Algebra B Lezioni ed esercizi -...

102

Transcript of Algebra B Lezioni ed esercizi -...

Prof.ssa Carla Fiori

Algebra B

Lezioni ed esercizi

Università di Modena e Reggio EmiliaDipartimento di Scienze Fisiche Informatiche Matematiche

Anno Accademico 2017/18

Prefazione

Il corso di Algebra B, s.s.d. Mat/02, è corso fondamentale nel Corso di LaureaMATEMATICA (D.M.270/04). E' inserito nell'o�erta didattica del 1◦ anno, secondosemestre; 6 CFU, lezioni ed esercitazioni per complessive 48 ore.

Per ulteriori informazioni si rinvia al sito www.esse3.unimore.it

Questa sinossi raccoglie le lezioni e le esercitazioni del corso di Algebra B te-nute dalla Professoressa Carla Fiori presso l'Università di Modena e Reggio Emiliadurante l'anno accademico 2017/18. Viene o�erta quale ausilio didattico per gli stu-denti ed è reperibile gratuitamente nella pagina web del docente alla voce "MaterialeDidattico".

http://cdm.unimo.it/home/matematica/�ori.carla/

Testi di riferimento per approfondimenti:(1) G.M. Piacentini Cattaneo, Algebra, un approccio algoritmico, Zanichelli.(2) D.Dikranjan, M.S. Lucido, Aritmetica e Algebra, Liguori Editore.(3) P.Quattrocchi, G.Rinaldi, Algebra, Zanichelli.(4) S.Gabelli, Teoria delle equazioni e Teoria di Galois, Berlin Heidelberg New

York, Springer.

i

PREFAZIONE ii

frasi celebri ....

Non cercare di diventare un uomo di successo,ma piuttosto un uomo di valore.

Albert Heinstein (1879-19455 )

La matematica non conosce razze o con�ni geogra�ci;per la matematica, il mondo culturale è una singola nazione.

David Hilbert (1862-1943)

La matematica è un grandioso e vasto paesaggio apertoa tutti gli uomini a cui il pensare arrechi gioia,ma poco adatto a chi non ami la fatica del pensare.

Immanuel Lazarus Fuchs (1833-1902)

Dallo studio dei triangoli e delle formule algebrichesono passato a quelle degli uomini e delle cose;comprendo quanto quello studio mi sia stato utile per quelloche ora vado facendo degli uomini e delle cose.

Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861)

Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell'uomo.Leopold Kronecker (1823-1891)

La matematica è la porta e la chiave delle scienze.Ruggero Bacone (1214-1294)

I numeri governano il mondo.Platone (427-347 a.C.)

Indice

Prefazione i

Capitolo 1. Anelli 11. De�nizioni, proprietà, esempi 12. Omomor�smi tra anelli. Ideali 53. Anello quoziente. Generatori di un ideale 84. Ideali primi. Ideali massimali. 115. Anello degli Endomor�smi di un gruppo abeliano. 136. Esercizi 15

Capitolo 2. L'anello dei Polinomi. 171. De�nizioni 172. Polinomi a coe�cienti in un campo. 203. Irriducibilità dei polinomi a coe�cienti in C e in R.

Teorema fondamentale dell'algebra. 244. Polinomi a coe�cienti in Q e in Z 255. Polinomi ciclotomici su Q 296. Esercizi 33

Capitolo 3. Anelli euclidei. 341. Domini d'integrità 342. Anelli euclidei. 373. Esercizi 45

Capitolo 4. Corpi e Campi. 471. De�nizioni, proprietà, esempi 472. Estensione di campi 503. Teorema dell'elemento primitivo. 614. Campo di spezzamento di un polinomio. 675. Formule di Viète. 726. Campi �niti. 737. Teorema di Wedderburn. 768. Il corpo dei quaternioni reali di Hamilton 79

iii

INDICE iv

9. Esercizi 80

Capitolo 5. Elementi di Teoria di Galois. 831. Un po' di storia 832. Gruppo di Galois di un polinomio 853. Il Teorema di corrispondenza di Galois 884. Applicazioni e conclusione 925. Esercizi 95

CAPITOLO 1

Anelli

Dopo lo studio della struttura di gruppo, con questo capitolo iniziamo lo studiodelle due principali strutture algebriche de�nite da due operazioni: anelli e campi.

Iniziamo con la struttura di anello e con lo studio di un anello particolarmenteimportante, l'anello dei polinomi in una indeterminata.

1. De�nizioni, proprietà, esempi

De�nizione 1.1.1. Sia A 6= ∅ un insieme con due operazioni binarie interne ”+”e ” · ”. Si dice che (A,+, ·) è un anello se valgono le seguenti proprietà:

(1) (A,+) è un gruppo commutativo;(2) a · (b · c) = (a · b) · c per ogni a, b, c ∈ A (proprietà associativa);(3) a · (b + c) = a · b + a · c, (a + b) · c = a · c + b · c per ogni a, b, c ∈ A

(proprietà distributive).

Come per i gruppi, di norma, scriveremo ab invece di a · b. L'elemento neutrodell'addizione si chiama lo zero dell'anello e si indica con 0.

Se la struttura di anello gode di ulteriori proprietà, la struttura si arricchisce e, inparticolare, si hanno le seguenti de�nizioni.

De�nizione 1.1.2.

(1) Un anello (A,+, ·), A 6= {0}, è detto anello commutativo se l'operazionedi moltiplicazione gode della proprietà commutativa.

(2) Un anello (A,+, ·), A 6= {0}, è detto anello unitario se esiste l'elementoneutro rispetto alla moltiplicazione, ossia se esiste 1 ∈ A∗ tale che 1 · a =a · 1 = a per ogni a ∈ A. Se l'elemento neutro rispetto alla moltiplicazioneesiste allora esso è unico ed è chiamato l'unità dell'anello.

(3) Un anello (A,+, ·), A 6= {0}, è detto dominio di integrità se è commuta-tivo e non possiede divisori dello zero, ossia ab = 0 se e solo se a = 0 oppureb = 0.

1

Capitolo 1 Anelli 2

(4) Un anello (A,+, ·), A 6= {0}, non necessariamente commutativo, è dettocorpo se (A∗, ·) è un gruppo.

(5) Un corpo (A,+, ·), A 6= {0}, è detto campo se (A∗, ·) è un gruppo commu-tativo.

Esempi 1.1.3.

(1) L'insieme Mn(A), n ≥ 2, delle matrici quadrate n × n ad elementi in unanello, è un anello rispetto alle ordinarie de�nizioni di addizione elementoper elemento e di moltiplicazione righe per colonne. Se A è un campo alloraMn(A) è un anello unitario non commutativo.

(2) A = {(a b0 0

)| a, b ∈ R} rispetto alle usuali operazioni di somma e pro-

dotto righe per colonne fra matrici, è un anello non commutativo, non uni-

tario ma con in�nite unità a sinistra, infatti ogni matrice del tipo

(1 b0 0

)è un elemento neutro (unità) a sinistra.

(3) L'insieme Zn delle classi resto modulo n, n ≥ 2, è un anello commutativounitario rispetto alle usuali operazioni fra classi: [a]+ [b] = [a+b] e [a] · [b] =[a · b]. Questo anello ha divisori dello zero se e solo se n non è un numeroprimo.

(4) (Z,+, ·) è un dominio di integrità (ma non un corpo).(5) Q,R sono campi rispetto alle ordinarie operazioni di addizione e moltiplica-

zione.(6) (Zp,+, ·), p primo, è un campo.(7) Sia A un insieme e P(A) sia l'insieme delle parti di A. L'insieme P(A) è un

anello commutativo rispetto alle seguenti due operazioni:X + Y = (X ∪ Y )− (X ∩ Y ), X · Y = X ∩ Y.

(8) Siano (A1,+, ·) e (A2,+, ·) due anelli. Il prodotto cartesiano A1 × A2 è unanello rispetto alle seguenti due operazioni:(a1, a2) + (b1, b2) = (a1 + b1, a2 + b2), (a1, a2) · (b1, b2) = (a1 · b1, a2 · b2).Questo anello spesso si indica con A1⊕A2 e si chiama somma diretta di A1

e A2. Se A1 = A2 = A 6= ∅ allora (A×A,+, ·) è un anello con divisori dellozero, infatti se a ∈ A, a 6= 0, risulta (a, 0)(0, a) = (0, 0).

Esempio 1.1.4. L'insieme C = R× R rispetto le seguenti operazioni:• (a, b) + (c, d) = (a+ c, b+ d) per ogni a, b, c, d ∈ R• (a, b) · (c, d) = (ac− bd, ad+ bc) per ogni a, b, c, d ∈ R

è un campo detto il campo dei numeri complessi.

Capitolo 1 Anelli 3

Dimostrazione. Poichè R è un campo, si veri�ca facilmente che (C,+) e (C∗, ·)sono gruppi abeliani, con C∗ = C−{(0, 0)}. In particolare (0, 0) è l'elemento neutrorispetto la ” + ” e (1, 0) è l'elemento neutro rispetto la ” · ”; −(a, b) = (−a,−b) e se(a, b) 6= (0, 0) si ha (a, b)−1 = ( a

a2+b2,− b

a2+b2). �

Proposizione 1.1.5. Sia (A,+, ·) un anello. Per ogni a, b ∈ A si ha :

(1) a0 = 0a = 0 ;(2) a(−b) = (−a)b = −(ab);(3) (−a)(−b) = ab .

Dimostrazione.

(1) Si ha ab = a(b + 0) = ab + a0 e pertanto a0 = 0; analogamente ba == (b+ 0)a = ba+ 0a da cui segue 0a = 0.

(2) Si ha 0 = a0 = a(b + (−b)) = ab + a(−b) e pertanto a(−b) = −(ab);analogamente (−a)b = −(ab).

(3) Si ha (−a)(−b) = −[(−a)b] = −[−(ab)] = ab.�

Corollario 1.1.6. Sia (A,+, ·) un anello unitario, si ha

• (−1)(−1) = 1 ,• (−1)a = −a per ogni a ∈ A.

De�nizione 1.1.7. Sia (A,+, ·) un anello unitario. Un elemento a ∈ A∗ si diceinvertibile se esiste b ∈ A∗ tale che ab = ba = 1. L'elemento b verrà detto inversodi a e sarà indicato con a−1.

Si noti che se l'inverso di un elemento a esiste, esso è unico.Infatti se ab = ba = 1 e ac = ca = 1 con b, c ∈ A∗, allora c = c(ab) = (ca)b = b.

De�nizione 1.1.8. Sia (A,+, ·) un anello commutativo, a, b ∈ A, a 6= 0. Si diceche a è un divisore di b oppure che a divide b, se esiste c ∈ A tale che b = ac; inquesto caso si scrive a | b.

De�nizione 1.1.9. Sia (A,+, ·) un anello commutativo, a, b ∈ A∗. Un elementod ∈ A∗ è detto massimo comune divisore di a e b se:

(1) d | a, d | b;(2) se c ∈ A∗, c | a, c | b allora c | d.

Capitolo 1 Anelli 4

Se d è un massimo comune divisore di a e b, scriveremo d = MCD(a, b).

De�nizione 1.1.10. Sia (A,+, ·) un anello. Un sottoinsieme non vuoto B di Asi dice sottoanello di A se B è un anello rispetto alle stesse operazioni di A.

Proposizione 1.1.11. Sia (A,+, ·) un anello. Un sottoinsieme non vuoto B diA è un sottoanello di A se e solo se per ogni a, b ∈ B si ha:

a− b ∈ B , ab ∈ B .

Dimostrazione. Basta osservare che a − b ∈ B implica (B,+) sottogruppo di(A,+). �

Esempi 1.1.12.

(1) Ogni anello (A,+, ·) possiede come sottoanelli (A,+, ·) e ({0},+, ·). Questidue sottoanelli sono detti sottoanelli banali.

(2) (nZ,+, ·) è un sottoanello di (Z,+, ·), n ∈ N∗.(3) Sia (A,+, ·) un anello e sia a ∈ A un �ssato elemento. L'insieme Ba = {x ∈

A | xa = ax} è un sottoanello di A.(4) L'insieme A delle matrici del tipo(

a −bb a

)con a, b ∈ K campo, è un sottoanello dell'anello di tutte le matrici quadratedi ordine 2 a elementi in K.

Proposizione 1.1.13. Al variare di n in N∗, gli anelli (nZ,+, ·) sono tutti e solii sottoanelli di (Z,+, ·).

Dimostrazione. Ogni (nZ,+, ·) è un sottoanello di (Z,+, ·) perchè nZ ⊂ Zed è un insieme tale che a − b, a · b ∈ nZ comunque presi a, b ∈ nZ. Viceversa unqualunque sottoanello (S,+, ·) di (Z,+, ·) è del tipo S = nZ perchè tutti i sottogruppidi (Z,+) sono del tipo (nZ,+). Infatti sia S 6= {0} un sottogruppo di (Z,+) e siaa 6= 0 un suo elemento. Allora −a ∈ S e pertanto in S vi sono interi positivi, siam il minimo intero positivo contenuto in S. Proviamo che S = mZ. BanalmenteS ⊇ mZ, pertanto dimostriamo l'altra inclusione. Sia s ∈ S, si ha s = mq + r con0 ≤ r < m, poichè r ∈ S, per l'ipotesi di minimalità fatta su m, deve essere r = 0 epertanto ogni elemento di S è un multiplo di m ossia appartiene a mZ. �

Capitolo 1 Anelli 5

2. Omomor�smi tra anelli. Ideali

Nello studio dei gruppi abbiamo incontrato applicazioni che conservano l'opera-zione che de�nisce la struttura algebrica. Analogamente, anche fra due anelli possonoesistere applicazioni di questo tipo, sono gli omomor�smi.

De�nizione 1.2.1. Dati due anelli (A,+, ·) e (A′,+, ·), si chiama omomor�smo

di A in A′ogni applicazione ϕ da A in A

′tale che per ogni a, b ∈ A risulta

ϕ(a+ b) = ϕ(a) + ϕ(b) , ϕ(ab) = ϕ(a)ϕ(b)

De�nizione 1.2.2. Un omomor�smo ϕ fra anelli è detto monomor�smo sel'applicazione ϕ è iniettiva; è detto epimor�smo se l'applicazione ϕ è suriettiva; èdetto isomor�smo se l'applicazione ϕ è biettiva.

Esempi 1.2.3.

(1) L'applicazione ϕ tra gli anelli (A,+, ·) e (A′,+, ·), de�nita da ϕ(a) = 0 per

ogni a ∈ A è banalmente un omomor�smo, esso è detto omomor�smonullo.

(2) L'applicazione ϕ dell'anello (A,+, ·) in sè stesso, de�nita da ϕ(a) = a perogni a ∈ A è banalmente un omomor�smo, esso è detto omomor�smoidentico o identità .

(3) L'applicazione ϕ : Z → Z6 de�nita da ϕ(n) = 0 se n è pari, ϕ(n) = 3 se nè dispari, è un omomor�smo non suriettivo (per esempio, 2 non è immaginedi nessun elemento).

(4) L'applicazione ϕ : Z3 → Z6 de�nita da ϕ(a) = 3a non è un omomor�smo(per esempio ϕ(2 + 2) = 3 6= ϕ(2) + ϕ(2) = 0).

(5) L'applicazione ϕ : Z → Z de�nita da ϕ(n) = 2n non è un omomor�smo dianelli perchè conserva la addizione ma non la moltiplicazione.

(6) L'applicazione ϕ : Z → Z de�nita da ϕ(n) = |n| non è un omomor�smo dianelli perchè conserva la moltiplicazione ma non l'addizione.

Nota 1.2.4. L'omomor�smo nullo e l'omomor�smo identità sono detti omo-mor�smi banali ed esistono qualunque sia l'anello (A,+, ·).

Proposizione 1.2.5. Sia ϕ un omomor�smo tra gli anelli (A,+, ·) e (A′,+, ·).

Si ha

(1) ϕ(0A) = 0A′

Capitolo 1 Anelli 6

(2) ϕ(−a) = −ϕ(a)(3) Se S è un sottoanello di A allora ϕ(S) è un sottoanello di A

′.

(4) Se S′è un sottoanello di A

′allora ϕ−1(S

′) è un sottoanello di A .

Dimostrazione. Basta ricordare che ϕ è, in particolare, un omomor�smo fra igruppi additivi (A,+) e (A

′,+). �

Proposizione 1.2.6. Sia ϕ un omomor�smo non nullo tra due anelli unitari(A,+, ·) e (A

′,+, ·). Se ϕ è suriettivo oppure se (A

′,+) è un dominio di integrità,

si haϕ(1A) = 1A′

Dimostrazione. Distinguiamo i due casi.(1) Sia ϕ suriettivo e sia a ∈ A tale che ϕ(a) = 1A′ .

Si ha 1A′ = ϕ(a) = ϕ(1A · a) = ϕ(1A)ϕ(a) = ϕ(1A) · 1A′ = ϕ(1A).(2) Sia (A

′,+, ·) un dominio di integrità e sia a ∈ A tale che ϕ(a) 6= 0A′ . Si ha

ϕ(a) = ϕ(a · 1A) = ϕ(a) ·ϕ(1A) ma si ha anche ϕ(a) = ϕ(a) · 1A′ , e pertantoϕ(a) · ϕ(1A) = ϕ(a) · 1A′ e poichè ϕ(a) 6= 0A′ si conclude ϕ(1A) = 1A′ .

De�nizione 1.2.7. Sia ϕ un omomor�smo fra gli anelli (A,+, ·) e (A′,+, ·). Si

de�nisce nucleo di ϕ, e si indica con Kerϕ, il seguente sottoinsieme di A

Kerϕ = {a ∈ A | ϕ(a) = 0A′}

Sia ϕ un omomor�smo di (A,+, ·) in (A′,+, ·). È immediato veri�care che

(1) Kerϕ è un sottoanello di (A,+, ·).(2) Kerϕ = {0} se e solo se ϕ è iniettivo.(3) Se S

′è un sottoanello di A

′allora il sottoanello ϕ−1(S

′) contiene Kerϕ.

De�nizione 1.2.8. Sia (A,+, ·) un anello e sia I 6= ∅ un sottoinsieme di A. Sidice che I è un ideale sinistro, è un ideale destro, è un ideale bilatero, se si harispettivamente

(1) a− b ∈ I per ogni a, b ∈ I,xa ∈ I per ogni a ∈ I, per ogni x ∈ A.

(2) a− b ∈ I per ogni a, b ∈ I,ax ∈ I per ogni a ∈ I, per ogni x ∈ A.

(3) a− b ∈ I per ogni a, b ∈ I,xa ∈ I, ax ∈ I per ogni a ∈ I, per ogni x ∈ A.

Capitolo 1 Anelli 7

Dalla de�nizione segue che

• se l'anello è commutativo ogni suo ideale è bilatero;• ogni ideale è un sottogruppo del gruppo (A,+);• un ideale destro (o sinistro) di (A,+, ·) è un sottoanello, ma attenzione chenon vale il viceversa. Ad esempio Sa = {x ∈ A | ax = xa} è un sottoanelloma non un ideale di (A,+, ·);• se I e J sono due ideali sinistri (rispettivamente destri, bilateri) dell'anello

(A,+, ·), allora I ∩ J è ancora un ideale sinistro (rispettivamente destro,bilatero) di (A,+, ·).

Esempi 1.2.9.

(1) Ogni anello (A,+, ·) possiede almeno gli ideali {0} e A detti ideali banali(o impropri).

(2) Sia (A,+, ·) un anello e sia a ∈ A �ssato. Ia = {xa | x ∈ A} è un idealesinistro di A. Ia = {ax | x ∈ A} è un ideale destro di A.

(3) Il nucleo di un omomor�smo fra anelli è un ideale bilatero.(4) Per ogni n ∈ N, (nZ,+, ·) è un ideale bilatero dell'anello (Z,+, ·).

Proposizione 1.2.10. Sia ϕ un omomor�smo fra gli anelli (A,+, ·) e (A′,+, ·).

(1) Se I è un ideale di A allora ϕ(I) è un ideale di ϕ(A)(= Imϕ) ma nonnecessariamente di A

′.

(2) Se I′è un ideale di A

′allora ϕ−1(I

′) è un ideale di A contenente Kerϕ.

Dimostrazione. Segue dalle de�nizioni. �

Teorema 1.2.11. Ogni corpo ha solo gli ideali banali.

Dimostrazione. Sia I 6= ∅ un ideale sinistro (rispettivamente destro) del corpoK e sia a ∈ I, a 6= 0. Poichè a−1 ∈ K si ha a−1a = 1 ∈ I (rispettivamente aa−1 = 1 ∈I), ne consegue che per ogni x ∈ K si ha x = x ·1 ∈ I (rispettivamente x = 1 ·x ∈ I).Rimane così provato che I = K. �

Capitolo 1 Anelli 8

3. Anello quoziente. Generatori di un ideale

Come mostrano i prossimi tre teoremi, nella teoria degli anelli gli ideali bilaterigiocano un ruolo analogo a quello giocato dai sottogruppi normali nella teoria deigruppi.

Teorema 1.3.1. Sia (A,+, ·) un anello, I un suo ideale bilatero, A/I = {a +I | a ∈ A}. L'insieme A/I è un anello rispetto alle seguenti operazioni:

(a+ I) + (b+ I) = (a+ b) + I , (a+ I)(b+ I) = ab+ I.

Se A è commutativo anche A/I è commutativo. Se A è unitario e I 6= A anche A/Iè unitario.

Dimostrazione. Occorre dimostrare anzitutto che le operazioni de�nite in A/Isono ben poste. Questa dimostrazione si fonda sul fatto che per ogni a ∈ A gli insiemia + I sono le classi laterali del sottogruppo (I,+) di (A,+). Se a1 + I = a2 + I eb1 + I = b2 + I, si ha a2 = a1 + i e b2 = b1 + j con i, j ∈ I. Segue che

• a2 + b2 = (a1 + i) + (b1 + j) da cui a2 + b2 ∈ (a1 + b1) + I, (a2 + b2) + I == (a1 + b1) + I e pertanto in A/I l'operazione ” + ” è ben posta.• a2b2 = (a1 + i)(b1 + j) = a1b1 + (a1j + ib1 + ij) ∈ a1b1 + I da cui a2b2 + I =

= a1b1 + I e pertanto in A/I l'operazione ” · ” è ben posta.(A/I,+) è un gruppo abeliano perchè quoziente di un gruppo abeliano, e banalmentesi veri�ca che è un anello e che è commutativo se (A,+, ·) lo è. Inoltre se (A,+, ·)ammette unità 1 e se I 6= A, allora A/I è unitario e la sua unità è 1 + I. �

De�nizione 1.3.2. Sia (A,+, ·) un anello e I un suo ideale bilatero. L'anello(A/I,+, ·) è detto anello quoziente di A modulo l'ideale I.

Proposizione 1.3.3. Sia (A,+, ·) un anello e I un suo ideale bilatero. L'appli-cazione π : A → A/I de�nita da π(a) = a + I è un omomor�smo suriettivo dettoomomor�smo naturale o canonico di (A,+, ·) su A/I e si ha Kerπ = I.

Dimostrazione. Dalla de�nizione segue immediatamente che π è suriettivo eche è un omomor�smo: π(a+ b) = π(a) + π(b) e π(ab) = π(a)π(b). Si ha a ∈ Kerπse e solo se π(a) = I se e solo se a+I = I se e solo se a ∈ I e pertanto Kerπ = I. �

Teorema 1.3.4 (Teorema fondamentale di omomor�smo tra anelli). Sia π unomomor�smo suriettivo dell'anello (A,+, ·) nell'anello (A

′,+, ·). Si ha (A

′,+, ·)

isomorfo a A/Kerπ.

Capitolo 1 Anelli 9

Dimostrazione. Poniamo I = Kerπ e de�niamo

φ : A/I → A′, φ(a+ I) = π(a).

• È una buona de�nizione ossia se a + I = b + I allora φ(a + I) = φ(b + I).Infatti da a + I = b + I segue a − b ∈ I, allora π(a − b) = 0A′ , alloraπ(a)− π(b) = 0A′ da cui π(a) = π(b) ossia φ(a+ I) = φ(b+ I).• φ è un omomor�smo. Infatti φ[(a+ I) + (b+ I)] = π(a+ b) = π(a) + π(b) =

= φ(a+ I) + φ(b+ I).• φ è suriettivo. Infatti per ogni a′ ∈ A′ esiste a = π−1(a′) e pertanto φ(a+I) =a′.• φ è iniettivo. Infatti se φ(a + I) = φ(b + I) allora π(a) = π(b) da cuiπ(a− b) = 0A′ e pertanto a− b ∈ Kerπ = I ossia a+ I = b+ I.

Dunque φ è un isomor�smo di A/Kerπ su (A′,+, ·). �

Il Teorema ora dimostrato permette di a�ermare che ogni immagine omomorfadi un dato anello (A,+, ·) è, a meno di isomor�smi, un anello quoziente di (A,+, ·)modulo un suo ideale; ossia per determinare tutte le immagini omomorfe di (A,+, ·)basta operare all'interno dell'anello, cercando tutti gli ideali bilateri. Inoltre perprovare che un anello quoziente A/I è isomorfo ad un anello (A

′,+, ·) basta trovare

un omomor�smo suriettivo tra (A,+, ·) e (A′,+, ·) che abbia l'ideale I come nucleo.

Osservazione.I quozienti di (Z,+, ·) sono esattamente i seguenti: Z/Z '< 0 >, Z/ < 0 >' Z,

Z/nZ ' Zn per ogni n ≥ 2. Questo perchè per ogni n ∈ N si ha (nZ,+, ·) ideale di(Z,+, ·) e i sottogruppi di (Z,+) sono tutti e soli i sottogruppi (nZ,+).

Nel seguito consideriamo sempre anelli commutativi. Inoltre ricordiamo chel'intersezione di due ideali di un anello è un ideale dell'anello.

De�nizione 1.3.5. Sia (A,+, ·) un anello commutativo e sia S = {a1, . . . , at, . . .}un sottoinsieme non vuoto di A. Si de�nisce ideale generato da S l'intersezione ditutti gli ideali di A contenenti S e si indica con < S > oppure con < a1, a2, . . . , at >nel caso sia S = {a1, a2, . . . , at} �nito. Gli elementi di S sono detti generatoridell'ideale .

Proposizione 1.3.6. Sia (A,+, ·) un anello commutativo e S = {a1, . . . , at, . . .}un sottoinsieme di A. Si ha

(1) L'ideale generato da S è il più piccolo ideale di A contenente gli elementi diS.

Capitolo 1 Anelli 10

(2) Se S = {a} allora < a >= {xa + na | x ∈ A, n ∈ Z} e nel caso A siaunitario risulta < a >= {xa | x ∈ A}.

(3) Se S = {a1, a2, . . . , at} allora< a1, a2, . . . , at >= {

∑ti=1 niai +

∑ti=1 biai | ni ∈ Z, bi ∈ A }.

Dimostrazione.

(1) Segue dalla de�nizione di ideale generato da S.(2) Un qualunque ideale contenente a deve contenere xa per ogni x ∈ A ed

essendo un sottogruppo additivo deve contenere na per ogni n ∈ Z; pertantoun qualunque ideale contenente a deve contenere {xa+ na | x ∈ A, n ∈ Z}.Viceversa, l'insieme {xa + na | x ∈ A, n ∈ Z} contiene a ed è un ideale;infatti a = 0a+ 1a e l'insieme considerato è un ideale perchè (x1a+ n1a)−(x2a+n2a) = (x1−x2)a+ (n1−n2)a con x1−x2 ∈ A e n1−n2 ∈ Z; inoltreper ogni y ∈ A risulta y(xa+na) = (yx+yn)a+0a con yx+yn ∈ A essendosomma di elementi di A. Si conclude < a >= = {xa+na | x ∈ A, n ∈ Z}.Se A è unitario allora l'insieme {xa | x ∈ A} è un ideale contenente a perchè1A ·a = a ed è il più piccolo ideale contenente a perchè se a ∈ J con J ideale,in J ci sono tutti gli elementi xa con x ∈ A.Se A non è unitario l'insieme {xa | x ∈ A} è sempre un ideale ma non èdetto contenga a e perciò non è detto che sia l'ideale generato da a.

(3) E' una banale generalizzazione di quanto dimostrato nel punto precedente.

Esempi 1.3.7.

(1) Si consideri l'anello (Z,+, ·) e sia S = {5}. Allora l'ideale generato da S è< 5 >= {5n | n ∈ Z} = 5Z.

(2) Si consideri l'anello commutativo non unitario (2Z,+, ·) e sia S = {6}.Allora < 6 >= {6x + 6n | x ∈ 2Z, n ∈ Z} = {0,±6,±12, . . .} = 6Z. Sinoti che {6x | x ∈ 2Z}, pur essendo un ideale, non è il più piccolo idealecontenente 6 perchè non contiene 6, infatti {6x | x ∈ 2Z} = 12Z 6=< 6 >.

(3) In (Z,+, ·) l'ideale generato da S = {6, 15} è < 3 >. Occorre ricordare cheogni numero intero si può scrivere come somma di un multiplo di 2 e di unmultiplo di 5; < 6, 15 >= {6n1 +15n2 | n1, n2 ∈ Z} = {3n | n ∈ Z} =< 3 >.

Teorema 1.3.8. Un anello commutativo unitario è un campo se e solo se hasolo gli ideali banali.

Capitolo 1 Anelli 11

Dimostrazione. E' già stato dimostrato che un corpo (e quindi anche un cam-po) ha solo gli ideali banali. Viceversa supponiamo che (A,+, ·) sia un anello com-mutativo unitario avente solo gli ideali banali. Comunque preso a ∈ A, a 6= 0, l'ideale< a > contiene almeno l'elemento a e pertanto, avendo solo gli ideali banali, si ha< a >= A, ossia A = {xa | x ∈ A}. L'anello A è unitario e perciò esiste a ∈ Atale che 1 = a · a, ciò signi�ca che in A l'elemento a 6= 0 ammette l'inverso e quindi(A,+, ·) è un campo. �

De�nizione 1.3.9. Sia (A,+, ·) un anello commutativo unitario. Un ideale diA si dice principale se è generato da un elemento. Si de�nisce anello principaleogni anello i cui ideali sono tutti principali.

Esempi 1.3.10.

(1) Gli ideali banali di un anello commutativo unitario sono principali.(2) L'anello (Z,+, ·) è un anello principale perchè ogni suo ideale è principale

essendo (nZ,+, ·) =< n >.

4. Ideali primi. Ideali massimali.

De�nizione 1.4.1. Sia (A,+, ·) un anello commutativo; un suo ideale I è dettoprimo se per ogni a, b ∈ A si ha

ab ∈ I ⇒ a ∈ I oppure b ∈ I.

Esempi 1.4.2.

(1) Nell'anello (Z,+, ·) l'ideale < 7 >= 7Z è primo. Infatti se ab ∈< 7 > alloraab = 7z ossia 7 divide ab ed essendo 7 un intero primo signi�ca 7 divide aoppure 7 divide b e pertanto a ∈< 7 > oppure b ∈< 7 >.

(2) Nell'anello (Z,+, ·) l'ideale < 15 >= 15Z non è primo. Infatti3 · 5 ∈< 15 > ma nè 3 nè 5 è un elemento di < 15 >.

(3) Gli ideali primi dell'anello (Z,+, ·) sono tutti e soli quelli generati da unnumero primo.

Proposizione 1.4.3. Sia (A,+, ·) un anello commutativo, A 6=< 0 >, e sia Iun suo ideale, I 6= A. L'ideale I è primo se e solo se A/I è un dominio di integrità.

Capitolo 1 Anelli 12

Dimostrazione. Ricordiamo che (a + I)(b + I) = ab + I e che I è lo zero diA/I. Si ha:

I primo ⇔ ab ∈ I implica a ∈ I oppure b ∈ I ⇔ ab + I = I implica a ∈ Ioppure b ∈ I ⇔ (a + I)(b + I) = I implica a + I = I oppure b + I = I ⇔ A/I èun dominio di integrità. �

De�nizione 1.4.4. Sia (A,+, ·) un anello commutativo; un suo ideale I 6= A èdetto massimale se non esistono altri ideali che contengono propriamente I.

Dalla de�nizione segue che un ideale I dell'anello commutativo (A,+, ·) è massi-male quando I 6= A e se J è un ideale di A tale che I ⊂ J ⊂ A allora si ha I = Joppure J = A.

Esempi 1.4.5.

(1) Nell'anello (Z,+, ·) l'ideale < 7 > è massimale. Infatti se < 7 > ⊂ < n >⊆ (Z,+, ·) allora n deve dividere propriamente 7, ma poichè 7 è primo deveessere n = 1 da cui < n >=< 1 >= (Z,+, ·).

