APPARATO DIGERENTE definitivo - IL SITO … di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne...
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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne
APPARATO DIGERENTE
DISFAGIA Per disfagia, s’intende una difficoltà alla deglutizione, che il pz generalmente descrive come una sensazione di arresto o comunque di rallentamento del transito del bolo alimentare nel suo passaggio dalla bocca allo stomaco.
FISIOLOGIA Il processo della deglutizione può essere distinto in 3 fasi successive: 1. FASE ORALE, sottoposta a controllo volontario2. FASE FARINGEA3. FASE ESOFAGEA
La FASE ORALE, a sua volta, è suddivisibile in una FASE ORALE PREPARATORIA ed in una FASE ORALE PROPULSIVA.
FASE ORALE PREPARATORIA È volontaria e comincia quando viene messo in bocca il cibo. È finalizzata alla creazione di un bolo alimentare deglutibile, cosa che avviene mediante masticazione, miscelazione ed insalivazione dei cibi. Il bolo, una volta preparato, viene accolto in una fossetta formata dalla lingua. Durante questa fase, il soggetto deve essere in grado di contenere il bolo nella cavità orale, senza perderlo né davanti, né indietro, né di lato.
FASE ORALE PROPULSIVA È volontaria e mediata dall’azione della lingua che si muove prima verso l’alto, schiacciando il bolo contro il palato duro, e poi all’indietro, spingendolo verso l’istmo delle fauci, dove elicita il riflesso faringeo della deglutizione.
FASE FARINGEA È involontaria e di durata < 1 sec, durante il quale si susseguono: ‐ Elevazione del cuscinetto di Passavant (palato molle), che chiude l’accesso al rinofaringe, prevenendo
così il rigurgito nasale. ‐ Avvio della peristalsi faringea, con contrazioni in discesa ‐ Posteriorizzazione della lingua e spostamento antero‐superiore dell’osso ioide, che raggiunge il margine
inferiore della branca orizzontale della mandibola ‐ Movimento antero‐superiore della laringe e chiusura dell’epiglottide, ostacolando così l’accesso del
bolo alle successive vie aeree ‐ Rilasciamento dello sfintere esofageo superiore
FASE ESOFAGEA È involontaria e caratterizzata dal transito del bolo alimentare lungo l’esofago, per azione della peristalsi primaria. Ha una durata di circa 8 sec. Termina con il passaggio del bolo alimentare nello stomaco, reso possibile dal rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore.
N.B. La deglutizione si perfeziona nel corso della vita fetale durante la quale il feto deglutisce liquido amniotico al fine di mantenere costante il volume del liquido prodotto per diuresi. La deglutizione fetale può essere apprezzata mediante Eco‐color‐Doppler.
che, invece, sono involontarie
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In base alla sede dell’alterazione deglutitoria, la disfagia viene classificata come:
Orofaringea
Esofagea Una disfagia che si manifesti durante la fase orale o entro il primo secondo successivo all’elicitazione del riflesso faringeo della deglutizione, soprattutto se accompagnata da rigurgito nasale, tosse e dispnea, è indicativa di un’alterazione oro‐faringea. Una disfagia che si manifesti dopo il primo secondo successivo all’elicitazione del riflesso faringeo della deglutizione, seguita o meno da rigurgito, è invece suggestiva di un’alterazione a carico del corpo dell’esofago o dello sfintere esofageo inferiore. Sotto il profilo patogenetico, la disfagia può essere causata da:
Ostacoli meccanici
Disordini funzionali
La disfagia da ostacoli meccanici è, di solito, costante ed ingravescente; riguarda prima i cibi solidi e poi anche quelli liquidi. La disfagia da disordini funzionali, invece, risulta intermittente e più rilevante per i liquidi che per i solidi (disfagia “paradossa”).
Disfagia oro‐faringea Riconosce cause ‐ funzionali, le più frequenti ‐ organiche Cause funzionali Patologie del SNC ‐ Accidenti cerebrovascolari ‐ Sclerosi laterale amiotrofica ‐ Morbo di Parkinson ‐ Morbo Alzheimer Malattie dei nervi periferici ‐ Paralisi del nervo laringeo ricorrente Malattie muscolo‐scheletriche ‐ Distrofie muscolari ‐ Miopatie infiammatorie ‐ Miastenia gravis Acalasia dello sfintere esofageo superiore (muscolo cricofaringeo) Cause organiche ‐ Raccolte ascessuali ‐ Neoplasie oro‐faringo‐laringee
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‐ Fibrosi post‐chirurgica e post‐radioterapica ‐ Glossectomia ‐ Diverticolo di Zenker ‐ Osteofiti esuberanti, in pz con cervico‐artrosi ‐ Gozzo Possibili complicanze sono: Cachessia Penetrazione ed aspirazione del bolo alimentare Si parla di penetrazione, quando il bolo alimentare, pur giungendo in laringe, resta al di sopra delle corde vocali. Si parla di aspirazione, quando il bolo alimentare supera le corde vocali. I fenomeni aspirativi sono responsabili dello sviluppo di polmoniti ab ingestis e di ascessi polmonari. Una disfagia oro‐faringea va sospettata qualora la difficoltà alla deglutizione denunciata dal pz si manifesti durante la fase orale o entro il primo secondo successivo all’elicitazione del riflesso faringeo della deglutizione, soprattutto se accompagnata da rigurgito nasale, tosse e dispnea. Nel sospetto di una disfagia oro‐faringea, l’iter diagnostico prevede l’esecuzione di: 1. Esame videofluoroscopico La videofluoroscopia oro‐faringea è un’indagine morfo‐funzionale che consente di:
Valutare l’anatomia di bocca, faringe, parte alta dell’esofago
Seguire la dinamica delle fasi orale e faringea della deglutizione N.B. Poiché la fase faringea del processo deglutitorio avviene in meno 1 secondo, durante il quale si susseguono circa 10 meccanismi, è necessario poter acquisire 12‐18 fotogrammi al secondo.
L’esame videofluoroscopico inizia con una valutazione di base, senza mdc, per lo studio della motilità del palato molle e delle corde vocali. ‐ La motilità del palato molle viene valutata analizzando la regione orofaringea in proiezione latero‐
laterale, mentre il pz pronuncia la parola “candy”. ‐ L’adduzione delle corde vocali viene invece valutata in proiezione antero‐posteriore, mentre il pz
pronuncia la lettera “i”. Si passa quindi alla fase contrastografica che prevede l’impiego di un mdc baritato, NON idrosolubile iperosmolare, la cui eventuale aspirazione potrebbe indurre, per richiamo di acqua, edema polmonare. La scelta della consistenza e del volume del mdc è condizionata dalle informazioni anamnestiche relative al problema disfagico del pz. Il mdc viene somministrato per os, invitando il pz a trattenerlo in cavo orale ed a deglutirlo dietro comando dell’operatore. Lo studio videofluoroscopico contrastografico si realizza in 2 proiezioni:
LL
AP Il processo deglutitorio viene meglio seguito in proiezione LL; la proiezione AP consente di apprezzare la simmetria dell’atto e di riconoscere ristagni monolaterali post‐deglutitori. La videofluoroscopia oro‐faringea permette di identificare eventuali fenomeni di penetrazione ed aspirazione del bolo alimentare ed il momento in cui essi si verificano. Quest’ultimo dato è importante perché orienta circa la condizione responsabile del disturbo.
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Il verificarsi, infatti, dei fenomeni di penetrazione ed aspirazione prima dell’elicitazione del riflesso faringeo della deglutizione, depone per l’incapacità del pz di
trattenere, in bocca, il bolo, che viene perso posteriormente (leakage)
durante la fase faringea della deglutizione, è compatibile con:
Incapacità dell’osso ioide di sollevarsi, rendendo la chiusura dell’epiglottide incompleta.
Errata chiusura dell’epiglottide, che si ribalta in maniera sbagliata
Mancata apertura dello sfintere esofageo superiore, che può dipendere da un ipertono del muscolo crico‐faringeo (acalasia dello sfintere esofageo superiore) oppure da un’inefficienza dei muscoli costrittori del faringe
dopo la fase faringea della deglutizione, depone per:
‐ Ritenzione del bolo nelle vallecule glosso‐epiglottiche ‐ Svuotamento tardivo di diverticoli e tasche ‐ Reflusso gastro‐esofageo, con il materiale refluito che supera lo sfintere esofageo superiore
L’indagine, infine, rende possibile il riconoscimento di una postura adattativa: posizione che consenta al pz di evitare il disturbo. Fattori limitanti l’accuratezza dell’esame sono:
Scarsa compliance del pz
Velocità evento
Complicata correlazione tra disordine motorio e reperto radiologico Attualmente, la videofluoroscopia oro‐faringea viene condotta in associazione ad un studio manometrico, realizzando, così, una videofluoromanometria. La componente manometrica dell’indagine si effettua mediante un sondino solido dotato di 3 micro‐trasduttori di cui: ‐ uno, è posto a livello del cuscinetto di Passavant (palato molle), per valutare la corretta chiusura del
rinofaringe durante fonazione e deglutizione; ‐ un secondo, in orofaringe; ‐ un terzo, in ipofaringe, a livello del SES Attraverso questi tre microtrasduttori, si quantificano: 1) Pressione sviluppata a livello del cuscinetto di Passavant 2) Forza della contrazione faringea 3) Entità del rilasciamento dello SES 4) Tempo relativo che intercorre tra tali eventi Ciò permette di stabilire l’alterazione che produce il disturbo. N.B. La RM non è ancora in grado di studiare le fasi oro‐faringee della deglutizione perché priva di una risoluzione temporale sufficientemente elevata.
2) Esame radiografico a doppio contrasto delle prime vie digestive, per identificare patologie non funzionali ma organiche a carico di tali distretti corporei, come raccolte ascessuali e tumori faringei
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Disfagia esofagea Una disfagia esofagea va sospettata qualora la difficoltà deglutitoria che il pz denuncia si manifesti dopo il primo secondo successivo all’elicitazione del riflesso faringeo della deglutizione, seguita o meno da rigurgito. Riconosce ‐ cause organiche, le più frequenti ‐ cause funzionali Le cause organiche sono rappresentate da lesioni ostruttive Intrinseche
Tumori esofagei
Stenosi secondarie ad esofagiti da reflusso, da caustici e da radiazioni ionizzanti
Estrinseche
Masse mediastiniche Le cause funzionali includono:
Acalasia
Spasmo esofageo diffuso
Sclerodermia Iter diagnostico Se il pz riferisce:
Disfagia esofagea costante ed ingravescente, prima per i solidi e poi anche per i liquidi
Sospettare una patologia organica dell’esofago
Esame di elezione: esofagogastroduodenoscopia Se non praticabile: esame radiografico dell’esofago a doppio contrasto
Disfagia intermittente e più rilevante per i liquidi che per i solidi (disfagia “paradossa”)
Sospettare una patologia funzionale dell’esofago Esame di elezione: videofluoromanometria esofagea Tale indagine consente, infatti, di correlare la visualizzazione dinamica per immagini dell’attività motoria dell’esofago con il dato pressorio intraluminale e sfinteriale N.B. Uno studio funzionale dell’esofago può anche essere praticato mediante scintigrafia con 99Tc‐solfuro colloidale nella quale una piccola quantità di radiofarmaco è introdotta in un bolo liquido, solido o semisolido che viene fatto ingerire al pz. Si acquisisce quindi una sequenza continua di immagini, con campo di vista esteso a tutto l’esofago ed al fondo gastrico.
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Carcinoma esofageo Se ne riconoscono due principali istotipi: ‐ Ca squamoso ‐ Adenocarcinoma Il ca squamoso, prevalente in passato, ha come FR: ‐ Consumo di cibi e bevande ad alta temperatura ‐ Abuso di alcol ‐ Acalasia ‐ S. di Pummer‐Vinson ‐ Lesioni esofagee da caustici L’adenocarcinoma, invece, generalmente insorge a livello del terzo inferiore del viscere, nel contesto di un esofago di Barret, metaplasia intestinale che complica un RGE. Il ca dell’esofago tende ad invadere precocemente le strutture mediastiniche circostanti, per l’assenza di un rivestimento sieroso. Clinica Si manifesta con:
Disfagia esofagea costante ed ingravescente, prima per i solidi e poi anche per i liquidi. Si tratta, tuttavia, di un sintomo tardivo, poiché compare solo quando i 2/3 del lume esofageo vengono occupati dalla neoplasia.
Dolore retrosternale
Calo ponderale Iter diagnostico Indagine d’elezione, nel sospetto di un carcinoma dell’esofago: esofagoscopia Si tratta di un esame sensibile e specifico, che consente di effettuare prelievi bioptici per la conferma istologica. Un’esofagografia a doppio contrasto resta comunque indicata per determinare:
Estensione longitudinale della neoplasia
Calibro del lume nel tratto stenotico
Presenza di tragitti fistolosi, che controindicano l’intervento chirurgico Per la stadiazione ci si avvale di: Ecoendoscopia Consente di stabilire:
Grado di infiltrazione neoplastica della parete esofagea, identificando forme limitate a mucosa e sottomucosa
Linfoadenomegalie periesofagee di presumibile natura metastatica Permette, inoltre, di guidare un agoaspirato transparietale dei linfonodi periesofagei, con l’intento di valutarne l’interessamento metastatico, sulla base di un esame citologico.
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TC del torace e dell’addome con mdc Pur non consentendo di stabilire l’entità dell’infiltrazione neoplastica delle pareti esofagee, permette di individuare:
Invasione tracheobronchiale, aortica e pericardica
Coinvolgimento della pleura mediastinica
Metastasi a carico di linfonodi mediastinici e sottodiaframmatici, ritenuti metastatici se il loro diametro trasverso supera i 10 mm (criterio dimensionale).
RM È più accurata della TC nel documentare l’eventuale infiltrazione neoplastica di pericardio, cuore e grossi vasi mediastinici PET‐FDG o, meglio, PET‐TC È indicata in pz ritenuti operabili per escludere, grazie all’elevato VPN, l’eventuale presenza di metastasi occulte che controindicherebbero l’intervento. Il principale limite risiede nell’assenza di una specificità assoluta in termini neoplastici. Le aree di ipercaptazione, infatti, possono essere di natura non solo neoplastica ma anche flogistica.
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Acalasia Disordine motorio dell’esofago caratterizzato da: 1. Incompleto rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore in seguito a deglutizione 2. Attività peristaltica assente o incoordinata Ciò comporta arresto del bolo alimentare a livello del 1/3 esofageo inferiore. L’ingresso degli ingesti nello stomaco avviene solo quando viene raggiunta, per gravità, in esofago una pressione superiore a quella di chiusura del SEI. Il ristagno del bolo alimentare in esofago provoca infiammazione della mucosa esofagea (esofagite) e, con il tempo, dilatazione ed allungamento del viscere che, in successione, assume un aspetto a fiasco, fusiforme, sigmoideo (dolicomegaesofago). L’infiammazione cronica della mucosa esofagea, inoltre, predispone allo sviluppo di un carcinoma squamoso dell’esofago. Si distinguono:
Forma primitiva/idiopatica
Forme secondarie a: ‐ Malattia di Chagas ‐ Neoplasie ‐ Neuropatie centrali e periferiche ‐ Accidenti cerebro‐vascolari ‐ Sindrome post‐vagotomica
La malattia attraversa 3 fasi successive: iniziale, di compenso e di scompenso In fase iniziale si hanno:
Disfagia paradossa – e, cioè, più rilevante per i liquidi che per i solidi – occasionale e di lieve entità
Dolore toracico ad insorgenza spontanea, simulante un’angina pectoris, per spasmo del corpo esofageo La II fase è quella di compenso in cui l’esofago si adatta al ristagno endoluminale di ingesti, dilatandosi. In questa fase, la disfagia ed il dolore toracico compaiono più raramente (falsa sensazione di miglioramento). Sono piuttosto presenti:
Alitosi
Eruttazioni
Rigurgito La III fase è quella dello scompenso in cui va a configurarsi il quadro del dolicomegaesofago. In questa fase si hanno:
Disfagia grave e persistente
Episodi di rigurgito
Odinofagia, dovuta ad un’esofagite da ristagno
Calo ponderale
Anemia
Fenomeni aspirativi con sviluppo di polmoniti ab ingestis ed ascessi polmonari Iter diagnostico N.B. Un esame radiografico diretto del torace NON è indicato per la diagnosi di acalasia perché offre segni caratteristici solo quando il lume dell’esofago è notevolmente dilatato:
Slargamento dell’ombra mediastinica, con doppio contorno cardiaco ed esofageo
Livelli idro‐aerei in esofago, a localizzazione paracardiaca dx
Scomparsa della bolla gastrica
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La diagnosi di acalasia, fin dalle sue prime due fasi, è piuttosto possibile solo mediante una videofluoromanometria esofagea, che prevede la contemporanea esecuzione di uno studio videofluoroscopico e manometrico dell’esofago. Consente quindi di correlare la visualizzazione dinamica per immagini dell’attività motoria dell’esofago con il dato pressorio intraluminale e sfinteriale. La componente videofluoroscopica dell’indagine viene condotta somministrando boli di 5 ml di un mdc baritato cremoso al pz in decubito supino, laterale dx e sin, prono – nei quali l’esofago è costretto a far progredire attivamente il bolo, senza l’aiuto della forza di gravità – ed infine in stazione eretta. ‐ Nella fase iniziale di malattia è apprezzabile solo un restringimento del tratto terminale dell’esofago,
con la peristalsi secondaria che può dimostrarsi esaltata. ‐ Nella seconda fase, di compenso, il corpo esofageo appare dilatato – con diametro compreso tra 3,5 e
6 cm – ma non allungato. ‐ Nella terza fase, di scompenso, si osservano:
corpo esofageo dilatato – con diametro > 6 cm – allungato e tortuoso, mostrando, pertanto, un aspetto simil‐sigmoideo (dolicomegaesofago)
tratto terminale dell’esofago con restringimento “a coda di topo” o “a becco di uccello”, distinguibile da una stenosi neoplastica per simmetria del raccordo e regolarità dei margini
Durante questa fase, la videofluoroscopia consente inoltre di apprezzare l’apertura a scatto del tratto terminale dell’esofago che avviene solo quando la colonna baritata raggiunge, in ortostatismo, un livello definito a cui corrisponde, per gravità, una pressione maggiore di quella di tenuta dello sfintere esofageo inferiore. Questo fenomeno si riproduce iterativamente nel tempo (segno “del livello costante”).
