Collana diretta da Giovanni Orsina 3 - aracneeditrice.it · per l’età contemporanea e le...

20
P Collana diretta da Giovanni Orsina

Transcript of Collana diretta da Giovanni Orsina 3 - aracneeditrice.it · per l’età contemporanea e le...

P

Collana diretta da Giovanni Orsina

Direttore

Giovanni OLibera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” di Roma

Comitato scientifico

Michelangela D GFondazione di Venezia/Università di Siena

Novella NUniversità di Vilnius

Annarita GICS – Universidade de Lisboa

Tommaso NFondazione Fratelli Rosselli

Steven FIHC – Universidade Nova de Lisboa

Paolo PUniversità della Calabria

Valerio VUniversità del Salento

Francesca ZUniversitat “PompeuFabra” di Barcelona

Julián SUniversidad de Valencia

Kostis KNew York University

Tiziano TUniversità di Perugia

Christian D VInternational Institute of Social History

Fiammetta BSocietà Italiana per la Storia Contemporanea dell’Area di Lingua Tedesca

Valentino BUniversità di Malta

P

Collana diretta da Giovanni Orsina

Il progetto “Persistenze o Rimozioni” nasce nel dall’iniziativa, il confronto eil dialogo tra un gruppo di giovani ricercatori interessati alla conoscenza dell’etàcontemporanea.

Il desiderio di dare vita ad una vetrina per gli studi di quanti si approcciano almondo della ricerca scientifica in campo umanistico, culturale e politologico e dicreare momenti di crescita attraverso la collaborazione con affermati specialisti èsotteso alla serie di iniziative che danno vita al progetto.

La collana ha lo scopo di valorizzare attraverso il canale editoriale la propriafunzione di vetrina per i lavori di studiosi italiani e stranieri con particolare attenzioneper l’età contemporanea e le connessioni col presente individuando persistenze orimozioni, appunto, delle culture politiche e sociali del passato.

Saranno accolti monografie o volumi miscellanei inediti in italiano e si terràparticolarmente conto dei lavori di giovani studiosi in modo da poter permettereloro di trovare un canale scientifico di divulgazione per i loro scritti; tuttavia ilcomitato scientifico rimane aperto anche alle opere di ricercatori senior.

La collana ospiterà anche monografie o volumi miscellanei già editi all’esteroe non ancora tradotti in italiano. Tale intenzione nasce dalla duplice volontà delcomitato editoriale, composto in larga parte da studiosi affiliati in università e istitutistranieri, di portare a conoscenza del pubblico italiano i diversi approcci che si stannoimponendo in altri paesi nel campo umanistico, culturale e politologico; e di darela possibilità a studiosi non italiani di pubblicare i propri lavori nel nostro paese inmodo da allargare la diffusione dei propri volumi. In questo modo si intende, infine,aiutare la diffusione della conoscenza in un contesto sempre più globale.

Lavoro!

Storia, organizzazione e narrazionedel lavoro nel XX secolo

a cura di

Novella di NunzioMatteo Troilo

Contributi diDaniela Barberis, Davide Baviello

Marina Brancato, Luigi CappelliMassimo Colella, Angela CondelloNovella di Nunzio, Federica Ditadi

Antonio Farina, Giovanni FerrareseVanessa Ferrari, Stefania FicacciElio Frescani, Chiara Martinelli

Claudio Panella, Dimitris ParsanoglouJelena Reinhardt, Camillo Robertini

Yvette Santos, Margherita SulasTiziano Toracca, Giota Tourgeli

Matteo Troilo

Aracne editrice

[email protected]

Copyright © MMXVIGioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

[email protected]

via Vittorio Veneto,

Canterano (RM)()

----

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre

Indice

IntroduzioneNovella di Nunzio, Matteo Troilo

Parte IStoria delle migrazioni di lavoro

Towards the “Management” of International Labour Mo-bility. ICEM and ILO Migration Policies in the sDimitris Parsanoglou, Giota Tourgeli

A Junta Nacional de Emigração e os processos de recruta-mento dos trabalhadores (–)Yvette Santos