(2) Gli ideali massimali dell'anello (Z,+, ·) sono tutti e soli quelli generati daun numero primo. Infatti supponiamo I ⊆ J ⊆ Z con I =< n >,J =< m >, n primo. Poichè < n > ⊆ < m > si ha n ∈< m >, n = mk,allora m|n ed essendo n primo deve essere m = ±1 oppure m = ±n. Sem = ±1 allora < m >= J = Z; se m = ±n allora < m >= J = I. Viceversase n non è primo allora n = rs, 1 < r, s < n e si ha< n > ⊂ < r > ⊂ Z e pertanto < n > non è massimale in Z.

(3) Nell'anello (Z,+, ·) l'ideale < 0 > non è massimale.

Sappiamo che Z<n>

= Zn è un campo se e solo se n è un numero primo ed esprimendocicon il nuovo linguaggio possiamo scrivere:

Z< n >

campo ⇔ < n > è ideale massimale di Z.

Questa proprietà non è solo di Z ma il prossimo teorema la dimostra in generale.

Teorema 1.4.6. Sia (A,+, ·) un anello commutativo unitario; un suo ideale Iè massimale se e solo se A/I è un campo.

Dimostrazione. Sia I massimale e sia a ∈ A− I. Consideriamo l'ideale< a, I >= {ax + i | x ∈ A, i ∈ I} generato da I ∪ {a}; poichè I ⊂ < a, I >, per

la massimalità di I risulta < a, I >= A. Essendo A unitario, esistono x ∈ A e i ∈ I

Capitolo 1 Anelli 13

tali che ax + i = 1, ax = 1− i ∈ 1 + I ossia (a + I)(x + I) = 1 + I e pertanto ognielemento di A/I ammette inverso in A/I e quindi A/I è un campo.

Viceversa sia A/I un campo. Si ha I 6= A perchè A/A ha un solo elemento, lozero, e perciò non può essere un campo. Sia J un ideale di A con I ⊂ J ⊆ A e siaa ∈ J, a /∈ I. Si ha a + I 6= I e perciò esiste b + I ∈ A/I tale che (a + I)(b + I) == 1 + I, ab+ I = 1 + I, ab−1 ∈ I da cui ab−1 ∈ J . Poichè ab ∈ J (essendo a ∈ J),risulta ab− (ab− 1) = 1 ∈ J, ma 1 ∈ J implica J = A e pertanto I è massimale. �

5. Anello degli Endomor�smi di un gruppo abeliano.

Nello studio della teoria dei gruppi, il Teorema di Cayley riporta lo studio deigruppi a quello dei gruppi di permutazioni. Lo studio della teoria degli anelli, siriporta allo studio dell'anello degli endomor�smi dei gruppi abeliani.

De�nizione 1.5.1. Sia (G,+) un gruppo abeliano. Si chiama endomor�smodi G un omomor�smo di G in sè. L'insieme di tutti gli endomor�smi del gruppo Gsi indica con End(G):

End(G) = {ϕ : G→ G | ϕ(x+ y) = ϕ(x) + ϕ(y), ∀x, y ∈ G}

Proposizione 1.5.2. Sia (G,+) un gruppo abeliano. Nell'insieme End(G) de�-niamo le seguenti operazioni:

” + ” : (α + β)(x) = α(x) + β(x) per ogni x ∈ G” ◦ ” : (α ◦ β)(x) = α[β(x)] per ogni x ∈ G

Si ha (End(G),+, ◦) anello unitario.

Dimostrazione. Qualunque siano gli endomor�smi α e β, anche α+ β e α ◦ βlo sono e perciò ” + ” e ” ◦ ” sono operazioni in End(G). L'elemento neutro di(End(G),+) è l'endomor�smo nullo; inoltre si ha (α+ β) + γ = α+ (β+ γ) e risultaα+ β = β + α per la commutatività del gruppo (G,+). Per ogni α ∈ End(G) esistel'endomor�smo −α de�nito da (−α)(x) = −α(x). Si ha −α + α = α + (−α) ugualeall'endomor�smo nullo e pertanto (End(G),+) è un gruppo abeliano.

Inoltre si ha α ◦ (β ◦ γ) = (α ◦ β) ◦ γ, α ◦ (β + γ) = α ◦ β +α ◦ γ, (α+ β) ◦ γ =α◦γ+β ◦γ e pertanto (End(G),+, ◦) è un anello unitario con unità l'endomor�smoidentico. �

Teorema 1.5.3. Ogni anello unitario (A,+, ·) è isomorfo ad un sottoanellodell'anello (End(A),+, ◦) degli endomor�smi di (A,+).

Capitolo 1 Anelli 14

Dimostrazione. Per ogni a ∈ A l'applicazione ϕa : A → A, ϕa(x) = ax èun endomor�smo di (A,+). Sia g : A → End(A), g(a) = ϕa. L'applicazione g èiniettiva, infatti se g(a) = g(b) allora ϕa = ϕb da cui ϕa(1) = ϕb(1) e quindi a = b.Proviamo ora che g è un omomor�smo. Si ha g(a+b) = ϕa+b e g(a)+g(b) = ϕa+ϕb,ϕa+b(x) = (a + b)x = ax + bx = ϕa(x) + ϕb(x) e pertanto g(a + b) = g(a) + g(b).Inoltre g(ab) = ϕab e g(a) ◦ g(b) = ϕa ◦ ϕb e ϕabx = (ab)x = a(bx) = ϕa ◦ ϕb(x) edunque g(ab) = g(a) ◦ g(b). �

Teorema 1.5.4. Se (G, ·) è un gruppo ciclico �nito di ordine n allora l'anello(End(G),+, ◦) è isomorfo all'anello (Zn,+, ·). Se (G, ·) è un gruppo ciclico in�nitoallora l'anello (End(G),+, ◦) è isomorfo all'anello (Z,+, ·).

Dimostrazione. Sia G =< g >. Fissato r ∈ Z sia fr : G → G de�nita dafr(g

s) = grs per ogni s ∈ Z. L'applicazione fr è un endomor�smo di G, infattifr(g

sgt) = fr(gs+t) = gr(s+t) = grsgrt = fr(g

s)fr(gt). D'altra parte ogni endomor�-

smo di G è del tipo fr, infatti se α ∈ End(G) allora α(g) = grper un certo r ∈ Ze quindi α(gt) = (α(g))t = grt ossia per ogni gt ∈ G si ha α(gt) = grt e pertantoα = fr.

L'applicazione φ : Z → End(G) de�nita da φ(r) = fr per ogni r ∈ Z è unomomor�smo suriettivo (di anelli ma qui interessa solo come omomor�smo del gruppoadditivo), infatti poichè fr+s(gt) = g(r+s)t = grt · gst = fr(g

t) · fs(gt) risulta fr+s =fr ◦ fs, e pertanto si ha

φ(r + s) = fr+s = fr ◦ fs = φ(r) ◦ φ(s)

e quindi φ è un omomor�smo, ma è anche suriettivo perchè ogni endomor�smo di Gè del tipo fr.

• Se |G| = n è �nito si ha Kerφ = {z ∈ Z | fz = id} = {z ∈ Z | z = kn} == nZ perchè fz = id ⇔ z = kn. Per il primo teorema di omomor�smo pergruppi si ha End(G) ≈ Z/Kerφ = Zn.• Se G è in�nito allora Kerφ = {0} e φ è un isomor�smo.

Proposizione 1.5.5. Se G = (Q,+) allora End(Q) è isomorfo al campo (Q,+, ·)dei razionali.

Dimostrazione. Fissato r ∈ Q sia fr : Q→ Q de�nita da fr(x) = xr per ognix ∈ Q. L'applicazione fr è un endomor�smo di (Q,+), infatti fr(x+ y) = (x+ y)r == xr + yr = fr(x) + fr(y) per ogni x, y ∈ Q. Proviamo ora che se f ∈ End(Q)allora f(x) = fs(x) = xs per un �ssato s ∈ Q. Sia f ∈ End(Q) e sia s = f(1). Per

Capitolo 1 Anelli 15

ogni mn∈ Q si ha f(m) = f(1 + 1 + · · ·+ 1︸ ︷︷ ︸

m−volte

) = f(1) + f(1) + · · ·+ f(1)︸ ︷︷ ︸m−volte

= mf(1),

ma risulta anche f(m) = f(n · mn

) = f(m

n+m

n+ · · ·+ m

n︸ ︷︷ ︸n−volte

) = nf(mn

) e pertanto dal

confronto si ha mf(1) = nf(mn

) da cui si ottiene f(mn

) = mnf(1) = m

ns = fs(

mn

). �

6. Esercizi

Esercizio 1.6.1.Dimostrare che in un anello unitario un elemento invertibile non è nè un divisoredestro nè un divisore sinistro dello zero.Soluzione - Sia a invertibile (e quindi a 6= 0) e b 6= 0. Se ab = 0 allora a−1(ab) = a−1 ·0 = 0, ma si ha anche a−1(ab) = (a−1a)b = b e dal confronto delle due uguaglianze siha b = 0 contro l'ipotesi. Pertanto a non è divisore sinistro dello zero. Analogamentesi dimostra che non è divisore destro dello zero.

Esercizio 1.6.2.Sia A un anello unitario �nito. Dimostrare che ogni divisore destro dello zero èanche divisore sinistro dello zero e viceversa.Soluzione - Siano a 6= 0 e b 6= 0 tali che ba = 0. Supponiamo per assurdo cheac 6= 0 per ogni c 6= 0; essendo A∗ �nito e unitario esiste c1 tale che ac1 = 1. Si ha0 6= b = b · 1 = bac1 = (ba)c1 = 0c1 = 0 e ciò è assurdo.

Esercizio 1.6.3.Sia A un anello unitario, a ∈ A∗. Se esistono b, c ∈ A∗ tali che ab = ca = 1 allorab = c (cioè a invertibile).Soluzione - Si ha b = 1 · b = (ca)b = c(ab) = c · 1 = c.

Esercizio 1.6.4.Dimostrare che (Z,+, ·) ammette solo gli omomor�smi banali.Soluzione - Sia ϕ un omomor�smo diverso dall'omomor�smo nullo. Poichè ϕ(1) = 1si ha ϕ(n) = ϕ(1 + 1 + · · · + 1) = ϕ(1) + ϕ(1) + · · · + ϕ(1) = 1 + 1 + · · · + 1 = n epertanto ϕ è l'omomor�smo identità.

Capitolo 1 Anelli 16

Esercizio 1.6.5.Dimostrare che Z(

√2) = {a + b

√2 | a, b ∈ Z} è un sottoanello unitario di (R,+, ·)

e determinare gli automor�smi di Z(√

2) .Soluzione -

(1) E' un sottoanello.• (a1 + b1

√2) − (a2 + b2

√2) = (a1 − a2) + (b1 − b2)

√2 ∈ Z(

√2) perchè

(a1 − a2), (b1 − b2) ∈ Z.• (a1 + b1

√2)(a2 + b2

√2) = (a1a2 + 2b1b2) + (a1b2 + a2b1)

√2 ∈ Z(

√2)

perchè (a1a2 + 2b1b2), (a1b2 + a2b1) ∈ Z.• Il sottoanello è unitario perchè 1 = 1 + 0

√2 ∈ Z(

√2.

(2) Determiniamo gli automor�smi di Z(√

2). Sia φ un automor�smo di Z(√

2);poichè l'anello è unitario si ha φ(1) = 1 da cui segue φ(a) = a per ogni a ∈ Ze pertanto φ(a + b

√2) = φ(a) + φ(b)φ(

√2) = a + bφ(

√2). Poichè φ(2) =

φ(1 + 1) = φ(1) + φ(1) = 1 + 1 = 2 e φ(2) = φ(√

2) ·√

2) = φ(√

2)φ(√

2),confrontando le due uguaglianze si ha φ(

√2)φ(√

2) = 2 e pertanto φ(√

2) =√2 oppure φ(

√2) = −

√2. L'anello Z(

√2) ammette dunque esattamente

due automor�smi: φ1(a+ b√

2) = a+ b√

2 (automor�smo identità), e φ2(a+b√

2) = a− b√

2.

Esercizio 1.6.6.Sia A = 4Z. Dimostrare che 8Z è un ideale massimale di A.Soluzione -

• 8Z è ideale di A generato da 8; infatti 8h − 8t = 8(h − t) ∈ 8 e inoltre8h · 8t = 8(4ht) ∈ 8Z per ogni 8h ∈ 8Z e per ogni 4t ∈ 4Z• Supponiamo 8Z ⊂ J ⊂ 4Z. Poiché J è un ideale principale, sia J =< m > .Da J ⊂ 4Z segue che m deve essere multiplo di 4.Se m = 4 ·1 allora J = 4Z. Se m = 4t, t ≥ 2, allora m ∈ 8Z e perciò J = 8Z.

Si conclude che 8Z è ideale massimale di 4Z.

CAPITOLO 2

L'anello dei Polinomi.

Iniziamo lo studio dell'anello dei polinomi. Questo anello è particolarmente im-portante per le applicazioni e perchè i polinomi sono strettamente legati alle equa-zioni e determinare la soluzione delle equazioni algebriche è uno dei problemi che�n dall'antichità ha impegnato i matematici e da cui è nata la Teoria di Galois cherappresenta uno dei capitoli più importanti ed a�ascinanti della matematica.

1. De�nizioni

De�nizione 2.1.1. Sia (A,+, ·) un anello commutativo unitario. Un polinomiop(x) a coe�cienti in A (o sopra A) è una espressione formale del tipo

p(x) = a0 + a1x+ a2x2 + · · ·+ anx

n, ai ∈ Adove x è una indeterminata. Si de�nisce polinomio nullo il polinomio avente tuttii coe�cienti nulli.

L'insieme di tutti i polinomi a coe�cienti in A si indica con A[x].

Proposizione 2.1.2. Sia (A,+, ·) un anello commutativo unitario. L'insiemeA[x] è un anello commutativo unitario.

Dimostrazione. In A[x], per ogni p(x) = a0 + a1x+ a2x2 + · · ·+ anx

n eq(x) = b0 + b1x+ b2x

2 + · · ·+m xm,m ≥ n, de�niamo le seguenti operazioni

p(x) + q(x) =m∑h=0

(ah + bh)xh , p(x) · q(x) =

n+m∑h=0

(∑i+j=h

aibj)xh

Rispetto a queste operazioni e ricordando che A è un anello commutativo unitario,è immediato veri�care la tesi.

In particolare risulta che lo zero di A[x] è il polinomio nullo. Il polinomio unitàè il polinomio 1, ossia avente a0 = 1 e tutti gli altri coe�cienti nulli. Il polinomio

17

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi. 18

opposto del polinomio p(x) = a0 +a1x+a2x2 + · · ·+anx

n è il polinomio che ha comecoe�cienti gli opposti dei coe�cienti ai. �

Nota 2.1.3.

(1) L'insieme dei polinomi del tipo p(x) = a0 costituiscono un sottoanello diA[x] isomorfo all'anello A.

(2) Due polinomi p(x) =∑n

i=0 aixi e q(x) =

∑mj=0 bjx

j, ai, bj ∈ A, sono ugualise e solo se ai = bi per ogni i ∈ N.

(3) L'anello Z[x] è privo di divisori dello zero e pertanto è un dominio d'integrità.

De�nizione 2.1.4. Sia p(x) =∑n

i=0 aixi un polinomio non nullo; si de�nisce

grado del polinomio p(x) il numero naturale n tale che an 6= 0 e ai = 0 per ognii > n. Il grado di un polinomio p(x) si indica con deg p(x). Il coe�ciente an prendeil nome di coe�ciente principale (o direttivo) di p(x). Un polinomio si dicemonico se il suo coe�ciente principale è 1.

Un polinomio non nullo si dice una costante se il suo grado è zero ossia è unpolinomio del tipo p(x) = a0 con a0 ∈ A−{0}. Al polinomio nullo non si attribuiscenessun grado oppure, per convenzione, gli si attribuisce il grado −∞. Per comede�nite le operazioni di addizione e di moltiplicazione fra polinomi, si ha che

• deg(p(x) + q(x)) ≤ max(degp(x), degq(x)).

• deg(p(x)q(x)) ≤ degp(x) + degq(x). Si osservi che, posto p(x) = a0 + a1x+a2x

2 + · · ·+ anxn, q(x) = b0 + b1x+ b2x

2 + · · ·+ bmxm con an 6= 0, bm 6= 0, si

ha deg(p(x)q(x)) = degp(x) + degq(x) se e solo se anbm 6= 0. Pertanto se Aè un dominio di integrità vale sempre l'uguaglianza, mentre se in A ci sonodei divisori dello zero non è detto valga l'uguaglianza; ad esempio in Z4[x]il polinomio p(x) = 2x+ 1 ha grado 1 mentre p(x)p(x) = 1 ha grado 0.

Nota 2.1.5. Il valore assunto dalla indeterminata x non interviene nella de�ni-zione di polinomio e nemmeno nelle proprietà di A[x] e pertanto, in modo equivalente,la de�nizione di polinomio può essere data a prescindere da x.

De�nizione 2.1.6. Un polinomio a coe�cienti in A è una successione(a0, a1, a2, . . . , an, . . .) di elementi di A tale che da un certo punto in poi tutti i suoitermini sono uguali a zero.

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi. 19

Sia S l'insieme di queste successioni e siano p = (a0, a1, a2, . . . , an, . . .), q =(b0, b1, b2, . . . , bn, . . .) ∈ S. Le operazioni che rendono S un anello commutativounitario e che corrispondono alle analoghe operazioni dei corrispondenti polinomip(x), e q(x), sono così de�nite:

p+ q = (a0 + b0, a1 + b1, a2 + b2, . . . , an + bn, . . .)

pq = (a0b0, a0b1 + a1b0, a0b2 + a1b1 + a2b0, . . .)

Le due de�nizioni di polinomio date sopra sono equivalenti, ciò è provato dallacorrispondenza biunivoca

(a0, a1, a2, . . . , an, 0, 0, 0, . . .) →n∑i=0

aixi

In particolare si hanno le seguenti corrispondenze:

(1, 0, 0, 0, 0, . . .) ≡ 1

(0, 1, 0, 0, 0, . . .) ≡ x

(0, 0, 1, 0, 0, . . .) ≡ x2

...

(0, . . . , 0, 1, 0, . . .) ≡ xm

...

ossia per ognim ≥ 1, xm è il polinomio de�nito dalla successione in cui tutti i terminisono uguali a zero tranne il termine di posto m+ 1 che è uguale a 1.

Nota 2.1.7. Sia A un anello commutativo unitario. Poichè A[x] è un anellocommutativo unitario, si può de�nire l'anello dei polinomi nell'indeterminata y acoe�cienti in A[x]. Questo anello A[x][y] viene indicato con A[x, y] e detto l'anellodei polinomi nelle indeterminate x e y a coe�cienti in A. Ovviamente,poichè A[x, y] è un anello commutativo unitario, il procedimento può continuareottenendo così anelli a più indeterminate.

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 20

2. Polinomi a coe�cienti in un campo.

Nel seguito K indicherà sempre un campo.

Proposizione 2.2.1. Se (K,+, ·) è un campo allora l'anello (K[x],+, ·) è undominio di integrità.

Dimostrazione. Proviamo che K[x] è privo di divisori dello zero. Siano p(x) =∑ni=0 aix

i e q(x) =∑m

j=0 bjxj due elementi non nulli di K[x] con deg p(x) = n e

deg q(x) = m, ossia an 6= 0 e bm 6= 0. Si ha p(x)q(x) 6= 0 perchè il coe�ciente dixn+m è anbm 6= 0 essendo K privo di divisori dello zero e an, bm ∈ K. �

Esempio 2.2.2. Q[x],R[x],Zp[x] con p primo , sono domini d'integrità.

La divisibilità fra polinomi è un concetto molto importante non solo da un puntodi vista teorico ma anche per le applicazioni quale, ad esempio, per la teoria dei codicicorrettori. Il prossimo teorema, così come la nozione di massimo comun divisoreoppure l'algoritmo euclideo delle divisioni successive, evidenzia la forte analogia frail dominio di integrità (K[x],+, ·) e il dominio di integrità (Z,+, ·).

Teorema 2.2.3. Sia K[x] l'anello dei polinomi in x a coe�cienti in un campoK. Comunque presi f(x), g(x) ∈ K[x] con g(x) 6= 0, esistono e sono univocamentedeterminati q(x), r(x) ∈ K[x] tali che

f(x) = g(x)q(x) + r(x) con r(x) = 0 oppure deg r(x) < deg g(x).

Dimostrazione. Proviamo dapprima l'esistenza di q(x) e di r(x) e poi la lorounicità. Se f(x) = 0 oppure deg f(x) < deg g(x) basta considerare q(x) = 0 er(x) = f(x). Sia ora deg f(x) ≥ deg g(x) e procediamo per induzione su deg f(x).Se deg f(x) = 0 allora anche deg g(x) = 0 e ciò signi�ca f(x) = a0, g(x) = b0 edessendo a0 e b0 elementi di un campo, si ha

f(x) = a0 = (a0b−10 )︸ ︷︷ ︸

q(x)

b0 + 0︸︷︷︸r(x)

.

Supponiamo ora vero il teorema quando deg f(x) < n e dimostriamolo quando degf(x) = n ≥ deg g(x) = m. Siano

f(x) = a0 + a1x+ a2x2 + · · ·+ anx

n, an 6= 0

g(x) = b0 + b1x+ b2x2 + · · ·+ bmx

m, bm 6= 0.

Il polinomio f(x) = f(x) − anb−1m xn−mg(x) ha grado minore di n ed appartiene a

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 21

K[x]; per l'ipotesi induttiva esistono q(x) e r(x) tali che

f(x) = g(x)q(x) + r(x), deg r(x) < m oppure r(x) = 0.

Pertanto risulta f(x) = f(x) +anb−1m xn−mg(x) = g(x)q(x) + r(x) +anb

−1m xn−mg(x) =

= g(x) (q(x) + anb−1m xn−m)︸ ︷︷ ︸

q(x)

+ r(x)︸︷︷︸r(x)

e dunque abbiamo trovato i polinomi q(x) e r(x)

cercati. Proviamo ora l'unicità di q(x) e di r(x); supponiamo sia f(x) = g(x)q(x) +r(x) = g(x)q(x) + r(x) con q(x), r(x) ∈ K[x], deg r(x) < deg g(x), deg r(x) <deg g(x). Confrontando le due uguaglianze si ha

r(x)− r(x) = g(x)(q(x)− q(x))

ma poichè deg (r(x) − r(x)) < deg g(x), g(x) 6= 0 e K privo di divisori dello zero,l'unica possibilità perchè valga l'uguaglianza è che sia r(x)−r(x) = 0 e q(x)−q(x) = 0da cui r(x) = r(x) e q(x) = q(x). �

Ricordiamo alcune de�nizioni già date nel primo paragrafo del Capitolo 1 maparticolarmente signi�cative in K[x].

De�nizione 2.2.4. Sia K un campo e siano f(x), g(x) ∈ K[x]. Si dice che g(x)divide f(x) se esiste q(x) ∈ K[x] tale che f(x) = g(x)q(x).

De�nizione 2.2.5. Sia K un campo e siano f(x), g(x) ∈ K[x] non entrambi nulli.Si de�nisce massimo comun divisore fra f(x) e g(x) un polinomio d(x) ∈ K[x]tale che

(1) d(x) | f(x), d(x) | g(x),(2) d(x) | f(x), d(x) | g(x) ⇒ d(x) | d(x).

Nota 2.2.6.

(1) Per trovare il MCD(f(x), g(x)) fra due polinomi non entrambi nulli, si puòapplicare l'algoritmo euclideo delle divisioni successive, il procedimento è lostesso di quello dimostrato per trovare il massimo comun divisore fra duenumeri interi.

(2) Considerati f(x), g(x) ∈ K[x], possono esserci più polinomi che soddisfanola de�nizione di MCD(f(x), g(x)), fra questi, per convenzione si prendequello monico (che è unico).

(3) Anche per i polinomi vale l'identità di Bézout: se d(x) = MCD(f(x), g(x))allora esistono h(x), k(x) ∈ K[x] tali che d(x) = h(x)f(x) + k(x)g(x).

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 22

De�nizione 2.2.7. Sia D un dominio d'integrità unitario. Un elemento f(x) ∈D[x], si dice invertibile se esiste g(x) ∈ D[x] tale che f(x)g(x) = 1.

Si noti che dalla de�nizione segue che considerato un campoK gli unici elementiinvertibili di K[x] sono le costanti non nulle ossia gli elementi di K∗.

De�nizione 2.2.8. Sia D un dominio d'integrità unitario. Un polinomio f(x) ∈D[x] che non sia nullo e non sia invertibile si dice irriducibile su D se f(x) =g(x)h(x), g(x), h(x) ∈ D[x] implica g(x) oppure h(x) invertibile.

Dalla de�nizione segue che se D = K è un campo e f(x) ∈ K[x], f(x) 6= 0, si hache f(x) è riducibile in K[x] se esistono g(x), h(x) ∈ K[x] di grado ≥ 1 tali chef(x) = g(x)h(x). Il polinomio f(x) si dice irriducibile in K[x] se non è costantee non esistono g(x), h(x) ∈ K[x] tali che f(x) = g(x)h(x) con deg g(x) ≥ 1, degh(x) ≥ 1.

De�nizione 2.2.9. Un polinomio f(x) ∈ K[x] si dice primo se non è nullo, nonè invertibile e se f(x) = g(x)h(x) implica che f(x) divide g(x) oppure f(x) divideh(x).

Nota 2.2.10.

(1) Se i coe�cienti del polinomio sono in un campo, si può dire che un polinomioè irriducibile se e solo se nel caso si fattorizzi uno dei due fattori è unacostante non nulla.

(2) Per un polinomio a coe�cienti in un campo K, essere irriducibile o no di-pende dal campo K. Ad esempio (x2 − 3) ∈ Q[x] è irriducibile in Q[x], maè riducibile in R[x] perchè (x−

√3), (x+

√3) ∈ R[x].

(3) Un polinomio f(x) ∈ K[x], f(x) 6= 0 è irriducibile in K[x] se e solo se èelemento primo di K[x]. Questo perchè gli elementi invertibili di K[x] sonotutti e soli gli elementi di K∗.

(4) Per quanto osservato sopra, un ideale I di K[x] è massimale in K[x] se esolo se è generato da un polinomio irriducibile in K[x] e pertanto il quozien-te K[x]/I è un campo se e solo se I è generato da un polinomioirriducibile .

Teorema 2.2.11 (Teorema di Ru�ni). Sia f(x) ∈ K[x] e sia α ∈ K tale chef(α) = 0. Allora (x− α) | f(x).

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 23

Dimostrazione. Dividiamo f(x) per (x−α), sia f(x) = (x−α)q(x)+r(x), degr(x) < deg (x− α) = 1 e perciò r(x) deve essere un elemento r ∈ K. Ma per x = αsi ha f(α) = (α− α)q(x) + r = 0, da cui segue r = 0 e pertanto (x− α) | f(x). �

De�nizione 2.2.12. Sia f(x) ∈ K[x]. Un elemento α ∈ K tale che f(α) = 0 sidice radice o zero di f(x).

De�nizione 2.2.13. Una radice α ∈ K di f(x) ∈ K[x] si dice semplice se(x − α) | f(x) e (x − α)2 non divide f(x). La radice si dice di molteplicità n se(x− α)n | f(x) e (x− α)n+1 non divide f(x).

Teorema 2.2.14. Sia f(x) ∈ K[x], f(x) 6= 0, deg f(x) = n. Allora f(x)ammette al più n radici in K, contate con la loro molteplicità.

Dimostrazione. Dimostriamo per induzione su n. Se n = 0 allora f(x) è unacostante e perciò non ha radici, quindi il teorema è vero. Supponiamo vero il teoremaper ogni polinomio di grado minore di n. Se f(x) ha una radice α di molteplicitàm ≥ 1, m ≤ n, allora f(x) = (x − α)mq(x), deg q(x) = n −m. Sia β 6= α un'altraradice di f(x). Allora si ha 0 = f(β) = (β−α)mq(β) da cui q(β) = 0 perchè β 6= α ein K non ci sono divisori dello zero. Le radici di f(x) sono pertanto α con molteplicitàm e le radici di q(x). Per l'ipotesi induttiva q(x) ha al più n −m radici e pertantole radici di f(x) sono al più m+ (n−m) = n. �

Nota 2.2.15. Se un polinomio f(x) ∈ K[x] possiede una radice α ∈ K, alloraf(x) è fattorizzabile in K[x] perchè f(x) = (x− α)q(x), q(x) ∈ K[x]. Ma attenzioneche il viceversa vale solo se il polinomio f(x) è di grado 2 o 3, infatti in questocaso se f(x) si fattorizza allora uno almeno dei suoi fattori è di grado 1 e dunqueesiste almeno una radice in K. In altre parole, la mancanza di radici in K assicural'irriducibilità di f(x) solo se questo è di grado 2 o 3.

Ad esempio, il polinomio f(x) = x4 + 3x2 + 2 ∈ R[x] non ha radici reali ma sifattorizza in R[x] perchè x4 + 3x2 + 2 = (x2 + 1)(x2 + 2).

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 24

3. Irriducibilità dei polinomi a coe�cienti in C e in R.Teorema fondamentale dell'algebra.

In questo paragrafo riportiamo alcuni risultati che caratterizzano l'irriducibilitàdei polinomi a coe�cienti nel campo C dei numeri complessi e l'irriducibilità deipolinomi a coe�cienti nel campo R dei numeri reali. L'irriducibilità dei polinomi acoe�cienti nel campo Q dei numeri razionali è strettamente legata alla irriducibilitàdei polinomi a coe�cienti nell'anello Z dei numeri interi e pertanto viene trattatanel prossimo paragrafo.

Teorema 2.3.1 (Teorema Fondamentale dell'Algebra).Ogni polinomio f(x) ∈ C[x] di grado ≥ 1 ammette una radice in C.

Dimostrazione. Per la dimostrazione rinviamo a [1]. �

Proposizione 2.3.2. Ogni polinomio f(x) ∈ C[x] di grado n ammette esatta-mente n radici in C.

Dimostrazione. Sia f(x) di grado n. Per il Teorema Fondamentale dell'al-gebra, esiste α1 ∈ C radice di f(x). Per il Teorema di Ru�ni risulta f(x) =(x−α1)q(x), deg q(x) = n− 1 con q(x) ∈ C[x]. Il polinomio q(x) ammette in C unaradice α2, così proseguendo si ottiene una fattorizzazione di f(x) in n fattori lineari

f(x) = (x− α1)(x− α2) · · · (x− αn)

con α1, α2, . . . , αn radici di f(x). �

Nota 2.3.3. Quanto dimostrato assicura che in C[x] tutti e soli i polinomiirriducibili su C sono i polinomi di grado 1 ossia che ogni polinomio a coe�cientiin C si spezza nel prodotto di fattori lineari. Tuttavia il Teorema fondamentalenon fornisce alcun metodo per e�ettuare esplicitamente tale spezzamento ossia perdeterminare esplicitamente le radici.

Per il calcolo delle radici dei polinomi di grado n = 2, 3, 4, esistono formulegenerali che coinvolgono solo le quattro operazioni razionali e le estrazioni di radici,ciò non succede per n ≥ 5. Questo famoso Teorema è dovuto ad Abel e a Ru�ni.

Proposizione 2.3.4. In R[x] i polinomi irriducibili su R sono tutti e soli i poli-nomi di grado 1 oppure i polinomi f(x) = ax2 + bx+ c di grado 2 con ∆ = b2−4ac <0.

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 25

Dimostrazione. Sia f(x) ∈ R[x] e quindi anche f(x) ∈ C[x]. Per il Teoremafondamentale dell'algebra esiste α ∈ C radice di f(x) ; ma anche il suo coniugatoα è radice del polinomio f(x). Infatti se f(x) = a0 + a1x + a2x

2 + · · · + anxn

allora 0 = f(α) = a0 + a1α + a2α2 + · · · + anα

n, coniugando ambo i membri ericordando che il coniugato di un numero reale coincide con sè stesso, si ottiene0 = 0 = f(α) = a0 + a1α + a2α2 + · · ·+ anαn = a0 + a1α + a2α

2 + · · · + anαn ossia

α è radice di f(x).Sia f(x) irriducibile su R, deg f(x) > 1. Essendo irriducibile non ha certamente

radici reali e pertanto in C si scompone in

f(x) = an(x− α1)(x− α1)(x− α2)(x− α2) · · · (x− αr)(x− αr)

con deg f(x) = n = 2r e (x−αi)(x− αi) = x2− (αi+ αi)x+αiαi; (αi+ αi), αiαi ∈ Rper ogni i = 1, 2, . . . , r. Poichè per ipotesi f(x) è irriducibile su R, deve essere r = 1ossia f(x) è un polinomio di secondo grado privo di radici reali. �

Nota 2.3.5. Poichè se α è una radice complessa di f(x) anche il coniugatoα lo è, si ha che ogni polinomio a coe�cienti reali di grado dispari ha almeno unaradice reale.

