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GENNAIO FEBBRAIO 2008 Monti Sibillini Il Sentiero Frassati della Liguria Scialpinismo Scialpinismo Julius Kugy, Guido Rossa Personaggi Personaggi Gennaio Febbraio 2008 Supplemento bimestrale a la “Rivista del Club Alpino Italiano - Lo Scarpone” N. 2/2008 - Sped. in abb. Post. – 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano. Escursionismo Escursionismo

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GENNAIO FEBBRAIO 2008

Monti Sibillini

Il Sentiero Frassati della Liguria

Scialpinismo Scialpinismo

Julius Kugy, Guido RossaPersonaggiPersonaggi

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a comunicazione è entrata negli obiettivi programmatici del Club Alpino Italiano. Ad inizio d’annoritorno dunque su un argomento caldo che ci sta particolarmente a cuore: chiedo venia fin dall’iniziose la lettura risultasse un po’ troppo tecnica, da addetti ai lavori. Da qualche tempo sono gli stessiorgani dirigenti politici e tecnici ad essere ormai convinti che oggi più che mai sia “utile enecessario” favorire in ogni modo la comunicazione interna ed esterna al Club. Sono poi gli stessiSoci del CAI, partecipi della cosiddetta “civiltà della comunicazione”, essi stessi fruitori e attori deinuovi grandi mezzi e mass media a disposizione nel XXI secolo, a chiedere di riconoscersimaggiormente nei media e di avere una visibilità da protagonisti. Se al nostro interno ciò migliora lacapacità organizzativa, operativa e progettuale mediante un tempestivo ed efficace scambio diinformazioni e dati, verso l’esterno contribuisce ad un consolidamento di “valore” del ruolo e dellecompetenze del Club Alpino Italiano, ribadendo l’importanza strategica del nostro operare non soloa favore dei Soci ma anche dei non soci. Occorre inoltre considerare che il CAI a 144 anni dallafondazione si trova ad agire in una società italiana, europea, mondiale ricca di trasformazioni,sottoposta a deregolazioni rapidissime, alcune di carattere epocale (es. energia, trasporti, modalitàdi produzione e commercio, mondo dell’informazione, istruzione, rapporti nord-sud, est-ovest,

ecc.). Va da sé che risulti di molto accresciuta laresponsabilità delle politiche di comunicazione edimmagine anche da parte del nostro Club, chesta abbandonando nel suo complesso - dalleSezioni più distali ai nuovi RaggruppamentiRegionali, alla Sede Centrale - l’antico erassicurante adagio del “fare” senza preoccuparsidel “far sapere”. Anche al CAI si è compreso chein termini di comunicazione (non di sostanza)conta di più la punta di un iceberg come ad

esempio una sola grande manifestazione annuale, ben organizzata e promossa, che centinaia dipiccole, medie o grandi azioni quotidiane portate avanti con dedizione e liberalità dai Soci e dalleSezioni. Ma parlare di “comunicazione” significa, anche per il CAI, entrare in contatto con unsistema sempre più integrato e complesso, che talvolta può risultare complicato. Dal punto di vista del target/obiettivo, ovvero rispetto al soggetto cui si rivolge, la comunicazioneCAI è suddivisibile in comunicazione interna e in comunicazione esterna. Dal punto di vista della“tipologia” della comunicazione e degli strumenti, il discorso si allarga grandemente, ed è oggiriassumibile, tralasciando suddivisioni minori, in almeno sei macro categorie: esiste lacomunicazione istituzionale e politica con le p.r. (pubbliche relazioni), la comunicazione sul web, lacomunicazione d’immagine ovvero il brand e la grafica-pubblicità, la comunicazione connessa aigrandi eventi, il merchandising con i servizi e le card, esistono i progetti di partnership a vari livelli e ilcomarketing. Nell’introdurre per sommi capi il vasto e complesso campo della “comunicazione”CAI, per brevità di seguito ho voluto dividere i punti tra “plus”, ovvero punti già presi inconsiderazione e/o in avanzato stadio progettuale o di processo, e “criticità”, punti il cui statod’avanzamento è nullo o incompleto, per i quali occorre un maggiore e/o nuovo impegno e siravvedono grandi spazi di miglioramento nei prossimi anni.

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di Pier GiorgioOliveti

Est medium in rebusMeglio “essere” o “apparire”? Serve una bussola per comunicare di più e meglio i valori del CAI

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nazionali, convegni/congressi,manifestazioni alpinistiche e/o culturali,ecc.). Ciò ha determinato storicamenteuna “perdita di energia” nellacomunicazione degli eventi stessi edell’immagine del CAI, in quanto la purmeritoria comunicazione dei singolieventi non si è sommata (a sommapositiva) con quella di altri eventi CAI. Sisegnala inoltre la mancanza endemicadi grandi “campagne” tematiche del CAIcapaci di perseguire obiettivi concreti enel contempo di dare immagine alSodalizio (esempi: progetto “CAI PARK”-la montagna in città, “Montagna Pulita”con le scuole, “Il CAI in città”, “Segna iltuo Sentiero”,”Trenotrekking”, “Rocciaper tutti- in palestra con gli Istruttori delCai”, “CAI Baby club”,ecc.). Lo stessoprogetto “Rifugi come presidi culturali”si inserisce positivamente in un terrenodi comunicazione aperta, dal CAI versola società e i media, trasmettendo valorie contenuti propri 5) Merchandising: anche la produzione,organizzazione e vendita di gadget, eoggetti griffati, già messa a punto dallaSede centrale, può esserepositivamente implementata con lacomunicazione e il marketing attraversoalcuni strumenti già codificati edampiamente sperimentati, come adesempio una “CAI CARD” e un Catalogoannuale dei nostri beni e servizi.

ConclusioniI tempi dunque sono ormai maturi permettere mano in modo “sistemico” altema comunicazione del Cai,coinvolgendo tutti gli attori e le risorsegià disponibili, non solo interne maanche esterne o miste (es. MuseoMontagna Cai Torino, BibliotecaNazionale del Cai, Trento Film Festival,Sondrio Festival, PalaMonti Bergamo,Alpi365, enti fiere, ecc.).Sul fronte editoriale, assistiamo alraggiungimento di un buono/ottimostandard per il notiziario Lo Scarpone,mentre si ravvisa la necessità dimettere mano ad un nuovo progettoeditoriale per La Rivista, che la rinnovinella continuità facendone unostrumento ancora più efficace dellapolitica culturale del Club, testandoanche le possibilità di entrare nelmercato editoriale libero. Il nuovoProgetto editoriale de La Rivista meritaspazi e tempi ad hoc e un impegnospecialistico non di routine. Riguardopiù in generale alla comunicazioneesterna, occorre ribadire due concettifondamentali, senza aver interiorizzato iquali risulterebbe a nostro avvisodifficile per il CAI ogni concreto eduraturo avanzamento strutturale nellepolitiche di comunicazione:• a - In Italia, paese montuoso ma poco

PLUS:1) Il CAI dal punto di vista storico èstato particolarmente attento alla“Comunicazione interna e alladivulgazione tecnico-scientifica”. Oltrealla gloriosa Rivista e al Lo Scarpone,sono centinaia le pubblicazioni locali esezionali editate in ambito locale.Imponente poi fin dagli albori è stato losforzo editoriale con pubblicazioni,guide, manuali tecnici, ecc.. Oggi sirichiede una nuova e urgente program-mazione editoriale di ampio respiro.2) Se meno rilevante nella storia delClub è stato l’impegno sul fronte della“Comunicazione stampa edell’immagine”, va detto che negli ultimicinque anni si è iniziato a dare rispostea questo deficit con l’istituzione di unufficio stampa, di un blog su tematicheinerenti la montagna e con il rinnovatoprogetto del portale www.cai.it,inaugurato da pochi giorni.3) Per quanto riguarda la “Comunica-zione interna” è attiva da anni una reteIntranet che consente il tesseramentodigitalizzato alla maggioranza delleSezioni e lo scambio in tempo reale dicircolari, documenti, lettere, tra la SedeCentrale le Sedi territoriali.4) “Coordinamento immagine”: unosforzo importante è stato già profusodalla Direzione della Sede Centrale nellarealizzazione del Rapporto annuale diattività, del tutto rinnovato nei contenutie nella grafica. A medio termine occorreestendere il modus operandi all’interosistema di comunicazione CAI.5) “Partnership”: oltre alle storichepartnership editoriali come ad esempioquelle con il Touring Club Italiano, sonoin crescita per numero e consistenza lecollaborazioni a progetto con editoriprivati, e con numerosi networktelevisivi.6) Università: non si può sottacerel’incontro istituzionale e tecnico-scientifico tra CAI e Università che havisto negli ultimi anni firmare accordicon numerosi atenei italiani(Milano/Edolo, Ferrara, Torino, Padova).È coinvolto un target group di primariaimportanza quale i giovani universitari.La neo Unità Formativa di Base del CAIpotrà sinergicamente cooperare in talsenso.

CRITICITA’1) “Comunicazioneistituzionale/politica”: stanti lerealtà/missione d’istituto del CAI e lasua particolare forma gestionale e diautogoverno, fino ad oggi non è statopossibile incidere in questo ambito senon marginalmente. Va precisato senzainfingimenti che spesso le risposte se visono state sono state “fuori tempo”rispetto alle regole dei grandi media

radiotelevisivi e stampa, e ciò nei fatti ciha precluso gran parte della visibilità etempestività nella presenza CAI neimedia. Per fronte “politico” si intendenon certo una componente partitica disorta, bensì la chiara esigenza diesprimere una posizione/parere daparte del CAI, ufficialmente, in temporeale o quasi, sui numerosi fatti oquestioni inerenti il “mondomontagna”(alcuni esempi: Tav, politicheparchi, parchi eolici, modello turistico,grandi manifestazioni sportive, difesadell’ambiente, grandi progetti in altaquota, cambiamenti climatici, comunitàmontane, ecc.).L’essere/diventare soggetto politicoriconoscibile e riconosciuto nei grandimedia comporta altresì una granderesponsabilità da parte di tutti gli organidirigenti politici pro tempore,centrali eregionali, che - se questo saràstatutariamente percorribile - sidovranno spesso assumere in toto laresponsabilità del comunicare primaancora di poter riunire gli organicollegiali, utilizzando gli strumentitecnici già a loro disposizione(uff.stampa, web, ecc.). Una soluzioneoperativa avviata da altre associazioni èquella di creare la figura di un“portavoce”, all’interno del boardpolitico del Consiglio di presidenza.A noi per motivi tecnici spetta soloevidenziare questa esigenza forte, senzaovviamente entrare nell’ambitodecisionale riguardo al merito politico ealla fattibilità.2) “Coordinamento immagine”: se unosforzo importante è stato già profusodalla Sede Centrale come accennavo,occorrerà proseguire verso un effettivocoordinamento generale della nostraimmagine esterna, con rinnovatointeresse per la grafica, l’editing, lapromozione del nostro marchio. Daverificare inoltre l’utilità o meno diforme di pubblicità istituzionale, fin’oramai percorse.3) “Archivio immagini”: la Sede centraleha avviato un Progetto in tal senso. Peraudio/video occorrerà ripensare funzionie ruoli dei soggetti tecnici già operanti ein accordo con gli stessi traguardareobiettivi più ambiziosi, consapevolidell’importanza strategica di dotarci dimateriali audio video spendibili sulmondo della comunicazione. Occorreràavvalersi delle risorse interne (OTC ecc.)ed esterne a progetto. Il settore è moltopromettente nel campo dellepartnership con network tv.4) “Coordinamento e ottimizzazioneGrandi eventi/campagne”: è mancatofin’ora un raccordo istituzionale tra inumerosi e variegati soggettidell’ambito CAI organizzatori eproponenti di eventi(mostre, fiere

“montano” in termini culturali, sonopochi gli ambiti territoriali in cuipossiamo parlare di una vera e propria“civiltà montana o alpina”. Anche perquesto la “montagna” in quanto tale suigrandi media fa meno notizia di altrecategorie (mare, città, calcio, politica,cronaca nera, ambiente/parchi, ecc.).Anche il “turismo” in montagna èlargamente minoritario rispetto adaltri(mare, città d’arte, ecc.) e ciò -salvo eccezioni - condizionanegativamente le modalità dicomunicazione, lo spessore, la qualità ela quantità dei servizi. La montagna,troppo spesso fa notizia solo inoccasione di catastrofi naturali oartificiali, di disastri, crolli, frane oslavine. Oppure rispetto a fenomeninaturali considerati eccentrici (es. lagoeffimero, ecc.).• b - i valori portati avanti dal CAIappartengono ad una “contro cultura”,ovvero ad una cultura minoritaria cheall’interno della società attuale - senzaretorica - intende affermare spessore eimportanza di categorie come • la “lentezza”(quella dei montanaricapaci di distinguere le stagioni e dipraticare “la fatica”) opposta” alla “fastlife energivora e onnivora”• “il sapere condiviso tra le generazioni”invece del “tecnicismo da manuale”,• “la conoscenza del monte intesaprima di tutto come avventura dellospirito“ anteposta all’”atletismo” o“sport agonistico” fine a loro stessi,• la convivialità sociale” oppostaall’”autismo tecnologico”,• la “solidarietà” opposta all’”egoismo”,• “la difesa dell’ambiente” opposta al“consumo produttivista di acqua, aria esuolo”,• la “difesa delle identità locali” controcerta “erosione culturale” portata avantida un tipo di globalizzazione, negativa,• “la difesa del paesaggio storico”opposta alla “banalizzazione dei modellidi sviluppo importati dalla metropoli”,• “il valore della formazionepermanente e della cultura dellasicurezza (anche in montagna”, oppostaal “tutto e subito del no-limits”, ecc.,

Ciò di fatto ci mette come CAI in unaposizione non facile all’interno deigrandi media. Non potendo il CAIabdicare al “mezzo”, perdendo di sensotra effimero e lustrini, non desiderandofin’ora proporre un “Grande Fratello” inun rifugio alpino, per “bucare” loschermo occorrerà ri-progettare unastrategia di medio-lungo periodo chericomprenda in un concerto unico ecoeso tutti i fili del comunicare CAI e lisappia finalizzare. Attendo fiducioso ilcontributo di tutti.

Pier Giorgio Oliveti

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ANNO 129VOLUME CXXVII2008 GENNAIO FEBBRAIODirettore Responsabile:Pier Giorgio OlivetiDirettore Editoriale:Gian Mario GiolitoCollaboratore di redazione:Oscar TamariArt Director e redazione:Alessandro GiorgettaImpaginazione: Alessandro GiorgettaSegreteria di Redazione: Giovanna MassiniTel. 02/2057231.e-mail:[email protected],CAI - Sede Sociale: 10131 Torino,Monte dei Cappuccini. Sede Legale -20124 Milano, Via E. Petrella, 19 - Cas. post. 10001 - 20110 Milano - Tel. 02/205723.1. (ric. aut.) Fax 02/205723.201.CAI su Internet: www.cai.it Telegr. centralcai milano C/c post.15200207 intestato a cai Club AlpinoItaliano, Servizio Tesoreria - Via E. Petrella,19 - 20124 Milano.Abbonamenti a la Rivista del Club AlpinoItaliano - Lo Scarpone: 12 fascicoli del notiziario mensile e 6 del bimestrale illustrato: abb. soci familiari: € 10,90;abb. soci giovani: € 5,45; abb. sezioni,sottosezioni e rifugi: € 10,90; abb.non soci: € 35,40; supplemento speseper recapito all’estero: Europa - bacino del Mediterraneo € 22,92 / Africa - Asia -Americhe € 26,70 / Oceania € 28,20 Fascicoli sciolti, comprese spese postali:bimestrale + mensile (mesi pari):soci € 5,45, non soci € 8,20; mensile(mesi dispari): soci € 1,90, non soci € 3,30. Per fascicoli arretrati dal 1882 al 1978: Studio Bibliografico San Mamolo di Pierpaolo Bergonzoni & C. snc,Via XX Settembre, 42 - 40050 Dozza (BO) -tel. e fax 0542/679083Segnalazioni di mancato ricevimento vannoindirizzate alla propria Sezione.Indirizzare tutta la corrispondenza e il materiale a: Club Alpino Italiano UfficioRedazione - via E. Petrella, 19 - 20124Milano. Originali e illustrazioni pervenuti diregola non si restituiscono. Le diapositiveverranno restituite, se richieste. È vietata lariproduzione anche parziale di testi,fotografie, schizzi, figure, disegni senzaesplicita autorizzazione dell’Editore.Servizio Pubblicità G.N.P. s.a.s.di Nenzi G. & C. Sede: Via Udine, 21/a31015 Conegliano, Tv pubblicità istituzionale:Tel. 011/9961533 - Fax 011/9916208servizi turistici:Tel. 0438/31310 - Fax 0438/428707e-mail:[email protected]@serviziovacanze.itFotolito: AOG SpA - Filago (BG)Stampa: Elcograf - Beverate di Brivio (LC)Carta: bimestrale: 90 gr/mq patinatasenza legno; mensile: 60 gr/mq riciclata.Sped. in abbon. post - 45% art. 2 comma20/b legge 662/96 - Filiale di MilanoRegistrazione del Tribunale di Milano n.184 del 2.7.1948 - Iscrizione al RegistroNazionale della Stampa con il n. 01188,vol. 12, foglio 697 in data 10.5.1984.Tiratura: 199.420 copie

CopertinaIL PELMO D’INVERNO(f. Jordi Ferrando)

2 0 0 8 G E N N A I O F E B B R A I O

SENTIERO FRASSATI DELLA LIGURIAPiero Bordo 46

Alpinismo nel mondo ANDE PERUVIANE: CERRO ESINOGuido Barindelli 50

GeologiaARRAMPICATA E LITOLOGIAMatteo Garofano, Christian Roccati 55

SpeleologiaLA GROTTA DELL’ORSOCarlo Balbiano d’Aramengo 60

ArteMONTAGNA MADREMichele Claudio Cassinelli 63

Libri di montagna 66

Premio Gambrinus“Giuseppe Mazzotti” 68

Monte dei Cappuccinia cura del Museo Nazionale dellaMontagna e della Biblioteca Nazionale 70

Materiali & tecnicheCORDINI PER ALPINISMO, 3ª PARTEVittorio Bedogni, Elio Guastalli 72

Scienza e montagnaUN CRONOMETRO GEOLOGICOJacopo Pasotti 76

Ambiente RETE NATURA 2000 E IL CAIRita Capelli 78

Alta salute7° CONGRESSO MONDIALE DI MEDICINA DI MONTAGNA a cura della Comm. C.le Medica 80

AttualitàGLI ITINERARI DI CHARTA ITINERUMGiovanni del Tredici 82INDICE DEL VOLUME CXXVI - 2007 85

32EditorialeEST MEDIUM IN REBUSPier Giorgio Oliveti 1

Il temaPIAN DELLA MUSSA, NATURALMENTE!Gianni Castagneri 4

Lettere alla rivista 6

Sotto la lenteI NUOVI MONTANARIRoberto Mantovani 8

Cronaca alpinisticaa cura di Antonella Cicognae Mario Manica 10

Nuove ascensionia cura di Roberto Mazzilis 12

Arrampicataa cura di Luisa Iovanee Heinz Mariacher 14

CostumeSCI ALPINISMO E TERZA ETÀMauro Manfredi 16

PersonaggiGUIDO ROSSA: L’ALPINISTA CHE SCESE FRA GLI UOMINIEnrico Camanni 17ALPINISMO E SOCIETÀAnnibale Salsa 18GUIDO ROSSA: MIO PADRESabina Rossa 19

JULIUS KUGYLuciano Santin 23

Alpinismo invernaleSUL PELMO D’INVERNO Tommaso Ceccato 26

ScialpinismoSUI MONTI SIBILLINIGiuliano Mainini, Pierfrancesco Renzi 32IN CORDILLERA BLANCAFranco Gionco 38

EscursionismoIN ALTA VAL NURESergio Ravoni 42

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Sosteneva Albert Einstein:“Non si possono risolvere iproblemi con lo stesso mododi pensare che li ha generati”.Il calo costante di turisti alPian della Mussaaccompagnato da un generalerafforzamento dei problemi darisolvere e da un altrettantocronica mancanza di risorsehanno motivato la decisione,oggetto di discussioni estive,di riconsiderare la fruizionedel pianoro in mododifferente dall’usuale.Non più un luogo di nessunoda utilizzare a proprioindiscriminato piacere, conl’obiettivo unico di nonritrovarvi la settimanasuccessiva i propri avanzi,bensì un nuovo concetto dirisorsa comune dove il potergodere della natura e delpaesaggio e dei serviziesistenti (pochi diràqualcuno!), comporta ancheun piccolo esborso esoprattutto una piùapprofondita sensibilità. Dopo l’esperienza maturatanella trascorsa stagione, sipuò affermare chel’esperimento è largamenteriuscito: forse qualcuno non èpiù venuto, qualcun altro si èlimitato alla critica (ma ancheprima molti criticavano…), lamaggioranza ha compreso lemotivazioni ed ha continuatoa frequentare il Pian dellaMussa ed anzi, molti sonoritornati con entusiasmo emaggior consapevolezza delleinconsuete caratteristichedella località, con lasoddisfazione di poternecontribuire alla salvaguardiae al rafforzamento della sua

offerta.Mentre tutti sappiamo cherecandoci in città ci toccametter mano al portafoglioper lasciare l’auto, quandotroviamo posto, in superfici apagamento senza nessun tipodi servizio aggiuntivo, magariper recarci in qualche ufficioo peggio in ospedale, oppurevisitiamo spazi culturali ericreativi dove accettiamoconsapevolmente il costo delbiglietto, perchécomprendiamo che per glistessi è necessario sostenereuno sforzo economico, ci sisente defraudati quando perragioni altrettanto meritevolisi applica una forma dicontributo ambientale perl’accesso veicolare in un sitosostanzialmente intatto epulito, meta di vacanza,divertimento, ristoro, conrilevanti problemi gestionalied un equilibrio naturalisticosottoposto a pesantisollecitazioni.Nessuno si è mai domandatoquanti camion servissero perraccogliere e portare indiscarica le tonnellate diimmondizia, della quasi totaleassenza di raccoltadifferenziata, dei costi perinstallare nei mesi di puntadei servizi igienici chimici, dicome ciò ricadesse sulletasche di tutti, senza peraltroindurre alcuna aspettativa diripresa o di riqualificazione. Iltutto condito da un timorecostante semplificabile nellafrase: “E’ ancora tanto chevenga qualcuno!”.No, credere che la vocazioneturistica della valle possaridursi ad una atteggiamento

di rinuncia non può portare daalcuna parte. La gente devecontinuare a venire, se è ilcaso a tornare, perché trovadei miglioramenti, perché sisente accolta e rispettata,curata con professionalità egentilezza, perché a questecondizioni si affeziona eritorna. Non si può credereche il futuro turisticoappartenga a coloro chesperano che la gente “cada”nei propri luoghi, che civenga perché non costa emagari riesca anche a portarevia qualcosa. Sempre di più,si paga per ciò che, secondonoi vale la pena , sifrequentano luoghi chesostengono le caratteristicheesposte in precedenza, sisceglie facilmente ealtrettanto semplicemente siabbandona ciò che non harispettato le proprieaspettative.

LA MONTAGNA PER TUTTIL’affermazione ricorrente dicoloro che si ostinano adavversare la scelta dellaregolamentazione, consistenel dire che la montagna è ditutti. Ma lo spazio del Pian dellaMussa è di tutti nella stessamisura in cui lo sono le città,le spiagge, i parchi naturali e ibeni culturali. Appartiene anoi nello stesso modo dellemontagne trentine, delleprestigiose località marittime,di regge e musei.Per vedere le Tre Cime diLavaredo tramite l’accessoveicolare, si pagano sommeben più consistenti, e anchequelle, pur essendo di

particolare suggestione sonopur sempre montagne “ditutti”…Troppe volte chi si reca inmontagna, lo fa per unpresunto diritto adaccaparrarsi quanto la naturamette con fatica adisposizione. La quota elevataed il clima particolare,offrono un’infinita varietà diespressioni naturali, cui ilsaccheggio indiscriminatotende con sempre maggiorfrequenza ad alterare. Èinvalsa la scorretta abitudinedi sradicare fin dallaprimavera quantità industrialidi “cicoria”, di strapparepiantine di genepì e genziana,di asportare minerali, fiori eogni altra cosa, barattati consacchetti di rifiuti, talvoltasparsi nei prati, nonconsiderando che ogniterreno, ogni pendìo, ognispazio accessibile, appartienea qualcuno, e quando non sitratta di persona fisica, è delcomune stesso.Introdursi in queste proprietàestirpando quanto vi si trova,calpestando o peggiosporcando, arreca un danno aquanti ancora traggono unprofitto dall’attività agricola epiù in generale compromettel’integrità ecologica,investendo coloro che neapprezzano le peculiarità,senza il bisogno di portarseneun pezzo a casa propria.

di GianniCastagneri Sindaco di Balme

Pian dellaMussa,naturalmente!

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UN PROGETTO PER TANTI Il pagamento di pochispiccioli non è indirizzato afar quadrare i miseri bilancicomunali. L’intenzione,peraltro ampiamentepubblicizzata è di avviare unconcreto programma dimiglioramenti che permettanodi adeguare il Pian dellaMussa alle necessità di unturismo sostenibile, rispettosodelle esigenze di tutela che sievincono dall’inserimento delluogo, tra i siti di interessenaturale della ComunitàEuropea. Pochi interventi chenon si rivolgono a quantidistruggono panchine esteccati per fare il barbecue,ma a coloro che apprezzanogli sforzi che si stannofacendo e che, anche perquesto aspirano a trovarvi unapiù completa e adeguataofferta. L’obiettivo non è dilimitare il numero di coloroche vogliano avvicinarsi adun ambiente eccezionale, madi far sì che ciò avvenga condelicatezza e profondità,camminando sui sentieri opranzando al sacco, mariportando a valle i rifiuti erispettando l’esistente, perchéla montagna non sia solo unparcheggio temporaneo perfrustrati di città, ma torni adessere un luogo ricreativo adisposizione per i tanti chegià la vivono con un giustoapproccio e per coloro che,speriamo numerosi, intendanoconoscerne in modo appro-priato le straordinarie bellezzee le eccezionali particolarità.

UN’ALLEANZA TRA TURISTI E MONTANARILa storica competizione, figliadel boom economico, tracittadini e montanari, si èfatalmente risolta a svantaggiodi questi ultimi. Ora l’epocadi piangersi addosso, direcriminare per le occasioniperdute, di annullarsi nellatotale subalternità primaculturale e poi socio -

economica, si è esaurita. È oradi riprendere il bandolo dellamatassa ed escogitare concoraggio nuove soluzioni, inuna nuova intesa tra quanti nesono più o meno direttamentecoinvolti. Nelle nostre valli ilmontanaro ha bisogno dirimanere protagonista nellescelte, ma al tempo stessodeve poterlo fare con ilconsenso, l’apprezzamento esu tutto la comprensione delturista che concorre agarantirne il successo. Eccoallora che la responsabilitàdell’uno e la consapevolezzadell’altro in un’intesa direciproco scambio, possonocontribuire alla creazione diun indispensabile modello disviluppo che non solo siasostenibile da un punto divista ambientale, ma che lo siaanche per quanto riguarda lasolidità dell’economia e dellavivibilità dei paesi e di chi liabita, al riparo dai continuisovvertimenti dettati dalletendenze del momento.Lavoriamo allora perché sitorni ad essere convintiprotagonisti delle scelte cheriguardano il nostro territorio.Solo così potremo evitare che,come troppe volte è successo,qualcun altro, estraneo allenostre necessità, alla nostracultura, ai nostri interessi,decida per noi. Con risultatiche purtroppo sono spessosotto gli occhi di tutti.

La natura a portata di mano.Il Pian della Mussa, località conosciuta nella provincia diTorino, ma apprezzata anche oltre i confini regionali,rappresenta da sempre un luogo dove ritrovare, in unambiente sano e sostanzialmente conservato, lecaratteristiche di un ambiente di montagna di elevatopregio paesaggistico e naturalistico. In un ampio pianoroche si apre a monte dell’abitato di Balme, si staglianocontro il cielo le principali vette delle Alpi Graie, che furonoper un lungo periodo la culla dell’alpinismo e la metapreferita per impegnative salite, piacevoli escursioni ,semplici passeggiate. Tutt’intorno si vive l’esplosione dellanatura, dalle rare peculiarità botaniche - che trovano lecondizioni ottimali in un insieme variegato di habitat che nedeterminano un’infinita varietà di specie- a tutte leprincipali presenze faunistiche dell’alta montagna, trabranchi di stambecchi e di camosci, marmotte curiosesempre sotto l’occhio vigile dell’aquila reale e delrarissimo ripeto. Dalle numerose cascate che si riversanoscroscianti dalle pareti laterali, alimentate dai numerosighiacciai, sgorga un acqua leggera e purissima, mentredalle sorgenti del pianoro si alimenta da quasi un secolo lacittà di Torino. Nel 1927 proprio il Pian della Mussa ispirò aToni Ortelli il celebre canto “La montanara”, vero e proprioinno alla bellezza della montagna, conosciuto in tutto ilmondo mentre nel ben lontano 1896, Adolfo Kindprecursore della pratica sciistica, introdusse per la primavolta lo sci in Italia proprio nella nostra località. Tra le ampie distese di prati e sugli altopiani laterali di PianSaulera e Pian Ciamarella pascolano a tutt’oggi numerosemandrie di bestiame che consentono di produrre uneccezionale qualità di formaggio “Toma”.Ai nostri giorni il Piano della Mussa è stato inserito, proprioper tutelarne le caratteristiche naturalistiche, tra i Siti diInteresse Comunitario (SIC), oggetto di tutela da partedella Comunità Europea. Nel periodo invernale, quando lastrada d’accesso è chiusa al transito automobilistico, lalocalità è meta di escursionisti, che possono raggiungerlapercorrendo un semplice e panoramico percorso battuto,sia a piedi, sia con le racchette da neve o con gli sci daalpinismo. Per gli appassionati dello sci da fondo, vieneinvece regolarmente allestita una pista apposita che,salendo per un tratto sulla strada provinciale, conduce aduna ricca proposta di itinerari per tutte le capacità, che siestendono nel silenzio dell’intero pianoro. gc

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A PROPOSITO DELLECHIODATURE SELVAGGE…Pratico da ormai alcuni annil’arrampicata sportiva, infalesia e montagna e, tra lezone da me più frequentate, ilGruppo Castello-Provenzalein Valle Maira è senz’altroquello che mi sta più a cuore.Il motivo è semplice: suqueste pareti ho mosso i mieiprimi passi da capocordata,provando l’adrenalina e lasoddisfazione di piazzare leprotezioni durante laprogressione. In proposito,non dimenticherò mai ilresting fatto su un cuneo dilegno marcescente al primotiro della Via “Balzola” o lasosta umida e scomoda, suchiodi arrugginiti, al “DiedroCalcagno”. Col tempo ho potutomigliorare le mie capacitàarrampicatorie potendomicosì permettere salite piùimpegnative tra cui,ultimamente, la via“Overfigari” alla puntaFigari. Ed è proprio in questaoccasione che (orrore!!) ilmio sguardo si è posato suuna fila di spit fiammantifacenti bella vista lungo ilprimo tiro di 6bdell’adiacente via“Superfigari”.Non voglio aprire un capitolodi deontologia alpinistica mami chiedo semplicementeperché un così splendidoitinerario, difficile perl’ingaggio ma facilmenteproteggibile a nuts e friends,sia stato banalmente

ricondotto allo stato dimonotiro da falesia, con tantodi soste a prova di bomba…Mi si potrà rispondere che èper una questione disicurezza ma sonodell’opinione che non si èsufficientemente preparati peruna salita del genere sipossono scegliere alternativepiù abbordabili. D’altronde èinnegabile che l’uso dello spittoglie quella difficoltà“psicologica” che caratterizzale arrampicate di questa zona.Si potrebbe essere d’accordo, eventualmente, sui nuoviancoraggi alle soste ma alloraperché non rivolgersi apercorsi ben più gettonaticome lo “Spigolo MariaGrazia” per il quale, rispettoalla “Superfigari”, il rapportodelle cordate che lopercorrono è almeno di 10 a1? In tal caso, in effetti, ilsovraffollamento alle sostepotrebbe oggettivamentecreare dei pericoli.La mia conclusione, checredo condividere conparecchi colleghi alpinisti, èmolto semplice: lasciamo chele vie classiche non estremerimangano così come furonopercorse per la prima volta,in fin dei conti lasciare un nutin parete, ribattere qualchechiodo o piazzare un cordinoper rinforzare una sosta nonpotrà che aumentare lasoddisfazione dello scalatorelasciandogli un piacevole edincancellabile ricordo.

Davide Scotto (Sezione di Varazze)

QUEL 6 LUGLIO DEL 1952Intendo fornire unchiarimento all’arcanosegnalato nella lettera diGiuseppe Colombo (“Larivista” settembre-ottobre, p.12) a proposito della data dimorte di Vittorio Ratti.Ma facciamo un passoindietro, tornando all’articolodi Irene Affentranger (“Larivista”, maggio-giugno 2007,

p. 41) per precisare che lasolitaria di Buhl sulla nord-est del Badile èunanimamente accreditata al6 luglio del 1952 (Bonacossa-Rossi, Masino BregagliaDisgrazia, vol. 1, p.142) e sisvolse dunque in giornata(quindi non il 6 e 7 luglio)coerentemente con il tempodi salita rapidissimo e la notadisavventura ciclistica delrientro.E veniamo alla questionesollevata dal socio Colombo.Quella domenica 6 lugliosulla cima del Badile, conCarlo Mauri (Bigio), c’eraEmilio Ratti (Topo) uno deicinque fondatori dei Ragnidella Grignetta. Erano salitidalla via Molteni-Camporinisulla parete sud-est. Sulla viadi discesa (lungo lo spigoloNord) Buhl si imbatté in altrisoci del Gruppo: GianfrancoAnghileri e Mario Colombo(Snapitus).Vale qui la pena di ricordareche Emilio Ratti (classe1927), per anni compagno dicordata di Giulio Bartesaghi,ma anche di Gigi Vitali e dimolti altri, prima di emigrarein Canada, fu uno dei piùattivi giovani alpinistilecchesi. La suapartecipazione a molteoperazioni di soccorso èricordata anche nel libro diMarco Albino Ferraridedicato alla ricostruzionedella tragedia del PiloneCentrale.Peraltro l’attività del fantasmadi Vittorio Ratti, caduto incombattimento il 26 (non il25) aprile del 1945, continuaancora almeno fino al 1953,sulla Punta Chiara (o Quota2951) in Val Torrone, secondouna recente guida il cui autoredichiara (sullo “Scarpone”)candidamente di aver evitatoqualsiasi errore.In questo secondo caso ilRatti è Giovanni (classe1924) peraltro correttamenteindicato sia nella Bonacossa-

Rossi (Masino BregagliaDisgrazia, vol. 2, p. 222) chenella Miotti-Mottarella “Sulgranito della Val Masino”, p.33), anche se con la solainiziale. E qui l’errore èancora più grave perchéGiovanni Ratti (anche luiRagno della primagenerazione), oltre a essereuna delle memorie storichepiù lucide e acutedell’alpinismo di quegli anni(chiedere a chi ha avuto lafortuna di sentirlo raccontare)è stato fidato collaboratore delconte Aldo Bonacossa nellavoro “sul campo” diredazione/revisione delle“Guide Grigie” e il suo nomeritorna a più riprese nellastoria del Masino Bregaglia.A Giovanni, a Emilio e alfiglio di Vittorio, Roberto(classe 1944), anche lui sociodel Gruppo Ragni, va il piùcordiale e riconoscente saluto.

Alberto Benini (Sezione di Lecco)

VERI RIFUGI O PARCHI DI CARTAFrequento le montagneAbruzzesi e Marchigiane daincallito escursionistaritenendo che sia ora diindicare un elemento disviluppo dei parchimeridionali sino ad oggitotalmente trascurato: i rifugi.Preciso, per rifugio intendoun edificio in alta quotaperfettamente idoneo alristoro, alloggio e centro disicurezza professionalmentegestito. Ottimi esempi: rifugiFranchetti, Duca degliAbruzzi e Garibaldi, tuttiperò unicamente concentratinel cuore dei Corni Grande ePiccolo. Oltre questi modellidi riferimento… il deserto.Come possiamo pretendereche le famiglie, i folti gruppidel CAI, i forti escursionistidel Nord od Europei possanoprogrammare unpernottamento od un trekkingdi più giorni nelle valli del

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Venaquaro, in cime come loJenca, Corvo o Prena, neiSibillini, se i rifugidisponibili sono dominio deipastori (Rifugio del Monte),sempre chiusi (RifugiArcangelo-Panepucci-DelFarnio) comunque inesistentio non gestiti?Seppur apprezzabile lapolitica ambientale di minimoimpatto sino ad oggi adottata,consideriamo che soli alcunistrategici rifugi ben gestitistimolerebbero famiglieintere ad inoltrarsi in zone dialta quota altrimenti privi-legio di pochi escursionisti.Sarò coinciso: necessitanoimmediatamente risorse per– recuperare e gestire l’ex-albergo diruto nella crestadell’Arapietra (CornoPiccolo)– realizzare nuovo rifugio alMonte Prena (Sentiero delCentenario)– ampliare e gestire il Rifugiodel Monte (M. Corvo)– trasformare e gestire arrivofunivia Monte Bove Sud(Sibillini)– ampliare e gestire rifugioTito Zilioli M. Vettore(Sibillini)Alcuni di questi interventisono già con progettiesecutivi pronti ma sonoassolutamente certo che laclasse dirigente èmanagerialmente inadeguatae tutto resterà incompiuto: sicontinuerà a tollerare il parcovirtuale dei sentieriprecariamente segnalati, delleCase del Parco normalmentechiuse e con personaleescursionisticamenteimpreparato. Il Centro ed ilSud studino l’esperienza delNord per maturare una nuovacultura dell’accoglienzaalpina: altrimenti mettiamopure in liquidazione coattaamministrativa questi Parchidi carta che nessuno intendepiù solo leggere.

Maurizio Ruggeri(Sezione di Macerata)ù

L’USO E L’ABUSODELL’ASSICURAZIONEVENTRALECome falesista e rocciatoresenza pretese, ma ormai conuna certa esperienza, honotato in questi ultimi anniuna enorme diffusione deisecchielli e delle piastrine esopratutto un diffusissimouso dell’assicurazioneventrale con relativosecchiello. Tra l’altrol’assicurazione ventrale èfavorita anche da molte guideche si fanno fareassicurazione dai loro clientiunicamente con questometodo. Credo però chepochi, tra i miei colleghirocciatori della domenica, sirendono conto che, nella suaapparente semplicità, ilsecchiello è in realtà unostrumento che va usato aragion veduta e con le debiteprecauzioni e solo da personeche ne conoscono benecaratteristiche e limiti e sannoquello che fanno.Non so quanti, infatti, sannoche usato a rami paralleli -come si fa di solito percomodità durantel’assicurazione al primo dicordata - ha una forzafrenante insignificante: più omeno quella di un rinvio. Eche comunque, anche usato a180 gradi, ha un rapporto, traforza di ingresso e forza diuscita, di 3-5.Questo significa che unacaduta di 2+ 2 metri delprimo di cordata e con unsolo rinvio, darebbe unoscorrimento nella mano di 1metro, se i rami erano a 180gradi. Di circa 4 metri se irami erano tenuti paralleli.Non c’è bisogno di dire chenessuno riesce a tenere inmano una corda che scorreper più di 60-70 cm. Ilvecchio e buon 1/2 barcaiolopuò limitare lo scorrimento a30 cm. Ma supponiamo che il nostrosecondo sia riuscito a tenere

in mano la corda: vienesbalzato in aria e torna giùsolo con un opportunoscorrimento supplementaredel mezzo. Si trova poi difronte al problema di comescaricare la corda dalla suapancia alla sosta. E’ unaoperazione che richiede 5passaggi con l’uso di 3moschettoni e di un cordinoper fare l’autobloccante.Impossibile che il normalerocciatore della domenica, edanche del mezzo settimana,riesca a farla.Certo esiste il Dio degliincauti che vede e provvede.Ed in realtà un volo secco di4 metri è difficilmenteipotizzabile, grazie al Dio dicui sopra. Però può capitare.E le precauzioni, leassicurazioni ecc. servonoproprio per l’incidente, nonper il regolare svolgersi diuno scalata. Per cui spezzouna lancia a favore delvecchio 1/2 barcaiolo e diuna sana e tradizionaleassicurazione classica sullasosta, che oltre al resto èmolto più comoda di quellaventrale. Lasciamo laventrale con secchiello aquelli per cui era statainventata: quelli delle cascatedi ghiaccio e delle grandi vied’ambiente con sosteprecarie. E cioè i bravi, iveramente bravi.

Lucio Dal Buono (Sezone di Corsico)

Il Presidente dellaCommissione CentraleMateriali & tecniche,interpellato in merito,osserva che sono commentinel complesso validi, cheavvalorano l’impiego del 1/2barcaiolo, anche se in falesiasi arrampica su monotiriutilizzando secchielli,piastrine o freni semi-statici(GriGri, Cinch, ecc.).Sottolinea che in ogni casoqualsiaisi tipo di frenorichiede la nacessaria

conoscenza delle possibilità edei limiti e nell’impigopratico sempre molta, moltaattenzione.

I PARTIGIANI ALLA BESSANESESul numero di settembre-ottobre 2007, ho lettol’interessante articolo diBruno Visca sul giro dellaBessanese.

In questo articolo si cita illibro del comandantepartigiano Carmagnolo.Interessante la citazione.Purtroppo il Carmagnola haordinato l’attentato ad unufficiale delle brigate nere inmodo non del tutto corretto.A pagina 41, per quantoriguarda il rifugio Gastaldi, siafferma che un gruppo dipartigiani lo radecompletamente al suolo.Come risulta invece dallafotografia, scattata attornoagli anni cinquanta, si vedonole rovine del rifugio (2659 m)che, pur incendiato, eraancora in piedi. Nella fotosono visibili la puntaChalanson, Franco Tizzani ed i fratelli Carlo e RiccardoPeroglio.

Franco Tizzani (Sezione di Torino)

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Che volto avrà la montagnadel futuro? Cosa capiterà neimicrocosmi delle valli alpinedopo le ventate dellaglobalizzazione? Apparirà unmondo nuovo,completamente estraneo aquello della tradizione,oppure sul ceppo della storianasceranno nuovi germogli,capaci di rinnovare la vita delvecchio albero? È inevitabilechiederselo di fronte aldibattito che, in modospontaneo, sta prendendovigore sulla carta stampata,nei convegni specializzati,ma anche tra le file di chi sisente “dalla parte dellamontagna”.La domanda ha sensosoprattutto se riferita agliambiti più disastrati dell’arcoalpino, le due estremitàmeridionali, a ovest e a est.La montagna povera dialcune delle valli occitane e,all’estremo opposto, quellache occupa il lembo sudorientale della catena. Inmolte altre zone la situazioneè diversa, e le previsioni piùfacili. Si dice che le Alpicostituiscono un unicosistema. Vero. Però non sitratta di un’insieme compattoe monolitico, quanto piuttostodi un’entità complessa, in cui- all’interno di una corniceche ne esalta la diversitàrispetto al resto d’Europa -

balzano immediatamenteall’occhio eccezioni eparticolarità: non bisognaessere degli scienziati percapire che, pur su unsubstrato comune, le vallipiemontesi sono una cosa equelle del Tirolo meridionaleun’altra. Ed è solo uno deitanti esempi possibili.La precisazione - del tuttosuperflua per chi frequentaabitualmente le Alpi - è utileper chiarire che, in virtù diparticolari situazioniamministrative, ci sonoporzioni di montagna vitali ein grado di costruire senzaintoppi il proprio futuro, ealtre per le quali il futurocontinua a costituire unascommessa.Nel 1977, Nuto Revelli,attento osservatore dellarealtà alpina, dopo averscandagliato in profondità ladisastrosa condizione socio-economica in cui versavano icontadini di montagna dialcune valli cuneesi, avevaparlato di “Mondo dei vinti”.Un’etichetta che pesava comeuna condanna nei confronti ditutto ciò che aveva causato ladisfatta e il degrado di unasocietà su cui avevanoinfierito i massiccireclutamenti per le due guerremondiali, il disinteresse dellapolitica, l’esodo dai paesimontani, l’arroganza del

potere economico,l’apparizione di quel turismodi massa capace di degradareirrimediabilmente ilpaesaggio. I libri di Revelli,oltre che argomentati capid’accusa, erano anche elegiedi un mondo in sfacelo, untentativo di ridare dignità auna civiltà rurale costrettaall’agonia tra il disinteressegenerale.Da allora sono passatitrent’anni. In quei lembi dimontagna che sembravanosenza scampo, qualcosa ècambiato. In diverse valli si èpersino assistito a un ritornoalla montagna. Tra i “nuovimontanari” c’è gente chearriva dalla città, anche se peralcuni esistono evidenti

legami con i luoghi di recenteinsediamento: una storia difamiglia, un rapportosentimentale, un’affinitàculturale. C’è l’artista singleche ha messo su casa inmontagna per crearsi un buenretiro lontano dalla città, dicui non condivide più lalogica. Ci sono operai stufidelle fabbriche, giovaniintellettuali decisi ariappropriarsi del valore dellavoro manuale e disposti arivisitare in chiave moderna imestieri tradizionali dellamontagna. Ma si trovano - enon costituiscono affattoun’eccezione - anche coppiecon bambini piccoli, unacondizione che più di altrepuò favorire l’integrazione

I nuovi montanari e il neoruralismo

di RobertoMantovani

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sul territorio.Qualche settimana fa hoavuto modo di soffermarmi alungo sulle pagine di un libroche mi ha fatto moltoriflettere: Avem fach un sumi(abbiamo fatto un sogno),edito dalla Chambra d’Oc,associazione a cui fannocapo valligiani che lavoranoi prodotti della terra, fannogli artigiani o vivono diturismo, e che opera nellevalli occitane del Piemonte,tra la provincia di Torino equella di Cuneo, in praticatra l’alta Valle di Susa e laVal Corsaglia. Un volumeinteressante, che raccoglieuna serie di interviste agiovani coppie, tutteresidenti in montagna. Anzi,per essere più precisi, chehanno liberamente scelto divivere in montagna. Nessunodei testimoni, infatti, è statocostretto a trascorrere ipropri giorni nelle borgate enei paesi alpini che liospitano. Potevano metter sucasa altrove. Invece hannodeciso per la montagna, eoggi sono sicuri di trovarsi

nel posto giusto.Mi è sembrata una bellaidea, quella di ascoltare lavoce di chi ha sceltoun’esperienza così profondaed esclusiva (ma giurerei chequalcuno la definirà“radicale”). La lettura delleinterviste è stataun’esperienza ricca distimoli. Addentrandomi tra lerighe del testo ho scopertoun’altra montagna. Moltedelle coppie che si sonoraccontate di fronte alregistratore ne parlano comese fosse una metafora. Oltrea considerarla una terra reale,con cui fare i conti percampare, per certi versi lasentono anche come unluogo dell’anima. Come unaregione in cui ci si puòconfrontare con se stessi,misurare la propria volontàal cospetto della natura, maanche dar spazio ai sogni.Come un laboratorioprivilegiato in cui costruireda sé il proprio destino,inventarsi un’esistenza riccadi opportunità inavvicinabilialtrove e vivere secondo

un’etica costruita su valoripiù autentici.Non ci sono solo sogni, però,nel libro: nella maggior partedei casi, si capisce che laquotidianità di chi ha sceltodi imboccare la strada dellamontagna è dura, priva dellecomodità garantite dalmondo cittadino. La vitavalligiana obbliga spesso ascontarsi con la scarsità (eanche con la mancanza) deiservizi sociali, con ildisinteresse del mondopolitico, con l’assurdità dinormative decise nei palazzidel potere. Nella successionedei capitoli affioranodenunce verbali, proteste,qualche volta anche propostecircostanziate. Eppure, intutti i casi, anche nellesituazione più difficili, gliintervistati sostengono che lavita di valle riesce regalaremotivi di gratificazionecapaci di compensare idisagi.Nel passare da una paginaall’altra del libro, più di unavolta mi sono ritrovato asottolineare conl’evidenziatore una serie dipassaggi assai simili gli uniagli altri. Nelle parole degliintervistati emerge nettissimala convinzione che il lorofuturo - sempre percepitoanche come futuro dellavalle in cui vivono - dipendasoprattutto dal modo di agireall’interno della comunità dicui si è entrati a far parte; indefinitiva dalla propria quotadi responsabilità. Nessuno,per quanto ho potuto vedere,accetta di delegare ad altri ledecisioni che lo coinvolgono,come sovente capitanell’ambiente urbano.Inoltre, a sentire tutteinsieme le voci raccolte nelvolume, ho avutol’impressione chel’immaginazione e lacapacità progettuale inmontagna abbiano un valoree un peso diverso, che la

forza delle idee possacambiare situazioniimpossibili, aprire nuoveprospettive sul futuro.Un’illusione? A mettere infila dichiarazioni e racconti,si direbbe di no.Curiosando dietro le quintedella ricerca, mi sonoimbattuto in un quadrod’insieme di estremointeresse, senz’altro utile perrispondere, almeno in parte,alla domanda iniziale. Hoscoperto che il campionedegli intervistati è solo lapunta di un iceberg cheraccoglie parecchie decine dicasi, molti ancora daindagare. Una rete diesperienze che ormai haassunto la fisionomia di unagalassia, cresciuta sotto gliocchi di tutti eppure rimastaa lungo invisibile. Una verae propria opera diricolonizzazione alpina chequalcuno ha cominciato adetichettare con il sostantivoneoruralismo. Un piccolo,nuovo mondo nell’universoallargato della montagna.Talvolta sostitutivo di quelloprecedente, in qualche casosovrapposto, in altriintegrato. Un mondo in cuiconvive chi non ce lha fatta echi invece ha avuto successo,chi si è ritagliato un angolodi vita tutto per sé e chi si èinserito nel tessuto socialepreesistente al punto dacreare innovazione estimolarne la crescita.Una bella differenza, rispettoal vecchio “Mondo deivinti”. Non ancora un mondodi vincitori, ma di sicuro unmondo di pionieri. Che ègiusto interrogare. Perprovare a capire. Perriflettere. E soprattutto perimmaginare il futuro di unospicchio di montagnamaltrattato dal tempo e dallastoria, che oggi sembraconcedersi una nuovapossibilità di vita.

Roberto Mantovani

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PAKISTANPumari Chhish 7350 m L'alpinismo francese sta vivendo inquesti ultimi anni una fase davverobrillante, all'insegna dell'esplorazione sumontagne al di sotto degli 8000 metri.Tra i protagonisti Yannick Graziani eChristian Trommsdorff, non certo gliultimi arrivati, ma poco pubblicizzatidalla stampa specializzatainternazionale. In quattro giorno (8-12giugno 2007) i due giovani alpinistihanno firmato nell'Hispar Muztagh laprima assoluta al Pumari Chhish (7350m) in stile alpino. La via, che si sviluppalungo i 2700 metri della parete sud, è diM6, V+, con 15 metri in A2 nellasezione chiave della salita su unaheadwall di 600 metri di misto e rocciaa circa 6400 metri di quota. La cima èstata raggiunta dopo il quarto bivacco il12 giugno.

Shipton Spire 5852 m21 giorni in parete (di cui 12caratterizzati da forte nevicate), 20bivacchi, 870 metri di difficoltà A4+/6a.Dal 10 al 31 luglio 2007 la spagnolaSilvia Vidal, fissati 200 metri di cordefisse, ha così aperto in solitaria (nienteradio o telefono satellitare) e in stilecapsula Life is Lilac lungo il pilastronord-est di Shipton Spire. La sua viatermina programmatamente a 5300metri, dove si congiunge con Ship ofFools, la via di Jared Ogden e MarkSynnot (1997) che porta alla cima diShipton Spire. «Quasi tutta la difficoltàdella via -ha spiegato la Vidal-, siconcentra nella prima parte, con alcunitiri di A4+ e molti altri di A4. La sezioneintermedia si sviluppa lungo un sistemadi fessure che sono riuscita a realizzarein libera fino al 6a, perché il peso delmateriale non mi consentiva dimuovermi oltre in libera. La parte finale

si svolge su terreno misto». La viaattacca dal versante nord-est, nellasezione centrale si sposta lungo quellonord-ovest per finire nuovamente suquello nord-est.Nuova via di 1450 metri lungo la paretesud-est di Shipton Spire 5852m per irussi Denis Savelev, Andrey Muryshev,Evgeny Korol, Sergey Nilov. Fragmentsof freedom, aperta in stile capsula, sisviluppa lungo un sistema di fessure esuccessivamente un grande diedro, per33 lunghezze con difficoltà max diA4/6b. 13 giorni in parete con cima il30 luglio 2007. La via corre totalmenteindipendente tra le vie Baltese Falcone Women and Chalk.

K7 Ovest 6858 m, Naisa Brakk 5200 m, Sulu Peak 5950 m, Farol Est 6350 mStagione ricca per lo sloveno MarkoPrezelj e gli americani Vince Anderson eSteve House nella pakistana Valle diCharakusa. Dopo un'acclimatazione alSulu Peak (5950 m ca) lungo ilversante nord-ovest (18-19 agosto2007) e la prima ascensione dellacresta sud-ovest del Naisa Brakk (5200m) lungo una via di oltre 1000 metri disviluppo con diff. fino a 6b/6b+, i trehanno scalato l'inviolato K7 Ovest(6858 m). Tre i giorni per raggiungere lacima. Partiti il 1 settembre con unaprima giornata su roccia, con 150 metridi facile arrampicata e 7 lunghezze infree climbing fino a 6b+, la cordata haproseguito i due giorni successivi sughiaccio e misto fino alla crestasommitale, molto esposta. In vetta inpiena bufera, la cordata riscenderàlungo la via di salita realizzando anche ilquarto bivacco. Il 12 settembre 2007 iltrio sarà nuovamente in azione lungo lacresta ovest del Naisa Brakk, conduemila metri di salita su roccia edifficoltà fino al 6a+ (discesa lungo il

colatoio ovest), senza però realizzarel'integrale, per la quale avrebberodovuto salire altre due cime.Rinunceranno poi all'inviolato K6 Ovest(7100 m) per le condizioni improponibilidella montagna dopo le forti nevicate eil continuo distacco di seracchi. Prezeljsi unirà poi in cordata col canadeseMaxime Turgeon per realizzare ingiornata, il 17 settembre 2007, unanuova via di 900 metri in libera e on-sight (eccetto 10 metri in artificiale) condifficoltà fino a 6c lungo uno deinumerosi pilastri del K7 Ovest, versantesud. Il 12 settembre scorso lo stessoTurgeon era partito per l'inviolato FarolEst (6350 m) affrontandolo in solitarialungo una via di ghiaccio sul versantesud-ovest. La cima è stata raggiunta ilgiorno successivo, dopo un bivaccoobbligato sulla cresta sommitale per leelevate temperature. Raggiunto ilcampo base il 14 settembre 2007,dopo 1300 metri di discesa.

