Aritmetica e Teoria dei Gruppi Lezioni ed...

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Prof.ssa Carla Fiori Aritmetica e Teoria dei Gruppi Lezioni ed esercizi Univertisà di Modena e Reggio Emilia Dipartimento di Scienze Fisiche Informatiche Matematiche Anno Accademico 2017/18

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Prof.ssa Carla Fiori

Aritmetica e Teoria dei GruppiLezioni ed esercizi

Univertisà di Modena e Reggio EmiliaDipartimento di Scienze Fisiche Informatiche Matematiche

Anno Accademico 2017/18

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Prefazione

Il corso di Algebra A, s.s.d. Mat/02, è corso fondamentale nel Corso di LaureaMATEMATICA (D.M.270/04). E’ inserito nell’offerta didattica del 1 anno, primosemestre; 9 CFU, 48 ore di lezioni e 24 ore di esercitazioni.Per ulteriori informazioni si rinvia al sito www.esse3.unimore.it

Questa sinossi raccoglie le lezioni e le esercitazioni del corso di Algebra A te-nute dalla Professoressa Carla Fiori presso l’Università di Modena e Reggio Emiliadurante l’anno accademico 2017/18. La presente stesura integra ed amplia la prece-dente; è offerta quale ausilio didattico per gli studenti ed è reperibile gratuitamentenella pagina web del docente alla voce Materiale Didattico.

http://cdm.unimo.it/home/matematica/fiori.carla/

Testi di riferimento per approfondimenti:(1) D.Dikranjan, M.S. Lucido, Aritmetica e Algebra, Liguori Editore.(2) G.M. Piacentini Cattaneo, ALGEBRA un approccio algoritmico, Zani-

chelli.(3) I.N. Hernstein, ALGEBRA, Editori Riuniti.

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PREFAZIONE ii

frasi celebri ....

Non cercare di diventare un uomo di successo,ma piuttosto un uomo di valore.

Albert Heinstein (1879-19455 )

La matematica non conosce razze o confini geografici;per la matematica, il mondo culturale è una singola nazione.

David Hilbert (1862-1943)

La matematica è un grandioso e vasto paesaggio apertoa tutti gli uomini a cui il pensare arrechi gioia,ma poco adatto a chi non ami la fatica del pensare.

Immanuel Lazarus Fuchs (1833-1902)

Dallo studio dei triangoli e delle formule algebrichesono passato a quelle degli uomini e delle cose;comprendo quanto quello studio mi sia stato utile per quelloche ora vado facendo degli uomini e delle cose.

Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861)

Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo.Leopold Kronecker (1823-1891)

La matematica è la porta e la chiave delle scienze.Ruggero Bacone (1214-1294)

I numeri governano il mondo.Platone (427-347 a.C.)

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Indice

Prefazione i

Capitolo 1. Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 11. Generalità sugli insiemi 12. Relazioni. Relazioni di equivalenza e di ordine. 53. Applicazioni fra insiemi 134. L’insieme N dei numeri naturali. Principio di Induzione. 175. I numeri interi. La divisione euclidea. MCD di due interi. 186. Numeri primi. Il teorema fondamentale dell’aritmetica. 257. Insiemi finiti e infiniti. Cardinalità. 288. Esercizi relativi al Capitolo 1 33

Capitolo 2. Gruppi 391. Strutture algebriche. Proprietà elementari dei gruppi. 392. Esempi di gruppi fondamentali 503. Sottogruppi 544. Generatori di un gruppo. Gruppi ciclici. 585. Laterali e Indice di un sottogruppo 626. Teorema di Lagrange. Teorema di Sylow. Teorema di Cauchy. 647. Esercizi relativi al Capitolo 2 68

Capitolo 3. Gruppi di Permutazioni 751. Permutazioni. Gruppo Simmetrico. 752. Gruppo Alterno 823. Esercizi relativi al Capitolo 3 84

Capitolo 4. Sottogruppi normali e gruppo quoziente 861. Sottogruppi normali. Gruppo Quoziente. 862. Gruppi Semplici. 893. Esercizi relativi al Capitolo 4 92

Capitolo 5. Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 941. Definizioni e Proprietà 942. Teorema di Cayley 993. Centro e centralizzante di un gruppo 994. Automorfismi interni e sottogruppi caratteristici di un gruppo 103

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INDICE iv

5. Azione di un gruppo su un insieme. Orbite. Stabilizzatori. 1056. Esercizi relativi al Capitolo 5 114

Capitolo 6. Prodotto Diretto di gruppi 1201. Definizioni e Proprietà 1202. Struttura dei gruppi abeliani finiti. 1243. Esercizi relativi al Capitolo 6 127

Capitolo 7. Gruppi Risolubili 1311. Derivato di un gruppo 1312. Risolubilità di un gruppo 1343. Risolubilità di Sn e di altre famiglie di gruppi. 1364. Esercizi relativi al Capitolo 7 138

Capitolo 8. Reticoli 1401. Reticoli: definizioni e proprietà 1402. Sottoreticoli 1443. Diagramma di un reticolo finito (diagramma di Hasse) 1454. Reticoli modulari e reticoli distributivi 1495. Reticoli complementati e Algebra di Boole 1526. Esercizi relativi al Capitolo 8 156

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CAPITOLO 1

Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici

1. Generalità sugli insiemi

Un insieme è una collezione di oggetti detti elementi dell’insieme e, dinorma, indicato fra due parentesi graffe. Ad esempio 1, 2, 3 indica l’insiemei cui elementi sono 1, 2, 3. E’ importante sottolineare che gli elementi di uninsieme si intendono sempre diversi fra loro.

Un insieme può essere assegnato elencando i suoi elementi o enunciando unaproprietà che ne caratterizzi gli elementi. Ad esempio l’insieme delle prime quattrolettere dell’alfabeto italiano si può definire per elencazione scrivendo a, b, c, d,mentre l’insieme dei colori dell’arcobaleno può essere definito con la proprietàcaratterizzante scrivendo x tale che x è un colore dell’arcobaleno ; la locuzione′′ tale che ′′ verrà indicata con il simbolo ′′ | ′′ oppure con il simbolo ′′ : ′′ .Useremo lettere maiuscole per indicare gli insiemi, lettere minuscole per indicaregli elementi di un insieme. Se a è un elemento dell’insieme A diremo che′′ a appartiene ad A ′′ e scriveremo ′′ a ∈ A ′′ . Per negare l’appartenenzascriveremo ′′ a 6∈ A ′′ .

In generale per indicare la negazione di ciò che significa un determinato simbolomatematico si usa sbarrare il simbolo.

Nota 1.1.1. Il simbolo ′′ ∈ ′′ fu introdotto da G. Peano (1858-1932) e sta aricordare la prima lettera della parola greca che in italiano significa ′′ é ′′.

Definizione 1.1.2. Dato un insieme A, si definisce sottoinsieme di A unqualunque insieme B tale che ogni elemento di B sia anche un elemento di A .In tal caso si scrive B ⊆ A oppure B ⊂ A a seconda che B possa oppure nocoincidere con A .

Tra i sottoinsiemi di un dato insieme A vi è sempre A stesso e l’insieme vuotoche si indica con il simbolo ∅ ed è l’insieme privo di elementi.

Sia A un insieme, con |A| si indica il numero degli elementi di A.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 2

Definizione 1.1.3. Dato un insieme A, l’insieme i cui elementi sono tutti isottoinsiemi di A viene indicato con P (A) ed è chiamato l’insieme delle partidi A.

Se A ha un numero finito n di elementi allora l’insieme P (A) ha 2n elementi.Ad esempio considerato A = 1, 2, 3 si haP (A) = ∅, A, 1, 2, 3, 1, 2, 1, 3, 2, 3 , |A| = 3 , |P (A)| = 23 = 8 .

Definizione 1.1.4. Due insiemi A e B sono uguali se e solo se A ⊆ B eB ⊆ A .

Per dimostrare che due insiemi A e B sono uguali occorre dimostrare che val-gono le due inclusioni A ⊆ B, B ⊆ A, mentre per dimostrare che A 6= B bastadimostrare che vi è un elemento che appartiene ad un insieme ma non all’altroinsieme.

Con le prossime due definizioni si stabiliscono modi elementari ma fondamentaliper costruire nuovi insiemi a partire da insiemi dati.

Definizione 1.1.5. Dati gli insiemi A e B si definisce prodotto cartesianodi A e B l’insieme A×B = (a, b) | a ∈ A, b ∈ B .

In generale risulta A × B 6= B × A . Si ha A × B = B × A solo se A = Boppure se uno dei due insiemi é l’insieme vuoto perchè A× ∅ = ∅ × A = ∅.

Esempio 1.1.6.(1) Sia A = 1, 2 e sia B = a, b, allora A×B = (1, a), (1, b), (2, a), (2, b).(2) Sia N l’insieme dei numeri naturali e sia P = 2m | m ∈ N, allora

N× P = (n, 2m) | n,m ∈ N.

Definizione 1.1.7. Siano A e B due insiemi non necessariamente diversi. Sidefiniscono i seguenti insiemi:1) Unione di A e B. E’ l’insieme A ∪B = x | x ∈ A oppure x ∈ B .2) Intersezione di A e B. E’ l’insieme A ∩B = x | x ∈ A e x ∈ B .3) Differenza di A e B. E’ l’insieme A−B = x | x ∈ A e x 6∈ B .Nel caso in cui B è sottoinsieme di A, l’insieme A− B è detto complemento(o complementare) di B in A.4) Differenza simmetrica di A e B. E’ l’insieme A M B = (A−B)∪ (B−A).

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 3

Esempio 1.1.8.(1) Dati A = 1, 2, 3, 4 e B = 2, 3, 5 si ha A ∪ B = 1, 2, 3, 4, 5,

A ∩B = 2, 3, A−B = 1, 4 , A M B = 1, 4, 5.(2) In N il complementare dei numeri pari è l’insieme dei numeri dispari.(3) Nell’insieme dei numeri primi il complementare dei numeri dispari è 2 .

Definizione 1.1.9. Due insiemi A e B si dicono disgiunti se A ∩B = ∅ .

Gli insiemi definiti in 1.1.7 godono delle seguenti proprietà:

(1) A ∪B = B ∪ A ; A ∩B = B ∩ A.(2) (A ∪B) ∪ C = A ∪ ( B ∪ C) ; (A ∩B) ∩ C = A ∩ ( B ∩ C ).

(3) A ∪ A = A ; A ∩ A = A.

(4) ( A ∩B ) ∪ C = ( A ∪ C ) ∩ ( B ∪ C ) ;( A ∪B ) ∩ C = ( A ∩ C ) ∪ ( B ∩ C ).

(5) A − ( A−B ) = A ∩B.(6) A M B = ( A ∪B ) − ( A ∩B ).

Dimostriamo ad esempio la prima di (4) .

Dimostrazione. Per la definizione 1.1.4 occorre dimostrare la doppia inclu-sione.

(a): Iniziamo con il dimostrare che (A ∩B) ∪ C ⊆ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C).Sia x ∈ (A ∩ B) ∪ C , allora si possono avere due casi x ∈ A ∩ B oppurex ∈ C. Se x ∈ A ∩ B allora x ∈ A e x ∈ B e pertanto x ∈ A ∪ C ex ∈ B ∪ C. Se x ∈ C allora segue x ∈ A ∪ C e x ∈ B ∪ C. In entrambi icasi x ∈ (A∪C)∩ (B ∪C) e dunque (A∩B)∪C ⊆ (A∪C)∩ (B ∪C).

(b): Dimostriamo ora che (A ∪ C) ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩B) ∪ C .Sia x ∈ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C), allora x ∈ A ∪ C e x ∈ B ∪ C. Se x 6∈ Callora da x ∈ A ∪ C si ha che x ∈ A e da x ∈ B ∪ C si ha x ∈ B e quindix ∈ A∩B. Dunque x ∈ C oppure x ∈ A∩B e perciò x ∈ (A∩B)∪C epertanto (A ∪ C) ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩B ) ∪ C.

Da (a) e (b) segue (A ∩B) ∪ C = (A ∪ C) ∩ (B ∪ C).

Nota 1.1.10. Verificare con uno o più esempi che una determinata proprietà èvera non significa averla dimostrata. Per dimostrare una proprietà occorre provareche essa vale in generale ossia qualunque siano gli insiemi considerati. Se invece sivuole dimostrare che una proprietà non vale, è sufficiente portare un solo esempioin cui quella proprietà non vale (detto controesempio).

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 4

Ad esempio per dimostrare che non è vera la proprietà A ∪ (B − A) = B,basta considerare A = 1, 2, 3, 4, 5, B = 1, 2, 3, 4, 6 e si ha A ∪ (B − A) =1, 2, 3, 4, 5 ∪ 6 = 1, 2, 3, 4, 5, 6 6= B perchè 5 6∈ B. Questo solo esempioassicura che per gli insiemi non vale la proprietà A ∪ (B − A) = B anche se incerti casi può essere vera come accade nel seguente esempio: A = 1, 2, 3, 4, 5,B = 1, 2, 3, 4, 5, 6, A ∪ (B − A) = 1, 2, 3, 4, 5 ∪ 6 = B.

Fra le proprietà dell’insieme differenza dimostriamo le note leggi di De Morgan.Come simbolo per indicare il complementare di un insieme consideriamo un apiceposto a destra del simbolo rappresentante l’insieme.

Teorema 1.1.11 (Leggi di De Morgan). Siano M un insieme, A e B sot-toinsiemi di M , A′ e B′ i complementari di A e B in M . Si ha:

( A ∩ B)′ = A′ ∪ B′ e ( A ∪ B )′ = A′ ∩ B′

Dimostrazione. Proviamo la prima delle due leggi. Sia x ∈ (A ∩ B)′ allorax ∈ M , x 6∈ A ∩ B e pertanto x ∈ M e x 6∈ A oppure x ∈ M e x 6∈ B. Nelprimo caso x ∈ A′, nel secondo caso x ∈ B′; in ogni caso x ∈ A′ ∪ B′ ossia(A ∩ B)′ ⊆ A′ ∪ B′. Viceversa sia x ∈ A′ ∪ B′; si ha x ∈ A′ oppure x ∈ B′

ossia x ∈ M e x 6∈ A oppure x ∈ M e x 6∈ B, in ogni caso x ∈ M e x 6∈ A ∩ Bossia x ∈ (A ∩ B)′ e dunque A′ ∪ B′ ⊆ (A ∩ B)′. Rimane pertanto provato che( A ∩B)′ = A′ ∪B′.

In modo analogo si dimostra la seconda legge di De Morgan.

Le nozioni di unione, di intersezione e di prodotto cartesiano precedentementedefinite, si generalizzano al caso di più di due insiemi:

•n⋃i=1

Ai = A1 ∪ A2 ∪ ... ∪ An

(con n finito o no) è l’insieme costituito dagli elementi ciascuno dei qualiappartiene ad almeno uno degli insiemi Ai, i = 1, 2, ..., n.

•n⋂i=1

Ai = A1 ∩ A2 ∩ ... ∩ An

( con n finito o no) è l’insieme costituito dagli elementi ciascuno dei qualiappartiene ad ogni insieme Ai, i = 1, 2, ..., n.

•n∏i=1

Ai = A1 × A2 × ... × An

è l’insieme di tutte le n-ple ordinate (a1, a2, ..., an) con a1 ∈ A1, a2 ∈A2, ..., an ∈ An.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 5

Se Ai = A per ogni i = 1, 2, ..., n, alloran∏i=1

A si indica anche con An.

Esempio 1.1.12.Siano A1 = 1, A2 = 1, 3, 4, A3 = 1, 5; si ha :3⋃i=1

Ai = A1 ∪ A2 ∪ A3 = 1, 3, 4, 5

3⋂i=1

Ai = A1 ∩ A2 ∩ A3 = 1

3∏i=1

Ai = A1 × A2 × A3 = (a, b, c) | a ∈ A1, b ∈ A2, c ∈ A3 =

= (1, 1, 1), (1, 1, 5), (1, 3, 1), (1, 3, 5), (1, 4, 1), (1, 4, 5).

2. Relazioni. Relazioni di equivalenza e di ordine.

Definizione 1.2.1. Siano A e B insiemi; ogni sottoinsieme R di A × B èdetto relazione fra A e B (o relazione binaria di A e B ).

Se R ⊆ A×B è una relazione fra A e B, anzichè (a, b) ∈ R si usa scrivere a R be si dice che ′′ a è in relazione con b ′′.

Considerato un insieme A, le relazioni in A (oppure su A) sono le relazioniR ⊆ A × A . Fra queste ve ne sono alcune particolarmente importanti, sono lerelazioni di equivalenza e le relazioni di ordine (parziale e totale).

Definizione 1.2.2. Sia A un insieme e sia R ⊆ A×A una relazione in A. Sidice che R è una relazione di equivalenza se soddisfa le seguenti proprietà:

(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);(2) se a R b allora b R a (proprietà simmetrica);(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva).

Esempio 1.2.3.1) Nell’insieme Z dei numeri interi la relazione binaria R definita da ′′ a R b

se a− b è un intero pari ′′ è di equivalenza.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 6

2) Sia A l’insieme delle rette del piano euclideo. In A la relazione R definitada ′′ a R b se a = b oppure a ‖ b ′′ è una relazione di equivalenza.

3) Sia A l’insieme di tutti i soldati. In A la relazione R definita da ′′ a R bse a e b hanno lo stesso grado ′′, è una relazione di equivalenza.

Esercizio 1.2.4.Sia R una relazione in A per la quale valgano sia la proprietà simmetrica, siala proprietà transitiva . Dire cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazioneche proverebbe che la proprietà simmetrica e la proprietà transitiva implicano laproprietà riflessiva.′′ Se a R b , allora b R a per la proprietà simmetrica e perciò, poichè vale laproprietà transitiva, da a R b , b R a segue a R a e pertanto vale la proprietàriflessiva ′′ .Soluzione - L’errore sta nel fatto che a R a non è detto che valga per ognia ∈ A perchè vale solo quando esiste b ∈ A tale che a R b. La proprietà riflessivarichiede invece che sia a R a per ogni a ∈ A .

Come evidenziato dall’esercizio precedente, occorre fare molta attenzione alsignificato dei quantificatori.

Definizione 1.2.5. Sia A un insieme e R una relazione di equivalenza in A.Per ogni a ∈ A si chiama classe di equivalenza di a l’insieme [a] = x | x ∈A, x R a. L’insieme avente come elementi tutte le classi di equivalenza si chiamainsieme quoziente e si indica con A

R= [a] | a ∈ A.

Quale esempio consideriamo la relazione di equivalenza definita al punto 1) dell’e-sempio 1.2.3. Essa determina due classi di equivalenza: una classe è formata datutti i numeri interi pari e l’altra classe da tutti i numeri interi dispari.

Definizione 1.2.6. Sia A un insieme non vuoto e = = Ai, i = 1, 2, ..., n unafamiglia di sottoinsiemi non vuoti di A. Si dice che = è una partizione di A se esolo se

(1) ∪ni=1Ai = A(2) Ai ∩ Aj = ∅ per ogni i 6= j; i, j = 1, 2, ..., n.

Esempio 1.2.7.Siano A = 2n | n ∈ N, A1 = 2n | n = 0, 1, 2, A2 = 2n | 3 ≤ n ≤ 104,A3 = 2n | n ∈ N, n ≥ 105. Allora = = A1, A2, A3 è una partizione di Aperchè A = A1 ∪ A2 ∪ A3 con A1 ∩ A2 = A1 ∩ A3 = A2 ∩ A3 = ∅.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 7

Teorema 1.2.8. Sia A un insieme non vuoto e R una relazione di equivalenzain A. Le classi di equivalenza di R costituiscono una partizione di A e viceversase = è una partizione di A si può definire in A una relazione R di equivalenza lecui classi sono gli elementi di =.

Dimostrazione. Sia R una relazione di equivalenza in A. Dimostriamo chele classi di equivalenza costituiscono una partizione di A; considerata la classe diequivalenza [a] , si ha [a] 6= ∅ perchè a ∈ [a] . Siano [a] e [b] due classi diequivalenza, se esiste x ∈ [a] ∩ [b] si ha x R a e x R b da cui a R b cioè[a] = [b] e pertanto se [a] 6= [b] si ha [a] ∩ [b] = ∅ . Infine per ogni a ∈ Asi ha a ∈ [a] e perciò l’unione delle classi di equivalenza coincide con l’insiemeA. Viceversa, sia = una partizione di A. Definiamo in A la relazione a R b seesiste F ∈ = tale che a, b ∈ F . Poichè per ogni elemento x ∈ A esiste unoed un solo insieme F ∈ = tale che x ∈ F , ne consegue che R è una relazione diequivalenza e che gli elementi di = sono le classi di equivalenza.

Come mostrano i prossimi due esempi, utilizzando le relazioni di equivalenza,a partire dall’insieme N dei numeri naturali si può definire l’insieme Z dei numeriinteri e l’insieme Q dei numeri razionali.

Esercizio 1.2.9.Sia N l’insieme dei numeri naturali. In N×N si consideri la relazione definita da(a, b) R (c, d) ⇔ a + d = b + c. Dimostrare che la relazione è di equivalenza everificare che l’insieme quoziente N×N

Rè l’insieme Z dei numeri interi.

Soluzione - Poichè in N vale la proprietà commutativa della ′′+′′, è immediatodimostrare che valgono la proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica. Dimo-striamo la proprietà transitiva: sia (a, b) R (c, d) e (c, d) R (e, f), ciò signifi-ca a + d = b + c, c + f = d + e e sommando membro a membro si ottienea + d + c + f = b + c + d + e, da cui a + f = b + e e quindi (a, b) R (e, f). Larelazione R è dunque una relazione di equivalenza in N× N.

Definiamo Z = N×NR

e chiamiamo numeri interi gli elementi di Z. Per esempio,un intero è l’insieme (1, 0), (8, 7), (11, 10), (37, 36), ... = (n+1, n) | n ∈ N; cosìsono interi l’insieme (n, n+ 2) | n ∈ N, o l’insieme (n, n+ 7) | n ∈ N. Questadefinizione di numeri interi, a prima vista, sembra ben lontana dall’usuale modellodi numeri interi, ma si verifica facilmente che presa una classe di equivalenza [(a, b)]essa può essere rappresentata in uno ( ed uno solo ) dei due modi seguenti: [(n, 0)]oppure [(0, n)] a seconda che sia a ≥ b oppure b ≥ a. Se a ≥ b allora [(a, b)] =[(n, 0)] con n = a− b ∈ N; se b ≥ a allora [(a, b)] = [(0, n)] con n = b− a ∈ N.

Per semplicità invece di [(n, 0)] si usa scrivere +n ed al posto di [(0, n)] si usascrivere −n. Con questa convenzione la classe di equivalenza [(0, 0)] può esserescritta sia come +0 sia come −0 e per semplicità si scrive solo 0; risulta alloraZ = N+ ∪ 0 ∪ N−.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 8

Esercizio 1.2.10.Sia Z l’insieme dei numeri interi. In Z × Z∗ si consideri la relazione definita da(a, b) < (c, d) ⇔ ad = bc. Dimostrare che la relazione è di equivalenza e verificareche l’insieme quoziente Q = Z×Z∗

< è l’insieme dei numeri razionali.Soluzione - Poichè in Z vale la proprietà commutativa della ′′·′′, è immediato di-mostrare che valgono la proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica. Dimostriamola proprietà transitiva: sia (a, b) < (c, d) e (c, d) < (e, f) . Da ad = bc, cf = demoltiplicando la prima uguaglianza per f e la seconda uguaglianza per b (si ricordiche f 6= 0 e b 6= 0) si ottiene adf = deb ed essendo d 6= 0 si conclude cheaf = be ossia (a, b) < (e, f).

Gli elementi dell’insieme quoziente Q = Z×Z∗< sono i numeri razionali, la classe

[(a, b)] è l’insieme dei numeri razionali del tipo akbk

con k ∈ Z.

Esercizio 1.2.11.Nell’insieme Z degli interi si consideri la relazione ′′ a R b se 3 | (a− b) ′′. Dimo-strare che R è una relazione di equivalenza e determinare le classi di equivalenza.Soluzione - ( Il simbolo ′′ | ′′ significa divide )1. a R a per ogni a ∈ Z . Infatti 3 | (a− a) in quanto 3 | 0 . Dunque vale laproprietà riflessiva .2. Se a R b allora b R a . Infatti da a R b si ha 3 | (a− b) , a− b = 3q conq ∈ Z e perciò b − a = 3(−q) , −q ∈ Z da cui segue b R a . Dunque vale laproprietà simmetrica .3. Se a R b e b R c allora a R c . Infatti da 3 | (a−b) e 3 | (b−c) si ha a−b = 3q ,b − c = 3t e sommando membro a membro risulta (a − b) + (b − c) = 3q + 3t ,(a − c) = 3(q + t) con (q + t) ∈ Z e perciò a R c . Dunque vale la proprietàtransitiva .Rimane così provato che R è una relazione di equivalenza .Le classi di equivalenza sono:

• [0] = x | x ∈ Z, x R 0 = 3n | n ∈ Z perchè x R 0 significa3 | (x− 0) , x− 0 = 3n, x = 3n.

• [1] = x | x ∈ Z, x R 1 = 3n + 1 | n ∈ Z perchè x R 1 significa3 | (x− 1), x− 1 = 3n, x = 3n+ 1.

• [2] = x | x ∈ Z, x R 2 = 3n + 2 | n ∈ Z perchè x R 2 significa3 | (x− 2), x− 2 = 3n, x = 3n+ 2.

La relazione di congruenza

La relazione dell’esercizio precedente è un caso particolare della seguente relazionedefinita in Z. Fissato n ∈ N− 0 , sia

a R b se n | (a− b)

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 9

Questa è una relazione di equivalenza (la dimostrazione è analoga a quella dell’e-sercizio precedente). Rimangono determinate n classi di equivalenza dette classiresto modulo n perchè la relazione R è equivalente alla relazione < definita nelseguente modo.

Fissato n ∈ N− 0 , definiamo in Z la relazione

a < b se a e b hanno lo stesso resto nella divisione per n.

< è una relazione di equivalenza. Infatti

1. a < a per ogni a ∈ Z . Banalmente vera.2. Se a < b allora b < a . Banalmente vera.3. Se a < b e b < c allora a < c . Infatti da a < b si ha a = nq1 + r ,b = nq2 + r ; da b < c si ha b = nq2 + r , c = nq3 + r e pertanto a < c perchèa e c hanno lo stesso resto nella divisione per n.

Osserviamo cheR e < sono la stessa relazione.

Infatti considerati a, b ∈ Z, dividendo per n, gli interi a e b possono esserescritti come a = nq1 + r1 e b = nq2 + r2 , r1 ≥ r2 (analogamente se fosser2 ≥ r1). Si ha a − b = n(q1 − q2) + (r1 − r2) da cui a R b ⇔ n | (a − b) ⇔r1 − r2 = 0 ⇔ r1 = r2 ⇔ a < b .

La relazione R viene chiamata ′′ relazione di congruenza modulo n ′′ e indicatacon a ≡ b (mod n) :

a ≡ b (mod n) ⇔ n | (a− b) .

La relazione di congruenza modulo n determina n classi di equivalenza e l’insiemequoziente, di norma, è indicato con Zn oppure Z

nZ oppure Z<n>

.

Il simbolo ′′ ≡′′ è stato introdotto da Gauss (1777−1855); la scelta è stata fattaper ricordare che molte proprietà della relazione di congruenza sono analoghe alleproprietà di cui gode la relazione di uguaglianza tra numeri interi.

Fra le proprietà della relazione di congruenza, dimostriamo le seguenti due:

(1) Se a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) allora si ha a+c ≡ b+d (mod n)e ac ≡ bd (mod n) .

(2) Se ab ≡ ac (mod n) e MCD(a, n) = 1 allora b ≡ c (mod n) .

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 10

Dimostrazione. (1) - Da a ≡ b (mod n) si ha a−b = hn , da c ≡ d (mod n)si ha c − d = kn . Sommando membro a membro le uguaglianze si ottiene(a+ c)− (b+d) = (h+k)n e pertanto (a+ c) ≡ (b+d) mod n . Moltiplicandoentrambi i membri di a − b = hn per c e moltiplicando entrambi i membridi c − d = kn per b, si ottiene ac − bc = chn , bc − bd = bkn ; sommandomembro a membro le ultime due uguaglianze si ha ac − bd = (ch + bk)n da cuiac ≡ bd (mod n) .

Dimostrazione. (2) - Da ab ≡ ac (mod n) si ha ab−ac = hn , a(b−c) = hne poichè a è primo con n deve essere a | h cioè h = ta da cui a(b− c) = tan ,bc = tn e pertanto b ≡ c (mod n) .

Con la relazione di congruenza modulo n si può dire che si rappresenta l’in-sieme infinito Z con l’insieme finito Zn, essendo gli elementi di quest’ultimouna partizione di Z.

Questo passaggio dall’infinito al finito è utile specialmente quando si voglionoeffettuare calcoli o verifiche al computer che lavora solo in termini finiti.

Applicazioni della relazione di congruenza.

La prova del noveL’algoritmo detto prova del nove serve per controllare l’esattezza di operazioni

tra interi. Più precisamente, se questa prova non riesce (nel senso che ricorderemosotto con un esempio) allora il risultato è certamente sbagliato, mentre se la provariesce non è comunque detto che il risultato sia corretto, è solo molto probabile chelo sia. Perchè questo? Perchè se la prova riesce, essa assicura solo che il risultatocorretto e quello ottenuto sono congrui modulo 9.

Supponiamo di voler moltiplicare fra loro due interi, per esempio 139 e 287,e di trovare come risultato 39893. Per controllare l’esattezza utilizzando la provadel nove, si procede nel modo seguente.

Per ognuno dei due fattori della moltiplicazione si sommano le cifre che com-pongono il numero (fattore), tralasciando i 9 che vengono sostituiti con lo zero esi itera questa procedura fino ad arrivare ad un numero ad una sola cifra. Si mol-tiplicano i due numeri ad una sola cifra così ottenuti e si riduce anche il risultatodi questa operazione ad un numero x ad una sola cifra con il procedimento prece-dente. Infine si riduce nello stesso modo ad una sola cifra anche il risultato dellamoltiplicazione che si è ottenuto e che si vuole controllare; se esso non coincidecon x l’operazione certamente non è corretta.

Nel nostro esempio si ha

139 × 287 = 39893

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 11

139 7→ 1 + 3 + 0 = 4287 7→ 2 + 8 + 7 = 17 7→ 1 + 7 = 839893 7→ 3 + 0 + 8 + 0 + 3 = 14 7→ 1 + 4 = 5

Facciamo ora il prodotto e, al solito, riduciamo ad una cifra:4 · 8 = 32 7→ 3 + 2 = 5,

esso ha come somma delle cifre 5 che coincide con la somma delle cifre del risultatodella moltiplicazione e pertanto con molta probabilità il risultato è corretto, seinvece avessimo trovato un numero diverso da 5 sicuramente la moltiplicazione erasbagliata. In altre parole, la prova del nove è una condizione necessaria ma nonsufficiente per l’esattezza dei calcoli. Ad esempio, se, sbagliando i calcoli, comerisultato del prodotto di 139 per 287 avessimo ottenuto 39794, con la prova delnove non avremmo potuto accorgerci di avere commesso un errore perchè i numeri39893 e 39794 stanno nella stessa classe di Z9 ossia nella classe [5].

Cerchiamo ora di capire la relazione che c’è con il numero 9.Quando scriviamo 139 in base 10 intendiamo il numero 1 · 102 + 3 · 10 + 9 · 100.Qualunque sia n > 0 si ha che

10n − 1 = 999 . . . 9︸ ︷︷ ︸n-volte

= 9 · 111 . . . 1︸ ︷︷ ︸n-volte

, cioè 10n ≡ 1 (mod 9),

Ma allora, utilizzando le proprietà delle congruenze, ne segue che139 = 1 · 102 + 3 · 10 + 9 ≡ (1 + 3 + 9) mod 9, ossia il numero 139 è congruo

modulo 9 alla somma delle sue cifre.Ogni numero intero scritto in base 10 è congruo modulo 9 alla somma

delle sue cifre, ossia considerato z ∈ Z,

z = an10n + an−110n−1 + · · ·+ a0100, si ha z ≡ an + an−1 + · · ·+ a0 (mod 9 ).

Oltre alla prova del nove, altre interessanti applicazioni delle congruenze sono:(1) i criteri di divisibilità per 2, 3, 4, 5, 9, 11;

(2) la compilazione del calendario ;(3) la costruzione del tabellone di un torneo di n squadre in modo che ogni

squadra incontri ogni altra squadra esattamente una volta.

Per le dimostrazioni relative a queste tre applicazioni, si rinvia al volume Aritme-tica, Crittografia e Codici, di Baldoni, Ciliberto, Piacentini Cattaneo, pag. 117,129-133.

Dopo le relazioni di equivalenza, consideriamo ora un’altra famiglia importante direlazioni binarie che riprenderemo solo alla fine del corso.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 12

Definizione 1.2.12. Sia A un insieme e sia R ⊆ A× A una relazione in A.Si dice che R è una relazione di ordine o di ordine parziale se valgono leseguenti tre proprietà:

(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);(2) se a R b e b R a allora a = b (proprietà antisimmetrica);(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva).

Una relazione di ordine parziale si denota solitamente con il simbolo ′′ ≤ ′′.Un insieme A in cui è definita una relazione di ordine parziale ′′ ≤ ′′ è dettoinsieme parzialmente ordinato e si indica con (A,≤); due elementi x, y ∈ Asi dicono confrontabili se x ≤ y oppure y ≤ x .

Esempio 1.2.13. - Sono insiemi parzialmente ordinati:

1) (Z,≤) dove ′′ ≤′′ è la relazione definita da a ≤ b se b− a ∈ Z .2) (N∗,≤) dove ′′ ≤′′ è la relazione definita da a ≤ b se a, b ∈ N∗ e a | b

( a ′′ divide ′′ b ).3) (P (A),≤) dove ′′ ≤′′ è la relazione X ≤ Y se X ⊆ Y , con X e Y

sottoinsiemi di A.

Definizione 1.2.14. Sia (A,≤) un insieme parzialmente ordinato e sia B ⊆ A,B 6= ∅. Si definisce

(1) supB (o estremo superiore di B in A) ogni elemento v ∈ A tale che :• b ≤ v per ogni b ∈ B;• se x ∈ A e b ≤ x per ogni b ∈ B allora è v ≤ x.• se v = supB e si ha v ∈ B allora v si chiama massimo di B.

(2) inf B (o estremo inferiore di B in A) ogni elemento u ∈ A tale che:• u ≤ b per ogni b ∈ B;• se x ∈ A e x ≤ b per ogni b ∈ B allora x ≤ u.• se u = inf B e si ha u ∈ B allora u si chiama minimo di B.

(3) L’ordine ′′ ≤′′ si dice denso se dati x, y ∈ A tali che x ≤ y, x 6= y, esistez ∈ A tale che x ≤ z ≤ y, x 6= z, z 6= y.

(4) L’ordine si dice buono (o che A è un insieme bene ordinato) se ognisottoinsieme non vuoto di A ha un elemento minimo.

Esempio 1.2.15.Sia (R,≤) l’insieme dei numeri reali e “≤” l’ordinamento naturale, sia B ⊆ Rl’insieme B = x | x ∈ Q∗, x2 ≤ 2. L’insieme B ha estremo superiore supB =

√2

ma non ha massimo. L’insieme B ha estremo inferiore inf B = 0 ed ha minimo 0.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 13

Esempio 1.2.16.(N,≤) è in insieme parzialmente ordinato rispetto alla relazione così definita: “a ≤b se b− a ∈ N”. Questa relazione è detta ordinamento naturale.

Per il principio di induzione (vedi paragrafo 4 di questo capitolo), segue chel’ordine dell’esempio 1.2.16 è un buon ordinamento di N. Questa importanteproprietà è nota come il Principio del buon ordinamento.

Teorema 1.2.17 (Principio del buon ordinamento). Ogni insieme non vuotodi numeri naturali possiede un elemento minimo.

Per la dimostrazione si rinvia a Dikranjan-Lucido, Aritmetica e Algebra, Liguorieditore, pag.26.

Il Principio del buon ordinamento permette, per esempio, di affermare che nonesiste alcun intero c compreso tra 0 e 1.

Se in un insieme parzialmente ordinato (A, ≤) due elementi sono sempre con-frontabili allora la relazione si dice di ordine totale.

Definizione 1.2.18. Sia A un insieme e sia R ⊆ A×A una relazione in A.Si dice che R è una relazione di ordine totale (o lineare) se valgono le seguentiproprietà:

(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);(2) se a R b e b R a allora a = b (proprietà antisimmetrica);(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva);(4) a R b oppure b R a per ogni a, b ∈ A .

3. Applicazioni fra insiemi

Definizione 1.3.1. Siano A e B due insiemi non vuoti. Si definisce applica-zione di A in B ogni relazione R ⊆ A×B con la proprietà che per ogni a ∈ Aesiste uno ed un solo b ∈ B tale che a R b .

Un’applicazione di A in B è solitamente indicata con una lettera e con una no-tazione del tipo f : A → B. L’insieme A si dice dominio dell’applicazione f el’insieme B si dice codominio dell’applicazione f . Se a ∈ A, l’unico elementob ∈ B tale che a è in relazione con b, viene indicato con f(a) e detto immaginedi a secondo la relazione f . L’insieme f(A) = f(a) | a ∈ A di tutte leimmagini degli elementi di A è detto insieme immagine dell’applicazione f .

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 14

Sia A 6= ∅ ; l’applicazione idA : A → A definita da idA(a) = a per ognia ∈ A è detta applicazione identità o applicazione identica di A.

Esempio 1.3.2.(1) Sia A 6= ∅ un insieme; allora f : A→ P (A) definita da f(a) = a è

un’applicazione.(2) Sono applicazioni le seguenti funzioni numeriche:

X f : R → R definita da f(x) = x2 + 1 .X f : R+ → R+ definita da f(x) =

√x .

(3) Non sono applicazioni le seguenti funzioni numeriche:X f : R → R+ definita da f(x) =

√x .

X f : R → R definita da f(x) = log x .

Si noti che per definire una applicazione occorre un dominio A, un codominioB e una ′′ legge ′′ f che permette di assegnare ad ogni elemento a ∈ A ununico elemento f(a) ∈ B. Occorre fare attenzione perchè la stessa ′′legge ′′ puòdeterminare oppure no un’applicazione a seconda del dominio e/o codominio incui è considerata. Ad esempio

1. f : N → R definita da f(x) = −x2 è una applicazione;2. f : N → N definita da f(x) = −x2 non è una applicazione.

Definizione 1.3.3. Sia X un insieme non vuoto e sia A ∈ P (X). Si definiscefunzione caratteristica di A l’applicazione χA : X → 0, 1 definita da

χA(x) =

1 se x ∈ A0 se x 6∈ A

Definizione 1.3.4. Sia B un sottoinsieme non vuoto di A.• L’applicazione iB : B → A definita da iB(x) = x per ogni x ∈ B si dice

immersione di B in A.• Sia f : A → C un’applicazione. L’applicazione fB : B → C definita dafB(y) = f(y) per ogni y ∈ B si dice restrizione di f a B .

La seguente definizione caratterizza le applicazioni a seconda delle proprietà dicui godono. La famiglia delle applicazioni si può così suddividere in tre importantisottofamiglie (non disgiunte).

Definizione 1.3.5. Un’applicazione f : A→ B si dice:(1) iniettiva se da a1 6= a2 segue f(a1) 6= f(a2) ;(2) suriettiva se f(A) = B ;

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 15

(3) biettiva (o biunivoca) se è iniettiva e suriettiva.

Esempio 1.3.6.(1) f : R → R+

0 , f(x) = x2 , è suriettiva ma non iniettiva.(2) f : N → Z , f(x) = x2 , è iniettiva ma non suriettiva.(3) f : R → R , f(x) = 2x+ 1 , è biettiva.

Definizione 1.3.7. Se f : A → B è un’applicazione biettiva, allora si puòdefinire un’applicazione di B → A indicata con f−1 , che ad ogni y ∈ B associala sua controimmagine nella f , ossia f−1(y) = x con f(x) = y. L’applicazionef−1 è detta l’applicazione inversa della f .

Definizione 1.3.8. Un’applicazione biettiva di un insieme A in sè stesso èdetta permutazione. Nel caso A sia un insieme finito con n elementi, si puòpensare A = 1, 2, ..., n e una permutazione α di A si può rappresentare con laseguente matrice (

1 2 · · · nα(1) α(2) · · · α(n)

).

Nota 1.3.9. Le applicazioni biettive rivestono un ruolo particolarmente im-portante. Qui ci limitiamo ad evidenziare tre proprietà che saranno approfonditenel seguito.

(1) Permettono di ′′ confrontare′′ e di ′′ contare ′′ gli elementi di un insieme.Si dice che A e B hanno lo stesso numero di elementi se e solose fra A e B è possibile stabilire una applicazione biettiva. Adesempio l’insieme N = 0, 1, 2, ..., n, ... dei numeri naturali e l’insiemeP = 0, 2, 4, ..., 2n, ... dei numeri pari hanno lo stesso numero di elementiperchè fra essi è possibile stabilire una applicazione biunivoca:

f : N → P ; f(n) = 2n .

(2) Ammettono l’applicazione inversa. Si osservi che• f : A → B è invertibile (ossia ammette l’inversa) se e solo se è

biettiva. In tal caso l’inversa di f è unica.• f−1 è biettiva.• (f−1)−1 = f .• f : A → B iniettiva diventa biettiva e quindi invertibile se si

considera f : A → f(A) .

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 16

(3) Sia X un insieme non vuoto e 0, 1X l’insieme di tutte le applicazioniX → 0, 1 che si denota con 2X . Fra l’insieme delle parti P (X) el’insieme 2X si può definire la seguente applicazione biettiva ϕ .

ϕ : P (X) → 2X , ϕ(A) = χA , per ogni A ∈ P (A)

dove χA è la funzione caratteristica di A.La biettività di ϕ assicura che se X è un insieme non vuoto allora l’insiemedelle parti P (X) ha esattamente 2|X| elementi, dove |X| indica il numerodi elementi di X. In simboli: |P (X)| = 2|X|.

Nota 1.3.10. Nel caso di insiemi finiti si ha che:• Il numero di tutte le applicazioni iniettive di un insieme finito A con n

elementi in un insieme B con m elementi è uguale a m · (m − 1) · ... ·(m− n+ 1).

• Se A e B sono due insiemi finiti aventi lo stesso numero n di elementi,allora esistono esattamente n! = 1 · 2 · ... · n applicazioni biettive di Ain B.

• Sia A un insieme finito con n elementi. Allora il numero di tutte lepermutazioni di A è n!.

Sotto particolari condizioni, due applicazioni si possono comporre ossia possonodefinire una terza applicazione.

Definizione 1.3.11. Siano f : A → B e g : B → C due applicazioni. Sidefinisce prodotto operatorio o composizione di f e g l’applicazione g f :A→ C definita da (g f)(x) = g(f(x)) per ogni x ∈ A.

Esempio 1.3.12.1) Sia f : N → N, f(n) = 3n+ 1, g : N → N, g(n) = 2n− 1. Si ha g f(n) =

g(f(n)) = g(3n+ 1) = 2(3n+ 1)− 1 = 6n+ 1.2) Sia f : R∗ → R∗, f(x) = x2, g : R∗ → R, g(x) = log(|x|). Si ha g f(x) =

g(f(x)) = log(x2).

Dalla definizione di composizione di applicazioni segue che se A è un insiemenon vuoto allora esiste la composizione di due qualunque applicazioni f , g di A inse stesso.La composizione di applicazioni permette anche di definire l’applicazione inversa dif come quell’applicazione, indicata con f−1, tale che f f−1 = f−1 f = identità.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 17

4. L’insieme N dei numeri naturali. Principio di Induzione.

′′Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo′′Leopold Kronecher (1823-1891).

L’insieme N dei numeri naturali

L’insieme N = 0, 1, 2, ..., n, ... dei numeri naturali è uno dei concetti primitivi lacui esistenza non può essere provata. G. Peano (1858-1932) assunse come primitivii concetti di numero naturale, di zero, di successivo di un numero naturale e proposela seguente descrizione assiomatica.

Assiomi di Peano.(1) I numeri naturali formano un insieme N.(2) Zero è un numero naturale.(3) Il successivo di un numero naturale è un numero naturale.(4) Numeri naturali che hanno lo stesso successivo sono uguali.(5) Zero non è il successivo di alcun numero naturale.(6) Se l’insiemeA contiene lo zero ed ha la proprietà che se un numero naturale

n sta in A anche il successivo di n sta in A, allora N ⊆ A.

L’assioma (6) è noto anche come principio di induzione matematica ed è lapiù importante proprietà dei numeri naturali. Esso dà luogo ad una tecnica moltousata in matematica, la cosiddetta ′′ dimostrazione per induzione ′′. Tenuto contodella sua importanza, riformuliamo separatamente questo assioma.

Principio di induzione matematica.

Per ogni numero naturale n ∈ N sia data un’asserzione P (n) e supponiamo che:(1) P (0) sia vera.(2) Se P (k) è vera per k ∈ N, allora P (k + 1) è vera.

Allora l’asserzione P (n) è vera per ogni n ∈ N.

Vediamo un esempio di dimostrazione per induzione.

Esercizio 1.4.1.Dimostrare per induzione su n che per ogni n ≥ 8, n ∈ N, esistono h, k ∈ N taliche n = 3h+ 5k .Soluzione - Se n = 8 allora 8 = 3 · 1 + 5 · 1. Supponiamo sia n = 3h + 5k everifichiamo che n+ 1 = 3t+ 5q per qualche t, q ∈ N. Distinguiamo due casi:1 caso - Sia k = 0. Allora n = 3h, h ∈ N, h ≥ 3; n+ 1 = 3h+ 1 = 3(h− 3)+

3 · 3 + 1 = 3(h− 3) + 5 · 2.2 caso - Sia k 6= 0. Allora n+ 1 = 3h+ 5k + 1 = 3h+ 5(k − 1) + 5 · 1 + 1 =

3h+ 3 · 2 + 5(k − 1) = 3(h+ 2) + 5(k − 1).

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 18

5. I numeri interi. La divisione euclidea. MCD di due interi.

Dato l’insieme dei numeri naturali N si costruisce l’insieme dei numeri intericome insieme quoziente Z = N×N

Rdove R è la relazione di equivalenza definita da

(a, b) R (c, d) ⇔ a+ d = b+ c, vedi esercizio 1.2.9. Per comodità si sceglie comerappresentante di una classe di equivalenza il numero naturale più piccolo in valoreassoluto e si scrive semplicemente Z = 0,±1,±2,±3, ...,±n, ....In questa trattazione non si affronta in modo approfondito lo studio dell’aritmeticadegli interi, certi che, da un punto di vista operativo, le principali nozioni sonoben note perchè incontrate nel corso degli studi precedenti. Inoltre i fondamentaliconcetti di massimo comune divisore, MCD, e di minimo comune multiplo, mcm,saranno ripresi e studiati in modo rigoroso ′′ da un punto di vista superiore ′′ quandosi affronterà lo studio degli anelli euclidei. Tuttavia, per la loro importanza e perl’uso che ne faremo, ricordiamo e dimostriamo alcune proprietà fondamentali di Z.

