Centofiori dicembre 2013

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INDICE Servizio Civile Internazionale via A. Cruto 43 - 00146 Roma Tel 06.5580644 Fax 06.5585268 e-mail: [email protected] web: www.sci-italia.it Centofiori n. 69 Direttore Responsabile: Gianni Novelli Redazione e amministazione: Segreteria Nazionale SCI via A. Cruto 43 - 00146 Roma Tel 06.5580644 e-mail: [email protected] Coordinamento e realizzazione: Segreteria Nazionale SCI Testi: Segreteria Nazionale attivisti, volontari e partner SCI Stampa: Multiprint via Braccio da Montone 109, Roma Aut. Trib. Roma 86/83 del 5/3/83 Stampato a dicembre 2013 5 EDIToRIalE di Riccardo Carraro 6 la CITTà DEll’uTopIa un progetto sostenibile e riproducibile? di Silvio Olivieri 9 oRganIzza un Campo SCI la stagione 2014 sta per iniziare 10 BEyonD wallS 9 short documentaries about life and the occupation di Uki 12 no Tav In palESTIna di Virginia Santilli 15 lo SCI è vIvo E Il Suo CuoRE BaTTE foRTE una testimonianza dall’assemblea nazionale di Nicola Muscu 18 Il DoCumEnTo polITICo DEllo SCI 2013 Assemblea nazionale 2013 23 ConCluSIonI di Laura Basta 25 SoSTIEnI SCI 26 ConT@TTI E gRuppI REgIonalI E loCalI SCI

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Rivista del Servizio Civile Internazionale. In questo numero, "Resistenze Quotidiane", racconti ed approfondimenti dai progetti locali e internazionali. La pubblicazione del nuovo documento politico dello SCI.

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INDICEServizio Civile Internazionale

via A. Cruto 43 - 00146 Roma Tel 06.5580644Fax 06.5585268

e-mail: [email protected] web: www.sci-italia.it

Centofiori n. 69

Direttore Responsabile: Gianni Novelli

Redazione e amministazione:

Segreteria Nazionale SCI via A. Cruto 43 - 00146 Roma

Tel 06.5580644 e-mail: [email protected]

Coordinamento e realizzazione:

Segreteria Nazionale SCI

Testi: Segreteria Nazionale

attivisti, volontari e partner SCI

Stampa: Multiprint

via Braccio da Montone 109, Roma

Aut. Trib. Roma 86/83 del 5/3/83

Stampato a dicembre 2013

5 EDIToRIalE di Riccardo Carraro

6 la CITTà DEll’uTopIa un progetto sostenibile e riproducibile? di Silvio Olivieri

9 oRganIzza un Campo SCI la stagione 2014 sta per iniziare

10 BEyonD wallS 9 short documentaries about life and the occupation di Uki

12 no Tav In palESTIna di Virginia Santilli

15 lo SCI è vIvo E Il Suo CuoRE BaTTE foRTE una testimonianza dall’assemblea nazionale di Nicola Muscu

18 Il DoCumEnTo polITICo DEllo SCI 2013 Assemblea nazionale 2013

23 ConCluSIonI di Laura Basta

25 SoSTIEnI SCI

26 ConT@TTI E gRuppI REgIonalI E loCalI SCI

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5 Resistenze quotidiane

Preparando questo Centofiori abbiamo voluto raccogliere le esperienze e i ricordi più significativi di questo 2013 che sta volgendo al termine. E' stato un anno pieno di novità e di cambiamenti nella nostra associazione e queste pagine possono essere solo uno piccolo specchio di tutto quello che “è stato” il 2013. E' stato l'anno di una Assemblea Nazionale partecipata e proattiva, che è riuscita a lanciare stimoli importanti verso i prossimi due anni, che ha eletto un Consiglio Nazionale quasi interamente rinnovato e molto allargato. Il racconto che un socio ne fa in queste pagine trasmette ampiamente le emozioni e le sensazioni più importanti vissute nei giorni a Berzano di Tortona.

E' stato anche l'anno della riapertura completa de La Città dell'Utopia, dopo quasi due anni di lavori di restauro che ne hanno limitato fortemente l'utilizzo.Con una grande festa popolare a Giugno finalmente abbiamo celebrato la ripresa degli spazi e i 10 anni di storia del progetto, che può finalmente riprendere piena forma e potenzialità. Speriamo che nel prossimo Centofiori potremo festeggiare una assegnazione duratura, che possa permetterci di progettare a lungo termine le attività.Il 2013 è stato anche l'anno di inizio di un nuovo grande progetto pluriennale nei Territori Palestinesi e in Israele,

EDITORIALE

Beyond Walls, all'interno della linea di finanziamento europea, European Instrument for Democracy and Human Rights. In queste pagine raccontiamo quelli che sono forse stati i due momenti più belli ed emozionanti di questo progetto durante l'anno, il viaggio di una delegazione di attivisti Notav, e il momento pubblico a Tel Aviv a coronamento del grande lavoro svolto per un anno da parte del nostro partner israeliano, Active Vision.

Molte diverse sfide si aprono nell'anno che inizia, sul piano concreto vi è la necessità di adattarsi alla riformulazione delle linee di finanziamento europee, che ci interessano direttamente, perché ci permettono di svolgere alcune attività strutturali della nostra associazione come gli scambi per giovani con minori opportunità. In una prospettiva più ampia, dobbiamo fare fronte al contesto italiano e mondiale problematico, in cui non si vedono vie di uscita alla crisi ( economica, ma non solo) e in cui la risposta dal basso dei movimenti è ancora fragile e frammentata. Siamo però convinti che i passi fatti assieme in quest'anno e il rinnovato radicamento territoriale della nostra associazione saranno motivo di forza per affrontare questo nuovo anno assieme.

Buon 2014 a tutti!

di Riccardo Carraro - Segreteria Nazionale

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6 Resistenze quotidiane

“Perché avete chiamato il progetto ‘La Cit-tà dell’Utopia’? Perché avete usato la parola utopia che, per definizione, è qualcosa di ir-raggiungibile? Voi fate tantissime cose e tut-te molto concrete!”

Questa è un domanda che mi sono sentito fare molte volte nel corso della passata sta-gione campi e scambi internazionali. Una domanda che effettivamente mette un po’ in crisi per la vastità di risposte che si potreb-bero dare. Io non ero presente all’inizio del progetto, quando si è deciso il nome, ma non ho mai avuto dubbi su come cominciare la ri-sposta. L’utopia non è un concetto fatto solo di un obiettivo, magari irraggiungibile, ma tiene dentro anche tutti quei passaggi reali e necessari che tendono verso la sua realizza-zione. L’utopia è fatta di tanti piccoli passi quotidiani che modificano lo stato delle cose esistenti un pezzo alla volta, avendo ben chiara la meta da raggiungere e sperimentan-do ad ogni passaggio il metodo e le pratiche. “La Città dell’Utopia” ha vissuto gli ultimi due anni con molta difficoltà a causa dei la-vori di ristrutturazione del Casale che ospita il progetto. Due anni in cui i meccanismi e le relazioni che si erano create sono state messe in difficoltà. Due anni in cui gli attivisti e lo staff della segreteria SCI hanno trattenuto il respiro o respirato con il boccaglio per tenere viva un’esperienza di cui, oggi, è innegabi-le l’impatto a livello locale e internazionale. Da marzo 2013, finalmente il progetto ha di nuovo a disposizione tutti i locali del Casale per poter svolgere le proprie attività e conti-nuare nella creazione di possibilità e di reti a partire da quella parte della società che ci piace chiamare cittadinanza attiva.

Il progetto “La Città dell’Utopia” è nato nel 2003 con obiettivi molto concreti, le-gati ad un contesto sociale e politico che si è andato progressivamente e velocemente modificando. Sia dal punto di vista prati-co, con il recupero degli spazi, sia attra-verso la promozione di numerose attività sul territorio, buona parte degli obiettivi stabiliti inizialmente sono stati centrati (partecipazione della cittadinanza e del vicinato, la dimensione internazionale at-traverso i volontari da tutto il mondo, il recupero degli spazi del Casale, le attività

LA CITTà DELL’uTOpIA un progetto sostenibile e riproducibile?

di Silvio Olivieri – Segreteria SCI-Italia

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manuali come strumento di conoscenza e inclusione, …)“La Città dell’Utopia” è riuscito a diventa-re un laboratorio che valorizza e collega le esperienze e le potenzialità dei diversi sog-getti del territorio ed offre opportunità per i cittadini di partecipare allo sviluppo am-bientale e sociale del quartiere.