La componente manometrica dell’indagine conferma la diagnosi di acalasia evidenziando:
Incompleto o mancato rilasciamento del SEI in seguito a deglutizione
Contrazioni non peristaltiche di bassa ampiezza del corpo dell’esofago. Se le contrazioni non peristaltiche sono di ampiezza abnorme si parla di acalasia vigorosa.
Per lo studio della mucosa esofagea, che può esser sede di flogosi da stasi e di complicanze neoplastiche, è indicata l’esecuzione di: ‐ Esame radiografico dell’esofago a doppio contrasto ‐ Esofagoscopia.
Spasmo esofageo diffuso Disordine motorio dell’esofago distale e del SEI, caratterizzato da attività contrattile abnorme, scoordinata e non propulsiva. Etiologia
Idiopatico (maggior parte dei casi)
Secondario a:
Megaesofago
Sindrome di Plummer‐Vinson Quadro clinico
Dolore retrosternale intermittente
Disfagia esofagea più rilevante per i liquidi che per i solidi (disfagia “paradossa”) La sintomatologia viene aggravata dall’assunzione di bevande molto calde o molto fredde.
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Iter diagnostico Indagine d’elezione: videofluoromanometria esofagea che prevede la contemporanea esecuzione di uno studio videofluoroscopico e manometrico dell’esofago. Consente quindi di correlare la visualizzazione dinamica per immagini dell’attività motoria dell’esofago con il dato pressorio intraluminale e sfinteriale. La componente videofluoroscopica dell’indagine viene condotta somministrando per os boli di 5 ml di un mdc baritato cremoso a pz in decubito supino, laterale dx e sin, prono – decubiti nei quali l’esofago è costretto a far progredire il bolo attivamente, senza l’aiuto della forza di gravità – ed infine in stazione eretta. Dimostra un aspetto “a cavaturaccioli” dell’esofago, prodotto da contrazioni post‐deglutitorie sincrone, diffuse e non peristaltiche. Tra gli spasmi anulari possono comparire rigonfiamenti rotondeggianti e fugaci (pseudo‐diverticoli). A differenza dell’acalasia, l’esofago non è dilatato, non contiene ingesti ed il SEI si rilascia normalmente. La componente manometrica dell’indagine conferma la diagnosi, documentando, in termini pressori, l’ attività motoria abnorme.
Sclerodermia esofagea La sclerodermia danneggia, per sostituzione fibrotica, la muscolatura del corpo dell’esofago e lo SEI, provocando un deficit di peristalsi ed incontinenza cardiale. Dall’incontinenza cardiale deriva un RGE. Clinica L’interessamento dell’esofago nel pz sclerodermico può rimanere asintomatico o manifestarsi con: ‐ Disfagia paradossa, più rilevante per i liquidi che per i solidi ‐ Pirosi e rigurgito, da RGE secondario ad incontinenza cardiale Un’odinofagia (dolore alla deglutizione) è segno di esofagite da reflusso. Diagnostica x immagini L’indagine d’elezione per dimostrare il coinvolgimento dell’esofago in corso di sclerodermia è costituita da una videofluoromanometria esofagea che consente di correlare la visualizzazione dinamica per immagini dell’attività motoria dell’esofago con il dato pressorio intraluminale e sfinteriale. La componente videofluoroscopica dell’indagine viene condotta somministrando boli di 5 ml di un mdc baritato cremoso a pz in decubito supino, laterale dx e sin, prono – decubiti nei quali l’esofago è costretto a far progredire il bolo attivamente, senza l’aiuto della forza di gravità – ed infine in stazione eretta. Dimostra:
Peristalsi ridotta o assente
Svuotamento dell’esofago ottenibile solo per gravità, portando il pz in ortostatismo, con il bolo cremoso che scivola lungo una parete del viscere nel lume beante (segno “della goccia di cera”)
La componente manometrica dell’indagine documenta una ridotta attività motoria dell’esofago ed un’ipotonia del SEI Esofagografia con doppio mdc/EGDS Serve per riconoscere alterazioni muscose legate al ristagno di ingesti ed al RGE
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Reflusso gastro‐esofageo (RGE) Procedura elettiva per l’individuazione di un RGE è la pH‐metria. Si tratta di un’indagine invasiva che consiste nella registrazione del pH vigente in esofago per almeno 24h, mediante sondino naso‐esofageo. Vengono valutate:
% del tempo in cui il pH esofageo scende al di sotto di 4: nei soggetti normali tale % non supera il 6% delle 24. Se > 6% diagnosi di RGE
Numero e durata degli episodi di reflusso
Relazione tra episodi di reflusso e sintomi Una valida alternativa, soprattutto in età pediatrica, è la scintigrafia con 99mTc solfuro colloidale. Dopo somministrazione di un pasto fisiologico con aggiunta di 99mTc solfuro colloidale, se presente RGE, l’attività, inizialmente localizzata nello stomaco, risale in esofago. In un pz con RGE, COMPITI DELLA DxI sono: 1. Valutazione della superficie mucosa dell’esofago 2. Studio della giunzione esofago‐gastrica 3. Valutazione della peristalsi esofagea 4. Studio delle fasi orali e faringee della deglutizione 5. Valutazione post‐chirurgica 1. Studio della superficie mucosa esofagea
Può essere effettuato mediante: Esofagografia a doppio contrasto Dopo premedicazione con ipotonizzanti, il pz digiuno ed in stazione eretta, viene invitato ad ingerire una dose di polveri effervescenti. Il gas da esse rilasciato, distende il lume esofageo. Si somministrano quindi, per os, 50‐100 mL di una sospensione di solfato di bario ad elevata concentrazione ed a bassa viscosità, in maniera tale da verniciare a strato sottile ed uniforme la mucosa esofagea. Vengono poi assunti radiogrammi mirati in proiezioni oblique (per dissociare l’esofago dalla colonna vertebrale e dal cuore). Si passa infine al decubito prono, particolarmente utile per dimostrare eventuali ernie iatali.
Tale metodica ha una maggiore sensibilità nel documentare esofagiti da reflusso di grado severo, che si manifestano sotto forma di ulcere, ispessimento delle pliche, stenosi del lume. Sono tuttavia possibili falsi negativi in presenza di esofagiti da reflusso di grado lieve verso cui l’esofagoscopia, indagine complementare, mostra una più alta sensibilità. L’esofagografia a doppio contrasto presenta, comunque, sull’esofagoscopia una serie di vantaggi:
Accurata valutazione del calibro esofageo e della sua uniformità (considerando che l’endoscopio procede mediante insufflazione di aria)
Identificazione di impronte ab estrinseco e di lesioni sottomucose
Studio della giunzione esofago‐gastrica (2.) L’esofagografia a doppio contrasto, infatti, è l’unica indagine che documenti in maniera dettagliata:
Sede del cardias
Rapporto del cardias con il diaframma e con i dispositivi di continenza
Lunghezza dell’esofago sopra e sottodiaframmatico 3. Valutazione della peristalsi dell’esofago
Si distinguono 3 tipi di peristalsi esofagea: Peristalsi primaria Viene evocata dalla deglutizione Si tratta di una contrazione anulare progressiva che spinge il bolo verso lo stomaco La velocità dell’onda peristaltica è di 4 cm/sec considerando che l’esofago è lungo 32 cm, il bolo quindi impiega circa 8 sec per raggiungere lo stomaco
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Peristalsi secondaria Non è correlata alla deglutizione. Origina nel corpo esofageo per la stimolazione di recettori sensibili alla distensione (meccanismo di autopulitura). Peristalsi terziaria Consiste in contrazioni segmentarie ed inefficaci ai fini della progressione del bolo.
Viene condotta mediante una videofluoromanometria esofagea che prevede la contemporanea esecuzione di uno studio videofluoroscopico e manometrico dell’esofago. Consente quindi di correlare la visualizzazione dinamica per immagini dell’attività motoria dell’esofago con il dato pressorio intraluminale e sfinteriale. Da ciò deriva la possibilità di riconoscere: ‐ Alterazioni della peristalsi ‐ Ipotonia del SEI N.B. anche l’esofagografia a doppio contrasto fornisce informazioni circa la peristalsi esofagea, ricavabili valutando la clearance dell’esofago dal mdc. Se il pasto baritato rimane in esofago per più di 20 sec deficit di peristalsi
4. Studio delle fasi orale e faringea della deglutizione, attraverso una videofluoromanometria orofaringea, è indicato in quanto esistono disordini di tali fasi associati o secondari a RGE
5. Valutazione post‐chirurgica (post‐fundoplicatio)
Si esegue mediante: Esofagografia a doppio contrasto, che documenta:
Lunghezza, decorso e calibro dell’esofago sottodiaframmatico coinvolto nella plicatio e di quello non interessato dalla plicatura
Sutura dell’angolo di His (angolo acuto compreso tra il margine sin dell’esofago distale ed il fondo gastrico)
Eventuali insuccessi chirurgici: Risalita della cravatta in sede sopradiaframmatica Cravatta larga, che non esercita una pressione adeguata sull’estremità distale dell’esofago Cravatta troppo stressa, con conseguente stenosi dell’esofago distale Cravatta non confezionata con il fondo ma con il corpo dello stomaco Formazione di uno pseudo‐diverticolo Intussuscezione della mucosa esofagea che si invagina su se stessa e forma una sorta di tappo al di sopra
dello sfintere.
Ernie iatali Sono ernie diaframmatiche la cui porta è costituita dallo iato esofageo del diaframma. Classificazione Si distinguono in:
Ernie da scivolamento o di tipo I
Ernie da rotolamento, paraesofagee o di tipo II
Ernie miste o di tipo III
Ernie da esofago corto
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Ernie da scivolamento (o di tipo I) 75% di tutte le ernie iatali. Si caratterizzano per la risalita del cardias e di parte dello stomaco nel mediastino posteriore, attraverso lo iato esofageo slargato del diaframma. Per la scomparsa dell’angolo di His ed il cambiamento del regime pressorio a livello del cardias, viene favorito il reflusso gastro‐esofageo, principale responsabile della sintomatologia. Indagine strumentale d’elezione per la diagnosi: Esofagografia a doppio contrasto Tale indagine evidenzia, soprattutto a pz in decubito prono, con addome compresso da un cuscino, ed in inspirazione profonda:
Slargamento dello iato esofageo del diaframma
Tasca erniaria situata all’interno del mediastino posteriore e differenziabile dall’ampolla epifrenica per la presenza, nel suo contesto, di pliche mucose in continuità con quelle dello stomaco.
Giunzione esofago‐gastrica al di sopra del diaframma, con possibilità di apprezzare il cdt “anello B”. L’anello B è una salienza anulare della mucosa, normalmente situata nella porzione sottodiaframmatica del vestibolo esofageo. Corrisponde alla giunzione squamocolonnare o “linea Z” degli endoscopisti. Diviene radiologicamente riconoscibile solo quando risale al di sopra del diaframma.
Scomparsa dell’angolo di His
Esofago terminale flessuoso
Riducibilità dell’ernia portando il pz in stazione eretta
Nelle ernie da rotolamento, paraesofagee o di tipo II, il cardias resta al di sotto dello iato esofageo del diaframma. Ad erniare è, invece, il fondo gastrico, che risale nel mediastino posteriore, disponendosi su di un lato dell’esofago. Poiché il cardias mantiene la sua continenza, non si ha RGE e la sintomatologia risulta legata all’alterata funzione dello stomaco erniato ed alla compressione che esso esercita sul cuore e sul polmone. Indagine strumentale d’elezione per la diagnosi: Esofagografia a doppio contrasto Tale indagine evidenzia, soprattutto a pz in decubito prono, con addome compresso da un cuscino, ed in inspirazione profonda:
Giunzione esofago‐gastrica in sede normale
Conservazione dell’angolo di His
Tasca erniaria costituita dal fondo gastrico e situata nel mediastino posteriore su di un lato dell’esofago
Ernia non riducibile portando il pz in stazione eretta L’esofagografia a doppio contrasto permette, inoltre, di identificare condizioni pre‐erniarie, nelle quali il cardias perde l’aspetto “a rosetta” o “a muso di tinca” e le 2‐3 pliche corte radiali, mentre permane la plica lunga, che corrisponde al percorso seguito dal cibo.
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Diverticoli esofagei A seconda della composizione, si distinguono in:
Veri Sono rari, generalmente congeniti e costituiti da un’estroflessione di tutte le tonache della parete del viscere
Falsi Sono più frequenti, generalmente acquisiti e costituiti da un’estroflessione di mucosa e sottomucosa che si realizza attraverso le fibre della tonaca muscolare, a livello di zone di minore resistenza.
A seconda del meccanismo patogenetico, vengono classificati come:
Diverticoli da pulsione Sono legati ad un aumento della pressione endoluminale
Diverticoli da trazione Si verificano per stiramenti circoscritti a cui viene sottoposto l’esofago, come conseguenza di fenomeni aderenziali e cicatriziali periviscerali
Diverticoli misti A seconda della sede, si suddividono in:
Diverticoli faringo‐esofagei o di Zenker
Diverticoli medio‐toracici
Diverticoli epifrenici Per la diagnosi ci si può avvale di un’esofagografia a contrasto singolo o doppio Diverticoli faringo‐esofagei o di Zenker 65% dei diverticoli dell’esofago Si tratta di diverticoli da pulsione, secondari ad incoordinazione motoria tra faringe ed esofago, con conseguente un aumento della pressione endoluminale. Sono costituiti da un’estroflessione di mucosa e sottomucosa che si realizza attraverso la parete posteriore della giunzione faringo‐esofagea, in una zona di minore resistenza (triangolo di Killian), compresa tra il muscolo costrittore inferiore della faringe ed il muscolo cricofaringeo. Dopo somministrazione del mdc baritato, si manifestano come una sacca mediana, a convessità inferiore ed a maggior asse longitudinale, riempita parzialmente di bario e con livello idro‐aereo. La sacca è localizzata posteriormente all’esofago che risulta compresso ed anteriorizzato. Durante la deglutizione, la sacca diverticolare viene dislocata verso l’alto e si svuota parzialmente del suo contenuto. Diverticoli medio‐toracici 15% dei diverticoli esofagei Sono diverticoli da trazione, secondari ad aderenze fibrose tra parete esofagea e linfonodi tracheobronchiali, divenuti sclerotici per processi infiammatori generalmente di natura tubercolare. Radiologicamente, si presentano come una piccola tasca triangolare, riempita di bario, collegata all’esofago da un colletto ampio e corto. Diverticoli epifrenici 20% dei diverticoli esofagei Sono diverticoli da pulsione, secondari ad incoordinazione motoria tra corpo e vestibolo dell’esofago. Possono simulare un’ernia iatale paraesofagea o da rotolamento. Depongono per un diverticolo epifrenico: ‐ Normale posizione dell’esofago terminale e del fondo gastrico in riferimento alla cupola diaframmatica ‐ Assenza nel suo contesto delle tipiche pliche di mucosa gastrica
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Perforazione esofagea CAUSE
Rottura spontanea, a tutto spessore, della parete dell’esofago, durante vomito forzato (sindrome di Boerhaave),
Traumi penetranti del torace
Manovre strumentali endoscopiche
Ingestione di corpi estranei acuminati La perforazione dell’esofago determina il passaggio nel mediastino di aria, con enfisema mediastinico e di materiale esofago‐gastrico, con mediastinite. CLINICA Il sintomo principale è un dolore epigastrico improvviso, di tipo trafittivo, che si irradia alle scapole, talvolta preceduto da singhiozzo, nausea e vomito. Si associano:
Pallore
Sudorazione algida
Tachicardia DxI Nel sospetto di una perforazione esofagea, l’indagine strumentale di prima scelta è costituita da un esame radiografico diretto del torace Consente di riconoscere un enfisema mediastinico evidenziando, soprattutto in proiezione latero‐laterale, sottili strie radiotrasparenti che dissecano il mediastino e che spesso si prolungano nel collo. La presenza di aria nel mediastino, inoltre, può rendere apprezzabile la pleura mediastinica come una sottile stria radiopaca compresa tra la radiotrasparenza del parenchima polmonare e quella dello pneumomediastino. Lo sviluppo di una mediastinite è suggerito dal riscontro di un mediastino slargato, con margini mal definiti. Qualora il processo ascessualizzi, l’esame radiografico diretto del torace, in ortostatismo, dimostra, all’interno del mediastino, un livello idro‐aereo. L’iter diagnostico prevede, inoltre, l’impiego di: TC del torace Consente di individuare piccole raccolte gassose mediastiniche non riconoscibili all’esame radiografico diretto. In caso di mediastinite, evidenzia un aumento di densità del tessuto adiposo mediastinico e, poi, raccolte ascessuali. Raccolte ascessuali appaiono come lesioni ipodense con margini irregolari ed ispessiti che vanno incontro ad un intenso c.e. dopo somministrazione e.v. di un mdc idrosolubile. Tali lesioni tipicamente presentano nel loro contesto areole gassose. Transito esofageo con mdc idrosolubile Consente di diagnosticare la perforazione dell’esofago dimostrando il passaggio transmurale in mediastino del mdc. N.B. si ricorre ad un mdc idrosolubile perché il bario non può essere rimosso dal mediastino dove aggraverebbe la flogosi.