Igor Brakk 5010 m Valle di Nanghma L'obiettivo iniziale di Agostino Cittadini,Maurizio Felici, Antonio Caporale eAlessandro Palmerini era di aprire unavia nella valle di Charakusa per poiricongiungersi al resto della spedizione“Abruzzo Karakorum 2007” impegnataal Broad Peak. Arrivati a Islamabad il 21giugno, i quattro scopriranno che ilpasso del Gondogoro è chiuso. Si puntaallora alla Valle di Nanghma, laterale diHushe, e sarà qui che la cordata(Caporale rinuncerà per problemi disalute) in giornata (4 luglio 2007) aprirà

Inshallah all'Igor Brakk 5010 m. Un

primo tratto di 600 m lungo un canale

detritico (II/III-), 9 tiri su roccia (passi di

VII/A0/M7), gli ultimi 2 tiri su cresta di

III/IV. La salita sarà dedicata agli amici

scomparsi Stefano Imperatori e Alberto

Bianchetti.

Cima Cai Molteno 4410 m - Ghiacciaio del BaturaAngelo Rusconi e Gino Mora sono partiticon Augusto Pozzoli, Claudio Besana,Roberto Galbusera, Efraim De Capitani,Laura Rho e Pierluca Elias, per svolgereun corso di formazione alpinistica a ungruppo di portatori locali, portare aiutiumanitari e raggiungere la vettadell'Angel Peak nell'Hindu Kush.Cambio di programma alpinisticoquando la polizia vieta l'accesso allazona per motivi di sicurezza. Ci sisposterà allora in Karakorum e, dopo ilcorso di formazione, verrà salita unaguglia di 400 metri (diff. max IV) nelghiacciaio del Batura che il gruppobattezzerà Cima Cai Molteno 4410 m.Verranno poi consegnati i fondi per lacostruzione di una scuola femminilenella valle di Hunza.

Antonella Cicogna e Mario Manica(C.A.A.I)[email protected]

Qui accanto: Panoramica delleguglie della Miyar Valley (India).

Al centro Mahindra 5845m.Foto©Mario Manica.

In basso:Il Kahn Tengri 7010 m

salito da Luca Vuerich.Foto©L.Vuerich.

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Karim Sar 6180 mPurtroppo gli ingredienti negativi ci sonostati tutti: pessime condizioni meteo,terreno impraticabile per le forti pioggee le alte temperature in quota, virusintestinale. Così è stato sventato il belprogetto esplorativo di Ivo Ferrari alKarim Sar (Batura Glacier) con FabioValseschini e Yuri Parimbelli all'iniziodello scorso settembre 2007. Dopo unbivacco a 4200 metri e aver attaccatolungo un canalone praticamentedetritico che li avrebbe condotti a unacresta tecnica, la cordata è statacostretta a rinunciare

INDIAMiyar Valley -Himachal PradeshQuattro nuove vie tra agosto esettembre 2007 per la cordataamericana composta da Pat Goodman,Freddie Wilkinson e Dave Sharratt nellaMiyar Valley. La prima linea, di diff.5.11, 350 m, è stata aperta alla suddell'inviolata Orange Tower 5200 m nelJangpar Glacier. La seconda è statarealizzata all'inviolato Peak 5960 m,con primo tentativo dal Jangpar Glaciere secondo attacco con vetta dal DaliGlacier, lungo la cresta ovest (IV+,5.9+, 660 m). Terzo obiettivo: l'inviolatoMahindra 5845 m, lungo la parete sud.Fissati i primi due tiri su una via tentataprecedentemente da altre cordate,Goodman e Wilkinson sono tornatiall'attacco per completare l'intera lineaon-sight, con un'impegnativaarrampicata su muri e lame.La via termina sulla cima centrale edè stata battezzata Ashoka's Pillar (V+5.11 R, 857 m). Assente in questa enella precedente salita per problemi di salute, Goodman ha invecerealizzato l'ultima linea del team lungola cresta sud di Peak 5300 m,in solitaria, chiamando la via P.K.D.(III+ 5.9-, 550 m).

Si chiama Secret of thin ice la nuovavia aperta in tre giorni dagli slovacchiAndrej Kolarik e Juraj Svingal alla norddi Rachu Tangmu 5930 m, nella MiyarValley. La via su misto e ghiaccio, 1300m di M6/A1, risolve il pilastro centrale,poi prosegue lungo la cresta sommitalefino alla cima centrale (1 ottobre 2007),senza raggiungere la vetta principaleper la presenza di due difficili e instabilifunghi lungo la cresta. La sezione piùdifficile nella fascia centrale lungo ilpilastro, un tratto verticale con ghiacciosottile e neve inconsistente, superatanella prima giornata di salita.Quattro nuove vie e due cime inviolatedi 5000 metri per la cordata slovenaTanja e Andrej Grmovˇsek nelsettembre-ottobre scorsi sempre nellaMiyar Valley. Posto il campo base aipiedi di Castle Peak, il 16 settembre2007 Tanja e Andrej hanno iniziato laloro acclimatazione aprendo Toro Ridge(V+, 300 m) alla cresta est di Toro Peak(4850 m ca.) Il 19 settembre eccoli inprima ascensione al Korklum Gou-Window Peak (5600 m ca.) con la viaShangrila Ridge (VII, R, 600 m).Trasferitisi al Tawa Glacier con l'intentodi salire Neverseen Tower, la cordataslovena è stata bloccata dalle fortinevicate e dalle condizioni impraticabilidelle pareti. Nell'attesa, il 29 settembrehanno aperto Trident Ridge (VII/VII+,500 m) con prima ascensioneall'inviolata Premsingh Peak (5200 mca.). Immutate le condizioni delle paretie considerati i pochi giorni ancora adisposizione, i coniugi Grmovˇsek hannocosì deciso di aprire la loro ultima viaLufoo Lam-Windy Way (VII+ e 350 m,1 ott. 2007) su una guglia rocciosanominata David's 62 Nose (4950 m ca)alla sud di Castle Peak.

NEPALDhaulagiri 8167 mCristina Castagna e Giampaolo

Casarotto hanno raggiunto la cima delDhaulagiri 8167 m il 29 aprile 2007 alle14 e 30 seguiti da Renzo Benedetti,senza aiuto di sherpa né ausiliod'ossigeno.

KIRGHIZISTANKahn Tengri 7010 mTien ShanProbabile prima italiana in giornata perLuca Vuerich al Kahn Tengri (7010 m) laseconda montagna più alta della catenadel Tien Shan. Partito alle nove di seradel 5 agosto 2007 dal campo base a4000 m, Vuerich ha raggiunto la cimadopo 15 ore e mezza seguito, qualchetempo dopo, dal compagno diascensione, lo sloveno Andrej Magajne,costretto a rinunciare a soli 50 metridalla cima per le pessime condizioni deltempo. Non sono stati effettuati depositilungo il percorso. La realizzazione èavvenuta in stile leggero. Tra salita ediscesa 22 ore, 3000 metri di dislivello.Dopo alcuni tentativi alla nord del PeakNansen (5697 m) con due bivacchi inparete a 4300 m, e al Peak Pobeda(7439 m), falliti per il mal tempo, i due si

sono trasferiti al Parco di Ala Archa (22-24 agosto 2007). Realizzato il PeakKorona 4800 m lungo la parete nord ecresta est (900 m TD) e Vuerich da solola cima Semionova 4970 m lungo lanord (500 m D+).

GROENLANDIAThumbnail Nuova via il 14 agosto 2007all'imponente guglia di Thumbnail, nelremoto fiordo di Torsuqassaq(Groenlandia del sud), per i polacchiDavid Kashlikowksy e Eliza Kubarksa.Golden lunacy si sviluppa per 2000metri ed è stata aperta in libera condifficoltà massima di 7a+ (questo tirolavorato) con il resto delle lunghezzerealizzate on-sight. L'avvicinamento èavvenuto tutto via mare, con baseall'isola di Pamialluk, a due chilometridalla parete.

Per le relazioni e la personalecollaborazione ringraziamo:Giampaolo Casarotto, Agostino Cittadini,Tanja e Andrej Grmovsek, AngeloRusconi, Luca Vuerich.

In alto:La parete nord di Rachu Tangmu 5930 m salita da Andrej Kolarik e Juraj Svingal.Foto©Mario Manica.

Qui sopra: L'Igor Brakk 5010 m (Pakistan) salita dalla spedizione AbruzzoKarakorum 2007. Foto©A.Cittadini.

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a cura di Roberto Mazzilis (C.A.A.I.) [email protected] di Tolmezzo via Terzo 19 - 33028 – UDCell. 3396662724

Punta di SantaMaria - m 2238 (Top. prop.)Dolomiti d’oltre Piave - Gruppo Spalti diToro e Monfalconi - Ramo di Vedorcia Il 28 luglio del 2005 Sergio Liessi ePaolo Pellarini hanno aperto una nuovavia sulla parete Ovest. Sviluppo m 220.Difficoltà dal III al IV con passaggi di V-.Tempo impiegato ore 2.30. Lasciati 6chiodi. Roccia buona.Dalla Forcella Santa Maria ci si portasullo spigolo sinistro, all’inizio delcanalone che separa la Punta SantaMaria dal resto della cresta omonima(m 2050, ometto).La via si sviluppa per 6 tiri di cordalungo placche, camini e diedri. Ladiscesa è stata effettuata dal versanteopposto attraverso macchie di mughi erocce detritiche puntando al canaloneche conduce alla Forcella di SantaMaria.

ALPI CENTRALICima di Valmoram 2198Prealpi BergamascheSulla parete Nord di questa montagnalombarda nel corso delle estati 2006 e2007, in più riprese, Alex Rinaldi,Daniele Tomasoni, Massimo Gerosa,Andrea e Roby Benassi, Ario Lazzarettihanno aperto e interamente attrezzatodal basso con chiodi e spit la via“Inseguendo una lumaca”. Non perbontà della roccia ma per lecaratteristiche della via, questo itinerarioè interessante per chi cerca difficoltàmedie e ambiente selvaggio. Dei 13 tiridi corda indicati nello schizzo (tutti piùlunghi di m 35) 11 presentano difficoltàdal III AL 6 a + prevalentemente suplacche e diedri dei quali uno giudicatoparticolarmente bello.

ALPI ORIENTALISass de Mura Alpi Feltrine - Gruppo del Cimonega Il 17 agosto del 2002 in ore 2 Lovat eAldo De Zordi sono saliti per lo SpalloneEst lungo una nuova via di m 250 condifficoltà dal III al V -. Avvicinamento dalPian del Re salendo verso il torrenteche scende dall’anfiteatro rocciososottostante la banca Est del Sass deMura, sulla sinistra della Punta del Re,nel punto più stretto del canalone.

Torre Arianna - (Top. prop.)Alpi Feltrine - Gruppo del Palughet -Sottogruppo delle Torri del GarofoloIl 28 agosto del 2006 Denis Maoret,Paolo Lovat e De Zordi Aldo hannocompiuto la prima ascensione lungo laparete Nord per una via di m 180 condifficoltà dal III al V. Tempo impiegatoore 2.

Punta CeredaAlpi Feltrine - Gruppo del PalughetIl 6 settembre del 2006 Emilio DallaCorte e Aldo De Zordi hanno aperto unanuova via sulla parete Nord - Est.Sviluppo m 715 con difficoltà dal II al V-. Tempo impiegato ore 5. L’attacco sitrova in prossimità del canalone, m 100oltre quello della via di E. Castiglione ed E. Corti.

Croda del Porton Alpi Feltrine - Gruppo Sass de Mura Sul versante ovest di questa bastionatadolomitica che ricorda vagamente comeaspetto le più famose Dolomiti di Brentasono stati aperte 3 nuove vie.Il 23 settembre del 2006 Aldo de Zordi,Denis Maoret ed Emilio Dalla Corte

hanno aperto una via nell’incavo postoa destra della parete giallastra. Sviluppom 200 con difficoltà dal III al V-.Il 30 settembre del 2006, sempre DeZordi e Maoret, ma in compagnia diPaolo Lovat, sono saliti lungo lospigolone che delimita sulla sinistra laparete. Sviluppo m 240 con difficoltàdal III a VI- superati in ore 2.30.Gli stessi, il 7 ottobre del 2006 lungouna via che porta a rasentare sulladestra gli strapiombi gialli. Sviluppo m240 con difficoltà dal III al VI- superatiin ore 2.40. Avvicinamento alla parete inore 1 dal Rif. B. Boz verso il Cadin diNeva, a pochi minuti dall’attacco dellevie.

Cresta delCastelatto - m 2340(Top. prop.)Dolomiti d’oltre Piave - Gruppo Spalti diToro e Monfalconi - Ramo delCastellatoLa Cresta del Castelatto si protendeverso la Val Cadin ed è racchiusa tra ilcanalone che digrada dalla Forcelladelle Corde e quello dalle ForcelleCadorin e San Lorenzo.Sulla parete Nord - Est il 2 luglio del2005 Sergio Liessi e Gabriele Paladinhanno aperto la via “Liessi - Paladin”.Roccia discreta, a tratti buona condifficoltà dal III al IV con un passaggiodi IV +. Tempo impiegato ore 3.30.Sviluppo m 340. Lasciati in parete 7chiodi. L’attacco, raggiungibile dal Rif.Padova, si trova alla base di un brevecamino. La direttrice della via è data daun profondo solco obliquo verso sinistrae che si esaurisce presso una grandecengia. La discesa è stata effettuata incorde doppie lungo la “Spalla delCentenario”, ovvero per il grandecolatoio tra la Cima del Castelatto e laCresta omonima.

Torre del Rifugiom 2250Dolomiti d’oltre Piave - Gruppo Spalti diToro e Monfalconi - Ramo diMonfalconi di Forni - Scala Grande.Il 20 luglio del 2005 S. Liessi e PaoloPellarini hanno aperto una nuova viasulla parete Ovest. Sviluppo m 310.Difficoltà dal II al III + con un passaggiodi IV-. Tempo impiegato ore 2. Lasciati4 chiodi e 2 cordini. Roccia buona.L’attacco della via si raggiunge dal Rif.Padova in ore 1.45 e si trovaall’estrema sinistra della parete pressouna grande cengia che solca tutto ilversante della Torre. La discesa è stataeffettuata verso Est fino ad unaforcelletta, poi per un breve camino edinfine a sinistra attraverso una macchiadi mughi. Da qui con una doppia di m25 verso la forcella della Scala.

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Il tracciato della via “Inseguendo una Lumaca”sulla parete Nord della Cima di Valmora.

Qui sopra: La Torre Arianna con iltracciato della via aperta da Maoret,Lovat e De Zordi sul versante Nord.

In alto: La parete Ovest della Crodadel Porton con i tracciati delle 3 vieaperte nel 2006 da De Zordi ecompagni.

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Punta Adam 2225 (Top. prop.)Dolomiti d’oltre Piave - Gruppo Spalti diToro - Ramo di ToroIl 10 giugno del 2005 S. Liessi e P.Pellarini sulla parete Sud hannorealizzato la “Via Diretta”. Sono 5lunghezze di corda per uno sviluppo dim 130 con difficoltà dal III al IV e unpassaggio di V-. Tempo impiegato ore 2.Lasciati 6 chiodi. Arrampicata su rocciadiscreta a tratti buona e articolata indiedri e camini. L’attacco si raggiungedal Rif. Padova e si trova nel canaloneche digrada dalla Forcella Balcon, soprauna cengia larga ed evidente (ometto).Discesa dallo stesso versante con 3corde doppie rispettivamente da m 20,25 e 40 che depositano sui ghiaionipresso la base della parete.

Sernio - m 2187Alpi Carniche - Gruppo del Sernio -GrauzariaIl 21 maggio del 2007 R. Mazzilis inarrampicata solitaria (ore 0.40) è salitolungo il pilastro centrale dell’incavodove sale la nota via Tessari. Sviluppocomplessivo dell’arrampicata m 450 /500 circa con difficoltà prevalenti di II eIII, tratti di IV, IV + e V, un passaggio diV + evitabile (ometti vari ). Rocciaottima ed appigliata ovunque, aereanella parte centrale del pilastro,caratterizzato da un marcato tetto sullasinistra della via.

Punta Innominata -(non quotata - denominazione proposta)Alpi Carniche - Cima della Grauzaria La complessa Cima della Grauzaria siallunga verso occidente con unospallone che a Nord ci affaccia, sulcanalone percorso dalla via normale,con una parete rocciosa alta e verticale,dall’aspetto attraente. Malgrado siabene in vista e sullo spigolo che ladelimita sulla destra si sviluppi una viaabbastanza nota e ripetuta la primaascensione assoluta è stata realizzata

solo il 28 giugno del 2007 da R.Mazzilis e Fabio Lenarduzzi in ore 5.Si tratta di una arrampicata difficile edesposta con alcuni tiri di corda moltobelli, ma sconsigliata a causa dellapericolosità della roccia a tratti moltofratturata e friabile, alternata da placchecompatte dove la chiodatura è difficile.La direttiva della via è data da unamarcata fessura obliqua verso sinistra eparallela al sottostante canalone fino alcentro parete. Qui la via sale sempredirettamente in parete aperta verso ladentellata cresta dello spigolo N. W.sulla quale spicca, delle 3 più evidenti,la Punta Innominata.Sviluppo fino alla Punta Innominata m360. Difficoltà IV, V, VI, passaggi di VII.Per l’assicurazione intermedia usati 10chiodi, 3 friend e 1 cordino, oltre almateriale per le soste.La base della parete, già visibile dal Rif.Grauzaria, è raggiungibile dallo stessorisalendo per circa ore 0.50 il sentierodella via normale. L’attacco è posto m20 a sinistra dello spigolo Nord - ovest(it. 171 c della Guida dei Monti D’Italia -Alpi Carniche Vol. 1).Dalla Punta Innominata è necessarioraggiungere la Cima della Grauzaria (ore0.30, I e II, indispensabile visibilitàbuona) dalla quale si scende per ilsentiero della via normale (ore 1.30 alRif. Grauzaria, passaggi di I e II).

Cima della Sfingem 1754Alpi Carniche - Gruppo del Sernio -GrauzariaLa via “Robys di Mazz” alla pareteNord - Est è stata aperta da R. Mazzilise Daniele Picilli il 14 giugno del 2007 inore 7 di arrampicata bellissima condifficoltà continue, su roccia dolomiticaottima, probabilmente la via più belladella parete e tra le più consigliabilidelle Alpi Carniche. Sono rimasti inluogo i chiodi più problematici dapiantare. Con il materiale usato daiprimi salitori (11 chiodi e 2 friend oltreal materiale per le 12 soste con tiriquasi tutti da m 55 / 60) offre unascalata completamente in libera di altolivello e di grande soddisfazione, quasiesente da pericoli obiettivi come lescariche di sassi e nella parte bassacon alcune possibilità di deviare sullavicina via Gilberti. Molto caratteristici gliaggiramenti dei grandi tetti (sempreverso sinistra) che si notano a metàparete, dove ci sono i passaggi chiave,su placche verticali compattissime edentusiasmanti. Sviluppo m 620 circa.Difficoltà di V, VI, tratti di VII e VII+. Peruna ripetizione risultano indispensabiliuna decina di chiodi vari e una serie difriend medio - piccoli. Si attacca unaquindicina di m a destra della via

Gilberti - Soravito, sulle rocce a gradonidello zoccolo posto nel punto più bassodella parete. (ore 0.20 dal Rif.Grauzaria). Dopo una fessura sbarratada uno strapiombo (chiodi di untentativo di ignoti) la via saledirettamente tutta la paretemantenendosi parallela alle vie “Fruz diCaselin” (posta sulla sinistra, vediRubrica Luglio - Agosto 2004) e“Celtik” (posta più a destra, vediRubrica Gennaio - Febbraio 2006) allecui note si rimanda per le indicazioni diavvicinamento e discesa.

Cima de Lis Codis- m 2380 Alpi Giulie - Gruppo dello Jôf FuartIl 14 luglio del 2007 R. Mazzilis eDaniele Picilli in ore 7.30 sulla vastaparete Sud, a destra della via Zanderigo- Di Gallo e a sinistra della Mazzilis -Picilli (via della “Fessura Obliqua”)hanno aperto una via molto interessanteper bellezza di arrampicata e logicità.Ad un primo tratto di strapiombi inalcuni punti friabili che costituiscono il“passaggio chiave” segue una serie diplacche e fessure a gradoni chepermettono il raggiungimento dellaCengia degli Dei. La metà superioredella via è di grande soddisfazione edeleganza, su roccia buona, a trattiottima ed aerea, molto appigliata eprevalentemente in fessura. Sviluppocomplessivo m 700 circa. Difficoltà di Ve VI, passaggi di VII- e uno di VII. Perl’assicurazione intermedia sono statiusati una decina di chiodi e qualchefriend medio - piccolo, oltre al materialeper le soste. Realizzati 13 tiri di cordamolti dei quali da m 55 / 60.Avvicinamento alla parete dalla ValSaisera in ore 2.30. L’attacco siindividua a circa m 40 più a destra diun marcato diedro / fessura giallo. Perulteriori note e via di discesa (i candidatialla scalata di questa parete devonorassegnarsi ad un ritorno a valle assailaborioso) si rimanda alla RubricaGennaio - Febbraio 2007.

Qui sopra: La parete Nord - Estdella Sfinge con il tracciato dellavia “Robys di Mazz” dal sentieroper il Rif. Grauzaria.In alto: La parete Nord della PuntaInnominata della Grauzaria con iltracciato della via Mazzilis -Lenarduzzi.

Daniele Picilli sulla via Robys diMazz alla parete Nord - Est dellaSfinge.Il versante meridionale della Cima

de Lis Codis con il tracciato dellavia Mazzilis - Picilli.

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ROCK MASTER DI ARCO.La 21ª edizione del Master piùprestigioso della storia dell’arrampicatasi svolgeva come ogni anno durante ilsecondo fine settimana di settembrenella cittadina dell’Alto Garda.L’organizzazione guidata da AngeloSeneci lavora parecchi mesi all’annoper il successo della grandiosamanifestazione che porta ad Arco imigliori arrampicatori del momento,richiamando qualche migliaio dispettatori appassionati e competenti.Sull’imponente struttura, alta unaventina di metri e strapiombantequindici, al centro del ClimbingStadium, si confrontavano 10 ragazzi e12 ragazze, sulle vie disegnate daLeonardo Di Marino e Donato Lella, dasei anni gli esperti tracciatori del RockMaster. La classica formula della provaa vista sommata alla prova lavorata intutti questi anni è rimasta invariata, maè sempre entusiasmante, e permetteagli atleti di esprimersi su una via didifficoltà estrema dopo unaricognizione di mezz’ora (situazioneimpossibile nelle normali Coppe delMondo, dove esistono solo itinerari avista, che non ammettono possibilitàd’errore di lettura). La prima giornataconfermava i pronostici, posizionandoin testa alla classifica della via “a vista”Flavio Crespi, l’atleta italiano di puntain forza nelle Fiamme Gialle, ex-aequocon lo spagnolo Puigblanque, vincitoredell’anno scorso; a una presa dal top sifermavano Mrazek e Lama, con tutti glialtri, compreso il nostro Luca Zardini“Canon”, alcuni metri più in basso. Trale ragazze l’austriaca Angela Eiter, conuna grande lotta, raggiungeva quasi lacatena, davanti a un’ottima EmilyHarrington, la fortissima americana chepartecipa solo saltuariamente allecompetizioni ma sale spesso sul podio;la nostra Jenny Lavarda non riusciva adare il meglio e finiva 11ª. Il giorno

seguente la prova lavorata nonsegnava la tanto attesa prima vittoria diun italiano al Rock Master, FlavioCrespi con un’emozionanteperformance sfiorava solo il top,mentre Puigblanque riusciva a tenerlo.Uno splendido secondo posto per Flavioquindi, dopo quello di Christian Brennanel 1997 e quello di Luisa Iovane nel1987. In terza e quarta posizione sipiazzavano rispettivamente TomasMrazek e David Lama. Dopo un decisorecupero si piazzava ancora 7° ungrande Luca Zardini, a 35 anni in unaconcorrenza di poco più che ventenni: ilcortinese si è mantenuto ai massimilivelli per il suo dodicesimo RockMaster. Nella categoria femminile laslovena Maja Vidmar raggiungeva ilpunto più alto della via lavorata, manon le bastava a compensare laprestazione un pò appannata nellaprova a vista e doveva accontentarsidel secondo posto dietro alla Eiter,terza si classificava Anda Irati,

emergente forza spagnola, davanti allagiovane slovena Mina Markovic. Conun’ottima prestazione nella via lavorataJenny Lavarda risaliva in 9ª posizione.Gli otto migliori atleti della classifica sifronteggiavano poi testa a testanell’appassionante Duello, peraggiudicarsi il trofeo Ennio Lattisi. Unaprova di difficoltà-velocità, in cui AndaIrati prevaleva su Angela Eiter, mentreTomas Mrazek batteva David Lama. Aben altre velocità si muovevano glispecialisti dello sprint nel tradizionaleParallelo del sabato notte. Attualmentesi cerca di standardizzare i percorsi perla velocità, in modo da poterconfrontare i tempi realizzati nelle variecompetizioni e le vie sulla parete delRock Master fanno parte di quelle“omologate”. Si cercava quindi anchedi raggiungere un record assoluto,performance che riusciva in uno deiturni preliminari al polacco Oleksy, con

poco più di 10 secondi per unaquindicina di metri di salita. La vittoriafinale andava invece al russoVaytsekhovsky. Nei due intensissimigiorni di gare non c’erano tempi morti,e si passava senza pause da unaspecialità all’altra: durante il Sint RocBoulder Contest si esibivano 15 atletitra i migliori delle classificheinternazionali, su spettacolari problemitracciati da Jacky Godoffe e AlbertoGnerro. I concorrenti affrontavano ogniblocco uno dopo l’altro, conl’eliminazione di quelli che avevanoottenuto il peggior risultato. Alla finerimanevano in gioco l’inglese GarethParry, che superava il finlandese NalleHukkataival e il nostro ottimo GabrieleMoroni; quarto Lucas Preti, l’altroitaliano partecipante. Tra le ragazzestraordinaria supremazia dell’austriacaAnna Stöhr, che risolveva tutti ipassaggi al primo tentativo, seconda larussa Yulia Abramchuk e terza l’attuale

campionessa del mondo in carica OlgaShalagina; sesta Roberta Longo, l’unicaitaliana presente. Nell’ambito del RockMaster si svolgeva anche la secondaedizione di “Arco Rock Legends”, conl’assegnazione di due premi da parte diuna giuria presieduta da Fabrizio Miori,Assessore del Comune di Arco, ecomposta dai rappresentanti di unaquindicina di riviste specializzate. IlSalewa Rock Award andava a PatxiUsobiaga, il ventisettenne basco che siè particolarmente distinto nell’attivitàsulla roccia nel 2006 (e che non ècerto da meno in competizione,essendo vincitore della Coppa delMondo Lead 2006). Si aggiudicava LaSportiva Competition Award ildiciassettenne David Lama, CampioneEuropeo Boulder e Lead, per i successiottenuti nella sua prima stagioneagonistica senior nel 2006.

COPPA ITALIA FASIBOULDER A CAMPITELLO DI FASSA.L’ultimo della serie dei tradizionaliappuntamenti estivi organizzati dalFassa Climbing, sotto la direzione diRoberto Bonello, era la terza prova delcircuito nazionale per una trentina dispecialisti del bouldering. I problemierano tracciati sulle strutture fisse allabase della grande parete del CentroIschia, molto alti rispetto alla media dei

Luisa Iovanee HeinzMariacher

Flaminia Capezzuoli vince a Campi-tello di Fassa, foto Jacopo Muzio.

Flavio Crespi, secondo al RockMaster di Arco, foto Daniele Crespi.

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soliti blocchi e ben riparati dalleintemperie. In testa alla semifinalemaschile il roveretano Stefano Ghidini eAlberto Milani, che superavano tre deiquattro boulder di qualificazione alprimo tentativo. In finale StefanoGhidini (Olympic Rock) restava davanti,risolvendo tre boulder al primo tentativoe superando così Lucas Preti (RocPalace Brescia); terzo AlessandroGandolfo (Pro Recco), savonesed’origine e trasferitosi da un paiod’anni ad Arco. Tra le ragazze una raraapparizione nel circuito nazionale diJenny Lavarda, da poco entrata nelGruppo Sportivo della Forestale, cheguidava la semifinale con quattroboulder, davanti a Elena Chiappa eRoberta Longo con tre. In finale peròcinque ragazze riuscivano a superaredue boulder ed era Flaminia Capezzuoli(Zetaclimb Roma) che si aggiudicava lavittoria per i minori tentativi sulle zone.La simpatica romana abita ad Arco epartecipa con poca continuità, masempre con ottimi risultati, allecompetizioni di bouldering. JennyLavarda finiva seconda ed ElenaChiappa (Sportica Pinerolo) terza. Comeera avvenuto per la difficoltà, il giornoseguente, ai piedi della struttura, sisvolgeva l’Open Nazionale di Boulder.Una fatica immane ma con ottimirisultati, per il tracciatore Mario Prinothdi Campitello, che per il fine settimanaagonistico riusciva a creare un totale di27 problemi, tutti interessanti espettacolari. In campo maschile vincevaPaolo Leoncini (B-Side TO), cherisolveva tutti e sei i boulder proposti,secondo Francesco Spadea (B-Side TO)e terzo Andrea Dacasto (CUS Bologna),entrambi con cinque. Tra le ragazze, inun campo alquanto sguarnito, IreneBariani (B-Side TO) superava con duetop Luisa Iovane (CUS Bologna), conuno; doveva accontentarsi del terzoposto una sfortunata Sara Bacer(Olympic Rock TS) che sfiorava solo piùvolte la presa finale senza tenerla.

COPPA ITALIA FASIBOULDER A BERGAMO.La quarta prova e finale del circuito sisvolgeva nell’ambito della Fiera AltaQuota, un’ottima manifestazioneorganizzata dalla squadra del Koren,guidata da Davide Rottigni, fortedell’esperienza pluriennale maturata aGandino. Sulle strutture costruitedall’UTP i tracciatori Loris Manzana edEnrico Baistrocchi disegnavanofantasiosi problemi su cui siconfrontavano una quarantina diconcorrenti, davanti al numerosissimopubblico dei visitatori della Fiera. In

campo femminile guidavano laqualificazione Roberta Longo, di Fieradi Primiero, e la triestina CassandraZampar, che risolvevano i quattroproblemi al primo colpo, mentre tra iragazzi era Gabriele Moroni acomandare la classifica, unico aconcludere i quattro blocchi a vista. Infinale Roberta Longo, campionessaitaliana in carica, si riconfermava la piùforte, con quattro top, davanti a ElenaChiappa e Cassandra Zampar (OlympicRock TS) con tre. Anche tra i maschiMoroni restava il numero uno, conquattro boulder, davanti agli ex-aequoStefano Ghidini e Michele Caminati(Rock On Parma), con tre. La classificagenerale della Coppa Italia Boulderrisultava quindi: Roberta Longo(Olympic Rock), Claudia Battaglia (B-Side TO), Elena Chiappa (La SporticaPinerolo) e rispettivamente: GabrieleMoroni (B-Side TO), Stefano Ghidini(Olympic Rock), Lucas Preti (RockPalace Brescia). Il totale deipartecipanti al circuito, limitato dallenuove regole d’ammissione diquest’anno, era di 15 femmine e 40maschi.

COPPA ITALIA FASI LEAD A CASALE MONFERRATO.La quarta prova di Coppa si svolgeva aCasale Monferrato (Alessandria), unicatappa del circuito al di fuori delle TreVenezie, organizzata da DonatoGamarino del Comitato Regionale FASiPiemonte, con la collaborazione dellaSezione locale del CAI. Sulla strutturafissa all’interno del Palazzetto delloSport i tracciatori Alberto Gnerro eLeonardo Di Marino si impegnavano almassimo per creare vie brevi eselettive per le 12 ragazze e i 21ragazzi. In campo femminile AngelikaRainer (AVS Merano) si imponeva giàall’inizio sulla concorrenza, unica araggiungere la catena dellaqualificazione. In una via di finale piùabbordabile erano poi in quattroragazze a toccare il top, e la vittoriaandava quindi alla ventunennealtoatesina per il risultato del turnoprecedente, seconda e terza finivanorispettivamente Manuela Valsecchi(Team Gamma Lecco) e CassandraZampar. Tra i maschi era Luca Zardini“Canon” l’unico a far catena insemifinale, davanti a Manuel Coretti. Ilveterano “Canon” raggiungeva il puntopiù alto anche in finale, aggiudicandosila terza vittoria di quest’anno in CoppaItalia, davanti al diciottenne ValdoChilese (Olympic Rock Trieste) e alventenne Alessandro Fiori (Caprioli SanVito di Cadore).

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divertimento. Diciamo checon una scelta intelligente eappropriata delle mete edella neve è possibile anche“a una certa età” praticare,grazie allo sci, un alpinismosoddisfacente e rimunerativo,regalarsi avventura edemozioni, disciplinare sulpiano fisico e psicologicoquel declino graduale einarrestabile cui siamo tuttisottoposti. È importantesaperlo guardare in faccia,questo declino, accettarlocome esperienza nuova e nonnecessariamente negativa,modulare i propriatteggiamenti con quellasagacia e misura che tantianni vissuti in montagnaavrebbero dovuto insegnarci.

Mauro Manfredi(Sezione di Cuneo)

Ho letto sul fascicolo3/2007 della Rivista Mensileun articolo assai confortantedi Silvia Metzeltin in cui,partendo dalla constatazioneche l'alpinismo puòcontinuare a essere praticatoanche in età più che matura,viene per così dire spezzatauna lancia in favoredell'arrampicata su rocciaanche per gli adepti dellacosiddetta terza età. A miavolta, visto che le ragionianagrafiche ampiamente miautorizzano, vorrei farlo aproposito di un'altradisciplina, quella delloscialpinismo, disciplina chemi ha dato e continua a darmigrandi soddisfazioni sul pianoetico, estetico e sportivo.Credo si possa essere tutticoncordi sulle caratteristicheintrinsecamente positive diquest'attività, un'attività che,per l'ambiente in cui sisvolge, l'impegno fisico epsichico che richiede e lanecessità di una forteautodisciplina, può a buondiritto venire consideratacompleta ed esaustiva. Loscialpinismo, almeno come loconsidero io, ha il merito dianteporre il primato delpensiero e della fantasia algesto prevalentementetecnico, cosa che con ilpassare degli anni puòcompensare l'inevitabileridimensionamento delle

prestazioni più spiccatamentesportive. Questo per dire che,a condizione di possedere unastruttura psicofisicaefficiente, è possibile anchein età matura inventarsiitinerari alla propria portata enon necessariamenteinsoddisfacenti. Se poiconsideriamo che, almenosino ad ora, è stato possibileestendere la pratica delloscialpinismo ben oltre itradizionali limiti stagionali(per capirci, dai primi diottobre a tutto giugno eoltre), l'elogio che vadofacendo non può essereconsiderato del tuttoperegrino.Sarò forse condizionato dallamia appartenenza a un'areaalpina, quella del bassoPiemonte, dove la presenzadella neve gioca da sempreun ruolo determinante nelconferire a montagnerelativamente modeste aspettie suggestioni in qualchemisura comparabili a quellidelle più prestigiose regioniglaciali. Mi farà forse velouna sorta di campanilismo,ma è un fatto che su questemontagne (parlo delleMarittime e Coziemeridionali) la neve è capacedi trasformare i colatoi disfasciumi in canalonivertiginosi, orlare le crestepiù bonarie di scintillantifestoni, far meglio risaltare lo

slancio di torri e di cuspidi.Aggiungo che, come hopotuto in tanti annisperimentare di persona, lafrequentazione assidua diqueste montagne con gli sci,proprio in virtù della loroselvatichezza e dell'impegnorichiesto, costituisce ilmiglior biglietto da visita peraffrontare a viso aperto gliambienti alpini più gettonati.In una corretta valutazionedei meriti dello scialpinismocome disciplinaparticolarmente idonea allepersone anziane va pureconsiderato il vantaggioindubbio rappresentato dalritorno a valle con gli sci neipiedi, cosa che riduce dimolto la fatica e, nel casonon infrequente di condizionifavorevoli, la trasforma in

di Mauro Manfredi

Scialpinismo

e terza età

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Trovo straordinarie alcunecose. Per esempio chel’attuale prsidente del ClubAlpino Italiano, AnnibaleSalsa, si dilunghi concompetenza e ammirazionesulla figura di Guido Rossa,citando scritti scomodi erimossi come I falliti di GianPiero Motti. Poi che unasezione del Cai organizzi bendue serate su un alpinistaucciso dalle Brigate Rosse,non per raccontarne le gestadi arrampicatore ma percapire la sua storia di uomo,quando ai tempidell’omicidio nessuno delmondo alpinistico si alzò adire una parola, come asottintendere «non sono coseper noi, noialtri ci occupiamodi montagna, mica dipolitica». Infine trovoconfortante che, forse anchegrazie alla mia inchiestagiornalistica, oggi si riparli diRossa a vari livelli, concontributi non sempre diqualità, ma senza i pregiudizie le censure di venti e piùanni fa. Ha ragione SabinaRossa a dire che suo padre,probabilmente, custodivasegreti più grandi di lui, ma ilvero segreto che lo rendevascomodo a tutti (compagni dimontagna, di fabbrica, dipartito) era la sua fedeltà aun’idea dell’uomo che sapevaguardare oltre le cime, leideologie e le parrocchie diogni tipo. Rossa avevaun’opinione più grandedell’uomo, di ogni uomo, eper questo non era “gestibile”

da nessun potere, riformista orivoluzionario che fosse. Perquesto è giunto alla sceltaestrema, restando solo nelpreciso momento in cui si è“dissociato” dalle regole delgruppo. Di ogni gruppo.Ma Sabina ha anche ragione aricordare che suo padre è statoalpinista fino all’ultimo,perché un uomo dalle grandipassioni non vi rinuncia pernessun motivo. Sarebbe tristese la sua “conversione” fosseavvenuta rinnegando ilpassato e transitando da unapproccio “fisico”all’esistenza, quellodell’alpinista, a un ruolo diintellettuale che giudica e nonsi espone, se non con ilpensiero. Al contrario Rossa siè sempre sporcato le mani, infabbrica come in montagna, equesto lo rende attualissimo escomodo ancora oggi, perchésono pochi - sia in politica chealtrove - quelli che sannoprendersi le responsabilità diuna scelta, di un progetto, diuna vita. Il radicalismo diGuido, certamente sorretto dauna fede laica e dalla ricercadi un assoluto, è quanto di piùimpopolare si possa proporre,oggi, alle nostre deboli fedi,alle meschine navigazioni avista, ai progetti che nonsanno spingersi oltre la ricercadi un riconoscimentoimmediato e fugace. Guido Rossa condivideva lesperanze del comunismo enon stava certo dalla parte delpotere, di nessun potere, maera un uomo di dialogo e in

quanto tale, nonostante lanatura sanguigna, rifiutava ilradicalismo e le fugheideologiche. Con gli anniaveva imparato a credere chetutti possono cambiare,persino un alpinista duro epuro, e questa convinzione,più ancora dell’opposizioneal terrorismo, prima ancoradello sdegno di fronte alsangue degli inermi, locontrapponevairrimediabilmente alle BrigateRosse. Lui aveva unasperanza, loro no.Il cambiamento è la cifradella vita di Rossa, la suaeredità spirituale. A noi restail suo esempio quanto maiattuale, oggi e per sempre,anche se nulla è cosìinattuato, tradito, deluso.Credere nel cambiamentorichiede che si cambi noistessi, prima di tutto,altrimenti è solo un eserciziodi pensiero. Lui aveva saputorinnovarsi molto dai primispavaldi, e velatamentesuperomistici, approcci allaparete, avvicinandosi alleesigenze della gente,imparando a capirla, uscendoletteralmente dal bozzolo delproprio narcisismo.Per questo era a suo modo unmaestro, perché potevacertificare con la propria vitaquello che pensava, diceva erealizzava. Quanti di noipossono fare altrettanto?

Enrico Camanni

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l’Alpinista che scese fra gli Uomini

Guido Rossa“L’indifferenza, il qualunquismo el’ambizione che dominanonell’ambiente alpinistico in genere[…] sono tra le squallide cose chemi lasciano scendere senzarimpianto la famosa ‘lizza’ della miastagione alpina”….. (Guido Rossa, lettera a O.Bastrenta 1970)

Quella lettera d’accusa,meravigliosa e terribile,doveva avere una risposta.Era stato un gesto forte, madi straordinaria speranza peril futuro degli alpinisti e degliuomini. Quel grido però parevasvanito fra gli uomini dellamontagna anche dopo lostorico articolo di EnricoCamanni (Alp 84, 1992) cheper primo riconduceva le duevite di Guido Rossa ad una,sola e straordinaria,avventura umana. Allora perché non capiremeglio quell’accusa e lastoria di un uomo che èd’esempio per tutti noi checerchiamo nella montagnanon solo il gesto atletico, mai valori della vita?Perché non cercare rispostechiedendo a chi più di ognialtro può indicare una stradacredibile? Ascoltare Camanni, ricordarecon Rabbi, ma soprattutto farincontrare Annibale Salsa eSabina Rossa, che non sierano mai incontrati, mipareva una buona occasioneper avere delle risposte.

Maurizio Pinciroli(Presidente Cai Legnano)

Legnano 18 Ottobre 2007 Le due serate, organizzate dal CAI Legnano,sulla figura di Guido Rossa con Enrico Camanni e con Sabina Rossa, Annibale Salsa e Corradino Rabbi.

di Enrico Camanni

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La montagna, si sa, è unmondo complesso per naturae per cultura. Proprio allaluce di tale complessità essaviene invocata in momenti econtesti diversi quale custodedi principi, valori, regole dicomportamento, epifanie delsacro, imperativi pedagogicio apologetiche edificanti. Ilsuo ruolo di produttore disenso viene spessorappresentato in terminiassoluti, separati da qualsiasilegame con le forme storichedel vivere sociale o, talvoltasurrettiziamente, sottintesocome ovvio ed implicito.L’uso strumentale edenfatizzato del “significatomontagna” ha attraversato,soprattutto con l’invenzionedell’alpinismo, almeno duesecoli di storia europea. Losforzo intellettuale direlativizzarne i contenuti èstato spesso rubricatosbrigativamente fra ledeviazioni proprie dell’eresiae della profanazione.L’alpinismo pertanto, adifferenza di altre praticheturistico-sportive, non è maistato riconosciuto neutrale(ammesso che nelle praticheumane si possa parlare dineutralità). Per decenni non siè mai applicato all’alpinismoquell’impegno teoretico cheHeidegger definirebbe di“oltrepassamento dellametafisica”, perché dimetafisica si tratta.L’alpinismo, nelle differentivulgate, rimandarispettivamente allametafisica della vetta la

quale, a sua volta, divienemetafora della purezza, dellaincontaminatezza a due livelli- fisico e spirituale - , dellasublimazione delle passioninonostante la lotta checomporta (lotta con l’alpe).Innalzarsi in quota significaallontanarsi dalla quotidianitàlacerante e frustrante delmondo dei mortali; significapraticare una catarsi edun’ascesi escatologica chepassa attraverso l’ascensionemateriale; significa realizzarel’aspirazione edenicadell’uomo che la gravità dellamateria (la contaminazione)fa precipitare in basso. L’usoretorico della praticaalpinistica, derivato da quellodi montagna e riassunto nellacoppia di contrari“salute”/”salvezza” (ancoraun doppio livello di lettura),ha fecondato generazioni egenerazioni di alpinisti.Andare in montagna inrisposta ad un bisogno difuga dalla realtà in nome diun “principio di piacere”deresponsabilizzante(secondo un’acclaratainterpretazione psicoanalitica)è stato ed è ancora il leitmotiv di una certa dimensioneinconscia di non pochialpinisti. Che si tratti dieroismo solitario o di giocodi squadra, la ricerca diforme di autocompiacimentonarcisistico o elitario è spessopresente. Si dice, è vero, chevi sono tanti alpinismi quantisono gli alpinisti nel sensoche non si può codificare inun’unica ideologia la varietà

delle motivazioni del salire lemontagne. Ma, salvo pocheeccezioni, la logicasottostante a molti ambientialpinistici è una logica adescludendum, sia verso altrialpinisti ed amanti dellamontagna, sia verso unacontestualizzazione dellepratiche alpinistiche nellesituazioni ambientali naturalie socioculturali. La lezionemagistrale di Massimo Milasull’alpinismo come cultura ecome forma di conoscenzadella crosta terrestre, sia insenso soggettivo cheoggettivo, rappresenta ancora- secondo me - un paradigmainterpretativo capace disuperare sia le visioni neo-romantiche ed eroiche deglianni venti e trenta che quelletecnicistiche di oggi, attentepiù alle performance atleticheche orientate verso l’esterno(l’alterità delle persone el’altrove dei luoghi).L’esperienza umana edalpinistica di Guido Rossapuò, quindi, essere megliocompresa alla luce di taliconsiderazioni. La fratturaetica ed esistenziale che si èvenuta a produrre in unmomento significativo dellasua vita alza il coperchio suquel “vaso di Pandora” chetaluni ambienti alpinisticihanno rappresentato. Lalettera all’amico OttavioBastrenta, nella sua parteiniziale, fa riflettere sullecontraddizioni dell’alpinismoche Rossa, da grandescalatore e grande cittadino,evidenzia con la franchezza

ed il coraggio della suavocazione civile e morale.Non è, infatti, la passionescalatoria che lo abbandonaessendo quest’ultimasaldamente radicata nel suovissuto di figlio dellamontagna bellunese. Sono gliuomini che, nel nome dellamontagna e dell’alpinismo, siavvitano in polemiche eforme di litigiosità destinate acreare il vuoto intorno allapropria sacrosanta passione,spesso vissuta come evasionedall’impegno civile e comerinforzo identitario dellapropria personalità depressa.Indifferenza, qualunquismoed ambizione costituisconovizi capitali che Guido Rossadenuncia come ricorrenti nelmondo dell’associazionismoalpinistico. Sono l’antitesi diquello spirito solidaristico edamicale che dovrebbealbergare in un sodalizio diamici della montagna,immune dalla formedegenerative dellacompetizione e dellegerarchizzazioni corporative.La letteratura alpinistica hagià trattato di “conquistatoridell’inutile” (Lionel Terray),di “falliti” (Gian PieroMotti). Guido Rossa, nelladelusione più profonda,decide allora di abbandonarequel mondo irreale separatodal mondo reale,percependovi uno iatoincolmabile fra alpinismo esocietà.Ma - domandiamoci - è uncarattere immanenteall’alpinismo la fuga dal

Alpinismoe societàRiflessioni su Guido Rossa

di Annibale Salsa

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mondo? È propriodell’associazionismo ad essocorrelato il disinteresse versola società? La risposta nonpuò che essere negativa.L’alpinismo, nell’accezionepiù ampia e quindi non soloarrampicatoria, è unamodalità esaltante e nobile direlazione con la natura e conla società. La sua pratica cimette in rapporto con gliambienti naturali e socialiprima come uomini, curiosidi sapere e conoscere, checome scalatori ecamminatori. Far conoscerele montagne (come era scrittoall’art. 1 del primo Statutodel Club alpino italiano del1863) è un compito educativoentusiasmante che nonriguarda la sola sferaindividuale ma impegnaverso gli altri a cui lemontagne devono essere“fatte conoscere” attraversouna frequentazioneconsapevole, sicura ed apertaal mondo. Diceva Mila chenell’alpinismo si attua lamassima del filosofo GiovanBattista Vico sintetizzabilenell’espressione “Verumipsum factum”, ossia dellaconoscenza attraverso il fare.Ma la conoscenza a cui aprel’alpinismo non può esseresoltanto una conoscenzatecnica (necessaria epropedeutica), ma unaconoscenza della natura edella società in cui lemontagne si trovanocollocate. È questa lafondamentale ed irriducibiledifferenza fra l’alpinismo e leattività sportive: la tecnicacome mezzo e non comefine! Credo che Guido Rossa,se fosse ancora fra noi,sottoscriverebbe questaproposizione e troverebbeuna ragione valida perricucire la dolorosa fratturatra alpinismo e impegno eticoe sociale.

Annibale Salsa

Guido Rossa,mio padre

di Sabina Rossa

È mia convinzione che, piùche mai in questi tempi, sianecessario evitare ogni formadi banalizzazione e disuperficialità e non solo inpolitica.Ritengo quindi di calibrare ilmio intervento in un ambitodi citazione poco più chebiografica che ha come unicoriferimento mio padre GuidoRossa, operaio, sindacalistacomunista nonché grandeappassionato della montagna,alpinista.Dalla sua storia alpinistica,dal suo particolare rapportocon la montagna, ne esce unospaccato che credo possaessere un contributosignificativo a questodibattito.La passione per l’alpinismo èstata una parte importantedella vita di mio padre e nerappresenta pur se pococonosciuta, una chiave dilettura.Per capire mio padre, il suocarattere, la sua personalità ein definitiva anche le suescelte, non si può prescinderedalla sua passione per lamontagna.Ricordo che dopo il suo

assassinio la stampa lodescrisse come un operaioche… fra le altre cose ladomenica amava farescampagnate sui monti.Allo stesso tempo molti deisuoi compagni di cordata sistupirono non poco a sentiredell’impegno politico cheaveva intrapreso e assorbitoquasi completamente da miopadre.Una personalità poliedrica,curiosa del sapere e del fare,in possesso di una fortecarica creativa che esprimevacon dignitosi risultati nellafotografica, nella pittura,nella scultura.Ma come dicevo la sua veragrande passione eral’alpinismo, e ogni qual voltagli era possibile, il finesettimana prendeva il saccoda montagna e partiva con isuoi amici, con i compagni diarrampicata.Fece le prime scalate di uncerto rilievo tecnico, quandoera ancora adolescente.A 17 anni aveva già al suoattivo salite come le due viedi Emilio Comici diLavaredo, la nord della cimaGrande e lo Spigolo Giallo

che scalò con GiacomoMenegatti.Da bambina fu mio nonno araccontarmi delle sue fughe,quando, ragazzino, si calavadal balcone di casa con unafune da arrampicata,inforcava la bicicletta e, conil sacco sulle spalle,raggiungeva le Alpi.A 14 anni lavorava infabbrica e si costruì da solochiodi da roccia e martellispeciali di sua invenzione.Era un autodidatta, a suoimodo. E di indole ribelle,tanto che nel colloquio finaledi un corso di alpinismo,davanti a Cassin in veste diesaminatore, disse senza pelisulla lingua: “A me dellescuole non me ne freganiente”. Naturalmente fubocciato.Ciò nonostante è statodefinito un alpinista (e unarrampicatore) di classesuperiore, un talento naturale,ma soprattutto un caposcuolache portò avanti un’attività diavanguardia.Enrico Camanni, cheringrazio, per il contributostorico che ha condotto sullavita di mio padre, in un

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A fronte: 18 ottobre 2007,Legnano; da sinistra: Rabbi,Rossa, Salsa, Pinciroli.

Qui accanto: Guido Rossa conla figlia Sabina, novembre1963 (f. archivio S. Rossa).

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articolo su Alp lo descrissecome uno dei più fortialpinisti torinesi deldopoguerra.Vorrei tornare tuttavia su unmomento molto importantedella sua vita alpinistica.Nel 1963 con la spedizionedel CAI UGET di Torinovisse l’esperienza e direi leangosce della grandeavventura extraeuropea.Dal Langtang Lirung,nell’Himalaya del Nepal,Giorgio Rossi e CesareVolante non fecero mairitorno.

Ebbene, la mia impressionepersonale non è stata comevoi potreste pensare distupore e di ammirazione perl’enorme estensione dellevette glaciali, per le pareti ditremila metri; anzi come tuttele cose a lungo sognate,l’aspetto alpinistico è stato dileggera delusione.La cosa invece che mi hafatto più impressione è statapurtroppo la grande famedell’Asia. L’aspetto umano diquesta grande tragedia, tuttequelle migliaia di esseriumani, di bambini che

nascono e muoiono di famesui marciapiedi delle grandicittà indiane, quella miseriache non abbiamo neancheavuto il coraggio didocumentare, ma che in tuttinoi ha suscitato il grandedesiderio di fare qualcosa peralleviarla.Di conseguenza vogliatescusarmi, questa sera, se laparte alpinistica è stata un po’sacrificata in favore di questoaspetto. Le spedizioni devonoessere fatte più che persoddisfare le nostreaspirazioni di conquista evanità, per vaccinare tutti ibambini di quelle terre senzadifesa”.È evidente che per mio padrel’alpinismo fu una grande

Quelle morti lo segnaronoprofondamente; forse ful’inizio di una revisionecritica sul modo di intenderee di vivere l’alpinismo.Ho recuperato il testo deldiscorso che tenne subitoprima della proiezione dellefotografie scattate inquell’occasione, ne citoalcuni passi:“Prima di iniziare laproiezione delle diapositivedella nostra sfortunataspedizione, vorrei risponderebrevemente ad una domandarivoltami al mio ritorno damolti amici e cioè quale sial’impressione più grande chesi può ricavare da unaspedizione nelle montagnepiù alte della Terra.

scuola di vita, la montagnagli forgiò il carattere, nemodellò i valori, ma èaltrettanto evidente che miopadre da tempo non amassepiù quell’ambiente, o per lomeno non ne amasse e tantomeno ne condividesse lecosiddette spinte ideali.C’è un passaggio nel libro “I falliti” di Gian Piero Mottiche credo significativo:«Incontrerò una serad’inverno Guido Rossa, ilquale fissandomi con queisuoi occhi che ti scavanodentro e ti bruciano l’anima,con quella sua voce calma eposata mi dirà delle cose cheavranno un valore definitivo.Mi dirà che l’errore piùgrande è quello di vederenella vita solo l’alpinismo,che bisogna invece nutrirealtri interessi, molto piùnobili e positivi, utili nonsolo a noi stessi ma ancheagli altri uomini.Andare in montagna perchéno, ma per divertirsi, percercare l’avventura e perstare in allegria insieme agliamici, io lo so e l’ho sempresaputo, ma dovevo sentirmelodire da un uomo che mi hasempre affascinato…».In queste righe credo chebene si sintetizzi il pensierodi mio padre, la sua crescenteconflittualità verso un mondoche tanto gli apparteneva mada cui si sentiva sempre piùlontano.Vi leggo alcune righe di unalunga lettera scritta a unamico alpinista all’iniziodegli anni Settanta:«L’indifferenza, ilqualunquismo e l’ambizioneche dominano nell’ambientealpinistico in genere masoprattutto in quellogenovese, sono tra le coseche mi lasciano scenderesenza rimpianto la famosa“lizza” della mia stagionealpina.Da ormai parecchi anni, miritrovo sempre più spesso a

predicare agli amici che misono vicino, l’assolutanecessità di trovare un validointeresse nell’esistenza, uninteresse che si contrappongaa quello quasi inutile, e nonnascondiamolo, forse anche anoi stessi, dell’andar suisassi, che ci liberi dal vizio diquella droga che da troppianni ci fa sognare e crederesemidei o superuomini chiusinel nostro solidale egoismo,unici abitanti di un pianetasenza problemi sociali, fattodi lisce e sterili pareti sullaquali possiamo misurare ilnostro orgoglio virile, ilnostro coraggio e dove per unattimo o per sempre possiamodimenticare di essere gliabitanti di un mondo colmodi soprusi e di ingiustizie(…)».Sembra, in questa lettera,definirsi l’addio, la discesadefinitiva, per lui la fine diuna stagione e l’annuncio diuna nuova vita.L’impegno sindacale,l’impegno politico sarannoper lui un crescendo, nedetermineranno l’esistenza edrammaticamente la morte…Per molti anni, forse per unasorta di autodifesa ho cercatodi rimuovere tutto ciò che eracollegato alla sua morte.Solo dopo molto ho iniziato afarmi delle domande, acercare delle risposte.L’ho reincontrato attraverso isuoi scritti, i racconti degliamici, i tanti articoli digiornale che raccontavano dilui.È in questo modo che io hoconosciuto veramente miopadre, diversamente non miera stato concesso.Una volta sopiti l’odio e ilrancore mi è cresciuta dentro,forte, la voglia di capire ilperché di quella morte, eancor più la necessità direcuperare un confronto conchi ne era stato l’artefice.Ci sono “leggi non scritte”per le quali esiste sempre un

Guido Rossa in Val Veni (f. archivio S. Rossa).