La stagione estiva 2013 al Casale è stata un tra le più intense dall’inizio del progetto. Le molteplici attività che si sono svolte, spesso in contemporanea, unitamente alla continua attività di risistemazione degli spazi, hanno reso vivo il posto ogni giorno fino alla chiu-sura estiva dei locali. A 10 anni dall’inizio di questo progetto si ha la capacità di vedere uno spazio che prende finalmente forma in ogni suo aspetto e locale. Il lavoro è ancora tantissimo, ma la partecipazione vissuta nei mesi scorsi fa ben sperare nella sedimen-tazione non solo di relazioni costruite, ma anche verso nuovi percorsi di sperimenta-zione e cambiamento che ben si conciliano

con lo spirito del progetto stesso. Tanti gli scambi internazionali, tanti i campi di la-voro, tante le iniziative, tanti gli incontri che in comune hanno quei valori che lo SCI, ma anche la comunità tutta che vive La Città dell’Utopia provano a far diveni-re una realtà su cui costruire davvero un nuovo mondo possibile. Credo sia molto importante la sperimentazione fatta a set-tembre con il primo campo per famiglie su cui credo sia utile e interessante prova-re a fare una riflessione dal punto di vista associativo a livello nazionale. È stata una scommessa che ha avuto delle criticità, ma su cui intravedo delle potenzialità di sviluppo soprattutto in relazione ai diversi contesti dei nodi locali dell’Associazione. La capacità di modificare e declinare il tipo di lavoro e di contenuti verso un tar-get diverso da quello a cui siamo abituati nei campi “classici”, è un esperimento in-teressante che ci ha portato a una rivisita-zione dei linguaggi e degli aspetti pratici che, oggi, ci apre verso nuove prospettive.

Dal punto di vista tematico il progetto ha sempre sviluppato tre filoni principali, che negli anni si è riusciti a declinare in senso sempre più ampio:

1) Cittadinanza attiva, partecipazione, vo-lontariato2) Pace e solidarietà internazionale3) Pratiche e Stili di vita sostenibili

Di fronte alla crisi generalizzata che coin-volge sempre più ampi settori della so-cietà civile e intacca in modo profondo il sentimento di fiducia verso la costruzio-ne di un’alternativa possibile, è fonda-mentale la capacità di fare rete e adattare l’analisi sui contesti. La Città dell’Utopia vuole promuovere pratiche di resisten-za nei confronti di meccanismi sociali ed economici distruttivi collegandosi ad altre esperienze dalle quali apprendere e con le quali scambiare, recuperando in forma collettiva il patrimonio critico sto-ricamente raccolto in anni di movimenti e

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lotte sociali, a partire da quel antifascismo che traspare ancora oggi dalla storia delle pietre del Casale. Il legame con le associazioni che lavorano e si attivano a partire dagli spazi del progetto rientra pienamente in questo contesto. Labo-ratorio 53, che, su differenti aspetti, lavora assieme a richiedenti asilo e più in generale con migranti; Libellula, che affronta le pro-blematiche sociali, psicologiche, sanitarie e occupazionali legate al transessualismo e transgenderismo. FIAB Roma RuotaLi-bera, che propone iniziative legate ai temi della mobilità sostenibile in ambito urbano e dell’intermodalità dei trasporti; terra/TER-RA, sperimentazione di un modello di econo-mia che impegna reciprocamente produttori, artigiani e consumatori per sovvertire le cate-ne di distribuzione, ridurre la distanza alimen-tare, valorizzare le relazioni sociali, sensoriali e gustative. Eduraduno, gruppo di educatori professionisti che provano a creare “reti” tra i vari protagonisti del sociale ed a presentare strumenti, metodologie e tecniche innovative in ambito educativo. Inoltre continua ad in-contrarsi una volta a settimana un gruppo spe-ciale, formato da operatori sociali e da giova-ni pazienti psichiatrici del Centro Diurno del Centro di Salute Mentale dell’ASL Roma C. Tutte queste realtà, insieme alla creatività e alle diverse esperienze degli attivisti che fan-no vivere il progetto quotidianamente, creano la molteplicità di approcci e visioni che fanno di questo laboratorio una fonte inesauribile di rielaborazione di contenuti e pratiche. In questo processo hanno un ruolo fondamen-tale i volontari internazionali che entrano a far parte dello staff de “La Città dell’Utopia”. Lo sguardo internazionale e la dinamicità di esperienze lontane dalle nostre, assieme ad un’organizzazione del lavoro che garantisce libertà di elaborazione, proposta e realizza-zione di progetti personali, arricchisce sem-pre di più il percorso collettivo che portiamo avanti. L’attenzione che si da, in continuità con lo spirito del progetto e dell’Associazio-ne, alla costruzione di un gruppo di lavoro, a partire dalle diverse specificità, anche caratte-riali, garantisce la continuità necessaria a far

crescere e sedimentare la partecipazione e l’attivazione, obiettivi primari del pro-getto. Come coordinatore credo valga la pena sottolineare come oggi ci sentiamo soddisfatti per esser riusciti a costruire un ambiente lavorativo che esce da di-namiche logoranti e opprimenti. Solo in questo modo crediamo sia possibile met-tere a frutto quelle potenzialità di inter-relazioni che innescano quei processi di cambiamento dell’esistente dal basso, a partire da noi e dalle nostre vite.

Uno dei progetti su cui proveremo a la-vorare nei prossimi anni sarà la creazio-ne di un centro dimostrativo per quello che riguarda la gestione dei rifiuti. Già è cominciato un ragionamento sulla ri-duzione dei rifiuti che si producono, un ragionamento che ancora molto in itine-re, ma che potrebbe portare a notevoli risultati. L’idea è quella di creare un cir-cuito virtuoso in cui non solo si pratica la raccolta differenziata, ma si crea una rete di realtà che riutilizzano, riciclano o trasformano in modo creativo i rifiuti che si producono. Si potrebbe, quindi, differenziare anche in base alle richie-ste specifiche dei laboratori. Inoltre at-traverso workshop diversificati si po-trebbero riutilizzare direttamente alcuni materiali per particolari necessità della struttura. La prospettiva potrebbe esse-re quella della proposta riproducibile da fare ad altre realtà e scuole del territorio così da moltiplicare le microsoluzioni ad un problema di cui non si intravede la fine, a Roma come in molte altre città.

L’impatto che un progetto come “La Cit-tà dell’Utopia” ha sulle persone che lo attraversano, lo costruiscono o ci gravi-tano intorno, lo rende un percorso indi-spensabile e quindi sostenibile, in quan-to costruttore di quella socialità di cui abbiamo sempre più bisogno e di quella coscienza che costruisce resistenze quo-tidiane.

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ORGANIZZA uN CAMpO SCILa stagione 2014 sta per iniziare

Organizza un campo di VolontariatoL’amministrazione locale, l’associazione, il gruppo di base, la cooperativa interessata ad ospitare un campo di volontariato internazionale per sostenere un progetto di pubblica utilità (sociale, culturale, ambientale, ecc…) si mette in contatto con il Servizio Civile Internazionale per indicare le attività che i volontari andranno a svolgere.A tale scopo va compilato un prospetto (fornito dallo SCI) in cui si inserirà una breve descrizione del campo, con una presentazione dell’associazione, gli obiettivi e le attività del campo e dettagli come date e numero di volontari. Particolare attenzione va fatta nel compilare la parte inerente all’accessibilità per disabili della struttura che ospiterà i volontari.Successivamente, in largo anticipo rispetto all’inizio del campo, va scritto un foglio informativo (INFOSHEET) contenente tutte le informazioni in dettaglio riguardanti l’associazione, il campo di volontariato, i recapiti e il luogo di incontro con i volontari.

Cosa non deve mancare in un campo di volontariato?In quanto scambio internazionale che va oltre le attività pratiche ed il lavoro stesso, volto alla cooperazione, allo scambio culturale e all’approfondimento del rapporto con la comunità locale, il campo non può prescindere da elementi basilari che vanno chiariti e garantiti fin da subito ai volontari.- Supervisione dell’associazione. Innanzitutto è di fondamentale importanza per lo svolgimento del campo all’interno di una determinata comunità locale la presenza costante del/dei promotori, che favoriscano passo dopo passo l’integrazione e l’armonia con gli altri soggetti che esistono nello stesso luogo. I referenti dell’associazione, infatti, si dovranno occupare di fornire le condizioni adeguate sia per la permanenza dei volontari che per un sereno svolgimento delle attività lavorative (le quali si dovranno compiere nella massima sicurezza e garanzia dell’integrità personale), oltre che facilitare l’incontro tra i volontari e la comunità locale.

