande orgoglio a un punto tale da definirsi “uomo del Vecchio Testamento” per dare spazio ai figli del “Nuovo Testamento” che - a suo dire - “non si riconoscono né Religiosi né Sacerdoti dal modo di comportarsi e di vestire”.

Nel periodo in cui era Parroco di Santa Croce, l’amore verso i “santacrocesi”, suoi parrocchiani, era così grande che dopo essere stato trasferito ritornò in quella “perla incastonata nella collina dei Camaldoli” come lui stesso scrisse nella pubblica-zione del Saggio monografico Santa Croce ai Camaldoli, Napoli - 1688-1988 - ieri, oggi, domani, edizione LAC. Per festeggiare i suoi 40 anni di Sacerdozio scrisse: “Mia gente! Mia buona gente di S. Croce! Non ti ho abbandonato! Anche se lontano con il corpo, il mio cuore è con voi, mi è testimone quel grande Crocefisso che ti ho piantato alla sinistra dell’altare maggiore, esso è rimasto tuttora e si trova acconto a te, in mezzo alle antiche masserie, sparse nel bel mezzo del verde su cui sono adagiate, nelle vecchie case del rione antico, all’ombra della torre del campanile” e si poneva sempre una domanda che lacerava il cuore: “Cosa ho fatto per meritare tutto il bene che questa gente mi vuole” (Ut Unum Sint, anno 49, n. 113, 2000, pag. 65-66).

Durante il suo servizio, varie volte ha mostrato segni di malattia. Infatti, nella metà del mese di aprile 1987 fu ricoverato all’Ospedale Monaldi, dal professor Stefanelli e dopo varie indagini si ebbe sospetto che tra la VI e la VII costola del polmone destro vi fosse un tumore, sospetto che si eliminò dopo accurate indagini con una diagnosi definitiva “broncopolmonite virale acuta”; ma il 13 giugno 2007 padre Camillo è accompagnato dal suo Superiore all’Ospedale Monaldi e ricove-rato in Prima Medicina per indagini. Dopo le dimissioni resta in Comunità “Sacro Cuore” dell’Ospedale Monaldi alcuni giorni e verso la fine di giugno 2007, dopo pranzo padre Camillo accusa un malessere: è colpito da ICTUS cerebrale e trasferito all’Ospedale Cardarelli.

Inizia per padre Camillo un cammino segnato dalla malattia permanente e ,nei momenti di lucidità, continuava ancora a proclamare il motto che l’ha carat-terizzato per tutta la vita: “Vogliatevi bene”, unito da un prolungato pianto. Verso la fine del mese di maggio di quest’anno viene ricoverato nel reparto di Medicina,

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perchè le condizioni di salute erano già piuttosto compromesse, e ha cominciato a peggiorare; alla presenza dei confratelli, delle suore, dei medici e dei ragazzi che lo assistevano con tanta premura, padre Camillo il 24 maggio alle ore 15,25 è tornato alla Casa del Padre.

Sono state rispettate le sue ultime volontà espresse in una lettera depositata nelle mani della dottoressa Antonella Cavuti, lettera di cui nessuno era a cono-scenza e che ha lasciato perplessi tutti noi. Il suo desiderio era che subito dopo la sua morte sarebbe dovuto partire per la sua terra ed essere sepolto vicino ai suoi genitori. Ringraziamo il Signore per averci fatto dono di questo confratello. Dal Cielo egli continuerà ad amare e pregare per il suo Ordine, per la Provincia e per i “santacrocesi”, suoi parrocchiani.

Padre Camillo Degetto

IL PARROCO DI ROSSANO VENETO RICORDA P. CAMILLO

Ho avuto la fortuna di conoscere Padre Camillo Degetto perché, ogni estate, tornava nella nostra Parrroc-chia di Rossano Veneto, per, come Lui diceva, “caricarsi” spiritualmen-te e fisicamente. Quando arrivava, si sentiva subito, perché salutava tutti, si fermava a parlare e a raccontare.

Era un uomo entusiasta, aveva una vita “a colori” preferendo i colo-ri più chiari.

Era un religioso, che viveva la sua missione, felice di poter donare le sue

esperienze, specialmente quelle fatte negli ospedali, tra gli ammalati. Nel dialogo con lui emergeva la sua pas-sione per i poveri e per gli ultimi.

In Parrocchia era un valido col-laboratore: annunciava il Vangelo come BUONA NOTIZIA! Dava speranza a chi si trovava in difficoltà.

Questo che ho scritto è solo un breve accenno! Ora Padre Camillo ci manca anche se è ancora presente nei nostri ricordi e nel nostro cuore.

Don Sergio Martello

Rossano Veneto. P. Camillo il giorno della sua prima Santa Messa, 24 aprile 1960, attorniato dai suoi familiari e paesani.