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Sindrome di Mallory‐Weiss Lacerazione longitudinale della mucosa e talora anche della sottomucosa (non trans‐murale) del tratto distale dell’esofago, che si verifica durante vomito ripetuto. Riguarda soprattutto maschi di età > 50 anni, con storia di alcolismo CLINICA Si manifesta con ematemesi e melena che fanno generalmente seguito ad episodi ripetuti di vomito DIAGNOSI EGDS Consente di dimostrare la presenza di lacerazioni superficiali o fessurazioni, a decorso longitudinale ed a sede mucosa, in sede iuxta‐cardiale
Varici esofagee e gastriche Sono dovute ad una condizione di ipertensione portale con apertura di shunts porto‐sistemici Diventano clinicamente evidenti solo quando vanno incontro a sanguinamento, determinando ematemesi e melena, segni di emorragia digestiva acuta prossimale. Nel sospetto di un’emorragia digestiva acuta prossimale, in prima istanza, va praticata un’EGDS che consente di: ‐ Individuare sede e causa dell’emorragia, con una sensibilità elevata ‐ Effettuare procedure terapeutiche, come l’iniezione di sostanze sclerosanti in sede intra e perivaricosa. La sensibilità della metodica, tuttavia, si riduce se l’emorragia è cospicua (> 0,5‐1 mL/min), poiché il sangue fresco o coagulato può mascherare la lesione sanguinante. In questo caso, l’EGDS deve essere seguita da un’angiografia, per:
Stabilire l’esatta sede del sanguinamento, riconoscibile in base al punto di stravaso del mdc nel lume del tubo digerente
Eseguire procedure terapeutiche, come:
Embolizzazione
Infusione di agenti vasocostrittori
Creazione di uno shunt porto‐sistemico trans‐giugulare intra‐epatico, TIPS Nei casi in cui l’emorragia sia minima o si sia arrestata, l’EGDS può essere sostituita da un esame radiografico delle prime vie digestive a contrasto singolo o, meglio, doppio.
Esame radiografico delle prime vie digestive a contrasto singolo Rivela: Multipli difetti di riempimento nodulari, a disposizione longitudinale nell’esofago distale e/o nel fondo gastrico, che producono un caratteristico aspetto “a legno tarlato”.
Esame radiografico delle prime vie digestive a doppio contrasto Consente di apprezzare direttamente il rilievo tortuoso della mucosa, sollevata dalla varicosità venosa È più sensibile di quello a contrasto singolo, documentando fasi più precoci ed offrendo una più precisa valutazione dell’estensione.
N.B. L’introduzione di bario nel tubo digerente non consente l’esecuzione né di un’EGDS, né di un’angiografia fino a quando il mdc non sia stato completamente rimosso.
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Gastriti L’esame radiografico delle prime vie digestive costituisce un’indagine di seconda scelta per la diagnosi di gastrite, perché meno sensibile e specifico di un’EGDS con biopsie. Comunque, ‐ nelle forme acute erosive – principalmente dovute a FANS, FAS, alcol, stress intenso – consente di
apprezzare le erosioni (perdite focali di mucosa che non superano la muscolaris mucosae) che appaiono come raccolte baritate situate al centro di un’area rotondeggiante radiotrasparente, costituita da mucosa sollevata per l’edema. Ciò produce un’immagine “a bersaglio”.
‐ nelle forme croniche atrofiche, rivela un disegno mucoso areolare e plicare scarsamente evidente. ‐ forma cronica ipertrofica di Ménétrier, mostra l’iperplasia e l’ipertrofia delle pliche che fanno loro
assumere un caratteristico aspetto “cerebroide”, ben visibili in corrispondenza di fondo e corpo gastrico, lungo la grande curvatura. L’antro è in genere risparmiato. La diagnosi differenziale va posta con un linfoma gastrico, che può simulare una gastrite ipertrofica. Nella malattia di Ménétrier, tuttavia, le pliche ipertrofiche sono più regolari, flessibili e limitate al corpo ed alla grande curvatura.
Ulcera peptica Consiste in una perdita di sostanza della parete gastrica e/o di quella duodenale che supera sempre la muscolaris mucosae e che viene prodotta dall’azione dell’HCl. SEDI L’ulcera gastrica più frequentemente si localizza a livello di:
Piccola curvatura
Parete posteriore dell’antro e del corpo Le ulcere duodenali, nella maggior parte dei casi, hanno sede bulbare. CAUSE L’infezione da Hp è la principale causa dell’ulcera peptica, essendo responsabile dell’80% delle ulcere gastriche e del 90% di quelle duodenali. Altre cause:
FANS e GC (ulcera peptica iatrogena)
Alcol
Fumo di sigaretta Esiste, inoltre, una forma idiopatica CLINICA Il sintomo cardine dell’ulcera peptica è il dolore. Si tratta di un dolore crampiforme, localizzato in regione epigastrica, con possibile irradiazione al dorso. ‐ Quello dell’ulcera gastrica, insorge subito dopo i pasti, che fungono da fattore scatenante, con il pz che
va incontro ad una riduzione dell’appetito. ‐ Quello dell’ulcera duodenale, invece, viene attenuato dall’assunzione di cibo, con il pz che conserva
l’appetito. Possono associarsi: pirosi gastrica, senso di ripienezza e gonfiore post‐prandiale. La sintomatologia ha un andamento cronico‐ricorrente, con riacutizzazioni prevalentemente stagionali (primavera ed autunno).
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Possibili COMPLICANZE sono:
Emorragia
Perforazione
Ostruzione
Cancerizzazione DIAGNOSI Nel sospetto di un’ulcera peptica, l’indagine strumentale di prima scelta è costituita da un’EGDS perché molto sensibile e perché consente di effettuare biopsie mirate che rendono possibile la diagnosi differenziale tra ulcera benigna ed ulcera neoplastica. Un esame radiografico a doppio contrasto delle prime vie digestive viene eseguito in pz anziani ed in quelli che rifiutano l’EGDS. Il pz – digiuno, pre‐medicato con ipotonizzanti e posto in decubito prono – viene invitato ad ingerire, prima, una dose di polveri effervescenti, in grado di sviluppare gas che distende il lume gastrico, e poi, sotto controllo radioscopico, 100 ml di una sospensione di solfato di bario ad elevata adesività e ad alta concentrazione, capace di indurre un verniciamento a strato sottile della mucosa gastrica. A verniciamento realizzato, viene assunta una sequenza standardizzata di radiogrammi dello stomaco e del duodeno, in decubito dorsale, in decubito ventrale ed infine in stazione eretta.
La presentazione dell’ulcera varia in funzione dell’angolo secondo cui viene investita dal fascio di radiazioni ionizzanti e dalla sua ubicazione sulla parete sotto‐ o soprastante rispetto al decubito del pz. Nella visualizzazione frontale, ‐ se l’ulcera è situata sulla parete sottostante, appare come raccolta radiopaca, rotondeggiante o
ovalare, talora circondata da un alone edematoso radiotrasparente. ‐ se l’ulcera è situata sulla parete sovrastante, assume un aspetto “a cerchiello”, poiché il bario ne
delimita solamente i margini. Nella visualizzazione di profilo, la nicchia si presenta come un’immagine di plus, con aspetto “a cupola”, “a bottone di camicia” o “a semiluna”. I reperti dell’esame radiografico a doppio contrasto delle prime vie digestive favoriscono, inoltre, la DD tra ulcera benigna ed ulcera maligna. Nell’ulcera benigna,
il cratere ulceroso è regolare e su di esso convergono pliche mucose, prive di aspetto nodulare.
la nicchia, vista di profilo, si proietta al di fuori del lume gastrico Nell’ulcera maligna, invece,
il cratere ulceroso è irregolare
le pliche mucose hanno un aspetto nodulare e presentano una brusca interruzione in prossimità del cratere (pliche mozzate)
la nicchia, vista di profilo, si proietta all’interno del lume gastrico, nel contesto di una massa parietale
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Sindrome di Zollinger‐Ellison È causata da tumori neuroendocrini secernenti gastrina (gastrinomi) e quindi responsabili di ipersecrezione gastrica. I gastrinomi, nel 75% dei casi, si localizzano a livello del pancreas. Altre possibili sedi sono:
Duodeno
Distretti extra‐intestinali L’ipersecrezione gastrica induce:
Ulcere peptiche multiple, refrattarie al trattamento medico
Diarrea I livelli ematici di gastrina risultano elevati. L’EGDS o un esame radiografico delle prime vie digestive a doppio contrasto dimostrano:
Pliche gastriche e duodenali marcatamente ispessite
Ulcere multiple a carico, non solo, di stomaco e bulbo duodenale, ma anche di altre porzioni del duodeno.
Per la ricerca del gastrinoma ci si può avvalere di: Ecografia, con quella transcutanea che tuttavia raramente consente di identificare a livello del pancreas il tumore, come una formazione nodulare, solida ipoecogena, a margini netti. Più sensibili sono l’ecografia perendoscopica (transgastrica o transduodenale) e quella intraoperatoria. TC con mdc, che presenta una buona sensibilità nel riconoscere gastrinomi pancreatici e duodenali. Quelli pancreatici appaiono come lesioni rotondeggianti, con margini netti, caratteristicamente dotate di un c.e. superiore a quello del parenchima circostante, per la ricca vascolarizzazione. Ciò favorisce la dd con un adenocarcinoma del pancreas che, essendo ipovascolarizzato, mostra un comportamento opposto. RM, che costituisce un’alternativa alla TC, nei pz che non possono ricevere mdc iodati Scintigrafia o, meglio, SPECT con 111In‐DTPA‐octreotide (analogo della somatostatina), molto sensibile nell’individuare gastrinomi e, più in generale, tumori neuroendocrini gastro‐entero‐pancreatici (NETs GEP), incluse eventuali lesioni secondarie, a patto che le loro cellule esprimano recettori per la somatostatina, attraverso cui si verifica la captazione del radiofarmaco. In questo modo, l’indagine consente anche la caratterizzazione biologica della neoplasia, utile per la pianificazione terapeutica. La captazione del radiofarmaco, infatti, indicando l’espressione di recettori per la somatostatina, permette l’impiego, con finalità terapeutica, di analoghi della somatostatina a lunga emivita. Per aumentare ulteriormente l’accuratezza diagnostica, ci si può avvalere di apparecchiature ibride, come una SPECT/TC, che integrano informazioni funzionali e morfologiche. N.B. Una PET‐FDG non è indicata nel sospetto di un NET‐GEP. I NETs, infatti, sono generalmente ben differenziati, presentando un basso tasso di proliferazione, una debole attività metabolica e quindi una scarsa captazione dell’FDG.
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La metodica è piuttosto indicata nel follow‐up dei casi già diagnosticati, per riconoscere eventuali lesioni secondarie ipercaptanti l’FDG, il cui riscontro costituisce un fattore prognostico sfavorevole perché suggestivo di de‐differenziazione. Qualora non sia stato ancora possibile individuare il tumore, ci si può avvalere di:
Angiografia
Cateterismo venoso selettivo dell’asse spleno‐portale con prelievi ematici mirati
Carcinoma gastrico È il tumore maligno dello stomaco più frequente. Si tratta di un adenocarcinoma, i cui fattori di rischio sono: 1. Familiarità 2. Consumo di cibi fortemente salati ed addizionati con nitrati 3. Gastrite cronica atrofica, con metaplasia intestinale, Hp‐correlata 4. Polipi adenomatosi gastrici 5. Gastroresezione, con ripristino della continuità digestiva mediante una tecnica che consenta il reflusso
bilio‐gastrico (Billroth II) 6. Gastropatia ipertrofica di Menetrier CLINICA Nelle fasi iniziali, il Ca gastrico risulta generalmente asintomatico o responsabile di una sintomatologia dispeptica aspecifica. In stadio avanzato, si possono avere:
Dolore epigastrico
Calo ponderale
Anoressia e nausea per i cibi carnei
Anemia, per lo stillicidio ematico cronico dalla neoplasia. Meno frequenti sono ematemesi e melena
Disfagia, nelle forme prossimali
Ripienezza e vomito post‐prandiali, nelle forme distali
Massa palpabile epigastrica
Segno di Troisier (tumefazione dei linfonodi sopraclaveari di sin, a cui il tumore ha metastatizzato) DIAGNOSI L’indagine strumentale d’elezione per la diagnosi è costituita da un’EGDS con biopsie che garantiscono: conferma diagnostica, definizione del tipo istologico e valutazione del grado di differenziazione della neoplasia. L’EGDS, tuttavia, è incapace di identificare lesioni sottomucose che non alterino la superficie della mucosa (caso del carcinoma gastrico scirroso, carcinoma infiltrante responsabile di un’intensa reazione desmoplastica nella sottomucosa e nella tonaca muscolare, a cui conseguono un’irregolare riduzione di ampiezza ed un’estrema rigidità del lume gastrico, configuranti il quadro della “linite plastica”). Un esame radiografico a doppio contrasto delle prime vie digestive viene generalmente eseguito in pz anziani, in quelli che rifiutano l’EGDS e nel sospetto di un carcinoma gastrico scirroso. Tale indagine può fornire reperti suggestivi di carcinoma gastrico, sia in fase precoce (early gastric cancer, tumore confinato alla mucosa o alla sottomucosa) sia in fase avanzata (advanced gastric cancer). Il reperto varia in base all’aspetto macroscopico della neoplasia.
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In particolare, l’early gastric cancer può presentarsi come una lesione: ‐ Protrudente ‐ Superficiale
Rilevata a placca
Piatta
Depressa ‐ Escavata L’advanced gastric cancer, invece, può presentarsi sotto forma di una lesione
Vegetante
Ulcerata
Infiltrante La forma vegetante appare come una massa che sporge nel lume gastrico, con superficie e margini irregolari. La forma ulcerata si caratterizza per:
cratere ulceroso irregolare
brusca interruzione, in prossimità del cratere, delle pliche mucose (pliche mozzate), che presentano un aspetto nodulare
proiezione della nicchia all’interno del lume gastrico, nel contesto di una massa parietale, quando vista di profilo
La forma infiltrante si manifesta come una riduzione di ampiezza del lume gastrico che, negli stadi avanzati, assume un aspetto “a clessidra”, per estensione circonferenziale della lesione. Alcuni tumori infiltranti provocano un’intensa reazione desmoplastica nella sottomucosa e nella tonaca muscolare (carcinoma gastrico scirroso) a cui conseguono un’irregolare riduzione di ampiezza ed un’estrema rigidità del lume gastrico, configuranti il quadro della “linite plastica”. N.B. La sensibilità della metodica nell’individuare carcinomi gastrici in fase precoce è influenzata, non solo, dalla qualità dell’indagine ma, anche, dalla sede. Risulta infatti più bassa per le localizzazioni pericardiali, peripiloriche ed alla parete gastrica anteriore. L’esame radiografico delle prime vie digestive a doppio contrasto si dimostra, invece, molto sensibile nell’identificare lesioni in fase avanzata, fornendo un contributo determinante soprattutto nel dimostrare carcinomi gastrici scirrosi. L’anelasticità parietale a mucosa integra, che tale neoplasia produce, può infatti sfuggire all’indagine endoscopica. Per la STADIAZIONE di un carcinoma gastrico ci si avvale di: Ecoendoscopia È la metodica di scelta per la determinazione pre‐operatoria del parametro T (estensione loco‐regionale della neoplasia) Consente, infatti, di stabilire con grande accuratezza il grado di infiltrazione neoplastica della parate gastrica, redendo possibile, a differenza di TC e RM, la distinzione di un T1 (tumore confinato alla lamina propria o alla sottomucosa: early gastric cancer) da un T2 (tumore che invade la tonaca muscolare). Punto di riferimento è il secondo strato ipoecogeno della parete gastrica, costituito dalla tonaca muscolare.