ORGANIZZA UN CAMPO SCI - Scrivi a [email protected]

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È possibile raccontare l’occupazione senza raccontare la lotta? Ruotano intorno a questo interrogativo i 9 documentari , realizzati da giovani filmmaker israeliani, che per la prima volta sono stati presentati venerdì 29 Novembre alla Cinemateque di Tel Aviv, su iniziativa di Active Vision e del Servizio Civile Internazionale, all’interno del progetto Beyond Walls. Questo progetto ambisce al potenziamento della resistenza popolare, attraverso la joint struggle, una strategia di lotta che dal 2003 mette insieme israeliani, palestinesi ed internazionali contro l’occupazione, in un’ottica che rigetta la normalizzazione e

la pacificazione del conflitto e che vuole costruire al tempo stesso una condizione di uguaglianza e di giustizia attraverso la trasformazione del conflitto stesso. Ad introdurre la proiezione c’erano i giovani produttori, che a stento sono riusciti a mascherare l’orgoglio e l’emozione per la presentazione di un lavoro che ha richiesto 11 mesi di lavoro immensi. I documentari sono, infatti, frutto di workshop organizzati da Active Vision fra attivisti e non, per raccontare l’occupazione al di là delle barriere. E il risultato è stato eccezionale: la sala, colma nei suoi 150 posti, era piena di attivisti, ma anche di famiglie e gente comune. E se agli applausi scroscianti si iniziano a sovrapporre molte lacrime vuol dire che gli occhi dei filmmaker, benché inesperti, sono riusciti a scrutare il profondo ed a fissarlo sulla pellicola. Sono riusciti a tirare fuori tutti i sentimenti, i contrasti, la rabbia e la frustrazione, l’orgoglio e le paure, che chi vive sotto l’occupazione prova costantemente, al contrario di chi vive l’atmosfera rilassata da capitale europea di Tel Aviv, dove si può facilmente dimenticare qual è il prezzo che si sta pagando. Nel discorso introduttivo Timna, attivista e filmmaker israeliana, ha spiegato come è difficile essere al tempo stesso artisti ed attivisti: l’attivismo politico richiede molte conoscenze per poter prendere posizione, per esaminare la realtà e decidere da che parte stare. Mentre all’artista si chiede di fare domande, di aprire campi di conoscenza, ma gli

BEYOND WALLS9 Short documentaries about life and the occupation

di uky - Attivista SCI in palestina con il Servizio Volontario Europeo

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vengono richieste molte meno risposte. È su questa sottile linea che il gruppo Active Vision ha lavorato, prendendo posizione, agendo, con idee chiare, senza slogan o famiglie ideologiche. I documentari, dei piccolo capolavori di 10 minuti ciascuno, hanno dovuto far fronte all’inesperienza con la creatività, ad oggi, l’arma più importante rimasta a chi vuole opporsi alla normalizzazione dell’occupazione. Abituarsi a questo stato è oggi infatti il pericolo più grande: vorrebbe dire perdita dell’identità, rinuncia alla resistenza e rassegnazione all’impossibilità di sovvertire il disegno sionista. Magistrale da questo punto di vista il lavoro di Tomer Asam che con “Friends of my father”, racconta come il proprio padre, Kobi, si senta a casa nel villaggio palestinese di Nilin, di come è nata questa amicizia e di come persista nonostante le barriere fisiche e mentali poste dall’occupazione, il tutto condito dalle battute di un uomo che ci fa capire come alle barriere sociali si possa rispondere in maniera semplice ed umana. Ogni storia e un piccolo gioiello, ognuna uno sguardo preciso su una delle conseguenze che l’occupazione comporta: “Al-araqib – a struggle for existance” racconta di come il villaggio beduino nel Negev sia stato distrutto più di 56 volte dal 2010 e di come questi continuino a lottare per la loro esistenza; “Distant zone” ci parla della vita e della resistenza degli abitanti di Abu-dis, periferia di Gerusalemme, dove dal 1971 Israele accumula la maggior parte dei propri rifiuti; con “Summer in Atir” Vardit Goldner ci racconta la storia di Sanda, del suo cancro, diagnosticatole nel 2010, e di come le autorità israeliane abbiano distrutto più volte il suo villaggio nel Negev, dove lei comunque continua a vivere ed a lottare; “from symbol to reality” mostra una visione molto critica dei differenti simboli della società israeliana e della loro relazione con il militarismo e l’occupazione; “Hana’s home” racconta

come Hana non abbia perso la speranza nonostante l’impossibile convivenza quotidiana con la crudeltà dell`esercito e la violenza dei coloni ad Hebron; “A blessed Shabat Shalom, get out of sheil jarah now” narra di come si viva e si resista alla periferia di Gerusalemme est, nonostante il processo di espulsione in larga scala in atto da anni. Le ultime due storie parlano del villaggio di Nabi Saleh: in “Risk”, Tznil Levi ci parla delle propria partecipazione alla lotta popolare del villaggio per più di 3 anni ed attraverso la conversazione con il suo amico e attivista locale Eiad Tamimi vengono sviscerati temi come la paura, la resistenza e la partecipazione degli attivisti israeliani alla lotta del villaggio. Nell’ultimo documentario, “Some time I’m afraid, some time I hit” di Yuval Auron, a parlare sono i bambini del villaggio che partecipano attivamente insieme alle donne alle proteste settimanali che da 4 anni gli abitanti conducono contro l’espropriazione dell’unica fonte d’acqua da parte della colonia vicina. Durante questi anni i bambini hanno acquisito una propria prospettiva dell’occupazione che ci raccontano con semplicità attraverso la propria esperienza familiare ed i propri sogni. L’idea alla base di “Films beyond the walls” è stata un successo ed ha già superato le aspettative, è pronto per essere proiettato in diversi festival ed ha dato una visione ampia e complessa dello stato dell’occupazione oggi, raccontando la lotta per la terra, la casa, la libertà e per le proprie vite.

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NO TAV IN pALESTINA di Virginia Santilli - delegazione No Tav

in palestina con il progetto Beyond Walls

Sarebbe potuto essere il titolo dell’ennesi-mo articolo contro il movimento NOTAV pubblicato sul La Stampa o su Repubbli-ca, con tanto di allarmismo su terrorismo internazionale e possibili intrecci con la lotta in Valsusa. Invece si tratta di un viaggio, “solo” di un viaggio. Il viaggio di alcuni attivisti NOTAV e il confronto tra lotte popolari, tra il fascino e l’incer-tezza, la bellezza e le difficoltà che le ca-ratterizzano. Il viaggio è stato organizzato dal Servi-zio Civile Internazionale e finanziato in parte dalla Comunità Europea per poter permettere a membri della società civi-le italiana di fare un’esperienza di cono-scenza diretta sulle varie dinamiche che purtroppo caratterizzano il quotidiano nel vicino medio oriente. Il popolo NOTAV in questi anni è stato appellato con svariati attributi, ma è la prima volta che qualcuno utilizza il termi-ne “civile” per descrivere chi, in Valsusa, lotta a difesa del territorio e dei propri di-ritti.Abbiamo incontrato lo Sci nell’estate del 2012 durante un campo di lavoro organiz-zato insieme a Chiomonte. Le molte similitudini tra i metodi e gli strumenti di militarizzazione in Palestina e in Valle, hanno ispirato l’idea del viag-gio. E così, dopo vari incontri, riunioni e dopo aver discusso piani di lavoro, il 20 settembre mi sono ritrovata con altr* quattro compagn* e un accompagnatore

dello SCI in volo per la Palestina.Arriviamo nella notte a Gerusalemme, cit-tà caratterizzata, quartiere per quartiere, da culti religiosi differenti, ma dove è difficile trovare la pace spirituale e dove non è inso-lito veder passeggiare tra le vie della zona araba coppie di israeliani in abito da sera con borsetta e mitra in spalla.Dopo aver tra-scorso la notte e aver apprezzato la prima colazione a Gerusalemme Est, siamo partiti per il nostro primo appuntamento con il co-

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mitato di lotta popolare ad Abu Dis, nella periferia della capitale.Abbiamo preso un mini-bus collettivo e dopo pochi minuti, siamo giunti a desti-nazione. Purtroppo però non avevamo considerato un “dettaglio” importante. Il muro! Sì, Il famoso muro.Il posto era quello giusto, ma dall’altra parte del mostro di cemento.Dopo un’ora e mezza di sali e scendi da un bus all’altro, dopo vari checkpoint, in ritardo arriviamo alla meta. E sarà così per tutto il resto del viaggio, per ogni sin-golo spostamento.Il muro divide quello che gli israeliani considerano il proprio territorio da quello che per ora hanno deciso di concedere ai palestinesi. Divide famiglie, divide pae-si, divide la periferia Est di Gerusalem-me. Ma è solo una delle tante strategie del governo israeliano per raggiungere la cancellazione dalle cartine dei territori palestinesi, dividendolo con strade e co-lonie, bloccando o rendendo difficili gli spostamenti e rendendo psicologicamente