4. Polinomi a coe�cienti in Q e in Z

Le proprietà dei polinomi a coe�cienti nell'anello commutativo unitario (Z,+, ·)sono importanti di per sè, ma anche perchè determinano molte proprietà dell'anellodei polinomi a coe�cienti nel campo Q. A di�erenza di quanto accade per R e C,non si è in grado di caratterizzare i polinomi irriducibili su Q, ma la fattorizzazionedi un polinomio su Q è strettamente legata alla sua fattorizzazione su Z. Questostretto legame è dovuto al fatto che Q, come dimostreremo più avanti, è il campodei quozienti di Z.

De�nizione 2.4.1. Un polinomio f(x) = a0 + a1x + · · · + anxn ∈ Z[x] non

costante si dice primitivo se il MCD(a0, a1, . . . , an) = 1.

Proposizione 2.4.2 (Lemma di Gauss). Se f(x), g(x) ∈ Z[x] sono polinomiprimitivi allora anche il loro prodotto è un polinomio primitivo.

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 26

Dimostrazione. Sia f(x) = a0+a1x+· · ·+anxn e sia g(x) = b0+b1x+· · ·+bmxm.Per assurdo supponiamo f(x)g(x) non primitivo, allora esiste un numero primo p chedivide tutti i coe�cienti di f(x)g(x). Poichè f(x) e g(x) sono primitivi, p non dividetutti i coe�cienti di f(x) nè divide tutti i coe�cienti di g(x), siano aj il primocoe�ciente di f(x) non divisibile per p e sia bk il primo coe�ciente di g(x) nondivisibile per p. Il coe�ciente del termine di grado j + k del polinomio f(x)g(x) è

cj+k = ajbk + (aj+1bk−1 + · · ·+ aj+kb0) + (aj−1bk+1 + · · ·+ a0bj+k).

Poichè cj+k, a0, . . . , aj−1, b0, . . . , bk−1 sono tutti divisibili per p, anche ajbk è divisibileper p e ciò è assurdo. �

La seguente proposizione chiarisce lo stretto legame fra polinomi a coe�cienti inZ e polinomi a coe�cienti in Q. Una sua conseguenza è che la ricerca delle soluzionidi una equazione a coe�cienti razionali è riconducibile a quella di un'equazione acoe�cienti interi.

Proposizione 2.4.3. Sia f(x) ∈ Q[x], f(x) non costante. Si ha f(x) = pqf(x)

con pq∈ Q∗, e f(x) = a0 + a1x+ a2x

2 + · · ·+ anxn ∈ Z[x] primitivo.

Dimostrazione. Sia f(x) = r0s0

+ r1s1x + · · · + rn

snxn ∈ Q[x], ri, si ∈ Z, per ogni

i = 0, . . . , n. Sia q = mcm(s0, s1, s2, . . . , sn), allora si ha qf(x) = r′0 + r′1x + · · · +r′nx

n ∈ Z[x]. Posto p = MCD(r′0, r′1, · · · , r′n), si ha qf(x) = p(a0 + a1x+ · · ·+ anx

n)con ai ∈ Z e MCD(a0, a1, . . . , an) = 1, da cui la tesi. �

EsempioSia f(x) = 10

3− 2

3x+ 6

7x2; poichè mcm(3, 3, 7) = 21 si ha 21f(x) = 70− 14x+ 18x2 e

poichè MCD(70, 14, 18) = 2 si ha 70− 14x + 18x2 = 2(35− 7x + 9x2). Il polinomioprimitivo associato a f(x) è pertanto f(x) = 35− 7x+ 9x2, infatti f(x) = 2

21f(x).

Ci sono vari metodi per stabilire se un polinomio è oppure no irriducibile, fraquesti metodi molti si basano sul seguente teorema di Gauss.

Teorema 2.4.4 (Teorema di Gauss). Se un polinomio f(x) ∈ Z[x] si scomponenel prodotto di due polinomi a coe�cienti in Q, allora si scompone anche nel prodottodi due polinomi degli stessi gradi a coe�cienti in Z.

Dimostrazione. 1◦ caso - Supponiamo dapprima che f(x) sia primitivo; siaquindi f(x) = g(x)h(x) con g(x), h(x) ∈ Q[x]. Per la Proposizione precedente si ha

g(x) =d1

m1

g(x) e h(x) =d2

m2

h(x)

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 27

con g(x), h(x) ∈ Z[x] primitivi e d1, d2, m1, m2 ∈ Z. Dunque f(x) = dmg(x)h(x),

d = d1d2,m = m1m2. Per il Lemma di Gauss (Proposizione 2.4.2.), il polinomiof(x) = g(x)h(x) è primitivo e risulta

mf(x) = df(x)

con f(x) e f(x) primitivi; il polinomio del primo membro e il polinomio del secondomembro devono avere uguale il MCD dei rispettivi coe�cienti ossia, essendo f(x) ef(x) primitivi, m = d e pertanto

f(x) = g(x)h(x)

che è una fattorizzazione in Z[x] con i fattori dello stesso grado della fattorizzazionein Q[x].

2◦ caso - Supponiamo ora che f(x) ∈ Z[x] non sia primitivo; sia f(x) = g(x)h(x)una sua fattorizzazione in Q[x]. Posto f(x) = df(x) dove d è il MCD dei coe�cientidi f(x) e f(x) primitivo, sarà df(x) = g(x)h(x), f(x) = d−1g(x)h(x).

Poichè f(x) è primitivo ed ha una fattorizzazione in Q[x], per quanto dimostratonella prima parte, avrà una fattorizzazione anche in Z[x], sia

f(x) = g∗(x)h∗(x), g∗(x), h∗(x) ∈ Z[x].

Ma allora risultaf(x) = df(x) = dg∗(x)h∗(x)

che è una fattorizzazione di f(x) in Z[x]. �

Esempi

(1) Il polinomio f(x) = x4 + 10x2 + 24 ∈ Z[x] è primitivo. Esso risulta fattoriz-zabile in Q[x], ad esempio x4 + 10x2 + 24 = (2

3x2 + 16

6)(3

2x2 + 9). Procedendo

come nella dimostrazione del Teorema si ha

f(x) =d1

m1

g(x)d2

m2

h(x) =4

6(x2 + 4)

3

2(x2 + 6) = (x2 + 4)(x2 + 6)

che è una fattorizzazione in Z[x].(2) Il polinomio f(x) = 3x4 + 30x2 + 72 ∈ Z[x] è non primitivo e una sua

fattorizzazione in Q[x] è, ad esempio, 3x4 + 30x2 + 72 = (2x2 + 162

)(32x2 + 9).

Per trovare una sua fattorizzazione in Z[x] scriveremo f(x) = df(x) =3(x4 + 10x2 + 24) da cui f(x) = 1

32(x2 + 4)3

2(x2 + 6) = (x2 + 4)(x2 + 6)

che è una fattorizzazione di f(x) in Z[x]; pertanto sarà f(x) = 3f(x) =3(x2 + 4)(x2 + 6) = (3x2 + 12)(x2 + 6).

(3) f(x) = x3 +3x2−10x−24 = (32x+3)(8

3x−8)(1

4x+1) = (x+2)(x+4)(x−3).

Nota 2.4.5. Dal Teorema di Gauss segue che:

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 28

(1) Se f(x) ∈ Z[x] è riducibile in Q[x] allora è riducibile in Z[x]. Infatti se d èil massimo comune divisore dei coe�cienti di f(x), si ha f(x) = df1(x) conf1(x) ∈ Z[x] primitivo. Essendo f(x) riducibile in Q[x], si ha f1(x) riducibilein Q[x] e quindi esistono g(x), h(x) ∈ Z[x] non costanti perchè primitivi, taliche f1(x) = g(x)h(x) e perciò f(x) = d · g(x)h(x) è riducibile in Z[x].

(2) Se un polinomio è irriducibile in Z allora è irriducibile anche in Q. Maattenzione che non vale il viceversa . Ad esempio f(x) = 2x2 + 6 èirriducibile in Q perchè in Q l'elemento 2 è invertibile, ma f(x) = 2x2 + 6è riducibile in Z perchè in Z[x] la fattorizzazione 2(x2 + 3) è non banaleessendo 2 un elemento non invertibile in Z.

(3) La de�nizione di polinomio primitivo assicura che f(x) ∈ Z[x] e primitivoè irriducibile su Z se e solo se è irriducibile su Q. Questo perchè se f(x) èprimitivo, non può avere una fattorizzazione in cui uno dei fattori è diversoda ±1.

Proposizione 2.4.6. Sia f(x) = a0 + a1x + · · · + anxn ∈ Z[x] e una sua radice

sia α = rs, r, s ∈ Z,MCD(r, s) = 1. Allora r | a0 e s | an.

Dimostrazione. Poichè α = rsè una radice di f(x), si ha 0 = f( r

s) =

= a0 + a1( rs) + · · ·+ an( r

s)n e moltiplicando per sn ambo i membri, si ottiene

0 = sna0 + sn−1a1r + · · ·+ anrn = s(sn−1a0 + · · ·+ an−1r

n−1) + anrn =

= sna0 + r(sn−1a1 + · · ·+ anrn−1).

Da 0 = s(sn−1a0 + · · · + an−1rn−1) + anr

n si ha che s | anrn , mentre da 0 =sna0 +r(sn−1a1 + · · ·+anr

n−1) si ha che r | a0sn. PoichèMCD(r, s) = 1 si conclude

che r | a0 e s | an. �

Nota 2.4.7.

(1) Le possibili radici razionali di un polinomio f(x) ∈ Z[x] si devono cercare frai numeri razionali del tipo r

scon r divisore del termine noto a0 e s divisore

del coe�ciente an del termine di grado massimo.(2) Se un polinomio monico a coe�cienti interi ha una radice razionale, questa

è un numero intero.

Fra i vari metodi per stabilire l'irriducibilità o no di un polinomio, ricordiamo ilseguente criterio che o�re una condizione su�ciente ma non necessaria.

CRITERIO di EISENSTEIN

Sia f(x) = a0 + a1x+ · · ·+ anxn ∈ Z[x] e sia p un numero primo tale che

(1) p - an;

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 29

(2) p | ai per ogni i = 0, 1, . . . , n− 1;(3) p2 - a0;

allora f(x) è irriducibile su Q[x].

Dimostrazione. Se per assurdo f(x) è riducibile in Q[x] allora per il Teoremadi Gauss esistono g(x) = g0 + g1x+ · · ·+ grx

r, h(x) = h0 +h1x+ · · ·+hsxs ∈ Z non

costanti tali che f(x) = g(x)h(x), r + s = n. Per le ipotesi 2) e 3) si ha che p | g0

oppure p | h0 ma non entrambi perchè a0 = g0 + h0. Supponiamo p | g0 e p - h0.Per ipotesi p - an e perciò non tutti i gi sono divisibili per p; sia m il più piccoloindice per cui si ha p - gm. Si ha am = g0hm + · · ·+ gmh0 con m ≤ r < n e tutti gliaddendi, tranne l'ultimo, sono divisibili per p contro l'ipotesi (2). Analogamente sep - g0 e p | h0. Rimane così provato che f(x) è irriducibile in Q[x]. �

Esempi

(1) f(x) = xn − p, p primo, è irriducibile in Q[x].(2) f(x) = 1 + x+ x2 + · · ·+ xp−1 ∈ Z[x], p primo, è irriducibile in Q[x].

Infatti posto x = y + 1, il polinomio f(x) diventa g(y) = (y+1)p−1(y+1)−1

= yp−1+

+pyp−2 + · · · +(pi

)yp−i−1 + · · · + p. Per il criterio di Eisenstein g(y) è irriducibile in

Q[y] e perciò f(x) è irriducibile in Q[x].

5. Polinomi ciclotomici su Q

I polinomi ciclotomici sono una classe di polinomi a coe�cienti in Z e irriducibilisu Q. Il nome ciclotomico è dovuto al loro stretto legame con il problema della ciclo-tomia, ossia della divisione del cerchio in parti uguali. Giocano un ruolo importantein molte applicazioni quali nella Teoria dei codici e nella applicazione della Teoria diGalois alle costruzioni con riga e compasso dei poligoni regolari.

De�nizione 2.5.1. Sia K un campo e sia ξ ∈ K tale che ξn = 1. Allora si diceche ξ è una radice n-esima dell'unità. Questa viene detta primitiva se ξk 6= 1per 1 ≤ k < n.

Sia ξ è una radice primitiva, ossia una radice di xn−1 le cui potenze danno tuttele radici. Di radici primitive di xn−1 non c'è solo ξ ma anche, ovviamente, quelle deltipo ξr con r primo con n. Perciò di radici primitive ce ne sono tante quanti sono gliinteri positivi primi con n, ossia sono ϕ(n) (ϕ : N∗ → N∗ funzione di Eulero de�nita

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 30

da ϕ(1) = 1 e, per ogni n > 1, ϕ(n) è il numero dei numeri naturali k coprimi con ne tali che 1 ≤ k < n ). Indicate con ξ = ξ1, ξ2, . . . , ξϕ(n) le radici primitive di xn − 1,

Φn(x) = (x− ξ1)(x− ξ2) . . . (x− ξϕ(n))

è ovviamente un polinomio monico e di grado ϕ(n).

Nel seguito del paragrafo consideriamo radici n-esime dell'unità nel campo C deinumeri complessi; ricordiamo che C può essere de�nito in più modi equivalenti e glielementi di questo campo possono essere rappresentati in modi diversi:

(1) C = R×R, insieme delle coppie di numeri reali, campo rispetto le seguentioperazioni:• (a, b) + (c, d) = (a+ c, b+ d) per ogni a, b, c, d ∈ R• (a, b) · (c, d) = (ac− bd, ad+ bc) per ogni a, b, c, d ∈ R.

(2) C campo i cui elementi si rappresentano in forma polinomiale a+ib al variaredi a, b ∈ R e i2 = −1. Scritti in questa forma i numeri complessi si sommanoe si moltiplicano come se fossero polinomi in i, ricordando di sostituire i2

con −1. Tenendo presente la de�nizione di C data precedentemente in (1),questa scrittura polinomiale è giusti�cata dal fatto che (a, b) = (a, 0) +(0, b) = (a, 0) + (b, 0) · (0, 1), e che si può identi�care (x, 0) con il numeroreale x e porre (0, 1) = i. In questo modo si ha (a, b) = a + ib. Osserviamoinoltre che da (0, 1)(0, 1) = (−1, 0) segue i2 = −1.

(3) C campo i cui elementi z possono essere rappresentati in forma trigonome-trica (o polare) con una coppia formata da un numero reale (modulo) e daun angolo (argomento): z = a+ ib = ρ(cosϑ+ isenϑ). Il legame fra questae la precedente forma polinomiale è espresso da

ρ =√a2 + b2, cosϑ =

a√a2 + b2

, senϑ =b√

a2 + b2

Nel campo dei numeri complessi, il polinomio xn − 1 ha n radici n-esime dell'unitàdistinte e si esprimono nella forma

ξn,k = cos2kπ

n+ i sen

2kπ

n, k = 1, . . . , n.

Queste n radici hanno la proprietà che si ottengono tutte come potenze della radiceprimitiva

ξn,1 = cos2π

n+ i sen

n

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 31

L'insieme delle radici n-esime dell'unità è un sottogruppo ciclico del gruppo (C∗, ·)ed un suo generatore è la radice primitiva

ξn,1 = cos2π

n+ isen

n.

Infatti per la formula di de Moivre si ha

ξkn,1 = cos2πk

n+ isen

2πk

ne perciò al variare di k = 1, . . . , n si ottengono tutte le radici n-esime dell'unità.La radice ξkn ha ordine

nMCD(n,k)

e pertanto tutte e sole le radici primitive dell'unitàsono le radici

ξkn = cos2πk

n+ isen

2πk

ncon MCD(n, k) = 1. Ciò assicura che sono in numero di ϕ(n) con ϕ funzione diEulero.

De�nizione 2.5.2. Sia P = {η1, η2, . . . , ηϕ(n)} l'insieme delle radici primitiven-esime di 1 nel campo C dei numeri complessi. Il polinomio

Φn(x) = (x− η1)(x− η2) · · · (x− ηϕ(n)) =

ϕ(n)∏i=1

(x− ηi)

è detto n-esimo polinomio ciclotomico su Q.

Se ξ è una radice primitiva, è ovvio che per ogni divisore d di n esiste la radicen-esima ξ

nd di periodo d, si può allora dire che ogni radice n-esima dell'unità è una

radice d-esima primitiva dell'unità se d, divisore di n, è il suo periodo. Consideratoil polinomio ciclotomico d-esimo Φd(x), il polinomio xn − 1 le cui radici sono tutte esole le radici n-esime di 1, si fattorizza in questo modo:

xn−1 =∏d|n

Φd(x) =∏k|d

Φk(x)∏k-dk|n

Φk(x) = (xd−1)∏k-dk|n

Φk(x) = (xd−1)Φn(x)∏k-dk|nk 6=n

Φk(x).

EsempioConsiderato n = 18 e d = 6, si ha

x18 − 1 = Φ1(x)Φ2(x)Φ3(x)Φ6(x)Φ9(x)Φ18(x) = (x6 − 1)Φ9(x)Φ18(x)

perchè x6 − 1 = Φ1(x)Φ2(x)Φ3(x)Φ6(x).

Da xn − 1 =∏

d|n Φd(x) =∏

d|nd6=n

Φd(x)Φn(x), segue Φn(x) = xn−1∏d|nd 6=n

Φd(x)

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi 32

che esprime il polinomio ciclotomico n-esimo in funzione dei precedenti.

Esempi 2.5.3.

Φ1(x) = x− 1

Φ2(x) = x2−1Φ1(x)

= x+ 1

Φ3(x) = x3−1Φ1(x)

= x2 + x+ 1

Φ4(x) = x4−1Φ1(x)Φ2(x)

= x4−1(x−1)(x+1)

= x2 + 1

Φ5(x) = x5−1Φ1(x)

= x4 + x3 + x2 + x+ 1

Φ6(x) = x6−1Φ1(x)Φ2(x)Φ3(x)

= x6−1(x−1)(x+1)(x2+x+1)

= x2 − x+ 1

Φ7(x) = x7−1Φ1(x)

= x6 + x5 + x4 + x3 + x2 + x+ 1

Φ8(x) = x8−1Φ1(x)Φ2(x)Φ4(x)

= x8−1(x−1)(x+1)(x2+1)

= x4 + 1

Φ9(x) = x9−1Φ1(x)Φ3(x)

= x6 + x3 + x+ 1...

In particolare per ogni numero primo p si ha :

Φp(x) = xp−1Φ1(x)

= xp−1 + xp−2 + . . .+ x3 + x2 + x+ 1

Φph(x) = xph−1

Φ1ΦpΦp2 ···Φph−1= xp

h−1

xph−1−1= (xp

h−1)p−1 + . . .+ xp

h−1+ 1 .

Teorema 2.5.4. Sia Φn(x) un polinomio ciclotomico. Si ha:

(1) Φn(x) è monico e a coe�cienti in Z;(2) Φn(x) ha grado ϕ(n);(3) Φn(x) è irriducibile su Q.

Dimostrazione.

(1) I polinomi ciclotomici sono monici per come de�niti. Per dimostrare che sonoa coe�cienti interi si procede per induzione su n. Per n = 1 il polinomioΦ1(x) = x−1 è a coe�cienti interi; supponiamo Φt(x) a coe�cienti interi pert < n e proviamo che Φn(x) è a coe�cienti interi. Per l'ipotesi di induzione siha f(x) =

∏d|nd6=n

Φd(x) ∈ Z[x] perchè d < n e pertanto Φn(x) = xn−1f(x)∈ Q[x];

da xn − 1 = Φn(x) · f(x) segue Φn(x) ∈ Z[x].(2) Segue dalla de�nizione di Φn(x).(3) Per la dimostrazione si rinvia a (2), pag.302.

Capitolo 2 L'anello dei Polinomi. 33

Nota 2.5.5.(1) Il fatto che i polinomi ciclotomici sono irriducibili su Q aiuta nel trovare la

scomposizione del polinomio xn − 1 in fattori irriducibili su Q.(2) Gli esempi di polinomi ciclotomici precedentemente portati hanno tutti i

coe�cienti uguali a 0 oppure a ±1. Ciò non è vero in generale, ossia esistonopolinomi ciclotomici aventi anche dei coe�cienti diversi da 0 e da ±1.

6. Esercizi

Esercizio 2.6.1.Determinare in Q[x] il MCD monico dei polinomi f(x) = x3 + 2x2 + x e g(x) =x2 − x− 2.Soluzione - Utilizzando l'algoritmo euclideo si trova MCD(f(x), g(x)) = 6x + 6 epertanto quello monico è x+ 1.

Esercizio 2.6.2.Determinare in Z5[x] il MCD monico dei polinomi f(x) = x3 + x2 + x+ 1 e g(x) =3x2 + 2x+ 2 .Soluzione - Utilizzando l'algoritmo euclideo si trova MCD(f(x), g(x)) = 4x + 3 epertanto quello monico è x+ 2.

Esercizio 2.6.3.Determinare tutti i polinomi monici irriducibili di grado 3 in Z3[x]Soluzione - Poichè i polinomi cercati sono di grado 3, un polinomio f(x) = x3 +ax2 + bx + c è irriducibile in Z3[x] se e solo se non ammette radici in Z3. Dovràpertanto essere f(0) = c 6= 0, f(1) = 1 + a+ b+ c 6= 0, f(−1) = −1 + a− b+ c 6= 0.Per c = 1 si ottengono le possibilità a = −1 e b = 0, oppure a = −1 e b = 1, oppurea = 0 e b = −1, oppure a = 1 e b = −1. Per c = −1 si ottengono le possibilità a = 1e b = 0, oppure a = 1 e b = 1, oppure a = −1 e b = −1, oppure a = 0 e b = −1. Incorrispondenza di queste terne si ottengono gli otto polinomi monici irriducibili.

CAPITOLO 3

Anelli euclidei.

È noto che in Z si può eseguire la divisione euclidea, ossia dati a, b ∈ Z conb 6= 0, esistono e sono unici q, r ∈ Z tali che a = bq + r con 0 ≤ r < |b|. Questaproprietà di Z ha permesso di determinare il Massimo Comun Divisore (MCD) tradue interi mediante l'algoritmo euclideo delle divisioni successive perchè gli interipositivi associati ai resti decrescono �no ad arrivare a zero e l'ultimo resto non nullosi dimostra essere il MCD fra divisore e dividendo.

Si vuole de�nire una classe di anelli che goda di una proprietà analoga a quelladegli interi sopra ricordata, ossia un anello in cui sia possibile una divisione con unresto che vada sempre più a decrescere. È la classe degli anelli euclidei, sono de�nitia partire da un dominio d'integrità.

1. Domini d'integrità

Ricordiamo che un dominio di integrità è un anello (D,+, ·) non nullo, commu-tativo e privo di divisori dello zero. È pertanto una struttura algebrica "ricca diproprietà" ma non è ancora un campo.

Una delle proprietà più importanti dei domini di integrità è che ogni dominio diintegrità (D,+, ·) si può immergere in un campo detto il campo dei quozienti di D.

De�nizione 3.1.1. Sia (K,+, ·) un campo e sia D ⊆ K un dominio di integritàrispetto le operazioni del campo. Si dice che (K,+, ·) è campo dei quozienti di Dse ogni elemento k ∈ K si può scrivere nella forma k = a · b−1 con a, b ∈ D, b 6= 0.

Esempio 3.1.2. Il campo dei quozienti dell'anello (Z,+, ·) degli interi è ilcampo (Q,+, ·) dei razionali.

34

Capitolo 3 Anelli euclidei. 35

È naturale porsi il problema di vedere se per ogni dominio di integrità (D,+, ·)esiste un campo (K,+, ·) di cui D è un sottodominio d'integrità e tale che K sia ilcampo dei quozienti di D.

Teorema 3.1.3. Sia (D,+, ·) un dominio di integrità. Allora esiste un campo(K,+, ·) contenente un sottodominio (D,+, ·) isomorfo a (D,+, ·) e tale che ognielemento di (K,+, ·) sia della forma a · b−1 con a, b ∈ D, b 6= 0.

Dimostrazione. PostoD∗ = D−{0}, de�niamo inD×D∗ la seguente relazione:(a, b)<(c, d) se ad = bc. Dimostriamo che la relazione < è di equivalenza:

• Per ogni (a, b) ∈ D × D∗ si ha (a, b)<(a, b); infatti ab = ba perchè D ècommutativo.• (a, b)<(c, d) ⇒ (c, d)<(a, b); infatti da ad = bc segue cb = da perchè D ècommutativo.• (a, b)<(c, d), (c, d)<(e, f) ⇒ (a, b)<(e, f); infatti da ad = bc, cf = de,moltiplicando la prima uguaglianza per f 6= 0 e la seconda per b 6= 0, siottiene adf = bde da cui, applicando la legge di cancellazione, si ha af = beossia (a, b)<(e, f).

Sia K = D × D∗ / < l'insieme delle classi di equivalenza della relazione < ede�niamo in K le seguenti operazioni: [(a, b)] + [(c, d)] = [(ad + bc, bd)] , [(a, b)] ·[(c, d)] = [(ac, bd)]. Quelle poste sono delle buone de�nizioni ossia non dipendonodal rappresentante della classe; infatti se [(a, b)] = [(a, b)] e [(c, d)] = [(c, d)] si haab = ba, cd = dc da cui (ad + bc)bd = adbd + bcbd = badd + dcbb = bd(ad + bc) epertanto [(ad+ bc, bd)] = [(ad+ bc, bd)] e da acbd = bdac si ha [(ac, bd)] = [(ac, bd)].

È immediato veri�care che (K,+) è un gruppo abeliano il cui elemento neutro è[(0, b)] mentre l'opposto di [(a, b)] è [(−a, b)]. Inoltre valgono la proprietà commu-tativa della moltiplicazione e la proprietà distributiva della moltiplicazione rispettol'addizione; l'elemento neutro della moltiplicazione è [(a, a)], a 6= 0; in�ne per ogni[(a, b)] ∈ K∗ = K − {[(0, c)]} si ha [(a, b)]−1 = [(b, a)]. Rimane dunque provato che(K,+, ·) è un campo.

Posto D = {[(ab, b)] | a ∈ D, b ∈ D∗}, de�niamo l'applicazione f : D → K,f(a) = [(ab, b)]. È facile veri�care che f(x) + f(y) = f(x+ y) e f(x) · f(y) = f(xy) epertanto f è un omomor�smo di D in K. Inoltre f è iniettivo, infatti se f(x) = f(y)allora [(xh, h)] = [(yk, k)] da cui xhk = yhk e perciò x = y. Poichè f(D) = Dsi ha D isomorfo a D. In�ne, se [(a, b)] ∈ K, si ha [(a, b)] = [(ac, c)] · [(d, bd)] =[(ac, c)] · [(bd, d)]−1 ossia ogni elemento di K si scrive come quoziente di un elementodi D con un elemento di D∗. �

Capitolo 3 Anelli euclidei. 36

Nota 3.1.4.

(1) Poichè i domini D e D del teorema precedente sono isomor�, si dice piùbrevemente che il campo K contiene D come sottodominio ed ogni elementok ∈ K è tale che k = a · b−1 con a, b ∈ D, b 6= 0. Poichè in K∗ la mol-tiplicazione è commutativa, anzichè k = a · b−1 = b−1 · a, si può scriverek = a

b.

(2) Il campo dei quozienti di un dominio di integrità D è il più piccolo campoche contiene D.

(3) Sia K[x] il dominio di integrità dei polinomi in x a coe�cienti nel campo K;il suo campo dei quozienti si indica con K(x):

K(x) = {f(x)

g(x)| f(x), g(x) ∈ K[x], g(x) 6= 0}.

Studiamo ora un'altra proprietà dei domini di integrità che permette di introdurrela nozione di caratteristica di un dominio di integrità.

Proposizione 3.1.5. Sia (D,+, ·) un dominio di integrità. Se esiste a ∈ D∗ diperiodo �nito n nel gruppo (D,+), allora ogni elemento b ∈ D∗ ha periodo n.

Dimostrazione. Sia a ∈ D∗ di periodo n ∈ N∗ e dunque na = 0. Sia b ∈ D∗;(nb)a = (b+ b+ · · ·+ b︸ ︷︷ ︸

n−volte

)a = ba+ ba+ · · ·+ ba︸ ︷︷ ︸n−volte

= b(a+ a+ · · ·+ a︸ ︷︷ ︸n−volte

) = b(na) = b0 = 0

dunque (nb)a = 0 e poichè a 6= 0 e D∗ è privo di divisori dello zero si ha nb = 0. Seil periodo di b nel gruppo (D,+) fosse m < n, da mb = 0 procedendo come sopra,seguirebbe ma = 0 contro l'ipotesi che a sia di periodo n. �

De�nizione 3.1.6. Sia (D,+, ·) un dominio di integrità. Se per ogni n ∈ N∗ eper ogni a ∈ D∗ si ha n · a 6= 0, allora si dice che D ha caratteristica 0. Si dice cheD ha caratteristica m se m è il più piccolo intero positivo tale che m · a = 0 perogni a ∈ D.

Esempi 3.1.7.

(1) (Z,+, ·), (Q,+, ·), (R,+, ·) hanno caratteristica zero.(2) (Zp[x],+, ·), p primo, ha caratteristica p.(3) (Zp,+, ·), p primo, ha caratteristica p.(4) (Zp(x),+, ·), p primo, ha caratteristica p.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 37

Proposizione 3.1.8. La caratteristica di un dominio di integrità è zero oppureè un numero primo.

Dimostrazione. Sia (D,+, ·) un dominio di integrità e supponiamo che la suacaratteristica sia m 6= 0. Se m non è primo allora in N∗ esistono m1,m2 tali chem = m1m2 con 1 < m1,m2 < m. Allora per ogni a ∈ D∗ da ma = 0 segue0 = ma = (m1m2)a da cui m1(m2a) = 0 e questo implica m2a = 0 che è assurdoperchè la caratteristica di D è m > m2, oppure m2a 6= 0 di periodo minore o ugualea m1, ancora assurdo perchè la caratteristica di D è m > m1. �

Nota 3.1.9. Se un dominio di integrità è �nito, la sua caratteristica è certa-mente �nita, ma non vale il viceversa. Ad esempio (Z,+, ·) e (Zp[x],+, ·), p primo,sono entrambi domini di integrità in�niti ma il primo ha caratteristica 0 mentre ilsecondo ha caratteristica �nita p.

2. Anelli euclidei.

De�nizione 3.2.1. Sia D un dominio di integrità e sia D∗ = D−{0}. D è dettoanello euclideo o dominio euclideo se esiste una applicazione υ : D∗ → N, dettavalutazione o norma , tale che

(1) υ(a) ≤ υ(ab) per ogni a, b ∈ D∗;(2) presi a ∈ D e b ∈ D∗, esistono q, r ∈ D tali che a = bq+ r con r = 0 oppure

υ(r) < υ(b).

Esempi 3.2.2.

(1) Z è un dominio euclideo rispetto alla valutazione υ : Z∗ → N de�nita daυ(a) = |a|.

(2) Fissato n ∈ N∗, un campo K è un dominio euclideo rispetto la valutazioneυ : K∗ → N, υ(k) = n per ogni k ∈ K∗.

(3) L'anello dei polinomi K[x] a coe�cienti in un campo K è anello euclideo secome valutazione si considera l'applicazione che ad ogni polinomio associail suo grado.

(4) Se n è un intero non primo allora Zn non è un dominio euclideo perchè nonè un dominio d'integrità.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 38

Nota 3.2.3. Un dominio di integrità può essere dominio euclideo rispetto a piùvalutazioni. Ad esempio, nell'esempio (2) si ottiene una valutazione ogni volta chesi �ssa un n ∈ N∗.

Proposizione 3.2.4. Sia D un dominio euclideo con valutazione υ. Si ha:

(1) D è unitario.(2) D è ad ideali principali.

Dimostrazione.