Permette inoltre di esaminare i linfonodi perigastrici, il cui interessamento metastatico è suggerito da: 1) Aumento delle dimensioni (> 10 mm) 2) Aspetto polilobulato 3) Marcata ipoecogenicità, con scomparsa della stria ipercogena centrale, rappresentata dall’ilo
classificazione di Bormann
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TC total body con mdc Permette di:
Stabilire l’estensione del tumore alla sierosa (T3) ed alle strutture adiacenti (T4)
Individuare metastasi linfonodali, ritenendo metastatici quei linfonodi il cui diametro trasverso supera i 10 mm (criterio dimensionale)
Riconoscere metastasi a distanza epatiche, peritoneali, ovariche (tumore di Krukenberg) e polmonari PET‐FDG È indicata in pz senza apparente diffusione metastatica della neoplasia alle metodiche morfo‐strutturali. La metodica è infatti dotata di un elevato VPN che consente di escludere, nei pz con negatività della PET, la presenza di metastasi occulte linfonodali ed a distanza. Limiti: 1. Bassa specificità 2. Assenza di un correlato anatomico, che può rendere difficoltosa la corretta localizzazione delle aree di
aumentata captazione del tracciante. Tale limite può essere superato integrando le informazioni funzionali, fornite dalla PET‐FDG, con informazioni anatomiche, fornite da metodiche morfostrutturali, come la TC (imaging molecolare integrato). L’integrazione o fusione dei dati funzionali e di quelli anatomici può essere software o hardware. ‐ Si parla di fusione software quando l’acquisizione delle immagini PET e TC viene realizzata
separatamente, avvalendosi di tecniche che trasformano geometricamente uno dei due studi tomografici in modo da rappresentare entrambi in un unico sistema di riferimento spaziale ed ottenere una corrispondenza puntuale delle stesse strutture anatomiche (co‐registrazione a posteriori).
‐ Si parla di fusione hardware quando la PET‐FDG e la TC vengono eseguite sequenzialmente in un’unica seduta diagnostica, con tomografo ibrido PET/TC, senza modificare la posizione del pz. Ciò consente di ottenere immagini funzionali (PET) e morfologiche (TC) direttamente co‐registrate. Nel complesso, la PET‐TC, ha mostrato un’accuratezza diagnostica superiore a quella di entrambe le tecniche prese singolarmente. N.B. Poiché l’irradiazione del pz deve essere mantenuta quanto più bassa possibile, la TC viene generalmente eseguita a basse dosi, risultando, pertanto, non diagnostica. Le immagini TC così ottenute, infatti, hanno il solo scopo di localizzare anatomicamente le aree di accumulo dell’FDG. N.B. La PET‐TC viene condotta sincronizzando l’acquisizione delle immagini agli atti del respiro (gating respiratorio) per evitare artefatti da movimento
Un PET‐TC viene inoltre impiegata per effettuare RISTADAZIONE nel sospetto di recidiva della malattia.
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Occlusioni intestinale/Ileo Per occlusione intestinale o ileo, s’intende un arresto della progressione del contenuto dell’intestino. È possibile distinguere:
Ileo riflesso spastico
Ileo riflesso ipotonico
Ileo meccanico
Ileo paralitico o dinamico L’ileo riflesso spastico e quello ipotonico rappresentano le prime due risposte a qualunque tipo di insulto addominale. Se la causa risiede in traumi dell’addome, processi flogistici del peritoneo, ischemia intestinale, intossicazione acuta da oppioidi e miorilassanti, fa seguito un ileo paralitico o dinamico, che si caratterizza per la paralisi della muscolatura liscia dell’intestino. Se invece la causa risiede in un ostacolo organico al transito intestinale, fa seguito un ileo meccanico. N.B. un ileo meccanico non trattato esita in perforazione con peritonite, responsabile di ileo paralitico. È possibile distinguere le seguenti forme di ileo meccanico (IM): 1. IM da otturazione
È dovuto alla presenza endoluminale di formazioni estranee, come: bolo alimentare, calcolo biliare migrato nel tenue attraverso una fistola bilio‐digestiva, neoformazione polipoide mobilizzatasi dallo stomaco o dal duodeno, tricobezoari. Non ha ripercussioni sul complesso ansa‐meso e sulla dinamica della circolazione ematica.
2. IM da restringimento Può esser dovuto ad un ispessimento patologico delle pareti intestinali, di natura infiammatoria (M. di Crohn) o neoplastica oppure ad una retrazione del mesentere che causa rigidità e deformazione della parete, con conseguente restringimento del lume.
3. IM da compressione È dovuto a processi extraintestinali che, comprimendo le anse intestinali, ne determinano un’ostruzione ab‐estrinseco. N.B. la compressione può anche essere esercitata da una porta erniaria rigida su tratti erniati di intestino.
4. IM da sbarramento È dovuto a formazioni patologiche esterne alle anse intestinali, come briglie ed aderenze, che ne inducono collabimento. N.B. Il 90% dei pazienti sottoposti a chirurgia addominale presenta aderenze.
5. IM da invaginazione È dovuto allo scivolamento di un tratto di intestino nel lume di un segmento intestinale adiacente. Tale evenienza può esser secondaria a neoformazioni polipoidi peduncolate, malattia celiaca, diverticolo di Meckel. N.B. L’ invaginazione dell’adulto, fino a prova contraria, deve essere considerata di natura neoplastica In base alla sede si distinguono invaginazioni:
Ileo‐ileali: ileo dentro l’ileo
Ileo‐cecali: tratto di ileo che, con la sua valvola, entra nella cosiddetta “ansa cieca”, parte iniziale a “cul di sacco” del colon
Ileo‐cieco‐coliche: ansa terminale dell’ileo che entra in un tratto più esteso di colon
Colo‐coliche
Appendico‐cecali : appendice che si inguaina nel cieco
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In riferimento alle ripercussioni sulla canalizzazione e sull’apporto ematico del tratto intestinale colpito, si distinguono invece: 1. Invaginazioni fredde
Condizione asintomatica senza dolore addominale né fenomeni occlusivi. Rappresenta un reperto occasionale e, di solito, ha sede entero‐enterica.
2. Invaginazioni calde, incomplete e reversibili Condizione in cui il segmento intestinale invaginato tende a disimpegnarsi spontaneamente, senza ripercussioni sul peduncolo vascolare . Si manifesta con crisi sub‐occlusive transitorie e ricorrenti.
3. Invaginazioni calde complete ed irreversibili Condizione caratterizzata dal simultaneo interessamento di un segmento intestinale e del suo peduncolo vascolare, a cui consegue un’occlusione intestinale stabile con progressiva insufficienza circolatoria (ernia strozzata dell’intestino nell’intestino).
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Qualora venga sospettato un ileo, come INDAGINE STRUMENTALE DI I LIVELLO, ci si avvale, di un esame radiografico diretto dell’addome. Se il pz è deambulante, l’esame radiografico diretto dell’addome va effettuato in ORTOSTATISMO e nelle 2 proiezioni ortogonali, PA e LL. L’ORTOSTATISMO ha lo scopo di: ‐ Rendere possibile, a progressione arrestata, la stratificazione dei liquidi e dei gas secondo la loro
densità, consentendo così la visualizzazione di livelli idro‐aerei. ‐ Favorire la disposizione di eventuale aria libera intraperitoneale, segno di perforazione, in sede
sottodiaframmatica, dove può essere dimostrata integrando l’esame radiografico diretto dell’addome con l’acquisizione di radiogrammi del torace, soprattutto in proiezione LL.
Se il pz non è deambulante, invece, l’esame radiografico diretto dell’addome, va effettuato in CLINOSTATISMO e nelle 2 proiezioni ortogonali, AP e LL. Nei pz non deambulanti, inoltre, sarebbe utile acquisire, quando possibile, anche un radiogramma dell’addome in DECUBITO LATERALE SIN ed in proiezione PA poiché permette di individuare eventuale aria libera in sede sottodiaframmatica. In base ai reperti forniti dall’esame radiografico diretto dell’addome è possibile stabilire presenza e tipo di ileo, che suggerisce la fase evolutiva della condizione morbosa.
Ileo riflesso spastico Nell’ileo riflesso spastico, l’esame radiografico diretto dell’addome rivela una matassa intestinale contratta e collabita, con scomparsa dei normali reperti meteorici addominali. L’ileo riflesso spastico rappresenta la prima risposta a qualsiasi tipo di insulto addominale. Può avere carattere transitorio, con risoluzione spontanea nell’arco di alcune ore, ma, il più delle volte, esita in un ileo riflesso ipotonico
Ileo riflesso ipotonico Nell’ileo riflesso ipotonico, l’esame radiografico diretto dell’addome evidenzia: 1. Distensione delle anse intestinali precedentemente collabite, da parte dell’aria compressa al loro
interno (“segno del mosaico d’aria”). 2. Assenza di livelli idro‐aerei, in ortostatismo, poiché le anse hanno appena subito distensione e la
progressione dei liquidi al loro interno non si è ancora del tutto arrestata. Ciò impedisce la stratificazione dei liquidi e dei gas secondo la loro densità.
L’ileo riflesso ipotonico viene anche definito pseudo‐meccanico poiché, come nell’ileo meccanico, le anse dilatate mostrano una disposizione orizzontale.
Ileo meccanico Si caratterizza per un arresto completo del transito intestinale di feci e gas, dipendente da un ostacolo organico, che può avere sede endoluminale, intramurale o extramurale. Se l’occlusione meccanica interessa il tenue, l’esame radiografico diretto dell’addome in ORTOSTATISMO rivela:
Anse a monte dell’ostruzione, dilatate e disposte orizzontalmente, in regione centro‐addominale, con pliche tenuemente radiopache che ne occupano l’intero diametro trasverso (valvole conniventi)
Vistosi livelli idro‐aerei caratteristicamente situati ad altezza diversa nelle anse dilatate adiacenti, segno della “scala a pioli”
Assenza di gas nel crasso, con scomparsa della cornice colica
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In CLINOSTATISMO, non sono più apprezzabili i livelli idro‐aerei. Se l’occlusione meccanica interessa il colon, l’esame radiografico diretto dell’addome in ORTOSTATISMO dimostra:
Distensione del tratto colico situato prima dell’ostacolo, riconoscibile per la disposizione periferica a cornice, con incisure occupanti solo parzialmente il diametro del lume (haustra coli) e con vistosi livelli idro‐aerei. Qualora la valvola ileo‐ciecale sia incontinente la distensione coinvolge anche il tenue.
In CLINOSTATISMO, non sono più apprezzabili i livelli idro‐aerei.
Ileo paralitico È caratterizzato da un arresto completo del transito intestinale di feci e gas, per paralisi della muscolatura liscia dell’intestino, il cui lume conserva la sua pervietà. All’esame radiografico diretto dell’addome si manifesta come una distensione uniforme dell’intero tratto GI, con scomparsa delle valvole conniventi e delle austrature coliche. Le anse intestinali dilatate tipicamente presentano una disposizione verticale. In ORTOSTATISMO, possono esser osservati livelli idro‐aerei, ma tutti posti alla stessa altezza (con assenza del segno della “scala a pioli”). Nello studio degli ilei, è utile associare, all’esame radiografico diretto, un’ecografia dell’addome L’ecografia dell’addome consente di valutare:
Attività peristaltica
Apprezzabile, almeno inizialmente, nell’ileo meccanico a monte dell’ostacolo
Assente, nell’ileo paralitico
Spessore delle pareti intestinali
Presenza di liquido libero extraluminale che, in assenza di altre cause, depone per una perforazione GI
In pz con un quadro radiografico di ileo meccanico, se si ipotizza l’interessamento del tenue, come INDAGINE STRUMENTALE DI II LIVELLO, va impiegata una TC dell’addome con mdc che:
Dimostra la sede dell’occlusione meccanica
Favorisce il riconoscimento della causa, anche quando questa ha sede extramurale
Permette di individuare l’eventuale sofferenza vascolare del tratto sovradisteso di intestino
Fornisce informazioni utili per la stadiazione, qualora la causa sia costituita da una neoplasia se si ipotizza, invece, l’interessamento del colon, INDAGINI STRUMENTALI DI II LIVELLO sono:
Clisma del colon con mdc idrosolubile, non irritante il peritoneo in caso perforazione Tale indagine è dotata anche di valore terapeutico perché capace di risolvere, per de‐rotazione, un eventuale volvolo del sigma.
TC dell’addome con mdc Preferibile nel sospetto di un’eziologia neoplastica dell’occlusione meccanica, perché capace di fornire informazioni utili ai fini stadiativi.
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Sulla base dei reperti forniti da esame radiografico diretto, ecografia e, soprattutto, TC con mdc dell’addome, l’ileo meccanico può essere classificato come:
Semplice
Scompensato
Complicato L’ileo meccanico semplice è uno stato occlusivo puro che si giova del posizionamento di un sondino naso‐gastrico e della terapia medica. L’ileo meccanico scompensato e quello complicato, invece, sono stati occlusivi in cui il tratto intestinale colpito vede alterata anche la propria vascolarizzazione. Queste forme di ileo meccanico non presentano miglioramenti significativi dopo posizionamento di un sondino naso‐gastrico. La distinzione tra le varie forme di ileo meccanico, fondamentale ai fini della pianificazione terapeutica, si basa sulla valutazione di: 1. Spessore e c.e. delle pareti intestinali 2. Presenza di liquido libero tra le anse 3. Aspetto del meso Reperti indicativi di ileo meccanico semplice 1. Pareti intestinali sottili e con normale c.e. 2. Assenza di liquido libero tra le anse 3. Meso non ingorgato Ileo meccanico scompensato Si caratterizza per un’alterazione del microcircolo parietale da parte della crescente tensione endoluminale. Ciò produce un flusso di liquido trasudato fuori dalla parete intestinale, verso il lume e la cavità peritoneale. Reperti indicativi sono: 1. Pareti intestinali sottili, dato che la tensione endoluminale le spreme “come una spugna” 2. Presenza di liquido libero extraluminale 3. Meso non ingorgato Ileo meccanico complicato Si tratta di uno stato occlusivo aggravato dalla sofferenza vascolare del tratto d’intestino dilatato a monte dell’ostacolo. La sofferenza vascolare può essere:
da lotta
da strozzamento
da strangolamento La sofferenza vascolare da lotta è circoscritta alla sede dell’occlusione ed è caratterizzata da un significativo rallentamento del circolo venoso intramurale. Inizialmente, la parete è di spessore normale o borderline. Tuttavia, il continuo afflusso di sangue realizza, nel tempo, un ingorgo, con ispessimento parietale e versamento peritoneale. Manca la partecipazione del meso. Definiscono il quadro di un ileo meccanico complicato da lotta: 1. Pareti più o meno ispessite, ma sempre con esaltato c.e. 2. Liquido libero intraperitoneale assente o presente 3. Meso non ingorgato
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Nella sofferenza vascolare da strozzamento ed in quella da strangolamento ad esser coinvolto è tutto il complesso anatomo‐funzionale ansa‐meso. Lo strozzamento consiste in uno schiacciamento ad anello concentrico di un’ansa e del suo meso Lo strangolamento, invece, consiste in una torsione assiale del complesso ansa‐meso In tali condizioni, il deflusso è quello che per primo subisce interruzione, essendo i vasi venosi più facilmente comprimibili. S’instaura, pertanto, un’ischemia venosa acuta secondaria, denunciata da: 1. Pareti intestinali ispessite, con esaltato c.e. 2. Presenza di liquido libero tra le anse 3. Meso ingorgato e, cioè, con una più intensa impregnazione contrastografica La compromissione del circolo arterioso risulta tardiva e viene suggerita dalla riduzione, fino alla scomparsa, del c.e. di parete delle anse colpite. Le conseguenze sono: necrosi, perforazione e peritonite.