impossibile una vita normale. Abbiamo in-contrato differenti comitati di lotta popola-re: quello di Al Masara, di Abu Dis, di Nabi Saleh, e di Bi’lin. Ad Abu Dis abbiamo partecipato ad un workshop con scambio di esperienze di lotta e siamo rimast* tutt* molto sorpres* dal grado di interesse che hanno dimostrato nei confronti di un’espe-rienza differente dalla loro. Questo soprat-tutto dopo la proiezione del documentario “I Peccati della Maddalena”, lavoro del re-gista Manolo Lupichini che racconta le ra-gioni del movimento NOTAV , lo sgombero della Maddalena e i fatti dell’estate di lotta del 2011 in valle”. Le domande erano in particolare concen-trate sul 3 luglio 2011 e sul come sia stato possibile coinvolgere così tante persone in una manifestazione così particolare e in un territorio così tortuoso come i sentieri e i boschi della Val Clarea.Ero partita con il pensiero di poter final-mente incontrare e farmi raccontare della resistenza palestinese, un mio mito, e inve-ce ci siamo ritrovati a parlare di baite, caset-te sugli alberi, presidi e di tante altre belle cose della nostra lotta in Valle. Abbiamo incontrato tanta gente diversa (lingua permettendo), giovani e meno gio-vani, militanti dalla prima intifada e per for-tuna anche donne, che ricoprono un ruolo molto importante nella lotta. Abbiamo partecipato alle due manifesta-zioni del venerdì a Nabi Saleh e poi a Bil’in e a qualche azione diretta. A Nablus ab-biamo conosciuto un ragazzo (la nostra gui-da per le vie della bellissima città) , che ha studiato in Europa, ed è tornato laureato in Palestina dove vuole vivere, ma dove si ri-fiuta di lavorare per le Nazione Unite (unico ente in grado di offrirgli un lavoro adeguato alle sue competenze). Abbiamo toccato con mano l’essenza della resistenza, della vita tra le città, le campa-gne e il deserto.Abbiamo visto palestinesi e israeliani che dividono lo stesso pozzo per fare il bagno a pochi chilometri dal campo profughi di Aida dove gli shebab (ragazzini, in realtà

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bimbi per i nostri criteri europei) fronteg-giano i soldati israeliani. Ma abbiamo anche dovuto constatare che le difficoltà della resistenza palestinese spesso sono causate dagli stessi partiti soffocanti, paternalisti e senza soluzioni reali per il proprio popolo. Similmente abbiamo colto lo sconforto dopo la fine della seconda intifada, il ripiego sul pri-vato e sulla religione mentre le condizioni materiali e psichiche di vita si fanno sem-pre più difficili.Molto probabilmente ci siamo imbattu-ti solo in una piccola parte dell’orrore che l’occupazione israeliana ha creato in questi anni, ma già solo per quello di cui siamo stat* testimoni* , conserveremo per sempre un ricordo indelebile. Dalle umiliazioni, alle difficoltà evidenti che il check point di Kalandia ( che ricor-da un’enorme mattatoio) può generare, ai muri,alle grigle, ai tornelli , alle stra-de assediate dai militari e l’ombra del filo spinato ovunque.Abbiamo visto ragazzini israeliani che a 16 anni passano dalla playstation a ma-neggiare un’ arma vera per i tre anni (due per le donne) di servizio di leva obbliga-torio e che spesso con gusto e piacere si trovano ad interpretare un ruolo di potere, ad avere il controllo e della vita e sulla vita della popolazione palestinese, così come l’umiliazione costante che subisco-no i palestinesi da parte dei coloni che sono ben protetti dall’ esercito . Abbiamo visto dall’alto di una collina Gaza sorvegliata a vista da mitragliatrici automatiche che sparano su qualsiasi cosa che si muove troppo vicino al muro.Abbiamo visto soldati che sparano gas tossici, sound bombs, pallottole di gom-ma e troppo spesso pallottole di piombo ai ragazzini armati di fionde Abbiamo visto ragazzini palestinesi che in una ferita di arma da fuoco che deve essere curata a Tel Aviv, riescono a vedere un permesso speciale per poter rivedere il “vicino” ma ormai vietato mare.Abbiamo bevuto thè nelle tende, sia con

i Beduini in alcuni spazi desertici della West Bank che con i Beduini nel deserto del Negev. Abbiamo scoperto le loro condizio-ni di vita costantemente sotto minaccia e controllati i primi e privati di quel poco che hanno per vivere i secondi. Non si può non menzionare Al Araqib, villaggio nel Negev, distrutto 53 volte dall’esercito israeliano e dal nostro rientro una 54esima. Questo per realizzare il progetto della National Jewish Fundation. Realizzare una foresta assoluta-mente fuori luogo in un deserto dove ven-gono continuamente sradicati gli ulivi e gli altri alberi da frutto originari.Per fortuna abbiamo avuto l’opportunità di incontrare anche attivisti israeliani come quelli di Anarchists Against the Wall, con-trari all’occupazione, contrari al muro e che lottano anche per il loro diritto di apparte-nere ad un solo popolo e ad una sola nazio-ne con diritti alla pari.Si , per fortuna abbiamo incontrato anche questi ragazzi israeliani, perché dopo aver passato molto tempo in West Bank, è facile che il rancore e la rabbia prendano il posto di qualsiasi altro sentimento che si può nu-trire nei confronti di Israele e dei suoi folli progetti di apartheid. Non so però dire se è meglio o peggio vi-vere come fanno i palestinesi sotto occupa-zione e sotto continua minaccia e ritorsio-ne , ma con un forte senso di comunità e fratellanza tra di loro e una forte solidarie-tà internazionale , oppure come un colone sionista, che apparentemente non ha grossi problemi materiali, ma che passa una vita alienato nelle sue convinzioni e isolato dal resto del mondo in un loculo-residence che ricorda una caserma.

Un viaggio, quindi, che ci ha lasciato pie-ni di domande e con poche risposte, come un luogo complesso e doloroso ma anche estremamente ricco e affascinante come la Palestina può offrire.

LO SCI è VIVOE IL SuO CuORE BATTE fORTE

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15 Resistenze quotidiane

LO SCI è VIVOE IL SuO CuORE BATTE fORTE

Il Servizio Civile Internazionale è un’associazione laica, pacifista, salda ai valori della nonviolenza e della cittadinanza attiva.Ho voluto iniziare questa lettera con la stessa frase che il gruppo Sardegna ha proposto di inserire in testa al documento politico durante l’assemblea nazionale.L’intenzione di questa proposta era quella di definire sin dall’inizio del documento politico chi siamo, quali sono i nostri ideali, la nostra storia, il nostro presente ed il nostro futuro.Consapevoli che la nostra identità ha radici profonde nel pacifismo ci proponiamo di portare avanti attività concrete in sostegno ai diritti di cittadinanza e quindi nei contesti dove questi diritti sono negati, insieme ai giovani con minori opportunità, insieme ai migranti, insieme a chi subisce discriminazioni di genere, insieme alle cittadine e ai cittadini che lottano per salvaguardare la democrazia e la salute dei loro territori. Sono partito da Cagliari con la consapevolezza che la nostra identà sia

viva e forte, maturata negli ultimi tre anni durante i quali il gruppo ha avuto un gran risveglio. In sede il martedì si respira nuovamente quell’area frizzante che si respirava diversi anni fa, le facce sono cambiate (tranne la mia e quella di Massimo), ma lo spirito e gli ideali sono sempre quelli del SCI e soprattutto le azioni. Non avendo avuto modo di confrontarmi da un po’ di tempo con altri gruppi, temevo che potessimo essere un piccolo gruppo di idealisti sardi. Dopo aver partecipato all’assemblea nazionale posso dire che non siamo soli, ma in ottima compagnia. Lo SCI è vivo ed il suo cuore batte forte!Le persone arrivano a Berzano di Tortona alla spicciolata, ma basta un attimo per conoscerci e riconoscerci, per rincontrare persone che da tanti anni non vedevo e basta un niente per sentirci a casa.È sufficiente sedersi a tavola la prima sera e ascoltare gli argomenti di cui si parla. Le voci raccontano storie di campi di lavoro e si sovrappongono tra loro , ognuno vuol raccontare le proprie esperienze, tutte

una testimonianza dall’assemblea nazionale SCI 2013di Nicola Muscu – Attivista SCI Sardegna