Parte IIStoria delle organizzazioni e del conflitto sociale

Scritture di rabbia e scritture di desiderio. La letteraturaitaliana di fabbrica degli anni SettantaClaudio Panella

Le mosche del capitale di Paolo Volponi. Lavoro, identità,assoggettamentoAngela Condello, Tiziano Toracca

Organizzazioni dei commercianti e conflittualità sociale(–)Davide Baviello

Indice

Volontari del lavoro o lavoratori arbitrari? Percezioni erappresentazioni dello sciopero a rovescio nell’Italia deglianni CinquantaLuigi Cappelli

La rappresentanza sindacale tra rottura e continuità. Il casodella Central de Trabajadores de la Argentina (CTA)Daniela Barberis

Made in Lucania. Industria, sviluppo e conflitto in BasilicataGiovanni Ferrarese

Parte IIIStoria sociale ed economica del lavoro

I cantieri navali tedeschi tra Impero e Repubblica di Wei-mar. Appunti per una storia sociale del salarioAntonio Farina

Fabbriche o caserme? La disciplina del lavoro durante l’ul-tima dittatura militare argentinaCamillo Robertini

Il rapporto uomo–macchina in America amara di EmilioCecchiFederica Ditadi

La guerra fredda degli operai. Il caso dei “cantierini” diMonfalcone tra Tito e StalinMargherita Sulas

Operai e lavoratori fra identità e autorappresentazione.Spunti di riflessione su due ricerche nei quartieri “popolari”di Roma e NapoliMarina Brancato, Stefania Ficacci

Indice

Parte IVIl lavoro e le sue rappresentazioni

Fare i lavoratori? Narrazione e retorica dell’istruzione pro-fessionale nell’Italia giolittiana (–)Chiara Martinelli

Lavorare col cane a sei zampe. La rappresentazione del lavo-ro nei documentari dell’ENI di Enrico Mattei (–)Elio Frescani

Il lavoro è il cuore pulsante del nuovo Reich! Appunti peruno studio dell’Arbeitsideologie della NSDAPVanessa Ferrari

The Representation of the Working–Class in Fritz Lang’sMetropolis. Shaping of the Shapeless CrowdsJelena Reinhardt

Il lavoro e la battaglia. Montale traduttore di SteinbeckMassimo Colella

Autori

Lavoro!ISBN 978-88-255-0289-3DOI 10.4399/97888255028931pag. 11–22 (dicembre 2016)

IntroduzioneN N, M T∗

Il mondo del lavoro da alcuni decenni è attraversato da profondetrasformazioni che lo hanno reso sempre più flessibile e meno stan-dardizzato, e soprattutto lontano da quel modello fordista che si eraimposto in Italia e nel mondo occidentale soltanto nel secondo dopo-guerra. Le crisi economiche attuali hanno inoltre acutizzato questafase di precarizzazione dei rapporti lavorativi, conducendo a risultatiche stiamo vivendo ancora oggi, e di cui non cogliamo ancora per-fettamente l’esito. In ambito storiografico, tutto ciò ha accresciutol’interesse verso un tema che è stato centrale nella storia più recente,e in particolare in quella del XX secolo. Da ricordare è sicuramente laStoria del lavoro in Italia, opera in più volumi diretta da Fabio Fabbridi cui di recente sono usciti i volumi: –. Uomini e imprese nellasocietà industriale e –. La ricostruzione, il miracolo economico,la globalizzazione entrambi curati da Stefano Musso (Castelvecchi,Roma ). Nel è nata inoltre la Società Italiana di Storia delLavoro (SISLav), che si pone l’obiettivo di collaborare con istituzionisimili in campo internazionale, nonché di occuparsi di tematiche dellavoro su un’ottica di lungo periodo e in collaborazione con altrescienze sociali. In questo clima di forte ripresa dell’interesse per letematiche del lavoro, l’Associazione “Persistenze o Rimozioni” hadeclinato il suo quinto convegno annuale sul tema nodale del lavoro,proponendo un’analisi il più possibile amplia, in quanto basata su unapproccio interdisciplinare tra storia, letteratura, scienze politiche esociali.

