IL SAGGIO DI GIOVANNI ORSINA: UNA “BREVE STORIAgnato ad ampliare gli spazi di autodeterminazione...
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CORRADO OCONE
iovanni Orsina hascritto un libroimportante, che
mancava: La democraziadel narcisismo. Breve sto-ria dell’antipolitica (Marsi-lio, pp. 183, euro 17). La crisidella democrazia italiana, che sicolloca con le sue specificità nel-la più generale crisi della demo-crazia liberale a cui è dato assi-stere un po’ ovunque in Occi-dente, aveva bisogno di essereaffrontata ad un livello storico,in una dimensione transtempo-rale diciamo così. Finora, infatti,si sono individuate le caratteri-stiche di questa crisi, e spesso siè imprecato sull’eclissi e il tra-monto dei valori che regge-vano un tempo le nostrecomunità politiche ela nostra vita socia-le. Quasi come certe“perversioni” na-scessero dal nulla,come fossero unasorta di imprevedi-bile “invasione degliHyksos” a cui va semplice-mente opposta resistenza per ri-stabilire le coordinate di un pas-sato nemmeno troppo lontano.Nessuno, o quasi, si è posto ladomanda: “Come siamo arrivatia questo punto”? E, soprattutto,nessuno si è chiesto se casomainon fosse proprio quel passatotanto mitizzato a contenere in sécerti germi, certe contraddizioni,che hanno portato poi alla “de-cadenza” attuale. Ovviamente,per rispondere a queste doman-de, bisogna conoscere a fondo,senza approssimazioni o “luoghicomuni”, la storia di cui si parla.E occorre anche abbandonare unpo’ la essenziale e presuppostacultura storica per provare, conla dovuta accortezza, a tipizzare,a ridurre a modelli. È quanto faOrsina che, nel creare i suoi ide-altipi (che giudica cautamentesemplici ipotesi), viene ponen-dosi in un terreno, secondo me,a metà fra la storia propriamentedetta, che usa il giudizio indivi-dualizzante, e le scienze sociali,in particolare la politologia, chetendono invece a generalizzare.Indubbiamente è anche questoun elemento non secondario delfascino del libro, le cui tesi prin-cipali ora provo, per sommi ca-pi, a riassumere.Prima di tutto, va osservato cheOrsina, nel suo viaggio lungo lepatologie, o semplicemente, lecontraddizioni della nostra so-cietà, politica e non, si muovecon l’aiuto delle idee di alcunigrandi pensatori del passato. Ilprimo di questi è Alexis de Toc-queville che, nella sua analisidella società americana di inizioOttocento, seppe individuarecon precisione le caratteristichecontraddittorie non solo dellapolitica, ma anche della società
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e dell’uomo democratici. In pas-si memorabili de La democraziain America (1837), che Orsinariporta in queste pagine, egli, do-po aver ammonito che la demo-crazia è un dato di fatto, una si-tuazione non reversibile deitempi moderni, e che come taleva necessariamente e realistica-mente accettata, ne mette in lu-ce, con straordinaria preveggen-za, le opportunità ma anche i ri-schi e pericoli. Al fondo dellademocrazia c’è, infatti, una pro-messa di felicità e benessere pertutti che essa non può ovvia-mente mai riuscire a soddisfarefino in fondo. La democrazia èperciò attraversata da tensioniforti che possono metterla seria-mente in crisi, come d’altrondepiù volte è avvenuto negli ultimidue secoli, segnatamente nelNovecento. Crisi che riposano,certo, su elementi congiunturali,ma che sono in qualche modoconnaturati all’essenza stessa diessa. La promessa di felicità èandata sempre più emergendo