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diverse tra loro, vissute in nazioni diverse, in progetti diversi, ma tutte uguali come ideali, tutte uguali per le azioni compiute.È sufficiente iniziare i lavori per capire che il gruppo è composto da persone molto impegnate, disposte a condividere le proprie conoscenze e ascoltare quelle degli altri.Nei gruppi di lavoro tutti hanno la possibilità di partecipare attivamente, di esprimere il loro pensiero contribuendo direttamente alla stesura dei documenti attraverso dinamiche e modalità che garantiscono la partecipazione democratica di tutti.Gli argomenti trattati nei gruppi di lavoro partono dalle intenzioni del documento politico, già condiviso nelle assemblee regionali e che ora rappresentano il passaggio dall’ideale alla pratica. Un’occasione formidabile di confrontarci su quali azioni portare avanti, sul come trasformare in fatti le nostre parole, come da sempre facciamo.I temi sono quelli dell’inclusione sociale, delle migrazioni, della democrazia, dei beni comuni, dell’ambiente, del neofascismo e della resistenza.Per aiutarci a parlare e comprendere l’antifascismo e la resistenza abbiamo avuto tra noi due ospiti: Mauro Sonzini e ……Nei loro interventi ci hanno spiegato che “l’antifascismo non è di per sé un valore, ma la necessità di mantenere un sistema di valori”.Ci hanno invitato a costruire con impegno una civiltà basata sulla democrazia e sulla cittadinanza , sull’ impegno morale e la responsabilità. Una “battaglia politica necessaria” che fa delle nuove resistenze contesti diversi, ma dove ciascuna lotta porta con sé “la propria unicità”, perché è “realmente importante essere profondamente se stessi, saper resistere ed entrare nel vivo della realtà delle cose”.Il SCI ha da sempre partecipato attivamente alle battaglie politiche e alla costruzione

di una società diversa da quella attuale, frammentata, individualista, paralizzata da qualsiasi possibilità di reazione collettiva. Lo ha fatto partecipando alle resistenze che nel mondo sono esistite ed esistono oggi. Le nostre azioni, in un periodo di disimpegno generale come quello attuale, dovranno ancor di più coinvolgere le persone nel farsi padrone della propria vita per rendersi protagoniste attive delle decisioni da intraprendere.Insieme abbiamo lavorato per arrivare alla nomina del Consiglio Nazionale con la pratica del consenso, perché noi siamo il SCI e nel nostro Dna abbiamo scritto parole come “confronto”, “affrontare sciogliere i conflitti”, “discutere tutti insieme per trovare le soluzioni”. Questo è ciò che spieghiamo quando facciamo le formazioni ai volontari che partono per i campi, questo quello che facciamo in tutte le azioni che compiamo ed è per questo che abbiamo deciso di farlo anche durante l’assemblea. Sebbene non siamo riusciti ad avere una piena condivisione non viviamo questo come una sconfitta bensì come una vittoria perché anche questa è stata l’ennesima occasione per ascoltarci tutti, perché ognuno di noi avesse la possibilità di spiegare il suo pensiero, di partecipare alla scelta della decisione che è stata presa, mettendo davanti a tutto il senso della condivisione e non quello del risultato, proprio come accadde ai volontari di Esnes durante il primo campo SCI che in quell’occasione decisero di tornare a casa piuttosto che rinunciare ai propri ideali.E da qui dobbiamo ripartire, anzi direi che dobbiamo andare avanti su questa via, perché in realtà non ci siamo mai fermati; siamo cambiati nel tempo, sono cambiate le persone, il mondo intorno a noi cambia quotidianamente; è cambiato il modo di fare volontariato, ma i nostri ideali sono intatti, sempre moderni, sempre attuali.

Il SCI è vivo ed il suo cuore batte forte.

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IL DOCuMENTO pOLITICO DELLO SCIAssemblea Nazionale 2013

“The point is not to stay marginal, but to participate in whatever network of marginal zones is spawned from other disciplinary centers and which, together, constitute a multiple displacement of those authorities.” Judith Butler

DOCUMENTO POLITICO SCI 2013

Il Servizio Civile Internazionale è un'associazione laica che da oltre 90 anni svolge attività di volontariato e cooperazione mantenendosi salda ai valori della nonviolenza e della cittadinanza attiva che l'hanno contraddistinta fin dalla nascita.Anche negli ultimi due anni la nostra associazione ha fatto passi importanti di crescita collettiva, nonostante uno scenario mondiale in costante cambiamento.Se nel novembre 2011 avevamo ancora vive le emozioni della nostra battaglia referendaria per l'acqua pubblica ed eravamo impressionati da fenomeni sociali nel Maghreb e Mashrek della primavera 2011, oggi siamo davanti ad una situazione profondamente differente.La crisi economica sta colpendo in maniera sempre più pesante e trasversale paesi europei e non, con effetti così generalizzati da rendere anche la nostra risposta più faticosa e quasi sempre affannata. Sembra che la crisi pervada ogni ambito del nostro

lavoro e delle nostre iniziative, allo stesso tempo l'elaborazione di un pensiero e di una azione strutturate rispetto alla stessa è complesso e richiede tempo ed energie. Tale crisi colpisce similmente il nostro movimento internazionale. Alcune branche hanno chiuso, mentre altre non hanno più energie e risorse per continuare un lavoro territoriale efficace e costante.

Lo scenario politico italiano in questo periodo si è caratterizzato per un forzato annullamento del conflitto sociale, successivamente alla giornata potente ma molto problematica del 15 ottobre 20111.La governance del paese ha annichilito ogni opposizione sociale, cooptando i sindacati più significativi, reprimendo duramente le resistenze più vivaci come quella valsusina, negando il confronto con chi ha tentato di porre criticità e sollevare proteste.In questo scenario, la debolezza e frammentazione della galassia dei movimenti sociali si è manifestata in modo esplicito, ponendo una cesura forte rispetto al triennio 2008-2011 che aveva invece visto un rinnovato protagonismo del conflitto sociale (si pensi agli anni dell'Onda Studentesca del 2008/2009, del grande corteo romano del 14 dicembre 2010, dei molti cortei nazionali NoTav e della stessa travolgente campagna referendaria della primavera 2011).

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Ancora più debole si è rivelato in questi anni il movimento pacifista, di cui pure noi siamo parte, che durante la guerra in Libia non è riuscito neppure a pronunciarsi in modo minimamente significativo e coordinato.In questo scenario abbiamo cercato di ricollocarci e ridefinirci, affrontando alcune tematiche cruciali, crescendo grazie a partenariati, progetti, iniziative.

Questo documento vuole fare tesoro di quanto compiuto in questi anni, aiutandoci come un ponte a lanciarci verso il 2014 con energia e voglia di lottare, con la motivazione offertaci dalle iniziative recenti di movimenti sociali mondiali (da Gezi Park in Turchia al Brasile), ma anche quella data dai buoni risultati della nostra associazione in questi due anni.

LAVORO, FORMAZIONE, VOLONTARIATO, COOPERAZIONE

Tra lavoro e mancanza di lavoroPromuovere il volontariato internazionale in un contesto di crisi economica e strutturale continua ad essere una missione importante e complessa al tempo stesso.Alcuni fenomeni che avevamo evidenziato già nel 2011, all'interno della ricorrenza dell'anno Europeo del Volontariato (cioè una narrazione caritatevole e buonista del volontariato, fossilizzato in pericolose dinamiche di aiuto in senso stretto) si riscontrano in modo sempre più evidente e chiaro.Da un lato infatti le istituzioni e i media percepiscono e promuovono sempre di più il volontariato come stampella per uno stato sociale devastato

dalle politiche neoliberiste e di austerity, imbrigliandolo sempre più nelle maglie dell'aiuto, per lo più “individualizzato”, venendo annullata la sua funzione di strumento di attivazione sociale, di iniziativa collettiva e di cittadinanza attiva.Dall'altro lato, nella crisi generalizzata si è progressivamente assottigliata la differenza tra volontariato e stage di formazione lavorativa non pagata, tanto nel discorso pubblico quanto nella percezione della Commissione Europea, che ha riformulato in questo senso i suoi programmi. In tal modo si è così ristretto lo spazio alla cittadinanza attiva e si sono promossi invece percorsi di formazione lavorativa.Il volontariato in questo modo perde valore, poiché la motivazione diminuisce notevolmente collegandosi troppo spesso a ragioni di formazione professionale; esso diventa più precario, perché a causa della crisi le nostre vite sono più precarie, più mobili, spesso costrette all'espatrio.Questo ci spinge a ricontestualizzare quello che facciamo, mettendoci di fronte alla necessità di esprimere la nostra diversità quando un partner ci propone un campo prettamente assistenziale o che vuole sostituire un servizio pubblico decaduto, quando scriviamo un progetto e le guidelines parlano solo di professionalizzare i disoccupati, quando rispondiamo a volontari che vogliono partire con noi pensando unicamente alle presunte conseguenze professionalizzanti dell'esperienza di volontariato.Tale condizione in cui viviamo non è sempre facile, ma al tempo stesso può essere un motivo di stimolo a ripensare la nostra azione associativa e a trovare nuove forme per comunicarla, oltre che a continuare a svolgerla nonostante “condizioni esterne” non favorevoli.Pensiamo che la precarizzazione del lavoro e delle nostre vite dovuta alla crisi economica

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che stiamo vivendo ci imponga di prendere posizione su temi quali crisi, reddito e diritti sociali. Abbiamo affrontato il tema della precarietà in forma ancora abbozzata in progetti come YAUU2 e crediamo che sia un nodo che ci attraversa strutturalmente e che la riflessione in merito non sia più posticipabile.