Il presente volume raccoglie le riflessioni di una nuova genera-zione di studiosi nazionali e internazionali, afferenti a università di

∗ Novella di Nunzio insegna Letteratura e lingua italiana presso l’Università di Vilnius eLetteratura italiana presso l’Univeristà “Vytauto Magnus” di Kaunas. Matteo Troilo è dottore diricerca in Storia economica e collabora con l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna,dove è stato assegnista e docente a contratto.

Introduzione

vari paesi, dagli Stati Uniti alla Grecia, dalla Germania al Belgio, dalPortogallo ai più prestigiosi atenei nazionali. I vari saggi sul temadel lavoro sono stati sviscerati in quattro grandi aree: le migrazionidi lavoro, il conflitto sociale e le organizzazioni sindacali, la storiasociale ed economica, le rappresentazioni e le autorappresentazionidel lavoro. La mancanza di lavoro, i bassi salari e la ricerca di un luogomigliore in cui vivere e lavorare hanno spinto milioni di persone ademigrare, in particolare nel corso del XX secolo. Già dal secolo pre-cedente si era sviluppato un mercato del lavoro che poteva definirsi“mondiale”, e che spinse verso la libera circolazione dei lavoratori.Si lasciavano quei paesi nei quali era forte lo squilibrio tra l’offertae la domanda di forza lavoro, e si andava verso quelle nazioni in cuila domanda era alta ma la popolazione lavorativa era scarsa, o co-munque mancavano le competenze necessarie. La spinta principaleall’emigrazione era costituita dalla disoccupazione: si andava quindiverso quelle nazioni in cui era forte il richiamo dato dall’offerta dilavoro e dagli alti salari. La spinta all’emigrazione si attenua soltantograzie a un mercato lavorativo interno florido e dinamico; quandoquesto subisce una crisi, come vediamo oggi in molti paesi come l’I-talia, la spinta all’emigrazione ritorna forte, soprattutto per tipologielavorative specializzate.

La prima sezione dà spazio proprio alla mobilità geografica deilavoratori, tematica sviluppata in particolare nel periodo del secondodopoguerra. I principali flussi migratori dall’Europa si svolsero nelcorso dell’Ottocento e nei primi anni del XX secolo, quando nonerano presenti particolari restrizioni nei paesi che costituivano leprincipali destinazioni, come le Americhe. In seguito, anche il secon-do dopoguerra ha visto un fenomeno migratorio importante, che inItalia si è sviluppato sia verso l’estero che verso le regioni del trian-golo industriale. In questi anni sono però mutate le condizioni, inquanto l’emigrazione è stata disciplinata, ad esempio attraverso i trat-tati bilaterali tra paesi e, dal nella Comunità europea, attraversola libera circolazione dei lavoratori.

È sulla gestione della mobilità lavorativa che Dimitris Parsanogloue Giota Tourgeli hanno incentrato il loro intervento, con l’intentodi esaminare le politiche messe in pratica da alcuni organismi inter-nazionali come lo Intergovernmental Committee for European Migration(ICEM), oggi diventato International Organization of Migration (IOM),e lo International Labour Organisation (ILO), a partire dal secondodopoguerra. Ci si trova in questo caso ad analizzare un contesto

Introduzione

storico molto particolare, sicuramente intriso di ottimismo per lafine del tragico conflitto mondiale, ma anche caratterizzato dallagrande operosità della cooperazione internazionale che nel nuovoordine mondiale della Guerra fredda aveva trovato un terreno fertile.Nelle intenzioni dei due ricercatori vi è infatti anche quella di dimo-strare la connessione tra le politiche migratorie dei due istituti conla più generale idea che il mondo occidentale aveva di governare lapropria area d’influenza nel contesto della fine del conflitto. Questoconcetto pragmatico di conduzione del mondo occidentale in unafase di contrapposizione al mondo comunista si legava a una basepiù ideale di governo sovranazionale del mondo, teorizzato primadella seconda guerra mondiale anche dalla letteratura, oltre che dallapolitica. Proprio questo concetto ideale trova una sua applicazionepratica nella gestione dei fenomeni migratori del secondo dopoguer-ra, caratterizzati non solo da movimenti di lavoratori ma anche daspostamenti forzati di profughi a causa dei molti cambiamenti di con-fini in Europa decisi a tavolino dopo il . Non era però semplicegestire i fenomeni migratori, che per loro natura risultano chiaramen-te spontanei e di difficile limitazione. Anche in questo caso il rimandoall’attualità non è puramente casuale e, anche se non espressamentedichiarato dagli autori, sembra venire fuori in molte occasioni. Lavia per regolare i processi migratori fu trovata nell’elaborazione diservizi che avrebbero facilitato i movimenti e di fatto tentato di dise-gnare sentieri migratori in molti paesi europei e anche in America.Risultati e fallimenti raccolti dai due organismi rendono chiara ladifficoltà di cooperare su un settore così multiforme e complesso,e soprattutto l’imprescindibilità della pesante presenza statunitenseche ha influenzato il mondo occidentale in ogni suo sviluppo.