Volvolo Consiste nella torsione assiale di un segmento intestinale sul proprio meso, con ostruzione sia prossimale che distale del lume. Per le sedi più frequenti, per la loro maggiore mobilità, sono: ‐ a livello del tenue, il tratto mesenteriale (digiuno‐ileale) ‐ a livello del colon, il sigma (55% dei casi) il segmento ileo‐ciecale (40%)
Condizioni predisponenti sono: 1. Ansa allungata, con punti di fissazione ravvicinati 2. Accollamento incompleto al peritoneo parietale 3. Abnorme lunghezza del meso Fattori favorenti includono: 1. Dieta a grande prevalenza di fibre 2. Stipsi cronica 3. Aderenze post‐chirurgiche 4. Patologie psichiatriche
Il volvolo generalmente si presenta con un quadro di occlusione meccanica, complicata da strangolamento. Lo strangolamento è un meccanismo lesivo che, per torsione assiale di tutto un complesso ansa‐meso, produce, non solo, uno stato occlusivo ma, anche, la sofferenza vascolare del tratto di intestino colpito. In tali condizioni, il deflusso venoso è quello che per primo subisce interruzione, essendo i vasi venosi più facilmente comprimibili. S’instaura, pertanto, un’ischemia venosa acuta secondaria. L’ostacolato deflusso venoso comporta: ‐ Congestione venosa ed emorragia intramurale, con ispessimento parietale ‐ Versamento peritoneale ‐ Ingorgo del meso, che va incontro ad infarcimento emorragico La compromissione del circolo arterioso è più tardiva e si realizza per uno spasmo arterioso riflesso, con dirottamento del sangue verso altri distretti intestinali. Se non s’interviene rapidamente, le conseguenze sono: necrosi, perforazione e peritonite.
Un volvolo del sigma, comunque, può anche manifestarsi, soprattutto nell’anziano, sotto forma di episodi sub‐occlusivi ricorrenti che si risolvono per de‐rotazione spontanea o provocata.
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Come INDAGINE STRUMENTALE DI I LIVELLO, ci si avvale – SE IL PZ È DEAMBULANTE – di un esame radiografico diretto del torace e dell’addome, da eseguire in ortostatismo ed in 2 proiezioni ortogonali, PA e LL. SE IL PZ NON È DEAMBULANTE, invece, ci si avvale unicamente di un esame radiografico diretto dell’addome, da effettuare in CLINOSTATISMO e nelle 2 proiezioni ortogonali, AP e LL. Nei pz con volvolo, l’esame radiografico diretto dell’addome offre reperti di ileo meccanico. In particolare, nei pz che presentano ‐ un volvolo del tenue, rivela… ‐ un volvolo ileo‐ciecale, è possibile osservare:
cieco fortemente disteso e con livello idro‐aereo anse del tenue prossimali al volvolo dilatate e disposte orizzontalmente, con livelli idro‐aerei situati ad altezza differente
(segno della scala a pioli) ‐ un volvolo del sigma, evidenzia:
notevole distensione del sigma, in cui si possono apprezzare 2 livelli idro‐aerei, corrispondenti alle parti prossimale e distale del tratto volvolato
crasso a monte del sigma disteso e riconoscibile per la disposizione periferica, a cornice, con incisure occupanti solo parzialmente il diametro trasverso (haustra coli) e vistosi livelli idro‐aerei.
N.B. È utile associare, all’esame radiografico diretto, un’ecografia dell’addome, che permette di apprezzare: ‐ Peristalsi intestinale esaltata, a monte del volvolo, almeno inizialmente ‐ Ispessimento di parete del tratto volvolato ‐ Liquido libero extraluminale, dovuto, prima, all’ischemia venosa acuta secondaria del segmento
intestinale coinvolto e, poi, ad una sua eventuale perforazione. Come indagine strumentale di II livello ci si può avvalere di una TC dell’addome con mdc che: ‐ Conferma l’esistenza e la sede del volvolo ‐ Dimostra segni di ischemia venosa acuta secondaria a carico del segmento intestinale colpito:
1. Pareti ispessite, con esaltato c.e. 2. Presenza di liquido libero tra le anse 3. Meso ingorgato e, cioè, con una più intensa impregnazione contrastografica
‐ Permette di riconoscere l’eventuale transizione verso la necrosi della parete intestinale, suggerita dalla riduzione, fino alla scomparsa, del suo c.e.
Nel sospetto di un volvolo del sigma, come indagine strumentale di II livello, è inoltre possibile impiegare un clisma del colon con mdc idrosolubile, dotato anche di valore terapeutico perché capace di de‐rotare il tratto volvolato.
Appendicite ITER DIAGNOSTICO La diagnosi di appendicite acuta può solitamente essere formulata sulla sola base di anamnesi, clinica e reperti di laboratorio (leucocitosi neutrofila) Il ricorso alla diagnostica per immagini è indicato in caso di: 1. Sintomatologia atipica, per porre diagnosi differenziale con altre patologie 2. Sospetto di complicanze L’indagine strumentale di prima scelta è l’ecografia dell’addome poiché presenta una sensibilità ed una specificità maggiori di quelle dell’esame radiografico diretto. Un ulteriore vantaggio è rappresentato dall’assenza di radiazioni ionizzati, particolarmente rilevante nei bambini e nelle donne in età fertile.
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Reperti ecografici di appendicite acuta sono: 1. Ispessimento parietale, con aumento di volume dell’appendice, il cui diametro esterno supera i 6 mm 2. Iperemia delle pareti appendicolari, al color‐Doppler 3. Dolorabilità elettiva alla pressione mirata (segno di McBurney ecografico) 4. Non comprimibilità dell’appendice 5. Presenza di appendicoliti nel lume del viscere 6. Ispessimento iperecogeno ed iperemico del mesenteriolo 7. Eventuale presenza di liquido libero peri‐appendicolare o di una raccolta ascessuale L’ecografia dell’addome consente, inoltre, la diagnosi differenziale con:
Patologie annessiali (come una gravidanza extrauterina)
Calcolosi urinaria Svantaggi:
Dipendenza dall’abilità dell’operatore
Riduzione dell’accuratezza diagnosti in pz obesi e con abbondante meteorismo intestinale Nei soggetti obesi, negli anziani (in cui la flogosi appendicolare generalmente presenta un decorso più severo) e nel sospetto di forme complicate (appendicite suppurativa o perforata) è preferibile l’impiego, già in prima istanza, di una TC dell’addome con mdc. Tale indagine, infatti, 1. non viene influenzata dalla costituzione del pz, 2. si dimostra maggiormente accurata nel determinare presenza ed estensione di raccolte ascessuali, 3. è molto sensibile nell’individuare aria libera intraperitoneale. Può essere inoltre impiegata per guidare il drenaggio percutaneo di un ascesso.
Diverticoli del colon I diverticoli del colon Possono essere:
Acquisiti (evenienza più frequente)
Congeniti (rari) I diverticoli acquisiti consistono in estroflessioni sacciformi di mucosa e sottomucosa che si realizzano laddove le arterie perforanti attraversano la muscolatura liscia circolare (punti di minore resistenza). Si tratta, pertanto, di diverticoli falsi o pseudo‐diverticoli. I diverticolo acquisiti sono generalmente multipli e di più frequente riscontro nel sigma dove, per il calibro ristretto, i livelli pressori endoluminali sono più elevati, in accordo con la legge di Laplace. La loro frequenza aumenta dopo i 60 anni, per la minore resistenza delle pareti intestinali. I diverticoli congeniti, invece, sono estroflessioni formate da tutti gli strati della parete intestinale (diverticoli veri)
Si parla di semplice diverticolosi del colon quando la presenza di diverticoli, in tale distretto intestinale, risulta asintomatica o responsabile di una sintomatologia confondibile con quella della sindrome dell’intestino irritabile (IBS):
Dolore addominale ricorrente, di tipo crampiforme, localizzato soprattutto in fossa iliaca sinistra
Alterazioni dell’alvo L’indagine strumentale d’elezione per documentare una diverticolosi del colon è rappresentata da un clisma del colon a doppio contrasto.
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Tale indagine si dimostra infatti molto sensibile nell’indentificare diverticoli del colon che, quando visti di profilo, caratteristicamente sporgono oltre i margini del lume colico; quando visti di fronte, appaiono come “anelli”, con profilo esterno netto e profilo interno sfumato. È preferibile alla colonscopia che può risultare difficoltosa e che può indurre perforazione, per impegno di false strade.
Si parla, invece, di Malattia Diverticolare in presenza di un quadro clinico derivante dall’infiammazione di un diverticolo del colon (diverticolite) o dal suo sanguinamento. Diverticolite Consegue ad una microperforazione della regione apicale di un diverticolo del colon. La microperforazione apicale risulta su base ischemica e s’instaura per la compressione dell’arteria nutritizia del diverticolo da parte di materiale fecale in esso ristagnante (coproliti). Alla microperforazione apicale consegue un processo flogistico localizzato in sede peridiverticolare. Si tratta, quindi, più propriamente di una peridiverticolite. Manifestazioni cliniche sono: Dolore in fossa iliaca sinistra, generalmente continuo, esacerbato dalla palpazione e dalla defecazione
Alterazioni dell’alvo: diarrea alternata a stipsi, diarrea intermittente
Possibili complicanze includono:
Perforazione coperta, con sviluppo di ascesso paracolico
Perforazione libera, con peritonite diffusa
Fistolizzazione
Occlusione intestinale Nel sospetto anamnestico e clinico di diverticolite acuta del colon, l’indagine strumentale d’elezione è costituita da una TC dell’addome con mdc che consente di riconoscere: 1. Diverticoli del colon 2. Ispessimento della parete e restringimento del lume del segmento colico in cui è situato il diverticolo
infiammato 3. Disomogeneità flogistica del tessuto adiposo pericolico 4. Eventuale formazione di ascessi paracolici ed a distanza 5. Presenza o meno di gas e materiale fecale in sede extraluminale, segno di perforazione libera Sulla base dei reperti TC è pertanto possibile classificare una diverticolite acuta del colon in diversi stadi di gravità crescente, che condizionano la scelta terapeutica: ‐ Stadio 0, ispessimento parietale e disomogeneità flogistica del tessuto adiposo pericolico ‐ Stadio 1, ascesso paracolico, confinato cioè all’adiacente mesocolon ‐ Stadio 2, ascesso a distanza (pelvico o retroperitoneale) ‐ Stadio 3, peritonite purulenta, da rottura in cavità peritoneale di un ascesso che non comunica con il
lume intestinale ‐ Stadio 4, peritonite stercoracea, da perforazione di un diverticolo, che crea una comunicazione tra lume
intestinale e cavità peritoneale La TC dell’addome con mdc permette inoltre di escludere altre patologie come un ascesso tubo‐ovarico. La TC, tuttavia, in pz con episodi subocclusivi ricorrenti, non permette la dd tra stenosi flogistica del sigma, secondaria a diverticolite cronica, e stenosi neoplastica.
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Tale DD viene invece favorita da un clisma del colon a doppio contrasto che in caso di stenosi flogistica del sigma, evidenzia:
Interessamento di un lungo tratto del sigma
Passaggio graduale da parete normale a parete alterata
Mucosa integra
Presenza di diverticoli sopra e sotto la stenosi in caso di Ca del sigma, rivela:
Interessamento di un breve tratto del sigma
Brusco passaggio da parete normale a parete alterata
Lesioni mucose
Assenza di diverticoli (la cui presenza, comunque, non permette di escludere il carcinoma)
Perforazione gastro‐intestinale Può costituire la complicanza di: 1. Lesioni ulcerative, principalmente di stomaco e duodeno 2. Patologie flogistiche, quali
‐ Appendicite acuta ‐ Diverticolite acuta ‐ Morbo di Crohn
3. Occlusione meccanica dell’intestino 4. Infarti intestinali 5. Procedure invasive (perforazioni iatrogene) Nei 2/3 dei casi, la sede della perforazione è gastro‐duodenale. Rappresenta la seconda causa più frequente – dopo l’appendicite – di addome acuto: sindrome caratterizzata da un intenso dolore addominale, di recente insorgenza e che necessita di una decisione riguardo all’opportunità di intervenire chirurgicamente per evitare una prognosi altrimenti sfavorevole. Nei pz che presentano un quadro di addome acuto, come INDAGINE STRUMENTALE DI I LIVELLO, ci si avvale – SE IL PZ È DEAMBULANTE – di un esame radiografico diretto del torace e dell’addome, da eseguire in ortostatismo ed in 2 proiezioni ortogonali, PA e LL. Nei pz capaci di mantenere l’ortostatismo, vi è indicazione a praticare un esame radiografico diretto del torace poiché solo tale indagine permette – soprattutto in proiezione LL – di individuare l’eventuale presenza di aria libera sotto‐diaframmatica, segno di perforazione gastro‐intestinale. La stazione eretta è richiesta appunto per consentire la raccolta dell’aria libera intra‐peritoneale al di sotto del diaframma. SE IL PZ NON È DEAMBULANTE, ci si avvale unicamente di un esame radiografico diretto dell’addome, da effettuare in CLINOSTATISMO e nelle 2 proiezioni ortogonali, AP e LL. Nei pz non deambulanti, inoltre, sarebbe utile acquisire, quando possibile, anche un radiogramma dell’addome in DECUBITO LATERALE SIN ed in proiezione PA poiché favorisce il riconoscimento di eventuale aria libera intra‐peritoneale.
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Sotto il profilo radiografico, una perforazione intestinale può essere denunciata da: 1. Segni di pneumoperitoneo 2. Segni di pneumoretroperitoneo 3. Segni di ileo paralitico Un ulteriore reperto radiografico indicativo di perforazione gastro‐duodenale è la 4. Fuoriuscita, in cavità peritoneale, di un mdc orale idrosolubile.
SEGNI RADIOGRAFICI DI PNEUMOPERITONEO Il principale segno radiografico di pneumoperitoneo consiste nella presenza di aria libera sottodiaframmatica apprezzabile, come una falce di ipertrasparenza, SOLO su radiogrammi del torace acquisiti a pz in ortostatismo, soprattutto, nella proiezione LL.
Segni radiografici di pneumoperitoneo osservabili su radiogrammi dell’addome acquisiti in decubito supino ed in proiezione AP sono: 1. Segno di Rigler o della doppia parete
Consiste nel fatto che entrambi i lati della parete intestinale vengono delineati dall’aria. La parete intestinale, pertanto, appare come una banda radiopaca compresa tra due radiotrasparenze gassose.
2. Segno del “cappello del doge”
Deriva dalla raccolta di aria nella “tasca di Morrison” o recesso sottoepatico posteriore dove produce un’immagine radiotrasparente la cui una forma grossolanamente triangolare ricorda, appunto, l’antico cappello dei Dogi di Venezia.
3. Presenza di gas nel recesso sottoepatico anteriore dove appare come una stria radiotrasparente,
parallela al bordo inferiore del fegato.
4. Segno del fegato luminoso Consiste in un’uniforme riduzione della radiopacità del fegato, per l’interposizione di una falda di ipertrasparenza tra la faccia ventrale dello stesso e la parete addominale anteriore
5. Evidenza di bolle anomale e, cioè, di immagini radiotrasparenti, soprattutto in corrispondenza del
fegato.
6. Presenza di gas nella retro‐cavità degli epiploon Si manifesta come una radiotrasparenza omogenea, occupante la linea mediana e delimitata, superiormente, dall’emidiaframma sin; inferiormente, dal colon trasverso; lateralmente, dal fegato e dalla milza; anteriormente, dallo stomaco.
7. Segno del bordo cardiaco inferiore
Appare come un’area di ipertrasparenza che delimita l’intero bordo inferiore del cuore fino all’apice ventricolare.
8. Segno della cupola
Si presenta come un’immagine di ipertrasparenza arcuata, con margine superiore netto e margine inferiore mal definito, situata a livello del recesso subfrenico anteriore.
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9. Segno del legamento falciforme Consiste nel fatto che il legamento falciforme diviene visibile sulle immagini radiografiche, per la favorevole situazione di contrasto creata dalla disposizione, lungo i suoi lati, di aria libera intraperitoneale, radiotrasparente. In particolare, il legamento falciforme appare come una sottile linea radiopaca semilunare delimitata da due bande di radiotrasparenza.
10. Segno dell’aria nella fessura del legamento rotondo, situata sulla faccia inferiore del fegato, tra la X e
la XII costa. Accoglie la porzione intraepatica del legamento. 11. Segno del legamento rotondo
Il legamento rotondo, residuo della vena ombelicale, viene, cioè, reso apprezzabile, sui radiogrammi dell’addome, come un cordone radiopaco, teso tra la propria fessura epatica e l’ombelico, dall’aria libera intraperitoneale, radiotrasparente, che si dispone ai suoi lati.
12. Segno della V invertita
Deriva dalla demarcazione, ad opera dell’aria libera intraperitoneale, radiotrasparente, delle pliche ombelicali mediali, contenenti i residui delle arterie ombelicali, che, come strie radiopache, riproducono l’immagine di una V capovolta.
13. Segno dell’uraco
Consiste nel fatto che la plica ombelicale mediana, contenete i residui dell’uraco, diviene visibile, sui radiogrammi dell’addome, come un’immagine radiopaca di forma conica, tesa, lungo la linea mediana, tra la cupola vescicale e l’ombelico, per il contrasto con l’aria libera intraperitoneale, radiotrasparente, raccolta ai suoi lati.
14. Segno del pallone da rugby
È così chiamato per la grande quantità di aria libera che, come un pallone ovale, distende tutta la cavità addominale. Si osserva solo nei primi 4 anni di vita.