nell’età dell’iperdemocraticismoradicale che attraversa, a partiredagli anni Sessanta del nostrosecolo, le società occidentali. Eche è caratterizzato da indivi-dualismo esasperato, contesta-zione del principio di autorità econnessa crisi delle istituzionirappresentative (ognuno vuoledecidere su tutto senza media-zioni o intermediari e senzanemmeno averne le competenzespecifiche), messa in scacco diogni tradizione o dello stessoelemento liberale o “aristocrati-co” che temperava prima il de-mocraticismo, assemblearismo,mito della partecipazione. Il mi-to della democrazia partecipati-va ha soppiantato la più prosai-ca ma reale e sostanziale demo-crazia rappresentativa e liberale.Più radicalmente c’è stato qual-cosa come un mutamento quasiantropologico dell’individuoche Orsina riconduce, sulle or-me di vari autori, alla categoriapsicologico-politica del “narci-sismo”. L’uomo democratico,
come già Tocqueville aveva in-dividuato, è teso a soddisfare ipropri interessi materiali, chiusoin se stesso e senza nessuna ten-sione ideale. L’uomo “eroico” odi eccelse virtù del passato haceduto il posto a una sorta dimediocrazia che finisce spessoper convertirsi in un pericolosoconformismo di massa. È la fi-gura del cosiddetto “signorinosoddisfatto” di cui aveva parlatoJosé Ortega y Gasset, che insie-me a Johan Huizinga, è un altrodei grandi “maestri” del passatodi cui Orsina si serve nel proce-dere del suo discorso. Nel perio-do compreso fra le due guerremondiali, infatti, si assiste già aduna drammatica crisi della de-mocrazia, che alcuni pensatoriinterpretano più generalmentecome “crisi della civiltà euro-pea” o, addirittura, come “tra-monto dell’Occidente” (penso,rispettivamente, a Edmund Hus-serl e Oswald Spengler). Orsinasi sofferma molto, appunto, sul-le riflessioni di Ortega, contenu-
te in La ribellione delle masse,del 1930, di Ortega e in La crisidella civiltà, come è intitolato initaliano il libro più conosciutodi Huizinga, del 1935. In que-st’ultimo, ad esempio, è messoin luce un altro aspetto, oltre alconformismo, che contraddi-stingue la società democratica odi massa: la manipolazione del-la verità. «L’indifferenza alla ve-rità -scrive lo il saggista e mora-lista olandese - tocca il suo apicenel fatto che l’inganno politicoriscuote il plauso universale».Come si vede, le fake news nonsono un prodotto odierno, caso-mai causate da Trump o dellaBrexit come vorrebbe la retoricamassmediologica! Più in gene-rale, si può dire che, nel secondodopoguerra, fattori congiuntura-li (ricostruzione, benessere, Wel-fare diffuso) hanno come messoin congelatore una crisi che co-vava da tempo e che, appunto,dagli anni Sessanta, comincia ariemergere. Lo spartiacque è ov-viamente il Sessantotto, con tut-
Populisti? No, narcisistiEcco il vero maleche affligge la democrazia
IL SAGGIO DI GIOVANNI ORSINA: UNA “BREVE STORIA
CULTURA8IL DUBBIO
MERCOLEDÌ 16 MAGGIO 2018
ta l’ambi-guità definito-ria del concet-to.Orsina vedeuno stessoprocesso al-l’opera sia neldominio, a si-nistra, semprepiù, a partiredagli anni Set-tanta, della re-torica dei di-ritti, che pren-de il posto del-la “questionesociale”, sianelle posizioniliberiste e mer-catiste che, soprattutto a partiredagli anni Ottanta, comincianoa dominare il campo della de-stra, soppiantando le vecchieposizioni conservatrici. Il mini-mo comune denominatore sa-rebbe appunto l’individualismo,al di là di ogni idea di comunitàpolitica o di quella che un tem-
po si chia-mava “societàcivile”. È que-sta la parte chemi lascia unpo’ perplessodel libro di Or-sina, soprat-tutto perché il“lungo Ses-santotto italia-no”, a mio av-viso, si ricolle-ga più, anzi di-rei essenzial-mente, ai vec-chi mitipoliticisti emarxisteggian-ti del Nove-
cento che non all’idea di “libe-razione del desiderio” di stampomarcusiano. In Italia, in ogni ca-so, tutti i nodi vengono al petti-ne negli anni Novanta, ove, conlo scoppio di Tangentopoli, ilvecchio sistema politico e parti-tocratico su cui si era fondata laprima Repubblica crolla. L’ulti-
mo dei tre ca-pitoli del libro è de-