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P. CAMILLO NEL RICORDO DI UN CONFRATELLO E CONCITTADINO

Si dice che gli abitanti di Rossano, paese natio di P. Camillo, siano piut-tosto timidi. Se si dovesse partire da questa diceria per capire P. Camillo, ci si sbaglierebbe di grosso. Di lui infatti resta il ricordo d’una persona tutt’altro che timida e riservata. Era esplosivo, vivacissimo, un tipo generoso ed entu-siasta. In paese si era fatto conoscere da tutti, sempre in contatto con le perso-ne, qualunque fossero, note o non note. Era impellente il bisogno di comunica-re, sentire, conversare. Quando face-va ritorno per le vacanze ci teneva a celebrare soprattutto nei giorni festivi. L’omelia era il suo punto forte. Qui la sua spinta a parlare aveva modo di sfo-garsi, dando prova d’un eloquio fluente e impetuoso. Si lasciava trascinare dalla foga, quasi sospinto da ardore profetico e proprio dei profeti usava il linguag-gio, che non risparmiava rimproveri e minacce facendo appello al giudizio di

Dio. Era il tipico credente dall’ortodos-sia ferrea e sicura. Il dubbio non lo sfio-rava, non faceva parte del suo carattere.

Il suo buon nome non è però lega-to solo alla sua facondia oratoria. Fuori delle funzioni liturgiche amava intrat-tenersi con la gente, fare conoscenze, allacciare nuovi rapporti: in fondo si trovava nel suo paese tra la sua gente, cui era molto attaccato. Qui si sentiva a casa, conosciuto, ammirato e amato. Era conosciuto perché lui stesso si face-va conoscere.

Del suo paese seguiva le vicende: l’avvicendamento dei parroci, dei cap-pellani, dei sindaci, delle organizzazioni comunali e parrocchiali, delle persone che si erano distinte per amore patrio o per l’arte come il fr. Venzo, pittore di lar-ga fama. C’è però una figura che ha volu-to ricordare con gratitudine: don Gaspa-re Marangon, arciprete di Rossano per diversi decenni, un uomo dalla scorza

Oasi di Aci Sant’Antonio, 2 aprile 1960. P. Camillo, con le Ancelle Missionarie Camilliane, è ordinato sacerdote.

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dura, ma dal cuore tenero tanto da essere amatissimo. Di lui ha steso per iscritto un breve ritratto, pubblicato poi anche sulla rivista “Vita nostra”. Giustamente lo ricorda come un prete di eccezionale zelo apostolico, morto in estrema pover-tà, tanto che il comune stesso ha dovuto assumersi l’onere delle spese funerarie.

Si sa come P. Camillo non esitasse a parlare di se stesso. Ha dato alle stam-pe un libro che ricorda la sua attività. Porta un titolo stuzzicante: L’altro don Camillo. Se non esitava a parlare di se stesso, bisogna pure dire che non esitava neppure a parlare degli altri e con toni non sempre elogiativi. In fondo voleva essere sincero a tutti i costi. Nelle sue valutazioni non andava per il sottile, anche qui coerente con se stesso: sicuro

e deciso. In particolare però sicuro era della sua vocazione religiosa camillia-na. Ne faceva vanto, portando sempre e ovunque la veste, orgoglioso e contento che avesse una vistosa croce rossa.

Come era affezionato ai luoghi che gli hanno dato i natali, così lo era altret-tanto ai luoghi dove ha esercitato il suo ministero. Della Sicilia, della Calabria e della Campania parlava con il consue-to ardore, anche questi erano luoghi di ricordi cari, amicizie e conoscenze che portava care con sé.

A Napoli ha terminato i suoi giorni. Ha predisposto che il suo ultimo riposo terreno fosse a Rossano con la speranza però d’un riposo eterno in cielo.

m.b.

CHI È PADRE CAMILLO

Tra gli oggetti personali di p. Camillo trovati nella sua camera c’era anche una per-gamena incorniciata, su cui, ad inchiostro, è stata scritta una poesia. Risale al 2 aprile 1985 ed è a firma di Anna Nardella, una sua parrocchiana di “Santa Croce” a Napoli.Padre Camillo è arrivato fra noi con gran proponimento e con ardore!A poco a poco sa conoscere la gente e se li imprime bene nella mente;sa dire parole anche in dialetto,malgrado in una o in un’altra c’è difetto.Nel venticinquennale del sacerdoziostate pur certi che non è stato in ozio;ha tanta volontà di lavorare, che raramente puoi collaborare.In questo giorno che ha un ricordo bello, padre Camillo è commosso e sorridenteperché i suoi figli si stringono a lui d’attornoper festeggiarlo e augurargli in coro:Resta così fra noi, papà Camillo,perché solo così saremo unitie benedici con amore ‘sta famiglia che ti dona il cuore

Padre Camillo Degetto

Zinviè (Benin), agosto 1991: P. Camillo con due suore Camilliane e un’infermiera presso l’Ospedale “Le Croix”.