Quale cooperazione?La caratteristica ibrida dello SCI, a metà tra movimento, ONG e associazione di volontariato, ci ha portato a riflettere sul nostro ruolo anche nel campo della cooperazione, nello specifico dell'ambito Nordsud all'interno del quale tutte le contraddizioni inerenti alla cooperazione allo sviluppo emergono in modo più netto e radicale. Alcune di queste sono legate anche a retaggi coloniali e post-coloniali, come ad esempio:1) La creazione di rapporti di dipendenza mutua tra partner europei e partner locali (l'uno ha bisogno di beneficiari, l'altro di fondi, a discapito a volte della qualità dei progetti e delle relazioni);2) La tipizzazione radicata dei ruoli tra partner locale e ONG europea e la richiesta da parte dei partner che i ruoli rimangano in questi stereotipi: alcuni meccanismi perversi che ne derivano sono ad esempio quello per cui il partner locale implementa, mentre l'ONG europea definisce bisogni ed elabora strategie, o quello per cui si dà per scontato che il partner locale non abbia determinate capacità e venga pertanto sostituito a priori dall'ONG (ad esempio nella gestione delle burocrazie). In aggiunta, spesso l'ONG europea invia personale che, oltre a sovradeterminare dinamiche locali, vive in condizioni favorevoli rispetto alla media della popolazione locale, aumentando la verticalità delle relazioni;3) La difficoltà di impostare le relazioni su

piani realmente orizzontali di condivisione delle prospettive e delle strategie, causata anche dalla relazione di potere che la gestione di denaro implica.

Altro elemento da considerare, seppur non legato ai retaggi post coloniali, è la concezione che alcuni partner locali hanno del volontariato, che viene spesso ridotto a pura forza lavoro, trascurando da un lato il valore del volontario in quanto tale, e dall'altro quello dell'esperienza di volontariato come forma di attivazione.

Davanti a queste questioni cerchiamo di produrre risposte che ribadiscano i nostri fondamenti: l'importanza dell'orizzontalità delle relazioni, l'uguaglianza di responsabilità e compiti, l'enfasi sulla dimensione di scambio, la promozione del volontariato come forma primaria di cooperazione, di incontro, di conoscenza, nonché la rilevanza dell'impatto in Europa dei progetti stessi (in termini di sensibilizzazione e attivazione dei volontari).In questo momento il progetto Beyond Walls si sta traducendo in un terreno importante in cui lavorare su questi temi, riformulando la nostra identità e la nostra natura. Ci auguriamo di poterci impegnare su questi temi anche affacciandoci verso nuovi contesti.

Sempre nell'ambito di una riflessione complessiva rispetto al nostro rapporto con il “Sud del mondo”, nei prossimi anni vogliamo ragionare in modo più approfondito sull'impatto che il nostro lavoro nel settore Nordsud comporta, includendo nell'analisi i campi di volontariato stessi.

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AMBIENTE E TERRITORIOQuando parliamo di ambiente non intendiamo solamente riferirci agli ambienti naturali, ma a tutto l'insieme delle relazioni nelle quali le nostre stesse vite sono immerse: la scuola, le città, le campagne, il lavoro, la famiglia, ecc.Ecco perché crediamo che sostenere le battaglie in difesa dell'ambiente sia centrale e urgente e che debba essere declinato in forme più mature rispetto al “tradizionale” attivismo ecologico, proponendo nuovi percorsi di crescita della coscienza ambientale.Per lo stesso motivo riteniamo che i movimenti in difesa del territorio chiamino in causa direttamente le relazioni fra i cittadini e le istituzioni e quindi la stessa espressione democratica di un Paese.La nostra associazione ha sempre dato importanza ad una profonda riflessione sugli stili di vita sostenibili e sull'impatto di un'economia predatrice e violenta sulla natura e sulle risorse. Il tema del riscaldamento globale è stato poi chiave di tante mobilitazioni, riflessioni e progetti. La sfida più grande rimane quella di impegnarsi per la tutela dell'ambiente unendo punti di vista diversi, da Nord a Sud del mondo. Riuscire a parlare di stili di vita sostenibili e di cambiamento climatico assieme a giovani tedeschi e mauriziani, riuscire a costruire insieme azioni contro il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità non è sicuramente facile, ma è un obiettivo da perseguire anche in futuro. Proprio il confronto tra esperienze ed esigenze estremamente diverse è stato un ostacolo da superare, ma anche un motivo di arricchimento da cui possono crescere strategie comuni.La tematica ambientale ci ha permesso di incontrare tanti compagni di viaggio,

di arricchirci di contenuti e di stimoli, di apprendere nuove modalità di azione e di mobilitazione.Il rapporto con gli attivisti del movimento NoTav in questo senso è stato esemplare. Ci siamo avvicinati a quel movimento, ne abbiamo capito fino in fondo le ragioni, ne abbiamo condiviso le passioni. Abbiamo perciò promosso varie iniziative per costruire assieme a loro portando la nostra storia, le nostre modalità. In modo simile vogliamo farlo ora con il movimento No Muos, dopo la positiva esperienza del campo nell'agosto 2013.Ci uniamo a questi movimenti perché parlare di ambiente, per noi, ha sempre voluto essere uno stimolo per discutere del modello di sviluppo che vogliamo. Difendere l'ambiente ci porta inevitabilmente a parlare di rapporto tra donne, uomini e territorio, e tra cittadini e istituzioni. Ci troviamo perciò di fronte al senso vero del termine democrazia. Parlando di ambiente siamo stati portati a mettere ancora più radicalmente in crisi un sistema economico finalizzato al profitto e causa di devastazione.

Tra le priorità nella riflessione teorica dello SCI nei prossimi anni, in vista di uno sbocco pratico nelle attività associative, vogliamo affrontare il tema trasversale della “decrescita selettiva”. Lo SCI infatti, come rifiuta l’idea di scaricare i costi della crisi sulle classi meno abbienti, non condivide neanche l’idea di chi vorrebbe continuare a sperperare denaro pubblico e privato in consumi e investimenti non sostenibili non solo dal punto di vista finanziario, ma soprattutto da quello ambientale e sociale.

L'istanza NoTav, nella sua dimensione di lotta popolare nonviolenta, è emblematica

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di tante lotte locali a difesa dei beni comuni. Le grandi opere nascono in scenari in cui entità esterne ad un contesto (governi nazionali, gruppi di potere economico) decidono, contro la volontà dei cittadini, di sfruttare il territorio e le sue risorse come fonti di profitto. Quando un gruppo di cittadini, un comitato, una valle intera si mobilitano contro tali opere, quello che fanno è tentare di ristabilire un rapporto tra cittadini e territorio basato su una rinnovata democrazia che sottragga l'ambiente ai profitti di pochi gruppi di potere; cercano di ristabilire un rapporto che permetta a chi vive il contesto di poter partecipare, per difenderlo e per preservarlo per le generazioni future, per vivere in equilibrio e rispetto con la natura. In gioco non c'è “solo un treno”, una centrale in più, una discarica in più o in meno. In ballo c'è il rapporto che vogliamo avere con l'ambiente, il rapporto tra cittadini e territori, c'è un'idea di democrazia e di partecipazione che tenta di rinnovare la democrazia rappresentativa e partecipativa, in anni in cui queste ultime sono state completamente svuotate di significato.

E' proprio sul rapporto tra la difesa dell'ambiente e la democrazia in senso più pieno che vogliamo impegnarci, in Val Susa come in tante battaglie locali più o meno note che gruppi e singoli soci sostengono. Vogliamo supportarle cercando di portare il nostro contributo perché le varie azioni locali si possano sempre trasformare in attivazione Politica in senso più pieno e consapevole.Il coinvolgimento dello SCI nella lotta contro alcune grandi opere deve infatti svolgersi in parallelo alla lotta contro i danni diffusi che l'ambiente subisce a causa della sopra ricordata cultura del

profitto. Questa infatti è presente non solo nelle grandi centrali del potere economico e politico, ma anche in molte istituzioni locali e in vari aspetti dello stile di vita dei cittadini – e a volte nel nostro stesso stile di vita. Fenomeni come il consumo di suolo, l'impermeabilizzazione del terreno o la perdita di biodiversità proseguono quasi incontrollati anche in paesi, come il nostro, a scarsa o nulla crescita demografica. Anche sulle “piccole opere” lo SCI può intervenire e dire la propria, organizzando campi o minicampi mirati, oppure schierandosi con le associazioni ambientaliste della zona che condividono gli stessi valori.

Un altro campo d’azione dello SCI negli anni passati è stata la lotta per l'acqua pubblica, che dalla semplice protezione di un bene comune si è trasformata presto in un paradigma di lotta contro la tendenza dell'economia neoliberista a mercificare qualunque servizio pubblico, in un momento in cui la produzione di merce è in declino e non permette i profitti sostanziali degli anni passati, costringendo il capitale a cercare nei servizi una illimitata frontiera di profitti non soggetti a crisi.Parallelamente, la rete internazionale Service Civil International sta lanciando una campagna ad ampio raggio chiamata “Create a climate for Peace”, che includerà iniziative, training e azioni concrete sul campo. Vi parteciperemo con l'entusiasmo e l'esperienza che ci vengono da tanti anni di lavoro su questa tematica.Crediamo infine che anche il nostro lavoro e le nostre attività debbano essere quanto più possibile orientate alla sostenibilità ambientale.