Teorema 1.5.1. Sia a ∈ Z, a 6= ±1. Se a | b allora a - (b+ 1).

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo a | b e a | (b + 1). Allora b = hae b + 1 = ka da cui ha + 1 = ka, 1 = (k − h)a e poichè a = 1

k−h ∈ Z deve esserek − h = ±1. Distinguiamo due casi.1 caso: k−h = 1. Allora k = 1+h e quindi risulta b+1 = (1+h)a = a+ha = a+bda cui a = 1, assurdo.2 caso: k − h = −1. Allora k = −1 + h e quindi risulta b + 1 = (−1 + h)a =−a+ ha = −a+ b da cui a = −1, assurdo.

La divisione euclidea

Non è sempre vero che un intero divida un altro intero, tuttavia, come dimostra ilseguente teorema, in Z si può sempre eseguire la divisione con resto detta anchedivisione euclidea. Questa proprietà così importante per gli interi, non lo è per inumeri razionali, reali , complessi, perchè in questi ambienti numerici la divisibilitàb|a ( b divide a) c’è sempre ogniqualvolta b 6= 0. Qualunque siano a, b ∈ Z nonentrambi nulli, la divisione euclidea assicura due fondamentali proprietà: esisteil massimo comune divisore MCD(a, b) dei due interi e fornisce un importantealgoritmo per calcolare il MCD(a, b).

Teorema 1.5.2. Se a, b ∈ Z e b 6= 0 allora esistono e sono unici q, r ∈ Z taliche a = bq + r e 0 ≤ r < |b|.

Di questo teorema daremo due dimostrazioni, la prima basata sul principio diinduzione, la seconda più intuitiva.

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 19

Dimostrazione. 1 - Supponiamo dapprima a ≥ 0 e b > 0 e proviamoPa : ′′ esistono q, r ∈ N tali che a = bq + r con 0 ≤ r < b ′′ .

Per ogni 0 ≤ a < b la proposizione Pa è vera perchè basta prendere q = 0 e r = a.Se a = b la Pa è vera per q = 1 e r = 0. In particolare sono dunque vere P0 e P1.Supponiamo ora a > b e procediamo per induzione su a.Supponiamo vera Pa e dimostriamo che vale Pa+1. Si ha a = bq+ r con 0 ≤ r < b.Se è r = b− 1 risulta a+ 1 = bq + r + 1 = bq + b = b(q + 1) + 0 e la Pa+1 è vera.Se è r < b− 1 otteniamo a+ 1 = bq + r + 1 con 0 < r + 1 < b e la Pa+1 è vera.

Dimostriamo ora che comunque presi a, b ∈ Z, b 6= 0, esistono q, r ∈ Z tali chea = bq + r con 0 ≤ r < |b|. Si è già dimostrato sopra che il teorema vale quandoè a ≥ 0 e b > 0. Se è a = 0 e b < 0, basta prendere q = r = 0. Proviamo ora ilteorema negli altri casi.

1) Sia a < 0, b > 0 .Esistono q, r ∈ N tali che −a = qb+ r con 0 ≤ r < b.Se è r = 0 si ha a = (−q)b+ 0 ed il risultato è provato.Se è r > 0 si ha a = (−q− 1)b+ (b− r) con 0 < b− r < b ed il risultato èprovato.

2) Sia a < 0, b < 0.Si ha −a = q(−b) + r con q, r ∈ N e 0 ≤ r < |b|.Se è r = 0 si ha a = qb+ 0 ed il risultato è provato.Se è r > 0 si ha a = (q + 1)b− b− r = (q + 1)b+ |b| − r ed essendo0 < |b| − r < |b| il risultato è provato.

3) Sia a > 0, b < 0.Si ha a = q(−b) + r con q, r ∈ N e 0 ≤ r < |b| e quindia = (−q)b+ r ed il risultato è provato.

Dimostriamo infine l’unicità di q ed r. Supponiamo esistano anche q′ ed r′ interitali che a = q′b + r′ con 0 ≤ r′ < |b| e con r′ ≥ r (analogamente se fosse r′ ≤ r).Si ottiene (q − q′)b = r′ − r con 0 ≤ r′ − r < |b| da cui segue q = q′ ed r = r′.

Dimostrazione. 2 - Esistenza di q ed r. Sia T = bk | k ∈ Z, bk ≤ al’insieme dei multipli di b minori od uguali ad a. Poniamo m = maxT . Essendom multiplo di b, esiste q ∈ Z tale che m = bq, definiamo r = a − bq. Poichèm = bq = maxT ∈ T si ha m = bq ≤ a, ossia r = a − bq ≥ 0 e a = bq + r. Seper assurdo fosse r ≥ |b|, si avrebbe r = a − bq ≥ |b|, a ≥ bq + |b| = m + |b| edunque bq+ |b| sarebbe un multiplo di b minore o uguale ad a, e pertanto sarebbeun elemento di T maggiore di m e ciò è assurdo perchè m = maxT.

Unicità di q ed r. Supponiamo esistano anche q′ ed r′ interi tali che a = q′b+r′

con r′ ≥ r (analogamente se fosse r′ ≤ r). Si ha: a = q′b + r′ = qb + r da cui(q − q′)b = r′ − r con 0 ≤ r′ − r < |b|. Da r − r′ < |b| segue q − q′ = 0, q = q′. Daa = qb+ r′ = qb+ r segue r = r′.

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 20

MCD di due interi

Definizione 1.5.3. Dati a, b ∈ Z non entrambi nulli, un intero d ∈ Z si dicemassimo comune divisore di a e b se:

(1) d | a e d | b;(2) se d′ | a e d′ | b allora d′ | d.

Si osservi che se d è massimo comune divisore di a e b anche −d lo è. In praticain Z il massimo comune divisore è definito a meno del segno; per convenzione, inZ si sceglie sempre come massimo comune divisore di due interi a, b non entrambinulli quello positivo. Di conseguenza in Z il massimo comune divisore è davvero ilmassimo (nel senso dell’ordinamento naturale di Z) dei divisori comuni di a, b. Ilmassimo comune divisore di a e b si indica con MCD(a, b).

Definizione 1.5.4. Due interi a, b tali che MCD(a, b) = 1 si dicono coprimi,o relativamente primi fra loro.

Il seguente teorema prova l’esistenza del massimo comune divisore tra due interinon entrambi nulli e ne fornisce una scrittura come identità di Bézout.

Teorema 1.5.5. Siano a, b ∈ Z non entrambi nulli, allora in Z esiste ilmassimo comune divisore di a e b. Se d = MCD(a, b) allora d = ha + kb conh, k ∈ Z.

Dimostrazione. Consideriamo l’insieme S = s | s = ax+ by con x, y ∈ Z.Poichè (a, b) 6= (0, 0), l’insieme S contiene qualche elemento non nullo e se s =ax + by sta in S, allora anche −s = a(−x) + b(−y) sta in S. Ciò significa che Scontiene sempre qualche intero positivo ed è un sottoinsieme non vuoto dell’insiemedei numeri naturali e perciò in S esiste un intero positivo minimo, questo elementominimo sia d = ah+bk. Dimostriamo che d è il MCD(a, b); infatti per la divisioneeuclidea si ha a = dq + r con 0 ≤ r < d e perciò r = a − dq = a − (ah + bk)q =a(1 − hq) + b(−kq). Se r 6= 0 allora r ∈ S con 0 < r < d contro l’ipotesi diminimalità fatta su d e pertanto, per non avere un assurdo, r = 0 ossia d dividea. Procedendo in modo analogo si ha anche che d divide b ossia d è un divisorecomune di a e b. Se anche z è un divisore comune di a e b si ha z|d perchè postoa = mz e b = nz risulta d = ah+bk = mzh+nzk = (mh+nk)z. Rimane pertantodimostrato che d è il massimo comune divisore di a e b.

La scrittura del massimo comune divisore d di due interi a e b nella formad = ha + kb, ossia come combinazione lineare di a e b, è nota come identità diBézout.Si osservi che tale scrittura non è unica.

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 21

Ad esempio, MCD(5, 7) = 1, 1 = 3 · 7 + (−4) · 5 = (−2) · 7 + 3 · 5.

Il prossimo corollario fornisce un algoritmo per il calcolo effettivo delMCD(a, b),inoltre permette di determinare una sua scrittura come identità di Bézout.

Corollario 1.5.6 (ALGORITMO Euclideo).Siano dati a, b ∈ Z, a ≥ b > 0. Operiamo le seguenti divisioni:

a = bq1 +r1 0 < r1 < bb = r1q2 +r2 0 < r2 < r1r1 = r2q3 +r3 0 < r3 < r2· · · · · · · · · · · ·rn−3 = rn−2qn−1 +rn−1 0 < rn−1 < rn−2

rn−2 = rn−1qn +rn 0 < rn < rn−1

rn−1 = rnqn+1 +0

Allora MCD(a, b) = rn (ultimo resto non nullo).

Il procedimento deve certamente avere termine (in meno di b passi) perchè b >r1 > r2 > . . . è una successione strettamente decrescente di interi positivi. Ora,dall’ultima divisione si ha che rn | rn−1 per cui MCD(rn, rn−1) = rn. Andando dalbasso verso l’alto, si ha rn | rn−2, inoltre c | rn, c | rn−1 se e solo se c | rn−1, c | rn−2.Quindi MCD(rn−1, rn−2) = MCD(rn, rn−1) = rn. Proseguendo verso l’alto si harn = MCD(a, b).

Nota 1.5.7. Le relazioni dell’algoritmo euclideo offrono un modo per determi-nare α e β e scrivere il MCD(a, b) nella forma αa + βb, ossia danno una identitàdi Bézout. Poichè MCD(a, b) = rn, basta far vedere che tutti i resti delle divisionisi possono scrivere come combinazioni di a e b. Per il corollario 1.5.6. si ha

r1 = a− bq1r2 = b− r1q2· · · · · ·ri+2 = ri − ri+1qi+2

· · · · · ·Risulta r2 = b−r1q2 = b−(a−bq1)q2 = (−q2)a+(1+q1q2)b ossia r1 e r2 si scrivonocome combinazione di a e b. Supposto allora che ri e ri+1 si possano scrivere comecombinazione di a e b, si ha che ri+2 si può scrivere come combinazione di a e b.Ma allora ogni resto si può scrivere nel modo richiesto, e in particolare rn che è ilmassimo comune divisore.

Esempio. Si determini una identità di Bézout per il MCD(3522, 321). Si ha

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 22

3522 = 321 · 10 + 312321 = 312 · 1 + 9312 = 9 · 34 + 6

9 = 6 · 1 + 36 = 3 · 2 + 0

Risulta MCD(3522, 321) = 3. Rappresentiamo una combinazione lineare di 3522e 321 scrivendo solo la coppia dei coefficienti, ossia

α · 3522 + β · 321 → (α, β)

e definiamo nell’insieme di tali coppie le seguenti operazioni:

(α, β) + (α′, β′) = (α+ α′, β + β′),γ(α, β) = (γ · α, γ · β)

per ogni α, β, γ, α′, β′ ∈ Z. In questo modo i passaggi che portano alla identità diBézout sono i seguenti:

a = 3522 = 1 · 3522 + 0 · 321 → (1, 0) = (1, 0)b = 321 = 0 · 3522 + 1 · 321 → (0, 1) = (0, 1)r1 = 312 = 3522 + 321 · (−10) → (1, 0) + (0, 1)(−10) = (1,−10)r2 = 9 = b+ 312 · (−1) → (0, 1) + (1,−10)(−1) = (−1, 11)r3 = 6 = 312 + 9 · (−34) → (1,−10) + (−1, 11)(−34) = (35,−384)r4 = 3 = 9 + 6 · (−1) → (−1, 11) + (35,−384)(−1) = (−36, 395).

Quindi3 = (−36) · 3522 + (395) · 321.

Considerati a, b, c ∈ Z, l’identità di Bézout permette di dimostrare una con-dizione necessaria e sufficiente perchè l’equazione ax + by = c, detta equazionediofantea, ammetta soluzioni intere.

Teorema 1.5.8. L’equazione ax + by = c con a, b, c ∈ Z, possiede unasoluzione intera (x, y) se e solo se MCD(a, b) = d divide c.

Dimostrazione. Sia (x, y) una soluzione intera dell’equazione. Allora, poichèil MCD(a, b) divide sia a che b, esso dividerà anche ax+ by e quindi anche c.

Viceversa, supponiamo che d divida c. Scriviamo d nella forma d = αa + βb.Allora, essendo c = d · h, sarà

c = (αa+ βb)h = αha+ βhb

cioè (x = αh, y = βh) rappresenta una soluzione intera dell’equazione.

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 23

Ad esempio2x+ 5y = 3

è risolubile in Z perchè MCD(2, 5) = 1 divide 3. Poichè 1 = (−2) ·2+(1) ·5, si ha3 = (−2 · 3) · 2+ (1 · 3) · 5. Una soluzione intera dell’equazione considerata è quindi(−6, 3). Si osservi che tale soluzione non è unica. Ad esempio un’altra soluzioneintera dell’equazione è (9,−3).

Dimostriamo infine un altro teorema fondamentale per la divisibilità in Z.

Teorema 1.5.9. Dati due interi a, b ∈ Z, se a è relativamente primo con be a | bc allora a | c.

Dimostrazione. Poichè MCD(a,b)=1 esistono due interi m,n tali che ma+nb = 1 e pertanto mac+ nbc = c. Da a | bc si ha bc = ha e pertanto mac+ nbc =mac + nha = a(mc + nh) ossia a | mac + nbc. Ricordando che mac + nbc = crimane dimostrato che a | c.

Ovviamente il teorema precedente si generalizza nel senso che se un numeroprimo divide un prodotto di interi allora divide almeno uno dei fattori.

Teorema 1.5.10. Comunque presi a, b ∈ Z non entrambi nulli risulta

MCD(a, b) ·mcm(a, b) = a · bdove mcm(a, b) indica il minimo comune multiplo di a e b.

Dimostrazione. Per la dimostrazione è sufficiente considerare gli interi posi-tivi. Siano a, b ∈ N non entrambi nulli; sia d = MCD(a, b) e sia M = m.c.m.(a, b).Dalle definizioni di MCD e di m.c.m. segue, rispettivamente, che

a = dx , b = dy con MCD(x, y) = 1;

M = az = bw con MCD(z, w) = 1.

Da az = bw segue (dx)z = (dy)w da cui xz = yw e poichè x è primo con y si hache x divide w e anche che w divide x perchè w è primo con z e pertanto x = wda cui segue anche z = y. Da a = dx e M = bw = bx si ottiene

MCD(a, b) ·m.c.m.(a, b) = dM = dbx = dxb = ab.

Nota 1.5.11. La proprietà dimostrata nel teorema precedente(1) permette di calcolare il minimo comune multiplo noto il massimo comune

divisore che, come visto, anche per grandi numeri si calcola facilmente conl’algoritmo euclideo;

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5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 24

(2) non vale se si considerano tre interi a, b, c ∈ Z∗. Infatti, in generale, si ha

MCD(a, b, c) ·mcm(a, b, c) 6= a · b · c.Ad esempio se a = 6, b = 10, c = 42 si ha MCD(6, 10, 42) = 2,

m.c.m.(6, 10, 42) = 210 e risulta 2 · 210 6= 6 · 10 · 42.

L’identità di Bézout (dimostrata nel teorema 1.5.5) fornisce anche un metodoper risolvere i sistemi di congruenze.

Teorema 1.5.12 (Teorema cinese del resto).Siano a, b, c, d ∈ Z con MCD(a, b) = 1. La coppia di congruenze

x ≡ c mod ax ≡ d mod b

ha una soluzione intera che è unica mod ab.

Dimostrazione. Poichè MCD(a, b) = 1, esistono due interi r ed s tali che

1 = ra+ sb (identità di Bézout)c− d = (c− d) · 1 = (c− d)ra+ (c− d)sb.

Posto λ = (c− d)r e µ = (c− d)s, si ha c− d = λa+ µb da cui c− λa = d+ µb.Posto x = c− λa = d+ µb ∈ Z, risulta x ≡ c (mod a) e x ≡ d (mod b).

L’intero x è quindi una soluzione del sistema dato. Verifichiamo ora che x èdefinito a meno di multipli di ab. Infatti se x è un’altra soluzione, si ha

x− x ≡ 0 (mod a) da cui x− x = nax− x ≡ 0 (mod b) da cui x− x = mb

per qualche m,n ∈ Z, e perciò na = mb. Poichè b è primo con a, l’intero b devedividere n ossia esiste k ∈ Z tale che n = kb e pertanto x− x = na = kab.

Esempio 1.5.13. Discutere e risolvere il sistema

x ≡ 3 mod 11x ≡ 2 mod 6

Poichè MCD(11, 6) = 1, il sistema ha soluzione. Da 1 = (−1) · 11 + 2 · 6ragionando come nella dimostrazione del teorema cinese del resto, si ha:

(3−2) = (3−2) ·1 = (3−2) · (−11)+(3−2) ·12, 3−2 = −11+12, 3+11 =12 + 2 = 14.

Allora x = 14 è la soluzione del sistema dato, definita a meno di multipli di 66.

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6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 25

Il teorema cinese può essere generalizzato al caso di n congruenze nel sensoseguente.

Corollario 1.5.14. Se m1,m2, ...,mn sono numeri interi a due a due primifra loro e se a1, a2, ..., an sono interi qualsiasi, allora il sistema di congruenze

x ≡ a1 mod m1

· · ·x ≡ an mod mn

ammette soluzione. Inoltre se x e x sono due soluzioni, allora x ≡ x mod M conM = m1 ·m2 · ... ·mn.

Nota Storica. Il precedente teorema è noto come Teorema cinese del restoperchè nel I (o III?) sec. d. C. lo scrittore-matematico cinese Sun-Tse pose ilseguente quesito che fu in seguito ripubblicato in un libro del 1247 scritto da QinJiushao.

Quale numero diviso per 3, per 5, per 7 dà come resti 2, 3, 2?

Il problema, in termini moderni, si può così riformulare :

Quale numero x (se esiste) soddisfa le relazioni

x ≡ 2 mod 3x ≡ 3 mod 5x ≡ 2 mod 7

Nel testo cinese compaiono le soluzioni 23 e 758. Il Teorema e il corollario prece-dente ci assicurano che le soluzioni sono infinite perchè sono tutti i numeri congruia 23 modulo 105, ad esempio 23, 128, 233, 338, 443, 548, 653, 758, . . . .

6. Numeri primi. Il teorema fondamentale dell’aritmetica.

Definizione 1.6.1. Un numero p ∈ Z∗ si dice primo se p 6= ±1 e p non hadivisori propri.

Poichè in una scomposizione in fattori il segno meno ′′ - ′′ non influisce, perconvenzione quando si parla di numeri primi si intende numeri maggiori di 1.

I numeri primi hanno da sempre esercitato un grande ′′ fascino ′′ e fin dall’an-tichità i matematici si sono interrogati sulla loro esistenza e come determinarli.

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6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 26

Tuttora, pur con l’aiuto dei calcolatori, i problemi relativi ai numeri primi riman-gono fra i più difficili da affrontare. Già nel libro IX degli Elementi di Euclideviene riportato che i numeri primi sono infiniti.

Teorema 1.6.2 (Teorema di Euclide). Esistono infiniti numeri primi.

Dimostrazione. Se i numeri primi fossero in numero finito, siano p1, p2, ..., pn.Consideriamo allora il numero P = p1p2...pn + 1 . Per il teorema 1.5.1. gli interip1, p2, ..., pn non dividono P e pertanto il numero P deve essere un numero primoe quindi dovrebbe coincidere con uno dei p1, p2, ..., pn e ciò è assurdo.

Il teorema di Euclide assicura che i numeri primi sono infiniti; la loro distribu-zione è però molto irregolare : lunghi intervalli senza numeri primi si alternano acoppie di primi gemelli ossia del tipo p, p+2. Non si sa se esistono infinite coppiedi numeri gemelli, ma è noto che per ogni n ∈ N, n > 1 c’è almeno un numeroprimo nell’intervallo [n, 2n−2] mentre Chebishev ha dimostrato che nell’intervallo[n, 2n] esistono almeno due numeri primi.

Rimane tuttora aperta la Congettura di Goldbach secondo la quale in N∗

ogni numero pari maggiore di 3 è somma di due numeri primi mentre è statodimostrato che ogni numero dispari maggiore di 5 è somma di tre numeri primi.

Ancora dopo millenni, lo studio dei numeri primi è importante non solo peril suo intrinseco valore teorico-matematico, ma per il ruolo fondamentale che inumeri primi giocano in crittografia e, in particolare, per la loro applicazione neisistemi crittografici asimmetrici.

Il prossimo teorema assicura che ogni intero si può esprimere, e in modo unico,come prodotto di numeri primi nel senso seguente. Per ogni intero a 6= 0,±1esistono numeri primi p1, ..., pk tali che a = p1 · ... · pk e se p1 · ... · pk = q1 · ... · qscon q1, ..., qs numeri primi, allora s = k e dopo una opportuna permutazione deinumeri primi si ha p1 = ±q1, ..., pk = ±qk.

Teorema 1.6.3 (Teorema Fondamentale dell’aritmetica). Tutti i numeri in-teri a ∈ Z − 0,−1, 1 hanno una fattorizzazione unica in prodotto di numeriprimi.

Dimostrazione. Esistenza: è sufficiente dimostrare il caso di a > 0; siadunque a 6= 0 e a ∈ Z+ − 1. Procediamo per induzione su a. Se a = 2 ilteorema è vero perchè 2 è un numero primo. Supponiamo a > 2 . Se a è primo ilteorema è ovviamente vero. Se a non è primo esistono b, c ∈ Z tali che a = bc e1 < b < a, 1 < c < a. Per l’ipotesi nduttiva, sia b che c sono prodotti di numeriprimi essendo entrambi maggiori di 1 e minori di a. Rimane pertanto dimostrato

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6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 27

l’esistenza della fattorizzazione di a in prodotto di numeri primi. Analogamentese a ∈ Z− − −1.

Unicità: supponiamo che a = p1 · ... · pn = q1 · ... · qs siano due fattorizzazionidi a in prodotto di numeri primi. Procediamo per induzione su n. Se n = 1, siha p1 = q1 · ... · qs che implica s = 1 perchè p1 è primo. Supponiamo ora n > 1.Allora p1 divide il prodotto q1 · ... · qs e quindi divide uno dei fattori, supponiamodivida q1. Poichè q1 è primo, si conclude che q1 = ±p1. Semplificando si ottienep2 · ... · pn = ±q2 · ... · qs. Poichè l’elemento a′ = p2 · ... · pn è prodotto di un numerodi primi inferiore ad n, per l’ipotesi di induzione si ha che la sua fattorizzazione èunica a meno di permutazione dei fattori, ossia s = n e q2 = ±p2, ..., qs = ±pn.

Teorema 1.6.4. Sia p un numero primo; per ogni x, y ∈ Z si ha(x+ y)p ≡ xp + yp (mod p)

Dimostrazione. Osserviamo che per ogni 0 < k < p, il numero p divide ilcoefficiente binomiale (

p

k

)=

p!

k! (p− k)!.

Poichè (x + y)p = xp +∑p−1

k=1((pk

)xp−kyk) + yp, il teorema vale perchè

dall’osservazione precedente segue che la sommatoria è un multiplo di p.

Corollario 1.6.5. Sia p un numero primo; per ogni x, y ∈ Z e per ogni s ∈ Nsi ha

(x+ y)ps ≡ xp

s+ yp

s(mod p)

Dimostrazione. Ricordando che da a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) segueac ≡ bd (mod n), poichè (x + y)p

s= ((x + y)p

s−1)p, dal teorema precedente, per

induzione su s segue la tesi.

Teorema 1.6.6 (Piccolo Teorema di Fermat (1601-1665)). Sia p un numeroprimo. Allora

ap ≡ a (mod p) per ogni numero intero a.

Dimostrazione. Per dimostrare il teorema supponiamo dapprima a ≥ 0 eusiamo l’induzione. Se a = 0 è ovvio. Supponiamo l’asserto vero per a > 0 edimostriamo che vale per a+ 1 ossia dimostriamo che (a+ 1)p ≡ (a+ 1) (mod p).Per il teorema precedente è (a + 1)p ≡ ap + 1 (mod p), e poichè, per l’ipotesiinduttiva, è ap ≡ a (mod p), si conclude (a+ 1)p ≡ (a+ 1) (mod p).

Supponiamo ora a < 0. Per il teorema precedente si ha 0 ≡ 0p ≡ (a+(−a))p ≡ap+(−a)p (mod p), ma per quanto dimostrato sopra per gli interi positivi, essendo−a > 0 si ha (−a)p ≡ −a (mod p) e pertanto 0 ≡ ap + (−a)p ≡ ap + (−a) ≡ap − a (mod p); dunque rimane dimostrato l’asserto anche per a < 0.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 28

Si osservi che già in questa breve esposizione, più volte si sono consideratinumeri interi coprimi fra loro. E’ quindi evidente l’importanza della funzione diseguito definita.

Definizione 1.6.7. Sia φ la funzione in N∗ definita da φ(1) = 1 e, per ognin > 1, da φ(n) uguale al numero dei numeri naturali k coprimi con n e tali che1 ≤ k < n. Questa funzione è nota come funzione di Eulero.

Il piccolo teorema di Fermat è un caso particolare del seguente teorema dovutoad Eulero (1707− 1783).

Teorema 1.6.8 (Teorema di Eulero-Fermat). Siano a ed m due interi primifra loro e tali che a > 1, m > 1. Indicata con φ la funzione di Eulero, si ha che

aφ(m) ≡ 1 mod m.

Dimostrazione. Per la dimostrazione si rinvia al testo Aritmetica e Algebradi D. Dikranjan e M. S. Lucido, pag. 77.

7. Insiemi finiti e infiniti. Cardinalità.

Sono gli studi compiuti alla fine del XIX secolo che portano a formalizzare lenozioni di insieme finito e di insieme infinito. Come prevedibile è la definizione diinsieme infinito quella che crea più difficoltà e che apre nuovi scenari nell’ambitodegli insiemi. Fra i matematici che più di altri si sono dedicati a questi studi,figurano Cantor (1845-1918) e Dedekind (1831-1916).

Definizione 1.7.1. Un insieme A è finito se A è vuoto oppure esistono unnumero naturale n > 0 e una biezione f : 1, 2, ..., n → A. In quest’ultimo casosi dice che A ha cardinalità n e si scrive |A| = n; se A = ∅ si pone |∅| = 0.

Definizione 1.7.2. Un insieme A è(1) infinito se A non è finito.(2) infinito nel senso di Dedekind se esiste un’applicazione iniettiva

f : N → A.(3) infinito nel senso di Cantor se esiste un’applicazione iniettiva ma

non suriettiva f : A→ A (ossia una biezione di A in un suo sottoinsiemeproprio).

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 29

In realtà, come mostra il seguente teorema, la definizione è una sola. Ladiversità è solo nell’approccio e nel linguaggio con cui viene affrontato l’argomento.

Teorema 1.7.3. Per un insieme A le seguenti tre affermazioni sono equivalenti.1. A è infinito.2. A è infinito nel senso di Dedekind.3. A è infinito nel senso di Cantor.

Dimostrazione. Per la dimostrazione si rinvia al testo Aritmetica e Algebradi D. Dikranjan e M. S. Lucido, Liguori Editore, pag. 19.

Nota 1.7.4. E’ importante sottolineare il fatto che il concetto di insieme in-finito nel senso di Dedekind presume l’esistenza di N, mentre quello proposto daCantor non fa ricorso all’insieme dei numeri naturali.

Nella presente trattazione non entreremo nel dettaglio di una definizione rigo-rosa del concetto di numero cardinale. Porremo attenzione a come si confrontanoi numeri cardinali |A| e |B| di due insiemi.

Definizione 1.7.5. Si dice che gli insiemi A e B sono equipotenti, ossia hannolo stesso numero di elementi e scriveremo |A| = |B|, se esiste una biezione A→ B.In generale: |A| ≤ |B| se esiste un’applicazione iniettiva A → B. Scriveremo|A| < |B| se vale |A| ≤ |B| ma non vale |B| ≤ |A|.

Teorema 1.7.6 (Principio di Dirichelet (1805-1859)). Se A e B sono insiemifiniti con |A| > |B|, allora non esiste nessuna applicazione iniettiva di A→ B.

Dimostrazione. Siano n = |A|, m = |B|, m < n. Senza ledere in generalitàpossiamo supporre A = 1, 2, ..., n e B = 1, 2, ...,m. Inoltre da m < nsegue m + 1 ≤ n. Essendo la restrizione di un’applicazione iniettiva ancoraun’applicazione iniettiva, possiamo supporre A = 1, 2, ...,m+1 e pertanto bastadimostrare per induzione su m che non esiste un’applicazione iniettiva di A =1, 2, ...,m+ 1 in B = 1, 2, ...,m. Per m = 1 l’asserto è vero. Supponiamo chesia vero per qualche m ∈ N e supponiamo per assurdo che esista un’applicazioneiniettiva f di A = 1, 2, ...,m + 2 in B = 1, 2, ...,m + 1. Se m + 1 6∈ f(A),esiste un’applicazione iniettiva 1, 2, ...,m + 2 → 1, 2, ...,m che ristretta ad1, 2, ...,m + 1 contraddice l’ipotesi induttiva, pertanto esiste k ∈ A tale chef(k) = m+ 1. Sia g : A→ A l’applicazione definita da

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 30

g(x) =

x se x ∈ A e x 6= k, m+ 2m+ 2 se x = kk se x = m+ 2

Allora g è biettiva e h = f g : A → B è un’applicazione iniettiva conh(m + 2) = m + 1. Pertanto la restrizione di h all’insieme 1, 2, ...,m + 1 èun’applicazione iniettiva di 1, 2, ...,m+ 1 in 1, 2, ...,m e ciò è assurdo.

Il seguente teorema di Cantor dimostra che |A| < |P (A)| qualunque sia l’insie-me A 6= ∅. Grazie a questo teorema si dimostrò che il numero degli elementidell’insieme dei numeri naturali è strettamente inferiore del numero degli ele-menti dell’insieme dei numeri reali. Infatti, come dimostra il teorema 1.7.14, si haR = |P (N)| e dunque risulta |N| < |R|.

Teorema 1.7.7 (Teorema di Cantor). Sia A un insieme non vuoto; nonesiste un’applicazione suriettiva f : A→ P (A).

Dimostrazione. Supponiamo che esista un’applicazione f : A → P (A) su-riettiva . Sia X = x ∈ A | x 6∈ f(x). Allora, poichè X ∈ P (A), per lasuriettività di f esiste x0 ∈ A con f(x0) = X. Dimostriamo che per x0 non val-gono nè x0 ∈ X , nè x0 6∈ X . Infatti se x0 ∈ X , allora x0 6∈ f(x0) = X perla definizione di X e ciò è assurdo. Se x0 6∈ X allora x0 ∈ f(x0) = X e ciò èassurdo.

Anche i prossimi due teoremi sono fondamentali nella teoria della cardinalità,in questa trattazione riportiamo solo gli enunciati rinviando al testo Aritmetica eAlgebra di D. Dikranjan e M. S. Lucido (pagg. 33-34) per la loro dimostrazione.

Teorema 1.7.8 ( Teorema di Cantor-Bernstein ). Siano S e T due insieminon vuoti. Se esistono S → T e T → S applicazioni iniettive, allora esiste ancheun’applicazione biettiva S → T .

La prima dimostrazione rigorosa di questo teorema fu data da Bernstein nel1897.

Teorema 1.7.9 ( Teorema di Hartogs (1874-1943)). Siano S e T due insieminon vuoti. Allora esiste un’applicazione iniettiva S → T oppure un’applicazioneiniettiva T → S.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 31

Il Teorema di Hartogs assicura che per due insiemi S e T si ha |S| ≤ |T | oppure|T | ≤ |S|. In altre parole, i numeri cardinali sono sempre confrontabili.

Il Teorema di Cantor- Bernstein assicura inoltre che, se si ha contemporanea-mente |S| ≤ |T | e |T | ≤ |S| allora |S| = |T |.

Abbiamo dimostrato (Teorema di Cantor 1.7.7) che |A| < |P (A)|, questopermette di trovare degli insiemi di cardinalità sempre più grandi.

Definizione 1.7.10. Un insieme A si dice numerabile se |A| = |N|, con Ninsieme dei numeri naturali. Il numero cardinale infinito |N| si denota con ℵ0 e silegge alef con zero.

Teorema 1.7.11. L’insieme N× N è numerabile.

Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione f : N× N → N definita da

f(m,n) = 2m(2n+ 1)− 1.

L’applicazione f è iniettiva; infatti supposto f(m,n) = f(r, s) si ha che se f(m,n)è pari allora m = 0 = r e n = f(m,n)/2 = f(r, s)/2 = s; se f(m,n) è dispariallora m ed n sono univocamente determinati da f(m,n)+1. Inoltre f è suriettivaperchè se a ∈ N è pari, allora a = f(0, a/2). Se a è dispari allora a+ 1 = 2rq con

r ≥ 1, q ≥ 1, q dispari; sia n =q − 1

2e m = r. Si ha f(r,

q − 1

2) = 2r(2 · q − 1

2+

1)− 1 = 2rq − 1 = a. Dunque f è biettiva e |N× N| = |N| = ℵ0.

Teorema 1.7.12 (Teorema fondamentale di Cantor sul numerabile). L’u-nione di un numero finito oppure di una infinità numerabile di insiemi finiti onumerabili è un insieme di cardinalità non superiore al numerabile.

Dimostrazione. Poichè un insieme finito ha cardinalità minore di quella delnumerabile, basta dimostrare che l’unione H di una infinità numerabile di insieminumerabili H1, H2, ..., Hi, ... a due a due disgiunti ha la cardinalità del numerabile.Supponiamo pertanto |Hi| = ℵ0 per ogni i ∈ N. Elenchiamo gli elementi diciascun Hi con una successione; per ogni i ∈ N poniamo Hi = ai1, ai2, ai3, ..., aik, ....Disponiamo gli elementi degli insiemi Hi incolonnandoli in base al secondo pedicee ponendo nella riga r-esima gli elementi dell’insieme Hr. Chiamiamo diagonaledi indice j la successione formata da j elementi aj1, a(j−1)2, a(j−2)3, ..., a1j (ossial’insieme dei j elementi axy tali che x+y = j+1 ordinati secondo i valori crescentidel secondo pedice).

H1 : a11 a12 a13 a14...a1k...H2 : a21 a22 a23 a24...a2k...H3 : a31 a32 a33 a34...a3k...H4 : a41 a42 a43 a44...a4k...

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 32

· · ·Hi : ai1 ai2 ai3 ai4...aik...· · ·Un qualunque elemento axy dell’insieme H =

⋃i∈NHi appartiene ad una ed

una sola diagonale (quella di indice j = x + y − 1). Consideriamo l’applicazionef : H → N definita da f(axy) = 1 + 2 + ... + (j − 1) + y ( ossia all’elemento axyfacciamo corrispondere il numero naturale che si ottiene aggiungendo y al numerocomplessivo degli elementi posti sulle diagonali di indice minore di j). Dimostriamoche l’applicazione f è biunivoca. Poichè |Hi| = ℵ0, certamente |H| ≥ ℵ0 e pertantoper dimostrare che |H| = ℵ0, basta dimostrare che f è iniettiva. Sia axy 6= azw;distinguiamo due casi.

1 caso: axy e azw appartengono alla stessa diagonale j.Allora x + y = z + w = j + 1 e f(axy) = 1 + 2 + ... + (j − 1) + y e f(azw) =

1+2+ ...+(j− 1)+w. Se f(axy) = f(azw) allora y = w da cui segue anche x = z(perchè x+ y = z + w = j + 1) ossia axy = azw contro l’ipotesi.

2 caso: axy e azw appartengono a diagonali diverse.Sia x+y = j+1 e z+w = j1 +1 con j 6= j1. Supponiamo j1 > j; sia j1 = j+k

con k ∈ N∗. Allora f(axy) = 1+2+...+(j−1)+y e f(azw) = 1+2+...+(j1−1)+w.Poichè x+y = j+1 e x ≥ 1, si ha y ≤ j e pertanto f(axy) ≤ 1+2+ ...+(j−1)+ jmentre f(azw) = 1 + 2 + ...+ (j1− 1) +w = 1 + 2 + ...+ j + ...+ (j + k− 1) +w >1 + 2 + ...+ j. Risulta dunque f(axy) < f(azw) da cui f(axy) 6= f(azw) e pertantof è iniettiva.

Nota 1.7.13.• Georg Cantor, fondatore della teoria degli insiemi, il 7 dicembre 1873

dimostrò che l’insieme dei numeri reali non è numerabile.• La cardinalità dell’insieme R dei numeri reali è detta cardinalità del

continuo e si denota con C e come dimostrato nel teorema seguente, essacoincide con la cardinalità dell’insieme P (N) delle parti di N.

• In generale si pone 2|A| = |2A| = |P (A)| con P (A) insieme delle parti diA; per il teorema di Cantor (teorema 1.7.7) si ha sempre 2|A| > |A|.

Teorema 1.7.14. La cardinalità del continuo coincide con la cardinalità diP (N).

Dimostrazione. Consideriamo la definizione dei numeri reali secondo Dede-kind. Ogni numero reale r corrisponde ad una partizione Q = R1 ∪ R2 con laproprietà x < y per ogni x ∈ R1 ed ogni y ∈ R2 (la coppia (R1,R2)) di insiemi dinumeri razionali è detta sezione di Dedekind. Poichè la partizione è completamentedeterminata dall’insieme R1, la corrispondenza r → R1 definisce un’applicazione

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 33

iniettiva di R in P (Q). Poichè P (Q) è equipotente a P (N), rimane provato che|R| ≤ |P (N)|. D’altra parte P (N) è equipotente all’insieme 2N delle applicazioniN → 0, 1 ossia all’insieme delle successioni (an) ad elementi in 0, 1. Defi-niamo un’applicazione f : 2N → R che ad (an) fà corrispondere il numero realeΣ∞n=1an2

−n. Sia C il sottoinsieme di 2N delle successioni che sono definitivamentecostanti, ossia delle successioni per le quali esiste n0 tale che an è costante per tuttigli n ≥ n0. L’applicazione f ristretta al complemento C ′ di C in 2N è iniettiva equindi |C ′| ≤ |R|. Poichè |2N| > |N| = |C|, si ha |C ′| = |2N|. Poichè |C ′| = |P (N)|si ha |P (N)| ≤ |R|. Per Teorema di Cantor-Bernstein si conclude |R| = |P (N)|.

8. Esercizi relativi al Capitolo 1

Esercizio 1.8.1.Nell’insieme N dei numeri naturali si considerino i sottoinsiemi A e B sottoindi-cati e si determinino A ∩B, A ∪B, A−B, B − A.

(1) A = x ∈ N | x divide 12, B = y ∈ N | y divide 18.(2) A = x ∈ N | 6 divide x, B = y ∈ N | y divide 50.(3) A = x ∈ N | 6 divide x, B = y ∈ N | 8 divide y.

Soluzione(1) A ∩ B = 1, 2, 3, 6, A ∪ B = 1, 2, 3, 4, 6, 9, 12, 18, A − B = 4, 12,

B − A = 9, 18.(2) A ∩ B = ∅, A ∪ B = x ∈ N | x divide 50 oppure x = 6h, h ∈ N,

A−B = A, B − A = B.(3) A ∩B = x ∈ N | x = 24h, h ∈ N, A ∪B = x ∈ N | x = 6h oppure x =

8h, h ∈ N, A − B = x ∈ N | x = 6h, h ∈ N, h 6= 2r, r ≥ 2, B − A =x ∈ N | x = 8h, h 6= 3k, k ∈ N.

Esercizio 1.8.2.Siano A,B,C sottoinsiemi di un insieme S. Si dimostri che

(1) A = B se e solo se A ∩B = A ∪B.(2) A ⊆ B ⊆ C se e solo se A ∪B = B ∩ C.

Soluzione(1) Se A = B è ovvio che A∩B = A∪B = A = B. Viceversa se A∩B = A∪B

allora per ogni x ∈ A si ha x ∈ A ∪ B e dunque x ∈ A ∩ B e pertantox ∈ B ossia A ⊆ B. Analogamente per ogni x ∈ B risulta x ∈ A epertanto B ⊆ A. Si conclude A = B.

(2) Si procede come per (1) esaminando i vari casi.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 34

Esercizio 1.8.3.Si considerino due insiemi S e T e sia f un’applicazione di S in T . In ciascunodei casi seguenti, si stabilisca se f è un’applicazione iniettiva, suriettiva o biettiva.Si indichi l’insieme delle controimmagini di ogni elemento t ∈ T . Nel caso in cuif sia biettiva trovare l’applicazione inversa.

(1) S = R, T = t ∈ R | t ≥ 0, f(s) = s2 per ogni s ∈ S.(2) S = T = s ∈ R | s ≥ 0, f(s) = s2 per ogni s ∈ S.(3) S = T = Z, f(s) = s2 per ogni s ∈ S.(4) S = T = Z, f(s) = 2s per ogni s ∈ S.(5) S = T = R∗, f(s) = 2s+ 1 per ogni s ∈ S.

(6) S = T = R∗, f(s) =1

sper ogni s ∈ S.

(7) S = R∗, T = R, f(s) =1

sper ogni s ∈ S.

(8) S = R∗, T = R∗+, f(s) = |s| per ogni s ∈ S.

Soluzione(1) f è suriettiva, f non è iniettiva, la controimmagine di t è f−1(t) = ±

√t.

(2) f è biettiva, f−1(s) =√s.

(3) f non è iniettiva, f non è suriettiva, se z ∈ f(Z) allora f−1(z) = ±√z.

(4) f è iniettiva, f non è suriettiva, se z ∈ f(Z) allora f−1(z) = z2.

(5) f è iniettiva, f non è suriettiva, se r ∈ f(R∗) allora f−1(r) = r−12.

(6) f è biettiva, f−1(r) = 1r.

(7) f è iniettiva, f non è suriettiva, se r ∈ f(R∗) allora f−1(r) = 1r.

(8) f è suriettiva, f non è iniettiva, la controimmagine di r è f−1(r) = ±r.

Esercizio 1.8.4.Si considerino le applicazioni f e g di Q in Q definite da f(x) = x2 − 1 per ogni

x ∈ Q, g(y) =1

yper ogni y ∈ Q, y 6= 0 e g(0) = 0. Si descrivano le applicazioni

f, g, f g, g f precisando se sono iniettive, suriettive o biettive.Soluzione

• f non è iniettiva, non è suriettiva.• g è biettiva e g−1 = g.• f g(x) = f(g(x)) = f( 1

x) = 1

x2 − 1 per x 6= 0 e f g(0) = f(g(0)) =f(0) = −1. L’applicazione non è iniettiva, non è suriettiva.

• gf(x) = g(f(x)) = g(x2−1) = 1x2−1

per x 6= ±1 e gf(1) = g(f(−1)) =g(0) = 0. L’applicazione non è iniettiva, non è suriettiva.

Esercizio 1.8.5.Sia < una relazione definita nell’insieme S. In ciascuno dei casi sottoindicatisi stabilisca se < è di equivalenza e, qualora lo sia, si determinino le classi diequivalenza.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 35

(1) S = N, a < b se e solo se a divide b.(2) S = R+, a < b se e solo se esiste n ∈ N tale che a = bn.(3) S = N× N; (a, b) < (c, d) se e solo se a+ d = c+ b.

Soluzione(1) < non è di equivalenza.(2) < non è di equivalenza.(3) < è di equivalenza. Le classi di equivalenza sono

[(0, n)] = (x, n + x) | x ∈ N e [(n, 0)] = (x + n, x) | x ∈ N al variaredi n in N.

Esercizio 1.8.6.Dimostrare che le seguenti relazioni non sono di equivalenza. Verificare di qualiproprietà godono fra le proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva, antisimmetrica.

(1) In Q si studi la relazione x < y se x+ 3y = 12.(2) In R+ si studi la relazione x < y se esiste un intero positivo n tale che

x = yn.Soluzione

(1) Valgono la proprietà transitiva e la proprietà antisimmetrica. Non valgonola proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica.

(2) Valgono la proprietà riflessiva, la proprietà transitiva e la proprietà anti-simmetrica. Non vale la proprietà simmetrica.

Esercizio 1.8.7.Dimostrare che < è una relazione di equivalenza in A se e solo se valgono leseguenti due proprietà:1. a < a per ogni a ∈ A.2. Se a < b, b < c allora c < a.Soluzione - Se a < b allora, poichè per 1. si ha b < b, per 2. si ha che da a < b eb < b segue b < a ossia vale la proprietà simmetrica. Dimostriamo che vale anchela proprietà transitiva: sia a < b e b < c, allora per 2. si ha c < a e infine per laproprietà simmetrica si ha a < c.

Esercizio 1.8.8.Dimostrare che in N∗ la relazione n < m ⇔ n è divisibile per m, è una relazionedi ordine parziale.Soluzione - Vale la proprietà riflessiva, infatti n < n per ogni n ∈ N essendo ndivisibile per se stesso. Vale la proprietà antisimmetrica, infatti se a < b e b < aallora a = hb e b = ka con h, k ∈ N∗ e pertanto da a = hka segue h = k = 1 edunque a = b. Vale la proprietà transitiva, infatti se a < b e b < c si ha a = hb,b = kc con h, k ∈ N∗, da cui segue a = hkc e pertanto a < c.

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 36

Esercizio 1.8.9.Dimostrare che l’insieme Np dei numeri primi è numerabile.Soluzione - Poichè Np ⊂ N si ha |Np| ≤ |N| = ℵ0 inoltre, come dimostrato nelteorema 1.6.2., i numeri primi sono infiniti e pertanto si può costruire la biezionef : Np → N definita ponendo 2 → 0, 3 → 1, 5 → 2, 7 → 3, 11 → 4, ...; f è iniettivaper costruzione ed è anche suriettiva perchè comunque preso n ∈ N, essendo Np

infinito esiste p ∈ Np tale che f(p) = n.

Esercizio 1.8.10.Dimostrare per induzione su n che la somma dei primi n numeri interi positivi èn(n+1)

2.

Soluzione - Per n = 2 la proprietà è verificata perchè 1+2 = 3 ed anche 2(2+1)2

= 3.Supponiamo che sia 1 + 2 + ... + n = n(n+1)

2e dimostriamo che la proprietà vale

per (n+ 1).Si ha 1 + 2 + ...+ n+ (n+ 1) = n(n+1)

2+ (n+ 1) = n(n+1)+2(n+1)

2= (n+1)(n+2)

2=

(n+1)[(n+1)+1]2

.

Esercizio 1.8.11.Dimostrare per induzione su n che 1 + x+ x2 + ...+ xn = 1−xn+1

1−x .Soluzione - Per n = 1 la proprietà è verificata perchè 1 + x = (1+x)(1−x)

1−x = 1−x2

1−x .Supponiamo che la proprietà sia vera per n e dimostriamo che vale per n + 1. Siha

1 + x+ x2 + ...+ xn + xn+1 = 1−xn+1

1−x + xn+1 = 1−xn+1+xn+1−xn+2

1−x = 1−xn+2

1−x .