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06.03.2009

PADRE ALGELO ALBERTI(1932 - 2014)

Angelo Gesualdo Alberti nasce a Veduggio-Renate il 21.11.32 da Antonio e Luigia Cattaneo. Il clima di fede che respira in famiglia, la partecipazione alle attività parrocchiali e la laboriosità intraprendente caratteristica dell’ambiente brianzolo fanno di lui un giovane impegnato, di carattere estroverso e socievole, di intelli-genza vivace. Entrato nel Seminario Vescovile di Milano, si dedica con profitto alla formazione e allo studio, fino a conseguire il diploma di Maturità Classica. Ma le aspirazioni che il Signore gli mette in cuore lo indirizzano altrove: dopo un periodo di discernimento compiuto con l’aiuto del Rettore e del Parroco, Angelo chiede di entrare nel nostro Ordine per dedicarsi al servizio degli ammalati. Ha ventun anni quando viene accolto nello Studentato di VR-San Giuliano (06.10.53) ed ammes-so ben presto al Noviziato (25.10.53). Dopo la Professione Temporanea (31.10.54), gli studi proseguono verso il sacerdozio a Mottinello-VI (1957) dove è ammesso alla la Professione Perpetua (16.11.57) e riceve gli Ordini minori. La Consacrazione Sacerdotale avviene a Cittadella-PD per mano di S.E. mons. Bortignon (22.06.58).

Padre Alberto muove i primi passi nel ministero come cappellano presso la Casa di Cura San Camillo-MI (1958), poi come insegnante nel seminario di Vil-la Visconta di Besana (1959), di nuovo come cappellano all’Ospedale di Carate (1969), infine nell’assistenza domiciliare ai malati a Milano (1965). L’entusiasmo e le buone qualità che animano il suo ministero lo distinguono e lo portano a Roma, dove gli è affidato l’incarico di Assistente Nazionale dell’Unione Cattolica Infermieri (1973). È un primo passo verso il successivo periodo che trascorrerà nelle Comunità dell’Italia meridionale: sono anni infatti nei quali la collaborazione tra le Provincie Lombardo-Veneta e Siculo-Napoletana è intensa e Padre Angelo non è certo il tipo da tirarsi indietro di fronte alle richieste dei Superiori (1979). Dopo

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un periodo di due anni dedicato all’aggiornamento pastorale, durante il quale risie-de come cappellano a VR-Borgo Trento (1982) e come superiore a CR-Ospedale (!983), ritorna infatti in Sicilia a Palermo, richiesto, tra l’altro, dallo stesso Card. Pappalardo (1985).

Gli impegni si succedono e lo portano nella Comunità di Santa Ninfa a Palermo (1985), presso gli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria (1990), a Mangano-Acireale (1993), a Messina (1995), a Casoria (1999), infine di nuovo a Palermo (2001) e a Casoria (2004).

Al rientro definitivo di Padre Angelo nella Provincia Lombardo-Veneta (2008) lo accolgono le Comunità di Besana, di Milano San Camillo e successivamente di Forte dei Marmi.

Ai numerosi luoghi che sono stati ricordati corrispondono frequenti incarichi di ministero che Padre Angelo ha svolto sempre con preparazione e dedizione: troppo lungo ricordarli dettagliatamente. Per l’apprezzamento che hanno raccolto non solo nelle nostre Comunità ma anche nelle rispettive Diocesi ci limitiamo a citare:

- Incarichi ecclesiali: Assistente UNITALSI di Monza; Consulente Naziona-le U.C.I.; Consulente C.E.SI. per la Pastorale Sanitaria; Consulente Regionale A.C.O.S. e A.M.C.I. per la Sicilia

- Convegni in qualità di membro del CICIAMS: Monaco (1976), Abijan (1978), Dublino (1980), Melbourne (1982), Edimburgo (1992), Acireale (1993), Palermo (1995)

- Insegnamento: Lettere al Seminario di Besana; Etica Sanitaria nelle Scuole di Infermieri Professionali a Cremona, alla Casa di Cura “N.S. della Mercede in Roma e all’Ospedale Civile di Palermo; insegnante di Religione al Liceo Artistico di Mon-reale e alla Scuola Magistrale “Crispi” di Palermo, infine Direttore del “Gymnasium Charitatis” a Palermo negli anni 1991/1995 e 1999/2002.

Uomo predisposto al dialogo ed in particolare all’ascolto. Atto all’incontro con il sofferente e con i suoi familiari. Pur solcando anche itinerari di studio, rifles-sione ed insegnamento, la parte più bella del suo cuore camilliano e sacerdotale l’ha espressa vivendo ed evangelizzando porta a porta, nelle case, nelle famiglie, al fianco del letto del malato, consolando, pregando ed amministrando i sacramenti, segni dell’invisibile e perenne compagnia di Gesù verso i deboli e gli affaticati.

Al termine della sua intensa vita camilliana, Padre Angelo ci ha lasciato, presto nel mattino dell’ 11 giugno 2014: “Illumina questa notte o Signore, perché dopo un sonno tranquillo ci risvegliamo alla luce del nuovo giorno”. (Compieta del martedì)

La salma riposa a S. Martino di Veduggio nella tomba per i Sacerdoti del Cimitero Locale.

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OMELIA PER P. ALBERTI ANGELO

Veduggio 13 Giugno 2014

Quando muore un sacerdote è come se, sulla strada su cui tutti noi stiamo camminando per andare ad incontrare Dio Padre, mancasse un cartello indi-catore, mancasse un uomo che sappia indicare la via giusta per non farci per-dere l’orientamento e la corretta dire-zione.