(1) Sia b ∈ D∗ tale che υ(b) = min{υ(x) | x ∈ D∗}. Per ogni a ∈ D esiste qa ∈ Dtale che a = bqa perchè, per l'ipotesi di minimo fatta su υ(b), da a = bqa + rsegue r = 0 non potendo essere υ(r) < υ(b). Considerato qb tale che b = bqb,per ogni x ∈ D si ha x = bqx, xqb = bqxqb = bqbqx = bqx = x e pertanto qb èl'unità di D.

(2) Sia I un ideale del dominio euclideo D. Se I =< 0 > allora I è principale.Sia I 6=< 0 > e sia a ∈ I, a 6= 0 tale che υ(a) = min{υ(x) | x ∈ I − {0}}.Per ogni y ∈ I si ha y = aq + r ma è r = 0 per l'ipotesi di minimalità fattasu υ(a). Pertanto se y ∈ I allora y = aq; viceversa per ogni w ∈ D si haaw ∈ I e perciò I = {ax | x ∈ D} =< a > .

Nota 3.2.5. La proposizione ora dimostrata assicura che:

(1) Ogni anello che non è unitario non è euclideo. Ad esempio l'anello 2Z nonè euclideo non essendo unitario.

(2) I generatori di un ideale I 6=< 0 > di un anello euclideo con norma υ sonoesattamente gli elementi x ∈ I tali che υ(x) = min{υ(z) | z ∈ I − {0}}.Esempio: se I 6=< 0 > è un ideale di (Z,+, ·), allora i generatori dell'idealeI sono gli interi m e −m poichè |m| è il più piccolo intero positivo contenutoin I.

Dimostriamo ora che alcune proprietà dell'anello Z degli interi valgono in unqualunque dominio euclideo.

Proposizione 3.2.6. Sia D un dominio euclideo e siano a, b ∈ D∗. In D esisteun massimo comune divisore d di a, b e si ha d = λa+ µb per opportuni λ, µ ∈ D.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 39

Dimostrazione. Sia S = {xa+ yb | x, y ∈ D}. Si ha S 6= ∅ perchè D ha unitàe perciò a, b ∈ S, inoltre S è un ideale di D come si veri�ca immediatamente. Allora,ricordando che in un dominio euclideo ogni ideale è principale, esiste d ∈ S tale cheS =< d > con d = λa + µb, λ, µ ∈ D. Poichè a, b ∈ S =< d > si ha a = dx, b = dycon x, y ∈ D e pertanto d | a, d | b. In�ne se d ∈ D∗ divide sia a che b allora divideλa+ µb ossia d | d. �

Proposizione 3.2.7. Sia D un dominio euclideo rispetto la valutazione υ e siab ∈ D∗. Si ha

(1) b è invertibile se e solo se υ(a) = υ(ab) per ogni a ∈ D∗;(2) b è invertibile se e solo se υ(1) = υ(b) ossia gli elementi invertibili sono tutti

e soli gli elementi a valutazione minima;(3) b è non invertibile se esiste a ∈ D∗ tale che υ(a) < υ(ab); se b ∈ D∗ è non

invertibile allora è υ(a) < υ(ab) per ogni a ∈ D∗.

Dimostrazione.

(1) Qualunque sia a ∈ D∗, se υ(a) = υ(ab) si ha < ab >=< a > da cuia = abc con c ∈ D∗, allora a(1 − bc) = 0, bc = 1 e pertanto b è invertibile.Viceversa, se b è invertibile allora esiste c ∈ D∗ tale che bc = 1, alloraa(1 − bc) = 0, a = abc da cui a ∈< ab >, allora < a >=< ab > da cuiυ(a) = υ(ab).

(2) Segue da quanto dimostrato nel punto precedente considerando a = 1. Per-tanto l'insieme Di degli elementi invertibili di D è Di = {a ∈ D | υ(a) =υ(1)}.

(3) Segue dalla dimostrazione dei due punti precedenti.

Proposizione 3.2.8. Sia D un dominio di integrità unitario e siano a, b ∈ D∗.Si ha a | b e b | a se e solo se esiste c ∈ D invertibile tale che b = ac.

Dimostrazione. Se a | b e b | a allora a = bc, b = ad, da cui b = bcd, b(1−cd) =0 e perciò 1 = cd ossia c e d sono invertibili. Viceversa, se b = ac con c invertibile,si ha a | b e da bc−1 = a si ha b | a. �

De�nizione 3.2.9. Sia D un dominio di integrità unitario. Due elementi a, b ∈D∗ si dicono associati se a | b e b | a.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 40

Sia D un dominio di integrità unitario; in D∗ la relazione ” ∼ ” de�nita da a ∼ bse a e b sono associati, è una relazione di equivalenza. Inoltre per la Proposizioneprecedente si ha che a, b ∈ D∗ sono associati se e solo se esiste c ∈ D invertibile taleche b = ac.

De�nizione 3.2.10. Sia D un dominio euclideo e sia p ∈ D∗. Si dice che p èprimo se è non invertibile e da p = ab con a, b ∈ D segue a invertibile oppure binvertibile.

Nota - Poichè in Z il numero 1 è invertibile, trova giusti�cazione non considerare1 un numero primo.

De�nizione 3.2.11. Sia D un dominio euclideo e siano a, b ∈ D∗. Si dice che ae b sono primi fra loro se MCD(a, b) = 1

Proposizione 3.2.12. Sia D un dominio euclideo e siano a, b, c ∈ D∗. Se a | bce MCD(a, b) = 1 allora a | c.

Dimostrazione. Da a | bc si ha bc = ah, inoltre esistono λ, µ ∈ D∗ tali che1 = λa + µb e perciò c = λac + µbc = λac + µah da cui a(λc + µh) = c e pertantoa | c. �

Corollario 3.2.13. Sia D un dominio euclideo e siano a1, a2, . . . , an ∈ D∗. Sep è un elemento primo di D che divide il prodotto a1a2 · · · an allora p divide almenouno degli elementi a1, a2, . . . , an.

Proposizione 3.2.14. Sia D un dominio euclideo con valutazione υ. Un ele-mento y ∈ D∗ è invertibile, oppure è primo, oppure è prodotto di un numero �nitodi elementi primi di D non necessariamente distinti.

Dimostrazione. Poichè D è unitario si ha D =< 1 > da cui segue υ(1) =min {υ(x) | x ∈ D∗}. Procediamo per induzione su υ(a), a ∈ D∗. La proposizione èvera per ogni y ∈ D∗ tale che υ(y) = υ(1) perchè in questo caso y risulta invertibile.Supponiamo la proposizione vera per tutti gli x ∈ D∗ tali che υ(x) < υ(a) e dimo-striamo che è vera anche per y ∈ D∗ tale che υ(y) = υ(a). Se y è primo allora la tesiè veri�cata. Se y non è primo, sia y = bc con b, c non invertibili. Per la proposizione3.2.7 si ha υ(b) < υ(bc) = υ(y) = υ(a) e υ(c) < υ(cb) = υ(y) = υ(a). Per l'ipotesidi induzione, da υ(b) < υ(a) segue b primo oppure b prodotto di un numero �nito di

Capitolo 3 Anelli euclidei. 41

elementi primi. Analogamente da υ(c) < υ(a) segue c primo oppure c prodotto diun numero �nito di elementi primi e perciò y = bc è prodotto di un numero �nito dielementi primi. �

Teorema 3.2.15. Sia D un dominio euclideo. Ogni elemento di D∗ non in-vertibile e non primo ammette una fattorizzazione unica in fattori primi, a meno dielementi invertibili.

Dimostrazione. Se a ∈ D∗ non è invertibile e non è primo, per la proposizioneprecedente si ha a = p1 · · · · · pr; p1, p2, . . . , pr elementi primi non necessariamentedistinti. Supponiamo sia anche a = q1 · · · · · qs; q1, q2, . . . , qs elementi primi e, senzaledere in generalità, sia r ≤ s. Da p1 · · · · · pr = q1 · · · · · qs segue p1 | q1q2 · · · qs epertanto esiste qi tale che p1 | qi da cui qi = p1d1 con d1 elemento invertibile. Siottiene allora p2 · · · · · pr = q1 · · · · · qi−1d1qi+1 · · · · · qs. Da p2 | q1 · · · · · d1 · · · · · qssi ha che esiste qj tale che p2 | qj da cui qj = p2d2 con d2 elemento invertibile. Siottiene allora p3 · · · · · pr = q1 · · · · · d1 · · · · · d2 · · · · · qs. Continuando il procedimento,se r < s, si arriva ad avere 1 = d1 · · · · · drqt1 · · · · · qts−r , ma ciò è assurdo perchè qt1è elemento primo e quindi non invertibile. Si conclude che r = s e perciò i fattoriq1, q2, . . . , qr sono, a meno dell'ordine, associati ai fattori p1, p2, . . . , pr e perciò le duefattorizzazioni di a coincidono a meno di elementi invertibili. �

Nota 3.2.16. Se D = Z è l'anello degli interi allora il teorema precedente è notocome Teorema fondamentale dell'aritmetica (già dimostrato nel corso di Algebra A).

Proposizione 3.2.17. Sia D un dominio euclideo e sia I un suo ideale. I èmassimale se e solo se è generato da un elemento primo.

Dimostrazione. Sia I massimale, I =< a >, a non invertibile. Se a = xy allora< a >⊂< x >⊂ D e poichè I è massimale risulta < x >=< a > oppure < x >= D.Se < x >=< a > esiste h ∈ D tale che x = ah da cui a = ahy, 1 = hy e pertanto yè invertibile. Se < x >= D esiste z ∈ D tale che xz = 1 e pertanto x è invertibile.Poichè da a = xy segue x invertibile oppure y invertibile, si ha che a è primo.

Viceversa sia I =< a > con a primo, si ha I 6= D perchè a non è invertibile.Supponiamo < a >⊂< b >⊂ D, allora si ha a = bc e poichè a è primo segue binvertibile oppure c invertibile. Nel primo caso risulta < b >= D, nel secondo casorisulta b = ac−1 e quindi < b >=< a >, si conclude pertanto < a > massimale. �

Capitolo 3 Anelli euclidei. 42

Proposizione 3.2.18. Sia D un dominio euclideo e sia I un suo ideale nonbanale. I è primo se e solo se è generato da un elemento primo.

Dimostrazione. Sia I =< a > primo, da I 6= D segue a non invertibile, inoltrese a = bc si ha bc ∈ I e perciò b ∈ I oppure c ∈ I perchè I è primo. Se b ∈ I allorab = ah, a = ahc, 1 = hc e pertanto c è invertibile. Analogamente se c ∈ I allora b èinvertibile. Rimane così provato che l'elemento a è primo.

Viceversa sia a un elemento primo e sia I =< a >. Si ha I 6=< 0 >, I 6= D;inoltre se bc ∈< a > allora bc = ah e perciò a | b oppure a | c. Se a | b allorab ∈< a >, se a | c allora c ∈< a > e pertanto I è un ideale primo. �

Teorema 3.2.19. Sia D un dominio euclideo e sia I un suo ideale non banale.I è massimale se e solo se I è primo.

Dimostrazione. Segue dalle due Proposizioni precedenti. �

Un dominio euclideo particolarmente importante è l'anello degli interi di Gauss.

De�nizione 3.2.20. Si de�nisce anello dei numeri (o interi) di Gauss l'in-sieme

Z[i] = {a+ ib | a, b ∈ Z, i2 = −1}

Proposizione 3.2.21. L'insieme Z[i] dei numeri di Gauss è un dominio euclideorispetto all'applicazione υ : Z[i]∗ → N de�nita da υ(a+ ib) = a2 + b2.

Dimostrazione. L'insieme Z[i] è sottoinsieme del campo C dei numeri comples-si. Risulta essere chiuso rispetto l'addizione e la moltiplicazione di C ed è immediatoveri�care che Z[i] è un dominio di integrità. Veri�chiamo che υ è una valutazio-ne. Qualunque sia z = a + ib ∈ Z[i]∗, υ(z) = a2 + b2 ∈ N; inoltre, poichè inC si ha υ(zw) = υ(z)υ(w), risulta υ(z) ≤ υ(zw) per ogni z, w ∈ Z[i]. Resta daprovare la proprietà della ” divisione”. Se w = c + id 6= 0 allora in Q[i] si haw−1 = wυ(w)−1 = c−id

c2+d2(con w coniugato di w), quindi esistono α, β ∈ Q tali che

zw−1 = α + iβ. Qualunque siano α, β ∈ Q, esistono u, t ∈ Z tali che

|u− α| ≤ 1

2e |t− β| ≤ 1

2e pertanto

z = w(α + iβ) = w[(α− u+ u) + i(β − t+ t)] = w(u+ it) + w[(α− u) + i(β − t)].Posto q = u+ it e r = w[(α−u)+ i(β− t)] possiamo scrivere z = qw+r con q ∈ Z[i],e r = z − qw ∈ Z[i] perchè di�erenza di due elementi di Z[i]. Proviamo in�ne la

Capitolo 3 Anelli euclidei. 43

condizione su r: υ(r) = υ(w)υ[(α − u) + i(β − t)] = υ(w)[(α − u)2 + (β − t)2] ≤υ(w)(1

4+ 1

4) = 1

2υ(w) < υ(w). �

Nota 3.2.22.

(1) Gli elementi invertibili di Z[i] sono +1,−1,+i,−i. Infatti si ha a+ ib inver-tibile se e solo se υ(a+ ib) = υ(1), ossia se e solo se a2 + b2 = 1 da cui a = 0e b = ±1 oppure a = ±1 e b = 0. Considerando i due casi si ottiene la tesi.

(2) Dalla de�nizione, sappiamo che se D è un anello euclideo allora se a, b ∈D, b 6= 0, esistono q ed r tali che a = bq + r con r = 0 oppure υ(r) < υ(b).Negli anelli Z e K[x] con K campo, gli elementi q ed r sono univocamentedeterminati, ma ciò non vale in ogni anello euclideo. Infatti, per esempio,in Z[i] si ha 2 + i = (1 + i)(1− i) + i, ma si ha anche 2 + i = (1 + i) · 1 + 1.

Per cercare quali sono gli elementi primi dell'anello Z[i], occorre premettere alcunirisultati relativi ai campi �niti (Zp,+, ·).

Proposizione 3.2.23. Sia (Zp,+, ·) il campo con p primo, p ≡ 1 mod 4. Allora−1 = [p− 1] è un quadrato di Zp.

Dimostrazione. Anzitutto osserviamo che in Z∗p solo −1 è elemento di periododue, infatti −1 è elemento di periodo due perchè (−1)2 = 1 con −1 6= 1 essendop dispari, inoltre se x ∈ Zp è di periodo due allora x2 = 1, (x + 1)(x − 1) = 0 edunque x = −1 oppure x = 1. L'insieme H = {x2 | x ∈ Z∗p} dei quadrati di Z∗p èun sottogruppo di Z∗p perchè è chiuso rispetto al prodotto e poichè x2 = y2 se e solose x = ±y, si ha |H| = p−1

2. Poichè p ≡ 1 mod 4 si ha che 2 divide p−1

2e perciò

p−12

è pari e questo assicura che in H c'è almeno un elemento di periodo 2, ma allora−1 ∈ H perchè −1 è l'unico elemento di periodo 2 di Z∗p. �

Proposizione 3.2.24. Sia p primo, p ≡ 1 mod 4. Allora esistono a, b ∈ Z taliche p = a2 + b2.

Dimostrazione. Poichè p ≡ 1 mod 4, si ha che in Zp l'elemento−1(= p−1) è unquadrato ossia esiste z ∈ Zp tale che z2 ≡ −1 mod p e pertanto esiste n ∈ N tale chenp = z2 + 1. Nell'anello Z[i] si ha dunque np = (z+ i)(z− i). Se p fosse un elementoprimo di Z[i] si avrebbe p|(z + i) oppure p|(z− i) e ciò è assurdo. Infatti se p|(z + i)allora z+i = p(x+yi) da cui z = px e 1 = py che è assurdo; analogamente se p|(z−i)allora z − i = p(x′ + y′i) da cui z = px′ e 1 = −py′ che è assurdo. Dunque p non èprimo in Z[i] e perciò si ha p = (a+ bi)(h+ki) con a+ bi, h+ki ∈ Z[i] non invertibiliossia, indicata con v la valutazione, a2 + b2 = v(a+ bi) 6= 1 e h2 +k2 = v(h+ki) 6= 1.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 44

Otteniamo pertanto v(p) = v((a+ bi)(h+ki)) cioè p2 = (a2 + b2)(h2 +k2) ed essendoa2 + b2 6= 1, h2 + k2 6= 1 si ha a2 + b2 = h2 + k2 = p. �

Proposizione 3.2.25. Sia p primo, p ≡ 3 mod 4. Allora in (Zp,+, ·) l'elemento−1 non è un quadrato.

Dimostrazione. Se in Zp esistesse a tale che a2 = −1, l'elemento a avrebbeperiodo 4 in Z∗p e perciò 4 dovrebbe dividere p − 1 ma ciò è assurdo perchè p ≡ 3mod 4. �

Corollario 3.2.26. Se p primo dispari, p ≡ 3 mod 4, allora p non è esprimibilecome somma di due quadrati di interi.

Dimostrazione. Se fosse p = a2 + b2 allora in (Zp,+, ·) risulta a2 + b2 = 0 dacui a2 = −b2, a2b−2 = −1 e pertanto −1 = (ab−1)2 ∈ Zp è un quadrato e ciò è assurdoper la proposizione precedente. �

Teorema 3.2.27. Nell'anello Z[i] degli interi di Gauss, gli elementi primi, ameno di elementi associati, sono:

(1) gli elementi a + bi con a2 + b2 = 2 oppure a2 + b2 = p con p intero primotale che p ≡ 1 mod 4;

(2) gli interi primi p con p ≡ 3 mod 4.

Dimostrazione. Dapprima proviamo che se a+ ib tale che υ(a+ ib) = a2 + b2

è primo in Z allora a+ ib è primo in Z[i]. Infatti, sia a+ ib = (x+ yi)(h+ ki); si haa2 + b2 = (x2 + y2)(h2 + k2) ed essendo a2 + b2 primo in Z segue x2 + y2 = 1 oppureh2 + k2 = 1 ossia a + ib primo in Z[i]. Proviamo ora che se a + ib è primo in Z[i]allora esiste p ∈ Z, p primo in Z, tale che (a + ib)|p in Z[i]. Infatti da a + ib primoin Z[i] segue a2 + b2 = υ(a+ bi) > 1; fattorizziamo a2 + b2 in Z nel prodotto di interiprimi: a2 + b2 = p1p2 · · · pr allora (a+ bi)(a− bi) = p1p2 · · · pr in Z[i]. Poichè a+ bi èprimo ne segue che a+ bi divide uno dei numeri p1p2 · · · pr e pertanto esiste p, primoin Z, tale che (a+ ib)|p. Ne segue che gli elementi primi in Z[i] si devono cercare fragli elementi che risultano in Z[i] divisori degli interi primi in Z.

L'intero 2 non è primo in Z[i] perchè 2 = (1 + i)(1 − i). I fattori (1 + i), (1 − i)sono primi in Z[i] (infatti è υ(1 + i) = υ(1− i) = 2) ed essi sono i soli fattori primidi 2; rimane così provata la prima parte della (1).

Se p è un intero primo in Z con p ≡ 1 mod 4 si ha p = a2 + b2 e dunquep = (a+ bi)(a− bi) e perciò p non è primo in Z[i] ma lo sono i fattori a+ bi e a− bi

Capitolo 3 Anelli euclidei. 45

(infatti è υ(a + bi) = υ(a − bi) = p intero primo in Z). In Z[i] non esistono altrifattori primi di p e pertanto rimane completamente provata la (1).

Proviamo ora la (2) ossia se p è un intero primo in Z con p ≡ 3 mod 4 allora p èprimo in Z[i]. Infatti, sia p = (a+ bi)(h+ki); si ha υ(p) = p2 = (a2 + b2)(h2 +k2); dap ≡ 3 mod 4 segue che p non si può esprimere come somma di due quadrati e perciòsi ha a2 + b2 = 1 oppure h2 + k2 = 1 ossia a+ bi invertibile oppure h+ ki invertibilee pertanto p è primo. Ovviamente sono primi anche ±p,±pi (gli elementi associatidi p). �

A conclusione del paragrafo riassumiamo le de�nizioni principali e alcune pro-prietà relative ad un dominio d'integrità unitario D e agli anelli Z, Z[i], K[x] con Kcampo.

a|b (a divide b) ⇔ esiste c ∈ D tale che b = aca ∼ b (a è associato a b) ⇔ a|b e b|aa è elemento invertibile ⇔ esiste b ∈ D tale che ab = ba = 1a 6= 0 non invertibile è irriducibile ⇔ a = bc implica b oppure c invertibilea è primo ⇔ a|bc implica che a|b oppure a|c

Anello Valutazione Valutazione minima Elementi invertibili

Z υ(x) = |x| 1 +1,−1K υ(x) = 1 1 ogni x 6= 0K[x] υ(f(x)) = degf(x) 0 costanti non nulleZ[i] υ(a+ ib) = a2 + b2 1 +1,−1, +i,−i

3. Esercizi

Esercizio 3.3.1.Sia K un campo. Dimostrare che un ideale proprio di K[x] è massimale se e solo seè generato da un polinomio f(x) tale che deg f(x) 6= 0 e f(x) 6= g(x)h(x) per ognig(x), h(x) ∈ K[x] con deg g(x) 6= 0, deg h(x) 6= 0.Soluzione - Sia I ideale, I ⊂ K[x], I =< f(x) >.

• Se deg f(x) = 0 allora I = K[x] contro l'ipotesi.

Capitolo 3 Anelli euclidei. 46

• Sia deg f(x) ≥ 1. Allora < f(x) > massimale ⇔ non esiste g(x) taleche < f(x) >⊂< g(x) >⊂ K[x] ⇔ f(x) 6= g(x)h(x) con deg g(x) ≥ 1,deg h(x) ≥ 1.

Esercizio 3.3.2.In Z5[x] si considerino i polinomi f(x) = x4 + 1 e g(x) = x3 + x2 − 2x + 3. Sia

I =< f(x), g(x) > l'ideale generato da f(x) e g(x). Si dimostri che Z5[x]I

è un campo.

Soluzione - L'ideale I è principale perchè Z5[x] è un dominio euclideo ed è gene-rato dal MCD(f(x), g(x)) che calcoliamo utilizzando la divisione euclidea. Si trovaMCD(f(x), g(x)) = 3x2 + 4, dunque I =< 3x2 + 4 >. Per sostituzione si veri�casubito che nessun elemento di Z5[x] è radice di 3x2 + 4 ed essendo un polinomio digrado minore uguale a 3, ciò è su�ciente per a�ermare che 3x2 + 4 è irriducibile inZ5[x]. L'ideale i è pertanto massimale essendo generato da un polinomio irriducibilee quindi Z5[x]

Iè un campo.

Esercizio 3.3.3.Nell'anello Z(i) degli interi di Gauss si considerino I = {a + ib ∈ Z(i) | a + b ≡0mod2} e J = {(x − y) + i(x + y) | x, y ∈ Z}. Si dimostri che I e J sono ideali diZ(i) e se ne indichi un generatore.Soluzione - I sarà generato da un qualsiasi suo elemento α 6= 0 con valutazionev(α) minima ed essendo I un ideale proprio sarà v(α) ≥ 2. Poichè 1 − i ∈ I ev(1 − i) = 2, è I =< 1 − i >. D'altra parte se a + ib ∈ I con a + b = 2k, si haa+ ib = (1− i)[(1 + i)k − b]. Risulta I = J .

CAPITOLO 4

Corpi e Campi.

Abbiamo iniziato a studiare le strutture algebriche de�nite tramite due operazioniinterne partendo dalla struttura algebrica di anello. Quando in un anello le dueoperazioni determinano entrambe un gruppo commutativo, si ottiene la più completastruttura algebrica de�nita a partire da due operazioni. È la struttura di campo.In particolare determineremo, a meno di isomor�smi, tutti i campi �niti e le loroproprietà più importanti.

1. De�nizioni, proprietà, esempi

Ricordiamo la de�nizione di queste importanti strutture algebriche.

De�nizione 4.1.1. Un corpo è una terna (K,+, ·) dove K 6= ∅, ” + ” e ” ·” sonooperazioni binarie su K tali che:

(1) (K,+) è un gruppo abeliano.(2) (K∗, ·) è un gruppo.(3) a(b+ c) = ab+ bc e (a+ b)c = ac+ bc per ogni a, b, c ∈ K.

Un corpo in cui (K∗, ·) sia abeliano prende il nome di campo.

Esempi 4.1.2.

(1) Sono campi in�niti (Q,+, ·), (R,+, ·), (K(x),+, ·), (Zp(x),+, ·).(2) (Zp,+, ·) è un campo �nito.(3) (Q,+, ·) è sottocampo di (R,+, ·).

De�nizione 4.1.3. Sia (K,+, ·) un corpo (rispettivamente campo) e sia H ⊆K,H 6= ∅. Si dice che H è un sottocorpo (rispettivamente sottocampo) di (K,+, ·)se (H,+, ·) è un corpo (rispettivamente campo) rispetto alle stesse operazioni ” + ”e ” · ” de�nite in K.

47

Capitolo 4 Corpi e Campi. 48

Sia (K,+, ·) un corpo (rispettivamente campo) e sia H ⊆ K contenente almenodue elementi. H è un sottocorpo (rispettivamente sottocampo) se e solo se a− b ∈ Hper ogni a, b ∈ H e a · b−1 ∈ H per ogni a, b ∈ H con b 6= 0.

De�nizione 4.1.4. Sia (K,+, ·) un campo. L'intersezione di tutti i sottocampidi K è un campo detto sottocampo fondamentale (o minimo o primo) di K.

Poichè i corpi e i campi sono dei domini di integrità, per essi vale quanto giàdimostrato per i domini di integrità. In particolare:

(1) Sia K un corpo o un campo. Se per ogni n ∈ N∗ e per ogni a ∈ K∗ si han · a 6= 0, allora si dice che K ha caratteristica 0, scriveremo carK = 0. Sidice che K ha caratteristica m se m è il più piccolo intero positivo tale chem · a = 0 per ogni a ∈ K, scriveremo carK = m.

(2) La caratteristica di un corpo o di un campo è zero oppure un numero primo.(3) Un corpo o un campo �nito ha sicuramente caratteristica �nita mentre non

vale il viceversa. Ad esempio se p è un numero primo allora il campo deiquozienti Zp(x) è un campo in�nito ma ha caratteristica �nita p.

Teorema 4.1.5. Sia (K,+, ·) un campo. Se K ha caratteristica 0 il suo sot-tocampo fondamentale è isomorfo a Q. Se K ha caratteristica p il suo sottocampofondamentale è isomorfo al campo Zp.

Dimostrazione. Sia H il sottocampo fondamentale di K ossia l'intersezione ditutti i sottocampi di K; indichiamo con u l'elemento neutro di (K∗, ·). Distinguiamoi due casi.

1◦ caso. Sia carK = 0 e sia f : Q → K de�nita da f(mn

) = (mu)(nu)−1. La corri-spondenza f è un'applicazione, infatti se m

n= r

ssi ha ms = nr e perciò (mu)(su) =

(nu)(ru) da cui (mu)(nu)−1 = (ru)(su)−1 cioè f(mn

) = f( rs). Dimostriamo ora che

f è un omomor�smo.

• f(mn

+ rs) = f(ms+nr

ns) = (ms+ nr)u(nsu)−1;

f(mn

) + f( rs) = (mu)(nu)−1 + (ru)(su)−1 = (mu)(su)(su)−1(nu)−1+

+(ru)(nu)(nu)−1(su)−1 = [(mu)(su) + (ru)(nu)](nu)−1(su)−1 == (ms+ nr)u[(nu)(su)]−1 = (ms+ nr)u(nsu)−1

e pertanto f(mn

+ rs) = f(m

n) + f( r

s).

• f(mn· rs) = f(mr

ns) = (mru)(nsu)−1 = (mu)(ru)[(nu)(su)]−1 =

= (mu)(nu)−1(ru)(su)−1 = f(mn

) · f( rs).

Poichè f è un omomor�smo fra campi, il suo nucleo è un ideale banale ossia Kerf = Qoppure Kerf = {0}, poichè f è non nullo segue Kerf = {0} e pertanto f è iniettivo.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 49

Allora f(Q) è un sottocampo di K isomorfo a Q. Risulta dunque H ⊆ f(Q) ={(mu)(nu)−1 | m,n ∈ Z, n 6= 0}. D'altra parte gli elementi di f(Q) sono contenutiin ogni sottocampo di K e pertanto f(Q) ⊆ H da cui H = f(Q).

2◦ caso. Sia carK = p e sia g : Zp → K de�nita da g([n]) = nu. La corrispondenzag è un'applicazione, infatti se è [n] = [m] si ha (n − m) ≡ 0 modp e pertanto(n−m)u = 0 (perchè carK = p) e quindi nu = mu ossia g([n]) = g([m]).Dimostriamo ora che g è un omomor�smo.

• g([n] + [m]) = g([n+m]) = (n+m)u = (nu) + (mu) = g([n]) + g([m])• g([n] · [m]) = g([nm]) = nmu = (nu)(mu) = g([n]) · g([m])

Poichè g è un omomor�smo fra campi, il suo nucleo è un ideale banale ossia Kerg =Zp oppure Kerg = {0}, poichè g è non nullo segue Kerg = {0} e pertanto g è iniettivo.Allora g(Zp) è un sottocampo di K isomorfo a Zp. Risulta dunque H ⊆ g(Zp) ={nu | n ∈ Z} = {0, u, 2u, . . . , (p− 1)u} e poichè 0, u, 2u, . . . , (p− 1)u sono contenutiin ogni sottocampo di K, si ha g(Zp) ⊆ H e pertanto H = g(Zp). �

Da quanto dimostrato si può pertanto a�ermare che ogni campo di caratteristicazero ”contiene” il campo Q dei razionali, mentre ogni campo di caratteristica p”contiene” il campo Zp delle classi resto modulo p.

Sappiamo che esistono domini di integrità in�niti che non sono campi, per esempio(Z,+, ·). Ma attenzione che ciò non vale per i domini d'integrità �niti, vale infattila seguente Proposizione.

Proposizione 4.1.6. Ogni dominio di integrità �nito è un campo.

Dimostrazione. Sia D = {0, a1, a2, . . . , an} un dominio d'integrità �nito e siaai ∈ D, ai 6= 0. Consideriamo gli elementi aia1, aia2, . . . , aian, essi sono tutti distintiperchè se aiar = aias, r 6= s, si ha ai(ar − as) = 0 da cui ar = as essendo Dprivo di divisori dello zero. Gli n prodotti considerati sono dunque tutti gli elementidi D∗ e in particolare, ricordando che D è commutativo, esiste au ∈ D∗ tale cheaiau = auai = ai. L'elemento au è elemento neutro di (D∗, ·), infatti sia x = aiak unqualunque elemento di D∗; allora si ha x = aiak = (aiau)ak = (auai)ak = au(aiak) =aux, dunque au è tale che x = aux e per la commutatività x = aux = xau; per lageneralità di x rimane provato che au è elemento neutro di (D∗, ·). Per semplicitàdi scrittura indichiamo au con 1 e dimostriamo che ogni elemento di D∗ ammettel'inverso. Poichè 1 ∈ D∗ esiste aj ∈ D∗ tale che aiaj = 1 e pertanto in D∗ esistel'inverso di ogni ai 6= 0. �

Corollario 4.1.7. Ogni corpo �nito è un campo.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 50

Dimostrazione. Segue dal fatto che un corpo è un dominio d'integrità. �

2. Estensione di campi

Nello studio di una teoria matematica è importante determinare quale è l'am-biente minimo in cui essa ha senso e trova giusti�cazione. Ad esempio, nella teoriadelle equazioni algebriche è importante determinare quale è il più piccolo campo incui una equazione ammette tutte le radici (cioè tutte le soluzioni). Se ad esempioconsideriamo l'equazione x2 + 7 = 0, nel campo Q dei razionali essa non ha nessunasoluzione, ma nel campo R dei numeri reali troviamo entrambe le sue soluzioni:

√7

e −√

7. Il campo R non è però il più piccolo campo contenente√

7 e −√

7. Infattiper avere un campo in cui x2 + 7 = 0 ha tutte le radici, basta prendere il campoQ(√

7) = {a + b√

7 | a, b ∈ Q} che è contenuto propriamente nel campo R. Apparenaturale porre la seguente de�nizione.

De�nizione 4.2.1. Siano K ed F campi. Si dice che F è un ampliamento (oestensione o prolungamento) di K se F contiene un sottocampo isomorfo a K. SeF è ampliamento di K, si identi�ca K con il sottocampo di F isomorfo a K.

Ad esempio il campo R dei numeri reali è un ampliamento del campo Q deirazionali, il campo C dei numeri complessi è un ampliamento del campo R e delcampo Q.