15. Pneumo‐scroto, pneumo‐mesocolon, pneumo‐mesentere, pneumo‐omento Segni radiografici di pneumoperitoneo riscontrabili sui radiogrammi dell’addome acquisiti in decubito supino ed in proiezione LL 1. Presenza di gas tra la parete addominale anteriore e le anse 2. Segno del triangolo o del rombo
Consiste in raccolte d’aria, triangolari o romboidali, tra anse intestinali adiacenti. Segno radiografico di pneumoperitoneo apprezzabile sui radiogrammi dell’addome acquisiti in decubito laterale sin ed in proiezione PA 1. Presenza di gas tra la parete addominale dx ed il bordo laterale del fegato
N.B. Molte condizioni possono simulare la presenza di aria libera intra‐peritoneale, portando ad una falsa diagnosi di pneumoperitoneo. Tra queste condizioni, la più comune, consiste nell’interposizione di anse intestinali meteoriche tra diaframma e fegato (sindrome di Chilaiditi)
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N.B. Nei pz con perforazione intestinale può NON essere osservato uno pneumoperitoneo qualora:
il viscere perforato non contenga aria (caso del digiuno)
la perforazione abbia subito tamponamento
il gas libero sia stato saccato, sia stato completamente riassorbito o si trovi in quantità modesta (la minima quantità di gas dimostrabile all’esame radiografico diretto è infatti di 10 cc; di 2 cc alla TC)
Allo stesso modo, uno pneumoperitoneo NON SEMPRE è sinonimo di perforazione gastro‐intestinale. Le case di pneumoperitoneo possono, infatti, essere svariate ed includere: Paracentesi, interventi chirurgici
Esercizi post‐partum ed in gravidanza
Coito
SEGNI RADIOGRAFICI DI PNEUMORETROPERITONEO Lo pneumoretroperitoneo, va inteso come la presenza di gas libero nello spazio retroperitoneale. Tale evenienza si realizza qualora la perforazione interessi: 1. Tratti retroperitoneali del tubo digerente, quali:
II e III porzione del duodeno
colon ascendente e discendente 2. Punti di attacco dei mesi sui corrispondenti segmenti intestinali Lo spazio retroperitoneale è delimitato
superiormente, dal diaframma
inferiormente, dai vasi iliaci
in avanti, dal peritoneo parietale posteriore
in dietro, dalla fascia trasversale, che riveste i muscoli psoas e quadrato dei lombi Viene suddiviso in compartimenti da una serie di fasce orientate secondo il piano coronale: 1. fascia renale anteriore (di Gerota) 2. fascia renale posteriore (di Zuckerkandl) 3. fascia latero‐conale
La fascia renale anteriore e quella posteriore circondano, rispettivamente, il rene dal davanti e dal didietro, congiungendosi quindi tra loro lateralmente e medialmente. La fascia latero‐conale origina dalla congiunzione laterale delle fasce renali, anteriore e posteriore, per poi portarsi in avanti e lateralmente. I compartimenti che tali fasce suddividono sono: Spazio pararenale anteriore È delimitato in avanti, dal peritoneo parietale posteriore; in dietro, dalle fasce renali anteriori; lateralmente, dalle fasce latero‐conali, che circondano le docce parieto‐coliche. In basso, comunica con lo spazio retroperitoneale inferiore o iliaco. Accoglie, nel contesto di un tessuto adiposo:
Pancreas, centralmente
II e III porzione del duodeno, in sede paramediana
Colon ascendente e discendente, rispettivamente a dx ed a sin
La presenza di aria nello spazio pararenale anteriore si manifesta sotto forma di una radiotrasparenza “a bolle” o “a chiazze”, che produce un’immagine di “mollica di pane” o di “favo d’api”. Spazi perirenali Sono compresi tra le fasce renali anteriori e posteriori. Medialmente, vengono chiusi dallo strato profondo di Martin. Ciascuno di essi contiene: rene, surrene, vasi dell’ilo renale, pelvi renale, uretere prossimale. La penetrazione di aria negli spazi perirenali risulta rara.
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Spazi pararenali posteriori Sono delimitati in avanti, dalla fascia renale posteriore; in dietro, dalla fascia trasversale. In basso, comunicano con lo spazio retroperitoneale inferiore o iliaco. Non contengono organi ma solo tessuto fibro‐adiposo.
La presenza di aria negli spazi pararenali posteriori si manifesta sotto forma di una radiotrasparenza lineare o a banda verticale. Spazio perivasale È situato tra la fascia inter‐renale ed il congiungimento mediano delle fasce renali posteriori. Accoglie aorta addominale e vena cava inferiore. Lo spazio perivasale può essere raggiunto da gas se la perforazione avviene nel punto in cui i due foglietti del mesentere si accollano sulle anse di digiuno ed ileo. La presenza di aria nello spazio perivasale è documentabile solo mediante TC. Spazio retroperitoneale inferiore o iliaco È compreso tra il peritoneo parietale posteriore e la faccia antero‐mediale del muscolo ileopsoas. Costituisce la sede di confluenza degli spazi pararenali anteriore e posteriori che, comunque, mantengono la propria individualità in fatto di architettura del tessuto adiposo.
Pertanto, la presenza di gas nella porzione anteriore dello spazio retroperitoneale inferiore, si manifesta come una radiotrasparanza “a mollica di pane” o “a favo d’api”; nella porzione posteriore dello spazio retroperitoneale inferiore, invece, si manifesta come una radiotrasparenza lineare o a banda verticale.
SEGNI RADIOGRAFICI DI ILEO PARALITICO Distensione uniforme dell’intero tratto GI, con scomparsa delle valvole conniventi e delle austrature coliche. Le anse intestinali dilatate tipicamente presentano una disposizione verticale. In ortostatismo, possono esser osservati livelli idro‐aerei, ma tutti posti alla stessa altezza (con assenza del segno della “scala a pioli”). Nel sospetto di perforazione GI, di ausilio all’esame radiografico diretto è un’ecografia dell’addome. L’ecografia dell’addome, pur presentando una bassa sensibilità nell’identificare aria libera intraperitoneale, può rivelare un segno specifico di perforazione, il cdt “shifting fenomenon”: falda di aria libera che maschera l’immagine del fegato e che cambia sede al variare del decubito del pz. N.B. Qualora ciò non si verifichi, è segno che l’aria risulta contenuta in un’ansa intestinale interposta. Un ulteriore reperto ecografico, suggestivo di perforazione, consiste nella presenza di una falda liquida tra le anse intestinali, in mancanza di altra causa. In 1/3 dei casi, costituisce l’unico segno di perforazione. Nei casi dubbi, come indagine di II livello, si effettua una TC dell’addome con mdc che costituisce la metodica più sensibile e specifica nell’identificare aria libera all’interno del cavo peritoneale e dello spazio retroperitoneale.
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Infarto Intestinale Si distinguono, 1) Infarti intestinali, da
Occlusione dell’arteria mesenterica = infarti arteriosi (60‐70% dei casi) Superiore (irrorante tenue e colon destro)
Inferiore (irrorante la restante parte del colon)
Occlusione della vena mesenterica = infarti venosi (10% dei casi) 2) Infarti intestinali da ipoafflusso arterioso, senza occlusione vascolare come quelli dovuti a shock
ipovolemico (20‐30% dei casi)
3) Infarti intestinali come complicanza di altre patologie, tra cui:
Volvolo
Ernia strozzata Tali infarti intestinali sono definiti secondari
N.B. L’infarto intestinale, più frequentemente, interessa l’intestino del tenue dato che quest ultimo manca di arcate anastomotiche presenti, invece, a livello del colon, dove possono compensare l’eventuale occlusione di un vaso. Deve porre il sospetto di infarto intestinale la comparsa di un quadro di addome acuto in un soggetto con fattori di rischio, quali:
Vasculopatia polidistrettuale
Fibrillazione atriale
Stati di ipovolemia Qualora si abbia il sospetto di infarto intestinale, bisogna effettuare, in sequenza, nel giro di 5‐6 h:
Esame radiografico diretto dell’addome
Ecografia dell’addome
TC dell’addome con mdc (il cui impiego è fondamentale ai fini diagnostici) Non si usa la RM. Non è indicata, a scopo diagnostico, un’angiografia, perché incapace di riconoscere infarti intestinali da ipoafflusso.
Poiché il pz è generalmente non collaborante, l’esame radiografico diretto dell’addome viene effettuato in clinostatismo e nelle due proiezioni ortogonali antero‐posteriore e latero‐laterale. Tale indagine permette di riconoscere la presenza di un ileo – la cui tipologia varia in relazione al tempo trascorso dall’insulto – e, nelle fasi più avanzate, segni di perforazione intestinale. Ecografia dell’addome Viene impiegata per valutare:
Attività peristaltica
Spessore di parete delle anse intestinali
Presenza di liquido libero nei vari recessi del cavo peritoneale come quello di Douglas che, in ortostatismo, è il più declive e quello epato‐renale di Morrison che, invece, è il più declive in clinostatismo.
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TC dell’addome con mdc e.v. idrosolubile È l’indagine più accurata per la diagnosi di infarto intestinale, che si fonda su::
Reperti di vaso
Reperti di ansa Reperti di meso in base ai quali è anche possibile stabilire il tipo di infarto. In caso di Infarto intestinale da occlusione arteriosa, si avranno:
come reperto di vaso, presenza di un trombo arterioso, più facilmente riconoscibile all’origine
dell’arteria mesenterica superiore
come reperto di ansa, anse a pareti assottigliate (“papiracee”) e con ridotto c.e., perché il sangue non vi
giunge
come reperto di meso: meso non ingorgato, per la mancanza di apporto ematico
Infarto intestinale da occlusione venosa, si avranno:
come reperto di vaso, presenza di un trombo venoso
come reperto di ansa, anse a pareti ispessite e con esaltato c.e., poiché l’arteria continua a perfondere
il distretto intestinale colpito ma il sangue non defluisce
come reperto di meso: meso ingorgato e, cioè, con una più intensa impregnazione contrastografica,
perché il sangue che arriva non viene drenato
Infarto intestinale da ipoafflusso, si avranno:
nessun reperto di vaso
come reperto di ansa, anse a pareti assottigliate e con ridotto c.e.
come reperto di meso, meso non ingorgato, perché è diminuito l’apporto ematico
Segni radiologici erroneamente considerati necessari per la diagnosi di infarto intestinale: 1. Ostruzione dell’arteria o della vena mesenterica
Esiste, infatti, un infarto intestinale da ipoafflusso.
2. Ridotto contrast enhancement delle pareti intestinali Infatti, solo negli infarti intestinali da occlusione arteriosa ed in quelli da ipoafflusso le anse colpite non prendono contrasto (o ne prendono di meno). Al contrario, negli infarti intestinali da occlusione venosa, le pareti delle anse colpite mostrano un c.e. esaltato.
3. Ingorgo del meso Si osserva, infatti, solo in caso di infarto intestinale da occlusione venosa
4. Pneumatosi di parte Consiste nel passaggio di aria dal lume alla parete intestinale, attraverso soluzioni di continuo che si producono per necrosi ischemica. Non è detto che la pneumatosi parietale sia sempre apprezzabile poiché la sua presenza è legata al tempo trascorso dall’insulto. La pneumatosi di parete, inoltre, non è un segno specifico di infarto intestinale. Può infatti essere riscontrato anche in altre condizioni come una diverticolite.
5. Pneumoperitoneo e pneumoretriperitoneo Si osservano, infatti, solo in caso di perforazione dell’ansa necrotica
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N.B. I reperti delle indagini strumentali, in caso di infarto intestinale, sono condizionati da: 1. Natura dell’infarto, che può essere vascolare puro o secondario 2. Evento alla base di un infarto vascolare puro (occlusione arteriosa, occlusione venosa, ipoafflusso senza
occlusione) 3. Grado di riduzione dell’apporto ematico 4. Presenza o meno di circoli collaterali 5. Estensione del segmento coinvolto 6. Tempo trascorso tra insulto ed osservazione clinica
Si riconoscono, infatti, 4 tipologie di pazienti che possono giungere in PS con infarto intestinale: I. Pazienti che hanno appena avuto un infarto intestinale: fase 1 o dell’allarme
II. Pazienti con infarto intestinale da non più di 12 ore: fase 2 o del sospetto
III. Pazienti con infarto intestinale da più di 12 ore: fase 3 o della diagnosi conclamata
IV. Pazienti con infarto intestinale da molto tempo: fase 4 o della diagnosi tardiva
N.B. All’aumentare del tempo trascorso dall’insulto diminuisce la sopravvivenza
FASE 1 o DELL’ALLARME Rx diretta dell’addome Rivela:
Massa intestinale contratta e collabita, con scomparsa dei normali reperti meteorici (ileo riflesso spastico)
L’ecografia e la TC con mdc dell’addome confermano lo spasmo delle anse intestinali Raramente, in questa fase, la TC con mdc può rivelare la presenza di un trombo vascolare, nel caso di un infarto occlusivo. FASE 2 o DEL SOSPETTO Rx diretta dell’addome Evidenzia:
Distensione delle anse precedentemente collabite da parte dell’aria compressa al loro interno (segno del mosaico d’aria)
Assenza di livelli idro‐aerei (non necessari quindi per la diagnosi di infarto intestinale!) perché, in questa fase, le anse hanno appena subito distensione e la progressione dei liquidi al loro interno non si è ancora del tutto arrestata. Viene pertanto impedita la stratificazione, in ortostatismo, dei liquidi e dei gas secondo la loro densità.
Tali reperti configurano il quadro dell’ileo riflesso ipotonico definito anche pseudo‐meccanico poiché le anse dilatate appaiono disposte orizzontalmente, come nell’ileo meccanico. TC addome con mdc Può rivelare reperti di vaso, di meso e di ansa che consentono di porre diagnosi di infarto intestinale e di stabilirne la tipologia.
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FASE 3 o DELLA DIAGNOSI CONCLAMATA Rx diretta dell’addome Documenta un ileo paralitico o dinamico in cui le anse distese tipicamente presentano una disposizione verticale. Alla TC addome con mdc risultano ancora più evidenti i reperti di vaso, di meso e di ansa che consentono di porre diagnosi di infarto intestinale e di stabilirne la tipologia. FASE 4 o DELLA DIAGNOSI TARDIVA Rx diretta dell’addome Può mostrare:
Segni di ileo paralitico
Pneumatosi parietale
Segni di pneumo‐ e, talora, di pneumoretroperitoneo, da perforazione delle anse necrotiche.
Pertanto, una TC dell’addome con mdc non andrebbe eseguita immediatamente dopo la comparsa di una sintomatologia suggestiva di infarto intestinale poiché, in una fase molto precoce, non consente di
apprezzare quei reperti su cui si basa la diagnosi di tale condizione morbosa. Si correrebbe quindi il rischio di sprecare l’indagine.
Qualora venga sospettato un infarto intestinale bisogna piuttosto effettuare, in sequenza, nel giro di 5‐6 h:
Esame radiografico diretta dell’addome
Ecografia dell’addome
TC dell’addome con mdc
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Tubercolosi intestinale S’instaura per: 1. Auto‐infezione, secondaria all’ingestione di materiale proveniente da caverne tubercolari polmonari 2. Consumo di latte bovino contaminato Sedi elettive sono:
Ultima ansa ileale
Cieco‐ascendente L’indagine strumentale d’elezione per la diagnosi di TBC intestinale consiste in un clisma del tenue (o enteroclisi) a DC Tale indagine inizialmente evidenzia, a carico dell’ultima ansa ileale, formazioni simil‐polipoidi, prodotte dall’iperplasia dei follicoli linfatici. Ciò pone un problema di DD con un morbo di Crohn in fase precoce e con un linfoma MALT di basso grado. Si associa un aspetto frastagliato dei contorni, per fenomeni di ipertonia‐ipercinesia. In fase avanzata, l’ultima ansa ileale diviene atonica e marcatamente ristretta, soprattutto nel suo tratto terminale, per fibrosi ed il cieco appare ridotto ad una piccola estroflessione. Sembra, pertanto, che il mdc salti il cieco portandosi, direttamente, dall’ultima ansa ileale al colon ascendente (segno di Stierlin).