Permettetemi però un altro parago-ne, anche se sembra poco riverente, ma di derivazione quasi evangelica.

Da Gesù, spesso nel suo predica-re, noi siamo stati paragonati a peco-re facenti parte di un gregge dove Lui, Gesù stesso, è il Buon Pastore.

E noi come pecore disciplinate seguiamo il Pastore, il quale però si serve dei suoi discepoli fedeli che sono sostanzialmente servi, obbedienti e solerti, veloci ad intervenire secondo il comando, per non fare deviare il cam-mino del gregge, per tenerlo unito die-tro il suo passo...

Da queste parti della Brianza verde, il pastore col suo gregge l’avete visto spesso, passa tutti gli anni. Il pastore fa

un fischio ed il suo cane corre da una parte, poi il pastore fà un altro fischio ed il cane fedele che riconosce il segnale, corre dall’altra parte. Poi finito il suo dovere, il cane torna al suo posto, vici-no al pastore e tende orecchie ed occhi in attesa del prossimo comando. Intan-to il pastore gli dà delle piccole pacche attirandolo e appoggiandolo verso la propria gamba e gli accarezza il collo e la testa. Pastore e cane diventano un tutt’uno, l’uno sa che non può fare a meno dell’altro.

Gesù chiede ai suoi consacrati di essere suoi servi visibili di lui pastore invisibile, e finchè i servi lavorano per Gesù sono servi utili e se si discostano da Gesù non sentono le sue carezze, non percepiscono il suo affetto e diventano servi inutili.

L’essere cartello indicatore, per il sacerdote non è questione quindi di restare fermi ai bordi della strada e lasciarsi guardare da chi per caso passa.

È un uomo che cammina insie-me agli altri uomini, debole insieme ai deboli e restando fedele al pastore, diventa garante del buon cammino; cioè del fatto che i sacrifici e le fatiche del popolo non sono sprecate ma porta-no verso la meta giusta.

Quindi il sacerdote è una persona dinamica perché come si muove Cristo si muove anche lui, e come si muove lui si muovono anche i fedeli a lui affidati.

Il sacerdote, lavorando per il Pasto-

Forte dei Marmi. P. Angelo con il Superiore, P. Davide e P. Zeffirino.

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re forte, sembra forte ma è debole in mezzo ai deboli; è affaticato in mezzo agli affaticati. Mentre ascolta ha biso-gno di essere ascoltato, mentre aiuta ha bisogno di essere aiutato, mentre inco-raggia ha bisogno d’essere incoraggiato, mentre perdona ha bisogno di essere perdonato.

La garanzia che il consacrato offre al suo popolo non è come fosse infallibili-tà umana, spirituale e morale. No, non è in questi termini.

La garanzia sta nel fatto che Lui conosce chi deve essere ascoltato, che è lo stesso che ascolta le nostre preghiere, sopporta i nostri allontanamenti e acco-glie i nostri ritorni, sorregge il nostro cammino e perdona le nostre deviazioni.

Il sacerdote sa sempre a chi rivol-gersi invocando paziente carità per sé e per tutti.

È stato scelto da Dio per fare da spe-ciale discepolo del suo Figlio con una vocazione ricca di doni per svolgere bene l’incarico: doni messi a sua disposi-zione ma per il beneficio di tutti. Perciò, lasciando la famiglia d’origine, diventa totale disponibilità a Dio ed ai fratelli, diventa familiare di tutti, soprattutto di quelli che dipendono dall’aiuto altrui. Forse la parola più giusta per capire l’in-tensità del lavoro di una persona con-sacrata, è “condivisione”, cioè: condi-vide Cristo sempre sotto forma di Buon Samaritano, o di Padre Misericordioso che aspetta il figliol prodigo; o di amico risuscitatore di speranza, o di Cireneo nella personale Via Crucis di ciascuno di noi; o di pane Eucaristico spezzato che rinfranca i nostri passi, o di gran consolatore umano e spirituale.

Il sacerdote è davvero tale quando si identifica in Cristo che libera da ogni

oppressione delle solitudini, degli affan-ni e del male.

Ed è così che troviamo P. Angelo, sempre dinamico ed in attività anche quando già in avanzata età, con tan-ti acciacchi e con il cuore non più di vero atleta, ha continuato instancabi-le a dedicarsi secondo la sua missione sacerdotale caratterizzata dal Carisma di San Camillo.

P. Angelo prima ha avvertito la vocazione al sacerdozio, infatti era entrato nel Seminario Diocesano, e poi più tardi attorno ai 20 anni ha inteso che Cristo lo voleva sì suo sacerdo-te, ma “specializzato” per i malati, per coloro che colpiti da malattie aveva-no e hanno più bisogno di sentire la compagnia di Cristo vicino , affinchè il viaggio verso Dio già difficile in sé, non diventasse impossibile.