Esercizio 1.8.12.L’insieme Z dei numeri interi relativi è numerabile.Soluzione - Da |N+| = |N−| = ℵ0, poichè Z = N+ ∪ N− ∪ 0, per il teoremafondamentale sul numerabile (teorema 1.7.12) risulta |Z| = ℵ0.

Esercizio 1.8.13.L’insieme Z2 = Z× Z è numerabile.Soluzione - Ad ogni coppia (a, b) associamo il numero naturale h = |a| + |b|detto altezza della coppia. Indichiamo con Hh l’insieme delle coppie aventi altezzah. Ogni elemento di Z × Z appartiene ad esattamente un insieme Hh. Per comedefinitoHh, risulta Z×Z =

⋃h∈NHh ossia Z×Z è unione di una infinità numerabile

di insiemi finiti e pertanto per il teorema fondamentale sul numerabile (teorema1.7.12) si ha |Z× Z| = ℵ0.

Esercizio 1.8.14.L’insieme Zn è numerabile.Soluzione - Procediamo per induzione su n. Per n = 2 si ha Z2 numerabile come

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 37

dimostrato nell’esercizio 1.8.15. Sia Zn−1 numerabile, allora le (n−1)-uple possonoessere messe in corrispondenza biunivoca con N : A1, A2, ..., Aj, ... . Se Aj =(a1, a2, ..., an−1) definiamo l’applicazione f : Zn → Z2 che fa corrispondere allan-upla (a1, a2, ..., an−1, s) la coppia (j, s). L’applicazione f è banalmente biettivae pertanto |Zn| = |Z2| = ℵ0.

Esercizio 1.8.15.L’insieme Q dei numeri razionali è numerabile.Soluzione 1 - L’insieme Q+ è in corrispondenza biunivoca con il sottoinsiemeZ2 formato dalle coppie (p, q) con p, q interi positivi. Q+ è pertanto numerabileperchè è non finito ed è contenuto in un insieme numerabile. Ovviamente risultaanche |Q−| = ℵ0. Poichè Q = Q+ ∪ Q− ∪ 0, per il teorema fondamentale sulnumerabile (teorema 1.7.12) risulta |Q| = ℵ0.Soluzione 2 - Si può portare una dimostrazione più diretta associando ad ogniab∈ Q il numero naturale h = |a|+ |b| detto altezza di a

b. Sia Hh l’insieme (finito)

degli elementi di Q aventi altezza h. Per ogni h ∈ N∗ è Hh un insieme finito eHh ∩Hk = ∅ per h 6= k e pertanto Q =

⋃h∈N∗ Hh è numerabile perchè unione di

una infinità numerabile di insiemi finiti.

Esercizio 1.8.16.Sia Z[x] l’insieme dei polinomi a coefficienti interi in una indeterminata x. Di-mostrare che Z[x] è numerabile.Soluzione - Per ogni n ∈ N sia Pn = anxn + ... + a1x + a0 | ai ∈ Z, an 6= 0l’insieme dei polinomi di Z[x] di grado n. Ad ogni polinomio di grado n facciamocorrispondere la (n + 1)-upla (an, ...a1, a0) dei suoi coefficienti. La corrisponden-za così definita assicura che Pn è un sottoinsieme infinito di Zn+1 e quindi Pn ènumerabile perchè |Pn| ≤ |Zn+1| = ℵ0 ( vedi esercizio 1.8.17). L’insieme Z[x] ri-sulta pertanto l’unione di una infinità numerabile di insiemi numerabili a due adue disgiunti e pertanto è numerabile per il teorema fondamentale sul numerabile(teorema 1.7.12) : Z[x] = P0 ∪ P1 ∪ P2 ∪ ... ∪ Pn ∪ ....

Esercizio 1.8.17.Provare che l’insieme di tutti i numeri reali è equipotente all’insieme dei numerireali positivi.Soluzione - Basta verificare che esiste una biezione fra R ed R+. Eccone alcune:f1 : x→ ex, f2 : x→ 2ex, f3 : x→ 2x, f4 : x→ 3x.

Esercizio 1.8.18.Dimostrare che ogni intervallo reale (a, b) è equipotente all’intervallo (0, 1).Soluzione - Sia f : (0, 1) → (a, b) l’applicazione definita da f(x) = (b−a)x+a perogni x ∈ (0, 1). L’applicazione è iniettiva, infatti se f(x1) = f(x2) allora x1 = x2

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Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 38

perchè da (b− a)x1 + a = (b− a)x2 + a segue x1 = x2. L’applicazione è suriettiva,infatti per ogni y ∈ (a, b) esiste x = y−a

b−a ∈ (0, 1) tale che f(x) = y.Si noti che dal punto di vista geometrico, quanto dimostrato significa che gli

insiemi che hanno per elementi i punti di due qualsiasi segmenti sono equipotenti.Ad esempio l’insieme dei punti del segmento AB è equipotente all’insieme dei puntidel segmento AM = AB

2.

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CAPITOLO 2

Gruppi

Con questo capitolo inizia lo studio delle strutture algebriche. Lo studio del-le strutture algebriche permette di ′′ vedere ′′ da un punto di vista superiore egenerale gli ambienti matematici che si incontrano ma che il più delle volte sonotrattati solo in casi particolari ed è per questo che le strutture algebriche nasconodall’osservazione di analogie tra oggetti matematici apparentemente molto diversifra loro.

La struttura algebrica che verrà studiata è quella di gruppo che è parte costi-tutiva fondamentale dell’algebra. Quella di gruppo è una struttura con una solaoperazione, si descrive formalmente in modo semplice e il suo studio permette diaffrontare in modo chiaro i concetti algebrici fondamentali per tutte le strutturealgebriche, quali quelli di omomorfismo, automorfismo e quoziente.

1. Strutture algebriche. Proprietà elementari dei gruppi.

Per lo studio delle strutture algebriche è fondamentale il concetto di operazione.

Definizione 2.1.1. Dato un insieme A 6= ∅, un’applicazione ~ : A × A → Aè detta operazione (binaria) su A.

Se a e b sono elementi di A, l’immagine tramite ~ della coppia (a, b) si indicacon a~ b. Per indicare le operazioni useremo di solito i simboli ′′·′′ e ′′+′′ e usere-mo l’usuale notazione moltiplicativa nel primo caso e l’usuale notazione additivanel secondo caso. D’ora in poi, se non specificato diversamente, useremo ′′·′′ escriveremo semplicemente ab al posto di a · b.

Nota 2.1.2. Delle tradizionali quattro ′′ operazioni ′′ dell’aritmetica dei numerinaturali solo due, l’addizione e la moltiplicazione, sono delle operazioni secondola definizione 2.1.1, mentre non risultano operazioni la sottrazione e la divisione.L’elevamento a potenza (x, y) → xy non è una operazione in N mentre lo è in N∗

(si ricordi che 00 è forma indeterminata).39

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Capitolo 2 Gruppi 40

Si osservi che la definizione di operazione prescinde dalla natura degli elemen-ti di A che pertanto vengono considerati simboli suscettibili di assumere i piùsvariati significati concreti e prescinde anche dal significato concreto della opera-zione; inoltre la definizione evidenzia che nello stesso insieme si possono definirepiù operazioni.

Perchè è così importante prescindere dalla natura degli elementi dell’insieme edal significato concreto dell’operazione?

Per rispondere consideriamo l’insieme Z dei numeri interi e in esso l’usuale opera-zione ′′+′′ di addizione. Consideriamo ora le rotazioni di un quadrato, intorno alsuo centro, di ampiezza 90, 180, 270, 360 (in senso orario) e indichiamo queste,rispettivamente, con α, β, γ, δ. Nell’insieme T = α, β, γ, δ definiamo l’ope-razione ′′⊗′′ ponendo x ⊗ y = z se z è la rotazione che si ottiene eseguendosuccessivamente le due rotazioni x e y . Così, ad esempio, α ⊗ α = β perchèruotando il quadrato di 90 e poi ancora di 90 si ottiene una rotazione di 180.E’ immediato verificare che le operazioni ′′+′′ e ′′⊗′′ considerate rispettivamentein Z e T verificano le seguenti proprietà:

(Z,+) (T,⊗)

1. a+ (b+ c) = (a+ b) + c 1. x⊗ (y ⊗ z) = (x⊗ y)⊗ zper ogni a, b, c ∈ Z per ogni x, y, z ∈ T

2. a+ 0 = 0 + a = a 2. x⊗ δ = δ ⊗ x = xper ogni a ∈ Z per ogni x ∈ T

3. per ogni a ∈ Z 3. per ogni x ∈ Tesiste −a ∈ Z tale che esiste −x ∈ T tale chea+ (−a) = (−a) + a = 0 x⊗ (−x) = (−x)⊗ x = δ

I due esempi considerati mostrano che:(1) lo studio di (Z,+) presenta notevoli analogie con lo studio di (T,⊗) ;(2) se si ha l’esigenza di operare in un ambiente in cui è sufficiente che vi

sia una operazione con le proprietà 1., 2., 3., allora è del tutto ininfluenteconsiderare (Z,+) o (T,⊗).

A prescindere dalla loro natura, tra gli elementi di un insieme esistono dellerelazioni definite a partire solo da proprietà formali.

Nella matematica moderna, considerare un insieme unitamente ad una o piùoperazioni in esso definite, significa considerare una struttura algebrica.

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Capitolo 2 Gruppi 41

Lo studio delle strutture algebriche formali è ciò che differenzia l’algebra ′′elementare′′studiata alle scuole superiori dall’algebra astratta studiata all’università. Con ri-ferimento ai due esempi precedenti, si può dire che l’algebra elementare studiaseparatamente le proprietà della addizione in Z e le proprietà delle rotazioni di unquadrato; l’algebra astratta studia una unica struttura algebrica di cui (Z,+) e(T,⊗) sono esempi particolari.

Definizione 2.1.3. Sia G 6= ∅ e sia data in G una operazione binaria:

G×G −→ G

(a, b) 7−→ a · bSi dice che (G, ·) è un gruppo se valgono le seguenti proprietà:(1) a · (b · c) = (a · b) · c per ogni a, b, c ∈ G (proprietà associativa);(2) esiste u ∈ G tale che a · u = u · a = a per ogni a ∈ G (u è detto elemento

unità e di norma verrà indicato con 1);(3) esiste ed è unico a−1 ∈ G tale che a ·a−1 = a−1 ·a = u per ogni a ∈ G

(a−1 è detto l’inverso dell’elemento a).

Definizione 2.1.4. Se l’operazione del gruppo è indicata con la notazione “+”additiva, allora

• l’elemento neutro si usa indicarlo con lo zero: a+ 0 = 0 + a = a per ognia ∈ G;

• l’elemento inverso di a si chiama opposto di a e si indica con ′′ − a ′′:a+ (−a) = (−a) + a = 0 per ogni a ∈ G;

• per indicare la somma x+ (−y) si usa anche scrivere x− y.

Definizione 2.1.5.• Se nel gruppo (G, ·) l’operazione gode della proprietà commutativa, ossiaa · b = b · a per ogni a, b ∈ G, allora (G, ·) è detto gruppo abeliano ocommutativo.

• Un gruppo (G, ·) con un numero finito n di elementi si dice di ordine n.

Esempio 2.1.6.(1) Dato l’insieme G = N \ 0, e l’operazione a · b = ab, (G, ·) non è un

gruppo perché non vale la proprietà associativa: a(bc) = a(bc) = abc

mentre (ab)c = abc = (ab)c = abc.(2) (R∗, ·) è un gruppo.(3) (Z,+) è un gruppo additivo abeliano.(4) (N,+) non è un gruppo.

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Capitolo 2 Gruppi 42

(5) (Q,+), (Q∗, ·) sono gruppi.(6) (Q, ·) non è un gruppo.

Nota 2.1.7. (Z, ·) non è un gruppo perché valgono le proprietà (1) e (2) delladefinizione di gruppo ma non vale la proprietà (3). Questo assicura che l’assioma(3) della definizione di gruppo non dipende da (1) e (2).

Nota 2.1.8. Esistono gruppi di ogni ordine. Nel proseguo della trattazioneverranno portati esempi sia di gruppi infiniti sia di gruppi con un numero finito ndi elementi per ogni n ∈ N∗.

Nota 2.1.9.• Non condradditorietà degli assiomi. Quando si definisce una strut-

tura algebrica, è importante verificare che gli assiomi presenti nella defini-zione siano fra loro compatibili ossia non contradditori. La non contraddi-torietà di una assiomatica si prova dimostrando l’esistenza di un modelloche verifica tutti gli assiomi.

• Indipendenza degli assiomi.E’ meno importante della non contradditorietà ma non trascurabile: nelledefinizioni si deve cercare di mettere solo gli assiomi che sono indipendentitra loro.

Teorema 2.1.10. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Si ha che:(1) l’elemento neutro è unico;(2) l’elemento inverso è unico;(3) (a−1)−1 = a per ogni a ∈ G.

Dimostrazione. (1) - Supponiamo che, oltre all’elemento u, esista anche v ∈G tale che va = av = a, per ogni a ∈ G; dimostriamo che allora v = u.v · u = v per (2) della definizione di gruppo;v · u = u per l’ipotesi su v.Dal confronto delle ugualianze segue v = u.

Dimostrazione. (2) - Sia a ∈ G, supponiamo che oltre ad a−1 esista anchea ∈ G tale che aa = aa = u. Allora:

(aa) a−1 = a(aa−1

)= au = a

(aa) a−1 = ua−1 = a−1

da cui a = a−1.

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Capitolo 2 Gruppi 43

Dimostrazione. (3) - Risulta

a−1 · (a−1)−1 = u ma anche a−1 · a = u

dal confronto delle ugualianze si deduce che (a−1)−1 = a

Teorema 2.1.11. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Per ognia, b ∈ G si ha (ab)−1 = b−1a−1.

Dimostrazione. Risulta

(ab)−1(ab)b−1 = ub−1 = b−1

(ab)−1(ab)b−1 = (ab)−1a(bb−1) = (ab)−1au = (ab)−1a

dal confronto delle ugualianze si ha b−1 = (ab)−1a e pertanto b−1a−1 = (ab)−1.

Il teorema ora dimostrato si generalizza al seguente.

Teorema 2.1.12. Sia (G, ·) un gruppo. Comunque presi a1, a2, . . . , an ∈ Gsi ha:

(a1a2 . . . an)−1 = a−1

n a−1n−1 . . . a

−12 a−1

1 .

Dimostrazione. La dimostrazione si effettua per induzione su n. Per n =2 l’assero è vero per il teorema precedente. Supponiamo sia verificato per n edimostriamo che vale per n+ 1.

(a1a2 . . . anan+1)−1 = [(a1a2 . . . an)an+1]

−1 = a−1n+1 · (a1a2 . . . an)

−1 =

= a−1n+1a

−1n . . . a−1

2 a−11 .

Corollario 2.1.13. Se (G, ·) è un gruppo abeliano allora:

(ab)−1 = a−1b−1 e (a1a2 . . . an)−1 = a−1

1 a−12 . . . a−1

n .

Tabella di moltiplicazione di un gruppo finito G.

Se (G, ·) è un gruppo finito allora è possibile rappresentare l’operazione che lodefinisce mediante una matrice-tabella nel modo sottoriportato. Questa matriceviene detta tabella di moltiplicazione del gruppo. Se G = g1, g2, g3, ..., gn, la ta-bella si costruisce ponendo gij = gj · gi (applico prima gi poi gj).

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Capitolo 2 Gruppi 44

· g1 g2 g3 · · · gng1 g11 g12 g13 · · · g1n

g2 g21 g22 g23 · · · g2n

g3 g31 g32 g33 · · · g3n...

......

......

......

......

......

...gn gn1 gn2 gn3 · · · gnn

Nota 2.1.14. Nel caso finito la tabella di un’operazione binaria su G è unostrumento molto efficace per ′′ vedere ′′ immediatamente se l’operazione definisceoppure no un gruppo e anche se valgono alcune proprietà.

• Se l’operazione definisce un gruppo allora necessariamente su ogni riga eogni colonna figurano una ed una sola volta tutti gli elementi di G.

• Si desume facilmente l’esistenza oppure no dell’elemento neutro.• L’operazione gode della proprietà commutativa se e solo se la tabella è

simmetrica rispetto alla diagonale principale.• Dalla tabella non si può dedurre immediatamente se vale oppure no la

proprietà associativa, per questa proprietà occorre fare i calcoli o dimo-strarla.

Esercizio 2.1.15.Scrivere la tabella moltiplicativa del gruppo S3 di tutte le permutazioni su tre ele-menti rispetto all’operazione di prodotto operatorio.Soluzione - Sia N = 1, 2, 3; gli elementi di S3 sono:

a1 =

(1 2 31 2 3

), a2 =

(1 2 31 3 2

), a3 =

(1 2 33 2 1

)a4 =

(1 2 32 1 3

), a5 =

(1 2 32 3 1

), a6 =

(1 2 33 1 2

).

Posto aij = aj(ai(x)),

la tabella di moltiplicazione é:

a1 a2 a3 a4 a5 a6

a1 a1 a2 a3 a4 a5 a6

a2 a2 a1 a6 a5 a4 a3

a3 a3 a5 a1 a6 a2 a4

a4 a4 a6 a5 a1 a3 a2

a5 a5 a3 a4 a2 a6 a1

a6 a6 a4 a2 a3 a1 a5

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Capitolo 2 Gruppi 45

Nota 2.1.16. Il prossimo teorema assicura che nella definizione di gruppo• l’assioma (2) può essere sostituito da ′′ esiste u ∈ G tale che a · u = a per

ogni a ∈ G ′′ ;• l’assioma (3) può essere sostituito da ′′ esiste a−1 ∈ G tale che a · a−1 = u

per ogni a ∈ G ′′.Occorre però fare molta attenzione all’ordine con cui si scrivono gli elementi perchè

• (G, ·) non è un gruppo se:(1) a · (b · c) = (a · b) · c, per ogni a, b, c ∈ G;(2) a · u = a, per ogni a ∈ G;(3) a−1 · a = u, per ogni a ∈ G.

Teorema 2.1.17. Sia G 6= ∅ e ′′·′′ un’operazione in G tale che:(1) (a · b) · c = a · (b · c), per ogni a, b, c ∈ G;(2) esiste u ∈ G tale che a · u = a, per ogni a ∈ G;(3) esiste a−1 ∈ G tale che a · a−1 = u, per ogni a ∈ G;

allora (G, ·) è un gruppo.

Dimostrazione. Basta provare che u · a = a e a−1 · a = u per ogni a ∈ G.Poichè per ipotesi a−1 · (a−1)−1 = u, si ha :

a−1 · a = (a−1 · a) · u= (a−1 · a) · [a−1 · (a−1)−1]

= a−1 · (a · a−1) · (a−1)−1

= a−1 · u · (a−1)−1

= a−1 · (a−1)−1

= u

Inoltre si ha :

u · a = (a · a−1) · a= a · (a−1 · a)= a · u= a

Teorema 2.1.18. Sia (G, ·) un gruppo; comunque presi a, b ∈ G esiste unoed uno solo x ∈ G tale che a ·x = b ed esiste uno ed un solo y ∈ G tale che y ·a = b.

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Capitolo 2 Gruppi 46

Dimostrazione. Dati a, b ∈ G se esiste x ∈ G tale che a · x = b possiamoscrivere

a−1 · (a · x) = a−1 · b(a−1 · a) · x = a−1 · b

u · x = a−1 · bx = a−1 · b

ossia rimane determinato in modo unico l’elemento x. Ma dati a, b ∈ G, l’elementoa−1 · b ∈ G esiste e verifica a · x = b, infatti

a · (a−1 · b) = (a · a−1) · b = b .

Dunque dati a, b ∈ G esiste ed è unico l’elemento x ∈ G tale che a · x = b, anzipossiamo dire che risulta

x = a−1b

Quella data è pertanto una dimostrazione costruttiva.Analogamente, supponiamo esista y ∈ G tale che y · a = b; allora y = ba−1. Madati a, b ∈ G l’elemento b−1a in G esiste e verifica y · a = b infatti

(b · a−1) · a = b · (a−1 · a) = b

Dunque esiste ed è unico in G l’elemento y tale che

y · a = b

Nota 2.1.19. Nella dimostrazione del teorema• l’unicità segue dall’esistenza;• se il gruppo G è commutativo allora risulta x = y.

Le proprietà del teorema precedente sono caratteristiche di un gruppo, ossiavale il seguente teorema.

Teorema 2.1.20. Sia G 6= ∅ e ′′·′′ un’operazione in G tale che:(1) a · (b · c) = (a · b) · c per ogni a, b, c ∈ G;(2) esiste x ∈ G tale che a · x = b per ogni a, b ∈ G;(3) esiste y ∈ G, tale che y · a = b per ogni a, b ∈ G;

allora (G, ·) è un gruppo.

Dimostrazione. Preso a ∈ G, per (2) esiste u ∈ G tale che a · u = a.Considerato un qualunque b ∈ G, esiste y ∈ G tale che y · a = b. Risulta

b · u = (y · a) · u = y · (a · u) = y · a = b

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Capitolo 2 Gruppi 47

e pertanto u ∈ G è tale che b · u = b per ogni b ∈ G (esiste l’elemento neutro).Infine per ogni a ∈ G esiste ed è unico a−1 ∈ G tale che

a · a−1 = u

infatti da (2) segue che a · x = u ha una ed una sola soluzione.Per il teorema 2.1.17 rimane provato che (G, ·) è un gruppo.

Il seguente corollario evidenzia due implicazioni dette leggi di cancellazione.

Corollario 2.1.21. Sia (G, ·) un gruppo; per ogni a, b, c ∈ G si ha che:a · b = a · c =⇒ b = c

b · a = c · a =⇒ b = c

Dimostrazione. Sia d = a · b = a · c, poichè in un gruppo a · x = d ha unae una sola soluzione, deve essere b = c. Sia d = b · a = c · a, poichè in un gruppoy · a = d ha una e una sola soluzione, deve essere b = c.

Teorema 2.1.22. Sia G 6= ∅ un insieme finito. In G sia definita un’opera-zione ′′ · ′′ che goda della proprietà associativa e per la quale valgano entrambe leleggi di cancellazione. Allora (G, ·) è un gruppo.

Dimostrazione. Iniziamo con il dimostrare che, poichè valgono le leggi dicancellazione, si ha che per ogni g1, g2, a ∈ G risulta g1a 6= g2a se e solo seg1 6= g2. Infatti: sia g1 6= g2; se fosse g1a = g2a per le leggi di cancellazione siavrebbe g1 = g2 contro l’ipotesi. Viceversa se g1a 6= g2a , poichè valgono le leggidi cancellazione, si ha g1 6= g2.Fissato a ∈ G, essendo G finito e per quanto dimostrato sopra, si ha |G| = |aG| =|Ga| ossia G = aG = Ga e perciò per ogni a, b ∈ G valgono

(1) esiste x ∈ G tale che ax = b;(2) esiste y ∈ G tale che ya = b;

e quindi per il teorema 2.1.19 si ha che (G, ·) è un gruppo.

Nota 2.1.23. Come mostra l’esempio seguente il fatto che in un insieme (G, ·)valga la proprietà associativa e valgano le due leggi di cancellazione non assicurache (G, ·) sia un gruppo, occorre l’ipotesi che G sia finito.

Esempio 2.1.24.In (N∗, ·) valgono:

(1) Proprietà associativa;(2) n · x = n · y =⇒ x = y;

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Capitolo 2 Gruppi 48

(3) x · n = y · n =⇒ x = y.ma (N∗, ·) non è un gruppo perché se n 6= 1 non esiste in N∗ l’elemento inverso.

La struttura algebrica di gruppo permette di definire il multiplo e la potenzadi un elemento.

Definizione 2.1.25. Sia (G, ·) un gruppo in cui l’operazione è quella moltipli-cativa. Si definiscono le potenze di x ∈ G ad esponente m ∈ Z ponendo:

x0 = ux1 = x

...xm = x · x · . . . · x︸ ︷︷ ︸ per m > 1

m volte

x−1 = inverso di xx−2 = x−1 · x−1

...x−m = x−1 · x−1 · . . . · x−1︸ ︷︷ ︸ per m > 1

m volte

Teorema 2.1.26. In un gruppo (G, ·) valgono le seguenti proprietà:

xmxn = xm+n = xnxm , (xm)n = xmn = (xn)m

e nel caso di (G, ·) abeliano vale anche:

(xy)m = xmym

Dimostrazione. Seguono dalla definizione di potenza e dal fatto che in ungruppo vale la proprietà associativa.

Riformuliamo in notazione additiva la definizione 2.1.25 e il teorema 2.1.26.

Definizione 2.1.27. Sia (G,+) un gruppo in cui l’operazione è quella additiva.Si definiscono i multipli mx di x ∈ G secondo un intero m ∈ Z, ponendo:

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Capitolo 2 Gruppi 49

0 · a = 01 · a = a2 · a = a+ a

...m · a = a+ a+ . . .+ a︸ ︷︷ ︸ per m > 1

m volte

(−1) · a = −a(−2) · a = −a− a

...(−m) · a = −a− a− . . .− a︸ ︷︷ ︸ per m > 1

m volte

Teorema 2.1.28. In un gruppo (G,+) valgono le proprietà:

ma+ na = (m+ n)a , n(ma) = (nm)a

Dimostrazione. Seguono dalla definizione di multiplo e dalla proprietà as-sociativa.

Definizione 2.1.29. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Sia a ∈ G,si dice che a ha periodo (o ordine) finito n se n è il più piccolo intero positivotale che an = u. Si dice che a non ha periodo finito se è an 6= u per ogni n ∈ N∗.

Se la notazione del gruppo è quella additiva si dice che a ha periodo (o ordine)finito n se n è il più piccolo intero positivo tale che n · a = a+ a+ · · ·+ a︸ ︷︷ ︸

n volte

= 0.

Per indicare che a ha periodo n si usa scrivere o(a) = n.

Osserviamo che in un gruppo l’unico elemento di periodo 1 è l’elemento neutro.

Esercizio 2.1.30.Dimostrare che se tutti gli elementi di un gruppo (G, ·) hanno periodo 2 allora Gè abeliano.Soluzione - Notiamo anzittutto che se a ∈ G ha periodo 2, significa che a = a−1.Comunque presi a, b ∈ G si ha ab ∈ G con o(ab) = 2 ossia (ab)2 = 1; poichèa = a−1 e b = b−1 risulta ab = (ab)−1 = b−1a−1 = ba.

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Capitolo 2 Gruppi 50

2. Esempi di gruppi fondamentali

Esempio 2.2.1. Gruppo Quadrinomio o trirettangolo.

Sia G l’insieme delle isometrie di un rettangolo non quadrato (movimenti delrettangolo in sè). G è un gruppo rispetto al prodotto operatorio. In (G, ) valgonole seguenti proprietà:

(1) G ha ordine 4. Sia G = 1, a, b, c con 1 elemento neutro.(2) Ogni elemento di G diverso dall’elemento neutro coincide con il proprio

inverso: a2 = b2 = c2 = 1.(3) G è abeliano.(4) La tabella di moltiplicazione del gruppo è la seguente:

1 a b c

1 1 a b ca a 1 c bb b c 1 ac c b a 1

Considerando il rettangolo di figura, gli elementi del gruppo sono:

1 =

(A B C DA B C D

), a =

(A B C DD C B A

),

b =

(A B C DB A D C

), c =

(A B C DC D A B

).

A B

D C

Esempio 2.2.2. Gruppo delle rotazioni.

Sia n un numero naturale con n ≥ 3. Sia G l’insieme delle rotazioni di ampiezza2πk

n, k = 1, ..., n intorno al centro del poligono regolare di n lati. Rispetto alla

operazione di composizione, la coppia (G, ) è un gruppo. Se indichiamo con a la

rotazione di ampiezza2π

n, allora risulta:

• gli elementi del gruppo sono tutte e sole le potenze di a: G = a, a2, a3, ..., an;• G è abeliano;• |G| = n.

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Capitolo 2 Gruppi 51

Esempio 2.2.3. Gruppo addittivo delle Classi resto modulo n.

Fissato n ∈ N∗, nell’insieme Z degli interi rimane determinata la relazione dicongruenza

a ≡ b (mod n) ⇔ a− b = hn con h ∈ Z.La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza, sia Zn l’insieme delleclassi di equivalenza. In Zn definiamo la seguente operazione di somma:

[a] + [b] = [a+ b] per ogni [a], [b] ∈ Zn.La definizione data è una buona definizione, ossia non dipende dal rappresentantedella classe scelto, ossia se [a] = [a] e [b] = [b] allora [a + b] = [a + b]. Infatti da[a] = [a] e [b] = [b] si ha a − a = hn e b − b = kn, allora sommando membroa membro e ricordando che in Z valgono la proprietà associativa e la proprietàcommutativa, si ottiene (a+ b)− (a+ b) = (h+ k)n e pertanto (a+ b) ≡ (a+ b)(mod n), ossia [a+ b] = [a+ b].La coppia (Zn,+) è un gruppo abeliano. Infatti, tenendo presente le proprietà di(Z,+), è immediato provare che

• in (Zn,+) vale la proprietà associativa;• [0] è elemento neutro;• se [a] ∈ Zn allora in Zn esiste l’elemento opposto dato da [−a];• [a] + [b] = [b] + [a] per ogni a, b ∈ Zn;• |Zn| = n.

Esempio 2.2.4. Gruppo moltiplicativo delle Classi resto modulo p,p primo.

Fissato p ∈ N, p primo, nell’insieme Z degli interi rimane determinata larelazione di congruenza

a ≡ b (mod p) ⇔ a− b = hp con h ∈ Z.La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza, sia Zp l’insieme delleclassi di equivalenza. In Z∗

p = Zp − [0] definiamo la seguente operazione diprodotto:

[a] · [b] = [a · b] per ogni [a], [b] ∈ Z∗p.

La definizione data è una buona definizione, ossia non dipende dal rappresentantedella classe scelto, ossia se [a] = [a] e [b] = [b] allora [a · b] = [a · b]. Infatti da[a] = [a] e [b] = [b] si ha ab−ab = hbp e ab−ab = akp, allora sommando membroa membro e ricordando le proprietà che valgono in Z, si ottiene ab−ab = (hb+ak)pe pertanto ab ≡ ab (mod p), ossia [ab] = [ab].La coppia (Z∗

p, ·) è un gruppo abeliano finito con |Z∗p| = p − 1. Infatti, tenendo

presente le proprietà dell’insieme dei numeri interi, è immediato provare che• in (Z∗

p) vale la proprietà associativa;• [1] è elemento neutro;

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Capitolo 2 Gruppi 52

• in Z∗p ogni elemento ha l’inverso;

• [a] · [b] = [b] · [a] per ogni a, b ∈ Z∗p;

• |Z∗p| = p− 1.

Dimostriamo, ad esempio, che ogni elemento di Z∗p ha l’inverso. Sia [n] ∈ Z∗

p,0 < n < p, consideriamo i (p − 1) prodotti [n][m] al variare di [m] ∈ Z∗

p; questiprodotti sono tutti distinti perchè se fosse [n][m] = [n][m′] allora si avrebbe[nm] = [nm′] da cui nm − nm′ = hp, n(m −m′) = hp e poichè p - n perchèn < p, deve essere p|(m −m′) ossia m −m′ = kp e pertanto m ≡ m′(mod p)e dunque [m] = [m′]. Ciò significa che, fissato [n], i prodotti [n][m] esaurisconotutti gli elementi di Z∗

p e perciò esiste [n] tale che [n][n] = [1] e vale anche[n][n] = [1].

E’ importante sottolineare che (Z∗n, ·) è un gruppo se e solo se n è un

numero primo. Ad esempio, (Z∗6, ·) non è un gruppo perchè, per esempio, [2]·[3] =

[0] 6∈ Z∗6, oppure [2] · [2] = [4] e anche [2] · [5] = [4] e ciò è assurdo.

Esempio 2.2.5. Gruppo Diedrale o diedrico.

Questo gruppo esiste per ogni numero naturale n ≥ 3. Fissato n si definiscegruppo diedrale il gruppo

Dn = a1 , a2 , ..., an , ba1 , ba2 , ..., ban con a, b tali che o(a) = n, o(b) = 2, aib = ban−i, i = 1, 2, ..., n. Riportiamo alcuneproprietà di facile verifica, altre saranno evidenziate nei prossimi capitoli.

(1) |Dn| = 2n.(2) Dn non è commutativo.(3) Nella definizione posta, la condizione aib = ban−i può essere sostituita

da baib = a−i per ogni i = 1, 2, ..., n, o più semplicemente da bab = a−1.(4) Gli elementi a e b che definiscono Dn possono essere interpretati come

le permutazioni definite da

a =

(1 2 · · · n− 1 n2 3 · · · n 1

), b =

(1 2 · · · n− 1 nn n− 1 · · · 2 1

).

Il gruppo diedrale rappresenta il gruppo dei movimenti che portano un poligono

regolare con n lati in sè: n rotazioni di ampiezza2πk

n, k = 1, ..., n, intorno al

centro del poligono e n simmetrie, una per ognuno degli n assi di simmetria delpoligono.

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Capitolo 2 Gruppi 53

Esempio 2.2.6. Gruppo Diedrale D4.

Quale esempio, esplicitiamo il caso n = 4.D4 = a , a2 , a3 , a4 , β , γ , δ , ε

dove gli elementi a, a2, a3, a4 = 1 rappresentano le rotazioni del quadrato, intornoal suo centro, di ampiezza rispettivamente 90, 180, 270, 360 ; gli elementiβ, γ, δ, ε rappresentano le simmetrie rispetto ai quattro assi di simmetria.

@@

@@

@@

@@

@@

@@

@@

@@

@@

@@

~~

~~

~~

~~

~~

~~

~~

~~

~~

~~

A B

______________

D C

Indichiamo i vertici del quadrato con A,B,C,D (procedendo in senso orario).Gli elementi di D4 sono:

a =

(A B C DB C D A

), a2 =

(A B C DC D A B

),

a3 =

(A B C DD A B C

), a4 =

(A B C DA B C D

),

β =

(A B C DB A D C

), γ =

(A B C DC B A D

),

δ =

(A B C DD C B A

), ε =

(A B C DA D C B

).

Si noti che risulta βa = ε, βa2 = δ, βa3 = γ, βa4 = β (nel prodotto si èapplicata prima la permutazione di destra) e pertanto tutti gli elementi di D4 sipossono ottenere dalla rotazione a (di ampiezza 90) e da una fissata simmetria β(si ottiene analogo risultato se al posto di β si prende γ oppure δ oppure ε).

• |D4| = 8.• D4 non è commutativo: per esempio a3β 6= βa3.• In D4 aiβ = βa4−i, per ogni i = 1, 2, 3, 4.

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Capitolo 2 Gruppi 54

Esempio 2.2.7. Gruppo dei Quaternioni.

Sia G = 1,−1, i,−i, j,−j, k,−k e in G si consideri l’operazione ′′·′′ definitada: (−1)2 = 1 , i2 = j2 = k2 = −1 , ij = k , jk = i , ki = j , ji = −k , kj = −i ,ik = −j.(G, ·) è un gruppo detto gruppo dei quaternioni e denotato con Q8. Di seguitoriportiamo la tabella di moltiplicazione e alcune proprietà di facile verifica. Neiprossimi capitoli evidenzieremo altre interessanti proprietà di questo gruppo.

(1) Q8 è non abeliano;(2) Q8 è il più piccolo gruppo non abeliano di ordine la potenza di un numero

primo;(3) La tabella di moltiplicazione di Q8 è la seguente :

· 1 −1 i j k −i −j −k1 1 −1 i j k −i −j −k−1 −1 1 −i −j −k i j ki i −i −1 k −j 1 −k jj j −j −k −1 i k 1 −ik k −k j −i −1 −j i 1−i −i i 1 −k j −1 k −j−j −j j k 1 −i −k −1 i−k −k k −j i 1 j −i −1

3. Sottogruppi

Per ogni struttura algebrica rimane definito il concetto di sottostruttura.

Definizione 2.3.1. Sia (G, ·) un gruppo e H ⊆ G, H 6= ∅. Si dice che H èsottogruppo di G se H è gruppo rispetto alla stessa operazione definita in G. SeH è sottogruppo di G si scrive H ≤ G.

Nota 2.3.2.(1) Ogni gruppo (G, ·) ammette almeno due sottogruppi: G e 1G formato

dal solo elemento neutro. Questi due sottogruppi sono detti sottogruppibanali.

(2) Se (G, ·) è abeliano, ogni suo sottogruppo è abeliano.

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Capitolo 2 Gruppi 55

Esempio 2.3.3.(1) Sia P = 2n : n ∈ Z l’insieme dei numeri pari in Z. (P,+) è sottogruppo

(abeliano) di (Z,+).(2) Sia D = 2n + 1 : n ∈ Z l’insieme dei numeri dispari in Z. (D,+) non

è sottogruppo di (Z,+) perché “+” non è un’operazione in D, quindi nonha senso chiedersi se (D,+) sia un gruppo.

(3) Sia Q∗+ = x ∈ Q∗ : x > 0 l’insieme dei numeri razionali positivi. (Q∗

+, ·)è sottogruppo di (Q∗, ·).

(4) Sia A = x+√

2y : x, y ∈ Q. (A,+) è sottogruppo di (R,+).

Teorema 2.3.4. Sia (G, ·) un gruppo e sia H ⊆ G, H 6= ∅.(1) H è un sottogruppo di G ⇔ per ogni a, b ∈ H risulta a · b ∈ H, a−1 ∈ H.(2) H è un sottogruppo di G ⇔ per ogni a, b ∈ H risulta a · b−1 ∈ H.(3) Se H è finito allora si ha che H è un sottogruppo di G ⇔ a · b ∈ H, per

ogni a, b ∈ H.

Dimostrazione. (1)=⇒: Se H è sottogruppo di G è ovvio che a · b ∈ H, a−1 ∈ H per ognia, b ∈ H.

⇐=: Sia H ⊆ G, H 6= ∅, tale che per ogni a, b ∈ H risulta a · b ∈ H,a−1 ∈ H. Poichè H ⊆ G, in (H, ·) vale la proprietà associativa e pertantoper dimostrare che H è sottogruppo rimane solo da dimostrare che in Hc’è l’elemento neutro: a ∈ H ⇒ a−1 ∈ H ⇒ a · a−1 = 1 ∈ H.

Dimostrazione. (2)=⇒: Se H è sottogruppo di G allora comunque presi a, b ∈ H si ha a, b−1 ∈H e pertanto ab−1 ∈ H .

⇐=: Sia H ⊆ G, H 6= ∅ tale che per ogni a, b ∈ H sia ab−1 ∈ H . PoichèH 6= ∅ esiste a ∈ H e pertanto aa−1 ∈ H da cui 1 ∈ H. Da a ∈ H e1 ∈ H segue 1 · a−1 ∈ H e perciò a−1 ∈ H per ogni a ∈ H.

Dimostrazione. (3)=⇒: Se H è sottogruppo di G è ovvio che a · b ∈ H per ogni a, b ∈ H.⇐=: Sia H = a1, a2, . . . , an, dimostriamo che per ogni ai, aj ∈ H esistono

e sono unici x, y ∈ H tali che ai · x = aj e y · ai = aj. Consideriamo glielementi aia1, aia2, . . . , aian. Questi n prodotti per ipotesi stanno in He sono a due a due distinti perché se aiah = aiak allora a−1

i aiah = a−1i aiak,

uah = uak, ah = ak. Gli n prodotti sono dunque tutti e soli gli elementidi H, allora esistono e sono unici gli elementi ah e ak tali che

ai · ah = aj, ak · ai = aj.

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Capitolo 2 Gruppi 56

Nota 2.3.5. Nella (3) del teorema precedente l’ipotesi che H sia finito è in-dispensabile. Infatti nel gruppo (Z,+) si ha N ⊆ Z, N 6= ∅, a + b ∈ N per ognia, b ∈ N. Ma (N,+) non è un gruppo.

Esempio 2.3.6.Fissato n ∈ Z nel gruppo (Z,+) consideriamo il sottoinsieme nZ = xn |x ∈ Z.Per ogni a, b ∈ nZ risulta a+(−b) ∈ nZ; infatti, ricordando che in (Z,+) valgonola proprietà commutativa e la proprietà associativa, se a = x · n e b = y · n, si haa+ (−b) = x · n+ (−y · n) = x+ x+ · · ·+ x︸ ︷︷ ︸

n−volte

+ (−y) + (−y) + · · ·+ (−y)︸ ︷︷ ︸n−volte

=

(x− y) + (x− y) + · · ·+ (x− y)︸ ︷︷ ︸n−volte

= (x− y) · n ∈ nZ.

Questo prova che (nZ,+) è sottogruppo di (Z,+). Ovviamente, nel caso n = 0il sottogruppo è quello banale.

Teorema 2.3.7. Siano H e K sottogruppi di un gruppo (G, ·). Si ha :(1) H ∪K è un sottogruppo di G se e solo se H ⊆ K oppure K ⊆ H.(2) Un gruppo G non può essere unione di due sottogruppi propri.(3) Siano Hi, i = 1, 2, ..., n, sottogruppi di G. L’unione insiemistica ∪ni=1Hi

non è detto che sia sottogruppo di G.

Dimostrazione. (1) - Se H ⊆ K oppure K ⊆ H, allora H ∪ K è unsottogruppo poichè in tal caso H ∪K coincide con K o con H rispettivamente.

Supponiamo ora cheH∪K sia un sottogruppo di G e cheH * K. Dimostriamoche allora necessariamente K ⊆ H. Poichè H * K esiste h ∈ H con h 6∈ K.Consideriamo un qualunque elemento k ∈ K, allora k ∈ H∪K e anche h ∈ H∪K.Poichè H ∪K è un sottogruppo di G, si ha hk ∈ H ∪K, ma hk 6∈ K. Infatti sefosse hk ∈ K, moltiplicando a destra per k−1 ∈ K si avrebbe h = (hk)k−1 ∈ K eciò è assurdo. Quindi hk 6∈ K e di conseguenza hk ∈ H. Moltiplicando a sinistraper h−1 ∈ H si ottiene k = h−1(hk) ∈ H e pertanto K ⊆ H.

Dimostrazione. (2) - Supponiamo per assurdo che esistano due sottogruppipropri H,K di G tali che G = H ∪K. Allora per quanto dimostrato in (1) si haH ≤ K oppure K ≤ H. Supponiamo per esempio H ≤ K. Allora G = H∪K = Ke ciò va contro l’ipotesi che K sia un sottogruppo proprio di G.

Dimostrazione. (3) - Segue da (1) e (2).

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Capitolo 2 Gruppi 57

Nota 2.3.8. Si possono trovare gruppi che sono unione di tre sottogruppipropri. Ad esempio il gruppo quadrinomio è unione dei suoi tre sottogruppi propri.

Teorema 2.3.9. Siano H1, H2, . . . , Hn sottogruppi del gruppo (G, ·). Alloral’intersezione insiemistica ∩ni=1Hi è un sottogruppo di G.

Dimostrazione. La dimostrazione segue banalmente dalle definizioni di grup-po e di intersezione. Viene lasciata per esercizio.

Teorema 2.3.10. Siano (G, ·) un gruppo, H ≤ G, a ∈ G. Se esistonom,n ∈ Z coprimi e tali che am ∈ H, an ∈ H, allora a ∈ H.

Dimostrazione. Poichè MCD(m,n) = 1, per le note proprietà del MCD didue interi (vedi teorema 1.4.3), siano u, v ∈ Z tali che 1 = um + vn. Allora si haa = aum+vn = (am)u · (an)v ∈ H.

Definizione 2.3.11. Se A, B sono sottoinsiemi di un gruppo (G, ·), rispetti-vamente (G,+), si chiama prodotto, rispettivamente somma, di A e B l’insieme

A ·B = a · b | a ∈ A, b ∈ Brispettivamente

A+B = a+ b | a ∈ A, b ∈ B.

Teorema 2.3.12. Sia (G, ·) un gruppo e siano H e K sottogruppi di G.H ·K è un sottogruppo di G se e solo se H ·K = K ·H.

Dimostrazione. Sia H ·K un sottogruppo di G. Consideriamo k ·h ∈ K ·H;si ha k · h = (h−1 · k−1)−1 con h−1 ∈ H e k−1 ∈ K e quindi h−1 · k−1 ∈ H ·K epoichè H ·K è sottogruppo di G si ha (h−1 · k−1)−1 ∈ H ·K ossia k · h ∈ H ·K edunque K ·H ⊆ H ·K.Consideriamo ora h · k ∈ H ·K; si ha (h · k)−1 ∈ H ·K e dunque (h · k)−1 = h1 · k1

con h1 ∈ H e k1 ∈ K. Si ha cosí h · k = (h1 · k1)−1 = k−1

1 · h−11 ∈ K · H ossia

H ·K ⊆ K ·H.Poichè K ·H ⊆ H ·K e H ·K ⊆ K ·H, rimane provato che H ·K = K ·H.

Viceversa sia H ·K = K ·H. Presi h1 · k1, h2 · k2 ∈ H ·K, dalla ipotesi segueh1 ·k1 · (h2 ·k2)

−1 = h1 ·k1 · (k2 · h2)−1 = h1 ·k1 · h2

−1 · k2−1

= h1 ·h3 ·k3 · k2−1 ∈ H ·K

e dunque H ·K è sottogruppo di G.

Corollario 2.3.13. Sia (G, ·) un gruppo abeliano. Se H, K sono sottogruppidi G allora H ·K è sottogruppo di G.

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Capitolo 2 Gruppi 58

Dimostrazione. E’ conseguenza immediata del teorema precedente.

4. Generatori di un gruppo. Gruppi ciclici.

Definizione 2.4.1. Sia (G, ·) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G.Sia F = H1, H2, . . . , Hn l’insieme di tutti i sottogruppi di G che contengono H.

Il gruppo< H >=

⋂Hi∈F

Hi.

è detto sottogruppo generato da H.Un gruppo (G, ·) si dice finitamente generato se G =< H > con H finito.L’insieme H è detto sistema di generatori di < H > e nel caso H sia finito, seH = x1, x2, . . . , xn, al posto di < H > si usa anche scrivere < x1, x2, . . . , xn >.

Dalla definizione ora posta segue che:• < H >⊆ Hi per ogni Hi ∈ F .• < H > è il più piccolo sottogruppo contenente l’insieme H.

Teorema 2.4.2. Sia H un sottoinsieme non vuoto del gruppo (G, ·) e siaH−1 = x−1 : x ∈ H. Il gruppo < H > generato da H è costituito dai prodotti

x1 · x2 · · · · · xnal variare di n ∈ N e di xi ∈ H ∪H−1.

Dimostrazione. Sia H il sottoinsieme di G formato dai prodotti di cui nel-l’enunciato.

Da x1 · x2 · · · · · xn ∈ H e y1 · y2 · · · · · ym ∈ H segue che:

(x1 · x2 · · · · · xn)−1(y1 · y2 · · · · · ym) = x−1n · · · · · x−1

1 · y1 · y2 · · · · · yn ∈ He perciò H è sottogruppo di G.