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MIGRAZIONI E INCLUSIONI

Il tema delle migrazioni è da alcuni anni al centro della sensibilità e del lavoro dello SCI.Siamo riusciti nel corso di questi anni ad intrecciare il lavoro sull'inclusione sociale, in cui abbiamo maturato una significativa esperienza grazie a più di quindici anni di scambi con minorenni svantaggiati, con quello specifico sulle migrazioni in cui invece la crescita e la conoscenza sono soprattutto recenti.Quattro sono le questioni che crediamo cardine nel nostro discorso sulla migrazione:La prima è la critica radicale alla normativa vigente in Italia oggi, totalmente inadeguata, determinata da 20 anni di politiche sull'immigrazione che vogliono negare un principio per noi inderogabile: la libertà di movimento. La legge attuale è nata per soddisfare l'ipocrisia razzista di molte componenti della destra italiana ed è finalizzata a marginalizzare la popolazione migrante, separandola legalmente dal resto degli abitanti e rendendola soggetta a sfruttamento legale o malavitoso;La seconda questione per noi fondamentale è una critica altrettanto forte verso la gestione dell'accoglienza oggi in Italia. In essa convergono gli interessi del legislatore con quelli di pochi gruppi potenti del cosiddetto Terzo Settore, mentre non c'è mai un pensiero organico su quali siano i veri bisogni dei migranti. Questi sono quindi sempre e solo considerati soggetti sui quali applicare dispositivi di controllo securitari e sui quali speculare, e mai possibili protagonisti del proprio inserimento sociale e culturale in Italia. La gestione assai problematica e per nulla trasparente

della Emergenza Nordafrica è un esempio esplicito di quanto non dovrebbe fare un paese sul tema della migrazione;Il terzo snodo, strettamente collegato al precedente, è la richiesta di una normativa organica in termini di diritto di asilo, inteso come diritto a vivere e ad essere protetto in quanto vittima di persecuzioni nel proprio paese di origine. Tale diritto è sempre più calpestato e schiacciato a livello europeo, e si sono registrati casi di dublinati3 non rimandati in Italia da paesi come la Germania perchè nel nostro paese ci sono stati casi in cui i diritti umani di base non sono stati rispettati e perciò è “non sicuro” per rifugiati.Abbiamo affrontato tali questioni in un progetto di grande portata, “Open Doors”, che ci ha permesso di misurarci con una complessità di azioni, tra cui una ricerca, che ci hanno mostrato che sappiamo svolgere un progetto così ampio a partire dall'attivazione di gruppi e soci, superando il tradizionale format dell'evento pubblico che contraddistingue spesso il nostro lavoro.

Da ultimo, continuiamo nella nostra critica senza sosta alle politiche attuali relative ai controlli di frontiera, che si esprimono troppo spesso in azioni lesive della dignità umana e che hanno tra gli attori principali Frontex. Nel 2011 abbiamo individuato, attraverso il progetto “Through Desert and Sea”, una maniera coinvolgente e di impatto per raccontare quello che la gestione poliziesca e repressiva delle frontiere determina. Continueremo nel 2013 e 2014 grazie a “Across the Sea”, che vuole proseguire quel lavoro importante di documentazione multimediale, che arricchirà le nostre formazioni e le attività in loco che portiamo avanti. Questi saranno utili strumenti per rafforzare le

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nostre attività di informazione, advocacy e pressione sulle istituzioni.

Le politiche sociali in Italia non spingono verso l'inclusione ed il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, ma si limitano ad agire con modalità assistenzialistiche ed emergenziali. Nelle attività e nei progetti che lo SCI porta avanti si vuole partire dai bisogni dei soggetti coinvolti (siano essi migranti, richiedenti asilo, giovani con minori opportunità, ecc.), nella convinzione che la cittadinanza attiva sia un potente strumento e un'occasione di inclusione sociale.Infine vogliamo approfondire ed arricchire il rapporto tra inclusione sociale e campi di volontariato. Da due anni sperimentiamo l'inserimento di giovani svantaggiati all'interno dei nostri campi. Abbiamo appreso le potenzialità e i limiti di questa attività, ma in generale ne constatiamo la rilevanza fondamentale, gli esiti molto positivi della stessa nonché la crescita esponenziale del bisogno di tale attività. Vogliamo proseguirla anche nei prossimi anni, coinvolgendo i partecipanti in attività di formazione e condivisione dei valori dello SCI in maniera continuativa, migliorando i rapporti con le istituzioni di riferimento, rafforzando il ruolo di mediazione svolto dai gruppi e incrementando i rapporti con la rete internazionale al fine di rendere l'attività un'opportunità di crescita e di empowerment

RESISTENZE E CONFLITTI

Alla voce Resistenza il vocabolario Treccani riporta: "Movimento di r., e assol. resistenza, il movimento di opposizione e di lotta armata che si determinò durante la seconda guerra mondiale nei paesi occupati dai nazisti e dai fascisti, o comunque soggetti a regimi e

governi filonazisti o filofascisti, contro gli occupanti e contro tutte le forze, politiche e militari, che collaboravano con essi: la r. europea, e la r. francese, olandese, danese, norvegese, polacca, sovietica, greca, iugoslava; la r. italiana (spesso anche assol., e per lo più con iniziale maiusc.: le forze, i valori della R.; i caduti della R.; il periodo della Resistenza). Riferito ad altri movimenti di opposizione e di lotta contro situazioni di oppressione politica e religiosa, contro regimi autoritarî, contro occupanti e invasori: la r. dei Boeri contro gli Inglesi; la r. ugonotta in Francia; la r. vietnamita, afgana, ecc."Apparentemente quindi potremmo chiederci perché tale termine ricorre così spesso nelle nostre definizioni e nella narrazione dei nostri percorsi associativi.Di sicuro una ragione è che l'attacco ad alcuni diritti di base, sociali, civili e ambientali, in atto in Italia come in molti paesi del mondo può paragonarsi facilmente alla violenza operata da un esercito invasore così come a quella compiuta da una dittatura. Questa violenza produce effetti nella sua forma diretta, strutturale e culturale. Ad esempio, strutture sovranazionali come la Banca Centrale Europea non hanno bisogno oggi di eserciti per invadere i paesi europei del mediterraneo, e nascondono dietro la retorica del rigore violenze economiche che hanno un impatto devastante su fasce sempre più ampie della popolazione, frammentandola e producendo una cultura individualista che paralizza qualsiasi possibilità di reazione collettiva.Un’altra ragione che spiega il nostro far riferimento ai valori della Resistenza è che proprio in contesti, presenti o passati, dove la violazione dei diritti è evidente (dittature o occupazioni militari) si possono declinare strategie e strumenti di

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resistenza, appunto, che si possono poi applicare, con i ridimensionamenti del caso e le necessarie “traduzioni”, anche ai contesti in cui viviamo.In quegli stessi contesti repressivi si acquisiscono chiavi di lettura e di analisi che ci permettono di comprendere meglio quello che viviamo qui nel nostro paese. Sicuramente abbiamo compreso l'importanza di riconoscere atti di resistenza in quello che è il lavoro che localmente facciamo come associazione, come gruppi, nel quotidiano quanto nei singoli progetti.La nostra associazione, seguendo le pratiche della nonviolenza, si è confrontata e ha creato ponti con altri movimenti di resistenza costruendo ogni giorno alternative concrete ai soprusi, alla violazione dei diritti, alla mercificazione dell'ambiente.Se qualcosa abbiamo imparato, accompagnando tante resistenze, è che proprio in quel processo di attivazione davanti a violenze, soprusi, negazione dei diritti, si riesce non solo a mettere argini, ma anche a costruire.Si costruiscono relazioni orizzontali come quello che è successo in Val Susa, dove attorno a tanti “presidi” si è messa in piedi socialità, cittadinanza attiva, senso di comunità.Si costruiscono campagne che riescono a mettere assieme anche popoli che da anni vengono strutturalmente divisi e separati, come israeliani e palestinesi, uniti nella “Joint Struggle” proprio grazie al fatto di resistere assieme contro l'occupazione. E si costruisce “memoria collettiva” che è fondamentale per “resistere” anche allo scorrere del tempo, come sono riusciti a fare tante e tanti partigiani, che ancora oggi, a oltre 65 anni da quei momenti,

sanno raccontare e sanno trasmettere.Resistendo si costruisce anche “pace”, parola abusata e quasi svuotata di significato, ma che rimane fondante nella nostra storia associativa nel suo senso più profondo, non solo come assenza di conflitto armato, ma come possibilità per tutte e tutti di godere pienamente di diritti sociali, economici, civili. Resistendo si mette in luce soprattutto la necessità di mettere fine a quanto provoca le guerre: l'ingiustizia sociale prima di ogni altro fattore.