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rapporto diretto tra iprotagonisti di un conflitto;quel confronto a mio padre funegato.In “Guido Rossa mio padre”il libro che ho scritto insiemea Giovanni Fasanella (1) c’èil tentativo, spero riuscito, diraccontare un viaggio.Un viaggio, che con la storiadi mio padre, percorre unodei momenti più bui dellanostra storia.Un periodo che ha avutodinamiche a tutt’oggi oscureche hanno interessatoambienti della cultura, dellapolitica, del potereeconomico, degli apparatidello stato, dei servizi segretidi mezza Europa e non solo.Quando la mattina del 24gennaio 1979, io allorasedicenne, uscii di casa e miincamminai per andare a

scuola, non mi accorsi dipassare accantoall’automobile di mio padreancora parcheggiata sottocasa nonostante fosse giàuscito all’alba per recarsi allavoro.Mio padre aveva avuto ilcoraggio di fare quel chenessun altro aveva sin lì fatto,aveva cioè denunciato lapresenza e l’azionepropagandistica di unbrigatista all’interno dellafabbrica in cui egli stessolavorava.Per questo giaceva accasciatoal posto di guida della propriaautovettura, colpito dallepallottole di un commandobrigatista che ne avevaferocemente decretato lasentenza di morte.In questo mio percorso hovoluto e ottenuto di

incontrare proprio queibrigatisti carnefici di miopadre e rivolto loro domandeper capire, per tentare di dareun “senso” a quella tragedia,forte della dignità intrinsecaalla mia condizione divittima.Credo sia salutare per ungiovane che eventualmentepossa provare nuove simpatieper velleitarismirivoluzionari, leggere esentire il suono assurdo etragico delle parole di vecchiex brigatisti, la cui biografiadice oggi, ben nettamente ilnon senso delle scelteviolente che allora furonocompiute.Basta ricordare che nel solo1979, anno di massimaespansione del terrorismo, siregistrarono, nel nostro Paeseben 2.200 attentati, firmati da215 sigle di sinistra e 55 didestra, con 22 morti e 149feriti. Milano, Torino, Roma,Genova, Firenze e Napoli,furono l’epicentro di quellasconvolgente stagioneeversiva, iniziata con la“Strage di piazza Fontana” aMilano.In questo mio libro non hovoluto far sconti a nessuno.A quella parte della sinistraistituzionale che nellaGenova post-resistenzasottovalutò inizialmente gliesordi di una propriacomponente attraversata daspinte insurrezionali. E tantomeno far sconti a quelletendenze, tante, troppe voltepercepite in Italia, distrumentalizzazione e uso deiterrorismi da parte di interessie forze oscure che sembranoconnettersi a componentideviate dell’assettoistituzionale.Nemmeno, infine e forseancor più amaramente, a quelmondo di compagni di lavoroche non seppero evitare conun sostegno e unacondivisione piena diresponsabilità, l’isolamento

Guido Rossa al Passo del Gosaitand, Himalaya, 8 novembre 1963 (f. archivio S. Rossa).

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finale in cui venne a trovarsimio padre nel fronteggiare ilterrorismo in fabbrica.Questo libro può trovar il suoinizio con una telefonataavvenuta nel novembre del2004 a colui che quellamattina del 24 gennaio 1979era là sotto casa ad attenderemio padre.Si tratta di VincenzoGuagliardo membro alloradella colonna genovese,unico testimone oggi di queifatti, Riccardo Dura, altrocomponente del commando,muore in via Fracchia, nellabase brigatista che distava uncentinaio di metri da casanostra, durante il blitz delGenerale Dalla Chiesa il 28marzo 1980. Il terzo, LorenzoCarpi è da allora latitante.Guagliardo è stato arrestatonel dicembre dell’80 econdannato all’ergastolo.Oggi è ancora in carcere inregime di semilibertà.Non ha mai parlato di fronteai giudici pubblicamente,nessuno è mai riuscito acontattarlo.Dal colloquio telefonicosiamo arrivati all’incontroanche se non è stato facileconvincerlo, lo ha convintoperò la lettera che gli hoinviato qualche mese dopo. L’ho raggiunto a Melegnano(Mi) dove lavora presso unacooperativa che si occupa dilibri per non vedenti. Erapresene Nadia Ponti oggi suamoglie, anche lei condannataall’ergastolo, membro alloradella colonna veneta.A lui ho chiesto la dinamicadell’attentato, perché lui èstato il primo ad aprire ilfuoco quando mio padre eragià salito in auto, ha sparatocon una Beretta 81 silenziata,quella in dotazione allacolonna genovese e

denominata “cent’anni disolitudine”.Guagliardo ha sparato conl’intenzione di gambizzare,come mi ha detto lui e comeha confermato il balistico L.Cavenago che ha studiato aGenova tutti i casi diomicidio e ferimento.R. Dura ha aperto il fuocoper secondo, è tornatoindietro, lui in realtà nondoveva intervenire perchéfungeva da copertura, così miha detto Guagliardo, hamirato al cuore con unacalibro 9, un’arma micidiale,definita da guerra dagliesperti, non silenziata. PerGuagliardo è stato un erroredi mira, un errore tecnico, peril balistico, per me esicuramente per molti altri èstata un’esecuzione.Dopo questo primo incontrodal quale mi aspettavorisposte definitive edesaustive, mi sono resa contoche le domande eranodivenute più delle risposte.Quello che per me dovevaessere un punto di arrivo siera trasformata in un punto dipartenza.La ricerca iniziale si ètrasformata in una vera epropria indagine attraversopoi la lettura degli attiprocessuali, mano a manoche raccoglievo materiale edocumenti, è maturata in mela volontà di scriverequalcosa.Avevo conosciuto Fasanellaqualche tempo prima, miaveva contattata ed eravenuto a Genova perchéaveva in mente larealizzazione di un filmdocumentario sulla vicenda dimio padre.Dopo questo incontro conGuagliardo gli ho telefonato egli ho proposto l’idea di

scrivere un libro a quattromani. Ho pensato a lui perchénel nostro incontro mi avevaconfidato che la sua lettura espiegazione dell’omicidiodoveva essere legata aqualche altra ragione oltre aquella della denuncia fatta damio padre nei confronti di F.Berardi, il postino delle brall’Italsider di Genova.Probabilmente, mi disse, tuopadre aveva scopertoqualcosa di ben più grave ecompromettente o avrebbepotuto scoprirlo in seguito.Abbiamo così proseguitoinsieme in questo viaggio,Fasanella mi ha aiutato aseguire il filo di questa miaricerca.Inizia così un percorsodurante il quale ho raccoltooltre 40 testimonianze tra lequali quelle di seicomponenti la colonnagenovese per arrivare ai capistorici Curcio e Franceschini.Dagli incontri con gli exbrigatisti ho cercato e trovatoquindi nuovi elementi diverità storica, non cercavoprove per incastrare qualcunoa trentanni di distanza,cercavo verità mai dette emai scritte. Una volta sopitil’odio e il rancore dei primitempi volevo capire ilperché…Guido Rossa non fu uccisoper errore, come per anni cihanno raccontato tanti exbrigatisti, mio padre fu uccisoperché sapeva troppo, perchéall’interno dell’Italsider,all’interno di una delle piùimportanti e strategicheaziende italiane di allora,svolgeva un compito che loaveva portato a sapere troppoper chi poi ne decretò lamorte. Questa è una delleverità che escono da questolibro (1).

Non fu per un errore o peruna scelta individuale delDura che mio padre fuammazzato.Fu l’esecuzione di un ordinediverso da quello che erastato dato agli altri membridella colonna genovese.Un ordine dettato da un altrolivello dell’organizzazioneterroristica.Un livello superiore, ancorapiù occulto del primo che eraalle dirette dipendenze diMario Moretti, il capodell’area militarista,probabilmente ignoto ad altrimilitanti, un livello chepoteva agire perseguendoscopi diversi da quellidell’organizzazione ufficiale.Di questa parte di storia siconosce ben poco, ma essarappresenta un datofondamentale per poterarrivare (se mai ciarriveremo) a far piena veritàsu quel periodo.Tornando all’alpinismo e allapassione di mio padre per lamontagna, essa in realtàcontinuò sempre, e credo nonpoteva essere diversamente.In una sua intervista dei primianni 70 al quindicinale tempodell’Italsider diceva: “Perchévado in montagna? (…)perché alpinismo vuole direnatura (…) e perché in naturaritrovi l’autentico senso dellavita, il segreto di una gioiainteriore che nessuna vicendaterrestre potrebbeannientare”.In queste poche parole sicapisce perché mio padre èstato alpinista fino all’ultimogiorno.

Sabina Rossa

(1) Giovanni Fasanella, Sabina RossaGUIDO ROSSA, MIO PADRERCS Libri, Milano, 2006.

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Il vecchio dottore siede infondo alla valle. Sta avvoltonella cappa di loden, un po’piegato su se stesso, con lamano destra aperta sullagamba, le dita arcuate comenel ricordo della strettasull’appiglio. E leva gli occhialle montagne. Di fronte a lui, da verdiprecipiti, si alza l’arditasilhouette dello Jalovec, laMlinarica gli porta il respiroumido del giovane Isonzo,per Val Trenta risuona uncrepitio lontano. Sassi checadono dalle altissime balzedel Triglav, o forse l’ecodella galoppata di Zlatorog, illeggendario camoscio dallecorna d’oro?Julius Kugy, pionieredell’alpinismo orientale,veglia effigiato nel bronzonel cuore di quelle Giulie dicui è stato pioniere e cantore.La grande statua erettacinquant’anni fa dalla

Planinska Zveza Slovenjescintilla all’altezza delginocchio, là doveinnumerevoli pellegrinidell’alpe hanno posto lamano in una carezza didevozione e amore.Cresciuto in un luogo dovel’inno nazionale si cantava innove lingue, educato ad unpatriottismo internazionalista,«da buoni austriaci di vecchiostampo, ma senza sciovinismiesagerati, senza enfasiretorica», Kugy fu un homoeuropaeus per formazione edaspirazioni, e per questomolto negletto nel “secolobreve”.Visto che nel 2008 ricorrono icentocinquant’anni dallanascita, i tempi sono maturiper recuperare il personaggio,che nulla riesce a descriverebene quanto i suoi libri, neiquali viene narratal’avventura alpinistica, maanche restituita la dimensione

dei luoghi in cui visse:scenari naturali, tranche divita cittadina, storie diamicizie.La nascita avviene il 18luglio 1857 nella villa deiconti Coronini, a Gorizia,dove la famiglia era sfollatacausa un’epidemia di colerascoppiata a Trieste. La madreMaria è figlia di JohannVessel, consigliere di finanza,traduttore in sloveno di Dantee poeta nazionale, il padrePaul, arrivato dalla Carinzianell’emporio adriatico, allorain vertiginosa crescita, ètitolare di un import exportdestinato negli anni adiventare tra i più importantidella piazza.Studente al liceo tedesco, poilaureato in legge a Vienna,

Julius Kugy scopre lamontagna compiendo le sueprime ricerche botaniche sulCarso (l’erbario era allora unmust, nelle famiglie dellabuona borghesia). «Ricordo esattamente ilmomento in cui udii per laprima volta il nome “AlpiGiulie”. Avevo domandato almio istitutore che montifossero quelli che nellegiornate limpide si vedevanosorgere al di là del mare. Edegli nominò le Alpi Venete ele Giulie. Il mio vagodesiderio ebbe così una metaprecisa: le Giulie! Non socome, il nome stesso miparve una promessa».Più tardi, all’iniziodell’adolescenza, può vederei suoi monti più da vicino,

Per il 2008, “anno kugyano”, sono in programma numerosemanifestazioni, promosse dalle sezioni Cai di Trieste (XXXOttobre e Società Alpina delle Giulie), da quella di Gorizia,dal Spdt (il sodalizio alpinistico degli sloveni in Italia e daaltre associazioni. lI Cai centrale ha assicurato il suo patro-cinio, Regione, Provincia di Trieste e altri enti pubblici e pri-vati sosterranno le manifestazioni, il cui calendario è in alle-stimento. Oltre a manifestazioni letterarie, musicali ed alpi-nistiche, sono previste la collocazione di un’erma di Kugynel giardino pubblico di Trieste e l’edizione italiana de ImGöttlichen Lächeln des Monte Rosa (Nel divino sorriso delMonte Rosa), il solo libro a non essere stato ancora tradot-to. Sabato 15 dicembre, nella Sala della Allianz assicura-zioni si terrà una "conferenza di lancio", sulla figura di Kugyalpinista, scrittore, musicista e cittadino europeo.La Rivista, iniziando da questo numero, terrà informati i let-tori sullo svolgimento dell’anno kugyano, pubblicando arti-coli e resoconti sulla figura di Kugy e sul contesto storico incui visse e operò.

Julius Kugydi Luciano Santin

Il monumento a Kugy in Val Trenta.

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assistendo al sorgere del soledalla Dobratsch, il monte chesovrasta Villaco. «Nella lucerosata del mattino, tuttal’imponente frontesettentrionale delle Giulie eradavanti a me. Cime e cimecome fiamme di Dio»,ricorderà nelle sue memorie.A 17 anni Julius scala ilTriglav, all’epoca un’impresadi tutto rispetto, e inizia poiuna intensa e appassionataopera di esplorazione. Tornain vetta per decine di volte,sullo stesso Triglav, sulMontasio, sul Jôf Fuart, sulCanin, e su tutti i monti dellazona, battezzandone molticon nomi romantici eimmaginifici: Madri dei

Camosci, Cengia degli Dei,Cresta del Drago.Un’attività costante, anche sedopo la morte del padre hadovuto assumere la guidadell’azienda familiare, cui èaffiancato l’impegno incampo artistico. Kugy èinfatti presidente della brancamusicale dello Schillerverein,buon musicista dilettante

(regalerà un organo, perpotervicisi esercitare, allachiesa dei Mechitaristi diTrieste), e direttore del “CoroPalestriniano” da lui fondato.Prima di tutto però, viene lamontagna, dove cerca le vienormali, e in seguito altriitinerari, per i diversiversanti. Uno dei suoicapolavori è la Nord delMontasio, all’epocainarrivabile (tanto che

l’Alpenverein di Villach ciaveva messo un premio indenaro). La scala in 18 ore,partendo da Trieste in treno lasera del sabato, e rientrandoin ufficio, direttamentedall’ascensione, la mattina dilunedì. In seguito aprirà altritre itinerari in roccia sullastessa parete settentrionale.Non ricerca le difficoltà,Kugy, segue piuttosto gliinviti naturali della

Qui accanto:il giovane Kugy.

Sotto: il Tricorno daNord-Est, in una fotodel libro “Le AlpiGiulie”, 1932.

Jilius Kugy, a destra, con Oitzinger, al centro.

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alpino” m’ha sempre fatto unpo’ male. Mi sa troppo disuperficiale. Non si cerchi nelmonte un’impalcatura dirampicate, si cerchi la suaanima». Non condivide le nuovetendenze dei “senza guida”.Sia perché le condizionieconomiche gli consentono diandare in montagna “dasignore”, sia perché il suodesiderio di conoscenza nonpuò prescinderedall’elemento umano. «Nonsarei stato dal profondol’esploratore delle Alpi Giuliese nelle mie peregrinazioninon avessi legato a me anchei loro abitanti. Sarebberisultata in tal caso piuttostouna scoperta esteriore diquesti monti e della loroossatura».Suoi compagni fedeli sonoJoze e Andrea Komac,Osvaldo Pesamosca, AntonOitzinger. Poi, nelleoccidentali, i Burgener,Bonetti, e soprattuttoGiuseppe Croux. «Il mioprincipio fu di aver sempreintorno a me i migliori»,noterà, sottolineando il fattoche la presenza di una guidanon implica inadeguatezza osoggezione.«I senza guida hanno spessoil torto di credere che l’andarcon guide sia una specie dimarcia funebre, in cui unotira e l’altro è tirato. Iopenso invece che l’unione diun ottimo alpinista conun’ottima guida sia unaunione ideale e di massimorendimento. Posso citareesempi come Whymper eCroz, Coolidge e Almer,Mummeri e AlessandroBurgener, Farrar e DanielMaquignaz, e negli ultimitempi il dottor Mayer conAngelo Dibona».Sulle Giulie l’alpinistatriestino apre una cinquantinaalmeno di vie nuove, più altrenelle Carniche e in Dolomiti(queste però, oltre che già

esplorate, gli sembrano unpo’ troppo addomesticate);più tardi si rivolge alleOccidentali, particolarmentenel Delfinato, nel Vallese,nell’Oberland bernese, neigruppi dell’Ortles e delBianco. Il monte più caro, alquale ritornerà molte volte,dedicandogli un ponderosolibro in due tomi, rimarrà ilRosa. Nel 1915 l’attività alpinisticasi interrompedrammaticamente, quandol’Italia denuncia la TripliceAlleanza e attacca l’impero

austroungarico, già in guerra.Ancorché vicino allasessantina, Kugy si offrequale Alpiner referent, sulfronte delle Giulie. Insegnaad arrampicare ai Kaiserjägerincursori, sceglie vie protettedalle fucilate e dallevalanghe, indica possibilipostazioni riparate. Al suofianco opera anche un altrofamoso alpinista dell’epoca,il cortinese Angelo Dibona:in due giorni i due attrezzanola via Kugy alla gola nord estdel Jôf Fuart, per raggiungerela cima, dove era stata

trasformato in una spia, dafucilarsi immediatamente),.Alla fine del conflitto Kugydà l’addio all’attivitàalpinistica vera e propria. Laditta è crollata («Eravamo deire, siamo diventatischnorrer”), ma sceglie dirimanere a Trieste, sua veraheimat. Conosce un momentodi depressione profonda,curata a Vienna, ma asalvarlo, è il ricordo dellamontagna, che si espliciteràin sette libri.

Luciano Santin

costruito un piccolo riparomilitare la Scottihütte. Questo lavoro volontarioverrà premiato con la croce dicavaliere di FrancescoGiuseppe, anche se, nellecorrispondenze ufficialimilitari, il referent risulteràinviso agli alti comandi, inquanto univa un preoccupanteascendente su ufficiali esoldati alla più totale assenzadi disciplina e spirito militare(non portò mai armi nédivisa, tranne che inun’incursione nella qualel’abito civile lo avrebbe

montagna. «Io ho fatto lascuola dei cacciatori dicamosci, donde le miatendenza a sfruttarepossibilmente le risorse deisistemi di cenge», scriverà.«Soltanto quando di lì non siveniva a capo, attaccavamola roccia in senso verticale». La sua è una visione serena econtemplativa, che nonavverte gli slanci dicompetizione che segnerannol’alpinismo degli anni avenire: «La parola “sport

Le copertine di due dei celebri libri di Kugy, nell’edizione italiana deL’Eroica, 1932.

Kugy “alpine referent” e, a destra, in età avanzata.

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Eccoci di nuovo a risalire in seconda gli innumerevoli tornanti che portano a

Zoppè di Cadore. Da lì, parte uno degli itinerari che portano a quello che

B. Castiglioni ha definito “il prototipo di un colosso dolomitico”. E che per il

naturalista e geologo bellunese Tommaso Antonio Catullo “V’ha ragion d’essere

di credere che il Pelmo sia la più alta montagna della provincia bellunese,

imperciocchè vuolsi conosciuto dai piloti [di navi! - N.d.A.] del nostro Adriatico,

che lo prendono a direzione nei loro viaggi”. È strano: l’auto è diversa,

l’attrezzatura è diversa, le aspettative sono diverse, e soprattutto sono passati

quasi 10 anni! Ma il socio è sempre lo stesso: il catalan-italiano Jordi Ferrando.

E anche il programma: salire sul

Caregón del Padreterno d’inverno.

Per un motivo o per l’altro, erano

sempre sfumate tutte le occasioni

che ogni anno programmavamo per

ritentare l’impresa. Oltre a noi due -

che avevamo un patto di sangue -

anche vari altri potenziali compagni

si erano proposti per la gita, salvo

poi declinare all’ultimo.

La scorsa volta, appena entrati nel nuovomillennio, eravamo partiti belli baldanzo-si. In parcheggio a Zoppè, uno sconosciu-to ci aveva chiesto cosa andavamo a farecosì bardati di corde e piccozze, e - senti-ta la risposta - ci aveva elogiato e blandi-to, chiedendoci anche se fossimo deglialpinisti famosi. Mancava solo l’autogra-fo, e il nostro orgoglioso egocentrismosarebbe scoppiato in uno spettacolo piro-tecnico di boria.Poi la realtà. Con tutta quella neve fari-nosa avevamo sputato sangue per risalireal Rifugio Venezia-Albamaria De Luca e

in seguito all’attacco della Via Normaleper la c.d. Cengia di Ball (il buon Jordinon scia, e le moderne ciaspe economi-che erano ancora di là da venire).

26 gen./feb. 2008

di TommasoCeccato

Sul Pelmo,d’inverno

Qui sopra: Giochi di neve lungo la discesa (f. JordiFerrando i Arrufat). A destra: Il Pelmo da sud(f.Jordi Ferrando i Arrufat). In alto: Tramonto sulSorapiss (f. Tommaso Ceccato).

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Gran bella anche la nottata: temperaturaintorno ai - 30°, tanto da far gelare persi-no la soluzione salina delle lenti a contat-to. Notte per me mitigata dalle otto (logiuro) coperte tradizionali C.A.I. di lanacotta che non avevano molto riscaldato,ma che in compenso mi avevano letteral-mente tolto il fiato per il peso insopporta-bile sul petto. Per Jordi, mitigata da unsaccopiuma di un’amica, le cui qualitàtecniche non sarebbero però bastate nem-meno in campeggio a Jesolo.Anche la cena era stata da gourmet: unabusta di crema d’asparagi liofilizzati conuna dozzina di pacchetti di crackers sbri-ciolati dentro. Naturalmente, il tè caldodella colazione del seguente mattinosarebbe stato fatto bollire nella medesimapentola.Insomma, già all’alba non vedevamol’ora di partire. Tuttavia, i preparativierano andati così a rilento che alla fineavevamo varcato la porta del bivaccoinvernale del Rifugio Venezia qualcheminuto prima delle 7. Un po’ tardi.Avevamo poi trovato delle pessime con-dizioni su tutti i mille metri della cengia,tanto da impiegare ben cinque ore soloper finirla. Ghiaccio sulla roccia e unamarea di neve inconsistente appoggiatasopra: quella che d’estate ricordavo comeuna passeggiata un po’ esposta, ora sem-brava più un’infinita parete semi-vertica-le di neve e roccia su cui fare, tiro dopotiro, sosta dopo sosta, il traverso piùlungo e pericoloso della nostra vita.Il pensiero va anche oggi alla genialità,

tenacia e ardimento dello scienziato ealpinista John Ball (divenuto nel 1858primo presidente dell’Alpine Club, pri-mogenita associazione alpinistica almondo), che, alla sua prima campagnadolomitica, il 19 settembre 1857 convin-se (sic!) la sua guida valligiana (un gio-vane cacciatore cadorino, forse GiovanniBattista Giacin) a seguirlo per quella cen-gia sconosciuta a entrambi, raggiungendopoi da solo la cima del monte, e inaugu-rando così l’era alpinistica su questemontagne. Ma va anche ai coraggiosicacciatori di camosci che quasi sicura-mente calcarono quelle pietre (ma forsenon la cima) già in epoche anteriori: Ball,di ritorno dall’ascensione, trovò alle pen-dici della montagna don AlessioMarmolada, curato di Zoppè ed eccellen-te cacciatore, il quale gli disse candida-mente come la via da lui seguita fossesenz’altro migliore dell’altra dal versantezoldano, dando quindi per scontata laconoscenza dei luoghi. Come pure va aquel misconosciuto Wilhelm Fuchs, chegià nel 1844 propose un’altezza delPelmo di 3.162,8 metri (sbagliando dimeno di sei metri), barometricamentemisurata, così suggerendo una primoge-nitura diversa, seppur mai confermata.La Cengia di Ball (est-sudest) è la piùsemplice delle cosiddette quattro vie pri-mitive (quelle appunto probabilmentepercorse dai cacciatori già nella primametà dell’800) per raggiungere il catinodel pendìo nevoso superiore, il cosiddet-to Valón: le altre sono la bastionata de La

Dambra (sud-est), la c.d. Cengia diGrohmann (sud), la c.d. Cengia di Giacine Cesaletti (nord-est).La parte più facile del percorso intuitodall’irlandese? Il famoso “passo delgatto” (una volta chiamato “ponte degli

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Qui sopra: Cengia di Ball (f. Tommaso Ceccato).

In alto: Ultimi metri della Cengia di Ball,ormai al tramonto (f. Jordi Ferrando i Arrufat).

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asini”), la cui esposta verticalità, che d’e-state spaventa i turisti, d’inverno mantie-ne paradossalmente la roccia pulita.Non certo per Jordi, forte alpinista, maper me arrampicare sul misto con indossoi ramponi, all’epoca rappresentava unavera e inquietante novità. Oggi è inveceuna vera e inquietante realtà...In quell’occasione purtroppo, quandoarrivammo al Valón, pur trovandolo incondizioni ideali, con una bella crostaportante da ramponare, ci rendemmoperò conto che restava appena il tempoper il ritorno. Fu così inevitabile tornareindietro ed ingoiare la sconfitta.Ma la promessa reciproca era stata solen-ne: “L’anno prossimo ci ritorniamo, e seanche non dovesse essere il prossimo,nessuno dei due oserà riprovarci senzal’altro”.E così quasi due lustri sono passati. Nonsiamo più gli studenti universitari di quel-la volta e Jordi nel frattempo si è pure“comprato” due pargoletti. Ma le pro-messe non si dimenticano.Rieccoci dunque - dicevo - ad arrancaresulla strada nel bosco nel bel pomeriggiodi giovedì 14 marzo 2007, ultimo giornoutile per noi prima della fine ufficiale del-l’inverno. A metà percorso, la solitudinesi attenua grazie al simpatico incontrocon due scialpinisti triestini che ci fannol’in bocca al lupo.Tempo stupendo, temperatura mite, moti-vazione alle stelle: non potrebbe essere ilmomento più adatto. Questa volta abbia-mo anche due grossi assi nella manica. Uno è la relazione tecnica di una variantealla Cengia di Ball, detta “Passo delPordòn” (dal nome del portatoreGiuseppe Pordòn che, con il veneziano

Pietro Paoletti e le guide Luigi Cesaletti eGiobatta Zanucco, di là salì il 18 febbraio1882 in probabile prima invernale nonsolo del Pelmo, ma di tutte le salite alpi-nistiche invernali in Dolomiti), attraversoil quale si abbandona la cengia a circametà della sua lunghezza, in corrispon-denza della prima gola, per risalire diret-tamente al Valón tramite un paio di tiri dicorda di III-IV grado. L’altro è l’informa-zione di prima mano sulle condizioni,datami da un amico locale che aveva per-corso lo stesso passaggio solo un paio disettimane prima e che mi assicurava chela cengia era tranquillamente percorribile(lui l’aveva fatta con gli sci sullo zaino!)e che i passaggi in roccia erano facili.

Siamo felici per i due assi, ma in realtà cilasciano anche un po’ di amaro in bocca.La variante del “Pordòn” l’avevamo sco-perta anche noi già quattro anni fasull’“Angelini-Sommavilla”, ma era statapoi resa attuale e di pubblico dominio daun articolo apparso sul numero autunno-inverno ‘05-’06 de “Le Alpi Venete”; laqual cosa paventava un massiccio attaccoinvernale di orde di alpinisti sulla miamontagna. E infatti, come volevasi dimo-strare, solo due settimane prima di noiavevano fatto la gita ben sei persone,quando negli anni precedenti all’articolonon molti si erano avventurati sul Pelmod’inverno. Avevo quasi voglia di rinun-ciare, ma non mi piace neanche lasciareconti in sospeso.Sbucati dal bosco, eccolo abbagliarcinella sua imponenza. Nell’aria tersa del-l’inverno il gigante appare in tutta la suagrandezza, tanto da farmi dubitare chepossa entrare nell’inquadratura del mio28 mm. È bellissimo e ci sovrasta, incu-tendoci un certo timore reverenziale; manoi già lo conosciamo e pensiamo che,avendone le chiavi d’accesso e sgattaio-lando su di lui nel silenzio dell’oscurità,forse non si accorgerà di noi e ci lasceràsalire in cima. Una moderna avventura diGulliver, di swiftiana memoria.Dopo aver superato con difficoltà la

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Primi raggi di sole all'attacco della Cengia di Ball(f. Jordi Ferrando i Arrufat).Foto sotto: Cengia di Ball (f. Tommaso Ceccato).

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melma fangosa che sempre si incontraintorno al Passo di Rutorto, e che trovia-mo anche in quest’inverno secco e mite,giungiamo al Rifugio Venezia e prendia-mo possesso del bivacco invernale apren-do con qualche problema la porta scorre-vole bloccata dal ghiaccio. Notiamo consorpresa e soddisfazione che sono statifatti gli infissi nuovi, e che c’è una buonascorta di candele, anche se pure noi neavevamo portate in abbondanza col pro-posito di lasciarle.C’è ora l’inghippo dell’acqua: ne abbia-mo bisogno per cucinare la cena, per bere‘sta sera, per il tè della colazione e deithermos dell’indomani; ma noi ne abbia-mo portata su solo un litro e non abbiamovoglia di usare subito il fornelletto persciogliere la neve, perché preferiremmoandare a dare un’occhiata alla cengia;inoltre, tra un paio d’ore, col buio, quifarà parecchio freddo. Idea geniale: but-tiamo diverse palate di neve sul tettuccioin lamiera del bivacco esposto al sole epiazziamo la pentola sotto la grondaia. Alnostro ritorno dovremmo trovare unabella scorta di liquido.Cominciamo a risalire il pendìo che portaall’attacco della cengia, e che anni fa ciaveva fatto morire sprofondando nella

neve farinosa. Per la “Legge di Murphy”,risultano del tutto inutili le ciaspe di cuisiamo ora perfettamente dotati, dato chela superficie è stata spazzata dal vento esembra quindi un duro tappeto da biliar-do. Mai che ce ne vada bene una!La cengia, invece, è inizialmente inbuone condizioni; ma alla prima strettoiaesposta, ci ricorda come non sia mai unoscherzetto fare alpinismo invernale. Sonoda superare una sessantina di metri di IIgrado pieni di neve dura, ma per fortunaattrezzati con due-tre chiodi e un paio diclessidre. Jordi passa, e io seguo conquella solita apprensione che mi prendequando cominciano le difficoltà. Io lachiamo sindrome da “primo tiro”: per glialpinisti non proprio “cuor di leone” qualsono, i primi movimenti di una via sonosempre i più duri, salvo poi abituarsi allastrizza e tirar via tutto l’itinerario senzaparticolari sforzi.Astutamente, lasciamo il passaggioattrezzato con una corda fissa (tantoabbiamo con noi due “mezze-corde”) peril successivo ritorno e per l’indomani.La cengia, sempre esposta, continua poicon minori difficoltà fino alla prima mar-cata rientranza della parete, che formauna vera e propria gola. Fin lì si cammi-

per l’alta temperatura. Più a sinistra di 5-6 metri pare che la roccia possa farsi sali-re, anche se non certo con difficoltà di IIIgrado, zigzagando fra le chiazze di nevelì appiccicate. Non vediamo né sosta dipartenza, né chiodi di passaggio, né sostasuccessiva; c’è solo un vecchio chiodorosso nel bel mezzo della cascata dighiaccio, quindi impraticabile.Pur avendo avuto in animo di tentare finda subito di salire i due tiri, per lasciarlipoi attrezzati, sono ormai le 6 del pome-riggio e pertanto decidiamo di scendere alrifugio per ritentare l’indomani. Cosìabbandoniamo lì il ferrame e l’altra“mezza-corda”, e rifacciamo il percorsoinverso, arrivando giù quasi nell’oscurità.La nostra fredda casetta ci accoglie rega-landoci un tramonto infuocato e una pen-tola ricolma d’acqua, grazie al riuscitotrucchetto di prima. Così, dopo una lautacena a base di succulenti gnocchi ai quat-tro formaggi, i nostri sacchipiuma (questavolta, dei VERI sacchipiuma!) si fannoben presto apprezzare.Devo confessare che il menù degli gnoc-chi ai quattro formaggi è ormai un’abitu-dine della nostra coppia. Lo avevamo giàtestato e apprezzato l’anno scorso duran-te un gelido bivacco sotto le stelle passa-

na, ancorché coi ramponi, ma NON sipuò sbagliare ad appoggiare il piede…Ci troviamo quindi di fronte al famigera-to “Passo del Pordòn”. La parte a primavista più facile da salire, che è poi l’itine-rario originale, è una nera rampa-colatoioa gradoni; tuttavia, essendo per l’appuntoun colatoio, è ovviamente costituita dauna cascata di ghiaccio grondante acqua

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Alla fine del “Valón”(f. Jordi Ferrando i Arrufat).

Qui sotto: “Pordón”,2º tiro (f. TommasoCeccato).

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Inizio del “Valón” (f. Jordi Ferrando i Arrufat).

degli gnocchi: un perfetto e naturalissimomodo di reintegrare i sali minerali persicol sudore!L’indomani mattina ci svegliamo alle 5 epartiamo alle 6, rifacendo di nuovo laCengia di Ball fino al “Passo delPordòn”, dove giungiamo verso le 7.Data l’esposizione a levante, c’è un belsole già alto, ma fa freschino. Per scrupo-lo, io mi sono portato le ciaspe; mentreJordi è convinto che non servano e le haperciò lasciate al bivacco.Col socio ci dividiamo le responsabilità:io decido dove salire, e lui sale… Chiodocosì un’ottima sosta sulla sinistra delcolatoio nero e l’amico attacca in corri-spondenza di una similfessura tendenteverso destra. Nuota un po’ in una chiazzadi neve poco oltre la sosta; mette il primorinvio su un mughetto psicologico qual-che metro sopra; poi un friend altrettantopsicologico sulla fessura friabile; poitrova un buon chiodo a una dozzina dimetri da terra; infine arriva a una cengia

to sulla Fuorcla de Prievlusa (3.430 m),alla base della Cresta Biancograt al PizzoBernina.Jordi infatti, che è un noto fotografo pro-fessionista, aveva convinto l’amicoDavide e il sottoscritto a fare laBiancograt bypassando il RifugioChamanna da Tschierva, per bivaccareinvece in forcella, circa 850 metri più inalto: da lì, le foto dell’alba sarebbero stateeccezionali. Tutto vero; peccato però chela partenza da Venezia in giornata, pas-sando per Lecco, il Passo Maloja,St.Moritz e la Val Roseg, ci aveva fattoiniziare un po’ tardino i 1.500 metri didislivello che separano l’alta Val Rosegdalla Prievlusa, tanto da giungervi solo amezzanotte dopo non so quante peripe-zie. Si può immaginare quale gradita sor-presa furono quei bei gnocconi grondantisugo che ingurgitammo appollaiati suquel nido d’aquila. E fu lì che iniziaianche quella - per Jordi - disgustosa tra-dizione di bermi tutta l’acqua di cottura

ghiacciata a una ventina di metri dallabase, e subito sopra alla sosta. Difficoltàstimata: III-IV, 1 passo IV+.Gli faccio recuperare gli zaini e parto.Caspita, la fessura friabile non è per nullauno scherzo con gli scafi ai piedi e laneve sotto le suole; così come non lo è ilrun-out fino al chiodo e il passaggio pre-cario sulla cengia ghiacciata. Sempre ingamba il mio amico!Il tiro successivo toccherebbe a me, malui insiste per farlo, e io non me la sentodi dargli un dispiacere. Così, il catalanoparte come una freccia per un costolonedi rocce solide sulla verticale della sosta,scartando sia il camino ghiacciato poco adestra, sia il traverso esposto fino a uncanale nevoso sulla sinistra. Altri 25metri di II-III grado e mi urla che è insosta.Arrivato sopra, rimugino tra me e me chesono proprio una schiappa, perché miaspetto sempre difficoltà assai minori diciò che incontro. Ma quante volte dovròancora ripetermi di cambiare sport, primadi farlo davvero?Ci ritroviamo assetati alla base di unombroso canalino piuttosto pendente, conun fondo di neve crostosa non portante.Prima abbandoniamo in sosta le corde el’attrezzatura non necessaria, poi riem-piamo le borracce con i rivoli d’acquache scendono dalle rocce, quindi guada-gniamo il Valón con una corsa verticale diun centinaio di metri.Sorpresa. Ci aspettavamo un bel pendìodi neve dura, trasformata dall’irraggia-mento solare, come l’altra volta. Invece,troviamo incredibilmente la stessa crostanon portante del canalino sottostante. Adogni passo non sai mai se l’appoggioregge o cede.Io vengo salvato dalla mia proverbialelungimiranza, che mi spinge a portarmiappresso ogni genere di orpello tecnolo-gico che possa agevolare l’ascensione,tanto da far sembrare una spedizionenazionale himalayana anche il mio piùbanale monotiro estivo in falesia: ho conme le ciaspe! Quel testone di Jordi, inve-ce, con questa moderna mania della leg-gerezza=velocità=sicurezza, le ha lascia-te al bivacco, e ora arranca sprofondandoabbondantemente sulla neve crostosa. Inpiù di un’occasione temo che l’imprevi-sto possa costringerci di nuovo a rinun-ciare, ma l’amico è di tempra solida etiene duro.Dopo qualche ora di sforzi, sbuchiamosul Vant superiore (Vant = ampio cesto

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Qui accanto: “Vant”superiore (f. TommasoCeccato).

A fronte, sopra: Ultimimetri prima della cima (f. Tommaso Ceccato).

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usato per ventilare granaglie e baccelli.Nome tradizionale del bacino superioredel Pelmo), ove un tempo vi era anche unpiccolo ghiacciaietto. L’ambiente inver-nale che ci circonda è assolutamentemagnifico: un vasto pianoro, disseminatod’inquietanti doline ostruite dalla neve(oggetto tuttora di esplorazione speleolo-gica), si innalza pian piano verso la spal-la est fra Pelmo e Pelmetto. Favoleggiamo di ritornarci in un invernofuturo armati di tendina, per passare lì lanotte e scattare splendide foto dell’alba.Rinvigoriti dalla magia del luogo, rag-giungiamo velocemente la citata spalla,da cui precipitano a valle i mille e piùmetri della sterminata parete sud-ovestdel monte. Come le altre volte (e comecredo facciano tutti), mi distendo a pan-cia in giù sulla roccia conformata a scali-no, per far penzolare la testa sopra il bara-tro: l’adrenalinica visione mi fa resisteresolo pochi attimi.Sono le 13.30. Pur mancando abbastanzapoco alla cima, considerando la lunghez-za e le difficoltà della discesa, ci rendia-mo conto che siamo comunque già moltoin ritardo. A malincuore ci diamo così illimite delle 14.30: se non saremo in cimaper quell’ora, dovremo di nuovo rinun-ciare.La cresta finale, inframmezzata da cen-gette e salti di roccia, è costituita da pie-tre malferme. La guida di Ball l’avevadefinita di croda morta, tanto da intimo-rirlo per la seconda volta, e spingerlo a

rinunciare alla cima, ove lo stranierogiunse infatti da solo. Tuttavia, noi siamoavvantaggiati dai rigori invernali chemantengono gli appigli ben saldi l’unoall’altro. La cresta non è però affattobreve né banale, e nasconde ad ognicocuzzolo un’anticima che sempre ciinganna sull’agognata meta.Alla fine, alle 14.30 in punto, tocchiamocon mano la scanchenica croce di vetta.Pensavamo di trovarla sommersa dallaneve, e invece il vento aveva tenuto ilplateau sommitale abbastanza pulito.Grande felicità, stretta di mano e foto dirito.Rapidissima telefonata a casa per tran-quillizzare gli animi, un piccolo spuntinoper noi e per i gracchi d’intorno, e poi viagiù di corsa. Così di corsa che durante unsalto mi vola via sul versante sud-est ilbellissimo (e carissimo) berretto dellaPatagonia; mi tuffo in una variante allacresta assai più diretta e pericolosa, mapoi il portafogli torna a respirare.Siamo molto stanchi, tuttavia è tardi emancano ben 1.000 m di dislivello indiscesa per arrivare in cengia. Così mettoin pratica la tecnica brevettata di “discesaPaganin” (dal nome di un mio forte efolle Maestro), già più volte sperimentatadi ritorno dai vaj delle Piccole Dolomiti(vajo = couloir di roccia, ghiaccio eneve): picca saldamente in mano, culo aterra, spintarella e via! Gli olimpionici dibob cortinesi hanno solo da invidiare.Jordi dapprima mi guarda con sospetto;poi si rende conto che - con un po’ di salein zucca - la velocità è controllabile, eratto mi segue. Certo, non sono cosìapprezzabili i sassi affioranti e invisibiliche ogni tanto offendono il posteriore, manon si può avere tutto.Raggiungiamo rapidamente l’ultimasosta della variante del Pordòn, non senzadomandarci se questa possa essere indivi-duabile anche senza le tracce di salita.Recuperiamo tutti i materiali abbandona-ti e da lì, con una sola lunga calata incorda doppia, siamo di nuovo in cengia.È ormai tardo pomeriggio, ma noi rifac-ciamo a ritroso la Cengia di Ball con unacerta voluta lentezza. Abbiamo chiuso iconti con il nostro avversario (o con noistessi?) e sappiamo di essere fuori dallevere difficoltà. Inoltre, ci sono ancora unpaio di rullini di Velvia da terminare.Arriviamo così al Rifugio Venezia alle 18e, dopo aver fatto i bagagli e abbondante-mente bevuto dalla solita pentola sotto lagrondaia, ripartiamo alla volta dell’auto.

Lungo il sentiero, la notte ci sorprendecon velocità inaspettata, ma noi nonabbiamo voglia di rovinare l’atmosferaaccendendo le lampade frontali: che stra-no, già dopo un paio di giorni passati incompleta solitudine immersi nella naturapiù selvaggia, ci sentiamo un po’ piùparte di essa e quasi non vorremmo tor-nare alla civiltà moderna. La montagnainvernale offre anche questo.Camminiamo nel bosco nell’oscurità piùcompleta a un centinaio di metri didistanza l’uno dall’altro, ciascunoimmerso nelle sue riflessioni, barcollan-do e inciampando ogni due o tre passi;ma è troppo bello.Infine, l’asfalto e la luce dei lampioni ciriportano tra gli uomini.

~ ~ ~Quattro mesi dopo. Luglio 2007.Una entusiastica e-mail di Giovanni mirende edotto che il trascorso fine settima-na lui e altri amici (tra cui Selina) hannosalito per la prima volta il Pelmo. Sonooltremodo felici anche per il fatto diesservi riusciti proprio nell’anno del 150°della prima salita.Che gran sbadati io e Jordi: nel program-mare la scalata invernale non ci avevamoneanche fatto caso. Meglio, penso: acqui-sta maggiore valore.Ma poi il dubbio. Avendo ormai perso ilcentennale della prima invernale (dubitoche, in terza elementare, mia madreavrebbe dato l’assenso all’impresa), peressere veramente giusti, Jordi ed iodovremo necessariamente ripetere la sali-ta anche nel 2032? Mentre la nostra piùfortunata amica Selina, per poter inserirela gita in curriculum, dovrà per forza rifa-re la sfacchinata nel 2020, dato che laprima ascensione femminile del Pelmo fucompiuta nel 1870 dalla sua omonimaSelina Matilda Fox?Strane cose le ricorrenze e i numeri.

Tommaso Ceccato(Sezione di Venezia)

In cima! (f. Jordi Ferrando i Arrufat).

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Dopo un silenzio che durava ormai daventi anni siamo tornati a parlare discialpinismo sui Monti Sibillini con unanuova edizione, tutta a colori, dellavecchia guida (1a ediz. 1983, 2a ediz.1987), aggiornata nel contenuto enell’impostazione.Gli itinerari, cinquanta, compresa latraversata dell’intera catena, sonosuddivisi per centri di fondovalle comedallo schizzo topografico delle localitàdi partenza che fornisce una visioneunitaria degli stessi.Per ragione di spazio dopo una notaintroduttiva viene proposta ai lettoridella Rivista una sintesi di otto itineraricon lo stesso ordine e numerazioneche compare nella guida.

Il gruppo dei Monti Sibillini, uno dei piùimportanti di tutto l’Appennino, appartie-ne al tratto Umbro-Marchigiano. Siestende per circa 40 km in direzione N-Sed è delimitato dalla Valle del Chienti anord e dalla Valle del Tronto a sud; ambe-due le valli collegano il versante adriaticoall’Umbria.Sono distinguibili oltre 50 vette, moltedelle quali superano i 2000 m di altitudi-ne. Il M. Vettore, che con i suoi 2476 m èla vetta più alta, comprende tra le sue cre-ste l’unico lago naturale dell’Appenninodi origine glaciale, il Lago di Pilato. Essoin base alla quantità d’acqua presenteassume a volte la forma a occhiale, avolte di due laghetti separati da un istmodi detriti; poiché si forma e si mantieneesclusivamente con acque derivanti dallo

scioglimento delle nevi, quando nonnevica, come avvenne nel 1990 e tantealtre volte nel passato, il lago non si crea.Un tratto dei M. Sibillini (M. Rotondo,P.zo Tre Vescovi, M. Priora, M. Sibilla,M. Porche, M. Argentella, M. Vettore)guarda l’Adriatico, mentre un altro, concime più basse (M. Cardosa, M. Lieto, M.Patino, M. Vetica, M. Ventosola) è rivol-to verso il Tirreno; in mezzo si trova l’al-topiano di Castelluccio, di origine tettoni-co-carsica, unico e di grande bellezza,soprattutto durante la fioritura. In questoperiodo sui campi coltivati a lenticchia,dal piccolo e insignificante fiore bianco,si alternano con grande effetto cromatico,che non lascia indifferente l’osservatore,distese di papaveri (Papaver rhoeas) efiordalisi (Centaurea cyanus) dagli inten-si coloro rosso e bleu e il giallo vivace diuna crucifera (Sinapis arvensis), insiemealle fioriture del Ranunculus velutinus; èfrequente anche una grossa margheritabianca (Leucanthemum vulgare). Sul Pian Perduto di Gualdo durante ilperiodo estivo si forma il cosìdetto“Stagno Rosso”, che assume tale colora-zione per la presenza di un’alga,l’Euglena sanguinea.Tutte le cime sono raggiungibili con iti-nerari scialpinistici, estremamente vari,da facili a impegnativi, con dislivellianche notevoli e grandi possibilità di con-catenamenti con remunerative discese sianei canali che nei versanti.

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Sui MontiSibillini

…gioco e avventura

tra montagne di fate

e leggende…

Testo e foto diGiuliano Maininie PierfrancescoRenzi

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Questo gruppo montuoso compreso traAdriatico e Tirreno, funziona da spartiac-que e risente di condizioni meteonivolo-giche del tutto particolari e rapidamentemutevoli. L’innevamento è normalmente buono dadicembre ad aprile con abbondanti nevi-cate nei mesi di febbraio e marzo; alcunicanali possono essere ancora discesi ametà maggio.È bene ricordare che la frequentazione inambiente innevato a scopo sportivo iniziòil 4 marzo 1876 con due prime salite alpi-nistiche invernali (non solo dei MontiSibillini ma di tutto l’AppenninoCentrale). Protagonista dell’impresa fuDomenico Marinelli di Ariccia (CastelliRomani), in compagnia della guida G.Cicoria di Visso e del pastore AngeloCapocci di Gualdo, che fungevano ancheda portatori: essi salirono il M.Vettore daForca di Presta e la Cima del Redentorequasi certamente per il ghiaione sud-est.Il Marinelli e le sue guide FerdinandImseng e Battista Pedranzini perirono,travolti da una valanga l’8 agosto 1881,nel canalone della parete est del M.Rosa,che oggi porta il suo nome.Dopo tante battaglie condotte dal C.A.I. ealtre associazioni ambientaliste da unaparte e comuni ed enti locali dall’altra,dal 1993 i Monti Sibillini sono diventatiParco Nazionale con sede a Visso e concomuni ricadenti nelle province di AscoliPiceno, Macerata e Perugia. Dalle cime e dalle creste nelle belle gior-nate serene lo sguardo spazia dal mare alM. Conero, alle dolci colline, al M. SanVicino, al M. Catria, ai vicini Monti dellaLaga, al Gran Sasso e M. Camicia, allaMaiella, al M. Terminillo fino al lontanoM. Amiata. Forre e gole imponenti come quelle delFiastrone, dell’Ambro, dell’Infernaccioincidono profondamente i Sibillini. Paretie creste rocciose di interesse alpinisticosono quelle sui versanti nord ed est delM. Bove con oltre 600 m di dislivello(bellissima la visione dolomitica che si hadall’abitato di Casali di Ussita), quelladel M. Bicco, del P.zo Berro, del M.Palazzo Borghese e del P.zo del Diavoloche sovrasta il Lago di Pilato (M.Vettore).Valli e circhi di origine glaciale con visi-bili morene caratterizzano la Val di Bove,la Valle di Panico, la Valle di Pilato, laValle Lunga e la Val di Tela.

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Qui sopra:Il profilo del Castello,poderoso e verticale,fa da sfondo allo sciatorealpinista intento ad uncambio di direzione.A fronte:Monte Argentella verso il canale San Lorenzo. Qui accanto:Immagine patagonicanell’ultimo tratto rocciosoche precede la cima del P.zo Berro. La catena èparzialmente sommersanella neve.

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I t i n e r a r i

2 - PIZZO TRE VESCOVI 2092 mLocalità di partenza: Pintura diBolognola 1337 mDislivello in salita: 755 m Tempo di salita: ore 2,30-3,00Difficoltà: BS - ramponi e piccozzaPeriodo: dicembre-marzoEsposizione in discesa: prevalente-mente estAccesso alla Località di partenza:da Bolognola e da Sarnano nelle duedirezioni per la SP 120 Sarnano -Sassotetto - Bolognola.Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.

VALUTAZIONE D’INSIEME: valutatal’assenza del pericolo di valanghe lungoil versante nord del Monte CastelManardo, la più logica via di accessoalla meta rimane quella di ForcellaBassete, ampia depressione a metà dellungo crestone che sale al Pizzo TreVescovi. L’itinerario, piuttosto semplice ebreve, ha il pregio di portare lo sciatorealpinista ad affacciarsi sull’Alta Valledell’Ambro e sulle pareti nord del MontePriora e del Pizzo Berro, ambiente que-sto fra i più aspri e selvaggi della cate-

na, meta di ben più impegnative ascen-sioni.DESCRIZIONE: dal piazzale dellaPintura di Bolognola (1337 m) prenderela traccia della sterrata per la Forcelladel Fargno (indicazione stradale) eseguirla fin sotto la depressione dellaForcella Bassete. Risalire il ripido estretto canale uscendo sul pendìo supe-riore che precede la sella (1701 m).Difronte l’orizzonte è chiuso dalla paretenord del Monte Priora che si raccorda, adestra, con il canale nord e la cima delPizzo Berro; guardando ad ovest, al disopra del crestone, si intravede la metasormontata da una croce.Scendere sull’opposto versantetagliandolo in diagonale, mantenendosialti sulla conca della Pescolletta fino allabase del canale che la chiude.Risalirlo e, usciti sull’aperto pendìo,spostarsi a destra verso la cresta estdalla quale in breve si esce in vetta(2092 m).DISCESA: per lo stesso itinerario disalita, senza perdere eccessivamentequota nel vallone della Pescolletta.

7 - FORCELLA DELLA NEVE 1965 mPIZZO BERRO 2259 m cresta ovestLocalità di partenza: Casali di Ussita1080 mDislivello in salita: 885 m per la F.ladella Neve 1179 m per il Pizzo Berro Tempo complessivo: ore 3,30- 4,00per la cimaDifficoltà: OSA - ramponi e piccozzaindispensabiliMS - per la F.la della NevePeriodo: dicembre-marzoEsposizione in discesa: ovest poinordAccesso alla località di partenza: daUssita Km 5,50 provenendo da Vissocon la SP 135 o da Castelsantangelosul Nera per la SP 130Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME:tanto è classico, ripetuto e frequentatol’itinerario fino alla Forcella della Neve,quanto ardita e impegnativa è la salitaalla vetta che impone una perfettaconoscenza dell’uso dei ramponi sumisto anche se la presenza della catenaagevola la progressione e, soprattutto, ilritorno. Il suo tratto finale può risultareimmerso nella neve e bloccato dalghiaccio. In pieno inverno, con le rocceincrostate di neve e brina, lo spettacolorisulta entusiasmante.Per abbinare i due itinerari proponiamo

prima la salita classica alla Forcelladella Neve altrimenti, in buonecondizioni, si può raggiungere il PizzoBerro dallo scrimone che divide la partealta della valle, continuando, poi, sullospallone ovest fino all’intaglio dellaquota 2063 m, oltre il quale si procedea piedi. Valutare l’opportunità, inpresenza di una comitiva eterogenea, diattrezzare il tratto finale con una cordafissa sulla quale autoassicurarsi con unnodo autobloccante.Già nelle note all’itinerario e nei capitoliintroduttivi delle passate edizioni e diquesta ultima (territorio e ambienti) siaccenna come a testimonianza di unaremota presenza del cervo, orareintrodotto, la sella potesse chiamarsiForcella della Cervara, toponimoampiamente usato nella cartografia diriferimento e in alcune guide citate nellabibliografia.DESCRIZIONE: da Casali, oltre la sbar-ra, seguire la strada fino alle Sorgenti diPanico (1346 m). Risalire la valle, trac-ciando al meglio secondo l’innevamentoe, alla biforcazione centrale, all’altezzadei ruderi di uno stazzo (1550 m), conti-nuare al centro del ramo principale.Portarsi poi a sinistra e, per un brevecanale, salire nell’anfiteatro glaciale(1813 m). Superato con ripide svolte ilpendìo finale uscire sulla sella (1965 m)ove termina la prima parte dell’itinerario(ore 2,00-2,30).Proseguire verso est sull’ampio spallonefino al punto quotato 2063 m cheprecede una depressione oltre la quale

Alle spalle dello sciatore alpinistache sale al M. Castel Manardo è avista l’itinerario dalla F.la Bassetealla cima. A sinistra la discesa delcanale est di P.zo Tre Vescovi.

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il profilo si impenna decisamenteobbligando a lasciare gli sci, appenasotto le prime roccette.Salire al meglio sul versante sud finoall’affilata cresta che precede la basedella paretina che si supera conqualche passaggio di misto protettodalla catena.Usciti in cresta, dopo aver dissepoltol’ultimo tratto della catena, raggiungerela vicina cima (2259 m), aerea e isolatadal contesto degli altri monti.DISCESA: per lo stesso itinerario disalita, usando le precauzioni del casoscendendo a ritroso lungo il percorsoattrezzato fino agli sci.

