Come Tralci n.5 2014

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Come Tralci - Linfa di Vita dei Camilliani d'Italia -Bollettino delle Province Italiane

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SOMMARIO

Editoriale263 Tavola rotonda in Paradiso P. Carlo Vanzo267 Foto nel 400° di San Camillo

Atti Ufficiali 268 Atti della Congragazione per gli Istituti di Vita Consacrata

Atti della Consulta Generale 269 Messaggio della Consulta Generale. “Non abbiate paura della fragilità” Atti dei Consigli Provinciali 1 Provincia Italiana 272 Lettera del Provinciale274 Atti del Consiglio Provinciale

Provincia Romana 276 Atti del Consiglio Provinciale Provincia Siculo/Napoletana277 Atti del Consiglio Provinciale279 Animazione di Come Tralci P. Rosario Mauriello

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Come TralciBollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia

Anno 2 - Numero 3 - Luglio-Settembre 2014

Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

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IV Centenario di San Camillo280 Presbìteri: nella Chiesa di Dio con il Carisma di Camillo282 Ordinazione Sacerdotale di P. Alfredo M. Tortorella Gabriela Spagnuolo283 Riflessioni, gioia e riconoscenza del Novello Sacerdote P. Alfredo M. Tortorella286 Missione Tbisi - Giorgia: i 400 anni dalla morte di San Camillo Daniele Mellano288 Chiusura IV Centnaruo S. Camillo a Pavia P. Felice de Miranda290 Corriamo da Dio Max Bogdanich

Pastorale291 Schegge di pastorale - Missionari a... distanza P. Angelo Brusco

Formazione293 Note marginali sul comportamento liturgico P. Mario Bizzotto300 Una fede sconfinata P. Domenico Ruatti303 Connessi e sconnessi: che tipo sei? P. Giuseppe Lechthaler

C.P.V.305 IV Centenario: anno propizio per il nostro noviziato Walter Vinci306 Camillo... è il mio IV centenario Nicola Mastrocola307 Memorie di un Gigante della carità Dario Malizia308 Campo vocazionale ad Acireale-Mangano P. Alfredo M. Tortorella 310 Incontri per i giovani. Educare il proprio cuore per scoprire la propria vocazione

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Dal Mondo Camilliano313 Capriate: cronaca di una festa per due Giubilei P. Roberto Corghi313 Noviziato al Santuario per tre giovani Camilliani (d.z.)319 Haiti. Gioia per la Professione Religiosa di 3 giovani Franca Berardi320 Sulla croce c’era Gesù e ai piedi della croce c’era Maria P. Joaquim Paulo Ciprian324 Centrafica. Premiato un Camilliano R.P. 325 Una Guardia d’onore per Fr. Ettore Fabio Bauce326 Centro Camilliano di Formazione P. Angelo Brusco

F. C. L.328 Quando l’emozione scoppia nel cuore Ornella Zampini330 Programma 2014 - 2015 di Verona/Marzani

Ricordiamo i nostri morti332 P. Angelo Marco Anselmi334 Omelia: la tua gioia sia piena P. Angelo Brusco338 Addio al padre poeta, Angelo Anselmi339 P. Giuseppe Franchetti341 Omelia: annunciava la speranza con il sorriso P. Carlo Vanzo344 Il mio ricordo di P. Giuseppe: dai pascoli di Durlo al mondo camilliano della carità P. Bruno Caliaro345 Giuseppe: un caro amico, un confratello esemplare, un degno camilliano P. Lino Tamanini346 Fr. Cesare Zambarda348 Omelia: San Camillo ti prenda per mano P. Alessandro Viganò

Sommario

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Direttore: P. Carlo Vanzo

Collaboratori: P. Antonio Marzano, P. Alfredo Tortorella, Franca Berardi

Direzione e Redazione: Religosi Camilliani - San Giuliano Via C. C. Bresciani 2 - 37124 Verona Tel. 045 8372723 /8372711 (centralino)E-mail: [email protected]

Progetto grafico e stampa: Editrice Velar - Gorle (BG)www.velar.it

In copertina:Bucchianico, ammantato di vigne, visto dall’arco della casa di Giovanni De Lellis. Qui Camillo è nato, ha vissuto l’infanzia e la sua svogliata giovinezza. All’amato paese natale tornava sempre con gioia e nostalgia. Ma la ‘sua vera vigna’ sarà l’ospedale. Qui Camillo diventerà il tralcio rigoglioso, innestato alla vera Vite, il Crocifisso, per produrre il vino che dà speranza e rallegra il cuore del malato. (Progetto grafico T-Studio s.n.c).

350 Il mio viaggio virtuale con Fr. Cesare P. Arturo Tait355 Zambarda mi manca Paolo A.356 P. Chiaffredo Pejrona358 Omelia: una vita sofferta ma illuminata dalla fede P. Joaquim Paulo Cipriano361 P. Chiaffredo: un ricordo dal mondo dello sport Ivo Bensa362 P. Pejrona, un vero amico e un grande consigliere Mariella362 P. Chiaffredo, Ministro degli Infermi Carlo Amoretti364 P. Floriano Castelli366 Omelia: la tua vita profuma di beatitudini Valter Dallosto369 Ricordo riconoscente per P. Castelli Mariella Oggioni

370 Preghiamo per i nostri morti

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Editoriale

Tavola rotonda in Paradisoun’evoluzione che sorprende

e preoccupa...!Basta tendere l’orecchio per sentire il respiro affannoso della società di oggi.

Sembra proprio che il presente non basti a nessuno. Paure economiche, socia-li, culturale ed etico/religiose ci preoccupano e talvolta ci... disorientano. Un’affermazione che sembra abbracciare anche le nostre paure e speranze, ma che può proiettarci in un futuro del quale vogliamo essere protagonisti.

Talvolta si ha la sensazione che la nebulosità del passato, l’ansia del presente e l’incertezza del futuro non ci permettano di guardare serenamente ed analizzare positivamente la nostra realtà. Scegliere non è trincerarsi in un attendismo sterile, nè rifugiarsi in spazi personali e comunitari, pensando solo al proprio futuro. Forse è questa la più diabolica e subdola tentazione di oggi: cedere alla sfiducia e al pessimi-smo: accantonare quei ‘bei progetti’ che un giorno ci avevano scaldato il cuore. Sce-gliere non è neanche ‘buttarsi nella mischia dell’avventura’, ma lasciarsi illuminare e guidare da quell’arcobaleno di colori che è stato, che è e che sarà il nostro Carisma.

Papa Francesco ci assicura che oggi, per annunciare il Vangelo e per testimoniare l’Amore di Dio per l’uomo che soffre, non abbiamo bisogno di cambiamenti epocali, ma abbiamo bisogno di accorgerci che sta cambiando un’epoca!

Anche il nostro Istituto sta vivendo una stagione fragile, esaltante e provoca-toria. In questi ultimi anni, le nostre riflessioni comunitarie e i nostri programmi/progetti ci hanno parlato di ‘sfide da accogliere per proiettarsi nel futuro’.

Viene spontanea la domanda: quali sfide e per quale futuro?Il presente numero di Come Tralci vuol essere ‘una voce’ delle tante iniziative

realizzate in questi tre mesi.Grazie a quanti hanno messo a disposizione la loro penna o la loro macchina

fotografica per tenere viva e far camminare la nostra storia.Mi auguro che non sembri troppo originale e strano se tentiamo di cogliere qual-

che provocazione anche da una “fantasiosa tavola rotonda” con i nostri Confratelli in Paradiso. Cosa succeda in Paradiso non lo sappiamo bene, ma con un po’ di fantasia e di nostalgia, tentiamo di immaginarcelo perchè in Paradiso giungono le preghiere, le imprecazioni (forse) e certamente il grido di dolore di chi soffre.

Quel mattino c’era nell’aria anche l’eco persistente, che proveniva dalla terra, di celebrazioni particolari per un ‘Contestatore e Riformatore dalla sanità, un certo Camillo’.

Era il 14 luglio u.s. e, in occasione del 400° dell’arrivo di Camillo de Lellis in Paradiso, è stata convocata una ‘tavola rotonda’ per mettere ancor più in evidenza, se possibile, lo splendore del Carisma del Santo della carità verso i malati. Si sa che in

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Paradiso tutto è luce, armonia e splendore di verità. Pare che lì, l’Amore sia perfetto perchè basta specchiarsi nel Volto del Padre. La ‘tavola era rigorosamente rotonda’ perchè in Paradiso non c’è ordine gerarchico se non nel riflesso dell’amore. I Conve-nuti ‘crocesegnati’ erano una miriade. Padre Camillo brillava, illuminato da un sorriso serafico, proprio come quello che sfoggiava quando serviva e andava in estasi curando i malati, ‘suoi Signori e Padroni’. Si dice ancora che in Paradiso basti uno sguardo per capirsi, ma... tre Confratelli, che da 10 anni erano giunti nella comunione dei Santi della carità, presero decisamente la parola per esprimere la loro lode al Signore, il loro grazie al Padre Camillo e per ricordare e proporre ‘alcune linee essenziali per un futuro radioso del loro Ordine’. Prese la parola per primo P. Giannino Martignoni. La sua vita era stata un ‘parlare dalla cattedra’ della scienza e della logica umana; un inse-gnare la bellezza della nostra Costituzione, un annuncio insistente dello statuto della carità nelle nostre Opere e dell’amore fraterno nelle nostre Comunità. Non appena s’accorse che qualcuno sembrava assorto in altri pensieri, e forse un po’ distratto, picchiando i pugni sul tavolo, come sua consuetudine, esclamò: “Ma io parlo per niente? Che splendore i nostri anni vissuti nel tempo alla scuola di Padre Camillo sui sentieri della carità! La nostra Costituzione pareva avesse solo il sapore di una elaborazione umana; la legge sembrava solo il sentiero per guidare i nostri passi nel tempo, ma era ‘l’Amor che muove il sole e le altre stelle’ la vera Cometa della nostra vita. Devo confessare umilmente (se in Paradiso è ancora possibile) che anch’io tal-volta sono stato troppo ancorato alla logica umana, all’interpretazione letterale della legge che talvolta è spada tagliente. Solo si se scoprono e si percorrono i sentieri del Carisma di Padre Camillo si giungerà al cuore del Vangelo, nel Regno dell’Amore!”. Evidentemente anche P. Giannino – vedendole dal Cielo – aveva aggiornato le sue lezioni logico/filosofiche/religiose. E continuava: “Mi preoccupano i ‘nuovi profeti’ che sanno solo condannare il passato, che credono di costruire il futuro sulla sabbia del provvisorio e del sociale. Se la storia è ancora maestra di vita, guardino con gioia, riconoscenza ed orgoglio la storia di Camillo e dei suoi Figli!

Il nostro Istituto ha seguito ‘le mille strade’ della carità e si è impegnato con dedizione, fatta talvolta di eroismo, sulle orme del Fondatore e Padre, anche quan-do, guardando lontano e con il sostegno della Chiesa si è impegnato a far nascere, crescere e a gestire le sue Opere Socio/Sanitarie. È vero che ogni esperienza umana e religiosa si evolve e si aggiorna, ma l’essenziale è coltivare la dedizione e l’amore di cui ci parla Luca nella parabola del Samaritano.

Ora, dal Paradiso, guardiamo con stupore e fiducia le nostre ‘belle e dinamiche Comunità Religiose’. In esse molti religiosi (padri e fratelli) hanno affinato l’arte professionale e pastorale di curare il corpo ed anima nella visione globale del malato. Molti religiosi (padri e fratelli) hanno consumato la loro vita, (mani, mente, cuo-re ed anima) sulle orme di Camillo, per lodare Dio servendolo nei malati! Anche per loro il Carisma di Camillo è stato l’anima della vita comunitaria, dell’impegno professionale e pastorale. La loro obbedienza in particolare è stata ‘cieca e feconda’, talvolta più impegnativa di quella di certi ‘profeti delle nuove povertà’. Camillo poteva spingerci a scegliere altre strade. La nostra storia è stata questa: la fioritura delle Missioni Camilliane nel mondo con Confratelli preparati spiritualmente e pro-fessionalmente; la meravigliosa evoluzione dei Seminari, sia in Italia che all’Estero,

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quale dono e segno dei tempi. Come è misterioso, sapiente e buono il Disegno di Dio! Chi non sa riconoscere la sue radici che vengono da lontano dove attingono l’Acqua viva che è Cristo, avrà una fragile possibilità di guardare con speranza il suo futuro”. Concludeva: “Come vorrei che la bella e fragile Vigna di Camillo fosse sempre irrorata dalla ‘rugiada della carità’, che fosse sempre protetta dalla cinta insormontabile dell’obbedienza, che i ‘vignaioli’ che la coltivano non fossero mai dei ‘mercenari’, che il cinghiale del bosco non potesse entrarvi per devastarla ed ogni viandante farne vendemmia! È la Comunità Religiosa la fonte e il cuore di ogni nostro Ministero. La Comunità Religiosa non può essere testimone impotente di una evoluzione preoccupante!”.

Mentre era al culmine del suo accalorato intervento, un altro Confratello, sempre sorprendente ed originale, stava frugando negli angoli più segreti del Paradiso. Cer-cava qualcuno da aiutare, curare e portare nei suoi Rifugi. Era Fratel Ettore Boschini. Non si era ancora convinto che in Paradiso non ci potessero essere né poveri, né malati, né drogati, ecc... Anzi, a guardare bene, si era accorto che i ‘suoi barboni’ erano in prima fila, dove più splendente era la luce del Signore. Dimenticandosi del luogo e dell’assemblea che lo guardava, si mise a gridare con la sua voce forte e roca: “Ci vuole più cuore, ci vuole più amore per chi nei sentieri del tempo si è smarrito. Tutti i miei ‘barboni’ erano sbandati, ma cercavano la speranza, e con Camillo e Maria hanno incontrato Gesù! Sì! Il futuro della mia cara Famiglia Camilliana sarà radioso nel tempo se testimonierà amore e speranza per chi ha smarrito il senso della vita, per chi è oppresso dal dolore, dalla povertà e dall’emarginazione. Gesù Miseri-cordioso, la Vergine Maria e San Camillo sono le nostre Stelle del Mattino”.

Padre Giannino e Fratel Ettore sono in estasi nella contemplazione del Signore, ma forse hanno ancora qualcosa da dirci ...

P. Giovanni Maria Rossi. Attorno a lui tutto doveva essere armonia e lode al suo Signore.

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Improvvisamente, quell’imperturbabile atmosfera paradisiaca fu ravviva-ta da un’armonia serafica e da una brezza primaverile. Era salito sulla pedana ed aveva impugnato la bacchetta di direttore d’orchestra P. Giovanni Maria Rossi. Tutta la sua vita camilliana era stata un dono gioioso per studiare ed insegnare musi-ca: quella sacra e quella profana. Ricordo che il maestro ‘Pispai’ non amava questa distinzione. Per lui tutta la musica era sacra perché portava a Dio. Il suo genio musi-cale e la sua anima camilliana avevano trasformato la sua arte in “musicoterapia”. Si sentiva “camilliano riuscito” quando la sua musica diventava terapia per trasformare anche una lacrima in scintilla di vita. Nei suoi dinamici anni nel tempo aveva edu-cato alla musica e insegnato a cantare a molti Seminaristi in varie Diocesi d’Italia; aveva fondato, educato e diretto numerosi Cori, parrocchiali e non, aveva scritto ed inciso molti Canti liturgici che ancor oggi risuonano nelle nostre liturgie domeni-cali. Il maestro Giovanni Maria non se ne intendeva di ‘organizzazione gestionale’ ma lui, piccolo di statura e grande nella sua arte, riusciva ad armonizzare ogni voce, a sincronizzare ogni strumento perchè tutto diventasse armonia per il Signore. Ora sembrava seduto all’organo di una Cattedrale, ora impegnato a dirigere l’assemblea al Convegno nazionale della Chiesa Italiana, ora confuso con i suoi studenti e coristi che vivevano la sua ora di canto come un momento di gioia! Si guardò attorno con il suo ‘unico occhio’ e si accorse che qualcuno sorrideva. Forse lo voleva ringraziare perchè sulla terra gli aveva insegnato a cantare le lodi del Signore, ad armonizzare le stonature della vita e ad unire la propria voce a quella degli altri, perchè ognuno potesse sentirsi ‘Coro’. Era questa una delle sfide più urgenti: passare dalle stonature, stridori del tempo per giungere all’armonia perenne del Paradiso. Si fermò, si com-mosse un po’ (come è possibile in Paradiso) e concluse: “Caro Padre Camillo, forse anche oggi il tuo e nostro Istituto e molti nostri Confratelli in terra hanno bisogno di questo messaggio. C’è tanto bisogno di armonia nelle nostre Comunità. Più Coro polifonico nel ministero per testimoniare il tuo Carisma di Misericordia! Tanti ama-no fare ‘i solisti’ e troppi solisti emarginano il Coro!”.

Anche gli Angeli si erano fermati a contemplare, e P. Giovanni Maria si affret-tò a concludere con voce intonata e suadente: “Come vorrei che tutto nella mia bella e grande Famiglia Religiosa fosse sempre in armonia! Qualche tempesta può capitare... un po’ stonati lo possiamo essere tutti, ma tutti dobbiamo impegnarci ad armonizzare la nostra voce, il nostro ministero, la nostra vita al Carisma di P. Camillo. Allora il nostro futuro sarà radioso e il nostro servire i malati diventerà la migliore liturgia, la più armoniosa musicoterapia, il miglior canto di lode il Signore!”. Doveva scoppiare un applauso, invece furono gli Angeli che si misero a sbattere gioiosamente le ali... e la festa divenne un tripudio.

Chiedo scusa se ho scomodato questi tre Confratelli con i quali ho camminato assieme per un lungo tratto della loro avventura umana. Erano giunti in Paradiso proprio dieci anni or sono e forse potevano essere maggiormente al corrente delle nostre odierne problematiche. Molti altri Confratelli avrebbero potuto parlarci con il cuore in mano. Salutiamo tutti e in particolare questi tre, dei quali è ancora viva la memoria, perchè hanno cercato di offrirci qualche buon suggerimento nell’affrontare le sfide che ci attendono in questo affascinate e misterioso futuro di ciascuno di noi e del nostro Istituto. P. Carlo Vanzo

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Altare con Pala di San Camillo in gloria e nuova Urna del Santo: due Ministri degli Infermi che soccorrono il malato, il simulacro di San Camillo e le spoglie mortali del Nostro Santo Fondatore.

Un’opera artistica che vuole sintetizzare l’impegno dei suoi Figli perché il Carisma del Santo della carità brilli sempre più nella Chiesa e nel mondo della Salute.

Foto nel 400° di San Camillo

Roma - Chiesa della Maddalena.

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Un auspicio

È una legge della natura: il temporale spaventa perché rabbuia il cielo e fa scendere la pioggia, ma poi, in un’atmosfera più limpida e tersa, ecco spuntare l’arcobaleno.È in que-sta luce che possiamo vedere anche il 400° di San Camillo, che abbiamo appena concluso. Lampi, fulmini e temporali ce ne sono stati; un’abbondante pioggia è caduta dal cielo, ma ora, in un’atmosfera tornata più trasparente, ecco spuntare l’arcobaleno con tutti i colori necessari per continuare con serenità, gioia e speranza a far risplendere il Carisma di Camillo nel Mondo della Salute. Ecco solo alcune celebrazioni significative, tra le tante che abbiamo vissuto in quest’anno Giubilare. Siano un raggio di sole! (pvc).

PRESBITERI: NELLA CHIESA DI DIO CON IL CARISMA DI CAMILLO!

La Comunità Camilliana al ter-mine dell’anno giubilare si arricchisce di tre nuovi sacerdoti che scelgono di configurarsi a Cristo pastore, servo e obbediente. Padre Germano Santone e Padre Umberto D’Angelo della Pro-vincia Romana ricevono l’Ordine del Presbiterato il 12 luglio nella Chiesa di Sant’Urbano in Bucchianico, per

l’Imposizione delle Mani e la Preghiera Consacratoria di S. E. Rev.ma Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e alla presenza di S. E. Rev.ma ?????????????????????????????????????di Tenkodogo in Burkina Faso.

Padre Alfredo Maria Tortorella, del-la Provincia Siculo-Napoletana, riceve l’Ordine del Presbiterato il 7 settembre

iv Centenario di San Camillo

Bucchianico, 12 luglio 2014. Il Vescovo, Mons. Bruno Forte accoglie la domanda dei neo Presbiteri,P. Germano Santone e P. Umberto D’Angelo.

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nella Basilica di Maria SS. Del Buon Consiglio a Capodimonte - Napoli ,per l’Imposizione delle Mani e la Pre-ghiera Consacratoria di S. E. Rev.ma Mons. Lucio Lemmo, Vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Napoli.

Padre Germano, Padre Umberto e Padre Alfredo, con l’ordinazione pre-sbiterale, sono chiamati ad esercitare pubblicamente nella Chiesa, in nome di Gesù Sommo Sacerdote, l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini e a continuare la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore.

Imposizione delle mani e preghieraQuesto servizio viene evidenziato

durante la solenne Celebrazione Euca-ristica dell’Ordinazione attraverso l’im-posizione delle mani e la preghiera con-sacratoria.

Così gli ordinandi sono diventati totalmente proprietà di Dio, gli appar-tengono del tutto e sono inviati ad introdurre gli uomini nelle mani di Dio, sotto le sue ali.

E poi vi è la preghiera, perché l’or-dinazione, come ogni sacramento che sono chiamati a celebrare, è un evento di preghiera.

“Nessun uomo può rendere un altro sacerdote” (Omelia del Santo Padre Benedetto XVI-12 settembre 2009). È il Signore stesso che, attraverso la paro-la della preghiera e il gesto dell’imposi-zione delle mani li assume totalmente al suo servizio, li attira nel suo stesso Sacerdozio. È il Signore, l’unico Som-mo Sacerdote, che li consacra. Essi sono chiamati, da quel momento ad agire “in persona Christi” perché è il Signore che li ha scelti li trasforma e affida loro i suoi stessi poteri divini. Sono confor-

mati a Cristo e al Suo Vangelo. Inol-tre sono chiamati ad essere testimoni della Verità. “E la verità è Dio, creatore, redentore e rimuneratore; la verità è Cri-sto, che appunto si è definito “via, verità, vita, luce, amore, salvezza”; la verità è la Chiesa da lui voluta e fondata per tra-smettere integra la sua Parola e i mezzi di salvezza! E voi possedete, voi gustate tutto questo mirabile patrimonio!” (Omelia del Santo Padre Giovanni Paolo II-13 otto-bre 1979).

Servire il popolo di Dio“Vuoi esercitare per tutta la vita il

ministero sacerdotale nel grado di presbite-ro, come fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?” (dal Rito dell’Ordinazione).

Agli ordinandi è chiesto di servire il Popolo di Dio. Gesù si è presentato come servo, dando a questo termine il suo più alto titolo d’onore, così come ci ha trasmesso anche il Santo Padre Camillo.

“Il Figlio dell’uomo infatti non è venu-to per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).

Servire, e nel servizio donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e per portarli a Dio. Sull’esempio di Cristo, che è venu-to come servo, e di San Camillo, che ha fatto della Sua vita un inno di Carità e di lode a Dio per mezzo degli infermi “nostri signori e padroni”, sono chiamati a servire tutto il popolo di Dio.

Il nostro grazie al Signore per il dono di questi tre nuovi presbiteri diventa augurio per Padre Germano, Padre Umberto e Padre Alfredo.

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ORDINAZIONE SACERDOTALE DI DI P. ALFREDO M. TORTORELLA

Nel pomeriggio dello scorso 7 set-tembre, presso la Basilica Maria SS. del Buon Consiglio, la Chiesa di Napoli ha vissuto la gioia di partecipare alla con-sacrazione sacerdotale di padre Alfredo Maria Tortorella, della Provincia Sicu-lo-Napoletana dell’Ordine dei Ministri degli Infermi.

La consacrazione è avvenuta per l’imposizione delle mani di mons. Lucio Lemmo, Vescovo Ausiliare di Napoli. Numerosi i sacerdoti intervenuti, tra cui il vicario diocesano della Vita Reli-giosa, padre Salvatore Farì, il vicario diocesano della Pastorale della Salute,

,don Leonardo Zeccolella, cappellani ospedalieri della diocesi, parroci, e un nutrito gruppo di confratelli camilliani. Tantissimi i parenti e gli amici che han-no voluto far sentire la propria vicinan-za e il proprio sostegno a padre Alfredo, con la loro presenza e la loro preghiera.

E proprio di questa vicinanza ha poi parlato il Vescovo durante la sua ome-lia, riprendendo le letture del giorno: la nostra fede tanto più è grande quan-to più siamo responsabili di coloro che ci sono accanto. È stata la vicinanza di molti che ha permesso a padre Alfre-do di perseguire nel cammino verso il sacerdozio, e che lo sosterrà nel suo ministero. Infine, mons. Lemmo si è rivolto ai camilliani, invitandoli a tene-re sempre vivo il loro carisma di cura e di assistenza ai sofferenti e agli ammala-ti, ringraziandoli per le opere che svol-gono quotidianamente. Tanti ammala-ti, anche i più disperati, trovano ristoro nella loro sofferenza con un gesto, un sorriso, una parola loro donata; tanti ritrovano la speranza perduta.

Dopo l’omelia, ha avuto inizio il rito di ordinazione: è stato un momento di vera commozione per lo stesso Alfredo, e tutti i presenti! Al termine del rito, le parole di mons. Lemmo, che annun-ciavano l’avvenuta ordinazione, sono state accolte con un caloroso applauso. Il provinciale della Provincia Siculo-Napoletana, padre Rosario Mauriel-lo, ha poi aiutato il neo presbitero ad indossare la stola e la casula sacerdotale.

Napoli, Basilica Maria SS. del Buon Consiglio, 7 settembre 2014. P. Alfredo Maria Tortorella è ordinato Sacerdote da Mons. Lucio Lemmo, Vescovo Ausiliare di Napoli.

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?RIFLESSIONI, GIOIA E RICONOSCENZA DEL NOVELLO SACERDOTE

Vorrei trasmettervi per un minuto quello che ho dentro; vorrei passarvi per un istante la gratitudine che ho davanti a Dio. Non è tanto perché ho ricevuto qualcosa, o perché ho raggiunto un tra-guardo o cose del genere, queste sono cose umane. Il mio è stupore: il Signore, così grande, Lui, l’Amore, passa attra-verso di me, piccolo e uomo come tutti gli altri. Non certo perché sono miglio-re, assolutamente… questo per me, oggi, è il mistero più grande. E come diceva Mons. Lemmo, durante l’omelia del mio diaconato, ciò avviene di mano in mano, nella storia, da millenni.

Nei giorni del mio 36° compleanno, il Signore, con Provvidenza amorevole, ha voluto che per me vi fosse un cam-biamento nell’essere: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me, per usare le parole dell’Apostolo Paolo.

Mi pongo tante domande. Una fra tutte, credo sia la più importante: ne sono degno?

È la domanda che il Vescovo ieri ha rivolto al mio Superiore provinciale... e qualcuno dunque ha risposto per me.

Poi sono state cantate le litanie dei

santi, ed io ho avvertito che tanti inter-cedevano per me, non solo qui in terra ma anche in Cielo: era la Chiesa celeste e terrestre che per me pregava, e la sua preghiera, la vostra preghiera, è stata ed è la mia forza. Di fronte a tanta grazia, a tanta vicinanza, oso solo dire: Grazie!

Grazie alla vita che voi, genitori miei, mi avete donato: grazie, papà e mamma, che vi siete fatti collaboratori di Dio in questo donarmi la vita. Mam-ma e papà, voi mi avete insegnato che nella vita non siamo mai soli. C’è sem-pre un rimedio, una soluzione, qualcuno che ci aiuterà.

Grazie alla famiglia, anzitutto a voi Maria e Giovanna, mie sorelle: essere vostro fratello mi è servito a farmi sen-tire fratello del mondo, fratello di tutti. E grazie alla famiglia allargata, zii, cugi-ni, nipoti, e anche ai nonni che sono in cielo: ognuno è stato, per me, stru-mento del buon Dio! Alla mia famiglia allargata dico, specie ai giovani, non sciupiamo questa vita dietro ciò che non è pane, indossando vestiti troppo stretti o troppo larghi... la vita è un dono prezioso!

iv Centenario di San Camillo

Padre Alfredo ha, infine, salutato in sacrestia tutti i presenti.

Al momento, padre Alfredo sta svolgendo il suo ministero come cappel-lano presso l’ospedale “V. Monaldi” di Napoli, dove è stato impegnato anche durante il periodo di diaconato.

Padre Alfredo, come religioso camilliano, inizia il suo ministero sacer-dotale a pochi mesi dall’inizio dell’anno

di grazia che papa Francesco vuole dedi-care alla Vita Religiosa.

A noi non resta che ringraziare Dio per il dono che ha voluto fare all’Ordi-ne Camilliano e alla Chiesa di Napoli, pregandolo di continuare ad effondere le Sue benedizioni per intercessione di Maria Santissima e di San Camillo.

Auguri padre Alfredo!Gabriela Spagnuolo

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Grazie ai sacerdoti e alle religiose della mia infanzia e della mia adole-scenza, il primo volto della Chiesa con-sacrata da me incontrato. Penso alla mia maestra delle elementari, suor Enrichet-ta, oggi missionaria in Indonesia, e alle Ancelle Eucaristiche. Penso poi ai sacer-doti di questa Chiesa che è in Melito, don Luigi Marano, Mons. Chianese, don Ciro Papa che cantano ora le lodi con gli angeli! Penso a don Mario Tornin-casa, a don Nicola Longobardo, a Mons. Lucio che ieri mi ha ordinato presbitero, e prima della mia entrata nei Camillia-ni, al grande ruolo svolto da don Mau-rizio Pepe, don Italo Mastrolonardo e don Michele Madonna: grazie per la vostra paternità, vi sarò eternamente

grato! Un grazie sincero anche a don Giovanni Tolma, don Luigi Coppola e agli altri sacerdoti amici presenti. Oggi, poi, la mia gioia è grande perché con me ha concelebrato uno zio sacerdote, don Antonio Corvino, parente di mamma che stasera finalmente ho conosciuto...che bello, averti qui, zio Antonio!

Un grazie profondo e unico alla mia famiglia religiosa: i Ministri degli Infer-mi, i Camilliani! Anzitutto a te, caro P. Rosario, mio Superiore provinciale. Grazie in particolare per quest’anno vissuto al Monaldi: da te, da tutta la comunità del Monaldi, c’è veramente tanto da imparare in quanto a fraternità e in quanto ad amore verso i fratelli sof-ferenti! Grazie, grazie, grazie! Per una cosa importante ti ringrazio, p. Rosà; perché sai aspettare, sai avere pazienza,

Concelebrazione per la Prima Santa Messa di P. Alfredo Tortorella a Melito di Napoli.

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in questo mi dimostri la fiduciosa spe-ranza in Dio.