Il controllo sui flussi migratori è anche il tema dell’interventodi Ivette Santos, nel quale viene esaminato il contesto politico delsecondo dopoguerra nel Portogallo dell’Estado Novo. Il governo diSalazar tra gli anni Cinquanta e Sessanta mise in piedi una macchinadel controllo delle emigrazioni in base ai paesi di destinazione. Brasi-le e Francia come meta per gli emigrati sono l’oggetto della ricerca diSantos, la quale mostra i meccanismi di selezione messi in atto dallaJunta Nacional de Emigração ( JNE), l’istituto che controllerà l’uscitadei migranti dal Portogallo sino ai primi anni Settanta. Le precisescelte della junta, volte a favorire più l’emigrazione transatlantica chequella verso i paesi europei, conferma come si fosse creato un mo-nopolio nell’organizzazione e nel controllo delle uscite dal paese: la

Introduzione

selezione dei lavoratori destinati a cambiare paese, e dunque mercatodel lavoro, era sotto lo stretto controllo del governo.

Altra tematica da cui non si può prescindere parlando di lavoronel corso del Novecento è quella delle organizzazioni dei lavoratori.Anche in tal caso il rimando all’attualità è decisamente forte. Infatti,di fronte all’indebolimento del tradizionale sindacato di categoriadi matrice industriale, colpito dalla frammentazione del lavoro, haancora più senso analizzare i tanti modelli di organizzazione dei lavo-ratori e degli imprenditori che nonostante tutto sono sopravvissuti,o comunque hanno lasciato un forte segno nella società odierna.Sindacati, movimenti sociali e comunità professionali si sono incon-trati nel corso del XX secolo, spesso intorno all’esigenza comune dimigliorare le forme del lavoro e limitare la disoccupazione o le formedi occupazione svantaggiata. La collaborazione tra queste istituzioniha dato vita a esperienze notevoli come quella del mutualismo edella cooperazione, esempi importanti di solidarietà tra lavoratori ingrado di limitare la conflittualità sociale. Tra le pagine più positivedell’associazionismo sindacale va inoltre ricordata l’esperienza dellecamere del lavoro, capace di lavorare in Italia dall’inizio del secoloverso l’emancipazione dei lavoratori, e rispondere così a una societàin rapida mutazione.

Alla fine degli anni Sessanta del XX secolo la conflittualità socialeva oltre l’organizzazione del lavoro. Le contestazioni studentescheaprirono infatti a nuove forme di collaborazione, pur con moltediffidenze, tra i sindacati e i movimenti universitari e, più in generale,con il mondo della cultura. Il Sessantotto, come s’è detto da molteparti, è uscito sconfitto, perché non è passato da una critica corrosivaa una proposta concreta di alternativa alla modernità capitalistica;ma ha comunque lasciato il segno sia nelle lotte sindacali che nelmondo culturale, capace di raccontare in varie forme le mutazionidel lavoro degli anni Settanta. Non è un caso che ben due interventisiano dedicati alla letteratura italiana degli anni Settanta, che è statain grado da subito di tracciare un quadro dei mutamenti storico–ideologici occorsi nel decennio che si aprì con la promulgazionedello Statuto dei lavoratori e si chiuse nel con la cosiddetta“marcia dei quarantamila”.