12 - MONTE BOVE CIMA NORD 2112 m Località di partenza: Frontignano diUssita 1342 mDislivello in salita: 870 m Tempo di salita: ore 2,30-3,00Difficoltà: MS Periodo: dicembre - marzoEsposizione in discesa: sud poi nord-ovest Accesso alla località di partenza: daUssita e da Castelsantangelo sul Nera,nelle due direzioni, per la SP 130 e laSP 130/bCartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME: classico iti-nerario del gruppo del Monte Bove, fra ipiù frequentati dei Monti Sibillini. Sisvolge nell’ambiente tipico delle valliglaciali appenniniche e non richiede,generalmente, l’uso di attrezzatura alpi-nistica. Conviene essere sul posto intempo per evitare l’affollamento delleauto alla partenza degli impianti di sci.DESCRIZIONE: dal piazzale“Selvapiana” antistante l’Hotel Felycitascendere, alla sua sinistra, nella pinetae percorrere il sentiero estivo che l’at-

traversa in direzione est. Usciti dalbosco continuare sulla pista in direzionenord, sotto le Macchie di Bicco, finoall’imbocco della Val di Bove (1290 m).Salire nella zona priva di vegetazioneper il pendìo che, all’altezza degli spaltimeridionali di Croce di Monte Bove, sifa a tratti più ripido.Superato lo zoccolo della valle piegareleggermente a destra scollinando primadi una depressione oltre la quale sicontinua al centro. Ormai in vista dellosperone nord - est del Monte Bicco,piegare decisamente a sinistra (nord)guadagnando quota su terreno aperto,avendo come punto di riferimento lasella che precede la cima del MonteBove Nord.In questo settore da qualche temposcende a lambire la traccia di salita unagrande valanga di fondo. Uscitiall’intaglio (1992 m) continuare lungo ilcrestone sud giungendo direttamentecon gli sci in vetta (2112 m).DISCESA: per lo stesso itinerario riper-correndo in salita il tratto che va dall’u-scita della valle al luogo di partenza.

19 - MONTE PRIORA 2332 m (per la crestanord-est)Località di partenza: Vetice diMontefortino-Fonte Vecchia 852 mDislivello in salita: 1480 m Tempo di salita: ore 4,30-5,00Difficoltà: BSA - utili ramponi e pic-cozzaPeriodo: gennaio-marzoEsposizione in discesa: est poi nord

Accesso alla località di partenza: daAmandola sulla SP 237 Picena o daMontefortino sulla SP 83 Subappennina,al Km 4,2 seguire le indicazioni turisti-che per il santuario della Madonnadell’Ambro e poi quella stradale perVetice oltre il quale la pista sale fino allafonteCartografia: carta dei sentieri del Parco Nazionaledei Monti Sibillini 1:25.000 Ed. S.E.R.

VALUTAZIONE D’INSIEME: dopo lafredda parete nord e quella solare espo-sta a sud, spostandosi sul versante estdella catena, il Monte Priora riserva altridue itinerari di grande impegno sui duecrestoni che chiudono il grande anfitea-tro che si affaccia sulle collinedell’Ascolano.Entrambi presentano un lungoapproccio, anche a piedi, e trattifortemente esposti alla caduta divalanghe.Per raggiungere la cresta nord-est si

segue la traccia del sentiero estivo,passando dall’alpeggio di Prato Porfidiafino a Casale delle Murette, avendol’accortezza di scegliere il periodomigliore, sia in inverno che a primavera,per trovare in condizioni ottimali il lungoripido traverso che dal bosco taglia ilpendìo esposto a nord fin sotto il Pizzo.DESCRIZIONE: da Vetice prendere lasterrata che sale a Fonte Vecchia (852m) e, continuando per quella di destra,arrivare, se possibile, all’altra con troc-chi di cemento (940 m) ove si puòlasciare l’auto. Proseguire per la pistache segna il passaggio dell’acquedottoe, oltre l’intaglio, superato un ometto,portarsi nei pressi dell’alpeggio di PratoPorfidia. Piegando decisamente a sini-stra nel bosco cercare la traccia delsentiero e seguirla, innalzandosi semprepiù. Lambita una radura rientrare nelbosco per una lunga diagonale versoest e, valutata la sicurezza del pendìo,continuare allo scoperto fin sotto il Pizzoda dove, eventualmente tolti gli sci nel-

Piero batte pista nel cuore della Valdi Bove, salendo alla Cima Nord.Sotto la nuvola la cresta dentellatadella Cima Sud e, a destra, l’ombraproiettata dallo spigolo nord-est delMonte Bicco, meta dell’it. 13.

Stupendo colpo d’occhio invernale sulla Valle di Panico (v. it. 7).Svetta alle spalle del Pizzo Berro il M. Priora.

Panoramica della salita al M. Bove Nord (v. it. 12) scattata dal lato oppostodella Val di Bove.

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l’ultimo tratto, si esce sul crestone alpunto quotato 1748 m.Ormai in vista della meta dirigersi adovest e, dopo aver superato Casaledelle Murette (1794 m), attaccare ilpendìo abbastanza sostenutomantenendosi costantemente sotto ilfilo della cresta. Spostandosi da ultimoal centro uscire in vetta (2232 m).DISCESA: per lo stesso itinerario disalita, buona per l’esposizione ad estnella parte alta, non altrettanto sulversante nord e nel bosco.Generalmente si possono tenere gli scisul sentiero fino all’intaglio (1200 m).Calcolare circa due ore.

27 - MONTE ARGENTELLA 2200 m (per il canaledi San Lorenzo)Località di partenza: Castelluccio diNorcia-Fontanile Pian Perduto 1345 mDislivello in salita: 855 m Tempo di salita: ore 2,00-2,30Difficoltà: MS Periodo: dicembre-marzoEsposizione in discesa: ovestAccesso alla località di partenza: daCastelsantangelo sul Nera per la SP136, da Castelluccio di Norcia per la SP477 fino al confine di Provincia, poi perla SP 136Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME: classico iti-nerario, forse il più frequentato e cono-sciuto dei Sibillini che offre una discesasu neve quasi sempre buona e abbon-dante fino a tarda stagione. Soffre allevolte il vento e la nebbia che scendonodal versante opposto.DESCRIZIONE: provenendo sia daCastelsantangelo che da Castelluccio,fermarsi sul Piano Perduto nei pressidel fontanile sul bordo della strada(1345 m circa), poco sotto il valico della

Forca di Gualdo (Km. 2,00). Dirigersi adest e, giunti ad un altro fontanile (1348m circa), piegare a sinistra (nord),imboccando un breve vallone chiusodalla strettoia di “Portella del Vao”.Usciti nella regione di San Lorenzopiegare ad est puntando al canale ormaia vista sopra la fascia boscosa che loprecede. Alzarsi sul dosso centrale alambire le prime lingue di bosco e,superato un grande faggio, entrare fragli alberi proprio dove il pendìos’impenna. Fatta qualche diagonalesbucare allo scoperto, finchè, con unultimo traverso a sinistra, entrare nelcanale sopra la vegetazione che lochiude dal basso.Risalirlo liberamente, vincendo lapendenza, fino alla stretta finale e,traversata la conca sommitale o per ilcrestone ovest, giungere in breve sullavetta (2200 m).DISCESA: per lo stesso itinerario di sali-ta bella, continua ed entusiasmante finoa tarda mattina. Peccato che sul pianooccorre spingere lungamente gli sci.

35 - MONTE VETTORE 2476 m (dalla Valle Santa)Località di partenza:imbocco Valle Santa sulla SP 477

Castelluccio-Forca di Presta 1400 mcircaDislivello in salita: 1076 m Tempo di salita: ore 2,30-3,00Difficoltà: BSPeriodo: dicembre-marzoEsposizione in discesa: sud poi ovestAccesso alla località di partenza: daF.ca di Presta per chi proviene daArquata del Tronto; dall’incrocio sulPiano Grande (Km. 3,6) per chi provieneda Castelluccio di Norcia o da F.caCanapine.Verificare in caso di vento erecenti nevicate l’apertura della stradada e per F.ca di Presta.Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME: pur nonessendo fra gli itinerari più remunerativi,il Monte Vettore rimane la meta più fre-quentata e conosciuta con una presen-za, non soltanto di sciatori alpinisti,superiore a qualsiasi altra. La salita cheinizia appena lasciata l’auto, non pre-senta problemi se non nell’ultimo trattodella Valle Santa piuttosto ripido, cosìcome la discesa priva di punti obbligatio pendenze sostenute.DESCRIZIONE: lasciata l’auto sullastrada Castelluccio-Forca di Presta aimargini del largo curvone posto all’im-bocco della Valle Santa, risalirla (est)finchè, superato il ripido canale che lachiude, si giunge sul Monte Vettoretto(2052 m) in vista, ormai, della meta.Traversare lungamente a mezza costasotto il Rifugio Zilioli uscendo sulla Selladelle Ciaule (2240 m) ormai all’attaccodella cresta sud del Monte Vettore.Salire ancora, poi, tagliando indiagonale, entrare nel poco marcatocanale continuando sul terreno apertoche precede la cima (2476 m).DISCESA: per lo stesso itinerario disalita.

45 - CIMA DEL REDENTORE 2448 m (per ilghiaione sud est)Località di partenza:Foce di Montemonaco 945 m

Dislivello in salita: 1503 m Tempo di salita: ore 4,30-5,00Difficoltà: OSA - ramponi e piccozzaindispensabiliPeriodo: febbraio-marzoEsposizione in discesa: sud - est poinordAccesso alla località di partenza: daMontemonaco e Montegallo nelle duedirezioni opposte sulla SP 83Subappennina; da Comunanza sulla SP237 Picena e quella per il lago diGerosa, seguire le indicazioni stradaliper Foce.Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME: spettacola-re itinerario, sicuramente poco ripetutoda Foce essendogli preferita la traversa-ta in discesa fino al Lago con ritornoalla Valle Santa. Certamente la salita insci del ghiaione, una volta sfilati sotto il“Castello”, è quanto di più gratificante sipossa trovare in Appennino per la quali-tà tecnica dell’impegno da profondere el’ambiente eccezionale nel quale si svol-ge. La cornice finale può essere anchealta e verticale rendendo difficile l’usci-ta. La discesa fino al Lago è entusia-smante, favorita dalla qualità della nevetrasformata al punto giusto dalla forteinsolazione del pendìo.DESCRIZIONE: superato l’abitato diFoce, lasciare l’auto nel parcheggiocreato all’inizio del Piano della Gardosa

Nei pressi del Rifugio Zilioli sulla F.cadelle Ciaule. La salita alla vetta è avista sulla destra del rifugio.

Il sole non è riuscito a trasformare laneve del versante est del M. Priora,ma sarà peggio da qui a PratoPorfidia.

Usciti dal bosco su terreno apertoancora qualche inversione di marciae si entrerà nel canale di SanLorenzo.

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e proseguire a piedi lungo la nuovapista che sale sulla destra della valle(vedi a proposito dell’approccio il conte-nuto di pag. 158, terzultimo capoverso).Dopo l’ultimo fontanile (1104 m)proseguire per il sentiero estivo chedopo il bosco si fa ripido incorrispondenza della gola delle “Svolte”.Superato lo zoccolo della valle uscireallo scoperto (1500 m circa)continuando a salire lungamente fino adun primo cambio di pendenza che sivince sulla destra.Innalzarsi diagonalmente sul fianco diMonte Rotondo entrando, poi, in unadepressione che precede l’ultimo dolcependìo oltre il quale si scopre la concadel Lago di Pilato (1940 m).Andare sopra il Lago e, passando sottola parete del Castello, portarsi al centrodel ghiaione. Salire dapprima sullaverticale, poi, traversando a destra,entrare nell’anfiteatro superiore chiusodalla linea di cresta che da Pizzo delDiavolo, passando per Cima delRedentore, continua più incombente

verso Cima del Lago. Fattosi il pendìotroppo ripido proseguire a piediportando gli sci a spalla, cercando ilpunto più debole per uscire in cresta asud della cima e da qui in breve toccarela vetta (2448 m).DISCESA: per lo stesso itinerario disalita, sostenuta quanto entusiasmantefino al Lago, poi piacevole e rilassantelungo la valle fino alle “Svolte”.

49 - MONTE VETTORE 2476 m IL GRANDE IMBUTO (per la cresta delSassone)Località di partenza: Casale Vecchiodi Montegallo 1010 mDislivello in salita: 1466 m Tempo di salita: ore 4,00-4,30Difficoltà: OSA - utili ramponi e pic-cozzaPeriodo: marzo-aprileEsposizione in discesa: nord-estAccesso alla località di partenza: dalla

località Castro in Comune di Montegallosulla SP 83 Subappennina in Km. 3,00salvo chiusura della strada oltre Colle.Cartografia: carta dei sentieri delParco Nazionale dei Monti Sibillini1:25.000 Ed. S.E.R.VALUTAZIONE D’INSIEME: senz’altrol’itinerario più ambito e impegnativo deiMonti Sibillini a conclusione di un tritticoda favola che non ha uguali. Se la salitatutta di un fiato oppone un dislivellonotevole, tratti sostenuti e infidi traversi,di più la discesa richiede esperienza pervalutare la sicurezza dei pendii e la giu-sta linea da seguire. Si può scendere alcentro dell’anfiteatro, come sul versanteovest o su quello est, tutto in funzionedel periodo e del carico della neve.Certamente a fine aprile o a maggio,svanito ogni pericolo di valanghe, si può

salire dal fosso anche a piedi su nevedura. La discesa proposta è già statadescritta in traversata (v. n. 31) e vale,comunque, come indicazione dimassima su un pendìo aperto (quelloest) che lascia altre possibilità infunzione della situazione contingente.DESCRIZIONE: lasciare l’auto pocodopo Colle, in corrispondenza del Fossodi Casale che attraversa la strada incurva. Risalirlo per tracce di sentierosulla sinistra e mettere piede sul lettodelle valanghe che nel corso della sta-

gione si sovrappongono, facendo atten-zione ai ponti di neve scavati dall’acquache scorre sotto. Al centro del grandeanfiteatro salire sopra il bosco ed usciresu terreno aperto che si fa sempre piùsostenuto. Portarsi ora sul versantenord continuando verso il Sassoneormai in vista e, superatolo alla base sullato sud-est, proseguire in diagonaleascendente guadagnando quota fino alcrestone che da nord precede la cimadel Vettore, raggiungendola in breve(2476 m.). Al Sassone, comunque, valu-tare l’opportunità di tagliare il pendìo opiuttosto salire in verticale, anche apiedi, fino in cresta.DISCESA: dalla cima tornare breve-mente sulle tracce di salita abbassan-dosi gradatamente nell’anfiteatro sotto ilcrestone nord per prendere una linea

verticale che in basso supera brevicambi di pendenza. Prestando attenzio-ne ad alcune linee di frattura del mantonevoso, dopo un ultimo scivolo di nevetoccare il fondo. Continuare a scendere,generalmente su grandi accumuli divalanghe sovrapposte, spostandosi sullato destro, finché fattosi il pendìo piùripido, la neve termina sul salto finale,obbligando a togliere gli sci.Entrare a destra in un canalinogeneralmente innevato fino in fondo,oltre il quale si rimette piede sugliaggrovigliati cumuli di valanga cosparsidi detriti e fogliame che intasano fino atarda primavera il Fosso di Colleluce.Non uscire alla sorgente del Fluvione,ma seguire alla meglio il malagevoleserpentone di neve fino ad un ponticellosulla strada che porta verso sinistra alluogo di partenza.

Giuliano Mainini (INSA) †

Pierfrancesco Renzi (INSA)

Sopra: La linea di cresta che chiudeil Ghiaione sud-est quasi si confondecon la parete ovest del M. Vettore.

Qui accanto: Il Fosso di Colleluce el’Infernaccio di Pianelle: ambientigrandiosi per grandi itinerari, tutti avista. La linea di cresta che saleall’antecima nord del M. Vettore èinterrotta dal “Sassone”.

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Siamo a Huaraz, vivace cittadina a 3000metri d’altezza, 400 km a nord di Lima, 8ore di bus tra paesaggi incredibilmentedisparati, altrove divisi da decine di gradidi latitudine, qui uniti gli uni agli altrialtri! Nostra meta la cordillera blanca,vedere da vicino, fino a toccarlo, l’impo-nente Huascaran, che con i suoi 6768metri perfora le nubi più alte di tutto ilPerù! Ammirare la perfetta piramideghiacciata dell’Alpamayo, “la più bellamontagna del mondo”, camminare dal-

Tanto splendore mi paralizza losguardo, l’imponente città di pie-tra che si svela ai miei occhi ècolma di mistero come le monta-

gne che la circondano, alte fino a 5.000metri e solcate dal fragore del rioUrubamba, il fiume del sole. MachuPicchu, l’olimpo degli Inca! Mille sono leleggende che circondano questo sitoarcheologico appollaiato come un aquilasu un’aguzza vetta delle Ande Peruviane,custode nei secoli della misteriosa ed affa-scinante storia dell’impero Incaico. Dallatestimonianza pietrificata della sua poten-za passiamo ad un’altra meraviglia di que-sto fantastico paese, ci spostiamo un po’più a nord di Lima ed ecco apparire laCordillera Blanca! Un eccesso di bellezzafluttuante a 6000 metri d’altezza, un bian-co ricamo lungo 180 km dove il tempo èmisurato dall’aria leggera, dove la concen-

trazione di vette e ghiacciai e seconda soloalla catena Himalayana. Questa volta lavisione non ci paralizza lo sguardo, dispe-rato a vincere il panorama senza uguali,non ci mozza nemmeno il fiato, perchéquassù a 4000 metri altezza non ne pos-siamo fare a meno, ci appare semplice-mente come le porte di un nuovo paradisodove sembra albergare incontrastata unadivina serenità! Siamo nel cuore delleAnde, la catena montuosa più lunga delmondo, un saliscendi, di montagne e cimeinnevate che si innalzano sopra forestetropicali lungo tutto il continente sudamericano. Una storia geologica di oltre150 milioni di anni, una bellezza paesag-gistica fatta di antiche culture disseminatedai 0 metri dell’oceano Pacifico fino ai4000 metri dei corrugamenti più alti chesostengono vette, qui in Perù tra le piùbelle del nostro pianeta!

Puja gigante nel deserto Andino.Incontri durante il Trekking di Santa Cruz.

Testo e foto diFranco Gionco

In

CordilleraBlanca

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Occhi peruviani!

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l’alba al tramonto tra le valli da sogno chesolcano parallele tutta la lunghezza dellacordillera come intagli di una ciclopicascure a dividere e unire meravigliosimondi da sogno! Contattiamo una dellenumerose agenzie che ad Huaraz propon-gono ed organizzano la logistica ad ognitipo di spedizione. La Peruvian Andes,praticamente la famiglia Morales, papà e4 figli tutti “andinisti” e guide d’altaquota, guide che sanno caricare i muli,accendere un fuoco anche senza fiammi-feri, preparare una pizza anche a 5000metri d’altezza al riparo dai venti nel ven-tre di un crepaccio! Con noi il più giova-ne dei Morales, Rolando, 28 anni, 5 asinida soma che dovranno caricare viveri edequipaggiamento, un “cucinero” e dueaiutanti. Con me come sempre c’è Laura,poi Giovanni bravissimo dottore e nostroamico di Trento e suo figlio Nicolò, pocopiù di 20 anni, alla sua prima esperienzacon l’alta quota. Programma isolarsi dalmondo per una quindicina di giorni, per-correre il famoso Santa Cruz Trek cheattraversa da ovest a nord la cordillera

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Sopra: Indimenticabili momenti di emozione sullealte e glaciali nevi peruviane sopra i 5.500 m.

Sotto: L’Alpamayo, simbolodell’alpinismo Sud Americano.

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Qui accanto e a destra:Avventurose nevi della Cordillera Blanca.

Qui sotto:Trekking di acclimatamento al ghiacciaio Pastoruri.

passando per il passo di Punta Union a4750 metri e rientro a monte della valledel Rio Santa per la Quebra diLianganuco. Poi salire sul Nevado Pisco,famoso per il suo insuperabile “blanco”panorama ma soprattutto per scendere congli sci dai 5.752 m. dei suoi inebriantifianchi di ghiaccio! Le notti in tenda sonolunghissime, qui a due passi dall’equatorepraticamente il buio ci raggiunge puntua-le alle 6 di sera e la luce ci riappare alle 7del mattino, dormire, alzarsi, mangiare,bere, camminare, cose semplicissime cheassumono un valore assoluto quassù aquasi 5.000 metri d’altezza, ogni gesto,ogni respiro, ogni sguardo ha ancora ilsapore della grande avventura. Camminare in quota è una sensazioneun’emozione che penetra nel cuore e nel-l’anima, riuscire a muoversi, seppur len-tamente qui è già una conquista! Conquistare spazi, silenzi, panorami,emozioni e bellezze che non si possonoacquistare! Sostiamo in villaggi primitivisperduti nella pace, avvolti dalla serenità,prendiamo il sole in riva a torrenti impe-tuosi alimentati dagli immani ghiacciaiche riflettono il loro bianco accecante nelblu di una moltitudine di laghi paradisia-ci! Sfioriamo un mondo verticale dove lastoria dell’alpinismo, soprattutto quelloitaliano, ha scritto le pagine più avventu-rose come la salita alla parete ovestdell’Alpamayo dei ragni di Lecco guidatidal leggendario Casimiro Ferrari o lamitica salita della tenebrosa parete norddell’Huascaran Norte realizzata nell’or-

mai lontano 1977 dal grande alpinistavicentino Renato Casarotto. Noi siamo attratti da mète più semplicima per questo non meno belle. Dopo i 5giorni trascorsi nella valle di S.Cruz cispostiamo per una curiosità sciistica tuttaPeruviana sul Nevado Pastoruri unacalotta di ghiaccio alta 5.240 metri la cuibase, questa volta la raggiungiamo dopoalcune ore di macchina e in mezz’ora ditrotto a cavallo. Il Pastoruri con la stradacarrozzabile fino a 4.800 metri di quota èinfatti il 5.000 più accessibile del Perù, èqui che tutti gli appassionati Peruvianiarrivano numerosi nei week end consnowboard e sci in spalle, su due, trecento metri a piedi per il dolce ghiacciaioe poi giù con incerte ma felici traiettorie.Per Rolando lo sci è una fortissima pas-sione, attrezzatura appena acquistata: scie scarponi anni ‘80! Assieme saliamo ilbellissimo crinale che dai 4.800 metriporta ai panoramici 5240 metri dellacumbre. Neve perfetta, progressione unpo’ lenta ma continua, la quota si fa sen-tire, anche Rolando sogna uno skilift cheforse un giorno arriverò, intanto guardasorpreso ed ammirato la mia attrezzatura,capisce al volo le qualità performanti deimiei scarponi nuovi, soprattutto la mobi-lità del gambaletto, con le opzioni ski /walk sono per lui di una genialità incredi-bile, altrettanto stupito rimane dai mieinuovi sci con soli 1000 grammi di pesosu un’asta da 170 cm.!La felicità di Rolando sugli sci, il suospazzaneve colmo di emozione, le sue

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piccole conquiste curva dopo curva, mitrasmettono una gioia e una commozionemai provata su un campo da sci, gli parlodelle nevi di casa mia, delle seggiovie dicasa nostra che ti portano in alto da dovepoi scendere senza interruzione per più di1000 metri di dislivello, un sogno lonta-no, chiamato Paganella! Siamo accampa-ti a 4.800 di quota sulla morena del Piscoavvolti da un’arena gigantesca di ghiac-ciai e di vette che a canne d’organo sal-gono verso l’azzurro di un cielo infinito. Il cuore della Cordillera Blanca pulsaattorno a noi, sotto le imponenti pareti

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dell’Huandoi, dell’Huascaran, dell’Alpa-mayo, sentiamo il suo lento battito ascandire il tempo dell’eternità! La salitaal Nevado Pisco è una classica tra le piùfrequentate di tutto il Perù, un’ascensionesu neve e ghiaccio non difficile ma nonbanale, richiede attenzione, una buonaattrezzatura e buon acclimatamento allaquota che noi abbiamo accumulato neigiorni precedenti con il favoloso trekkingdi Santa Cruz! È l’una del mattino quan-do alla luce delle pile frontali affrontiamoi primi ripidi pendii del ghiacciaio,Rolando ha voluto caricarsi i miei sci per

sentirsi un po’ partecipe alla mia discesaancor troppo impegnativa per lui, mentreLaura, con Giovanni e Nicolò mi segue incordata con i ramponi che mordono sicu-ri la neve gelata! Siamo accompagnati dauna gigantesca luna piena e la direzioneci viene data dalla Croce de Sud che bril-la nel cielo inverosimilmente stellatosopra di noi! Po le tenebre si dissolvono elasciano spazio a fantastiche visioni dicastelli di ghiaccio incantati sempre piùin alto fino a raggiungere il cielo! L’albaè stracolma di misteriose luci celestiali enoi siamo in vetta abbracciati sul vertigi-

noso ballatoio che a 5.752 metri segna lavetta del Pisco! Più in alto non possiamo andare, ma lanostra gioia ci trasporta sulle ali della fan-tasia ad accarezzare la grande “Cruz delSur” che ci ha guidato fino quassù cosìvicini al Paradiso! Scendere con gli scianche dalla più piccola delle montagne èsempre per me un grande avvenimento,oggi è semplicemente un momento di glo-ria, Laura, ramponi ai piedi ed in cordata,con Rolando è già sulla via di discesa.Sono rimasto solo sulla vetta del Piscopochi attimi poi gli sci mi proiettano giùverso il nuovo sole nascente che con i suoiraggi sempre più splendenti illumina dibrivido e felicità questa ultima emozioneche la magica Cordillera Blanca, con tantagenerosità ci ha regalato!

Franco Gionco

Questa ed altre avventure di Franco Gionco nel suo nuovo show diimmagini commentate a viva voce, per organizzare una serata conlo sci e l’avventura contatatelo direttamente: Franco Gionco - Tel.0461 583549 - [email protected] - Per utlerioriinfo: www.gioncocommunication.com Per organizzare un trekking inPeru www.peruvianandes.com, una delle più qualificate agenzie sulterritorio.

Qui sotto: Con Rolando,in vetta al Pisco prima della grande discesa!

Foto in basso:Sulla vetta del Nevado Pisco,5.800 metri nel cuore della Cordillera Blanca

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Doveva giungere alla sua 36.maedizione, nel maggio 2006,prima che anch’io, su sollecita-zione di Franco, prendessi parte

con lui alla “Lunga Marcia” dell’Alta ValNure.Noemi dice che l’ho sempre un po’ snob-bata, dall’alto della mia sufficienza di fre-quentatore delle alte quote alpine. Ineffetti non l’avevo mai presa in conside-razione, ma solo per il fatto che si svolgein un periodo, al culmine della stagionescialpinistica, che non mi lascia spazioper altre attività di montagna. «Ora che l’età avanza e ti costringe a ridi-mensionare quantitativamente e qualitati-vamente le tue imprese scialpinistiche, tiva bene anche la “Lunga Marcia”…» per-siste impietosa mia moglie.

Una piacevole,lunghissima camminatache si snoda tra boschi e praterie, lungo la dorsaletra le valli del Trebbia e dell’Aveto a ovest equella del Nure a est, dal medio all’altoAppennino piacentino.

Noemi ha ragione, purtroppo, per quantoriguarda il calo di efficienza dovuto aglianni, ma non per l’indiretto riferimento auna sorta di graduatoria di prestigio nellaquale la “Lunga Marcia” sarebbe implici-tamente valutata a un livello inferiorerispetto alle escursioni alpine, sia dalpunto di vista della bellezza dell’ambien-te che da quello dell’impegno richiesto edelle capacità tecniche da mettere ingioco, perciò dell’appagamento. Un taleraffronto non è corretto, proprio comenon lo è, più in generale, il paragone tral’Appennino e le Alpi, trattandosi di dueentità, di due ambiti distinti, che implica-no modalità di approccio, di frequenta-zione e di fruizione dissimili, di due ordi-ni quindi forse non confrontabili, comun-que di pari dignità.

La “lunga marcia”

dell’ Alta Val NureTesto e fotodi Sergio Ravoni

A P P E N N I N O P I A C E N T I N O

42 gen./feb. 2008

A destra: La testata dell’alta Val Nure dal MonteOsero. Da sinistra: il Ragola, il Nero, il Bue, ilMaggiorasca e le Groppe.

Sentieri ombreggiati tra il M. Osero e il M. Aserei.

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Così all’uno e alle altre chiedo opportuni-tà, sensazioni e gratificazioni diverse.La “Lunga Marcia” prende avvio dai 766metri del Passo del Cerro in Comune diBettola. Attraverso i territori montani diFarini e di Ferriere, sempre in spondasinistra del torrente Nure, si conclude,supposto un passo “normale”, dopo circa8 ore e 33 chilometri di percorso, ai 1362metri del rifugio “Vincenzo Stoto”, gesti-to dal “Gruppo Alpinisti EscursionistiPiacentini” G.A.E.P. da sempre promoto-re e organizzatore dell’iniziativa.Il rifugio “V. Stoto” nei pressi del Passodel Crociglia, è sorto grazie all’opera cin-quantennale e tenace del volontariato deisoci, sui resti esigui dei muri della“Vecchia Dogana” di Luisa Maria. LaDuchessa la volle in sostituzione dellaprecedente in rovina, quale presidio eluogo di pedaggio per i traffici con laconfinante Liguria, appartenente alRegno di Piemonte.Sottolineo si tratta di Luisa Maria e noncome erroneamente ritenuto da molti, diMaria Luigia, la seconda moglie diNapoleone e sua predecessora, cui ilducato di “Parma e Piacenza” fu assegna-to in seguito alla “restaurazione” delCongresso di Vienna del 1815.

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La Dogana fu inaugurata nel 1852 e nonfu attiva se non per qualche anno perché,con la proclamazione del Regno d’Italianel 1861, non ebbe più ragione di esiste-re.Ha avuto più fortuna e vita più longevacome rifugio del G.A.E.P., non solo e nontanto come punto di arrivo della Marcia,quanto piuttosto per l’assidua frequenta-zione di cui è oggetto, soprattutto nei finesettimana e durante l’intero periodo esti-vo, per merito della disponibilità dei socie del comfort offerto dai suoi locali.Numerose anche le scolaresche cheapprofittano della sua ospitalità per leloro uscite di educazione ecologico-ambientale.Negli anni di esordio la “Lunga Marcia”,che si effettua con qualunque tempo,aveva luogo all’inizio di maggio, ma suc-cessivamente fu spostata all’ultimadomenica dello stesso mese allo scopo dievitare di trovare ancora neve o terrenofangoso e pozzanghere lungo il tragitto.L’escursione ufficiale si svolge, eccettua-to l’ultimissimo pezzo, seguendo ilsegnavia del C.A.I. n. 001, che costitui-sce il cardine del sistema sentieristicoappenninico piacentino, al cui traccia-mento il G.A.E.P. ha collaborato.

La testata dell’alta Val Nure appena a sud del Monte Osero. Da sinistra: il Nero, il Bue, ilMaggiorasca, le Groppe, il Crociglia, il Carevolo e il Cantone.

Qui sotto:Verso il Passo del Mercatello: la cuspide del M. Carevolo appare tra le fronde.

Segnaletica nei pressi di Ciregna.

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Si parte alla spicciolata, a cominciaredalle sette del mattino: dal Passo delCerro ci si incammina dapprima per unastrada sterrata in lievissima ascesa, inun paesaggio ancora collinare, dallavegetazione caratterizzata dallapresenza di querce, noccioli e robinia.Pur non trattandosi di una gara, comeesplicitamente sottolineano gliorganizzatori, c’è già chi si mette acorrere e passa davanti agli altri, condifficili superamenti quando il sentiero sifa stretto.Io suggerirei invece di adottareun’andatura rilassata, se non proprioblanda, liberando il corpo e la mente daogni velleità di primato per apprezzareappieno la bellezza e gli aromi dellanatura, esaltata dalla primaveratrionfante, nella quale si è immersi.Sui crinali del Monte Osero laprospettiva si apre e si allarga fino adabbracciare già, ancora molto lontano,l’anfiteatro montuoso che, dal MonteRagola (m 1711), attraverso il Nero (m1754), il Maggiorasca (m 1799), il Bue(m 1777), le Groppe e il Carevolo, daest a ovest sbarra a meridione l’alta

Valle del Nure: è là che si deve andare.La visione è di grande respiro e riempiel’animo a patto però di non pensare chedista ancora 27 chilometri…Siccome siamo sullo spartiacque èpossibile lasciar andare lo sguardo sia aovest (destra), che a est: nel primo casosi distinguono, tra gli altri monti, ilroccione della Pietra Parcellara,piuttosto alle nostre spalle, il Penice (m1460), il Lesima (m 1724) e l’Alfeo (m1631), che sormontano la valle delfiume Trebbia e, successivamente, più asud quella dell’Aveto. Sulla sinistrabasta risalire quei pochi metri checonsentono di toccare la cimadell’Osero (m 1301) per accedereinvece alla vista dei declivi chedigradano verso il solco del torrenteNure, giù in basso,tra Bettola e Farini.Al Passo della Cappelletta (1036 metri),davanti alla piccola chiesa, sono situatiil primo posto di ristoro e il primocontrollo (km 8 dalla partenza). Comesarà per tutti i controlli successivi, si haqui la prova dell’efficienzadell’organizzazione assistenziale: sonopresenti i sanitari volontari, la Croce

Rossa Italiana con ambulanza, ilSoccorso Alpino con relativo mezzo,l’Associazione Radioamatori conricetrasmittente, i “Falchi 4x4” confuoristrada, nonché alcuni componentidella Sezione sentieristica del CAI diPiacenza, che ha concorso allosvolgimento della manifestazione anchefornendo la squadra di chiusura.Si costeggia quindi un’abetaia e, dopoun breve tratto di strada comunale, siritrova il sentiero nel bosco, con il qualeci si inerpica sul fianco orientale del M.Aserei. Senza toccarne la sommità (m1431), passando a quota 1210, si entrain comune di Ferriere: subito riappare,a chiudere da sud l’intero orizzonte,

INFORMAZIONI

Il Passo del Cerro si può raggiungere daPiacenza, direzione sud, attraverso laValle del Nure, passando perPodenzano, Ponte dell’Olio e Bettola (m332, a 30 km da Piacenza). Da qui,oltrepassato il ponte sul Nure, unastrada sale a destra e in 7 chilometriporta al Passo del Cerro.Oppure, sempre verso sud, per la Valledel Trebbia, lungo la statale 45, perRivergaro, Travo e Perino (m 208, km32 da Piacenza). Da quest’ultimopaese, risalendo la Valle del torrentePerino, in 14 chilometri si è al Passo.L’Organizzazione predispone un serviziodi autobus, con partenza da Piacenza,per il Passo del Cerro e, per il ritorno aPiacenza, con partenza da Selva diFerriere.L’Organizzazione, oltre ai generi diconforto (biscotti, zucchero, limoni,integratori salini, the caldo) distribuitinei punti di ristoro lungo il percorso,all’arrivo al Rifugio G.A.E.P offre aipartecipanti brodo caldo, the, pane esalumi messi a disposizione da un notoSalumificio della Val Nure.A tutti i partecipanti che concludano lamarcia viene rilasciata la medagliaG.A.E.P, con diversa dicitura a seconda

che si tratti dell’escursione di 33chilometri o di quella di 11.Per ogni altra notizia riguardante la“Lunga Marcia” ci si può rivolgere aiseguenti recapiti:Presso “Bergamaschi Sementi”Piazza Duomo 31 - 29100 Piacenza Tel. 0523/324285 - www.gaep.itOppure, per le sole giornate del sabatoe della domenica, presso il RifugioG.A.E.P “V. Stoto” - Vecchia Dogana -Selva - 29024 Ferriere (PC)Tel. 0523/929300

l’immagine della barriera montuosadell’Alta Val Nure. Alla Fontana delFaggio (1300 metri. Percorsi Km 22) è posto il secondo punto di ristoro e dicontrollo.Dalle praterie dell’Aserei il sentiero siabbassa fino alla frazione di Ciregna (m1125), l’unico abitato attraversato dallaMarcia. Ci accolgono, seduti in unoslargo tra le case, alcuni anziani,silenziosamente interessati dal nostropassaggio, che produce un’insolitaanimazione nella monotonia della lorodomenica solitaria.Oltrepassata Ciregna, si risalefaticosamente verso il Groppo diLavezzera, aggirandolo, per sentiero

Cartello con l’itinerario in sintesi.Qui sotto: Il controllo del Passo del Mercatello.

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erto scavato e disagevole, dal versantenon dirupato, quello occidentale: sigiunge ai prati di una verde sella, dovealcune mucche e alcuni cavalli“bardigiani” si godono i primi giorni dipascolo brado della stagione.In direzione sud, ormai con l’immaginedella cuspide del M. Carevolo infrequente apparizione tra le fronde siscende al Passo del Mercatello (m1058, km 22 percorsi), il terzo posto dicontrollo, con tutto il suo apparatoristoratore e assistenziale. Perapprodarvi occorre attraversare l’arteriaprovinciale che qui transita, tagliando ilnostro cammino, per mettere incomunicazione la Val Nure con la Vald’Aveto. È da questo punto che inizia la“Marcia degli 11 chilometri”, ritagliataall’interno di quella completa di 33 perchi intende limitare a questo tratto,comune con gli escursionisti partiti dalPasso del Cerro, la propriapartecipazione.Si tratta della parte più faticosa, inquanto prevede la vetta del MonteCarevolo (m 1552), sfiorata dipochissimo, che costituisce il rilievo piùmarcato, il vertice dell’intero percorsoufficiale.Soprattutto è duro lo strappo finale,

poiché l’avvicinamento si mantiene alungo quasi pianeggiante, o a leggerisaliscendi, che non guadagnano moltaquota.Una strada che lasciando il Mercatelloben presto ritorna a essere sentiero,passa per una pineta e per la “PietraMarcia”, una sorta di cava abbandonatadove si ricavavano le “ciappe”, le lastredi pietra un tempo utilizzate per coprirei tetti delle case, proprio come si usavacon l’ardesia nelle Alpi.Si continua dentro ombrosi boschi difaggio, inframmezzati da pini neri, fino aimbatterci (quota 1216 metri) inun’iscrizione su legno che segnala lapresenza lì, nel medioevo, di un“hospitale” e di un oratorio a supporto econforto dei viandanti in pellegrinaggioda e per Santiago di Compostela.Passato il cartello il terreno comincia asalire, dapprima moderatamente. Poi ildislivello di 300 metri è divorato d’unfiato: la pendenza diventa sempre piùaccentuata e costante, mettendo a duraprova chi ha già nelle gambe 28chilometri e 7 ore di marcia. Si gode diqualche attimo di respiro quando sisbuca una prima volta fuori dal bosco,in vista di Rocca Borri e della prateriasommitale del Carevolo, incombenti al

quale si esce sui prati scoscesi checonducono alla cima del Carevolo. Daquesta elevazione il panorama èspettacolare e spazia a 360 gradi, dallapianura ai monti delle alte valli delTrebbia, dell’Aveto, del Nure e dell’Arda,spingendosi nelle giornate serene eterse fino alla vista del mare a sud edell’intera cerchia alpina all’orizzonteopposto. A nord-est dove il Nure piegaleggermente a destra si adagia attornoal suo ponte il nucleo abitato diFerriere, il capoluogo.Il tracciato però non tocca la punta,limitandosi a rasentarla sulla destra, pervalicare il Monte a quota m 1520.Fiancheggia una distesa di asfodeli, inpiena fioritura sui loro alti steli e calaripidamente alla prateria sottostante, aforma di schiena d’asino, per un nuovocontrollo.Si punzona, si beve una bevandazuccherata e si riprende il cammino peri 5 chilometri finali che ci separanodalla Vecchia Dogana.Se si ha ancora un po’ di birra, al biviodove il percorso stabilito per la“LungaMarcia” prende a sinistra il sentiero013, consiglio invece di mantenere lo001, che aggira da ovest il M. Crocigliae per un tragitto forse meno razionale

le brecce instabili dell’adiacente RoccaMarsa, muore nella Valle Tribolata in unpaesaggio irto di pinnacoli e spuntonirocciosi.Si sale brevemente a vista sulla sinistra,per pervenire all’apice del Crociglia (m 1578) e ammirare la bianca statuadell’Arcangelo Gabriele, sul cuipiedistallo una targa ricorda i cadutidella montagna piacentini e lodigianicon particolare riferimento alle tragediedi Pizzo Palù e del Brentei.Con la schiena alle spalle della scultura,direzione est, ci si abbassa a riprendereil segnavia 013, che ha aggirato daoriente il Crociglia, abbandonando lavariante per rientrare nel percorsocanonico. Con quello si arriva infine alrifugio del G.A.E.P, dove ha terminel’escursione. Ma non la camminataperché se non si dispone di mezzoproprio è necessario, trascurando lastrada asfaltata, riavviarsi ancora lungoil sentiero 013, fino ai 1100 metri diSelva, frazione del Comune di Ferriere.Da qui gli autobus dell’Organizzazioneripartono per Piacenza.Eravamo poco più di 300 per la Marciacompleta. Per quella ridotta erano circa250.

Sergio Ravoni

di sopra di una forra aspra e selvaticache scende nell’incassata valledell’Aveto.Si rientra brevemente nel bosco peraffrontare l’ultimo strappo, aiutati dauna corda tesa tra i faggi, superato il

ma più aperto e panoramico pervienealla solarità di ampi pascoli. Siamo dinuovo al cospetto della testata dell’AltaVal Nure, ora però vicinissima, le cuialture, le più elevate dell’Appenninopiacentino-ligure, costituiscono insiemealle loro propaggini,un parco naturaleche conserva espressioni di altanaturalità, nonostante la nota dideterioramento rappresentata da unastazione sciistica in abbandono sul M.Bue. In particolare lo sguardo è attrattodallo scivolo levigato e compatto dellaCiapa Liscia che, in netto contrasto con

Qui accanto: I prati sommitali delCarevolo.

Foto sotto: Franco all’arrivo al rifugio“Stoto” del G.A.E.P.

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dai colori di tanti fiori di cuinon conosco il nome, latavolozza è dominata dalgiallo della ginestrina, delrigoglioso lino campanulato,della ginestra, del senecio edell’eliantemo; è arricchitadalle policrome altissimepannocchie dell’erbaviperina; dal bianco dell’ericaarborea, della margherita, delcisto, dell’Anthericum e delCerastium utriense che iniziaa sbocciare nei suoiimpareggiabili cuscini; dalgialloverde chiarodell’euforbia; dal rosso

Luciano Paolini richiama lamia attenzione cosicchéfaccio in tempo ad ammirarel’elegante ricciolo della codadello scoiattolo prima chel’agile e simpatico roditorescompaia oltre il culminedella salitella. Stiamoprocedendo abbastanzaspediti nonostante il carico disabbia e cemento cheLuciano trasporta nello zaino.La faticaccia del giornoprecedente, quando oltre alcemento ed a sei litri d’acquaper l’impasto, abbiamoportato alla Roccia belvedereanche gli attrezzi: mazzuolo,punta, piccone, secchio,cazzuola, segacci, roncole ecesoie e trascinato ciascunoun pesantissimo borsone conla sabbia, è per fortuna soloun ricordo.Al guado del Rio Condotti,nei pressi delle costruzionidelle prese d’acqua, unripetuto grido acuto ci inducead alzare lo sguardo perindividuare il capriolo che loemette. Lo scorgiamo pocosopra, sul tratto di sentieropreso in affido dal CAISampierdarena. L’ungulatonon appare impaurito perchéprobabilmente si ritiene adistanza di fuga, resta fermoa lungo esibendosi nel suoelegante portamento e lanciaancora più volte il suo urloper segnalare la situazione dipericolo che noi

rappresentiamo.Riempite le bottiglie alruscello e caricatele nellozaino, procediamo risalendoil sentierino di raccordo conla Coletta di Termi, che èmantenuto aperto non soloperché rappresenta il percorsopiù breve per trasportaremateriale sugli itinerari disalita del Sentiero Frassatidella Liguria, ma ancheperché si spera di utilizzarloin futuro come parte del terzocircuito, quello da dedicarealle scolaresche delleelementari.

Un vistoso cespuglio di Iberisdall’acceso color lilla suscitail mio interesse ed il minorcarico oggi trasportato, miconsente di apprezzare inmodo più completol’esplosione della fiorituracon cui madre natura inizia acancellare le enormi feriteinferte all’ambiente daldoloso incendio del febbraio2005. Il pendìo è punteggiatodai tronchi neri dei pini chetestimoniano lo scempioavvenuto e da più di un annoperpetuano un grido di doloreche è anche nostro. Oltre che

Testo e foto diPiero Bordo

Sentiero Frassatidella LiguriaColori, profumie suggestioni

46 gen./feb. 2008

Qui sopra: Il Santuario di N.S. di Acquasanta e la parte iniziale del Sentiero. In alto: Cuscino di Cerastio utriense presso il guado del Rio Condotti.

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purpureo della scabiosa; dalvioletto della viola a gambolungo e dal rosa carico delladafne odorosa che contendeall’erica il pregio di quellaprofumatissima aria cherespiriamo a pieni polmoni eche allieta il salire. Il dittamoè in boccio ed è con gioia cheprima, alle prese, hoverificato che anche la felceflorida si è salvatadall’incendio ed i suoitrofofilli iniziano a maturare.Pure gli ornielli ed i sorbimontani superstiti

contribuiscono con le lorofioriture ad abbellirel’ambiente roccioso ed arallegrarci. L’esplosione dellavita, resa evidente dallagemmazione e dalla fiorituradelle piante, è un messaggioaltamente spirituale checontribuisce a rappresentarela presenza del sacro nelmondo, che io contemplo consentimenti di riconoscenza,contento di esistere.La temperatura più miterispetto a ieri quando durantel’attività manuale abbiamo

dovuto indossare maglione egiacca a vento, rende menodifficoltoso lavorare. Nelle pause contempliamol’affascinante spettacoloofferto dall’avifauna; i solitifalchetti, uno stormo diuccelli, che non sono stato ingrado di identificare, che sisposta da monte a marecompiendo ripetute voluteche mi fanno ritenere sia unsistema adottato perdifendersi dai predatori. Ma le esibizioni più belle leoffrono le poiane cheripetutamente in gruppi più omeno numerosi sino a bennove esemplari, vengonosulle nostre teste a farsiammirare nei loro elegantivolteggi.Nel tempo in cui non svolgole funzioni di “bocia”, ioprovvedo a ripulire il terrazzonaturale della Rocciabelvedere ed i suoi immediatidintorni da tutti gli arbusti edi pini bruciati, estirpo alcuniceppi di erica e, nel temporimanente, provvedo atriplicare in larghezza untratto di sentiero in direzionedella Coletta.Luciano completa il sedile inpietra e lo livella col cemento(era questo l’obiettivoprincipale delle uscite dilavoro), che risulta misurareben 130 cm e pertanto

consentirà di riposare a trepersone adulte oppure a dueadulti ed a due bambini iquali potranno depositare iloro viveri sul capace ripianodi roccia che affianca ilsedile. Dal terrazzo belvedere, 425m, il panorama che si ammiraè vastissimo: parte dal mare,dai due promontori di CapoMele e del Capo di Noli,dall’isolotto di Bergeggi edopo un giro quasi completotermina con la splendidaimmagine della turrita PuntaPietralunga 664 m cheincombe su di noi.Il sito ha anche il pregio diessere uno dei posti ideali pergodere dei famosi tramontiofferti dalla Riviera ligure di

ponente. Sia in invernoquando il sole tramonta a SW(237° circa), dietro il MonteCarmo di Finale 1389 m checon la sua forma tozzacaratterizza il crinale che dalmare sale alle Alpi Liguri.Sia in primavera ed autunnoquando tramonta ad occidentedietro i monti del Beigua: dalMonte Pennone 801 m alcaratteristico Bric del Dente1107 m, passando per il BricPigheuggio, i due MontiTardia, la Gava (oltre la qualesi vede sia la Costa Suddell’Argentea, sia il BricCamulà), il Monte Reixa1183 m e il Faiallo. Sia infinein estate quando tramontandoa NW (302° circa) dietro irilievi del Turchino, il sole

La Punta PIetralunga dalla Sella Suiassa.

Qui sopra: La punta Martin, 1001 m, dalla Punta Pietralunga; 664 m.In basso: Pietro Guglieri, AE del CAI Bolzaneto, durante la realizzazione della segnaletica.

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incendia con i suoi ultimiraggi la Baiarda creandoun’atmosfera ricca disuggestioni.Il panorama è completato asettentrione dal crinale chedall’ex cartiera Baiarda siinnalza alla Leixea, alla Goladel Prete (poco a destra dellaquale c’è il Nord), poi allaRocca Calù e culmina con laPunta Martìn 1001 m. A NEsi trovano le cave di pietra diAcquasanta, dominate dallaPunta Pietralunga 664 m, edallo spiazzo si individuaanche parte dell’itinerarioalpinistico che dalle cave saleal Costolone Baiardetta; la“via” è stata dedicata alcelebre Whymper, ilconquistatore del Cervino,perché la cresta su cui sidipana ha ricordatoall’alpinista genovese GinoMusso quella del “nobilescoglio”.È senz’altro da un luogocome questo checompiacendosi di quantovedeva, lo scrittore ligureVittorio G. Rossi (1) ha

maturato la convinzione che,nonostante l’alquantoeconomica materia prima dicui disponeva, costituita dapietra, mare e boschi, inLiguria il buon Dio abbiasaputo dosarla con risultatieccellenti.

NoteRingrazio l’amico Mario Codebò per ilcalcolo dell’azimut del tramonto del soleai solstizi.1 - L’uomo e il mare, Ed. Tigullio,pagine scelte di Vittorio G. Rossi a curadi Marco Delpino ed Arturo Mencacci.

Pier Giorgio Frassati

Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901 daAdelaide Ametis e da Alfredo Frassati, di stirpe biellese,fondatore e proprietario del giornale “La Stampa”, che saràsenatore del Regno ed ambasciatore a Berlino. Pier Giorgioè secondogenito, ma la sorellina Elda morì a soli otto mesi,prima della sua nascita. Nel settembre 1902 nasce la sorel-la Luciana, che nella gioventù gli sarà saggia consigliera eprezioso appoggio e che nel 1925 andrà sposa a JanGawronski.La nonna materna, Linda Copello, genovese, aveva lavora-to per molti anni con il fratello ingegnere alla galleria delFréjus, sposò Francesco Ametis, biellese, che con i rispar-mi del suo lavoro in Perù si costruì una villa a Pollone, sullependici meridionali del Monte Mucrone a poca distanza dalsantuario mariano di Oropa.Pier Giorgio all'età di diciassette anni si iscrisse alle Sezionidi Torino sia del Club Alpino Italiano che della GiovaneMontagna perché amava profondamente la montagna chesentiva come una cosa grande, un mezzo di elevazionedello spirito, una palestra dove si tempra l'anima e il corpo.Pier Giorgio Frassati muore il 4 luglio 1925, a causa di unapoliomielite fulminante quasi certamente contratta, comeaffermò Guido Piovene, «assistendo un altro malato povero,a insaputa dei suoi, e forse lo vide morire». Fu sepolto aPollone nella tomba di famiglia. La sua salma fu riesumatanel 1981, quindi traslata nella cattedrale di Torino che è

anche custode della Sindone.Per l'alto valore della sua vita terrena il 20 maggio 1990 fu dichiarato beato da Giovanni Paolo II che di lui disse:«Basta dare uno sguardo sia pure rapido alla sua vita,consumatasi nell'arco di appena ventiquattro anni, percapire quale fu la risposta che Pier Giorgio seppe dareall'invito di Gesù Cristo “Vieni e seguimi”: fu quella di ungiovane moderno, aperto ai problemi della cultura, dellosport, poi alle questioni sociali, ai valori vari della vita, edinsieme di un uomo profondamente credente, nutrito delmessaggio evangelico, solidissimo nel carattere,appassionato nel servire i fratelli e consumato di un ardoredi carità che lo portava ad avvicinare, secondo un ordine diprecedenza assoluta, i poveri ed i malati».

Pier Giorgio era un giovane virtuoso che, pur avendo unavita normalissima, ha saputo esprimere la sua santitàsoprattutto aiutando i poveri. Nonostante sia un grandepersonaggio, lo sentiamo vicino a ciascuno di noi perché èun santo imitabile e questo fatto ci infonde coraggio.Approfondire la figura del beato è facile perché molte sonole testimonianze dirette raccolte in numerosi volumi biogra-fici. Per un primo approccio si consiglia l'economico fasci-coletto di Ubaldo Gianetto, edito dalla ELLE DI CI, diLeumann (TO), nella collana Eroi.

a cura di Piero Bordo

Qui sopra: La Cappellina sul Costolone Baiardetta.In alto: Il tratto del Sentiero dalle Cave alla Roccia Belvedere.

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CIRCUITO PERESCURSIONISTISegnaletica: Ai bivi bandierina rosso bianco rossocon nel bianco la lettera F in neroLungo il percorso striscia bianca sustriscia rossa

Sviluppo1° tratto: Santuario N.S. di Acquasanta(Comune di Genova) 163 m - Stradavicinale Pezzolo - Passaggio a livellodella linea ferroviaria Genova-AcquiTerme 214 m - Piano Pezzolo - Vallettadel Rio Baiardetta - Strada vicinalePezzolo-Gazeu, sede dell’antica lineaferrata a scartamento ridotto(Decauville) di servizio delle cave di pie-tra di Acquasanta (bielenite) - Gazeu290 m (ore 0.25). Manutenzione in affi-do al Gruppo Escursionistico Pegli(Genova), affiliato alla F.I.E. Segnaleticain affido alla Commissione Sentieri delCAI Bolzaneto.2° tratto: Gazeu - Fontanìn 410 m (ore0.15 - 0.40). In affido alla Sezione diGenova della Giovane Montagna.3° tratto: Fontanìn - Cave 430 m -Roccia Belvedere 425 m - Coletta diTermi 420 m (ore 0.15 - 0.55). In affidoalle Commissioni Alpinismo giovanile eSentieri della Sezione del CAI Bolzaneto(Genova).Possibilità di visitare, muniti di torciaelettrica, la galleria di mina della cavaprincipale che, ad eccezione del periodocentrale dell’estate, termina con unlimpido laghetto. Calcolare 5-10 minutiin più.

4° tratto: Coletta di Termi - SellaSuiassa 493 m - Sella Ovest PuntaPietralunga 575 m - Punta Pietralunga664 m - Cappellina 703 m (ore 0.45 -1.40). In affido alla CommissioneSentieri della Sezione Ligure del CAI(Genova).5° tratto: Cappellina - Moccio 530 m(ore 0.20 - 2.00). In affido al GruppoEscursionistico della Polisportiva PràPalmaro (Genova).6° tratto: Moccio - Valletta del RioCondotti (due guadi) - Colla 318 m (ore0.25 - 2.25). In affido alla Sezione delCAI Sampierdarena (Genova).7° tratto: Colla - Stazione ferroviaria diAcquasanta 215 m (strada asfaltata) -Santuario N.S. di Acquasanta 163 m(pedonale comunale) (ore 0.20 - 2.45).La segnaletica di questo tratto è statapresa in affido dalla CommissioneSentieri della Sezione Ligure del CAI.

CIRCUITO PERESCURSIONISTI ESPERTISegnaletica:Ai bivi bandierina rosso bianco rossocon nel bianco la sigla alfanumerica F1in nero. Lungo il percorso strisciabianca su striscia rossa.