Un grazie a Fratel Carlo Mangione, a Fratel Leonardo Grasso, a P. Hubert Goudjinou, a P. Umberto Andreetto e ai fratelli in formazione ad Acireale Mangano, e tra questi Fratel Vincen-zo Duca, mio compagno di cammino in questi anni: con voi ho vissuto anni fondamentali, anni bellissimi, di salite e discese, di crescita quotidiana, in una vera scuola di vita a servizio dei cari malati di AIDS, dei poveri della mensa, dei disabili psichici.

Penso con affetto, in questo momen-to, ai tanti malati di tumore incontrati nell’anno ormai passato presso l’on-cologia del Monaldi, ai trapiantati di cuore, e agli altri ricoverati: molti, che ora sono in Paradiso, hanno pregato per me, e sono stati loro ad accompagnare me alle soglie dell’altro mondo, loro mi hanno fatto vedere il Paradiso su que-sta terra, secondo quanto diceva san Camillo: I poveri e i sofferenti vi faranno vedere il volto di Dio.

È doveroso e fondamentale, infine, ringraziare voi tutti che avete cura-to la buona riuscita di questa liturgia: anzitutto le corali, quella delle Grandi Occasioni di Melito e quella dell’Ospe-dale Monaldi. Insieme, siete un po’ il segno delle mie origini e di chi sono attualmente. Grazie in particolare al mio amico Nicola, a Fratel Salvatore Pontillo e a te Loredana, perché mi sie-te stati dietro nelle varie idee sui canti che io chiamavo “ispirazioni”. Grazie a Luca, finalmente seminarista, mio cerimoniere per questa occasione, con i giovani ministranti, i diaconi e a tutti voi convenuti da varie parti, non solo della provincia di Napoli.

Due settimane fa, mentre compivo gli esercizi spirituali, chiesi al Signore di parlarmi, di rivelarmi qualcosa attra-verso la sua Parola: così, con fede, aprii la Bibbia e gli occhi mi caddero su un versetto del Libro del Siracide, il verset-to 10 del capitolo 4: “Sii come un padre per gli orfani e come un marito per la loro madre e sarai un figlio dell’Altissi-mo ed egli ti amerà più di tua madre”.

Ecco: “Sii come un padre per gli orfani...” mi diceva Dio! Pregate, dun-que, perché io non scappi davanti ai lupi, ma sia un pastore vigile; pregate che io sia come un padre per l’umanità orfana, per i figli feriti e abbandonati, per i sofferenti, che incontrerò lungo il mio cammino di sacerdote camilliano.

Insieme, oggi e sempre, con la Ver-gine Maria e san Camillo, rendiamo lode, onore e grazie a Dio, mai per un uomo, mai … ma per Dio stesso, che ama servirsi di poveri uomini!

Sia lodato Gesù Cristo!

P. Alfredo M. Tortorella

iv Centenario di San Camillo

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MISSIONE DI TBLISI - GEORGIA:I 400 ANNI DALLA MORTE DI SAN CAMILLO DE LELLIS

Quest’anno ricorre il 400entesimo anniversario dalla morte del santo patro-no dei malati e degli operatori sanitari, San Camillo che ha vissuto una vita dif-ficile e non ha mai potuto spegnere il fuoco ardente che gli bruciava dentro. Un incendio che nella prima parte del-la sua vita lo portò a percorrere strade buie, malavitose, pericolose e infette. Il Santo, spinto da un temperamento bat-tagliero, è stato strattonato e spinto da venti interiori fortissimi che lo hanno sfiancato fino a gettarlo nella polvere. Si è risollevato con la consapevolezza di dover cambiare profondamente per sopravvivere, di non poter fare a meno di Dio, della Sua parola e della missio-ne che gli avrebbe indicato. Ma quale? Quando? Quali le circostanze in cui Camillo avrebbe compreso con chia-rezza, trovando finalmente la pace del cuore? Neanche in Convento con i Cap-puccini riuscì ad evitare di farsi cacciare!

Arriva un momento in cui smetti di remare come un pazzo, spieghi le tue vele e lasci che il vento porti la tua bar-ca in porto… Per Camillo il porto fu l’Ospedale: questo mondo complesso, dove si piange, si ride, si muore, si soffre insieme, si cade e ci si rialza insieme.

Qui un ragazzo coraggioso e capa-ce di imprese eroiche come Camillo, capì che servendo i malati gli si sareb-be aperto il campo di battaglia in cui provare l’ardore del suo cuore: la vera battaglia della vita, fianco a fianco con i compagni malati, con gli amici, con i dementi, i deformi, i fasciati, i sangui-nanti, i poveri, affrontando ogni giorno la fatica di questo servizio.

Perché ci sono momenti in cui non ce la fai, il tuo spirito non riesce a sollevarsi, non trovi gusto in quello che fai, ti fa male la schiena, la testa, arriva il diavolo che si porta dietro la discordia, l’incomprensione, l’indispo-sizione all’ascolto, l’aridità del cuore… “Pregate per me” dice Camillo “perché sono un mostro pieno di difetti e senza spirito”. Ma Gesù spesso è proprio lì, in quei momenti, nei malati.

Allora la carità diventa la sorgente di nuove forze, il baule in cui trovare armi più potenti, motivazioni più alte e la battaglia continua!

Camillo e i suoi amici Ministri degli Infermi si armano di una grande cro-ce rossa, come il sangue, e combattono in Ospedale, per la dignità dei fratelli malati, fino alla morte.

Tblisi - Gioiosa conclusione delle celebrazioni per il 400° della morte di San Camillo.

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Oggi, 400 anni dopo, abbiamo cele-brato questa storia eroica con una Mes-sa solenne nella Chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo di Tblisi, presieduta dal Vescovo Amministratore Apostoli-co della Georgia p. Giuseppe Pasotto e concelebrata dai Ministri degli Infermi che mandano avanti la Missione camil-liana in Georgia, p. Pawel, p. Zygmunt, p. Akaki insieme a tutti i sacerdoti della capitale, le suore Figlie di San Camillo, la Famiglia Camilliana Laica, gli ospiti del Centro Diurno per ragazzi disabi-li, gestito dai Camilliani, i volontari e tanti amici!

È stato un giorno di festa per tut-ti! Dopo la Messa, all’ombra dei grandi alberi che circondano la Chiesa, abbia-mo consumato un rinfresco offerto dai Padri Camilliani.

Nel pomeriggio, al Centro Diurno, gli ospiti con le maestre, i volontari e i ragazzi e le ragazze dell’orfanotrofio del-la Caritas hanno presentato uno spet-tacolo di danze e canti per sensibiliz-zare gli spettatori circa l’importanza di integrare le persone disabili nel tessuto sociale, e mostrare la ricchezza che si perde creando rigide categorie mentali che escludono piuttosto che includere. Soprattutto in Georgia il tema dell’iso-lamento della persona disabile è attuale e lo spettacolo proposto in occasione dei 400 anni dalla morte di San Camillo si deve alla collaborazione tra la Cari-tas-Georgia, i Camilliani e l’associazio-ne polacca “Cuore per la Georgia”.

Un grande, immediato risultato è stato raggiunto dagli attori dello spet-tacolo che si sono divertiti nei mesi precedenti per prepararlo, provando, scherzando e faticando insieme, fianco a fianco, ragazzi in carrozzina e ragaz-

zi normodotati, trasformando in realtà vissuta il messaggio di integrazione che portavano in scena.

Ci si aspetta che nella società geor-giana qualcosa cambi, ma non c’è fretta. Così, finita la festa, quando tutti sono tornati a casa, sono rimasti i festoni appesi che svolazzano al vento, il gran-de quadro di San Camillo dipinto dalla suora camilliana Beata, e la voglia di continuare, nonostante le miserie e i difetti, la battaglia di San Camillo…

Buona festa a tutti!

Daniele Mellanovolontario nella Missione

San Camillo di Tbilisi, Georgia.

Tblisi - Bello tagliere un dolce per far festa ma più bello ancora condividere il Carisma di Camillo per chi soffre.

iv Centenario di San Camillo

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CHIUSURA DEL IV CENTENARIO SAN CAMILLO A PAVIA

Domenica 14 settembre, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nel-la Cattedrale di Pavia si è tenuta una solenne concelebrazione presieduta dal Vescovo Mons. Giovanni Giudici, per la chiusura delle celebrazioni pavesi del IV Centenario della morte di San Camillo. Erano presenti una quindicina di concelebranti, compresi i camilliani di Pavia insieme a qualche confratello e al superiore della provincia italiana, padre Vittorio Paleari.

La data era stata scelta proprio per favorire una buona partecipazione di fedeli, dato che a metà luglio molti cit-tadini sono già in vacanza. La cattedrale di Pavia, che è molto capiente, era pra-ticamente colma, il che avviene molto raramente durante l’anno. Erano pre-senti anche diversi malati e disabili in

carrozzina, convenuti spontaneamente senza l’accompagnamento di associazio-ni di volontariato, a testimonianza che la devozione a San Camillo è superiore alle nostre attese. Dal Santuario di San Camillo di Milano era pervenuta una preziosa reliquia di un pezzo di femo-re del Santo. Essa era stata disposta, in buona evidenza tra l’assemblea e il presbiterio, sopra un quadro di San Camillo dando così maggior evidenza alla “presenza” del Santo.

Questa celebrazione di chiusura del IV Centenario, solenne ma sobria, è stata vissuta con grande raccoglimen-to e animata liturgicamente in modo eccellente dal Coro della parrocchia di Giussago (PV).

Ricordiamo brevemente che nel corso dell’anno giubilare a Pavia si era-no tenute in onore di San Camillo altre celebrazioni, in luoghi diversi e indi-

Ospedale di Pavia, Festa di San Camillo. Il Vescovo, Mons. Giovanni Giudici, presiede l’Eucarestia.

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rizzate a diverse categorie di persone. Nella Giornata Mondiale del Malato dell’11 febbraio scorso, al Convegno diocesano tenutosi presso l’Istituto San-ta Margherita per tutte le associazioni di volontariato sanitario e per la pasto-rale della salute, abbiamo ricordato San Camillo come modello esemplare di alcune icone evangeliche.

Il 25 maggio abbiamo celebrato il giorno della Sua nascita nella Parroc-chia di S. Maria di Caravaggio, par-rocchia su cui insiste il Policlinico di Pavia, con una solenne concelebrazione presieduta dal parroco e Coordinatore pastorale della diocesi don Carluccio Rossetti insieme a tutti i camilliani che erano stati cappellani al Policlinico.

Il 28 giugno, nel bellissimo Teatro Fraschini, si è tenuto con il patroci-nio del Comune lo spettacolo musica-le “Camillo soldato di Dio”, una vita straordinaria presentata attraverso la musica, con grande partecipazione e apprezzamento dei cittadini di Pavia; il 14 luglio, giorno del Suo quattrocente-

simo anniversario della nascita al cielo, lo abbiamo celebrato solennemente al Policlinico insieme all’inaugurazione e alla bendizione della nuova Cappella del DEA (Dipartimento Emergenza e Assistenza). Quest’ultima celebrazione, presieduta dal Vescovo Mons. Giudi-ci, era indirizzata prevalentemente ai malati dell’Ospedale insieme con i suoi più alti dirigenti, i medici, gli infermieri e il personale tutto.

Infine, è ancora in corso l’ultima iniziativa che speriamo di vedere presto compiuta. Si tratta di una pubblicazio-ne di taglio storico carismatico che vuo-le ricordare la presenza dei camilliani a Pavia fin dal 1694.

Queste celebrazioni hanno eviden-ziato, nel loro insieme e in diversi modi, un’autentica devozione del popolo pavese per San Camillo. Egli continua a suscitare ammirazione e imitazione in tante persone e a proteggere, dal cielo, mediante la sua potente intercessione, tutti i malati che si trovano a Pavia.

P. Felice de Miranda

Un immagine dello spettacolo musicale “Camillo soldato di Dio” tenutosipresso il teatro Fraschini di Pavia.

iv Centenario di San Camillo

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‘CORRIAMO DA DIO ... ‘

14 luglio 2014, questa data, per un gruppo di amici podisti, è stata una data particolare. Ricorrevano i 400 anni dalla morte di San Camillo De Lellis, un Santo che fino a poco tempo prima era a noi quasi sconosciuto.

Qualcuno si domanderà: cosa c’entra San Camillo con un gruppo di podisti? C’entra, c’entra, perché questi amici (Max, Luciano, Stefano, Marco, Matteo, Gianluigi, Adelino) corrono da Dio.

Ovvero, volevano andare di corsa a Roma come testimonianza di fede. In un contesto casuale, folgorante e decisi-vo è stato l’incontro con P. Carlo Vanzo, Camilliano, che ci ha proposto e con-vinto, senza tanta fatica, a ripercorrere itinerari che il Santo era solito fare da Bucchianico (Chieti, suo paese natale) a Roma, sua ultima dimora, dove ora, nella chiesa della Maddalena, sono riposte le sue spoglie mortali.

È stata un’esperienza bellissima e un vero pellegrinaggio, dove tutta la fatica è stata donata ai malati, infermi e biso-gnosi. Purtroppo non è stato possibile correre per tutto il tragitto; una serie di coincidenze negative ci hanno costretti a modificare la nostra tabella di marcia, ma non il progetto iniziale: arrivare il 13 luglio in piazza San Pietro di corsa e ritrovarsi con altri pellegrini per festeg-giare il Santo della carità verso i malati, salutati da Papa Francesco affacciato al balcone della piazza.

La nostra esperienza è cominciata il venerdì precedente. Siamo partiti da Verona alle 18 dopo una faticosa gior-nata di lavoro, e arrivati a Bucchianico all’ 1.30, stanchi, ma pieni di entusiasmo. L’accoglienza è stata entusiasmante: in paese tutti sapevano del nostro arrivo ed

erano a conoscenza del nostro progetto. Avevamo un motto particolare impres-so sulla maglietta bianca che indossava-mo, un crocefisso rosso che racchiudeva una frase importante: “Sulle orme di San Camillo noi corriamo da Dio”. Di certo non passavamo inosservati e per questo durante il tragitto abbiamo suscitato l’in-teresse di molte persone che domandava-no cosa stessimo facendo, sostenendo la nostra iniziativa. Questa esperienza è sta-ta il modo migliore per conoscere la stra-ordinaria vita di San Camillo de Lellis.

Il Paese è ancora impregnato del-la sua presenza: il posto in cui è nato, i posti dove si muoveva quotidianamente, i vicoli stretti e irti del paese in collina, la sua chiesa ora santuario ricco di cimeli sacri, la gente cordiale e disponibile ci hanno fatto capire da dove veniva tanto amore e disponibilità verso il prossimo.

Il viaggio si è concluso a Roma il 14 con l’incontro col nuovo Vicario genera-le dell’Ordine dei Camilliani, al quale è stata donata la “nostra maglietta” auto-grafata da tutti i componenti del gruppo. Altro ancora andrebbe scritto, ma il rac-conto risulterebbe troppo lungo. L’unica cosa importante è che siamo tornati a casa stanchi ma felici, con il sorriso negli occhi, arricchiti nell’animo e con la spe-ranza di poter nuovamente “correre da Dio”, per sostenere altre cause sempre a favore dei bisognosi.

Max Bogdanich

Roma, Piazza San Pietro, 13 luglio 2014.Il gruppo podisti che hanno ‘camminato... da Dio’ sui sentieri e sulle orme di San Camillo.

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SCHEGGE DI PASTORALE - MISSIONARI A … DISTANZA

Nell’ultimo decennio l’espansio-ne dell’Ordine ha subito un notevole rallentamento. Se tra il 1989 e il 2001, l’Istituto era entrato in dieci nuovi Paesi, negli anni seguenti il numero delle fondazioni è stato molto inferio-re. Questo fenomeno è da ascriversi a molteplici fattori. In primo luogo va ricordata la riduzione numerica dei religiosi nelle province del mondo occidentale, che avevano alimentato generosamente lo slancio missionario a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Va poi tenuta in considerazione la tendenza – legittima – degli ultimi Governi Centrali dell’Ordine a scorag-giare nuove fondazioni per consolidare maggiormente quelle non ancora ben stabilizzate. Un terzo fattore è costituito da una certa resistenza di alcune nuove Province, già ben formate nei Paesi in via di sviluppo, a uscire dai confini delle proprie nazioni. Non si può ignorare, infine, il cambiamento avvenuto nella percezione della missione ad gentes. L’in-sieme di questi fattori, la cui influenza non è stata uguale, ha solo ridimensio-nato ma non spento l’anelito missiona-rio, come dimostra lo sviluppo della pre-senza camilliana in Togo, in Indonesia e nella Repubblica dell’Africa Centrale.

Come continuare ad attuare la pro-fezia di San Camillo che prevedeva la diffusione della pianticella da lui fondata in tutto il mondo? Tra le risposte che possono essere date a questo interro-gativo, due mi sembra vadano prese in considerazione. La prima si traduce in un invito alle Province che dispongono di religiosi a coltivare maggiormente lo

spirito missionario, non solo invian-do i loro religiosi nei Paesi occidenta-li in penuria di personale, ma anche, e soprattutto, non esitando a superare le barriere nazionali per l’implantatio dell’Ordine in altre contrade. La secon-da, sulla quale intendo soffermarmi, è illustrata dal titolo di questo interven-to: “missionari a… distanza”. Nel par-larne, faccio appello ad un’esperienza in cui sono stato coinvolto insieme ad un confratello del Burkina Faso, P. Edgard Yameago.

Nel 2009, rispondendo ad un invito della Commissione dell’Unione Supe-riore Maggiori del Congo francese, mi sono recato a Brazzaville per offrire una settimana intensiva di pastorale del-la salute e di relazione di aiuto ad un gruppo di suore, circa 60, cui si sono aggiunti alcuni sacerdoti. La buona riu-scita di quella iniziativa ha indotto la

Pastorale

Brazzaville (Congo) - P. Angelo Brusco con il gruppo dei partecipanti alla settimana intensiva di pastorale della salute e di relazione d’aiuto.

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Commissione a formulare un secondo invito per l’anno seguente. Dopo questi due incontri, la collaborazione ha cono-sciuto una svolta creativa. Seguendo un mio suggerimento, la Commissione ha deciso di scegliere dodici partecipan-ti alle due precedenti sessioni (dieci giovani suore e due sacerdoti), offren-do loro quattro settimane intensive di formazione, in modo da trasformarle in agenti moltiplicatori, in grado di ani-mare la pastorale della salute nelle loro diocesi e parrocchie.

Formulato un accurato programma dell’intero percorso formativo, mi sono recato una terza volta a Brazzaville, chiedendo però la collaborazione di P. Edgard, che avevo seguito al “Camillia-num” di Roma per l’elaborazione della tesi di dottorato. Insieme abbiamo ani-mato la prima settimana di corsi, invi-tando anche qualche oratore locale. Ho lasciato a P. Edgard il compito di accom-pagnare i partecipanti durante le altre tre settimane, tenendo conto della sua preparazione, dell’eccellente capacità didattica e, soprattutto, della sua iden-tità di africano. Monitorando dall’Italia il percorso formativo, ho potuto valu-tare l’esito positivo di questa iniziativa, che ha permesso di andare oltre fugaci interventi per esprimersi in un proget-to destinato a portare benefici frutti nel settore della pastorale della salute.

Intorno a questa iniziativa sono poi fioriti altri progetti, come la costituzione in atto di un Centro di pastorale, intito-

lato a San Camillo de Lellis – gemellato con il Centro di Formazione di Verona e di quello di Ouagadougou – l’invio al “Camillianum” di un sacerdote congo-lese e l’irraggiarsi dei programmi forma-tivi in varie regioni del Paese.

Ispiratrice e anima di questo movi-mento è stata una religiosa locale, Suor Eliane Julienne Boukaka, fondatrice di una piccola Congregazione, dedicata all’assistenza dei malati più poveri, le Auxiliatrices de Marie Immaculee. Nel mese di maggio u.s., dovendo partecipa-re ad un Convegno internazionale sulle Cure Palliative, ha visitato il Centro Camilliano di Formazione di Verona per chiarire e consolidare i termini della collaborazione.

Ho voluto ricordare questa iniziati-va per due motivi. Innanzitutto per sot-tolineare la valenza missionaria di pro-grammi formativi nella pastorale della salute in Paesi dove i Religiosi camilliani non sono ancora presenti. L’attività di alcuni confratelli impegnati in questo tipo di ministero va, quindi, riconosciu-ta e incoraggiata. In secondo luogo, per far presente che queste iniziative hanno efficacia nella misura in cui danno ori-gine a dei progetti che ne garantiscano la continuità.

Il tutto va considerato alla luce del desiderio di Camillo di avere cento brac-cia, per rispondere agli innumerevoli bisogni di chi vive la difficile stagione della sofferenza.

P. Angelo Brusco

Un immagine di Brazzaville (Congo).

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NOTE MARGINALI SUL COMPORTAMENTO LITURGICO

Il rinnovamento liturgico, avviato dal Concilio, trova ancora delle resi-stenze, in parte dovute alla sopravvi-venza d’una mentalità rubricistica e in parte al processo della secolarizzazione, non esente da venature razionalistiche. C’è poi chi rimprovera la riforma di non essere riuscita a liberarsi del tutto da un mondo di concetti e astrazioni. Si auspi-ca un ricupero della naturalezza e spon-taneità originaria. Se si risale ad es. alle origini dell’istituzione eucaristica, si nota come il primo gruppetto dei discepoli, la prima piccola chiesa, fosse immersa nella corrente d’una vita ricca di senti-menti: intimità, senso della fratellanza, coesione, affiatamento, intesa. Niente di più vero e attraente. Il momento magico è maturato da sé senza strappi e sforzi, e viene colto immediatamente.

Così dovrebbe essere la celebrazio-ne eucaristica, alla cui radice si impone una scena che fa da modello. Il punto problematico s’incontra con la doman-da: come rifarlo? Va osservato che l’ulti-ma cena ha caratteri irripetibili. Sareb-be presunzione pretendere di riprodurla con l’intero apparato circostanziale. Ciò che è irripetibile capita una volta sola. Il Signore stesso, consegnando ai seguaci l’evento, raccomanda di farne “memoria”. Dunque lo si ricupera con il suo contenuto essenziale ricorrendo alla memoria, non certo con il rifacimento delle sue situazioni contingenti. Lo si volesse fare, non servirebbe agli effetti della “memoria”. Fosse pure possibile ricostruire l’ultima cena – e se ultima è segno che ha in sé qualcosa che non si ripete – riprodurla in tutti i particolari,

non si cadrebbe proprio nel difetto che si vuole evitare: la pedissequa ripetizio-ne, l’artificio, qualcosa di finto e inve-rosimile? Il ricordo per essere autentico non deve svolgersi ripetendo, ma vivi-ficando il senso genuino. La memoria sfronda il superfluo, comporta sempre la perdita dell’accidentale, punta infatti al centro. La celebrazione eucaristica va rapportata alle sue origini, a seguito delle quali si apre una lunga tradizione, ricca di ripensamenti e interpretazioni. Essa consente alla coscienza l’acquisi-zione d’un’ulteriore crescita di senso.

Passaggio dell’evento originario all’atto liturgico

La celebrazione liturgica non sareb-be più tale se non si inserisse un elemen-to solenne, che esige un clima partico-lare, formato dalla serietà del luogo, dal silenzio e raccoglimento. Tutti si auspi-cano la maggiore naturalezza possibile; questa però non può avere la freschezza e l’immediatezza iniziale. L’evento ori-ginario si presenta grezzo, frammisto a elementi spuri, per cui passando ad atto liturgico viene sottratto ad un garbuglio accidentale, per essere ricuperato nel-

Formazione

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la sua essenza. Questo processo non è velleitario né astratto: è necessario per dare serietà a quanto si compie. L’azione liturgica tende alla sobrietà, è scarna, ma nel contempo è veicolo di vitalità. Le due qualifiche, vita e sobrietà, più che escludersi si postulano. L’azione, che si svolge senza essere disciplinata, finisce per perdere rapidamente la sua spinta e sfumare. La liturgia invita il fedele ad entrare in un rango superiore al quotidiano. Ricorda di essere alla pre-senza di Dio. Il messaggio che interpreta non è uno qualsiasi, uno dei tanti che capitano nella vita feriale. Essa parte dalla terra ma nel contempo rappresen-ta il gioco della corte celeste, come è rappresentato dall’Apocalisse, che in fondo è una liturgia con i movimenti composti delle schiere celesti, che si intrattengono davanti al trono dell’a-gnello, con canti, inni e lodi. Il coro degli angeli, la moltitudine innumere-vole dei santi, i salvati dal sangue dell’a-gnello, i martiri, vincitori nella tribo-lazione, coloro che hanno conservato pura la coscienza, sfilano in bianche vesti, ordinati in processioni. A questi si aggiungono gli oggetti: l’altare, il tro-no, l’acqua, la luce, le stelle del cielo. Il tutto forma la città celeste, l’abitazione di Dio (21,3), simmetricamente ripar-tita nei suoi spazi in modo da formare un quadro armonico. Così è del tempio, che è l’abitazione di Dio tra gli uomini. Forse viene da pensare ad un’evasione dalla realtà confusa del mondo terre-no. Ma è un pensiero fuorviante, per-ché non tiene presente il richiamo e la nostalgia dell’ordine. Si vive anche nel-la speranza e nella promessa della fede, che ci solleva al di sopra d’una routine soffocante e noiosa. L’azione liturgica

dischiude questa aspirazione dell’uomo, la esplicita e consolida. È bene prendere coscienza che nell’anima del credente è sepolto il futuro. La liturgia forma la persona; tra l’altro, oltre la speran-za, le infonde la sensibilità del bello. Certo essa non è qui per insegnarci ad essere buoni, non ha né fini morali né pedagogici. È azione fine a se stessa, è gioco. Se ricorda, non ricorda in modo pedante, ma proprio per essere più ade-rente al senso genuino di quanto cele-bra, deve elevarsi e trasformare la realtà che è assunta nel culto. Fissiamo per un momento l’attenzione sul celebrante dell’eucaristia e subito s’impone un’ac-centuata diversità dai comportamenti quotidiani. L’apostolo Paolo stesso, nel-la lettera ai Corinti, ricorda la diversità che intercorre tra il pasto comune e la cena eucaristica (11,20s). Qui siamo trasferiti ad altro livello, l’intero con-testo si presenta in modo che la stessa vista avverta di trovarsi al di fuori della realtà banale. Una volta che un gesto entra nella liturgia cambia quota, così è del luogo dove si svolge il culto, così dell’annuncio, dell’io che si trascende e diventa noi, del corpo che diventa cor-po disciplinato, del pane che diventa pane eucaristico, del vino,” frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, tradotto in “bevanda di salvezza”, degli oggetti come la mensa, il calice, la lampada sempre accesa, l’incenso. Tutto acquista un nuovo volto, diventa realtà simbolica, capace di molteplici significati, entra in un altro ambito, regolato da norme, salvaguardato dall’arbitrarietà volubi-le e disordinata. La stessa preghiera da privata diventa pubblica; se poi è pre-posta per la celebrazione eucaristica, acquista il rango di preghiera canoni-

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ca. Ciò significa che rivendica una sua struttura vincolante, che non consente modifiche di proprio gusto. Per conce-dersi questa licenza bisognerebbe ave-re la dovuta preparazione teologica e competenza. Gli abusi sono indice di presunzione. È bene capire che non si può mettersi all’altezza della preghiera canonica. Anche il linguaggio proposto è adeguato ai paramenti, al luogo sacro, all’azione che si compie.(Lo stesso tema in Vita nostra XLIII(1992) 3, Nr 198 e LXII (2011) 3,311ss).

Il corpo liturgicoLa liturgia è azione visibile e lo è

attraverso il corpo. Non può essere diver-samente. Rimanda all’anima, passando per il corpo: non c’è azione dove questo non sia presente. Il fedele raccolto in preghiera impegna l’intero suo essere, è uomo dotato di anima e corpo. La sua, perciò, non è solo una preghiera menta-le, ma integralmente umana. La menta-lità spiritualistica è da tempo superata; tuttavia sotto l’aspetto pratico tradisce residui che sopravvivono ancora. L’at-tuale rivalutazione del corpo dovrebbe avere dei riflessi favorevoli per il risve-glio liturgico. Purtroppo si pensa ancora che solo l’interiorità sia essenziale. Del suo primato non se ne dubita, ma rico-noscere la centralità dello spirito non significa sottovalutare l’importanza del corpo, di cui la preghiera liturgica non può fare a meno. Ne rivendica perciò a pieno diritto la presenza. Vuole il cor-po, quello più integro possibile, quello che più si avvicina al suo modello ori-ginario, non perciò una figura che, per propria negligenza, del corpo è solo una storpiatura. Al contrario, non sarebbe conforme allo spirito della liturgia

presentarsi perfetti e ricercati come un manichino da vetrina che fa pensare ad una sfilata di moda, né d’altra parte un corpo distratto, svogliato, indifferente, scomposto. Nella liturgia si passa dalla vita feriale ad un’azione che ingaggia l’intera persona.

Si rientra in se stessi prendendo possesso del proprio essere in tutte le sue parti: la postura del capo, i movi-menti, l’andatura, il modo di tenere le mani o alzare le braccia. Per essere all’altezza della situazione, il corpo si trasforma in corpo liturgico, riportato sotto il dominio dello spirito. Così nel suo modo di incedere, di stare seduto o essere ritto in piedi. Non tradisce incertezze. Diventa una cosa sola con lo spirito. Allora la preghiera è liturgi-ca, eleva tutto l’uomo. Foucault osser-va che il corpo si adatta all’ambiente. Il soldato, il poliziotto, il burocrate, il rappresentante d’una nazione, l’atleta che viene premiato, sono tutte figure il cui comportamento è modellato dalla circostanza del momento. Questo vale particolarmente per colui che si racco-glie in preghiera. Il mondo dell’oran-te è ordinato, consapevole di trovarsi in rapporto con Dio, l’Essere sovrano,

Formazione

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deve perciò fare la massima attenzione affinché nulla sfugga alla sua vigilanza, che tutto proceda sotto controllo e che ogni cosa sia al suo posto. Il suo è un mondo ordinato, pulito, dignitoso, ben disposto. Il corpo è in tutto quello che si fa. La stessa parola rivendica il suo corpo: proprio perché tale ha bisogno di tempo per salvare la sua identità. Se si dovesse lasciarsi trascinare dalla fret-ta o dall’abitudine, la si priverebbe del suo essere, cesserebbe di essere se stessa. Scivolerebbe sulle labbra come l’eser-cizio mnemonico d’un bambino. Ogni parola ha diritto al suo tempo. Il Signo-re stesso lo raccomanda implicitamente quando muove il rimprovero ai farisei : “questo popolo mi onora con le labbra ma il cuore è lontano da me”. Si sa che la liturgia è rappresentazione, punta sulla visibilità, che rimanda all’anima. Non comporta il rapimento estatico riserva-to a poche anime elette, il cui spirito è talmente sovrano da vincere il peso della massa corporea.