Inoltre è ovvio che ogni sottogruppo di G che contiene H contiene H e pertanto

H =< H >

Teorema 2.4.3. Un gruppo (G, ·) finitamente generato è finito oppure ha lacardinalità del numerabile.

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Capitolo 2 Gruppi 59

Dimostrazione. Sia G =< x1, . . . , xm >. Ogni x ∈ G è tale chex = xn1

i1· xn2

i2· . . . · xns

iscon ni ∈ Z e i1, i2, . . . , is ∈ 1, 2, . . . ,m. Per ogni x si

ponga hx = |n1| + |n2| + . . . + |ns|. Gli x ∈ G tali che hx ≤ n per un assegnaton ∈ N, formano un sottoinsieme finito Gn di G e quindi la tesi segue dall’essereG =

⋃n∈NGn .

Corollario 2.4.4. Un gruppo generato da un insieme numerabile è numerabile.

Nota 2.4.5. Un sottogruppo di un gruppo finitamente generato può non esserefinitamente generato.

Esempio 2.4.6.(1) (R,+), (R∗, ·), (C,+), (C∗, ·) non sono finitamente generati.(2) (Z,+) è finitamente generato: Z =< 1 > .(3) (Q,+) non è finitamente generato. Infatti supponiamo per assurdo che Q

sia finitamente generato dar1s1

,r2s2

, · · · , rnsn

∈ Q. Ognirisi

= ki ·1

s1s2 . . . sncon ki = ris1s2 . . . si−1si+1 . . . sn. Ne segue che

<r1s1

,r2s2

, · · · , rnsn

>⊆< 1

s1s2 . . . sn>6= Q

Definizione 2.4.7. Un gruppo (G, ·) che sia generato da un solo elemento sidice ciclico. Se G =< g > allora l’elemento g è detto generatore di G.

Teorema 2.4.8. Sia (G, ·) un gruppo e g ∈ G. Allora il gruppo generato daH = g coincide con l’insieme < g >= gn | n ∈ Z di tutte le potenze di g.

Dimostrazione. Si ha < g >6= ∅ perchè g = g1 ∈< g >. Presi gr, gs ∈< g >si ha che gr · gs = gr+s ∈< g >; inoltre se gs ∈< g > allora (gs)−1 = g−s ∈< g >.Rimane provato che < g > è un gruppo (sottogruppo di G). Ma un qualunquesottogruppo di G che contenga H = g contiene < g > e pertanto < g > è ilsottogruppo di G generato da H.

Nota 2.4.9.• Se g è generatore di (G, ·) allora anche g−1 genera (G, ·).• Ogni gruppo ciclico è abeliano.

Infatti considerato il gruppo G =< g >, per ogni gr, gs ∈ G risultagrgs = gr+s = gs+r = gsgr perchè in Z si ha r + s = s+ r.

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Capitolo 2 Gruppi 60

Esempio 2.4.10.(1) In (Z,+), il sottogruppo < 5 >= x · 5 | x ∈ Z = 5Z è un gruppo

ciclico generato da 5.(2) In (Q∗, ·) il sottogruppo < 1

3>= (1

3)n | n ∈ Z è un gruppo ciclico

generato da 13.

(3) (Z,+) è gruppo ciclico generato da 1 oppure da −1: Z =< 1 >=< −1 >.(4) Per ogni numero naturale n ≥ 3, il gruppo delle rotazioni del poligono

regolare con n lati intorno al suo centro è un gruppo ciclico di ordine n e

un suo generatore è la rotazione di ampiezza2π

n.

(5) (G, ) definito da G = r0, r1 =< r1 >

r0 r1r0 r0 r1r1 r1 r0

è un gruppo ciclico di ordine 2.(6) Il gruppo G =< 1 > formato dal solo elemento neutro è un gruppo ciclico

di ordine 1.(7) Il gruppo diedrale D4 non è ciclico.(8) Il gruppo Q8 dei quaternioni non è ciclico.

Nota 2.4.11. Come mostrano gli esempi sopra riportati, esistono gruppi ciclicidi ogni ordine. Se due gruppi ciclici hanno lo stesso numero di elementi sonosostanzialmente la stessa cosa, sia nel caso finito che in quello infinito. Dunque èsufficiente prendere un solo modello di gruppo ciclico per ogni ordine.

Esempio 2.4.12.(1) (Z,+) e Γ =< 1

5>= (1

5)n | n ∈ Z sono entrambi gruppi ciclici di

ordine infinito. Come insiemi sono diversi ma hanno la stessa strutturaalgebrica.

(2) Il gruppo additivo (Z3,+) delle classi resto modulo 3, è un gruppo ciclicodi ordine 3, e perciò ha la stessa struttura algebrica del gruppo dellerotazioni del triangolo equilatero che è pure ciclico di ordine 3.

Teorema 2.4.13. Ogni sottogruppo di un gruppo ciclico è un gruppo ciclico.

Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo ciclico e g un suo generatore: G =gn | n ∈ Z. Sia A un sottogruppo di G. Se A = g0 allora A è banalmenteciclico; se A 6= g0 sia h il piú piccolo intero positivo tale che gh ∈ A. Ovviamenteè < gh > ⊆ A, ma risulta anche A ⊆ < gh > ossia ogni elemento di A è una potenzadi gh, infatti sia gn ∈ A e sia n = hq + r con q, r ∈ Z , 0 ≤ r < h.

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Capitolo 2 Gruppi 61

Si ha

gn = ghq+r = ghq · gr ∈ A

e quindi gr ∈ A ma allora per l’ipotesi di minimo fatta su h, risulta r = 0 e dunque

gn = ghq = (gh)q ∈ < gh >

Resta cosí dimostrato che A = < gh > e quindi A è ciclico, anzi si è anchetrovato da quale elemento è generato il sottogruppo.

Corollario 2.4.14. I sottogruppi di (Z,+) sono tutti e soli i gruppi (nZ,+)con n ∈ N.

Dimostrazione. Fissato n ∈ N, l’insieme nZ = xn | x ∈ Z =< n > è unsottogruppo di (Z,+) come dimostrato nell’esercizio 2.3.5. Viceversa se H è unsottogruppo di (Z,+), poichè Z =< 1 > è ciclico, dal teorema 2.4.13 segue che Hè ciclico e pertanto esiste n ∈ N tale che H =< n >= nZ.

Considerando l’insieme dei numeri interi si può trovare un modello di gruppociclico di ordine n per ogni n nel senso che (Z,+) è un gruppo ciclico infinito e perogni n ∈ N il gruppo delle classi resto (Zn,+) è ciclico di ordine n.

I gruppi ciclici sono particolarmente importanti per lo studio dei gruppi perchèun qualunque gruppo è l’unione insiemistica dei suoi sottogruppi ciclici.

Nota 2.4.15. Esistono gruppi non ciclici ma tali che ogni loro sottogruppoproprio è ciclico. Ad esempio ciò accade per il gruppo (Q8, ·) dei quaternionidescritto in 2.2.7. Il gruppo dei quaternioni è un gruppo di ordine 8 non abelianoe perciò non ciclico. I suoi sottogruppi propri sono:

H1 = 1,−1 =< −1 >, H2 = 1,−1, i,−i =< i >

H3 = 1,−1, j,−j =< j >, H4 = 1,−1, k,−k =< k >.

Si può facilmente verificare che quelli sopra riportati sono tutti e soli i sotto-gruppi propri di (Q8, ·) e sono tutti ciclici.

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Capitolo 2 Gruppi 62

5. Laterali e Indice di un sottogruppo

Fissato n ∈ N − 0, in (Z,+) la relazione a ≡ b (modn) se a − b ∈ nZ èdi equivalenza e poichè gli nZ sono tutti e soli i sottogruppi di Z, possiamo direche la relazione di congruenza è definita a partire da (Z,+) e dai suoi sottogrup-pi. Ci chiediamo allora se quanto visto in (Z,+) relativamente alla relazione dicongruenza, possa valere per ogni gruppo G e ogni suo sottogruppo H.

Definizione 2.5.1. Sia (G, ·) un gruppo e H un sottogruppo di G. Definiamoin G la relazione a ≡ b (modH) se e solo se a · b−1 ∈ H.

Questa è una relazione di equivalenza. Infatti:(1) Proprietà riflessiva :

a ≡ a (modH) ⇐⇒ a · a−1 ∈ H e poichè H è sottogruppo, certamente1 = a · a−1 ∈ H per ogni a ∈ H.

(2) Proprietà simmetrica :Se a ≡ b (modH) allora a·b−1 ∈ H, ma allora anche (a·b−1)−1 = b·a−1 ∈ He quindi b ≡ a (modH).

(3) Proprietà transitiva :Se a ≡ b (modH) e b ≡ c (modH) allora a · b−1 ∈ H e b · c−1 ∈ H edessendoH sottogruppo sarà anche (a·b−1)·(b·c−1) ∈ H, a·(b−1 ·b)·c−1 ∈ Hda cui a · c−1 ∈ H e pertanto a ≡ c (modH).

Definizione 2.5.2. Se H è sottogruppo di (G, ·) e a ∈ G definiamo:• Ha = ha | h ∈ H classe laterale destra di H in G;• aH = ah | h ∈ H classe laterale sinistra di H in G.

Teorema 2.5.3. Le classi di equivalenza della relazione ′′ ≡ modH ′′ sonole classi laterali destre di H.

Dimostrazione. Sia [a] = x ∈ G | a ≡ x (modH) la classe di equivalenzadell’elemento a. Si ha

• [a] ⊆ Ha: infatti x ∈ [a] ⇒ x ≡ a (modH) ⇒ x · a−1 ∈ H ⇒ x · a−1 =h⇒ x = h · a⇒ x ∈ Ha;

• Ha ⊆ [a]: infatti x ∈ Ha ⇒ x = h · a ⇒ x · a−1 = h ∈ H ⇒ x ≡a (modH) ⇒ x ∈ [a].

Rimane così provato che [a] = Ha.

Nel capitolo 1 è stato dimostrato che le classi di equivalenza formano unapartizione dell’insieme in cui è definita la relazione.

Per il teorema precedente si può allora affermare che due classi laterali destre diH in G o coincidono oppure non hanno elementi in comune e l’unione insiemistica

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Capitolo 2 Gruppi 63

di tutte queste classi laterali è G. Ossia, considerate le classi laterali destre di Hin G, si ha

Hx⋂Hy = ∅ per x /∈ Hy⋃

x∈GHx = G

Teorema 2.5.4. Sia H un sottogruppo del gruppo (G, ·). Due qualunqueclassi laterali destre Hx e Hy hanno lo stesso numero cardinale (finito o no) dielementi.

Dimostrazione. Per ogni a ∈ G l’applicazione ϕ : H → Ha definita daϕ(h) = ha è biettiva. Infattiϕ è iniettiva poichè ϕ(h1) = ϕ(h2) ⇒ h1 · a = h2 · a⇒ h1 = h2;ϕ è suriettiva poichè per ogni ha ∈ Ha si ha ϕ(h) = h · a.L’esistenza della biezione ϕ assicura cheH eHa hanno lo stesso numero di elementiper ogni a ∈ G. Dunque qualunque siano a, b ∈ G si ha |Ha| = |H| = |Hb| ossiale classi laterali |Ha| e |Hb| hanno lo stesso numero cardinale di elementi.

Corollario 2.5.5. Nel caso finito se |H| = n allora |Ha| = n qualunque siaa ∈ G.

Se H è un sottogruppo di (G, ·), si può definire la relazione a ≡ b (modH) se esolo se a−1b ∈ H. Questa è una relazione di equivalenza e, analogamente a quantodimostrato nei due teoremi precedenti, si ha che le classi di equivalenza sono leclassi laterali sinistre di H, ossia per ogni a ∈ G si ha:

[a] = aH = ah | h ∈ HInoltre si può definire una applicazione biettiva ′′ϕ′′ dell’insieme dei laterali destrinell’insieme dei laterali sinistri ponendo

ϕ(Ha) = a−1H .

Ciò assicura che il numero dei laterali destri di H in G è uguale al numero deilaterali sinistri di H in G e pertanto si può porre la seguente definizione.

Definizione 2.5.6. Sia (G, ·) un gruppo e sia H un sottogruppo di G. Sidefinisce indice di H in G il numero dei laterali destri (o sinistri) di H in G.

Nota 2.5.7. Se (G, ·) è un gruppo finito e H un suo sottogruppo, è ovvio chel’indice di H in G è un numero naturale, ma anche nel caso in cui G sia infinito,l’indice di un suo sottogruppo H può essere un numero naturale ossia può essereche i laterali di H siano in numero finito anche se G è infinito. Per esempio l’indicedi H =< 5 >= 5Z in (Z,+) è cinque anche se Z è infinito.

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Capitolo 2 Gruppi 64

6. Teorema di Lagrange. Teorema di Sylow. Teorema di Cauchy.

Il seguente celebre teorema si deve a Lagrange (1736 - 1813) e afferma unasemplice ma importante relazione tra la cardinalità di un sottogruppo H di ungruppo finito G e l’indice di H in G.

Teorema 2.6.1 (Teorema di Lagrange). Sia G un gruppo di ordine finito n,sia H un sottogruppo di G e sia i l’indice di H in G. Si ha n =| H | · i .

Dimostrazione. I laterali destri di H sono i e ognuno di essi ha m =| H |elementi. Poichè i laterali formano una partizione di G, risulta n = m · i.

Nota 2.6.2. Il Teorema di Lagrange dà una condizione necessaria ma nonsufficiente per l’esistenza di un sottogruppo di un dato ordine. Ad esempio assicurache un gruppo di ordine 12 non può avere un sottogruppo di ordine 5 o 7 o 8 o9 o 10 o 11, ma non dice nulla sulla esistenza di un sottogruppo di ordine 2 o 3o 4 o 6. Dunque ogni sottogruppo di un gruppo G di ordine n ha per ordine undivisore m di n, ma in generale non vale il viceversa, ossia non è detto che per ognidivisore m di n esista in G un sottogruppo di ordine m. Come dimostreremo nelteorema 2.6.12, il viceversa del teorema di Lagrange vale nei gruppi abeliani finitie in altri casi particolari.

Riportiamo ora alcuni risultati che sono conseguenze immediate ma moltoimportanti del Teorema di Lagrange.

Teorema 2.6.3. Un gruppo (G, ·), G 6=< 1 >, ha come sottogruppi i solisottogruppi banali se e solo se è finito ed ha per ordine un numero primo.

Dimostrazione. Se G ha per ordine un numero primo allora per il teoremadi Lagrange i soli sottogruppi di G sono quelli banali.

Viceversa, supponiamo che G sia privo di sottogruppi propri e G 6=< 1 >.Sia a ∈ G, a 6= 1; poichè H = ah | h ∈ Z ≤ G, per l’ipotesi fatta deve essereH = G e quindi G =< a > ossia G è ciclico. Se G fosse infinito, allora < a2 >sarebbe un sottogruppo non banale di G contro l’ipotesi. Dunque G è finito eG = a0 = 1, a, a2, ..., an−1; se n non è primo sia n = r · s con 1 < r, s < n.Allora < ar > è un sottogruppo non banale di G e ciò è contro l’ipotesi. Pertanton è un numero primo.

Corollario 2.6.4. Se il gruppo G ha ordine un numero primo allora G è ciclicoe ogni suo elemento diverso dall’elemento neutro è un generatore del gruppo.

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Capitolo 2 Gruppi 65

Teorema 2.6.5. Sia (G, ·) un gruppo finito di ordine n. Ogni elemento a ∈ Gha periodo finito m e m | n.

Dimostrazione. Considerato a ∈ G, se a non avesse periodo finito, il gruppoG avrebbe infiniti elementi perché conterrebbe almeno tutte le potenze di a. Sia mil periodo dell’elemento a, allora < a >= a0, a1, a2, . . . , am−1 è un sottogruppodi G e quindi per il teorema di Lagrange m | n.

Un caso particolare si ha quando tutti gli elementi di un gruppo G hannoperiodo una potenza di uno stesso primo p.

Definizione 2.6.6. Sia p un numero primo. Un gruppo G in cui ogni elementoha periodo pn, per qualche n ∈ N, si dice p-gruppo.

Il teorema 2.6.5 assicura che se un gruppo G ha ordine pn, allora tutti i suoielementi hanno periodo che divide pn e pertanto G è un p-gruppo. Se p è un primo,i p-gruppi finiti sono esattamente i gruppi di ordine pn, per qualche n ∈ N∗.

Definizione 2.6.7. Sia G un gruppo finito, |G| = pna, con p primo e (p, a) = 1.Allora un sottogruppo H di G di ordine pn si dice un p-sottogruppo di Sylowdi G. L’insieme dei p-sottogruppi di Sylow di G si denota con Sylp(G).

Sia (G, ·) un gruppo ciclico finito e a un suo generatore: G =< a >, |G| = n.Considerato un elemento ai ∈ G, come deve essere i affinché ai sia un generatoredi G?

L’elemento ai genera G quando ha periodo n e pertanto ai genera G se i e nsono primi tra di loro.

Esempio 2.6.8. Consideriamo il gruppo ciclico di ordine 8: G =< a >, |G| =8. Gli elementi a1, a3, a5, a7 sono i generatori del gruppo. Se invece, ad esempio,consideriamo a2, esso non genera il gruppo perchè le sue potenze non mi dannotutti gli elementi di G ma solo a2, (a2)2 = a4, (a2)3 = a6, (a2)4 = a8 = 1.

Teorema 2.6.9. Sia G =< a > un gruppo ciclico finito di ordine n. Perogni divisore m di n esiste uno ed un solo sottogruppo di G avente ordine m.

Dimostrazione. Se m | n allora n = q ·m e 1 = an = (aq)m allora o(aq) = me pertanto esiste il sottogruppo H =< aq > con |H| = m.

Dimostriamo che è unico: supponiamo per assurdo che esista H tale che |H| =m, H =< ak >. Deve essere (ak)m = 1 allora k · m = λ · n, k · m = λ · m · q,k = λ · q da cui ak = (aq)λ ∈ H, di conseguenza H ⊆ H e poichè |H| = |H| = m(finito), si ha che H = H.

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Capitolo 2 Gruppi 66

Il teorema precedente assicura che se di un gruppo finito si conoscono almenodue sottogruppi diversi con lo stesso ordine, sicuramente quel gruppo non è ciclico.Ad esempio il gruppo quadrinomio e il gruppo dei quaternioni non sono certamenteciclici. Infatti, come abbiamo visto, il primo ha tre sottogruppi diversi di ordine2; il secondo ha tre sottogruppi diversi di ordine 4.

Abbiamo visto che in generale non vale il viceversa del teorema di Lagrange,vale però il seguente teorema dimostrato nel 1872 da Sylow (1832− 1918) e notocome primo Teorema di Sylow. La dimostrazione di seguito riportata è del 1959ed è dovuta a H. Wielandt (1910− 2001).

Teorema 2.6.10 (Teorema di Sylow). Se (G, ·) è un gruppo finito e ph dividel’ordine di G, con p, h ∈ N∗, p primo, allora esiste in G almeno un sottogruppo diordine ph.

Dimostrazione. Sia |G| = phr e sia = = K1, K2, . . . , Km l’insieme di tuttii sottoinsiemi di G ciascuno dei quali è costituito da ph elementi. Sarà

(1) m =

(phrph

)=phr · (phr − 1) · · · · (phr − λ) · · · · · (phr − ph + 1)

ph · (ph − 1) · · · · · (ph − λ) · · · · · 1

per ogni λ, con 0 ≤ λ ≤ ph− 1, la massima potenza di p che divide λ coincide conla massima potenza di p che divide (phr− λ) perché (phr− λ) è divisibile per p see solo se λ è divisibile per p.

Nella espressione (1) semplificando numeratore e denominatore, rimane che lamassima potenza di p che divide m coincide con la massima potenza di p che divider; questa massima potenza sia pt (t ∈ N e t = 0 nel caso in cui r, e quindi anchem, sia primo con p), cioè pt | m, r ma pt+1 - m, r.

Nell’insieme = definiamo la relazione: Ki ∼ Kj se esiste g ∈ G tale che Kj =g ·Ki. Questa è una relazione di equivalenza e perciò gli elementi di = si possonoripartire nelle classi di equivalenza.

Poichè pt+1 - m, esiste almeno una classe di equivalenza avente n elementi conpt+1 - n, questa classe di equivalenza sia C = K1, K2, . . . , Kn.

Consideriamo l’insieme H = g ∈ G | g ·K1 = K1, ovviamente risulta H 6= ∅e H sottogruppo di G, sia |H| = v.

Essendo C una classe di equivalenza, ogni elemento di C è in relazione con K1

e quindi per ogni i con 2 ≤ i ≤ n esiste gi ∈ G tale che Ki = gi ·K1.Fissato i, contiamo gli elementi di G in base al loro effetto su Ki:

g ·K1 = Ki ⇔ g ·K1 = gi ·K1 ⇔ g−1i · g ·K1 = K1 ⇔ g−1

i · g ∈ H

e dunque, posto g−1i g = g, gli elementi g ∈ G tali che g ·K1 = Ki sono tanti quanti

sono i g (essendo gi fisso),ossia sono tanti quanti gli elementi di H ossia sono v.

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Capitolo 2 Gruppi 67

Poichè questo conteggio vale per ogni i = 2, . . . , n e anche per K1, gli elementidi G sono v + v + · · ·+ v︸ ︷︷ ︸

n volte

, ossia |G| = v · n e pertanto risulta

phr = vn

Ricordando che pt | r, si ha ph+t = phpt | phr = vn, ma pt+1 - n (cioè almassimo pt | n e quindi almeno ph | v) e perciò ph | v da cui ph ≤ v.

Fissiamo k1 ∈ K1, si ha H · k1 ⊂ H ·K1 = K1 e quindi |H · k1| = |H| ≤ |K1|ossia v ≤ ph.

Confrontando le due disugualianze si conclude pertanto che v = ph. Si è dunquecostruito un sottogruppo H di G con |H| = ph.

La validità del prossimo teorema è già assicurata dal Teorema di Sylow mariportiamo anche la seguente dimostrazione indipendente dal Teorema di Sylow.

Teorema 2.6.11 (Teorema di Cauchy). Sia (G, ·) un gruppo finito. Per ogninumero primo p divisore dell’ordine di G esiste in G un sottogruppo di ordine p.

Dimostrazione. Sia |G| = n e p | n, p primo. Indichiamo con 1 l’ele-mento neutro di G e consideriamo il seguente insieme di p-uple di G: A =(x1, x2, . . . , xp) | xi ∈ G, x1 · x2 · · · · · xp = 1. Ogni elemento di A è univo-camente determinato quando si fissano i primi p− 1 elementi x1, x2, . . . , xp−1 dellap-upla, perciò gli elementi di A sono tanti quante sono le (p− 1)-uple di G di ele-menti non necessariamente distinti, ossia |A| = np−1. Definiamo in A la seguenterelazione ∼:

(a1, . . . , ap) ∼ (ai, ai+1, . . . , ap, a1, . . . , ai−1)

cioè due p-uple sono in relazione quando una si ottiene dell’altra permutandociclicamente i suoi elementi. Questa relazione è di equivalenza.

Se gli elementi di una p-upla sono tutti uguali allora essa è l’unico elementodella sua classe di equivalenza mentre se una p-upla ha almeno due elementi diversila sua classe di equivalenza contiene esattamente p p-uple

Sia h il numero di elementi x ∈ G tali che xp = 1, h è perciò anche il numerodelle classi di equivalenza con un solo elemento e si ha h > 0 perchè c’è almenola p-upla (1, 1, ..., 1); sia k il numero delle classi di equivalenza ciascuna con pelementi; si ha np−1 = h+ kp.

Per ipotesi p è un divisore di n, e perciò p è un divisore di np−1, inoltre pdivide kp e pertanto p divide h, ciò significa che h > 1. Esiste allora almeno unap-upla del tipo (a, a, ..., a) con a 6= 1 e quindi un elemento a ∈ G di periodo p e diconseguenza almeno un sottogruppo di ordine p.

Ci sono gruppi finiti non abeliani in cui l’inverso del teorema di Lagrange nonvale, ad esempio il gruppo alterno A4, |A4| = 12, non ha sottogruppi di ordine 6.

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Capitolo 2 Gruppi 68

D’altra parte esistono gruppi finiti non abeliani per i quali il teorema di Lagrangesi inverte, ad esempio il gruppo dei Quaternioni oppure il gruppo diedrico Dp conp primo. Ciò significa che in generale non vale l’inverso del Teorema di Lagran-ge. Tuttavia per alcuni gruppi o famiglie di gruppi vale anche l’inverso di questoteorema. Ad esempio il teorema di Lagrange si inverte per tutti i gruppi abelianifiniti come dimostra il seguente teorema.

Teorema 2.6.12. Se (G, ·) è un gruppo abeliano finito di ordine n allora perogni divisore h di n esiste in G almeno un sottogruppo di ordine h.

Dimostrazione. Sia G un gruppo abeliano di ordine n = pr11 ·pr22 · · · · ·prss , conpi numeri primi diversi fra loro, i = 1, . . . , s. Sia h | n, h = ph1

i1·ph2i2· · · · ·pht

it, con pij

numeri primi diversi fra loro. Per il teorema di Sylow esistono in G i sottogruppiA1, A2, . . . , At di ordine rispettivamente ph1

i1, ph2

i2, . . . , pht

ite tali che Ai ∩Aj =< 1 >

perché |Ai| e |Aj| sono primi tra loro, per ogni i, j = 1, . . . , t, i 6= j.Poichè G è abeliano risulta A1 ·A2 = A2 ·A1 e perciò A1 ·A2 è sottogruppo di G.

Inoltre è |A1 ·A2| = ph1i1· ph2

i2perché gli elementi prodotto a · b con a ∈ A1 e b ∈ A2

sono tutti distinti fra loro. Infatti se a, c ∈ A1, b, d ∈ A2 si ha a·b = c·d⇔ c−1 ·a =d · b−1; ma c−1 · a ∈ A1 e d · b−1 ∈ A2 e pertanto c−1 · a = d · b−1 ∈ A1∩A2 =< 1 >;ne segue che a · b = c · d⇔ c−1 · a = d · b−1 = 1 ⇔ a = c, b = d.

Analogamente A1·A2·A3 = (A1·A2)·A3 è sottogruppo di G di ordine ph1i1·ph2i2·ph3i3

e procedendo in questo modo si ha che A1 · A2 · · · · · At è un sottogruppo di G diordine h.

7. Esercizi relativi al Capitolo 2

Esercizio 2.7.1.Dimostrare che nella definizione di gruppo

• l’assioma (1) non dipende dagli assiomi (2) e (3);• l’assioma (2) non dipende dagli assiomi (1) e (3);• l’assioma (3) non dipende dagli assiomi (1) e (2).

Soluzione - E’ sufficiente portare l’esempio di una struttura in cui valgono dueassiomi ma non vale il terzo. Si portano, rispettivamente, i seguenti esempi.

• (R+0 ,⊕) con a⊕ b = a+ b− 2

√ab per ogni a, b ∈ R+

0 .• (Q− 0, 1, ·).• (Z, ·).

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Capitolo 2 Gruppi 69

Esercizio 2.7.2.Sia Z6 l’insieme delle classi resto modulo 6. Dimostrare che (Z6,+) è un grupporispetto l’operazione [a] + [b] = [a+ b]. Costruire la tabella dell’operazione.Soluzione - La proprietà associativa vale perchè immediata conseguenza dellaproprietà associativa di Z. Come mostra la tabella dell’operazione, [0] è elementoneutro e per ogni [a] ∈ Z6 esiste l’opposto [−a] = [6− a].

+ [0] [1] [2] [3] [4] [5]

[0] [0] [1] [2] [3] [4] [5][1] [1] [2] [3] [4] [5] [0][2] [2] [3] [4] [5] [0] [1][3] [3] [4] [5] [0] [1] [2][4] [4] [5] [0] [1] [2] [3][5] [5] [0] [1] [2] [3] [4]

Esercizio 2.7.3.Sia Z6 l’insieme delle classi resto modulo 6. Dimostrare che (Z∗

6, ·) non è un grupporispetto l’operazione [a] · [b] = [ab]. Costruire la tabella dell’operazione.Soluzione - (Z∗

6, ·) non è un gruppo perchè, per esempio [2] · [3] = [0] 6∈ Z∗6. La

tabella dell’operazione è· [1] [2] [3] [4] [5]

[1] [1] [2] [3] [4] [5][2] [2] [4] [0] [2] [4][3] [3] [0] [3] [0] [3][4] [4] [2] [0] [4] [2][5] [5] [4] [3] [2] [1]

Esercizio 2.7.4.Sia Z7 l’insieme delle classi resto modulo 7. Dimostrare che (Z∗

7, ·) è un grupporispetto l’operazione [a] · [b] = [a · b]. Costruire la tabella dell’operazione.Soluzione - La proprietà associativa vale perchè immediata conseguenza dellaproprietà associativa di Z. Come mostra la tabella dell’operazione, [1] è elementoneutro e per ogni [a] ∈ Z∗

7 esiste l’inverso [a−1].

· [1] [2] [3] [4] [5] [6][1] [1] [2] [3] [4] [5] [6][2] [2] [4] [6] [1] [3] [5][3] [3] [6] [2] [5] [1] [4][4] [4] [1] [5] [2] [6] [3][5] [5] [3] [1] [6] [4] [2][6] [6] [5] [4] [3] [2] [1]

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Capitolo 2 Gruppi 70

Esercizio 2.7.5.Dimostrare che non è possibile completare la seguente tabella in modo da ottenereun gruppo.

· e a b c d

e e a b c da a eb bc c bd d b

Soluzione - Nella colonna di ′′a′′ non è possibile mettere l’elemento b perchè giàpresente nelle ultime tre righe.

Esercizio 2.7.6.In Q∗ si consideri la seguente operazione:

a · b = 12ab per ogni a, b ∈ Q∗.

Dimostrare che (Q∗, ·) è un gruppo abeliano.Soluzione - La proprietà associativa e la proprietà commutativa seguono, ri-spettivamente, dalla proprietà associativa e dalla proprietà commutativa di Q.L’elemento neutro è 2. L’elemento inverso di a è 4

a, per ogni a ∈ Q∗.

Esercizio 2.7.7.Nell’insieme G = Q− 1,−1 × 1,−1 si consideri l’operazione definita da

(a, n) · (b,m) = (a · b+ a ·m+ b · n, n ·m)

Dimostrare che (G, ·) è un gruppo abeliano.Soluzione

• Proprietà associativa: per ogni (a, n), (b,m), (c, i) ∈ Q− 1,−1 risulta[(a, n)(b,m)](c, i) = (ab + am + bn, nm)(c, i) = (abc + amc + bnc + abi +ami+ bni+ nmc, nmi) = (a, n)(bc+ bi+mc,mi) = (a, n)[(b,m)(c, i)].

• Elemento neutro: (0, 1).• Elemento inverso: per ogni (a, n) ∈ Q−1,−1 se n = 1 si ha (a, 1)−1 =

( −aa+1

, 1) mentre se n = −1 si ha (a,−1)−1 = ( aa−1

,−1).

Esercizio 2.7.8.Sia (G, ·) un gruppo tale che (ab)2 = a2b2 per ogni a, b ∈ G. Dimostrare che G èabeliano.Soluzione - Si ha (ab)2 = abab e a2b2 = aabb. Poichè per ipotesi (ab)2 = a2b2,segue abab = aabb da cui a−1(abab)b−1 = a−1(aabb)b−1 e pertanto ba = ab per ognia, b ∈ G.

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Capitolo 2 Gruppi 71

Esercizio 2.7.9.Sia R l’insieme dei numeri reali. Dimostrare che rispetto al prodotto righe percolonne sono gruppi i seguenti insiemi:

(1) L’insieme GLn(R) delle matrici quadrate di ordine n con determinantenon nullo a coefficienti nell’insieme R dei numeri reali.

(2) G = (a −5bb 3b+ a

), a, b ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) .

(3) G = (a b0 d

), ad 6= 0, a, b, d ∈ R .

(4) G = (a b0 a−1

), a 6= 0, a, b ∈ R .

Soluzione - In tutti i casi presentati, la proprietà associativa è facilmente verifi-cabile calcolando il prodotto di tre qualunque matrici di G. Inoltre in tutti i casi

considerati, la matrice(

1 00 1

)∈ G ed è l’elemento neutro.

(1) Per ogni M =

(a bc d

)∈ G risulta M−1 =

(d

ad−bc−b

ad−bc−c

ad−bca

ad−bc

)∈ G.

(2) Per ogni M =

(a −5bb 3b+ a

)∈ G risulta M−1 =

(r st u

)con

r = 3b+a3ab+a2+5b2

, s = 5b3ab+a2+5b2

, t = −b3ab+a2+5b2

, u = a3ab+a2+5b2

e M−1 ∈ Gperchè s = −5t, u = 3t+ r; r, t ∈ R.

(3) Per ogni M =

(a b0 d

)∈ G risulta M−1 =

(r st u

)con r = d, s =

−b, t = 0, u = a e M−1 ∈ G perchè ru 6= 0; r, s, u ∈ R.

(4) Per ogni M =

(a b0 a−1

)∈ G risulta M−1 =

(r st u

)con r =

a−1, s = −b, t = 0, u = a e M−1 ∈ G perchè r 6= 0; r, s ∈ R.

Esercizio 2.7.10. Sia

G = I1 =

(1 00 1

), I2 =

(−1 00 −1

), I3 =

(0 1−1 0

), I4 =

(0 −11 0

),

I5 =

(0 ii 0

), I6 =

(0 −i−i 0

), I7 =

(i 00 −i

), I8 =

(−i 00 i

) con i2 = −1.

Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne. Studiarequesto gruppo di ordine 8.Soluzione - Per ogni M ∈ G si ha detM = 1. G è gruppo perchè in G vale la

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Capitolo 2 Gruppi 72

proprietà associativa, la matrice(

1 00 1

)è elemento neutro ed esiste l’inversa di

ogni matrice. Studiamo il periodo degli elementi (deve essere un divisore di 8).Periodo 2: I2 = I−1

2 .Periodo 4: I3, I4 = I−1

3 , I5, I6 = I−15 , I7, I8 = I−1

7 .G è isomorfo al gruppo dei quaternioni Q8 nell’isomorfismo ϕ : G → Q8 definito daϕ(I1) = 1, ϕ(I2) = −1, ϕ(I3) = i, ϕ(I4) = −i, ϕ(I5) = j, ϕ(I6) = −j, ϕ(I7) =k, ϕ(I8) = −k.

Esercizio 2.7.11. Sia

G = (a bc d

), ad− bc 6= 0, a, b, c, d ∈ Z3.

(1) Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne.(2) Dimostrare che |G| = 48.(3) Dimostrare che se si richiede ad− bc = 1 allora si ha |G| = 24.

Soluzione -(1) Tenendo presente le tabelle delle operazioni di somma e prodotto nei

gruppi (Z3,+) e (Z∗3, ·), è facile verificare che G è gruppo.

(2) Tutte le matrici quadrate di ordine 2 ad elementi in Z3 sono tante quante ledisposizioni con ripetizione di tre elementi a quattro a quattro e pertantosono 34 = 81. Da queste matrici occorre escludere quelle con determinantenullo, contiamole:• sia ad = bc 6= 0; le matrici siffatte sono 2 · 4 = 8;• sia ad = bc = 0; le matrici sono 25 (a 6= 0, d = 0, bc = 0 sono 10

matrici; a = 0, d 6= 0, bc = 0 sono 10 matrici; ad = 0 con a = d = 0sono 5 matrici).

In totale le matrici con ad − bc = 0 sono 33 e pertanto le matrici di Gsono 81− 33 = 48.

(3) Per ogni a, b, c, d ∈ Z3 tali che ad − bc = 1 esiste x ∈ Z∗3 tale che (ad −

bc)x = 2 e viceversa per ogni a, b, c, d ∈ Z3 tali che ad − bc = 2 esistey ∈ Z∗

3 tale che (ad − bc)y = 1 e pertanto le matrici M con detM = 1sono tante quante le matrici M con detM = 2. Come dimostrato in (2),le matrici M con detM 6= 0 sono 48 e pertanto le matrici con detM = 1sono 48

2= 24.

Esercizio 2.7.12. Sia

G = (a bc d

), ad− bc 6= 0, a, b, c, d ∈ Zp, p primo.

(1) Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne.

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Capitolo 2 Gruppi 73

(2) Dimostrare che |G| = p(p− 1)2(p+ 1).(3) Dimostrare che se si richiede ad−bc = 1 allora si ha |G| = p(p−1)(p+1).

Soluzione -(1) Tenendo presente le tabelle delle operazioni di somma e prodotto nei

gruppi (Zp,+) e (Z∗p, ·), è facile verificare che G è gruppo.

(2) Tutte le matrici quadrate di ordine 2 ad elementi in Zp sono tante quante ledisposizioni con ripetizione di tre elementi a quattro a quattro e pertantosono p4. Contiamo quelle con determinante nullo, ossia con ad = bc.• Sia ad = bc 6= 0; poichè per ad 6= 0 si hanno (p−1)(p−1) possibilità,

per ogni b 6= 0 rimane univocamente determinato c e pertanto lematrici con ad = bc 6= 0 sono in totale [(p−1)(p−1)](p−1) = (p−1)3.

• Sia ad = bc = 0. Se a = d = 0 si hanno (p − 1) possibilità seb 6= 0, (p − 1) possibilità se c 6= 0, una possibilità se c = b = 0.Se a 6= 0 si hanno (2p − 1) possibilità (p se b = 0 e (p − 1) seb 6= 0) e dunque, poichè a 6= 0 per (p − 1) valori, si hanno in totale(p − 1)(2p − 1) possibilità. Analogamente se d 6= 0. In totale ad =bc = 0 in 2 · (p− 1) + 1 + 2 · (p− 1)(2p− 1) = 4p2 − 4p+ 1 casi.

In totale le matrici con ad−bc = 0 sono (p−1)3+4p2−4p+1 = p3+p2−pe pertanto le matrici di G sono p4 − p3 − p2 + p = p(p− 1)2(p+ 1).

(3) In G la relazione ′′avere lo stesso determinante ′′ è di equivalenza ed esisto-no esattamente (p−1) classi di equivalenza (una per ogni x ∈ Z∗

p). Poichèper ogni r, s ∈ Z∗

p esiste ed è unico t ∈ Z∗p tale che s = rt, come si verifica

facilmente, due classi di equivalenza hanno lo stesso numero di elementi epertanto ogni classe di equivalenza ha esattamente |G|

p−1= p(p− 1)(p+ 1)

elementi. Ciò vale anche per la classe i cui elementi hanno determinanteuguale a 1.

Esercizio 2.7.13. Sia G = (a, b) | a, b ∈ R, a 6= 0 e in G si consideri l’o-perazione definita da (a, b)(c, d) = (ac, bc + d). Verificare che rispetto a questaoperazione G è un gruppo non abeliano e determinare gli elementi di G che hannoperiodo finito.Soluzione -G è gruppo perchè vale la proprietà associativa (conseguenza dell’asso-ciativa di R). L’elemento (1, 0) è elemento neutro. L’inverso di (a, b) è (a−1,−ba−1).Il gruppo non è abeliano perchè, per esempio, (1, 3)(2, 5) 6= (2, 5)(1, 3). Se (a, b)ha periodo finito, da (a, b)n = (an, . . .) segue che a deve avere periodo finito epertanto si hanno due soli casi: a = 1 oppure a = −1.Se a = 1 allora (1, b)n = (1, nb) e pertanto (1, nb) = (1, 0) solo per b = 0. Sea = −1 allora (−1, b)2 = (1, 0) qualunque sia b.Gli elementi di periodo finito diversi dall’elemento neutro sono dunque gli elementidel tipo (−1, b); essi hanno tutti periodo 2.

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Capitolo 2 Gruppi 74

Esercizio 2.7.14. Sia (G, ·) un gruppo. Dimostrare che per ogni n ∈ Z e perogni a, b ∈ G, si ha che:

(1) (ba)n = a−1(ab)na.(2) Gli elementi ab e ba hanno lo stesso periodo.

Soluzione -(1) (ba)n = ba · ba · . . . · ba︸ ︷︷ ︸

n volte= (a−1a) ba · ba · . . . · ba︸ ︷︷ ︸

n volte= a−1(ab · ab · . . . · ab︸ ︷︷ ︸

n volte)a =

a−1(ab)na.(2) Sia o(ba) = n, allora (ba)n = 1 da cui, per quanto dimostrato in (1),

a−1(ab)na = 1, (ab)n = aa−1 = 1 e pertanto o(ab) = n perchè se n nonfosse il minimo intero per cui (ab)n = 1, non lo sarebbe nemmeno per baossia n non sarebbe il periodo di a.

Esercizio 2.7.15. Sia G un gruppo di ordine pari. Dimostrare che il numerodegli elementi di G di periodo 2 è dispari.Soluzione - Sia |G| = 2n. Un elemento di G ha periodo 2 se coincide con il proprioinverso e pertanto gli elementi di G che non hanno periodo 2 si possono suddividerein coppie (a, a−1) con a 6= a−1; gli elementi di G che non hanno periodo 2 sonopertanto in numero pari, siano 2t, 0 ≤ t < n. Indicando con 1G l’elemento neutro,gli elementi di G di periodo 2 sono quindi |G|−1G−2t = 2n−1−2t = 2(n− t)−1ossia sono in numero dispari.

Esercizio 2.7.16.Determinare tutti i sottogruppi del gruppo diedrico D4.Soluzione - Sia D4 = a0 = 1, a, a2, a3, b, ba, ba2, ba3. I sottogruppi sono:H0 = 1, H1 =< a2 >= 1, a2, H2 = 1, b, H3 = 1, ba, H4 = 1, ba2, H5 =1, ba3, H6 =< a >= 1, a, a2, a3, H7 = 1, a2, b, ba2, H8 = D4.

Esercizio 2.7.17.Si consideri il gruppo (Q∗, ·). Determinare in Q∗ i laterali dei sottogruppi H =1,−1 e K = r ∈ Q∗ | r > 0 = Q∗

+.Soluzione - I laterali di H sono qH = q,−q con q ∈ Q∗

+. I laterali di K = Q∗+

sono Q∗+ = K e Q∗

− = e ∈ Q∗ | r < 0.

Esercizio 2.7.18.Dimostrare che il Teorema di Lagrange si inverte per i gruppi diedrali Dp con pnumero primo.Soluzione - |Dp| = 2p e i divisori sono 2 e p. InDp ci sono i sottogruppiH = 1, bcon o(b) = 2 e K =< a > con o(a) = p. Dunque |H| = 2, |K| = p. Si noti che ilteorema di Lagrange si inverte in Dp pur essendo questo un gruppo non abeliano(come il caso del gruppo Q8 dei quaternioni).

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CAPITOLO 3

Gruppi di Permutazioni

In questo capitolo studiamo proprietà fondamentali delle permutazioni e i duegruppi di permutazioni per eccellenza: il gruppo simmetrico e il gruppo alterno.

I gruppi di permutazioni sono importanti perchè ogni gruppo astratto si puòpensare come gruppo di permutazioni (Teorema di Cayley).

1. Permutazioni. Gruppo Simmetrico.

Una permutazione è un’applicazione biunivoca di un insieme in se stesso. Seσ, τ sono due permutazioni sullo stesso insieme, useremo semplicemente la scritturaστ per indicare σ τ .

Definizione 3.1.1. Sia E un insieme non vuoto e sia S l’insieme di tuttele permutazioni su E. L’insieme S rispetto all’operazione di composizione è ungruppo detto gruppo simmetrico (o totale) su E e si indica con SymE oppurecon SE.

Per n ∈ N, n ≥ 3, il gruppo simmetrico è non abeliano.Nel caso in cui E sia finito di ordine n, il gruppo simmetrico su E è indicato

anche con Sn e risulta |Sn| = n! perchè gli elementi di questo gruppo sono tuttee sole le disposizioni senza ripetizioni di n oggetti.

Esempio 3.1.2.Esplicitiamo i gruppi simmetrici per n = 1, 2, 3.

• E = 1; S1 = a1 con a1 =

(11

), |S1|=1 .

• E = 1, 2; S2 = a1, a2 con a1 =

(1 21 2

), a2 =

(1 22 1

),

|S2| = 2! = 2. a1 a2

a1 a1 a2

a2 a2 a1

75

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 76

• E = 1, 2, 3; 1S3 = a1, a2, a3, a4, a5, a6 con

a1 =

(1 2 31 2 3

), a2 =

(1 2 31 3 2

), a3 =

(1 2 33 2 1

),

a4 =

(1 2 32 1 3

), a5 =

(1 2 32 3 1

), a6 =

(1 2 33 1 2

),

|S3| = 3! = 6; a1 a2 a3 a4 a5 a6

a1 a1 a2 a3 a4 a5 a6

a2 a2 a1 a6 a5 a4 a3

a3 a3 a5 a1 a6 a2 a4

a4 a4 a6 a5 a1 a3 a2

a5 a5 a3 a4 a2 a6 a1

a6 a6 a4 a2 a3 a1 a5

a4 a3 = a6 6= a5 = a3 a4 dunque S3 non è commutativo.

Sottogruppi di S3 di ordine 3 : H = a1, a5, a6.Sottogruppi di S3 di ordine 2 : H1 = a1, a2, H2 = a1, a3, H3 = a1, a4.

Esempio 3.1.3.E = 1, 2, 3, 4;S4 = id, a1, a2, a3, a4, a5, a6, a7, a8, a9, b1, b2, b3, b4, b5, b6, b7, b8, c1, c2, c3, c4, c5, c6 con

id = identità a1 = ( 1 2 ); a2 = ( 1 3 );a3 = ( 1 4 ); a4 = ( 2 3 ); a5 = ( 2 4 );a6 = ( 3 4 ); a7 = ( 1 2 )( 3 4 ); a8 = ( 1 3 )( 2 4 );a9 = ( 1 4 )( 2 3 ); b1 = ( 2 3 4 ); b2 = ( 2 4 3 );b3 = ( 1 3 4 ); b4 = ( 1 4 3 ); b5 = ( 1 2 4 );b6 = ( 1 4 2 ); b7 = ( 1 2 3 ); b8 = ( 1 3 2 );c1 = ( 1 2 3 4 ); c2 = ( 1 4 3 2 ); c3 = ( 1 2 4 3 );c4 = ( 1 3 4 2 ); c5 = ( 1 4 2 3 ); c6 = ( 1 3 2 4 ).

• Sottogruppi di ordine 2. Sono nove, ossia tanti quanti gli elementi diperiodo 2: W = id, α con α ∈ a1, a2, a3, a4, a5, a6, a7, a8, a9.

• Sottogruppi di ordine 3. Sono quattro: K = id, α, α−1 con α ∈ b1, b3, b5, b7.• Sottogruppi di ordine 4. I loro elementi devono avere periodo 2 o 4:

H1 = id, c1, c21, c31 H2 = id, c3, c23, c33 H3 = id, c5, c25, c35H4 = id, a7, a8, a9 H5 = id, a1, a6, a7 H6 = id, a2, a5, a8H7 = id, a3, a4, a9

• Sottogruppi di ordine 6. Esistono, ad esempio H = id, a1, a3, a5, b5, b6 =WK con W = id, a1 , K = id, b5, b6.