Genova e della Sottosezione CAI ULESestri Ponente (Genova).Tratto C: Cresta settentrionale - percor-so attrezzato con 160 m circa di cavi diacciaio (0.10 - 1.20). In affido allaScuola di alpinismo “Bartolomeo Figari”della Sezione Ligure del CAI.Tratto D: Canalone tra la Cresta setten-trionale ed il Torrione del Gran DiedroGozzini - Colletto superiore del CostoloneBaiardetta 705 m - Cappellina 703 m(ore 0.10 - 1.30). In affido allaSottosezione del CAI ULE di GenovaSestri Ponente Consigliate le seguenti deviazioni perammirare:- il panorama dal Terrazzino inferioredella Cresta settentrionale, 629 m, che sitrova sopra lo Spigolo del secchio e sottola Parete dei due chiodi. Calcolare 5minuti in più.- la Forcella d’uscita del Canalone deiBriganti 685 m. Calcolare 5 minuti in più.- la statuetta della Madonna, sul Torrionedel Gran Diedro Gozzini 692 m,gratuitamente scolpita dall’artistasestrese Valdieri Pestelli in marmo rosadel Portogallo, acquistato dalle Sezioni eSottosezioni genovesi del CAI. Calcolareulteriori 5 minuti in più.

SviluppoDal Santuario N.S. di Acquasanta sino aFontanìn, come da circuito perEscursionisti.Tratto A: Fontanìn 410 m - vicinalePezzolo-Cian do Seso - 1° guado del RioBaiardetta - Masso del Ferrante 452 m(ore 0.10 - 0.50). In affido alla Sezione diGenova della Giovane Montagna.Tratto B: Masso del Ferrante - 2° guadodel Rio Baiardetta - attraversamento indiagonale della palestra naturale diarrampicata “Baiarda” - prime roccedella Cresta settentrionale del CostoloneBaiardetta 610 m (ore 0.20 - 1.10). Inaffido alla Scuola di alpinismo “EnnioDallagiacoma” della Sezione CAI ULE

Agli Escursionisti Esperti si consiglia diraggiungere la Punta Pietralunga 664 m,che con la Cappellina, costituisce unadelle due mète del Sentiero Frassati dellaLiguria, anche per godere del vastopanorama sulla Riviera di Ponentecaratterizzata dalle geometrie dell’Isola diBergeggi e di Capo Noli. Si suggerisceagli Escursionisti Esperti di scendere perl’itinerario di salita degli Escursionisti,potendo così sia visitare le cave, siagodere dei magici colori della Baiarda altramonto.

Piero BordoCoordinatore del Sentiero

Frassati della Liguria

Sotto a sinistra: Le cenge dellacresta settentrionale del Costolone

Baiardetta salite dal Sentiero.

Il “becco d’anatra” sul Costolone Baiardetta; sullo sfondo il Monte Dente.

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Credere in un sogno

“I have a dream”. Molto spesso ho pensa-to a questa frase di M. Luther King, quan-do fantasticavo su come trasformare unrincorrersi di idee e di immagini concre-te. Senza sogni non è possibile fare pro-getti. Quest’anno ho smesso di fantastica-re e ho iniziato a concretizzare la visionedi ciò che è possibile creare quando laforza del pensiero diviene realtà e quandoaltre persone vogliono condividere ilsogno con te. Si genera così un processodi spinta interiore che cresce come un’e-nergia sempre più forte, irresistibile.Così si è realizzato il sogno più bello chead un uomo di montagna possa capitare:organizzare e salire una cima dove l’uo-mo non ha mai messo piede. Sono presidente della sottosezione diEsino Lario (Sezione CAI Premana). Unpaese di 700 anime nel cuore dellaGrigna chiamato dall’Abate AntonioStoppani: “la Perla delle Grigne”.Abbiamo fondato la sottosezione nel1982 e ora conta ben 225 iscritti. Sonoventicinque anni che lotto per far in modoche qualcuno diventi un alpinista. Moltiiscritti preferiscono le passeggiate, leserate in rifugio piuttosto che fare delleascensioni, solo qualcuno ama salire lecime anche se non è un alpinista con la“A” maiuscola. Salire una montagna è come aprire unaporta attraverso la quale si esce dalla real-tà di ogni giorno e si entra in una realtàinesplorata che assomiglia ad un sogno.Finalmente l’occasione: il XXV. L’idea:“salire una cima inviolata”. Ma dove?Non certo in Italia. Con che difficoltà?Quando il terreno è vergine chi può cono-scere le insidie del cammino?

La scelta cade sulla Cordillera Blanca inPerù. Ho degli amici nel CallejonHuaylas, la valle del Rio Santa, aMarcarà i volontari dell’OMG tra cuiGian Carlo Sardini coordinatore delleGuide Don Bosco.Prendo contatti e sono loro ad indicarmiche nella zona tra l’Hualcan e il Copa cisono delle quote segnate in cartina nonancora salite. Nel 2003 tre aspiranti guidaOscar Sanchez, Eder Sabino e MaximoEspinozae hanno salito la quota 6850dando il nome alla montagna : “Cerro DeCensi”, in onore di padre Ugo, fondatoree animatore, ancora oggi alla tenera età di80 anni, dell’OMG.

Appena a destra del “Cerro De Censi” viè una quota 5645 e mi assicurano che nonvi sono difficoltà alpinistiche.È fatta, l’idea prende piede. La via non èdata ma va inventata e la si inventa men-tre la si percorre sapendo di commetteredegli errori. Nascono così due fattoriemozionali importanti: il fascino dell’av-ventura e la paura, ma come dice AnatolFrance: “Per compiere grandi passi, nonbisogna solo agire, ma anche sognare,non solo pianificare ma anche credere”. Enoi abbiamo veramente creduto e il sognoè divenuto realtà.Siamo in otto e cinque sono alla primaesperienza extraeuropea e sappiamo di

50 gen./feb. 2008

di GuidoBarindelli

Ande PeruvianeUna cima per il CAI Val d’Esino

Veduta panoramica con il tracciato della salita. In alto: Incontri nella valletta di Callejon Huaylas.

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poter contare sull’organizzazionedell’OMG che si rivelerà ottima ed effi-ciente in tutti i sensi.E il 5 agosto eccoci immersi nella vallatadi Callejon Huaylas; dal finestrino del-l’autobus osservo un mondo che mi passaaccanto e sono incapace di trovare paroleper descrivere le molte suggestioni chemi riempiono l’anima. Ai miei occhi dioccidentale sembra non esistere nulla dinormale, e tutto ciò che mi circonda sem-bra uno scenario di un romanzo e miemoziono ad ogni nuova sorpresa.Con i nostri sacchi di 40 Kg circa scen-diamo dopo 8 ore di bus a Marcarà, l’im-patto con la realtà di quella terra per qual-cuno di noi è emozionante. I poveri nonhanno l’idea di cosa voglia dire esserericco, ma un ricco dimentica sempre cosavuol dire essere povero; ci si arricchisceattraverso le differenze e la nostra culturafa fatica a convivere con le differenzementre bisogna imparare a viverle.Andare è scoprire la vita della gente, èlasciarsi mettere in discussione; nonserve dare giudizi, occorre un atteggia-mento di osservazione, di rispetto, diascolto. Questo viaggio non è solo la sco-perta di luoghi nuovi, ma un’ occasione diincontri, di esperienze, emozioni che pos-sono arricchire e più vai lontano e piùentri dentro di te. Anche perché nellanostra vita presente non c’è nulla chevalga i luoghi e gli attimi vissuti duranteil percorso.

L’accoglienza alla casa delle guide DonBosco è ottima e vi è un’ atmosfera digrande pace, tranquillità e cortesia.L’ospite è al primo posto, non vi sonotariffe, ciascuno lascia ciò che sente dipoter dare e il tutto è poi utilizzato per ipoveri.Gian Carlo ci assegna Oscar, aspiranteguida, che rimarrà con noi tutti i giorni ecosì iniziamo l’acclimatamento: rifugioHiscinca, bivacco Longoni, rifugio Perù ela cima del Pisco.E il 13 agosto alle sette del mattino ecco-ci a muovere i primi passi verso l’ignoto.Dopo aver percorso con un minibus circadue ore di strada sterrata superando i vil-laggi di Copa Grande e Copa Cico, abita-ti da gente molto povera, giungiamo aquota 3810. Il sole ha appena indorato lecime, i nostri zaini non sono pesanti. Il camminare ci dà la possibilità di pensa-

re, di osservare i bellissimi fiori, le bel-lezze dell’ambiente e tutti quei panoramiche hanno bisogno di essere guardati per-ché belli, di fare incontri che arricchisco-no gli occhi e la vita. Sono quelli con lagente che abita questa terra e queste mon-tagne e sui loro visi si può notare quantofatichino per sopravvivere. Di fronte adun bimbo, sporco mal vestito, infreddoli-to che mi guarda e sorride, mi chiedo: “èDio che ha fatto esistere tutto questo? …,e la voglia di andare, di conoscere cosac’è dietro l’angolo o nel cuore delle per-sone diventa un impulso irrefrenabile,difficile da controllare. Vorrei sempreviaggiare….Alle 12,30 arriviamo alla prima meta: ilcampo, quota 5140 metri.Con Oscar e Roberto ero salito due gior-ni prima per trovare un itinerario senzagrosse complicanze e avevamo costruito

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Qui sopra:Cerro De Censi a sinistra e Cerro Esino a destra.

Qui accanto:i bambini di Copa Cico.

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degli ometti di pietra come segnavia.Superata la fascia di pascolo, con infinitisentieri fatti dalle bestie, ricoperta dakinuales, si sale poi su roccia liscia e levi-gata dal ghiacciaio che ora è risalito aquote più alte, (molto facile).Il campo viene posizionato, lo si puònotare anche in cartina, su un cuneo diroccia situato tra il ghiacciaio che scendedall’Hualcan e il Glaciar Kinzl.La visione sulla vallata è stupenda e ilpanorama che ci circonda arresta il respi-ro. Un anfiteatro di cime, di neve, dighiaccio, di seracchi sospesi quasi nelvuoto. A destra abbiamo una visione suidue Huascaràn, subito dietro vi è ilChopicalqui, alle spalle vi è Ulta,l’Hualcan, il Cerro De Censi che dominasopra di noi e a sinistra il ghiacciaioKinzl. Un componente del gruppo, con ilvolto raggiante di gioia e alla sua primaesperienza extraeuropea, di fronte a que-sto spettacolo mi dice: “non potevamoscegliere un posto migliore per il nostroXXV”.Il tempo è bello, non fa freddo e c’ècalma di vento. Qui ci raggiungono i por-tatori e il cuoco. Dapprima montiamo latenda cucina e poi le nostre. Il tramonto cidà la possibilità di scattare numerosefoto. Panorami incredibili, irreali. Nellatenda mensa il fornello ha innalzato latemperatura e si sta bene, decidiamo dichiamare il campo “Campo Amici” everso le otto siamo tutti all’interno delsacco a pelo a “contare le pecore”. È laprima notte ad una quota così alta e per

qualcuno dormire non è facile. Mentretento di addormentarmi mi tornano allamente le parole di uno dei più giovani delgruppo e alla sua prima esperienzaextraeuropea. Alla domanda perché seiqua? Cosa vuol dire per te salire le mon-tagne? Aveva risposto: “Per sfidare mestesso e provare le mie capacità. Salire èsfidare se stessi ad arrivare in fondosenza perdersi, né voltarsi nel rispettodelle proprie possibilità. Esperienze diquesto tipo portano ad una conoscenzaprofonda di noi stessi”. Pensavo: “cosìgiovane ha già la risposta a ciò che iocerco da anni”.E il 14 agosto ore 7,00 si parte. Siamo incammino verso l’ignoto, sul volto di tuttianche degli amici aspiranti guida donBosco sembra stampato un interrogativo:“riusciremo?”. Che difficoltà incontrere-mo? Le uniche che ci hanno ostacolato il

cammino sono state la neve troppo soffi-ce, la crepaccia terminale e i primi 50metri di cresta con una pendenza di 35°-40°.Superata questa semplice difficoltà ci siritrova sulla cresta finale ma il vento quiè il padrone assoluto, le raffiche sonomolto energiche, rabbiose, sembrano incollera con noi, il passo diventa lentissi-mo; occorre camminare a quattro zampe,la voglia è di desistere, ma no, non è pos-sibile. Un ultimo sforzo prima dell’enor-me emozione.Alle 9,30 raggiungiamo la vetta, il ventoè fortissimo; è praticamente impossibilerimanere in piedi, forse qualcuno prega-va. Infatti l’uomo senza Dio è più poverodei poveri. Una forte stretta di mano, unabbraccio, qualche lacrima di gioia. Labandiera Italiana e il gagliardetto delCAI, dell’ANA e quello del comune di

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Qui accanto:Tramonto dal Campo Amici.

Foto sotto:Salendo alla cima nella neveinconsistente.

A fronte, sopra:L’ultimo pendio sotto la crestadella vetta, e, in basso, la metanon raggiunta.

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Esino Lario sventolano, il vento ce livuole strappare ma noi li teniamo strettitra le mani, a fatica riusciamo a fare qual-che ripresa e delle foto. Unanimi decidia-mo di chiamare questa quota “CerroEsino”. È lo sforzo, quello duro, prolun-gato, che porta a cambiamenti interiori.Accadono strane cose in alta montagna, avolte questo costante dialogo interno siferma e crea degli spazi tra i pensieri e sigustano dei grandi momenti di pace e ilmondo ti entra dentro e ti possiede, ognirespiro è un’esperienza nuova. Malloryalla domanda: “Cosa abbiamo vinto” harisposto: “Nient’altro che noi stessi”.Salgo in alto per guardare dall’alto versoil basso o meglio vorrei guardarmi den-tro, nel mio profondo nel tentativo diconoscere me stesso.Alle 12,00 siamo di ritorno al “CampoAmici” il morale è molto alto anche se lafatica, il freddo e il fortissimo ventodomineranno per tutto il giorno e anche lanotte.15 agosto alle 4,30 sveglia e tra una raffi-ca e l’altra alle 6,00 riusciamo a partire.La meta: una cima a destra del nostroCerro Esino, un triangolo, una piccolapiramide e speravamo di fare un secondocolpo, ma l’ignoto non ci ha dato il lascia

passare. Una grande crepaccia terminalecirconda questa cima ancora inviolata.Sconforto, rabbia, continuiamo a cercareun passaggio, niente. Intravediamo unpunto dove sembra esserci un ponte, nonsi riesce a mettere un ancoraggio tutto èinconsistente la piccozza penetra nellaparete che sta al di là della crepaccia, enon solo la piccozza entra ma anche ilbraccio. Che fare? È tutta neve accumula-ta dal vento e sotto c’è il vuoto, quantimetri? Non sappiamo, giù è buio, diffici-le valutare. A malincuore decidiamo dirinunciare, facciamo ancora un tentativoin mezzo a due seracchi, niente da fare. Alle 12,30 siamo di nuovo al “CampoAmici”, il vento è sempre il padrone diquesto posto. Verso il tramonto sembrache il vento voglia portarci a spasso consé, sembra di sentire una voce che dice:“andateveneeee … È un bisbiglio caricodi magia che noi uomini del terzo millen-nio abbiamo dimenticato. 16 agosto al sorgere del sole decidiamo discendere, alle 10.30 lasciamo il “CampoAmici”. Man mano che scendiamo ilvento cessa di intensità. Mentre cammino mi infastidisce unadomanda che in questi giorni era semprelì nella tormenta dei pensieri nella mia

testa. Provo di nuovo a scacciarla,ma piùla evito, più è lì a torturarmi.“Perché salire le montagne”? Da anniscappo di fronte a questa domanda, mami insegue. Ho provato a rispondere maho dei dubbi. Forse avevo bisogno diquesta esperienza per trovare una rispo-sta. Certo è la mia prima esperienza diorganizzatore per salire una montagnainviolata e questo facile o difficile pre-senta sempre delle incognite ma l’uomoha dentro di sé il coraggio per compierequesti passi verso l’ignoto e ho scopertocosì che le montagne da scalare sono den-tro di noi. L’andare in montagna è un

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viaggio dentro sé stessi. Gli scenari cheavevo attorno a me possono essere para-gonati agli scenari esistenziali, alle diffi-coltà della mia giornata di routine. La ritengo quindi un’ avventura nellaricerca e conoscenza di sé stessi, ma èanche un’avventura nella conoscenza del-l’altro e dell’ambiente. L’andare in mon-tagna è un interrogarsi dentro, è un cam-minare in mezzo ai crepacci, ai seracchi ealla foresta dei sentimenti. La montagnanon è più un qualcosa da cogliere ma unpercorso di vita. La montagna rivelaall’uomo la sua verità, quella di essereuna piccola creatura, ma Dio gli ha datoun dono: l’anima. Quindi la capacità di

autocoscienza, di commuoversi, diammirare e di amare. La montagna aiutaa gustare che al di là della cultura delconsumismo esistono tesori nascosti,momenti preziosi che valgono la pena diessere scoperti e vissuti. La montagna e igrandi spazi sono uno specchio in cuiriflettersi per meglio conoscersi.Abbiamo sperimentato salendo in quotaquel senso di piccolezza che ti assaledavanti alla vastità degli spazi. Qui si sadi essere parte di un tutto e sento che tuttociò che mi circonda è parte di me. Misento vivo e sono felice di esistere.Tra un pensiero e l’altro, passo dopopasso mi ritrovo a quota 3810 metri dovec’è il minibus che ci aspetta.Abbiamo vissuto momenti indimentica-bili, siamo stati ancora una volta stregaticome solo la montagna sa fare …

INFORMAZIONI GENERALIPunto di riferimento e di appoggio per l’organizzazioneè stata la Casa delle Guide Don Bosco (OMG) diMarcarà. Dotata di ampie strutture per gli ospiti,dove abbiamo soggiornato e ci è stato fornito anche ilmateriale necessario per la salita.Coordinatore della scuola delle Guide don Bosco en losAndes de Marcarà - Ancash - Perù è Giancarlo Sardini.Tel. 0051 (0)43-443061 e-mail: [email protected]

CARTOGRAFIACartina 1:100.000 dell’ Alpenvereinskarte. 0/3aCordillera Blanca Nord (Perù)Carta Nacional 1:100.000 Carhuaz -Departamento deAncash-Perù Hoya-19-hPrimiera Edicion levantado por el Instituto Geograficomilitar, Lima-Perù: 1970-71

DESCRIZIONE DELLA SALITASi sale lungo la strada che da Marcarà porta a CopaGrande, si prosegue per Copa Chico e lasciata lapiazza sulla sinistra si prende la caretera a destra,

raggiungendo, dopo circa 2 ore di bus, il limitare di uncrinale: quota 3810m. Salire a piedi il crinale fino aquota 4150m. deviare verso sinistra entrando nelvallone (tracce di sentiero). Attraversato il valloneproseguire verso sinistra salendo leggermente leplacche fino a trovare un torrente. Mantenersi a destradi questo, e quando si trova un piccolo pianoro cercareun guado. Indi salire il ripido pendìo passando sottouna bastionata di roccia fino a quota 4400m.Proseguire verso sinistra ed attraversare un secondotorrente e di nuovo salire un ripido costone (tracce disentiero) 4770m. Mantenersi leggermente sempreverso sinistra zizzagando in cerca dei passaggi piùsemplici attraverso le placche fino a raggiungere quota5140m. Semplice da individuare in quanto al di là delcrinale vi è la seraccata che scende dal Hualcan e dalCerro De Censi e questo cuneo di roccia entra nelghiacciaio Kinzl. Qui vi è acqua e una roccia benpianeggiante per allestire il campo. Dal campo Amici sisale sul ghiacciaio tenendosi verso destra, qui ladifficoltà è trovare un passaggio attraverso i crepacci.Nel pianoro sopra mantenersi in direzione centrale allacima, arrivati alla crepaccia terminale deviare a sinistrain vicinanza della cresta, qui è possibile trovare unpassaggio. Indi salire la cresta che in questo punto ècirca 35°-40° per circa 150 metri poi il pendìo si fapiù dolce fino alla cima.

Hanno partecipato alla spedizione: Pier Carlo Barindelli, Paola Barindelli, GiovanniViglienghi, Fabio Viglienghi, Dell’Era Roberto, GiuliaSabadini, Guido Barindelli del CAI Val d’Esino, MatteoGnecchi CAI Lecco, Dario Tam. Oscar Alberto Sanchese Elias Flores aspiranti guide Don Bosco e tutti iportatori che, con la loro disponibilità, hannocontribuito a creare un clima sereno.L’autore è disponibile per eventuali serate di proiezionicon lo scopo di raccogliere fondi per i progettidell’Operazione Mato Grosso.Guido Barindelli 338 3481052 - 0341 [email protected]

Guido Barindelli(Sezione di Esino)

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La mappa della zona con il tracciato della spedizione.

Il Campo Amici e, a destra, in vetta al Cerro Esino.

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INTRODUZIONELe rocce, mattoni costruttori di montagnee falesie, sono l’elemento essenziale e lasostanza che alimenta la fantasia degliarrampicatori e gli alpinisti che su di essesviluppano la loro avventura verticale. Manon solo, la roccia è sotto di noi in ognimomento ed è il substrato di ogni cosa eattività che avvenga in terra ferma.Le rocce entrano a far parte dell’esperien-za dell’alpinista e dell’arrampicatore chene scopre e ne interpreta le caratteristiche,è materia che si presenta in forme e coloridiversi, fa variare le linee e le modalitàdell’arrampicata ma anche le caratteristi-che del paesaggio circostante.Forse pochi sono gli arrampicatori che sisono occupati di capire nell’intimo la natu-ra e l’origine delle diverse litologie cheesistono sul nostro pianeta. Si presupponeche questo sia argomento per i geologi, main realtà capire come una roccia si sia for-mata apre un appassionante mondo e svelauna lunghissima storia che può essereinteressante per chiunque ami la natura esia affetto dalla curiosità. La geologia nonè da considerare una materia oscura edostica ma, se approcciata nei giusti termi-ni, descrittiva e interpretativa di una granparte del nostro pianeta e può essere com-presa da tutti. Le rocce infatti si differen-ziano per aspetto ma anche per “compor-tamento” dipendentemente dalla loro ori-gine, e l’arrampicatore percepisce tali dif-ferenze sulle proprie mani, attraverso ilcontatto, e sul proprio corpo, mediante imovimenti e gli sforzi che gli sono richie-sti per muoversi su questo elemento.

STORIE DI ROCCE E DI SCALATORII diversi processi di genesi conferisconoalla materia litica caratteristiche moltodiverse, in buona sostanza si tratta di tregrandi tipologie di processi genetici: sedi-mentari, magmatici e metamorfici da cui sioriginano tre famiglie che logicamente si

chiamano rocce sedimentarie, rocce mag-matiche e rocce metamorfiche.Cercheremo di capire in modo diretto cherelazione c’è tra la genesi di un tipo di roc-cia, le sue caratteristiche e l’arrampicata.Nell’esperienza degli arrampicatori alcunitipi di materiali non entrano mai a far parteproprio perché non presentano qualità ido-nee ed essenziali affinché questo sportpossa essere praticato, nonostante ciò, unamoltitudine di rocce ben si presta ad esse-re arrampicata.

Rocce sedimentarieLe rocce sedimentarie nascono dallosmantellamento di formazioni geologichegià esistenti. Le montagne e i rilievi, cometutte le terre emerse sono sottoposte all’a-zione erosiva degli agenti atmosferici,questa azione stacca frammenti di rocciada quello che è un corpo compatto, madiscioglie anche chimicamente una parte.I frammenti e la materia in soluzione, perazione della forza di gravità scendonoverso il basso fino a raggiungere, nellamaggior parte dei casi, il mare, qui sidepositano, sedimentano (da cui il nome dirocce “sedimentarie”) e attraverso lunghiprocessi di litificazione, si trasformano inammasso solido. Se l’accumulo è di fram-menti, chiamati anche clasti, siamo in pre-senza di “rocce clastiche” tra queste figu-rano ad esempio le arenarie e i conglome-rati. Le prime formate dal deposito di sab-bie, le seconde sono originate da fram-menti di dimensioni maggiori. Se l’accu-mulo è invece originato da deposizionechimica, cioè i sali disciolti in precedenzacristallizzano e si depositano, si parla di“rocce chimiche”. A questa tipologiaappartengono i notissimi calcari nella lorogrande varietà. Spesso infatti si trovanoformazioni rocciose miste dove sono pre-senti sia i frammenti sia una cospicuacomponente chimica, talvolta insieme apiccolissime resti di antichi organismi

viventi, cioè i fossili. Un bel esempio, notoa molti arrampicatori, sono le chiare ban-cate calcaree del finalese, formate da sab-bie ricche di frammenti di gusci di mollu-schi (risalenti al Miocene, tra 15 e 11milioni di anni fa) cementati da una riccapercentuale di carbonato di calcio.Peculiare delle rocce sedimentarie è lastratificazione che rispecchia i fenomenidi deposizione marina dei diversi eventisedimentari. In origine la stratificazione è(quasi) sempre orizzontale o poco inclina-ta ma i successivi eventi della crosta terre-stre (tettonica a placche) possono defor-marli e alterarne l’assetto originale finoanche a verticalizzarli o addirittura a ribal-tarli.Le rocce sedimentarie sono particolarmen-te amate dagli arrampicatori moderni pervia della loro struttura molto particolare

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di MatteoGarofano e ChristianRoccati

Arrampicatae litologiaUno sguardo nell’intimo delle rocce: la materia prima di alpinisti e climber

Luca Fida sulle pareti calcareedel Finalese (f. C. Roccati).

Monte Fasce (GE) con le stratificazioni dei calcarimarnosi del gruppo dell’Antola (f. C. Roccati).

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che permette, e necessita, molteplici tecni-che di scalata. Un esempio eccellente ècostituito dalle Dolomiti, composte per lopiù da calcari e dolomie, caratterizzate da“vaschette”, “clessidre”, “canne”, “buchi”,derivate, come abbiamo visto, da un pro-cesso sedimentario-chimico. Le caratteri-stiche delle linee di salita stimolano l’ele-ganza nei movimenti e contribuirono allagenesi di una tecnica esterna di scalataopposta a quella applicata nelle lisce pare-ti di granito. In pratica l’arrampicatore èsempre staccato dalla parete utilizzando leprese per piedi e mani in un sistema diequilibri che non lo vede compresso all’in-terno di fessure e diedri. Con l’avvento del “sassismo”, la discipli-na degli arrampicatori che si misurano suserie di movimenti su grandi massi, la tec-nica venne stravolta. A partire dai bleu-sards, gli atleti che praticavano il bouldersu i grandi sassi della foresta diFontainbleu presso Parigi e il postumogrande sviluppo delle palestre calcaree delVerdon e delle Calanques, lo stile moder-no fu portato verso la sua massima evolu-zione. Gli arrampicatori impararono adadottare le nuove scarpette in gomma ingrado di moltiplicare l’aderenza e la capa-cità di utilizzo dei piedi che comportò latecnica attuale. I grandi complessi calcareicome Finale ed Arco oggi sono frequenta-

ti da climber di tutta Europa, perché per-mettono molteplici stili di arrampicata sumigliaia di vie vicine. Vi sono placchedove è possibile sfruttare le piccolissime“gocce” su cui tutto il peso del corpograva. Grazie alla pressione degli alluci edei talloni bassi, si aumentano l’aderenza esi evitano i crampi. Con movimenti lenti,ma precisi, oggi alternati a piccoli slancidinamici, si utilizzano le semplici rugositàsu apparentemente lisce pareti. La prima-ria tecnica classica sfruttava le grandiprese per le mani che gravavano gran partedel peso del corpo non scaricato sui piediper via del “limitato” utilizzo degli scarpo-ni. Le tecniche moderne di arrampicata,evolute proprio sulle rocce sedimentariegrazie al grande utilizzo delle scarpette,permisero l’adozione di nuove tecnicheper le mani. I caratteristici buchetti, pecu-liari del calcare per il fenomeno del carsi-smo, vengono utilizzati come appigli tal-volta adottate anche solo da una singolafalange. La grande tenuta di questa tipolo-gia di presa probabilmente favorì lo svi-lupparsi della tecnica di compasso. In pra-tica l’arrampicatore afferra una cavità conuna mano e punta sulla parete la gambapiegata opposta al braccio disteso che losorregge. Allungando l’arto inferiore sol-leva tutto il suo corpo andando a prendereuna presa più in alto e ricominciando lasequenza. L’evoluzione di tale movimentofu la lolotte, probabilmente ad opera deicitati bleusards parigini. Adottata soprat-tutto in strapiombo, è in pratica l’esecu-zione di un compasso a cui viene somma-ta una rotazione del corpo sull’altro fian-co. Le rocce variano di famiglia in famigliama anche all’interno della stessa tipologia.Per esempio si parla generalmente di cal-care come se ne esistesse un tipo soltanto,ma come sappiamo, non è così. Si tratta diuna roccia sedimentaria molto varia che dazona a zona risulta molto differente nellasua struttura, che appare più o meno liscia,forata, concrezionata. Il Finalese è peresempio molto diverso dal vicino com-plesso del Muzzerone (La Spezia) chericorda invece le lontane Dolomiti. Nellasola Valmarecchia, tra Pesaro e Rimini, visono sostanziali differenze tra la zona diSan Leo (Pietramura) e San Marino non-ostante la relativa vicinanza. Sempre parlando di rocce sedimentarie ènecessario citare i conglomerati, una voltachiamati “puddinghe”, odiati ed amatidagli arrampicatori. La tecnica di scalatache vi si applica è molto semplice e basa-

ta sull’eleganza. Gli appigli, costituiti daiclasti, si vedono netti, ma sono fragilissi-mi. Occorre salire in punta di piedi senzatirare le prese, ma appoggiandovisi delica-tamente sopra. Esempi famosi ad ovest,più che altro per l’importanza storica deiluoghi, sono i complessi oligocenici delReopasso e del Castello della Pietra, nel-l’entroterra Genovese. I frequentatorihanno sviluppato uno stile molto leggerocon movimenti molto corti che garantisco-no minime torsioni e quindi pressioniminori. La presenza di prese sempre nettesu gradi bassi richiama un po’ alla tipolo-gia di scalata classica, tendenzialmentefrontale, ma esclude le tensioni di forzache romperebbero le prese. Sempre tra le rocce sedimentarie si puòinoltre parlare di diaspro. è possibile citarecaratteristiche di durezza notevoli in unroccia chimica dalla morfologia moltoparticolare. Vi sono prese nette ed allevolte dolorose e difficoltà nell’aderenzadei piedi che vengono puntati su corruga-menti e spuntoni. L’arrampicata su questotipo di roccia favorisce perciò le linee instrapiombo che risultano eleganti e maiscontate. Talvolta appigli ottimi sononascosti e non risultano evidenti ma unavolta afferrati con le mani permettonosplendide sequenze in torsione. Differenteè il panorama rispetto ad altre tipologie disedimentarie quali l’arenaria e la marna.L’arrampicata varia dalla placca in aderen-za alla scalata su “tacchette spaccadita”,come ad esempio nel complesso ligure diPunta Manara (Sestri Levante), su pareti a

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La parete striata di calcare del Muzzerone,La Spezia (f. C. Roccati).

Calcari del finalese con i caratteristici fori escanalature (f. Matteo Garofano).

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pochi metri dal mare, porose e prive digrandi appigli, che mantengono la propriarugosità grazie all’erosione in vicinanzadel mare.

Rocce magmatiche o igneeCompletamente diversa è l’origine dellerocce magmatiche dove, per processi cheavvengono nella profondità della litosfera

terrestre (anche alcune centinaia di chilo-metri), si arriva alla solidificazione dimagma. Si tratta di una sostanza allo statoliquido-plastico ad alta temperatura (dagli800 ad oltre 1200°C) che si può, semplici-sticamente, considerare roccia fusa. Tra lepiù evidenti e spettacolari manifestazionidei processi magmatici ci sono le eruzionidove è osservabile la fuoriuscita, talvoltaviolenta, della lava sulla superficie terre-stre. Attraverso questa modalità si forma-no quelle che sono considerate le roccemagmatiche effusive appunto poiché ilmagma “si effonde” in superficie. Tra lelocalità italiane di montagna dove si pos-sono trovare rocce magmatiche effusivefigura certamente l’area del monte Etnadove sono depositate spesse coltri di depo-siti vulcanici prodotti dal vulcano nell’ar-co di millenni. Caratteristica talvolta osservabile nellerocce magmatiche effusive è la porositàdovuta alla presenza di gas nella massafusa che, come nel pane in lievitazione, siespande lasciando dei vuoti durante lasolidificazione. Il fatto che alcune rocceignee effusive siano formate da brandellidi lava piccoli e grandi (ceneri, lapilli,bombe) saldati insieme gli conferisce scar-se doti di resistenza meccanica rendendo-le di fatto poco adatte all’arrampicata.Anche i tranquilli espandimenti di basaltinascono dal processo effusivo di bocchevulcaniche terrestri, come l’Etna, e sotto-marine. In particolari condizioni, i confinitra le placche terrestri possono essere con-siderate come delle profonde lacerazionidella crosta terrestre e da queste, chiamatedorsali oceaniche, fuoriescono grandiquantità di basalti. Scuri e variamenteporosi raramente sono saliti in arrampica-ta a causa della loro naturale tendenza afratturarsi secondo forme prismatiche(basalti colonnari) o forme sferoidali(basalti a cuscini o “pillows).Diversamente nascono le rocce magmati-che intrusive, in questo caso il materialefuso formato in profondità risale e non rag-giunge la superficie, ma si ferma sotto diessa. Questo collocazione consente almagma di raffreddarsi lentamente e ciòpermette la formazione e la crescita dei cri-stalli. Altresì la pressione a cui è sottopostoil materiale fuso non consente l’espansionedei gas impedendo la formazione di poro-sità. Tale processo genera rocce compatte e“cristalline” in cui appunto i cristalli pos-sono essere osservati ad occhio nudo. È il caso dei famosi graniti, formati daminerali molto resistenti come il quarzo

(incolore) da feldspato (bianco-rosa), pla-gioclasio (bianco) e biotite (nera).Un esempio illustre di rocce magmaticheintrusive è dettato dal gruppo del MonteBianco, il tetto d’Europa. La storia c’inse-gna che i pionieri iniziarono proprio nelleAlpi occidentali la grande esplorazionedelle vette ed in un secondo tempo si spo-starono anche ad est nelle rocce sedimen-tarie delle Dolomiti. Gli scalatori dell’o-vest utilizzavano una tecnica interna, cioèmaggiormente basata su incastri, sostitu-zioni e compressioni-espansioni. Gliarrampicatori dell’est invece, adottavanouno stile più esterno e leggero. Questagrande differenza trova una sua primariaspiegazione nella geologia. Le Alpi occi-dentali erano maggiormente caratterizzateda rocce compatte e granitiche, costituiteda grandi blocchi solcati da fessure lun-ghissime o, a livello superficiale, da estesicrinali detritici. La tecnica più sempliceper vincere le linee di salita fu proprioquella dell’incastro degli arti o di parti delcorpo e della progressione mediante con-trapposizione fra le forze. La granulositàdelle pareti piatte e prive di appigli per-metteva l’aderenza degli scarponi su cui siapplicava una minima forza. Quando lepossibilità di blocchi e fessure finivano inliscissime pareti si fissavano le corde edeseguendo grandi pendoli cercando di

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Arrampicata sulle arenarie a Punta Manara(Levante ligure), f. Matteo Garofano.

I conglomerati del Reopasso, una voltachiamati “puddinghe” (f. C. Roccati).

Guglia di protogino (granito rosso del M.Bianco) al Mont Blanc du Tacul (f. A. Giorgetta).

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prendere una nuova linea di debolezzadella montagna, per poi ricominciare asalire. Le tecniche moderne di arrampicata sisono notevolmente evolute anche grazieall’ottimizzato utilizzo dei piedi. Quelleche un tempo erano considerate placchetroppo lisce vengono risalite in aderenza.Gran parte dei movimenti adottati nellescalate classiche però non sono statiabbandonati, specialmente sulle grandipareti fratturate di granito. Spesso nellefessure piccole si adotta l’incastro dellemani. Quando le fratture risultano moltopiù grosse vengono incastrate le bracciaod i piedi o addirittura tutto il corpo. Altre tipologie di rocce magmatiche moltomeno frequentate dagli arrampicatoririsultano completamente diverse e conse-guono a differenti tecniche di arrampicata.Esempi sono il gabbro ed il basalto, spes-so molto duri. I molti spuntoni garantisco-no appoggi per i piedi che non hanno grantenuta in placca. Le prese sono spessonette e di varia dimensione. Le fessurerisultano alle volte piccole e dai borditaglienti. Le fratture perciò si risalgonocon bilanciamenti del corpo in contrappo-sizione, ma difficilmente vengono utiliz-zate per gli incastri.

Rocce metamorficheLa gamma delle rocce non si esaurisce aquelle originate dai sedimenti e dai magmi,infatti ad alcuni chilometri di profonditànel sottosuolo le condizioni di temperaturae pressioni sono diverse da quelle presentiin superficie. Quando alcune formazionigeologiche già esistenti, per cause legatealla dinamica delle placche terrestri, ven-gono spinte in profondità incontrandoappunto alte temperature e forti pressionipossono cambiare la loro composizionemineralogica e la loro tessitura: questocambiamento si chiama metamorfismo.Un esempio classico di roccia metamorficasono gli gneiss, di aspetto “granuloso” peralcuni versi simili ai graniti, che moltospesso presentano un bandatura. Si trattadella scistosità, l’orientazione di alcuniminerali secondo dei piani. Gli gneiss pos-sono trarre origine dai graniti di cui con-servano molte caratteristiche, ma anche daarenarie grossolane, quindi da rocce di ori-gine magmatica o sedimentaria. In nume-rosi luoghi, come in Val di Susa eTraversella in Piemonte e nelle AlpiApuane, ci troviamo a scalare rocce che inorigine furono sedimenti, ma che vennerofortemente modificate dal metamorfismo: i

calcescisti, quarzoscisti, micascisti e imarmi appartengono a questa categoria.L’arrampicata afferente può ricondurreparzialmente alle tecniche precedentemen-te citate anche perché è possibile ritrovarenelle rocce metamorfiche elementi appar-tenenti alle altre due grandi famiglie. Un famoso esempio di rocce metamorfichesi ritrova nello gneiss che contraddistingueil gruppo del Corno Stella a partire dallacima della Maledia nelle Alpi Marittime.Come accennato presenta caratteristichesimili a quelle del granito quanto a rugosi-tà e compattezza. L’arrampicata ricordamolto quella delle grandi cime delle Alpioccidentali, modellate dall’esarazione deighiacciai. Lo stile è abbastanza vario pre-sentando possibilità d’incastro per le manie tecnica tendenzialmente frontale od alcontrario elegante stile in torsione e dina-micità nei movimenti. Questo tipo di rocciarisulta quindi molto diversificata e talvoltacontraddistinta da venature molto resisten-ti che spesso risultano intrusioni di quarzo.Sono utilizzabili come appoggio per i piediche rimangono ben saldi se correttamentepuntati sulle superfici delle rocce meta-morfiche.Molto diverse sono le ofioliti che compon-gono il Monviso, le rocce basiche ed ultra-basiche delle Alpi Cozie (e di alcune zonedell’Appennino e delle Alpi liguri), adesempio il metagabbro ed il serpentino,possono presentarsi sia a blocchi, siasecondo grandi frastagliature o fessureanche di grandi dimensioni. La lherzolite,antenato della serpentinite, risulta moltoresistente a meno che non sia fratturata,diventando ostica per la chiodatura etagliente alla presa. Incastrare braccia omani all’interno di queste fessure può volerdire ferirsi con molta facilità. Talvolta si èportati ad utilizzare una tecnica meno dina-mica che punta più sulla forza su questepareti che presentano spesso grandi prese.In realtà gli appigli possono rivelarsi spes-so instabili ed uno stile più leggero ed equi-librato è preferibile e può servire ad evita-re grandi voli!

LE STRUTTURE, STRATI,SCISTOSITÀ, FRATTURECome è evidente all’osservazione, le roccenon sono una materia uniforme ma pre-sentano tessitura e struttura. - La tessitura è rilevabile a scala centime-trica e spesso condiziona l’aspetto dellasuperficie dell’ammasso roccioso. Unesempio è il granito costituito di cristalli didimensioni centimetriche disposti senza

una particolare orientazione preferenziale:si parla di tessitura granulare. Molto spes-so la tessitura condiziona il modo di pro-cedere in arrampicata poiché la presenzadi minerali a differente erodibilità o clastio scistosità conferiscono alla roccia unaparticolare “rugosità”. La bandatura dellerocce è un fenomeno molto particolare chepuò dare luogo anche a straordinarie carat-teristiche naturali. Gli gneiss, di originemetamorfica per esempio, vengono talvol-ta chiamati “occhiadini” poiché presenta-no dei “noccioli” di un cristallo (feldspato)bordati da bande di minerali scuri (miche)che allungati lungo la scistosità danno l’ef-fetto visivo di un occhio, da cui il nome.- Le strutture sono invece rilevabili ad unscala superiore ai centimetri. Un classicoesempio è la stratificazione: peculiaredelle rocce sedimentarie, rispecchia i feno-meni di deposizione marina dei diversieventi sedimentari. In origine la stratifica-zione è (quasi) sempre orizzontale o pocoinclinata, ma i successivi eventi della cro-sta terrestre (tettonica a placche) possonodeformarli e alterarne l’assetto originalefino a verticalizzarli, piegarli e addiritturaribaltarli.Nelle rocce metamorfiche la disposizionedei minerali lamellari lungo piani mette inevidenza una bandatura chiamata scistosi-tà, in alcuni casi le superfici di scistositàsono deformate e ritorte secondo strutturea pieghe. Spesso è possibile usare questeconformazioni della roccia per scalareassecondandone l’orientamento e sfruttan-done le peculiarità. Quando le piegherisultano trasversali od oblique gli arram-picatori si adoperano in torsioni utilizzan-do gli spigoli delle varie bande per i piedi.

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L’autore sulle rocce ofiolitiche del Gruppo di Voltri(f. Valentina Roccati).

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Le strutture generate dalle pieghe talvoltapossono essere “pinzate”, le “cerniere”ovvero i punti a massima curvatura, pos-sono funzionare come appigli di variadimensione. Anche le fratture sono struttu-re che vengono originate successivamentealla formazione delle rocce stesse, la causaè quella delle forze tettoniche che può fardistendere o comprimere grandi porzionidella crosta terrestre provocandone la rot-tura. Le fratture caratterizzano spesso lelinee di debolezza di una montagna. Aseconda della dimensione le fessure per-mettono tecniche di movimento e di assi-curazione. Quando la roccia è fratturatasecondo grandi linee si adottano i citatiincastri del corpo e tecniche di compres-sione-espansione come ad esempio nei“camini”. Le prime evoluzioni nello stileportarono a movimenti come la tecnica“Dülfer” che permette una trazione dellemani all’interno della fessura ed una spin-ta dei piedi lungo le sue pareti. La con-trapposizione di forze mantiene in equili-brio lo scalatore che passo dopo passo puòprocedere. Questa tecnica molto stancantenacque per l’impossibilità di utilizzare gliscarponi nelle sottili fessure. Oggi laDülfer non è certo stata accantonata, maevoluta su gradi sempre più elevati edaffiancata ad altri stili. L’adozione dellescarpette permise l’utilizzo delle microconcrezioni su rocce sedimentarie e dellarugosità su rocce magmatiche generando

nuove tipologie di movimenti. Dapprimavenne adottata la progressione a triangolocon le mani all’interno della frattura ed ipiedi esterni e larghi. Le fessure orizzonta-li vengono oggi utilizzate per i movimentiad arco garantendo una progressione piùelastica. L’arrampicatore aggancia un tal-lone su una presa rimanendo quasi oriz-zontale e poi lascia l’appiglio facendooscillare il corpo. In questo modo può rag-giungere prese lontane con le mani edagganciare il tallone della gamba oppostasu altre prese della fessura sull’altro lato. Un ultimo movimento sviluppato su frat-ture orizzontali in strapiombo fu il passag-gio “Poppins”. In pratica una presa bensalda viene afferrata con una mano ed ilbraccio mantenuto piegato. Il corpo va intorsione e la gamba opposta si aggancia albraccio nella piegatura del gomito. L’artosuperiore libero rimane così più elevato epuò raggiungere appigli molto più alti.Una volta che l’arrampicatore ha afferratouna nuova presa può liberare gamba ebraccio riprendendo una posizione ripo-sante. Questo tipo di movimento permettela risalita su strapiombi con prese lontaneevitando il lancio. Una conseguenza diquesta tecnica è la risalita di strapiombidove risulti molto limitato l’utilizzo deipiedi. Questo stile è stato subito adottatonel dry tooling. Gli scalatori che devonorisalire pareti di roccia strapiombanti perandare a prendere colate ghiacciate si tro-vano ad avere i ramponi ai piedi e le picoz-ze nelle mani. La tecnica sta nell’aggan-ciare le becche nelle fessure ed applicare ilpassaggio Poppins per arrivare a fessure ovaschette più elevate e ricominciare lasequenza sull’altro lato.

EROSIONE E FORME: LA GEOMORFOLOGIAL’aspetto con cui si presentano le roccenon è dovuto solo alla loro origine e alledeformazioni che hanno subito, ma ancheda quello che può essere considerato l’ul-timo stadio della loro vita. Come è statodetto le rocce in superficie vengono erosee questo processo di modellamento modi-fica la superficie terrestre, quella su cui cimuoviamo, viviamo e pratichiamo l’ar-rampicata e l’alpinismo. Le forme dellaterra, a volte spettacolari e grandiose comeper esempio Grand Canyon o dellaMonument Valley (USA), si manifestano adiverse scale da pochi centimetri e milli-metri fino a centinaia di chilometri.Si può pensare all’erosione come ad unoscultore che elimina la materia in eccesso

dal blocco di roccia per fare uscire laforma da lui voluta. Il processo erosivomolto spesso è guidato e condizionatodalla presenza di strutture e tessiture giàesistenti nelle formazioni geologiche.Alla scala di pochi centimetri si può osser-vare l’effetto di una differente resistenzaall’alterazione. Nel granito il quarzo è ilminerale più resistente e talvolta l’erosio-ne lo mette in rilievo rispetto agli altri gra-nuli, queste piccole protuberanze sonoottime per l’arrampicata ma doloroseprese per il climber. Talvolta, nelle roccesedimentarie, la differente erodibilitàmette in rilievo i diversi strati che possonodiventare linee guida o punti di sosta lungouna via di scalata, per esempio le famose“cenge” delle dolomiti. Nei calcari l’ero-sione procede non soltanto meccanica-mente per fratturazione, ma attraverso ladissoluzione chimica, si tratta del fenome-no del carsismo. Il termine “carsismo”deriva dal Carso, l’area dell’estremo nord-est italiano, e indica la presenza delle solu-bili rocce carbonatiche e del particolarepaesaggio che si sviluppa. In tali rocce leforme superficiali sono varie come i campicarreggiati, chiamati anche campi solcati o“karren” (dal tedesco) o “lapiés” (dal fran-cese). Nei calcari si possono sviluppareanche fori, solchi, scanalature e vaschettedi erosione, simpaticamente chiamati daalcuni arrampicatori “acquasantiere” per-chè a volte si riempiono d’acqua. Le roccecarbonatiche che in alcune condizioni(temperatura, pressione, parametri chimi-ci) vengono disciolte dall’acqua. In altrecondizioni avviene la deposizione di calci-te (carbonato di calcio) sulle superficiesterne delle rocce generando formecolonnari o a “canne d’organo” che si pre-stano a fungere da appigli da pinzare.Nelle rocce calcaree l’erosione avvieneanche in profondità dove si formano cavi-tà e grotte talvolta sfruttate dagli arrampi-catori, ma terreno d’elezione per gli spe-leologi.La roccia risulta un meraviglioso mondoda scoprire, vario e continuamente in evo-luzione. Gli arrampicatori ne rispecchianole peculiarità sviluppando i propri stili aseconda delle caratteristiche del terrenoche si trovano ad affrontare. Secondo ilprincipio della multilateralità, applicatoalla preparazione di ogni sport, è chiaroche più saranno le tipologie di rocciaconosciute dagli scalatori e migliore saràla tecnica afferente.

Matteo Garofano

Christian Roccati

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C. Roccati su un passaggio “poppins” su rocceserpentiniche (f. Valentina Turturo).

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A Ormea tutti conoscono lagrotta dell’Orso. Si apre afianco di un’importantestrada statale, tutti vi possonoaccedere, eppure è sempremisteriosa. Si trova nei pressidella frazione Ponte di Nava,a fianco della statale delColle di Nava, percorsa ognigiorno da migliaia diautomobilisti. È facilissimada visitare; basta una pilaelettrica e mezz’ora di tempo.A differenza dellapopolazione locale, moltispeleologi non la conoscono:vi passano davanti tutte levolte che vanno al “mitico”Marguareis, sanno che è lì,ma non c’è tempo perfermarsi a visitarla perché cisono sempre programmi piùimportanti che attendono;“sarà per la prossima volta”,dicono sempre. Ultimamentela grotta ha trovato interessefra gli speleo-subacquei, iquali, nel tentativo dirisolvere un mistero, di fattol’hanno reso maggiore.

LA SCOPERTALa grotta fu scopertacasualmente il 24 ottobre1886 da Launo, proprietariodel terreno, mentre eseguivalavori di scavo per lacostruzione di un muro.Evidentemente l’ingresso, giàlibero in tempi antichi, erastato ostruito dai detritifranati dalla montagnasovrastante. L’esplorazione,molto semplice per la verità,fu eseguita da Launo stesso,il quale notò subito lapresenza di ossa di un grandeanimale, e avvisò le autoritàcittadine. Fu così che pochesettimane dopo la scoperta, lagrotta fu visitata da alcunistudiosi locali, fra cuiGiacomo Gentile, vicepresidente della sezione “AlpiMarittime “ del CAI, il qualescrisse una relazione che fupubblicata sul n. 12, 1986,della Rivista mensile. In essa l’autore riferisce diaver trovato ossa di Ursusspelaeus e di aver notato la

presenza di animali tipicidelle grotte: “insetti ciechidel genere Anophtalmus,miriapodi, crostacei, nonché iresti di diverse specie dimolluschi Helix, Ialine, ecc.”Veri studi sulla fauna furonopoi eseguiti molto più tardi,negli anni ‘60 del secoloscorso da parte di Martinotti,e confermarono l’interessebiospeleologico della grotta.In un lavoro scientificopubblicato recentemente (E. Lana: Biospeleologia delPiemonte, Atlante fotograficosistematico, A.G.S.P. eRegione Piemonte, Torino,2001) si descrivono 15 specieanimali presenti nella grotta,precisando che queste sono lespecie più notevoli.

All’inizio del secolo XX, inPiemonte le grotte godevanodi grande fama anche fra inon esperti. Non era certol’interesse scientifico adattirare i visitatori, quantoforse quell’alone di misteroche affascinava i nostri nonni,ancora permeati diromanticismo; erano ben 6 legrotte piemontesi attrezzateper la visita turistica.L’attrezzatura di allora nonera certo quella che esigono ituristi di oggi; nel caso dellagrotta dell’Orso si trattava diqualche scalino di pietra dovealtrimenti il passo sarebbestato un po’ pericoloso; le“guide”, valligiani del posto,avevano con sé una luceportatile. Ancora negli anni

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di Carlo Balbianod'Aramengo

La grottadell’Orsodi Ponte di Nava

P I E M O N T E

Qui accanto:La galleria che scende al primo sifone (f. Carlo Balbiano).

A destra:Speleo-subacqueidavanti all’ingresso, unpo’ rustico, della grotta.

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‘60 del secolo scorso erapossibile trovare qualcheaccompagnatore; spariti gliultimi, oggi l’ingresso èlibero. Del resto pericoli nonve ne sono.

PERCORRENDO LA GROTTALa grotta si trova presso unacasa isolata situata circa 500metri prima di Ponta di Nava,ad una quindicina di metri didistanza e circa 7 metri dialtezza dal piano della stradastatale, lungo un muretto asecco che sostiene una fasciaa campo. Una vecchia portain legno è normalmenteaperta. Un ingressosecondario, costituito da unpiccolo passaggio nascostofra l’erba, si apre nei pressi; èdifficile da trovare e dapercorrere; del resto hascarso interesse.La grotta consiste in uninsieme di passaggiorizzontali che si possonosuddividere schematicamentein tre gallerie. Tutte partonoda un vano allungato, appenadopo la porta d’ingresso, Di esse, la prima a sinistra(galleria ovest), scenderapidamente allargandosi,presenta fondo sabbioso egiunge ad un lago-sifone(detto anche lago Grande)lungo una ventina di metri,che occupa il fondo di unaspaccatura a pareti verticali.

Il proseguimento oltre il lagoè riservato a specialisti, e diciò parleremo in seguito.La seconda galleria, centrale(galleria nord) è stretta,bassa, con andamentodapprima in leggera salita, equi furono scoperte le ossa diUrsus. Poi prosegue indiscesa tortuosamente; cisono alcune diramazionichiuse in fessura e terminainfine in discesa con saletteoccupate da frane.La terza galleria, a destra(galleria est) è discendente,breve, ma piuttostocomplessa: molte gallerievicine e intercomunicanti, unlaghetto e molte concrezionicalcaree (mentre le altregallerie ne sono prive).Sembra che in passato, diconcrezioni ce ne fosseromolte di più e anche belle. Il Gentile parla di vasche conorli rialzati e ondulati, assaigraziose; queste ci sonoancora, ma piuttosto rovinate.Parla anche di “fiori formatida candidissimi cristalli dicalcare ramificati, e perciò diforma dendritica di rarabellezza”, Direi che questi“fiori” non ci sono quasi più.Tutte queste galleriemanifestano una morfologiache gli esperti chiamano“freatica”, nel senso che sonostate scavate da acqua che leoccupava completamente,

cioè “a pieno carico”. Si trattava di un ramosotterraneo del Tanaro,quando il suo fondovalle eraad una quota maggiore diquella della grotta. Ora,l’abbassamento naturale delTanaro ha lasciato secchequeste gallerie (in terminetecnico “fossili”), ma nelfrattempo se ne sono formatealtre ad un livello più basso.Lo speleologo le ricerca e leesplora. La via per questaricerca è naturalmente il lago-sifone, e qui veniamo alleesplorazioni più recenti, chehanno più che raddoppiatol’estensione originaria dellagrotta.

L’ACQUAAncor prima di tentarel’esplorazione, gli speleologisi domandavanoevidentemente da doveprovenisse l’acqua del lago-sifone. È molto probabile,quasi certo, che provenga dalTanaro, come è noto cheritorna al Tanaro per altripassaggi sommersi. L’acquadel lago infatti si intorbidadurante le piene del fiume ela sua temperatura varia aseconda della stagione. Manon è noto ove sia la perditacha alimenta il lago della

grotta. Un tempo si pensavache la grotta fosse inrelazione a perdite subalveaririscontrate poco a montedell’abitato di Ponte di Nava,ma recenti esperienzecondotte da Calandri delGruppo SpeleologicoImperiese, sembrerebberoescludere quest’ipotesi, e si èinvece propensi a considerareun tratto del Tanaro postoalcuni chilometri più amonte. Gli speleologi, tramitefluoresceina o altri traccianti,di solito riescono a scopriredove va l’acqua quandos’infila in condottiimpercorribili, ma è difficilecapire dove è situata una

In alto: La galleria fossile, oltre il 1° sifone (f. Gruppo CSARI, Bruxelles).Qui sopra: Concrezioni subacquee nel primo sifone (f. A. Eusebio).