Lo spazio sacroAl corpo è inerente lo spazio e al

corpo dell’orante è particolarmente congeniale lo spazio sacro: l’edificio della chiesa, la basilica o la semplice cappella. L’architettura, fino a qualche decennio fa, dava importanza anche all’ingresso, facendolo precedere da una scalinata, che invita ad elevarsi, salire in alto, al di sopra del trambusto quotidiano, così disordinato, caotico, distratto. Con l’entrata, la chiesa vuole significare anche l’accoglienza. Viene concepita come luogo di protezione, un grande grembo che accoglie i suoi figli come una madre. Si contraddistingue per il decoro, la pulizia, l’arte, le linee

architettoniche maestose e imponenti. Isaia ed Ezechiele descrivono il tempio come uno scenario dove fa la sua com-parsa Dio, scenario della teofania. Le epoche impregnate dalla fede hanno ispirato opere di alto valore artistico. Se infatti la chiesa è dimora di Dio, è giusto poter dare ad essa anche un cer-to splendore e far sentire l’attributo del bello. Dio non è essere utile, è soprat-tutto forza attraente che affascina, ha in sé una bellezza incomparabile. L’eter-nità è concepita dalla tradizione come visione beatifica, rapimento estatico.

L’apostolo Paolo vola più in alto, non si ferma solo alle forme architet-toniche escogitate dal genio umano, talmente compiute e riuscite da susci-tare stupore; vede nell’edificio della chiesa l’espressione del vero tempio, costituito dagli stessi fedeli, che sono il corpo di Cristo (Cf. 1Cor 3,16s), sono innalzati come pietre vive, quale edifi-cio spirituale (Cf. 1Pt 2,5). A sua vol-ta, l’Apocalisse intravvede nella chiesa un’immagine della città celeste, che in particolare la basilica cerca di imitare. La basilica non è solo rivolta all’alto, è anche un modello che si riflette in bas-so. Ad essa, somma espressione dell’ar-te, si ispira il palazzo, il salotto sontuoso e in modo modesto ogni abitare umano. Entrando in certe basiliche romaniche o gotiche, con le loro linee austere e forme architettoniche dalle alte colon-ne che invitano a dirigere lo sguardo verso l’alto, l’effetto della sorpresa s’im-pone e sopraffà. Il loro decoro e ordine, il loro ornamento e corredo di figure, la loro pulizia e bellezza si vorrebbe tradur-li nella propria abitazione. Nei nostri sogni vive segreta la casa ideale, quella che si vorrebbe realizzare, ma purtrop-

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po resta un sogno irraggiungibile. Nel-la tradizione ebraica le case venivano costruite in cerchi concentrici attorno al tempio, di cui quelle dovevano essere un’irradiazione, un’immagine e somi-glianza. La dimora di Dio era concepi-ta come un modello cui si ispira quel-la umana. Di riflesso anche la chiesa cristiana sorge abitualmente al centro dell’abitato. Il paesaggio antecedente alla Rinascenza riconosceva il proprio centro nell’edificio sacro. Solo con l’affacciarsi dell’epoca moderna va sce-mando l’idea d’un centro cui è collate-rale la rottura dell’unità. Di conseguen-za anche il paesaggio non riconosce più il suo centro nella cattedrale. Questa va cedendo il suo posto alla fabbrica e all’attività industriale.

Dall’io al noiLa chiesa è il luogo della comunità

raccolta in preghiera e in ascolto della parola di Dio. Il singolo è chiamato ad uscire dal proprio rango privato e ad espandersi e riconoscersi come esse-re sociale. La sua preghiera deve uni-formarsi alla comunità. Accanto alla preghiera privata esiste quella litur-gica. I due modi di pregare hanno un loro diritto e una loro identità. Quel-la privata è più libera e circostanzia-ta, legata all’umore e alla disposizione soggettiva. Può permettersi effusioni di alto calore, frasi ad effetto, sfoghi di intensità emotiva, che non sono adat-ti per essere adibiti in un gruppo, dove è richiesto rigore, sobrietà, chiarezza e soprattutto semplicità. La preghie-ra liturgica è sempre comunitaria, in quanto tale gode il primato su quella personale, i cui sentimenti passano in secondo ordine. È giusto e doveroso

tener conto della presenza altrui. Il sin-golo, rinunciando ai propri gusti e alle proprie emozioni, lascia posto anche al pensiero, alle verità dogmatiche. La lex orandi si collega alla lex credendi. L’una è prevalentemente aperta al cuore. L’al-tra s’affianca ad essa con la riflessione che assicura durata e disciplina, senza la quale incorre nel pericolo di perdersi in un sentimentalismo sgradevole, sdol-cinato, tronfio.

La preghiera liturgica, prevedendo la ripetizione, mette alla prova quan-to viene proposto, cerca di evitare una saturazione, che subentrerebbe rapida-mente nel caso di contenuti troppo sen-timentali. Solo la robustezza del pensie-ro può resistere a lungo, stimolando di sua natura alla riflessione1. Non manca-no al riguardo splendidi esempi. È suf-ficiente leggere Le confessioni di Ago-stino, L’itinerarium e il Soliloquium di Bonaventura o qualche inno e testo di Tommaso d’Aquino per rendersi conto d’una equilibrata sinergia tra pensiero e sentimento. La liturgia dunque tra-sferisce il singolo in un essere comuni-tario. Troppo importante il ruolo della preghiera nel credente per lasciarla solo alla sfera privata.

1. Nella stesura della preghiera camilliana è bene non ignorare la differenza tra un’orazione di carattere prevalentemente privato e un’orazione comunita-ria. L’attuale formulario merita riconoscimento per quanto riguarda la struttura, non altrettanto per delle invocazioni certo ferventi, troppo ferventi, adatte al singolo che le ha stese. Ad esempio “fammi vedere solo sofferenza o le pareti trasudano paura”, più sobrie e realistiche le preghiere di pag. 36, 60, 92, 104, 116, 120, così pure le preghiere stese in forma litanica. La preghiera pubblica tiene conto di una sensibilità media, condivisibile in un pubblico formato da per-sone di diversa formazione. Di tutto questo è maestra la liturgia con le orazioni proposte nel messale o in altri testi.

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La preghiera liturgica per eccellenzaLa preghiera liturgica per eccellen-

za è la celebrazione eucaristica. Già si è ricordata l’irripetibilità dell’ultima cena. È tutta vitalità intima e profon-da. È come l’acqua d’un fiume che non è mai la stessa. Volerla riprodurre tale e quale diventa una scimmiottata vuota e ridicola, a meno che non si voglia fare una rappresentazione teatrale o filmi-ca, ma allora non si compie alcun gesto liturgico. La messa è qualcosa d’altro. Come si rinnova la cena del Signore così si celebra pure la sua nascita avve-nuta in una stalla. A nessuno verrà in mente di rifare l’accaduto andando in una stalla. La liturgia ha una veste sua propria. Cerca naturalezza e spontanei-tà nella celebrazione. Guardini insiste sul rapporto liturgia e cultura e soprat-tutto liturgia e natura. Intende segna-lare come l’arte e lo stile liturgico sono tanto più riusciti quanto più risultano spontanei e compiuti con naturalezza. La celebrazione eucaristica è esposta al pericolo dell’enfatizzazione, dell’artifi-cio con pose affettate e teatrali e d’altra parte alla sciatteria di chi la strapazza recitando le preghiere con quel tono che si tiene nella conversazione come se ci si trovasse in una cena tra ami-ci. L’arte liturgica corre in armonia con la natura. Non è mai sufficientemen-te imparata. Offre dei contenuti il cui senso è inesauribile e va esplicitato nella stessa maniera di recitarlo: grave, solenne, calmo, chiaro. L’arte liturgi-ca è impegnativa, non solo perché il fedele deve rinunciare a parte della sua sensibilità ma anche perché diventa cosciente della sua responsabilità di fronte all’altro. Nella comunità cessa di essere qui solo per sé, è sospinto a

pensare agli altri e a pregare per loro. L’io si dilata in un noi che abbraccia la chiesa intera. Così, ad esempio, sono strutturate le preghiere dei fedeli. Par-tono dalla chiesa universale e interpre-tano le istanze della comunità presente. Hanno un’importanza rilevante. Esse infatti mettono in risalto un aspetto essenziale dell’eucaristia, inseriscono la vita del presente. Allargano l’orizzonte, ricordano tutti gli uomini, in partico-lare i sofferenti. Sono una traduzione in preghiera della parola annunciata nelle letture bibliche. È giusto che ven-ga colto il momento di attualizzarle e non è pensabile una forma più adeguata quanto quella di tradurle in preghiera. Purtroppo i testi disponibili sono spesso contorti, astratti, complicati, per cui si preferisce ignorarli non senza una grave perdita per la celebrazione.

La forza trasformatrice della liturgiaLa liturgia ha un suo stile che riesce

bene, se attenendosi al flusso dinamico

“La celebrazione meccanica e... lucrosa di certe Messe è come accatastare crocifissi che non risorgono!” (C.C.).

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della vita trova il modo di parlare il lin-guaggio dell’assemblea e interpretarne la sensibilità. Tutto questo non viene da sé, ha bisogno di lunga esperienza e riflessione per essere capito con la ricchezza dei suoi significati, simboli, immagini e gesti. Il processo in atto nella celebrazione è “vivente” se ricu-pera lo slancio, ma senza affettazioni, se risveglia la passione per la verità, ma senza astrazioni. Si osserva come la figura di uomo da essa proposto non sia quello che si sperimenta. Sì, non è come lo si constata di fatto, perché vie-ne presentato l’uomo come deve essere nella sua originaria natura. Lo stesso va detto degli oggetti. Riportati alla loro essenza, vengono considerati per quello che sono, non per quello che valgono in termini di mercato. Finalmente sono liberati dal loro impiego più o meno uti-le e lucroso. Sono carichi di significati simbolici. Il fuoco richiama lo Spirito di Dio, la fiamma la forza salvifica della parola profetica, l’acqua la purificazione dalla macchia del peccato.

Forse viene spontaneo obiettare che in fondo rispunta il loro senso strumen-tale. Non è così. Sono infatti adibiti all’edificazione dello spirito e alla pro-mozione di quanto più nobile è presente nell’uomo. Ritornano alla loro natura originaria, sono restituiti a se stessi, affermano la supremazia dello spirito.

La natura decaduta viene benedet-ta, ridiventa creazione ed è liberata dal-la sua equivocità. L’acqua acquista un carattere purificatore e salvifico, è “pura et casta” come la decantava Francesco d’Assisi. È l’acqua del fonte battesima-le, l’acqua lustrale. Cherteston ha inter-pretato il cristianesimo con intuizioni penetranti. Una in particolare si presta

ad essere applicata all’azione liturgica, cui tra le tante funzioni spetta anche quella di benedire.. Osserva: “La puri-ficazione del paganesimo è finalmente compiuta. Poiché l’acqua stessa è sta-ta lavata. Il fuoco è stato purificato dal fuoco. L’acqua non è più quella in cui si gettavano gli schiavi in pasto ai pesci […] Né l’universo né la terra hanno più il sinistro significato del mondo. Aspet-tano una nuova riconciliazione con l’uomo […]. L’uomo ha divelto gli ultimi cenci dell’adorazione della natura e può ritornare ad essa”(S. Francesco, 36).

Il comportamento liturgico si soffer-ma su uno scenario al centro del quale si pone il mistero, la persona di Cristo, di cui si seguono le fasi della sua venu-ta nel mondo: la nascita, la proclama-zione della buona novella, la passione, la morte, la risurrezione e l’invio dello Spirito. Tutto converge a Cristo. Egli si fa presente in maniera reale e viva, non è quindi ricuperato nell’immaginazione o nel ricordo come in una ricorrenza dei caduti di guerra, né in forma simbolica e neppure come una copia.

La liturgia eucaristica rende pre-sente lo stesso Cristo e la stessa azione dell’ultima cena, anche se il luogo e il tempo o altre circostanze casuali non sono le stesse, come non lo sono la chiesa e il cenacolo, l’altare e la mensa, in cui era assiso il Signore con i disce-poli. Non c’è un “adesso” e un‘“allora”, né un qui e un là. L’evento che ha luo-go resta sempre lo stesso, dal momento che esso è tanto sovratemporale quanto sovraspaziale.

Data la sua importanza è più che giustificato dare la massima serietà all’a-zione liturgica.

P. Mario Bizzotto

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UNA FEDE SCONFINATA (MT 15, 21-28)

Questa volta Gesù lascia la Gali-lea, la prima regione al mondo che ha potuto ascoltare dalla sua viva voce il suo Vangelo del Padre celeste. Adesso Gesù lo trapianta all’estero, in Fenicia, dalle parti di Tiro e Sidone. In queste contrade gli si fa subito incontro una donna con un grande dolore nel cuore.

Di solito gli Ebrei quando discor-rono degli altri, che non sono ebrei, li qualificano con il titolo non proprio benevolo di cani. Tenendo presente questa mentalità elitaria, comune in Israele, assorbita naturalmente anche dai discepoli, nessuna meraviglia sul-le prime se Gesù non dà subito e con premura udienza, come sarebbe nel suo carattere, a chi si trova nel bisogno. Sia-mo in terra straniera, tra pagani. Gesù lo sa, e sa anche di trovarsi a doversi muovere con la gente, proprio perché sta in compagnia dei suoi discepoli, con la massima circospezione. L’ambiente è particolarmente suscettibile nel giu-dicare come ci si comporta. “Ed ecco (neanche a farlo apposta) una donna pagana che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di David! Mia figlia è molto tor-mentata da un demonio. Ma egli non le rivolse neppure una parola”.

Un vero israelita, un uomo senza inganno, verrebbe da dire, questo Gesù: coerente, ineccepibile. I discepoli non possono non sentirsi che completamen-te soddisfatti. Gli danno anche questo consiglio: “Lasciala andare, mandala via, perché continua a venirci dietro e a gridare”. Gesù rispose: “non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Chi sono queste pecore?

Gesù sembra rassicurare i suoi, ma non è così. Qui Gesù, da incorreggibile imbonitore dell’amore e della benevo-lenza di Dio Padre, recita. Scoprendo, da esperto regista, con assoluta padro-nanza della scena, le carte, sostiene la parte che più gli preme che venga messa in primo piano: la religione. Ogni reli-gione deve andare oltre i suoi confini. È divino, cioè degno di Dio, per Gesù, tutto ciò che si rende evidente a livello umano. Non c’è santità se non funziona su questo piano.

Vale la pena di richiamarla battuta per battuta questa scena di Gesù con la donna sirofenicia. Spettatori sono i suoi discepoli. Di sfuggita, se così si può dire, Gesù richiama un luogo comune in Israele, che però non lo condiziona affatto: «non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele». Nello stesso tempo sembra voler togliere alla donna ogni speranza di venire ascoltata. La vicenda in con-creto però volge in tutt’altra direzione. “Quella si avvicinò e si prostrò davanti a lui, dicendo: Signore, aiutami! Ed egli rispose: Non è bene prendere il pane dei

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figli e gettarlo ai cagnolini”. Il dolore della donna è vero. È internazionale: non conosce confini né di tempo né di spazio. È il dolore di una madre, sola, con la propria figlia. Questa donna non crede nelle tradizioni, crede nella bon-tà. Glielo aveva lasciato intendere con tocco di raffinata poesia lo stesso Gesù. La donna, con la sensibilità e l’imme-diatezza degli innamorati, lo coglie al volo. Sospira: “È vero, Signore. Però, sotto la tavola, i cagnolini possono mangiare le briciole che cadono ai loro padroni”. Vicinanza: c’è simpatia, c’è fiducia verso Gesù. Gesù ha raggiunto lo scopo. Il suo silenzio e alcune delle sue parole potevano anche spaventare, ma sulle sue labbra si coniugano con una tale tenerezza e una tale forza di immedesimazione che danno al cuore di vivere i sentimenti più genuini delle sue aspirazioni. “Allora Gesù disse: O donna, davvero la tua fede è grande!”.

Il commento più puntuale all’in-contro di Gesù con la donna sirofenicia lo fa forse sant’Agostino in preghiera: “Signore, mio Dio, dammi tu la forza di cercarti, tu che ti sei fatto trovare … Dove mi hai aperto, accoglimi quan-do entro e dove mi hai chiuso, aprimi quando busso.”

A Gesù, i padroni della religione non hanno mai perdonato il peccato di svenderla, specialmente raccontando alla gente le sue parabole. Gesù in real-tà vuole solamente incarnare nella sua persona il carattere del suo Dio, e vuole molto semplicemente che tutti possano rivolgerglisi con occhi rinati di bambi-ni, che non hanno ancora imparato la paura e sono capaci solo di una grande sconfinata fiducia.

Forse nel cristianesimo non c’è

scandalo più grande di quello di esse-re tranquillamente abituati a scambia-re la fede con l’ortodossia. Se la fede si presenta come un corpo dottrinale esteso in lungo e i largo, una materia di docenza vasta e difficile, allora non solo la fede è appesantita, ma è la sua stessa intensità, che dovrebbe essere in grado di dare pace, che va a farsi benedire. La Bella Notizia di Gesù non impone a nessuno l’obbligo della frequenza di cor-si preparatori. Gesù si apre al bisogno di chi non conosce altra strada che por-ta a Dio Padre se non la propria pena. Questa è la prima cosa che ci fa sentire che siamo uniti in tutto come persone davanti a Dio che è Padre nostro.

Per Gesù costituiva una devianza obbrobriosa che i teologi di Gerusa-lemme allargassero le differenze socia-li ed etniche, fino a farle diventare il discrimine che va a toccare il rapporto personale con Dio.

Sulla strada che porta al Padre ciò

“Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre”.

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che conta prima di tutto sono le perso-ne (cfr. Mt 7, 1-23).

Per Gesù si tratta di toccare una persona in modo tale che la sua testa cominci a pensare, di guardarla in modo che i suoi occhi brillino dall’interno e imparino a vedere da soli. Per Gesù si tratta di prendere le mani di una per-sona tra le sue in modo tale che il bene diventi per essa così naturale che alla fine la sua mano destra non sa più cosa fa la sinistra (Mt 6,3).

Una forma di religiosità che si con-sidera paga di se stessa, e ricusa d’uffi-cio di entrare nell’inconscio dell’animo umano lasciando ad altri esperti in altri campi il compito di studiare e curare certe scissioni dell’Io che possono arri-vare alla malattia, non segue Gesù fino dalle parti di Tiro e Sidone.

Postilla teologica.Gesù l’hanno inchiodato a una cro-

ce di legno non perché voleva insegnar-ci la ‘Via crucis’, ma la ‘Via salutis’ della conversione religiosa: il ritorno a Dio Padre.

Completare in noi ciò che manca alla Passione di Gesù non comporta in primis l’esercizio di un’ascesi morale, bensì la vita vissuta nella fiducia al suo Vangelo del Padre celeste. Con questo desiderio: che arrivi nella vita di tutta l’umanità, nella vita di ciascun indivi-duo, il momento in cui diventa chia-rissimo il fatto che siamo noi stessi ad ucciderci se Gesù e il suo Vangelo non sono vivi.

P. Domenico Ruatti

«... Per Gesù si tratta di prendere le mani di una persona tra le sue in modo tale che il bene diventi per essa così naturale

che alla fine la sua mano destra non sa più cosa fa la sinistra».

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CONNESSI E SCONNESSI: CHE TIPO SEI? Le nuove tecnologie dell’informatica ci meravigliano e ci intimoriscono

Sono un tipo che ci tiene all’up-gra-de, sono un wired, un connesso. E navi-go on line: sono un connesso viaggiato-re. Sto imparando anche a twittare e ho tanti amici: non so se abbiano qualche virtù, ma sono tutti virtuali. Con loro ci vediamo spesso in face time. Li frequen-to in rete, ma non abbiamo mai bevuto un caffè insieme; condivido le foto su facebook. Sono un testimone digitale.

Ho espresso fin qui in forma scher-zosa quanto è possibile a volte ascoltare in alcuni discorsi anche tra religiosi. Ma, a parte le frasi fatte o di moda, mi chiedo: quanto le nuove tecnologie cambiano il nostro modo di vivere la fede e la vita religiosa?

Mi torna alla mente quanto ho letto in un romanzo, Giuda l’Oscuro. Il prota-gonista, al quale viene chiesto di andare a sedersi nella cattedrale risponde: “Nel-la cattedrale?... per quanto mi riguarda preferirei andare a sedermi alla stazione. È là il centro della vita cittadina, ora. La cattedrale ha fatto il suo tempo!”.

Oltre alla ferrovia e a tante inven-zioni dell’uomo, anche internet fu con-siderata una rivoluzione. Ma ciò che le nuove innovazioni e tecnologie ci aiu-tano a realizzare corrisponde a desideri antichi e paure profonde. “Se così non fosse - afferma il bravo gesuita padre A. Spadaro - le sue innovazioni non ci toccherebbero, meravigliandoci o inti-morendoci”.

E d’altra parte, nonostante i vari terremoti culturali, le cattedrali (per restare in tema col romanzo citato) sono ancora dei luoghi di ritrovo e di preghiera autentica, al passo con la tec-nologia. Tempo fa, mi sono avvicinato ad un signore che, seduto nel banco della chiesa, stava armeggiando con uno smartphone. Gli ho fatto osserva-re che la chiesa non era il luogo adatto per telefonare e lui, gentile, mi ha detto che stava recitando le lodi del giorno, trasmesse dal suo apparecchio. Ci sia-mo congedati come due monaci, con un inchino silenzioso e rispettoso. In una parrocchia, ove talvolta veniamo chiamati per la celebrazione della mes-sa, i fedeli vengono aiutati a cantare da un grande cartello sul quale appaiono in dissolvenza le parole della canzone. Sono “cattedrali” aggiornate ai tempi, ma sempre tali, cioè luoghi di preghiera, di ritrovo e di incontro “reale” tra per-sone credenti.

Il cristianesimo è, di sua natura, una grande comunicazione: i cieli nar-rano la gloria di Dio, gli angeli sono suoi messaggeri, i profeti parlano a suo nome. Tutto sembra parlare a nome di Dio e di lui: angeli, roveto arden-

Ecco l’ultima scoperta tecnica per comunicare, vedere, sentire e dialogare con il mondo!

Formazione

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te, tavole di pietra, sogni, asini, tuoni, sussurri... e Gesù invia i suoi discepoli a predicare il Vangelo a tutti. Il peri-colo, semmai, è che lo strumento che media la comunicazione del messaggio cristiano diventi una specie di idolo. È fatuo vantarmi del fatto che possiedo il migliore e più sofisticato apparecchio (computer, smartphone, tablet...), ma semmai sarò felice se saprò usare i mezzi di cui dispongo per svolgere meglio la mia missione. San Paolo non si vanta di aver viaggiato molto, ma del fatto che ha affrontato qualsiasi fatica per portare il messaggio di salvezza a più persone che poteva.

Chiudo questo accenno di riflessio-ne, con un fatto, pertinente al tema: una signora malata ha usato la tecno-logia del suo smartphone per scrivere, stando a letto, la sua testimonianza, che poi ha diffuso in “rete”.

Presento di seguito il testo da lei diffuso: mi pare emotivamente coin-volgente.

Premessa. Ho chiesto a Paola, una malata incontrata in ospedale, molto sfortunata sia per le vicende familiari che inerenti la malattia, di poter far pubblicare lo scritto che lei stessa, d’al-

tra parte, aveva reso pubblico attraverso il suo smartphone. Lei se ne è sentita onorata e contenta.

Questa la riflessione di Paola Mon-tenero: “Come in autunno cadono le foglie dagli alberi, così sono cadute le mie forze in questo mio lungo cammino in salita.

Ogni giorno avverto che prende spazio il male che mi ha assalito e mi associo a te, Signore crocifisso, nel tuo profondo dolore.

Non mi considero una sfortunata, ma una che è chiamata da Te a dar com-pimento, qui e oggi, a ciò che dei tuoi patimenti manca nella mia carne. Vivo il mio dolore bruciante insieme a Te, inchiodato alla croce, come necessario per il riscatto dai peccati del mondo.

È un’opera preziosa la mia, perché ho scoperto il dolore come trampolino di lancio verso l’alto, ove giungendo, so che potrò cogliere - dopo aver attraversato questa grande tribolazione - una forza nuova che non pensavo di avere, ma di cui ora sono consapevole, così come lo sono dell’affetto rivelatomi dai miei veri amici, che non si sono smentiti, ma mi hanno dato sprone e supporto.

Ora è rinata una nuova Paola, che conosce il grande dolore e che niente potrà mai spaventare, perché il mio cuore batte, io sono viva e so di poter contare su me stessa al cento per cento e sugli amici, da me scelti, che si sono rivelati la mia seconda forza, la forza a cui aggrapparmi e che ringrazio di cuo-re. La battaglia in questa vita non è fini-ta, ma so che la combatterò insieme ai miei amici sotto l’occhio vigile di Dio. Paola».

P. Giuseppe Lechthaler

Qualcuno grida al ‘miracolo’ della tecnica: con un dito tocchi il tuo PC e il mondo virtuale è nelle tue mani.

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IV CENTENARIO: ANNO PROPIZIO PER IL NOSTRO NOVIZIATO

Ci è stato chiesto di raccontare come abbiamo vissuto noi, futuri novizi, l’anno del IV Centenario della morte di San Camillo. Abbiamo scelto di rispon-dere personalmente.

Con cuore accogliente…È l’icona che mi ha accompagnato

per tutto l’anno giubilare. Sono Walter Vinci, ho 29 anni, futuro Novizio della Provincia Romana.

Con cuore accogliente… per le mera-viglie che il Signore mi vorrà donare durante questo anno in attesa del novi-ziato. È stata questa la prima riflessione che ho fatto entrando a far parte della famiglia camilliana. Si, perché in con-comitanza dei festeggiamenti per il IV Centenario della morte di San Camillo ha avuto inizio il mio cammino in que-sto Istituto.

Con cuore accogliente... ho voluto vivere questo tempo. Un anno ricco per l’intensa riflessione umana e spirituale, sia in vista di un futuro noviziato, sia per gli innumerevoli spunti formativi che mi venivano offerti dalle iniziative proposte dalla Segreteria Generale.

Con cuore accogliente… ho accolto l’invito del Padre L. Zoungrana, Supe-riore dello Studentato, ad accogliere in prima persona le celebrazioni del IV Centenario. Ho ringraziato il Signore per avermi dato la possibilità di colla-borare con la Segreteria Generale per gli eventi vissuti. Ho sperimentato la gioia di vivere in comunione con gli altri postulanti, con i professi semplici, con i professi perpetui, con la Consul-ta Generale. Ho meditato con stupore

le parole della Scrittura: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme»(Sal 133) e «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molto, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1Cor 12,12).

Con cuore accogliente… ho vissuto anche una esperienza ministeriale stra-ordinaria nell’Ospedale San Giovanni in Roma. Il mio cuore ha gioito con tut-ta la Comunità ospedaliera per le inizia-tive pastorali ordinarie e straordinarie riguardanti il IV Centenario con e per i malati, con e per il personale sanitario.

Con cuore accogliente… sia pure con sofferenza, ho trepidato, sofferto e pre-gato con tutta la mia comunità, la mia Provincia, l’intero Ordine per gli even-ti dolorosi noti a tutti. Il Signore ha voluto parlarmi anche attraverso questi momenti. Tutto è crescita. Nella gioia e nel dolore.

Con cuore accogliente… e pieno di fiducia ho accolto l’elezione dei nuo-vi Superiori Maggiori dal Generale ai Consultori.

Con cuore accogliente… ringrazio il Signore per avermi accompagnato in questo anno giubilare e per gli innume-revoli spunti ricevuti per affrontare e continuare a riflettere durante questo mio anno di Noviziato.

Ho concluso questo IV Centenario facendo mie le ultime parole del Curato di campagna sul suo letto di morte, nel più celebre romanzo dello scrittore fran-cese G. Bernanos: “Tutto è grazia!”.

Walter Vinci

C.P.V. (CENTRO PROVINCIALE VOCAZIONALE)

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CAMILLO… È IL MIO IV CENTENARIO!

L’Anno Giubilare appena trascorso è stato un anno ininterrotto di festeg-giamenti, manifestazioni ed eventi che hanno ricordato il IV Centenario della morte di San Camillo. Nel ricordare la sua figura, ho incontrato un’atmosfera di fervore e di dedizione presente negli stessi religiosi camilliani che hanno celebrato con gioia questo anniversario. Hanno scelto di commemorare non un passato glorioso, lontano e dimenticato, ma attualizzando un sogno ed un cari-sma che sono ancora presenti e vivi.

È importante fare memoria dell’i-dentità camilliana, perché permette, soprattutto per noi che siamo in forma-zione, di radicarci in essa e di poterla trasmettere agli altri. Una memoria che si rende viva cercando di identificare la nostra vita con quella di Camillo, ripercorrendo le sue orme. Una sequela vissuta secondo la via del Vangelo: assi-

stere i malati, anche mettendo a rischio la propria vita, in povertà, castità ed obbedienza.

Rivivere l’intero anno è stato, per me, celebrare e rinnovare il ricordo della figura e del carisma di Camillo. Un ricordo basato sulla fedeltà alla chiamata che il Signore gli aveva dato, ma anche al ricordo del suo impegno, affiancato da Dio, a convertirsi da uomo pieno di vizi a uomo pieno di virtù. Quest’azione di Dio, la possiamo rinno-vare e rivivere anche noi oggi, permet-tendo a Dio di plasmarci così come ha fatto con Camillo.

Posso dire che non è facile seguire un’ideale di vita evangelico, soprattutto oggi, dove i mezzi di comunicazione ci offrono sempre più dei messaggi poco etici e morali. Ma credo che con una continua conversione possiamo essere testimoni fedeli di Dio e di Camillo. Una testimonianza di vita capace di trasmette agli altri la presenza di Dio, integrando la fede con la vita ed eser-citando quelle opere che, se fatte con amore, divengono gesti di misericordio-so di Dio verso l’uomo.

Allora ringrazio Dio di aver vissuto l’Anno Giubilare, perché mi ha permes-so di rinnovare con più intensità la figura di Camillo, soprattutto in questo anno di noviziato, dove siamo chiamati a rivivere la memoria di Camillo per identificarci e radicarci meglio nella sua vita e nel suo carisma. Guardando a Camillo ne imi-tiamo le virtù, e portiamo cura, amore ed assistenza a chi, nel dolore, è in cerca di un senso nella sua vita.

Nicola Mastrocola

Il buon samaritano: dipinto di Vincent van Gogh.

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MEMORIA DI UN “GIGANTE DELLA CARITÀ”

Come futuro novizio della Provin-cia Siculo-Napoletana, ho partecipato attivamente ai festeggiamenti per il IV centenario della morte di San Camillo organizzati ad Acireale, città in pro-vincia di Catania, già da diversi anni tradizionalmente legata alla memoria del Santo.

Potrei definire quest’anno giubila-re come l’anno propizio per iniziare a conoscere la spiritualità camilliana.