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 77

• Sottogruppi di ordine 8. Esistono, ad esempioH = id, a1, a6, a7, a8, a9, c5, c6 =WK con W = id, a1 , K = id, a7, a8, a9.

• Sottogruppi di ordine 12. E’ uno soloH = id, a7, a8, a9, b1, b2, b3, b4, b5, b6, b7, b8

Definizione 3.1.4. Sia E un insieme non vuoto e sia r ∈ N tale che 1 ≤ r ≤|E|. Si definisce ciclo di lunghezza r (o r-ciclo) ogni elemento α ∈ SymA chepermuta ciclicamente r elementi di e e fissa tutti i rimanenti.

Un ciclo di lunghezza 2 è detto trasposizione.

In altre parole, una permutazione α ∈ SymE è un r-ciclo nel caso in cui in Eesistano r elementi distinti i1, i2, . . . , ir tali che α(i1) = i2, α(i2) = i3, . . . , α(ir−1) =ir, α(ir) = i1 e α(x) = x per ogni x ∈ E − i1, i2, . . . , ir.

Si usa rappresentare un r-ciclo con una notazione a una riga ossia si scrive unelemento del ciclo, alla sua destra la sua immagine e così via fino alla chiusura delciclo. Ad esempio se E = 1, 2, 3, 4, 5, 6 la permutazione su E data da:

α =

(1 2 3 4 5 63 2 4 6 5 1

)è un ciclo di lunghezza 4 e più semplicemente si scrive:

α = ( 1 3 4 6 ) = ( 3 4 6 1 ) = ( 4 6 1 3 ) = ( 6 1 3 4 )

Si noti che le seguenti rappresentazioni definiscono tutte lo stesso ciclo:( a1 a2 · · · an ), ( a2 a3 · · · an a1 ), ( a3 a4 · · · an a1 a2 ), ecc..

Esempio 3.1.5.In S7 le permutazioni:

a =

(1 2 3 4 5 6 72 5 1 6 4 3 7

)=

(1 2 5 4 6 3

)b =

(1 2 3 4 5 6 73 1 5 4 6 2 7

)=

(1 3 5 6 2

)c =

(1 2 3 4 5 6 72 1 3 4 5 6 7

)=

(1 2

)sono rispettivamente un 6-ciclo, un 5-ciclo e una trasposizione.

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 78

La permutazione:

d =

(1 2 3 4 5 6 72 1 3 4 6 7 5

)non è un r-ciclo per nessun r ∈ N.

Definizione 3.1.6. Due cicli α, β ∈ SymE sono detti disgiunti se sonodisgiunti i due insiemi: x ∈ E | α(x) 6= x e x ∈ E | β(x) 6= x

Esempio 3.1.7.Consideriamo in S7 i cicli:

a =

(1 2 3 4 5 6 72 3 5 4 7 6 1

)=

(1 2 3 5 7

)b =

(1 2 3 4 5 6 71 2 3 6 5 4 7

)=

(4 6

)c =

(1 2 3 4 5 6 71 2 3 5 6 4 7

)=

(4 5 6

)I cicli a e b sono disgiunti; i cicli a e c non sono disgiunti, cosí come i cicli b e c.

Nota 3.1.8.(1) Dalla definizione 3.1.6 segue che se α e β sono cicli disgiunti, allora α(x) 6=

x implica β(x) = x. Inoltre se i cicli α e β sono disgiunti, risulta αβ = βαossia due cicli disgiunti commutano.

(2) Se due trasposizioni non sono disgiunte si ha (a b)(b c) = (b c)(a c).

I cicli sono permutazioni molto importanti perchè risultano essere ′′ i numeriprimi ′′ con cui costruire tutte le permutazioni.

Teorema 3.1.9. Sia E di ordine finito, |E| = n. Ogni permutazione α ∈ Snsi può scomporre in modo unico nel prodotto di cicli disgiunti.

Dimostrazione. Sia α ∈ Sn; definiamo in E la relazionex ∼ y ⇔ y = αm(x) , m ∈ N

Questa è una relazione di equivalenza e quindi gli elementi di E vengono ri-partiti in classi di equivalenza. Una classe di equivalenza ha un solo elemento xse e solo se α(x) = x; in caso contrario gli elementi della classe sono permutaticiclicamente da α.

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 79

Siano C1, C2, . . . , Ct le classi di equivalenza aventi ciascuna piú di un elemento,ossia le classi formate dagli elementi non fissati da α. Per ogni Ci definiamo lapermutazione βi : E 7−→ E tale che βi(x) = α(x) per ogni x ∈ Ci, e βi(x) = xper ogni x ∈ E − Ci. La permutazione βi permuta ciclicamente gli elementi diCi e fissa gli elementi di E − Ci e perciò, a partire dalle classi C1, C2, . . . , Ct, siottiene una scomposizione di α in cicli disgiunti α = β1β2 . . . βt (l’ordine non haimportanza perchè essendo cicli disgiunti commutano fra loro).

La scomposizione di α in cicli disgiunti cosí ottenuta è unica, infatti sia α =γ1γ2 . . . γs con γi cicli disgiunti, i = 1, . . . , s. Se γi =

(x1 x2 . . . xh

)si ha

α(x1) = x2, α(x2) = x3 = α2(x1), . . . , αh−1(x1) = xh, α

h(x1) = x1

e perciò x1, x2, . . . , xh sono tutti e soli gli elementi di una classe di equivalenzaCr e pertanto γi = βr. Ne segue che s = t e che le scomposizioni α = β1 . . . βt eα = γ1 . . . γt coincidono a meno dell’ordine dei fattori.

Esempio 3.1.10.

In S7 considerata la permutazione: α =

(1 2 3 4 5 6 72 1 4 5 3 7 6

)si ha

α = (1 2)(3 4 5)(6 7) = (3 4 5)(1 2)(6 7).

Nota 3.1.11. Se f ∈ Sn − id e f = σ1σ2 . . . σt è una scomposizione di f incicli disgiunti, allora il periodo di f è il m.c.m. delle lunghezze dei cicli σi.

Teorema 3.1.12. Ogni permutazione di Sn è il prodotto di trasposizioni.

Dimostrazione. Poichè ogni permutazione di Sn è il prodotto di cicli disgiun-ti, basta provare che un ciclo è prodotto di trasposizioni. Poichè risulta

( a1 a2 . . . am ) = ( a1 am )( a1 am−1 )( a1 am−2 ) . . . ( a1 a2 )il teorema è provato.

Nota 3.1.13. La scomposizione di un ciclo nel prodotto di trasposizioni nonè univocamente determinata. Per esempio in S4 si ha:

α =(

1 2 3)

=(

1 3) (

1 2)

ma anche

α =(

1 2 3)

=(

1 4) (

1 3) (

3 4) (

1 2)

Teorema 3.1.14. La permutazione identità 1E ∈ SE, |E| = n, non puòessere espressa come prodotto di un numero dispari di trasposizioni.

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 80

Dimostrazione. Iniziamo con l’osservare che 1E non può essere espressa daesattamente una trasposizione perchè se 1E = (a b) si ha 1E(a) = b 6= a e ciò èassurdo. Supponiamo sia

(1) 1E = γ1γ2 . . . γ2t+1, t ≥ 1, γi trasposizioni di SE.Sia a ∈ E un elemento che compare in almeno una trasposizione γi. Poichè due

trasposizioni o sono disgiunte e quindi commutano oppure, se non sono disgiunte,si ha (a b)(a c) = (a c)(b c), si può scrivere la (1) in modo che le trasposizioni checontengono l’elemento a siano le prime r, ossia

(2) 1E = δ1δ2 . . . δrδr+1 . . . δ2t+1

con δ1 =(a x1

), δ2 =

(a x2

), . . . , δr =

(a xr

)mentre le trasposizio-

ni δr+1, . . . , δ2t+1 fissano l’elemento a perchè non lo contengono. Se gli elementix1, x2, ..., xr non sono tutti distinti, considerati δm = (a xm) = δn = (a xn), con gliopportuni scambi si portano δm e δn consecutivi e si eliminano perchè δmδn = 1E.Nella decomposizione di 1E a cui si perviene dopo queste operazioni, si possonoavere due casi:

• Esistono delle trasposizioni contenenti a: siano σ1 = (a y1), ..., σs = (a ys)con yi 6= yj per i 6= j, 1E = σ1σ2 . . . σsσs+1 . . . σh. In tal caso considerataσi = (a yi), 1 ≤ i ≤ s si ha 1E(a) = yi 6= a e ciò è assurdo.

• Non esistono trasposizioni contenenti a. Ciò significa che in (1) le tra-sposizioni contenenti l’elemento a si sono a due a due ′′eliminate′′, ossiain (1) le trasposizioni che contenevano a erano in numero pari e pertan-to la permutazione identità rimane scomposta in un numero dispari ditrasposizioni in cui non figura più l’elemento a. Ripetendo quanto fattoper l’elemento a per ogni elemento che compare nella scomposizione dellapermutazione identità, si ottiene la scomposizione 1E = ϕ1ϕ2 · · ·ϕ2k+1,k ≥ 0, in cui gli elementi che compaiono nelle trasposizioni ϕi sono tuttidiversi fra loro e ciò è assurdo perchè se ϕi = (a b) è una qualunque diqueste, si ha 1E(a) = b 6= a.

Dal teorema ora dimostrato segue una importante proprietà delle permutazioni:il numero di trasposizioni in cui si può scomporre una permutazione è o semprepari o sempre dispari.

Teorema 3.1.15. Sia α ∈ SE, |E| = n, α = α1α2 . . . αh e α = β1β2 . . . βkcon αi e βj trasposizioni per i = 1, 2, . . . , h e j = 1, 2, . . . , k. Allora risultah ≡ k mod 2.

Dimostrazione. Poichè ogni trasposizione coincide con la propria inversa siha α−1 = βk . . . β1 e 1E = αα−1 = α1α2 . . . αh βkβk−1 . . . β1. Nel caso in cui h ek siano uno pari e l’altro dispari, significa che è possibile scrivere 1E come prodotto

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 81

di un numero dispari di trasposizioni e ciò è assurdo per quanto dimostrato nelteorema precedente.

La proprietà invariante dimostrata nel teorema precedente permette di dare laseguente definizione.

Definizione 3.1.16. Sia α una permutazione su E finito. Si dice che α è diclasse pari (rispettivamente classe dispari) se α si può scrivere come prodottodi un numero pari (rispettivamente dispari) di trasposizioni.

Nota 3.1.17.• Un ciclo di lunghezza r è pari se e solo se r è dispari.• La permutazione identità è di classe pari (vedi teorema 3.1.14).

Teorema 3.1.18. Sia E = 1, 2, . . . , n, per ogni fissato i ∈ E il gruppo Snè generato dalle n − 1 trasposizioni

(i 1

),(i 2

), . . . ,

(i j

), . . . ,

(i n

)con i 6= j.

Dimostrazione. Per n = 1 e n = 2 la tesi è banalmente vera. Sia n > 2 e sia(r s

)una trasposizione con i 6= r, s. Si ha

(r s

)=

(i r

) (i s

) (i r

)e pertanto ogni elemento di Sn può essere scomposto nel prodotto di trasposizionidel tipo (

i 1),(i 2

), . . . ,

(i j

), . . . ,

(i n

)con i 6= j.

Teorema 3.1.19. Sia (G, ·) un sottogruppo di Sn generato da un n-cicloσ = ( i1 i2 . . . in ) e dalla trasposizione τ =

(ik ik+1

). Allora G = Sn.

Dimostrazione. Ordinando opportunamente 1, 2, . . . , n si può assumereσ = ( 1 2 . . . n ) e τ =

(1 2

).

Si ha σ(

1 2)σ−1 =

(2 3

), σ

(2 3

)σ−1 =

(3 4

), . . . , σ

(n− 2 n− 1

)σ−1 =(

n− 1 n)

e pertanto per ogni r = 2, 3, ..., n la trasposizione (r − 1 r) ∈ G.Poichè in G esistono la trasposizione τ = (1 2) e le trasposizioni (r − 1 r)

per ogni r = 2, 3, ..., n, procedendo ricorsivamente, si ottiene che in G esistono letrasposizioni:

(1 3) = (2 3)(1 2)(2 3)

(1 4) = (3 4)(1 3)(3 4)

...

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 82

(1 n) = (n− 1 n)(1 n− 1)(n− 1 n).

Per il teorema precedente le trasposizioni(

1 2),(

1 3), . . . ,

(1 n

)ge-

nerano Sn e pertanto rimane provato che G = 〈σ, τ〉 = Sn.

2. Gruppo Alterno

Definizione 3.2.1. L’insieme delle permutazioni pari di Sn forma un sotto-gruppo di Sn detto gruppo alterno su n elementi e indicato con An.

Teorema 3.2.2. Se n > 1 si ha:|An| = n!

2

Dimostrazione. Sia An = p1, p2, . . . , pt, |An| = t l’insieme delle permuta-zioni di classe pari e sia Sn −An = q1, q2, . . . , qv, |Sn −An| = v, l’insieme dellepermutazioni di classe dispari. Sia α una qualunque trasposizione.

L’insieme αAn = αp1, αp2, . . . , αpt è costituito da t permutazioni dispari equindi t ≤ v. Analogamente α (Sn −An) = αq1, αq2, . . . , αqv è costituito da vpermutazioni pari e quindi v ≤ t. Risulta pertanto v = t = 1

2|Sn| = 1

2n!.

Teorema 3.2.3. Sia E = 1, 2, . . . , n con n ≥ 3, siano i, j ∈ E, i 6= j. Ilgruppo alterno An è generato dagli n− 2 cicli di lunghezza tre:(

i j 1),(i j 2

), . . . ,

(i j k

), . . . ,

(i j n

)con k 6= i, j.

Dimostrazione. Fissato i ∈ E il gruppo Sn è generato dalle n− 1 trasposi-zioni

(i h) con h ∈ E − ie perciò ogni elemento di An può essere espresso come prodotto di un numero paridi queste trasposizioni, ma due trasposizioni consecutive possono essere associatee diventare quindi un 3-ciclo (a meno che i fattori non siano uguali, nel qualcaso il loro prodotto è l’identità), ad esempio

(i s

) (i r

)=

(i r s

)con

(r 6= s ; i 6= r, s). Dunque An è generato dai 3-cicli.Se n = 3 il teorema è banalmente vero essendo An =

⟨(1 2 3

)⟩. Sia n ≥ 4

e sia j ∈ E, i 6= j; si ha(i r j

)=

(i j r

) (i j r

)inoltre se r, s ∈ E − i, j si ha(

i r s)

=(i j s

) (i j r

) (i j r

)

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Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 83

e pertanto ogni 3-ciclo si può scrivere come prodotto di 3-cicli del tipo(i j 1

),(i j 2

), . . . ,

(i j k

), . . . ,

(i j n

)con k 6= i, j.

Poichè An è generato dai 3-cicli, rimane provato che An è generato dai 3-cicli deltipo (

i j 1),(i j 2

), . . . ,

(i j k

), . . . ,

(i j n

)con k 6= i, j.

Permutazioni pari e ... gioco.

A conclusione di questo capitolo illustriamo un gioco per il quale è determinantela nozione di permutazione pari.

Fu inventato nel XIX secolo da Sam Loyd (1841 − 1911) . Si tratta di unsupporto quadrato contenente quindici tessere, numerate da 1 a 15, che possonomuoversi entro una griglia 4 × 4; delle sedici posizioni possibili, una è libera. Letessere devono essere posizionate in successione da 1 a 15 dopo essere state mesco-late da una serie di mosse fatte a caso. Ogni mossa scambia lo spazio libero conuna tessera ad esso confinante (a lato, in alto, in basso).

1 2 3 4

5 6 7 8

9 10 11 12

13 14 15

Loyd dispose le tessere in ordine da 1 a 13, scambiò fra loro solo le ultime duetessere, la 14 e la 15, e lasciò libero lo spazio posto nell’angolo in basso a destradella griglia. Loyd lanciò la sfida di rimettere in ordine le tessere dalla 1 alla 15con libera l’ultima casella in basso a destra, offrì una altissima ricompensa a chifosse riuscito a risolvere questo problema. I suoi soldi erano però al sicuro, perchèlui sapeva che il problema è impossibile da risolvere.

L’impossibilità è dovuta alla differenza fra permutazioni pari e permutazionidispari. Una permutazione che trasponga la posizione di due tessere lasciandoinalterato tutto il resto è una trasposizione ossia è una permutazione dispari.

Lo scambio delle tessere 14 e 15 è dunque una permutazione dispari. Se im-maginiamo di colorare i sedici spazi in bianco e nero, come una scacchiera, alloraogni mossa libera lo spazio da bianco a nero o da nero a bianco perchè ogni mossascambia lo spazio libero con una tessera ad esso confinante. Se dunque il giocodeve terminare con libera la casella che era libera all’inizio del gioco, il numero dimosse da fare deve necessariamente essere pari.

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Capitolo 3 Il gruppo Simmetrico e il gruppo Alterno 84

Nel caso proposto da Loyd, non è dunque possibile arrivare a trasporre solo duetessere e rimettere tutto il resto nella posizione iniziale perchè ciò equivarrebbe auna permutazione dispari.

3. Esercizi relativi al Capitolo 3

Esercizio 3.3.1.Determinare se le seguenti permutazioni sono di classe pari o di classe dispari.

(1) α =

(1 2 3 4 5 6 72 3 1 6 7 5 4

).

Si scompone in(1 2 3

)(4 6 5 7

)=

(1 3

)(1 2

)(4 7

)(4 5

)(4 6

)e pertanto α di segno dispari.

(2) β =

(1 2 3 4 52 1 4 3 5

).

Si scompone in(

1 2)(

3 4) (

5)

e pertanto β è di segno pari.

(3) γ =

(1 2 3 4 5 6 7 82 3 5 1 7 6 4 8

).

Si scompone in(

1 2 3 5 7 4) (

6) (

8)

e pertanto γ è di segnodispari perchè γ =

(1 4

) (1 7

) (1 5

) (1 3

) (1 2

).

(4) δ =

(1 2 3 4 5 62 3 1 5 4 6

).

Si scompone in(

1 2 3) (

4 5) (

6)

=(

1 3) (

1 2) (

4 5)

e pertanto δ è di segno dispari.

Esercizio 3.3.2.Sia p un numero primo. Dimostrare che Sp è generato da τ e ρ con τ una qua-lunque trasposizione e ρ un p-ciclo.Soluzione - Con un opportuno ordinamento di 1, 2, ..., p si può supporre τ =(

1 2). Essendo ρ un ciclo di lunghezza p primo, esiste il p−ciclo σ = ρk tale che

σ(1) = 2. Il p-ciclo σ e la trasposizione τ soddisfano le ipotesi del teorema 3.1.19e pertanto < τ, σ >=< τ, ρ >= Sn.

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Capitolo 3 Il gruppo Simmetrico e il gruppo Alterno 85

Esercizio 3.3.3.Determinare tutti i sottogruppi del gruppo alterno A4 e dimostrare che non possiedesottogruppi di ordine 6.Soluzione - I dodici elementi di A4 sono dei seguenti tipi : identità, (abc), (ab)(cd);in particolare esistono otto 3-cicli e tre prodotti di trasposizioni disgiunte. Peril Teorema di Lagrange gli ordini possibili per i sottogruppi propri di A4 sono:2, 3, 4, 6.

• Sottogruppi di ordine 2. Sono S1 =< (12)(34) >, S2 =< (13)(24) >,S3 =< (14)(23) > perchè sono i sottogruppi generati dagli elementi diperiodo 2.

• Sottogruppi di ordine 3. Sono H1 =< (123) >, H2 =< (124) >,H3 =< (134) >, H4 =< (234) > perchè sono i sottogruppi generati dai3-cicli.

• Sottogruppi di ordine 4. E’ il solo K = id., (12)(34), (13)(24), (14)(23).Infatti poichè gli elementi di A4 sono permutazioni su 4 elementi, in A4

non può esserci un elemento di periodo 4 perchè sarebbe un 4-ciclo che èuna permutazione di classe dispari; l’unica possibilità per un sottogruppodi ordine 4 è che esso sia il gruppo di Klein, ossiaK = id., (12)(34), (13)(24), (14)(23).

• Sottogruppi di ordine 6. Non ne esistono. Infatti supponiamo per assurdoche R sia un sottogruppo proprio di ordine 6. R non può contenere Kperchè 4 - 6, inoltre, se Hi, Sj ⊆ R, operando sugli elementi di Hi ed Sjin tutti i possibili modi, si ottiene tutto A4; analogamente se si considerail caso Hi, Hj ⊆ R.

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CAPITOLO 4

Sottogruppi normali e gruppo quoziente

Sia (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Se si considerano le classi lateralidestre e sinistre, non sempre aH = Ha. Studiamo il caso in cui vale l’uguaglianza.

Lo studio dei sottogruppi per i quali vale l’uguaglianza, oltre ad un suo valo-re intrinseco, è di massima importanza perchè questi sottogruppi permettono dicostruire la struttura di gruppo quoziente.

1. Sottogruppi normali. Gruppo Quoziente.

Definizione 4.1.1. Sia N un sottogruppo di (G, ·), sia g ∈ G e sia gNg−1 =gng−1 | n ∈ N. Il sottogruppo N è detto normale (o invariante) in G segNg−1 = N per ogni g ∈ G. In tal caso si scrive N C G.

Esempio 4.1.2.(1) Ogni sottogruppo di un gruppo abeliano è normale.(2) I sottogruppi banali sono normali.

(3) Sia G =

(a bc d

)| a, b, c, d ∈ Q, ad− bc 6= 0

, G è un gruppo rispetto

al prodotto righe per colonne.

(a) Sia H =

(a bc d

)| a, b, c, d ∈ Q, ad− bc = 1

. Risulta H C G;

infatti per le proprietà del determinante di una matrice si ha che perogni A ∈ G e per ogni B ∈ H risulta det(ABA−1) = det(A) ·det(B) ·

1

det(A)= det(B) = 1 e perciò ABA−1 ∈ H per ogni A ∈ G e per

ogni B ∈ H.

(b) Sia K =

(a b−b a

)| a, b, c, d ∈ Q, a2 + b2 6= 0

. Risulta K sotto-

gruppo di G, ma K non è sottogruppo normale in G; infatti sia

M =

(1 21 3

)∈ G e A =

(2 1−1 2

)∈ K;

86

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 87

risulta MAM−1 =

(−5 5−10 9

)6∈ K.

Teorema 4.1.3. N CG se e solo se gNg−1 ⊆ N per ogni g ∈ G.

Dimostrazione. Se N C G allora gNg−1 = N per ogni g ∈ G ed è ovvioche gNg−1 ⊆ N per ogni g ∈ G. Viceversa se per ogni g ∈ G risulta gNg−1 ⊆ N ,poichè g−1 ∈ G si ha g−1N (g−1)

−1 ⊆ N , g−1Ng ⊆ N ossia per ogni n ∈ N si hag−1ng = n ∈ N da cui n = gng−1 ∈ gNg−1 e perciò N ⊆ gNg−1. Unitamente agNg−1 ⊆ N si conclude che gNg−1 = N per ogni g ∈ G e quindi N C G.

Si osservi che dalla definizione di sottogruppo normale e dal teorema oradimostrato, le condizioni riportate nella seguente nota sono equivalenti.

Nota 4.1.4. Dato un gruppo (G, ·), un suo sottogruppo N è normale in G seè verificata una delle seguenti condizioni:

(1) gng−1 ∈ N , per ogni g ∈ G, per ogni n ∈ N .(2) gNg−1 ⊆ N , per ogni g ∈ G.(3) gNg−1 = N , per ogni g ∈ G.(4) gN = Ng, per ogni g ∈ G.

Teorema 4.1.5. Sia (G, ·) un gruppo. Se H è un sottogruppo di G di indice2, allora H è sottogruppo normale di G.

Dimostrazione. Sia H sottogruppo di G di indice 2. Allora esistono esatta-mente 2 laterali destri di H ed esattamente 2 laterali sinistri di H, siano rispet-tivamente H,Ha e H, aH con ovviamente a 6∈ H. Per ogni x ∈ G, x /∈ H si hapertanto Hx = G − H e xH = G − H e quindi xH = Hx per ogni x ∈ G, ossiaH C G.

Esempio 4.1.6.

(1) Il gruppo alterno An è sottogruppo normale del gruppo simmetrico Snperché An é di indice 2 in Sn.

(2) Consideriamo il gruppo simmetrico (S3, ), S3 = a1, a2, a3, a4, a5, a6 con

a1 =

(1 2 31 2 3

), a2 =

(1 2 31 3 2

), a3 =

(1 2 33 2 1

),

a4 =

(1 2 32 1 3

), a5 =

(1 2 32 3 1

), a6 =

(1 2 33 1 2

).

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 88

R = a1, a2 è sottogruppo di S3, ma R non è normale in S3 perché, peresempio, Ra3 = a4, a6 6= a4R = a4, a5. Analogamente T = a1, a3 eV = a1, a4 sono sottogruppi di S3 ma non normali in S3. Se invece siconsidera il gruppo alterno A3 = a1, a5, a6, esso è sottogruppo di S3 edè normale in S3 perché è di indice 2 = 6

3.

Se (G, ·) è un gruppo e N /G, allora a partire da G e da N si può costruire unaltro gruppo.

Teorema 4.1.7. Siano (G, ·) un gruppo, N / G, GN

= gN | g ∈ G. GN

ègruppo rispetto all’operazione g1N · g2N = g1g2N .

Dimostrazione. In GN

definiamo la seguente operazione ”·” : g1N · g2N =g1g2N .Verifichiamo che la definizione è ben posta, ossia se g1N = h1N e g2N = h2Nallora g1g2N = h1h2N . Infatti da g1N = h1N si ha h1 = g1n1 con n1 ∈ N e dag2N = h2N si ha h2 = gen2 con n2 ∈ N . Risulta h1h2 = g1n1g2n2 = g1g2n1n2

con n1 ∈ N (perchè N / G e quindi Ng2 = g2N), dunque h1h2 ∈ g1g2N ossiah1h2N = g1g2N .Rispetto a questa operazione G

Nè un gruppo, infatti

• vale la proprietà associativa: (gN · hN) · zN = ghN · zN = ghzN =g (hz)N = gN · (hzN) = gN · (hN · zN) ;

• esiste l’elemento neutro: 1G ·N = N ;• esiste l’elemento inverso: per ogni gN esiste g−1N tale che gN · g−1N =gg−1N = N.

Nota 4.1.8.• Il gruppo (G

N, ·) determinato nel teorema precedente è detto ′′gruppo quo-

ziente G modulo N ′′ o semplicemente ′′G quoziente N ′′.• La condizione che N sia normale è essenziale perchè l’operazione sia ben

definita. Infatti, con riferimento all’esempio 4.1.6, se in (S3, ), S3 =a1, a2, a3, a4, a5, a6, consideriamo H = a1, a2, g1 = a2, h1 = a1, g2 =a3, h2 = a6, si ha che a2 H = a1 H, a3 H = a6 H ma a2 a3 H 6=a1 a6 H. Questo perchè H non è normale in S3.

Esempio 4.1.9.(1) (Z,+) gruppo abeliano allora ogni suo sottogruppo è normale: < n > / Z.

Si ha (Z,+)<n>

= < n > +m | m ∈ Z = Zn.

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 89

(2) Rispetto al prodotto riga per colonna

G =

(a bc d

)| a, b, c, d ∈ Q, ad− bc 6= 0

è un gruppo.

N =

(a bc d

)| a, b, c, d ∈ Q, ad− bc = 1

è un sottogruppo normale

di G, N / G. Il gruppo quoziente GN

è il gruppo i cui elementi sono leclassi di matrici aventi lo stesso determinante. Infatti se g′ ∈ gN allorag′ = gn e poichè det(n) = 1, det(g′) = det(gn) = det(g) · det(n) seguedet(g′) = det(g).

Nota 4.1.10. Si osservi che(1) Se H / G, H di indice finito i, allora

∣∣GH

∣∣ = i.

(2) Se H / G con |G| = n finito, |H| = m, allora∣∣GH

∣∣ = nm.

(3) Il quoziente di due gruppi entrambi infiniti può essere sia un gruppo finitosia un gruppo infinito (vedi esempio 4.1.9).

2. Gruppi Semplici.

Definizione 4.2.1. Un gruppo si dice semplice se ha come sottogruppi nor-mali solo i sottogruppi banali.

Esistono gruppi semplici? Sì. Ad esempio, per il Teorema di Lagrange ognigruppo finito di ordine un numero primo è semplice.Si conoscono tutti i gruppi semplici finiti (il lavoro è stato terminato intorno al1980). Esistono 18 famiglie infinite di gruppi semplici finiti e 26 gruppi non inclusiin nessuna di queste famiglie e per questo detti ”sporadici”. Fra questi gruppisporadici ve ne è uno scoperto nel 1982 da R. Griess ed avente 8 · 1053 elementi.

Studiamo ora per quali valori di n il gruppo alterno An è semplice. Dimostriamodapprima il seguente teorema.

Teorema 4.2.2. Sia n ≥ 3; se un sottogruppo normale N di An contiene un3-ciclo allora N = An.

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 90

Dimostrazione. Sia n = 3; poichè i 3-cicli possibili sono solo a = (1 2 3) ea−1 = (1 3 2) e tenuto conto che A3 = id., a, a−1, si ha che se il sottogruppoN contiene il 3-ciclo a (rispettivamente a−1) allora contiene anche il 3-ciclo a−1

(rispettivamente a) e pertanto N = A3.Sia n > 3 e supponiamo

(1 2 3

)∈ N / An; consideriamo in An l’elemento(

3 k) (

1 2)

con k 6= 1, 2, 3 (esiste certamente perchè è una permutazione parie n ≥ 4). Considerati

(1 2 3

)∈ N ,

(3 k

) (1 2

)∈ An, poichè N / An

e[(

3 k) (

1 2)]−1

=(

1 2) (

3 k), si ha

(3 k

) (1 2

)·(

1 2 3)·(

1 2) (

3 k)∈ N , ossia

(2 1 k

)∈ N per ogni k 6= 1, 2, 3; inoltre anche

(2 1 3) ∈ N perchè è l’elemento inverso dell’elemento (1 2 3) ∈ N . Quindi(1 2 j

)∈ N per ogni j 6= 1, 2 e questi (n − 2) 3-cicli generano An (vedi

teorema 3.2.3) e pertanto N = An.

Teorema 4.2.3. Il gruppo alterno An è semplice per ogni n ≥ 5.

Dimostrazione. Sia n ≥ 5 e sia N / An con N 6=< 1 >; dimostriamo cheN = An. Sia α ∈ N , α 6= 1, α elemento fra quelli che fissano il massimo numero dielementi e consideriamo la permutazione α scritta come prodotto di cicli disgiunti.Suddividiamo la dimostrazione in tre parti, dimostriamo che:

(1) ogni ciclo della scomposizione di α è di lunghezza ≤ 3;(2) se nella scomposizione di α esiste un ciclo di lunghezza 3 allora esso è

l’unico ciclo di α;(3) nella scomposizione di α non possono esistere due cicli di lunghezza 2.

Dimostrazione di (1). Supponiamo per assurdo che esista α ∈ N nella cuiscomposizione figuri un ciclo di lunghezza almeno 4, siaα =

(1 2 3 4 ...

) (i j ...

)... . Consideriamo la permutazione

β =(

1 2 3)α

(1 2 3

)−1=

(2 3 1 4 ...

) (i j ...

)... ; poichè

N / An segue β ∈ N , e pertanto β−1α ∈ N e risulta β−1α = (2)(

3 1 ...)... .

Inoltre si ha che se α(x) = x, x 6= 1, 2, 3, allora anche β(x) = x e β−1α(x) = x.La permutazione β−1α è diversa dall’identità, è un elemento di N ed è tale cheβ−1α(2) = 2 e perciò β−1α fissa almeno un elemento in piú di α contro l’ipotesifatta su α.

Dimostrazione di (2). Supponiamo per assurdo che nella scomposizione di α cisia un ciclo di lunghezza 3, sia α =

(1 2 3

) (4 5 ...

)... . Consideriamo la

permutazione γ =(

4 1 2)α

(4 1 2

)−1=

(1 5 ...

) (2 4 3

)... . Si

ha γ ∈ N perchè N/An e pertanto γα ∈ N con γα 6= id., γα = (2)(

1 4 ...)... .

Inoltre si ha che se α(x) = x allora anche γ(x) = x e γα(x) = x e pertanto, poichèγα(2) = 2, si ha che γα fissa piú elementi di α contro l’ipotesi.

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 91

Dimostrazione di (3). Supponiamo per assurdo che nella scomposizione di α incicli disgiunti ci siano due cicli di lunghezza 2, sia α =

(1 2

) (3 4

)... . Con-

sideriamo la permutazione δ =(

1 2 5)α

(1 2 5

)−1=

(2 5

) (3 4

)...;

poichèN/An si ha δ ∈ N e perciò δα ∈ N con δα 6= id., δα = (3) (4)(

2 1 5)... .

Ora, solo l’elemento 5 potrebbe risultare fissato da α ma non da δ, ma ogni altroelemento fissato da α è anche fissato da δ. Dunque δα fissa tutti gli elementi fissatida α tranne al piú l’elemento 5, ma δα fissa sia il 3 che il 4 che non sono fissati daα e perciò δα fissa almeno un elemento più di α e ciò è assurdo.

Da (1), (2), (3) segue che α è un 3-ciclo oppure una trasposizione. Poichè αè di classe pari non può essere una trasposizione e perciò α è un 3-ciclo. Per ilteorema precedente segue allora N = An.

A completamento del teorema precedente, esaminiamo i casi An per n=1,2,3,4.• A1, A2, A3 sono semplici perchè non hanno sottogruppi diversi da quelli

banali.• A4 non è semplice. Infatti | A4 |= 12 e in A4 ci sono tre elemen-

ti di periodo 2: α =(

1 2) (

3 4), β =

(1 3

) (2 4

), γ =(

1 4) (

2 3). Gli altri elementi di periodo 2 di S4 sono semplici

trasposizioni e quindi non appartengono ad A4, dunque α, β, γ sono tuttie soli gli elementi di A4 di periodo 2. Sia H = id., α, β, γ, H è sotto-gruppo di A4 ed è normale in A4, infatti se σ ∈ A4, allora σασ−1, σβσ−1,σγσ−1 hanno periodo 2 e sono di classe pari e quindi stanno in H.

E’ ora possibile dimostrare il seguente teorema.

Teorema 4.2.4. Per ogni n ≥ 5, An è l’unico sottogruppo normale di Sn.

Dimostrazione. Sia N / Sn, N 6=< 1 >, e sia α ∈ N , α 6= 1, α elemento traquelli che fissano il massimo numero di elementi. Per quanto dimostrato in (1),(2), (3) del teorema precedente, α risulta un 3-ciclo oppure una trasposizione.

Se α è un 3-ciclo si ha α ∈ An perchè un 3-ciclo è una permutazione pari e quindiα ∈ N ∩ An. Ma N ∩ An è sottogruppo normale di An che è semplice e pertantodeve essere N ∩An = An da cui segue An ⊆ N. Se N non ha permutazioni di classedispari si ha N = An; se in N esiste una permutazione γ di classe dispari alloraN = Sn perchè γAn ⊂ N , | γAn |=| An |, γAn ∩ An = ∅ e quindi N = γAn ∪ An,| N |=| γAn | + | An |=| Sn | .

Se α è una trasposizione, α = (1 2), poichè N / Sn , N contiene tutti glielementi (2 k)(1 2)(2 k), k = 3, 4, ..., n, cioè N contiene tutte le trasposizioni(1 k) per k = 2, 3, ..., n e quindi N = Sn perchè Sn è generato da queste n − 1trasposizioni (vedi teorema 3.1.18).

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 92

3. Esercizi relativi al Capitolo 4

Esercizio 4.3.1.Determinare i sottogruppi propri di (S3, ), stabilire quali di essi sono normali ecostruire i relativi quozienti.Soluzione - Nell’esercizio 3.1.2 sono già stati determinati tutti i sottogruppi propridi S3: H1 = H = a1, a5, a6, H2 = a1, a2, H3 = a1, a3, H4 = a1, a4. Conriferimento alla tabella moltiplicativa dell’esercizio 3.1.2, risulta gH1 = H1g perogni g ∈ S3 e pertanto H1 è un sottogruppo normale di S3. D’altra parte ciò eraprevedibile perchè H1 è di indice 2 in S3 (Teorema 4.1.5), anzi H1 è il gruppoalterno che, come noto, è sottogruppo normale del gruppo simmetrico. Il gruppoquoziente è S3

H1= H1, a3H1.

I sottogruppiH2, H3, H4 non sono normali, infatti a4H2 6= H2a4, a4H3 6= H3a4, a3H4 6=H4a3.

Esercizio 4.3.2.Sia G un gruppo ciclico e H un sottogruppo di G. Dimostrare che

G

Hè ciclico.

Soluzione - G è commutativo perchè ciclico e pertanto risulta grHr = (gH)r,infatti g · g · · · · · g︸ ︷︷ ︸

r − volte

·H ·H · · · · ·H︸ ︷︷ ︸r − volte

= gH · gH · · · · · gH︸ ︷︷ ︸r − volte

= (gH)r.

Posto G =< g > si ha GH

=< gH >, infatti per ogni g1H ∈ GH, posto g1 = gr si ha

g1H = grH = (gH)r.

Esercizio 4.3.3.Sia C∗ il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi non nulli. Sia N = a+ bi ∈C∗|a2 + b2 = 1. Dimostrare che N è sottogruppo normale di C∗.Soluzione - Se z = (a+ ib) ∈ C∗, indichiamo con |z| = a2 + b2 (modulo di z). Nè gruppo:

• N 6= ∅ perchè 1 ∈ N .• Per ogni z1 = (a+ ib), z2 = (c+ id) ∈ N si ha |z1 ·z2| = |z1| · |z2| = 1 ·1 = 1

e pertanto z1 · z2 ∈ N .• Se z = (a + ib) ∈ N si ha z−1 ∈ N perchè se così non fosse si avrebbe

1 = |z · z−1| = |z| · |z−1| 6= 1.

N è normale perchè C∗ è commutativo. C∗

Nha come elementi le classi costituite

da tutti e soli i numeri complessi aventi lo stesso modulo, infatti z1N = z2N se esolo se z1z

−12 ∈ N se e solo se |z1z

−12 | = 1, se e solo se |z1| = |z2|.

Esercizio 4.3.4.Sia (G, ·) un gruppo avente un solo sottogruppo di un dato ordine. Dimostrare cheH è normale in G.Soluzione - Sia |H| = r, H = h1, h2, . . . , hr. Se hi 6= hj allora ghig−1 6= ghjg

−1

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Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 93

per ogni g ∈ G e pertanto |gHg−1| = r. Per l’ipotesi di unicità dell’ordine delsottogruppo, risulta allora gHg−1 = H per ogni g ∈ G ossia H è normale in G.

Esercizio 4.3.5.Siano H e K sottogruppi normali del gruppo (G, ·) tali che H ∩K = 1. Dimo-strare che per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K risulta hk = kh.Soluzione - Per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K si ha:

(1) (hk)−1(kh) = (k−1h−1k)h = h1h ∈ H perchè (k−1h−1k) ∈ H essendoH CG;

(2) (hk)−1(kh) = k−1(h−1kh) = k−1k1 ∈ K perchè (h−1kh) ∈ K essendoK CG;

allora da (1) e (2) segue (hk)−1(kh) ∈ H ∩K e per l’ipotesi H ∩K = 1 risulta(hk)−1(kh) = 1 da cui hk = kh per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K.

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CAPITOLO 5

Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo

1. Definizioni e Proprietà

Se consideriamo il gruppo quadrinomio, il gruppo delle rotazioni del quadratoe il gruppo delle classi resto modulo 4, essi hanno tutti ordine 4, ma (al di là deisimboli usati per rappresentarli) possono essere considerati lo stesso gruppo o sonogruppi diversi ?

Abbiamo visto che per definire la struttura algebrica di gruppo occorrono uninsieme non vuoto e una operazione e perciò se si vogliono ′′ confrontare ′′ duegruppi non è sufficiente esaminare i due insiemi, ma il confronto deve coinvolgeregli insiemi e le operazioni.

Definizione 5.1.1. Siano (G, ·) e (G′; ∗) due gruppi e sia φ una applicazionedi G in G′. Si dice che φ è un omomorfismo di G in G′ se per ogni a, b ∈ G siha φ(a · b) = φ(a) ∗ φ(b). Si parla di omomorfismo iniettivo, suriettivo, biiettivose l’applicazione che lo definisce è, rispettivamente, iniettiva, suriettiva, biiettiva.Un omomorfismo biiettivo si dice isomorfismo e in questo caso i due gruppi G eG′ si dicono isomorfi. Un isomorfismo di G in G si dice automorfismo.

Per semplicità di scrittura, di norma le operazioni dei due gruppi coinvolti siindicheranno con lo stesso simbolo.

Esempio 5.1.2.• L’applicazione φ : (Z,+) → (Z,+) definita da φ(x) = 2x è un isomorfismo

perchè è biettiva ed inoltre è tale che φ(x+ y) = 2 · (x+ y) = 2 ·x+2 · y =φ(x) + φ(y) per ogni x, y ∈ Z .

• L’applicazione ϕ : (G, ·) → (G′, ·) definita da ϕ(x) = 1G′ per ogni x ∈ G,e l’applicazione ψ : (G, ·) → (G, ·) definita da ψ(x) = x per ogni x ∈G, sono omomorfismi qualunque siano i gruppi considerati. Questi dueomomorfismi sono detti omomorfismi banali.

• L’applicazione ϕ : (R,+) → (R∗+, ·) definita da ϕ(x) = 2x è un isomorfismo

perchè è biettiva ed è tale che ϕ(x+ y) = 2x+y = 2x · 2y = ϕ(x) · ϕ(y) perogni x, y ∈ R.

94

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 95

• L’applicazione ϕ : (Q∗, ·) → (Q∗, ·) definita da ϕ(x) =1

2x non è un

omomorfismo perchè ϕ(x·y) = 12·x·y mentre ϕ(x)·ϕ(y) = 1

2·x· 1

2·y = 1

4·x·y.

Quindi ϕ(x · y) 6= ϕ(x) · ϕ(y).

• N / G,G

Ngruppo quoziente. L’applicazione ϕ : G → G

Ndefinita da

φ(g) = gN è un omomorfismo suriettivo: φ (g)φ (h) = (gN) (hN) =(ghN) = φ (gh). Questo omomorfismo è detto omomorfismo naturale

di G suG

N.

Teorema 5.1.3. Siano (G, ·) e (G′, ·) gruppi aventi come elemento neutro 1e 1′ rispettivamente. Sia φ un omomorfismo di G in G′, si ha:

(1) φ(1) = 1′

(2) φ(x−1) = φ(x)−1

(3) Se H < G e K < G′ allora φ (H) < G′e φ−1 (K) < G.

Dimostrazione.(1) Sia a ∈ G : φ(a) = φ(a · 1) = φ(a) · φ(1), ma anche φ(a) = φ(a) · 1′ allora

φ(a) · φ(1) = φ(a) · 1′, da cui φ(1) = 1′.(2) Sia x ∈ G : φ (x · x−1) = φ (x) · φ (x−1), ma anche φ (x · x−1) = φ (1) = 1′,

allora φ (x)φ (x−1) = 1′ e dunque φ(x−1) = φ(x)−1.(3) Sia H un sottogruppo di G e sia φ (H) = φ (h) | h ∈ H; poichè per

ogni φ (h1) , φ (h2) ∈ φ (H), si ha φ (h1)φ (h2)−1 = φ

(h1h

−12

)∈ φ (H), si

ha φ (H) sottogruppo di G′. Sia K sottogruppo di G′ e sia φ−1 (K) =x ∈ G | φ (x) ∈ K; si ha φ−1 (K) 6= ∅ perchè almeno 1 = φ−1 (1′) ∈φ−1 (K) , inoltre se x, y ∈ φ−1 (K) allora φ (x) , φ (y−1) ∈ K e perciòφ (x)φ (y−1) ∈ K,φ (xy−1) ∈ K,xy−1 ∈ φ−1 (K). Dunque φ−1 (K) èun sottogruppo di G.

Nota 5.1.4.(1) Dalla (1) del teorema precedente segue, per esempio, che non può esserci

un omomorfismo di (Q∗, ·) in (Q∗, ·) che mandi 1 in 2.(2) Come struttura algebrica, due gruppi isomorfi possono essere considerati

lo stesso gruppo. Se consideriamo i gruppi ciclici, si ha che per ogniordine r (anche non finito) esiste un solo gruppo ciclico di ordine r (vediCorollario 5.1.10).

Definizione 5.1.5. Sia φ un omomorfismo fra i gruppiG eG′ e sia 1′ l’elementoneutro di G′. Si chiama nucleo di φ l’insieme kerφ = x ∈ G | φ (x) = 1′ .

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 96

Teorema 5.1.6. Siano G, G′ gruppi e sia φ un omomorfismo di G in G′.(1) kerφ è un sottogruppo normale di G.(2) φ è iniettivo se e solo se kerφ = 1 con 1 elemento neutro di G.(3) H / G se e solo se H = kerψ, con ψ omomorfismo.

Dimostrazione.(1) E’ immediato che kerφ è sottogruppo di G; inoltre se x ∈ G e y ∈ kerφ

si ha φ (xyx−1) = φ (x)φ (y)φ (x)−1 = 1′ e pertanto kerφ / G.(2) Sia φ iniettivo, allora se x ∈ G e φ (x) = 1′ per l’iniettività e per (1)

del teorema 5.1.5, deve essere x = 1 e quindi kerφ = 1. Viceversasia kerφ = 1 e siano x, y ∈ G; se φ (x) = φ (y) allora φ (x)φ (y)−1 =1′, φ (xy−1) = 1′, allora xy−1 ∈ kerφ e quindi per l’ipotesi fatta xy−1 = 1ossia x = y e pertanto φ è iniettivo.

(3) Se H / G allora H = kerψ con ψ omomorfismo naturale di G inG

H.

Se H = kerψ per qualche omomorfismo ψ, allora per (1) risulta H / G.

Nota 5.1.7. Dato N / G, poichè N è l’elemento neutro diG

N, l’omomorfismo

naturale φ : G→ G

Ndefinito da φ (x) = xN ha come nucleo N perchè

x ∈ kerφ⇐⇒ φ (x) = N ⇐⇒ xN = N ⇐⇒ x ∈ N.

Si può allora affermare che ogni gruppo quozienteG

Nè immagine omomorfa del

gruppo G. Con il teorema seguente proveremo anche che ogni immagine omomorfadi un gruppo G è un quoziente di G (a meno di isomorfismi).

Teorema 5.1.8 (Primo teorema di omomorfismo per gruppi). Sia φ : G →G′ un omomorfismo suriettivo del gruppo (G, ·) nel gruppo (G′, ·). Allora G′ è

isomorfo aG

kerφ.