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perdita parziale di un fiume.La grotta dell’Orso, nel trattoa monte del lago-sifone,potrebbe anche esserelunghissima ed è proprioquesto interrogativo a farcisognare. Ma coi sogni non sirisolve nulla; se vogliamochiarire i misteri non c’è cheun metodo: esplorare le viesconosciute.Il superamento del sifone erastato già tentato con successofin dal 1962; una squadra disommozzatori del GruppoSpeleologico Piemontese losuperò ed esplorò al di là unagalleria concrezionata,stimata di 150 metri.Purtroppo non diederelazione scritta, perché ilprogramma era di ritornare

presto, ma la secondaesplorazione non fu piùeseguita per motivi che èsuperfluo raccontare qui. Stadi fatto che il mistero rimasetale per quasi trent’anni.

LE ESPLORAZIONI DEI BELGINel 1991 entrano in scena ibelgi Luc Latellier e SergeDelaby del gruppo CSARI,che hanno una notevoleesperienza di sifoni, anche inItalia (Delaby ha pubblicatosu questa Rivista unresoconto delle sueesplorazioni alla vicina grotta delle Vene).I due si immergono per laprima volta il 20 agosto1991: il sifone è largo da 2 a

4 metri, ma molto basso, econ una patina di argilla chenon si può evitare disollevare; fortunatamente lacorrente è forte e l’acqua siripulisce abbastanza in fretta.Il sifone termina dopo 60metri e il punto più basso è a-8. Appena emersi, gliesploratori vedono una bellagalleria fossile ma, sapendolagià esplorata, s’immergononel secondo sifone, che iniziasubito. È stretto, ma breve efacile; è lungo 15 metri eprofondo 2. Segueimmediatamente il terzosifone, lungo 90 metri, colpunto più basso a -18; ilpercorso è stretto eaccidentato, con frequenticambi di direzione. Al terzosifone segue il quarto, conuna sezione che è di circa 1metro x 0,6; per la strettezzadel percorso e la visibilitàquasi nulla, gli esploratoriritornano dopo aver percorso40 metri ed essere scesi a - 9. Particolare curioso: in questoquarto sifone gli esploratoriincontrano un piccolo pesce;non si tratta di un pescetroglobio (cioè un pesce digrotta; in Europa non neesistono, o per lo meno nonsono mai stati scoperti). Sitratta verosimilmente di unpesce sfuggito per errore dalTanaro; questo puòsignificare che gli esploratorierano molto viciniall’esterno?Così, in un solo giorno,Delaby e Latellier hannoesplorato 4 sifoni, per untotale di 200 metri circa, inuna grotta che vedevano perla prima volta. Certamente lasituazione presentava unaspetto comodo; quando sisono immersi nel primosifone, erano a pochi minutidall’esterno e dalleautomobili. Ma l’impresaresta pur sempre notevole,anche perché i sifoni esploratinon sono fra i più semplici:ci sono strettoie, molta

argilla, visibilità difficile. Glistessi speleologi sono tornatiall’Orso l’anno seguente,hanno effettuato il rilievotopografico delle gallerieesplorate che ora noipubblichiamo per gentileconcessione.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVELa grotta ha ora uno sviluppodi circa 1000 metri (la parteclassica, prima del sifone, nemisura 435) di cui 200sommersi. La possibilità diandare oltre è legata alsuperamento del quartosifone; l’impresa sembradifficile, forse rischiosa, manon impossibile.Dopo le esplorazioni diDelaby e Latellier altrispeleosubacquei si sonocimentati nella grottadell’Orso, senza tuttaviariuscire a passare il quartosifone. Le conoscenze attualici permettono di arrivare alsuo inizio superando solo ilprimo, che fra tutti è il piùfacile; infatti il secondo e ilterzo possono essere aggiratitramite la via fossile.Ma gli esploratori devonoessere prudenti; finché non siconosce bene l’idrogeologiadella zona, cioè laprovenienza dell’acqua, sideve valutare seriamente lapossibilità di una pienaimprovvisa, che in sifone cosìstretto come il quarto puòessere particolarmenteinsidiosa. Si consideri il fattoche in occasione di piene laportata del torrente interno,che in condizioni di magra èdi circa 100 litri al secondo,può salire in brevissimotempo fino a qualche metrocubo al secondo.Comunque in speleologiasono stati risolti moltiproblemi che sembravanoinsuperabili, e chissà cheanche questo… La grotta èsempre là che aspetta

Carlo Balbiano d’Aramengo(G.S.P., Sezione UGET, Torino)

Grotta dell’Orso (Ormea, Piemonte). Rilievo topografico, pianta e sezione. Le sigle S1, S2, S3, S4 indicano la posizione dei 4 sifoni. Parte classica, Capello, 1952. Oltre il 1° sifone, S. Delaby, 1992

In basso: La galleria fossile, oltre il 1° sifone (f. Gruppo CSARI).

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LA MONTAGNANell’immaginario universalela terra è madre. Anche lamontagna è madre in quantoterra, roccia, foresta, pascolo.Luogo da cui provengono ilvento e l’acqua.Diversamente dalla pianura laterra-montagna si anima dirilievi e forme cherichiamano in qualche casol’immagine della figuraumana. La montagna è stata luogo diincontro tra popoli di vallidiverse. Luogo che per lapropria asperità richiedeamicizia e solidarietàreciproca di quelli che vi siinoltrano. La montagna, cheincute rispetto per la propriamole e altitudine, è stataadottata nell’immaginarioancestrale quale sito dicelebrazioni ritualipropiziatorie, quale luogosacro di comunicazione conla divinità, quale immaginestessa del divino. Luogo dalquale proviene la vita, lafertilità dell’acqua, del vento.Luogo che non si domina e sirispetta come una madre.Come la nuvola, non però inmodo effimero maimmutevole nel tempo, ilmonte suscita immagini esomiglianze soprattuttoumane: una vetta sembra unatesta, un crinale un profilo,

un picco un naso o unmento... La montagna, nellasua straordinaria imponenza esecolare inalterabilità, èpotuta apparire come unagrande figura umanaaddormentata, un gigantescocorpo disteso, una grandemadre. Con la loro specificaconformazione alcuni montiin particolare hanno suscitatorichiami che li hanno legati apersonaggi storici o leggendepopolari.

HENRY MOOREAlcuni artisti, poeti, scrittori,musicisti, pittori, hannosentito questo richiamo e nehanno tratto ispirazione per laloro opera. Anche alcuniscultori sono stati sensibili aquesto tema. Henry Moore inparticolare, assume la natura,e il modo della natura dioperare, a oggetto dipenetrante osservazione: “Isassi e le rocce, ad esempio,mostrano il modo in cui lanatura lavora la pietra […]Nelle rocce, nel loro ritmonervoso, irregolare ediscontinuo, si ha ladimostrazione di come sipossa agire sulla pietraspaccandola, tagliandola inmodo netto” (Moore 2002,p.14). Dalla natura Mooreassume forme che rendegenerali e astratte: “La vera

sensibilità per la scultura siconiuga, inoltre, alla capacitàdi cogliere la forma in quantotale, a prescindere dal suovalore rappresentativo oevocativo […] l’osservatoresensibile percepirà allora, adesempio, un uovo nellasolidità della sua formaconclusa, astraendo dallarealtà dell’uovo come cibo, odal pensiero che potràtrasformarsi in un esserevivente. Lo stesso accadrà difronte a innumerevoli altreforme solide, come adesempio una conchiglia, unanoce, una prugna, una pera,un girino, un fungo, la cimadi una montagna, un fagiolo,una carota, un troncod’albero, un uccello, unbocciolo, un’allodola, una

coccinella, un giunco, unosso” (Moore 2002, p.22). Aquesta sensibilità e astrazionedella natura Moore aggiungeuna determinante attenzioneall’aspetto umano: “Sebbenele qualità astratte della formaabbiano un ruolo essenzialeper la riuscita del lavoro,l’elemento psicologico,umano, non è a mio avviso diminor rilevanza. È infatti lafusione dell’elemento astrattocon quello umano checonferisce all’opera pienezzae profondità di significato”(Moore 2002, p.16).Osserva Herbert Read aproposito di Henry Moore:“Infine egli si chiede qualeforma possa meglio realizzarenel particolare blocco dipietra che gli sta dinanzi; e se

MontagnaMadre

La fondazione Peano di Cuneo promuove annualmente il concorsointernazionale di scultura, nel 2007 giunto alla 11a edizione, conargomento “La madre”. Abbiamo il piacere di pubblicare la relazionedescrittiva del bozzetto presentato da Michele Claudio Cassinelli,intitolato “Montagna Madre”.

di Michele Claudio Cassinelli

In alto: Il bozzetto di CassinelliQui sotto: Moore “Reclining figure”, 1927 (fig. 1)

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di riferirmi: “106 […] Vorrei che i mieilavori si alzassero nei parchie nei giardini pubblici, che ibambini giocassero su di lorocome avrebbero giocato sullepietre e i monumenti natidalla terra, che nessunosapesse che cosa sono e chi liha fatti, che tutti sentissero laloro necessità, la loroamicizia, come qualcosa cheappartiene all’anima dellanatura”.“108 […] Non bisognarispettare le mie sculture,bisogna amarle e volergiocare con loro. Io voglioscolpire forme che possanodar gioia agli uomini”.

“MONTAGNA-MADRE”Ho cercato di esprimere eriprodurre tutto questo nellamia proposta “Montagna-Madre”. Fra le molteReclining Figure di Moore hopreso in particolare a

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questa forma è la figurasemisdraiata di una donna,egli immagina (ed è questol’atto che richiede unasensibilità o una penetrazioneparticolari) quale aspettoavrebbe una donnasemisdraiata se la sua carne eil suo sangue si traducesseronella pietra che ha davanti,pietra che ha principi suoipropri di forma e di struttura.Il corpo di una donnapotrebbe allora, come accaderealmente in alcune figure di

Moore, assumere l’aspetto diuna catena di colline” (Read2002, p.51).Nei riferimenti alla naturache ispirano la formazioneartistica del giovane Moore siiscrive anche la montagna:segnala infatti GiovannaUzzani (Uzzani 2005, p.8)che Moore chiosa e sottolineala frase “La montagna èenergia scultorea” nel testo diEzra Pound dedicato

all’interpretazione delle operedi Henry Gaudier-Brzeska.In Moore la montagna - comealtri oggetti naturali - perde ilsignificato di luogo materialee diventa astrazione e formapura in sé che, in quanto tale,può evocare posture ecaratteri psicologici dellafigura umana.Nel compiere il processo diastrazione e umanizzazionedelle forme - in particolaresul tema delle “RecliningFigure” (fig. 1) - che è tra ipiù frequenti della suaproduzione, Moore ricerca eadotta riferimenti ricorrentialla storia dell’arteuniversale: da Dione eAfrodite scolpite da Fidia nelfregio del Partenone (fig. 2)alla figura tolteco-maya delsignore della pioggia Chac-Mool, dai sarcofagi etruschi(fig. 3), alle figure giacentidelle tombe medicee diMichelangelo (fig. 4).Scrive Giovanna Uzzani(Uzzani 2005, p.14) “Read,nella prima monografia delloscultore che esce a Londranel 1934 per i tipi dellaZwemmer, interpreta laricerca del giovane [Moore]valorizzando la sintesioriginale di forme astratte eorganiche: le RecliningFigure possono esseredefinite surrealiste per ipresupposti disovrapposizione eassociazione di immagini, manello stesso tempo astratteper l’enfasi sui puri valoriformali; la figura femminileappare essa stessa unpaesaggio con le sue alture evalli, oppure una roccia erosadai venti e dalle pioggie”.Ancora la Uzzani (Uzzani2005, p.32) rileva che leReclining Figure rimandanoad un archetipo universaledella dea della terra e dellafecondità.Inoltre, a quanto sostienesempre la Uzzani (Uzzani2005, p.76), il riferimento di

Moore alla montagna, oltreche generale, èricorrentemente ad unospecifico monte: “la granderoccia nuda di Adle”, sullaquale non sono riuscito arintracciare informazionigeografiche più precise.

LA MONTAGNA-SCULTURADa appassionato diescursionismo e praticante discialpinismo, il mio lavoronon poteva non trarreispirazione dalla montagna.Infinite volte percorrendo uncrinale ho immaginato dicalcare la spina dorsale, o unbraccio, o una spalla di unimmenso gigante disteso;altrettanto scendendo per uncanalone o in una valle hoavvertito di inoltrarminell’intimità di un corpoaddormentato. Un sentiero dimezza costa sembra lapercorrenza di una piegadell’addome; altre similisensazioni si possono viverenella risalita del corso di untorrente o nell’ascensione diuna vetta. Impareggiabile einimmaginabile, per chi nonl’ha vissuto, è passare lanotte nella conca di una altavalle alpina. Il sole chelentamente tramonta allungale ombre della corona di vettecircostanti. La solitudine el’ombra che scendonoincutono timore, ma la concadella valle dà una sensazioneassoluta di protezione esicurezza, proprio come unaculla o come il ventre di unamadre amorevole. La dolceconformazione del luogo equesto abbraccio protettivocostituiscono la percezioneche più fortemente fa viverela montagna come madre.

BRANCUSICi sono due aforismi diConstantin Brancusi, per altrocostante e importante puntodi riferimento di Moore, cheben esprimono le sueintenzioni, ai quali ho cercato

Dall’alto: figure 2, 3, 4.

Dall’alto:figura 5. Figura 6.

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riferimento quella del 1930(fig. 6).Ho rappresentato il ventredella madre come la conca diuna valle alpina. Hoimmaginato la mia propostanon solo come una figura daguardare, non come unamassa irragiungibile eintangibile, ma come unoggetto amichevole eutilizzabile, che si possatoccare e su cui si possasalire e sedere.Propongo quindi un’operache immagino possa offrire aibambini occasione di gioco:esplorazione, arrampicata,nascondino,… ma anchesensazioni di accoglienza erifugio quando si siedano

nella conca del ventre o nellavalle delle cosce.Penso al grande parcoVigeland, ad Oslo, le cuisculture si offronogenerosamente ai visitatori(fig. 5). Scrive GianlucaTorelli : ”Forse solo unoscandinavo, amante dellanatura come pochi altripopoli al mondo, potevapensare di realizzare un parcoed un museo allo stessotempo. Creare un’arte insintonia con la naturacircostante e disponibile atutti” (Torelli 2001).Ho anche nella mente ilmonumento ai caduti diLecco: una grandissima einaccessibile scultura

verticale, che comunque èutilizzata dai bambini pergiocare e scivolarebeatamente sulle lastreinclinate delle lapidi su cuisono incisi i nomi deicommemorati (fig. 6).

MONVISOIl mio riferimento è puntualee specifico ad una montagnaparticolarissima, il Monviso,“questo piramidale colosso diroccia, che scorgesi conammirazione da tutta lapianura piemontese”: così lopresenta la storica Guidadelle Alpi Occidentali del1889. Aggiunge AndreaParodi che “per la suaposizione dominante sopra la

Pianura Padana fu ritenutoper secoli il monte più altodelle Alpi. Il nome stesso,Monte Viso, fa moltoprobabilmente riferimentoalla sua straordinariavisibilità” (Parodi 2007, p.9).Innumerevoli sono gli scorcied i richiami che il Monvisoha offerto al mio lavoro; necito solo alcuni:• il gruppo del Monviso visto

da sud-ovest (fig. 7);• il Lausetto;• il Lac Lestio e la Vallé du

Guil;• il Viso Mozzo visto dalla

pietraia del Pian Mait;• il versante sud-est del

Monte Granero;• il Vallone di Soustra.

Dati tecniciIl bozzetto in cemento che presento è inscritto in un paral-lelepipedo rettangolo la cui base misura cm 41 x 25 e l’al-tezza cm 24. Poiché è richiesta la realizzazione dell’operain 5 mc, conseguentemente le misure dell’opera risultanodalla seguente tabella:

bozzetto 6 dmc Coefficiente Y opera 5 mclunghezza 41 cm x 9,41 = 386 cmlarghezza 25 cm x 9,41 = 235 cmaltezza 24 cm x 9,41 = 226 cm

L’opera può essere realizzata in cemento. Ho immaginatoche la superficie della scultura sia colorata di una tintagrigio-blu: il colore delle montagne viste da lontano.Immagino la collocazione - senza alcun piedistallo visibile -direttamente su un prato. Ovviamente sarà necessariorealizzare una fondazione di basamento. La conformazionedella superficie del prato - in piano, su un piccolo rilievo oin una concavità appena accennata - deve essere valutatain rapporto al luogo di collocazione.

Bibliografia

Clarence Bicknell, Le figure incise in Val Fontanalba, Tip.Ciminago, Genova, 1898.Constantin Brancusi, Aforismi, Abscondita, Milano, 2001.Arturo Issel, Memoriale per gli alpinisti in Liguria, Genova,1891.Alessandro Martelli - Luigi Vaccarone Guida delle AlpiOccidentali, Torino, 1889. Henry Moore, Sulla Scultura, Abscondita, Milano, 2002.Andrea Parodi, Intorno al Monviso, Andrea Parodi Editore,Genova, 2007.Herbert Read, Henry Moore, in Henry Moore, SullaScultura, Abscondita, Milano, 2002.Quintino Sella, Una salita al Monviso, (1863),TararàEdizioni, Verbania, 1998.Gianluca Torelli, Vigeland: il Rodin norvegese, Stile-Nextatelematica, Milano, 2001.Giovanna Uzzani, Henry Moore, Gruppo Editoralel’Espresso, Roma, 2005.

Altra immagine del Bozzetto di Cassinelli. Figura 7.

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Spiro Dalla Porta Xydias

ALBERT FREDERICKMUMMERYNordpress Ed. s.r.l.; Chiari (BS);sett. 2007.Pag. 122; 14 foto b.n.; cm. 14,5x21

• Scrivere una biografia èopera di notevole interessema anche di grande impegnoe delicatezza perché di fattonon è solo entrare, maimpadronirsi della vita di unapersona e trattenerne il sensocongelando la suapersonalità. Escludendo leautobiografie, i metodi aiquali rifarsi possonosemplicemente essere l’averevissuto vite parallele, laricerca approfondita dellefonti, magari non ancoranote, la ripetizione dellesalite o infine la rivisitazionedelle biografie esistenti. Quello che ha guidatol’autore in questo suo ultimovolume è stato per l’appuntoun’analisi accurata dellememorie di Mummery (Lemie scalate nelle Alpi e nelCaucaso, ed. Formica) e dellabiografia scritta da AttilioViriglio (Cappelli ed., 1953),più quant’altro si è detto oscritto sul grande alpinistainglese, capovolgendocompletamente l’immagineche se ne è data sino ad oggi.Rifiutando una biografiaaneddotica e scegliendoun’interpretazione di vita,Dalla Porta Xidias conclude

con la tesi «secondo la qualelo scalatore britannico non èstato essenzialmente unosportivo, ma al contrario unromantico convintodell’azione e del pensiero enon privo di uno spiccatohumor inglese.» È questo ilcuore del libro che sfuggeall’agiografia e al panegiricoma si rapporta con questopersonaggio leggendario eper tanti versi fantastico concompletezza storica eimparziale se pur mirataanalisi. Lo stile dell’autore èben noto, sempre piacevole edenso, e, nessuno comeSpiro, la cui derivazioneromantica è indubbia, potevapervenire a questeconvincenti e innovativeconclusioni che collocano inuna luce diversa questo eroedell’alpinismo mentre larecente possibilità ditelefonare con il cellularedalla cima dell’Everestsembra fare svanire la veraavventura dell’alpinismouniformando al resto delmondo l’universo montagna.

Dante Colli(G.I.S.M.)

Christian Roccati

VALLE D’AOSTA (VOL.1)75 ascensioni: tutte le ferrate della

Valle d’Aosta ed escursioni per tutti.

Le Mani Editore, Recco 2007.208 pagine a colori, 72 immagini,14x21 cm, traduzione in inglese,copertina lucida con alette, € 20.

• Si è già detto tutto rispettoalla Valle d’Aosta?…Probabilmente no! È uscitauna nuova guida alla regionealpina che illustra itinerari intutte le vallate. Il nuovovolume di Christian Roccati èl’unico che presenti tutte leferrate della Valléeattualmente percorribili, oltread itinerari di escursionismosu tutti i livelli: dalletranquille sterrate perfamiglie, con bimbi alseguito, ai percorsi arditi perescursionisti esperti ben oltre

i 3000 m! Il libro è tradottoanche in inglese ecaratterizzato da esaustivecartine-disegno a colori cheillustrano chiaramente itracciati, descritti con estremaminuzia e sotto ogni punto divista. La geografia dellaregione è suddivisa perognuno dei 291 valloni evalloncelli. Vi è la storia delleconquiste alpine e quelladello sviluppo delle ferrateoltre alla tradizione, allaflora, alla fauna ed allageologia… Un percorso che dal Biancoarriva al Rosa attraverso unarcobaleno di vallate, rifugi,cascate, laghi cime, ghiacciaie picchi. Un libro per sognarein Valle d’Aosta, d’estate, maanche d’inverno, con e senzaracchette, e nelle mezzestagioni, che comprendepersino un percorsovolutamente notturno allaportata di tutti! Una graficaunica con ben 72 immaginiad alta definizione, a paginaintera: un libro fatto per lagente, perennementeaggiornato sul sitowww.christian-roccati.comper vivere avventure in unluogo «senza dimensione esenza tempo».

Valentina Turturo(Sezione di Sampierdarena)

Francesco Sauro

L’ABISSO80 anni di esplorazioni

nella Spluga della Preta

CDA e Vivalda, Torino, 2007

• Anche se non fossespecificato nel sottotitolo,chiunque abbia praticato laspeleologia capirebbe subitoche l’Abisso è la Spluga dellaPreta, uno dei più famosiabissi del mondo, che si apresui pascoli dei monti Lessiniveronesi; una grotta che èstata teatro di grandiesplorazioni, ma anche ditante polemiche.La grande avventura diquesta grotta ha avuto inizio

nel 1925, quando i veronesiCabianca e De Battistidiscesero il primo grandepozzo di 131 metri econstatarono che la grottacontinuava. Una grandeimpresa, se si considerano letecniche e i mezzi di queglianni. Da allora sisusseguirono, e si susseguonoancora oggi, tanteesplorazioni che lottano conle grandi difficoltà di questomondo sotterraneo: pozziprofondi, cascate d’acqua, esoprattutto micidiali strettoie.La Spluga della Preta èdiventata un mito per tantegenerazioni di speleologi ed èsicuramente un caposaldofondamentale nella storiadella speleologia italiana emondiale.Fiumi d’inchiostro si sonousati per parlare di questoabisso, non solo sulle rivistedel settore ma anche suiquotidiani; articoli soventecarichi di retorica, diesagerazioni e diimprecisioni. Ritengo quindiche il merito principale diquesto libro sia quello di averristabilito la verità, ovveroaver scritto la storia delleesplorazioni in modocompleto, dettagliato erigoroso. L’autore ha dovutocerto fare una ricerca moltofaticosa, data la quantità didocumenti da consultare, mane è risultato un resocontoserio in cui tutte leesplorazioni sono descrittecon grande obiettività eprecisione. Ovviamentel’opera è destinata soprattuttoagli speleologi, ai qualisembrerà di respirarel’atmosfera dell’esplorazione,ma anche chi non èspeleologo si sentiràaffascinato dal resocontodelle avventure, scritte conuna prosa semplice e insiemeaffascinante, che non cedemai alla retorica. Quandovengono usate parole oespressioni del linguaggio

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speleologico, è sempreriportata la spiegazione afianco.L’autore è uno speleologo edè “figlio d’arte” (suo padre èstato speleologo e oggi è unodei più noti studiosi dicarsismo); con quest’opera sirivela anche ottimo scrittore.Mi sembra doverosoricordare che “L’abisso”,oltre che un libro, è anche unfilm, frutto dellacollaborazione fra Sauro e ilregista veronese AlessandroAnderloni. Proiettato per laprima volta nel 2005, haricevuto premi in tantenazioni d’Europa e inparticolare ricordo il premiospeciale del CAI per ilmigliore film di alpinismo, inoccasione del CervinoInternational Film Festivaldel 2006.Il film ha richiesto due annidi lavoro, la collaborazione di

70 speleologi e lacollaborazione di operatoriche si sono spinti fino a 800metri di profondità.Sappiamo che fare film ingrotta è durissimo, ma questoha raggiunto un livello chenessuno di noi aveva maivisto.

Carlo Balbiano

Oreste Forno

GRIGNEMontagne sognate,montagne vissuteBoffi Edizioni, Giussano, 2007.140 pagine; sovracopertina con alette; foto a colori; cm 30,5x42,5. € 55,00• Oreste Forno, scrittorepenetrante e maestro difotografia, ha fatto dellamontagna l’oggetto della suapiù forte passione, certamentericambiato dalle sensazionisquisite che ha semprecercato poi di trasmettere nei

suoi libri. Ispirato adessodalla figura di un Cassin che,in una specie di visioneretrospettiva ritrova neglianni della sua prorompentegiovinezza, lo immagina alleprese con una delle invitantipareti della Grignetta. È cosìche l’autore inizia il suocammino, che percorre comein un sogno fantastico, resoperò reale dalle stupendefotografie che si inanellano

senza sosta nellecentoquaranta pagine diquesto suo nuovo volume.L’insieme delle Grigne e deipaesaggi che le inquadrano,nel loro aspetto a volte severoo maestoso, a volte luminosoo romantico, viene sfruttatodal particolare formato delvolume che, con la doppiaapertura delle pagine, offregrandiose fotografie nelladimensione di oltre 80 cm. dilunghezza. Grignone eGrignetta vengono scrutatenei loro più incantevoliaspetti, con il tacito invito ascoprirne gli angoli piùsegreti che spesso sfuggonoanche a chi le percorre diabitudine e perfino a chi ailoro piedi trascorre l’interaesistenza.Il volume prende sì spunto daquel Cassin che proprio dallaGrignetta ha ricevuto laspinta verso le tappe storichedell’alpinismo e che anzidispone di un intero capitoloper presentarsi con un propriotesto. Ma se Oreste Fornocon questo libro ha intesorendere un omaggio perenneall’intramontabile Riccardo, a nostra volta nello sfogliareripetutamente queste pagine,dove ogni fotografia parlacome un lungo capitolo,saremo portati a pensare chequesto sia un autentico innoalla bellezza di una montagnache non si potrà mai néconoscere, né ammirare, né amare abbastanza.

Renato Frigerio

T i t o l i i n l i b r e r i aFranco, Laura e Massimo Gionco

AMERICHEDall’Alaska alla Patagonia, tra sogno e realtàBellavite Editore in Missaglia (LC), 2007.256 pagg.; 24x28,5 cm; foto col. € 39,00

Franco de Battaglia, Luciano Marisaldi

DOLOMITISentieri di storia e leggendaZanichelli Editore, Bologna, 2007.280 pagg.; 20,5x27 cm; foto col., cartine + fascicolo 48pagg. itinerari € 36,00

Fabio Cammelli

VIPITINO / STERZINGLa città che accarezza il cieloCasa Editrice Panorama, Trento, 2007.304 pagg.; 17x24 cm; foto col. € 28,00

A. Rizzato, A. Favarato

DOLOMITICento itinerari circolariCasa Editrice Panorama, Trento, 2007.424 pagg.; 13x19,5 cm; foto col. € 32,00

Giorgio Madinelli

IN CARNIA CON GARIBALDIEscursioni in Sernio-Grauzariasulle orme degli insorti friulani del 1864Ediciclo Editore, Portogruaro (VE), 2008152 pagg.; 12,5x21,5; foto col. cart. € 14,50

Ugo Mattana

IL PAESAGGIO DELL’ABBANDONONELLE PREALPI TREVIGIANE ORIENTALICIERRE Edizioni, Sommacampagna (VR), 2006142 pagg.; 21,5x29,5 cm; foto col.:b/n. Tav. cartogr. € 15,00

S. Peter Lewis, Dan Cauthorn

ARRAMPICATA SPORTIVA:ALLENARSI PER LA PARETEUlrico Hoepli Editore, Milano, 2007206 pagg.; 17x21 cm; foto b/n € 22,00

Craig Luebben

GUIDA COMPLETA ALL’ARRAMPICATA SU ROCCIAUlrico Hoepli Editore, Milano, 2007332 pagg.; 17x21 cm; foto b/n € 28,00

Giorgio Scotoni

L'ARMATA ROSSA E LA DISFATTA ITALIANA (1942-43)Casa Editrice Panorama, Trento, 2007603 pagg.; 14x20,5 cm; foto b/n. € 28,00

Annibale Salsa

IL TRAMONTO DELLE IDENTITÀ TRADIZIONALISpaesamento e disagio esistenziale nelle Alpi Priuli&Verlucca Ed., Scaramagno (To), 2007Collana “Paradigma” 14x21,5 cm; € 16,50

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La storiaNel 2007, anno del centenario dallanascita di Giuseppe Mazzotti, il PremioGAMBRINUS “GIUSEPPEMAZZOTTI”celebra la sua XXV edizione.Un anniversario importante, festeggiatocon un record assoluto di operepartecipanti - 214 opere da 104 Caseeditrici - e numerose iniziativecollaterali, alcune in collaborazione conil “Comitato regionale per le celebrazionidel Centenario della nascita di GiuseppeMazzotti”, voluto dalla Regione delVeneto per omaggiare una dellepersonalità di spicco della culturaveneta e nazionale contemporanea.In venticinque anni il Premio è cresciutodi importanza, diventando uno deiprincipali appuntamenti di settore nelpanorama culturale italiano. La suastoria è iniziata nei primi anni Ottanta,quando un gruppo di persone vicine aGiuseppe Mazzotti ha ideatoun'iniziativa per onorarne la figura el'opera: la famiglia, Adriano Zanotto,amici come Toni Benetton, CinoBoccazzi, Giovan Battista Ceriana, UgoFabris, Alessandro Meccoli e GiovanniVicentini, ed ancora l'Associazione"Amici di Comisso", il Comune di SanPolo di Piave e il Touring Club Italiano.Nel 1982 si sono costituiti in unComitato Promotore, istituendo ilPREMIO GAMBRINUS "GIUSEPPEMAZZOTTI” PER LA LETTERATURA DIMONTAGNA, DI ESPLORAZIONE E DIECOLOGIA, la cui prima edizione è statapresentata nel 1983.Nel 1986 il Comitato promotore si ècostituito in Associazione con ladenominazione "PREMIO LETTERARIOGIUSEPPE MAZZOTTI". Nel tempo, ilPremio è cresciuto: dalla VII edizione(1989) è stato istituito il Premio“FINESTRA SULLE VENEZIE”. Dal 1993si è aggiunta una quarta Sezione,dedicata a opere di ARTIGIANATO DITRADIZIONE, e dal 2005 una consulta

di lettori assegna il Premio “VENETOBANCA - La Voce dei Lettori”, durantela cerimonia delle premiazioni che sisvolge tradizionalmente il terzo sabatodi novembre. Nel 2007, per la XXVedizione, sono state istituite duesignificative novità: il Premio letterarioGiuseppe Mazzotti Juniores e il PremioAntonio Berti. Il primo, che si avvaledella collaborazione della FondazioneVENETO BANCA di Montebelluna edell'Associazione Culturale VIVARTE diTreviso, si rivolge agli studenti degliIstituti superiori del Triveneto conl'obiettivo di far loro conoscere la figuradi Giuseppe Mazzotti, ma soprattutto disensibilizzarli ai temi di cui l'illustreintellettuale trevigiano è stato portavocenel corso della sua vita. Il secondoinvece, voluto dalla Fondazione AntonioBerti, è assegnato all'interno dellaSezione “Montagna” del PremioGAMBRINUS “GIUSEPPE MAZZOTTI”, adun'opera storico alpinistica o biograficariguardante la montagna triveneta.La Giuria, che designa le opere vincitricinelle quattro Sezioni, assegna il PremioAntonio Berti e lo speciale FINESTRASULLE VENEZIE, è composta ogni annoda importanti personalità della cultura.Ne hanno fatto parte Piero Angela, CinoBoccazzi, Walter Bonatti, Piero Chiara,Dino Coltro, Salvatore Giannella, SilvioGuarnieri, Paul Guichonnet, DaniloMainardi, ed ancora AlessandroMeccoli, Ignazio Musu, Lionello Puppi,Folco Quilici, Eugenio Turri, ItaloZandonella e Stanislao Nievo.Fra i vincitori delle passate edizioni deiPremio GAMBRINUS "GIUSEPPEMAZZOTTI" spiccano nomi di autoriaffermati anche in sede internazionale:Freya Stark, Konrad Lorenz, CesareMaestri, Luis Sepulveda, Tiziano Terzani,Reinhold Messner, Vandana Shiva,Richard Leackey, Giuseppe Cederna.Negli anni, altri importantiriconoscimenti, come il Premio “Honoris

Causa”, sono stati assegnati apersonalità, Enti e organismi vari,pubblici e privati, che si sono distinti peril loro impegno e le loro idee, in tempi difacili manomissioni di realtà naturali oartistiche. Tra loro Sabatino Moscati,Mario Pavan, Gianni Berengo Gardin,Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli, FoscoMaraini, Walter Bonatti, il WorldwatchInstitute (uno dei centri mondiali diricerca sull'ambiente) presieduto daLester Brown, il Comitato "Cittadini diFanzolo per Fanzolo" (per l'encomiabileimpegno a tutela della villa palladianaEmo Capodilista di Fanzolo di Vedelago)e Piero Angela.

I premi La giuria, presieduta da Franca AnselmiTiberto e composta da Margherita AzziVisentini, Ulderico Bernardi, BrunoDolcetta, Pier Francesco Ghetti,Alessandro Gogna, Silvia MetzeltinBuscaini, Enrico Rizzi e Paolo Rumiz, haespresso vivo compiacimento perl'eccezionale quantità e l'alta qualitàdelle opere che hanno concorso: 214volumi inviati da 104 Case Editrici. Unrecord assoluto di partecipazione, cheha contribuito a rendere l'edizione 2007una delle più significative della storiadel Premio, insieme a due importantianniversari: il venticinquesimo dalla suaistituzione ed il centenario dalla nascita

di Mazzotti.Dopo una discussione animata e unarduo lavoro di selezione - tenendosempre fede all'illustre figura diGiuseppe Mazzotti - la giuria haproclamato le cinque opere vincitrici,una per ogni sezione del Premio(montagna, esplorazione, ecologia,artigianato di tradizione, Finestra sulleVenezie). La stessa Giuria ha sceltoanche il vincitore della prima edizionedel Premio Berti, assegnato ad un'operastorico-alpinistica o biograficariguardante la montagna triveneta. Essoverrà consegnato separatamente, inoccasione della manifestazione Oltre levette di Belluno, sabato 13 ottobre.Questo il responso della Giuria.

SEZIONE “MONTAGNA”A Benito Mazzi per il suo SOTTO LANEVE FUORI DAL MONDO. C'era unavolta la scuola di montagna, PRIULI &VERLUCCA EDITORI, con la seguentemotivazione: “piccole scuole'pluriclasse', sperdute in lontani casolaridell'Ossola - emblematiche di tanti altriluoghi delle Alpi - rivivono in un affrescopalpitante, arricchito dalle commoventitestimonianze di vecchi maestri e daigiochi degli ultimi bambini dellamontagna oggi spopolata, appena primache la televisione cambiasse il mondo.Una scrittura agile e sapiente, ironica e

I L P R E M I O L E T T E R A R I O

Gambrinus “Giuseppe Mazzotti”XXV edizione

Giuria e autori premiati nella serata conclusiva.

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divertita, toccante e profondamenteumana racconta storie antiche disacrifici e di sudori, di esperienzeautentiche di gente povera di mezzi, maricca di valori”.

SEZIONE “ESPLORAZIONE”A Wojciech Gorecki per il volume PIANETA CAUSASO. Dalla Circassia allaCecenia: reportage dai confinidell'Europa, BRUNO MONDADORIEDITORE, con la seguente motivazione:“una storia di neve e precipizi, stradesterrate e icone, vodka, soldati ebriganti, bivacchi, canti e disperazione.Un viaggio in bilico tra Europa e Asia,nel luogo-rifugio dei popoli più inquieti emitomani della Terra. Inguscezi,calmucchi, abchazi e ceceni, mescolatialle ombre degli antichi àvari, sàrmati ealani, o dei leggendari circassi. Unafavolosa dorsale montuosa cosìdensamente popolata di etnìe che già iRomani, per attraversarla,abbisognavano di 150 interpreti”.

SEZIONE “ECOLOGIA”A George Monbiot per il volume CALORE! Il riscaldamento del globo:una catastrofe annunciata, le curepossibili, LONGANESI EDITORE, con laseguente motivazione: “un pugno nellostomaco per i cittadini di questo pianetache, di fronte ai cambiamenti climatici ealle cause legate all'uso sempre piùmassiccio delle energie fossili, hannotrovato comodo adottare la “teoria dellostruzzo”. Sul filo di un ritmo incalzante,l'Autore documenta, con dovizia di dati,le diverse posizioni e, con una fiduciaincrollabile nell'uomo, ci sottopone unavasta gamma di possibili soluzioni chepotremmo adottare da subito,smontando alcuni miti ecologisti, i tantiegoismi e i giganteschi interessi”.

SEZIONE “ARTIGIANATO DI TRADIZIONE”A Luigi Gallinaro, curatore delvolume TECNICA E ARTE DELLATAPPEZZERIA, DANILO ZANETTIEDITORE/CONFARTIGIANATO MARCATREVIGIANA, con la seguentemotivazione: “un'arte antica, di manisapienti e laboriosa pazienza, che ivecchi Maestri trasmettono alle nuovegenerazioni attraverso le pagine diquesto libro, insieme manuale formativoe raccolta storica di esperienze.L'iniziativa di Confartigianato èmeritevole del maggiore apprezzamentoper il valore di continuità propostonell'opera, come stimolo a far tesoro diuna ricchezza di tradizione che è tuttorapatrimonio di un'onorata categoriaartigianale”.

Dino Coltro è il vincitore del Premio

“FINESTRA SULLEVENEZIE”, per il volume LA TERRAE L'UOMO. Cultura materiale del mondoagricolo veneto, CIERRE EDIZIONI, conla seguente motivazione: “operamonumentale sul mondo contadinocostruita con pazienza, metodo rigoroso,grandissima competenza e immensoaffetto. La ricostruzione si dipana apartire da una prima parte chericonosce e descrive, interpretandone lastruttura e i nessi, il paesaggio agrario,lo spazio costruito, l'organizzazioneproprietaria e sociale e da una seconda,che articola ed elabora tutte lecomponenti del lavoro e della sapienzacontadina, del 'saper fare', affinato econsolidato nei secoli. La complessasocietà che ha costruito il nostroterritorio e conservato le sue risorse, èqui vista “da dentro”, conpartecipazione ma anche con lacompetenza dello studioso che citrasmette la conoscenza di un mondo,travolto oggi nella sua secolareorganizzazione e, forse, nei suoi valori,consentendoci di dichiararne nonperduta o adulterata la memoria”.

La Giuria ha infine assegnato la primaedizione del premio “ANTONIOBERTI” riservato ad un'opera storico-alpinistica o biografica riguardante lamontagna triveneta, a PaoloBeltrame, per il volume 101% veramontagna. Una finestra sul gruppodei Preti-Duranno verso nuoveesperienze escursionistiche,MICHELE BELTRAME EDITORE, con laseguente motivazione: “grande esempiodi come affrontare e risolvere conpassione ed estrema competenza ladivulgazione di zone di montagna(affatto sconosciute ai più) ad unpubblico che voglia percorrerle econoscerle con intelligenza. Lebellissime immagini e i testi rigorosi,finora totalmente mancanti per questemontagne, “vere” perchè del tuttoselvagge, sono i fondamenti per unprofondo rinnovamento nell'ambito delleguide escursionistiche”.

Le iniziative collateraliTra le numerose iniziative collaterali alPremio, in programma per questa XXVedizione, sabato 13 ottobreall'auditorium comunale di Belluno,nell'ambito della manifestazione Oltre leVette, sono stati presentati gli atti delconvegno “La cultura delle malghe e ilfuturo dell'alpeggio”, svoltosi lo scorsoanno. Nella stessa occasione è statapresentata la prima edizione del Premioletterario Giuseppe Mazzotti Junioresriservato agli studenti degli istitutisuperiori del Triveneto e promosso incollaborazione con la Fondazione

VENETO BANCA di Montebelluna el'Associazione Culturale VIVARTE diTreviso, è stato assegnato il Premio“Antonio Berti”. Il tema dellasalvaguardia e della corretta gestionedel territorio è stato invece al centrodella “manifestazione parallela”promossa ogni anno dal Premio, contitolo “Il paesaggio di cent'anni. Per unarilettura con Giuseppe Mazzotti” esvoltosi sabato 20 ottobre, incollaborazione con il Comitato regionaleper le celebrazioni del centenario dellanascita di Giuseppe Mazzotti.Dopo aver guardato l'anno scorso allamontagna, quest'anno esperti diprim'ordine hanno dato voce al sempreattuale messaggio dell'intellettualetrevigiano proponendo una rilettura delletrasformazioni ambientali e sociali di cuiegli è stato attore, testimone ecoscienza critica.

Il premio “Veneto Banca - la voce dei lettori”È stato l'inglese Gorge Monbiot adaggiudicarsi il premio “VENETO BANCA- La Voce dei Lettori”. Il libro dell'unicoassente tra la rosa dei vincitori haottenuto il consenso della maggioranzadi una qualificata consulta di 40 lettori,uno spaccato della società,comprendente studenti del Triveneto,esponenti del mondo della cultura,dell'associazionismo ambientalistico eturistico, del giornalismo. Ciascunmembro della consulta ha espresso lapropria preferenza tra le cinque operepremiate dalla giuria nelle sezioni in cuisi articola il Premio. Con 17 voti quindi“Calore. Il riscaldamento globale: unacatastrofe annunciata, le cure possibili”si è imposto nettamente su “La terra el'Uomo” (Dino Coltro), “Sotto la nevefuori dal mondo” (Benito Mazzi),“Pianeta Caucaso” (Wojciech Gorecki),“Tecnica e arte della teppezzeria” (LuigiGallinaro). Un giudizio che premia ilmessaggio ecologista dello scrittoreinglese, il quale però non è riuscito adessere presente alla cerimonia perchéevita l'aereo: mezzo, a suo dire, troppoinquinante.È stato assegnato il Premio Speciale delCentenario alla figura e all'opera delvicentino Renato Cevese, personaggioche, come Mazzotti, si è strenuamentebattuto per la salvaguardia delpatrimonio artistico veneto, inparticolare delle ville venete. Dal palco,Cevese ha lanciato un severo monitoalle autorità e ai critici d'arte: “Le VilleVenete non sono tutte salvate”. Eancora: “Salviamo Serravalle di VittorioVeneto, una borgata dal valoreinestimabile, ma tragicamentetrascurata”.

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IL LIBROProgetto di una stradaferrata attraverso il SanGottardo

Nel 2007 le FFS hannocelebrato con i cantoni Uri eTicino i 125 anni dellaferrovia del Gottardo, tra lepiù importanti linee per il

transito alpino, almeno finoal 2016 data prevista perl’apertura di AlpTransitgalleria di base del nuovocollegamento transalpino adalta velocità, che con 57 kmsarà la più lunga del mondo.La raccolta di miscellaneaottocentesca della Bibliotecaè ricca di studi di fattibilitàper progetti ferroviari, alcunimolto rari, tra cui il Progettodi una strada ferrataattraverso il San Gottardoonde collegare le ferrovied’Italia con quelle dellaSvizzera centrale di PasqualeLucchini. - Bellinzona :Tipografia e litografia delVerbano, 1853. - 7 p., 4 c. ditav.; 26 cm.Il contributo di Lucchini siinserisce nel dibattito sulla«migliore linea di traforo checolleghi attraverso le Alpi lelinee ferroviarie del Piemontee di altre parti d’Italia conquelle del Reno e dellaGermania e ravvicinare il

commercio». La prima lineaferroviaria della storia fuinaugurata sulla penisolabritannica nel 1825. Neldecennio successivo nel restod’Europa si posarono binariovunque; nel Regno diSardegna la situazione era piùarretrata e la prima brevelinea fu completata solo nel1848. Negli stessi anni iniziòil dibattito sulla migliore viadi valico della catena alpina,con relativa abbondanteproduzione bibliografica.Laurent Martinet nel 1844,proponeva di «percer le Coldu Géant, au nord du villaged’Entreves, au midi de celuides Bossons» creando così lapiù veloce via dicollegamento tra Italia,Francia e nord Europa. Fuinvece realizzato il traforo delFrejus (1871) e nel dibattitosulla questione del secondovalico ferroviario delle Alpi ilMonte Bianco fuaccantonato, a favoredell’alternativa tra Spluga oLucomagno. Lo Spluga fupoi escluso per ragionipolitiche di aggiramentodell’ostacolo austriaco chechiudeva l’accesso delPiemonte al Ticino. Nel 1853Lucchini considerava ormaivicina la soluzione delquesito e «lamentava ladeficienza di appositi piùaccurati studi tecnici sulpassaggio del S.Gottardo …sia sotto il rapporto dellamaggiore o minore difficoltàdella costruzione sia sottoquello della relativa spesacome pure nella vista delleconvenienze del commercioin generale». Nel suoprogetto propose di ridurre lalunghezza del tunnel dai 10km del progetto dell’ing.Federale Koller a 7.850 m. Iltraforo tra Airolo eGöschenen misurerà invece15 km e sarà costruito tra il1872 e il 1882 a costo diimmani fatiche e di 146incidenti mortali.

LE NOTIZIEUn po’ di cambiamenti,conseguiti alla nuovatoponomastica, hannodeterminato una piccolarivoluzione al Monte deiCappuccini. Ecco i nuoviindirizzi postali:

MUSEO NAZIONALEDELLA MONTAGNA“DUCA DEGLI ABRUZZI” -CAI-TORINOArea Espositiva, Direzione eUfficiPiazzale Monte deiCappuccini, 7 - 10131 TorinoBIBLIOTECA NAZIONALECAIArea DocumentazioneMuseomontagnaSalita al CAI Torino, 12 -10131 TorinoCENTRODOCUMENTAZIONE -MUSEO NAZIONALEDELLA MONTAGNAArea DocumentazioneMuseomontagnaSalita al CAI Torino, 12 -10131 TorinoCINETECA STORICA EVIDEOTECA - MUSEONAZIONALE DELLAMONTAGNAArea DocumentazioneMuseomontagnaSalita al CAI Torino, 12 -10131 TorinoCENTRO ITALIANOSTUDIODOCUMENTAZIONEALPINISMOEXTRAEUROPEO - CAIArea DocumentazioneMuseomontagna

A cura del MUSEO NAZIONALEDELLA MONTAGNA CAI-TORINO e della BIBLIOTECANAZIONALE CAI

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Salita al CAI Torino, 12 -10131 TorinoSALA DEGLI STEMMI -MUSEO NAZIONALEDELLA MONTAGNAArea IncontriMuseomontagnaPiazzale Monte deiCappuccini, 7 - 10131 TorinoRISTORANTE MONTE DEICAPPUCCINI E CENTROINCONTRIArea IncontriMuseomontagnaSalita al CAI Torino, 12 -10131 Torino

SALITA AL CAI TORINONella ricorrenza dellaGiornata Internazionale dellaMontagna, l’11 dicembre2007, la Città di Torino, allapresenza del Presidente delConsiglio ComunaleGiuseppe Castronovo, haintitolato una via al ClubAlpino Italiano. Da quelladata chi salirà al Monte deiCappuccini percorrerà lastrada denominata “Salita alCAI Torino”.È un fatto di grande rilievoper l’intero sodalizio inquanto su quel tratto di via sitrovano il Ristorante e l’AreaDocumentazione del MuseoNazionale della Montagna,ma anche la BibliotecaNazionale e la Sede socialedel CAI.L’intitolazione è quindiduplice testimonianza: per ilsodalizio, fondato nelcapoluogo subalpino nel1863, e per il CAI Torino cheha rappresentato un saldo econtinuativo punto diriferimento per progetti e“storie” vissute al Monte deiCappuccini, sin dal 1874, astretto contatto conl’amministrazione civica.Tanti momenti che nonpotevano essere dimenticati. Sempre nella stessa giornatala piazza antistante il Museoe la Chiesa di Santa Mariadel Monte ha assunto il nomedi “Piazzale Monte dei

Cappuccini”.L’11 dicembre è stata ancheconferita alla Città di Torino,nella persona del sindacoSergio Chiamparino,l’associazione benemerita allaSezione di Torino del CAI. Siè trattato di unriconoscimento alla Civicaamministrazione che - sin dallontano 1874, anno di

realizzazione della VedettaAlpina - è sempre stata afianco del sodalizio, inparticolare valorizzando ecollaborando alla costituzionee all’affermazione del MuseoNazionale della Montagna edi tutte le attività dellaSezione di Torino del ClubAlpino Italiano al Monte deiCappuccini.

LA FOTOIl Monte dei Cappuccini aTorino. Sede Sociale del CAIe del Museo Nazionale dellaMontagna del CAI Torino, inuna foto degli anni 1910.

IL FILMRiprendendo il tema deitrafori non si può non citarel’inusuale film svizzero del1991: , di ClemensKlopfenstein.I lavori di perforazione perun traforo ferroviario portanoil geologo Peter Meissner ascoprire una valle dimenticatadi cui non esiste traccia sullecarte geografiche. Durante unvolo di perlustrazione indeltaplano l’uomo precipita esi trova in mezzo a degliuomini che sembrano vivereisolati dal resto del mondo dadecenni. Dapprima lacomunità, religiosa ai limitidel fanatismo, vede Meissnercome un’incarnazione delmale e lo insegue perscacciarlo. Il geologo nonrinuncia a tentare di scoprire imisteri di questa gente e,aiutato dalle donne delvillaggio, ci riesce. Appenapossibile però, nonostante sisia innamorato di Sarah, faritorno alla civiltà, sfuggendoalle minacce del patriarca.A fianco il manifesto svizzeroconservato dalMuseomontagna.

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PremessaIl presente lavoro, svoltodalla Commissione LombardaMateriali e Tecniche (CLMT)in sintonia con laCommissione Centrale(CCMT), riprende quanto giàsviluppato sui cordini ecomparso su LA RIVISTAdel Club Alpino Italiano(maggio-giugno 2004 enovembre-dicembre 2007).In quest’ultima parte siriprende l’argomento,parlando di alcuni aspettipratici nell’utilizzo deicordini, dando informazioniche possono essere moltoimportanti ai fini dellasicurezza in montagna.È infatti il miglioramento diquest’ultima, mediante unuso più consapevole deimateriali, la motivazioneprincipale del presentelavoro.

Utilizzo dei cordininella praticaSi è visto nei brani precedentidel presente lavoro come glispigoli diminuiscano laresistenza dei cordini: qui diseguito vengono riportatialcuni esempi di utilizzo, chesi possono presentare in casipratici, analizzando l’entitàdell’indebolimento chealcune modalità d’impiegoinducono nei cordini.

Caso di anello di cordino (2 rami)teso con unmoschettone su spigoli con variraggi di raccordoIl caso, rappresentato nellafigura 1, vede un anello dicordino con 2 rami racchiusotra un moschettone (diametrodel corpo del moschettonepari a 10 mm) ed uno spigoloche varia di raggio come giàindicato in precedenza. Il nodo di giunzione è undoppio nodo inglese per icordini in Nylon (diametro 7mm e carico di rottura di1043 kp), oppure un triplonodo inglese per i cordini inKevlar (diametro 5,5 mm) eil nodo inglese quadruplo peril Dyneema (diametro 5,5mm). Il Dyneema presentacaratteristiche discivolamento, e quindi discioglimento del nodo,estremamente elevate; d’altraparte lo scopo delle prove eraquello di valutare l’effettodello spigolo cercando dievitare il collasso del nodo.I risultati sono illustrati neidue grafici di figura 2. Infunzione del raggio dellospigolo, vengono riportati icarichi di rottura dell’anellosu spigolo (linea continua) edell’anello tra due pulegge, incui la rottura avviene nelnodo (linea tratteggiata).Dall’analisi dei grafici sipossono fare le seguentideduzioni:

• Il maggior carico èsostenuto dal Dyneema cuiseguono, nell’ordine, Kevlare Nylon.

• È interessante notare cheper raggi elevati dellospigolo la rottura nonavviene più sullo spigoloma nel nodo - il cui caricodi cedimento èrappresentato dalla lineaorizzontale tratteggiata - chein questa situazione divental’elemento più deboledell’intero complesso.

• Confrontando i tre cordini,si può notare che il Kevlar eil Dyneema presentano un“ginocchio” più marcatoche il Nylon: questo vuol

Vittorio Bedogni 1,Elio Guastalli 2 -CommissioneMateriali eTecniche

Cordini per alpinismo:Caratteristiche, problematiche e suggerimenti (parte terza)

1 CLMT-CCMT-CAI Legnano2 CLMT-CAI Pavia

Fig. 2. Resistenza anelli di cordino su spigolo.

Fig. 1.

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dire che Kevlar e ilDyneema hanno un valoredi saturazione3 più basso(raggio dello spigoloinferiore a circa 2 mm) chenon il Nylon.

Caso di anello di cordino teso tra un moschettonee l’occhiello di un chiodo Per questo tipo di prove si èfatto riferimento allesituazioni riportate nellafigura 3. Sono stati analizzati3 tipi di chiodi comeillustrato nella figura 4: unoè stampato, gli altri tranciati;nonostante le normeprevedano spigoli arrotondati(r ≥ 0,2 mm), in realtà sonofrequentemente presenti

spigoli a volte taglienti.In questo caso il nodo dichiusura dell’anello è ildoppio inglese per il cordinodi Nylon e il triplo inglese peril cordino di Kevlar e diDyneema. Nel caso del Nylonsi è analizzato solo il cordinocon diametro di 7 mm.Per i chiodi considerati, si

sono esaminate situazionicon 2 e con 4 rami; nel casocon 2 rami, e per il chiodo #3, si è anche esaminato ilcosì detto nodo “a strozzo”(tabella 1).Si è inoltre riportato intabella 2 il fattore diriduzione della resistenzarispetto allo stesso anello chepresenta un altromoschettone al posto dellospigolo; questo è espressocome:

Fattore di riduzione = [(Ra - RR) / Ra] * 100dove:• Ra è la resistenza

dell’anello in assenza diintaglio (rottura localizzatanel nodo).

• RR è la resistenzadell’anello in presenza diintaglio (chiodo) (rotturalocalizzata sul chiodo).

Dall’analisi della tabella 1 sipossono fare le seguentideduzioni: • Solo con 4 rami, cordino in

Kevlar o Dyneema echiodo di tipo 1 (stampato),si superano i 2000 kprichiesti per i moschettoni;negli altri casi questo non èverificato. Va però dettoche valori comuni delcarico all’ultimo rinvio, incaso di assicurazionedinamica e in assenza dirilevanti attriti lungo lacatena di sicurezza, sonodell’ordine di 500÷900 kp.Questa considerazionerende meno critico ilquadro sopra descritto; ècomunque saggio interporresempre un moschettonespecie con chiodi tranciati.

• Dalla tabella 2 si vede piùchiaramente che il cordinodi Dyneema risultamigliore degli altri 2cordini analizzati e che ilcordino in Nylon nonsfigura rispetto ai materialipiù sofisticati, specie per ichiodi con occhiello più“tagliente”.

• Il denigrato “nodo a

Fig. 3. Anelli di cordino su chiodi.