Ed infatti è stato un anno in cui i camilliani hanno parlato tanto di San Camillo, delle sue iniziali difficoltà a trovare “la via diritta”, del suo coraggio nell’ avere fiducia in Dio e nel credere fino in fondo a quel “folle progetto” che a distanza di più di 400 anni è porta-to avanti dai suoi figli spirituali, con lo stesso coraggio e la stessa perseveranza del fondatore.

La mia speranza è che anche io, un giorno, possa parlare di San Camillo con la stessa passione che ha caratteriz-zato quest’anno giubilare.

Ma il IV centenario è stato anche un tempo di Grazia, che si è perfetta-mente prestato come anno preparatorio alla mia entrata in Noviziato. Ed infat-ti, sono stati tanti gli eventi organizzati nel corso di quest’anno giubilare in cui ho vissuto concretamente lo spirito del buon samaritano, insieme ai miei con-fratelli di comunità e a tanti volontari innamorati della spiritualità del Santo.

In particolare voglio ricordare la missione camilliana in un quartiere degradato di Catania, durante la quale ho avuto la possibilità di visitare degli ammalati che vivono la loro sofferen-za in una situazione di grave indigen-

za; conservo ancora nel cuore la visita ad una famiglia poverissima ma anche unitissima intorno al figlio gravemente malato.

In quella situazione ho capito che la mia discreta presenza in quell’ ”umi-le baracca” è stata la memoria migliore che potevo fare di quel “gigante della carità”, che ha donato tutta la sua vita per assistere i malati, soprattutto quelli più poveri ed abbandonati.

Dario Malizia

Bucchianico - Il Provinciale, P. Rosario Mauriello,il maestro dei Novizi, P. Vincenzo Castaldoe i tre Novizi, Walter, Nicola e Dario.

Centro Provinciale Vocazionale

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CAMPO VOCAZIONALE AD ACIREALE-MANGANO

Dal 20 al 26 luglio ’14 presso la nostra casa religiosa di Acireale-Man-gano, si è svolta una settimana di campo vocazionale per giovani, organizzata da un’apposita equipe designata dal supe-riore Provinciale P. Rosario Mauriello. L’equipe in questione era composta dai seguenti religiosi: P. Armand Assavedo, P. Aldo Milazzo, Fr. Vincenzo Duca, P. Alfredo M. Tortorella.

Scopo e finalità del campoLo scopo e le finalità del campo sono

state delineate nell’incontro di prepara-zione del 1 maggio 2014 a Mangano: si è pensato a una settimana molto mirata, non aperta a tutti, non eccessivamente pubblicizzata, destinata solo a ragazzi. In passato i campi erano misti, in colla-borazione con le Ministre degli Infermi e le Missionarie degli Infermi di Cristo

speranza. Quei campi hanno comunque lasciato “un segno” in coloro che hanno partecipato, molti dei quali sono diven-tati volontari delle nostre opere di Aci-reale-Mangano. Non si è voluto mirare al numero, bensì alla qualità, dove per “qualità” si è inteso un invito a quan-ti nelle nostre comunità già ci hanno conosciuto in quest’anno, e, ponendosi domande vocazionali, hanno espresso desiderio di conoscerci meglio. Le fina-lità preposte dall’equipe riguardavano dunque la proposta di una settimana di spiritualità camilliana, vissuta in frater-nità, con alternati momenti di preghiera, riflessione, incontro coi malati e i poveri.

PartecipazioneHanno preso parte al campo cinque

giovani, di età compresa tra i ventidue e i trentotto anni, provenienti da Cam-

Acireale/Mangano 26 luglio 2014: Animatori e Partecipanti al Campo Vocazionale.

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pania (2), Puglia (2), Sicilia (1). Tra questi cinque, un lavoratore OSS, uno studente di Teologia, uno di Medicina, un laureato in Farmacia, un laureato in Scienze della Formazione. Tutti e cin-que avevano già preso contatti con noi camilliani da almeno un anno.

AttivitàNei sei giorni di permanenza, i

giovani in questione hanno svolto le seguenti attività. ??? ???????????????????????????????????-

tutine, la Preghiera camilliana, la Santa Messa, ci sono stati due momenti di Adorazione (all’inizio e alla fine del campo).

??? ???????????????????????????????????mezz’ora cadauno, tenuti uno per giorno da p. Aldo, da fr. Vincenzo e dal sottoscritto; un momento di verifica con p. Armand; una testi-monianza di vita tenuta da fr. Carlo Mangione.

??? ???? ??????????? ???? ?????????? ????mattinate presso l’Istituto Giovanni XXIII con gli ospiti disabili psichi-ci, più i momenti informali durante il dopo pranzo che naturalmente si sono creati; una mattinata con i poveri della Mensa San Camillo; un pomeriggio con gli ospiti della Tenda San Camillo, più i momen-ti informali di coloro che alloggia-vano presso la Tenda; due visite domiciliari, a un malato di SLA e a un disabile grave; una mattinata vissuta con gli anziani delle Ancelle Missionarie Camilliane di Valverde. Con gli ammalati e i poveri in que-stione si è condivisa la preghiera,

la conoscenza fraterna, il servizio pratico (in particolare alla mensa).

Impressioni dell’equipeNella verifica finale, l’equipe si è

ritrovata su alcuni punti e ha condiviso impressioni perlopiù positive:

1) la scelta delle modalità del campo (per giovani già da noi conosciuti) si è rivelata ottimale;

2) la constatazione che la nostra spi-ritualità, la figura di Camillo, il nostro modo di rapportarci ai mala-ti, la nostra preghiera (la Preghie-ra camilliana, il nostro “stile” di Messa) risultano – nella e per la loro semplicità – veramente affa-scinanti. I giovani hanno apprezza-to, rimanendo colpiti proprio dalle “cose nostre particolari”;

3) l’aver constatato che i giovani con-venuti, sebbene non ancora indi-rizzati ad un eventuale ingresso in postulandato residenziale, vogliono prendersi un ulteriore anno di con-tatto con noi camilliani. Di qui l’im-pegno nostro a seguirli ancora attra-verso colloqui, incontri, partecipa-zione a qualche evento comunitario.

L’equipe si è dunque mostrata con-tenta della soddisfazione dei convenuti e, aspettando che il Provinciale e il suo Consiglio designino, a partire da settem-bre, gli animatori vocazionali regionali, auspica che chi curerà questa animazio-ne pensi anche a un altro campo, magari nel periodo invernale (ferie di Natale/Capodanno).

P. Alfredo M. Tortorella

Centro Provinciale Vocazionale

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EDUCARE IL PROPRIO CUORE PER SCOPRIRE LA PROPRIA VOCAZIONEA Verona 3 appuntamenti per weekend autunnali

17-19 ottobre: Amare… con San Camillo

L’obiettivo è di far conoscere il nostro carisma, analizzando l’intui-zione di San Camillo ed il suo stile di servizio ai malati, approfondire le tan-te modalità con cui il carisma viene vissuto oggi dagli oltre 1.200 religiosi camilliani, che lo incarnano ed inter-pretano, lasciando ad ogni partecipante la domanda sul proprio interesse a una possibile chiamata di Dio, a prendersi cura dei malati in maniera totalizzante.

Il campo, che si svolge nei pressi della nostra Casa Soggiorno Brescia-ni, ritaglierà dei tempi e degli spazi per l’incontro con gli operatori della stessa struttura (per condividere un ‘carisma camilliano vissuto’) e di conoscenza degli anziani e servizio a loro dedicato.??? ????????? ???? ???????? ??? ??? ????

modo tipico e radicale di leggere il Vangelo: a partire dai malati.

?? Conoscere meglio i religiosi camil-liani, padri e fratelli: chi sono e cosa fanno oggi. In Italia e nel mondo.

??? ???????? ???????????????? ??? ???????vocazionale di qualche camilliano: il percorso di vita, il discernimento fatto, i vari passaggi vocazionali, le scelte operate e lo spirito che gli è proprio.

??? ???????????????????????????????????soggiorno” per anziani per cono-scere nonni e nonne assistiti ed operatori e religiosi in azione, fare esperienza, mettersi alla prova… nella semplicità e nel limite di un periodo così breve. Così da cono-

scere dall’interno i servizi e le pro-blematiche di un’opera camilliana.

??? ??????????????????????????????????????Dio’, per incontrarLo e confrontarsi con Lui, per rileggere la propria vita alla luce della sua volontà.

Parte di un itinerario più lungo, l’esperienza vuole dare la possibilità di far incontrare giovani che vanno alla stessa ricerca di vita o di vocazione e offrire contributi (ed un itinerario) per camminare sempre più spediti, decisi e fruttuosi in questa ricerca. Gli spun-ti riguardano la preghiera, la Parola di Dio, il rileggere il proprio vissuto e capire come il Signore ci sta accompa-gnando e sta facendo udire la sua voce.

6-8 dicembre: Amare… con fede

L’obiettivo è di mostrare come il credere cambi orizzonti, forza e modo di amare, e portare i partecipanti a fare luce sui propri comportamenti, stili di vita e scelte-abitudini più o meno con-sapevoli e padroneggiate. Verrà dato spazio alla Parola di Dio e all’approfon-dimento della dinamiche psicologiche dell’uomo. Si scoprirà come l’autenti-ca esperienza spirituale sia questione di desiderio, di un desiderare umano che viene liberato. Passaggio decisivo e importante ma non automatico: da imparare! E come si cambia nell’amare Dio e lasciarsi amare da Lui, così avvie-ne nell’amarsi tra persone.??? ????????????????????????????????????

Dio, come la fede chieda una con-

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versione del cuore e dia spunti per un amare ‘diverso’, per certi versi ‘divino’.

??? ????????????? ???????????????????amare, scoprire le caratteristiche (volute o inconsce) che danno un volto al nostro approcciare-incon-trare e prendere sul serio le perso-ne… Ed andare a fondo alla ricerca del perché umano, sociale, familiare e personale.

??? ????????????????????????????????????discussione il proprio modo di cre-

dere, alla ricerca di un approccio maturo e libero al proprio Dio.

??? ????????? ??? ?????? ???? ??????????(struttura umana) nell’esperienza spirituale, per togliere spazio alla paura e alle sue conseguenze nella propria vita.

??? ??????????????????????????????????????di Lui, come non si può fare dentro i ritmi quotidiani ma solo staccando-sene, lasciandosi aiutare dagli altri e sollecitati da spunti che non sono quelli di tutti i giorni… per lasciarsi

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accompagnare in questa vita nuova che Lui promette. E affrontarla in compagnia (Sua!) e non in solitu-dine (impossibile!).

??? ?????????????????????????????????Dio, nella verità, per esplicitarla e trovare spunti per un incontro vero con ogni uomo.

Parte di un itinerario più lungo, l’esperienza vuole dare la possibilità di far incontrare giovani che sono nella stessa ricerca di vita o di vocazione e offrire contributi (ed un itinerario) per camminare sempre più spediti, decisi e fruttuosi in questa ricerca. Gli spunti sono sulla preghiera, sulla Parola di Dio, sul rileggere il proprio vissuto e capire come il Signore sta accompagnando e sta facendo udire la sua voce.

6-8 marzo 2015: Amare … con i propri limiti

L’obiettivo è quello di dare spunti per facilitare il dono di sé anche in chi (tutti!) fa i conti con i propri limiti, difetti, peccati, e da questi è invitato a desistere nell’impegnarsi per gli altri.

Si propone ai partecipanti di impa-rare a vivere fino il fondo il paradosso della propria fragilità: trasformare ciò che in noi è negativo in opportunità, risorsa, conoscenza di sé e degli altri. Tutte vie per un giungere ad un coin-volgimento nel servizio più maturo e libero. Lasceremo che il Gesù umano dei Vangeli, nella Parola, ci prenda per mano e ci suggerisca come scavare la nostra umanità per una sua assunzio-ne più piena e meno viziata da deliri e spinte di onnipotenza, capace di convi-vere in maniera serena con la propria povertà e vulnerabilità.

??? ?????????????????????????????????-resima sul serio, per perseguire gli obiettivi esistenziali e vitali che hanno reso questo periodo liturgico come fecondo per il proprio progres-so spirituale ed umano. Dalla Parola lasciarsi dire come Dio ha pensato l’uomo limitato, e cosa vuol dire vivere nella grazia il proprio limite di uomo storico, imperfetto, pecca-tore.

?? ????????????????????????????????????alla coscienza quei tratti di perso-nalità che sappiamo appartenerci, riconosciamo limitati ma su cui, per più motivi, non interveniamo per un cambiamento.

??? ??????????????? ???????????????????fragilità per farne, nell’assunzione libera e nello sguardo misericordio-so di sé, uno spunto per un amore più pieno e gratuito.

??? ??????????????????? ??????????????pace che permettono incontri di questo genere. Fare l’esperienza for-te di Lui, come Israele nel deserto. Quella di un nuovo innamoramen-to di Dio, della percezione del suo perdono, e proprio nel perdono del rilancio della storia con Lui.

Parte di un itinerario più lungo l’e-sperienza vuole dare la possibilità di far incontrare giovani che sono nella stessa ricerca di vita o di vocazione e offrire contributi (ed un itinerario) per camminare sempre più spediti, decisi e fruttuosi in questa ricerca. Gli spunti sono sulla preghiera, sulla Parola di Dio, sul rileggere il proprio vissuto e capire come il Signore sta accompagnando e sta facendo udire la sua voce.

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CAPRIATE CRONACA DI UNA FESTA PER DUE GIUBILEI

A Capriate, quest’anno, durante la Festa di san Camillo che abbiamo cele-brato domenica 13 luglio, sono confluite due felici ricorrenze: il 400mo anniver-sario della morte del Santo ed il 50mo anniversario della Casa di Riposo RSA “Cerruti”.

Due giubilei collegati fra loro, a ben

guardare, più che da una coincidenza fortuita, da un sapiente disegno provvi-denziale. Il primo infatti commemora-va il germe ispiratore seminato quattro secoli fa da san Camillo, il secondo ne rappresentava un frutto, a testimonian-za di quanto fosse profetico il sogno del nostro Fondatore: verrà un giorno in cui

Dal Mondo Camilliano

BUCCHIANICONOVIZIATO AL SANTUARIO PER TRE GIOVANI CAMILLIANI

Tre novizi a Bucchianico per seguire le orme di San Camillo De Lellis. Dario, Walter e Nicola sono i nomi dei tre gio-vani che hanno iniziato il 6 settembre il noviziato nel centro spirituale intitolato a Nicolino D’Onofrio. Walter Vinci, di 29 anni, arriva da Mesagne, in provincia di Brindisi; Dario Malizia, di 39 anni, da Palermo, invece Nicola Mastrocola, trentunenne, gioca in casa perché arri-va da San Martino sulla Marruccina. «Il noviziato è un anno in cui ci si dedica a conoscere l’Ordine di appartenenza, in questo caso l’Ordine dei Ministri degli Infermi, si approfondisce la vita religiosa, il carisma camilliano e quindi l’assistenza al malato e la costituzione dell’Ordine» spiega Nicola.

Alla fine dell’anno del noviziato ci sarà la professione religiosa con la vesti-zione dell’abito camilliano, contraddi-stinto dalla croce rossa sul petto, e si prenderanno i voti di povertà, castità, obbendienza e assistenza agli infermi, anche a rischio della propria vita come San Camillo voleva. I tre giovani che

inizieranno presto la loro attività di assi- stenza al malato sono seguiti dal maestro padre Vincenzo Castaldo. Altri giovani camilliani, intanto, portano conforto ai malati che sono ricoverati nei diversi reparti dell’ospedale di Colle dell’Ara. Un impegno quotidiano che porta sollie-vo e speranza a chi è costretto a passare lunghi periodi in un letto. Un raggio di sole tra le sofferenze per la malattia.

(d.z.)

I tre Novizi: Walter, Dario e Nico sono sotto lo sguardo e la protezione di San Camillo.

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questa piccola pianticella crescerà e pro-durrà copiosi frutti.

Se è vero che ogni Giubileo è sem-pre innanzitutto una “Festa”, è altret-tanto vero che il clima di gioia ne è l’aspetto più visibile ma non il solo. Le sue origini bibliche ce lo descrivono a volte come il termine di un cammino di rinnovamento messo in atto da Israele ad ogni suo cinquantesimo anno di vita, altre volte come il felice compimento del pellegrinaggio annuale degli ebrei al Tempio di Gerusalemme. Di quest’ul-timo, i salmi graduali ce ne danno una descrizione viva, quasi dettagliata: la decisione di intraprendere il viaggio, la condivisione del cammino con altri pellegrini, la fatica e la perseveranza fra le immancabili difficoltà, le verifiche e le eventuali correzioni al percorso, l’arrivo alla meta in un clima generale di esultanza, di “giubilo” appunto. In entrambi i casi, comunque, il momen-

to della festa porta con sé il ricordo dei giorni passati, la gratitudine a Dio per il buon esito del cammino compiuto, la volontà di dare ad esso una continuità, attribuendo così alla meta raggiunta il significato di una sosta intermedia, una tappa del vero “santo viaggio” quale è il pellegrinaggio della vita terrena verso l’incontro con Dio.

Fatte salve le dovute proporzioni, anche la nostra Comunità ha trascor-so giorni e vissuto esperienze simili. La preparazione alla Festa di San Camillo si è protratta lungo tutto l’arco dell’an-no giubilare, ora aderendo alle propo-ste che si sono succedute nell’Ordine e nella Provincia, ora rivisitando gli avvenimenti che hanno segnato la storia cinquantennale della Casa, ora ricordando le persone che ne hanno costruito il cammino fino allo sviluppo di questi nostri giorni. La memoria ha fatto riaffiorare figure indimenticabili

Le Comunità di Capriate e Villa Visconta in pellegrinaggio alla Madonna del Bosco.

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come la Signora Cerruti con il marito Ovidio ed il figlio Silvio, Padre Bernini, Padre Vezzani, Padri, Fratelli, Medici e Collaboratori che si sono alternati nella conduzione della Casa o nell’assistenza agli Anziani, i Novizi e gli anni della formazione. Di tutto abbiamo ringrazia-to il Signore e San Camillo, pregandoli di rimanere ancora al nostro fianco ad ispirare il cammino che ci attende.

All’avvicinarsi della ricorrenza tut-tavia non sono mancate alcune inizia-tive intraprese dalla Comunità stessa. Le citiamo brevemente, presentandole nella loro successione cronologica:

Il Pellegrinaggio delle Comunità di Capriate e Villa Visconta (06.06.14)

Al termine degli otto ritiri mensili condivisi nel corso dell’anno, di comu-ne accordo, le Comunità hanno deciso di compiere un “Pellegrinaggio Giubilare Comunitario” scegliendo come meta il Santuario della Madonna del Bosco di Imbersago, vicino ad entrambe e facil-mente raggiungibile. Vi siamo saliti in vettura nella prima mattinata, accom-pagnati dallo stesso P. Provinciale, P. Vittorio, e con la presenza fra noi di Frère Julien Gbaguidi, un confratel-lo beninese nostro ospite per qualche tempo. La Concelebrazione eucaristica ci ha stretti attorno all’altare, ai piedi dell’immagine della Vergine, per lodare Dio del dono di San Camillo e dei Con-fratelli che si sono succeduti in questi quattrocento anni. Ne è nata, come ovvia e spontanea conseguenza, la gra-titudine al Signore per averci chiamati alla vocazione camilliana e il rinnovato affidamento alla “nostra Regina e nostra Guida” con l’antica preghiera alla Madonna di Padre Novati. Al termine

della recita in comune del S. Rosario e di un conveniente spazio di tempo lasciato alla distensione personale o al vicino museo dedicato al beato Card. Schuster, nel programma della giornata non poteva mancare il momento della mensa fraterna. L’abbiamo trascorso in un ristorante vicino, in letizia, interca-lando con qualche canto la condivisio-ne dei ricordi del passato, delle consi-derazioni sul momento presente, delle speranze per gli anni a venire.

Il Pellegrinaggio sulle orme di San Camillo (8/29.06.14)

Non meravigli se riteniamo che anche questo avvenimento sia da inse-rire, a buon diritto, tra le iniziative intraprese nel corso dell’anno giubila-re, visto che nel loro pesante zaino, i pellegrini, insieme all’occorrente per le lunghe marce, portavano anche le preghiere (queste però piacevoli e leg-gere) della Casa di Riposo. Un’impresa voluta tenacemente da Fr. Luca Perlet-ti (che non è nuovo a queste fatiche), alla quale hanno partecipato alcuni suoi amici insieme a due operatrici dell’Ho-spice “P. Luigi Tezza”. La distanza di ben millecinquanta chilometri è stata per-corsa a piedi in 20 tappe (alla media di 52 km giornalieri) e li ha portati a toc-care luoghi cari a San Camillo quali la Valle dell’Inferno o della Conversione, Bucchianico, Roma, Viterbo, Lucca, Valtidone ed altri.

L’accoglienza della reliquia del Cuore di san Camillo (01.07.14)

Si è trattato di una visita del nostro Fondatore tanto inattesa quanto gra-dita. L’ha resa possibile la sua venuta (ovviamente attraverso il simbolo del-

Dal Mondo Camilliano

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la reliquia) nella vicina Parrocchia di Velate, da dove, terminata la “Setti-mana della Carità” tenuta da P. Aldo Magni e P. Paolo Gurini, avrebbe dovuto proseguire direttamente per il Santuario a Milano. Nella sosta che San Camillo ha voluto invece dedicare alla nostra Casa abbiamo provveduto ad una sua calorosa accoglienza, dispo-nendo una Concelebrazione eucaristica comunitaria per gli Ospiti nella chiesa della Casa di Riposo e successivamente una Liturgia della Parola riservata alla sola Comunità nella cappella della Casa Religiosa. Analogamente al “discepolo che Gesù amava”, come egli ha saputo vedere nel Cuore del Maestro, trafitto dal gesto inconsueto del centurione romano, il dono del suo Spirito e il nascere della Chiesa, così anche noi, nella reliquia singolare del cuore del Fondatore, abbiamo cercato di cogliere il dono della sua spiritualità e l’origine dell’Ordine. Attraverso poi la lettura di brani della sua Lettera Testamentaria, lo stesso san Camillo ci ha riproposto alcuni suoi pensieri, ci ha incoraggiato e ci ha dato infine le sue paterne mille benedizioni.

Il Pellegrinaggio della Casa di Riposo al Santuario della Madonna di Caravaggio (08.07.14)

Anche la Casa di Riposo ha avuto il suo Pellegrinaggio Giubilare. All’av-vicinarsi della Festa di san Camillo, due pullman, stracolmi (anziani, animatri-ci, personale e volontari) e organizzati di tutto punto, sono partiti alla volta del Santuario di Caravaggio. Qui, nella Messa celebrata dal Superiore affianca-to da P. Antonio Barzaghi, si sono com-memorati i cinquant’anni della Casa (portati ancora egregiamente) e soprat-tutto si sono raccolte le preghiere, le preoccupazioni, le speranze degli Ospiti e dei famigliari presenti per offrirle alla Vergine Santa. Affidarle a Lei è sem-pre metterle in buone mani, come ha mostrato a Cana di Galilea. Il pome-riggio è trascorso in un baleno tra soste in libreria, acquisti di qualche ricordo per figli e nipotini, ed una visita finale al Santuario per le ultime raccomanda-zioni alla Madonna. Al rientro gli animi erano soddisfatti e i volti sereni.

La Festa di San Camillo (13.07.14)Preparata da tempo e preceduta da

un triduo tenuto da P. Facchin, è giunta finalmente la Festa di san Camillo. Nel-la mattinata, secondo un programma concordato telefonicamente e confer-mato in un incontro svoltosi nel corso del Capitolo Provinciale Straordinario, abbiamo accolto S. E. Mons. Dionigi Tettamanzi, cardinale emerito di Mila-no. È seguita la Messa solenne da lui pre-sieduta, concelebrata dalla Comunità e dai Parroci dei paesi vicini, animata dal-

Capriate - La Comunità Religiosa fa corona al Cuore di San Camillo e lo invoca con devozione.

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la Corale Sant’Alessandro di Capriate e dai volontari dell’UNITALSI di San Gervasio. All’omelia, commentando il Vangelo della festa, il Cardinale ci ha indicato in Gesù il Buon Samaritano che si prende cura delle nostre ferite nel corpo e nello spirito, ed in San Camillo il modello a cui riferirsi, sia nello svolge-re l’assistenza o i vari servizi della Casa, come nell’affrontare con fede e speran-za gli inevitabili momenti di sofferenza. Terminata la Messa, secondo una prassi che gli è abituale da sempre, si è intrat-tenuto a lungo con i presenti, ascoltan-do tutti con interesse e concedendosi volentieri per qualche foto ricordo. È seguita poi la visita ai reparti di degen-za. Ha indugiato passando di stanza in stanza soprattutto nell’Hospice e nel Reparto dei pazienti affetti da patologie neuro-vegetative. Nel conversare con i medici è emersa la sua spiccata sen-sibilità alle tematiche legate alla bioe-tica e all’assistenza degli “ultimi fra gli ultimi”: i malati gravi e morenti. In una sua lettera che abbiamo ricevuto alcuni giorni più tardi si legge: “… ho potuto apprezzare ancora di più il carisma di S. Camillo che risplende nel vostro amore, paziente e generoso, verso gli infermi… mi è parso di entrare in un mare di sofferen-ze e di povertà che invade il cuore di tanti nostri fratelli e sorelle, ma ancor più in un mare di carità, vissuta da voi Camilliani e da tutto il personale. Di tutto questo vi ringrazio… Con tanta stima e affetto, vi benedico. Dionigi card. Tettamanzi ”.

Nel pomeriggio, trascorso a ritmi più distesi, preso posto sotto l’ombra fresca di un pergolato, abbiamo ascolta-to un potpourri di brani musicali eseguiti dalla Banda Musicale Oratorio San Luigi

di Busnago. Tra una suonata e l’altra, siamo venuti a sapere che anche per il complesso bandistico era il 50.mo anno consecutivo di presenza alla Festa di San Camillo. Per non far torto a nessu-no, abbiamo associato ai nostri anche il loro “Giubileo”, ringraziandoli per la loro fedeltà e dandoci appuntamento alla prossima festa.

È sera inoltrata Termino di scrivere qualche appunto

per la cronaca della Festa, poi cerco di immergermi sotto la superficie degli avveni-menti per tentare un inventario dei sugge-rimenti che l’anno giubilare e San Camillo ci hanno dato. Abbozzo un confronto fra la sua epoca e la nostra. Penso all’espan-sione nelle americhe inquinata dal colo-nialismo e alla nostra società che ha glo-balizzato quasi tutto ad eccezione del suo sapore cristiano divenuto anzi insipido… ai conflitti delle nazioni europee con l’im-pero ottomano e alla difficile convivenza con l’islam di oggi… alle deplorevoli con-dizioni degli ospedali del cinquecento e alla nostra sanità, che raggiunge le eccellenze ma allo stesso tempo sopprime o manipola vite innocenti e rimuove la sofferenza… alla Chiesa post-tridentina, lacerata dalle cosiddette riforme anglicana e luterana e alla Chiesa post-conciliare di oggi, nella quale vanno di moda certi luoghi comu-ni come la classificazione in progressista e conservatore, il dialogo ad ogni costo anche con interlocutori sordi, un irenismo che non ama il confronto preferendo “l’unità nella diversità” anche là dove le diversi-tà sono sostanziali e contrapposte. Penso infine alla moltitudine delle Fondatrici e Fondatori che, con san Camillo, hanno dato vita al secolo di un nuovo umanesimo cristiano, all’anno della Vita Consacrata

Dal Mondo Camilliano

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che ci apprestiamo ad iniziare, ai germi del rinnovamento seminati nell’Ordine in que-sti dodici mesi. Mi accorgo allora che tra le cose che l’anno giubilare e San Camillo ci hanno portato c’è anche un appello urgente alla responsabilità. Non vederlo sarebbe rendere vano e l’anno e il Santo. Siamo chiamati a fare nostra la loro fede e la loro dedizione: ce n’è bisogno anche oggi. Mi

chiedo se sto cedendo al pessimismo di chi vede solo il bicchiere mezzo vuoto ma poi concludo che saggio è saper guardare sia al mezzo pieno che al mezzo vuoto.

Alla fine, riemergo dai miei pensieri inquieti e ritrovo la fiducia di sempre nel-la certezza che c’è Chi sa e guida i nostri passi.

P. Roberto Corghi

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HAITIGIOIA PER LA PROFESSIONE RELIGIOSA DI 3 GIOVANI

La Missione Camilliana di Hai-ti, domenica 14 settembre, ha vissuto una giornata di grande gioia per la Pri- ma Professione di Webly Lagrenade, Jean Charlemagne Clermont e John-son Pierre.

La cappella di “Notre Dame de la Santé”, della Missione di Port-au-Prin-ce, ha accolto i tre futuri professi che, visibilmente emozionati, attorniati da parenti, amici, religiosi e religiose, han-no emesso la loro Prima Professione, che è stata accolta dal Vicario provin-ciale P. Joaquim Paulo Cipriano.

È stata una giornata di preghiera e festeggiamenti per questi tre giovani che iniziano il loro cammino di vita religiosa, rispondendo alla chiamata che li porterà a testimoniare con la loro vita il Vangelo di Gesù nelle opere di misericordia e che, con la professione dei consigli evangelici, rendono visibili al mondo i tratti caratteristici di Gesù,

vergine, povero, obbediente.L’augurio è che sappiano essere sem-

pre la voce dei loro fratelli haitiani, dei loro bisogni, attese, e speranze, aiutan-doli a sopportare la fatica del loro dolo-roso cammino e accogliendoli tutti nel nostro cuore e nella nostra vita come veri fratelli e amici di viaggio, come un dono di Dio.

Perché spesso solo di speranza si nutrono gli uomini e le donne che ognuno di noi, con le sue possibilità e a suo modo, cerca di aiutare, ed è que-sta speranza che dobbiamo sempre tutti insieme sforzarci di tenere viva, perché “Se avremo aiutato una sola persona a spe-rare, non saremo vissuti invano” (Martin ??????????????

Franca Berardi

Haiti - Prima Professione Religiosa di Webly Lagrenade, Jean Charlemagne Clermont e Johnson Pierre.

Dal Mondo Camilliano

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“SULLA CROCE C’ERA GESÙ E AI PIEDI DELLA CROCE C’ERA MARIA”.

Cari amici,è con immensa gioia che oggi, festa

dell’Esaltazione della Croce, celebria-mo questa Eucaristia nella quale Webly, Jean Charlemagne e Johnson, figli di questa bella terra haitiana, faranno la loro professione religiosa ed entreran-no ufficialmente a far parte dell’Ordine Camilliano.

Emetteranno i voti di povertà, castità, obbedienza e servizio ai malati anche con pericolo di vita.

Nella Chiesa i religiosi, e in parti-colar modo noi Camilliani, siamo una realtà importante perché siamo chia-mati a testimoniare con la nostra vita il carisma, ereditato dal nostro Santo Fondatore San Camillo, che è la mise-ricordia e la compassione verso i malati più bisognosi e più poveri, mettendoci totalmente al loro servizio.