Così vediamo P. Angelo come fedele “servitore di Cristo”, come cane-pastore attraversare il gregge o correre attorno al gregge in lungo ed in largo più volte, con molteplici incarichi e responsabi-lità; apprezzato nel suo zelo e nel suo animo entusiasta, anche dai pastori in terra quali vescovi e cardinali di varie diocesi e città d’Italia, in particolare del Sud-Italia.

È stato ordinato sacerdote camil-liano nel 1958 e poi ha incominciato una serie di servizi pastorali che l’han-no visto protagonista a (ne cito solo alcuni) Besana Brianza in qualità di insegnante; Carate primo cappellano camilliano nell’ospedale; a Milano San Camillo seguendo l’Unione Cattolica degli Infermieri prima a Monza e, poi a Roma come Assistente Nazionale degli Infermieri Cattolici.

Nel 1979 lo troviamo a Palermo per

Padre ANGELO ALBERTI

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far rinascere l’antica casa e chiesa dei Camilliani di Santa Ninfa, che diven-terà la sua casa del cuore anche quando la lascerà definitivamente.

Nel 1985 ritorna a Palermo, poi a Reggio Calabria, a Catania e Messina e anche Napoli-Casoria. Oltre che fare la sua parte di cappellano premuroso e frequenta molto spesso corsi di aggior-namento e assume anche incarichi di responsabilità di pastorale del malato in varie diocesi, e di direttore del “Gymna-sium Charitatis”, un ente che si propone la propagazione della Teologia Pastora-le nel mondo della salute. Soprattutto P. Angelo ha espresso il suo zelo mini-steriale nelle “settimane missionarie camilliane” in molteplici tappe tra le varie diocesi e paesi del Sud-Italia.

È un lavoro duro dove, passando di famiglia in famiglia per visitare malati, anziani e portatori di handicap, si entra nella vita altrui condividendo preoccu-pazioni e speranze, sconforto e fiducia.

P. Angelo ha conosciuto davvero il dolore dell’uomo ed ha cercato di inco-raggiare a riporre ogni fatica in Dio, l’u-nico vero liberatore.

Poi nel 2008 il rientro definitivo nel Nord - Italia accolto nelle comunità di Besana, di Milano, di Capriate (BG) e di Forte dei Marmi (LU).

Ha vissuto intensamente la sua vocazione, ha insegnato ad amare, a stare attaccati a Gesù soprattutto nel momento del bisogno, a pregare facen-do crescere nel proprio animo la fiducia nella misericordia di Dio.

Che cosa può dare di più un sacer-dote? La propria vita.

P. Angelo l’ha presentata a Dio facendola anticipare dalle lacrime dei sofferenti che ha assistito e consolato, rendendola così offerta gradita.

Nonostante le varie patologie che lamentava ed un cuore affaticato, P. Angelo si è fermato solo con la morte, senza sentirla come nemica, ostacolo al proprio cammino offerto ai fratelli, ma come crocevia principale della propria vita che ha imboccato il rettilineo finale tra le braccia del Padre. Ed è da questa condizione di pace beata che continua ad intercedere per noi. Egli che è stato tutto per noi nella vita limitata, conti-nua ora ad essere ancora tutto per noi nella pienezza della vita eterna. Quindi darà un aiuto ancora più prezioso.

I Camilliani d’Italia sono contenti d’aver avuto tra le loro fila P. Angelo: è stato un dono grande da parte di Dio, ma anche da parte della famiglia Alber-ti che l’ha offerto a Dio, e da parte della comunità cristiana di Veduggio che lo ha reso capace di sentire la voce di Dio.

Se c’è qualche merito nell’opera caritativa di P. Angelo, chiedo al Signo-re che vada a vantaggio di tutti voi, suoi benefattori soprattutto nella fede.

P. Vittorio Paleari

P. Angelo Alberti sorride a Papa Giovanni Paolo II.

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RICORDANDO PADRE ANGELO ALBERTI

La notizia dell’improvvisa morte di Padre Angelo mi ha per un momento disorientato e riempito di tanta tristezza, perché ci eravamo lasciati solo da qual-che giorno, reduci dalla bella Missione Camilliana Parrocchiale di Menfi, con il proposito però di ritrovarci nuovamente a fine mese per animare un’altra missio-ne, questa volta presso la Parrocchia San Camillo di Manfredonia. Padre Angelo, infatti, desiderava sempre partecipare – quando gli era possibile – alla felice esperienza delle Missioni Camilliane Parrocchiali fin dagli anni ottanta, per-ché le riteneva una occasione preziosa piacevole e arricchente per entrare diret-tamente in contatto con i giovani, con gli operatori pastorali, varcare la soglia di famiglie colpite dal dolore o dal lutto,

camminare tra la gente e vivere non solo le gioie, ma anche le angosce e le tristez-ze, i tanti problemi del territorio e delle Parrocchie. Percepiva che questo era un modo di vivere il carisma sperimentato dallo stesso San Camillo e oggi auspicato dalla Chiesa di Papa Francesco, che ci invita ad uscire dalle chiese per andare verso le periferie esistenziali dove la gen-te continua a soffrire e morire.