Claudio Panella rievoca operai scrittori come Vincenzo Guerrazzie Tommaso Di Ciaula, nonché Nanni Balestrini, intellettuale schiera-to al fianco degli operai e autore di un romanzo che fece scalpore,Vogliamo tutto. Gli scrittori operai degli anni Settanta, definiti in molti

Introduzione

casi come “selvaggi”, descrivono soprattutto un malessere vissuto infabbrica ma esteso a tutta la società. Sono le frustrazioni degli operaia fare da protagoniste, senza che ci sia più neanche la consolazionedelle lotte operaie. L’operaio è infatti solo, più che mai attaccatoalla sua macchina, e i partiti, i sindacati e il movimento studentescoservono soltanto a strumentalizzarlo. La fabbrica è inoltre un ostaco-lo enorme alla libera espressione dei desideri materiali e corporali.Un altro aspetto che viene fuori in molte opere del periodo è poi lasofferta opposizione tra la fabbrica e il mondo naturale, percepitasoprattutto da quegli operai che dal Sud avevano lasciato la propriaterra e il mestiere dei padri, quell’agricoltura che era altrettanto duracon i lavoratori, ma anche più vicina alla natura e al suo universo.

Rivolto al declino del paradigma industriale, piuttosto che allesue contraddizioni, è invece il romanzo di Paolo Volponi Le moschedel capitale, centrale nell’intervento di Angela Condello e TizianoToracca. Nell’opera Volponi rappresenta il fallimento di quel pa-radigma industriale, progressista, illuminista e rivolto al benesserecollettivo che egli aveva sostenuto per tutta la sua vita, oltre alla finedel lavoro quale dispositivo identitario. Al loro posto, nella finzionedel romanzo incontriamo un assoggettamento generale e cosmicoalla legge del profitto e al linguaggio del potere. Il libro di Volponiricorda un imprenditore italiano che risulta imprescindibile, se sivuole comprendere l’evoluzione del capitalismo del secondo dopo-guerra: Adriano Olivetti. Le mosche del capitale è dedicato proprioall’industriale di Ivrea, con cui Volponi aveva lavorato e condivisol’idea di un’industria illuminata, riformista e fonte di benessere. Èlo specchio del grande clima di fiducia vissuto negli anni Cinquantae venuto scemando nei decenni a venire, con la crisi dell’industriafordista e le critiche a un modello di fabbrica che aveva prodottostorture e alienazione nei lavoratori. L’opera di Volponi, pubblicatanel , mette bene in luce anche un cambiamento in corso, quellodettato dall’ascesa del capitalismo finanziario, che avrà i suoi fortieffetti sullo stesso mercato del lavoro. Secondo l’autore, è propriola preponderante forza della finanza a condurre a una modifica deiprocessi di governance del lavoro. Da apparato identitario si è passatia forme di lavoro che rappresentano invece un apparato di assogget-tamento, nel quale la maggiore libertà di azione che il lavoratore harispetto al modello fordista, e quindi fuori dai vecchi ruoli operativi,è in realtà il segno opposto di una maggiore costrizione verso ilprofitto.

Introduzione

Tornando al tema delle rappresentanze del lavoro, questo ha avutonel panorama storiografico, non solo nazionale, particolare fortunanegli studi sindacali e sulle conflittualità sociali. Meno fortuna ha avutoinvece la narrazione delle attività di rappresentanza degli imprenditori,un tema che spesso ha faticato a trovare collocazione nella storiografiadel lavoro, direzionata maggiormente verso le organizzazioni di stam-po cattolico e socialista. A tale proposito, il saggio di Davide Baviellofa un interessante e innovativo quadro delle organizzazioni del com-mercio italiano in ottanta anni di storia novecentesca, mostrando ladifficoltà che queste hanno di costruire intorno a sé consenso politicoin un quadro sempre più bipolare, con il grande capitalismo da un latoe le organizzazioni operaie dall’altro. Nonostante ciò, nella storia d’I-talia, e ancor più in quella degli ultimi decenni, nessuna associazionepolitica o sindacale ha potuto prescindere dagli imprenditori com-merciali, soprattutto i medio–piccoli, in un quadro in cui le impreseindividuali e familiari dominano la struttura lavorativa nazionale.