Dimostrazione. Sia φ : G→ G′ un omomorfismo suriettivo, sia K = kerφ e

sia ψ :G

K→ G′ definita da ψ (gK) = φ (g). Quella posta è una buona definizione

(e quindi ψ è una applicazione) perchè se gK = hK allora g = hk con k ∈ Ke quindi φ (g) = φ(hk) = φ(h)φ(k) = φ(h) · 1 = φ (h) . La ψ è iniettiva, infattise ψ (gK) = ψ (hK) allora φ (g) = φ (h) da cui φ (g−1h) = 1′, allora g−1h ∈ Kda cui h ∈ gK e quindi gK = hK. La ψ è suriettiva, infatti se y ∈ G′ alloray = φ (g) con g ∈ G e quindi y = ψ (gK). La ψ è un omomorfismo, infatti

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 97

ψ (gKhK) = ψ (ghK) = φ (gh) = φ (g)φ (h) = ψ (gK)ψ (hK) . Dunque ψ è un

isomorfismo diG

kerφin G

′ . Il teorema può essere rappresentato con il seguente

schema

Gφ //

λ

G′

G

kerφ

ψ

>>~~~~~~~~

dove φ omomorfismo suriettivo, ψ isomorfismo, λ omomorfismo naturale.

Esempio 5.1.9.

G =

(a bc d

)| a, b, c, d ∈ Q, ad− bc 6= 0

è un gruppo rispetto al prodotto

righe per colonne. Considerato il gruppo (Q∗, ·), l’applicazione

φ : G −→ Q∗, φ (M) = detM

è un omomorfismo con kerφ =

(a bc d

)| ad− bc = 1

e pertanto Q∗ ≈ G

kerφ(isomorfismo).

L’identificazione di Im φ (immagine di φ) con il quoziente GKerφ

assicura chetutti gli omomorfismi suriettivi di un gruppo G si possono identificare con gliomomorfismi naturali sul quoziente. Questo teorema ha varie applicazioni, adesempio fornisce la classificazione dei gruppi ciclici.

Corollario 5.1.10. Sia (G, ·) un gruppo ciclico. Se G è infinito allora G èisomorfo a (Z,+), se G è finito di ordine n allora G è isomorfo a (Zn,+).

Dimostrazione. Sia G =< g >. L’applicazione

ϕ : (Z,+) → G =< g >

k → gk

è un omomorfismo suriettivo. Se G =< g > è infinito, allora da h 6= k si hagh 6= gk e pertanto la ϕ è iniettiva e ne segue Kerϕ = 0; per il primo teoremadi omomorfismo per gruppi risulta G ∼= Z. Se G =< g > è ciclico di ordine n,allora Kerϕ = nZ e per il primo teorema di omomorfismo per gruppi risultaG ∼= Z

nZ = Zn.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 98

Teorema 5.1.11. Sia G un gruppo, N / G, K / G, K ⊂ N . Si haG

Nisomorfo a

G/K

N/K.

Dimostrazione. Per il primo teorema di omomorfismo per gruppi basta di-

mostrare che esiste un omomorfismo suriettivo daG

Ksu

G

Navente per nucleo

N

K.

Sia φ :G

K−→ G

Nl’applicazione definita da φ (gK) = gN per ogni gK ∈ G

K. Quel-

la posta è una buona definizione, infatti se gK = hK allora h−1gK = K ⊂ N ,allora h−1g ∈ N e quindi gN = hN da cui φ (gK) = φ (hK). Per come de-finita, l’applicazione φ è suriettiva ed è un omomorfismo: infatti φ (gKhK) =

φ (ghK) = ghN = gNhN = φ (gK)φ (hK) . Il nucleo di φ èN

Kperchè gK ∈ kerφ

se e solo se φ (gK) = N se e solo se gN = N se e solo se g ∈ N e pertanto

kerφ = gK | g ∈ N =N

K.

Esempio 5.1.12.Siano G = (Z,+), N = 3Z =< 3 >, K = 6Z =< 6 >. Poichè (Z,+) è abeliano siha N CG,K CG,K CN. Determiniamo i vari gruppi quozienti che intervengono.

RisultaG

N=

Z3Z

= Z3,G

K=

Z6Z

= Z6.

Determiniamo ora il gruppoN

K=

3Z6Z

=< 3 >

< 6 >= a+ < 6 > | a ∈< 3 > ;

considerata la classe [a] ∈ < 3 >

< 6 >, poichè a = 3t si possono avere due casi a

seconda che t sia pari o dispari ossia può essere a = 3 · 2h = 6h con h ∈ Zoppure a = 3 · (2h + 1) = 6h + 3 con h ∈ Z. Gli elementi di

N

K=

3Z6Z

sonopertanto esattamente due: un elemento è la classe contenente gli elementi del tipoa+ < 6 >= 6h + 6r ossia tutti e soli i multipli di 6, mentre l’altro elemento è laclasse contenente gli elementi del tipo a+ < 6 >= 6h + 3 + 6r ossia tutti e soli i

multipli di 3; risulta dunque3Z6Z

≈ Z2. Per il teorema precedente rimane provato

cheZ3Z

Z6Z3Z6Z

.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 99

2. Teorema di Cayley

Questo Teorema mostra l’importanza dei gruppi di permutazioni perchè dalteorema segue che ogni gruppo si può pensare come gruppo di permutazioni. E’dovuto ad A. Cayley (1821-1895).

Teorema 5.2.1 (Teorema di Cayley). Ogni gruppo (G, ·) è isomorfo ad ungruppo di permutazioni sui suoi elementi.

Dimostrazione. Occorre provare che esiste un isomorfismo fra G e un sot-togruppo del gruppo SymG delle permutazioni sugli elementi di G, pertanto èsufficiente provare l’esistenza di un omomorfismo iniettivo di G in SymG.L’omomorfismo iniettivo è l’applicazione f : G → SymG, definita da f(g) = φgcon φg : G→ G definita da φg(x) = g · x per ogni x ∈ G. Infatti

(1) f è un omomorfismo perchè f(g1g2) = φg1g2 con φg1g2(x) = g1g2x; d’altraparte f(g1)f(g2) = φg1φg2 con φg1φg2(x) = φg1(g2x) = g1g2x e pertantof(g1g2) = f(g1)f(g2).

(2) f è un’applicazione iniettiva perchè se f(g1) = f(g2) allora φg1 = φg2 dacui g1x = g2x per ogni x ∈ G e dunque g1 = g2.

Poichè f è un omomorfismo iniettivo, rimane provato che f(G) è un sottogruppodi SymG isomorfo a G.

3. Centro e centralizzante di un gruppo

Definizione 5.3.1. Sia (G, ·) un gruppo, si chiama centro di G l’insieme

Z (G) = x ∈ G | xg = gx per ogni g ∈ G .

Il centro di un gruppo è dunque l’insieme degli elementi di G che sono permu-tabili con ogni elemento di G. Ovviamente si ha:

Z (G) = G⇐⇒ G è abeliano

Teorema 5.3.2. Sia (G, ·) un gruppo e Z (G) il suo centro. Si ha Z (G) /G.

Dimostrazione. Qualunque sia il gruppo G, poichè 1 ∈ Z (G) si ha Z(G) 6=∅. Siano x, y ∈ Z (G), per ogni g ∈ G si ha (xy) g = x (yg) = x (gy) = (xg) y =(gx) y = g (xy) e quindi xy ∈ Z (G). Sia ora x ∈ Z (G), per ogni g ∈ G siha xg = gx e quindi anche x−1 (xg)x−1 = x−1 (gx)x−1, da cui gx−1 = x−1g epertanto x−1 ∈ Z (G). Dunque Z (G) è un sottogruppo di G. Il sottogruppo Z (G)è normale, infatti se x ∈ Z (G) e g ∈ G si ha gxg−1 = xgg−1 = x ∈ Z (G).

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 100

Definizione 5.3.3. Sia (G, ·) un gruppo; fissato a ∈ G si chiama centraliz-zante di a in G l’insieme C (a) = g ∈ G | ga = ag.

Teorema 5.3.4. Sia (G, ·) un gruppo e sia a ∈ G. Il centralizzante C(a) dia in G è un sottogruppo di G.

Dimostrazione. C (a) 6= ∅ perchè qualunque sia a ∈ G si ha 1 ∈ C (a).Se g, h ∈ C (a) si ha (gh) a = g (ha) = g (ah) = (ga)h = (ag)h = a (gh) edunque gh ∈ C (a). Inoltre se g ∈ C (a) da ga = ag si ha g−1a = g−1 (agg−1) =g−1 (ag) g−1 = g−1 (ga) g−1 = (gg−1) ag−1 = ag−1 e pertanto g−1 ∈ C (a). Rimanecosì provato che C (a) è un sottogruppo di G.

Nota 5.3.5. Sia G un gruppo, a ∈ G e C(a) il centralizzante di a in G. Sonodi immediata verifica le seguenti proprietà

(1) Z (G) ≤ C (a).(2) Il centro di un gruppo è l’intersezione dei centralizzanti degli elementi di

G ossia Z(G) =⋂a∈G

C(a).

(3) a ∈ Z(G) se e solo se C(a) = G.

Definizione 5.3.6. Sia (G, ·) un gruppo e siano a, b ∈ G. Si dice che a e bsono coniugati se esiste x ∈ G tale che b = xax−1.

Dalla definizione ora posta segue che la relazione di coniugio (aRb ⇔ esistex ∈ G tale che b = xax−1)

• è una relazione di equivalenza in G;• determina una partizione di G;• le classi di equivalenza costituite da un solo elemento sono quelle che con-

tengono un elemento del centro di G. (|[a]| = 1 ⇔ xax−1 = a per ogni x ∈G⇔ xa = ax per ogni x ∈ G⇔ a ∈ Z(G)).

Teorema 5.3.7. Se (G, ·) è un gruppo finito ed a ∈ G allora il numero deglielementi di G coniugati ad a è uguale all’indice del centralizzante di a in G.

Dimostrazione. Sia C (a) il centralizzante di a. Per ogni x ∈ G l’elementoxax−1 è coniugato ad a, ma gli elementi xax−1 al variare di x ∈ G non sonotutti distinti, ossia il numero di coniugati di a non è |G| perchè due coniugati dia possono coincidere. Si ha xax−1 = yay−1 ⇐⇒ y−1xa = ay−1x ⇐⇒ y−1x ∈C (a) ⇐⇒ x ∈ yC (a), ma anche y ∈ yC (a) e dunque risulta xax−1 = yay−1 see solo se x e y stanno nello stesso laterale sinistro di C (a). Dunque il

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 101

numero dei coniugati distinti di a è uguale al numero dei laterali (sinistri) di C (a)

ossia è l’indice di C (a) in G, cioè| G |

| C (a) |.

Il teorema sopra dimostrato è utile per contare gli elementi di G tramite leclassi di equivalenza (essendo queste una partizione di G).

Corollario 5.3.8. Se a ∈ Z (G) allora| G |

| C (a) |= 1.

Dimostrazione. Segue dal teorema precedente e dalla (3) della nota 5.3.5.

Corollario 5.3.9. Sia G un gruppo finito e sia C(a) il centralizzante dell’ele-mento a ∈ G. Si ha:

|G| =∑ |G|

|C(a)|dove la somma è estesa agli a ∈ G, uno per ogni classe di coniugio.

Dimostrazione. Per il teorema 5.3.7, considerato a ∈ G, il numero ca deiconiugati di a uguaglia l’indice del centralizzante C(a) in G ossia ca = |G|

|C(a)| . Leclassi coniugate sono una partizione di G e pertanto, scelto un elemento a in ogniclasse coniugata, risulta

|G| =∑

ca =∑ |G|

|C(a)|

Corollario 5.3.10. Sia G un gruppo finito e sia Z(G) il suo centro. Si ha:

|G| = |Z(G)|+∑ |G|

|C(a)|dove la somma è estesa agli a 6∈ Z(G), uno per ogni classe di coniugio.

Dimostrazione. Dalla definizione di centro di un gruppo segue che un ele-mento a appartiene a Z(G) se e solo se la sua classe coniugata è costituita dalsolo a. La relazione del corollario precedente si può dunque esprimere nel modoseguente:

|G| = |Z(G)|+∑ |G|

|C(a)|dove la somma è estesa agli a 6∈ Z(G), uno per ogni classe di coniugio.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 102

Esempio 5.3.11. Sia G = S3. Le classi di coniugio sonoC1 = idC2 = (1 2), (1 3), (2 3)C3 = (1 2 3), (1 3 2)

Indicato con C(a) il centralizzante dell’elemento a, prendiamo un a in ogni classedi coniugio; si ha

C(id) = S3

C((1 2)) = id, (1 2)C((1 2 3)) = id, (1 2 3), (1 3 2)

Verifichiamo l’equazione delle classi dimostrata nel Corollario 5.3.9 :

|S3| = 6 =6

|C(id)|+

6

|C((1 2))|+

6

|C((1 2 3))|=

6

6+

6

2+

6

3= 1 + 3 + 2.

Teorema 5.3.12. Il centro di un gruppo finito (G, ·) di ordine pn con pprimo, n ∈ N∗, non si riduce al sottogruppo identico.

Dimostrazione. Consideriamo la relazione di coniugio e contiamo gli ele-menti di G contando gli elementi di ogni classe di equivalenza e poi sommando.Osserviamo che una classe è costituita da un solo elemento a se e solo se a ∈ Z (G),quindi se | Z (G) |= r ci sono r classi con un solo elemento. Se G = Z (G), cioèse G è abeliano, banalmente è Z (G) 6=< 1 >. Se G 6= Z (G), sia a ∈ G − Z (G);per quanto dimostrato nel teorema precedente, il numero dei coniugati di a è da-

to dall’indice di C (a) in G ossia| G |

| C (a) |. Da a /∈ Z (G) segue C (a) 6= G e

perciò è| G |

| C (a) |= pi con 0 < i < pn. Allora gli elementi di G − Z (G) si ri-

partiscono in classi disgiunte ciascuna avente un numero di elementi dato da unapotenza di p ad esponente positivo, ossia | G |=| Z (G) | +pi + pj + ...+ ps ossiapn = r + pi + pj + ... + ps e poichè tutti gli addendi diversi da r sono divisibi-li per p, per ottenere pn deve essere divisibile per p anche r, ossia r 6= 1, cioèZ (G) 6=< 1 > .

Dal teorema ora dimostrato seguono importanti risultati quali quelli dei dueseguenti teoremi.

Teorema 5.3.13. Se (G, ·) è un gruppo di ordine pn, con p primo, n ∈ N∗,esiste in G un sottogruppo normale di ordine p.

Dimostrazione. Sia | G |= pn, n > 0; per il teorema precedente si ha| Z (G) |= ph con h > 0. Per il teorema di Sylow esiste allora in Z (G) unsottogruppo N di ordine p e poichè gli elementi di N (essendo anche elementi diZ(G)) permutano con ogni elemento di G si ha N / G.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 103

Teorema 5.3.14. Ogni gruppo di ordine p2, p primo, è abeliano.

Dimostrazione. Sia G un gruppo di ordine p2. Per il teorema 5.3.12. siha Z(G) 6=< 1 > . Supponiamo Z (G) 6= G, si ha | Z (G) |= p per il teoremaprecedente. Sia a ∈ G − Z (G), il centralizzante C (a) di a deve avere per ordineun divisore di p2 e poichè a ∈ C (a) e Z (G) ⊆ C (a) si ha | C (a) |= p2 ossiaC (a) = G e quindi a ∈ Z (G), contro l’ipotesi. Dunque non può essere Z (G) 6= G,ma deve essere Z (G) = G e quindi G è abeliano.

4. Automorfismi interni e sottogruppi caratteristici di un gruppo

Definizione 5.4.1. Sia (G, ·) un gruppo. Per ogni a ∈ G, l’automorfismoφa : G → G definito da φa(x) = a · x · a−1 è detto automorfismo interno delgruppo.

Teorema 5.4.2. Sia (G, ·) un gruppo.(1) L’insieme A(G) degli automorfismi di G è un gruppo rispetto al prodotto

operatorio.(2) L’insieme I(G) degli automorfismi interni di G è un sottogruppo normale

del gruppo A(G).

Dimostrazione.(1) A(G) è un gruppo perchè

• Per ogni α, β ∈ A(G) risulta α β ∈ A(G); infatti (α β)(xy) =α[β(xy)] = α[β(x)β(y)] = αβ(x)αβ(y).

• Per ogni α ∈ A(G) risulta α−1 ∈ A(G); infatti considerati x, y ∈ G,sia x = α(x) e sia y = α(y); risulta α−1(xy) = α−1(α(x)α((y))) =α−1[α(xy)] = xy = α−1(x)α−1(y).

(2) I(G) non è vuoto perchè contiene l’automorfismo identità; inoltre presiφa, φb ∈ I(G) si ha:(φa φb)(x) = φa(φb(x)) = a · (b ·x · b−1) ·a−1 = (a · b) ·x · (a · b)−1 = φa·b(x)dunque φa φb = φa·b ∈ I(G). Inoltre φa−1 φa(x) = x per ogni x ∈ G equindi φ−1

a = φa−1 ∈ I(G). Dunque I(G) è sottogruppo di A(G).Infine se α ∈ A(G) e φa ∈ I(G) si ha (αφa α−1)(x) = αφa(α−1(x)) =α(aα−1(x)a−1) = α ·(a·α−1(x)·a−1) = α(a)·x·α(a−1) = α(a)·x·α(a)−1 =φα(a)(x) e quindi αφaα−1 = φα(a) ∈ I(G) e pertanto I(G) /A(G).

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 104

Teorema 5.4.3. Sia (G, ·) un gruppo. Si haG

Z(G)isomorfo a I(G)

Dimostrazione. Sia f : G → I(G) l’applicazione definita da f(a) = φa conφa(x) = a · x · a−1. La f è un omomorfismo suriettivo di nucleo Z(G) e pertanto

per il primo teorema di omomorfismo per gruppi si haG

Z(G)≈ I(G).

Nota 5.4.4. Dalla definizione di automorfismo interno segue che un sotto-gruppo H del gruppo (G, ·) è normale in G se e solo se H è mutato in sè da ogniautomorfismo interno di G.

Definizione 5.4.5. Un sottogruppo H di un gruppo (G, ·) è detto caratte-ristico (o pienamente invariante) se è mutato in sè da ogni automorfismo diG.

Ovviamente se H è caratteristico in (G, ·) è anche normale perchè essendomutato in sè da ogni automorfismo, è mutato in sè anche dagli automorfismi internie pertanto risulta a ·H · a−1 = H, a ·H = H · a per ogni a ∈ G.

Esistono però sottogruppi normali che non sono caratteristici.

Esempio 5.4.6.(Z,+) / (Q,+) ma Z non è caratteristico in Q. Infatti φ : (Q,+) → (Q,+)

definito da φ(x) =1

2· x è un automorfismo di (Q,+) ma φ(Z) 6= Z perchè, per

esempio, φ(3) = 326∈ Z.

Teorema 5.4.7. Sia (G, ·) un gruppo.(1) Se H è un sottogruppo di G e φ(H) ⊆ H per ogni φ ∈ Aut(G), allora H

è un sottogruppo caratteristico di G.(2) Il centro Z(G) è un sottogruppo caratteristico di G.

Dimostrazione.(1) Poichè φ(H) ⊆ H per ogni φ ∈ Aut(G), da φ−1 ∈ Aut(G), si ha

φ−1(H) ⊆ H da cui φ(φ−1(H)) ⊆ φ(H), H ⊆ φ(H). Da φ(H) ⊆ He H ⊆ φ(H) si conclude H = φ(H) per ogni φ ∈ Aut(G) e pertanto Hè un sottogruppo caratteristico di G.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 105

(2) Per quanto dimostrato al punto (1) basta provare che per ogni φ ∈ Aut(G)si ha φ(Z(G)) ⊆ Z(G) ossia φ(c) ∈ Z(G) per ogni c ∈ Z(G). Siac ∈ Z(G) e sia g ∈ G; ricordando che φ è un automorfismo di G, esisteh ∈ G tale che g = φ(h) ; si ha φ(c) · g = φ(c) ·φ(h) = φ(c ·h) = φ(h · c) =φ(h) · φ(c) = g · φ(c) e quindi φ(c) ∈ Z(G) e perciò φ(Z(G)) ⊆ Z(G) equindi per (1) si ha che Z(G) è un sottogruppo caratteristico di G.

5. Azione di un gruppo su un insieme. Orbite. Stabilizzatori.

Definizione 5.5.1. Un’azione del gruppo (G, ·) sull’insieme Ω è un’applica-zione

∗ : G× Ω → Ω(g, x) → g ∗ x

tale che(1) 1 ∗ x = x per ogni x ∈ Ω (1 elemento neutro di G);(2) (g1 · g2) ∗ x = g1 ∗ (g2 ∗ x) per ogni x ∈ Ω e ogni g1, g2 ∈ G.

Quest’ultima proprietà non va confusa con la proprietà associativa che è definitasolo per elementi di uno stesso insieme, mentre g1, g2, x appartengono ad insiemidiversi (g1, g2 ∈ G, x ∈ Ω.)

L’azione definita in 5.5.1 viene detta più propriamente azione a sinistra. Inmodo analogo si può definire un’azione destra Ω×G→ Ω di G su Ω.

Dalla definizione di azione segue che ogni g ∈ G determina una applicazionebiunivoca ψg di Ω in sè data da ψg(x) = g ∗ x e quindi ψg appartiene al grupposimmetrico SΩ. Le condizioni (1) e (2) assicurano che l’inversa di ψg è ψg−1 e chel’applicazione ψ (da G al gruppo simmetrico SΩ) data da

ψ : G → SΩ

g → ψg

è un omomorfismo di gruppi. Si dice anche che il gruppo G agisce sull’insieme Ω(come gruppo di trasformazioni). Gli elementi di G si possono pertanto pensarecome permutazioni o trasformazioni dell’insieme Ω. Il Teorema di Cayley si puòdunque interpretare come azione del gruppo (G, ·) sull’insieme G.

Per ogni g ∈ G e ogni x ∈ Ω, indicheremo g ∗ x con xg o più semplicementecon g(x).

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 106

Definizione 5.5.2. Sia G un gruppo che agisce sull’insieme Ω. Si definisceorbita dell’elemento x ∈ Ω l’insieme

O(x) = y ∈ Ω | y = g(x) per qualche g ∈ G.

Se G è un gruppo che agisce sull’insieme Ω, la relazione

x R y ⇔ esiste g ∈ G | y = g(x)

definita in Ω è una relazione di equivalenza le cui classi sono le orbite e perciò leorbite formano una partizione di Ω.

Esempio 5.5.3.(1) Ogni gruppo G agisce su se stesso per coniugazione. Infatti basta conside-

rare Ω = G e g ∗ x = gxg−1. L’orbita di x ∈ Ω (= G) è costituita da tuttigli y ∈ G tali che y = gxg−1 per qualche g ∈ G. Le orbite sono quindi leclassi di coniugio.

(2) Il gruppo simmetrico Sn agisce in modo naturale sull’insieme Ω = 1, 2, . . . , n

σ ∗ x = σ(x) = il trasformato di x mediante la σ ∈ Sn.

Poichè in Sn ci sono tutte le permutazioni di Ω, si ha una sola orbita eper questo si dice che Sn opera transitivamente su Ω. Infatti, dato unelemento x ∈ Ω, un qualunque y ∈ Ω è in relazione con x perchè esistecertamente almeno una permutazione che manda x in y.

(3) Sia σ = (4 5)(1 3 6)(2 7 8) ∈ S8 e sia G =< σ > . Rispetto l’azionenaturale di G su Ω = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, rimangono determinate tre or-bite: 4, 5, 1, 3, 6, 2, 7, 8. In generale, se σ è una permutazione di Sn,considerato G =< σ > e Ω = 1, 2, . . . , n, l’insieme Ω sotto l’azionenaturale di Sn viene ripartito in orbite che corrispondono ai ciclidella permutazione σ.

(4) Sia H un sottogruppo di un gruppo (G, ·). Definiamo la seguente azionedel gruppo H su G:

∗ : H ×G→ G, h ∗ g = h · g per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G

ossia, come azione consideriamo l’ordinaria moltiplicazione in G. Si trat-ta effettivamente di un’azione perchè (h1h2)g = h1(h2g) per ogni g ∈G, per ogni h1, h2 ∈ H. Le orbite sono i laterali destri modulo H.

(5) Sia H un sottogruppo di un gruppo (G, ·). Definiamo la seguente azionedel gruppo H su G:

∗ : H ×G→ G, h ∗ g = g · h per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G.

A differenza di quanto dimostrato in (4), questa non è un’azione perchè(h1h2) ∗ g = gh1h2 6= h1 ∗ (h2 ∗ g) = gh2h1.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 107

Risulta invece un’azione la seguente applicazione:

h ∗ g = gh−1 (moltiplicazione in G) per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G.Le orbite sono i laterali sinistri modulo H.

(6) Il gruppo (Z,+) agisce sulla retta reale Ω = R per traslazione:

z ∗ r = z + r per ogni z ∈ Z, per ogni r ∈ R.

L’orbita di un elemento r ∈ R è costituita da tutti i traslati di r medianteinteri, ossia O(r) = r + z | z ∈ Z.

Un problema importante è quello di calcolare la cardinalità di ogni orbita, e, seil gruppo è finito e agisce su un insieme finito, determinare il numero delle orbite.Per fare questo occorrono alcune definizioni e risultati validi in generale.

Definizione 5.5.4. Sia G un gruppo che agisce su Ω. Si definisce stabiliz-zatore Gx di un elemento x ∈ Ω l’insieme degli elementi g ∈ G che fissano x,ossia

Gx = g ∈ G | g(x) = x.

Teorema 5.5.5. Sia G un gruppo che agisce su Ω. Per ogni x ∈ Ω si ha(1) lo stabilizzatore Gx è un sottogruppo di G;(2) Gg(x) = gGxg

−1, ossia gli stabilizzatori di elementi che si trovano nellastessa orbita sono coniugati.

Dimostrazione. Dimostriamo (1) - Dalla definizione di stabilizzatore seguebanalmente che Gx è un gruppo e pertanto sottogruppo di G. Dimostriamo (2) -Consideriamo due elementi x e y che stanno nella stessa orbita. Sia g ∈ G tale chey = g(x); risulta

g ∈ Gy ⇔ g(y) = y ⇔ g(g(x)) = g(x) ⇔

⇔ g−1gg(x) = x ⇔ g−1gg ∈ Gx ⇔ g ∈ gGxg−1

e pertanto rimane provato che Gg(x) = gGxg−1.

Si osservi che se lo stabilizzatore di un elemento x ∈ Ω è molto gran-de, significa che l’elemento x è fissato da molti elementi di G, quindi ha pochepossibilità di essere mosso ossia la sua orbita è piccola.

Teorema 5.5.6. Sia G un gruppo che agisce su Ω. La cardinalità dell’orbitaO(x) uguaglia l’indice di Gx in G: |O(x)| = |G|

|Gx| .

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 108

Dimostrazione. Sia L = laterali destri di Gx = Gxg | g ∈ G. Poichèl’indice di Gx uguaglia |L|, consideriamo l’applicazione

O(x) → Lg(x) → Gxg

−1

E’ un’applicazione ben posta e iniettiva, infatti

g1(x) = g2(x) ⇔ g−12 g1(x) = x ⇔ g−1

2 g1 ∈ Gx ⇔ Gxg−11 = Gxg

−12 .

Inoltre è suriettiva, infatti dato comunque un laterale destro Gxg, esso è immaginedell’elemento g−1(x) ∈ O(x). Risulta pertanto |O(x)| = |L|.

Corollario 5.5.7. Se G è un gruppo finito che opera su un insieme Ω, per ognix ∈ Ω risulta

|G| = |O(x)| · |Gx|.

Esempio 5.5.8. Consideriamo l’azione naturale di S4 su Ω = 1, 2, 3, 4.Consideriamo x = 1 ∈ Ω, si ha

O(1) = 1, 2, 3, 4, G1 ' S3

e pertanto |O(1)| = 4, |G1| = 6, da cui 4 · 6 = 24 = |S4|.

Esercizio 5.5.9. Sia Ω l’insieme di tutte le parole con 7 lettere. Si determiniquante sono le parole distinte che hanno due A, tre B e due C.Soluzione - Il gruppo S7 agisce su Ω permutando le lettere. Ad esempio

(1 3 5)(2 7)(ABCAGFE) = GEAACFB.

Le parole cercate sono quelle che stanno nell’orbita O(x) con

x = AABBBCC

perchè sono le parole ottenute con le permutazioni che ′′muovono′′x. Lo stabilizza-tore Gx è costituito da tutte le permutazioni σ ∈ S7 tali che

σ(AABBBCC) = AABBBCC.

Esso coincide pertanto con l’insieme di tutte le permutazioni che scambiano traloro solo le prime due posizioni, solo la terza, quarta e quinta posizione e solamentele ultime due. In tutto lo stabilizzatore ha 2!3!2! = 24 elementi e quindi

|O(x)| = |S7||Gx|

=7!

24= 210.

Concludiamo il paragrafo con il Teorema di Burnside (1852−1927) noto anchecome Teorema di Cauchy-Frobenius.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 109

Teorema 5.5.10 (Teorema di Burnside). Sia G un gruppo finito e sia Ω uninsieme finito su cui agisce G. Sia Fg = x ∈ Ω | g(x) = x, allora il numero t diorbite in Ω rispetto all’azione di G è dato da:

t =1

|G|∑g∈G

|Fg|.

Dimostrazione. Sia Γ l’insieme di tutte le coppie (g, x) tali che g(x) = x.Contiamo il numero di elementi di Γ in due modi diversi. Fissato g ∈ G, esistono|Fg| coppie che hanno g come primo elemento. Fissato x ∈ Ω, ci sono |Gx| coppieche hanno x come secondo elemento. Dunque si ha:

|Γ| =∑g∈G

|Fg| =∑x∈Ω

|Gx|.

Per il corollario 5.5.7 si ha |Gx| = |G| · 1|O(x)| e pertanto∑

x∈Ω

|Gx| = |G|∑x∈Ω

1

|O(x)|.

Considerata un’orbita O, se |O| = n allora tutti gli n elementi x dell’orbita Ocontribuiscono, nella sommatoria, per

1

|O|+

1

|O|+ · · ·+ 1

|O|︸ ︷︷ ︸n - volte

= |O| · 1

|O|= 1

e pertanto∑

x∈Ω1

|O(x)| rappresenta esattamente il numero t di orbite:

t =∑x∈Ω

1

|O(x)|.

L’uguaglianza ∑x∈Ω

|Gx| = |G|∑x∈Ω

1

|O(x)|

precedentemente ottenuta diventa dunque∑

x∈Ω |Gx| = |G| · t da cui

t =1

|G|∑x∈Ω

|Gx| =1

|G|∑g∈G

|Fg|.

Esempio 5.5.11.Sia Ω = 1, 2, 3, 4 e G sia il gruppo ciclico generato dalla permutazione (1 2 3 4).

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 110

Solo l’identità fissa elementi, ne fissa esattamente quattro. Allora il numero diorbite è

t =1

4· (4 + 0 + 0 + 0) = 1

Esempio 5.5.12.Sia Ω = 1, 2, 3, 4, 5 eG sia il gruppo ciclico generato dalla permutazione (1 2 3)(4 5).Il gruppo G ha due orbite, infatti

Elementi del gruppo Numero dei punti fissi(1)(2)(3)(4)(5) 5

(1 2 3)(4 5) 0(1 2 3) 2(4 5) 3

(1 3 2) 2(1 3 2)(4 5) 0

poichè |G| = 6, le orbite sono in tutto t = 16· (5 + 0 + 2 + 3 + 2 + 0) = 2.

D’altra parte, se si calcolano direttamente, le orbite risultano essere O(1) =1, 2, 3 e O(4) = 4, 5.

Esempio 5.5.13.Sia Ω = 1, 2, 3, 4 e D4 sia il gruppo diedrale di ordine 8. Il gruppo D4 haesattamente una orbita, infatti

Elementi del gruppo Numero dei punti fissi(1)(2)(3)(4) 4

(1 2 3 4) 0(1 3)(2 4) 0(1 4 3 2) 0(1 2)(3 4) 0(1 4)(2 3) 0

(2 4) 2(1 3) 2

e pertanto t = 4+2+28

= 1.

Esempio 5.5.14.Sia Ω = 1, 2, 3, 4 e H = id., (1 2)(3 4). Il gruppo H (sottogruppo del gruppodiedrale D4) ha esattamente due orbite, infatti.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 111

Elementi del gruppo Numero dei punti fissi(1)(2)(3)(4) 4(1 2)(3 4) 0

e pertanto t = 42

= 2. Le due orbite sono Ω(1) = Ω(2) = 1, 2 e Ω(3) = Ω(4) =3, 4.

Esercizio 5.5.15 (Applicazione del Teorema di Burnside).Determinare in quanti modi diversi, ossia distinguibili, si possono disporre attornoad una tavola circolare sei persone.Soluzione - Sia Ω l’insieme di tutte le possibili disposizioni delle sei persone. Ri-sulta |Ω| = 6!. Operando una rotazione delle persone si ottiene una disposizionedelle persone che non è distinguibile dalla precedente. Facciamo quindi agire su Ωil gruppo G delle possibili rotazioni (ciclico di ordine 6). Allora le disposizionidistinguibili non sono 6! = 720 ma sono tante quante le orbite distinte:infatti non siamo in grado di distinguere due disposizioni di persone che appar-tengono alla stessa orbita (perchè si tratta di due disposizioni ruotate attorno allatavola). Per cercare il numero delle orbite utilizziamo il teorema di Burnside. Siha |Fg| = 0 per ogni rotazione g diversa dalla rotazione identica, inoltre |Fid| = 6!(la rotazione identità fissa tutte le 6! disposizioni). Pertanto risulta:

t =1

|G|∑g∈G

|Fid.| =1

66! = 120.

Esercizio 5.5.16 (Applicazione del Teorema di Burnside).Contare i braccialetti distinguibili che si possono fare con cinque perle e tre corallicon la condizione che le perle e i coralli siano equidistanti .Soluzione - Poichè perle e coralli sono equidistanti, si può pensare che essi sianovertici di un ottagono regolare. Ogni configurazione è individuata non appena sisistemano i tre coralli e pertanto le configurazioni possibili sono

(83

)= 56 ma non

sono tutte distinguibili. Per determinare quali sono distinguibili occorre trovarequale gruppo agisce sull’insieme di tutte le configurazioni e contare solo le con-figurazioni che stanno in orbite diverse rispetto a questa azione. Il gruppo cheagisce è il gruppo diedrale delle simmetrie di un ottagono: infatti il braccialettopuò essere sia ruotato sia ribaltato (cosa che non poteva accadere nel caso dell’e-sercizio precedente). Si osservi però che il gruppo agisce sulle 56 configurazionie non sui vertici dell’ottagono. Per contare il numero delle orbite utilizzando ilteorema di Burnside, occorre conoscere il numero |Fg| di configurazioni fissate daogni elemento g ∈ D8.

• L’identità fissa tutte le 56 configurazioni.• Le rotazioni non fissano nessuna configurazione.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 112

• I quattro ribaltamenti rispetto agli assi del poligono che bisecano due latiopposti, non fissano nessuna configurazione perchè rispetto a uno di questiassi i tre coralli non possono essere metà da una parte e metà dall’altra(può solo essere 3− 0 oppure 2− 1).

• I quattro ribaltamenti rispetto agli assi del poligono che passano per duevertici opposti, fissano ciascuno 6 configurazioni (sono quelle che hannosui vertici dell’asse una perla e un corallo per avere la stessa distribuzionedi coralli da una parte all’altra dell’asse).

Per il Teorema di Burnside, il numero delle orbite è:

t =1

16(56 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0︸ ︷︷ ︸

fissate dalle rotazioni+ 0 + 0 + 0 + 0 + 6 + 6 + 6 + 6︸ ︷︷ ︸

fissate dai ribaltamenti= 5

e pertanto le configurazioni distinguibili sono cinque (Fig. 1).

Figura 1. Configurazioni distinguibili

Se si fossero considerate 13 perle e 3 coralli allora il numero di configurazionidistinguibili è 21. Infatti

(163

)= 560 configurazioni, |Fid| = 560, |Fs| = 14 per ogni

s simmetria con asse passante per due vertici e pertanto

t =1

32(560 + 8 · 14) = 21.

Esercizio 5.5.17 (Applicazione del Teorema di Burnside).Il Ministero della Difesa deve adottare un codice di tre cifre arabe scelte tra 0, I, 2, 3, 4,5, 6, 7, 8, 9. Questo codice viene scritto su un foglio che non contiene del testo o del-le figure o altri simboli. Quanti codici distinguibili vi sono?

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 113

Soluzione - Poichè il foglio contiene solo il codice, i codici distinguibili non sonotutte le possibili terne perchè ruotando di 180

il foglio, un codice come 9I8 nonpuò essere distinto da 8I6 (si suppone il numero 1 scritto come I) e pertanto 9I8e 8I6 li ′′conto′′ come un codice solo. Sia Ω l’insieme di tutti i possibili codiciossia di tutte le terne ottenibili con le dieci cifre arabe; si ha |Ω| = 103. I codi-ci ′′capovolgibili′′ sono 53 perchè sono tanti quanti quelli ottenibili con le cifre 0,I, 6, 8, 9. Consideriamo l’applicazione

g : Ω → Ω

α 7→ g(α) =

α se α non è capovolgibileα−1 se α è capovolgibile

dove con α−1 si intende il codice α letto capovolgendo il foglio.Dunque g fissa i codici non capovolgibili e trasforma ogni codice capovolgibile nelsuo ′′inverso′′ e pertanto g = g−1.Consideriamo il gruppo G = id., g e definiamo un’azione di G su Ω nel seguentemodo:

G× Ω → Ω(id., α) 7→ α per ogni α ∈ Ω

(g, α) 7→ αg =

α se α non è capovolgibileα−1 se α è capovolgibile

I codici distinguibili sono tanti quante le orbite di Ω sotto l’azione di G. Infattise α ∈ Ω non è capovolgibile la sua orbita è formata solo da α perchè id(α) =g(α) = α. Se α ∈ Ω è capovolgibile all’orbita di α appartengono α e α−1, male orbite determinate dalle parole capovolgibili non sono 53

2perchè ci sono parole

capovolgibili tali che α = α−1. Per contare il numero di orbite applichiamo ilteorema di Burnside, occorre determinare il numero di elementi di Ω fissati daciascun elemento di G.

• id. fissa 103 elementi di Ω.• g fissa tutti gli elementi non capovolgibili che sono (103− 53), inoltre fissa

gli elementi capovolgibili tali che α = α−1 ossia le terne aventi la cifracentrale scelta tra 0, I, 8 e come prima e terza cifra quelle di una delleseguenti coppie (0, 0), (I,I), (8, 8), (6, 9), (9, 6) e pertanto g fissa 15 codicicapovolgibili. In totale g fissa (103 − 53 + 15) elementi di Ω.

Per il teorema di Burnside il numero di orbite è1

|G|∑a∈G

|Fa| =1

2[103 + (103 − 53 + 15)] = 945

e pertanto si ottengono 945 codici distinguibili.NOTA- Se si volessero escludere tutti i codici capovolgibili tali che α 6= α−1

(come per esempio 9I8 - 8I6) allora occorre togliere da 945 il numero di orbite daessi determinate ossia 55 e pertanto i codici distinguibili rimangono 890.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 114

6. Esercizi relativi al Capitolo 5

Esercizio 5.6.1.Sia (Q∗, ·) il gruppo moltiplicativo dei numeri razionali e sia f : Q∗ → Q∗ definitada f(x) = |x| per ogni x ∈ Q∗. Dimostrare che f è un omomorfismo e si determi-nino Kerf , Imf , Q∗

Kerf.

Soluzione - Per le proprietà del valore assoluto si ha f(xy) = |xy| = |x||y| =f(x)f(y) per ogni x, y ∈ Q∗ e pertanto f è un omomorfismo. Risulta Kerf =1,−1 e Imf = Q∗

+. Il gruppo quoziente Q∗

Kerfè costituito dalle classi xKerf =

x,−x al variare di x in Q∗.

Esercizio 5.6.2.Sia (G, ·) un gruppo e sia ϕ : G→ G definita da ϕ(x) = x−1 per ogni x ∈ G.

(1) Portare l’esempio di un gruppo G per il quale ϕ è un automorfismo.(2) Portare l’esempio di un gruppo G per il quale ϕ non è un automorfismo.(3) Determinare una condizione necessaria e sufficiente affinchè ϕ sia un

automorfismo di G.Soluzione - L’applicazione ϕ è biettiva perchè in un gruppo esiste ed è unico

l’inverso di ogni elemento.(1) Sia G il gruppo quadrinomio (vedi 2.2.1). In questo gruppo ogni elemento

coincide con il proprio inverso e perciò si ha ϕ(x) = x−1 = x per ognix ∈ G e pertanto ϕ è un automorfismo perchè è l’identità.

(2) Sia G = S3 (vedi 2.1.15) il gruppo simmetrico su tre elementi. Consideratigli elementi a1 = (2 3), a3 = (1 2), a4 = (1 2 3), a5 = (1 3 2), si haϕ(a1a3) = (a1a3)

−1 = a5 mentre ϕ(a1)ϕ(a3) = a−11 a−1

3 = a4 e pertanto ϕnon è un automorfismo.

(3) Gli esempi portati in (1) e (2) suggeriscono che la condizione cercatapuò essere che G sia abeliano. Sia G abeliano, si ha ϕ(xy) = (xy)−1 =y−1x−1 = x−1y−1 = ϕ(x)ϕ(y) per ogni x, y ∈ G e pertanto ϕ è un auto-morfismo. Viceversa se ϕ è un automorfismo allora per ogni x, y ∈ G siha ϕ(xy) = (xy)−1 = y−1x−1 = ϕ(x)ϕ(y) = ϕ(yx) e poichè ϕ è biettiva(e quindi in particolare iniettiva), da ϕ(xy) = ϕ(yx) segue xy = yx epertanto G è abeliano. Rimane dimostrato che condizione necessaria esufficiente perchè ϕ sia un automorfismo è che G sia abeliano.

Esercizio 5.6.3.Siano (Q8, ·) il gruppo dei quaternioni e (D4, ·) il gruppo diedrico su quattro ele-menti. Stabilire se fra questi due gruppi di ordine 8 è possibile definire un isomor-fismo.Soluzione - Il gruppo dei quaternioni (vedi 2.2.7) ha un unico sottogruppo diordine due: H = 1,−1. Il gruppo D4 =< a, b >, o(a) = 4, o(b) = 2, ha cinque

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 115

sottogruppi di ordine due (vedi 2.2.6) : K1 = 1, a2, K2 = 1, β, K3 = 1, γ,K4 = 1, δ, K5 = 1, ε, con γ = aβ, δ = a2β, ε = a3β. Poichè un automorfismotrasforma un sottogruppo in un sottogruppo isomorfo (e quindi con lo stesso nu-mero di elementi), non può esistere nessun isomorfismo fra Q8 e D4 avendo questiun numero diverso di sottogruppi di ordine due.

Esercizio 5.6.4.Determinare un omomorfismo non banale di (S3, ) in (Z4,+). Discutere comeapplicare il primo teorema di omomorfismo.Soluzione - Poichè il nucleo di un omomorfismo è un sottogruppo normale, occorreindividuare i sottogruppi normali non banali del gruppo simmetrico S3. Questogruppo ha un solo sottogruppo normale non banale: A3. L’omomorfismo f cercatodeve avere nucleo A3 e quindi deve essere f(α) = [0] per ogni α ∈ A3 e banalmenteper ogni α, β ∈ A3 risulta f(α β) = f(α) + f(β) . Affinchè sia f(α β) = f(α) +f(β) anche per ogni α, β ∈ S3 − A3 deve essere f(α) = [2] per ogni α ∈ S3 − A3.Dunque l’applicazione f : S3 → Z4 definita da f(α) = [0] se α è di classe parie f(α) = [2] se α è di classe dispari è un omomorfismo non banale di nucleoA3. Per applicare il primo teorema di omomorfismo occorre che l’omomorfismof sia suriettivo e perciò occorre considerare f : S3 → H con H = [0], [2] ossiaf : S3 → Z2 e risulta S3

A3≈ Z2.

Esercizio 5.6.5.Siano A e B due gruppi finiti di ordine primo fra loro. Dimostrare che l’unicoomomorfismo di A in B è quello banale.Soluzione - Sia |A| = m, |B| = n , con MCD(m,n) = 1 e sia ϕ un omomorfismodi A in B. Se |Kerϕ| = r, per il teorema di Lagrange si ha m = rs (ossia s dividem) e s = | A

Kerϕ|. Per il primo teorema di omomorfismo si ha che Imϕ e A

Kerϕsono

isomorfi e perciò |Imϕ| = | AKerϕ

| = s, ma Imϕ è sottogruppo di B e pertanto per ilteorema di Lagrange s divide n. Per l’ipotesi MCD(m,n) = 1 risulta allora s = 1da cui segue r = m ossia Kerϕ = A e pertanto ϕ è l’omomorfismo banale.

Si noti che non vale la proprietà inversa perchè, per esempio, fra Q8 e D4 vi èsolo l’isomorfismo identità ma MCD(|Q8|, |D4|) = 8 6= 1.

Esercizio 5.6.6.Sia (G, ·) un gruppo finito. Dimostrare che l’applicazione f : G → G tale chef(x) = x2 è un automorfismo di G se e solo se G è abeliano e non contieneelementi x 6= 1G tali che x2 = 1G.Soluzione - Sia f un automorfismo di G. Per ogni x, y ∈ G risulta f(x)f(y) =f(xy), x2y2 = (xy)2, xxyy = xyxy da cui xy = yx e pertanto G è abeliano. Inoltrese x ∈ G, x2 = 1G allora f(x) = x2 = 1G da cui x = 1G perchè f biettivo e unomomorfismo manda elemento neutro in elemento neutro.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 116

Viceversa; f(xy) = (xy)2 = xyxy = (per l’abelianità di G ) = xxyy = x2y2 =f(x)f(y) e pertanto f è un omomorfismo. Dimostriamo che l’applicazione f èiniettiva: se f(x) = f(y) allora x2 = y2, x−2y2 = 1G, x

−1x−1yy = 1G e perl’abelianità di G si ha x−1yx−1y = 1G, (x−1y)2 = 1G, x

−1y = 1G e perciò x = y.Poichè G è finito e f è iniettiva, si ha f suriettiva e pertanto f è un automorfismo.

Esercizio 5.6.7.Sia (C∗, ·) il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi. Fissato un numero natu-rale n ∈ N∗, verificare che l’applicazione f : C∗ → C∗ definita da f(x) = xn è unomomorfismo e determinarne il nucleo e l’immagine.Soluzione - L’applicazione è un omomorfismo perchè f(xy) = (xy)n = xnyn =f(x)f(y) per ogni x, y ∈ C∗.

Poichè in C∗ esiste la radice n-esima di ogni elemento, si ha Im f = C∗.Infine Kerf = x ∈ C∗ | f(x) = xn = 1 ossia è l’insieme delle radici n-sime

dell’unità. Si osservi che per il primo teorema di omomorfismo si ha che C∗

Kerfe C∗

sono isomorfi.