Malattia infiammatorie croniche intestinali (MICI) Includono:
Morbo di Crohn (MC)
Rettocolite ulcerosa (RCU) Caratteristiche comuni alle MICI
Etiologia sconosciuta
Esordio subdolo
Cronicità
Elevata gravità Caratteri differenziali
MC RCU
Può interessare tutto il canale alimentare, dalla bocca all’ano, mostrando, tuttavia, predilezione per l’ultima ansa ileale
Interessa esclusivamente retto e colon
Le lesioni sono segmentarie; coinvolgono la parete intestinale a tutto spessore; risultano asincrone (non presentano, cioè, tutte lo stesso stadio evolutivo)
Le lesioni sono continue, estendendosi dal retto al colon; si dimostrano superficiali, coinvolgendo esclusivamente mucosa e sottomucosa; risultano sincrone (presentano, cioè, tutte lo stesso stadio evolutivo)
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OBIETTIVI DELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NELLE MICI 1. Individuare la malattia 2. Determinarne l’estensione 3. Stabilirne l’attività
Morbo di Crohn (MC)
1. Individuare la malattia
Le indagini strumentali impiegate per individuare un MC variano a seconda che l’intento sia quello di: A. Porre una prima diagnosi di malattia B. Praticare follow‐up C. Ricercare complicanze D. Riconoscere recidive A. Per porre una prima diagnosi di MC ci si può avvalere di:
a) Radiologia tradizionale b) Ecografia c) Enteroclisi‐TC multistrato (MSTC‐E) d) Enteroclisi‐RM e) Medicina nucleare (scintigrafia con leucociti marcati)
a) Tra le tecniche radiologiche tradizionali, quella d’elezione, nel sospetto di un MC, è rappresentata da un’enteroclisi a doppio contrasto. Prevede l’introduzione, mediante sondino naso‐digiunale, di 200 ml di solfato di bario (I contrasto radiopaco) e, successivamente, di CO2 o metil‐cellulosa (II contrasto radiotrasparente). Il mdc radiotrasparente fa progredire il solfato di bario ‐ che, nella sua progressione, vernicia la mucosa del tenue ‐ ed al contempo distende il lume, rendendolo radiotrasparente. Ciò permette di individuare, per trasparenza, reperti situati anche in anse sovrapposte e non dissociabili. Dato che nel MC le lesioni sono asincrone, l’indagine consente di apprezzare, contemporaneamente, lesioni in diverso stadio evolutivo: 1) Iperplasia follicolare simil‐polipoide, mal differenziabile da quella di una TBC ileo‐ciecale e di
un linfoma MALT di basso grado. 2) Ulcere aftoidi che conseguono all’erosione superficiale dei follicoli linfatici ingranditi e che si
presentano come piccole nicchie di mdc, circondate da un alone radiotrasparente (edema periulceroso).
3) Ulcere p.d. (estese, cioè, oltre la tonaca mucosa), confluenti e con aspetto serpiginoso, la cui intersezione delimita isole di mucosa apparentemente indenne, ma sollevata per l’edema, producendo l’immagine di un acciottolato romano.
I tentativi di rigenerazione della mucosa portano alla comparsa di pseudopolipi: Per il coinvolgimento del meso, che s’ispessisce, aumenta la distanza tra il lume delle anse colpite e quello delle anse sane.
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Nelle forme complicate, l’enteroclisi a DC permette anche il riconoscimento di tragitti fistolosi e stenosi luminali. Le lesioni, inoltre, appaiono tipicamente discontinue e, cioè, intervallate da tratti di mucosa indenne. Un’ulteriore medica radiologica tradizionale utilizzabile per lo studio del tenue è il cdt tenue frazionato in cui il pz viene invitato ad assumere, per os, 500 cc di un pasto baritato, nel giro di 1 h. Si valuta, quindi, mediante radiografie seriate dell’addome, la progressione della colonna baritata nel tenue. Tale indagine consente solo di verificare la pervietà del lume digiuno‐ileale ed espone il pz ad un’alta dose di radiazioni ionizzanti. Attualmente, il tenue frazionato, viene impiegato solo prima di effettuare un’indagine con video‐capsula, per valutare se la progressione di quest’ultima possa essere arrestata da una stenosi. Tecniche di radiologia tradizionale praticate per identificare lesioni in altre porzioni del tubo digerente sono:
Clisma del colon a doppio contrasto
Esofagogastroduodenografia con doppio contrasto
N.B. è necessario utilizzare un doppio contrasto poiché solo in questo modo è possibile visualizzare le ulcere aftoidi.
b) Ecografia dell’addome, da effettuare con tecnica dedicata Requisiti essenziali sono:
Distensione sequenziale del lume intestinale
Allontanamento del contenuto gassoso Tali requisiti vengono soddisfatti facendo ingerire al pz circa 500 ml di fluidi anecogeni capaci di progredire lungo il tenue senza essere riassorbiti (un esempio è costituito da una soluzione salina isotonica di polietilenglicole, PEG). A carico delle anse colpite, può dimostrare:
Ispessimento parietale
Alterazioni vascolari, documentabili mediante CD
c) Enteroclisi‐TC multistrato (MSTC‐E) Nel paziente digiuno, dopo preparazione intestinale con lassativi iso‐osmolari (PEG) e premedicazione con metoclopramide, si procede ad un’intubazione digiunale per via nasale. Attraverso il sondino naso‐digiunale, viene somministrata una soluzione di metil‐cellulosa allo 0,5% (2 o più L in circa 20 min), il cui scopo è quello di distendere le anse intestinali. Si iniettano, quindi, per via endovenosa, a bolo, 100 mL di un mdc iodato idrosolubile, in modo da indurre un adeguato c.e. della parete intestinale. Viene infine effettuata una scansione volumetrica dell’intero addome, con acquisizione di più strati dello spessore impostato ad ogni rotazione del tubo radiogeno su 360°.
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Differisce pertanto dalla TC enterografi in cui si fanno bere al pz 2 L di una sospensione baritata molto diluita, a basso valore di attenuazione. Con questa tecnica, tuttavia, la distensione delle anse non è uniforme, perché condizionata dallo svuotamento gastrico. Non è quindi possibile stabilire con certezza se le anse collabite lo siano perché patologiche o perché prive di mdc.
La sensibilità dell’ enteroclisi‐TC multistrato varia in relazione allo stadio della malattia:
In stadio iniziale, è bassa, perché incapace di evidenziare le ulcere aftoidi
In stadio avanzato, è alta perché, consentendo lo studio dell’ambiente addominale circostante ai segmenti intestinali colpiti, rende possibile il riconoscimento di eventuali tragitti fistolosi e raccolte ascessuali.
I vantaggi dell’MSCT‐E consistono nell’essere una tecnica
Standardizzata
Digitale
Ad elevata risoluzione spaziale
Pan‐esplorante Svantaggi sono:
Utilizzo di radiazioni ionizzanti
Incapacità di riconosce le ulcere aftoidi
d) Enteroclisi‐RM Indagine alternativa all’MSCT‐E. Il mancato impiego di radiazioni ionizzanti la fa preferire, in soggetti giovani. Richiede l’uso simultaneo di: 1) Mdc endoluminale, introdotto previa intubazione digiunale, bifasico (capace, cioè, di emettere
un alto segnale nelle sequenze T2‐pesate ed un basso segnale in quelle T1‐pesate), il cui scopo è quello di distendere le anse intestinali
2) Mdc positivo (chelato del Gd), iniettato per via e.v., il cui compito è quello di fornire c.e. alla parete intestinale ed a reperti patologici
e) Scintigrafia con leucociti marcati Viene eseguita attraverso la re‐iniezione endovenosa di leucociti autologhi marcati con 111Indio‐ossina. I leucociti marcati sono captati dai focolai flogistici che, così, vengono evidenziati. Il principale vantaggio della metodica è costituito dall’elevata sensibilità nell’identificare anche i più piccoli focolai infiammatori. Svantaggi, sono:
Bassa risoluzione spaziale, che non consente una precisa localizzazione anatomica dei focolai di ipercaptazione leucocitaria
Bassa specificità, visto che le aree di accumulo dei leucociti marcati costituiscono un reperto aspecifico di infiammazione
Utilizzo di radiazioni ionizzanti (raggi gamma)
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N.B. La scelta della metodica per porre una prima diagnosi di MC viene condizionata da:
Disponibilità delle apparecchiature
Competenze mediche Una possibile strategia consiste nell’associare un’ MSTC‐E ad una scintigrafia con leucociti marcati, in modo da compensare i limiti di entrambe le metodiche. Infatti, mentre la scintigrafia con leucociti marcati conferisce all’approccio sensibilità, l’MSTC‐E assicura specificità e risoluzione spaziale, consentendo di stabilire natura e sede delle lesioni.
B. Per il follow‐up dei pz con malattia già diagnosticata, ci si avvale essenzialmente di un’ecografia
dell’addome, da praticare mediante tecnica dedicata C. Per ricercare complicanze, vanno effettuate indagini pan‐esploranti quali:
Enteroclisi‐TC multistrato (MSTC‐E)
Enteroclisi a RM (RM‐E)
In corso di MC, le principali complicanze sono:
Fistole
Stenosi serrate, che costituiscono l’esito fibrotico della flogosi
Risultano più frequenti nell’ileo distale
Si distinguono da quelle neoplastiche perché di lunghezza maggiore.
Possono causare fenomeni occlusivi responsabile di un esordio acuto del MC
Ascessi D. Per identificare recidive, si può ricorre a:
Radiologia tradizionale
Ecografia
Enteroclisi‐TC multistrato (MSTC‐E)
RM‐E
Medicina nucleare (scintigrafia con leucociti marcati)
2. Per stabilire l’estensione della malattia vengono praticate le stesse indagini, impiegate per la sua
individuazione 3. Per determinare l’attività della malattia, ci si può avvale di:
MSTC‐E, valutando reperti quali:
Attenuazione bianca o grigia
Presenza del segno dell’anello dell’acqua o del grasso
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Il riscontro di attenuazione bianca (mucosa più bianca, iperdensa), depone per malattia attiva Il riscontro di attenuazione grigia (mucosa più grigia, ipodensa), depone per malattia quiescente Il segno dell’anello dell’acqua, apprezzabile in sezioni coronali, consiste nel fatto che lo strato di mucosa è circondato da un cercine meno denso, con densità simile a quella dell’acqua, espressione di edema sottomucoso. La sua presenza è indicativa di malattia in fase attiva.
Il segno dell’anello del grasso apprezzabile in sezioni coronali, consiste nel fatto che lo strato di mucosa è circondato da un cercine la densità è simile a quella dell’adipe, espressione di involuzione fibrotica. La sua presenza, pertanto, è indicativa di malattia in fase quiescente.
Scintigrafia con leucociti marcati L’evidenza di focolai di ipercaptazione leucocitaria depone per malattia in fase attiva.
N.B. Una più accurata analisi dell’attività della malattia è garantita dalla combinazione di MSTC‐E e scintigrafia con leucociti marcati, per sommazione di un dato morfologico (MSTC‐E) ad uno funzionale (MN)
Rettocolite ulcerosa È una MICI che interessa esclusivamente il crasso. Le lesioni 1) sono continue, estendendosi dal retto al cieco; 2) si dimostrano superficiali, coinvolgendo esclusivamente mucosa e sottomucosa; 3) risultano sincrone (presentano, cioè, tutte lo stesso stadio evolutivo); 4) hanno un’elevata tendenza emorragica. Il sanguinamento rettale, pertanto, è il segno più costante. La complicanza più temibile è il megacolon tossico: distensione acuta del colon, accompagnata da segni di tossicità sistemica, quali febbre, disidratazione, squilibri elettrolitici. La diagnosi può posta semplicemente effettuando rettosigmoidoscopia con prelievi bioptici. Una pancolonscopia si rende comunque necessaria per stabilire l’estensione delle lesioni. Tali indagini endoscopiche hanno limitato l’impiego del clisma del colon a doppio contrasto. L’esecuzione di un clisma del colon a DC si articola in tre fasi fondamentali: 1. Preparazione del pz 2. Realizzazione del DC 3. Documentazione radiologica 1. Preparazione del pz
Ha lo scopo di eliminare radicalmente il contenuto fecale e di assicurare un adeguato grado di idratazione della mucosa colica. Ciò può essere ottenuto mediante un digiuno di almeno 6 h e facendo assumere al pz, per os, nel pomeriggio precedente l’indagine, 2L di una soluzione isotonica contenete PEG.
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2. Realizzazione del DC In occasione dell’indagine, viene introdotta nell’ampolla rettale una sonda a testa sferica e di calibro adeguato. Attraverso la sonda, si somministra una sospensione baritata che viene fatta scendere a caduta gravitazionale da un’altezza differenziale di circa 1 m rispetto al piano di appoggio del pz, inizialmente posto in decubito prono. La progressione del mdc è seguita fino alla flessura colica dx, sotto controllo radioscopico. Il pz è quindi posto in decubito supino, per agevolare il riempimento del cieco‐ascendente e poi, di nuovo, in decubito prono, per evitare l’inondamento dell’ultima ansa ileale. Il quantitativo necessario di sospensione baritata è di circa 700 mL. Successivamente, si somministrano endovena 20 mg di butilscopolamina, con la finalità di ridurre il tono e la motilità del crasso. S’ insuffla, infine, aria nel colon sotto controllo radioscopico con lo scopo di distendere il lume colico, che viene reso radiotrasparente, lasciando la sola superficie mucosa verniciata da un sottile strato di mdc radiopaco. A questo punto, è possibile assumere una sequenza codificata di 7 radiogrammi standard (3. Documentazione radiologica).
Nei pz con RCU, il clisma del colon a DC consente di: 1. Individuare la presenza della malattia
2. Localizzarne il fronte di avanzamento 3. Riconoscerne i vari stadi evolutivi:
In fase iniziale, rivela una mucosa con aspetto “a buccia d’arancia” per la presenza di ascessi miliariformi nelle cripte di Lieberkun.
Nella successiva fase pre‐ulcerosa, l’ampolla rettale ed il tratto distale del sigma assumono un aspetto “a vetro smerigiato”, appaiono, cioè, meno radiotrasparenti, per fenomeni di iperemia ed essudazione.
Nella fase ulcerosa conclamata, si apprezzano le lesioni ulcerative, come area sottominate, in cui ristagna il bario, con caratteristico aspetto “a bottone di camicia”.
In fase riparativa, la metodica rivela pseudopolipi infiammatori multipli
In fase cronica, il crasso presenta una mucosa atrofica e un calibro diffusamente ridotto, con scomparsa delle concamerazioni australi.
4. Differenziare una RCU da un MC colico N.B. Nel sospetto di una RCU, il clisma del colon a doppio contrasto deve essere sempre preceduto da una radiografia diretta dell’addome per escludere la presenza di un megacolon tossico, che controindicherebbe l’indagine. La presenza di un megacolon tossico va ipotizzata qualora il diametro del colon trasverso superi i 7 cm.
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Carcinoma del colon‐retto (CRC)
Il CRC costituisce, nei paesi Occidentali, la II causa di morte per cancro, all’interno del sesso maschile e la III,
all’interno di quello femminile.
Ha un picco di incidenza dopo i 50 anni, mostrando predilezione per il colon distale ed il retto.