Nel difficile quadro economico dell’immediato dopoguerra, leattività sindacali della CGIL, principale sindacato italiano, risentironodel “Piano del lavoro” lanciato dal segretario generale Di Vittorio alcongresso nazionale di Genova. Questo strumento venne propostoper contrastare i licenziamenti e lanciare un’intensa politica di operepubbliche e di investimenti nei settori strategici dell’energia elettrica,delle infrastrutture e dell’edilizia. Al centro della proposta di DiVittorio vi era la questione di formulare un piano per combattere eriassorbire l’imponente disoccupazione strutturale di quel periodo.In questo contesto il saggio di Luigi Cappelli racconta una particolareforma di protesta dei lavoratori di quegli anni, lo sciopero a rovescio,una forma originale di azione sindacale con la quale i disoccupatiiniziavano di loro iniziativa lavori agricoli o di manutenzione diopere pubbliche. Era un modo per denunciare la propria situazionee l’inerzia delle autorità, le quali così venivano mettesse di fronteal fatto compiuto e sollecitate a intervenire. Il clima politico deiprimi anni Cinquanta in Italia non rendeva facile simili iniziative,soprattutto per la volontà di repressione espressa dalle prefettureper evitare soprattutto che le organizzazioni di sinistra speculasserosulle agitazioni. Nonostante ciò, gli scioperi a rovescio restarononella memoria dei primi anni Cinquanta come iniziative in grado dimobilitare la partecipazione delle masse.

Si può affermare che gli scioperi a rovescio costituivano una for-ma di lotta sindacale che partiva dal basso, così come il modello di

Introduzione

azione definito social movement unionism, ossia sindacato di movimen-to sociale. Questo modello si basa sulla mobilitazione della base esulla partecipazione dei lavoratori nelle negoziazioni e nella formula-zione delle politiche sindacali, dando grande spazio ad attori diversicome i movimenti sociali. Un modello creato per comprendere ledinamiche del sindacalismo militante emergente nei Paesi di nuovaindustrializzazione, tra i quali l’Argentina, caso di studio descrittoda Daniela Barberis. La studiosa analizza i difficili anni che vannodalla grave crisi economica dei primi anni Novanta, con il conse-guente collasso politico e sociale, fino alla fine del primo decenniodel XXI secolo. In un clima di forte delegittimazione dei sindacatie dei partiti politici nasce una centrale sindacale alternativa, la CTA(Central de los Trabajadores Argentinos), la cui azione mirava allacreazione di una centrale pluralista e indipendente dai partiti politici,ispirata al modello del social movement unionism. Pur raccogliendotante adesioni, la vicenda della CTA ha mostrato un limite tipicodi molti movimenti sociali: la costante tensione tra il movimentoe l’istituzione. Le numerose fratture interne rivelano con chiarezzacome le organizzazioni di lotta sindacale che partono dalla base sianocostantemente sottoposti al dilemma di istituzionalizzare la propriaazione, un’azione che determina una deroga al principio d’indipen-denza degli attori della lotta sindacale. Anche la vicenda degli scioperia rovescio avrebbe potuto manifestare un simile dilemma: fu in talsenso il merito della CGIL di convogliare le forze del dissenso inmanifestazioni organizzate, oltre che di raccontare le vicende di que-ste particolari forme di contestazione attraverso l’organo di stampaLavoro.

Negli anni immediatamente successivi al Piano del lavoro dellaCGIL nel meridione, si tentò tramite l’intervento straordinario peril Mezzogiorno di incentivare il settore industriale, che in certe zo-ne era caratterizzato da grande debolezza e in altre addirittura daun’assenza completa. La Basilicata raccontata nel saggio di GiovanniFerrarese è il tipico esempio di una terra in cui si sommavano tuttigli elementi sfavorevoli all’attecchimento di industrie in grado direndere più dinamica l’economia: l’assenza di capitale, le debolezzeinfrastrutturali e demografiche, la forte tendenza all’emigrazionedelle forze lavorative più giovani. Il caso di studio lucano vale an-che come specchio della difficoltà di creare un mercato del lavoroin un’area di recente industrializzazione, ancor più se imposta “dafuori”. Nonostante le tante contraddizioni delle attività della Cassa

Introduzione

per il Mezzogiorno, le vicende lucane mostrano comunque alcunirisultati positivi, in particolare nella modernizzazione della società enella crescita del movimento sindacale, sino agli anni Sessanta moltodebole.