Si osservi che per quanto dimostrato sulla caratteristica di un campo, si può direche un campo K di caratteristica 0 è un ampliamento di Q mentre un campo dicaratteristica p è un ampliamento di Zp.

Nota 4.2.2. E' importante osservare che dalla de�nizione posta, segue che uncampo F, rispetto alle sue due operazioni, si può pensare come spazio vettorialesopra un suo qualunque sottocampo K. Infatti ogni elemento di F si può pensarecome combinazione lineare di elementi di F a coe�cienti in K. Si può allora parlare,ad esempio, di elementi di F linearmente dipendenti o indipendenti rispetto a K,oppure di dimensione di F su K ecc. .

De�nizione 4.2.3. Si de�nisce grado dell'ampliamento F sul campo K la di-mensione di F su K come spazio vettoriale e si indica con [F : K]. Un ampliamentosi dice �nito se il suo grado è �nito, in�nito in caso contrario.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 51

Esempi 4.2.4.

(1) [C : R] = 2 perchè {1, i} è una base di C rispetto ad R.(2) Il campo R(x) delle funzioni razionali a coe�cienti in R ha dimensione in�-

nita su R perchè le in�nite funzioni 1, x, x2, x3, . . . , xi, . . . , sono linearmenteindipendenti su R.

In questa trattazione, studieremo in particolare gli ampliamenti di grado �nito.

Teorema 4.2.5. Sia F un ampliamento �nito di H di grado n e H sia unampliamento �nito di K di grado m. Allora F è un ampliamento �nito di K di gradon ·m.

Dimostrazione. Sia [F : H] = n, [H : K] = m e siano F = {x1, x2, . . . , xn} unabase di F su H e H = {y1, y2, . . . , ym} una base di H su K. Per dimostrare il teorema,dimostriamo che gli elementi {xiyj, i = 1, . . . n, j = 1, . . .m} costituiscono una basedello spazio vettoriale F su K.

• Gli xiyj sono generatori. Infatti ogni elemento v ∈ F si può esprime-re in uno ed un sol modo come combinazione lineare di x1, x2, . . . , xn acoe�cienti in H : v =

∑ni=1 hixi, hi ∈ H; d'altra parte ogni elemento

hi ∈ H si può esprimere in uno ed un sol modo come combinazione linearedi y1, y2, . . . , ym a coe�cienti in K, pertanto si ha v =

∑ni=1(∑m

j=1 kijyj)xi =∑i,j kijyjxi, kij ∈ K.

• Gli xiyj sono linearmente indipendenti su K. Infatti se supponiamo∑i,j kijyjxi = 0, kij ∈ K, allora si ha 0 =

∑ni=1(∑m

j=1 kijyj)xi con∑mj=1 kijyj ∈ K e pertanto, essendo gli xi indipendenti suH, si ha

∑mj=1 kijyj =

0. Dalla indipendenza degli yj su K segue kij=0 per ogni i, j.

Corollario 4.2.6. Siano F1,F2, . . . ,Fn campi tali che Fi+1 è un ampliamento diFi di grado �nito mi per ogni i = 1, 2, . . . , n − 1. Allora Fn è ampliamento di F1 digrado m1 ·m2 · · · · ·mn−1.

Dimostrazione. Si procede per induzione su n. �

Corollario 4.2.7. Sia F un ampliamento �nito di K e sia H un sottocampo di Fcontenente K. Allora il grado [H : K] divide il grado [F : K].

Capitolo 4 Corpi e Campi. 52

Dimostrazione. Poichè F è spazio vettoriale su K, anche H è spazio vettorialesu K; inoltre se F ha dimensione �nita su K, a maggior ragione F ha dimensione�nita su H (ampliando il campo degli scalari diminuiscono gli elementi indipendentiossia si abbassa la dimensione). Per il teorema precedente risulta

[F : K] = [F : H][H : K] ⇒ [H : K] | [F : K].

Corollario 4.2.8. Sia [F : K] = p numero primo, allora non ci sono campiintermedi fra F e K.

Corollario 4.2.9. Fra il campo C dei numeri complessi e il campo R dei numerireali non ci sono campi intermedi.

Dimostrazione. Se R ⊂ H ⊂ C, poichè [C : R] = 2 allora deve essere [R : H] =1 oppure [H : C] = 1 e pertanto R = H oppure C = H. �

Nota 4.2.10. Le coppie di numeri reali si possono strutturare come campo: ilcampo dei numeri complessi C = R × R. Altrettanto si può fare con le quaterne dinumeri reali e ottenere il corpo dei quaternioni reali: H = R×R×R×R (vedi �8).Poichè R ⊂ C ⊂ H e [C : R] = 2, [H : R] = 4, il Teorema assicura che fra C e Hnon può esserci nessun corpo e dunque le terne di numeri reali non possono esserestrutturate come corpo, a di�erenza delle coppie e delle quaterne.

Dato un campo K e un suo ampliamento F, ci chiediamo come costruire degliampliamenti intermedi fra K ed F. Cominciamo con il caso più semplice, ampliamoK con un solo elemento v ∈ F, ossia cerchiamo il più piccolo sottocampo di F checontenga K e v. Questo campo è detto estensione semplice del campo K e si indicacon K(v) (da non confondere con K[v] che invece indica il più piccolo sottoanello diF contenente K e v).

L'ampliamento semplice di K mediante v è dunque il sottocampo di F costitui-to dalla intersezione di tutti i sottocampi ciascuno dei quali contiene sia K che v.Determiniamo come sono fatti i suoi elementi.

Proposizione 4.2.11. Sia F un'estensione di K e sia v ∈ F. Allora

K(v) = {f(v)

g(v)| f(x) ∈ K[x], g(x) ∈ K[x]; g(v) 6= 0}.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 53

Dimostrazione. Posto f(v) = a0 + a1v + a2v2 + · · ·+ anv

n e g(v) = b0 + b1v +b2v

2 + · · ·+ bmvm, gli elementi dell'insieme

{ a0+a1v+a2v2+···+anvnb0+b1v+b2v2+···+bmvm | ai, bj ∈ K; n,m ∈ N; b0 + b1v + b2v

2 + · · ·+ bmvm 6= 0}

formano banalmente un sottocampo di F che contiene K e v e che è contenuto inogni sottocampo di F contenente K e v. �

Esempi 4.2.12.

(1) Sia K = Q,F = R, v = π. La proposizione precedente assicura che

Q(π) = { a0+a1π+···+anπn

b0+b1π+···+bmπm | ai, bj ∈ Q;n,m ∈ N; b0 + b1π + · · ·+ bmπm 6= 0}

(2) Sia K = Q,F = R, v =√

5. La proposizione precedente assicura che

Q(√

5) = { a0+a1√

5+···+an(√

5)n

b0+b1√

5+···+bm(√

5)m| ai, bj ∈ Q; b0 + b1

√5 + · · ·+ bm(

√5)m 6= 0}.

Poichè (√

5)2 = 5, le espressioni degli elementi di Q(√

5) si riducono aa0+a1

√5

b0+b1√

5; ma a0+a1

√5

b0+b1√

5= (a0+a1

√5)· b0−b1

√5

b20−5b21= (a0+a1

√5)·[ b0

b20−5b21−( b1

b20−5b21)√

5]

con b0b20−5b21

, b1b20−5b21

∈ Q e pertanto a0+a1√

5b0+b1

√5

= q0 + q1

√5, q0, q1 ∈ Q . Dunque

Q(√

5) = {q0 + q1

√5 | q0, q1 ∈ Q}.

È importante osservare che nel caso del secondo esempio l'espressione con cuisi scrivono gli elementi dell'ampliamento semplice si sempli�ca, mentre nel primoesempio questa sempli�cazione non si può fare. Il motivo di questa diversità è nellatipologia dell'elemento v con cui si amplia Q.

De�nizione 4.2.13. Sia F un ampliamento del campo K e sia v ∈ F. L'elementov è detto algebrico rispetto a K se esiste un polinomio f(x) ∈ K[x], f(x) 6= 0, taleche f(v) = 0. Si dice che v è trascendente rispetto a K se non è algebrico, ossiaf(v) 6= 0 per ogni f(x) ∈ K[x], f(x) 6= 0.

Esempi 4.2.14.

•√

2 ∈ R è algebrico rispetto al campo Q dei razionali perchè radice delpolinomio x2 − 2 ∈ Q[x] .• π ∈ R e il numero di Nepero e ∈ R sono trascendenti rispetto al campo Qmasono algebrici rispetto al campo R dei reali perchè radici, rispettivamente,del polinomio x− π ∈ R[x] e del polinomio x− e ∈ R[x].

Capitolo 4 Corpi e Campi. 54

• Il numero complesso i, i2 = −1, è algebrico sia rispetto ad R che rispetto aQ perchè radice del polinomio x2 + 1 ∈ R[x] e anche x2 + 1 ∈ Q[x].• Se K campo, ogni a ∈ K è algebrico rispetto a K perchè radice del polinomiox− a ∈ K[x].

Con i termini numeri algebrici o numeri trascendenti si intendono gli ele-menti algebrici o trascendenti del campo C dei numeri complessi rispetto al campo Qdei razionali. E' facile dimostrare che i numeri algebrici hanno la cardinalità del nu-merabile, mentre i numeri trascendenti hanno la cardinalità del continuo e pertantosono molto di più i numeri trascendenti rispetto a quelli algebrici contrariamente aquanto si poteva immaginare. Però risulta molto di�cile dimostrare che un numeroè trascendente.

Dimostreremo che gli elementi dell'ampliamento semplice K(v) si possono scriverein forma più semplice come visto nell'esempio (2) di 4.2.12 solo quando v è elementoalgebrico rispetto a K.

Teorema 4.2.15. Sia K ⊂ F, sia v ∈ F algebrico rispetto a K e sia p(x) ∈ K[x]tale che p(v) = 0. Il polinomio p(x) è di grado minimo fra tutti i polinomi di K[x]che ammettono v come radice se e solo se p(x) è irriducibile in K[x].

Dimostrazione. Sia p(x) di grado minimo fra i polinomi che ammettono vcome radice: p(v) = 0. Supponiamo per assurdo che p(x) sia riducibile, ossia p(x) =h(x)k(x) con h(x), k(x) ∈ K[x]. Da p(v) = 0 segue h(v)k(v) = 0 e dunque h(v) = 0oppure k(v) = 0. Se è h(v) = 0 allora deg h(x) = deg p(x) e quindi k(x) è unacostante (non nulla); se è k(v) = 0 allora risulta una costante non nulla il polinomioh(x). In ogni caso uno dei fattori è costante e quindi p(x) è irriducibile in K[x].

Viceversa, sia p(x) irriducibile in K[x], p(v) = 0. Sia f(x) ∈ K[x] un polinomiodi grado minimo fra i polinomi di K[x] che ammettono v come radice e pertanto1 ≤ degf(x) ≤ deg p(x); proviamo che è deg p(x) = deg f(x). Esistono q(x), r(x) ∈K[x] tali che p(x) = f(x)q(x) + r(x) con r(x) = 0 oppure deg r(x) < deg f(x).Quando x = v l'uguaglianza ci dà p(v) = f(v)q(v) + r(v) e dunque (essendo f(v) =p(v) = 0) r(v) = 0; questo comporta r(x) = 0 altrimenti verrebbe contraddettal'ipotesi di minimo fatta sul grado di f(x). Pertanto p(x) = f(x)q(x) e poichè p(x)è irriducubile in K[x] ed f(x) non è una costante si ha q(x) costante (non nulla) edunque deg p(x) = deg f(x). �

Proposizione 4.2.16. Sia K ⊂ F e sia v ∈ F algebrico rispetto a K. I polinomidi K[x] che ammettono v come radice formano un ideale massimale di K[x].

Capitolo 4 Corpi e Campi. 55

Dimostrazione. Sia p(x) ∈ K[x] di grado minimo fra i polinomi di K[x] cheammettono v come radice; sia f(x) ∈ K[x] con f(v) = 0; dividendo f(x) per p(x) siottiene f(x) = p(x)q(x) + r(x) e risulta r(v) = 0, ciò implica r(x) = 0 altrimenti sa-rebbe contraddetta l'ipotesi di minimo fatta su deg p(x); dunque è f(x) = p(x)q(x).Allora i polinomi di K[x] che ammettono v come radice sono tutti e soli quelli del-l'ideale I = < p(x) >. Poichè K[x] è anello euclideo e p(x) è irriducibile in K[x] (edunque elemento primo di K[x]), si ha I massimale. �

De�nizione 4.2.17. Sia K ⊂ F. L'elemento v ∈ F è detto algebrico di gradon rispetto a K se è radice di un polinomio irriducibile di K[x] di grado n.

Esempi.• Il numero complesso i è algebrico di grado 2 rispetto al campo R dei reali edanche rispetto al campo Q dei razionali perchè è radice del polinomio x2 + 1irriducibile in R.• Il numero reale

√2 è algebrico di grado 2 rispetto a Q perchè è radice del

polinomio x2 − 2 irriducibile in Q.• Ogni elemento di un campo K è algebrico di grado 1 rispetto a K.

Teorema 4.2.18. Sia K ⊂ F e sia v ∈ F algebrico di grado n rispetto a K.Allora si ha

K(v) = {a0 + a1v + . . .+ an−1vn−1 | ai ∈ K}.

Dimostrazione. Sia p(x) ∈ K[x] irriducibile in K[x], deg p(x) = n, tale chep(v) = 0. Sia K = {a0 + a1v + . . . + an−1v

n−1 | ai ∈ K}. Proviamo che K è ilpiù piccolo sottocampo di F contenente K e v, ossia è il campo K(v) ampliamentosemplice di K tramite v. Sia p(x) = h0 + h1x + · · · + hnx

n, hn 6= 0, p(v) = 0, p(x) ∈K[x]; risulta h0 + h1v + · · · + hnv

n = 0 e poichè hn 6= 0, vn = −1hn

(h0 + h1v +

· · ·+hn−1vn−1) ossia l'elemento vn si scrive come combinazione lineare degli elementi

v, v2, . . . , vn−1 e pertanto il prodotto di due elementi di K è ancora un elemento di Ke K risulta un campo d'integrità; per dimostrare che è un campo occorre dimostrareche per ogni a ∈ K, a 6= 0, esiste a−1 ∈ K. Sia a ∈ K, a 6= 0, a = k0 + k1v +· · · + kn−1v

n−1, allora q(x) = k0 + k1x + · · · + kn−1xn−1 ∈ K[x] è tale che q(v) =

a 6= 0. Il MCD(q(x), p(x)) è un divisore di p(x) ed essendo p(x) irriducibile risultaMCD(q(x), p(x)) = 1 oppure MCD(q(x), p(x)) = p(x). Se MCD(q(x), p(x)) =p(x) si ha un assurdo perchè signi�cherebbe che p(x) divide q(x) e quindi q(v) = 0mentre q(v) = a 6= 0. Deve dunque essere MCD(q(x), p(x)) = 1, allora esistonoλ(x), µ(x) ∈ K[x] tali che λ(x)p(x) + µ(x)q(x) = 1, ma µ(x) = p(x)t(x) + r(x) epertanto λ(x)p(x) + p(x)t(x)q(x) + r(x)q(x) = 1 da cui λ(v)p(v) + p(v)t(v)q(v) +

Capitolo 4 Corpi e Campi. 56

r(v)q(v) = 1 e ricordando che p(v) = 0 si ha r(v)q(v) = 1 e poichè q(v) = a siha r(v)a = 1 e dunque a ammette l'inverso a−1 = r(v) che appartiene a K perchèr(v) · a = 1 con a ∈ K, 1 ∈ K e quindi anche r(v) ∈ K. Si è così dimostrato che K èun campo. In�ne K è il più piccolo sottocampo di F che contiene sia K che v perchèogni campo che contiene K e v contiene gli elementi di K. Si conclude K = K(v). �

Nota 4.2.19. Come dimostrato, se v ∈ F è algebrico di grado n su K con K ⊂ F,la scrittura degli elementi del più piccolo campo contenente K e v si sempli�ca erisulta K(v) = {a0 + a1v + . . .+ an−1v

n−1 | ai ∈ K} (mentre ciò non si può fare se vè trascendente su K). Questo è il motivo per cui, di norma, quando nelle espressionialgebriche compare un radicale al denominatore, questo elemento si razionalizza,in particolare si razionalizza il risultato �nale se questo �gura con un radicale aldenominatore. Ad esempio, supponiamo che svolgendo i calcoli di un'espressionealgebrica si ottenga come risultato 1

1+√

2. Così scritto, non si evidenzia che tale numero

appartiene a Q√

2 che è un campo più piccolo di R e i cui elementi si scrivono senzafare intervenire al denominatore dei radicali: 1

1+√

2= −1 +

√2. Se si stabilisce di

lavorare in R e non si richiede di operare nel più piccolo campo numerico possibile,l'esercizio è già concluso con il risultato scritto nella forma 1

1+√

2.

Esempi 4.2.20.

• R(i) = {a0 + a1i | a0, a1 ∈ R, i2 = −1} = C.• Q(i) = {a0 + a1i | a0, a1 ∈ Q, i2 = −1} ⊂ C.• Q(

√2) = {a0 + a1

√2 | a0, a1 ∈ Q} ⊂ R.

Nota 4.2.21. E' importante osservare che se F e H sono entrambi ampliamentisemplici di grado n di uno stesso campo K, allora F e H sono isomor� come spazivettoriali su K ma non è detto siano isomor� come campi. Ad esempio Q(

√2)

e Q(√

3) sono entrambi ampliamenti di grado 2 di Q, ma non sono campi isomor�.Infatti supposto esista un isomor�smo φ di Q(

√2) in Q(

√3), poichè φ(

√2) = a+b

√3

per opportuni a, b ∈ Q, si avrebbe φ(2) = (φ(√

2))2 = a2 + 3b2 + 2ab√

3. Ma per leproprietà dell'isomor�smo si avrebbe anche φ(2) = φ(1+1) = φ(1)+φ(1) = 1+1 = 2.Si ha pertanto un assurdo perchè non esistono a, b ∈ Q tali che a2 +3b2 +2ab

√3 = 2.

De�nizione 4.2.22. Il campo F è detto ampliamento algebrico di K se ognielemento di F è algebrico rispetto a K, è detto ampliamento trascendente di Kse esiste almeno un elemento di F trascendente rispetto a K.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 57

Esempi

• C è ampliamento algebrico di R. Infatti ogni elemento a + ib ∈ C soddisfail polinomio x2 − 2ax+ (a2 + b2) a coe�cienti in R.• R è ampliamento trascendente di Q perchè, per esempio, π ∈ R è elementotrascendente rispetto a Q.

Proposizione 4.2.23. Ogni ampliamento di grado �nito di un campo K è unampliamento algebrico.

Dimostrazione. Sia [F : K] = n. Poichè F è spazio vettoriale di dimensionen su K, si ha che n + 1 vettori di F sono sempre linearmente dipendenti rispetto aK. Sia v ∈ F, i vettori v0, v1, . . . , vn sono dunque linearmente dipendenti e pertantoesistono λ0, λ1, . . . , λn ∈ K non tutti nulli tali che λ0v

0 + λ1v1 + . . . + λnv

n = 0.Allora v è algebrico rispetto a K perchè radice del polinomio non nullo g(x) =λ0 + λ1x+ . . .+ λnx

n ∈ K[x]. �

Nota 4.2.24. Attenzione che il viceversa della Proposizione ora dimostrata nonvale. Infatti sia A il campo dei numeri algebrici ossia l'insieme di tutti i numerialgebrici su Q. Per ogni elemento a ∈ A, essendo a algebrico su Q, si ha [Q(a) : Q] =t <∞ ma risulta

[A : Q] =∞.Infatti supponiamo per assurdo [A : Q] = n; consideriamo a = n+1

√2, esso è radice

del polinomio xn+1 − 2 irriducibile su Q e pertanto a ha grado n + 1 ed è algebricosu Q e quindi a ∈ A e risulta [Q(a) : Q] = n+ 1 > [A : Q] = n e ciò è assurdo perchèper ogni a ∈ A si ha [A : Q] > [Q(a) : Q].

Teorema 4.2.25. Sia K sottocampo di F. L'elemento v ∈ F è algebrico digrado n rispetto a K se e solo se K(v) è ampliamento di K di grado �nito n.

Dimostrazione. Sia v algebrico di grado n rispetto a K, allora K(v) = {a0 +a1v + · · ·+ an−1v

n−1 | ai ∈ K}; dimostriamo che K(v) è ampliamento di grado �niton. I vettori v0, v1, . . . , vn−1 sono linearmente indipendenti rispetto a K, infatti sianoλi ∈ K tali che λ0v

0 + λ1v1 + . . . + λn−1v

n−1 = 0. Allora v è radice del polinomiog(x) = λ0 + λ1x + . . . + λn−1x

n−1 ∈ K[x], ma v è algebrico di grado n rispetto aK e perciò non esistono polinomi di K[x] aventi grado minore di n che ammettonov come radice e pertanto deve essere g(x) = 0 da cui λ0 = λ1 = . . . = λn−1 = 0.Essendo linearmente indipendenti, v0, v1, . . . , vn−1 sono una base di K(v) e dunqueK(v) ha dimensione n rispetto K ossia è ampliamento di grado �nito n e perciò perla Proposizione precedente K(v) è ampliamento algebrico.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 58

Viceversa sia K(v) ampliamento di grado �nito n rispetto a K. Allora ognielemento di K(v) è algebrico rispetto a K e gli elementi v0, v1, . . . , vn−1, vn sonolinearmente dipendenti (perchè sono n + 1 elementi di K(v) che ha grado n) cioèesistono λ0, λ1, . . . , λn ∈ K non tutti nulli tali che λ0v

0 + λ1v1 + . . . + λnv

n = 0; nesegue che il polinomio g(x) = λ0 + λ1x + . . . + λnx

n ∈ K[x] è diverso dal polinomionullo ed ammette v come radice ossia v è algebrico rispetto a K di grado n perchèper ipotesi K(v) ha grado n. �

Corollario 4.2.26. Sia F un'estensione del campo K e sia v ∈ F. Allora v èalgebrico se e solo se K(v) è un'estensione �nita, mentre v è trascendente se e solose K(v) è un'estensione in�nita.

Proposizione 4.2.27. Sia f(x) ∈ K[x] di grado n, irriducibile in K[x]. AlloraK[x] / < f(x) > è un ampliamento algebrico di grado n di K.

Dimostrazione. Poiché f(x) è irriducibile, l'ideale < f(x) > è massimale edunque il quoziente K[x] / < f(x) > è un campo. Poiché f(x) è di grado n, si haK[x] / < f(x) > = {r0 + r1x + . . . + rn−1x

n−1+ < f(x) > | ri ∈ K}. Gli elementidell'insieme {r0+ < f(x) > | r0 ∈ K} formano un sottocampo di K[x] / < f(x) >isomorfo a K e quindi K[x] / < f(x) > è ampliamento di K.

In�ne gli elementi 1+ < f(x) >, x+ < f(x) >, . . . , xn−1+ < f(x) > formanouna base dello spazio vettoriale K[x] / < f(x) > rispetto a K e pertanto il quozienteK[x] / < f(x) > è ampliamento di grado �nito e quindi ampliamento algebrico diK. �

Esempi 4.2.28.

(1) R[x] / < (x2 + 1) > è ampliamento di grado 2 di R ed è isomorfo a C.(2) Z3[x] / < (x2 + 1) > è ampliamento di grado 2 di Z3, esso ha 9 elementi.(3) K[x] / < f(x) > è isomorfo a K qualunque sia f(x) ∈ K[x] di grado 1.

Con un procedimento ricorsivo si possono costruire ampliamenti di un campo Kmediante un numero �nito di elementi di un suo sovracampo F.

SiaK sottocampo di F e siano v1, . . . , vn ∈ F; conK(v1, . . . , vn) si indica l'amplia-mento di K mediante v1, . . . , vn ossia il più piccolo sottocampo di F contenente Ke v1, . . . , vn.

Se v1, . . . , vn ∈ F sono tutti algebrici rispetto a K, allora K(v1, . . . , vn) è amplia-mento di grado �nito e quindi ampliamento algebrico di K.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 59

Si tenga in�ne presente che se v1 è di grado n su K e v2 è di grado m su K, v2

sarà di grado ≤ m su K(v1) e pertanto

[K(v1, v2) : K] = [K(v1, v2) : K(v1)][K(v1) : K] ≤ nm.

EsempioSupponiamo di voler estendere Q con i numeri

√2 e√

3 e di calcolare il grado diquesta estensione. Iniziamo estendendo Q con

√2, otteniamo Q(

√2) che è amplia-

mento di grado 2 perchè il polinomio minimo che ammette√

2 come radice è x2 − 2ossia è di grado 2. Ora estendiamo Q(

√2) con

√3. Il polinomio x2− 3 è irriducibile

su Q(√

2) quindi l'ampliamento Q(√

2,√

3) = (Q(√

2))(√

3) ha grado 2 rispetto aQ(√

3) e pertanto Q(√

2,√

3) ha grado 4 rispetto a Q:

[Q(√

2,√

3) : Q] = [Q(√

2,√

3) : Q(√

3)][Q(√

3) : Q] = 2 · 2 = 4.

Una base di Q(√

2,√

3) rispetto a Q(√

2) è {1,√

3}, mentre una base diQ(√

2) rispetto a Q è {1,√

2} e pertanto una base di Q(√

2,√

3) rispetto aQ è {1,

√2,√

3,√

2√

3 =√

6}. Si ottiene

Q(√

2,√

3) = {a0 + a1

√2 + a2

√3 + a3

√6 | a0, a1, a2, a3 ∈ Q}.

Teorema 4.2.29. Sia F un ampliamento di K. Allora gli elementi di F algebricisu K formano un sottocampo di F.

Dimostrazione. Basta dimostrare che se a e b sono algebrici su K allora lo sonoanche a− b e ab−1. Sia a di grado n su K e b di grado m su K, b sarà di grado ≤ msu K(a) e pertanto

[K(a, b) : K] = [K(a, b) : K(a)][K(a) : K] ≤ nm.

L'ampliamento K(a, b) è algebrico essendo di grado �nito e pertanto a − b e ab−1

sono algebrici perchè appartengono a K(a, b). �

NOTA - Tutti gli elementi di R algebrici rispetto a Q formano un sottocampoAR di R. Considerando i polinomi di cui un elemento algebrico è radice, è faciledimostrare che AR è in corrispondenza biunivoca con Q e pertanto ha cardinalità ℵ0.Di conseguenza l'insieme dei numeri reali trascendenti ha la cardinalità del continuo2ℵ0 perchè 2ℵ0 − ℵ0 = 2ℵ0 e pertanto, rispetto a Q sono molto di più i numeri realitrascendenti rispetto a quelli algebrici.

Dimostriamo ora che l'ampliamento algebrico di un campo è una costruzione ”transitiva”.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 60

Proposizione 4.2.30. Se F è ampliamento algebrico di H e H è ampliamentoalgebrico di K allora F è ampliamento algebrico di K.

Dimostrazione. Sia v ∈ F; poichè ogni elemento di F è algebrico su H, esisteg(x) = h0 +h1x+ . . .+hnx

n ∈ H[x], g(x) 6= 0, tale che g(v) = 0. Poiché h0, h1, . . . , hnsono elementi di H, essi sono algebrici rispetto a K, il campo T = K(h0, h1, . . . , hn)è ampliamento di grado �nito m del campo K. Si ha F ⊃ H ⊃ T ⊃ K. Poiché v èradice di g(x) e g(x) ∈ T[x], v è un elemento di F algebrico rispetto a T e pertantoT(v) è ampliamento di grado �nito r di T; dunque T(v) è ampliamento di grado rmdi K e quindi è ampliamento algebrico di K; resta così provato che v ∈ F è algebricorispetto a K e quindi F è ampliamento algebrico di K. �

Corollario 4.2.31. Siano K1 ⊂ K2 ⊂ · · · ⊂ Kn campi tali che Ki + 1 è amplia-mento algebrico di Ki per i = 1, 2, . . . , n − 1. Allora Kn è ampliamento algebrico diK1.

De�nizione 4.2.32. Un campo K si dice algebricamente chiuso se non haestensioni algebriche proprie.

Teorema 4.2.33. Sia K un campo, allora le seguenti a�ermazioni sono equi-valenti:

(1) K è algebricamente chiuso.(2) Ogni polinomio non costante f(x) ∈ K[x] si fattorizza in fattori lineari in

K[x].(3) Ogni polinomio non costante f(x) ∈ K[x] ammette una radice in K.

Dimostrazione.

• (1) ⇒ (2) Procediamo per induzione sul grado n di f(x). Se n = 1, f(x) èlineare, e non c'è nulla da provare. Sia allora n > 1 e supponiamo vero ilteorema per tutti i polinomi di grado < n. Aggiungendo a K una radice αdi f(x), si ottiene una estensione K(α) che è �nita e quindi algebrica. Peripotesi K è algebricamente chiuso e pertanto ne segue che K(α) = K, ossiaα ∈ K. Allora esiste g(x) ∈ K[x] tale che f(x) = (x− α)g(x). Per l'ipotesidi induzione, la tesi è dimostrata.• (2) ⇒ (3) Ovvio.• (3)⇒ (1) Supponiamo per assurdo che esista una estensione algebrica pro-pria E di K. Sia α ∈ E − K, ovviamente α è elemento algebrico su K e

Capitolo 4 Corpi e Campi. 61

pertanto α soddisfa un polinomio irriducibile di grado > 1 in K[x]: ma que-sto contraddice il fatto che per ipotesi tale polinomio deve avere una radicein K (e quindi non può essere irriducibile).

Teorema 4.2.34. Il campo A di tutti i numeri algebrici è algebricamentechiuso.

Dimostrazione. Basta provare che le radici di ogni polinomio a coe�cienti inA sono numeri algebrici ossia sono algebrici rispetto a Q. Sia f(x) = xn+an−1x

n−1 +. . .+ a0 ∈ A. Consideriamo l'estensione

K = Q(a0, a1, . . . , an−1).

Ovviamente è una estensione �nita di Q. Sia v una qualunque radice di f(x). K(v) èuna estensione �nita di K, perché v è algebrico su K. Ma allora K(v) è una estensione�nita anche di Q, e quindi v è algebrico rispetto a Q. �

Senza riportare la dimostrazione, ricordiamo nella seguente nota alcuni impor-tanti risultati

Nota 4.2.35.

(1) Il campo C dei numeri complessi è algebricamente chiuso.(2) Ogni campoK possiede una estensione algebrica che è algebricamente chiusa.(3) Dato un campo K, una sua estensione algebrica che è algebricamente chiusa

prende il nome di chiusura algebrica di K. Due chiusure algebriche diuno stesso campo K sono isomorfe in uno isomor�smo che ristretto a K èl'identità.

3. Teorema dell'elemento primitivo.

Le estensioni algebriche semplici sono state completamente caratterizzate. Comegià osservato, per costruire le estensioni di un campo K tramite un numero �nitodi elementi α1, α2, . . . , αn algebrici su K basta procedere per estensioni successive.Prima si costruisce K(α1) poi a questa estensione si aggiunge α2 ottenendo cosìl'estensione K(α1, α2) e così via �no ad ottenere l'estensione K(α1, α2, . . . , αn).

Il teorema dell'elemento primitivo stabilisce quando è che l'ampliamento di uncampo fatto mediante più elementi algebrici possa essere espresso come ampliamento

Capitolo 4 Corpi e Campi. 62

semplice tramite un unico elemento γ detto elemento primitivo. Se K è un campo�nito oppure se carK = 0, questo è sempre possibile, infatti, in questi casi, tutte leestensioni �nite di K si possono ottenere come estensioni semplici (in particolare ciòvale per i campi numerici essendo tutti di caratteristica zero). Se carK = p e K è in�-nito, occorre richiedere l'ulteriore ipotesi che fra gli elementi algebrici (α1, α2, . . . , αn)ve ne siano almeno n− 1 separabili.

La dimostrazione che daremo è una dimostrazione costruttiva nel senso che ol-tre all'esistenza indica come determinare γ. Per a�rontare questo studio occorrepremettere alcune de�nizioni e risultati sui polinomi.

De�nizione 4.3.1. Sia K un campo e sia f(x) = anxn+an−1x

n−1 + . . .+a1x+a0

un polinomio in K[x]. Si de�nisce derivata formale di f(x), e si indica con f ′(x), ilpolinomio appartenente a K[x]

f ′(x)def= nanx

n−1 + (n− 1)an−1xn−2 + . . .+ 2a2x+ a1.