Padre Angelo era una persona colta, riservata, talvolta apparentemente chiu-sa e un po’ taciturna, riusciva però ad essere gioviale, aperto e appassionato, se lo coinvolgevi in discorsi o progetti che riguardavano la storia della Chiesa o del nostro Ordine, modi nuovi e creativi di vivere e realizzare il nostro carisma oggi, di inventare iniziative idonee a forma-

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Padre ANGELO ALBERTI

IN MEMORIA DI PADRE ANGELO

P. Angelo Alberti, religioso camil-liano in servizio presso la Casa di Cura San Camillo, si è spento nel sonno nella notte di Mercoledì. Lo ricordiamo con molto affetto e riconoscenza. Con affet-to perché sapeva farsi amare con il suo modo signorile, e al contempo semplice, di porsi in relazione con il prossimo. Lo ricordo, in particolare, quando assunse l’onere, in piena solitudine, di guidare il San Camillo nel passaggio dalla Pro-vincia Piemontese a quella Lombarda: molto dignitoso, pur nell’oggettiva diffi-coltà del momento, riuscì a conquistarsi immediatamente la stima di tutti.

Con riconoscenza, per aver aiutato la nostra comunità parrocchiale in tutte quelle occasioni nelle quali era richiesta la sua presenza, come ad esempio nella

predicazione, sempre stringata ed effica-ce. Nell’affidarlo al Signore invochiamo la sua protezione per il paese, per l’ospe-dale e per le nostre parrocchie. Siamo molto vicini a padre Davide che, passa-to ad altro incarico P. Zeffirino e man-cato P. Angelo, si trova adesso da solo a gestire la Casa di Cura San Camillo.

don Piero MalvaldiForte dei Marmi

Parrocchia S. Ermete

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re professionalmente e spiritualmente il personale ospedaliero. Proprio in tali ambiti, Padre Angelo fu un eccellente promotore della professione infermieri-stica, sia quando a Roma ricoprì l’impor-tante Incarico di Consulente Nazionale dell’Unione Cattolica Infermieri, e poi ACOS, sia quando venuto a fare parte della nostra Provincia, fu Direttore del Gymnasium Charitatis, organismo prepo-sto alla formazione etica e professionale del personale sanitario di tutto il Sud Italia, o quando la Conferenza Episco-pale della Sicilia gli affidò il compito di organizzare e coordinare l’Assisten-za Religiosa negli Ospedali dell’Isola. Dovunque è stato ha dato il meglio di sé, sia come Superiore di comunità sia come semplice religioso. A Palermo in particolare si è battuto presso l’Assesso-rato ai beni culturali e artistici per valo-rizzare la grande chiesa di Santa Ninfa. La provvidenza gli fece incontrare la Prof.ssa Mazzè Angela, Docente di Belle Arti all’Università di Palermo, che per

decenni continuò ad aiutarlo con prezio-si consigli e concrete iniziative, non solo lui, ma anche me come Provinciale e altri religiosi che si sono succeduti nella comunità, raggiungendo parziali traguar-di di consolidamento e abbellimento di Santa Ninfa, senza però mai pervenire a un completo restauro della monumen-tale chiesa che vide presente Camillo alla posa della prima pietra nel 1600. In ogni caso, anche quando Padre Angelo rientrò nella Provincia Madre, il cordo-ne ombelicale con la nostra Provincia non si è mai interrotto, felice di essere invitato sempre a partecipare a inizia-tive che gli erano congeniali, lascian-dosi volentieri coinvolgere dal carattere allegro ed espansivo della gente del Sud, non disdegnando talvolta di sorseggiare con loro anche del buon vino. Per tanta carità operata in favore dei malati, mi auguro che il Signore lo abbia già accol-to nella gioia del Suo regno.

Padre Rosario Messina

Roma 23-26 ottobre 1986, III Congrasso Nazonale A.C.O.S, da sinistra: P. Messina Mario, P. Angelo Alberti, Dott.ssa Rosa Chiara Dell’Antoglietta

e Franco Di Grande.

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P. ALBERTI, DONO AI MALATI E AGLI OPERATORI SANITARI

Un uomo di grande umiltà e cultu-ra, profondamente devoto alla Madonna, un sacerdote camilliano che ha dedicato il meglio di sé ai malati, agli operatori sanita-ri, all’ACOS e ai volontari portando ovun-que lo spirito di San Camillo, ha curato con competenza il processo di umanizzazione negli ambienti socio sanitari. Ricordo che ribadiva con convinzione che la formazione era una efficace ricarica anche spirituale per gli operatori sanitari. A conclusione di uno dei tanti incontri nazionali (a Roma, presso la sede delle Suore Rosminiane), ci disse “grazie per essere venuti e per avermi dato l’occasione di conoscervi e aiutarvi a fare del bene mentre insieme percorriamo questa

luminosa strada nella speranza”. In un’al-tra occasione “cari operatori non dimentica-te durante la giornata di lavoro di recitare il santo rosario, questo nella comunità cri-stiana rappresenta la cappella come unità operativa per i malati”. Uno dei libri di cui mi fece dono (durante la sua permanenza nella mia casa in occasione degli incontri di formazione per gli operatori sanitari di Cal-tagirone) riporta la dedica: a papà France-sco, a mamma Brigida, a Chiara e Vittoria e a nonna Concetta “ogni desiderio è come il cuore, pulsa sempre con l’amore…”.