Terza grande tematica trattata nel volume è quella dell’organizza-zione del lavoro nell’epoca della produzione di massa, con le sue con-seguenze sull’economia e sulla società. La circostanza che determinòl’impostazione lavorativa di tutto il Novecento scaturì dall’organizza-zione delle grandi imprese americane. La produzione standardizzatasi basava sulla catena di montaggio, un meccanismo che consentival’avanzamento del prodotto in corso di lavorazione, e che di fattoportava il lavoro direttamente alle maestranze. Conseguente a que-sta organizzazione della produzione fu l’organizzazione scientificadel lavoro, nell’ambito della quale tecnici e ingegneri pianificaro-no l’avanzamento del prodotto attraverso i reparti, individuando lesequenze più razionali per aumentare la produttività. La standardizza-zione portò alla trasformazione delle conoscenze tacite dei lavoratoriin formule trasmissibili ad altri, eliminando così gli ultimi residuilasciti dell’artigianato nel settore industriale. La razionalizzazione e lariduzione dei tempi e dei costi di produzione condusse a conseguen-ze sociali forti come l’alienazione della forza lavoro, ma anche, dalpunto di vista politico, alla nascita di forme di controllo decisamentevincolanti.

Alcuni dei saggi che fanno riferimento alla terza sezione raccon-tano proprio lo stretto rapporto tra le forme lavorative e il controllosulle forze lavoro, sul modo di lavorare e persino sul modo di vivere.Tra questi c’è il contributo di Antonio Farina sugli operai dei cantierinavali di Brema tra la fine dell’Ottocento e l’avvento al potere delNazismo. Si tratta di in un’epoca di cambiamenti epocali per la Ger-mania e anche per l’Europa: la caduta di Bismarck, l’affermazionedi Guglielmo II che spinse al rafforzamento della marina tedesca, lacaduta dell’Impero dopo la Grande Guerra, la Germania di Weimar,il Nazismo. La Germania attraversa anche varie fasi economiche, inprimis l’ascesa del periodo guglielmino aiutato dalle robuste istitu-zioni bancarie e da un sistema scolastico avanzato, che scaturì nellacreazione di imprese notevoli in settori come la meccanica e la chimi-ca. Successivamente, la crisi e la ricostruzione del primo dopoguerra,e poi la grande crisi degli anni Trenta. Il contesto è tutto particolare,con la Germania conservatrice che è però tra le prime ad apportareinterventi di legislazione sociale sulla previdenza e il miglioramento

Introduzione

delle condizioni di lavoro. Nonostante le apparenze, il caso di stu-dio raccontato da Farina evidenzia quindi una forte differenza tra ilmodello tedesco e quello statunitense, con il primo caratterizzatoda una più forte preparazione tecnica degli operai, oltre che da unamaggiore autonomia decisionale: il capomastro della navalmeccanicatedesca non gestiva un flusso produttivo prestabilito a priori, comenella grande impresa americana, ma faceva da connettore profes-sionale tra azienda e reparto. Egli riceveva dalla direzione i progettidi massima e, in base alla propria esperienza, si incaricava di sud-dividere il lavoro in squadre. Viene insomma alla luce un modelloche mette in discussione l’esistenza di un unico sistema di sviluppoindustriale, modello che dalla nascita della grande fabbrica avrebbecondotto al fordismo.