È facile veri�care che, come nella derivazione ordinaria, si ha

(f(x) + g(x))′ = f ′(x) + g′(x) (f(x)g(x))′ = f ′(x)g(x) + f(x)g′(x).

Vale anche che ogni polinomio costante ha per derivata il polinomio nullo, maattenzione che, in generale, non vale il viceversa. Infatti sia f(x) ∈ K[x]. Si ha:

• se carK = 0 allora f ′(x) = 0 se e solo se f(x) = c ∈ K;• se carK = p allora f ′(x) = 0 se e solo se f(x) = a0 + apx

p + a2px2p + · · · +

ahpxhp.

Proposizione 4.3.2. Un polinomio f(x) ∈ K[x] ha una radice multipla (in unaopportuna estensione) se e solo se f(x) e f ′(x) hanno in comune un fattore nonbanale (ossia di grado maggiore di zero).

Dimostrazione. Sia v una radice multipla di f(x):

f(x) = (x− v)mg(x), m > 1

alloraf ′(x) = m(x− v)m−1g(x) + (x− v)mg′(x)

da cui risulta che v è radice anche di f ′(x).Viceversa, supponiamo che f(x) e f ′(x) abbiano un fattore comune non banale.

Supponiamo per assurdo che f(x) non abbia radici multiple, cioè sia

f(x) =n∏i=1

(x− vi),

Capitolo 4 Corpi e Campi. 63

con vi radici tutte distinte tra di loro. Allora

f ′(x) =n∑i=1

(x− v1)(x− v2) . . . (x− vi) . . . (x− vn)

da cui f ′(vi) 6= 0 per ogni i = 1, . . . , n. contro l'ipotesi che f(x) e f ′(x) abbiano unfattore comune. �

De�nizione 4.3.3. Un polinomio irriducibile f(x) ∈ K[x] si dice separabile seè privo di radici multiple. Se non è separabile si dice inseparabile .

Esempio 4.3.4 ( Esempio di polinomio separabile). Il polinomio f(x) = x2−3 ∈Q[x] è irriducibile su Q perchè ha tutte le radici distinte che sono ±

√3.

Esempio 4.3.5 ( Esempio di polinomio inseparabile). Sia K = Z3(t) il campodelle funzioni razionali nell'indeterminata t. Il polinomio

f(x) = x3 − t ∈ Z3(t)[x]

è inseparabile ossia ha almeno una radice multipla.

Dimostrazione. Nel campo di spezzamento di f(x) consideriamo una sua ra-dice v: v3 − t = 0. Poichè si lavora in caratteristica 3, si ha

(x− v)3 = x3 − v3 = x3 − t = f(x).

Se u è un'altra radice di f(x) allora 0 = f(u) = u3 − t = u3 − v3 = (u − v)3 da cuiu = v, ossia tutte le radici sono uguali.

Dimostriamo in�ne che f(x) = x3− t è irriducibile su K = Z3(t). Se fosse riduci-bile, essendo un polinomio di terzo grado, avrebbe una radice in K ossia esisterebbeuna funzione razionale

α(t) =a0 + a1t+ · · ·+ art

r

b0 + b1t+ · · ·+ bsts, ai, bi ∈ Z3

tale che α3 = t, ma questo è assurdo. �

Teorema 4.3.6. Sia f(x) ∈ K[x] un polinomio irriducibile. Allora:

• Se car K = 0, f(x) è sempre separabile.• Se car K = p, f(x) è separabile se e solo se f(x) 6= a0 +a1px

p + . . .+anpxnp.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 64

Dimostrazione. Abbiamo già dimostrato che un polinomio f(x) = a0 + a1x+a2x

2 + · · ·+anxn è inseparabile (cioè ha almeno una radice multipla) se e solo se f(x)

e f ′(x) hanno un fattore comune di grado ≥ 1. Poichè f(x) è irriducibile e f ′(x) hagrado inferiore al grado di f(x), ne segue che un polinomio irriducibile è inseparabilese e solo se f ′(x) = 0, ossia

(1) iai = 0 ∀i = 1, . . . , n.

• Se car K = 0 queste relazioni implicano ai = 0 per ogni i = 1, . . . , n, ossiaf(x) si riduce ad una costante a0, che è priva di radici.• Se car K = p le (1) implicano che si devono annullare i coe�cienti ai taliche non sia i ≡ 0 (mod p). Quindi f(x) è un polinomio in cui restano solo imonomi corrispondenti alle potenze di xp. Viceversa, un polinomio di questotipo è e�ettivamente inseparabile, perchè la sua derivata è zero.

De�nizione 4.3.7. Sia K ⊂ F e sia v algebrico rispetto a K. Si dice che v è ele-mento separabile rispetto a K se è separabile il polinomio f(x) ∈ K[x], irriducibilein K[x] tale che f(v) = 0.

Si dice che F è un' estensione algebrica separabile del campo K se ogni v ∈ Fè elemento separabile rispetto a K.

Teorema 4.3.8 (Teorema dell'elemento primitivo). Sia K(α1, α2, . . . , αh) unampliamento del campo K con α1, α2, . . . , αh algebrici rispetto a K.

• Se car K = 0 allora esiste un elemento ν ∈ K(α1, α2, . . . , αh) tale cheK(α1, α2, . . . , αh) = K(ν).

• Se car K = p, K in�nito e α2, . . . , αh sono separabili, allora esiste unelemento ν ∈ K(α1, α2, . . . , αh) tale che K(α1, α2, . . . , αh) = K(ν).

• Se car K = p, K �nito allora esiste un elemento ν ∈ K(α1, α2, . . . , αh) taleche K(α1, α2, . . . , αh) = K(ν).

Dimostrazione. Sia carK = 0 oppure sia carK = p, K in�nito e α2, . . . , αhseparabili. La dimostrazione si conduce procedendo per induzione su h.

Proviamo il teorema per h = 2. Siano f(x), g(x) ∈ K[x] i polinomi minimi(irriducibili) rispettivamente di α1 e α2. Sia F un'estensione di K in cui entrambi ipolinomi ammettono tutte le radici, e, in F, siano

α1 = α1,1, α1,2, . . . , α1,n, α2 = α2,1, α2,2, . . . , α2,m

le radici distinte di f(x) e g(x) rispettivamente. Poichè f(x) e g(x) sono irriducibili,se carK = 0 risulta degf(x) = n e degg(x) = m perchè f(x) e g(x) sono separabili; se

Capitolo 4 Corpi e Campi. 65

invece carK = p si ha degf(x) ≥ n e degg(x) = m perchè per ipotesi α2 è separabilee pertanto g(x) non ha radici multiple. Per ogni i = 1, 2, . . . , n e ogni j = 2, . . . ,ml'equazione nell'incognita λ

α1,i + λα2,j = α1 + λα2

ammette una ed una sola soluzione in F data da

λ =α1,i − α1

α2 − α2,j

(ricordiamo che α2 = α2,1 6= α2,j, j ≥ 2).Poichè le equazioni sono in numero �nito mentre K ha in�niti elementi, siamo

certi di poter prendere in K un elemento γ che non soddis� nessuna delle equazioniprecedenti. Sia ν = α1 + γα2, proviamo che

K(α1, α2) = K(ν).

Per come è stato de�nito, è ovvio che ν ∈ K(α1, α2) e pertanto K(ν) ⊆ K(α1, α2).Proviamo ora che K(α1, α2) ⊆ K(ν), per fare questo basta provare che α2 ∈ K(ν)perchè in tal caso anche α1 = ν − γα2 ∈ K(ν). Da f(α1) = 0 segue f(ν − γα2) = 0ossia α2 è radice del polinomio

p(x) = f(ν − γx) ∈ K(ν)[x].

L'elemento α2 è radice sia di g(x) sia di p(x) e quindi, in una opportuna estensionedi K(ν), x − α2 è un fattore sia di g(x) sia di p(x) ossia x − α2 è un divisoredel MCD(g(x), p(x)). Anzi è il loro massimo comune divisore perchè g(x) e p(x)oltre ad α2 non hanno altre radici in comune, infatti se α2,j fosse radice di p(x) siavrebbe ν − γα2,j = α1,i ossia ν = α1,i + γα2,j e poichè ν = α1 + γα2, si ottieneα1 + γα2 = α1,i + γα2,j e quindi γ sarebbe soluzione di una delle equazioni

α1,i + λα2,j = α1 + λα2

contro l'ipotesi. Il massimo comune divisore di g(x) e p(x) non può nemmeno essere(x − α2)t con t > 1 perchè g(x) ha tutte radici semplici (ossia diverse). Rimanedunque provato che x− α2 = MCD(g(x), p(x)). Poichè g(x), p(x) ∈ K(ν)[x], anchex − α2 ∈ K(ν)[x] e quindi α2 ∈ K(ν) e da ν = α1 + γα2 segue α1 ∈ K(ν). Restacosì provato che K(α1, α2) ⊆ K(ν) e pertanto si conclude K(α1, α2) = K(ν). Perinduzione, se K(α1, . . . , αh−1) è un'estensione semplice, tale è ancheK(α1, . . . , αh). Infatti poichè, per ipotesi di induzione, K(α1, . . . , αh−1) è un'esten-sione semplice, esiste w ∈ K(α1, . . . , αh−1) tale che K(α1, . . . , αh−1) = K(w) e poichèil polinomio minimo irriducibile di αh ha tutte radici distinte, per quanto dimostratosopra esiste ν tale che K(α1, . . . , αh) = K(w, αh) = K(ν).

Capitolo 4 Corpi e Campi. 66

Sia ora carK = p, K �nito. Da K �nito segue che il campo K(α1, . . . , αh) è �nitoe quindi il suo gruppo moltiplicativo è ciclico (come verrà dimostrato nel paragrafo6), sia ν un suo generatore. Risulta allora K(α1, . . . , αh) = K(ν). �

Corollario 4.3.9. Ogni estensione �nita di un campo a caratteristica zero èun'estensione semplice.

Nota 4.3.10.

(1) Il solo caso in cui un'estensione �nita può non essere semplice è il caso diun'estensione �nita di un campo in�nito di caratteristica �nita.

(2) L'elemento ν del Teorema dell'elemento primitivo viene detto elementoprimitivo,

Esempio 4.3.11. Supponiamo di voler costruire l'estensione di Q tramite i nu-meri algebrici

√2 e

√3. Dapprima estendiamo Q tramite

√2 ottenendo il campo

Q(√

2) ={a0 + a1

√2 | ai ∈ Q

}e risulta [Q(

√2) : Q] = 2 perchè

√2 è algebrico di

grado 2 rispetto a Q essendo x2 − 2 ∈ Q[x] il polinomio minimo irriducibile di cui èradice. Ora estendiamo Q(

√2) con l'elemento

√3. Il polinomio x2 − 3 è irriducibile

non solo su Q ma anche su Q(√

2) e quindi l'estensione (Q(√

2))(√

3) = Q(√

2,√

3)ha grado 2 su Q(

√2) e risulta

Q(√

2,√

3) ={α+ β

√3 | α, β ∈ Q(

√2)}

={a+ b

√2 + c

√3 + d

√6 | a, b, c, d ∈ Q

}.

L'estensione Q(√

2,√

3) ha grado 4 su Q perchè

[Q(√

2,√

3) : Q] = [Q(√

2,√

3) : Q(√

2)] · [Q(√

2) : Q] = 2 · 2 = 4

Il numero√

2+√

3 è algebrico di grado 4 rispetto Q perchè radice del polinomio x4−10x2+1 irriducibile in Q[x] ed è elemento primitivo perchè Q(

√2,√

3) = Q(√

2+√

3)essendo

Q(√

2 +√

3) ={α + β(

√2 +√

3) + γ(√

2 +√

3)2 + δ(√

2 +√

3)3}

=

={a+ b

√2 + c

√3 + d

√6 | a, b, c, d ∈ Q

}.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 67

4. Campo di spezzamento di un polinomio.

De�nizione 4.4.1. Sia f(x) ∈ K[x] di grado n, si dice che un ampliamento Fdi K è campo di spezzamento (o di riducibilità completa) di f(x) ∈ K[x] seesistono v1, v2, . . . , vn ∈ F, non necessariamente distinti, tali che:

(1) f(x) = c(x− v1)(x− v2) · · · (x− vn), c ∈ K.(2) F = K(v1, v2, . . . , vn).

Considerato un campoK, la de�nizione data assicura che il campo di spezzamentodi f(x) ∈ K[x] è il più piccolo campo in cui f(x) si spezza in fattori lineari. In questoparagrafo dimostreremo l'esistenza di un campo di spezzamento per ogni f(x) ∈ K[x]e che questo campo è unico a meno di isomor�smi.

L'unicità del campo di spezzamento di un polinomio è un importante risultatodell'algebra ed autorizza a parlare del campo di spezzamento di un polinomio. Sifaccia inoltre attenzione che il campo di spezzamento è relativo al campo deicoe�cienti del polinomio, ad esempio• x2 + 1 ∈ R[x] ha campo di spezzamento R(i) = C = {a+ ib | a, b ∈ R; i2 = −1}.• x2 + 1 ∈ Q[x] ha campo di spezzamento Q(i) = {a+ ib | a, b ∈ Q; i2 = −1}.

Proposizione 4.4.2. Sia f(x) ∈ K[x] e sia F un ampliamento di K. Un elementov ∈ F è radice di f(x) se e solo se in F[x] il polinomio x− v divide f(x).

Dimostrazione. Se (x − v) | f(x) in F[x] allora esiste q(x) ∈ F[x] tale chef(x) = (x − v)q(x) e pertanto f(v) = 0 ossia v è radice di f(x). Viceversa, siaf(v) = 0; dividendo f(x) per (x − v), in F[x] si ha f(x) = (x − v)q(x) + c conq(x) ∈ F[x] e c ∈ F; da f(v) = 0 segue c = 0 e pertanto (x− v) | f(x) in F[x]. �

De�nizione 4.4.3. Sia φ un isomor�smo fra i campi K e K′. Considerati i campiF ⊃ K e F′ ⊃ K′, si dice che un isomor�smo ψ di F in F′ è un prolungamento di φse sugli elementi di K l'azione di ψ coincide con quella di φ.

Teorema 4.4.4. Sia f(x) ∈ K[x] irriducibile in K[x], degf(x) ≥ 1. Esiste unampliamento di K in cui f(x) ammette almeno una radice.

Dimostrazione. Sia f(x) = a0 + a1x + . . . + anxn ∈ K[x] irriducibile; sia

I =< f(x) >; essendo f(x) irriducibile l'ideale I è massimale e pertanto K[x]/I è uncampo che risulta ampliamento di K perchè contiene il sottocampo K = {r+ I | r ∈K} isomorfo a K. L'isomor�smo φ : K → K, φ(r) = r + I può essere prolungatoad un isomor�smo fra K[x] e K[z] ponendo φ(b0 + b1x + . . . + bnx

n) = φ(b0) +

Capitolo 4 Corpi e Campi. 68

φ(b1)z+ . . .+φ(bn)zn. Per provare la tesi basta dunque provare che φ(f(x)) ammetteuna radice nel campo K[x]/I. Si ha φ(f(x)) = φ(a0) + φ(a1)z + · · · + φ(an)xn =(a0+I)+(a1+I)z+. . .+(an+I)zn e x+I è una radice di questo polinomio, infatti si ha(a0+I)+(a1+I)(x+I)+. . .+(an+I)(x+I)n = (a0+I)+(a1x+I)+. . .+(anx

n+I) =a0 + a1x+ . . .+ anx

n + I = f(x) + I = I (che è lo zero del campo K[x]/I). �

φ : K → K = {r + I | r ∈ K}r 7→ r + I⋂|

⋂|

φ : K[x] → K[x]/I = {g(x) + I | g(x) ∈ K[x]}g(x) 7→ g(x) + I

Esempio 4.4.5. Consideriamo il polinomio f(x) = x2 − 3 ∈ Q[x] irriducibile inQ[x], sia I =< x2 − 3 >. Allora F = Q[x]/ < x2 − 3 > è un campo perchè x2 − 3è irriducibile ed è un ampliamento di Q che contiene una radice di x2 − 3. Infatticonsiderata l'applicazione

φ : Q[x] → F = Q[x]/If(x) 7→ f(x) + I

l'insieme Q = {a + I | a ∈ Q} è banalmente un campo isomorfo a Q e perciòQ ≈ Q ⊂ F. Inoltre F contiene una radice v di f(x), infatti posto v = x+ I si ha

v2 − 3 = (x+ I)2 − 3 = x2 + I − 3 = x2 − 3 + I = I

che è lo zero di F = Q[x]/I.

OsservazioneSia f(x) ∈ K[x], f(x) = c0 + c1x+ . . .+ cnx

n, cn 6= 0, irriducibile in K[x]. L'averdimostrato che esiste una radice v di f(x) permette di considerare il campo K(v) ={ao+a1v+. . .+an−1v

n−1 ai ∈ K}. L'applicazione φ : K[x]/ < f(x) >→ K(v) de�nitada φ(ao+a1x+. . .+an−1x

n−1+ < f(x) >) = ao+a1v+. . .+an−1vn−1 è un isomor�smo

fra i campi K[x]/ < f(x) > e K(v). Poichè f(v) = 0, in K(v) l'operazione prodottosi sempli�ca, infatti se α = ao+a1v+. . .+an−1v

n−1 e β = bo+b1v+. . .+bn−1vn−1 sono

elementi di K(v) allora considerati in K[v] gli elementi g(x) = ao+a1x+. . .+an−1xn−1

e h(x) = bo+b1x+ . . .+bn−1xn−1, si ha g(x)h(x) = f(x)q(x)+r(x) con deg r(x) < n.

Risulta αβ = g(v)h(v) = f(v)q(v) + r(v) = 0 · q(v) + r(v) = r(v) pertanto il calcolodi αβ si riduce perchè da f(v) = 0 si ha vn = −c−1

n (c0 + c1v + · · ·+ cn−1vn−1).

Esempio - Sia f(x) = x2 + x+ 1 ∈ Z5[x], f(x) è irriducibile e perciò, detta v una sua

radice, il campo Z5[x]<x2+x+1>

è isomorfo al campo Z5(v) = {a1 + a2v | a1, a2 ∈ Z}. InZ5(v) le operazioni sono

Capitolo 4 Corpi e Campi. 69

• (a1 + a2v) + (b1 + b2v) = (a1 + b1) + (a2 + b2)v• (a1 + a2v)(b1 + b2v) = (a1b1 + 4a2b2) + (a1b2 + a2b1 + 4a2b2)v perchè dav2 + v + 1 = 0 si ha v2 = 4v + 4.

Proposizione 4.4.6. Sia f(x) ∈ K[x] di grado n. Il numero delle radici di f(x)appartenenti ad un qualsiasi ampliamento F di K non può superare n.

Dimostrazione. Proviamo che se esistono n elementi distinti v1, . . . , vn ∈ F chesono radici di f(x) nessun altro elemento di F può essere radice di f(x). Essendo v1

una radice, si ha f(x) = (x−v1)f1(x) con f1(x) ∈ F[x]. Da f(v2) = 0 e da v2−v1 6= 0segue f1(v2) = 0 e quindi f1(x) = (x − v2)f2(x) con f2(x) ∈ F[x]. Così procedendo,si ottiene f(x) = (x− v1)(x− v2) . . . (x− vn)fn(x) con fn(x) ∈ F[x]. Poiché f(x) è digrado n il polinomio fn(x) è costante, anzi è fn(x) = an ∈ K essendo an il coe�cienteprincipale di f(x). Si ha così an 6= 0 e f(x) = an(x− v1)(x− v2) . . . (x− vn) inoltre,per ogni v ∈ F, v 6= v1, . . . , vn, è f(v) 6= 0. �

Teorema 4.4.7. Per ogni f(x) ∈ K[x] esiste un campo di spezzamento f(x).

Dimostrazione. Sia f(x) di grado n, scomponiamo f(x) nel prodotto di fattoriirriducibili in K[x] e sia p(x) uno di questi fattori. Per il teorema 4.4.4 esiste unampliamento diK nel quale p(x) ammette una radice v1, siaH1 = K(v1). Ovviamentev1 è radice anche di f(x) e in H1[x] si ha f(x) = (x − v1)g(x), con g(x) di gradon− 1. Se g(x) ha grado 0, l'unica radice di f(x) è v1 e H1 = K(v1) = K è il campodi spezzamento di f(x). Se deg g(x) ≥ 1, procedendo per g(x) come si è fatto perf(x) si ottiene il campo H2 = H1(v2) = K(v1, v2) in cui g(x) ammette la radice v2

(che potrebbe anche coincidere con v1) e in H2[x] si ha f(x) = (x− v1)(x− v2)h(x)con h(x) di grado n − 2. Così procedendo si costruisce il campo F = K(v1, . . . , vn)e si ha f(x) = (x − v1)(x − v2) . . . (x − vn)s(x) in F[x] con deg s(x) = 0 e pertantos(x) = c ∈ K perchè c è il coe�ciente principale di f(x) ∈ K[x]. Dunque F risultacampo di spezzamento di f(x) ∈ K[x]. �

I seguenti Teoremi permetteranno di a�ermare l'unicità del campo di spezzamentodel polinomio f(x) ∈ K[x].

Teorema 4.4.8. Un isomor�smo φ fra i campi K e K′ si può prolungare in unisomor�smo φ tra K[x] e K′[x]. Sia p(x) ∈ K[x] irriducibile in K[x] , siano u e vradici rispettivamente di p(x) e di φ(p(x)). Allora l'isomor�smo φ di K su K′ si puòprolungare in uno ed un sol modo in un isomor�smo ψ fra i campi K(u) e K′(v) inmodo tale che ψ(u) = v.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 70

Dimostrazione. De�niamo φ : K[x]→ K′[x] ponendo φ(a0+a1x+· · ·+amxm) =φ(a0) + φ(a1)x + · · · + φ(am)xm per ogni f(x) = a0 + a1x + · · · + amx

m ∈ K[x]. Èimmediato veri�care che φ è un isomor�smo, che φ(k) = φ(k) per ogni k ∈ K e chep(x) ∈ K[x] è irriducibile in K[x] se e solo se φ(p(x)) è irriducibile in K′[x]. Nelseguito, per sempli�care la scrittura, indicheremo con φ anche il suo prolungamentoφ. Sia ora p(x) ∈ K[x] di grado n; poiché p(x) è irriducibile in K[x] e p(u) = 0si ha K(u) = {a0 + a1u + . . . + an−1u

n−1 | ai ∈ K}. Il polinomio φ(p(x)) ∈ K′[x]risulta irriducibile in K′[x] e di grado n uguale al grado di p(x) e pertanto è K′(v) ={b0 + b1v + . . . + bn−1v

n−1 | bi ∈ K′}. Se esiste un isomor�smo ψ di K(u) in K′(v)che sia prolungamento dell'isomor�smo φ di K su K′ e tale che ψ(u) = v, ψ dovràessere così de�nito

ψ(a0 + a1u+ . . .+ an−1un−1) = φ(a0) + φ(a1)v + . . .+ φ(an−1)vn−1

e pertanto non potrà che essere unico. Proviamo che ψ è isomor�smo di K(u) suK′(v).

Si ha ψ(a0 + a1u+ . . .+ an−1un−1) = ψ(a′0 + a′1u+ . . .+ a′n−1u

n−1) da cui φ(a0) +φ(a1)v+. . .+φ(an−1)vn−1 = φ(a′0)+φ(a′1)v+. . .+φ(a′n−1)vn−1 e poiché v0, v1, . . . , vn−1

risultano linearmente indipendenti rispetto a K′ si ha φ(a0) = φ(a′0), φ(a1) = φ(a′1),. . ., φ(an−1) = φ(a′n−1) e quindi ai = a′i, i = 0, 1, . . . , n− 1. Rimane così provato cheψ è iniettiva. Inoltre ψ è banalmente suriettiva e dunque ψ è biettiva.

Consideriamo ora α, β ∈ K(u). Dalla de�nizione di ψ segue immediatamente cheψ(α+β) = ψ(α)+ψ(β). Se α = a0+a1u+. . .+an−1u

n−1, β = a′0+a′1u+. . .+a′n−1un−1,

g(x) = a0 + a1x+ . . .+ an−1xn−1, h(x) = a′0 + a′1x+ . . .+ a′n−1x

n−1, si ha:

(1) g(x)h(x) = p(x)q(x) + r(x) con r(x) = r0 + r1x + . . . + rn−1xn−1 ∈ K[x] e

φ(g(x))φ(h(x)) = φ(p(x))φ(q(x)) + φ(r(x)) e pertanto si ha(2) (φ(a0) + φ(a1)x+ . . .+ φ(an−1)xn−1)(φ(a′0) + φ(a′1)x+ . . .+ φ(a′n−1)xn−1) =

φ(p(x))φ(q(x)) + φ(r0) + φ(r1)x+ . . .+ φ(rn−1)xn−1.Se in (1) si sostituisce u al posto di x, ricordando che p(u) = 0, si ottieneg(u)h(u) = r(u) ossia αβ = r0 + r1u+ . . .+ rn−1u

n−1 e pertanto(3) ψ(αβ) = φ(r0) + φ(r1)v + . . . + φ(rn−1)vn−1 e sostituendo v al posto di

x in (2) si ottiene (φ(a0) + φ(a1)v + . . . + φ(an−1)vn−1)(φ(a′0) + φ(a′1)v +. . .+ φ(a′n−1)vn−1) = φ(r0) + φ(r1)v+ . . .+ φ(rn−1)vn−1, essendo v radice diφ(p(x)).Segue che

(4) ψ(α)ψ(β) = φ(r0) + φ(r1)v + . . .+ φ(rn−1)vn−1.

Dal confronto di (3) e (4) segue ψ(αβ) = ψ(α)ψ(β). Rimane così provato che ψ è unisomor�smo di K(u) in K′(v) che trasforma u in v. �

Il seguente Teorema generalizza il risultato precedente.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 71

Teorema 4.4.9. Sia φ un isomor�smo fra i campi K e K′ prolungato nell'iso-mor�smo φ di K[x] su K′[x] ponendo φ(a0 + a1x + . . . + amx

m) = φ(a0) + φ(a1)x +. . .+ φ(am)xm. Sia f(x) ∈ K[x], f ′(x) = φ(f(x)) e siano F,F′ campi di spezzamentorispettivamente di f(x) e di f ′(x). Allora l'isomor�smo φ si può prolungare in unisomor�smo ψ di F su F′ in modo che le radici v1, . . . , vn di f(x) si mutino in uncerto ordine nelle radici v′1, . . . , v

′n di f ′(x).

Dimostrazione. Si ha F = K(v1, . . . , vn) e F′ = K′(v′1, . . . , v′n). Sia p(x) unfattore irriducibile di f(x) ∈ K[x] e sia p′(x) = φ(p(x)) il corrispondente fattoreirriducibile di f ′(x) ∈ K′[x]. A meno dell'ordine, possiamo supporre v1 radice di p(x)e v′ radice di p′(x); per il teorema precedente, esiste un isomor�smo φ1 di K(v1) suK′(v′1) che è prolungamento di φ e che trasforma v1 su v′1. Osserviamo che K(v1) puòcontenere altre radici di f(x) oltre v1; in particolare, tutte le radici di f(x) potrebberostare in K(v1); in tal caso K′(v′1) conterrebbe tutte le radici di f ′(x) e queste radicirisulterebbero tutte immagini delle radici di f(x) e pertanto il teorema è provato. Seinvece esiste vi 6∈ K(v1), sia q(x) ∈ K[x] un fattore di f(x), irriducibile in K[x], aventevi come radice (potrebbe essere p(x) = q(x)). Sia q′(x) = φ(q(x)) e sia (a meno di unriordinamento delle radici v′1, v

′2, . . ., v

′n) v

′i una radice di q

′(x). Sempre per il teoremaprecedente, l'isomor�smo φ1 di K(v1) su K′(v′1) si può prolungare in un isomor�smoφ2 di K(v1, vi) su K′(v′1, v′i) tale che φ(vi) = v′i. Così procedendo, alla �ne (al piùdopo n passi) troveremo un isomor�smo ψ di K(v1, v2, . . . , vn) in K′(v′1, v′2, . . . , v′n)che trasforma (a meno dell'ordine) le radici vi nelle v′i e che è prolungamento di φ. �

Teorema 4.4.10. Sia f(x) ∈ K[x]. Se F ed F′ sono campi di spezzamento dif(x) allora F ed F′ sono isomor� in un isomor�smo che �ssa K.

Dimostrazione. Il teorema segue come caso particolare del Teorema precedenteconsiderando K = K′ e φ =identità. �

Corollario 4.4.11. Sia K un campo, per ogni f(x) ∈ K[x] esiste uno ed un solocampo di spezzamento di f(x), a meno di isomor�smi.

L'unicità del campo di spezzamento di un polinomio è un risultato fondamentaledell'algebra ed autorizza a parlare del campo di spezzamento di un polinomio.

Esempi

(1) x2 + 1 ∈ R[x] ha come campo di spezzamento il campo C.(2) x2 + 1 ∈ Q[x] ha come campo di spezzamento Q(i) = {a+ ib | a, b ∈ Q}.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 72

Campo di spezzamento di xn − 1 ∈ Q[x]

Il campo di spezzamento del polinomio xn − 1 ∈ Q[x], n ∈ N∗, è Q(ξ) dove ξ èuna qualunque radice n-esima primitiva dell'unità. Inoltre [Q(ξ) : Q] = ϕ(n) conϕ(n) funzione di Eulero di n.

Dimostrazione. Nel campo dei numeri complessi il polinomio xn − 1 ha nradici distinte ottenute tutte come potenza di una radice n-esima primitiva dell'unità.Per ottenere il campo di spezzamento di xn − 1 basta pertanto aggiungere a Quna qualunque radice primitiva n-esima dell'unità. Se ξ è una tale radice, risulta[Q(ξ) : Q] = ϕ(n) perchè il polinomio minimo di ξ è l'n-esimo polinomio ciclotomicoΦn(x) che è irriducibile su Q e ha grado ϕ(n) (funzione di Eulero). �

NOTA - Il grado del campo di spezzamento del polinomio xn − 1 determina se ilpoligono regolare di n lati è, oppure no, costruibile con ”riga e compasso”.

5. Formule di Viète.

L'esistenza del campo di spezzamento di un polinomio a coe�cienti in un campopermette anche di trovare le Formule di Viète. Sia K un campo e sia f(x) ∈ K[x]il polinomio monico f(x) = xn + a1x

n−1 + · · · + an−1x + an. Se F è il campo dispezzamento di f(x), siano v1, v2, . . . , vn ∈ F le radici (non necessariamente distinte)di f(x). In F[x] si ha f(x) = (x − v1)(x − v2) · · · · · (x − vn), dopo aver eseguito icalcoli al secondo membro, confrontando i coe�cienti del polinomio f(x) con quellidel polinomio (x − v1)(x − v2) · · · · · (x − vn) si ottengono le seguenti relazioni cheesprimono i coe�cienti a1, a2, . . . , an in funzione delle radici v1, v2, . . . , vn .

a1 = −(v1 + v2 + · · ·+ vn) = −∑n

1 via2 = v1v2 + v1v3 + · · ·+ v1vn + v2v3 + v2v4 + · · ·+ vn−1vn =

∑1≤i<j≤n vivj

a3 = −(v1v2v3 + v1v2v4 + · · ·+ vn−2vn−1vn) = −∑

1≤i<j<k≤n vivjvk. . .

an−1 = (−1)n−1(v1v2 . . . vn−1 + v1v2 . . . vn−2vn + · · ·+ v2v3 . . . vn),

an = (−1)nv1v2 . . . vn.

Queste relazioni prendono il nome di Formule di Viète, esprimono i coe�cienti diun polinomio monico in una indeterminata a coe�cienti in un campo, come funzionisimmetriche elementari delle radici del polinomio. Sono funzioni simmetriche perchèrimangono le stesse anche se si opera una qualunque permutazione sulle radici.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 73

Esempi 4.5.1.

(1) Se f(x) = x2 + a1x+ a2, indicate con v1 e v2 le radici del polinomio, si haa1 = −(v1 + v2), a2 = v1v2

(2) Se f(x) = x3 +a1x2 +a2x+a3, indicate con v1, v2, v3 le radici del polinomio,

si haa1 = −(v1 + v2 + v3), a2 = v1v2 + v1v3 + v2v3, a3 = −v1v2v3

(3) Se f(x) = x4 + a1x3 + a2x

2 + a3x+ a4, indicate con v1, v2, v3, v4 le radici delpolinomio, si ha

a1 = −(v1 + v2 + v3 + v4),a2 = v1v2 + v1v3 + v1v4 + v2v3 + v2v4 + v3v4,a3 = −(v1v2v3 + v1v2v4 + v1v3v4 + v2v3v4), a4 = v1v2v3v4

6. Campi �niti.

In questo paragrafo esamineremo la struttura dei campi con un numero �nito dielementi. In particolare dimostreremo che:

(1) Ogni campo �nito ha pn elementi, p numero primo e n intero positivo.(2) Due campi �niti con lo stesso numero pn di elementi sono isomor�.(3) Presi comunque un numero primo p e un intero positivo n esiste un campo

con pn elementi.