La Chiesa chiede a tut-ti i cristiani, e in modo

part ico-lare a noi r e l i g i o -

si Camilliani, una radicalità nel vivere il messaggio evangeli-co. Siamo chiamati e inviati dal Signore con la certezza che Lui non ci abbandonerà mai,

neanche nei momenti più bui della nostra vita, nei quali tante volte alla

fede e alla speranza suben-trano dubbio e disperazione.

Il Signore ci invia, ci chiede di uscire dal nostro

io, dalle nostre comodità, e di andare nelle periferie, come dice il nostro caro Papa Francesco, nelle periferie delle cit-tà e dell’esistenza, là dove l’uomo solo, malato e abbandonato soffre il dolore, la disperazione e la solitudine. E noi conosciamo così la sofferenza e la soli-tudine, e come religiosi non possiamo rimanere indifferenti.

Come dice Madre Teresa di Calutta: “Il grande male del mondo è l’indiffe-renza”. Indifferenza di chi è ricco verso chi è povero, di chi è sano verso chi è malato, di chi sta bene verso chi sta male e così via…

Come cristiani, e soprattutto come religiosi, non possiamo cadere in questa indifferenza, sarebbe un grande pecca-to. Sarebbe un’ipocrisia che, come dice il nostro caro Papa Francesco, tante volte nasce come frutto di una visione troppo clericale della Chiesa.

La gente non crede in noi non perché ufficialmente apparteniamo alla “classe clericale”, ma perché nella nostra vita facciamo trasparire i valori che Cristo ci invita a vivere, e a noi, cari confratelli Camilliani, il Signore non solo ci invita, ma ci invia a vivere.

La misericordia, la compassione e il perdono nei confronti dell’umanità sofferente, ossia dei malati, a comin-ciare dai più poveri, sono valori che il Signore ci chiede di vivere nella pover-tà, nell’umiltà, nel Suo nome.

La Chiesa ha bisogno di religiosi con il cuore tenero, perché la durezza di cuore allontana gli uomini da Dio e San Camillo ce lo ricorda quando, parlando ai suoi religiosi, ripete la frase che noi

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Camilliani conosciamo a memoria: “Più cuore in quelle mani, fratello”. O quan-do dice: “dovete trattare il malato come una madre tratterebbe il suo unico figlio malato e in punto di morte”. Immagi-nate con quale tenerezza e dolcezza una madre tratta un figlio così. Anche se siamo limitati e facciamo poco, il poco che facciamo facciamolo con il cuore e nel nome del Signore. Solo passando attraverso il cuore si riesce a recuperare la dignità cancellata, distrutta dalle sof-ferenze e dalle difficoltà della vita.

Cari amici e cari confratelli, dal cuore si parte per arrivare a Dio e dal cuore si parte per arrivare all’uomo. Lo Spirito, come dice S. Paolo, fa conosce-re la volontà di Dio a colui che scruta il proprio cuore.

Come religiosi non siamo semplice “materiale di aiuto per le diocesi o per le parrocchie”, ma carismi che le arric-chiscono. La nostra formazione non va orientata verso la nostra crescita perso-nale, ma verso il popolo di Dio al quale siamo inviati, cosi, come religiosi, non sono la comunità o l’istituto o le struttu-re il fine della nostra consacrazione, ma l’uomo povero, malato, bisognoso che il Signore fa trovare nella nostra vita.

Non possiamo confondere i mezzi con il fine e viceversa, sarebbe un gran-de peccato poiché in questa confusione tutto troverebbe giustificazione. Non siamo fatti neanche per difendere Dio o le strutture della Chiesa, ma per difen-dere l’uomo, annunciando il Vangelo e denunciando ogni ingiustizia. È nella difesa della dignità umana che si costru-isce il Regno di Dio e non nella difesa delle strutture.

Come persone di Dio dobbiamo conoscere le realtà umane alle quali

siamo inviati e a noi, come Camilliani, il Signore ci invita a conoscere “dal di dentro”, da vicino i malati, a comincia-re dai più poveri, senza paura di stare loro accanto e di identificarci con loro, perché solo in loro e nel loro confronto possiamo trovare il vero volto di Dio e la forza di vivere la nostra vita di con-sacrati in maniera radicale e profetica. Ecco il radicalismo e la profezia che il Signore chiede a voi, cari confratelli, che siete “ufficialmente” alla prima tap-pa della vostra donazione al Signore.

È nel confronto con i loro “volti di Cristo sofferente” che troviamo una motivazione per una vita povera, casta e obbediente. In questo confronto la nostra povertà diventa ricchezza per gli altri, la nostra castità diventa donazio-ne di noi stessi e la nostra obbedienza diventa messa in pratica del progetto di Dio su di noi. Progetto che nasce dal cuore illuminato dallo Spirito, ricercato nella preghiera e nella meditazione e realizzato nella libera e completa (senza riserve) donazione di noi stessi a Dio e all’umanità.

Cari confratelli, siamo Camilliani, portatori di misericordia e compassio-ne, inviati a un popolo che soffre e che ci attende “come terra arida e deserta attende l’acqua”, non abbiamo nien-te da invidiare ad altri Istituti, Ordini o Congregazioni, perché all’interno dell’annuncio evangelico abbiamo un compito molto specifico e importante: portare Dio nella Sua dimensione più profonda (amore gratuito, fatto di mise-ricordia e compassione) all’umanità con la quale il Signore più si identifica: i poveri e i malati più abbandonati.

Questo compito, come dice San Paolo, va fatto con tenerezza, con rispet-

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to e con retta coscienza. Con tenerezza perché Dio è amore, con rispetto per le persone alle quali parliamo e con retta coscienza, ossia senza seconde inten-zioni.

Per realizzare questo amore bisogna uscire dalla logica del mondo, fatta di poteri e interessi, basata sulla menzogna e sull’ingiustizia, ed entrare nella logica del Regno, quella della gratuità e dell’a-more, quella della rinuncia, non solo di ciò che possediamo, ma di noi stessi, dei nostri progetti, dei nostri desideri.

Ecco il senso della festa che cele-briamo oggi “l’Esaltazione della croce”, croce della quale celebriamo oggi la gloria.

“Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. È una pazzia e una stoltezza la logica del Regno perché arriva fino all’amore per i nemici e ad amare il prossimo come noi stessi. Proprio dalla croce le ultime parole di Gesù “Padre perdonali perché non sanno quello che fan-no”.

Un altro banco di prova della fede e della vita consacrata, cari fratelli, sta

nella vita di comunità, e in comunità noi siamo chiamati a vivere. Non è facile la vita fraterna e chi l’ha speri-mentata lo sa molto bene. Che i nostri impegni e i nostri affanni non diventi-no una scusa, perché sappiamo molto bene che è più facile amare quelli che sono lontani che quelli che sono vicini.

Da soli non si va da nessuna parte e i nostri confratelli sono i doni e gli aiu-ti più importanti che il Signore mette a nostra disposizione. Perdono e mise-ricordia cominciano dall’interno della comunità per poi riversarsi fuori, nei confronti di coloro verso i quali andia-mo. Perciò, accettare il confratello, volergli bene e perdonare i suoi limiti è il modo migliore per potere lavora-re insieme e dare una testimonianza di fraternità. Il rischio è l’individualismo che si annida proprio all’interno delle comunità, individualismo che porta a pensare solo a noi stessi e dove non c’è più spazio per l’altro.

Cari confratelli, nella vita religio-sa se non si vive la fraternità non si è fecondi, perché la fraternità è già di per sé una testimonianza evangelica:

Haiti, 4 settembre 2014 - Il vicario provinciale, P. Joaquim Paulo Cipriano e Concelebranti nell’Eucarestia per la Professione Religiosa di Webly Lagrenade, Jean Charlemagne Clermont e Johnson Pierre.

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“Guarda come si amano”, dicevano i primi cristiani.

Certo che i conflitti sono inevita-bili, ma lo sono anche nelle migliori famiglie, ma vanno affrontati, discussi e risolti; non possono essere ignorati, altrimenti si cade nell’indifferenza e l’indifferenza, come sappiamo, uccide, come uccidono le chiacchiere e il parla-re male. Come dice il nostro caro Papa: “le chiacchiere distruggono e noi siamo chiamati a costruire”. Camminare, pre-gare e costruire.

Siamo fragili, siamo deboli, come dice san Paolo. Dobbiamo avere una giusta misura di noi stessi e avere l’u-miltà di lasciarci aiutare, sia dai confra-telli, sia da persone competenti quan-do ci sentiamo fragili. Ricordiamo che l’amore di Dio è sempre più forte delle nostre fragilità, ma questo amore non arriva calato dall’alto, ma nel gesto o nella parola di un tuo confratello. In modo speciale dai superiori e formatori, con le loro parole, a volte dure ma sem-pre rispettose. I loro consigli e richia-mi hanno un ruolo importante nella soluzione dei conflitti, sia personali sia comunitari. Dobbiamo forse imparare a valorizzarci di più e a valorizzare gli altri.

Cari confratelli, al centro della nostra vocazione c’è la gioia di sentirci amati da Dio, amore dal quale, come ci dice San Paolo “niente ci può separare”, se non lo vogliamo noi. Così che nel nostro linguaggio “clericale” è tempo di sostituire il “dovere di amare” con la “gioia di amare”, il dovere di “seguire Cristo” con la gioia di “seguire Cristo”. Per troppo tempo noi “clero” abbia-mo parlato di un Dio onnipotente ma severo e crudele nel giudicare. Come se

aspettasse l’uomo per vendicarsi delle sue debolezze.

“Il nostro è un Dio compassionevole, grande nell’amore e lento all’ira”. È un Dio che “vuole misericordia e non sacrifi-cio”; di sacrifici ne abbiamo già fin trop-pi. Guardiamo il mondo come va: fame, malattia, guerra, violenze e sofferenze inutili.

Non possiamo permetterci di pre-sentare alla povera gente un’immagine distorta di Dio, come se Lui avesse man-dato Gesù per condannarci. Certo che bene e male non sono la stessa cosa agli occhi di Dio che ha sempre avuto una predilezione per il povero, per l’indigen-te e per tutte le vittime della violenza, dei soprusi e dell’ingiustizia, e ha sempre condannato, anche in modo violento, l’ipocrisia, l’ingiustizia e la corruzione.

Cari confratelli Welby, Charlema-gne e Johnson, in questa prima tappa del vostro viaggio di consacrati a un Dio che è amore, non abbiate paura di cer-carlo, ma cercatelo sempre nell’umiltà e nella sincerità del vostro cuore. Non abbiate paura di cercarlo nei derelitti e bisognosi che troverete nella vostra vita, perché nel loro volto troverete il “vero volto di Dio”.

Un grazie di cuore a chi vi ha aiuta-to, sostenuto e voluto bene nel vostro percorso formativo: ai vostri confratelli, ai vostri superiori e formatori, al vostro maestro p. Denis e al vice maestro p. Pascal.

Un grazie speciale ai vostri famiglia-ri, soprattutto ai genitori che con gioia donano al Signore il frutto più bello del loro amore: i figli.

Che il Signore vi benedica.

P. Joaquim Paulo Cipriano

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PREMIATO UN CAMILLIANO: HA PROTETTO I MUSULMANICENTRAFRICA

?????? ???????? ??????? ??????????Camilliano, è stato insignito del pre-mio Alison Des Forges, accordato da Human Rights Watch, a chi si è distin-to nel difendere i diritti dell’uomo.

Padre Bernard – riferisce l’agenzia Fides – ha offerto protezione e assisten-za a centinaia di musulmani che rischia-

vano di essere uccisi dalle milizia anti-balaka, nella missione di Bossemptélé nel Nord-Ovest della Repubblica Cen-???????????????????????????????????????-gui.

“Abbiamo fatto la scelta di restare nel gennaio 2014 quando la guerra civi-le è scoppiata” ha detto il religioso che ricorda che, in quanto Camilliano, ha fatto voto di soccorre i malati.

La scelta di padre Bernard, del suo confratello Brice Patrick e delle suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino, non è stata però accettata dalle mili-

zie anti-balaka, che hanno proferito minacce di morte nei loro confronti.

“Diverse persone volevano uccide-re i musulmani, visti come nemici. Mi sono opposto con forza. Tutta la mis-sione cattolica si è opposta” racconta padre Bernard.

Il religioso auspica che il premio

conferitogli “serva a far comprendere al mondo intero che in Centrafrica, diver-si preti, diversi cristiani e religiosi han-no protetto i musulmani. Per dire che non si tratta di una guerra confessionale ma politica”.

“Questo premio è un appello alla pace e alla riconciliazione. Invito i miei fratelli centrafricani a unirsi per lavora-re per la pace e lo sviluppo nel nostro Paese”, conclude il religioso.

(R.P.) Radio Vaticana

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UNA GUARDIA D’ONORE PER FRATEL ETTORE

Sabato, a Malavicina di Riverbel-la, verrà costituita l’associazione della “Guardia d’onore al servo di Dio Fra-tel Ettore Boschini”. A dieci anni dalla morte di Fratel Ettore Boschini, religio-so membro dell’Ordine dei Camilliani originario di Roverbella, un gruppo di persone (provenienti da Roverbella, Mantova e Curtatone) andrà a costitu-irne la “ Guardia d ‘ onore “. Ne faran-no parte Don Lionello Carlo De Santi (parroco di Malavicina), Antonella Annibaletti (sindaco di Roverbella), Chiara Marazzoli, Veronica Vicentini, Arianna Vicentini, Genny Ferro, Paolo Panizza, Eva Camatti, Nicoletta Anni-baletti e Marco Bonesi.

La cerimonia avrà luogo sabato alle ore 19.00 presso l’oratorio della Chiesa parrocchiale di S. Francesco a Mala-vicina. L’associazione avrà, tra i suoi

scopi, quello di «far conoscere la figura, le virtù, le idee e gli insegnamenti di Fratel Ettore», e di «compiere opere di bene, morali ed economiche, con possi-bilità di raccogliere e devolvere fondi», come spiegato nell’atto costitutivo. Lo scorso anno la Conferenza episcopale lombarda ha avviato l’istruttoria per la causa di beatificazione di Ettore Boschi-ni, che a partire dai primi anni Settanta si è dedicato all’assistenza dei senzatetto presso la Stazione Centrale di Milano.

Per la giornata del 20 agosto, anniversario della morte del religioso, Chiara Marazzoli organizzerà un pelle-grinaggio in pullman a Seveso, presso Casa Betania, dove Ettore Boschini è sepolto. Lì, nel pomeriggio, si celebrerà la messa in sua memoria.

Fabio Bauce

Seveso, 20 agosto 2014: decimo anniversario della morte di Fr. Ettore Boschini.

Foto ricordo dopo la Concelebrazione Eucaristica presieduta da P. Carlo con Confratelli, con la partecipazione della sorella di Fr. Ettore, dei parenti, dei compaesani del sindaco di Roverbella (MN), Antonella Annibaletti e di tanti amici.

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CENTRO CAMILLIANO DI FORMAZIONECorso di Educazione pastorale clinica

Con settembre, le attività del Cen-tro Camilliano di Formazione, sono riprese dando inizio ad una serie di pro-grammi che si svilupperanno nel cor-so dell’anno sociale. Tra le esperienze formative offerte durante questo mese, il primo posto è stato occupato dal Cor-so intensivo residenziale di Educazione pastorale clinica, che ha avuto luogo dal 1° al 30 settembre. È dal 1983 che il Centro Camilliano di formazione offre questa opportunità di apprendimento, che si sviluppa secondo una metodo-logia elaborata negli Stati Uniti nella metà del secolo scorso.

L’obiettivo generale dell’educa-zione pastorale clinica è la formazione di operator i pastora l i matur i e competenti, capaci di comunicare alle persone l’amore redentivo del Signore, aiutandole a superare creativamente la loro situazione di malattia e di crisi, o ad avanzare nel loro sviluppo umano e spirituale.

Numerosi obiettivi specifici contri-buiscono alla realizzazione dello scopo principale dell’educazione pastorale clinica:

* L’esplorazione responsabile della propria personalità. Essa è necessaria per l’acquisizione o il perfezionamento delle attitudini fondamentali, sia umane che spirituali, che garantiscono l’eserci-zio di un ministero efficace. Ciò che la psicologia ha formulato relativamente all’incidenza della qualità d’essere del terapeuta sull’efficacia della terapia è valido anche nel contesto della relazio-ne pastorale.

* L’acquisizione di un senso d’iden-

tità pastorale soddisfacente. Lo studen-te o il pastore hanno bisogno di situarsi responsabilmente di fronte alla propria scelta, chiarendo la relazione tra il pro-prio essere e le esigenze del ruolo pasto-rale. A nessuno sfugge il fatto che l’au-torità personale e pastorale dipendano grandemente dal senso d’identità che il pastore possiede.

* L’apprendimento della riflessio-ne teologica sulla propria esperienza pastorale. La lettura teologica del-la realtà umana è un processo lento e faticoso, che si apprende partendo dal vissuto personale e da quello degli individui incontrati nell’esercizio del ministero, esaminandolo alla luce della rivelazione, della tradizione, della pra-tica pastorale, delle reazioni personali e della propria spiritualità. Imparare a «fare teologia» partendo dall’esperienza è uno degli obiettivi che l’educazione pastorale clinica privilegia.

* L’appropriazione di tecniche miranti a facilitare l’esercizio del mini-stero pastorale: capacità di ascoltare, di identificare i bisogni dei pazienti e di rispondervi adeguatamente, di fissare obiettivi realistici, d’impostare strate-gie intelligenti nella relazione di aiuto, di comunicare con chiarezza, onestà ed efficacia.

* L’esposizione a differenti metodi di approccio pastorale. Essa permette allo studente e al pastore di scegliere gli elementi più conformi al proprio stile personale, per favorire una preparazione specializzata, adattata ai differenti grup-pi di persone incontrate.

* L’acquisizione di una sufficiente

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capacità di collaborazione interdiscipli-nare, in maniera da rendere rilevante l’apporto della pastorale all’orchestra-zione terapeutica dell’ambiente in cui il ministero è svolto. L’uso intelligente e l’applicazione equilibrata delle scienze umane all’attività pastorale costituisce una risorsa d’inestimabile valore per il pastore.

* L’apprendimento a trasferire con facilità ad altri settori ciò che è stato appreso in un determinato contesto. II tirocinio compiuto in ambiente ospeda-liero, per esempio, permette al pastore di acquisire qualità e abilità che egli potrà utilizzare in una parrocchia o in una scuola.

Questi numerosi obiettivi potreb-bero essere raggiunti con soddisfazione se il Corso avesse la durata di tre mesi, prevista dai regolamenti. In Italia, per motivi di lavoro e di scarsa sensibilità a questa metodologia, la durata di questa esperienza formativa è stata ridotta ad un mese: Ciò comporta un ridimensio-

namento delle attese in modo da con-sentire ai partecipanti di approfittarne il più fruttuosamente possibile.

La metodologia dell’educazione pastorale clinica comporta una parte teorica, svolta nel Centro, e una parte pratica – il tirocinio – svolto nell’Ospe-dale Maggiore di Verona, con la gene-rosa collaborazione dei Cappellani. La fonte maggiore di apprendimento è costituita dall’esperienza, fatta oggetto di attento esame dal supervisore e dal gruppo dei partecipanti, attraverso la stesura dei verbali delle visite e i vari esercizi interattivi.

Quest’anno, il Corso è stato fre-quentato da 7 persone (secondo i rego-lamenti il numero dei partecipanti non dovrebbe essere superiore ai 6): tre giovani religiosi camilliani, un prete diocesano, una suora e una laica appar-tenente ad un Istituto secolare, tornati soddisfatti alle loro rispettive sedi.

P. Angelo Brusco

Santuario Madonna della Verona, Spiazzi (VR)Il gruppo dei partecipanti al Corso, insieme ai formatori.

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QUANDO L’EMOZIONE SCOPPIA NEL CUOREPellegrinaggio a Bucchianico

Dopo un’attesa di lunghi anni, ecco che nei giorni 14–15–16 giugno 2014 si realizza un mio sogno: andare a Buc-chianico per vedere il paese natale di San Camillo de Lellis.

Col gruppo della FCL “Piccolo Gregge”, guidato da P. Carlo Merlo, siamo partiti in 17 con un pullman da 26 posti, cosi c’era spazio anche per la motoretta che tanto mi ha aiutata negli spostamenti.

Prima sosta a Loreto: pranzo e visi-ta della bellissima Chiesa contenente la casa della Madonna. Durante la serata arrivo al Centro di Spiritualità “Nicola D’Onofrio”, che i Padri Camilliani han-no a Bucchianico, un tipico paese abruz-zese arroccato sulla cima di una collina e al centro del quale spicca un’enorme croce rossa contornata da raggi dorati (scopriamo poi che la croce è sulla pare-

te della casa dove San Camillo è nato). Al Centro siamo gli unici ospiti e

ci sentiamo subito a nostro agio, grazie anche all’accoglienza festosa e premu-rosa di P. Vincenzo Castaldo e del suo collaboratore Giovanni. Dopo cena, data la stanchezza del viaggio, riuscia-mo tutti a dormire profondamente e il mattino ci accoglie con un po’ di grigio-re, ma niente ci scoraggia. Col pullman saliamo al paese e qui la motoretta entra

in azione. In piazza ci sono molte perso-ne che chiacchierano tranquillamente e che, contemporaneamente incuriositi dallo strano mezzo, si voltano verso di me. Io, impassibile e divertita, attraver-so la piazza insieme alla mia comitiva. Ecco il Santuario dalla facciata molto

Famiglia Camilliana Laica - f.c.l.

Bucchianico, 14 giugno 2014. Parte del Gruppo ‘Piccolo Gregg’ della FCL ammira il paese natale di San Camillo.

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semplice. Siamo subito attratti da un ingresso adiacente; incuriositi, entriamo e scopriamo un giardinetto molto grazio-so con al centro un pozzo. Qualcuno si attiva per andare a vedere la cripta posta nella parte inferiore del Santuario. Riesco ad entrare con la motoretta. Sono la pri-ma a vedere l’urna con il simulacro di San Camillo. A questo punto non capisco più niente. Scoppio a piangere… come una fontana. I miei amici si domandano cosa stia succedendo e io riesco solo a dire: “è gioia” . Una gioia incontenibile che spriz-za da tutti i pori e che mi impedisce di guardarmi attorno. Il mio sguardo è solo verso l’urna. Ci vuole un po’ per calmar-mi e durante la Santa Messa, celebrata nel Santuario da P. Carlo, pian piano tut-to torna nella normalità.

Arrivata Cristina, la nostra guida, iniziamo la visita presso i luoghi di San Camillo. Percorriamo le stradine tutte lastricate, soffermandoci su alcuni par-ticolari. Ad un certo punto Cristina mi indica una signora: è Antonietta, che è stata alunna della scuola in cui ho lavorato per anni! Ha poi chiamato la sorella Emanuela con la quale da picco-la ha condiviso l’esperienza del collegio a Tradate. Non le vedevo da 40 anni! Ad Emanuela ho consegnato una lette-ra della sua maestra. Baci ed abbracci a non finire, e anche qui gli amici hanno partecipato alla nostra emozione.

La visita guidata è poi continuata alla casa natale di San Camillo (io non l’ho vista perché… ci sono troppi gradi-ni), alla Cripta dove sono stata abbrac-ciata da una suora Camilliana, al museo dove si può ben immaginare come fosse la sanità al tempo di Camillo, fino a con-cludersi con la foto di gruppo davanti al Santuario.

Dopo il pranzo, partenza per Lancia-no, paese del Miracolo Eucaristico. Nella Basilica è conservato un reliquiario con-tenente la Carne e il Sangue di Gesù. Un frate ci ha descritto l’avvenimento straordinario e abbiamo poi recitato il S. Rosario proprio nel luogo dove è avvenu-to il miracolo. Tornati al Centro, a fine cena, abbiamo festeggiato con qualche giorno di anticipo, il 37mo anniversario dell’ordinazione di P. Carlo.

Al mattino seguente un bell’acquaz-zone ci ha dato il buon giorno, ma non ci ha impedito di recarci a Manoppello per vedere il Volto Santo. Siamo rima-sti tutti affascinati dall’esposizione del frate, che oltre ad averci raccontato la storia del telo, ci ha fatto notare la sua trasparenza e i mutamenti che questa icona subisce a secondo della luce che la illumina.

A Chieti Scalo la sosta per il pranzo e poi… via al rientro. Acquazzoni vari si sono alternati a momenti di sereno ma nel pullman l’allegria non è certo man-cata. Il nostro assistente spirituale ci ha coinvolti coi canti accompagnandoci con chitarra e armonica.

Che dire di questa magnifica espe-rienza? È stata il frutto di tanta dispo-nibilità, attenzione e collaborazione da parte di tutto il gruppo, comprese le per-sone che, pur non facendo parte del Pic-colo Gregge, si sono subito ben inserite collaborando e arricchendo tutti. È stato un bel pellegrinaggio per tutti, nell’anno giubilare camilliano. Per me si è aggiun-ta la soddisfazione di veder realizzato un grande sogno, che tenevo nel cuore da una vita! Grazie infinite cari amici!

Ornella Zampini

FCL “Piccolo Gregge”

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PROGRAMMA 2014-2015 DELLA F.C.L. DI VERONA/MARZANA

In occasione del primo incontro del nuovo anno sociale 2014.-2015 del nostro gruppo, che si è svolto mercoledì 24 settembre presso il Centro Camil-liano di Pastorale, è stato presentato il programma delle attività ed incontri che verranno svolti durante l’anno.

La partecipazione all’incontro è sta-ta massiccia e dopo lo scambio di idee e notizie tra le persone intervenute, la Presidente e P. Adriano hanno provve-duto a illustrare più ampiamente sia le tematiche del programma, sia altre ini-ziative rimaste in sospeso nell’attività precedente.

A conclusione dell’incontro con la S. Messa celebrata da P. Adriano Moro, si è deciso di dividere il programma in momenti di spiritualità e in momenti di formazione, a cadenza mensile inter-vallati.

Momento di Spiritualità:- 21 gennaio 2015 “Gesù e il malato mentale” Meditazione su Mt 17 -14 ss - Rela-

tore don Carlo Vinco

- 15 aprile 2015 “Gesù incontra il lebbroso” Meditazione su Mc 1, 40-45 - Rela-

tore P. Camilliano

Momento di Formazione:19 novembre 2014 - “La cura del-

la persona fragile. Il ruolo del singolo e dell’istituzione in una società seco-larizzata. È ancora possibile concilia-re giustizia, rispetto, solidarietà, cari-tà, perché chi ha necessità e diritto di usufruire di servizi li possa ricevere?”. Relatore, Avv. Tomas Chiaramonte, Direttore Residenza “San Giuseppe” - San Martino B.A. (VR)

- 11 Febbraio 2015 “Il guaritore ferito: modello nella relazione con l’altro” Relatrice, Dott.ssa Malaika Rebola-

ti Vice direttrice del C.C.F.

- 20 maggio 2015 “Il carisma di San Camillo illumina e

rende feconda la vita della F.C.L.” Relatore il nuovo Presidente Provinciale della F.C.L.

Orario degli incontri: dalle 15,00 alle 17,30 sempre presso il C.C.F.

Ogni incontro terminerà con un momento conviviale per aumentare la conoscenza e la fraternità delle/degli aderenti al gruppo, autogestito.

Bucchianico: pellegrini della F.C.L. davanti all’Urna del Santo della carità per chi soffre.

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- 13 Giugno 2015 Tradizionale incontro di verifica

annuale della attività svolta. Si terrà a Cà Cunella in Valpolicella.

(Seguirà programma specifico).

Giornate di Ritiro del Gruppo:- 17-19 Ottobre 2014 Casa di Spiritualità di Mottinello di

Rossano Veneto (VI) “Soffrire, perché? Il dolore in Gesù e in San Camillo”.

- 13 Dicembre 2014 Ritiro in preparazione al S. Natale

- 21 Marzo 2015 Ritiro in preparazione alla Santa

Pasqua In date e programmi da stabili-

re, il gruppo parteciperà alla Festa di San Camillo presso le Comunità dei Camilliani di Verona, come negli anni passati, e alla Festa della Madonna del-la Salute.

Dal Messaggio all’Ordine del Capi-tolo Generale Straordinario 2014 é stato inserito nel programma la seguente citazione:

“Insieme con tutti i membri della grande famiglia camilliana, e con tutti coloro che condividono la passione per l’uomo fragile e malato (cfr. Mt 25,36), anche noi – stimolati dagli appelli di papa Francesco – desideriamo qualifi-care sempre di più il nostro coinvolgi-mento nei bisogni dell’uomo sofferente e nelle nuove emergenze sociali.

Rivolgiamo un saluto speciale ai malati, che continuano ad essere per noi “signori e padroni” – come diceva

san Camillo – e a tutti coloro che da sempre – ma sopratutto in modo parti-colare in questi mesi – non hanno smes-so di sostenerci con la loro stima e la loro preghiera”.

A chiusura del programma uno scritto di San Camillo: “ognuno con ogni diligenza possibile si guardi di non trattare i poveri infermi con mali por-tamenti, cioè usando loro male parole, e altre cose simili, ma di trattare con mansuetudine e carità e aver riguar-do alle parole che il Signore ha detto: “Quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me” (Camillo de Lellis).

Famiglia Camilliana Laica

Due mani che si stringono, due sorrisi che fioriscono danno senso al passato e al presente e ci proiettano nel futuro.

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06.03.2009

PADRE ANGELO MARCO ANSELMI(1929 - 2014)

P. Angelo Marco Anselmi nasce a Badia Calavena (Verona) il 7 giugno 1929 da Silvino e Olivia Emilia Piazzola. In casa, papà e mamma provvedono a una solida vita cristiana in un clima familiare di serenità e gioia che rimarrà nell’animo dei figli, caratterizzando le loro personalità. Quando in famiglia si scopre e si conosce la figura di san Camillo, è Candido, fratello di Angelo, maggiore di 12 anni, ad entrare in postulandato per proseguire poi nella vocazione sacerdotale. È ragionevole intu-ire come l’affetto e l’ammirazione per il fratello contribuiscano a preparare l’animo di Angelo alla chiamata del Signore, alla medesima vocazione camilliana. Così, Angelo entra a sua volta in Postulandato a Besana-MI (1941), inizia il Noviziato a S. Giuliano-VR (1946), lo termina con la Professione temporanea (1947) ed emette la Professione solenne a Mottinello-VI (1950) dove, quattro anni più tardi, riceve l’Ordinazione sacerdotale per l’imposizione delle mani di mons. Bortignon (1954). Già negli anni della formazione e degli studi teologici, la facilità e il buon umore con i quali si relaziona mettono in luce le belle qualità che lo renderanno gradevole e apprezzato sia dai confratelli delle Comunità, sia dai malati che incon-trerà nel ministero.