Chiodo # 1 Chiodo # 2 Chiodo # 32 rami 4 rami 2 rami 4 rami 2 rami 4 rami 2 rami

“classico” “classico” “classico” “classico” “classico” “classico” “ a strozzo”

Nylon Ø 7 mm (1043 kp) 1217 1850 740 1074 967 1203 1057Kevlar Ø 5,5 mm 1673 2610 667 1037 1013 1120 1097Dyneema Ø 5,5 mm 1932 3153 870 1247 1363 1703 1530

Chiodo # 1 Chiodo # 2 Chiodo # 32 rami 4 rami 2 rami 4 rami 2 rami 4 rami 2 rami

“classico” “classico” “classico” “classico” “classico” “classico” “ a strozzo”

Nylon Ø 7 mm (1043 kp) 31,4 % 39,3 % 58,3 % 64,8 % 45,5 % 60,6 % 40,4 %Kevlar Ø 5,5 mm 15,1 % 34 % 66,1 % 73,8 % 48,6 % 71,7 44,3 %Dyneema Ø 5,5 mm 5,8 % 22,8 % 57,6 % 69,5 % 33,6 % 58,3 25,4 %

3 Per “saturazione” si intende che una certa gran-dezza f (x) tende a mantenersi costante oltre uncerto valore della variabile indipendente x.

In alto:Tabella 1. Resistenza di anellicordino passati direttamentenell'occhiello del chiodo (kp).

Qui sopra:Tabella 2. Riduzione in % resistenzadi anelli cordino passati direttamentenell'occhiello del chiodo.

Fig. 4. Chiodi utilizzati.

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delle tensioni a cavallo dellospigolo acuminato; infatti, leformule citate soddisfanoabbastanza bene il caso delchiodo # 1 in cui la distanza“L” è in pratica zero inquanto la sezionedell’occhiello è circa uncerchio.

Caso di anello di cordino teso tra un moschettonee l’occhiello di una piastrinaÈ stato analizzato il caso incui un anello di cordino èstato infilato direttamente inuna piastrina per spit/fixcome da figura 6. Dallafigura si può notare come ilramo superiore di destratenda a schiacciare l’altroramo inducendo unasituazione di sollecitazionemolto sfavorevole, poiché ad

strozzo”, nel caso di anellocon 2 rami (è statoanalizzato solo il caso conchiodo di tipo 3),inaspettatamente mostraresistenze più elevate diquelle ottenute costruendol’anello direttamentenell’occhiello del chiodo(caso di anello con duerami “classico” con chiododi tipo 3).

• Cercando di applicare,nelle formule (7) e (8) 4, icoefficienti di intagliodeducibili dalla fig. 5 4 peri raggi degli spigoli deichiodi analizzati, siottengono risultatiragionevolmente simili aquelli sperimentali dandocosì buona convalida alleformule sopra citate.

• Contrariamente a Kevlar eDyneema, il Nylon sembraessere più sensibile non alraggio “R“ dello spigolo(molto affilato nel caso deichiodi # 2 e 3), bensì ad un“raggio equivalente” cherisente sia del raggio “R“dello spigolo vero e proprioche della distanza “L” tra idue spigoli (vedere figura5). Questo raggioequivalente risulta esserepiù grande del raggio R epertanto la riduzione diresistenza è inferiore.

La ragione di questocomportamento è dovuta alfatto che il Nylon è piùallungabile degli altri duemateriali, quindi permetteuna maggior ridistribuzione

uno stato di tensione(causato dal carico applicato)si sovrappone un’altro dicompressione (causato dallaparziale sovrapposizione deirami) a esso perpendicolare.La piastrina utilizzata è

“Raumer”. I risultati fannodunque riferimento a quellaspecifica geometria, anche sealtre piastrine presentanogeometrie simili.I cordini usati sono ancora:• Nylon diametro 7 mm

4 I numeri delle formule e della figura fanno riferi-mento all'articolo “CORDINI PER ALPINISMO:CARATTERISICHE, PROBLEMATICHE E SUGGE-RIMENTI” (seconda parte) comparso sulla RIVI-STA del CAI, novembre-dicembre 2007.

Fig. 5.

Fig. 6. Anello di cordino in una piastrina da spit/fix.

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(anello chiuso con doppionodo inglese)

• Kevlar diametro 5,5 mm(anello chiuso con triplonodo inglese)

• Dyneema diametro 5,5 mm(anello chiuso con triplonodo inglese)

Si è analizzato solo lasituazione che prevede lapresenza di 4 rami (anellochiuso passato in doppionella piastrina). Anche perquesto caso si è valutato ilfattore di riduzione comedefinito al punto precedente.I risultati sono riportati nellatabella 3.

situazioni pratiche si possonodare alcuni suggerimenti:• Il Nylon ha valori di

saturazione menoevidenziati e quindicontinua a risentiredell’effetto di intaglio peruno spettro più ampio diraggi dello spigolo. Va peròrilevato che il Nylon,essendo più allungabile chenon il Kevlar e il Dyneema,risente meno di spigoli nonmolto vicini tra loro (casoillustrato in figura 5). Nella pratica questaconsiderazione va integratacon la resistenza intrinseca

cordino.• Anche nel caso di una

piastrina per spit/fix, evitareil passaggio diretto di uncordino dentro l’occhiello oalmeno analizzareattentamente caso per caso.

• Per sfruttare al meglio lequalità del Dyneema, chesono davvero elevate,sarebbe consigliabileutilizzare, come nodo digiunzione, un quadruploinglese, anche se si presentaingombrante; si consigliavivamente di usare almenoil triplo inglese.

RingraziamentiSi ringraziano i membri della Commissione Centrale e Lombarda Materiali eTecniche per il supportoprestato e in particolare Carlo Zanantoni, AndreaManes, Andrea Monteleone,Enrico Volpe e GianluigiLandreani.Un ringraziamento particolareper Lucio Calderone.

Vittorio Bedogni CLMT-CCMT-CAI Legnano

Elio Guastalli CLMT-CAI Pavia

di base dei tre materiali chevede Kevlar e Dyneemaavere, circa a parità didiametro, una resistenza trevolte superiore a quella delNylon.

• Probabilmente un anello diNylon passato attorno aduno spuntone o ad unaclessidra, che presenti unospigolo molto tagliente,risente meno dell’effettod’intaglio che non il Kevlaro il Dyneema. Ancora unavolta questa considerazioneva corretta ricordando chela resistenza di questi duemateriali è circa tre voltequella del Nylon a parità didiametro.

• Interporre sempre unmoschettone tra chiodo ecordino specie con chioditranciati; nel caso in cuiquesto fosse impossibile ènecessario valutareattentamente il numero deirami e il materiale del

Per un anello di cordinopassato dentro una piastrina,il Dyneema ha nettamente ilmigliore comportamentosuperando anche i 2000 kp. In termini di resistenza ilNylon ha invece i peggioririsultati, mentre il Kevlar sipone in situazioneintermedia; diversamente sideve dire per la riduzionepercentuale dove il Kevlarrisulta il peggiore.

ConclusioniCon questa parte si concludel’analisi dei cordini avviatatempo addietro e comparsasulla Rivista del CAI.A conclusionedell’approfondimento sulle

Resistenza Riduzione percentualekp %

Nylon Ø 7 mm (1043 kp) 1495 51Kevlar Ø 5,5 mm 1765 55,4Dyneema Ø 5,5 mm 2335 42,8

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Tabella 3. Resistenza di un anellocordino passato direttamente in una piastrina da spit/fix.

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Non male come lavoro. Il geologo Antonio Pignalosamentre raccoglie campioni sul massiccio delSempione; sullo sfondo la Val Divedro.

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Sapete cosa rispose ilpastore saggio alla domandadel Re: “quanti secondi hal’eternità?”. Rispose: “NellaPomerania Orientale c’è ilmonte di Diamante chemisura un’ora in altezza,un’ora in larghezza, ed un’orain profondità, là ogni centoanni va un uccellino adaffilarsi il becco. Quando lamontagna sarà consumatasarà trascorso un secondo dieternità” (da una fiaba deifratelli Grimm).Questa è la mia visione deltempo quando si parla di eregeologiche. Per i geologi chestudiano la formazione dellecatene montuose, invece,definizioni come questa sonotroppo vaghe. A facilitagli ilcompito ora c’è uncronometro naturale, celato inalcuni minerali delle roccealpine.Infatti, alcuni mineralicontengono piccole quantitàdi elementi radioattivi, comel’Uranio, che sono dei“cronometri geologici” dialtissima precisione.Prendiamo ad esempiol’apatite: con il procedere deimillenni, e sotto la spinta diuna catena montuosa insollevamento, il mineralerisale verso la superficieterrestre e lentamente siraffredda. Sceso al di sottodei 110 gradi centigradi ditemperatura, che

corrispondono ad una certaprofondità nella crostaterrestre, il cronometro siaziona. I prodotti deldecadimento dell’Uranio, cheprima sfuggivano dal reticolocristallino dell’apatite, ora siaccumulano con cadenzaprecisissima all’interno delminerale. Rimangonointrappolati, insomma. Primao poi l’apatite affiora e lì, ungeologo come MassimilianoZattin, della Università diBologna, lo potrebberaccogliere e portare inlaboratorio.La quantità di Uraniodecaduto indica ai geologi iltempo trascorso dal momentoin cui la roccia è scesa sotto i110 gradi. Ma c’è di più,infatti minerali ed elementiradioattivi diversi hannotemperature di innesco del“cronometro” differenti cheindicano quando la roccia èscesa sotto i 200, poi i 110, epoi i 70 gradi e così via. Èproprio usando mineralidiversi che i geologiricostruiscono la storia dellaemersione delle rocce dalleprofondità del pianeta.Ed è così che Zattin, insiemea geologi americani e di altreuniversità italiane, ha scrittoun nuovo capitolo della storiadel massiccio del Sempione.Per questo studio Zattin hausato campioni di rocciaestratti dal traforo del

di JacopoPasotti

Un cronometrogeologicoElementi radioattivi nei minerali scandiscono il tempo per centinaia di migliaia di anni, e raccontano la storia del sollevamento della catena alpina.

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Sempione.Studiando le apatiti e glizirconi dei campioni raccoltilungo i 20 chilometri ditunnel che filano sotto ilMonte Leone, Zattin hascoperto che negli ultimi duemilioni di anni le roccesottostanti la verdissima ValDivedro si sono sollevate aduna velocità di 0.7 millimetriall’anno, che, anche se poco,è il doppio rispetto alledecine di milioni di anniprecedenti.E questo è un aspettointrigante della scienza.Studiando i mineraliimpolverati della collezionedi rocce di Losanna, Zattin ecolleghi hanno sì riempitouna lacuna scientifica, ma nehanno aperta un’altra. Infattiquando Zattin ha letto i“cronometri” naturali si ètrovato di fronte ad un nuovointerrogativo: cosa è successodurante gli ultimi due milionidi anni, che ha accelerato ilsollevamento del Sempione?

Una risposta scientificaspesso pone nuovi quesiti darisolvere.In questo caso la rispostapotrebbe essere nell’iniziodelle epoche glaciali chehanno dominato il pianetadurante gli ultimi due milionidi anni. “I ghiacciai sono ilpiù potente agente erosivoche conosciamo”, dice Zattin.“Molto più della pioggia, peresempio”.Ma cosa c’entra l’erosione intutto questo? L’erosione,semmai, livella le montagne.Le montagne crescono “dasotto”, per esempio quandodue continenti si scontrano eduno si incunea sotto l’altro,ribatto. Quello è certamenteuno dei modi in cui siformano i rilievi, mi spiega ilgeologo. Ma un altro viene“da sopra”; dall’atmosfera.L’erosione può richiamarerocce dalle profondità dellacrosta terrestre, ed i ghiacciaihanno sottratto abbastanzamateriale da fare risalire

rocce profonde. È come avereun tappo di sughero copertodi sabbia in un bicchiered’acqua. Togliamo ungranello per volta ed il tappoemergerà ad una certavelocità. Ma se abbiamo ununico sasso pari al peso dellasabbia e lo togliamo, pluf, iltappo salterà in su.Insomma, il clima incideanche sulla crescita dellecatene montuose. “Abbiamocreduto a lungo che lemontagne si sollevasserounicamente per forze interneal pianeta - dice Zattin - ora

abbiamo trovato un nuovomeccanismo: il clima”. Ma, ilgeologo bolognese ci tiene achiarire che questo non hanulla a che vedere con ilcambiamento climatico chetanto ci affligge oggi. Zattinsi riferisce aglisconvolgimenti ambientaliche fecero delle Alpi unterritorio simile allaGroenlandia. Immanicambiamenti climaticiaccaduti molto tempo fa,quando il monte di Diamantedella Pomerania era piùgiovane e brillante.

L’articolo scientifico è stato presentatoal 8th Workshop on Alpine GeologicalStudies. Ottobre 2007. Davos,Switzerland. (http://www.geologie.uni-bonn.de/Alpshop07/#program).

Qui accanto: Passo del Sempione eMonte Leone (f. Giulio Frangioni).

Foto di gruppo alle Apuane. Ma non pensiate che sia semprecosì: quando piove si fa lavoro dilaboratorio.

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Una procedura disalvaguardia e protezionecomune a tutti i siti (stabilitanell’art. 6 della direttiva“Habitat”) è la valutazione diincidenza. Qualsiasi piano,progetto o intervento chepossa avere incidenzesignificative su un sito dellarete Natura 2000, deve esseresottoposto a taleprocedimento preventivodove si esaminano leinterferenze del piano e

progetto in questione con glihabitat e le specie presenti.La direttiva “Habitat”stabilisce la necessità da partedegli stati membri dielaborare dei Piani diGestione dei Siti diImportanza Comunitaria edelle Zone di ProtezioneSpeciale. In Italia varieautorità nazionali e localistanno provvedendo aelaborare tali piani per i sitidi propria competenza,

attraverso l’uso di vari fondi.La programmazione dellerisorse finanziarie per larealizzazione degli interventiè prevista nei ProgrammiOperativi Regionali (POR),nei Documenti Unici diProgrammazione (DocUP) enei Piani di Sviluppo Rurale(PSR). Un solo strumentodirettamente dedicato allarealizzazione della ReteNatura 2000 è il programmaLIFE - Natura; questo infattisostiene finanziariamenteazioni finalizzate allaconservazione degli habitatnaturali e della flora e faunadi interesse comunitario. La TAM ha deciso diapprofondire questiargomenti, di fornireinformazioni ai titolati e aisoci, anche perché in questinuovi territori protetti ricadeuna buona parte dei sentieri edei rifugi del CAI in cuihanno luogo le escursioni e leattività organizzate dallevarie sezioni locali.La Commissione Centraleper la Tutela dell’AmbienteMontano, in collaborazionecon il Gruppo Regionaledell’Emilia Romagna e conla CRTAM-E.R., haorganizzato il CorsoNazionale diAggiornamento perOperatori TAM, svoltosi neigiorni 17-18 novembre2007, nel Parco Regionale

dei Laghi di Suviana-Brasimone (BO), allo scopodi dotare gli OperatoriTAM di una preparazionedi base sulla Rete Natura2000.Il tema è stato quindiaffrontato nell’interezza dellasua assoluta attualità, intermini di conservazioneambientale, potenzialeimpatto e misure dimitigazione delle attivitàCAI nelle Aree Protette enei Siti della Rete Natura2000.Sabato 17 Novembre, pressola Sala Conferenze del CentroRicerche dell’E.N.E.A.(ubicato sulla sponda del lagoBrasimone), relatori espertied operanti nello specificosettore hanno espostol’argomento Natura 2000,presentandone gli obiettivi,le azioni relative al quadronormativo,all’individuazione dei siti, laValutazione d’Incidenza, ladefinizione delle linee digestione, gli strumentifinanziari, il monitoraggio,la ricerca-formazione-divulgazione, lasorveglianza e le proceduredi infrazione. La Regione Emilia Romagnaha alle spalle una solidaesperienza in fatto di tuteladel territorio, leggi eregolamenti: è quindiesplicativa della situazione

Testo di Rita Capelli(CommissioneTAM EmiliaRomagna)

Rete Natura 2000e CAI“Un approccio sistemico di conoscenza per una frequentazione responsabile”

Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei Ministri dell’UnioneEuropea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una"rete") di aree destinate alla conservazione della diversità biologicapresente nel territorio dell’Unione stessa ed in particolare alla tutela diuna serie di habitat e specie animali e vegetali indicati dalla Direttivacomunitaria 92/43/CEE ("Habitat") e delle specie animali relative allaDirettiva 79/409 "Uccelli" .Con la direttiva "Habitat" ogni stato membro della Comunità Europeaha dovuto redigere e delimitare un elenco di pSIC, Siti di ImportanzaComunitaria proposti, nei quali si trovano habitat naturali e seminatu-rali e specie animali e vegetali, alcune delle quali di interesse priorita-rio in europa. Analogamente nella direttiva “Uccelli” sono previste leZone di Protezione Speciale (ZPS), che sono state scelte sulla basedell’elenco dei Siti IBA, "Important Bird Areas", compilato da BirdlifeInternational negli anni ‘80 su richiesta della Commissione Europea.In Italia sono stati individuati 2.280 SIC - Siti di ImportanzaComunitaria - e 590 ZPS - Zone di Protezione Speciale - (in partecoincidenti tra loro) che si estendono per circa il 19 % del territorio,sovrapponendosi in parte ad altre forme di tutela (parchi, riserve,etc.). La loro individuazione è stata realizzata dalle Regioni e dalleProvince Autonome in un processo coordinato a livello centrale dalMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con il contributo dinumerosi partner, nell’ambito del Progetto Bioitaly (1995-2001).

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attuale e all’avanguardia nelquadro normativo nazionale.La legge che individua eregolamenta il sistema delleAree Protette è la L.R.n.5/2006.Attualmente la Delibera 1191- 24.07.2007 “Valutazioned’incidenza, misure diconservazione, Piani diGestione” è approvata edoperativa:tutti i progetti e gli interventiricadenti all’interno delle areeNatura sono soggetti avalutazioni d’incidenza (lemisure speciali per i SICsono in corso dielaborazione). La Tabella E della suddettariporta tra le “Tipologie diprogetti ed interventiricadenti all’interno dei sitiNatura 2000 che nondeterminano incidenzenegative significative sui sitistessi” gli “Interventi dimanutenzione ordinaria delleinfrastrutture viarie… dinatura periodica e ricorrentee i sentieri CAI, già normaticon specifici DisciplinariTecnici.A livello nazionale per le areeSIC è uscito da poco il DGRn. 1435 del 17 Ottobre 2007“Criteri minimi uniformi perla definizione di misuregenerali di conservazione deisiti ZPS regionali”,pubblicato sulla G.U. n. 258del 06/11/07.Durante il pomeriggio disabato 17/11 il CAI hapresentato le esperienze diquegli O.T.P.O. che hanno giàsperimentato o hanno inattuazione progetti relativialla Rete Natura 2000 eall’esperienza CAI locale, intema di individuazione degliimpatti nei Siti della Rete edei provvedimenti dimitigazione degli stessi.Questi progetti sono tesi adincoraggiare i responsabilidelle attività sezionali a porsiquali attori del cambiamentoed interagire con tutti gli altri

attori presenti sul territorio,per:• una corretta frequentazione

della montagna e per unaconcreta tutela del suofragile ambiente;

• uno studio preventivodell’eventuale impattocausato dalle attività delCAI, nello specifico inhabitat protetti per i qualimancano le conoscenzeintorno alle peculiarità ealle emergenze presenti;

• programmazioni piùconsapevoli e quindiadeguate alle caratteristichedelle aree attraversate.

Sarebbe il veicolo giusto perportare nelle Sezioni unacultura di approccio alterritorio diversa, dal sistemae dallo studio dellaprogrammazione delleattività, alla preparazionespecifica degliaccompagnatori nei varisettori di attività in tema diconoscenza del territoriofrequentato e delle suepeculiarità ed emergenzeambientali. Con la Deliberazione di G.R.n.1100 del 31/07/06“Approvazione di Lineeguida metodologiche per laformazione del ProgrammaRegionale delle AreeProtette” si indica il ruolodelle ASSOCIAZIONI

AMBIENTALISTE (comedovrebbe essere anche ilC.A.I.!) che avrebbero lafacoltà di formulare

BIBLIOGRAFIA, INDIRIZZI UTILI E LINK

Unione EuropeaCommissione europea- DirezioneGenerale Ambiente:http://europa.eu.int/comm/environtmen/index it.htm

Home Page “Natura e Biodiversità”:http://europa.eu.int/comm/environtmen/nature/

Home page “LIFE”:http://europea.eu.int./comm/envirintmen/life/home.htm

Legislazione europea-ricerca testi:http://europa.eu.int/search/searchlif.html

Ministerodell’ambiente e Tutela delTerritorioSettore d’azione: “La Rete Natura 2000”www.miniambiente.it/Sito/settoriazione/,,,/rete natura2000.asp

Conservazione della natura: legislazionenazionale e internazionalewww.miniambiente.it/Sito/settoriazione/,,,/legislazione.asp

Regione Emilia-RomagnaReferente della Regione per Rete Natura2000 è il Servizio Parchi e RisorseForestaliVia dei Mille, 21 - 40121 - BolognaTel. 051.6396940 - 051.6396972Fax: 051.6396957

E-mail: [email protected]

Rete Natura 2000: www.regione.emilia-romagna.it/natura2000/Parchi e Riserve Naturali:www.regione.emilia-romagna.it/parchi/Settore Forestale: www.regione.emilia-romagna.it/foreste

La descrizione degli habitat dell’Emilia-Romagna, sviluppata su applicazionedel metodo europeo “CORINE- bitopes”,è contenuta nel Manuale per ilriconoscimento dgli habitat (Habitatdell’Emilia-Romagna- Istituto per i beniartistici culturali e naturali- RegioneEmilia-Romagna, 2001)

Da segnalare la recente pubblicazionedel manuale:“La Rete Natura 2000 in Emilia-Romagna”A cura di Tinarelli R., 2005Servizio Parchi e Risorse Forestali dellaRegione Emilia-Romagna.AVVERTENZA: la guida non è aggiornatacon le modifiche e integrazioni di SIC eZPS apportate a Natura 2000 tramite leDeliberazioni della Giunta Regionale n.167 del 13.02.06 e n. 456 del03.04.06 “Disposizioni in materiaambientale”, nonché il recentissimoDGR n. 1435 del 17 Ottobre 2007“Criteri Minimi uniformi per ladefinizione di misure di conservazioneZPS…”…pubblicato sulla G.U. n. 258del 06/11/07.

specifiche proposte aProvincia e Regione riguardovari aspetti dei siti Natura2000.

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In questa pagina e a fronte: Attività in aula e all’aperto durante il CorsoNazionale di aggiornamento per Operatori TAM del novembre 2007.

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Novità dal settimoCongresso Mondiale dellaSocietà Internazionale diMedicina di Montagnatenutosi ad Aviemore inottobre 2007

Ogni tre anni la SocietàInternazionale di Medicina diMontagna (ISMM) organizzaun Congresso mondiale.Quest’anno la settimaedizione si è tenuta adAviemore, nel nord dellaScozia, dal 3 al 7 ottobre ed èstata organizzata incollaborazione con laWilderness Medical Society(WMS); per la prima volta ilConvegno è stato dedicatoalla “Mountain andWilderness Medicine”. Lacittadina di Aviemore e leHighlands Scozzesi hannofornito una splendidaambientazione ed hannoanche dato l’opportunità dipiacevoli esercitazionipratiche sul campo.Le relazioni hannoabbracciato la quasi totalitàdegli argomenti. Si è spaziatodalle patologie a bassa quotaal canyoning, dalle quoteestreme al trekking, dallepatologie preesistenti all’altaquota ai congelamenti, dallepatologie da calore alladiarrea dei viaggiatori.Spazio è stato dedicato anche

agli studi fatti da parte dispedizioni scientifiche supopolazioni stanziali in altaquota. Tra queste è emersa laCaudwell Xtrem Everest2007 di cui sono state solodate alcune anticipazioniriguardo alle osservazioniraccolte. Un momento diparticolare interesse è stato ilworkshop pre-congressualedurante il quale si sono svoltedelle simulazioni di soccorso(gruppi di cinque persone contutor) inerenti il kayaking,l’arrampicata, il trekking, ilbiking e l’escursionismo. Taliesercitazioni sono state utilinon solo per creareaffiatamento tra i componentima anche per vederedirettamente approccidifferenti al traumatizzato daparte di colleghi di scuole enazionalità diverse.Molto interessante laconferenza tenuta da BenLevine, fisio-cardiologodell’Università di Dallas, suipro e contro dell’allenamentoin quota e sulle numerosecontroversie relative aldoping sportivo. Possiamoconsiderare eticamentescorretto l’allenamento inquota artificialmenteriprodotta? Ma, soprattutto, èdavvero così vantaggiosol’esercizio in quota ai fini diun significativomiglioramento dellaperformance a livello del

mare? Sono stati presi inesame molti recenti studisvolti riproducendo differentisituazioni ambientali come ilpernottamento in quota el’allenamento in bassa quotae viceversa oppure ilpernottamento el’allenamento in alta e bassaquota con gruppi diversi diatleti paragonati a gruppi dicontrollo. Per semplificare,pare non esserci unsignificativo miglioramentodelle prestazioni a bassaquota dopo questi allenamentisvolti a quote attorno ai 2500metri. Anche per atleti dipunta i presunti vantaggisvaniscono entro brevetempo. L’aumento di quotaartificialmente riprodotta nonè considerato doping incontrasto con tutto ciò che èfarmacologicamente indotto.Infatti la World Anti DoppingAgency (WADA) ritiene nondopante ciò che è passivorispetto al corpo anche se taleaffermazione è discutibile edha aperto un’accesadiscussione nell’uditorio.Per quanto riguarda i morsi diserpente il dott. DavidWarrell, docente di medicinatropicale all’università diOxford, ha confermato lelinee guida principali a cui cisi deve attenere:immobilizzazione delpaziente, fasciaturaleggermente compressiva

dell’arto colpito e trasporto inospedale. Abbiamoapprofittato della grandeesperienza del relatore perapprofondire l’eventualeutilità di stimolatori elettrici,visto che su questoargomento eravamo statiinterrogati da più parti.L’esperto ci ha fatto notareche non esistono dati

a cura dellaCommissioneCentrale Medica

Il 7° Congresso Mondiale di Medicina di Montagna

Accoglienza scozzese aicongressisti.A fronte: Lhotse, 8611 metri(f. spedizione Naz. CAI, 1975).

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scientifici che possanoconfermarne l’effettivaefficacia terapeutica e che,comunque, il loro utilizzonon modifica il protocollocomportamentale su esposto.I membri della CommissioneMedica Centrale del CAIricevono spesso quesiti daparte di Soci che chiedonoconsigli farmacologici percontrastare eventuali maliacuti di montagna chepossono insorgere duranteloro viaggi, trekking ospedizioni. Riportiamoschematicamente (senzal’intenzione di favorirel’automedicazione) i nuoviprotocolli di profilassi delleprincipali patologie da altaquota commentati dal dott.Erik Swenson, fisiologomedico dell’università diSeattle. Restano invariati esi enfatizzano tutti gliaccorgimenti di tipocomportamentale daadottare per una corretta esicura acclimatazione.

Parallelamente all’attivitàcongressuale è stata allestitauna mostra di materiali eattrezzature per il soccorso ela didattica della medicina dimontagna. Ci ha moltocolpito una nuova copertatermica (metallina) inpolipropilene trilaminare adalta resistenza e con elevatecapacità riflettenti. Il prodottoè disponibile in tre forme:giacca, coperta e sacco. Serveal mantenimento dellatemperatura del corpodell’infortunato e perl’eventuale aumento dellatemperatura del pazienteipotermico. La coperta è stataprovata sul campo e neabbiamo valutato la notevoleefficacia.Il dott. Dan Morris, unchirurgo oftalmico diNewcastle, dopo aver trattatosenza particolari novità dirilievo i classici argomenti diprimo soccorso nelle possibilipatologie oculari nellawilderness, si è

opportunamente soffermatosulle implicazioni dei semprepiù frequenti interventi per lacorrezione di difetti visivi(miopia). Ha raccomandato dinon esporsi ad ambientiipossici se non sono passatialmeno due mesidall’intervento. Non ci sonoancora dati disponibili sulleeventuali alterazioni oculariche si possono verificareanche a distanza di tempomaggiore. In merito all’usodelle lenti a contatto haribadito l’opportunità di nonutilizzarle a quote estreme eper tempi superiori alle 24ore.David Shlim, esperto dimedicina dei viaggi, ci haillustrato le ultimeacquisizioni in merito ad unadelle patologie più antiche,ma non per questo menoattuali, che affligge iviaggiatori: la diarrea delviaggiatore. Il fattore causaleprincipale sembra essere statoindividuato nellafrequentazione da parte deiturista/viaggiatore diristoranti locali. Sullamanipolazione,conservazione, igiene delpersonale e dei locali, non siha alcun controllo e a pocoserve chiedere l’acquaimbottigliata, non usareghiaccio o mangiare soloverdura cotta. Il viaggiatoredei paesi industrializzati è amaggior rischio se nelristorante non sono rispettatele regole minime d’igienecome l’uso di taglieri diversiper carne e verdure o ilcoprire i cibi conservati infrigorifero, ecc.Infine il dr. Peter Bärtsch,responsabile del servizio diMedicina dello Sport pressol’università di Heidelberg, haesposto le nuove teorieriguardanti la patogenesi delMale Acuto di Montagna(AMS). Gli studi condotticon la risonanza magnetica

dimostrano che nei soggetticolpiti da AMS la presenza diedema è minima o assente.L’esame del liquido cefalo-rachidiano non evidenza fattiinfiammatori o un aumentodella permeabilità dellabarriera emato-encefalica. Inpassato si era ipotizzato checon l’intensificarsidell’ipossia, l’AMSpeggiorasse fino a poterarrivare alla complicanza piùtemibile: l’Edema Cerebraled’Alta Quota (HACE).Secondo recenti studi taleipotesi non sarebbe piùvalida. In merito all’HACEl’ipossia severa causaalterazionidell’autoregolazione vasalecerebrale; provocal’alterazione delle proteine dimatrice con formazionedell’edema vasogenico e ildanneggianemto dellabarriera emato-encefalica. Lafisiopatologia dell’AMSsarebbe invececompletamente differente enon collegata all’HACE. IlMale Acuto di Montagnasarebbe scatenato sempredall’ipossia che, però, inquesto caso sarebberesponsabile dell’attivazionedel sistema trigemino-vascolare. Ciò è statodimostrato con lasomministrazione di agonistidella 5 idrossitriptamina ingrado di prevenire lasintomatologia di questasindrome.In conclusione, per i mediciAgazzi, Aversa e Rinaldi,delegati dalla CommissioneCentrale Medica del CAI, èstata una splendida occasioneper rafforzare legami giàesistenti con organizzazioni ecolleghi di tutto il mondo, perconoscerne di nuovi e per unutile aggiornamento suimaggiori argomenti trattati.

Commissione

Centrale Medica

AMS HACE HAPE punteggioNIFEDIPINA - ? ++ 2.5SALMETEROLO ? ? + 1.6DESAMETAZONE ++ + + 4.2TADALAFIL - ? + 1.4ACETAZOLAMIDE ++ ? ? 2.4Punteggio: + = dimostrato (1); ++ = gold standard (2);

? = sconosciuto (0.2); - = inefficace (0)

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Nei mesi invernali si è spesso costretti a casa per ilfreddo o per le grigie brevi giornate. Il sospirato week-end, trascorre molto spesso, a leggere il solito giornaleo a vedere i sempre più demenziali programmitelevisivi, senza creare un momento, di vero e sanoriposo personale, o svago per la sempre piùinsoddisfatta e scalpitante famiglia. Quando però ci sialza al mattino, con il cielo limpido e sereno, la vogliadi muoversi invade i nostri pensieri e il nostro spirito.Si vorrebbero fare mille cose. La nostra mente elaboraallora diverse scelte, che avevamo accantonato nellanostra agenda cerebrale, e freneticamente si cerca divalutare la migliore opportunità. Ci piacerebbe andarein questo e quest'altro posto, ma quando si cerca dipianificare l'uscita, manca molto spesso unapreventiva programmazione della località daraggiungere o dei dettagli toponomastici del percorso.Ecco che allora si decide comunque di partire, espesso la giornata ha termine con una buona quotad'insoddisfazione poiché non si sono rese concretetutte le aspettative che ci avevamo proposto. Qui diseguito si vuole fornire al lettore alcuni ed interessantie panoramici percorsi da compiersi proprio nei mesipiù freddi dell'anno, in una zona prealpina connumerose attrattive turistiche. Sto parlando di Colico,in altre parole del comune più a nord dellussureggiante Lago di Como. Arrivare a Colico è moltofacile. La Statale 36, che da Milano sale verso Lecco edi seguito costeggia in doppia corsia tutte le spondeorientali del lago porta velocemente ai piedi dellagrande piramide del Monte Legnone (metri 2610s.l.m.) ai cui piedi sorge il grazioso e sempre piùaccogliente comune di Colico. Di fronte a noitroneggiano le prime alte cime delle Alpi Retichementre sulla nostra sinistra le ultime e assolate cimedelle Lepontine si specchiano nel grande azzurrobacino lacustre. In questi ultimi anni la sezione localedel Club Alpino Italiano, forte di un nutrito gruppo divolontari, si è impegnata a riscoprire nuovi e vecchitracciati che permettono di visitare gli angoli piùnascosti della sua riviera, contraddistinta dai treMontecchi e dal promontorio di Piona.Eccovi qui di seguito gli itinerari suggeriti, da compiersiquasi tutti, anche nei mesi più freddi.

I t i n e r a r iIl sentiero dei Torrenti e la Chiesa di San RoccoLunghezza = 6,9 Km.Dislivello Totale = 300 metri Tempo di percorrenza = 2h 30' Tipo di percorso = Turistico Segnavia = bandierine Cai Colico+ Sent. Viand Quota massima = Chiesa di San Rocco 498 m.Periodo consigliato = Tutto l'anno Acqua = Diverse fontane lungo il percorso

Il percorso ha inizio di fronte al pontile per l'imbarcodei battelli in Piazza Garibaldi. Si attraversa versoNord-est la bella piazza sino a passare innanzi al PortoTuristico. Non imboccare la Via Montecchio Nord, magirare a destra sul molo per percorrere la passerella dilegno a lago. Si attraversano i giardini e si sbucanuovamente sulla Via Montecchio Nord che si percorresin dopo la recinzione del deposito nautico. Qui silascia l'asfalto per immettersi a sinistra, verso lago,lungo una traccia di sentiero che costeggia le sponde.Si prosegue sino a giungere alla segnaletica nei pressidel ponticello sul torrente Inganna che non siattraversa. Si piega a destra e si risale lungo la spondadel torrente sino ad incrociare ed attraversare la ViaMontecchio Nord e giungere al bivio per il Sentiero deiForti. Si raggiunge il Viale Padania e si attraversa, sisottopassa la ferrovia Colico-Sondrio per superare edattraversare, appena dopo, la provinciale N° 72. Si

prosegue diritti in Via Inganna e si risale a fianco deltorrente sintanto che questa piega a destra.S'imbocca qui una traccia di sentiero a sinistra, che simantiene sulle rive dell'Inganna. Poco più avanti latraccia piega a destra e si giunge in località Baronia.Non appena si sbuca su strada carrozzabile, si piega asinistra e si risale sino ad incrociare la Via Campione.Si gira a destra e, dopo cinquanta metri, subito asinistra in Via Bassana. Si supera così, su un ponte, laSS n° 36 per poi continuare a salire lungo la ViaBassana. Ad un incrocio a T si piega a destra e poi asinistra sulla Via alla Gera, prima di un vecchiolavatoio. Al prossimo incrocio a T si piega a sinistrasino a giungere sull'ampio letto dell'Inganna. Senza

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di Giovanni del Tredici

I N T E R R E G I I I A

Gliitinerari di ChartaItinerum

Trekking invernali a Colico, sul lago di Como

La chiesa di San Rocco in abito invernale.

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attraversare il torrente, solitamente asciutto, si piega adestra su una carrareccia che costeggia, all'interno, gliampi argini del torrente; dopo cinquecento metri iltracciato, ci porta a piegare a destra su un viottolo.Dopo venti metri si gira nuovamente a sinistra e sirisale la vecchia mulattiera sino al bacinodell'acquedotto comunale che si costeggia anord,verso il torrente. Poco sopra vi è un'area da pic-nic con fontana. Siamo in località Robustello o ancheAcqua della Fevra. Si continua in salita, verso destra,sulla carrozzabile, seguendo anche le indicazioni delSentiero del Viandante. Dopo venti minuti si giunge allachiesa di San Rocco risalente al sec. XIV. Si prende quiil comodo sentiero in discesa sino a giungere altorrente Perlino, che non si attraversa. Si supera, conqualche difficoltà, il dossone della grossa briglia, perimboccare in discesa l'ampia carrareccia, che,attraversando numerose cascine, giunge all'abitato diVillatico. Il sentiero si addentra ora lungo gli strettivicoli per riuscire dietro l'abside della chiesaparrocchiale di Villatico. Si scende quindi lungo la viaVillatico e di seguito lungo il vicolo Madonnina, perarrivare ad attraversare la SP. 72 nei pressi delle Postee rientrare poi nell'affollata Piazza Garibaldi. Lungo ilpercorso è possibile trovare diversi punti di ristoro.

Il sentiero dei FortiLunghezza = 4,0 KmPeriodo consigliato = tutto l'annoDislivello totale = 142 metriTipo di percorso = TuristicoSegnavia = bandierine Cai Colico n°8 + S. FortiTempo = senza deviazionei ai forti 1h 45'Quota massima = 343 metriAcqua = assenteIl percorso ha inizio al pontile per l'imbarco dei battelliin Piazza Garibaldi e per i primi venti minuti dipercorso, si seguono le tracce del “Sentiero deiTorrenti”, Itinerario 1, sino al ponte sull'Inganna, primadi raggiungere il Viale Padania. Qui si gira decisamentea sinistra per superare il ponte sul torrente Inganna. Difronte a noi vediamo le Torrette risalenti al XII secolo.Si sale lungo strada asfaltata sino a raggiungere dopo

poco il bivio per il Forte Montecchio, denominatoLusardi durante il Fascimo. Per gli orari d'apertura ela visita guidata al Forte, telefonare in mattinata alnumero 0341-941688 Larius o in Municipio al numero0341-934711. Superato il bivio, si giunge ad ungruppo di casolari in località Monteggiolo. Si attraversoil piccolo nucleo e si prosegue lungo un sentieroprotetto ai lati da muri a secco, con pietre. Ad unacascina sulla sinistra, si gira decisamente a destra, afianco di un filare di viti, per poi prendere una dorsaleche ci farà scendere alle poche case della localitàErbiola. Si supera il ponte sul Canale Borgofranconeche si risale a destra, sino a lasciare a destra ladiramazione con il Canale Spagnolo. Duecento metripiù avanti, un ponte ci permette di oltrepassare adestra il Canale Borgofrancone per poi giungere dopoduecento metri al bivio per il Forte di Fuentes. Anchequi si consiglia di telefonare al numero 0341-934711in Municipio, per organizzare una eventuale visitaguidata al Forte di Fuentes. Non volendo salire alForte, si prosegue lungo la strada asfaltata contornatada campi di granoturco sino a raggiungere ViaMonteggiolo, che si percorre per tutta la sualunghezza. Ci si accosta alla linea ferroviaria persuperare il sottopasso di Viale Padania che, dopo pochimetri, c'immette nella medesima. Duecento metri oltresi torna a superare il torrente Inganna in prossimità diuna segnaletica CAI verticale. Per il ritorno in piazzaGaribaldi si segue a ritroso il noto segnavia n° 8.

L’Abbazia di PionaOlgiasca - Sentiero Alto - Abbazia - SentieroBasso - OlgiascaLunghezza = Km. 2,0Periodo consigliato = tutto l'annoDislivello totale = 156 metriTipo di percorso = EscursionisticoSegnavia = Bandierine Cai Colico n°7 + 7°Tempo = 1h 20'Quota massima = 373 m Montecchio PionaAcqua = assenteCon l'auto ci si porta in frazione Olgiasca, fiduciosi ditrovare un posto in uno dei pochi parcheggi, sistaziona l'auto nei pressi della parrocchiale. Unasegnaletica CAI invita a risalire verso il nucleo abitatotransitando sotto un androne. Si continua lungo glistretti vicoli per girare più avanti a destra e, seguendo isegnavia n° 7 si fuoriesce dai tortuosi labirinti diviuzze. Ci si trova su un balcone naturale con ampiavista sul lago e sulla sponda di Gravedona. Si continuasulla sinistra passando fra alcune case residenziali.Poco dopo si è nel bosco, e sempre seguendo lasegnaletica, si giunge ben presto in prossimità di unroccolo per l'uccellagione. Poco più avanti vi è uno deipiù bei belvedere sulla frazione Laghetto e sullaimponente mole del Monte Legnone. Si continua indiscesa per giungere dopo poco ad una vecchiatorretta, un tempo utilizzata per l'uccellagione. Qui ilsentiero si trasforma in tratturo e seguendo il suopercorso a zig-zag si giunge nei pressi dell'anticagrotta di Lourdes attigua all'abbazia. Continuando sigiunge nei pressi di un cancello, qui si devialeggermente a sinistra e seguendo le tracce di unsentiero si costeggia la recinzione dell'abbazia. Dopoduecento metri si giunge ad un cancello di legno chepermette di scendere al parcheggio dell'abbazia equindi ad un'eventuale visita . Dopo aver visto

l'importante , particolare ed interessante, sacro luogodei frati cicerstensi, si fa ritorno verso Olgiasca permezzo del segnavia n°7A , lungo la bell'acciottolatacarrozzabile. Dopo trecento metri, sulla destraun'indicazione invita a prendere un evidente sentiero.Si oltrepassa così una fonte per poi entrare ancora nelvecchio nucleo dell'abitato d'Olgiasca. Seguendo leindicazioni ci si ritrova ben presto ad incrociare ilsentiero n°7 e quindi far ritorno alla parrocchiale.

La Strada Vegia(Posallo - Cà Fontana - Crottino - Olgiasca)Lunghezza = Km. 4,700Periodo consigliato = tutto l'annoDislivello totale = 140 metriTipo di percorso = EscursionisticoSegnavia = Bandierine Cai Colico N° 7Tempo = 1h 20' -- A/R = 2h 50'Quota massima = 416 m PosalloAcqua = in località La Cà

La Strada Vegia è un antico tracciato risalente, comeancora oggi mostrano degli antichi cippi in pietra,all'anno 1755. Il sentiero ben acciottolato, permettevadi transitare da Olgiasca a Colico evitando di passarenella parte bassa, allora, molto paludosa. Da Posallo ilsentiero scendeva poi a Villatico sull'attuale sentierodei Torrenti e quindi a Colico o a Curcio.Si raggiunge Posallo con l'auto e si trova parcheggionell'ampio cortile antistante la Trattoria Posallo,chiedere naturalmente prima il permesso di sosta aiproprietari della trattoria. Con le spalle alla Croce dilegno della località Posallo, si scende per circa 150metri sulla carrozzabile. Al termine della recinzione diuna villa, si gira a sinistra proprio di fronte al cancellocarraio. Si costeggia la recinzione per poi scendere nelprato in direzione di un grosso castano. Qui il tracciatosi fa più evidente e si superano delle vecchie cascine.Più avanti si transita a lato di una villa con bei muri inpietra e si sbuca su uno sterrato. Scendendo di soliquaranta metri si prende a sinistra un bel sentiero, chedopo soli cento metri arriva nelle vicinanze di unruscello, che si attraversa. Si prosegue quindi nelbosco mantenendo sempre il ruscello alla nostradestra. Si attraversano due piccoli affluenti e si lasciaquindi sulla destra un largo guado che porta su unosterrato. Lasciando poi a sinistra una cascina, da cuinormalmente fuoriesce dell'acqua si prosegue in

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Il lago, lungo il Sentiero dei Forti.

La frazione Laghetto ed il Monte Legnone, dallasommità del Montecchio di Piona.

Il Laghetto di Piona, dalla Strada Vegia.

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discesa superando un tratto piuttosto scosceso. Ilsentiero si fa via via più largo per uscire dal bosco suun prato che si attraversa per cento metri. Si giraquindi a destra e si perviene su asfalto sulla ViaFilatoio Peroni. A sinistra in discesa si perviene prestoin località La Cà, nei pressi di un lavatoio. Si gira adestra e dopo aver fatto i sottopassi della Superstradae quello delle ferrovie si perviene sulla SP 72 inlocalità Cà Fontana. Si gira a sinistra, lasciando sullanostra destra le belle spiagge del laghetto di Piona.Venti metri prima della pietra miliare del Km 89 sirisale a sinistra nel bosco. Il sentiero dapprima strettosi fa più largo superando una galleria sfiatatoio delleFFSS. Per due chilometri il tracciato, in un continuosaliscendi, ci mostrerà degli inediti panorami sulsottostante lago. Verso la fine si dovrà attraversare untratto con una folta vegetazione di pungitopo; ilsentiero ridiscende poi sulla SP72 in località Crottino.Si attraversa, con attenzione, la provinciale es'imbocca l'antistante bella mulattiera che in unadecina di minuti ci porterà alla bella chiesa d'Olgiasca.Qui è d'obbligo assaporare i grandi panorami sul lagodi Como e fare un piccolo giro turistico fra gli antichivicoli del bel nucleo abitativo.

San Rocco Di DorioPosallo - Sparesèe - Perdonasco - S. Rocco diDorio e ritorno.Lunghezza = Km. 8,7Periodo consigliato = No, Dicembre e GennaioDislivello totale = 400 metriTipo di percorso = EscursionisticoSegnavia = Sentiero del ViandanteTempo = 1h 30' -- A/R = 3h 00'Quota massima = 600 m SparesèeAcqua = diverse fontane

Questo facile itinerario offre un susseguirsi di grandi eparticolari panorami sul Laghetto di Piona , a finepercorso, un grandioso scorcio su tutto il ramo norddel Lago di Como. Si parte dalla località Posallo,raggiungibile in auto dopo aver superato la frazioneLaghetto, dapprima si seguono le evidenti indicazioni

della D.O.L. o del Sentiero del Viandante che in quelprimo tratto si sovrappongono. Si percorre l'ampiacarrozzabile in cemento sino a giungere al terzotornante. Qui si lascia la carrozzabile e si supera unastanga. Subito dopo vi è un grosso smottamento che èsuperato con qualche piccola difficoltà su un breveangusto sentiero. Più avanti incontriamo nuovamentela carrozzabile che seguiamo sino ad una segnaleticaverticale. Si prosegue a destra in discesa per giungeredopo pochi minuti all'alpeggio di Sparesèe con la suasimpatica chiesetta. Si supera l'abitato su una bellamulattiera e dopo un bel bosco di castagni si giungeall'alpeggio di Perdonasco. Subito dopo, la mulattierascende in una valletta rocciosa che apre sull'alpeRossecco. Si prosegue, fra splendidi panorami sullaghetto di Piona e dopo aver superato sulla sinistra unbivacco, costruito dagli alpini di Dorio, si perviene adun'area da pic-nic con un grandioso panorama suColico e sulle Alpi Retiche. Subito dopo siamo alla selladella dorsale del Legnoncino. La mulattiera, ancoraben conservata, scende ora per circa 70 metri ad unavasta area da pic-nic con fontana. Poco sotto vi è lachiesetta di San Rocco, meta del nostro itinerario. Lachiesetta fu edificata dai Doriesi nell'anno 1858 a

ringraziamento di essere stati salvati dalla peste perben tre epidemie consecutive. Qui i panorami sul ramonord del lago di Como sono grandiosi e di grandeimpatto emotivo. Per tornare a Posallo si percorrel'itinerario a ritroso. Viceversa si può scendere aCorenno Plinio e di seguito giungere, seguendo leindicazioni del Sentiero del Viandante, sino a Dervioe,quindi, da qui far ritorno a Colico con il treno.

Il Forte di FuentesColico - Monteggio - Erbiola - Monteggiolo -Foce Adda - ColicoLunghezza = Km. 7,500Periodo consigliato = tutto l'annoDislivello totale = 150 mTipo di percorso = turisticoSegnavia = CAI Colico N° 8 + N° 9Tempo = 3 h

Quota massima = 278 m Forte di FuentesAcqua = assenteIl percorso ha inizio al pontile per l'imbarco dei battelliin Piazza Garibaldi e per i primi venti minuti dipercorso, si seguono le tracce del “Sentiero deiTorrenti” sopra descritto, sino a quasi raggiungereviale Padania. Qui si gira decisamente a sinistra persuperare il ponte sul torrente Inganna. Di fronte a noivediamo le Torrette risalenti al XII secolo. Si sale lungola strada asfaltata sino a raggiungere, dopo poco, ilbivio per il Forte Montecchio. Per gli orari d'apertura ela visita guidata al Forte, telefonare al numero 0341-941688. Superato il bivio, si giunge ad un gruppo dicasolari in località Monteggio. Si attraversa il piccolonucleo e si prosegue lungo un sentiero protetto ai latida muri a secco, con pietre. Ad una cascina sullasinistra, si gira decisamente a destra, a fianco di unfilare di viti, per poi proseguire sulla piccola dorsaleche ci farà scendere alle poche case della localitàErbaiola. Si supera il ponticello sul canaleBorgofrancone che si risale a destra, a fianco di unmaneggio . Più avanti il canale si dirama, lasciandosulla sua estrema destra il Canale Spagnolo. Duecentometri più avanti, un largo ponte ci permette dioltrepassare a destra il canale Borgofrancone per poigiungere, dopo altri duecento metri, ad un bivio. Sipiega a sinistra e si entra in un nucleo di casolari.Siamo ora in località Monteggiolo. Si attraversa ilpiccolo borgo fra le case e si giunge ad una sbarra,dove vi sono divieti di transito. La visita al Forte diFuentes, per evidenti motivi di sicurezza necessitainfatti di una guida, per la quale consigliamo ditelefonare in precedenza in Municipio al numero 0341.934711. Gli escursionisti sono però autorizzati alsemplice attraversamento del Forte, purchè simantengano sempre sul tracciato evidenziato dallebandierine segnavia del CAI, come concordato con laProvincia di Lecco, proprietaria del complesso. Si salecosì lungo la larga pista, che dopo qualche tornante ciporta all'ingresso del forte e ci immette sulla grandePiazza d'Armi. Qui giunti si piega a destra perattraversare il piazzale sino ai resti della chiesa sullanostra sinistra. Subito dopo la chiesa, un tracciato sullasinistra ci invita ad uscire dalle mura del Forte e ciinoltra nel verde bosco. Dopo duecento metri ènecessario lasciare il piacevole sentiero che proseguein quota per invertire il nostro senso di marcia escendere sino a raggiungere l'alveo del canaleBorgofrancone. Una passerella, costruita dalla SezioneCAI di Colico, ci permetterà di oltrepassare il canale eraggiungere la pista ciclabile che costeggia l'arginedell'Adda. Si piega naturalmente a sinistra e sicontinua per due chilometri lungo l'interminabilerettilineo. La ciclabile ed anche il nostro percorsopiegano poi a sinistra, lasciando l'argine del fiume. Quiè possibile proseguire diritti per altri trecento metri egiungere alla foce dell'Adda, la deviazione è meritevoledi interesse. Il nostro percorso continua ora in modotortuoso sino a raggiungere un ponte in legno chepermette di attraversare per l'ennesima volta il CanaleBorgofrancone. Nelle sue acque è qui possibile vedererarissime specie di ninfee. Il percorso si avvicinasempre più alla base del Montecchio Nord e locosteggia con alla destra le rive del Lario. Si giungecosi ad una delle più belle spiagge di Colico, meta dinumerosi bagnanti e surfisti. Attraversando la verdespiaggia si giunge ad una passerella sul torrenteInganna e quindi, sul percorso di inizio itinerario,sulSentiero dei Torrenti.

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La panoramica chiesetta di San Rocco di Dorio.

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ARTICOLI E RELAZIONI IN ORDINE DI PUBBLICAZIONEGennaio - FebbraioGIORGIO BETTINI: Escursionismo: per un turismo di

qualità, 1.

ITALO ZANDONELLA CALLEGHER: Il Trento

Filmfestival compie 55 anni, 11.

JACOPO PASOTTI: Un anno di poli, 24.

CLAUDIO SMIRAGLIA: Antartide terra di scienza, 26.

MARCO TAVERNITI: Groenlandia. Speleologia glaciale

con il kajak, 30.

SERGIO ROSSI: Québec. Sciescursionismo nella

foresta boreale canadese, 34.

ANTONIO BOBBA e LAURA CHIADÓ: Isole Svalbard.

Scialpinismo in capo al mondo, 37.

FRANCESCO CARRER e LUCIANO DALLA MORA:

Tilliachertal, 40.

ALBERTO BOSCOLO e GIANLUCA BELLIN: Alpago.

Un gioiello per scialpinisti, 46.

MARIO SERTORI: Cascate in Valle Spluga, 50.

SEBASTIANO IURISCI: Mainarde. New Age, 54.

PATRIZIA DIANI: Buranco da Carnabûgia, 57.

MARCO BLATTO: Alle origini dell’arrampicata

metropolitana subalpina, 60.

GIORGIO VASSENA: Rwenzori 2006: 100 anni di

stupore, 64.

GIULIANO BRESSAN: Il captator, 76.

Marzo - AprileLUIGI ZANZI: L’avventura culturale di Messner, 1.

LUCIANO GERBI e ROSA BORTOLOZZO: Alla

scoperta del Nepal, 26.

MAURIZIO DALLA LIBERA: Snowboard alpinismo, 29.

SERGIO RAVONI: Punta San Matteo, 34.

FRANCO GIONCO: Monte Perdido, 38.

PAOLA PEILA: Dal Vesuvio al Sentiero degli Dei, 43.

TARCISIO BELLÓ: Alta Via delle Alpi Vicentine, 46.

GILBERTO GARBI: Nella Valle Finale dell’Aquila, 50.

PIERGIORGIO REPETTO: Il Rifugio “Aronte”, 55.

ENRICO BRUSCHI e GIULIO SALINI: Perù 2006.

Callejon de Conchucos, 58.

ROBERTO BASILICO, SARA BIANCHI, ANNA

CANTONI, VALERIO COLETTO, GIANLUCA

PADOVANI, ALESSANDRO VERDIANI : Trou de

Touilles, 65.

STEFANO CRACCO: Viti da ghiaccio, 74.

PAOLO GARDINO: Isola di Ellesmere-Monte Barbeau,

80.

Maggio - GiugnoANNIBALE SALSA: Relazione morale del Presidente

Generale, 1.

SILVIA METZELTIN: De senectute alpina, 26.

MAURIZIO DALLA LIBERA: Corsi per istruttori Nazionali

di Arrampicata Libera, 30.

ANNA CERONI: La mia esperienza al Corso, 34.

MAURIZIO DALLA LIBERA: L’arrampicata nell’età

evolutiva, 36.

IRENE AFFENTRANGER: Herman Buhl. Un mito che

ritorna, 40.

NANCY PAOLETTO: Broad Peak, 46.

FABIO DANDRI: L’alpinismo delle evoluzioni …, 50.

PIERGIORGIO REPETTO: Il Rifugio “Venna alla Gerla”,

54.

ANTONELLA FORNARI: Sul Pomagagnon, 56.