Elenchiamo dapprima alcune proprietà dei campi �niti già dimostrate in prece-denza.

(1) Ogni campo �nito K ha caratteristica p con p numero primo.(2) Se K è un campo �nito di ordine q, per ogni a ∈ K si ha aq = a.

Infatti il gruppo moltiplicativo (K∗, ·) del campo K ha ordine q−1 e pertantoil periodo h dell'elemento a divide q − 1, sia hm = q − 1. Indicato con 1l'elemento neutro di (K∗, ·), si ha aq−1 = (ah)m = 1m = 1, aq−1 = 1, aq = a .

(3) Se la caratteristica di K è p, si ha (a ± b)pt = apt ± bpt per ogni a, b ∈ K e

per ogni intero non negativo t.Infatti i coe�cienti binomiali dei termini misti che si ottengono sviluppandola potenza (a± b)pt sono tutti multipli di p.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 74

(4) Se la caratteristica del campo K è p, indicato con 1 l'elemento neutro di(K∗, ·), l'insieme K = {n · 1 | 0 ≤ n ≤ p− 1} è un sottocampo di K, anzi èil sottocampo minimo (o fondamentale) di K perchè ogni altro sottocampodi K deve contenere l'elemento 1 e quindi deve contenere tutti i multipli di1. Inoltre la corrispondenza φ : Zp → K de�nita da φ([a]) = a · 1 per ogni acon 0 ≤ a ≤ p − 1 è un isomor�smo e perciò si può dire che ogni campo Kdi caratteristica p contiene Zp come sottocampo, a meno di isomor�smi.

Proposizione 4.6.1. Sia K un campo �nito. Si ha |K| = pn dove p è lacaratteristica di K ed n un intero positivo.

Dimostrazione. Poichè K è �nito si ha carK = p, con p numero primo e per-tanto K è estensione del suo sottocampo minimo Zp. Il campo K è perciò uno spaziovettoriale di dimensione �nita n su Zp e pertanto ha pn elementi. �

Teorema 4.6.2. Per ogni numero primo p e ogni intero positivo n esiste unoed un solo campo F avente pn elementi.

Dimostrazione. Consideriamo il polinomio f(x) = xpn − x ∈ Zp[x] e sia F il

suo campo di spezzamento. Il polinomio f(x) = xpn − x è separabile perchè il suo

derivato è f′(x) = −1 e quindi nessuna radice di f(x) = xp

n − x è multipla. Perciòin F esistono pn radici distinte di xp

n−x, sia H il loro insieme. H è sottocampo di F,infatti se α, β ∈ H si ha αp

n= α e βp

n= β e quindi (α−β)p

n= αp

n−βpn = α−β ∈ H;inoltre se α, β ∈ H, β 6= 0, si ha (αβ−1)p

n= αp

n(βp

n)−1 = αβ−1 e dunque αβ−1 ∈ H.

Poichè il campo di spezzamento di xpn − x ∈ Zp[x] è il più piccolo ampliamento di

Zp che contiene tutte le radici di xpn − x, si ha H = F e pertanto |F| = pn. Rimane

così provata l'esistenza di un campo con pn elementi.Proviamo ora la sua unicità a meno di isomor�smi. Sia K un campo con pn

elementi; a meno di isomor�smi si ha Zp ⊆ K. Il gruppo moltiplicativo K∗ ha pn − 1elementi e, per il teorema di Lagrange, per ogni x ∈ K∗ si ha xpn−1 = 1 e pertantoogni x ∈ K∗ è radice di xpn − x ∈ Zp[x]. Allora gli elementi di K sono esattamentele radici di f(x) = xp

n − x ∈ Zp[x]. Per l'unicità del campo di spezzamento di unpolinomio, si conclude che K è isomorfo a F. �

De�nizione 4.6.3. Per ogni numero primo p e ogni intero positivo n, l'unicocampo avente pn elementi si chiama campo di Galois di ordine pn e si indica conGF (pn).

Capitolo 4 Corpi e Campi. 75

Per studiare la struttura di un campo �nito, dimostriamo una proprietà fonda-mentale del suo gruppo moltiplicativo.

Teorema 4.6.4. Il gruppo moltiplicativo del campo K = GF (pn) è ciclico.

Dimostrazione. Sia K = GF (pn); si ha |K∗| = pn − 1 e gli elementi di (K∗, ·)sono tutte e sole le radici del polinomio f(x) = xp

n−1 − 1 ∈ Zp[x]. Sia m = pn − 1 esia m = qr11 q

r22 · · · · · qrtt la sua fattorizzazione. Per ogni intero primo qi, i = 1, . . . t,

sia mi = mqie consideriamo il polinomio fi(x) = xmi − 1 ∈ Zp[x]; poichè mi|m si ha

che fi(x)|f(x), anzi è un divisore proprio perchè ha grado strettamente inferiore epertanto ogni radice di fi(x) è radice anche di f(x). Poichè f(x) ha grado maggiore difi(x) ed ha tutte radici distinte, esiste yi ∈ K∗ tale che f(yi) = 0 ma fi(yi) 6= 0, (ossia

yi è radice di f(x) ma non di fi(x)) dunque ymi = 1, ymii 6= 1. Sia zi = y

m

qriii , zi ∈ K∗,

e dimostriamo che zi ha periodo qrii .Poichè (zi)

qrii = ymi = 1, occorre dimostrare che per ogni divisore d di qrii si ha

(zi)d 6= 1. I divisori propri di qrii sono:1, qi, q2

i , . . . , qri−1i ossia sono potenze di qi e

quindi se il periodo di zi è uno di questi valori, tale numero è anche divisore di qri−1i

e pertanto risulta

(zi)qri−1i = 1

ma si ha

(zi)qri−1i = [(yi)

m

qrii ]q

ri−1i = (yi)

mqi = ymi

i 6= 1

e dunque zi ha periodo qrii .Per ogni i = 1, . . . t consideriamo zi e il loro prodotto z = z1z2 · · · · · zt. Gli

elementi zi commutano perchè elementi di un gruppo commutativo e i loro periodisono a due a due primi fra loro, allora z ha periodo il prodotto dei periodi, ossia haperiodo qr11 q

r22 · · · · · qrtt = m e pertanto z genera (K∗, ·). Rimane così dimostrato che

il gruppo (K∗, ·) è ciclico. �

Si osservi che l'ipotesi di �nitezza del campo è indispensabile, infatti il teoremanon vale nel caso di campi in�niti. Ad esempio il gruppo moltiplicativo del campo Rdei numeri reali non è ciclico perchè se fosse ciclico dovrebbe essere isomorfo a (Z,+)e ciò non può essere perchè in (R∗, ·) c'è un elemento di periodo due, il numero −1,mentre in (Z,+) nessun elemento ha periodo due.

Proposizione 4.6.5. Il gruppo degli automor�smi di GF (pn) è ciclico di ordinen. Un suo generatore è l'automor�smo x −→ xp (automor�smo di Frobenius).

Capitolo 4 Corpi e Campi. 76

Dimostrazione. Sia K = GF (pn); K è ampliamento di grado n di Zp e K =Zp(u) essendo u un generatore del gruppo ciclico (K∗, ·). Dunque esiste in Zp[x]un polinomio di grado n, irriducibile in Zp[x], avente u come radice, sia f(x) =a0+a1x+. . .+anx

n. Se φ è un automor�smo del campo K, φ è l'dentità sugli elementidi Zp e pertanto da a0 + a1u+ . . .+ anu

n = 0 segue a0 + a1φ(u) + . . .+ anφ(u)n = 0ossia φ(u) è ancora una radice di f(x).

Poichè u genera K∗, ogni automor�smo φ di K risulta determinato quando è notoφ(u); d'altra parte le radici distinte di f(x) sono al più n e quindi φ(u) può esseredeterminato in al più n modi. Dunque esistono al più n automor�smi di GF (pn).

Sia σ : GF (pn) −→ GF (pn), σ(x) = xp. Si ha σ applicazione iniettiva; infattixp = yp implica (x − y)p = 0 da cui x = y. Essendo iniettiva fra insiemi �niti, σ ènecessariamente suriettiva e perciò biettiva. Inoltre σ(x+ y) = (x+ y)p = xp + yp == σ(x) + σ(y) e σ(xy) = (xy)p = xpyp = σ(x)σ(y). Pertanto σ è automor�smo diGF (pn) e tali sono anche σ2, σ3,. . . , σn = 1K.

Questi automor�mi sono certamente distinti perchè se fosse σi = σj con i 6= j,allora avremmo σi(a) = ap

i= σj(a) = ap

j, per ogni a ∈ GF (pn), da cui ap

i−apj = 0,per ogni a ∈ GF (pn). Senza perdere in generalità supponiamo sia i > j, otteniamo:ap

j(ap

i−pj −1) = 0 da cui api−pj −1 = 0 per ogni a ∈ GF (pn)∗, ma allora il polinomio

xpi−pj − 1 avrebbe pn − 1 radici distinte e ciò è assurdo perchè xp

i−pj − 1 ha gradostrettamente minore di pn − 1. �

7. Teorema di Wedderburn.

Nel 1905 il matematico scozzese Joseph Henry Maclagan Wedderburn (1882-1948)dimostrò e pubblicò per la prima volta che ogni corpo �nito è un campo ossia nonesistono corpi �niti non commutativi (A theorem of �nite algebras, Trans. Amer.Math. Soc.,pp. 349-352,1905). Questo teorema, nel tempo, ha avuto più dimo-strazioni (lo stesso Wedderburn ne ha pubblicate tre). Nel 1905 anche LeonardE.Dickson, collega di Wedderburn, pubblicò una dimostrazione del teorema ma rico-nobbe a Wedderburn la priorità della scoperta. Nel 1983 Karen Parshall sostenne chela prima dimostrazione di Wedderburn conteneva un errore che non compare nelladimostrazione di Dickson (On �nite algebras, Nachrichten der Akad. WissenschaftenGottingen Math. Phis. Klasse) e nemmeno nelle due successive dimostrazioni cheWedderburn pubblicò dopo aver letto la dimostrazione di Dickson.

Questo teorema è un importante risultato che si trova in molteplici contesti perle sue applicazioni. Fornisce un notevole esempio di come un problema di geometriasi può ridurre ad un problema algebrico. Ad esempio, poichè ogni piano proiettivo

Capitolo 4 Corpi e Campi. 77

desarguesiano è associato ad una struttura algebrica di corpo mentre ogni pianoproiettivo pappiano è associato ad una struttura algebrica di campo, il Teorema diWedderburn assicura che in un piano proiettivo �nito la con�gurazione di Desarguesimplica la con�gurazione di Pappo; dunque ogni piano desarguesiano �nito è unpiano pappiano.

La dimostrazione del teorema qui presentata rispecchia quella di Wedderburn solonella prima parte. Dapprima dimostriamo la seguente proprietà che verrà utilizzatanel corso della dimostrazione del teorema.

Proposizione 4.7.1. Siano m,n ∈ N∗,m < n. Se (qm − 1)|(qn − 1) allora m|n.

Dimostrazione. Da (qm − 1)|(qn − 1), poichè ovviamente (qm − 1)|(qm − 1) ,segue (qm−1)|[(qn−1)−(qm−1)] ossia (qm−1)|(qn−qm). Posto n = hm+r, 0 ≤ r <m si ha (qm−1)|qm(q(h−1)m+r−1) e pochè (qm−1) - qm si ha (qm−1)|(q(h−1)m+r−1).Ripetendo il procedimento h volte si ottiene (qm − 1)|(qr − 1) con 0 ≤ r < m epertanto, per non avere un assurdo deve essere r = 0 da cui n = hm ossia m|n. �

Ricordiamo inoltre che (vedi Capitolo 2):

(1) Nel campo (C,+, ·) dei complessi, le radici n-esime dell'unità sono i numeriξn,k = cos 2πk

n+ i sin 2πk

n, k = 1, 2, . . . , n, e pertanto xn− 1 =

∏nk=1(x− ξn,k).

Le radici di xn − 1 costituiscono un sottogruppo ciclico del gruppo (C∗, ·),questo sottogruppo è generato da una radice primitiva n-esima dell'unità.Le radici primitive sono esattamente i numeri complessi ξn,k con k ed n primifra loro dovendo avere periodo n per poter generare tutte le altre radici.

(2) Per ogni t ∈ N∗ il polinomio ciclotomico t-esimo è:Φt(x) =

∏m(x − ξt,m) dove il prodotto è esteso a tutti gli interi m ∈

{1, 2, . . . , t} primi con t. Dunque le radici del polinomio Φt(x) sono esatta-mente le radici primitive t-esime dell'unità e pertanto Φt(x) è un polinomiomonico di grado ϕ(t) con ϕ(t) funzione di Eulero, inoltre sappiamo cheΦt(x) ∈ Z[x].

(3) Per ogni n ∈ N∗ risultaxn − 1 =

∏t|n Φt(x) =

∏k|t Φk(x)

∏k-tk|n

Φk(x) = (xt − 1)∏

k-tk|n

Φk(x) =

= (xt − 1)Φn(x)∏

k-tk|nk 6=n

Φk(x).

Teorema 4.7.2 (Teorema di Wedderburn). Ogni corpo �nito è un campo.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 78

Dimostrazione. Sia (K,+, ·) un corpo �nito e sia Z(K) = {k ∈ K | kx =xk, ∀x ∈ K} il centro di (K∗, ·). È immediato veri�care che Z(K) è un sottocampodi K e pertanto K è spazio vettoriale di dimensione �nita su Z(K); se n è taledimensione e se |Z(K)| = q si ha |K| = qn. Vogliamo provare che è n = 1 e quindiK = Z(K) e dunque K commutativo.

Sia a ∈ K∗ e sia C(a) = {x ∈ K | xa = ax} il suo centralizzante; si veri�ca subitoche C(a) è un sottocampo di K e Z(K) ⊂ C(a); quindi C(a) è spazio vettorialedi dimensione �nita su Z(K) e pertanto |C(a)| = qn(a), con n(a) intero positivodipendente da a. Il gruppo moltiplicativo (C(a)∗, ·) è un sottogruppo del gruppomoltiplicativo (K∗, ·) e pertanto per il teorema di Lagrange(qn(a) − 1) | (qn − 1) da cui segue n(a) | n.Consideriamo il gruppo (K∗, ·), dalla teoria dei gruppi sappiamo che:

• il numero degli elementi di K∗ coniugati ad un suo elemento a è ugualeall'indice di (C(a)∗, ·) in (K∗, ·) ossia è qn−1

qn(a)−1;

• la relazione di coniugo è una relazione di equivalenza in K∗;• una classe di equivalenza è costituita da un solo elemento se e solo se questoelemento è nel centro di K∗, ossia se a ∈ Z(K∗) allora n = n(a);• ogni altra classe di equivalenza, ossia la classe di a 6∈ Z(K∗), ha qn−1

qn(a)−1

elementi (con n 6= n(a));• l'equazione delle classi è

qn − 1 = (q − 1) +∑

n(a)6=nn(a)|n

qn−1qn(a)−1

(1)

dove la somma è estesa agli elementi a 6∈ Z(K∗), uno per ogni classe diconiugio.

Proviamo che se è n > 1 nessuna uguaglianza del tipo (1) può essere vera in Z epertanto è n = 1 ossia Z(K∗) = K∗ da cui Z(K) = K. Per fare questo cerchiamoun intero che divide qn−1

qn(a)−1ma non divide (q − 1), per ogni divisore n(a) di n con

n(a) 6= n. Utilizzeremo i polinomi ciclotomici che sappiamo essere tutti monici e acoe�cienti interi. Sappiamo che xn − 1 = Φn(x)

∏t|nt6=n

Φt(x) e poichè∏

t|nt6=n

Φt(x) =∏k|t Φk(x)

∏h|nh6=nh-t

Φh(x) = (xt − 1)f(x) con f(x) polinomio monico di Z[x], si ha

xn − 1 = Φn(x)(xt − 1)f(x)

xn − 1

Φn(x)(xt − 1)∈ Z[x] con t | n; t 6= n (2)

.Dunque per ogni z ∈ Z, Φn(z) è un intero che divide zn−1

zt−1; in particolare, per

ogni n(a) | n, n(a) 6= n, si ha che Φn(q) divide qn−1qn(a)−1

. D'altra parte Φn(q) divide

Capitolo 4 Corpi e Campi. 79

anche qn− 1 e pertanto dalla (1) segue che Φn(q) dovrebbe dividere anche q− 1 e inparticolare dovrebbe essere |Φn(q)| ≤ q − 1.

Ma proviamo ora che per n > 1 si ha |Φn(q)| > q − 1 e quindi per n > 1 la (1)non può sussistere. Detto P l'insieme delle radici primitive n-esime dell'unità si haΦn(x) =

∏ξ∈P (x− ξ). Sia ξ = a+ bi una radice primitiva n-esima dell'unità, allora

a2 + b2 = 1 da cui a2 ≤ 1. Se è n = 2 l'unica radice primitiva n-esima dell'unità è−1 e dunque Φ2(x) = x + 1 cioè |Φ2(q)| = q + 1 > q − 1. Se è n > 2 si ha a2 < 1(infatti se fosse a2 = 1 sarebbe ξ = −1 ma −1 non è una radice primitiva quandoè n > 2). Pertanto è |q − ξ| = |q − (a + bi)| =

√(q − a)2 + b2 > q − 1 (infatti se

fosse√

(q − a)2 + b2 ≤ q − 1 allora a ≥ 1, mentre è a2 < 1 essendo a2 + b2 = 1) e diconseguenza |Φn(q)| > q − 1.

Deve quindi necessariamente essere n = 1 e questo prova il teorema. �

8. Il corpo dei quaternioni reali di Hamilton

Con questo esempio si vuole evidenziare che nell'enunciato del Teorema di Wed-derburn l'ipotesi di �nitezza è necessaria, infatti esistono corpi in�niti non commu-tativi. Il corpo dei quaternioni reali di Hamilton è così de�nito

H = {a1 + a2i + a3j + a4k | a1, a2, a3, a4 ∈ R; i2 = j2 = k2 = ijk = −1} e conij = k, jk = i, ki = j

Si prova facilmente che H è un corpo; in particolare se α = a1 + a2i+ a3j + a4kcon α 6= 0, si ha α−1 = a1

r− a2

ri − a3

rj − a4

rk con r = a2

1 + a22 + a2

3 + a24. L'elemento

α = a1 − a2i− a3j − a4k è detto coniugato di α e pertanto per ogni α ∈ H,α 6= 0,risulta

α−1 =α

r=

α

a21 + a2

2 + a23 + a2

4

.

Il corpo H è non commutativo perchè, per esempio, ij = k 6= ji = −k. Si osserviche il gruppo moltiplicativo (H∗, ·) del corpo ha come sottogruppo il gruppo deiquaternioni Q = {1,−1, i,−i, j,−j, k,−k}.

Poichè H ≈ R × R × R × R, il corpo dei quaternioni si può de�nire a partiredalle quaterne di numeri reali e da tre unità immaginarie i, j, k (i2 = j2 = k2 = −1), così come il campo dei numeri complessi si de�nisce a partire da R×R e dall'unitàimmaginaria i2 = −1.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 80

Nota 4.8.1. Nel campo R dei numeri reali, una equazione di grado n ammette inR al più n soluzioni; questo fatto avviene perchè R è commutativo. Se consideriamoil polinomio x2 +1 ∈ H[x], l'equazione x2 +1 = 0 ammette in H almeno sei soluzioni:±i,±j,±k.

9. Esercizi

Esercizio 4.9.1.Sia α = 2 −

√3. Calcolare il polinomio minimo di α su Q e calcolare il grado di

[Q(α) : Q].Soluzione - Si ha α2 = 7 − 4

√3, α2 − 4α + 1 = 0 allora f(x) = x2 − 4x + 1 è il

polinomio minimo di α su Q (essendo f(x) irriducibile su Q). Si ha [Q(α) : Q] = 2.

Esercizio 4.9.2.Provare che Q(

√2)(√

7) = Q(√

2 +√

7). Calcolare il polinomio minimo di√

2 +√

7.Calcolare [Q(

√2 +√

7) : Q].Soluzione - Si ha Q(

√2) = {a1 + a2

√2 | a1, a2 ∈ Q} e pertanto si ha

Q(√

2)(√

7) = {r1 + r2

√7 | r1, r2 ∈ Q(

√2)} =

= {q1 + q2

√2 + q3

√7 + q4

√14 | q1, q2, q3, q4 ∈ Q}.

Sia α =√

2 +√

7 e calcoliamo il suo polinomio minimo: poichè α4 − 18α2 + 25 = 0il polinomio cercato è x4 − 18x2 + 25 e pertanto si ha

Q(α) = {a+ bα + cα2 + dα3 | a, b, c, d ∈ Q} =

= {q1 + q2

√2 + q3

√7 + q4

√14 | q1, q2, q3, q4 ∈ Q}.

Si conclude Q(√

2)(√

7) = Q(√

2 +√

7) e che [Q(√

2 +√

7) : Q] = 4.

Esercizio 4.9.3.Sia α =

√5−√

5

(1) Provare che α è algebrico su Q.(2) Determinare il polinomio minimo f(x) di α su Q e il grado di α su Q.(3) Scrivere 1

α2 come combinazione lineare di α e delle sue potenze.(4) Dire se Q(α) è il campo di spezzamento di f(x) su Q.

Soluzione -

Capitolo 4 Corpi e Campi. 81

(1) Poichè α2 = 5−√

5 e α4 = 30− 10√

5, si ha α4 − 10α2 + 20 = 0 e pertantoil polinomio f(x) = x4 − 10x2 + 20 ammette α come radice e perciò α èalgebrico su Q.

(2) Il polinomio f(x) = x4 − 10x2 + 20 è irriducibile in Q[x] per il criteriodi Eisenstein con p = 5 e perciò f(x) è il polinomio minimo di α su Q e[Q(α) : Q] = 4.

(3) Per quanto dimostrato nel punto precedente si ha che 1, α, α2, α3 è una basedi Q(α) su Q. Per l'isomor�smo Q(α)→ Q[x]

<f(x)>basta determinare l'inverso

di x2+ < f(x) > in Q[x]<f(x)>

. Essendo x2(x2 − 10) ≡ −20 mod < f(x) >,

l'inverso di x2+ < f(x) > è (10−x2)20

+ < f(x) > e quindi 1α2 = 10−α2

20.

(4) Le radici di f(x) sono ±√

5±√

5 e perciò Q(α) è campo di spezzamento di

f(x) perchè contiene tutte le radici. Infatti ±√

5−√

5 = ±α ∈ Q(α), ma

anche ±√

5 +√

5 ∈ Q(α) perchè√

5 +√

5 =√

20√5−√

5e√

20 = 2√

5,√

5 =

5−α2 e pertanto√

20,√

5 ∈ Q(α). Inoltre 1√5−√

5∈ Q(α) perchè α ∈ Q(α)

e Q(α) è un campo.

Esercizio 4.9.4.Sia α = 3

√2 + 3√

4.

(1) Provare che Q(α) = Q( 3√

2).(2) Dedurne il grado di α su Q.(3) Calcolare il polinomio minimo di α su Q.

Soluzione -(1) Poichè 3

√4 = ( 3

√2)2, si ha α = 3

√2 + ( 3

√2)2 ∈ Q( 3

√2) e dunque Q(α) =

Q( 3√

2).(2) Q( 3

√2) è ampliamento di Q tramite 3

√2 che ha grado 3 su Q perchè radice

del polinomio irriducibile x3 − 2 ∈ Q[x] e pertanto [Q( 3√

2) : Q] = 3. Poichè[Q(α) : Q] 6= 1 e [Q( 3

√2) : Q] = 3, ricordando che [Q( 3

√2) : Q(α)][Q(α) :

Q] = [Q( 3√

2) : Q], rimane provato che [Q(α) : Q] = 3.(3) Poichè α3 = 6α + 6, il polinomio f(x) = x3 − 6x− 6 è il polinomio minimo

di α su Q.

Esercizio 4.9.5.Dimostrare che un campo �nito non è algebricamente chiuso.Soluzione - Sia K un campo �nito di ordine q; per ogni k ∈ K è kq − k = 0 epertanto il polinomio f(x) = xq − x+ 1 ∈ K[x] non ha radici in K.

Capitolo 4 Corpi e Campi. 82

Esercizio 4.9.6.Sia F il campo di riducibilità completa del polinomio x2 + 1 ∈ Z3[x]. Si dimostri cheil polinomio f(x) = x9 − x si decompone in F[x] in prodotto di polinomi di primogrado.Soluzione - Si ha F = {a + bα | a, b ∈ Z3} con α2 + 1 = 0. Inoltre x9 − x ∈ F[x] ex9 − x = x(x+ 1)(x− 1)(x2 + 1)(x2 + x− 1)(x2 − x− 1) e ogni fattore ha radici inF, infatti i primi tre fattori hanno radici rispettivamente 0, 1,−1 mentre x2 + 1 haradici ±α, x2 + x − 1 ha radici α + 1, 1 − α, x2 − x − 1 ha radici −α − 1, α − 1 dacui la tesi.

Si noti che f(x) non si decompone in fattori di primo grado in Z3[x].

CAPITOLO 5

Elementi di Teoria di Galois.

Con questo breve capitolo si vuole mettere in evidenza come lo studio dei campie delle loro estensioni sia basilare per la Teoria di Galois. Gli attori principali diquesta teoria sono infatti i gruppi, i campi e le loro estensioni, gli isomor�smi fracampi. Di questa teoria si riportano solo alcune de�nizioni e teoremi fondamentali.

1. Un po' di storia

La Teoria di Galois mette in relazione la Teoria dei campi con la Teoria deiGruppi. Essa si è sviluppata a partire dalla metà del XIX secolo decretando la nascitadella moderna algebra astratta. Nasce dall'idea di Evariste Galois (1811 − 1832)di trasferire lo studio di un problema allo studio di una corrispondente strutturaalgebrica più facile da studiare.

La Teoria di Galois ha ora trovato applicazioni in vari settori, ma il problemaa�rontato e risolto da Galois è stato quello di determinare quali sono le equazionialgebriche risolubili per radicali. Con equazione algebrica si intende un'equazione icui coe�cienti appartengono ad un campo F con Q ⊆ F ⊆ C, dove Q e C indicanorispettivamente il campo dei numeri razionali e il campo dei numeri complessi. Un'e-quazione si dice risolubile per radicali se le soluzioni si possono trovare mediante unnumero �nito di operazioni razionali (+,−, ·,÷) e di estrazioni di radici, eseguite suicoe�cienti delle equazioni.

L'idea innovativa di Galois fu quella di considerare i coe�cienti di un'equazionealgebrica nel campo generato dai coe�cienti dell'equazione stessa e prendendo inconsiderazione le radici dell'equazione pur non approfondendo la questione della loroesistenza.

Le equazioni di 1◦ e 2◦ grado venivano già risolte nei tempi più antichi (alcunicasi particolari risolti dai Babilonesi risalgono al 2000-1700 a.c.), ma è solo molto piùtardi, con la matematica degli arabi, che si può parlare di risoluzione generale. Leformule risolutive per l'equazione generale di 1◦ e 2◦ grado sono dovute al matematico

83

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 84

arabo Muhammad al-Khawarizmi che visse tra i secoli VIII e IX; furono poi divulgateda Leonardo Pisano, detto il Fibonacci, nel libro XV del suo Liber Abaci(1202).

Per inciso, ricordiamo che la parola Algebra deriva dalla parola al-jabr, presentenel titolo del trattato Al-gebr we'l mukabala di al-Khawarizmi, mentre dal nomedell'autore si fa derivare l'etimologia della parola algoritmo, usata nel medioevo perindicare il calcolo fondato sulla notazione numerica araba.

Dopo il caso delle equazioni di 2◦ grado, il maggior progresso si ebbe in Italiadurante il Rinascimento, ad opera della scuola matematica bolognese; in quel periodofurono infatti scoperte le formule per risolvere le equazioni polinomiali algebriche di 3◦

e 4◦ grado. Più precisamente, nei primi anni del 1500, fu trovata la formula risolutivadell'equazione di 3◦ grado (Scipione del Ferro (1465-1526) e Girolamo Cardano (1501-1576)) e la formula risolutiva dell'equazione di 4◦ grado (Ludovico Ferrari (1522-1565)).

Dopo i risultati ottenuti nel XVI secolo, si tentò di risolvere per radicali anchele equazioni di grado superiore al 4◦, ma il problema rimaneva insoluto nonostante iprogressi compiuti da matematici quali Franc�ois Viète (1540-1630, iniziò ad esprime-re mediante lettere non soltanto le incognite ma anche i dati dei problemi algebrici),René Descartes (1596-1650, introdusse il simbolismo algebrico), Joseph-Louis La-grange (1736-1813) che nel suo lavoro Re�éxions sur la résolution algébrique desequations (1770), diede un metodo unitario per risolvere le equazioni di 2◦, 3◦ e 4◦

grado fondato sulle proprietà di simmetria delle radici, pose così le basi dello studiodei gruppi di permutazioni e aprì la strada alle ricerche di Paolo Ru�ni (1765-1822),di Niels Henrik Abel (1802-1829) e di Galois, ma Lagrange trascurò gli "ambienti"nei quali considerare i coe�cienti e le radici di un'equazione. Importante fu ancheil contributo di Carl Friedrich Gauss (1777-1855) che nella sua tesi di laurea (1799)dimostrò, per la prima volta in modo esauriente e rigoroso, il teorema fondamentaledell'algebra: "Ogni equazione algebrica ha almeno una radice (reale o) complessa".

La questione della risolubilità per radicali fu chiarita all'inizio del XIX secoloda Ru�ni e da Abel i quali dimostrarono, indipendentemente l'uno dall'altro, chel'equazione algebrica generale di grado maggiore o uguale al 5◦ non è risolubile me-diante radicali. Ma poichè esistono varie famiglie di equazioni di grado qualunquerisolubili per radicali (per es. xn − a = 0), rimaneva aperto il problema di trovarecondizioni necessarie e su�cienti per stabilire se una data equazione fosse risolubileper radicali.

Il problema fu risolto da Galois introducendo nuovi concetti che sono alla basedella teoria dei gruppi e della teoria dei campi. La sua geniale idea fu quella diassociare ad ogni equazione algebrica un particolare gruppo di permutazioni sulleradici (oggi chiamato gruppo di Galois) e dimostrare che le proprietà di questo gruppo

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 85

determinavano se l'equazione era o no risolubile per radicali. In questo processoemerse l'importanza di particolari sottogruppi oggi chiamati sottogruppi normali. Intermini moderni il risultato di Galois viene oggi così enunciato: "Sia K ⊆ C, f(x) ∈K[x] irriducibile; l'equazione f(x) = 0 è risolubile per radicali se e solo se il gruppoG di Galois di f(x) rispetto K è risolubile".

La teoria sviluppata da Galois è essenzialmente contenuta nel suo lavoro "Me-moire sur les conditions de résolubilité des équations par radicaux", del 1830 ma chefu pubblicato postumo nel 1846 da Joseph Liouville. Galois fu infatti ucciso in duellonel 1832 all'età di soli vent'anni. L'opera di Galois favorì la nascita della teoria deicampi che si sviluppò principalmente in Germania nel XIX secolo ad opera HeinrichWeber, Richard Dedekind ma soprattutto di Leopold Kronecker (1823-1891) che in-trodusse la nozione di "estensione algebrica" e fornì un modo rigoroso per costruireun campo contenente le soluzioni di un'equazione polinomiale.

La presentazione della Teoria di Galois che viene oggi più frequentemente pro-posta è dovuta ad Emil Artin (1898-1962); grazie al suo lavoro questa teoria si ètrasformata in una teoria riguardante le relazioni esistenti tra le estensioni di uncampo e il loro gruppo di automor�smi, divenendo così una disciplina del tutto gene-rale di cui la risolubilità per radicali delle equazioni polinomiali è soltanto una dellepossibili applicazioni.

Grazie alla Teoria di Galois è stato completamente risolto un problema classicodella matematica greca: determinare se un dato problema ha soluzioni costruibilicon riga e compasso. Infatti applicando la Teoria di Galois si dimostrano i seguentidue teoremi.

Teorema Un problema di geometria piana è risolubile con riga e compasso see solo se può tradursi analiticamente in una equazione algebrica risolubile medianteradicali quadratici.