Esercizio 5.6.8.Determinare il centro del gruppo (G, ·) con

G = (a bc d

)| a, b, c, d ∈ R, ad − bc 6= 0 e l’operazione di prodotto riga per

colonna.Soluzione - Per appartenere al centro, una matrice di G deve commutare in

particolare con ogni matrice del tipo(x 00 1

)per ogni x 6= 0. Si ha(

a bc d

) (x 00 1

)=

(ax bcx d

),

(x 00 1

) (a bc d

)=

(xa xbc d

)e

perciò deve essere b = c = 0. Affinchè una matrice del tipo(a 00 d

)stia nel

centro, deve commutare con la matrice(

0 11 0

)e perciò deve essere a = d.

Poichè per ogni x ∈ R∗ risulta(a bc d

) (x 00 x

)=

(x 00 x

) (a bc d

), si

conclude che Z(G) = (x 00 x

)| x ∈ R∗.

Esercizio 5.6.9.Dimostrare che se H è l’unico sottogruppo di ordine 2 di un gruppo (G, ·) alloraH è contenuto nel centro di G.Soluzione - Sia H = 1, h, ciò significa che h è l’unico elemento di G di periodo2. Per ogni x ∈ G risulta x−1hx · x−1hx = 1 ossia x−1hx elemento di periodo 2 eperciò x−1hx = h da cui hx = xh per ogni x ∈ G e pertanto H ⊆ Z(G).

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 117

Esercizio 5.6.10.Sia |E| ≥ 3; dimostrare che il centro di SymE è il gruppo banale.Soluzione - Sia α ∈ SymE. Se α 6= id esistono a, b ∈ E tali che α(a) = b 6= a; siac ∈ E, c 6= a, c 6= b e sia β ∈ SymE tale che β(b) = c, β(c) = b, β(x) = x per ognix ∈ E−b, c; risulta αβ 6= βα perchè αβ(a) = α(a) = b mentre βα(a) = β(b) = ce pertanto α 6∈ Z(SymE). Si conclude Z(SymE) = id.

Esercizio 5.6.11.Determinare il centro del gruppo diedrico Dn, n ≥ 3.Soluzione - Ricordiamo che Dn = a1, a2, ..., an = 1, ba1, ba2, ..., ban = b cono(a) = n, o(b) = 2, aib = ba−i, i = 1, 2, ..., n. Se un elemento del tipo bai ∈ Z(Dn)allora (bai)a = a(bai) ossia deve essere bai+1 = bai−1 perchè a(bai) = (ab)ai =(ba−1)ai = bai−1. Ne segue che bai ∈ Z(Dn) se e solo se ai+1 = ai−1, a = a−1,ossia a di periodo 2, ma a ha periodo n ≥ 3 e pertanto per ogni i = 1, 2, ..., n si habai 6∈ Z(Dn). Se un elemento del tipo ai ∈ Z(Dn) allora aib = bai ossia ba−i = bai

ossia a−i = ai ossia a2i = 1 = an ossia ai deve avere periodo 2.Se n è dispari nessun elemento del tipo ai può avere periodo 2 perchè in Dn il

periodo di ai deve dividere n e pertanto Z(Dn) = 1.Se n è pari, l’unico elemento del tipo ai di periodo 2 è l’elemento a

n2 e pertanto

Z(Dn) = 1, an2 .

Esercizio 5.6.12.Sia (Q8, ·) il gruppo dei quaternioni. Determinare

(1) Il centro Z(Q8) del gruppo.(2) Il gruppo quoziente Q8

Z(Q8).

(3) Il gruppo I(Q8) degli automorfismi interni e verificare l’isomorfismo Q8

Z(Q8)≈

I(Q8).Soluzione - (1) Ricordiamo che Q8 = ±1,±i,±j,±k con i2 = j2 = k2 = −1,

ij = k, jk = i, ki = j. Il solo elemento diverso da 1 che commuta con ogni altroelemento di Q8 è l’elemento −1 e pertanto Z(Q8) = 1,−1. Questo assicura ancheche H = 1,−1 è sottogruppo normale in Q8.

(2) Sia H = Z(Q8), come dimostrato in (1), si ha H = 1,−1 e pertanto|Q8

H| = 8

2= 4 e quindi Q8

H≈ C4 oppure Q8

H≈ D2 ≈ K ( gruppo quadrinomio).

Per stabilire quale gruppo è, costruiamo gli elementi di Q8

H. Gli elementi di Q8

H

sono H = 1,−1, iH = i,−i, jH = j,−j, kH = k,−k e l’operazioneche rende gruppo Q8

Hè xH · yH = xyH. Calcoliamo il periodo degli elementi di

Q8

H: per ogni x ∈ Q8 − 1 risulta xH · xH = H e dunque tutti gli elementi

diversi dall’elemento neutro hanno periodo 2 e pertanto si conclude Q8

H≈ D2 ≈ K

(gruppo quadrinomio).(3) Sia φa l’elemento di I(Q8) associato all’elemento a ∈ Q8. Si ha φ1 = φ−1 =

identità, φi = φ−i perchè risulta φi(1) = 1 = φ−i(1), φi(−1) = −1 = φ−i(−1),

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 118

φi(i) = i = φ−i(i), φi(j) = −j = φ−i(j), φi(k) = −k = φ−i(k) ; analogamente siha che φj = φ−j e φk = φ−k e pertanto I(Q8) = φ1, φi, φj, φk.

Poichè Z(Q8) = 1,−1 si ha Q8

Z(Q8)= 1,−1, i,−i, j,−j, k,−k e

l’applicazione f : Q8

Z(Q8)→ I(Q8) definita da f(a,−a) = φa per ogni a ∈

1, i, j, k è un isomorfismo.

Esercizio 5.6.13.Determinare il gruppo degli automorfismi del gruppo (Z12,+) e studiarne la strut-tura .Soluzione - Osserviamo che un automorfismo f di un gruppo ciclico è completa-mente individuato dall’immagine di un generatore, infatti se G =< x > e f(x) = yallora per ogni xh ∈ G risulta f(xh) = (f(x))h = yh ossia y = f(x) è un generatoredi Imf ; ma un automorfismo è suriettivo e pertanto G = Imf =< y >.

Per quanto sopra osservato, per determinare gli automorfismi di Z12 bastaindividuare i generatori e considerare le applicazioni che associano ad un fissatogeneratore un generatore. Poichè Z12 =< 1 >=< 5 >=< 7 >=< 11 >, gliautomorfismi richiesti sono i seguenti quattro

f1 = id : [1] → [1], f2 : [1] → [5], f3 : [1] → [7], f4 : [1] → [11].

Per determinare la struttura di Aut(Z12) = f1, f2, f3, f4 consideriamo il pe-riodo degli elementi, risulta f2 f2 = f1, f3 f3 = f1, f4 f4 = f1 e pertanto ilgruppo Aut(Z12) è isomorfo al gruppo quadrinomio.

Esercizio 5.6.14.Dimostrare che se un gruppo finito (G, ·) possiede due sole classi di elementi co-niugati allora |G| = 2 .Soluzione - Poichè la classe coniugata dell’elemento neutro di G è E = 1G,in G le due classi di elementi coniugati sono E e K = G − 1G e pertanto sea 6= 1G la classe coniugata di a è K con |K| = n − 1. Ricordiamo che il numerodegli elementi coniugati di a ∈ G uguaglia l’indice del centralizzante C(a) (vediteorema 5.3.7) e perciò |K| divide |G| ossia (n− 1)|n, deve allora essere n− 1 = 1da cui n = 2.

Esercizio 5.6.15.Sia (G, ) il gruppo delle applicazioni fa,b : R → R definite da fa,b(x) = ax+ b cona, b ∈ R, a 6= 0. Si verifichi che l’applicazione ϕ : G → R∗ definita da ϕ(fa,b) = aè un omomorfismo. Si determinino Kerϕ e Imϕ e si applichi il primo teorema diomomorfismo per gruppi.Soluzione - L’applicazione ϕ è un omomorfismo perchè ϕ(fa,b fc,d) = ϕ(fac,ad+b) =ac = ϕ(fa,b) ϕ(fc,d) per ogni fa,b, fc,d ∈ G. Risulta Kerϕ = f1,b(x) = x+ b, b ∈ Re Imϕ = R∗. Applicando il primo teorema di omomorfismo si ottiene l’isomorfismoϕ∗ : G

Kerϕ→ R definito da ϕ∗([fa,b]) = a.

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Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 119

Esercizio 5.6.16.Dimostrare che il gruppo simmetrico S3 è isomorfo al gruppo Aut(S3) dei suoiautomorfismi.Soluzione - Siano a, b, c i tre elementi di periodo 2 (trasposizioni) di S3 e d, d−1 idue elementi di periodo 3. Se α ∈ Aut(S3), α permuta i tre elementi di periodo 2,e l’applicazione ϕ : Aut(S3) → S3 che associa ad α la permutazione su tre elementicosì ottenuta, è un omomorfismo. Se α e β inducono la stessa permutazione, alloraαβ−1 è l’identità su a, b, c ossia su S3 che è generato dalle trasposizioni e pertantoα = β eKerϕ = 1. Ne segue che Aut(S3) è isomorfo ad un sottogruppo di S3, maessendo Z(S3) = 1 ( si ricordi che S3 ≈ D3 ed essendo 3 dispari è Z(D3) = id),S3 ha sei automorfismi interni e perciò Aut(S3) ≈ S3. Da quanto dimostratorisulta che tutti gli automorfismi di S3 sono automorfismi interni, d’altra parte ciòsi deduce anche dal primo teorema di omomorfismo perchè essendo Z(S3) = 1si ha S3 ≈ S3

Z(S3)≈ Int(S3), ciò vale per ogni Sn, n 6= 2, 6.

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CAPITOLO 6

Prodotto Diretto di gruppi

In questo capitolo si illustra e si studia un metodo per costruire, sotto certe ipo-tesi, un gruppo a partire da gruppi dati. Lo stesso metodo permette di ′′scompor-re ′′ un gruppo abeliano nel prodotto di suoi sottogruppi e di caratterizzare tutti igruppi abeliani finiti.

1. Definizioni e Proprietà

Considerati due gruppi (A, ·), (B, ∗), nel prodotto cartesianoA×B = (a, b) | a ∈A, b ∈ B si può definire la seguente operazione “”:

(a, b) (c, d) = (a · c, b ∗ d) , per ogni a, c ∈ A e per ogni b, d ∈ B

Si verifica facilmente che questa operazione:(1) è associativa;(2) ammette elemento neutro: (1A, 1B);(3) ogni elemento ammette inverso: (a, b)−1 = (a−1, b−1).

Rispetto a questa operazione, A × B risulta dunque un gruppo detto prodottodiretto esterno di A e B.

Esempio 6.1.1.(1) Siano A = (Z2,+) e B = (Z3,+). Il prodotto esterno è dato da

Z2 × Z3 = ([0], [0]), ([0], [1]), ([0], [2]), ([1], [0]), ([1], [1]), ([1], [2]).

Il periodo degli elementi di Z2 × Z3 è rispettivamente 1, 3, 3, 2, 6, 6. Si èottenuto un gruppo ciclico di ordine 6 e pertanto Z2 × Z3 ' Z6.

(2) Siano A = Z2 e B = Z4. Il prodotto esterno è costituito da 8 elementi,poichè non esiste nessun elemento di periodo 8, non si tratta del gruppociclico di ordine 8 e pertanto Z2 × Z4 Z8.

120

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 121

Il gruppo (A×B, ) ha due sottogruppi ′′speciali′′:A = (a, 1B) | a ∈ A e B = (1A, b) | b ∈ B.A risulta un sottogruppo di A×B isomorfo al gruppo A nell’isomorfismo:

φ : A 7−→ Aa 7−→ (a, 1B)

Analogamente B risulta un sottogruppo di A × B isomorfo al gruppo B nell’iso-morfismo:

ψ : B 7−→ Bb 7−→ (1A, b)

Quanto ora osservato ci assicura che se il gruppo G è prodotto diretto esternodei gruppi A e B, allora G si può sempre considerare (a meno di isomorfismi)prodotto diretto di due suoi sottogruppi. Per questo motivo la trattazione di questoargomento è limitata al caso di gruppo prodotto diretto di suoi sottogruppi.

Prima di dare la definizione di gruppo come prodotto diretto di suoi sottogrup-pi, osserviamo che, per come definiti, i sottogruppi A e B sono tali che:

(1) A / (A×B), B / (A×B) ;(2) A ∩B = (1A, 1B) ;(3) (a, b) = (a, 1B) (1A, b) per ogni (a, b) ∈ A×B.

Queste proprietà di A e B suggeriscono la seguente definizione.

Definizione 6.1.2. Un gruppo (G, ·) si dice prodotto diretto (interno) deisuoi sottogruppi A1 e A2, e si scrive G = A1 × A2, se:

(1) A1 / G , A2 / G;(2) A1 ∩ A2 =< 1 >;(3) G = A1A2.

Nota 6.1.3. Nella definizione ora posta, la (2) e la (3) possono essere sostituitedall’unica condizione

(I) Ogni elemento di G si scrive in uno ed un sol modo come prodotto di unelemento di A1 per un elemento di A2.

Infatti se valgono (2) e (3) allora è unico il modo di esprimere g ∈ G comeg = a1a2 con a1 ∈ A1 e a2 ∈ A2 perchè se g = a1a2 e g = b1b2 si ha a1a2 = b1b2 dacui b−1

1 a1 = b2a−12 con b−1

1 a1 ∈ A1 e b2a−12 ∈ A2 e perciò b−1

1 a1 = b2a−12 ∈ A1 ∩ A2

e per (2) si ha b−11 a1 = 1 e b2a−1

2 = 1 e pertanto a1 = b1 e a2 = b2.Viceversa se vale (I) allora vale (3) e vale (2) perchè se esistesse x ∈ A1 ∩ A2

con x 6= 1, l’elemento x ∈ G si potrebbe scrivere in due modi diversi come prodotto

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 122

di un elemento di A1 per un elemento di A2, infatti si avrebbe x = 1A1 · x ( con1A1 ∈ A1, x ∈ A2) ma anche x = x · 1A2 ( con x ∈ A1, 1A2 ∈ A2) contro l’ipotesi(I). La (3) è immediata conseguenza di (I).

Esempio 6.1.4.Sia C6 = a0, a1, a2, a3, a4, a5 il gruppo ciclico di ordine 6 e siano C2 = a0, a3e C3 = a0, a2, a4 i suoi sottogruppi di ordine rispettivamente 2 e 3. RisultaC6 = C2 × C3.

La definizione di G prodotto diretto di due suoi sottogruppi si estende in modonaturale al caso di un numero finito di sottogruppi.

Definizione 6.1.5. Un gruppo (G, ·) si dice prodotto diretto dei suoi sotto-gruppi A1, A2, . . . , An, e si scrive G = A1 × A2 × . . .× An, se:

(1) Ai / G, i = 1, 2, . . . , n;(2) Ar ∩ (

∏i6=r1≤i≤nAi) =< 1 > per ogni r, 1 ≤ r ≤ n;

(3) G =∏

1≤i≤nAi.

Nota 6.1.6. Analogamente a quanto dimostrato per il caso n = 2, valgono leseguenti proprietà

(1) Nella definizione 6.1.5 le condizioni (2) e (3) sono equivalenti all’unicacondizionePer ogni g ∈ G sono univocamente determinati gli elementi ai ∈ Ai,i = 1, 2, ..., n, tali che g = a1a2a3...an.

(2) Se (G, ·) è il prodotto diretto dei gruppi G1, G2, ..., Gn allora G è il pro-dotto diretto di n suoi sottogruppi G1, G2, ..., Gn isomorfi nell’ordine aG1, G2, ..., Gn.

Teorema 6.1.7. Se il gruppo (G, ·) è prodotto diretto di suoi sottogruppi Ai,i = 1, ..., n, allora valgono le seguenti proprietà.

(1) Ai ∩ Aj =< 1 > per ogni i 6= j;(2) gli elementi di Ai commutano con gli elementi di Aj, comunque siano

scelti i, j = 1, . . . , n, i 6= j;(3) comunque presi Ai1 , Ai2 , . . . , Aih ∈ A1, A2, . . . , An, l’insieme Ai1 · Ai2 ·

. . . · Aih è un sottogruppo di G;(4) Ai1 ∩ (Ai2 · Ai3 · . . . · Aih) =< 1 > con 1 ≤ i1, i2, . . . , ih ≤ n.

Dimostrazione. Sia G = A1 × A2 × ...An prodotto diretto.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 123

(1) Per la (1) della nota precedente, se x ∈ Ai ∩ Aj con i 6= j e x 6= 1 siha una contraddizione perchè in tal caso x si esprimerebbe in due modidiversi come prodotto degli elementi Ai , i = 1, 2, ..., n. L’elemento x sipuò infatti considerare prodotto di fattori tutti uguali a 1 tranne il fattorei-esimo uguale a x. Ma x si può anche considerare prodotto di fattori tuttiuguali a 1 tranne il fattore j-esimo uguale a x.

(2) Sia i 6= j e sia x ∈ Ai, y ∈ Aj. Essendo Ai e Aj normali in G, si hay−1xy ∈ Ai, x−1y−1x ∈ Aj da cui x−1 · y−1xy ∈ Ai e x−1y−1x · y ∈ Aj.Poichè Ai ∩ Aj =< 1 >, deve essere x−1y−1xy = 1 e pertanto xy = yx.

(3) Per (2) si ha ArAs = AsAr per ogni r 6= s, inoltre è AiAi = Ai perogni i, possiamo quindi considerare il prodotto Ai1 · Ai2 · . . . · Aih comeil prodotto di k fattori a due a due distinti: Ar1 · Ar2 · . . . · Ark . DaAr1Ar2 = Ar2Ar1 segue che Ar1Ar2 è un sottogruppo diG, sia B1 = Ar1Ar2 .Risulta B1Ar3 = Ar3B1 e quindi B1Ar3 = Ar1Ar2Ar3 è un sottogruppo diG. Così procedendo si ha la tesi.

(4) Sia ai1 ∈ Ai1 ∩ (Ai2 · Ai3 · . . . · Aih); poichè ai1 ∈ Ai1 esso si può scriverecome prodotto di n fattori uguali a 1 tranne il fattore i1-esimo uguale adai1 .

Per la commutatività dei fattori Ai possiamo scrivere Ai2 · . . . · Aih =Aj2 ·Aj3 · . . . ·Ajh con j2 < j3 < . . . < jh. Da ai1 ∈ Ai2 ·Ai3 · . . . ·Aih ossiaai1 ∈ Aj2 · Aj3 · . . . · Ajh si può scrivere ai1 = aj2aj3 ...ajh come prodottodi n fattori dei quali quello di posto jp è ajp ∈ Ajp , p = 2, . . . , h, mentretutti gli altri n− (h− 1) fattori sono 1.

Poichè ai1si può esprimere in un solo modo come prodotto di elementidi G = A1 × A2 × . . .× An, deve essere ai1 = 1.

Esempio 6.1.8.(1) Il gruppo (Z,+) non può essere prodotto diretto di due suoi sottogruppi

non banali perchè l’intersezione di due suoi qualunque sottogruppi non siriduce mai al solo elemento neutro (aZ ∩ bZ = mZ con m = m.c.m.(a, b)).

(2) Il gruppo simmetrico S3 non può essere prodotto diretto perchè possiedeun solo sottogruppo normale non banale (vedi anche Esercizio 6.2.3).

(3) Il gruppo diedrico D4 non può essere prodotto diretto perchè due qualun-que sottogruppi normali non banali di D4 hanno intersezione che non siriduce al solo elemento neutro perchè contiene sempre l’elemento a2.

(4) Il gruppo Z12 è isomorfo al prodotto diretto Z3×Z4. Infatti i due sottogrup-pi H = [0], [4], [8] e K = [0], [3], [6], [9] sono (ovviamente) normali,l’ intersezione è il solo elemento neutro [0] e sono tali che Z12 = H +K.Inoltre, H ∼= Z3 e K ∼= Z4.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 124

Teorema 6.1.9. Siano Cm, Cn, Cmn i gruppi ciclici di ordine rispettivamentem,n,mn ∈ N∗. Si ha Cmn = Cm × Cn se e solo se m ed n sono primi fra loro.

Dimostrazione. Siano Cm =< x >, Cn =< y > e Cm × Cn = (a, b) | a ∈Cm, b ∈ Cn. L’elemento (x, y) ∈ Cm × Cn ha periodo il m.c.m.(m,n), pertantoCm×Cn è ciclico generato da (x, y) se e solo se m.c.m.(m,n) = mn ossia se e solose m ed n sono primi fra loro. Si conclude che Cmn = Cm × Cn se e solo se m edn sono primi fra loro.

Il teorema ora dimostrato si generalizza nel seguente corollario.

Corollario 6.1.10. Siano n1, n2, ..., nr ∈ N∗ e Cniil gruppo ciclico di ordine

ni. Risulta Cn1n2...nr isomorfo al prodotto diretto Cn1 × Cn2 × ...× Cnr se e solo sen1, n2, ..., nr sono a due a due primi tra loro.

Esempio 6.1.11.(1) C30 ' C2 × C3 × C5.(2) C24 C4×C6, anzi C4×C6 non è nemmeno ciclico perchè se C4 =< x >

e C6 =< y > si ha che C4 ×C6 possiede due diversi sottogruppi di ordinedue: S = (1, 1), (x2, 1) e T = (1, 1), (1, y3) e pertanto C4 × C6 nonpuò essere ciclico.

2. Struttura dei gruppi abeliani finiti.

Per descrivere la struttura dei gruppi abeliani finiti, iniziamo con il dimostrare ilTeorema di Frobenius-Stickelberg che caratterizza i gruppi abeliani finiti di ordinela potenza di un numero primo.

Teorema 6.2.1. Sia (G, ·) un gruppo abeliano, |G| = pn, p primo. Allora Gè prodotto diretto di gruppi ciclici.

Dimostrazione. Procediamo per induzione su n. Per n = 1 il gruppo G èciclico. Supponiamo il teorema vero per r < n e dimostriamo che vale per n. SiaG non ciclico e n > 1. Sia b ∈ G con b elemento fra quelli di periodo massimo esia o(b) = pk, k < n. Sia B =< b >, |B| = pk, e sia C il più grande sottogruppo diG tale che B ∩ C = 1; dimostriamo che G = BC.Sia x ∈ G con o(x) = ps, 0 ≤ s ≤ k; per dimostrare che x ∈ BC procediamoper induzione su s. Per s = 0 si ha x = 1G ∈ BC; supponiamo s ≥ 1 e che,per l’ipotesi di induzione, tutti gli elementi di G di periodo ps−1 appartengano

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 125

a BC. Considerato y = xp si ha o(y) = o(xp) = ps−1 e perciò per l’ipotesiinduttiva è y ∈ BC ossia esistono bm ∈ B e c ∈ C tali che y = bmc da cuiyp

s−1= (bmc)p

s−1= 1G, bmps−1

cps−1

= 1G e quindi bmps−1 ∈ C perchè è l’elementoinverso di cps−1 , anzi bmps−1 ∈ B ∩ C = 1G da cui bmps−1

= 1G e per l’ipotesi dimassimalità fatta sul periodo dell’elemento b, si ha che pk divide mps−1 e quindi pdivide m perchè k > s−1; sia m = pm1 con m1 ∈ Z. Allora y = xp = bpm1c e postoa = x(bm1)−1 si ha ap = c ∈ C. Se a ∈ C allora x = bm1a ∈ BC. Se a /∈ C allora ilsottogruppo C1 =< C, a > contiene propriamente C e perciò C ∩ C1 6= 1G perla scelta di massimalità fatta su C. Sia b1 ∈ B ∩ C1, b1 6= 1; allora esistono c ∈ Ce n ∈ Z tali che b1 = can. Se p divide n sia n = n1p con n1 ∈ Z; allora (ricordandoche ap ∈ C) an = an1p ∈ C da cui b1 ∈ B ∩ C = 1G in contraddizione conb1 6= 1G. Dunque p non può dividere n ossia MCD(n, p) = 1 e poichè ap, an ∈ C siha ap, an ∈ BC e per il teorema 2.3.10 risulta a ∈ BC e pertanto x = abm1 ∈ BC.Rimane così dimostrato che G = BC.

Poichè B C G, C C G, B ∩ C = 1G, G = BC, si ha G = B × C (prodottodiretto).Poichè |C| = |G|

|B| = pn−k, per l’ipotesi induttiva su n, il gruppo C è prodotto direttodi gruppi ciclici ed essendo B ciclico si conclude che G è prodotto diretto di gruppiciclici.

Teorema 6.2.2. Sia (G, ·) un gruppo abeliano finito di ordine m con mdiverso dalla potenza di un numero primo. Allora G è prodotto diretto di suoisottogruppi.

Dimostrazione. Sia m = pr11 pr22 · . . . · prnn con n ≥ 2, ri > 0 e pi numeri primi

distinti. Per il Teorema di Sylow, per ogni prii esiste in G un sottogruppo Ai diordine prii .

Si ha Ai/G per ogni i = 1, 2, . . . , n perchè G è abeliano, inoltre vale la (2) delladefinizione 6.1.5 perchè gli ordini dei gruppi Ar e (

∏i6=r1≤i≤nAi) sono primi tra loro;

da questo segue che se a1a2 . . . an = b1b2 . . . bn con ai, bi ∈ Ai, i = 1, . . . , n, alloraai = bi per ogni i = 1, 2, ..., n e perciò il numero degli elementi di A1A2 . . . An èpr11 p

r22 . . . prnn e quindi vale anche la (3) della definizione 6.1.5.

Teorema 6.2.3. Ogni gruppo abeliano finito è isomorfo al prodotto direttodi gruppi ciclici.

Dimostrazione. Segue dai teoremi 6.2.1 e 6.2.2; infatti se G è abeliano finitocon |G| = n = pa1

1 pa22 ...p

att alloraG è isomorfo al prodotto diretto Ap1×Ap2×...×Apt

con |Api| = pai

i , i = 1, 2, ..., t. Ma ogni Apiè prodotto diretto di gruppi ciclici e

pertanto segue la tesi.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 126

Sia n ∈ N∗, n = pa11 p

a22 · · · pat

t . Per contare quanti sono i gruppi abeliani G diordine n, posto G = Ap1 × Ap2 × · · · × Apt con |Api

| = paii , i = 1, . . . , t, occorre

vedere in quanti modi si riesce a fattorizzare ogni Apicome prodotto di gruppi

ciclici (di ordine pri ) ossia si deve contare in quanti modi si può scrivereApi

= Zp

i1i× Z

pi2i× · · · × Zpis

i. Deve essere

|Api| = pai

i = pi1i pi2i · · · p

isi = pi1+i2+···is

i

e pertanto occorre contare in quanti modi si può scrivere ai come somma di i1 +i2 + · · ·+ is. Questo numero è il numero τ(ai) di partizioni di ai. Ne segue che perdeterminare il numero di gruppi non isomorfi di un dato ordine n, basta procederenel modo seguente:

(1) si fattorizza n = pa11 p

a22 · · · pat

t ;(2) si determina il numero τ(ai) di partizioni di ai, per ogni i = 1, . . . , t;(3) i gruppi abeliani non isomorfi di ordine n sono τ(a1)τ(a2) · · · τ(at).

Esercizio 6.2.4.Descrivere tutti i gruppi abeliani di ordine 48.Soluzione - Poichè 48 = 24 · 31, ogni gruppo abeliano G con |G| = 48 risultascomposto nel prodotto diretto G = A2 × A3 con |A2| = 24, |A3| = 31. Tuttii possibili gruppi G si ottengono considerando tutte le possibili fattorizzazionidi A2 e di A3. Poichè τ(4) = 5 le possibili fattorizzazioni di A2 sono cinque:Z24 ; Z23 × Z21 ; Z22 × Z22 ; Z22 × Z21 × Z21 ; Z21 × Z21 × Z21 × Z21 . Poichè τ(1) = 1per A3 si ha una sola possibilità: Z3. Tutti i possibili gruppi abeliani G di ordine48 sono pertanto 5 · 1 = 5 e precisamente

• G ≈ Z16 × Z3 ≈ Z48;• G ≈ Z8 × Z2 × Z3;• G ≈ Z4 × Z4 × Z3;• G ≈ Z4 × Z2 × Z2 × Z3;• G ≈ Z2 × Z2 × Z2 × Z2 × Z3.

Esercizio 6.2.5.Determinare quanti sono i gruppi abeliani G di ordine 1620 ed elencarli.Soluzione - Poichè 1620 = 22 · 34 · 5, ogni G con |G| = 1620 risulta scomposto nelprodotto diretto

G = A2 × A3 × A5 con |A2| = 22, |A3| = 34, |A5| = 5

e τ(a1) = τ(2) = 2, τ(a2) = τ(4) = 5, τ(a3) = τ(1) = 1.

Quindi il numero totale di gruppi abeliani di ordine 1620 è τ(2)τ(4)τ(1) = 2× 5×1 = 10.Le diverse fattorizzazione di A2 sono: Z22 , Z21 × Z21 .Le diverse fattorizzazione di A3 sono: Z34 , Z33 × Z3, Z32 × Z32 , Z32 × Z31 × Z31 ,

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 127

Z31 × Z31 × Z31 × Z31 .Per A5 si ha solo la possibilità Z51 .

Ogni gruppo abeliano G di ordine 1620 è quindi isomorfo ad uno dei seguentidieci gruppi (non isomorfi fra di loro):

A2 × A3 × A5 G, |G| = 1620

Z4 × Z81 × Z5 G ≈ Z4 × Z81 × Z5 = Z1620

Z4 × Z27 × Z3 × Z5 G ≈ Z4 × Z27 × Z3 × Z5

Z4 × Z9 × Z9 × Z5 G ≈ Z4 × Z9 × Z9 × Z5

Z4 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5 G ≈ Z4 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5

Z4 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5 G ≈ Z4 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5

Z2 × Z2 × Z81 × Z5 G ≈ Z2 × Z2 × Z81 × Z5

Z2 × Z2 × Z27 × Z3 × Z5 G ≈ Z2 × Z2 × Z27 × Z3 × Z5

Z2 × Z2 × Z9 × Z9 × Z5 G ≈ Z2 × Z2 × Z9 × Z9 × Z5

Z2 × Z2 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5 G ≈ Z2 × Z2 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5

Z2 × Z2 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5 G ≈ Z2 × Z2 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5

Esercizio 6.2.6.Descrivere tutti i gruppi abeliani di ordine 1365.Soluzione - Risulta 1365 = 3 · 5 · 7 · 13. Ogni gruppo abeliano G di ordine 1365si fattorizza nelle seguenti componenti primarie:

G = A3 × A5 × A7 × A13, con |A3| = 3, |A5| = 5, |A7| = 7, |A13| = 13.

Risulta necessariamente G = Z3 × Z5 × Z7 × Z13; si tratta del gruppo ciclico diordine 1365. Dunque esiste un solo gruppo abeliano di ordine 1365.

Questo è un fatto generale. Se n = p1p2 · · · pt con i pi numeri primi distinti,allora esiste un solo gruppo abeliano di ordine n che è ovviamente il gruppo ciclicodi ordine n, vedi anche teorema 6.1.9 .

3. Esercizi relativi al Capitolo 6

Esercizio 6.3.1.Provare le seguenti affermazioni

(1) (Q∗, ·) è prodotto diretto di (Q∗+, ·) e di (1,−1, ·).

(2) (C,+) = (R,+)× (iR,+) è prodotto diretto.(3) (C∗, ·) = (R+, ·)× (Γ, ·) è prodotto diretto, con Γ = z ∈ C | |z| = 1.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 128

Soluzione - E’ di immediata verifica che valgono le condizioni richieste nelladefinizione 6.1.2.

Esercizio 6.3.2.Siano p e q numeri primi e p 6= q. Determinare il numero di sottogruppi del gruppoG = Zp × Zq.Soluzione - Sia z = (x, y) ∈ G; poichè p primo, tutti gli elementi di Zp diversidall’elemento neutro hanno periodo p. Analogamente ogni elemento di Zq diversodall’elemento neutro ha periodo q e pertanto se z = (x, y) ∈ G con x 6= 0q, y 6= 0q,si ha o(z) = pq e pertanto | < z > | = pq e dunque < z >= G.

Se z = (x, 0q), x 6= 0p, si ha A =< z >= Zp × 0q. Se z = (0p, y), y 6= 0q,si ha B =< z >= 0p × Zq. In questo modo sono stati descritti tutti i possibilisottogruppi di G; sono quattro compresi i due sottogruppi banali: < (0p, 0q) >,G, A ' Zp, B ' Zq.

Esercizio 6.3.3.Dimostrare che il gruppo simmetrico S3 non è prodotto diretto di due suoi sotto-gruppi propri.Soluzione - Supponiamo sia S3 = K × H con K e H sottogruppi propri di S3.Poichè |S3| = 6, per il teorema di Lagrange |K| e |H| dividono 6 e quindi |K| e|H| possono essere solo 3 e 2 e perciò K e H sono ciclici e quindi abeliani. Neseguirebbe S3 abeliano e ciò è assurdo.

Più semplicemente si può affermare che S3 non è prodotto diretto di sottogruppiperchè ha un solo sottogruppo proprio normale: A3.

Esercizio 6.3.4.Sia G un gruppo abeliano, non ciclico, di ordine 9. Dimostrare che G ' Z3 × Z3.Soluzione - Sia x ∈ G, x 6= 1, e sia H =< x >. Poichè G è non ciclico si hao(x) = 3 e |H| = 3. Analogamente considerato y ∈ G − H e K =< y >, siha |K| = 3 ed inoltre K * H e perciò H ∩ K = 1 e K ⊂ HK da cui segueHK sottogruppo di G. Per il teorema di Lagrange |HK| > 3 divide |G| = 9 epertanto HK = G. Essendo G abeliano, i sottogruppi H e K sono normali equindi G = H ×K prodotto diretto, con H ' Z3 ' K.

Esercizio 6.3.5.Dimostrare che, se G è un gruppo ciclico di ordine n2, esso non è isomorfo alprodotto diretto esterno H ×H dove H è un gruppo ciclico di ordine n.Soluzione - Anzittutto ricordiamo che un gruppo ciclico finito di ordine r possiedeun ( ed un solo ) sottogruppo ciclico di ordine s per ogni s divisore di r, perciò Gpossiede un unico sottogruppo ciclico H di ordine n.

Sia H =< x >; il gruppo H ×H possiede almeno due sottogruppi di ordine nciclici: A =< (1, x) > e B =< (x, 1) >. I gruppi G e H ×H non possono quindiessere isomorfi.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 129

Esercizio 6.3.6.Sia p un numero primo. Si calcoli il numero dei sottogruppi del gruppo Zp × Zp.Soluzione - Poichè |Zp×Zp| = p2, ogni sottogruppo proprio di Zp×Zp ha ordine pe quindi è ciclico. Siano H e K due sottogruppi propri distinti. Allora H∩K = 0e quindi ogni elemento x 6= 0 di Zp×Zp è contenuto in un solo sottogruppo propriodi Zp × Zp. Poichè Zp × Zp ha p2 − 1 elementi x 6= 0 e poichè ogni sottogruppoproprio contiene p−1 elementi diversi da 0, si deduce che il numero di sottogruppipropri di Zp × Zp è p2−1

p−1= p+ 1.

Esercizio 6.3.7.Determinare il centro dei gruppi H = C2 ×D3 e K = Q8 × Z3.Soluzione - L’elemento (a, b) ∈ Z(H) se e solo se per ogni (x, y) ∈ H risulta(a, b)(x, y) = (x, y)(a, b), ossia ax = xa e by = yb per ogni x ∈ C2 e per ogniy ∈ D3. Dunque il centro Z(H) è il prodotto diretto del centro di C2 e del centro diD3 e poichè Z(C2) = C2 = 1, a e Z(D3) = 1 si ha Z(H) = (1, 1), (a, 1).Analogamente poichè Z(Q8) = 1,−1 e Z(Z3) = Z3 = 0, 1, 2 si ha Z(K) =(1, 0), (1, 1), (1, 2), (−1, 0), (−1, 1), (−1, 2).

Esercizio 6.3.8.Determinare la struttura di tutti i possibili gruppi di cardinalità 8.Soluzione - Distinguiamo due casi:1 caso) |G| = 8, G abeliano. Essendo un gruppo abeliano, G è il prodotto

diretto di gruppi ciclici e quindi si hanno le seguenti possibilità: G ' Z8,G ' Z4 × Z2, G ' Z2 × Z2 × Z2.

2 caso) |G| = 8, G non abeliano. Come noto esistono i gruppi G ' Q8 (qua-ternioni) e G ' D4 (diedrico). Dimostriamo che non ci sono altri gruppidi ordine otto non abeliani. Ricordiamo che il periodo di un qualunqueelemento di G è 2 oppure 4 oppure 8 perchè sappiamo che deve dividerel’ordine del gruppo. Sicuramente in G non esistono elementi di periodootto (altrimenti G sarebbe ciclico e quindi abeliano); inoltre gli elementidiversi dall’elemento neutro non possono avere tutti periodo due perchèin tal caso G sarebbe abeliano (infatti se x = x−1 per ogni x ∈ G − 1,si ha xy = (xy)−1 = y−1x−1 = yx). Sia dunque x ∈ G un elemento diperiodo quattro; allora si osservi che in G anche l’elemento x3 ha periodoquattro e pertanto in G gli elementi di periodo quattro devono essere innumero pari ossia sono 2 oppure 4 oppure 6.

– Se in G vi sono esattamente due elementi di periodo 4 allora ognielemento y ∈ G− < x > è di periodo 2 (essendo o(x) =o(x3) = 4)e poichè xy ∈ G− < x > si ha o(xy) = 2 da cui xy = yx exry = yx4−r, r = 0, 1, 2, 3 e pertanto G è isomorfo al gruppo diedricoD4.

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Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 130

– Se in G ci sono esattamente quattro elementi di periodo 4, sianox, x3, y, y3 tali che o(x) = o(x3) = o(y) = o(y3) = 4 con x 6= y, x 6= y3.Poichè x 6= y, il gruppo < x > ∩ < y > è sottogruppo proprio di< x > e quindi da | < x > | = 4 segue | < x > ∩ < y > | ≤ 2. Se | <x > ∩ < y > | = 1 allora si ha G '< x > × < y > prodotto direttoe |G| = 16 contro l’ipotesi |G| = 8. Se | < x > ∩ < y > | = 2 allorax2 = y2 e G = 1, x, x2, x3, y, y3, xy, x3y con o(xy) = o(x3y) = 2(perchè i soli elementi di periodo 4 sono x, x3, y, y3) e pertanto xy =yx e x3y = yx3. Allora è di immediata verifica che gli elementi di Gpermutano fra di loro ossia G è abeliano contro l’ipotesi ( risulterebbeG ' Z4 × Z2 con Z4 '< x >,Z2 '< xy > ).

– Se in G ci sono esattamente sei elementi di periodo 4 allora G èbanalmente isomorfo al gruppo Q8 dei quaternioni.

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CAPITOLO 7

Gruppi Risolubili

In questo capitolo presentiamo le principali nozioni relative ad una famiglia digruppi detti gruppi risolubili per il loro legame con il problema della ′′risoluzione ′′delle equazioni algebriche. In particolare si studierà la risolubilità dei gruppi sim-metrici e dei gruppi alterni per l’importanza che questa proprietà riveste nellateoria delle equazioni algebriche. E’ noto che una equazione algebrica di grado nammette una formula generale di risoluzione per radicali se e solo se n ≤ 4.

1. Derivato di un gruppo

Definizione 7.1.1. Sia (G, ·) un gruppo; per ogni coppia (a, b) di elementi diG si definisce commutatore di (a, b) l’elemento k(a, b) = b−1 · a−1 · b · a.Per indicare il commutatore k(a, b) a volte si scrive semplicemente [a, b].(Se si usa la notazione addittiva allora [a, b] = −b− a+ b+ a)

Dalla definizione segue immediatamente che:(1) k(a, b) = 1 ⇔ a · b = b · a(2) a · b · k(a, b) = b · a, ossia moltiplicando a · b per il suo commutatore si

ottiene b · a ( questa proprietà giustifica il nome di commutatore).(3) k(a, a) = 1 per ogni a ∈ G.(4) k(a, b)−1 = k(b, a).

Nonostante l’elemento neutro di G sia un commutatore e l’elemento inversodi un commutatore sia ancora un commutatore, come assicurano la (3) e la (4)precedenti, non è detto che il prodotto di due commutatori sia un commutatoree pertanto l’insieme dei commutatori di un gruppo G, in generale, non è unsottogruppo di G. Ha perciò significato considerare e studiare il gruppo generatodai commutatori di un gruppo.

Definizione 7.1.2. Sia (G, ·) un gruppo; si definisce derivato (primo) di Gil sottogruppo G′ di G generato dai commutatori di G.

Teorema 7.1.3. Il derivato primo del gruppo (G, ·) è il gruppo131

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 132

G′ = k1 · k2 · · · · · kn | n ∈ N∗; ki commutatore, i = 1, 2, · · · , n.

Dimostrazione. L’insieme G′ = k1 ·k2 ·· · ··kn | n ∈ N∗; ki commutatore, i =1, 2, · · · , n è chiuso rispetto al prodotto di G e G′ 6= ∅ perchè 1 ∈ G′. Inoltre,come già notato precedentemente, l’inverso di un commutatore è un commutatoree pertanto per ogni k1 · k2 · · · · · kn ∈ G′ si ha (k1 · · · · · kn)−1 = k−1

n · · · · · k−11 ∈ G′.

L’insieme G′ è quindi un sottogruppo di G. Per come definito, G′ è contenuto inogni sottogruppo di G che contiene i commutatori di G e perciò G′ è il più piccolosottogruppo di G che contiene tutti i commutatori ossia G′ è il gruppo generatodai commutatori di G.

Nota 7.1.4.• La non abelianità diG è tutta racchiusa inG′. Così come tutta l’abelianità

di G è racchiusa nel centro Z(G).• G′ =< 1 >⇐⇒ G è abeliano, ossia G′ =< 1 >⇐⇒ G = Z(G).• Il derivato G′ di G è il più piccolo sottogruppo di G che contiene tutti i

commutatori.

Teorema 7.1.5. Il derivato G′ di un gruppo (G, ·) è un sottogruppo caratte-ristico di G.

Dimostrazione. Occorre provare che per ogni φ ∈ Aut(G) risulta φ(G′) =G′. Dimostriamo dapprima che ogni automorfismo φ ∈ Aut(G) trasforma uncommutatore k(a, b) in un commutatore:

φ(k(a, b)) = φ(b−1 · a−1 · b · a) = φ(b)−1 · φ(a)−1 · φ(b) · φ(a) = k(φ(a)φ(b)) ∈ G′.Siano ora k1 · k2 · · · · · kn ∈ G′, per ogni φ ∈ Aut(G) risulta φ(k1 · k2 · · · · · kn) =

φ(k1) · φ(k2) · · · · · φ(kn) ∈ G′ e pertanto rimane provato che φ(G′) = G′.

Il teorema ora dimostrato assicura, in particolare, che il derivato G′ è unsottogruppo normale di G: G′ E G.

Teorema 7.1.6. Sia (G, ·) un gruppo e G′ il derivato di G. Si ha che(1) G

G′ è abeliano;(2) se H E G e G

Habeliano, allora G′ ⊆ H;

(3) se H ≤ G e G′ ⊆ H allora H E G e GH

è abeliano.

Dimostrazione.(1) Siano a, b ∈ G; considerati i laterali aG′, bG′ ∈ G

G′ si haaG′ · bG′ = abG′ = ab · k(a, b)G′ = baG′ = bG′ · aG′

e quindi GG′ è abeliano.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 133

(2) Sia H E G e GH

abeliano; per ogni a, b ∈ G si ha aH · bH = bH · aH,abH = baH, b−1a−1baH = H da cui b−1a−1ba ∈ H. Dunque H contienetutti i commutatori di G ed essendo H un gruppo, H contiene anche tuttii prodotti di commutatori e perciò G′ ⊆ H.

(3) Sia G′ ⊆ H ≤ G; per ogni g ∈ G e h ∈ H si ha g−1h−1gh ∈ G′ edunque g−1h−1gh ∈ H, ma H gruppo e h−1 ∈ H e perciò g−1h−1gh ·h−1 = g−1h−1g ∈ H allora (g−1h−1g)−1 = g−1hg ∈ H e pertanto H èsottogruppo normale di G. Inoltre G

Hè abeliano perchè per ogni a, b ∈ G

si ha aH · bH = abH = ab[a, b]H = baH = bH · aH (si ricordi che[a, b]H = H perchè [a, b] ∈ H essendo G′ ⊆ H).

Il teorema ora dimostrato assicura che il derivato G′ di un gruppo G è il piùpiccolo sottogruppo normale H di G tale che il quoziente G

Hsia abeliano.

Definizione 7.1.7. Sia (G, ·) un gruppo. Posto G(0) = G, per ogni r ∈ N∗

per induzione si definisce G(r) = (G(r−1))′. Il sottogruppo G(r) è detto derivator-esimo di G.

In particolare si scriverà G(1) = G′, G(2) = (G′)′ = G′′ e così via.

Teorema 7.1.8. Sia (G, ·) un gruppo. G(r) è un sottogruppo caratteristicodi G.

Dimostrazione. Ogni automorfismo φ ∈ Aut(G) trasforma un commutatoredi G in un commutatore di G. Ne segue che ogni automorfismo φ di G è ancheautomorfismo del derivato G′ perchè ogni elemento di G′ è un prodotto finitodi commutatori di G. Procedendo in modo ricorsivo, risulta pertanto che ogniautomorfismo φ ∈ Aut(G) è anche automorfismo di G(r) ossia φ(G(r)) = G(r)

per ogni φ ∈ Aut(G) e dunque G(r) è sottogruppo caratteristico di G per ognir ∈ N∗.

Il teorema ora dimostrato assicura che per ogni r ∈ N∗ si ha G(r) CG.

Teorema 7.1.9. Sia Sn il gruppo delle permutazioni su n elementi, alloraS ′n = An per ogni n ∈ N∗.

Dimostrazione. Suddividiamo la dimostrazione in quattro parti:(1) S ′n E An.

Infatti poichè in Sn una qualunque permutazione g e la sua inversa g−1

sono sempre entrambe di classe pari o entrambe di classe dispari, si hache un qualunque commutatore di Sn è una permutazione di classe pari equindi è un elemento di An. Risulta quindi S ′n ⊆ An e pertanto S ′

n E An.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 134

(2) Caso n ≥ 5.Per n ≥ 5, An è semplice (vedi teorema 4.2.3) quindi i suoi sottogruppinormali sono solo quelli banali, deve allora essere S ′n = An oppure S ′n =< id. >. Se S ′n =< id. > allora Sn abeliano e ciò per n ≥ 5 è assurdo.Rimane dunque provato che per n ≥ 5 risulta S ′n = An.

(3) Caso n = 4.

Consideriamo α, β ∈ S4, con α =

(1 2 3 42 3 1 4

)e β =

(1 2 3 41 3 2 4

).

Si ha α−1 · β−1 · α · β =

(1 2 3 42 3 1 4

)∈ S ′4 e α−1 · β−1 · α · β è un

3-ciclo e dunque per il teorema 4.2.2 si ha S ′4 = A4 perchè S ′4 contiene un3-ciclo ed è un sottogruppo normale di A4.