Il primo impegno che gli viene affidato dai Superiori lo vede assistente e inse-gnante nelle case di formazione dei giovani a Besana (1955) e Marchirolo (1958); quindi, seguono gli incarichi di Superiore all’Ospedale di Verona (1963) e all’Ospe-dale di Mestre (1968). Qui lo raggiunge improvvisa e triste la notizia della morte del carissimo fratello, Padre Candido, a seguito di un incidente automobilistico. Padre Angelo ne è scosso, poi comprende che è chiamato a raccogliere l’eredità che Padre Candido gli ha trasmesso nella sua vita breve ma dinamica e a continuare con il medesimo entusiasmo; una costante che porterà a rafforzare il legame di amicizia

Ricordiamo i Nostri MoRi

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tra i famigliari e le nostre comunità, e a favorire la vocazione del nipote, Padre Ivo. Gli incarichi che i Superiori gli affidano proseguono: è Superiore ed Economo

all’Ospedale civile di Mestre-VE ((1971), Superiore all’Ospedale civile di Pado-va (1974) e Superiore all’Ospedale “Cardarelli” di Napoli (1975). Terminato il mandato, ha inizio una nuova esperienza: il Canada (1983). Qui, oltre a svolgere il ministero di Cappellano, Padre Angelo riceve l’incarico di Maestro di Noviziato ed ottiene la “Maitrise” in teologia a Laval. Rientra in Italia per un breve periodo di cure a MI-San Camillo, quindi è Cappellano all’Ospedale civile di Mestre-VE (1986), Cappellano all’Ospedale di Ravenna (1989), Superiore a Cervia-Milano Marittima (1995), Superiore a Ravenna (2001). Al termine del mandato, la sua nuova residenza (che sarà l’ultima) è a Besana, dove aveva iniziato.

La gran parte della vita di Padre Angelo si svolge tra i malati. Con essi si trova a suo agio: li visita di frequente, conversa con amabilità, ricorre anche ad aneddoti o detti arguti che dispongono il malato al colloquio spirituale, alla preghiera, alla pratica dei sacramenti. Nell’ambiente ospedaliero dove svolge il ministero è desi-derato ed ha numerosi amici. Ama celebrare la Messa (e la liturgia in genere) con proprietà e con quel tanto di vigore nella voce e nei tratti che ne sottolinea il valore e dice la sua partecipazione convinta e convincente. Ama la Chiesa ed è sollecito verso la Chiesa locale quando gli viene richiesto di collaborare nella Pastorale della salute della diocesi.

Non dimentichiamo la facile e feconda “vena poetica” grazie alla quale, in Comunità, non c’è santo o festa o ricorrenza che non sia da lui declamata, una poesia in gradevoli versi e rime. Coltiva una singolare passione per il patrimonio storico ed artistico delle città in cui risiede, per la cui visita è sempre disposto ad assumere il ruolo di guida turistica, ben informato, ricco di aneddoti, piacevole nell’esposizione.

Negli ultimi anni che trascorre a Besana la salute peggiora gradualmente e le giornate si fanno più faticose, ma lo spirito è quello di sempre. La carrozzella alla quale è costretto non gli impedisce di partecipare alla Messa quotidiana e di guidare di persona, con santa caparbietà, il rosario degli anziani. Si intrattiene ancora con loro, come può, né manca mai di incoraggiarli. Le condizioni generali peggiorano ancora e richiedono un ricovero presso la Casa di Cura San Pio X di Milano, ma le forze vengono meno.

Padre Angelo Marco Anselmi muore la sera di sabato 19 luglio 2014, un mese dopo il 60mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, qualche giorno dopo il 400mo della morte di san Camillo. Ora vive in Cristo, che ha incontrato nella Chiesa, seguito nella nostra vocazione, servito nei malati e sofferenti.

P. Angelo Marco Anselmi è sepolto nel camposanto dell’Istituto nel Cimitero Maggiore “Musocco” di Milano.

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OMELIA: “LA TUA GIOIA SIA PIENA”

Fratelli e sorelle, quando una persona significativa,

legata a noi da affetto o da amicizia, ci lascia, viene spontaneo ripercorrere momenti della sua vita, soffermandoci su particolari tratti della sua personali-tà. È un modo, questo, per fissare i ricor-di del defunto affinché egli continui a rimanere con noi, lasciandoci in eredità gli aspetti positivi che hanno arricchito la sua vita.

Molti di voi avranno già compiu-to questa operazione nei confronti di P. Angelo Marco Anselmi, affidandosi ai propri ricordi. Il mio intervento si limita ad aggiungere qualche dettaglio attraverso una triplice lettura della sua persona e del suo percorso esistenziale

Cenni cronologiciLa prima lettura è quella cronolo-

gica. Più facile e anche più oggettiva, perché basata sui documenti e sui dati di cronaca, questa lettura ci consente di conoscere la geografia entro la qua-le si è svolta la vita di Padre Angelo Marco. La sua avventura esistenziale

è iniziata a Badia Calavena, un paese situato nella val d’Illasi, in provincia di Verona, il 7 giugno 1929 ed è terminata a Milano, nella Casa di Cura “San Pio X”, il 19 giugno 2014. Durante i suoi 85 anni vita – cifra superiore a quella ipotizzata dal Salmo 89: gli anni dell’uo-mo sono 70 e, per i più robusti 80 – P. Angelo ha compiuto una molteplicità di movimenti geografici nell’Italia del Nord, con due significative puntate, a Napoli prima – dal 1975al 1981 – e poi in Canada nella città di Québec – dal 1981 al 1986. Seguendo le orme del fra-tello P. Candido, morto in un incidente nel 1969, entrò nel seminario di Villa Visconta all’età di 12 anni, superando le varie tappe della formazione religiosa che lo portarono all’ordinazione sacer-dotale, a Mottinello, nel 1954.

P. Angelo ha esercitato il suo mini-stero in due ambiti: la formazione dei seminaristi camilliani a Villa Visconta e a Marchirolo e la pastorale della salute negli ospedali di Verona Borgo Trento, Mestre, Padova, Napoli, Cervia, Raven-na, nella casa di riposo di Besana Brian-za, dove ha trascorso gli ultimi anni, rivestendo, nella maggioranza di queste comunità, il ruolo di superiore. Come ho già ricordato, un intermezzo è costituito dalla sua permanenza in Canada, dove è stato anche maestro dei novizi.

Apertura alla crescitaQuesti dati ci direbbero poco del-

la persona di P. Angelo Marco se non venissero ravvivati dal modo con cui egli ha vissuto queste vicende. Siamo

P. Angelo Anselmi con famigliari confratelli.

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così portati a una seconda lettura, miran-te a cogliere alcuni tratti – solo alcuni – della sua persona.

Nell’operare tale lettura sono con-sapevole di muovermi in un terreno mobile, perché il parlare della perso-nalità di un individuo è molto legato ad interpretazioni soggettive. Quanto dirò è quindi frutto dell’esperienza che mi è stata dato di vivere con p. Ange-lo Marco, in circostanze che chiamerei privilegiate. Nel periodo napoletano, infatti, e soprattutto in quello canade-se, egli ha partecipato a dei lunghi corsi intensivi condotti da me e da altri miei confratelli, corsi nei quali non era solo questione di apprendere dei contenuti ma anche di lavorare con se stessi per una crescita umana e spirituale. Pur avendo già superato i cinquant’anni, egli si è impegnato in modo ammire-vole in questo percorso formativo, aiu-tato da un’intelligenza vivace e guidato dalle parole di Martin Buber: «Sì, ritor-nare a se stessi, abbracciare il proprio cammino personalissimo, perseguir-lo con risolutezza, unificare il proprio essere, creare comunione: tutto questo perché? Ed ecco la risposta: ‘Non per me! Ma per gli altri, per il mondo’». In quelle occasioni, egli non ha esitato a mettersi in discussione, lasciando emergere aspetti, anche non piacevoli, della sua persona, riconciliandosi con essi, notando carenze nel suo modo di esercitare il ministero e prendendo coscienza di risorse che non aveva potu-to utilizzare nel passato. Questo lavoro interiore, unito allo studio della teolo-gia pastorale – ha ottenuto una laurea all’Università Laval di Québec – non ha tolto niente alla sua indole estrover-sa, aperta, portata a rivestire di giocosi-

tà i suoi interventi, alla sua vena napo-letana, come egli la chiamava, che lo portava di tanto in tanto a trasformarsi in menestrello anche nelle corsie dell’o-spedale, a inventare innocue magie per tenere i bambini con il fiato sospeso… Al contrario, tale lavoro interiore ha contribuito a far cadere quell’impressio-ne di superficialità che la gente poteva avere, ad un primo impatto, con la sua persona.

Un racconto dell’amore di DioLe prima e la seconda lettura mostre-

rebbero la loro insufficienza se non fosse-ro corroborate da una terza, cioè da una lettura spirituale della vita e della perso-na di P. Angelo Marco. In questo sono di aiuto i testi del Nuovo Testamento che abbiamo ascoltato. Ambedue ci par-lano dell’amore. San Giovanni illustra l’amore del Signore che, investendo le persone umane, cambia la loro identi-tà, trasformandole in figlie e figli di Dio: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo sia-mo realmente!”. Il senso di queste paro-le è che il vero fine della vita spirituale del cristiano consiste in una progressiva apertura alla presenza e all’azione del Signore, in modo che tutto il suo vissu-to, la sua creatività, i suoi atti e atteg-giamenti ne vengano permeati. Quan-do questo avviene, la vita del credente si trasforma in un racconto dell’amore di Dio creatore e redentore. È quanto indica l’evangelista Matteo, nella pagi-na sublime delle beatitudini, suggerendo che all’amore di Dio corrisponde l’amo-re del prossimo, nelle varie espressioni indicate dal testo evangelico.

In che misura la vita di P. Angelo Marco è stata un racconto dell’amore

Padre Angelo marco Anselmi

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di Dio creatore e redentore? A questo interrogativo solo il Signore può dare una risposta esaustiva. Noi, però, pos-siamo cercare di identificare in che modo egli ha raccontato l’amore di Dio con il suo comportamento. Mi limito a sotto-lineare due tratti.

Innanzitutto, P. Angelo è rimasto fedele alla sua vocazione di consacra-zione a Dio e al sacerdozio. L’esperienza ci dice che la vera fedeltà è creativa, cioè non viene meno anche quando le situazioni cambiano, quando le avver-sità fanno sentire il loro peso, quan-do il dubbio rende inquieto lo spirito, quando la tentazione si fa forte, quando

si può giungere a ferire con il peccato la relazione con il Signore. La fedeltà creativa trova sempre nuovi modi di mantenere fermo il sì pronunciato nel giorno della professione e dell’ordi-nazione sacerdotale. Non ci è dato di sapere con certezza se e in che modo P. Angelo Marco, durante i 60 anni di vita

sacerdotale, celebrati nel giugno scor-so, abbia incontrato momenti difficili, facendo esperienza della sua fragilità. Quello, però, che sappiamo è che se questi momenti vi sono stati, essi non hanno incrinato la sua fedeltà all’alle-anza che il Signore ha stabilito con lui.

In secondo luogo, egli si è impegnato a realizzare le beatitudini, in modo parti-colare la quinta: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). La misericordia, una delle espres-sioni più significative dell’amore, por-ta a piegarsi verso quanti vivono sotto il peso della sofferenza nelle sue varie espressioni: malattia, crisi, conflitti, lut-to… È l’atteggiamento che ha portato il Samaritano a fermarsi per soccorrere, sulla strada che da Gerusalemme scen-de a Gerico, la vittima della violenza. È l’atteggiamento che, più d’ogni altro, ha caratterizzato Gesù, divino samarita-no delle anime e dei corpi, il quale ha affermato: “Misericordia voglio e non sacrificio”. È l’atteggiamento di Camillo de Lellis, capace di vedere nel malato il volto stesso del Cristo. Per gran parte dei suoi anni P. Angelo Marco ha esercita-to il ministero della misericordia e del-la consolazione nei luoghi di cura. Per rendere più efficace il suo servizio agli ammalati, come ho ricordato sopra, ha voluto perfezionarsi attraverso lo studio teologico e pastorale, non dimentican-do l’approfondimento della spiritualità camilliana. A servizio di questo delicato ministero egli ha messo la sua intelligen-za vivace e la ricchezza della sua umani-tà, che gli consentivano di relazionarsi facilmente con la gente e di partecipare alle sofferenze dei malati. Anche se il suo spiccato senso dell’umorismo poteva fare da schermo, egli aveva un animo sensi-

P. Angelo Marco Anselmi con Confratelli e Ospiti in gita alla Madonna del Bosco.

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bile, facile a commuoversi. Una cosa è certa: malgrado gli inevitabili limiti, egli è stato veicolo dell’amore misericordioso del Signore, meritandosi, ora, di essere accolto da Gesù con le parole: “Vieni, benedetto…”.

Dal passato all’avvenire che non avrà termine

Caro Padre Angelo, è piacevole ricordarti per la tua abilità nello snoccio-lare, una dopo l’altra, una lunga serie di facezie, nel saper cogliere con bonomia gli aspetti buffi di esperienze e di perso-ne del passato e del presente, nel creare serena allegria, ma soprattutto è bello e importante trattenere nella memoria ciò che ha fatto di te un sacerdote camillia-no contento della sua vocazione, aman-

te dell’Ordine, dedito ai malati, capace di rispondere a quella nobile tensione interiore che spinge ad andare oltre, fino all’incontro definitivo con Gesù.

Lo sguardo rivolto al tuo passato non deve però esimerci dal considerare con gioia la meta che tu hai raggiunto e che l’apostolo Giovanni così presenta a noi che siamo ancora nell’attesa: “Carissimi, noi già fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è ancora stato rive-lato. Sappiamo, però, che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” (Gv 3,2). Noi – i tuoi famigliari, parenti, confratelli e amici – preghiamo affinché la tua gioia per il traguardo raggiunto, sia piena.

P. Angelo Brusco

Villa Visconta. Coronato dai Confratelli, P. Angelo Marco Anselmi si avvia alla Celebrazione Eucaristica alla Grotta della Madonna di Lourdes per la Festa di San Camillo.

Padre Angelo marco Anselmi

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ADDIO AL PADRE POETA, ANGELO ANSELMI

I Camilliani piangono un uomo di fede. Una passione per le rime e l’arte. Una vita trascorsa negli ospedali, accan-to alle persone in difficoltà (bvl). Una vita dedicata ai malati la sua: «Li visita-va di frequente, conversava con amabi-lità, ricorreva anche ad aneddoti o detti arguti che disponevano i pazienti al col-loquio spirituale, alla preghiera, alla pra-tica dei sacramenti». Arricchita da una fede profonda e da una raffinata passio-ne per la poesia, l’arte e la storia. Sono i camilliani della Visconta a ricordare padre Angelo Marco Anselmi, deceduto sabato scorso a Milano, un mese dopo il 60mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Classe 1929, originario del-la provincia di Verona, in città ha inizia-to e finito il suo percorso spirituale. Era il 1941 quando entrò in Postulandato a Besana e sempre nel capoluogo è tornato al termine del suo mandato in giro per l’Italia ed il Canada, nella residenza San Camillo dove «negli ultimi anni – han-no ricordato i confratelli – la sua salute è peggiorata gradualmente e le giornate si sono fatte più faticose, ma lo spirito era quello di sempre. La carrozzella alla quale era costretto non gli impediva di partecipare alla messa quotidiana e di guidare di persona, con santa caparbie-tà, il rosario degli anziani». Fu l’esempio del fratello maggiore Candido – anche lui camilliano, scomparso tragicamen-te in un incidente automobilistico – a preparare padre Angelo alla chiama-ta del Signore. Sacerdote dal 1954, da subito emerge quel buon umore tanto apprezzato poi dalle persone in diffi-coltà che incontrerà sulla sua strada. Il primo impegno è proprio nel comune, da assistente ed insegnante nella casa

di formazione dei giovani. Seguono poi gli incarichi negli ospedali: a Vero-na, Mestre, Padova, Napoli, Ravenna, Cervia-Milano Marittima. Intervallati da un’esperienza in Canada. «La morte del fratello scosse molto padre Angelo, hanno assicurato dalla Visconta. Com-prese in seguito che era stato chiamato a raccogliere la sua eredità ed a conti-nuare con il medesimo entusiasmo. Una costante che portò a rafforzare il legame di amicizia tra i famigliari e le comunità camilliane, oltre a favorire la vocazione del nipote, padre Ivo». «Non dimenti-chiamo – hanno concluso – la facile e feconda vena poetica grazie alla quale, in Comunità, non c’è stato santo o festa o ricorrenza in cui non abbia declamato una poesia in gradevoli versi e rime. Col-tivava anche una passione per il patri-monio storico ed artistico delle città in cui ha risieduto: assumeva volentieri il ruolo di guida turistica offrendo aned-doti gustosi». Visconta in lutto: Padre Angelo Marco Anselmi, classe 1929, si è spento sabato.

Padre Giuseppe Franchetti 1937 - 2014

P. Angelo Marco Anselmi (a sinistra) con il fratello, P. Candido: sempre attenti lettori della storia, particolarmente quella sanitaria per portarvi il Messaggio di carità di San Camillo.

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06.03.2009

PADRE GIUSEPPE FRANCHETTI(1937 - 2014)

Giuseppe Franchetti nasce il 18 aprile 1937 da Rocco e Margherita Stecco, a Durlo di Crespadoro (VI).

Adagiato sul fianco di un’alta collina, il borgo è abitato da famiglie buone e operose, di antica e salda tradizione cristiana. Ha le caratteristiche del buon terre-no sul quale non è raro che germoglino vocazioni sacerdotali e religiose. Qualche tempo più tardi, in paese appare la croce rossa di un camilliano: è P. Virgilio Grandi. Il Signore si serve di lui per chiamare altri giovani, tra i quali Giuseppe, un bravo ragazzo, socievole, che si distingue fra i compagni per diligenza, schiettezza e viva-cità. A quattordici anni entra in postulandato a Besana-MI (1951), poi percorre con regolarità le tappe della formazione alla vita camilliana: il noviziato (1957) e la professione temporanea (1958) a San Giuliano-VR, la professione solenne a Mottinello-VI (1962), infine l’ordinazione sacerdotale nella Chiesa dell’Ospedale Civile di Verona, presieduta dal vescovo mons. Carraro (25.06.1966).

Il primo anno di ministero, Padre Giuseppe, che per natura era generoso e disponibile alle richieste dei Superiori, lo trascorre in Francia, nella nostra Comu-nità di Niderviller, dove ha modo di seguire i ragazzi dell’Aérium (sanatorio) che vi vengono assistiti e di approfondire allo stesso tempo la conoscenza della lingua. Rientrato in Italia, viene destinato a Mottinello (1967) in qualità di assistente dei postulanti, pur prestandosi a svolgere, all’occorrenza, le periodiche sostituzioni di qualche confratello all’Ospedale civile di Padova. Poiché rivela una spiccata attitu-dine ad occuparsi della manutenzione della Casa e delle necessità della Comunità, gli viene affidato l’incarico di Economo, un servizio che svolgerà anche negli anni successivi. Può così provvedere al rinnovamento della Chiesa, alla ristrutturazio-ne degli edifici e al riordino del parco. Su invito dei Superiori, Padre Giuseppe si trasferisce di volta in volta all’Ospedale di Treviso come Cappellano ed Economo

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(1980), a Rovigo (1983), a Ravenna (1986), a Cremona come Economo della Casa di Cura San Camillo (1989). Al termine di quest’ultimo mandato, il suo aiuto è richiesto presso la Casa Generalizia della Maddalena (1992), dove svolge l’uffi-cio di Economo con la consueta diligenza, sempre attento e cordiale anche con i Confratelli che fanno sosta a Roma. In seguito, lo ritroviamo a Rovigo (1995) e a Treviso (2004), poi a Bologna, nella Comunità che risiede al Rizzoli (2007). C’è chi lo ricorda, in quegli anni, a sera quando ne aveva il tempo, indaffarato fra pentole e fornelli per preparare una buona cena ai Confratelli che tornavano dai reparti. Ma qui a Bologna lo coglie, improvvisa, la malattia: una grave emorragia cerebrale che ne obbliga l’immediato ricovero e lo mantiene in stato di incoscienza (2009). Le cure dei Medici dell’Ospedale Bellaria e le assidue attenzioni dei Confratelli della Comunità creano le condizioni necessarie per il suo trasferimento nel reparto di neurologia del San Camillo di Venezia-Alberoni. La ripresa, pur essendo molto lenta, tuttavia lo riporta gradualmente ad una sufficiente autonomia e a relazioni soddisfacenti, tanto da poter frequentare nuovamente la Comunità e gli ammalati dell’Istituto. Poi, qualche settimana fa, la seconda grave ricaduta che lo conduce alla morte.

Coloro che hanno conosciuto Padre Giuseppe lo ricordano come una persona mite, di animo buono, talvolta vivace e scherzoso, alieno alle comodità e pronto al sacrificio, consapevole dei propri pregi e difetti, sui quali sapeva sorridere bona-riamente. Cappellano fra i malati, era accolto con simpatia per la spontaneità con la quale li intratteneva, li ascoltava, li consigliava, li confortava offrendo loro il suo ministero sacerdotale. Un camilliano, dunque, come piaceva a San Camillo. In Comunità era benvoluto, servizievole, noto per quel suo darsi da fare perché, nei giorni di festa, la mensa fosse innanzitutto – diceva da economo saggio e ponderato – “un luogo di fraternità conviviale”.

La malattia, come accade inevitabilmente, è stata un difficile banco di prova. L’ha affrontata giorno dopo giorno con quella fede che aveva appreso fin da bam-bino, ora vissuta nella partecipazione alle sofferenze di Cristo, nostra aspirazione e nostra meta.

Padre Giuseppe Franchetti ci ha lasciato per la Casa del Padre il giorno 24 luglio 2014.

Nella fiducia che il Signore, la Vergine Santa nostra Regina, San Camillo e i nostri Confratelli defunti lo accoglieranno fra loro, lo affidiamo nella preghiera ricordandolo con affetto, stima e gratitudine.

La salma riposa nel Campo Santo del paese natale, Durlo (VI).

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OMELIA: ANNUNCIAVA LA SPERANZA CON IL SORRISO

L’amicizia, velata da tanta mestizia per l’addio a una persona buona e cara, ci ha convocati nella quiete e serenità delle contrade, dei prati e dei boschi di Durlo. Durlo, terra natale di molti nostri Confratelli e terra tanto cara a tanti Camilliani

I sentimenti più diversi si agita-no nel nostro cuore in burrasca. Sono come il temporale che sta rumoreggian-do e facendo piovere sui nostri monti. Vogliamo trasformarli in ‘vento impe-tuoso’, che squarci le nubi e spinga la ‘bara’ che contiene i resti mortali di P. Giuseppe dalla sponde del tempo all’o-ceano dell’eternità.

La bara è sormontata da una stola sacerdotale, segno del ministero della Parola, del Perdono, della Speranza e della Fede che P. Giuseppe ha esercitato nella sua vita di Sacerdote. ‘Andate ed annunciate il Regno di Dio, il suo per-dono e il suo amore di Padre!’.

È avvolta con la pagina del Vangelo di Matteo, 25, che è stata la sua ban-diera, il suo programma, la sua missio-ne di Camilliano accanto a chi soffre: ‹ero malato e mi avete visitato... venite benedetti!›. Ecco, ora la nostra mestizia si trasforma in speranza cristiana e cele-briamo l’Eucarestia: Cristo che muore e risorge per essere la nostra vita e risur-rezione.

In questo momento, denso di miste-ro, non possiamo eludere un interro-gativo inquietante che si pone nella nostra mente e nel nostro cuore ogni volta che tocchiamo con mano il nostro fallimento, la morte. Ogni vita umana sembra raccolta tra due parentesi, vita e morte. Vita con tutti i suoi sogni di feli-

cità; morte con il suo peso di oscurità.Ed ora? O scivoliamo verso il nul-

la... ed allora sarebbe stato meglio che questo sogno di felicità non fosse esi-stito. Che dio assurdo. Io rifiuto un dio che crea, illude con sogni e delude la creatura!

O il ‹nostro sogno di vita›, proprio ora, nel momento del nostro apparente fallimento, si realizza nella maniera più sconvolgente e splendente: in Cristo Gesù, morto e risorto per noi, Dio ci dona la Vita che non conosce tramon-to: «chi crede in me non vedrà la morte in eterno! Vado a prepararvi un posto e poi tornerò a prendervi perché dove sono Io siate anche voi».

Ora che il nostro cuore è tornato più sereno, ci affacciamo con timore e curiosità sui lunghi e laboriosi anni di vita di P. Giuseppe.

Ecco, ci sembra quasi di aprire uno scrigno segreto per scoprire le cose bel-le, i tesori che sono fioriti nella sua vita sacerdotale e camilliana.

Durlo. P. Giuseppe Franchetti davanti alla Casa paterna con P. Virgilio Grandi, fratello e sorelle.

Padre Giuseppe Franchetti

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Da questa terra generosa e forte (dove sono sorte numerose vocazioni camilliane), ha accolto l’invito di Gesù: «Vieni, ti farò pescatore di uomini!».

Ha percorso con gioia e generosità i lunghi anni della formazione: Visconta, Marchirolo, Mottinello, San Giuliano, Verona...

Ordinato Sacerdote nel 1966, ha fatto della sua vita e delle sue capacità personali un dono alla Chiesa, all’Isti-tuto Camilliano e soprattutto ai malati.

Nei 48 anni del suo servizio è sem-pre stato generosamente a disposizione dei superiori che lo hanno chiamato a vari ministeri:

- in Francia per studiare la lingua e prepararsi alla formazione dei giova-ni;

- Educatore degli studenti nei nostri Seminari;

- Amministratore ed economo in varie Opere Camilliane e nella Casa Gene-ralizia: Treviso, Cremona - Roma;

- Impegnato con generosità e gioia nel servizio Religioso in diversi Ospedali

(ricordiamo Cremona,Treviso, Rovi-go, Bologna): ha sempre portato la speranza di Gesù per chi vive il tem-po difficile della sofferenza con il suo sorriso, la sua amicizia e la sua condi-visione.

- Negli ultimi anni, provato da una lun-ga e subdola malattia, da una malattia capace di intaccare anche i caratteri più forti e sereni, ha vissuto questo tempo come dono al Signore per esse-re in comunione con Gesù Crocifisso e con i suoi tanti cari malati.

Possiamo dire che P. Giuseppe ha trasformato la sua ‘carrozzella’, il suo ‘letto di dolore’ in altare sul quale, come Gesù sulla Croce, offrire il sacrificio gradito a Dio.

Se è vero, ed è vero, che Dio compie i suoi capolavori nel momento del dolo-re e della prova... quale capolavoro ha realizzato anche in P. Giuseppe nei suoi lunghi anni di oscurità e di sofferenza!

Durlo 1966: P. Giuseppe Franchetti e P. Bruno Caliaro con la Banda del paese nel giorno della prima Santa Messa.

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Da questo scrigno di tesori, scoper-ti nella vita di P. Giuseppe, vogliamo cogliere quanto di bello possa arricchire anche la nostra vita cristiana:- una vita fatta ‹dono agli altri›, spe-

cie ai malati, per portare a tutti la speranza di Gesù ed essere sulla stra-da del Vangelo, che porta alla vita che non conosce tramonto;

- la fiducia, la serenità e il sorriso anche nei momenti difficili, perché il Signore ci conosce per nome, ci segue con amore di Padre e Gesù ci è sempre accanto come amico;

- la fortezza incrollabile nell’ora della prova, perché Gesù può trasforma-re ogni nostro dolore, ogni nostra Croce in Albero di Vita, in Alba di Pasqua!C’è stata gran festa in Paradiso l’al-

tro giorno. San Camillo aveva raccol-to tutti i suoi Confratelli per ricordare il 400° del suo Arrivo nella Casa del Padre. A questo coro di Ministri degli Infermi si è unito anche P. Giuseppe, ed ora sarà certamente nella più bella comunità Camilliana del Cielo!

Anche noi lo affidiamo alle grandi e buone mani del Padre nel quale ha spera-to e creduto e per il quale ha fatto dono ai malati della sua vita, perché sia sempre nella sua Luce e nella sua Gloria!

In queste serene notti d’estate, guar-date il cielo trapuntato di stelle che si stende sulle nostre verdi montagna: c’è una stella in più. È P. Giuseppe che ci sorride dal cielo e ci dice che la vita è un dono e va vissuta sempre nella speranza e nella gioia del Signore!

Ai Famigliari, agli Amici e ai Com-paesani di P. Giuseppe, le più sentite partecipazioni al loro dolore e l’augurio che sia sempre illuminato dalla speranza.

Vorrei terminare con uno scritto, che può sembrare poesia ed è invece la speranza del nostro domani, lo splendo-re della nostra fede. Per questo salutia-mo l’amico P. Giuseppe così:- Come da sentieri di luce cadono le

stelle dal firmamento.- Come da arcobaleni di colori cado-

no le foglie dai giardini del cielo.- Come fragile sogno nell’universo cade

ogni uomo che assapora la morte.Ma dopo la notte più oscura, ecco

l’alba più radiosa: c’è Qualcuno che con tenerezza infinita accoglie nelle sue mani chi cade per risorgere.

Caro P. Giuseppe, ci hai lasciati e anche tu sei caduto come foglia d’au-tunno, come stella del cielo, come sole della nostra vita.

Tutta la tua vita è stata un dono a Dio e ai Fratelli che soffrono. Dio ti accolga nelle sue buone e grandi mani e ti doni il premio promesso ai Misericor-diosi: «Venite Benedetti del Padre mio, ricevete...». Il tuo nome sia scritto nel libro della vita. Vivi nella luce del tuo Signore e continua a sorridici dal Cielo!

P. Carlo Vanzo

Durlo (VI) - P. Giuseppe, Fr. Cesare, P. Moretto e parenti di P. Giuseppe.

Padre Giuseppe Franchetti

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IL MIO RICORDO DI P. GIUSEPPE:dai pascoli di Durlo al mondo camilliano della carità

Caro padre Giuseppe,pur con età leggermente diversa

siamo cresciuti nella stessa contrada di via Bruni di Durlo. Una contrada allora molto vivace: contava infatti una qua-rantina di ragazzi ed era divisa in due parti dalla fontana centrale, alla qua-le andavamo ad attingere l’acqua e ad abbeverare il bestiame.

Tu discendevi da una famiglia nume-rosa e benestante per quei tempi, molto conosciuta e accogliente, e noi ragazzi ti conoscevamo come “el Bepi del Roco”. Hai avuto due bravi genitori che ti han-no aiutato a crescere, solido come le roc-ce di Durlo, buono, accogliente e scher-

zoso, pronto alla battuta e con il sorriso contagioso, qualità che hanno contrasse-gnato anche i tuoi anni successivi. Dopo le ore di scuola passavi le tue giornate, come tutti noi, o nei campi o al pascolo con le mucche. Un giorno è passato di lì P. Virgilio Grandi con una vistosa croce rossa e ha fatto subito breccia su di te, su padre Mario Tibaldo suo parente e suc-cessivamente anche su di me.