Teorema Un'equazione algebrica f(x) = 0 a coe�cienti in un campo K ⊆ C èrisolubile per radicali quadratici se e solo se |G| = 2h, dove G è il gruppo di Galoisdi f(x) rispetto a K.

2. Gruppo di Galois di un polinomio

Sia K un campo ed L un suo ampliamento. Si chiama K-automor�smo di Lun automor�smo di L che muta in sè ogni elemento di K. Ovviamente l'insieme ditutti i K-automor�smi di L costituiscono un gruppo. In questa breve trattazione,consideriamo questi automor�smi nel caso in cui L è il campo di spezzamento di un

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 86

polinomio f(x) ∈ K[x]. Nella teoria delle equazioni algebriche hanno importanza gliautomor�smi che �ssano gli elementi del campo dei coe�cienti dell'equazione.

De�nizione 5.2.1. Sia F il campo di spezzamento del polinomio f(x) ∈ K[x].Il gruppo degli automor�smi di F che inducono l'identità su K è detto gruppo diGalois del polinomio f(x) rispetto a K.

Esempio

(1) Il campo di spezzamento di f(x) = x2 − 2 ∈ Q[x] è il campoQ(√

2) = {a + b√

2 | a, b ∈ Q}, allora il gruppo di Galois di f(x) è G ={id., α} con α : (a+ b

√2)→ (a− b

√2).

(2) Il campo di spezzamento di f(x) = x2 + 1 ∈ R[x] è il campo C dei numericomplessi, allora il gruppo di Galois di f(x) è G = {id., α} con α : a+ ib→a− ib.

Nota 5.2.2. Quando si parla degli automor�smi del campo dei numeri complessiC = {a+ib | a, b ∈ R, i2 = −1}, di norma, si indicano sempre solo i due automor�smi:

(1) Automor�smo identità, ϕ1 : a+ ib→ a+ ib.(2) Automor�smo coniugio, ϕ2 : a+ ib→ a− ib.

Si faccia però attenzione che questi due automor�smi non sono i soli automor�smi diC, infatti il gruppo degli automor�smi di C è in�nito, più precisamente ha cardinalità2|R| (Gabelli, 2008, p. 225). Gli automor�smi ϕ1 e ϕ2 sopra descritti sono però isoli automor�smi di C che �ssano i numeri reali, ossia per ogni r ∈ R si ha ϕ1(r) =ϕ2(r) = r.

Caratterizziamo maggiormente il gruppo di Galois con i seguenti due teoremi.

Teorema 5.2.3. Sia f(x) ∈ K[x], F il suo campo di spezzamento, G il suogruppo di Galois rispetto a K. Ogni automor�smo ϕ ∈ G trasforma una radice dif(x) in una radice di f(x).

Dimostrazione. Sia f(x) = a0 + a1x + . . . + anxn e sia u ∈ F una sua radice

ossia a0 +a1u+ . . .+anun = 0. Sia ϕ ∈ G, ricordando che ϕ(ai) = ai per ogni ai ∈ K,

si ha f(ϕ(u)) = a0 + a1ϕ(u) + a2(ϕ(u))2 + . . . + an(ϕ(u))n = ϕ(a0) + ϕ(a1)ϕ(u) +. . .+ ϕ(an)ϕ(un) = ϕ(a0 + a1u+ . . .+ anu

n) = ϕ(0) = 0 e pertanto ϕ(u) è radice dif(x). �

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 87

Teorema 5.2.4. Sia f(x) un polinomio avente m radici distinte, allora ilgruppo di Galois di f(x) è isomorfo ad un sottogruppo del gruppo simmetrico Sm.

Dimostrazione. Sia f(x) ∈ K, F il suo campo di spezzamento, G il suo gruppodi Galois e sia E = {u1, u2, . . . , um} l'insieme delle radici distinte di f(x) (ovviamentem ≤ gradof(x)). Per provare la tesi dimostriamo che esiste un omomor�smo iniettivodi G nel gruppo simmetrico Sm. Per il teorema precedente ogni σ ∈ G agisce sulleradici distinte di f(x) ossia determina una permutazione degli elementi di E cheindichiamo con σE. Consideriamo l'applicazione φ : G → SE, φ(σ) = σE, essa èbanalmente un omomor�smo perchè φ(αβ) = αEβE = φ(α)φ(β). Proviamo che φ èiniettiva, osserviamo che F = K(u1, u2, . . . , um) può ottenersi mediante ampliamentisuccessivi K ⊂ K(u1) ⊂ K(u1, u2) ⊂ . . . ⊂ K(u1, u2, . . . , um) = F in cui ogni campoè ampliamento di grado �nito rispetto al precedente e perciò gli elementi di K(u1)si scrivono come polinomi in u1 a coe�cienti in K, gli elementi di K(u1, u2) comepolinomi in u2 a coe�cienti in K(u1) ecc. . Sia σ ∈ Kerφ = {σ ∈ G | φ(σ) = σE =id.}; si ha σ(u1) = u1, σ(k) = k per ogni k ∈ K e pertanto σ agisce come l'identitàsu K(u1); analogamente poichè σ(u2) = u2, σ(t) = t per ogni t ∈ K(u1) si ha cheσ agisce come l'identità su K(u1, u2) ecc. ; si conclude che φ �ssa ogni elemento diF = K(u1, u2, . . . , um) e perciò Kerφ = {id.} e dunque φ è iniettiva. �

Proposizione 5.2.5. Sia f(x) ∈ K[x], deg f(x) = n, G il suo gruppo di Galoisrispetto a K. Si ha |G| | n!

Dimostrazione. Sia F il suo campo di spezzamento e siano v1, v2, . . . , vm ∈ Fle radici distinte di f(x),m ≤ n. Per il teorema precedente G è isomorfo ad unsottogruppo di Sm e pertanto |G| | m!, ma m!|n! perchè m ≤ n e dunque |G| | n! �

Proposizione 5.2.6. Sia f(x) ∈ K[x] separabile, F il suo campo di spezzamento,G il suo gruppo di Galois rispetto a K. Si ha |G| = [F : K].

Dimostrazione. Segue dalla de�nizione di gruppo di Galois e dal teorema4.4.8 perchè gli elementi di G sono esattamente gli automor�smi di F che risultanoprolungamento dell'automor�smo identità di K. �

Proposizione 5.2.7. Sia f(x) ∈ K[x] separabile, F il suo campo di spezzamento,G il suo gruppo di Galois rispetto a K. Un elemento di F è mutato in sè da ognielemento di G se e solo se è un elemento di K.

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 88

Dimostrazione. Sia T = {v ∈ F | σ(v) = v , ∀ σ ∈ G}; per de�nizione digruppo di Galois si ha K ⊆ T , proviamo che vale anche l'inclusione inversa.

Si ha |G| = n con n grado dell'ampliamento F rispetto a K; sia v ∈ T ; sia h ilgrado di K(v) rispetto a K ed m il grado di F rispetto a K(v), sappiamo che alloran = mh. Sia Γ il gruppo di Galois di f(x) rispetto a K(v), allora |Γ| = m. Poichèogni elemento di G muta in sè v e muta in sè ogni elemento di K, esso è l'identitàsu K(v) e pertanto G ⊆ Γ da cui n ≤ m e poichè n = mh risulta n = m e h = 1.Rimane così provato che K(v) = K da cui v ∈ K. �

Concludiamo il paragrafo determinando il gruppo di Galois di una importantefamiglia di polinomi.

Il gruppo di Galois di xr − 1 con r numero primo.

Ricordiamo che in C le r radici di xr − 1 sono u, u2, . . . , ur = 1 con u = cos2πr

+

isen2πre poichè r è un numero primo tutte le radici sono primitive e F = Q(u) è il

campo di spezzamento di xr − 1.

Proposizione 5.2.8. Sia F il campo di spezzamento di xr − 1, r numero primo.Qualunque sia il campo K, Q ⊆ K ⊆ F, il gruppo G di Galois di xr − 1 ∈ K[x] èabeliano.

Dimostrazione. Sia u ∈ F una radice primitiva del polinomio. Per ogni σ ∈ Gsi ha σ(u) = ui; siano σi(u) = ui, σj(u) = uj. Risulta (σj ◦ σi)(u) = σj(σi(u)) = uji

e analogamente (σi ◦ σj)(u) = uij e poichè uji = uij si ha (σj ◦ σi)(u) = (σi ◦ σj)(u).Inoltre σi e σj �ssano ogni elemento di K e pertanto σj ◦ σi = σi ◦ σj. �

3. Il Teorema di corrispondenza di Galois

Sia F il campo di spezzamento di f(x) ∈ K[x] e sia G il gruppo di Galois dif(x) rispetto a K. Il seguente teorema evidenzia la relazione che intercorre fra isottogruppi di G e i sottocampi di F che contengono K. L'importanza di questarelazione è che problemi relativi a polinomi a coe�cienti in un campo possono esserericondotti allo studio del gruppo di Galois associato al polinomio e in questo senso sipuò dire che la Teoria di Galois trasforma problemi di campi in problemi di gruppi.

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 89

Teorema 5.3.1 (Teorema di corrispondenza di Galois). Sia f(x) ∈ K[x] sepa-rabile, F il suo campo di spezzamento, G il suo gruppo di Galois rispetto a K. Siaφ l'applicazione dall'insieme F degli intercampi fra K ed F all'insieme G dei sotto-gruppi di G che ad ogni intercampo H,K ⊂ H ⊂ F, associa il gruppo di Galois dif(x) rispetto ad H. L'applicazione φ è biettiva.

φ : F → GH 7→ φ(H) = GH = Γ = {ϕ ∈ G | ϕ(h) = h,∀h ∈ H}

Dimostrazione. L'elemento φ(H) è sottogruppo di G; infatti se α, β ∈ GHallora α(h) = h = β(h),∀h ∈ H, αβ−1(h) = h ∀h ∈ H} e ciò signi�ca αβ−1 ∈ GH epertanto GH è sottogruppo di G . Dimostriamo che φ è biettiva.

(1) φ è iniettiva. Supponiamo sia φ(H1) = φ(H2) = Γ; per la proposizione 5.2.7sia H1 che H2 coincidono con l'insieme degli elementi di F mutati in sè daogni elemento di Γ e perciò H1 = H2.

(2) φ è suriettività. Sia Γ un sottogruppo diG e siaH = {v ∈ F | g(v) = v ∀ g ∈Γ}; H risulta un sottocampo di F ossia un intercampo fra K ed F, infatti perogni h, k ∈ H si ha γ(h) = h, γ(k) = k, γ(−k) = −k, γ(k−1) = k−1 per k 6= 0e pertanto risulta γ(h−k) = γ(h)−γ(k) = h−k e γ(hk−1) = γ(h)γ(k−1) =hk−1, per k 6= 0. Dimostriamo che φ(H) = Γ.• Γ ⊆ φ(H); infatti se g ∈ Γ si ha g(v) = v per ogni v ∈ H e quindi gappartiene al gruppo di Galois di f(x) rispetto ad H ossia g ∈ φ(H).• φ(H) ⊆ Γ; proviamo che non può essere Γ 6= φ(H). Poichè F è campo dispezzamento di f(x), per il teorema dell'elemento primitivo esiste v ∈ Ftale che F = K(v). Sia Γ = {γ1 = idF, γ2, . . . , γm} e sia γi(v) = vi peri = 1, 2, . . . , vm. Si ha vi 6= vj per i 6= j , infatti se vi = vj allora

γi(v) = γj(v), γ−1j γi(v) = v, γ−1

j γi = idF, γi = γj, i = j.

Inoltre γr(vi) = γrγi(v) = γs(v) = vs e perciò ogni γr ∈ Γ induceuna permutazione sugli elementi v1 = v, v2, . . . , vm. Sia g(x) = (x −v1)(x − v2) · · · (x − vm), i coe�cienti di tale polinomio sono funzionisimmetriche degli elementi v1, v2, . . . , vm e pertanto ogni γr ∈ Γ mutain sè i coe�cienti di g(x) ossia i coe�cienti di g(x) sono elementi diH. Dunque g(x) ∈ H[x] e poichè v = v1 è radice di g(x) si ha che ilpolinomio irriducibile di H[x] che ammette v come radice deve averegrado minore uguale al grado m di g(x). Pertanto [H(v) : H] ≤ m.Poichè si ha F = H(v) e [H(v) : H] uguaglia l'ordine del gruppo diGalois di f(x) rispetto ad H perchè f(x) ha tutte radici semplici, si hache [H(v) : H] uguaglia l'ordine del gruppo φ(H) = GH ossia uguaglia|φ(H)| e quindi |φ(H)| ≤ m. Ma |Γ| = m e Γ ⊆ φ(H) e perciò siconclude Γ = φ(H).

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 90

Proposizione 5.3.2. Sia f(x) ∈ K[x] separabile, F il suo campo di spezzamen-to, G il suo gruppo di Galois rispetto a K. Sia φ l'applicazione dall'insieme de-gli intercampi fra K ed F all'insieme dei sottogruppi di G che ad ogni intercampoH,K ⊂ H ⊂ F, associa il gruppo di Galois di f(x) rispetto ad H. Siano H1 ⊂ H2

intercampi fra K ed F e sia Γ1 = φ(H1) e Γ2 = φ(H2). Allora il grado di H2 rispettoad H1 è uguale all'indice di Γ2 in Γ1.

Dimostrazione. Sia [F : H1] = n e sia [F : H2] = m; allora [H2 : H1] = nm.

D'altra parte si ha |Γ1| = n e |Γ2| = m ed essendo Γ2 ⊂ Γ1 si ha la tesi. �

Gli intercampi fra K ed F sono un reticolo rispetto alla operazione di intersezionee all'operazione di unione di due intercampi intesa come il più piccolo intercampoche contiene i due intercampi.

Proposizione 5.3.3. Sia f(x) ∈ K[x] separabile, F il suo campo di spezzamen-to, G il suo gruppo di Galois rispetto a K. Sia φ l'applicazione dall'insieme de-gli intercampi fra K ed F all'insieme dei sottogruppi di G che ad ogni intercampoH,K ⊂ H ⊂ F, associa il gruppo di Galois di f(x) rispetto ad H. Il reticolo degliintercampi fra K ed F è antisomorfo al reticolo dei sottogruppi del gruppo di Galoisdi f(x) rispetto a K.

Dimostrazione. Sia φ l'applicazione de�nita nel Teorema di corrispondenza diGalois; poichè è biettiva, per provare che φ è un antisomor�smo basta veri�care chesi ha H1 ⊂ H2 se e solo se φ(H1) ⊃ φ(H2). Se H1 ⊂ H2 ogni elemento del gruppo diGalois di f(x) rispetto a H2, muta in sè ogni elemento di H2 e quindi anche di H1

cioè è φ(H2) ⊂ φ(H1).Viceversa se è φ(H2) ⊂ φ(H1) ogni elemento di H1 è mutato in sè da ogni elemento

di φ(H1) e quindi anche da ogni elemento di φ(H2) e pertanto sta in H2 e dunqueH1 ⊂ H2. �

Esempio 5.3.4. Illustriamo il teorema di corrispondenza di Galois nel caso incui il polinomio f(x) sia x3 − 2 ∈ Q[x].

Risulta x3 − 2 = (x − 3√

2)(x − ω 3√

2)(x − ω2 3√

2) con ω radice terza primitivadell'unità. Il campo di spezzamento di x3 − 2 è F = Q( 3

√2, ω). Un elemento σ del

gruppo G di Galois di F rispetto a Q è completamente individuato non appena siconoscano σ( 3

√2) e σ(ω). Il polinomio minimo di 3

√2 su Q è x3 − 2, il polinomio

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 91

minimo di ω su Q è x2 + x + 1. Il gruppo G ha esattamente sei elementi, sono gliautomor�smi

σ1 = id σ2 =

{ω → ω2

3√

2→ 3√

2σ3 =

{ω → ω3√

2→ ω 3√

2

σ4 =

{ω → ω3√

2→ ω2 3√

2σ5 =

{ω → ω2

3√

2→ ω2 3√

2σ6 =

{ω → ω2

3√

2→ ω 3√

2

Si ha σ4 = σ23, σ5 = σ2 ◦σ3, σ6 = σ2 ◦σ4. Dalla tabella moltiplicativa di G si deduce

G = S3. I sottogruppi non banali di G sono

G1 =< σ2 >, G2 =< σ5 >, G3 =< σ6 >, G4 =< σ3 >,

|G1| = |G2| = |G3| = 2, |G4| = 3.

Gli intercampi fra F e Q sono

H1 = Q(3√

2), H2 = Q(ω3√

2), H3 = Q(ω2 3√

2), H4 = Q(ω).

[Q(3√

2) : Q] = 3, [Q(ω3√

2) : Q] = 3, [Q(ω2 3√

2) : Q] = 3, [Q(ω) : Q] = 2.

Indicato con F l'insieme degli intercampi e con G l'insieme dei sottogruppi di G,rappresentiamo la corrispondenza φ : F → G tramite il diagramma dei loro reticoli.

F φ // I

Q G•

3 3 3

2

3 3 3

2

H4 G4

H1 H2 H3 G1 G2 G3

2

2

2

3

2

2

2

3

F {id}

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 92

4. Applicazioni e conclusione

L'applicazione più notevole del Teorema di corrispondenza di Galois è quella chepermette di determinare quando una data equazione è risolubile per radicali ossia èpossibile trovare le soluzioni dell'equazione in funzione dei coe�cienti dell'equazionestessa tramite le quattro operazioni razionali (+,−, ·,÷) ed estrazioni di radici. Senzadarne dimostrazione, riportiamo le de�nizioni e i teoremi che portano alla condizionenecessaria e su�ciente a�nchè un'equazione sia risolubile per radicali.

De�nizione 5.4.1. Un ampliamento F di un campo K è detto ampliamentoper radicali se esistono degli intercampi K = H0 ⊆ H1 ⊆ . . . ⊆ Hr = F tali cheHi = Hi−1(αi) con αi radice del polinomio xni − ai ∈ Hi−1[x].

In altre parole Hi si ottiene da Hi−1 aggiungendo una radice ni-esima di unelemento di Hi−1.

De�nizione 5.4.2. Un polinomio f(x) ∈ K[x] (o l'equazione f(x) = 0) si dice ri-solubile per radicali se il suo campo di spezzamento è contenuto in un ampliamentoper radicali di K.

Nota 5.4.3.(1) L'ampliamento per radicali può essere più grande del campo di spezzamento

di f(x).(2) Sia H1 = K(α) con α = n

√a radice di xn − a ∈ K[x]. Risulta H1 = {b0 +

b1α+ · · ·+ bn−1αn−1 | bi ∈ K} e analogamente per H2, . . . ,Hr = F, pertanto

se f(x) ∈ K[x] è risolubile per radicali, allora le sue radici si scrivono comeespressioni radico-razionali di elementi di K.

(3) Non è restrittivo se nelle varie considerazioni o dimostrazioni si suppone che inumeri naturali ni siano numeri primi. Infatti sia xn−a ∈ K[x], αn = a, α =

a1n 6∈ K e consideriamo l'ampliamento per radicali K(α). Se n = p1p2 · · · ps,

allora tra K e K(α) si possono inserire i campi intermedi K ⊆ K(αp2···ps) ⊆K(αp3···ps) ⊆ · · · ⊆ K(αps ⊆ K(α) ognuno dei quali si ottiene dal precedenteper aggiunzione di una radice pi-esima con pi numero primo.

Esempi

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 93

(1) x30 − 2 ∈ Q[x], 30 = 2 · 3 · 5, α = 30√

2, α15 =√

2, α5 = 6√

2

Q ⊂ Q(√

2) ⊂ Q(6√

2) ⊂ Q(30√

2)

Infatti Q(√

2) ⊂ Q( 6√

2) perchè√

2 = ( 6√

2)3 ∈ Q( 6√

2) e quindi ogni elementoa + b

√2 ∈ Q(

√2) appartiene anche a Q( 6

√2), ossia Q(

√2) ⊂ Q( 6

√2) ossia

l'ampliamento Q(√

2 è ottenuto con una radice cubica. Analogamente perQ( 6√

2) ⊂ Q( 30√

2) ossia l'ampliamento Q( 30√

2) è ottenuto con una radicequinta. Inoltre osserviamo che [Q(

√2) : Q] = 2 perchè x2 − 2 è irriducibile

in Q[x], [Q( 6√

2) : Q(√

2)] = 3 perchè x3 − 2 è irriducibile in Q(√

2)[x],[Q( 30√

2) : Q( 6√

2)] = 5 perchè x5 − 2 è irriducibile in Q( 6√

2)[x].

(2) x12 − 2 ∈ Q[x], 12 = 2 · 2 · 3, α = 12√

2, α3 = 4√

2, α6 =√

2

Q ⊂ Q(√

2) ⊂ Q(4√

2) ⊂ Q(12√

2)

•√

2 = ( 4√

2)2 allora√

2 ∈ Q( 4√

2) allora Q(√

2) ⊂ Q( 4√

2)• 4√

2 = (Q( 12√

2))3 allora 4√

2 ∈ Q( 12√

2) allora Q( 4√

2) ⊂ Q( 12√

2)• [Q(

√2) : Q] = 2 perchè x2−2 è irriducibile in Q[x], [Q( 4

√2) : Q(

√2)] =

2 perchè x2 −√

2 è irriducibile in Q(√

2)[x], [Q( 12√

2) : Q( 4√

2)] = 3perchè x3 − 2 è irriducibile in Q( 4

√2)[x].

Teorema 5.4.4. Sia K un campo di caratteristica zero, f(x) ∈ K[x] irriducibile.L'equazione f(x) = 0 è risolubile per radicali se e solo se il gruppo G di Galois dif(x) rispetto a K è risolubile.

Conseguenze del Teorema

Ricordiamo che un gruppo G è risolubile se esiste un numero naturale r tale cheil derivato r-esimo di G è il sottogruppo identità o, equivalentemente, se G ammetteuna serie subnormale a fattoriali abeliani. Inoltre è ben noto che il gruppo simmetricoSn è risolubile solo per n ≤ 4.

(1) Le equazioni di grado m ≤ 4 hanno come gruppo di Galois un sottogruppodi Sm e pertanto, essendo Sm risolubile, sono tutte risolubili per radicali.D'altra parte per ognuno dei gradi n = 2, n = 3, n = 4 è nota la formulagenerale per determinare le soluzioni dell'equazione e tale formula coinvolgesolo operazioni razionali ed estrazioni di radici.

(2) Le equazioni di grado n ≥ 5 hanno gruppo di Galois che è sottogruppodi Sn, n ≥ 5. Pertanto il gruppo di Galois di queste equazioni può essererisolubile oppure no e pertanto le equazioni di questi gradi possono essererisolubili per radicali oppure no. Per ogni n ≥ 5 si possono trovare equazioniaventi gruppo di Galois uguale a Sn e dunque non risolubili per radicali (ad

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 94

esempio f(x) ∈ Q[x] di grado p primo irriducibile suQ ed avente esattamentedue radici non reali nel campo dei complessi, ne è un esempio l'equazionef(x) = x5 − 10x− 2).

Ricordiamo che la non risolubilità per radicali delle equazioni generali di gradon ≥ 5 fu dimostrata da Paolo Ru�ni e da Niels Abel in modo indipendente l'unodall'altro. Osserviamo però che esistono equazioni (o famiglie di equazioni) di gradon ≥ 5 che sono risolubili per radicali. Se ad esempio consideriamo le equazioni xr−1,r primo, esse sono tutte risolubili per radicali avendo il gruppo di Galois abeliano(vedi Proposizione 5.2.8)) e quindi risolubile.

Risolubilità delle equazioni per radicali quadratici.

Risolubilità per radicali quadratici signi�ca risolubilità con il solo uso delle ope-razioni razionali ed estrazione di radici quadrate.

Teorema 5.4.5. Un'equazione f(x) = 0, f(x) ∈ K[x],K ⊆ C è risolubile perradicali quadratici se e solo se |G| = 2h, con G gruppo di Galois di f(x) rispetto aK.

Osserviamo anzitutto che |G| = 2h equivale a [F : K] = 2h con F campo dispezzamento di f(x).

Con questo teorema, dopo quasi 2000 anni da Euclide, lo sviluppo dell'algebraha dato risposta ad un quesito centrale della matematica greca dell'antichità ossiadeterminare quali fossero i problemi geometrici risolubili con il solo uso della rigae del compasso (si intende riga non graduata e compasso che si richiude appenasollevato dal foglio cioè che non permette il trasporto meccanico di lunghezze).

I risultati ottenuti permettono di dimostrare che molte costruzioni classiche del-l'antichità non sono costruibili con il solo uso della riga e del compasso. Fra questiricordiamo i problemi più noti:

(1) Duplicazione del cubo: costruire un cubo il cui volume sia uguale al doppiodi quello di un cubo assegnato.

(2) Quadratura del cerchio: costruire un quadrato che abbia area uguale a quelladi un cerchio assegnato.

(3) Retti�cazione della circonferenza: costruire un segmento pari alla lunghezzadi una circonferenza.

(4) trisezione dell'angolo: costruire la terza parte di un angolo 3ϑ.

Il teorema fornisce inoltre

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 95

(1) Un criterio per stabilire quali sono i numeri algebrici costruibili con riga ecompasso e assicura che nessun numero trascendente è costruibile.

(2) Un criterio per stabilire quali sono i poligoni regolari costruibili con riga ecompasso, ossia per quali n si può costruire l'angolo 2π

n. Si dimostra che un

poligono regolare con n lati è costruibile con riga e compasso se e soltantose n = 2kp1 · · · pm dove k ≥ 0 e p1, · · · , pm sono numeri primi della forma22r +1, r ≥ 0. Questo risultato è attribuito a Gauss che lo pubblicò nel 1801ma in realtà, pur avendo dato un risultato corretto, Gauss dimostrò solola condizione su�ciente. La condizione necessaria venne dimostrata solo inseguito con la teoria di Galois.

Nota 5.4.6. I numeri della forma Fr = 22r + 1, r ≥ 0 sono detti numeri diFermat. Nel 1634 Fermat congetturò che tutti i numeri interi della forma Fr fosseronumeri primi, in e�etti lo sono F0 = 3, F1 = 5, F2 = 17, F3 = 257, F4 = 65537. MaEulero nel 1738 dimostrò la falsità della congettura perchè dimostrò che F5 non èprimo perchè F5 = 4294976297 = 641 × 6700417. Successivamente si è dimostratoche non sono primi i numeri di Fermat da F5 a F11. Il problema della ricerca deinumeri di Fermat che siano primi è tuttora aperto. Non è neanche noto se i numeriprimi di Fermat siano in numero �nito o in�nito.

Informazioni, in tempo reale, sui risultati di ricerche inerenti i numeri primi si pos-sono trovare nel sito della University of Tennessee at Martin: http://primes.utm.edu

Tutte le problematiche legate alle costruzioni con riga e compasso, anche se oracompletamente risolte, continuano ad essere molto attuali non solo per la loro intrin-seca bellezza ma perchè si prestano molto bene all'uso del computer per applicazionianche didattiche.

5. Esercizi

Esercizio 5.5.1.Determinare il gruppo G di Galois del campo di spezzamento F del polinomio f(x) =x3 − x− 1 ∈ Q[x] rispetto a Q. Scrivere G come gruppo di permutazioni.Soluzione - Il polinomio f(x) è irriducibile in Q[x], sia α 6∈ Q una sua radiceossia α3 = α + 1, si ha [Q(α) : Q] = 3 e f(x) = (x − α)(x2 + αx + (α2 − 1)) conx2 +αx+(α2−1) irriducibile in Q(α) allora sia β 6∈ Q(α) una sua radice. Il campo dispezzamento di f(x) è F = Q(α, β) con [Q(α, β) : Q] = 6 perchè [Q(α, β) : Q(α)] = 2e [Q(α) : Q] = 3.

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 96

Il polinomio f(x) ha tre radici distinte u1 = α, u2 = 12(β−α), u3 = −1

2(α+β). Il

gruppo di Galois di F rispetto a Q ha 6 elementi perchè F = Q(α, β) con [Q(α, β) :Q] = 6 ed è un sottogruppo di S3 perchè f(x) ha esattamente tre radici distinte,deve allora essere G = S3.

Gli elementi di G mandano una radice in una radice e pertanto ogni permutazionedelle radici induce un automor�smo di Q(α, β). Ad esempio il 3-ciclo (123) inducela permutazione σ sulle radici de�nita da σ(u1) = u3, σ(u3) = u2, σ(u2) = u1. Allorada u2 = σ(u3) si ha

1

2(β−α) = σ(−1

2(α+β)) = −1

2σ(α)−1

2σ(β) = −1

2(−1

2(α+β))−1

2σ(β) =

1

4(α+β)−1

2σ(β)

Allora σ(β) = −12+ 3

2α. Pertanto rimane completamente determinato l'automor�smo

σ di Q(α, β).

Esercizio 5.5.2.Sia f(x) = x4 − 2 ∈ Q[x] e sia F il suo campo di spezzamento su Q. Determinare estudiare la struttura del gruppo G di Galois di f(x) rispetto a Q.Soluzione - Il polinomio è separabile perchè carQ = 0, pertanto F = Q(± 4

√2,± 4√

2i) =Q( 4√

2, i). Il grado dell'estensione di [Q( 4√

2, i) : Q] si può calcolare considerando[Q( 4√

2, i) : Q] = [Q( 4√

2, i) : Q( 4√

2)][Q( 4√

2) : Q] = 2 · 4 = 8. Infatti [Q( 4√

2, i) :Q( 4√

2)] = 2 perchè i 6∈ Q( 4√

2) e x2 + 1 è irriducibile su Q( 4√

2). D'altra parte[Q( 4√

2) : Q] = 4 perchè x4 − 2 è irriducibile in Q[x] (per esempio per il criterio diEisenstein).

Ovviamente il grado dell'estensione di [Q( 4√

2, i) : Q] si può calcolare ancheconsiderando [Q( 4

√2, i) : Q] = [Q( 4

√2, i) : Q(i)][Q(i) : Q] = 4 · 2 = 8. Infatti

[Q( 4√

2, i) : Q(i)] = 4 perchè 4√

2i 6∈ Q(i) e x4− 1 è irriducibile su Q(i). D'altra parte[Q(i) : Q] = 2 perchè x2 + 1 è irriducibile in Q[x].

Abbiamo trovato che G = Aut(F|Q) (automor�smi di F che indicono l'identità suQ) ha otto elementi; studiamo la sua struttura. Da quanto visto precedentemente,[F = Q( 4

√2, i) : Q(i)] = 4 e x4 − 2 è irriducibile su Q(i), sia σ ∈ Aut(F|Q(i)) ⊆

Aut(F|Q) tale che σ( 4√

2) = i 4√

2; τ ∈ Aut(F|Q( 4√

2)) ⊆ Aut(F|Q) tale che τ(i) = −i.Poichè σ ha periodo 4 e τ ha periodo 2, risulta < σ >∼= Z4 e < τ >∼= Z2. Poichèτσ = σ − 1τ il gruppo di Galois G è il gruppo diedrico D4 generato da σ e τ .

Esercizio 5.5.3.Sia f(x) = x4−x2 +1 ∈ Q[x] e sia F il suo campo di spezzamento su Q. Determinaree studiare la struttura del gruppo G di Galois di f(x) rispetto a Q.Soluzione - Il polinomio f(x) = x4−x2 +1 è irriducibile in Q[x]; sia v una sua radice

Capitolo 5 Elementi di Teoria di Galois. 97

e consideriamo il campo F = Q[x]<f(x)>

= {a0 +a1v+a2v2 +a3v

3 | ai ∈ Q, f(v) = 0}. Daf(v) = 0, segue v4 = v2−1 e perciò le radici di f(x) sono ±v e ±(v3−v). Ciò signi�cache F è il campo di spezzamento di f(x) su Q perchè è il più piccolo campo checontiene tutte le radici del polinomio, come è immediato veri�care. Determiniamo orail gruppoG di Galois dell'estensione F suQ; un automor�smo σ di F tale che σ(a) = aper ogni a ∈ Q è tale che σ(a0 +a1v+a2v

2 +a3v3) = a0 +a1σ(v) +a2σ(v)2 +a3σ(v)3

e pertanto σ è completamente determinato da σ(v) che sappiamo essere radice dif(x). Rimangono dunque determinati quattro automor�smi

σ1 : v → v, σ2 : v → −v, σ3 : v → v3 − v, σ4 : v → −v3 + v

Si conclude che il gruppo di Galois di f(x) è G = {σ1, σ2, σ3, σ4}. Dalla tavola dimoltiplicazione di G è immediato veri�care che G è isomorfo al gruppo quadrinomiodi Klein.