Caltagirone, 16.06.2014Francesco Di Grande

PADRE ANGELO, UNA GUIDA SICURA NEL MONDO INFERMIERISTICO

Padre Angelo Alberti, dell’Ordi-ne dei Ministri degli infermi, ha rap-presentato nella comunità cristiana il superamento della dimensione umana e religiosa. Egli seppe riunire i fattori che lo hanno affermato nella dignità. Ha profuso a quanti lo hanno conosciuto sentimenti di amore filiare,filiale,andosi la stima e la benevolenza. Ha avuto incarichi importanti, quali: Presidente Nazionale dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari; Coordinatore Regio-nale della Pastorale della Salute nonché Consulente Regionale dell’A.C.O.S. della Sicilia, Direttore dell’Istituto Internazionale di Teologia della Pasto-rale Sanitaria. Sempre pronto ad ogni invito per relazionare con competenza nei corsi di aggiornamento degli opera-tori sanitari, infatti in Messina ha tenuto il corso sul tema:” La dignità dell’uomo nel suo morire” e “ Il Piano Sanitario Nazionale”.

Ha sempre sottolineato che, per l’infermiere il “prendersi cura” equi-vale a porsi come presenza viva per il prossimo, specie se sofferente. È neces-sario che il servizio infermieristico non passi inosservato al malato, ma faccia notizia. Il culto per l’uomo è un grande valore, e deve appassionare e guidare le nostre scelte affinchè sia rispondente all’autentica promozione umana e alla cultura per la vita. Costruire una socie-tà basata sull’amore fraterno, capire la situazione di ogni singolo paziente e farsene carico da buon samaritano, al fine di costruire una società improntata sull’amore fraterno.

Augurava all’infermiere del terzo millennio di vivere la sua professione come vocazione, spirito di solidarietà missionaria, intima e motivata presenza nel travagliato mondo della salute.

L’Infermiere Francesco Truscello

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LUTTO NELLA F.C.L.

Fischnaller Pircher Maria

Il mattino del 10 Maggio 2014, improvvisamente è deceduta la Signora Maria Pircher Fischnaller, per tutti noi la “Maria di Bolzano”, non vedente, già collaboratrice del P. Ascheck a favore delle Missioni Camilliane e appartenente alla Famiglia Camilliana Laica.

“Troppo Sole”... può fare morire...E anche troppa gioia nel cuore. Sì,

perché è stata questa la prima reazione di tutti i partecipanti al grande radu-no della famiglia Camilliana, di lingua tedesca, che si è tenuto a Bolzano dal 6 al 10 maggio scorso, quando alla mat-tina del giorno 10 hanno saputo della morte, inaspettata ed improvvisa, della loro guida carismatica Fischnaller Pir-cher Maria.

Una frase misteriosa, detta appun-to da Maria la sera prima, tutto ad un tratto è diventata una frase profetica. A conclusione del giorno 9, Maria ha dettato il programma per il giorno 10, il grande giorno che aveva aspettato da anni. Quando disse che il cappellano, Padre Hansjorge, avrebbe dato il ben-venuto al Vescovo prima della grande concelebrazione, il sacerdote stesso obiettò che spettava a lei, a Maria, qua-le presidente dell’Apostolato ciechi e della Famiglia Camilliana ad accogliere il prelato. La risposta di Maria fu chia-ra: “Io domani non ci sarò”, ma nessu-no ne capì il significato; si pensò a un incontro con i media, alla stessa ora, o qualcosa di simile. Ma alla mattina del giorno 10 Maria non si risvegliò… e quella frase ritornò nella mente e sulle

labbra di tutti. Il programma continuò come Maria lo aveva programmato, e anch’io dovetti fare i miei due interven-ti sulla lettera testamento di Camillo e sull’impegno missionario della Famiglia Camilliana di Bolzano.

C’era però un qualcosa di surreale nell’atmosfera che si respirava tra i par-tecipanti del convegno e i famigliari. Ognuno di noi era convinto di trovar-si in quel posto perché Maria ci aveva convocato tutti per quel giorno (quan-te volte mi aveva telefonato e scritto dicendomi che il giorno 10 maggio 2014 dovevo assolutamente essere a Bolzano...!). Ci aveva convocati per-ché voleva andarsene salutando tutti ed essere accompagnata da tutti all’incon-tro con Camillo.

Camillo nella sua vita. Ho cono-sciuto Maria 30 anni fa, nel 1984. Lei aveva incontrato da poco i Camilliani dell’Austria e fu subito affascinata dalla spiritualità di San Camillo. Fu a motivo

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della lingua comune con l’Austria che Maria venne a conoscenza della Fami-glia Camilliana laica. Animava il grup-po Padre Paul Haschek della Provincia Austriaca, che sarebbe diventato punto di riferimento anche per la nuova Fami-glia Camilliana di Bolzano.