Hai trascorso un’infanzia serena e

laboriosa nel piccolo paese di Durlo alto 800 metri s.m., “famoso” per le sue pre-giate castagne e marroni, che noi rac-coglievamo anche con il loro riccio, e che costituivano un sostanzioso alimen-to per il lungo inverno. Attualmente il paese, benché si sia spopolato a partire dagli anni sessanta, mantiene comun-que la buona tradizione della pregiata e molto stimata festa delle castagne.

Purtroppo anch’io con la mia fami-glia ho fatto parte dello spopolamento degli anni sessanta. Ho dovuto a malin-cuore emigrare in Lombardia per motivi economici, e questo ha un po’ spezzato quella continuità serena al nostro paese. Inoltre, pur essendo compaesani, termi-nati gli studi non abbiamo mai lavorato nella stessa comunità; ciò nonostante, caro Giuseppe, hai saputo esprimere al meglio le tue qualità di buon religioso come educatore nel seminario, come amministratore in varie nostre comuni-tà e come cappellano, fino a quando la salute te l’ha permesso. Hai sopportato poi con grande dignità e pazienza il lun-go periodo della malattia. Ora riposi nel piccolo e panoramico cimitero del paese.

Se non siamo stati assieme nell’apo-stolato, abbiamo avuto la gioia di vivere assieme tutti gli anni della formazione, l’ordinazione sacerdotale, la prima S. Messa e il 25° di Sacerdozio celebrati con grandi feste al paesello, assieme a P. Benigno religioso francescano. Spe-ravamo di poter celebrare anche il 50mo di sacerdozio, ma il Signore ti ha voluto con Sé nel suo regno di luce e di pace. Grazie P. Giuseppe per aver trascorso molto tempo con noi.

P. Bruno Caliaro

Venezia, San Camillo - P. Giuseppe circondato da P. Arturo, Fr. Luigi e fisioterapiste.

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P. GIUSEPPE: UN CARO AMICO, UN ESEMPLARE CONFRATELLO, UN DEGNO CAMILLIANO

Di P. Giuseppe Franchetti conservo un ricordo di tempi ormai lontani, si può dire, anni luce. Il primo incontro avven-ne nell’estate del 1956 quando, termina-te le scuole medie nel Seminario di Vil-la Visconta in Besana Brianza, ci siamo trovati a Marchirolo, un piccolo paese dell’alto varesotto, vicino al confine sviz-zero, per frequentare il corso ginnasiale.

P. Giuseppe frequentava la classe precedente la mia. L’ho notato subito, non solo perché era biondo, colore raro a quei tempi, ma per la sua grazia e abilità nel gioco del pallone, nostro unico sva-go. Lo chiamavamo Hamrim, famosa ala destra della Fiorentina, perché anche lui era minuto di corporatura e sgusciante nelle volate verso la porta avversaria.

Persona dal carattere mite e gene-roso, era ben voluto da tutti perché ad ognuno dava con naturalezza quello che aveva. Siamo stati assieme fino all’an-no della sua ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1966, poi le nostre strade si sono divise. Rientrato da Nidervil-ler (Francia) P. Giuseppe è chiamato a vari impegni in diverse comunità del-la Provincia: assistente dei Postulanti nel Seminario di Mottinello, economo a Treviso e a Cremona S. Camillo, a Roma nella Casa della Maddalena, a Bologna; cappellano a Treviso, Raven-na, Rovigo e ultimamente a Bologna presso l’Ospedale Rizzoli.

Religioso obbediente, ha sempre accettato gli impegni proposti anche se non sempre confacenti con il carat-tere. Di temperamento posizionato più sul lato della remissività che dell’ag-gressività, qualche volta, confidava, ha dovuto imparare l’arte del “mandar giù”,

piuttosto che creare situazioni che non avrebbero giovato a nessuno.

Nel tempo rimasto a Bologna ha vissuto l’impegno camilliano della visi-ta ai malati con fedeltà e grandissima umanità. Non amava una cultura robo-ante ma viveva le relazioni con una viva empatia. Era amato dalla gente per la sua semplicità, che esprimeva anche nella sua vita spirituale e nelle liturgie in parrocchia. In comunità l’abbiamo apprezzato come valido cuoco, sempre disposto a regalarci un piatto diverso dal menù ospedaliero, ma sia ben chiaro, un piatto in cui non doveva mancare “la regina della cucina”, la cipolla.

Poi un’improvvisa malattia ha stron-cato tutto. Anche nella sofferenza dimo-strava il lato amabile della sua persona talvolta intercalato da momenti istintivi della personalità, in cui vibravano ricor-di sommersi. P. Giuseppe rimane nella mia memoria come un caro amico, un esemplare confratello, un degno camil-liano.

P. Lino Tamanini

Istituto San Camillo di Venezia-Alberoni.P. Giuseppe riceve la ‘pace’ dal Vescovo Mons. Sergio Pintor che ha presieduto la Santa Messa.

Padre Giuseppe Franchetti

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06.03.2009

FRATELCESARE ZAMBARDA(1934 - 2014)

Fr. Cesare nasce il 26 marzo 1934 da Ugo e Mercedes Olivari, a San Felice del Benaco (BS).

All’età di 23 anni entra come postulante a Cremona, dove rimane fino al novi-ziato che inizia a Verona San Giuliano nel 1957 e dove emette la Professione Temporanea il 26 settembre 1958. Da professo rimase due anni a San Giuliano, lavorando sia in ospedale sia in portineria.

Il 13 giugno 1963 emette la Professione Perpetua, sempre a Verona San Giu-liano.

Durante il periodo della professione temporanea è stato a Cervia (1960), è arri-vato per la prima volta a Venezia-Alberoni (1961), poi è andato a Capriate come infermiere (1964), a Cremona (1965) e da qui nello stesso anno, il 28 marzo, è trasferito nuovamente nella comunità di Venezia-Alberoni, che diventerà il luogo dove per quasi 50 anni vivrà la sua consacrazione religiosa al servizio degli ammalati.

Fr. Cesare aveva un carattere particolare che non si dimentica facilmente, ma nonostante ciò era sempre disponibile, pronto a mettersi al serviziodel prossimo; vela-va con questo suo carattere un po’ “burbero” quella generosità che aveva dentro di sè. In reparto è sempre stato attento e impegnato nell’assistenza degli ammalati di cui aveva responsabilità, secondo lo stile camilliano, come una mamma assiste il proprio figlio infermo. Era una persona generosa, attenta ai bisogni altrui, sollecito a mettersi a disposizione; spinto da questa sua “prossimità”, niente lo fermava: pioggia, bora, vento, neve, freddo, niente di tutto questo lo spaventava. Quando un confratello aveva bisogno di qualche cosa, soprattutto di farmaci, egli semplicemente “partiva”.

Questa sua attenzione, questa sua disponibilità, questo suo amore verso i malati e gli anziani è nota a tutti, Anche la società civile gli è stata riconoscente conse-gnandogli due targhe significative.

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Nel 2004 la settima edizione del Premio giornalistico nazionale conferiva a Fr. Cesare Zambarda il premio speciale « Bontà e Solidarietà » per la generosa opera svolta a favore degli ammalati all’Istituto di Cura San Camillo di Alberoni Venezia.

Nel 2005 gli viene consegnata una targa da parte della popolazione del Lido di Venezia quale segno di riconoscenza: « a Fr. Cesare Zambarda, Maratoneta della solidarietà » sia per il servizio come infermiere incaricato degli anziani della Casa di Riposo, sia per l’instancabile recarsi nei momenti liberi da impegni, con il suo fedele motorino, nelle case private degli anziani per prestare loro la propria opera professionale e tanto conforto umano e spirituale.

Fr. Cesare la sera dell’8 novembre 2013 durante la cena, viene colpito da ictus celebrare, che lo ha segnato duramente soprattutto nello spirito. È ricoverato d’urgen-za all’ospedale S. Giovanni e Paolo di Venezia e dopo due settimane viene trasferito nel reparto di neurologia del san Camillo di Venezia. Improvvisamente una forte feb-bre lo ha colpito la mattina del 28 Luglio 2014 e di lì a poco Fr. Cesare ci ha lasciato per ritornare alla casa del Padre.

La salma riposa nel Campo Santo del paese natale, San Felice del Benaco (BS).

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OMELIA: SAN CAMILLO TI PRENDA PER MANO

“In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”. Questi ver-setti del brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato riassumono bene e con chiarezza tutta la storia di fratel Cesare nella sua donazione nel servizio di Cristo attraverso il malato, l’anziano, il biso-gnoso; in tutto quello che ha vissuto e fatto attraverso la sua vita, i suoi gesti, le sue parole nei 50 e passa anni che ha vissuto qui al san Camillo.

In questa Eucarestia vogliamo dare l’ultimo saluto al nostro caro Fratello Cesare, che ha terminato il cammino della sua vita terrena ma inizia ora un nuovo cammino, quello per il quale si è preparato durante tutti i suoi anni: il cammino con Gesù Cristo.

Qui è arrivato tanti anni fa, in que-sta comunità, in questa struttura in que-sto lembo di terra della laguna Veneta dove ha vissuto, ha testimoniato con la sua vita l’amore per gli ammalati, per gli anziani... e da qui il nostro caro Cesare se ne va per tornare a riposare nella sua terra che gli ha dato le origini.

Fratel Cesare nasce a San Felice del Benaco (BS) il 26 marzo 1934 da papà Ugo e da mamma Mercedes. All’età di 23 anni entra come postulante a Cremona dove rimane fino al noviziato, che inizia a Verona San Giuliano nel 1957 e dove emette la Professione Temporanea il 26 settembre 1958. Da professo rimase due anni a San Giuliano lavorando nell’o-spedale e anche come portinaio.

Il 13 giugno 1963 emette la Profes-sione Perpetua sempre a Verona San Giuliano. Durante il periodo della pro-fessione temporanea è stato a Cervia (1960), è arrivato per la prima volta a

Venezia-Alberoni (1961), poi è andato a Capriate come infermiere (1964), a Cre-mona (1965) e da qui nello stesso anno, il 28 marzo, viene trasferito nuovamente nella comunità di Venezia-Alberoni che diventerà il luogo dove per 50 anni vivrà la sua consacrazione religiosa al servizio degli ammalati.

Un vero spirito camilliano che si nota-va soprattutto quando qualche ammalato o anziano veniva trasferito all’Ospedale di Venezia. Lui lo accompagnava sempre con grande sacrificio; conosciamo cosa vuol dire rimanere per ore in pronto soc-corso… e lui lì ad aspettare con il malato il posto di ricovero. E poi il giorno dopo, appena poteva, ritornava in ospedale per assicurarsi delle sue condizioni, e così ogni giorno finché il suo ammalato o anziano ritornava al San Camillo.

Ha amato la sua Comunità, con quell’amore combattivo, da duro ma con un cuore tenero, e questo lo ha fatto sia con il suo esempio nell’essere sempre presente nei momenti di spiritualità, ma anche nei momenti gioiosi. Come dimenticare i tanti atti di squisita gentilezza che ha dimostrato nel rendere più deliziose le feste comunita-rie. Fedele e precisissimo nel suo incarico di sacrestano, che ha sempre svolto con amore, con servizio, con diligenza ed anche con un po’ di sana gelosia. Quando un confratello aveva bisogno di qualche cosa soprattut-to di farmaci, egli semplicemente “par-tiva”: era ben attrezzato ed equipaggiato, si era perfino comprato gli stivali per l’acqua alta, pur di arrivare ad accontentare chi gli aveva chiesto qualche favore.

La sua vita religiosa era semplice, tutta d’un pezzo, sappiamo bene come egli mira-va subito all’essenziale, il resto era secon-dario. Lo si vedeva sovente nella cappelli-

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na, recitava il santo rosario, quasi volesse chiedere alla Madonna, di cui egli era sem-pre stato devoto, che gli stesse vicina e lo aiutasse non solo ad affrontare le sfide della vecchiaia, ma ad essere sempre un persona disponibile verso chi avesse avuto bisogno.

Questa sua attenzione, questa sua disponibilità, questo suo amore verso i malati e gli anziani è nota a tutti.Anche la società civile gli è stata riconoscente consegnandogli due targhe significative.

Nel 2004, la settima edizione del Premio giornalistico nazionale conferiva a Fr. Cesare il premio speciale «Bontà e Solidarietà» per la generosa opera svolta a favore degli ammalati all’Istituto di Cura San Camillo di Alberoni Venezia.

Nel 2005 gli viene consegnata una targa da parte della popolazione del Lido di Venezia quale segno di riconoscenza: «A Fr. Cesare Zambarda, Maratoneta della solidarietà», sia per il servizio come infer-miere incaricato degli anziani della Casa di Riposo, sia per l’instancabile recarsi nei momenti liberi da impegni, con il suo fedele motorino, nelle case private degli anziani per prestare loro la propria opera professionale e tanto conforto umano e spirituale.

Fr. Cesare la sera dell’8 novembre

2013 durante la cena, viene colpito da ictus celebrale che lo ha segnato dura-mente soprattutto nello spirito. È ricove-rato d’urgenza all’ospedale S. Giovanni e Paolo di Venezia e, dopo, viene trasferito da noi dove improvvisamente una for-te febbre lo ha colpito la mattina del 28 luglio 2014. Di lì a poco Fr. Cesare ci ha lasciato per ritornare alla casa del Padre.

Caro fr. Cesare, sei stato un grande in tutto. Non ti diciamo addio, ma arri-vederci in quel Regno dove tu ora ti stai avviando: sì, perché tu ora sei stato chia-mato da Dio a continuare una nuova vita insieme a Lui ed ora noi ti saremo vici-ni con il ricordo, con la preghiera. Che la Vergine Maria alla quale tu eri molto devoto ti copra con il suo manto, che San Camillo ti prenda per mano e insieme ti conducano all’incontro eterno con Dio e con tutti i tuoi cari.

Un grazie a nome della comunità camilliana e dei parenti di Fr. Cesare a tutto lo staff del IIB per la cura e l’atten-zione, nei confronti di fr. Cesare; un grazie anche a tutti quelli che hanno espresso o inviato parole di conforto, manifestando la loro vicinanza per la perdita di fr. Cesa-re. Grazie.

P. Alessandro Viganò

Verona, San Giuliano 1963. Fr. Cesare con parenti ed amici nel giorno della sua Professione Religiosa Solenne.

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IL MIO VIAGGIO VIRTUALE CON FR. CESARE

28 luglio 2014 ore 8,00. Il superio-re, mentre p. Antonio sta per iniziare la santa messa, porta alla Comunità la tri-ste notizia: « Poco fa nel nostro Ospeda-le è morto fr. Cesare, ricordiamolo nelle nostre preghiere».

Subito è balzato alla mia memoria il ricordo di quel lontano 1970, quan-do nello stesso giorno, alla stessa ora ci lasciava p. Giovanni Pellizzari, che fr. Cesare amava e stimava.

Caro Cesare, sono più di cinquant’an-ni che siamo assieme, mi hai lasciato senza nemmeno un saluto. Permettimi almeno di accompagnarti virtualmente in questo tuo ultimo viaggio per incontrare assieme a te qualche confratello, che ha fatto parte della nostra comunità o qualche amico, con cui abbiamo passato momenti gioiosi e poter ancora sorridere.

Allora Cesare, andiamo. Siamo par-titi assieme con lo sguardo puntato sempre in alto, nelle profondità del cie-

lo, mentre lo spazio fisico veniva pro-gressivamente cancellato; ne rimaneva ancora qualche traccia che ci servirà per ricordare le persone che incontrere-mo, e per me a scoprire di essere accolto con la mia natura corporea, e ciò sarà motivo di una attesa trepida e solenne.

Dopo qualche attimo eccoci arri-vati: chiediamo sommessamente il per-messo di entrare, ma nessuno risponde, nessuno si fa vivo. «Parla più forte – insiste fr. Cesare – perché Pietro starà facendo il suo riposino, e poi, Arturo, io non ho tanto tempo da perdere».

Abbi pazienza Cesare, vedrai... Infatti di lì a poco la porta si apre auto-maticamente e noi entriamo.

Adesso Cesare si tratta di trovare il cielo di Giove che è quello degli spiriti giu-sti, e lì ci saranno senz’altro i religiosi e anche i nostri confratelli.

Cremona, Casa di Cura San Camillo 1964. Fr. Cesare con Confratelli.

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Così, assieme entriamo e vediamo subito comparire ai nostri occhi tan-ti nostri confratelli, tutti con la loro bella e fiammante croce rossa, come quella che aveva Cesare sulla veste, ma anche sul mantello dell’Ordine di cui Cesare andava orgoglioso. Tutti salu-tavano fr. Cesare, gli sorridevano e gli davano il benvenuto. Era bello vedere i nostri confratelli gioiosi e felici. Cesare li conosceva tutti. Ad un certo punto però mi disse: “Ho visto avvicinarsi fr. Valentino Vaia, aspetta un attimo che lo saluto, è stato un mio grande amico e socio in tante piccole storie terrene e circostanze accadute nella nostra vita”.

“Ciao Valentino, sono fr. Cesare” e ????????????????????????????????????????i soliti convenevoli ci siamo seduti su un sedile regale tutto abbellito con ori di Ofir.

“Valentino!” prosegue Cesare, “ce l’hai fatta grossa quella volta, quando sei andato a Brescia a prendere la macchina per la proiezione del film agli ammalati e rientrando, vicino a Padova, hai trovato la morte. Ma lasciamo perdere i ricordi tristi, rievochiamo invece qualche pia-cevole storiella che ci fa ancora sorri-dere”.

Io intanto, mentre ascoltavo e pren-devo nota di tutto, chiesi: “Valentino, sovente noi ricordiamo in comunità qualche fatterello che ti è capitato con Cesare. Puoi ricordarne qualcuno?”.

“Sì, mi ricordo, ma è meglio che sia Cesare a raccontare che ha la memo-ria fresca”. “Ci proverò”, disse Cesare. Ricordo quando un pomeriggio siamo ritornati da Milano. Alla stazione cen-trale abbiamo preso il treno all’ultimo minuto, siamo saliti sull’ultima carroz-za senza alcuna preoccupazione. Siamo

arrivati a Verona pensando che dopo qualche minuto il treno sarebbe ripar-tito per Venezia. Ma il treno, sul quale eravamo noi era partito, ma per una diversa direzione: andava a Trento. Ad un certo punto, Valentino, svegliatosi improvvisamente da un breve pisolino, per la frenata del treno, tutto preoccu-pato ha esclamato: Cesare, per andare a Venezia non si vedono le montagne così vicine. Eravamo a Rovereto, ti ricordi? Siamo scesi, abbiamo preso un altro tre-no che ci ha riportati a Verona, e da lì siamo ripartiti per Venezia.

“Cesare, mi sembra di averne senti-ta qualche altra, ancora più bella. Te la ricordi quella di Cison?”.

E subito Valentino: “Sì, sì la ricordo. Da buoni religiosi, un giorno con Cesare abbiamo prenotato un corso di esercizi spirituali a Cison di Valmarino - Trevi-so. Cesare aveva assicurato di conoscere la strada, quale treno prendere, sapeva e conosceva tutto lui. Partiamo dalla sta-zione di Venezia. Mentre Cesare faceva il biglietto mi disse di andare verso il bina-rio morto perché era da lì che doveva partire il treno per Cismon Valsugana. Fischiettando tranquillamente io arrivai al treno. Aspettai Cesare e finalmente partimmo. Ti ricordi Cesare? Arrivati a Cismon (del Grappa) siamo andati in canonica a chiedere al parroco dove si trovasse la casa degli esercizi, e lui cadu-to dalle nuvole: «Benedeti da Dio no ghe se nessuna casa per esercizi qui a Cismon; so che ne esiste una a Cison di Valmarino ma è lontana di qui!». Ave-vamo scambiato Cismon con Cison.

E adesso Cesare?: Telefoniamo a Mottinello, chiediamo che vengano a prenderci e poi domani ci accompagne-ranno a Cison.

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Mentre ascoltavo tutto con attenzio-ne, ecco arrivare anche fratel Frenez Gio-vanni, un altro compagno di merende.

“Sono sicuro che anche tu Giovanni avrai qualche cosa da ricordare e sarà un piacere per noi ascoltarti”. “Certamente, rispose. Per esempio il viaggio ricco di avventure, come quello che abbiamo fatto il giorno in cui siamo andati a Udine. Ma Arturo, guarda che c’erano anche Cesare e Vaia Valentino e son sicuro, che anche loro ricorderanno quanto è avvenuto. Vai avanti tu Cesare e racconta come è andata”.

“Era nostro desiderio andare a trova-re Padre Caruzzi che era in ferie a Rac-chiuso. Eravamo in tre: Valentino Vaia e Giovanni Frenez e il sottoscritto. Vi ricordate? Dal superiore padre Pellizzari abbiamo ottenuto il permesso di pren-dere la macchina, una vecchia 1100 che aveva portato da Milano. Al mattino presto, partenza, Vaia l’autista, Cesa-re il navigatore e Giovanni seduto sul sedile posteriore per regolare l’equilibrio della macchina in modo tale che avesse sempre un assetto stabile, e si spostava a destra o a sinistra, facendo una manovra

contraria alle curve che Vaia affrontava.

A Udine siamo arrivati alle 11.30, visita al Castello che abbiamo ammira-to, mentre Giovanni col cappello d’alpi-no di fr. Zanon, intonava il canto famo-so O ce biel cisciel a Udin e ce biela zoven-tù, poi appagati dalle bellezze friulane abbiamo pensato di non disturbare p. Caruzzi e cercare un modesto ristorante. “Adesso continuo io – irrompe Giovan-ni – Cesare, quale esperto navigatore ci aveva assicurato di conoscere un posti-cino adatto alle nostre possibilità eco-nomiche. Volete proprio saperlo? Ci ha fatti girare per quasi due ore per la città, siamo arrivati a Godia, ma il ristorante non siamo riusciti a trovarlo, era spari-to. E allora: “Fioi, compriamo del pane e un bel pezzo di formaggio emmental e... tranquilli. Per il vino non preoccu-patevi, perché ho portato con me e ho nascosto in macchina un bottiglione di merlot”.

Io ascoltavo con piacere questi ame-ni aneddoti. Però ho visto Cesare molto attento e, un po’ risentito, si sentiva qua-si in colpa per quanto accaduto a Udine. Ad un certo punto, quasi seccato, ricor-dava: “Caro Giovanni, però tu non ricor-di il giorno della festa di San Camillo, alla casa di Riposo dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia. Tutti ti aspettavano per la messa in canto, a tre voci virili, e non sei stato capace di trovare la strada giu-sta per arrivare, e girovagando per calli e campielli per più di un’ora, ritornavi sempre lì da dove eri partito, in piazza san Marco e… addio messa”.

Mi sono accorto che gli animi cominciavano a scaldarsi. Per fortuna ho visto fr. Ettore che voleva avvici-narsi per un saluto. Intanto Giovanni e Valentino se ne erano andati. Fr. Cesa-

Fr. Cesare con fratello e sorelle.

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re, avvicinandosi a me, quasi volesse parlarmi sottovoce, mi diceva: “No, non fermiamoci, anche perché mi sono espresso un po’ pesantemente nei con-fronti di Ettore con il giornalista che è venuto a Venezia ad intervistarmi. Ho detto che fratel Ettore aveva un corag-gio da leone, ma che da incosciente voleva fare tutto quello che gli saltava in mente, non ascoltava mai nessuno. E quando è andato via da Venezia la più bella parola di obbedienza che lui ha pronunciato è stata questa O così o io vado via da Venezia”. Ti par poco? Ma pensa Cesare, replicai, se Ettore fosse rimasto a Venezia non avrebbe fatto tut-to quello che poi ha fatto a Milano. E poi sai che presto si darà inizio al suo processo di beatificazione? – Sì, tutto bene, ma a me non va giù ancora oggi il fatto che Ettore se ne sia andato da Venezia – Ma Cesare, risposi – dobbiamo guardare le cose per quanto possibile nella prospettiva della Provvidenza!

Nel frattempo Ettore si era avvici-nato e sorridendo disse: “Salve amici, come va? Sapete che vi voglio sempre bene?”. Ed io ero profondamente con-vinto che un’anima beata non poteva mentire, essendo sempre vicina a Dio. In quel momento però sentii che qual-cuno mi strattonava leggermente: era Cesare che desiderava proseguire nel suo viaggio, e rivolgendosi a Ettore dis-se: “Grazie Ettore, tutto bene, ma ora dobbiamo andare a salutare altri miei amici del Lido; ma sta tranquillo che io ritorno presto”.

Immediatamente io avvisai Cesare che dovevamo snellire i vari colloqui con gli amici perché il tempo che avevo a disposizione non poteva prolungarsi ancora per tanto.

Con tanta curiosità andavamo cer-cando il settore riservato agli ‘amici’; ed ecco venirci incontro gli amici del Lido e degli Alberoni. A tutti, ed era-no tanti, Cesare aveva fatto del bene e loro desideravano dimostrare la loro riconoscenza.

Tra questi, Cesare, ha intravisto il sig. Costa, un vigile che lo fermava varie volte quando passava con suo motorino e, codice alla mano, trovava sempre qualche cosa da dire, o perché lasciava a casa il libretto di circolazio-ne, o perché andava un po’ più veloce del consentito.

“Possibile, diceva Cesare, tra tan-ti che passano debba fermare sempre e soltanto me?”. “Caro sig. Costa, non andavo a passeggio su e giù per il Lido come fanno altri”. Quel babbuino non sapeva che dovevo recarmi da persone che avevano bisogno di aiuto, che c’e-rano i miei ammalati da poco ricoverati all’ospedale a Venezia e mi aspettavano, che una vecchietta mi attendeva per la puntura che per lei significava speranza di vita, che dovevo poi prelevare i far-maci per i miei confratelli.

Stai tranquillo, Cesare, lo so io quanto bene hai fatto, e l’ho già scritto tutto. Il premio Miramare del Lido e altri prestigiosi attestati stanno a dimostrarlo. So anche quanto hai amato la tua Comunità, sia con il tuo esempio nell’essere sempre presente nei momenti di spiritualità, ma anche nei momenti gioiosi. Quanti atti di squisita gentilezza hai compiuto e dimostrato nel rendere più deliziose le feste dei confratelli. La tua generosità, Cesare non ti consen-tiva di guardare le previsioni del tempo: pioggia, bora, vento, neve, freddo, niente ti fermava, pur di arrivare ad accontentare chi ti aveva chiesto qualche favore.

Padre Cesare Zambarda

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Cesare, ho visto l’immagine molto significativa che tuo nipote ha preparato proprio per testimoniare la tua bontà e solidarietà; una bella croce rossa sospinta dal vento dello Spirito e poche parole che esprimono tutta la tua vita: due mani per servire e un cuore per amare.

Però qualche volta, Cesare, sia-mo sinceri, facevi arrabbiare gli autisti, come quando uscendo dall’ufficio posta-le di Malamocco, prendevi la strada per Alberoni, ma la freccia del tuo motorino rimaneva sempre inserita. Dietro di te una decina di macchine che aspettavano, non proprio con pazienza, che tu cambiassi direzione. Tu invece, sempre diritto e la freccia sempre illuminata proibiva il sor-passo. Finalmente, il San Camillo, ed ecco, disco verde per le macchine in un fra-

stuono di claxon, e... tu tranquillo: N’de tutti a ramengo.

Tra i tanti amici che Cesare stava salutando abbiamo notato in lontanaza anche Ugo della colonia. “Arturo! Guar-da quello lì in fondo deve essere Ugo, un nostro grande amico, dobbiamo salutar-lo e ringraziarlo. Era un uomo di poche parole ma di una grande generosità e di una squisita ospitalità. Ti ricordi quanti religiosi camilliani sono passati per la sua casetta presso la colonia di Padova e tutti si sentivano come a casa pro-pria. Una bella amicizia che ricordiamo. Ciao Ugo e grazie. Adesso, Arturo, per-mettimi di andare a salutare i miei cari genitori le mie sorelle i miei parenti”.

“Cesare, non posso aspettarti, perché il tempo concessomi sta per scadere. Ti rac-comando, ritorna presso i nostri religiosi e salutameli tutti, in particolare fr. Ettore e tu sai il perché. Io rientrando, ti saluterò ancora i confratelli della Comunità ai quali hai voluto sempre bene, e loro sono sicuro ti ricordano con tanta riconoscenza”.

“Grazie, Arturo per avermi virtual-mente accompagnato in questo mio viaggio, per aver voluto rievocare con me momenti felici della mia vita. Dopo la visita ai miei parenti mi preparerò al grande incontro. Sono certo, che sarò accompagnato dalla Madonna del Car-melo di cui ero tanto devoto, dal nostro santo padre Camillo e da una schiera di ammalati e anziani che mi aspettano per farmi festa... ciao! e salutami tutti!”.

“Ciao Cesare, ricordati di noi!”.In questo momento, abbassando gli

occhi, ho scoperto lontana e meschina nella sua piccolezza, la terra da cui ero partito e dove tra poco sarei ritornato.

P. Arturo Tait

Fr. Cesare in pellegrinaggio a Lourdes conduce P. Emilio Stenico in carrozzina.

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ZAMBARDA MI MANCA

Un giorno un confratello di Fr. Cesare mi disse: guarda che uomini cosi non ne fanno più.

In questi vent’anni ho capito che è proprio cosi: persone come Fratel Cesa-re Zambarda è raro e prezioso averle conosciute. All’apparenza burbero, sot-to sotto ti donava tutto il cuore.

San Camillo - Lido/Venezia. Per 50 anni Fr. Cesare ha corso a piedi o in motorino sulle strade del Lido per ser-vire i malati. Ora, negli ultimi, sofferti anni della sua vita, gira nel parco su una carrozzina. Gli amici gli sono accanto.

Sempre pronto ad aiutarti quando avevi bisogno, brontolando ma facen-dosi in quattro. Sempre di corsa con il suo motorino, sfidando le intemperie, portava a termine i propri compiti e molto di più. Mancano gli scappellot-

ti che arrivavano all’improvviso, che in realtà erano carezze di benevolenza date da una mano pesante. Manca il suo vero interesse per gli amici, per le nostre famiglie. Manca la sua generosi-tà; mancherà un fondamentale tassello che facilitava la sensazione di lavora-re in una grande famiglia. Lo voglio ricordare cosi: quando preparava i suoi intrugli e le sue specialità culinarie; quando arrivava con la merenda ed il suo immancabile salame, a volte tanto stagionato da sembrare una mummia egizia, il parampamboli, i canederli, bagnati dal suo Lugana.

Mancherà immensamente.

Paolo A. (a nome di quanti

lo hanno conosciuto)

Padre Cesare Zambarda

San Camillo Lido/Venezia. Fr. Cesare Zambarda e P. Giuseppe Franchetti, sereni anche nei giorni

della prova perché seguiti da Operatori competenti ed attenti.

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06.03.2009

PADRECHIAFFREDO PEYRONA(1931 - 2014)

Padre Chiaffredo Peyrona è nato a Venasca (Cn) il 4 marzo 1931. È entrato in noviziato il 7 aprile 1951. Ha emesso la professione temporanea l’8 dicembre 1952. L’8 dicembre 1955 ha emesso la professione solenne. Il 22 marzo 1959 viene ordinato sacerdote.