MARIO MENICHETTI: Il mondo delle grotte

nell’Appennino umbro-marchigiano, 61.

MASSIMO SPAGNOLI; I Parchi letterari, 65.

FRANCESCO TOMATIS: Tra Piemonte e Provenza, 66.

STEFANO CRACCO e GIOVANNI MENEGHETTI: Viti

da ghiaccio, 74.

Luglio - AgostoANTONELLA CICOGNA e MARIO MANICA: Anni

2000. La svolta dell’alpinismo, 1.

ITALO ZANDONELLA CALLEGHER, MAURIZIO

NICHETTI, AUGUSTO GOLIN: Festival: tempo di

bilanci, 22.

GIOVANNI PADOVANI: Il 55° Trento Filmfestival, 24.

MAURIZIO DALLA LIBERA: Corsi per Istruttori

Nazionali di Alpinismo, 30.

IVAN DA RIOS e MATTEO MASON: Storia semiseria

ma sincera del 35° corso INA 2006-2007, 33.

GIAN MARIA MANDELLI: Le scale delle difficoltà, 36.

DANTE COLLI: Gli Spalti di Toro, 42.

GIUSEPPE LEYDUAN: Valli di Lanzo 150 anni dopo, 48.

GIORGIO INAUDI: La conquista della Ciamarella, 50.

GIAN CARLO ALASONATTI: Uja di Mondrone, 53.

MARCO ROCCA: Montasio e Jôf Fuart, 56.

MAURO D’ANTEO: Sul Gran Sasso, 60.

MARIO SERTORI: Mondi sospesi, 65.

ANTONELLA GIACOMINI: Tre donne e lo Hielo

Patagonico, 70.

CHRISTIAN CASAROTTO: Ghiacciaio della

Marmolada: stato di salute, 74.

ANDREA CERADINI: Nei Grands Causses, 79.

CAI, Commissione Centrale Materiali e Tecniche e

CAI, Commissione Lombarda Materiali e Tecniche: La

catena di assicurazione, 86.

Settembre - OttobreGOFFREDO SOTTILE: Dalle Olimpiadi alla sostenibilità, 1.

EMILIO ROMANINI: Sciavamo alla milanese, 22.

DINO GIGANTE e SILVANA ROVIS Fiume, città di

mare che cammina sui monti, 26.

LUCA BRIDDA: Vette e Torri dei Monti del Sole, 30.

MAURO BERNARDI: Meteora, monaci e alpinisti, 35.

BRUNO VISCA: Il giro della Bessanese, 40.

RUGGERO DANIELE: Gruppo di Cima d’Asta, 44.

MORENO PUPPI: Una scheggia di roccia impazzita in

Val Montanaia, 48.

MAURO MAZZETTI: Aconcagua, 52.

GRAZIA FRANZONI e MARCO BERTA: Aconcagua

dal mare, 56.

CHRISTIAN ROCCATI: L’altimetro segna Zero, 60.

MARCO MARROSU: Monte Limbara. Nel regno del

granito, 66.

ANDREA MACONI, LUANA AIMAR, MARZIO

MERAZZI, ANTONIO PREMAZZI: Sotto il Grignone, 72.

GIULIANO BRESSAN: Progressione di conserva della

cordata, 82.

LUIGI RAVA: Novità nella cartografia escursionistica

della Regione Emilia-Romagna, 92.

Novembre - DicembrePIERGIORGIO OLIVETI: Energia, acqua, trasporti, 1.

ANNIBALE SALSA: L’Abbé Gorret, 22.

MARCELLA MORANDINI: SuperAlp! Si può, 26

DAVIDE CHIESA: Adamello Parete Nord, 32.

SERGIO DALLA LONGA: Eiger, parete nord, 37.

CLAUDIO TROVA: Eiger: cinquant’anni dopo, 42.

FRANCESCO CARRER e LUCIANO DALLA MORA:

Lesachtal, 44.

ROBERTO BEZZI: Orobianco, 50.

GILBERTO GARBI: Cascate a Gressoney, 54.

MARIO SERTORI: Aria di Sardegna, 56.

ROBERTO BASILICO, LUIGI BAVAGNOLI, GIANLUCA

PADOVAN, KLAUS PETER WILKE: Camminare sotto,

60.

VITTORIO PACATI: Il Rifugio “Genova”, 64.

LUIGI ZANZI: Sterminato Tibet; Tibet sterminato, 74.

VITTORIO BEDOGNI e ELIO GUASTALLI: Cordini per

alpinismo, 78.

MONICA BRENGA: Da Charta Itinerum - Alpi senza

frontiere a Charta Itinerum - lungo le linee rosse, 90.

AUTORI IN ORDINE ALFABETICOAFFENTRANGER I.: Herman Buhl. Un mito che

ritorna, 40.3.

AIMAR L., MACONI A., MERAZZI M., PREMAZZI A.:

Sotto il Grignone, 72.5.

ALASONATTI G.C.: Uja di Mondrone, 53.4.

BASILICO R., BAVAGNOLI L., PADOVAN G., WILKE

K.P.: Camminare sotto, 60.6.

BASILICO R., BIANCHI S., CANTONI A., COLETTO V.,

PADOVANI G., VERDIANI A.: Trou de Touilles, 65.2.

BAVAGNOLI L., BASILICO R., PADOVAN G., WILKE

K.P.: Camminare sotto, 60.6.

BEDOGNI V. e GUASTALLI E.: Cordini per alpinismo,

78.6.

BELLIN G. e BOSCOLO A.: Alpago: Un gioiello per

scialpinisti, 46.1.

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La Rivista del Club Alpino ItalianoVOLUME CXXVI 2007-BIMESTRALE

CAI GEN FEB 08 7-01-2008 16:39 Pagina 85

Page 88: CAI GEN FEB 08

BELLÓ T.: Alta Via delle Alpi Vicentine, 46.2.

BERNARDI M.: Meteora, monaci e alpinisti, 35.5.

BERTA M. e FRANZONI G.; Aconcagua dal mare, 56.5.

BETTINI G.: Escursionismo: per un turismo di qualità,

1.1.

BEZZI R.: Orobianco, 50.6.

BIANCHI S., BASILICO R., CANTONI A., COLETTO V.,

PADOVANI G., VERDIANI A.: Trou de Touilles, 65.2.

BLATTO M.: Alle origini dell’arrampicata metropolitana

subalpina, 60.1.

BOBBA A. e CHIADÓ L.: Isole Svalbard. Scialpinismo in

capo al mondo, 37.1.

BORTOLUZZO R. e GERBI L.: Alla scoperta del Nepal,

26.2.

BOSCOLO A. e BELLIN G.: Alpago. Un gioiello per

scialpinisti, 46.1.

BRENGA M.: Da Charta Itinerum - Alpi senza frontiere

a Charta Itinerum - lungo le linee rosse, 90.6.

BRESSAN G.: Il captator, 76.1.

BRESSAN G.: Progressione di conserva della cordata,

82.5.

BRIDDA L.: Vette e Torri dei Monti del Sole, 30.5.

BRUSCHI e SALINI G.: Perù 2006. Callejon de

Conchucos, 58.2.

CAI, Commissione Centrale Materiali e Tecniche e CAI,

Commissione Lombarda Materiali e Tecniche: La

catena di assicurazione, 86.4.

CANTONI A., BASILICO R., BIANCHI S., COLETTO V.,

PADOVANI G., VERDIANI A.: Trou de Touilles, 65.2.

CARRER F. e DALLA MORA L.: Lesachtal, 44.6.

CARRER F. e DALLA MORA L.: Tilliachertal, 40.1.

CASAROTTO C.: Ghiacciaio della Marmolada: stato di

salute, 74.4.

CERADINI A.: Nei Grands Causses, 79.4.

CERONI A.: La mia esperienza al Corso, 34.3 DALLA

LIBERA: L’arrampicata nell’età evolutiva, 36.

CHIADÓ L. e BOBBA A.: Isole Svalbard. Scialpinismo in

capo al mondo, 37.1.

CHIESA D.: Adamello Parete Nord, 32.6.

CICOGNA A. e MANICA M.: Anni 2000. La svolta

dell’alpinismo, 1.4.

COLETTO V., BASILICO R., BIANCHI S., CANTONI A.,

PADOVANI G., VERDIANI A.: Trou de Touilles, 65.2.

COLLI D.: Gli Spalti di Toro, 42.4

CRACCO S. e MENEGHETTI G.: Viti da ghiaccio, 74.3.

CRACCO S.: Viti da ghiaccio, 74.2.

D’ANTEO M.: Sul Gran Sasso, 60.4.

DA RIOS I. e MASON M.: Storia semiseria ma sincera

del 35° corso INA 2006-2007, 33.4.

DALLA LIBERA M.: Corsi per Istruttori Nazionali di

Alpinismo, 30.4.

DALLA LIBERA M.: Corsi per istruttori Nazionali di

Arrampicata Libera, 30.3.

DALLA LIBERA M.: Snowboard alpinismo, 29.2

DALLA LONGA S.: Eiger, parete nord, 37.6.

DALLA MORA L. e CARRER F.: Lesachtal, 44.6.

DALLA MORA L. e CARRER F.: Tilliachertal, 40.1.

DANDRI F.: L’alpinismo delle evoluzioni …, 50.3.

DANIELE R.: Gruppo di Cima d’Asta, 44.5.

DIANI P.: Buranco da Carnabûgia, 57.1.

FORNARI A.: Sul Pomagagnon, 56.3.

FRANZONI G. e BERTA M.: Aconcagua dal mare, 56.5.

GARBI G.: Cascate a Gressoney, 54.6.

GARBI G.: Nella Valle Finale dell’Aquila, 50.2.

GARDINO P.: Isola di Ellesmere-Monte Barbeau, 80.2.

GERBI L. e BORTOLOZZO R.: Alla scoperta del Nepal,

26.2.

GIACOMINI A.: Tre donne e lo Hielo Patagonico, 70.4.

GIGANTE D. e ROVIS S.: Fiume, città di mare che

cammina sui monti, 26.5.

GIONCO F.: Monte Perdido, 38.2

GOLIN A., ZANDONELLA CALLEGHER I., NICHETTI M.:

Festival: tempo di bilanci, 22.4.

GUASTALLI E. e BEDOGNI V.: Cordini per alpinismo,

78.6.

INAUDI G.: La conquista della Ciamarella, 50.4.

IURISCI S.: Mainarde. New Age, 54.1.

LEYDUAN G.: Valli di Lanzo 150 anni dopo, 48.4.

MACONI A., AIMAR L., MERAZZI M., PREMAZZI A.:

Sotto il Grignone, 72.5.

MANDELLI G.M.: Le scale delle difficoltà, 36.4

MANICA M. e CICOGNA A.: Anni 2000. La svolta

dell’alpinismo, 1.4.

MARROSU M.: Monte Limbara. Nel regno del granito,

66.5.

MASON M. e DA RIOS I.: Storia semiseria ma sincera

del 35° corso INA 2006-2007, 33.4.

MAZZETTI M.: Aconcagua, 52.5.

MENEGHETTI G. e CRACCO S.: Viti da ghiaccio, 74.3.

MENICHETTI M.: Il mondo delle grotte nell’Appennino

umbro-marchigiano, 61.3.

MERAZZI M., MACONI A., AIMAR L., PREMAZZI A.:

Sotto il Grignone, 72.5.

METZELTIN S.: De senectute alpina, 26.3.

MORANDINI M.: SuperAlp! Si può, 26.6.

NICHETTI M., ZANDONELLA CALLEGHER I., GOLIN A.:

Festival: tempo di bilanci, 22.4.

OLIVETI P.: Energia, acqua, trasporti, 1.6.

PACATI V.: Il Rifugio “Genova”, 64.6.

PADOVAN G., BASILICO R., BAVAGNOLI L., WILKE

K.P.: Camminare sotto, 60.6.

PADOVANI G., COLETTO V., BASILICO R., BIANCHI S.,

CANTONI A., VERDIANI A.: Trou de Touilles, 65.2.

PADOVANI G.: Il 55° Trento Filmfestival, 24.4.

PAOLETTO N.: Broad Peak, 46.3.

PASOTTI J.: Un anno di poli, 24.1.

PEILA P.: Dal Vesuvio al Sentiero degli Dei, 43.2.

PREMAZZI A., MACONI A., AIMAR L., MERAZZI M.:

Sotto il Grignone, 72.5.

PUPPI M.: Una scheggia di roccia impazzita in Val

Montanaia, 48.5.

RAVA L.: Novità nella cartografia escursionistica della

Regione Emilia-Romagna, 92.5.

RAVONI S.: Punta San Matteo, 34.2

REPETTO P.: Il Rifugio “Aronte”, 55.2.

REPETTO P.: Il Rifugio “Venna alla Gerla”, 54.3.

ROCCA M.: Montasio e Jôf Fuart, 56.4.

ROCCATI C.: L’altimetro segna Zero, 60.5.

ROMANINI E.: Sciavamo alla milanese, 22.5.

ROSSI S.: Québec. Sciescursionismo nella foresta

boreale canadese, 34.1.

ROVIS S. e GIGANTE D.: Fiume, città di mare che

cammina sui monti, 26.5.

SALINI G. e BRUSCHI .: Perù 2006. Callejon de

Conchucos, 58.2.

SALSA A.: L’Abbé Gorret, 22.6.

SALSA A.: Relazione morale del Presidente Generale,

1.3.

SERTORI M.: Aria di Sardegna, 56.6.

SERTORI M.: Cascate in Valle Spluga, 50.1.

SERTORI M.: Mondi sospesi, 65.4.

SMIRAGLIA C.: Antartide terra di scienza, 26.1.

SOTTILE G: Dalle Olimpiadi alla sostenibilità, 1.5

SPAGNOLI M.: I Parchi letterari, 65.3

TAVERNITI M.: Groenlandia. Speleologia glaciale con il

kajak, 30.1.

TOMATIS F.: Tra Piemonte e Provenza, 66.3.

TROVA C.: Eiger: cinquant’anni dopo, 42.6.

VASSENA G.: Rwenzori 2006: 100 anni di stupore,

64.1.

VERDIANI A., BASILICO R., BIANCHI S., CANTONI A.,

COLETTO V., PADOVANI G.: Trou de Touilles, 65.2.

VISCA B.: Il giro della Bessonese, 40.5.

WILKE K.P., BASILICO R., BAVAGNOLI L., PADOVAN

G.: Camminare sotto, 60.6.

ZANDONELLA CALLEGHER I., NICHETTI M., GOLIN A.:

Festival: tempo di bilanci, 22.4.

ZANDONELLA CALLEGHER I.: Il Trento Filmfestival

compie 55 anni, 11.1.

ZANZI L.: L’avventura culturale di Messner, 1.2.

ZANZI L.: Sterminato Tibet; Tibet sterminato, 74.6.

RUBRICHELettere alla rivista, 8.1, 8.2, 12.3, 10.4, 8.5, 8.6.

Sotto la lente, 16.1, 14.2, 16.3, 14.4, 14.5, 12.6.

Monte dei Cappuccini, 74.1, 72.2, 72.3, 84.4, 78.5,

72.6.

Libri di montagna, 69.1, 69.2, 68.3, 82.4, 76.567.6.

Ambiente, 80.1, 86.2, 80.3, 74.4, 88.5, 88.6.

Arrampicata, 22.1, 24.2, 24.3, 20.4, 20.5, 20.6.

Cronaca alpinistica, 18.1, 16.2, 18.3, 16.4, 16.5, 14.6.

Nuove ascensioni, 20.1, 20.2, 22.3, 18.4, 18.5, 18.6.

Il tema, 6.1, 6.2, 8.3, 8.4, 6.5, 6.6.

Scienza e montagna, 78.2, 78.3, 90.4, 86.5, 84.6.

Alta salute, 82.1, 84.2, 82.3, 92.4, 90.5, 86.6.

ILLUSTRAZIONI DI COPERTINA1. Dry Tooling in Valle Spluga (M. Sertori)

2. Seraccata di Punta S. Matteo (S. Flavoni)

3. La Cima del Cerro Standhardt (E. Salvaterra)

4. Mont e Aiguille Noire de Peuterey (M. Sertori)

5. Torre dei Feruch Monti del Sole (P. Colombera)

6. Sul Caré Alto (D. Chiesa)

ILLUSTRAZIONI NEL TESTOGennaio - FebbraioSoglio: sullo sfondo Cengalo e Badile, 6.

Cassin, Bonatti e Mauri accompagnati da fiaccolata,

12.

Costa e Rebuffat, 12.

Cassin, Maraini, Tenzing, ? e Ghiglione, 12.

Trenker, 12.

Padre Giovanni Maria De Agostini a colloquio con

Bruno Biondo, 13.

Buhl e signora ospiti delle prime edizioni del Festival, 13.

Foto di scena del film “Cimes et merveilles”, 13.

Zecchinelli premia Cassin, 14.

Vaucer e Metzeltin con Tonella e Mazeaud, 14.

Norgay premia Fantin, 15.

Meroi durante la salita al K2, 18.

Meroi in vetta al Dhaulagiri, 18.

Vielmo in cima al Makalu, 19.

Il tracciato della via Stressful Rain, 19.

Il Colle Gnifetti con il tracciato della Via Ambra, 20.

La parete Ovest della Cima De Lis Codis, 21.

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Page 89: CAI GEN FEB 08

Mazzilis in apertura sulla Ovest della Cima De Lis Codis,

21.

Fabrizio Droetto, 22.

Lisa Benetti, 22.

Villaggio in Groenlandia, 24.

Schizzo comparativo di forme e dimensioni dei Poli, 25.

Le distese senza fine dell’Antartide, 25.

Atterraggio del C-130 nei pressi della base “Mario

Zucchelli”, 26.

Rilievi sulla lingua galleggiante del Ghiacciaio Drygalsky,

26.

Operazioni per la collocazione di un campo remoto sul

Ghiacciaio Campbell, 27.

Lineamenti “alpini” della fascia costiera della Terra

Vittoria Settentrionale, 27.

La base americana di Mc Murdo, 27.

Spedizione italiana 1968-69, 28.

La Base di Scott nel 1973, 28.

Prime operazioni per la collocazione di un campo

remoto sul Ghiacciaio Campbell, 29.

Rilievi topografici sul Ghiacciaio Strandline, 29.

La base italiana di Baia Terranova “Mario Zucchelli”, 29.

Campo a quota 800 m, 30.

Sermilgaq fjord con sullo sfondo il ghiacciaio

Rasmussen, 30.

Ingresso laterale di un “mulino”, 30.

In risalita nel pozzo d’ingresso di MA.XA.RO.TA., 31.

Abisso MA.XA.RO.TA., 32.

Ingresso del MA.XA.RO.TA., 32.

Confluenza di due torrenti glaciali prima del mulino, 33.

Capanne sull’acqua gelata del fiordo, 34.

L’alveo della Rivière Sainte-Marguerite: splendido

itinerario per escursioni invernali, 34.

Larice sopravvissuto sulla Cima del Mont Céleste, 35.

La monotonia della foresta boreale del Québec è

spezzata da bianchi laghi, 35.

Terreno ideale per sciescursionismo: bosco fitto e

pianure rade, 36.

Veduta di Longyearbyen, 37.

Veduta aerea dei monti nei pressi di Longyearbyen, 37,

Campo ai piedi del ghiacciaio Fleinisen, 38.

Salendo lungo il ghiacciaio Fleinisen, 38.

In salita sopra il ghiacciaio Svellnosbren, 39.

In piena notte in vetta alla punta quotata 1030 metri,

39.

La piana di Obertilliach, 40.

Radura della Gartlhütte, 40.

Alla testata della Winkler Tal: sullo sfondo le Dolomiti di

Lienz, 41.

Porzehütte, 41.

Pascoli sommitali verso la Porzehütte, 41.

Verso la Cima di Golzentipp, 42.

Radura della Gartlhütte, 42.

Obertilliach, 42.

Scendendo in telemark da Oberhalm, 43.

Verso la Winkler Alm, 43.

Alla testata della Winkler Tal, 43.

Eggekofel e l’altopiano dello Steinrasti, 44.

Ciapfsee sotto la mole del Porze, 44.

La Gailtal, 45.

Sulla dorsale terminale del Golzentipp, 45.

Cimon di Palantina, Monte Colombera, Forcelle Alta e

Bassa di Palantina, 46.

Nella foresta di faggi sopra Col Indes, 46.

Sulla cresta finale di Cima Vacche, 47,

Sulla sommità di Cima Vacche, 47.

Lo spallone del Monte Guslon con il Pelmo, 48.

Il Monte Cavallo, 49.

Salendo a Casera Palantina, 49.

In discesa dai pilastri, 50.

Candelina a Isola, 50.

Dry tooling su “La cascata del cane”, 51.

Sulla placca gelata, 51.

Alla cava di Isola, 52.

Sertori su “La Cascata del Cane”, 53.

Il versante nord del Monte La Mela, 54.

L’attacco di “Patagonia Express”, 54.

Sul secondo tiro di “Patagonia Express”, 54.

La parete nord del Monte Mare, 55.

Sul 1° tiro di “Il tramonto oltre la cornice”, 55.

Lucani sotto la cornice sommitale del Monte Mare, 55.

“Funghi” sulla sommità dell’anticima di M. La Meta, 56.

Cortina di stalattiti, 57.

Condotta freatica, 57.

Concrezioni multicolori nella sala di base, 58.

Concrezioni in fondo al ramo dietro la colonna, 59.

La colonna bianca e i capelli d’angelo, 59.

Discesa nel pozzo, 59.

Inizio di lavori di costruzione della parete artificiale del

Palazzo a Vela, 60.

Una prova del campionato italiano FASI 1993, 60.

Giorda scopre la targa a Guido Rossa, 61.

Mellano e Messner, 61.

Giorda sulle “fessure d’Albione”, 62.

Pozzoli risale le corde alla base della cupola della Mole

Antonelliana, 63.

Scalata alla Cima Margherita, 64.

Monte Stanley con le vette Margherita e Alessandra,

64.

Vista panoramica sul lago Bojuko, 65.

Sgrenzaroli scala il Monte Speke, 65.

Scansione della fronte del ghiacciaio Speke, 66.

Il seracco della parete nord del San Matteo, 67.

La Cima Alessandra, 67.

Ricercatori con guide e ranger del Parco, 68.

Giorgio e Laura Aliprandi, 72.

Dissipatore “a Y”, 76.

Possibile posizione del moschettone a fine caduta, 76.

Sulla Via Ferrata Gemmi, 77, 78.

L’ansa a fine corsa, 77.

Lupi, 80.

Sul pilastro centrale del Monte Bianco, 82.

Marzo - AprileLa roggia di Valbona, 6.

La linea della via “Un altro giro di giostra”, 16.

Zaninetti su “Hubble Dubble”, 18.

La linea Mis Amigos con alle spalle il Siula Grande, 18.

La via del fratello, 18.

Sui graniti della Punta Massimo, 20.

I Gemelli, 21.

La parete Est dell’Antecima Nord, 21.

Lenarduzzi sulle prime lunghezze della via alla parete

Est del Cridola, 21.

La parete Est del Campanile di Villacco, 22.

Il tracciato della Via Mazzilis-Picilli, 22.

Arrampicata sulla placca della “Vie dal Tac”, 22.

Josune Bereziartu, 24.

Ramon Puigblanque, 25.

In vista al gompa Tarke Ghyang, 26.

Con gli studenti della scuola primaria di Nakote, 26.

I laghi di Gosainkund, 27.

La consegna del materiale scolastico agli insegnanti, 27.

Gruppo all’esterno dello stupa di Bodnat, 27.

Il Laurebina Pass, 28.

Alunni della scuola di Malenchigaon, 28.

Discesa nel Gruppo del Monte Bianco, 29.

Discesa su ghiaccio, 30.

Discesa su ampio pendìo, 30.

1° corso ISBA a Passo Rolle, 30.

Salita su dosso, 31.

Tavola divisibile-splitboard, 31.

In salita con attrezzatura alpinistica, 32.

Lezione di discesa con lo snowboard, 32.

Salita con ciaspole ai piedi, 33.

Salendo al S.Matteo: sullo sfondo l’Ortles e il Gran

Zebrù, 34.

La grande seraccata, 34.

Il passaggio chiave, 35.

La croce di vetta sul S.Matteo, 36.

La parte alta del percorso per il Palon de la Mare, 36.

Verso il Palon de la Mare, 37.

Al Rifugio Renclusa, 38.

L’avventurosa salita del Canion de Ordesa, 38.

La bellezza del Canion de Ordesa, 39.

Il mondo antico di Ordesa, 39.

Panoramica sul tetto dei Pirenei, Pico de Aneto-

Maledeta, 40.

La danza della discesa dall’Aneto, 40.

In discesa dal Petretxema, 40.

Laura in salita verso il Petretxema, 41.

Ultimi passi sul Pico de Marbore, 41.

Verso la vetta dell’Aneto, 42.

Passaggio al Portillon Superior, 42.

Abitazione con volta a botte, 43.

Panorama su Positano, 43.

Panorama su Praiano, 44.

Grotta naturale con ovile, 44.

Di Gennaro e Peila al Vesuvio, 44.

Il prato di Vezzena, 46.

Il Conte Cavalier Francesco Caldogno, 46.

Cippo confinario sulla sommità di Cima Larici, 46.

Termini di confine a Marcesina, 47.

Crinale di confine, 47.

Anepoz, 47.

Muro confinario con stele votiva, 48.

Termine di confine tra Rovegliana e Valle dei Signori, 48.

Termine confinario n. 2 sulla Pria Favella, 49.

Montagna della Ciola, 49.

Pianarella, via “Menti perdute”: il tiro in traversata, 50.

Penultimo tiro, 50.

Lorebì, penultima lunghezza, 51.

Croci in sosta su Menti Perdute, 52.

Da Lorebì, sguardo sul torrente Aquila e sul ponte per

Sanguineto, 52.

In arrampicata sul terzo tiro di Lorebì, 53.

Bric Grigio, 53.

Seconda sosta su Lorebì, 53.

Seconda lunghezza su Gibbo, 54.

Celebrazione del Centenario del Rif. Aronte, 55.

Copertina del volumetto del Centenario, 56.

Il Rifugio Aronte prima del restauro, 56.

Il Rifugio oggi, 57.

Il manifesto del centenario dell’Aronte, 57.

La Cordillera Blanca, 58.

87

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Page 90: CAI GEN FEB 08

Pascolo sull’altipiano, 58.

Sullo sfondo Pico Paz Y Bien, 59.

Aratura, 59.

La Cordillera Blanca, 60.

Verso Cumbre Derthona, 60.

Alba in tenda, 61.

Seracchi, 61,

Laguna Baycocha, 61.

Laguna Libron, 62.

Ultimo ripido pendìo prima della cresta finale, 62.

Passaggio tra i seracchi, 62.

Una sosta tra i seracchi, 63.

La via di salita a Cumbre Derthona, 63.

La via di salita a Pico Paz Y Bien, 63.

Alla ricerca di un passaggio, 63.

In vetta, 63.

Vista del bacino imbrifero del Gran Vallone, 65.

Attraversamento dell’acquedotto, 65.

Versante chiomontino-exillese, 65.

Risalita del tratto con la cascata, 67.

Attraversamento dell’acquedotto, 68.

Bassorilievo rappresentante un viso umano, 69.

L’isola di Baffin, 78.

Glacier Bay, 79.

Risolute Bay, 80.

Con le pulke sull’alto plateau, 80.

Volando su Ellesmere, 80.

Il Barbeau, 81.

La vetta del Barbeau, 81.

Sull’alto plateau, 81.

Ekblaw Lake, 82.

La vetta del M. Barbeau, 82.

Panoramica della vetta del Barbeau, 82.

Uscita dall’Air Force Glacier, 83.

Cercando l’uscita dall’Air Force Glacier, 83.

Rifugio Bottari, 86.

Rifugio Remondino, 86.

Rifugio Migliorero, 88.

Rifugio Livio Bianco, 88.

Rifugio Carducci, 88.

Rifugio Volpi, 88.

Rifugio Papa, 88.

Maggio - GiugnoMulino con ruota idraulica, 8.

Mole per la frantumazione del quarzo, 9.

Il maestro vetraio Signoretto al lavoro, 10.

Il museo del Vetro, 10.

Corso di lavorazione del vetro, 10.

Salvaterra e Beltrami lungo la via Festerville, 18.

McAleese in arrampicata, 18.

La spettacolare parete Ovest del Cerro Torre, 19.

L’imponente parete est del Cerro Cota, 20.

Leoni in arrampicata sulla via Osa, 20.

La Pala del Marden, 22.

Roberta Longo, 24.

Flavio Crespi, 24.

Prove di chiodatura con Fix, 30.

Prove di volo e di trattenuta, 32,

Prove di tenuta della catena di assicurazione, 32.

Tecnica base di arrampicata, 33.

Applicazione delle tecniche su parete verticale, 34.

Anna impegnata in una manovra di autosoccorso, 35.

Progressione di base e posizionamento delle

protezioni, 36.

Bambini in palestra, 37.

Esercizi per lo sviluppo dell’equilibrio e delle abilità di

base, 38.

Progressione evoluta da primo di cordata, 39.

Frauenberger, Erti e Buhl, 40.

L’ultima traccia di Buhl sul Chogolisa, 40.

Buhl in vetta al Broad Peak, 41.

Pareti calcaree del Karwendel, 41.

Il Naga Parbat, 42.

La traccia che sale alla Testa di Moro, 42.

Il prato delle fate e il versante nord del Nanga Parbat,

43.

Il Nanga Parbat, 43.

La tomba di Alfred Drexel, 43.

Il K2, 44.

Buhl in salita sulla cresta sommitale del Broad Peak,

44.

Buhl in salita al Broad Peak, 45.

Al campo, 45.

Sui pendii verso il Campo III, 46.

La selletta a 7800 metri fra le due cime, 46.

Il Broad Peak, 47.

Sui pendii verso la selletta a 7800 metri, 48.

Panoramica sul Baltoro, 49.

Nancy sulla cresta presso la vetta, 49.

Sulla via Couzy, 50.

Sulla via degli Spagnoli, 50.

Su “Le Nez”, 50.

Passaggi su “Le Nez”, 51.

La parete Nord delle Grandes Jorasses, 52.

Alla sommità del pendìo di attacco a “Le Nez”, 52.

Sulla via Berhault, 52.

Sulle placche verticali della via dedicata a Berhault, 53.

Sulla via Minuzzo, 53.

Il Rifugio Europa, 55.

Incendio sulle Tofane, 56.

Postazioni italiane al Col dei Stònbe, 56.

Postazione blindata per mitragliatrici sul Col Tondo dei

Canópi, 57.

Le Pale de ra Pezories, 57.

Le Tofane, 58.

Postazioni austriache sul crinale degli Zuoghe, 59.

La Bujèla de Pomagagnon e il Gruppo del Cristallo, 60.

Grotta di Faggeto Tondo, 61.

Grotta del Fiume: colonie di batteri, 62.

Grotta del Fiume: cristalli di gesso, 62.

Grotta del Fiume: lago di acqua sulfurea, 63.

Grotta del Fiume: filamenti di colonie di batteri, 64.

Grotta del Fiume: dettaglio di un filamento, 64.

Grotta del Fiume: prelievo di campione di materia

organica, 64.

L’isola di Baffin, 78.

Peary e guida Hinuit, 78.

Bambini di tutto il mondo unitevi, 79.

Esempio di medicazione occlusiva, 82.

Punta Berrino, 82.

Luglio - AgostoNives Meroi in vetta all’Everest, 2.

Huber durante l’apertura della via Puerta Blanca, 16.

La parete est del Cerro Catedral, 16.

Faletti durante l’apertura della via Malaria, 17.

Il paesaggio di guglie inviolate all’estremo nord del

Camerun, 17.

La parete Est del Torrione Villa Santina, 18.

Simonetti sulle placche sulla parete Nord-Ovest della

Peralba, 19.

La parete Sud del Pich Cjadenis, 19.

Tomas Mazek, 20.

Gabriele Moroni, 20.

Da “The Golden Rush”, 24.

Da “Primavera in Kurdistan”, 26.

Da “Linea di Eleganza”, 27.

Da “La sécheresse du coeur”, 28.

La nuova edizione di “_ buio sul ghiacciaio”, 28.

Progressione su cascata di ghiaccio in Val Aurina, 30.

Manovre di autosoccorso, 30.

Salita su roccia, 31.

Arrampicata di una cordata, 31.

All’uscita della via Becco di Valsoera, 32.

Gian Mario Piazza, 32.

Progressione su ghiaccio, 33.

Esercitazioni su ghiaccio, 33.

Progressione su terreno misto, 34,

Progressione in conserva della cordata di

attraversamento su ghiacciaio, 34.

Tecniche di progressione su ghiaccio ripido, 35.

Sulla parete Nord dei Pizzi Palù, 36.

Sulla via “Aste” alla Civetta, 36.

Sulla “Hasse-Brandler”, 36.

Biglietto di vetta della Cima Talagona Ovest, 42.

Wolfang Herberg, 42.

Spalti di Toro, 43.

Il Rifugio Padova, 44.

La campana di vetta del Campanile Toro, 44.

L’Ago del Cridola, 45.

De Peppo, De Martin e un amico sulla cima del

Campanile Toro, 45.

Utilizzo di mezzi artificiali sulla Via Piaz al Campanile

Toro, 45.

Cima Toro, 46.

Torre Antonio Berti, 46.

Sulla Fessura Piaz, 46.

Tra gli strapiombi della via “Dino e Maria”, 47.

Incontro al Rif. Padova, 47.

Uja di Ciamarella, 48.

Alba sul Bessanese, 48.

Panorama sulla testata della Val d’Ala, 49.

L’Uja di Mondrone, 49.

La Ciamarella, 50.

L’Uja di Ciamarella, 50.

La Croce Rossa, 51.

Il bivacco Bruno Molino, 53.

L’Uja di Mondrone, 53.

Il versante Est dell’Uja di Modrone, 54.

Sulla via Nord-ovest dell’Olmetto, 54.

L’Uja di Mondrone, parete Nord, 55.

Il vallone nei pressi del Bivacco Gorizia, 56.

Versante Nord del Montasio, 57.

Camoscio, 57.

L’attacco alla “Ferrata Amalia”, 58.

Il versante meridionale del Montasio, 59.

Lungo le cenge del Sentiero Chersi, 59.

Dosso erboso, 59.

Stambecco, 59.

La conca detritica del Corno Grande, 60.

L’alba dal Centenario, 60.

Corno Piccolo, lungo la ferrata “Danesi”, 61.

Il Ghiacciaio del Calderone, 61.

Sul sentiero “Ventricini”, 62.

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Page 91: CAI GEN FEB 08

L’ambiente selvaggio del Corno Piccolo, 62,

Sentieri di roccia, 62.

Il massiccio del Corno Grande, 63.

L’attacco della Ferrata “Danesi”, 64.

La via Direttissima al Corno Grande, 64.

Pareti di larice per il Rifugio della Noire, 65.

Su Mondi Sospesi, 65.

La Cresta Sud dell’Aig. Noire de Peutérey, 66.

Il Pic Gamba e la Tête des Chasseurs, 66.

Sul Pic Gamba, 66.

La Cresta di Peutérey, 67.

Sul primo tiro di Mondi Sospesi, 67.

Mondi Sospesi: 2° tiro, 68.

Mondi Sospesi: 4° tiro, 68.

Sulla Tête des Chasseurs, 68, 69.

Su Bella di Giorno, 69.

Barbieri, Tiraboschi e Giacomini, 70.

Campo sullo Hielo Patagonico Sur, 70.

In vista del Cerro Torre, 71.

White out sul Jorge Montt, 71.

L’accesso al Plateau, 73.

Sul Plateau al cospetto del Torre, 73.

Sprofondamento nella neve, 73.

Il versante settentrionale della Marmolada, 74.

Il ghiacciaio principale della Marmolada, 76.

Il ghiacciaio occidentale della Marmolada, 76.

Mappa rappresentativa degli spessori del Ghiacciaio

principale della Marmolada, 77.

Fotografie da punti fissi, 78.

Paesaggio caratteristico del Causse Noir, 79.

Gruppo di stalattiti tubolari, 79.

Interno dell’Aven du Valat Nègre, 80.

Interno della Grotta di La Barelle, 80.

Ingresso di La Barelle, 80.

L’ingresso superiore dell’abisso di Bramabiau, 81.

L’ingresso del Aven du Valat Nègre, 81.

L’ingresso inferiore dell’abisso di Bramabiau, 81.

Le celle di carico sul rinvio ed in sosta, 86.

Il sistema di misura e il programma in LABVIEW per

l’acquisizione, 87.

Il sistema di estrazione lenta in una prova con cella di

carico, 88.

Forse, le tenebre dell’Antartide vedranno presto la

luce, 90.

Sotto la calotta artica c’è un mondo ancora da

scoprire, 90.

Settembre - OttobreIl villaggio alpino all’Esposizione Internazionale di Torino,

7.

Miha Valic, 16.

Miha Valic nel Gruppo del Monte Bianco, 16.

Il campo di Meroi e Benet durante l’ascensione

all’Everest, 16.

La montagna nepalese Jasemba, 17.

Valentini in cima all’Everest. 17.

La Costiera d’Antersass, 18.

La parete N.W. della Creta di Timau, 19.

Leonarduzzi sotto la placca di VIII+ alla Creta di Timau,

19.

David Lama, 20.

Angela Eiter, 20.

Emilio Romanini, 22.

Romanini, Gazzana e Gansser, 23.

Distintivo di istruttore di Alpinismo della Scuola

Parravicini, 24.

Stemma del Club Alpino Fiumano, 26.

Palazzo del Governo di Fiume, 26.

Sede del CAF, 26.

Il Gruppo del CAI Fiume, 27.

I partecipanti alla prima gita del CAF sul Risnjak, 27.

Secondo numero di Liburnia - 1903, 27.

La carovana dei gitanti milanesi e fiumani verso il

monte, 28.

Incontro a Roma con alpinisti romani, 28.

Brodbeck il fondatore del CAF, 28.

Guido Depoli, primo presidente del CAF dopo la prima

Guerra Mondiale, 28.

Rifugio Città di Fiume, 29.

Dalmartello e Berti al Rif. Locatelli, 29.

Flaibani e Smadelli, 29.

Croda Bianca e Mont Alt, 30.

Il Bivacco Valdo e la Torre dei Ferùch, 30.

Panoramica dei Monti del Sole, 31.

Lungo la cengia superiore della Cima del Bus del Diàol,

31.

Mont Alt, Torre del Mont Alt e Monte Fornel, 32.

Lo spigolo della Torre del Monte Fornel, 32.

In arrampicata lungo il sesto tiro della via Castiglioni

Bramani, 32.

Tracciato della via Schuster-Conedera-Zecchini, 33.

Il posto di bivacco presso il Van Grant, 33.

La Torre dei Ferùch, 33.

Tracciato della via Castiglioni-Bramani, 34.

L’ultimo tiro della via sulla Torre dei Ferùch, 34,

Veduta di Kastraki e parte delle Meteore, 35.

Torre “Hinterer Anapafsas”, 35.

Settore ovest delle torri di Meteora, 36.

In azione sulla via “del formaggio svizzero”, 36.

Particolare in azione sul Doupiani, 36.

Geierwand, 37.

Doupiani, 37, 38.

Torre “Hinterer Anapafsas”, 38.

Parete Hintere Meteorawand, 38.

Torre “Santo Spirito”, 39.

Sourloti, 39.

Pixari, 39.

Geierwand, 39.

La Bessanese, 40.

Il logo del Tour, 40.

Il Rifugio Gastaldi, 40.

Casermetta dell’Autaret, 41, 43.

Nel Vallone della Lombarda, 41.

Segnaletica al bivio per il Colle dell’Autaret, 41.

Il Rifugio Avérole, 42.

Il Rifugio Cibrario, 42.

Il Passo del Collerin, 43.

Tabella informativa al Lago della Rossa, 43.

Cima Caldenave, 46,

Vista verso N dal Rif. Caldenave, 44.

Il Rifugio Ottone Brentari, 44.

Lago Grande di Rava, 45.

Veduta dal Cimon di Rava, 45.

Cima d’Asta, 46.

Rifugio Caldenave, 45.

Il Lago di Forcella Magna e Cima d’Asta, 46.

I Laghi dell’Inferno, 47.

La parete Sud di Cima d’Asta sovrasta l’omonimo lago,

47.

La Casa Rossa, 48.

La pedemontana avianese, 48.

Stella ricostruisce in scala il “luset”, 48.

Il Campanile di Val Montanaia, 49.

I Monti della Val Cellina, 49.

Il Circo Terminale della Val Montanaia, 50.

La Croda Cimoliana, 50.

Brambilla sulla Cima del Campanile, 50.

L’ultima doppia, 51.

Ultimo raggio di sole sulle “Vette erbose”, 51.

Qui sotto: “… un pulviscolo d’oro…”, 51.

L’avvicinamento con i muli, 52.

Il campo base, 52.

L’Aconcagua, 53.

Destreggiandosi tra i “penitentes”, 53.

Sul sentiero verso il campo base, 53.

Lago ghiacciato, 54.

Il Campo 2, 54.

Tra i “penitentes”, 55.

Antola e Bianchi in vetta, 56.

Partenza dalla spiaggia di Viña del Mar, 56.

Verso il Paso del Cristo Redentor, 56.

Ingresso al Parco Nazionale dell’Aconcagua, 57.

Tenda internet al campo base, 57.

Tramonto al Nido de Condores, 57.

Il grande traverso, 58.

Alla fine della Canaleta, 58.

Franzoni e Berta in vetta, 58.

La parete Sud dell’Aconcagua, 59.

In discesa verso Mendoza, 59.

Christian Core in “Goblin”, 60.

Roccati sul Big Wall, 60.

Reopasso, Spigolo Sud, 60.

Roccati in calata dal triangolo, 61.

Il Paretone di Loreto, 61.

Roccati sullo Spigolo di Riva, 62.

Marchisio su “Ancora vivo”, 62.

Torturo sulle balze allo Scarpeggio, 62.

Roccati all’uscita della Nord del Penna, 63.

Roccati sulla Ferrata, 63.

Il traverso di Salto nel Blu, 64.

Schenone su Monte Castellano, 64.

Fida in traverso a Rocca di Corno, 64.

Fida sull’Arco dei Guatechi, 65.

Fida su Spiderman, 65.

Calabrò alla Baiarda, 65.

Su “Vento in Poppa”, 66.

Calata da una via, 66.

Lungo la via di via di Cibrario, 67.

Il bel granito del Limbara, 67.

Punta Sa Berrita, 68.

Sulla vetta di Torre Littighjesu, 68.

Gogna sulla “Via della Tribolazione”, 69.

Ultimi raggi di sole, 69.

Arrampicando sopra il bosco, 70.

Il Monte Biancu, 70.

In cammino tra i blocchi di granito, 70.

Torre Littighjesu, 71.

Le cime d’inverno, 71.

Lungo il secondo tiro di “Mi ci ficco”, 71.

La forra del torrente Esino, 72.

Il versante del Releccio al tramonto, 72.

La Grigna, 72.

L’entrata della grotta delle Tacole, 73.

La parte bassa del Releccio, 73.

Grotta Enea, le grandi gallerie concrezionate, 73.

89

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Page 92: CAI GEN FEB 08

Galleria nella grotts Kinder Brioschi, 74.

Grotta Kinder Brioschi: corso d’acqua, 74.

Arco naturale Porta di Prada, 75.

Carovana di cingolati in sosta notturna, 86.

Carovana di cingolati in movimento, 87.

Utensile per il carotaggio dei campioni di ghiaccio in

profondità, 87.

La foresta offre una gran varietà di risorse, 89.

Novembre - DicembreOnida e Salsa, 1.

Lago Bròcan e Bacino del Chiotàs, 6.

Versante nord del Gasterbrum II, 14.

Bernasconi in vetta al GII, 14.

Unterkircher verso la vetta del GII, 14.

Passaggio su cresta verso la cima del Broad Peak, 15.

Stucchi in scalata sul Sichuan, 15.

Mondinelli in cima al Broad Peak, 15.

Il tracciato della via “Dolomiten Fingen Kraut”, 18.

La Torre 1940, 18.

Angeloni e Spiranelli sulla Presolana di Castione, 18.

La parete Est del Gruppo del Prabello, 19.

Parete Nord del Montasio, 19

Maja Vidmar, 20.

Matteo Gambaro, 20.

L’Abate Gorret, 22.

Casolari di Cheneil e il Grand Tournalin, 23.

Gorret e Frassy a Cogne, 24.

Chamois con il sole del giorno seguente, 27.

Verso il Colle del Teodulo, 28.

Il versante orientale del Cervino, 28.

Arosa, 28.

Lunga via delle Dolomiti, 30.

In carrozza a Werfenweng, 30.

Piccoli e il Rifugio Garibaldi, 32.

La Nord dell’Adamello al tramonto, 32.

Inselvini su “Un mondo difficile”, 33.

Calata nel crepaccio, 33.

Vertigine sulla Nord, 34.

Berta sui pendii centrali di “Senza chiedere

permesso”, 34.

Berta sul tiro centrale di “Senza chiedere permesso”,

35.

Volpi su “Un Mondo difficile”, 35.

Uscita su roccia sotto la vetta, 36.

Le 5 linee di ghiaccio sulla Nord dell’Adamello, 36.

Sul “Ragno”, 37.

Sul traverso del “Secondo Nevaio”, 38.

Misto difficile sopra il “Secondo Nevaio”, 39.

Il terzo bivacco sulla Cresta Mittelegi, 39.

La parete Nord dell’Eiger, 40.

Finalmente in vetta, 41.

Eiger, versante Nord-est, 42.

Guardando a sud dall’Eiger al Ghiacciaio di Aletsch, 43.

Il santuario di Maria Luggau, 44.

Sulla cupola del Samalm, 44.

Verso le capanne della Rauteralm, 44.

Lungo la forestale da Maria Luggau alla Samalm, 45.

I fienili della Samalm, 45.

Il portale d’ingresso del Santuario, 45.

La Fronhalm, 46.

Salendo al belvedere della Samalm, 46.

La Hochweisssteinhaus, 46.

La sommità della Samalm, 47.

I fienili di Klamme, 47.

I masi di Raut, 48.

Crocifisso presso la sommità della Samalm, 49.

La Seemiesenhütte, 49.

Passo dei Laghi Gemelli, 50.

Sulla cresta che scende al bivacco Frattini, 50.

Verso il Rifugio Brunone, 50.

In discesa dal Passo dei Laghi Gemelli, 51.

Sullo sfondo il Pizzo del Diavolo e del Diavolino, 51.

In discesa dal canale centrale dello Scais, 52.

Verso il passo della Manina, 52.

Creste di neve sotto il Monte Ferrante, 52.

Passo della Manina, 53.

Primavera 2006: ancora neve sulla piazzetta di

Gressoney, 54.

Ai piedi del Tubolarbeal, 54.

Ai piedi di Sigarorror, 54.

L’uscita di Sigarorror, 55.

Sulla Ciampa, 55.

L’inizio della scalata di Tubolarbeal, 55.

Marcelli sotto la cima dell’Aguglia, 56.

A Cala di Luna, 56.

La spiaggia con l’Aguglia di Goloritzé, 56.

In sosta su “Sole incantatore”, 57.

Bianco su “L’Alchimista”, 57.

Quarta lunghezza di “L’Alchimista”, 57.

Via “Easy Gymnopedie”, 58.

Spigolo Turchese, 58.

Scogliera di Biddiriscottai, 58.

Valli sulla penultima lunghezza di “L’Alchimista”, 59.

Punta Giradili, 59.

Scendendo dall’Aguglia di Goloritzé, 59.

Camera di filtraggio dell’acqua piovana, 60.

Operazioni speleosubacquee, 60.

Antica cisterna all’interno della Civita di Tarquinia, 60.

Esplorazione dell’Acquedotto della Gabelletta, 61, 62.

Esplorazione dell’Acquedotto ipogeo di Fontana

Antica, 61.

Particolare del ninfeo ipogeo di Orte, 62.

Pozzo dell’Acquedotto delle Arcatelle, 62.

Moncrivello: esplorazione e rilievo del pozzo, 63.

Graffito, 63.

Schlüter, 64.

Schlüterhütte, 65.

Il Rifugio Genova durante i festeggiamenti del

Centenario, 65.

Günther Messner con la famiglia, 66.

Fais, Bonacini e Santini, 66.

Stelle alpine, 68.

Nomadi tibetani, 74.

Il Kailash, parete Sud, 74.

Con Schranz al termine della “kora”, 76.

Alcuni spigoli utilizzati, 78.

Effetto dello spigolo sul cordino, 79.

Montagna di cordini rotti, 81.

Una rompighiaccio al Polo Nord, 84.

Sull’isola di Francesco Giuseppe, 85.

Marinaio russo con in mano simbolicamente il Polo

Nord, 85.

Morbo di Lyme - primo stadio, 86.

Momenti delle attività formative al rifugio Deffeyes, 88.

INDICE DEI LUOGHI IN ORDINE ALFABETICOAlpi e AppenniniAdamello, 32.6.

Aguglia di Coloritzè, 56.6

Ala (Val d’), 49.4.

Alpago, 46.1

Alpi Vicentine, 46.2

Aneto (Vetta), 42.2

Aiguille Noire de Peutérey, 65.4.

Antersass (Costiera d’), 18.5.

Appennino umbro-marchigiano, 61.3.

Aquila (Valle dell’), 50.2

Aronte (Rifugio), 55.2.

Arosa, 28.6.

Aurina (Val), 30.4.

Autaret (Colle dell’), 41.5.

Bernina (Gruppo del), 33.4.

Berrino (Punta), 82.3.

Bessanese (Massiccio), 40.5.

Biancu (Monte), 70.5.

Brócan (lago), 6.6.

Bus del Diàol (Cima del), 31.5.

Cadini di Misurina, 21.2.

Caldenave (Cima), 44.5.

Calderone (Ghiacciaio del), 61.4.

Campanile di Villacco, 22.2.

Cavallo (Monte), 49.1.

Cervino (Monte), 28.6.

Chamois, 27.6.

Cima d’Asta (Gruppo di), 44.5.

Cimoliana (Croda), 50.5.

Civetta (Monte), 36.4.

Clapfsee, 44.1

Collerin (Passo del), 43.5.

Corno Grande, 60.4.

Corno Piccolo, 61.4.

Creta di Timau (Gruppo della), 19.5.

Cridola (Gruppo del), 21.2.

Cristallo (Gruppo del), 60.3.

Croda Bianca, 30.5.

Diavolo e Diavolino (Pizzo del), 51.6.

Dolomiti di Lienz, 41.1.

Eggekofel, 44.1

Eiger, 37.6.

Europa (Rifugio), 55.3.

Ferrante (Monte), 52.6.

Ferùch (Torre dei), 33.5.

Fornel (Monte), 32.5.

Frasassi (Gola di), 63.3.

Fronhalm, 46.6.

Gailtal, 45.1

Genova (Rifugio), 64.6.

Golzentipp (Cima de), 42.1

Gran Sasso, 60.4.

Grandes Jorasses, 50.3.

Grands Causses, 79,4,

Gressoney, 54.6.

Grignone, 72.5.

Guslon (Monte), 48.1.

Jôf Fuart, 56.4.

La Meta (Monte), 54.1.

Laghi Gemelli (Passo dei), 50.6.

Lanzo (Valli di), 48.4.

Lavaredo (Cima Grande di), 36.4.

Lesachtal, 44.6.

Limbara (Monte), 66.5.

Lis Codis (Cima de), 21.1, 22.2.

Lombarda (Vallone della), 41.5.

90

CAI GEN FEB 08 7-01-2008 17:05 Pagina 90

Page 93: CAI GEN FEB 08

Mainarde, 54.1.

Marden (Pala del), 22.3.

Mare (Monte), 55.1

Maria Luggau (Santuario di), 44.6.

Marmolada (Ghiacciaio della), 74.4.

Massimo (Punta), 20.2.

Meteora (Torri di), 35.5.

Mont Alt (Torre del), 34.5.

Mont Alt, 30.5.

Montagna della Ciola, 49.2.

Montanaia (Val), 48.5..

Montasio, 56.4, 19.6.

Monte Bianco (Gruppo del), 29.2, 16.5.

Monti del Sole, 30.5.

Obertilliach, 42.1

Ordesa, 39.2.

Peralba (Massiccio della), 19.4.

Perdido (Monte), 38.2.

Piantonetto (Vallone di), 30.4.

Pich Cjadenis, 19.4.

Pizzi Palù (Gruppo dei), 33.4.

Pizzo Redorta (Gruppo del), 50.6.

Pomagagnon, 56.3.

Porzehütte, 41.1

Prabello (Gruppo del), 19.6.

Presolana di Castione, 18.6.

Rolle (Passo), 30.2.

Samalm, 45.6.

San Matteo (Punta), 34.2.

Spalti di Toro, 42.4.

Spluga (Valle), 50.1.

Steinrasti (Altopiano dello), 44.3.

Teodulo (Colle del), 28.6.

Tilliachertal, 40.1.

Uja di Ciamarella, 50.4.

Uja di Mondrone, 53.4.

Vacche (Cima), 47.1.

Vesuvio, 43.2.

Villa Santina (Torrione), 18.4.

Winkler Tal, 43.1

Altri luoghiAconcagua (Argentina), 52.5.

Aguja Desmochada (Argentina), 16.4.

Air Force Glacier (Canada), 83.2.

Antartide, 25.1, 90.4, 86.5.

Baffin (Isola di - Canada), 18.2, 78.2.

Barbeau (Monte - Canada), 81.2.

Broad Peak (Pakistan), 46.3, 15.6.

Callejon de Conchucos (Perù), 58.2.

Cerro Catedral (Cile), 16.4.

Cerro Cota (Cile), 20.3.

Cerro Standhardt (Argentina), 18.3.

Cerro Torre (Patagonia), 19.3, 71.4.

Cordillera Blanca (Perù), 58.2.

Cumbre Derthona (Perù), 60.2.

Dhaulagiri (Nepal), 18.1.

Drygalsky (Ghiacciaio - Antartide), 27.1.

Ellesmere (Isola di - Canada), 80.2.

Everest, 2.4, 16.5.

Fleinisen (Ghiacciaio - Isole Svalbard - Norvegia), 38.1.

Gasterbrum II (Cina), 14.6.

Glacier Bay (Alaska), 79.2.

Gosainkund (Laghi di - Nepal), 27.2.

Groenlandia, 30.1.

Hielo Patagonico (Patagonia), 70.4.

Huantsan (Perù), 18.2.

Jasemba (Monte - Nepal), 17.5.

K2 (Pakistan), 18.1, 44.3.

Kailash (Tibet), 74.6.

Laurebina Pass (Nepal), 28.2.

Longyearbyen (Isole Svalbard - Norvegia), 37.1.

Mitsinjoarivo (Madagascar), 16.2.

Nanga Parbat (Pakistan), 42.3.

Paso del Cristo Redentor (Argentina), 56.5.

Pico Paz Y Bien (Perù), 59.2.

Polo Nord, 84.6.

Québec, 34.1.

Resolute Bay (Canada), 80.2.

Rwenzori (Uganda), 64.1.

Sichuan (Cina), 15.6.

Siula Grande (Perù), 18.2.

Speke (Monte - Uganda), 65.1.

Stanley (Monte - Uganda), 64.1.

Svalbard (Isole - Norvegia), 37.1.

Svelinosbren (Ghiacciaio - Isole Svalbard - Norvegia),

39.1.

Terranova (Baia - Antartide), 26.1.

Tibet, 74.6.

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Page 97: CAI GEN FEB 08

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