dicato proprio a questa vi-cenda, ed è sicuramente moltooriginale. Qui Orsina si serve diun’altra guida di eccezione,l’Elias Canetti di Masse e potere,pubblicato nel 1960 dopo tren-t’otto anni di gestazione (il “li-bro di una vita” come il grandeintellettuale rumeno ebbe a de-finirlo).Ed è suggestivo, e impressionan-te insieme, come certe categoriepsicologico-politiche presentinello scrittore rumeno (la “mu-ta”, “le spine del comando”, “lamassa di rovesciamento”, i “cri-stalli di massa”, il “capro espia-trio”) sembrino adattarsi allaperfezione alle varie fasi della“rivoluzione giudiziaria” italia-na. Alcune di queste categorie,che in Canetti erano temperatedal contesto paraletterario in cuiil tutto era inserito, finiscono peressere alquanto forzate nel nuo-vo contesto applicativo usato daOrsina. È indubbio però che lagrande letteratura, o comunquei libri e gli intellettuali di confi-ne, riescono a dare in modo piùpieno il senso della nostra epoca(non è un caso che nel libro ri-torni spesso anche il nome diEugenio Montale, con la sua ca-pacità di tenersi sempre a latonelle vicende del suo tempo,che affrontò con una carattersti-ca tonalità emotiva, realistica escettica al tempo stesso). un’epo-ca, la nostra, potremmo anchedire, ancora in attesa di categorieche riescano ad interpretarla inmodo più compiuto e plausibile.Quello che però è evidente oggiè il sovrapporsi sempre più nellapolitica democratica occidenta-le, di cui l’Italia gravata da pro-blemi connessi ai suoi ritardistorici è quasi un perfetto labo-
ra-torio, diistanze esterne al-la politica, in primo luogoquelle giuridiche ed economi-che. «Un potere pubblico impe-gnato ad ampliare gli spazi diautodeterminazione dei cittadi-ni avrà poi bisogno di struttureamministrative sempre più pe-santi, articolate e competenti».La politica, in verità, sembraquasi delegare con soddisfazio-ne le proprie prerogative a chi,in nome di una molto presunta“neutralità” (sia quella del mer-cato o delle “autorità indipen-denti” e delle organizzazioni so-vranazionali), finisce per ma-scherare la sua sempre più so-stanziale impotenza. «Come po-trà la politica, dopo aver perdutoogni sua funzione, non assume-re infine - si chiede Orsina -quella del capro espiatorio? ».In definitiva, ricapitolando, sipuò dire che dal libro di Orsinaemerge che, per capire la crisiitaliana, bisogna, da una parte,inserirla in una dimensione glo-bale, dall’altra e soprattutto inuna dimensione storica e di lun-ga durata. Ciò permetterà di nongiudicare semplicemente come“patologie” gli aspetti iù appari-senti e preoccupanti di questacrisi: all’interpretazione morali-stica, che non si confà alla pro-fessione dello storico e dell’in-telletualle, subentrerà finalmen-te quella storico-politica. Il checomporterà anche come conse-guenza, a mio avviso, che, in uncampo non più di stretta perti-nenza dell’uomo di cultura, al-cuni elementi della nostra crisi,quelli che comunemente e con
termine dubbio (di cui per for-tuna Orsina non fa abuso) ven-gono definiti “populisti”, sianonon contrastati frontalmente macontrollati e incanalati in solchipraticabili da nuove e più credi-bili classi dirigenti (Orsina in ef-fetti ricorda come la “ribellionedelle masse” che contraddistin-gue le società democraticheavanzate abbia un corrispettivospeculare in quello che potrem-mo definire il “tradimento delleélite”).La situazione è quindi comples-sa, a livello nazionale e globale.Siamo in uno di quei periodi ditrasformazione, forse, in cui unparadigma, in questo caso quel-lo democratico, portato alleestreme conseguenze, finisceper implodere. Il Novecento è,forse definitivamente finito. Ciòche occorre augurarti è che an-che nei nuovi tempi, l’istanza li-berale possa riuscire a temperarel’emergere di un nuovo che an-cora non conosciamo o noncomprendiamo.
A DELL’ANTIPOLITICA”
9IL DUBBIOMERCOLEDÌ 16 MAGGIO 2018
NESSUNO, O QUASI, SI È POSTO LA DOMANDA:“COME SIAMO ARRIVATI
A QUESTO PUNTO”? E, SOPRATTUTTO,
NESSUNO SI È CHIESTO SE CASOMAI NON FOSSE
PROPRIO IL PASSATOTANTO MITIZZATO
A CONTENERE CERTI GERMI.
QUESTO LIBRO LO FA
AMLETO ILLUSTRATO DA VLADISLAV ERKO