(4) Caso n ≤ 3.Per n = 3 da S ′n ⊆ An segue |S ′3| = 1 oppure |S ′3| = 3. Se fosse |S ′3| = 1sarebbe S3 abeliano e ciò è assurdo e pertanto deve essere |S ′3| = 3 ossiaS ′3 = A3.Per n ≤ 2 si ha banalmente S ′n = An =< id. >.

2. Risolubilità di un gruppo

Definizione 7.2.1. Un gruppo (G, ·) si dice risolubile se esiste un interor ≥ 1 tale che G(r) =< 1 >.

Esempio 7.2.2.• Ogni gruppo abeliano è risolubile perchè G′ =< 1 >.• Il gruppo dei quaternioni è risolubile perchè G′′

=< 1 >.

Definizione 7.2.3. Si chiama catena di un gruppo (G, ·) ogni successionefinita di sottogruppi G = G1 > G2 > · · · > Gi > · · · > Gn =< 1G >.

La catena è detta serie subnormale (o catena normale ) se Gi / Gi−1 perogni i = 2, 3, . . . , n ed in questo caso i gruppi Gi−1/Gi sono detti fattoriali dellacatena.

Se in una serie subnormale ogni Gi è anche un sottogruppo normale di G, lasuccessione di sottogruppi è detta serie normale.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 135

Esempio 7.2.4.(1) Se (G, ·) è risolubile allora il gruppo G ed i suoi derivati formano una serie

normale: G . G′ . · · · . G(i) . · · · . G(r) =< 1G >.(2) In S4 consideriamo i sottogruppiH1 = id., (1 2)(3 4), (1 3)(2 4), (1 4)(2 3)

e H2 = id., (1 2)(3 4). Allora S4 B H1 B H2B < id. > è una seriesubnormale ma non è una serie normale perchè H2 5 S4.

Teorema 7.2.5. Un gruppo (G, ·) è risolubile se e solo se possiede una seriesubnormale a fattoriali abeliani.

Dimostrazione. Sia G risolubile. Allora, per la (3) del teorema 7.1.6, lacatena dei suoi derivati è una serie subnormale a fattoriali abeliani.

Viceversa supponiamo cheG possieda una serie subnormale a fattoriali abeliani:sia G = G1.G2.· · ·.Gi.· · ·.Gn =< 1G > con Gi−1

Giabeliano per ogni i = 2, 3, ..., n.

Per la (2) del teorema 7.1.6, daG1.G2 e G1

G2abeliano segueG′

1 ⊂ G2; da G2

G3abeliano

segue che G′2 ⊂ G3; ma G′

1 ⊂ G2 significa anche (G′1)′ ⊂ G′

2 ossia G′′1 ⊂ G′

2 da cuiG′′

1 ⊂ G3. Procedendo in questo modo si ottieneG(n−1)1 ⊂ Gn e poichè Gn =< 1G >

si ha G(n−1)1 =< 1G > e dunque G è risolubile.

Teorema 7.2.6. Sia (G, ·) un gruppo; H /G tale che H e GH

siano risolubili.Allora G è risolubile.

Dimostrazione. Essendo H / G si ha che (GH

)′ = (G′·H)H

; infatti consideratoun qualunque commutatore di G

H, si ha [g1H g2H] = (g2H)−1(g1H)−1g2Hg1H =

Hg−12 Hg−1

1 g2Hg1H e poichè giH = Hgi perchè H è normale in G, si haHg−1

2 Hg−11 g2Hg1H = g−1

2 g−11 g2g1H ∈ G′H

H. Sempre per la normalità di H in G

si ha [g1H g2H][g3H g4H] = [g1 g2][g3 g4]H e pertanto (GH

)′ = G′HH

. Procedendo perinduzione su r si ottiene (G

H)(r) = (G(r)·H)

H. Per ipotesi G

Hè risolubile, allora esiste

n ∈ N∗ tale che (GH

)(n) =< 1 > ossia (G(n)·H)H

=< 1 > e quest’ultima ugualianzacomporta G(n) ⊂ H. Per ipotesi H è risolubile allora esiste un m ∈ N∗ tale cheH(m) =< 1 >; risulta allora G(n+m) =< 1 > e quindi G è risolubile.

Teorema 7.2.7. Sia (G, ·) un gruppo risolubile. Ogni sottogruppo di G èrisolubile.

Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo risolubile, allora esiste r ∈ N∗ tale cheG(r) =< 1G >. Sia H un sottogruppo di G; da G ⊃ H si ha G(r) ⊃ H(r) e quindiH(r) =< 1G > ossia H è risolubile.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 136

Teorema 7.2.8. Sia (G, ·) un gruppo risolubile. Ogni immagine omomorfadi G è un gruppo risolubile.

Dimostrazione. Sia φ un omomorfismo suriettivo di G nel gruppo H e siaG(r) =< 1 >. Si ha φ(G′) = H ′, φ(G′′) = H ′′, . . . , φ(G(r)) = H(r) e poichèG(r) =< 1 > e φ omomorfismo, si ha φ(G(r)) =< 1 > ossia H(r) =< 1 > epertanto H è risolubile.

Corollario 7.2.9. Ogni quoziente di un gruppo risolubile è risolubile.

Dimostrazione. Segue dal teorema precedente perchè ogni quoziente di ungruppo è una sua immagine omomorfa (vedi 1 teorema di omomorfismi per grup-pi).

3. Risolubilità di Sn e di altre famiglie di gruppi.

Teorema 7.3.1. Sn risolubile ⇐⇒ n = 2, 3, 4

Dimostrazione. Procediamo per casi:(1) n = 2:

S2 è risolubile perchè è abeliano.(2) n = 3:

S3 è risolubile perchè possiede una serie subnormale a fattoriali abeliani:S3 . A3. < id. >.

(3) n = 4:S4 è risolubile perchè possiede la serie subnormale a fattoriali abeliani:S4 . A4 . H. < id. >, dove H = id., α, β, γ con α = (1 2)(3 4), β =(1 3)(2 4), γ = (1 4)(2 3).

(4) n ≥ 5:Per n ≥ 5 abbiamo dimostrato che An è semplice; poichè An non è abe-liano, non può essere A′

n =< id. > e quindi deve essere A′n = An; perciò

An non è risolubile per n ≥ 5. Essendo An non risolubile, anche Sn ⊃ Annon è risolubile per n ≥ 5.

Nota 7.3.2. Per sottolineare l’importanza del teorema precedente, si tengapresente che la risolubilità dei gruppi simmetrici Sn con n ≤ 4 e la non risolubilitàdei gruppi simmetrici Sn con n ≥ 5 sta alla base del fatto che solo le equazio-ni algebriche di grado n ≤ 4 ammettono una formula risolutiva radico-razionalegenerale.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 137

Teorema 7.3.3. Sia (G, ·) un gruppo semplice. G è risolubile se e solo se èfinito ed ha per ordine un numero primo.

Dimostrazione. Se |G| = p con p primo allora G è ciclico e quindi abelianoe pertanto G è risolubile.

Viceversa, se G è risolubile si ha G′ 6= G e poichè G′ /G e G è semplice, risultaG′ =< 1 > e quindi G è abeliano. Essendo G abeliano, ogni suo sottogruppo ènormale e quindi, essendo G semplice, G deve essere privo di sottogruppi propri epertanto deve essere G finito di ordine primo.

Teorema 7.3.4. Ogni gruppo di ordine pn con p primo, n ∈ N∗, è risolubile.Dimostrazione. Per n = 1 il risultato è vero perchè il gruppo, essendo di

ordine primo, è ciclico e quindi è abeliano e perciò risolubile.Procediamo per induzione su n, supponiamo vero il risultato per (n − 1) e

dimostriamo che vale per n. Sia (G, ·) un gruppo di ordine pn, n > 1. Alloraesiste N /G tale che |N | = p; il gruppo N è risolubile perchè ciclico, il gruppo G

risolubile per l’ipotesi di induzione essendo di ordine pn−1 e perciò per il teorema7.2.6, G è risolubile.

Esempio 7.3.5.Il gruppo Q8 dei quaternioni è risolubile perchè |Q8| = 23.

Teorema 7.3.6. Ogni gruppo di ordine p · q con p, q numeri primi, è risolu-bile.

Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo di ordine p · q, con p, q numeri primi.Se p = q allora |G| = p2 e pertanto G è abeliano e quindi risolubile.

Se G ha ordine p · q con p < q, allora G ha un solo sottogruppo di ordine q:infatti per il teorema di Sylow G ammette almeno un sottogruppo di ordine q;supponiamo per assurdo che esistano A,B sottogruppi di G con |A| = |B| = q eA 6= B. Si ha A∩B =< 1 > e |A ·B| = q2 perchè i prodotti a · b con a ∈ A, b ∈ Bsono a due a due distinti (se fosse a · b = c · d con a, c ∈ A, b, d ∈ B si avrebbec−1 · a = d · b−1 ∈ A ∩B e quindi a = c, b = d). Ovviamente A ·B ⊂ G ma questoè assurdo perchè |A ·B| = q2 e |G| = p · q con p < q.

Dunque inG esiste un solo sottogruppo A di ordine q; questo implica x·A·x−1 =A per ogni x ∈ G e quindi A/G. Il gruppo G è pertanto risolubile perchè possiedeuna serie subnormale a fattoriali abeliani: G . A . < 1 >.

Nel prossimo teorema enunciamo altri due risultati importanti per lo studio deigruppi finiti e per la loro classificazione. In questa trattazione le dimostrazioninon vengono riportate per la loro complessità.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 138

Teorema 7.3.7.(1) Un gruppo di ordine pmqn con p, q numeri primi, m,n ∈ N, è risolubile

(teorema di Burnside).(2) Ogni gruppo finito di ordine dispari è risolubile (teorema di Feit-Thomson).

Si osservi che dal teorema di Feit-Thomson (1960), segue che se G è un grup-po semplice finito, allora G è ciclico di ordine primo oppure è non abe-liano ed ha ordine pari. Infatti se G è semplice, finito, abeliano allora è ciclicodi ordine primo (perchè semplice abeliano implica che non ha sottogruppi e dunquevale il teorema 2.6.3); se G è semplice, finito, non abeliano, esso non può avereordine dispari perchè se così fosse non potrebbe essere semplice perchè G′ sarebbesottogruppo normale di G con G′ 6= G.

4. Esercizi relativi al Capitolo 7

Esercizio 7.4.1.Sia Dn il gruppo diedrico. Dimostrare che Dn è risolubile e determinare D′

n.Soluzione - SiaDn = 1, a, a2, ..., an−1, b, ba, ..., ban−1 e sia Cn =< a >. Il gruppoCn è ciclico (abeliano) di indice 2 in Dn e pertanto è un sottogruppo normale diDn. Il gruppo quoziente Dn

Cnè di ordine 2 e perciò è abeliano. Da Cn C Dn, Dn

Cn

abeliano segue D′n ≤ Cn e pertanto D′

n è ciclico (e quindi abeliano) generato dauna potenza di a. Dalla abelianità di D′

n segue D′′n =< 1 > e pertanto Dn è

risolubile.Per determinare D′

n studiamo come sono i commutatori di D′n :

• [ai aj] = a−ja−iajai = 1 perchè Cn è commutativo;• [ai baj] = a−jba−ibajai = a−jaibbajai = a−jaiajai = a2i;• [bai baj] = a−jba−ibbajbai = a−jaibbbba−jai = a−jaia−jai = a2(i−j).

dunque i commutatori sono espressi come potenze di a2 e pertanto D′n ⊆< a2 >.

Ma a2 = [a1 baj] ∈ D′n e perciò < a2 >⊆ D′

n e dunque D′n =< a2 >.

Ad esempio D′6 = 1, a2, a4, D′

9 = 1, a1, a2, a3, a4, a5, a6, a7, a8.

Esercizio 7.4.2.Sia (G, ·) un gruppo tale che |G| = 2p2, p primo. Dimostrare che G è risolubileperchè G′′ =< 1 >.Soluzione - Per il teorema di Sylow G possiede un sottogruppo di ordine p2, siaH. Il sottogruppo H è di indice 2 in G e perciò è normale in G ed è abelianoperchè |H| = p2 (vedi teorema 5.3.11); inoltre G

Hè abeliano perchè |G

H| = 2. Da

H CG e GH

abeliano segue G′ ⊆ H da cui segue G′ abeliano e quindi G′′ =< 1 >e pertanto G è risolubile.

Ad esempio il gruppo Q8 dei quaternioni è risolubile perchè |Q8| = 2 · 22.

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Capitolo 7 Gruppi risolubili 139

Esercizio 7.4.3.Sia (G, ·) un gruppo tale che esiste α ∈ Aut(G) con la proprietà α 6= id., α(x) = xoppure α(x) = x−1. Dimostrare che G è risolubile.Soluzione - Sia H = x ∈ G | α(x) = x. Si ha H 6= G perchè α 6= id. e H risultasottogruppo di G.

(1) Dimostriamo che H è normale in G. Banalmente, per ogni g ∈ H e perogni h ∈ H si ha g−1Hg = H. Per ogni g ∈ G − H e per ogni h ∈ H ègh /∈ H e quindi α(gh) = (gh)−1 ma anche α(gh) = α(g)α(h) = g−1h equindi (gh)−1 = g−1h, h−1g−1 = g−1h, g−1hg = h−1 ∈ H ossia g−1hg ∈ Hper ogni g ∈ G − H e per ogni h ∈ H. Rimane così provato che H èsottogruppo normale di G perchè g−1Hg = H per ogni g ∈ G e per ognih ∈ H.

(2) Dimostriamo che H è abeliano e quindi risolubile. Fissato g /∈ H, l’ap-plicazione φg : H → H definita da φg(h) = g−1hg è un automorfi-smo di H perchè per ogni h1, h2 ∈ H risulta φg(h1h2) = g−1h1h2g =g−1h1gg

−1h2g = φg(h1)φg(h2). Per quanto dimostrato in (1) si ha g−1hg =h−1 ossia φg(h) = h−1 per ogni h ∈ H e pertanto si ha φg(h1h2) =(h1h2)

−1 = h−12 h−1

1 ma anche φg(h1h2) = φg(h1)φg(h2) = h−11 h−1

2 da cuih−1

2 h−11 = h−1

1 h−12 ossia h1h2 = h2h1 per ogni h1, h2 ∈ H. Si conclude H

abeliano e H risolubile.(3) Dimostriamo che G

Hè abeliano e quindi risolubile.

• Se g1, g2 ∈ H allora g1Hg2H = H = g2Hg1H.• Se g1 ∈ H e g2 /∈ H allora essendo H normale in G si ha g−1

2 h1g2 ∈ H,g1g2 = g2h con h ∈ H e pertanto g1Hg2H = g1g2H = g2hH =g2Hg1H.

• Se g1, g2 /∈ H distinguiamo due casi. Sia g1g2 /∈ H; si ha g1g2 = g2g1

perchè da α(g1g2) = α(g1)α(g2) = g−11 g−1

2 e α(g1g2) = (g1g2)−1 =

g−12 g−1

1 segue g−11 g−1

2 = g−12 g−1

1 da cui g1g2 = g2g1 e pertanto g1Hg2H =g1g2H = g2g1H = g2Hg1H. Sia g1g2 ∈ H; allora, per quanto dimo-strato nel caso precedente, non può essere g2g1 /∈ H e perciò g2g1 ∈ Hda cui g1Hg2H = g1g2H = H = g2g1H = g2Hg1H. Si conclude G

Habeliano e quindi risolubile.

Da H CG, H risolubile e GH

risolubile segue G risolubile (teorema 7.2.6).

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CAPITOLO 8

Reticoli

Quella di reticolo è una struttura algebrica ottenuta a partire da una relazioned’ordine e per questo la teoria dei reticoli fa parte sia della teoria dell’ordine chedella teoria dell’algebra universale. La struttura di reticolo trova particolari ap-plicazioni in logica matematica e in molti rami dell’informatica. Questa strutturapuò essere ulteriormente arricchita fino a giungere alla struttura algebrica dettaalgebra di Boole.

Il termine reticolo deriva dalla modalità di rappresentare i reticoli finiti con idiagrammi di Hasse.

1. Reticoli: definizioni e proprietà

Iniziamo ricordando la definizione di relazione di ordine ( vedi capitolo 1,paragrafo 2).

Definizione 8.1.1. Sia A un insieme e sia R ⊆ A × A una relazione binariain A. La relazione R è detta di ordine, o di ordine parziale, se sono soddisfattele seguenti proprietà:

(1) (a, a) ∈ R per ogni a ∈ A (prop. riflessiva);(2) se (a, b) ∈ R e (b, a) ∈ R allora a = b (prop. antisimmetrica);(3) se (a, b) ∈ R e (b, c) ∈ R allora (a, c) ∈ R (prop. transitiva).

Di norma una relazione R di ordine parziale si indica con il simbolo “≤” epertanto la scrittura delle proprietà precedenti diventa:

(1) a ≤ a per ogni a ∈ A;(2) a ≤ b, b ≤ a⇒ a = b;(3) a ≤ b, b ≤ c⇒ a ≤ c.

Si dice che A è un insieme parzialmente ordinato se in A è definita unarelazione “≤” di ordine parziale, in questo caso si scrive (A,≤).

Esempio 8.1.2.(1) N∗ = N \ 0, (N∗,≤) è un insieme parzialmente ordinato rispetto alla

relazione “a ≤ b se a | b” (relazione di divisibilità);140

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Capitolo 8 Reticoli 141

(2) Z∗ = Z \ 0, (Z∗,≤) non è un insieme parzialmente ordinato rispettola relazione “a ≤ b se a | b” perchè non vale la proprietà antisimmetrica(−1 | 1, 1 | −1, 1 6= −1).

Definizione 8.1.3. Sia (L,≤) un insieme parzialmente ordinato. Si dice che(L,≤) è un reticolo se per ogni x, y ∈ L il sottoinsieme x, y ha in L estremosuperiore, denotato con a ∨ b, ed estremo inferiore denotato con a ∧ b.

Il reticolo (L,≤) si dice limitato se ha anche elemento minimo ed elementomassimo denotati solitamente con 0 e 1, rispettivamente.

Si osservi che se x, y sono confrontabili esiste sempre inf(x, y) e sup(x, y). Preci-samente se x ≤ y si ha inf(x, y) = x e sup(x, y) = y.

Esempio 8.1.4.I seguenti insiemi parzialmente ordinati sono reticoli:

(1) (N∗,≤), a ≤ b se a | b.(2) (S,≤), S = s | s = ∅ oppure s punto o retta di un piano affine π, oppure

s = π=sottospazi di un piano affine π, a ≤ b se a è sottospazio di b.(3) (P(I),≤) , P(I) insieme delle parti dell’insieme I, A ≤ B se A ⊆ B.(4) (S(G),≤), S(G) è l’insieme di tutti i sottogruppi del gruppo G, H ≤ K

se H ⊆ K.(5) (D(n),≤), D(n) insieme dei divisori di un fissato numero naturale n 6= 0,

x ≤ y se x | y, inoltre infx, y = MCD(x, y) e supx, y = mcm(x, y).

Teorema 8.1.5. Sia (L,≤) un reticolo. Se B ⊆ L, B 6= ∅, B finito, alloraB ha in L sia estremo superiore che estremo inferiore.

Dimostrazione. Il risultato è vero per ogni B tale che |B| = 1 o |B| = 2.Procediamo per induzione: supponiamo vero il risultato per ogni B, |B| = n, eproviamo che vale per ogni H, tale che |H| = n+1. Sia H = a1, . . . , an+1; sianov = supa1, . . . , an e u = infa1, . . . , an, allora esistono in L il supv, an+1 einfu, an+1 e questi sono rispettivamente supH e infH.

Corollario 8.1.6. Ogni reticolo finito ammette massimo e minimo.

I reticoli si possono caratterizzare mediante opportune operazioni interne al re-ticolo. Con questa caratterizzazione si mette in luce l’aspetto di struttura algebricadel reticolo.

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Capitolo 8 Reticoli 142

Definizione 8.1.7. Sia L un insieme non vuoto e siano “∨” e “∧” due ope-razioni in L. La struttura (L,∨,∧) è detta reticolo se per ogni a, b, c ∈ L siha:

(1) a ∨ b = b ∨ a (1’) a ∧ b = b ∧ a(2) a ∨ (b ∨ c) = (a ∨ b) ∨ c (2’) a ∧ (b ∧ c) = (a ∧ b) ∧ c(3) a ∨ (a ∧ b) = a (3’) a ∧ (a ∨ b) = a(4) a ∨ a = a (4’) a ∧ a = a

(leggi commutative)(leggi associative)(leggi assorbimento)(leggi idempotenza)

Esempio 8.1.8.(1) Sia L = D(n) l’insieme dei numeri naturali divisori di n ∈ N∗. Per ogni

a, b ∈ L sia a∧b = MCD(a, b) e a∨b = mcm(a, b). (L,∨,∧) è un reticolo.(2) Sia L = S(G) l’insieme di tutti i sottogruppi di un gruppo G. Per ogni

H,K ∈ S(G) siaH∨K =< H∪K > il più piccolo sottogruppo contenenteH e K e sia H ∧ K il gruppo intersezione di H e K. (S(G),∨,∧) è unreticolo.

(3) Sia L = SN(G) l’insieme dei sottogruppi normali di un gruppo G. Rispet-to alle operazioni ∨ e ∧, rispettivamente di unione e intersezione gruppale,(SN(G),∨,∧) è un reticolo.

(4) Sia A un insieme finito. L’insieme L = P(A) di tutti i sottoinsiemi di A èun reticolo rispetto alle operazioni di intersezione di insiemi e unione diinsiemi : (P(A),∪,∩).

Nota 8.1.9.• Gli assiomi della definizione 8.1.7 non sono indipendenti perchè (4) e (4′)

sono conseguenze di (3) e (3′); infatti a ∨ a = a ∨ [a ∧ (a ∨ b)] = a,a ∧ a = a ∧ [a ∨ (a ∧ b)] = a. Si è comunque soliti riportare la definizionedi reticolo come sopra per ragioni storiche.

• Le operazioni di ∧ e ∨ di un reticolo L non sono da confondersi conle operazioni di unione e intersezione insiemistica.

Legge di dualità

Se nella definizione di reticolo (L,∨,∧) si scambiano i simboli di ∨ e ∧ gli assiomiche vi figurano non cambiano. Questo comporta che se in un reticolo vale laproprietà P allora nel reticolo vale anche la proprietà duale P d ottenuta da Pscambiando i simboli di ∨ e ∧.

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Capitolo 8 Reticoli 143

Equivalenza delle due Definizioni di reticolo

I seguenti due teoremi assicurano che le definizioni 8.1.3 e 8.1.7 sono equivalenti epertanto possono essere usate in modo intercambiabile a seconda di quale sia piùconveniente rispetto all’ambito di lavoro.

Teorema 8.1.10. Sia (L,≤) un reticolo. In L rimangono definite due ope-razioni ′′∨′′ e ′′∧′′ tali che(1) a ∨ b = b ∨ a (1’) a ∧ b = b ∧ a(2) a ∨ (b ∨ c) = (a ∨ b) ∨ c (2’) a ∧ (b ∧ c) = (a ∧ b) ∧ c(3) a ∨ (a ∧ b) = a (3’) a ∧ (a ∨ b) = a(4) a ∨ a = a (4’) a ∧ a = a

(prop. commutativa)(prop. associativa)(prop. di assorbimento)(prop. di idempotenza)

Dimostrazione. Definiamo in L le seguenti due operazioni dette rispettiva-mente unione e intersezione:

• a ∨ b = supa, b• a ∧ b = infa, b

Poichè (L,≤) è un reticolo, le proprietà dell’estremo superiore e dell’estremo infe-riore rendono di immediata verifica che le due operazioni sopra definite soddisfanole proprietà enunciate.

Viceversa vale il seguente teorema.

Teorema 8.1.11. Sia (L,∨,∧) un reticolo. In L rimane definita una re-lazione “≤” di ordine tale che per ogni x, y ∈ L il sottoinsieme x, y ha in Lestremo superiore ed estremo inferiore .

Dimostrazione. Definiamo in L la seguente relazione ′′a ≤ b se a ∧ b = a′′.Osserviamo che da a ∧ b = a segue a ∨ b = (a ∧ b) ∨ b = b e viceversa da a ∨ b = bsegue a∧ b = a∧ (a∨ b) = a; dunque si ha a ≤ b se e solo se a∨ b = b. La relazionein L sopra definita, è una relazione di ordine parziale perchè soddisfa alle seguentiproprietà:

• a ≤ a per ogni a ∈ L. Infatti per ogni a ∈ L si ha a ∧ a = a;• a ≤ b, b ≤ a⇒ a = b. Infatti a ∧ b = a, b ∧ a = b⇒ a = b;• a ≤ b, b ≤ c⇒ a ≤ c. Infatti a ∧ b = a e b ∧ c = b⇒ a ∧ c = (a ∧ b) ∧ c =a ∧ (b ∧ c) = a ∧ b = a.

Dunque (L,≤) è un insieme parzialmente ordinato. Inoltre per ogni a, b ∈ Lsi ha a ∨ b = supa, b infatti da a ∨ (a ∨ b) = a ∨ b segue a ≤ a ∨ b e dab∧ (a∨ b) = b segue b ≤ a∨ b; da a ≤ x, b ≤ x segue a∨ x = x, b∨ x = x e quindi(a ∨ b) ∨ x = a ∨ (b ∨ x) = a ∨ x = x cioè a ∨ b ≤ x. Analogamente si prova cheper ogni a, b ∈ L si ha a ∧ b = infa, b.

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Capitolo 8 Reticoli 144

2. Sottoreticoli

Come per tutte le strutture algebriche, anche per il reticolo si può definire lanozione di sottoreticolo.

Definizione 8.2.1. Se (L,∨,∧) è un reticolo e L′ ⊆ L, L′ 6= ∅, allora L′ è unsottoreticolo di L se e solo se a ∨ b ∈ L′ e a ∧ b ∈ L′ per ogni a, b ∈ L′.

Esempio 8.2.2.(1) Sia L = D(60) l’insieme dei numeri naturali divisori di 60, sia a ∧ b =

MCD(a, b) e a ∨ b = mcm(a, b) per ogni a, b ∈ L. (L,∨,∧) è un reticolo.• Sia L′ = 1, 3, 5, 20; L′ non è un sottoreticolo di L perchè 3∨5 /∈ L′.• Sia L′′ = 1, 2, 3, 6; L′′ è un sottoreticolo di L.

(2) Sia L = S(G) l’insieme dei sottogruppi di un gruppo G. Per ogni H,K ∈S(G) sia H ∨ K =< H ∪ K > il più piccolo sottogruppo contenente He K e sia H ∧K l’intersezione di H e K. (S(G),∨,∧) è un reticolo manon è un sottoreticolo del reticolo P(G) delle parti di G. Infatti l’unioneinsiemistica H ∪K di P(G) è, di norma, inclusa propriamente nell’unionegruppale H ∨K di S(G).

(3) Sia L = SN(G) l’insieme dei sottogruppi normali di G. Rispetto all’u-nione e alla intersezione gruppale, (SN(G),∨,∧) è un reticolo che risultasottoreticolo del reticolo (S(G),∨,∧) dei sottogruppi di G.

Definizione 8.2.3. Siano (L,∨,∧) e (L′,∨′,∧′) due reticoli e sia ϕ un’ap-plicazione di L in L′; ϕ è detta omomorfismo se per ogni a, b ∈ L si haϕ(a∨b) = ϕ(a)∨′ϕ(b) e ϕ(a∧b) = ϕ(a)∧′ϕ(b). L’omomorfismo ϕ si dice monomor-fismo, epimorfismo, isomorfismo a seconda che l’applicazione ϕ sia rispettivamenteiniettiva, suriettiva, biettiva.

Nota 8.2.4. Se ϕ è un omomorfismo tra due reticoli L e L′ limitati, alloraϕ(0) = 0 e ϕ(1) = 1.

Definizione 8.2.5. Siano (L,∨,∧) e (L′,∨′,∧′) due reticoli; se esiste unaapplicazione ϕ biiettiva di L in L′ tale che ϕ (a ∧ b) = ϕ (a) ∨′ ϕ (b) e ϕ (a ∨ b) =ϕ (a) ∧′ ϕ (b) per ogni a, b ∈ L allora ϕ è detta antisomorfismo (o isomorfismoinverso) e i reticoli L e L′ sono detti antisomorfi.

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Capitolo 8 Reticoli 145

3. Diagramma di un reticolo finito (diagramma di Hasse)

Sia (L,∨,∧) un reticolo finito; poichè si può definire in L una relazione ′′ ≤′′

di ordine parziale, la struttura del reticolo può essere descritta mediante un dia-gramma. Gli elementi di L si rappresentano come punti del piano cartesiano conle seguenti convenzioni:

• se x ≤ y, scegliamo l’ordinata di x minore di quella di y;• se x ≤ y e non esiste z tale che x ≤ z ≤ y, x 6= y, x 6= z, y 6= z, allora si

collega x con y mediante un segmento.

Nota 8.3.1. Due reticoli finiti sono rappresentabili con lo stesso diagrammase e solo se sono isomorfi.

Nota 8.3.2. Per capire se un diagramma rappresenta un reticolo occorre sta-bilire se esistono il sup e l’inf degli insiemi formati da due elementi non collegatidirettamente, perchè se gli elementi sono collegati il sup è quello con ordinatamaggiore e l’inf è quello con ordinata minore.

Esempio 8.3.3.

(1) P (I) insieme delle parti di I = 1, 2, 3 è un reticolo rispetto alla relazio-ne ′′ ⊆′′ di inclusione e si visualizza con il seguente diagramma:

1,2,3

????

????

1,2

????

????

1,3

????

????

2,3

1

????

????

2

3

(2) Sia I = a, b, c, d ordinato come segue: a ≤ b, a ≤ c, a ≤ d, b ≤ d,c ≤ d, b e c non confrontabili. (I,≤) è un reticolo rappresentato con ildiagramma:

d

????

????

b

????

????

c

a

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Capitolo 8 Reticoli 146

(3) L’insieme D (42) dei divisori di 42 ordinato con la relazione ′′x ≤ y sex | y′′ è un reticolo rappresentabile dal seguente diagramma.

42

????

????

14

????

????

6

????

????

21

2

????

????

7

3

1

(4) Il diagramma seguente non rappresenta un reticolo perchè non è univoca-mente definito inf 2, 3, che potrebbe essere sia 4 che 5.

1

????

????

2

OOOOOOOOOOOOO 3

ooooooooooooo

4

????

????

5

6

(5) Il diagramma non rappresenta un reticolo perchè non esiste inf b, c

a

????

????

b

c

(6) Il diagramma rappresenta un reticolo perchè gli unici elementi non colle-gati direttamente sono 3 e 4 ma sup 3, 4 = 2 e inf 3, 4 = 5

1

2

3

4????????

5

????????

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Capitolo 8 Reticoli 147

(7) Il diagramma rappresenta un reticolo. Gli elementi non collegati sono2, 3, 3, 4 e risulta sup 2, 3 = sup 3, 4 = 1, inf 2, 3 = inf 3, 4 =5

1

????

????

2 3

4

????

????

5

(8) In figura sono rappresentati i diagrammi di Hasse di tutti i possibili reticolicon al più cinque elementi:

????

????

??

????

??

??

????

??

??

????

??

????

????

??

????

??

????

????

??

????

??

????

????

??

????

??

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Capitolo 8 Reticoli 148

(9) I reticoli aventi i seguenti due diagrammi sono antisomorfi.

1

2

????

????

3

????

????

4

5

5

????

????

3

????

????

4

2

1

(10) I due reticoli aventi i seguenti due diagrammi sono sia isomorfi sia antiso-morfi.

??

????

??

??

????

??

??

????

??

??

????

??

??

????

??

??

????

??

(11) Sia L il reticolo delle parti di A = x, y; sia D (15) il reticolo dei divisoridi 15 con a ∨ b = mcm (a, b) e a ∧ b = MCD (a, b). Dimostrare che i duereticoli sono isomorfi.

A

????

????

x

????

????

y

15

????

????

5

????

????

3

1

Soluzione - Dati i due reticoli sopra, questi sono isomorfi perchèhanno lo stesso diagramma. L’isomorfismo non è unico; sono infattiisomorfismi

ϕ : P(A) → D(15) con ϕ(A) = 15, ϕ(x) = 3, ϕ(y) = 5, ϕ(∅) = 1;ψ : P(A) → D(15) con ψ(A) = 15, ψ(x) = 5, ψ(y) = 3, ψ(∅) = 1;

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Capitolo 8 Reticoli 149

(12) Sia L il reticolo delle parti di A = 1, 2, 3 e sia D (30) il reticolo deidivisori di 30 rispetto le usuali relazioni. Dimostrare che i due reticolisono isomorfi.

Soluzione - I reticoli sono isomorfi perchè sono rappresentati da dia-grammi uguali.

30

????

????

15

????

????

10

????

????

6

5

????

????

3

2

1

1,2,3

????

????

1,2

????

????

1,3

????

????

2,3

1

????

????

2

3

(13) Sia f un omomorfismo non biiettivo fra due reticoli. Dimostrare che sea ≤ b allora f (a) ≤ f (b) , ma non vale il viceversa.

Soluzione - Ricordiamo che a ≤ b se a ∧ b = a. Se a ≤ b risultaf (a ∧ b) = f (a) e per le proprietà dell’omomorfismo f (a ∧ b) = f (a) ∧f (b); pertanto f (a) ∧ f (b) = f (a) e quindi f (a) ≤ f (b).Dimostriamo che non vale il viceversa portando un controesempio:

1

????

????

2

????

????

3

4

f** a

b

f : 1 → a, 2 → a, 3 → b, 4 → b l’applicazione f così definita èun omomorfismo, risulta f (3) ≤ f (2) ma non è 2 ≤ 3.

4. Reticoli modulari e reticoli distributivi

Definizione 8.4.1. Un reticolo (L,∨,∧) è detto modulare se per ognia, b, c ∈ L con b ≤ a risulta a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c) .

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Capitolo 8 Reticoli 150

Nota 8.4.2. Ricordando che in un reticolo vale la Legge di Dualità e che dab ≤ a segue a ∧ b = b, il reticolo (L,∨,∧) è modulare se e solo se vale una delleseguenti condizioni.

(1) a ∧ (b ∨ c) = b ∨ (a ∧ c) , per ogni a, b, c ∈ L con b ≤ a.(2) a ∨ (b ∧ c) = b ∧ (a ∨ c) , per ogni a, b, c ∈ L con a ≤ b.(3) a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ c, per ogni a, b, c ∈ L con b ≤ a.

Nota 8.4.3.(1) Se (L,∨,∧) è un reticolo modulare allora lo è anche ogni suo sottoreticolo

(L′,∨,∧) . Infatti l’unione e l’intersezione in L′ coincidono con l’unione el’intersezione degli stessi elementi in L.

(2) Il reticolo I rappresentato dal seguente diagramma di Hasse è detto reti-colo pentagonale. E’ un reticolo non modulare.

d

ooooooooooooo

????

????

????

????

?

c

e

b

OOOOOOOOOOOOO

a

Infatti si ha b ≤ c e risulta c∩(b∪e) = c∩d = cmentre b∪(c∩e) = b∪a = be pertanto il reticolo non è modulare.

Corollario 8.4.4. Un reticolo è modulare se e solo se è privo di sottoreticolipentagonali.

Esempio 8.4.5.• Il reticolo P (I) delle parti di un insieme è modulare.• Il reticolo D(n) dei divisori di n ∈ N∗ è modulare.• Il reticolo dei sottospazi di un piano proiettivo π è modulare.• Il reticolo dei sottospazi di un piano affine π∗ non è modulare.

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Capitolo 8 Reticoli 151

Teorema 8.4.6. Il reticolo formato dai sottogruppi normali di un gruppo èmodulare.

Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo e sia (SN(G),∪,∩) il reticolo dei sot-togruppi normali di G, con H ∪ K = HK e H ∩ K intersezione gruppale (=insiemistica ). Siano H,K, J ∈ SN(G) con H ≤ J (e dunque H ⊆ J), si ha:

(1) H ∪ (K ∩ J) ≤ (H ∪K)∩ J . Infatti se x ∈ H ∪ (K ∩ J) si ha x = hy conh ∈ H, y ∈ K, y ∈ J . Poichè H ⊆ J , x ∈ J e poichè x = hy ∈ H ∪K,risulta x ∈ (H ∪K) ∩ J .

(2) (H ∪K) ∩ J ≤ H ∪ (K ∩ J). Infatti se x ∈ (H ∪K) ∩ J si ha x ∈ J ex = hk con h ∈ H e k ∈ K. Si ricava k = h−1x e dunque k ∈ J perchèh−1 ∈ H e per ipotesi H ⊆ J . Pertanto x = hk con h ∈ H e k ∈ K ∩ Jossia x ∈ H ∪ (K ∩ J).

Da (1) e (2) segue H ∪ (K ∩ J) = (H ∪K)∩J e perciò il reticolo è modulare (vedi(2) di nota 8.4.2).

Corollario 8.4.7. Se (G, ·) è un gruppo abeliano allora il reticolo dei suoisottogruppi è modulare.

In un reticolo, una condizione più forte della modularità è la validità delle leggidistributive.

Definizione 8.4.8. Un reticolo (L,∨,∧) è detto distributivo se per ognia, b, c ∈ L vale la proprietà distributiva dell’unione rispetto all’intersezione (oequivalentemente per il principio di dualità dell’intersezione rispetto all’unione).In simboli:

(1) a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ (a ∨ c)(2) a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c)

Nota 8.4.9. Se (L,∨,∧) è un reticolo distributivo allora lo è anche ogni suosottoreticolo.

Esempio 8.4.10.• Ogni insieme totalmente ordinato è un reticolo distributivo.• Il reticolo P (I) delle parti di un insieme è un reticolo distributivo.• Il reticolo dei sottospazi di un piano proiettivo π non è distributivo.

Teorema 8.4.11. Se (L,∨,∧) è un reticolo distributivo allora (L,∨,∧) è unreticolo modulare. Non vale il viceversa.

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Capitolo 8 Reticoli 152

Dimostrazione. Sia L distributivo, se a, b, c ∈ L con b ≤ a allora la 1. delladefinizione di reticolo distributivo assicura che b ∨ (a ∧ c) = (b ∨ a) ∧ (b ∨ c) =a ∧ (b ∨ c) e pertanto L è modulare. Il viceversa non vale, ad esempio il retico-lo rappresentato dal seguente diagramma è modulare ma non distributivo, comemostrato nella nota successiva.

????

????

??

????

??

Nota 8.4.12. Il reticolo rappresentato dal seguente diagramma

c

????

????

b

????

????

e d

a

è detto reticolo trirettangolo perchè è il reticolo dei sottogruppi del gruppotrirettangolo (o gruppo quadrinomio). Questo reticolo è modulare perchè il gruppotrirettangolo è abeliano, ma non è distributivo. Infatti b∨(e∧d) = b∨a = b mentre(b ∨ e) ∧ (b ∨ d) = c ∧ c = c.

Corollario 8.4.13. Un reticolo (L,∨,∧) è distributivo se e solo se esso noncontiene sottoreticoli isomorfi al reticolo pentagonale o al reticolo trirettangolo.

5. Reticoli complementati e Algebra di Boole

Definizione 8.5.1. Sia (L,∨,∧) un reticolo. Se esiste un elemento 0 ∈ L taleche a ∨ 0 = a, per ogni a ∈ L, allora l’elemento 0 è detto zero del reticolo (oelemento neutro rispetto all’unione). Se esiste un elemento 1 ∈ L tale 1 ∧ a = a,per ogni a ∈ L allora l’elemento 1 è detto unità del reticolo (o elemento neutrorispetto all’intersezione).

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Capitolo 8 Reticoli 153

Dalla definizione di reticolo limitato (def.8.1.3), segue che il reticolo (L,∨,∧)ha zero e unità se e solo se è limitato ed ha minimo 0 e massimo 1.

Nota 8.5.2.(1) Ricordando che in ogni reticolo si può definire una relazione di ordine

parziale (a ≤ b se a ∧ b = a o, equivalentemente, a ∨ b = b) si ha che:• lo zero di un reticolo, se esiste, è il minimo del reticolo;• l’unità di un reticolo, se esiste, è il massimo del reticolo.

(2) Ogni reticolo finito ha l’elemento zero e l’elemento unità.(3) Se due reticoli L e L′ sono isomorfi allora L ha zero (risp. unità) se e solo

se L′ ha zero (risp. unità).(4) Se due reticoli L e L′ sono antisomorfi allora L ha zero (risp. unità) se e

solo se L′ ha unità (risp. zero).

Definizione 8.5.3. Sia (L,∨,∧) un reticolo dotato di zero e di unità. Per ognix ∈ L si chiama complemento di x ogni elemento x ∈ L tale che x ∧ x = 0 ex ∨ x = 1.

Definizione 8.5.4. Un reticolo (L,∨,∧) si dice complementato se ognisuo elemento ha in L almeno un complemento. Se ogni elemento ha un unicocomplemento, il reticolo è detto univocamente complementato.

Nota 8.5.5.(1) Se x è complemento di x allora x è complemento di x.(2) Gli elementi 0 e 1 sono uno il complemento dell’altro.(3) Ogni insieme totalmente ordinato finito con più di due elementi contiene

elementi che non ammettono complemento.

Esempio 8.5.6.(1) Il reticolo rappresentato dal seguente diagramma è univocamente comple-

mentato.1

????

????

x

????

????

y

0

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Capitolo 8 Reticoli 154

(2) Il reticolo pentagonale è complementato ma non univocamente. L’elemen-to 3 ha come complemento sia 2 che 4.

1

ooooooooooooo

????

????

????

????

?

2

3

4

OOOOOOOOOOOOO

5

(3) Il reticolo trirettangolo è complementato ma non univocamente. Ognielemento della terna x, y, z ha come complementi gli altri due.

1

????

????

x

????

????

y z

0

Teorema 8.5.7. Sia (L,∨,∧) un reticolo distributivo dotato di zero e diunità. Ogni elemento di L ha al più un complemento.

Dimostrazione. Sia x ∈ L; supponiamo che x e x siano complementi di x eproviamo che è x = x. Si ha

x = x ∧ 1 = x ∧ (x ∨ x) = (x ∧ x) ∨ (x ∧ x) = 0 ∨ (x ∧ x) = x ∧ xx = x ∧ 1 = x ∧ (x ∨ x) = (x ∧ x) ∨ (x ∧ x) = 0 ∨ (x ∧ x) = x ∧ x

e pertanto x = x.

Corollario 8.5.8. Un reticolo distributivo e complementato è un reticolo uni-vocamente complementato.

Definizione 8.5.9. Si chiama algebra di Boole un reticolo distributivo,dotato di zero e unità e tale che ogni suo elemento ha complemento.

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Capitolo 8 Reticoli 155

Osserviamo che, per il teorema precedente, in un algebra di Boole ogni elementoammette uno ed un solo complemento.

Esempio 8.5.10.(1) Il reticolo (P(I),≤) delle parti dell’insieme I è un’algebra di Boole.

Consideriamo (P(A) reticolo rispetto alla relazione A ≤ B se e solo seA ⊆ B. (P(I),≤) è un’algebra di Boole, infatti:• A ∧ (B ∨ C) = (A ∧B) ∨ (A ∧ C) per ogni A,B,C ∈ P(I).• Sia 0 = ∅ e 1 = I, allora per ogni B ∈ P(I) risulta B ∨ ∅ = B eB ∧ I = B. Inoltre ogni elemento A ∈ P(I) ha come complementol’insieme complementare I−A perchè A∧(I−A) = ∅, A∨(I−A) = I.

(2) Il reticolo pentagonale e il reticolo trirettangolo non sono algebre di Booleperchè non sono reticoli distributivi.

Teorema 8.5.11. Sia (L,∨,∧) un’algebra di Boole e per ogni x ∈ L siax il suo complemento. In L valgono le seguenti due proprietà dette Leggi di DeMorgan.

(1) (a ∨ b) = a ∧ b

(2) (a ∧ b) = a ∨ b

Dimostrazione. Proviamo la (1). Dalla definizione di complemento segue:(a ∨ b) ∧ a ∨ b = 0(a ∨ b) ∨ a ∨ b = 1

Considerato l’elemento a ∧ b risulta(a ∨ b) ∧ (a ∧ b) = [(a ∨ b) ∧ a] ∧ b = (a ∧ b) ∧ b = a ∧ (b ∧ b) = 0(a ∨ b) ∨ (a ∧ b) = [(a ∨ b) ∨ a] ∧ [(a ∨ b) ∨ b] = (a ∨ b) ∨ b = a ∨ (b ∨ b) = 1

ossia (a ∨ b) è il complemento sia dell’elemento a ∨ b sia dell’elemento a ∧ b epertanto risulta a ∨ b = a ∧ b. Per la legge di dualità rimane provata anche la(2).

Corollario 8.5.12. In un’algebra di Boole l’applicazione che ad ogni elementofa corrispondere il suo complemento è un antisomorfismo.

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Capitolo 8 Reticoli 156

6. Esercizi relativi al Capitolo 8

Esercizio 8.6.1.Dimostrare che (N∗,≤) è un reticolo rispetto alla relazione ′′x ≤ y se e solo seesiste z ∈ N∗ tale che zx = y′′.

Esercizio 8.6.2.Sia A = 1, 2, 3, 4, 12. Si considerino in A l’usuale relazione ′′ ≤′′ e la relazione didivisibilità. Dire quali delle due relazioni risulta di ordine totale.

Esercizio 8.6.3.Sia E = 1, 3, 5, 6, 10, 15, 30 e sia ′′ ≤′′ la relazione di divisibilità. Tracciare ildiagramma di Hasse di (E,≤) e verificare che (E,≤) non è totalmente ordinato.

Esercizio 8.6.4.Siano (E, ρ) e (F, σ) due insiemi parzialmente ordinati rispettivamente dalle rela-zioni ρ e σ. Sia τ la relazione in E × F definita da

(x, y)τ(x′, y′) ⇔ xρx′ e yσy′

• Dimostrare che τ è una relazione d’ordine.• Dimostrare che se τ è una relazione d’ordine totale allora anche ρ e σ sono

di ordine totale, mentre il viceversa non è sempre vero.• Siano E = 2, 3, 4, F = 1, 5, 7, ρ la relazione di divisibilità, σ la

relazione ′′ ≤′′. Tracciare il diagramma di Hasse di (E × F, τ).

Esercizio 8.6.5.Dimostrare che l’insieme dei sottogruppi normali di un gruppo G è un sottoreticolodel reticolo dei sottogruppi di G.

Esercizio 8.6.6.Dimostrare che l’insieme F delle applicazioni di un insieme qualsiasi E in un retico-lo distributivo R formano un reticolo distributivo rispetto al seguente ordinamento

f ≤ g ⇔ f(x) ≤ g(x) per ogni x ∈ E

Esercizio 8.6.7.Dimostrare che ogni omomorfismo trasforma un reticolo distributivo in un reticolodistributivo.

Esercizio 8.6.8.Dimostrare che ogni omomorfismo trasforma un reticolo modulare in un reticolomodulare.