Ha vissuto molti anni nella nostra casa di Imperia, alcuni a Borghetto Santo Spirito (Sv).

Cappellano all’ospedale di Imperia e delle suore Ranisse, animatore del gruppo sportivo giovani, rettore della chiesa Villa Immacolata.

Nel periodo trascorso a Borghetto Santo Spirito fu insegnante di italiano e di scienze. Quando la casa di Borghetto fu chiusa ritornò ad Imperia.

Il 24 luglio 1995 viene trasferito a Torino nella comunità di Villa Lellia. Qui si interessa della rivista Camilliani e delle Edizioni Camilliane. Partecipa con la signora Oggioni ai convegni di pastorale sanitaria.

Nel 2001 padre Chiaffredo ritorna nella sua amata Imperia fino a quando una rovinosa caduta lo costringe ad un intervento chirurgico non riuscito, che lo lascerà inabile.

Lascerà l’ospedale di Imperia dove era stato operato per essere ricoverato al Presidio Sanitario san Camillo di Torino.

Il 19 settembre 2013 il consiglio Provinciale formalizza il trasferimento da Imperia a Torino Villa Lellia.

Nel 2014 viene ricoverato diverse volte all’ospedale Gradenigo per disturbi intestinali.

Il 21 agosto del 2014 alle 13.55 padre Chiaffredo, dopo anni di sofferenze, è ritornato alla Casa del Padre.

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OMELIA: UNA VITA SOFFERTA, MA ILLUMINATA DALLA FEDE

Isaia ci presenta la fine dei tempi con Dio che prepara un banchetto per tutti i popoli; qui vediamo l’universalità della salvezza – dagli ebrei all’umanità – umanità coperta da un velo; in que-sto velo troviamo l’incapacità di vivere la giustizia, incapacità di vivere l’amo-re, incapacità di vivere il perdono e la misericordia.

Eliminerà la morte che ci fa paura, che ci fa sentire deboli, che ci fa cercare tante sicurezze, che ci fa pensare all’al-dilà con paura e incertezza.

Eliminando la morte, Dio ci ridà la vita, ci ridà la dignità perduta: tut-to diventerà limpido, tutto diventerà chiaro, ci renderemo conto di che cosa significa essere figli dello stesso Padre che non ha preferenze fra le persone.

Ci renderemo conto, solo allora, che abbiamo come Padre un Dio “che non guarda le apparenze ma il cuore”. Allora e solo allora, perché la nostra

fragilità non ci permette di vedere Dio e rimanere in vita (Mosè davanti a Dio si toglie i sandali, ma soprattutto “si copre il volto”).

Ma questo Dio terribile, onnipo-tente e pieno di gloria è anche un Dio compassionevole, pieno di misericordia e lento all’ira.

È un Dio (salmo 12) che siede in alto, sopra l’universo e che si china a guardare in basso sulla terra per togliere il povero dalla miseria e l’indigente dal fango. Ecco chi è il nostro Dio, che a forza di chinarsi gli sarà venuto il mal di testa e di schiena. Non abbiamo paura di cercarlo e di andargli incontro, per-ché Lui ci sta già cercando.

Rallegriamoci ed esultiamo per la nostra salvezza. Nasce dal Suo amore fedele e gratuito non dai nostri meriti.

P. Chiaffredo Peyrona festeggiato dalla sua Comunità ad Imperia.

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Caro P. Chiaffredo, sono sicuro che hai sperimentato lungo la tua vita que-sto amore e questa fedeltà, che hai spe-rimentato lungo la tua “povera” vita, perché piena di sofferenze e sacrifici, questa compassione e questa misericor-dia di Dio nei tuoi confronti, se no non avresti avuto la forza e il coraggio o la capacità di annunciare questo Dio che è il Dio di Gesù, il Padre, ai tuoi fratelli e sorelle sofferenti.

Sembrava che quanto più soffrivi più trovavi la forza per andare incontro agli altri e portare sollievo con delica-tezza, dolcezza e rispetto. Hai annun-ciato Dio (S. Paolo) con dolcezza, con rispetto, con retta coscienza. La soffe-renza ci fa riflettere sul mistero della vita. La tua sofferenza è stata per noi motivo di riflessione. La tua, credo, è stata una vita sofferta, ma illuminata

dalla fede in un Dio che ama e che amando perdona, e perdonando dona forza e capacità di sopportazione.

Da te non abbiamo mai sentito un lamento e questo ci fa riflettere.

Permettimi di usare nei tuoi con-fronti alcune parole usate nei confron-ti di Gesù: “Dalla sofferenza che patì imparò l’obbedienza”.

La tua è stata una vita piena. Lo constatiamo dall’entusiasmo e dalla

passione che mettevi quando parlavi di Dio, ricordiamo ancora l’eco delle tue parole in quel chiostro di Imperia durante le tue Omelie.

Ricordiamo bene il modo in cui par-lavi dei malati che seguivi sia all’ospe-dale, sia nelle famiglie. Quando parlavi di loro, usavi parole piene di compassio-ne e di tristezza per il loro dolore, come se volessi caricarti al posto loro della loro sofferenza.

Hai sempre avuto una mentalità aperta e un cuore grande, parole chiare,

Imperia. P. Chiuaffredo Peyrona con Volontari e Disabili del Gruppo Amici di San Camillo.

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Padre Chiaffredo Peyrona

alle volte dure, ma mai dette con rancore o odio. Nella tua vita c’era sempre posto per tutti (vecchi, adulti e bambini), per tutte le attività (sport) che aiutassero a ridare dignità e valore alla vita:??? ????????????????????????????????????-

volo, etc.)??? ?????????????????????? ?????????????????????????????????? ??????????????????????????????????

formatori) senza dimenticare le Edi-zioni Camilliane.

Per quelli che ti hanno conosciuto, che ti hanno avuto come prete, o che ti sono passati “sotto le mani” – semina-risti – sei rimasto sempre un punto fisso di riferimento, che aiutava a superare le difficoltà della vita e a guardare oltre, con speranza e fiducia.

Come si fa a dimenticare P. Peyrona quando c’era sempre un sorriso nella sua accoglienza e una voglia di scherzare, con certe pacche sulle spalle e certe strette di mano che ti stritolavano le ossa? Hai vissuto sempre, seppur nella sofferenza, con grande serenità e bontà d’animo e di questo ti ringraziamo.

Caro P. Chiaffredo, anche se sei nato a Vernasca nel cuneese, Imperia è stata la tua “patria”, a quella gente ti sei donato anima e corpo; e la presenza qui di tanti imperiesi dimostra quanto eri importante per loro e quanta bontà hai lasciato nel loro cuore.

Un grazie speciale a Lucia, tua sorel-la, che non ti ha mai “mollato”, abban-donato nei momenti difficili della malat-tia; con te ha condiviso ore amare di dolore e sofferenza e questa condivisione ti ha alleggerito le pene. Grazie Lucia.

Un grazie particolare a Filomena e Marco Dulbecco.

Caro P. Chiaffredo, eri un Sacerdote Camilliano consacrato nel nostro Ordi-ne per un servizio totale agli infermi e ai poveri. Hai vissuto la tua consacra-zione con passione e dedizione, dando precedenza sempre ai più bisognosi. Lasci nella nostra Provincia religiosa un segno tangibile e un vuoto incolmabile. Il ricordo della vita di religioso consa-crato e la dedizione della tua persona agli ultimi ci sarà di esempio e ci aiu-terà a guardare al futuro con speranza, in questo momento tormentato della Chiesa, in modo particolare per quanto riguarda la vita religiosa e consacrata.

Il Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci presenta il giudizio finale. In Matteo il Signore si identifica con gli ultimi, con quelli che hanno fame, sete, bisogno di giustizia.

E tu negli ultimi hai trovato il vol-to di Dio, ci hai insegnato ad aspettare il giudizio, più con gioia e fiducia che con paura. La tua casa, la tua vita erano aperte a loro; come bravo camilliano hai percorso chilometri nelle corsie di quell’ospedale, portando sollievo e spe-ranza a migliaia e migliaia di malati.

E quando il Signore ti chiamerà per “ricevere in eredità il regno”, sarai accolto da una folla immensa, quelli che sono partiti prima di te e che hai servito con dolcezza, rispetto e retta coscienza.

Nella tua vita di Sacerdote e reli-gioso, il valore della persona ha sempre avuto la meglio sugli interessi privati o materiali. Non ti ho mai visto al lavoro come cappellano, ma per sentito dire – e voi potete testimoniare – con la tua voce, le tue parole e con il tuo sguardo di compassione, portavi ai malati un filo di speranza che manteneva accesa nella loro vita il lume della fede.

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Come bravo figlio di San Camillo hai saputo cogliere nel volto dell’uo-mo sofferente, e tante volte distrutto, il volto del Signore e hai saputo, come ci diceva il nostro San Camillo, trattare il malato come se tu, P. Peyrona, fossi proprio il Cristo ad avere cura di lui. Noi ti ringraziamo per questo esempio che rimarrà nella nostra memoria.

Sei stato grande P. Peyrona! Già che sei lì, dico “lì” perché non sei più schia-vo del tempo, perché mille anni per il Signore sono come il giorno di ieri che è passato – volevo dire: quando sentirai la voce del Signore “venite benedet-ti del Padre mio”, quando lo sentirai, intercedi per noi, digli che non tenga conto della nostra incapacità di amare, di perdonare e di essere compassione-voli, intercedi per noi tuoi confratelli. Digli che non tenga conto se il più delle volte abbiamo difeso le nostre opere, le nostre strutture e abbiamo dimenti-cato il Suo regno con i Suoi prediletti, i poveri, i malati, insomma gli ultimi, quelli coi quali il Signore si identifica. Digli che non tenga conto del fatto che non abbiamo saputo trovare il Suo vol-

to in questi miseri. Digli che non tenga conto se per caso siamo rimasti freddi e impassibili dinanzi al dolore e alla disperazione dei nostri simili, se siamo rimasti inamovibili con la paura di sba-gliare o di essere criticati.

Come dice Papa Francesco “È pre-feribile una Chiesa criticata per aver sbagliato a una Chiesa che non faccia niente per paura della critica”.

Chiedi al Signore che non tenga conto se troppe volte siamo rimasti fer-mi, se troppe volte abbiamo (come cre-denti e come consacrati) scambiato la logica del Regno con la logica del mon-do, se abbiamo scambiato la gratuità dell’amore con certi interessi economi-ci e certi giochi di potere, mettendo le cose prima delle persone, dimenticando la loro miseria e la loro dignità perduta.

Sappiamo che il Signore non ter-rà conto dei nostri limiti, delle nostre debolezze, se no chi si salverebbe? Ma tu ricordaglielo lo stesso.

Grazie Padre Peyrona.Sia lodato Gesù Cristo.

P. Joaquim Paulo Cipriano

Imperia 2003 - Il Superiore Provinciale, P. Antonio Menegon benedice la nuoca sede per l’accoglienza e assistenza diurna di disabili ed anziani, valuta ed amata da P. Chiaffredo.

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Padre Chiaffredo Peyrona

PADRE CHIAFFREDO: UN RICORDO DAL MONDO DELLO SPORT

Ho conosciuto padre Chiaffredo Peyrona nel lontano 1968, presso la vecchia sede del Con idi via Parini ad Imperia e, da quell’incontro, abbiamo avuto successivamente l’occasione di passare diverse ore assieme. Quel giorno è iniziato un lungo e proficuo rapporto di reciproca collaborazione nel mondo della promozione sportiva giovanile.

Come sacerdote, padre Peyrona aveva scelto la propria vocazione nella Congregazione fondata da San Camil-lo De Lellis: un militare, anzi un uffi-ciale come Sant’Ignazio di Loyola, che aveva indicato ai suoi figli spirituali la missione di assistere i feriti e i malati. E fu come cappellano dell’Ospedale di Imperia che padre Peyrona venne tra noi a metà degli anni ‘60. Egli però non poteva, data la formazione propria dell’ambiente di origine, limitare la sua visione della malattia a quelle dell’indi-viduo: c’erano anche i mali che affligge-vano il corpo sociale, e questa coscienza lo spinse ad assistere i giovani, nel suo convento già dei Cappuccini, per evita-re che si perdessero.

Lo sport fu il più importante degli strumenti cui fece ricorso, offrendo ai ragazzi del rione di Castelvecchio l’or-goglio di una scelta di sport e di vita, di un primato da conquistare. Viveva in lui lo spirito oratoriano che era stato di don Bosco, ma ancora prima di San Filippo Neri, il Santo del popolo minu-to, predicatore e confessore e prima confortatore di ammalati.

A fine anni ‘60 venne chiamato da Roma per assumere la carica di delega-to provinciale della federazione palla-mano. Una disciplina sportiva nuova e

ancora poco conosciuta. Egli, con impe-gno, costituì una società sportiva con la denominazione di Us San Camillo, cui aderirono subito tantissimi giovani.

Oggi il sodalizio continua la sua attività, militando nei campionati nazionali.

Padre Peyrona divulgò questa disci-plina sportiva in tutta la nostra provin-cia, dapprima a Bordighera e successi-vamente a Ventimiglia.

Lo hanno affiancato, successiva-mente in questa sua missione sportiva, persone oneste, capaci e competenti. Basta ricordare i nomi del Prof Franco Gorlero (Associazione Tiro Arco San Camillo), il compianto Fulvio Motos-so (Atletica San Camillo) e Giovanni Martini, assumendo nella presidenza del sodalizio San Camillo nei settori della pallamano appassionati dirigenti, che hanno sempre avuto la schiena diritta, mai derogato ai loro principi, per con-durre al meglio lo sport «Camilliano» e per perseverare negli insegnamenti di Padre Peyrona.

Il Coni ha conferito a Padre Peyro-na la «Stella al Merito Sportivo» per il suo insegnamento profuso in tanti anni a favore dello sport, ma in particolare per quel benefico dialogo tenuto con atleti e dirigenti: lo affrontava sempre con la massima disponibilità, a con-ferma di un vivo interesse umano che, soprattutto a certi livelli, è assai raro.

Grazie Padre Peyrona: te lo espri-mono tanti dirigenti, tanti giovani atle-ti ai quali ben volentieri mi associo con forte commozione.

Ivo Bensa

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PADRE CHIAFFREDO, MINISTRO DEGLI INFERMI

Ascoltare gli amici che hanno conosciuto più da vicino Padre Peyro-na, ricordare i tanti incontri e la sua missione come Cappellano nell’ospeda-le di Imperia e leggere gli scritti che S. Camillo nel 1584, con semplicità, redi-geva per i suoi primi seguaci è un “tutt’u-no”, perché Padre Chiaffredo, agli occhi di tutti, ha fatto suo, nel modo più vero e autentico, quanto S. Camillo ha pro-posto poco meno di 500 anni fa: pover-tà, castità, obbedienza e servizio agli infermi, fino al dono della vita, nella maggiore libertà, discrezione, modestia e misericordia. Associazione Volontari Ospedalieri, Amici di S. Camillo, Medi-

ci Cattolici sono alcune delle iniziative che P. Chiaffredo ha sviluppato, e che tutt’ora persistono, per coinvolgere i laici affinché gli infermi fossero serviti come S. Camillo desiderava

“Innamorato” di San Camillo, con sorriso, generosità e ottimismo serviva lui stesso, sempre disponibile, e trasci-nava, con passione, chi gli stava vicino e a chi, per servizio ai malati, giungeva in ritardo alle funzioni religiose ricor-dava che “l’azione verso un malato è messa” perché è Gesù stesso che si serve.

L’obbedienza lo portò, con soffe-renza, per un certo tempo a Torino a dirigere le “Edizioni Camilliane” e quel

P. PEYRONA, UN VERO AMICO E UN GRANDE CONSIGLIERE

Ho trascorso con Padre Peyrona sei anni molto belli. È arrivato a Torino dopo tanti anni trascorsi ad Imperia (il suo paradiso) a dirigere la Casa Editrice Edizioni Camilliane. Credo non fosse molto contento di questo cambiamen-to, ma da buon religioso ha ubbidito. Con il Padre ho trascorso parecchi anni di lavoro, che in un primo tempo erano di grande collaborazione per poi trasfor-marsi in una sincera amicizia.

Ho viaggiato parecchio con lui in tutta Italia, per presenziare ai numerosi convegni con l’esposizione dei libri edi-ti dalle Edizioni Camilliane; era sempre disponibile a condividere con me anche i lavori più umili, mi diceva sempre “vedi Mariella, mi sento bene dietro questo ban-chetto, per me è un autentico apostolato: insegnare, con i nostri libri, è come prender-si cura dei malati e come aiutare le famiglie

in questo triste momento della sofferenza”.Era gioioso quando spiegava il con-

tenuto dei libri ed il valore degli argo-menti trattati.

Per tutti gli anni che ha trascorso a Torino, lo accompagnavo alla stazione ogni venerdì pomeriggio per andarlo a riprendere il lunedì mattina: voleva tra-scorrere il fine settimana vicino ai suoi fedeli, celebrare la Santa Messa nella sua chiesa, dove poteva così continuare il suo ministero di sacerdote.

Per me P. Chiaffredo oltre ad essere un vero amico era anche un grande consi-gliere, d’impareggiabile valore. Non potrò mai dimenticare le sue straordinarie qua-lità intellettuali e umane, è stato sicura-mente, (credo non solo per me) un gran-de maestro di vita. Grazie Padre Peyrona, sarai sempre nel mio cuore.

Mariella

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periodo divenne, anch’esso, occasione per sviluppare temi di pastorale sanita-ria attenti, costantemente, alla persona malata. In quegli anni, comunque, non abbandonò Imperia rientrando ogni fine settimana per la sua comunità. La povertà e la castità, segni di una rela-zione pura con le cose e le persone, le ha vissute con energia e determinazio-ne perché il voto di servire gli infermi, anche a rischio della vita, fosse priori-tario.

Ha testimoniato e proclamato la centralità della misericordia che, spiega-va, volere essere la presenza del “misero nel cuore di Dio”, aprendo casa e cuore a poveri, malati e bisognosi.

A noi “medici cattolici” presentava con costanza la figura di S. Luca, autore del Vangelo della Misericordia e pittore della Madonna, perché ci facesse da gui-da e protettore nella sequela di Cristo. Con attenzione alle necessità sociali, oltre a quelle individuali, si è adoperato per la crescita dei giovani attraverso lo sport, l’educazione e l’insegnamento, e per lo sviluppo del quartiere e della cit-tà ha promosso diversi servizi cresciuti attorno alla struttura dell’Istituto San Camillo ed è stato cappellano dell’Isti-tuto Ranixe.

Manifestava la sua determinazione, nella dolcezza, attraverso una vigorosa stretta di mano che costringeva, chi lo avvicinava, a riconoscere quanto la chiamata di Dio al servizio degli infermi fosse vincolante, non lasciasse alternati-ve e richiedesse forza, anche fisica.

“Per prima cosa ognuno di noi chie-da la grazia di un affetto materno verso il suo prossimo, così che possiamo servirlo con ogni carità tanto nell’anima come nel corpo. Infatti con la grazia di Dio deside-riamo servire tutti gli infermi con quell’af-fetto che una madre amorevole suole avere verso il suo unico figliolo infermo”.

Padre Chiaffredo dopo avere appli-cato, in vita, ogni parola di queste pri-me disposizioni camilliane, oggi, ne sono certo, prega il Padre perché “ispi-rati dal Signore” in molti “ora senza fare voti”, ma “lasciando operare liberamen-te la grazia dello Spirito Santo” sappiano osservare “povertà, castità, obbedienza e servizio degli infermi”.

Ne abbiamo bisogno!

Carlo Amoretti

P. Chiaffredo Peyrona riceve la targa di benemerenza per il suo sostegno e per la sua presenza di amico e padre nel mondo sportivio di Imperia.

Padre Chiaffredo Peyrona

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06.03.2009

PADREFLORIANO CASTELLI(1930 - 2014)

Padre Floriano Castelli di Mario e Rosmina Ferraris, nasce a Casale Monferrato (AL), il 30 marzo del 1930.

Il 7 ottobre del 1941 entra nell’Ordine come aspirante.Il 7 dicembre del 1945 incomincia il noviziato a Villa Lellia.L’ 8 dicembre del 1946 emette la professione temporanea e continua gli studi a

Villa Lellia. Il 24 aprile del 1951 è ammesso alla professione solenne.Nel mese di settembre 1947 viene trasferito a Verona san Giuliano per gli studi.Il 15 settembre 1950 si reca a Tournai (Belgio) per gli studi di teologia.Nel 1951 ritorna in Provincia nella casa di Casale Monferrato.Il 29 giugno del 1954 il diacono Floriano viene ordinato sacerdote per le mani

del vescovo di Casale Monferrato Giuseppe Angrisani. Nel mese di Luglio parte per Imperia.

Nel settembre del 1957 è trasferito nella casa di Torino Villa Lellia, ma nel mese di ottobre viene trasferito nella casa di Imperia. Nel maggio del 1960 ritorna a Torino Villa Lellia, dove trascorrerà tutti gli anni della sua vita.

Padre Floriano è stato diverse volte Economo provinciale, consigliere provin-ciale e dal 1960 al 2012 economo locale di Villa Lellia. Padre Castelli ha amato la Provincia, la casa Villa Lellia ed ha speso tutta la sua vita per esse.

Padre Floriano ha seguito i diversi lavori di adeguamento alle normative di legge della casa di cura san Camillo, prima sanatorio per adolescenti, poi casa di cura polispecialistica ed infine divenuta Presidio Sanitario mono specialistico per la riabilitazione.

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La casa di cura san Camillo dal 1960 ha subìto diversi cambiamenti strutturali ed ampliamenti.

Padre Floriano ha seguito sempre con passione, competenza e sacrifi cio i lavori edili ed impiantistici dell’edifi cio. Ha dimostrato capacità ed esperienza nel settore economico ed amministrativo.

Persona umile, discreta, molto umana, disponibile, di poche parole, apparente-mente poco socievole, in realtà padre Floriano è stato una persona sensibile, tenera ed accogliente.

Alle 16.30 di mercoledì 17 settembre 2014 padre Floriano ha lasciato il suo corpo mortale per ritornare alla Casa del Padre.

I funerali avranno luogo a Torino presso la cappella del Presidio Sanitario San Camillo (Villa Lellia), Sabato 20 Settembre alle ore 10.00.

Ora riposa nella tomba dell’Istituto Camilliano, nel cimitero di Torino.

««Appena arriverò ppena arriverò lo d irò alo d irò a D ioio»

Ultime parole di Claudiaall’amico P. Matteo che le stringe la mano.

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OMELIA: LA TUA VITA PROFUMA DI BEATITUDINI

Introduzione alla Eucarestia.Carissimo P. Floriano,

mercoledì, poco prima delle 16.30, mentre ripetevamo attorno al tuo let-to il Salve Regina e l’Ave Maria con le invocazioni “Prega per noi peccato-ri, adesso e nell’ora della nostra mor-te” – e – “Mostraci dopo questo esilio Gesù”, senza un minimo movimento, una minima contrazione, ti sei addor-mentato per sempre.

Chi era presente ha sperimentato un senso di profonda pace.

In un attimo si è diffusa la voce: “È morto P. Castelli!”.

Cosa significa che sei morto P. Flo-riano?

Jean Guitton, ancora bambino, lo aveva chiesto a sua madre, la quale aprì il Vangelo di S. Giovanni e lesse: “Gesù sapendo che era giunta la sua ora di pas-sare da questo mondo al Padre, amò i suoi sino alla fine…”.

Aggiunse: “Passare al Padre, amare sino alla fine, questo è morire!”.

Carissimo Padre Floriano celebria-mo il tuo Dies Natalis – il tuo passaggio al Padre – reso possibile per te, e per noi tutti, quando sarà la nostra ora, dal-la morte e risurrezione di Cristo Signo-re che si attua, adesso, nell’Eucarestia.

Fratelli, disponiamo i nostri cuori ad accogliere la Salvezza.

P. Floriano Castelli con i Religiosi Capitolari nel Capitolo provinciale 2004ad Imperia con il Vescovo, Mons. Mario Oliveri.

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Padre Floriano Castelli

OmeliaCarissimi,

Gesù è vivo! Lo vogliono simboleg-giare anche le bende che vedete appog-giate al Crocifisso, che non servono più a fasciare un morto, perché Egli è vivo.

Gesù è risorto, e vive e regna per sempre.

Tutto sarà realizzato pienamente quando Cristo sarà il centro del cuore dell’uomo, il centro del mio cuore.

In questo cammino, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, ci fa pren-dere coscienza di essere oggetti dell’a-more di Dio, predestinati ad essere con-formi all’immagine del Figlio suo che per noi ha dato la vita, perché diventas-simo a nostra volta datori di vita.

Lo Spirito ci plasma, ci riempie di vita, ci rende amore.

Amare non è un’emozione, un sen-timento, è una azione, è un verbo: Dare! Ma dare che cosa? Dare la vita. Niente di meno della vita.

Il dramma è quando non abbiamo vita da dare.

La Vita è Gesù Signore. Gesù punto di inizio e traguardo:

“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la perse-cuzione, la fame, la nudità, i pericoli, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo stravincitori in grazia di Colui che ci amò. Sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né pote-stà, né presente né futuro, né altezza né profondità, né qualunque altra creatura potrà mai separarci dall’amore che Dio ha per noi in Gesù Cristo nostro Signo-re” (Rom. 8,31 segg).

Lungo il nostro esodo, il discorso della montagna ci accompagna ogni giorno, stimolandoci ad un modo nuo-

vo di pensare, a un modo nuovo di esse-re, a un modo nuovo di agire.

Parole perennemente giovani.“La prima parola è una assicurazio-

ne: Beati. Fede e gioia si cercano e si muovono

insieme. Beati! Felici!Beati i poveri in spirito. Povero

secondo il Vangelo non è colui che non possiede nulla, ma colui che non trat-tiene nulla per sé.

Beati gli afflitti. Sono coloro che provano un profondo dolore di fronte ad una società ancora dominata dall’in-giustizia.

Beati i miti. Gesù si è presentato come il grande mite. Ha rifiutato l’uso della violenza, è stato paziente, tolle-rante, servo di tutti.

Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia. Dio è giusto non perché retribuisce secondo i meriti, ma perché con il suo amore “rende giusti” coloro che sono malvagi.

Beati i misericordiosi. Sono colo-ro che si impegnano perché le perso-ne bisognose trovino sempre ciò di cui necessitano.

Beati i puri di cuore. Sono coloro che hanno un comportamento etico conforme alla volontà di Dio, coloro che non amano contemporaneamente Dio e gli idoli.

Beati coloro che si impegnano per la pace”.

Padre Floriano, noi che abbiamo avuto la gioia di vivere fianco a fianco con te, sentiamo di dover ringraziare il Signore per la tua vita che profuma di beatitudini.

Hai vissuto la povertà evangelica secondo lo Spirito del nostro Santo Ordine con naturalezza e letizia.

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Uomo profondamente mite, pazien-te, comprensivo. Dalla tua bocca non uscivano mai parole di critica verso per-sone o situazioni, pur sapendo discerne-re con acutezza e intelligenza gli avve-nimenti e la storia.

Nella tua connaturale timidezza, riservatezza e parsimonia di parole, hai saputo vivere la disponibilità, l’acco-glienza, la sensibilità, la tenerezza.

Uomo del servizio, per oltre cin-quant’anni ti sei dedicato con passione, intelligenza e competenza, anche quan-do questo richiedeva notevole sacrifi-cio, al tuo Ordine, che ti ha affidato in particolare la cura della parte ammini-strativa ed economica.

Lasci nei tuoi confratelli, negli ope-ratori del San Camillo, in coloro che ti hanno conosciuto, un ricordo grande, forte, costruttivo.

Tante le testimonianze raccol-te anche durante la tua malattia: “P. Castelli è un grande, un uomo che risplende per la fine intelligenza, la

vasta cultura, la saggezza e l’equilibrio. …Un grande, un sant’uomo! Tale rimarrà nei nostri cuori …Uno di fami-glia…”.

Un coro di persone che raccoglie la preziosa eredità che tu, uomo di Dio, hai lasciato. Grazie P. Floriano!

Maria, la Regina dei Ministri degli Infermi, dopo aver mostrato il volto di Gesù a P. Floriano (“mostraci dopo questo esilio Gesù”), è qui tra noi e gio-isce nel vederci uniti nel nome del suo Figlio.

Maria prega affinché, mentre conti-nuiamo il nostro cammino verso la ter-ra promessa, i nostri cuori, liberi dalle distrazioni e dagli interessi per le cose secondarie, diventino accoglienza pie-na dell’amore di Dio, luogo dove ogni uomo può intravedere un raggio del-la Sua gloria, una segnaletica verso la “casa comune nel cielo”. Cosi sia!

P. Valter Dallosto

P. Floriano Castelli con alcuni dei Collaboratori nel suo lavoro al San Camillo di Torino.

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Padre Floriano Castelli

RICORDO RICONOSCENTE PER P. CASTELLI

Carissimo Padre Castelli, lei sa benissimo quanto sia difficile per me leggere in pubblico, ma desidero ringra-ziarla a nome di tutto il personale, per la sua grande disponibilità e umanità che aveva nei confronti di tutti noi.

Certamente l’impressione che dava era quella di un uomo burbero, poco socievole, ma ricordo quelle volte in cui abbiamo bussato alla sua porta per chiederle aiuto per qualche dipendente che in quel momento era in difficoltà, e la sua prima risposta era “ma per chi mi avete preso, non sono mica una banca...”. Ma la porta di quella banca, che era il suo grande cuore, si apriva sempre, subi-to dopo, con tanto amore.

Ricordo anche che in certi momen-ti dell’anno come Natale, Pasqua, ci chiamava, per darci piccole somme di denaro dicendoci: “Andate a fare un po’ di spesa, sono giorni di festa, portate que-ste cose a...”; erano ex dipendenti con gravi problemi: lui non li aveva dimen-ticati.

Per tutto questo, “capo”, le diciamo grazie.

Dal Paradiso ogni tanto butti un occhio su tutti noi che forse non glie-lo abbiamo dimostrato, ma le abbiamo voluto bene.

Mariella Oggioni

P. Floriano Castelli in un momento conviviale e sereno con Sr Francesca della Congregazione Suore del Buon Pastore

e la collaboratrice Mariella.

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PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI

I PARENTI DEFUNTI

Signora Facchin Maria, 22.07.2014, sorella di P. Facchin Giuseppe

Signor Tamanini Giordano, 20.08.2014, (Australia) fratello di P. Tamanini Lino

Sig.ra Mariakutty, ??????????????????????????????????????????????????????????????

RELIGIOSI DEFUNTI ALTRE PROVINCE

P. Notaro Carlo James, Delegazione Stati Uniti

Fr. Andrzej Jendryssek, Provincia Polacca

P. Antoni Bednarczyk, Provincia Polacca

SUORE DEFUNTE

Sr. Evangelisti Franca, Suore Ministre degli Infermi