Nel nostro viaggio tra le resistenze abbiamo trovato similitudini a tratti complesse, come quella tra la resistenza in Valsusa e quella Palestinese.Siamo ad oggi convinti dell'importanza di un simile spunto di riflessione, al di là della risonanza e del caos mediatico che esso ha determinato. Tale spunto ci ha offerto inoltre ulteriori stimoli su cosa voglia dire per noi resistenza e ha rafforzato la convinzione sul senso di quello che facciamo anche grazie ad un approfondito dibattito interno. Tale paragone ci ha insegnato una volta in più quanto sia importante sviluppare sempre spirito critico e capacità di analisi, evitando semplicismi che spesso si fermano all'aspetto esteriore della realtà e che prestano il fianco a possibili critiche.La nostra analisi si fonda su alcuni tratti comuni: il rapporto fra comunità, territorio e processi democratici, la costruzione di resistenze realmente partecipative, autodeterminate, libere e popolari, la negazione di diritti civili e ambientali, la militarizzazione del territorio e non solo analogie superficiali come l’uso dei lacrimogeni, il lancio dei sassi e la violenza repressiva.

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“Che la Resistenza sia stata anche un fatto politico su cui tutti possono discutere all'infinito è evidente, ma stupisce che si dimentichi il suo dato unitario e quasi unico, direi, nella storia del nostro Paese e cioè la libertà di scelta, la riappropriazione del proprio destino che coinvolse milioni di italiani.Mi pare che i discorsi, le riflessioni sulla Resistenza come politica non dovrebbero mai dimenticare il fatto inedito che l'intero Paese veniva occupato da un potere straniero, non solo per lingua e caratteri nazionali, ma anche per concezione del mondo, per negazione della pace e della libertà, diciamo di ciò che è bene per gli uomini. Quella scelta fu politica solo in un senso globale, non partitica, salvo che per alcuni professionisti, non fu una ipoteca politica del potere, quanto un sentimento di liberazione, di riappropriazione del proprio destino che quel giorno di settembre del '43 aprì il cuore di chi lasciava la città per salire in montagna, senza avere una minima idea di cosa avrebbe potuto fare, di quanto sarebbe durato, di dove si sarebbe arrivati. Tutto secondario, tutto da vedersi dopo quel momento che, per me almeno, fu come di rinascita" (Giorgio Bocca)

Dal 2009 ad oggi abbiamo svolto vari progetti che affrontano il tema della memoria dell'antifascismo e delle persecuzioni nazifasciste, cercando di analizzarne gli elementi originali, come la repressione contro Rom e omosessuali4, o gli aspetti interessanti dal punto di vista di genere5.Ora si apre una fase importante e nuova, attraverso un progetto che si focalizza sul legame tra fascismi e neofascismi, tra resistenze di allora e resistenze di oggi al totalitarismo del pensiero e

dell'azione. Grazie a “Citizens Beyond Walls” vorremo provare a dire la nostra sui neofascismi, che in forma esplicita e violenta o mascherata da istituzioni e partiti stanno prendendo piede in modo preoccupante anche nel nostro paese. Lo faremo attraverso un ampio confronto a livello europeo, con altri 7 partners, cercando differenze e tratti comuni e provando a costruire resistenze insieme, cercando quindi di arricchire con una riflessione in merito l'intero movimento europeo.Abbiamo infine iniziato un percorso importante in Palestina, che ci ha portato a lavorare su un progetto grande e complesso, “Beyond Walls.” Vogliamo ancora una volta ricordare la sua valenza in termini di strumento per affrontare un conflitto: “Beyond Walls” sostiene la “Joint Struggle” che si relaziona al conflitto non soltanto chiedendone la fine, come spesso i movimenti pacifisti hanno fatto nel passato anche nei confronti del conflitto mediorientale, ma avanzando già una idea di società diversa da costruire assieme annullando il principio di separazione forzata che è una delle specificità più rilevanti del sistema dell'occupazione militare.La lotta popolare congiunta in Palestina vuole affrontare il conflitto, per ottenere la sua trasformazione con creatività e asimmetria rispetto al potere militare, gettando le basi per una coesistenza alternativa, basata sulla giustizia e non sulla pacificazione.Il portato di tale Resistenza ha una valenza fondamentale anche per tutto quello che può insegnare a noi, qui, impegnati nei nostri conflitti sociali e nei nostri tentativi di trasformare l'esistente.

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Alla fine di questo anno ci siamo incon-trati all’assemblea nazionale di Berzano.

Un’assemblea partecipata che ha appro-vato il nuovo documento politico del Servizio Civile Internazionale. Un nuovo inizio, con tanti temi da attra-versare, dal lavoro al volontariato, dalle migrazioni alle resistenze, dall’ambiente ai conflitti.

Il documento politico è solo un ulteriore piccolo passo che nei prossimi due anni vogliamo tradurre in partecipazione at-tiva.

E’ un percorso che non si arresta e che dopo più di novantanni lo SCI continua ad interpretare, trasformare e portare avanti, grazie all’impegno delle persone che in diverso modo vi partecipano.

Il 2014 sta per sta iniziare!

CONCLuSIONIdi Laura Basta - Segreteria Nazionale SCI

Nel 2013 abbiamo assistito a grandi cam-biamenti che ci hanno lasciato stupiti e meravigliati. A partire da Gezi Park, un nome da noi tutti conosciuto quando nell’estate 2013 abbiamo visto immagini di proteste, con-flitti e trasformazioni che rapidamente si diffuse in molte città turche.Poco dopo abbiamo visto le immagini del Brasile e in generale dei recenti movi-menti sociali mondiali. Quelle immagini ci hanno stupito e contemporaneamente appassionato, perchè quella voglia di re-agire, di lottare, di approfondire e di cam-biare in qualche modo ci accomuna.

Allo stesso tempo, per lo SCI, il 2013 è stato un anno intenso, ricco di esperien-ze, di progetti, di visioni e prospettive. Un anno in cui insieme abbiamo continuato a costruire un immaginario comune.

Da progetti locali come quello della Città dell’Utopia a Roma, ora ristrutturata e ri-aperta a tutti gli effetti alla cittadinanza, a Beyond Walls, un progetto internazionale che ha portato già due delegazioni in Pa-lestina e nove cortometraggi alla Cinema-teque di Tel Aviv.

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EmIlIa Romagna SCI Bolognae-mail: [email protected] tel: 3405633875 (Marco) - 3701211541 (Stefano) Silvia ampollini (parma)e-mail: [email protected] fRIulI vEnEzIa gIulIa Barbara gambellin (pordenone)tel. 3497485226; e-mail: [email protected] lazIo Segreteria nazionalevia A.Cruto 43, Roma Tel. 065580644 Fax. 065585268 Email: [email protected]; web: www.sci-italia.it “la Città dell’utopia”via Valeriano 3/F, Roma (Metro Basilica S. Paolo) e-mail: [email protected]; www.lacittadellutopia.it; tel: 0659648311 lIguRIa SCI genovaemail: [email protected] matteo Testinotel. 3396713868 Denise murgia (la Spezia)tel. 0187414129 ore serali email: [email protected]

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lomBaRDIa SCI lombardiaviale Suzzani n. 273, Milano e-mail: [email protected] alessandro Schiano (milano)tel. 3401364689Informagiovani Sondrio c/o policampusConsorzio Sol.Co. SondrioVia Tirano snc – 23100 SondrioTel e fax 0342.518239Sito: www.policampus.itE-mail: [email protected] maRCHEandrea antinori (ancona)tel. 3287092982 dopo le h. 20 pIEmonTE SCI piemontec/o Centro Servizi VSSP via Giolitti 21 (piazza Valdo Fusi)10123 Torino e-mail: [email protected] web: www.sci-piemonte.it tel. 392 4377469 Carmen fiore (Torino)tel. 339 4708757 valentina Contin (Tortona - al)tel. 335 5784626 lisa lissolo (Ivrea, To)tel. 345 9739806 luca Robino (moncalieri)tel. 347 9734315 puglIa SCI Bariemail: [email protected]; web: www.sci-bari.itCristoforo marzoccatel. 3403646421

SaRDEgna SCI Sardegnavia San giovanni 400b Cagliariemail: [email protected]: facebook.com/SciSardegna Salvatore lai (Calagonone/Dorgali-nu)tel. 078493186 SICIlIagiorgio nasilloe-mail: [email protected] Rosario Scollo (Catania)email: [email protected] umBRIa Jacopo Di Stefano (perugia)[email protected] ToSCana Informagiovani pisavia Silvio Pellico 6 - 56125email: [email protected] luciano D’alessandrotel. 05023601; e-mail: [email protected] matteo Testino (firenze)tel. 3396713868; email: [email protected] TREnTIno alTo aDIgE Beatrice De Blasi (Trento)tel. 0461391113 (ore pasti) email: [email protected] vEnETo SCI padovaemail: [email protected] alessandro marinello (verona)e-mail: [email protected]