Maria pensò subito di rendersi utile, pur nella sua condizione di cieca, divul-gando la conoscenza di San Camillo e del suo messaggio, ma subito si fece strada nella sua mente di incontrare i Camilliani sul loro campo di lavoro. La preferenza, anche per l’incoraggiamen-to di Padre Paul, fu per le missioni, e volle visitarne una. L’anno prima ave-vo accompagnato padre Paul Haschek in una visita alle missioni e aveva visto gli handicap che colpivano i lebbrosi. La scelta cadde quindi sulla Thailan-dia e in particolare sul lebbrosario di Khokwat. Voglio dirvelo con le parole che Maria ha ripetuto a tutti innume-revoli volte di come ha accolto quella proposta. “Noi – diceva Maria – era-vamo tutti handicappati, alcuni non vedenti, alcuni in carrozzina... E Padre Paul ci parlava della necessità che noi conoscessimo anche le altre forme di handicap. Magari anche quelli di paesi

lontani. Noi rispondemmo che erava-mo pronti a impegnarci per delle ini-ziative e a pregare per loro. Ma Padre Paul disse che lui voleva che noi condi-videssimo realmente la vita con questi handicappati e andassimo a trovarli, e ci parlò della sua idea di accompagna-re un gruppetto di noi al lebbrosario, in Thailandia. La proposta ci colse di sorpresa ma subito si trasformò in un desiderio incredibile di realizzare questo viaggio.”

Fu in quella occasione che io conob-bi Maria per la prima volta. Il soggiorno fu di circa 10 giorni e suscitò una com-mozione grande nei malati del villaggio e fu una gara reciproca fra i due gruppi per aiutarsi a vicenda. Maria s’impresse nella mente ogni angolo del villaggio e lo chiamò la sua seconda casa.

La stessa scena l’ho rivissuta circa 20 anni dopo quando andammo a visi-tare un lebbrosario in Laos. Era situa-to sulla riva del fiume Mekhong e ci si arrivava solo con la barca. Aiutammo Maria a scendere e restò ferma sulla riva del fiume.

Quando le donne, menomate dalla lebbra, capirono che era cieca corsero a gara per aiutarla. Come è vero che una

Fischnaller Pircher Maria con Gruppo Internazionale della Famiglia Camilliana Laica per la quale ha donato mente e cuore.

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persona povera può sempre aiutare un altro povero, così è il mondo dei disabili dove vive una grande solidarietà reci-proca. Maria ne era una grande testi-monianza.

La mia permanenza a Roma, come Consultore, ha fatto sì che incontrassi la Famiglia Camilliana di Bolzano diverse volte e portassi il gruppo a conoscenza anche delle altre missioni: Filippine, India, America del Sud, e Maria volle visitarne alcune.

Maria ha voluto aiutare il primo ragazzo delle minoranze che abbiamo accolto nel nostro centro di Chiangrai. Si chiama Aberà. Quando Maria venne in Thailandia la seconda volta, lui era già un giovane e si disse disposto a offri-re la cornea se ciò avesse potuto aiutare Maria a riavere la vista. Non fu possibi-

le, ma Maria restò profondamente col-pita e legata a questa persona. Sapendo dell’amore che Maria aveva per lui, un gruppo di amici di Bolzano offrì ad Abe-rà un viaggio in Italia perché potesse incontrare Maria un’ultima volta. Ven-ne assieme a me. Furono momenti mol-to commoventi e dolci, che Maria volle vivere intensamente.

La più grande gioia che Maria mi ha trasmesso nelle ultime telefonate é quella di avere, finalmente, trovato un cappellano che ama la spiritualità Camilliana e può portare avanti il grup-po. Per lei era come avere la certezza che il suo lavoro sarebbe continuato, come tutti noi abbiamo la certezza che non ci mancherà il suo aiuto dal cielo.

Fr. Gianni Dalla Rizza

Il 13 Aprile 2014, alla veneranda età di 96 anni,è deceduta la Signora

ELENA MAZZARI.

L’artista Mazzari ha collaborato con noi per molte opere, per lunghi anni e per tante nostre chiese e case

fino alla Casa Generalizia della Maddalena.

Tra le sue volontà scritte in un diario ha lasciato un quadro “Madonna col Bambino”

per il Santuario San Camillo di Milano.

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PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI

Sig. Kanjirathamkunnel Kuriakose papà di P. JoshySig.ra Margherita Rinieri aggregata all’OrdineSig. Giovanni Rossetto fratello di P. NazarenoSig. Giuseppe Vergani fratello di P. RiccardoSuor Grazia Messina sorella di P. RosarioSig. Victorién Beaudet papà di P. AndréSig.ra Maria Pircher Fischnaller della F.C.L. Sig.ra Angela Beaudet sorella di P. AndréSig.ra Cesarina Ghilardi sorella di P. CesareSig.ra Rinieri Margherita aggregata all’Ordine

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Bollettino delle Province Italiane

Ufficiale per gli Atti di Curia

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Linfa di Vitadei Camilliani d’Italia

Passata la tempesta...l’arcobaleno è f írma dell ’Amore

di Dio per l ’uomo.

Quando splende nel nostro cielo f íorisce la Speranza!