Il controllo sulle forze lavoro in fabbrica è anche il tema della ri-cerca di Camillo Robertini, incentrato sull’analisi della disciplina difabbrica durante la dittatura dei colonnelli in Argentina. In questocaso, però, il controllo non è tanto sulle forme organizzative del lavoro,quanto sui suoi aspetti politici e disciplinari. È una delle pagine più neredella storia degli ultimi cinquant’anni, una vicenda culminata con l’as-sassinio di decine di migliaia di oppositori e terminata soltanto dopo lasconfitta dell’Argentina nella guerra delle Falkland combattuta controil Regno Unito. Negli anni tra il e il , nelle fabbriche argentineil controllo sugli operai era strettissimo sotto tutti gli aspetti, persinosull’abbigliamento. L’idea generale era quella di creare una societàordinata, partendo dalla gestione dei rapporti lavorativi e allargandosiverso altri settori sociali, come il sistema educativo.

Tornando al tema della grande industria americana, FedericaDitadi ha posto l’attenzione sull’analisi del lavoro operaio nell’Ame-rica degli anni Trenta fatta dallo scrittore Emilio Cecchi, e confluitanel reportage America amara del . Cecchi racconta il suo viaggionel cuore della fabbrica americana, evidenziando tutti i limiti e lecontraddizioni del sistema. Il parallelismo con l’Inferno dantesco èdecisamente esplicativo dell’idea che l’intellettuale italiano si era fattodel sistema fordista. La critica, peraltro, non è solo sull’ambiente, macoinvolge lo stesso sistema organizzativo: Cecchi resta particolarmen-te colpito dal fatto che, su cinquemila operai, soltanto tre agiscanodirettamente sull’oggetto che si sta producendo, mentre gli altri la-vorino a servizio delle macchine. Nella grande fabbrica americanaCecchi non vedrà rapidi tempi di esecuzione, e quindi un aumentodella produttività, ma una sostanziale perdita di umanità nel lavoro.

Introduzione

Con gli ultimi due saggi della sezione di storia sociale ed econo-mica del lavoro, si torna in Italia nel secondo dopoguerra, comples-so periodo che vede la difficile ripartenza industriale e il successivoboom economico. I due contesti nei quali si vivono le esperienzenarrate sono molto diversi, ma permettono comunque riflessionisulla situazione economica e politica italiana. Margherita Sulas rac-conta le vicende dei cantierini di Monfalcone, i quali alla fine delsecondo conflitto mondiale decisero di dare vita a un controesododalle zone italiane, verso quelle jugoslave sotto il comando di Tito esotto le insegne del sogno comunista. Tuttavia, contrariamente alleloro speranze, gli operai monfalconesi non andarono a costituire laspina dorsale della rinascita industriale jugoslava ma, visti da subitocon sospetto, furono messi fuori dal mercato del lavoro e in parteaddirittura imprigionati. Anche gli operai che tornarono in Italianon ebbero vita facile, in quanto visti come dei traditori. Si tratta diuna situazione anomala della realtà italiana. L’inizio della Guerrafredda e la questione dei territori italiani occupati dalla Jugoslaviacostituiranno una pesante eredità, sia per il blocco politico gover-nativo che per l’opposizione comunista. La contrapposizione inblocchi è anche una contrapposizione economica tra due sistemiben diversi, e il boom economico sottolineerà le differenze, nonancora così marcate negli anni Quaranta. In tale contesto, il lavora-tore non è più perseguitato per le sue rivendicazioni, ma per il fattodi essere italiano, in Jugoslavia, e per le sue scelte politiche, per chirientrava in Italia.

Marina Brancato e Stefania Ficacci raccontano due contesti ap-parentemente poco industriali come Roma e Napoli, che scontanoancora oggi il mito di essere città senza industrie. Temporalmenteè anche questa una fase di profondo cambiamento, con il boomeconomico e una impostazione politica in continuo e apparente cam-biamento, caratterizzata dall’istaurarsi dei governi di centro–sinistra.Il modello fordista verrà importato nelle due città in modi diver-si, creando delle classi operaie che avranno una coscienza moltodifferente da quella del Triangolo industriale.

L’ultima parte del volume riguarda la rappresentazione del lavoroin vari modi e contesti che hanno accompagnato il Novecento. Dall’i-struzione professionale alla letteratura, dal cinema al documentario,tutte forme di acculturazione riguardanti i lavoratori e in grado dicreare, a seconda dei casi, consenso o dissenso verso le particolariforme organizzative del lavoro.