Fattori di rischio sono: 1. Familiarità 2. Sindromi ereditarie Poliposi adenomatosa familiare Sindrome di Gardner (AD, caratterizzata da: poliposi adenomatosa retto‐colica, osteomi multipli
cranio‐facciali e delle ossa lunghe, tumori tessuti molli) Sindrome di Turcot (AR, caratterizzata da: poliposi adenomatosa retto‐colica, tumori SNC) Sindrome di Lynch I (AD, caratterizzata dall’alta incidenza di carcinomi colorettali ad insorgenza
precoce –anche prima dei 20 anni – con sede preferenziale nel colon prossimale, in assenza di polipi)
3. Dieta povera di fibre e ricca di proteine e grassi animali 4. MICI 5. Polipi adenomatosi Tubulari Tubulo‐villosi Villosi (a più alto rischio di trasformazione in carcinoma)
Nella quasi totalità dei casi consiste in un adenocarcinoma al cui sviluppo si giunge attraverso una sequenza ordinata di eventi caratterizzata dall’accumulo progressivo di mutazioni genetiche e nota come sequenza adenoma‐carcinoma. La presentazione macroscopica è variabile. Il carcinoma può infatti assumere un aspetto polipoide, piatto, anulare o scirroso. Possibile è il riscontro di più carcinomi colorettali simultaneamente (tumori sincroni, 1% dei casi) o in tempi successivi (tumori metacroni, 3% dei casi). Nel 20% dei casi, un carcinoma colorettale coesiste con uno o più polipi adiacenti (polipi sentinella o spia). La sintomatologia è generalmente assente nelle fasi iniziali di sviluppo e varia in relazione alla sede. I tumori del colon dx, infatti, si manifestano più tardivamente con:
Calo ponderale
Anemia microcitica, da sanguinamento cronico
Dolore addominale sordo I tumori del colon sin e del retto, invece, hanno un esordio clinico più precoce con:
Rettorragia
Stipsi improvvisa e non abituale
Tenesmo rettale La diffusione della neoplasia avviene per: ‐ Invasione diretta della parete colica, con possibile interessamento peritoneale ‐ Via linfatica, con comparsa di metastasi linfonodali, più comuni allorché il tumore si estenda oltre la
tonaca muscolare ‐ Via ematica, con comparsa di metastasi a distanza La sede più frequente di metastasi a distanza è il fegato, seguito dai polmoni
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Le metastasi polmonari hanno una maggiore incidenza nei pz con carcinomi del retto medio ed inferiore poiché il sangue venoso di tali regioni affluisce alla VCI attraverso le vene emorroidarie medie ed inferiori e la vena iliaca interna. Metastasi ossee sono estremamente rare in assenza di metastasi epatiche e polmonari. La diagnosi di CRC può esser posta nell’ambito di programmi di screening oppure in seguito ad una pan‐colonscopia con prelievi bioptici effettuata in pz sintomatici. La pancolonscopia tuttavia presenta una serie di limiti, quali: ‐ Difficoltà di raggiungere il cieco ‐ Impossibilità di valicare stenosi serrate ‐ Incapacità di individuare lesioni celate da pliche e flessure Nel caso di colonscopie ottiche incomplete, per cancri stenosanti, è indicato l’impiego di un clisma del colon a doppio contrasto o, meglio, di una colonscopia virtuale, con l’intento di identificare eventuali neoplasie sincrone. La colonscopia virtuale o colografia‐TC consiste in una TC spirale o MS, condotta previa preparazione intestinale e distensione gassosa del lume, i cui dati vengono elaborati mediante algoritmi per la resa prospettica di volume. Si procede quindi all’analisi del lume intestinale con programmi di navigazione endocavitaria. STADIAZIONE Per la stadiazione dei carcinomi localizzati al colon, ci si avvale di: ‐ TC MS dell’addome con mdc, meglio se eseguita come clisma‐TC, che prevede:
1. Accurata preparazione intestinale 2. Introduzione per via rettale di 1,5‐2 L di acqua o di una soluzione di metilcellulosa, allo scopo di
distendere le pareti intestinali 3. Iniezione e.v. di un mdc iodato, al fine di valutare il c.e. parietale Tale indagine permette di riconoscere:
Sconfinamento del tumore oltre la sierosa ed eventuale invasione degli organi adiacenti (T4)
Presenza e numero di metastasi a carico dei linfonodi regionali, ritenuti metastatici se il loro diametro trasverso supera i 10 mm
Presenza di metastasi a distanza, epatiche e peritoneali
‐ Esame radiografico standard o, preferibilmente, TC del torace, per la ricerca di metastasi polmonari Per la stadiazione dei carcinomi localizzati al retto, ci si avvale, invece, di: ‐ US transrettale, che consente di: Distinguere le diverse tonache della parete del retto e di stabilire l’estensione della neoplasia nel
loro contesto. Tale informazione è di notevole importanza, nei pz con neoplasie operabili del retto inferiore, ai fini della scelta chirurgica che può consistere in:
Escissione locale endoscopica trans‐anale, possibile esclusivamente per carcinomi del 1/3 inferiore del retto limitati alla sottomucosa (T1) ed alla tonaca muscolare (T2)
Amputazione addomino‐perineale Definire lo stato dei linfonodi loco‐regionali
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‐ RM pelvica con bobina endorettale, che permette di: Identificare la posizione del tumore rispetto alla riflessione peritoneale, al fine di stabilire se il
carcinoma interessi il retto intraperitoneale (III superiore del viscere) o quello extraperitoneale (III medio ed inferiore). Tale distinzione è importante in quanto i tumori del retto extraperitoneale presentano peculiarità, sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Nei pz con carcinomi del retto extraperitoneale, infatti, bisogna valutare:
Eventuale invasione del mesoretto (T3): struttura anatomica cellulo‐adiposa che avvolge il retto extraperitoneale e che risulta delimitata dalla fascia mesorettale
Distanza minima esistente tra qualsiasi struttura neoplastica del mesoretto (tumore primitivo o linfonodi) e fascia mesorettale. Tale distanza prende il nome di margine di resezione circumferenziale (CRM) e costituisce il più accurato predittore di recidiva dopo trattamento.
Eventuale superamento della fascia mesorettale, con infiltrazione di organi adiacenti (T4). Per la valutazione di tali aspetti, la RM si dimostra più accurata della TC grazie alla sua maggiore risoluzione di contrasto nell’ambito dei tessuti molli ed alla sua multiplanarità.
‐ Ecografia o, preferibilmente, TC con mdc dell’addome, per la ricerca di metastasi epatiche. ‐ TC con mdc del torace, per la ricerca di metastasi polmonari, indispensabile nei tumori del retto medio
ed inferiore il cui sangue venoso affluisce alla VCI, attraverso le vene emorroidarie medie ed inferiori e la vena iliaca interna.
PET‐FDG Viene impiegata a scopo stadiativo solo nei pz con lesioni metastatiche potenzialmente operabili, per escludere, in virtù dell’elevato VPN, la presenza di ulteriori metastasi occulte che controindicherebbero l’intervento. La metodica, tuttavia, mostra una serie di limiti, quali: 1. Bassa specificità, che rende necessaria la conferma bioptica in caso di positività dell’indagine 2. Assenza di un correlato anatomico, che può rendere difficoltosa la corretta localizzazione delle aree di
aumentata captazione del tracciante. Tale limite può essere superato integrando le informazioni funzionali, fornite dalla PET‐FDG, con informazioni anatomiche, fornite da metodiche morfostrutturali, come la TC (imaging molecolare integrato). L’integrazione o fusione dei dati funzionali e di quelli anatomici può essere software o hardware. ‐ Si parla di fusione software quando l’acquisizione delle immagini PET e TC viene realizzata separatamente,
avvalendosi di tecniche che trasformano geometricamente uno dei due studi tomografici in modo da rappresentare entrambi in un unico sistema di riferimento spaziale ed ottenere una corrispondenza puntuale delle stesse strutture anatomiche (co‐registrazione a posteriori).
‐ Si parla di fusione hardware quando la PET‐FDG e la TC vengono eseguite sequenzialmente in un’unica seduta diagnostica, con tomografo ibrido PET/TC, senza modificare la posizione del pz. Ciò consente di ottenere immagini funzionali (PET) e morfologiche (TC) direttamente co‐registrate. Nel complesso, la PET‐TC, ha mostrato un’accuratezza diagnostica superiore a quella di entrambe le tecniche prese singolarmente. N.B. Poiché l’irradiazione del pz deve essere mantenuta quanto più bassa possibile, la TC viene generalmente eseguita a basse dosi, risultando, pertanto, non diagnostica. Le immagini TC così ottenute, infatti, hanno il solo scopo di localizzare anatomicamente le aree di accumulo dell’FDG. N.B. La PET‐TC viene condotta sincronizzando l’acquisizione delle immagini agli atti del respiro (gating respiratorio) per evitare artefatti da movimento
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RISTADIAZIONE Per ristadiazione, s’intende la rivalutazione dello stadio della neoplasia dopo trattamento. In seguito ad un intervento chirurgico radicale, la procedura di ristadiazione deve essere avviata qualora le indagini di follow up pongano il sospetto di recidiva della neoplasia. Nei pz con carcinoma del colon‐retto, il sospetto che la neoplasia abbia recidivato, dopo intervento chirurgico radicale, può ad esempio sorgere per l’aumento dei markers tumorali, come il CEA, periodicamente dosati durante il follow‐up. Il tumore è in grado di recidivare sia localmente che con metastasi linfonodali ed a distanza. La recidiva locale è appannaggio pressoché esclusivo delle forme rettali e va ricercata, in primis, mediante una RM pelvica con bobina endorettale. La RM risulta infatti superiore alla TC nel differenziare una lesione fibrotico‐cicatriziale da una recidiva neoplastica, mancando tuttavia di una specificità assoluta. Per la ricerca di metastasi linfonodali ed a distanza (epatiche e polmonari) è possibile effettuare una TC di addome e torace con mdc. Qualora, nel sospetto di recidiva della malattia, l’imaging convenzionale si dimostri negativo o dubbio, è indicata l’esecuzione di una PET‐FDG o, meglio, di una PET‐TC. Tale indagine, infatti, per l’elevato VPN, consente di: ‐ Distinguere tra recidiva locale e fibrosi, non potendo esserci captazione in assenza di cellule. ‐ Escludere metastasi linfonodali ed a distanza
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Stipsi e dischezia La stipsi si caratterizza per un rallentato transito delle feci attraverso l’intestino, con l’evacuazione che avviene normalmente ampolla rettale vuota Nella dischezia non vi è un rallentato transito intestinale delle feci, ma la loro evacuazione risulta difficoltosa ampolla rettale piena La DD tra stipsi e dischezia è resa possibile dalla valutazione del tempo di transito intestinale totale. Tale valutazione prevede che il soggetto ingerisca una capsula di materiale radio‐opaco al giorno, per sei giorni. Ciascuna capsula contiene 10 markers radio‐opachi, costituiti da sostanze inerti quali gelatina, poliuretano, solfato di bario. Il soggetto, quindi, ingerisce un totale di 60 markers (10x6). I markers ingeriti in ciascuno dei 6 gg presentano forme differenti, per consentirne la distinzione.
Il settimo giorno, alla stessa ora, si effettua una radiografia dell’addome che permette di stabilire: ‐ Tempo di transito intestinale totale, attraverso una formula in cui viene considerato il numero dei
markers residui (il limite è 50) ‐ Localizzazione dei markers eventualmente ritenuti. Se: ‐ Tempo di transito intestinale è globalmente prolungato ‐ I markers ritenuti sono omogeneamente distribuiti nel tenue e nel colon
Il pz. è stitico
Se: ‐ Tempo di transito intestinale non è globalmente prolungato ‐ I markers ritenuti sono prevalentemente accumulati nel retto
Il pz. è dischezico
Nel pz. dischezico l’iter diagnostico prosegue con: US endoanale 3D Serve per stabilire se la difficoltà evacuativa del pz. sia dovuta ad una neoplasia (carcinoma squamoso dell’ano). Consente, inoltre, di precisare i rapporti che un eventuale tumore stabilisce con lo sfintere anale interno ed esterno, fornendo informazioni circa il grado di infiltrazione parietale.
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Nel pz dischezico in cui sia stata esclusa una neoplasia dell’ano, per indagare circa la sua difficoltà evacuativa, va praticata un’entero‐cisto‐colpo‐defecografia che consente di effettuare uno studio morfo‐dinamico della regione pelvica. L’indagine prevede, innanzitutto, la somministrazione orale di un mdc baritato, nella misura di 200 cc, al fine di studiare le anse ileali e riconoscere un eventuale enterocele. Trascorsi 90 minuti (periodo di tempo necessario per la visualizzazione del tenue), si procede con:
Immissione in vescica di un mdc radiopaco (iodato idrosolubile), mediante catetere
Instillazione, nella donna, di un gel vaginale reso radiopaco dall’aggiunta di un mdc iodato
Introduzione nel retto di una piccola quantità di un mdc baritato ad alta viscosità, in maniera tale da verniciare la mucosa e, successivamente, di una pasta radiopaca di adeguata consistenza (amido di patata + solfato di bario), il cui compito è quello di distendere completamente l’ampolla.
Si tratta, pertanto di una “defecografia a 4 contrasti” . Il pz viene quindi fatto sedere su di un’apposita sedia di materiale radiotrasparente, assumendo, sotto osservazione radioscopica, radiogrammi mirati, in proiezione LL, a riposo, in contrazione muscolare, in ponzamento, durante la defecazione, durante sforzi post‐defecatori. Lo studio viene completato in circa 15 min.
La regione anatomica visualizzata (pelvi in proiezione laterale) può essere suddivisa in tre segmenti:
Anteriore, che include vescica ed uretra
Medio, che include la vagina
Posteriore, che include il retto
Sui radiogrammi della pelvi in proiezione LL si valutano, nelle varie fasi dell’esame, diversi parametri, tra cui
ampiezza dell’angolo ano‐rettale e sua distanza dalla linea pubo‐coccigea (che segna la posizione del
pavimento pelvico).
L’angolo ano‐rettale è costituito dall’intersezione dell’asse longitudinale dell’ampolla rettale con quello del canale anale ed ha un’ampiezza che dipende dall’attività contrattile del muscolo pubo‐rettale. In condizioni di riposo, infatti, la contrazione tonica del muscolo pubo‐rettale rende l’ampiezza dell’angolo
compresa tra 90 e 110°, il che contribuisce al mantenimento della continenza.
Durante il ponzamento, invece, il muscolo pubo‐rettale si rilascia, determinando: aumento d’ampiezza dell’angolo ano‐rettale e discesa del pavimento pelvico, con l’evacuazione che, così, diventa possibile. Nei pz dischezici, il muscolo pubo‐rettale resta contratto durante il ponzamento, impedendo l’aumento di ampiezza dell’angolo ano‐rettale e la discesa del pavimento pelvico, con conseguente ostacolo all’evacuazione. Tale condizione viene indicata come sindrome del muscolo pubo‐rettale ed è documentabile mediante entero‐cisto‐colpo‐defecografia.
L’entero‐cisto‐colpo‐defecografia consente, inoltre, il riconoscimento di eventuali alterazioni morfologiche
dei visceri pelvici secondarie agli eccessivi ponzamenti che il pz dischezico effettua in risposta alla sua
difficoltà evacuativa.
Un’alternativa all’entero‐cisto‐colpo‐defecografia è la defeco‐RM.
La defeco‐RM offre informazioni simili, ma con maggiore panoramicità, con minore disagio per il pz e senza
impiegare radiazioni ionizzanti.
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Il pz dischezico, non riuscendo ad evacuare, effettua ponzamenti eccessivi, che possono portare allo
sviluppo di varie patologie, quali:
1. Rettocele anteriore
Per rettocele anteriore, s’intende l’erniazione della parete anteriore del retto, attraverso il setto
rettovaginale, sulla parete posteriore della vagina, producendo un colpocele posteriore.
Non è apprezzabile a riposo ma, solo, nella fase finale dell’atto evacuativo, quando l’elevata pressione
endorettale, prodotta dai ponzamenti eccessivi che la pz effettua per la difficoltà di evacuare, sfianca la
parete anteriore del retto, in corrispondenza di punti di minore resistenza. Si forma, così, una tasca che
va premere sulla parete posteriore della vagina.
Le feci tendono ad accumularsi nella cavità del rettocele, con conseguente ridotta quantità di
materiale espulso. In fase di riposo, le feci sequestrate nella cavità rettocelica si ridistribuiscono
all’interno dell’ampolla rettale e possono essere evacuate.
La pz, pertanto, riferisce una defecazione incompleta con emissione di feci formate, in 2 o 3 tempi, a
distanza di poche ore.
Nell’uomo, il rettocele anteriore non si osserva poiché la parete anteriore del retto è rinforzata dal complesso
vescicolo‐prostatico.
Un’entero‐cisto‐colpo‐defecografia o una defeco‐RM consentono di: 1) Diagnosticare un rettocele anteriore 2) Stabilirne le dimensioni, tracciando (sui defecogrammi in proiezione LL o sulle immagini RM
ricostruite secondo il piano sagittale) una linea passante per il canale anale e calcolando quanto questa linea dista dal punto di maggiore convessità del rettocele
3) Porre DD tra rettocele da pulsione e rettocele da trazione.
Nel rettocele da pulsione,
il cedimento interessa esclusivamente il segmento posteriore (retto)
la giunzione ano‐rettale si abbassa rispetto al punto di maggiore convessità del rettocele
l’intervento chirurgico può essere limitato al retto
Nel rettocele da trazione,
il cedimento riguarda il segmento medio (vagina) e quello posteriore (retto), che viene trascinato dalla discesa del primo
la giunzione ano‐rettale si trova sullo stesso piano del punto di maggiore convessità del rettocele o su di un piano superiore
l’intervento chirurgico deve interessare anche la vagina e non solo il retto, pena la ricomparsa della condizione morbosa
2. Ernie mediane del pavimento pelvico
Consistono nella caduta, all’interno del cavo di Douglas, durante l’evacuazione, di:
Omento – omentocele
Anse del piccolo intestino – enterocele
Sigma – sigmoidocele
Sono una causa di colpocele posteriore.
Se i visceri erniati, invece di finire nel mezzo del cavo Douglas, si spostano posteriormente, possono
ribaltare la parete anteriore del retto e, con essa, fuoriuscire attraverso lo sfintere anale (edrocele).
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La parete rettale anteriore ribaltata può perforarsi, consentendo il passaggio all’esterno dei visceri
erniati. Tale condizione è nota come evisceratio rettale e costituisce un’emergenza chirurgica.
Se i visceri erniati, invece di finire nel mezzo del cavo Douglas, si spostano anteriormente, possono
ribaltare la parete posteriore della vagina e, con essa, fuoriuscire attraverso l’ostio vaginale (elitrocele).
La parete vaginale posteriore ribaltata può perforarsi, consentendo il passaggio all’esterno dei visceri
erniati. Tale condizione è nota come evisceratio vagionale e costituisce un’emergenza chirurgica.
Le ernie del pavimento pelvico, pertanto, possono esser distinte,
sulla base del CONTENUTO, in: sulla base della SEDE, in:
Omentocele
Enterocele
Sigmoidocele
Ernie mediane dello spazio retto‐vaginale
Edrocele
Elitrocele
3. Prolassi pelvici
Consistono nella discesa in vagina, con possibilità di fuoriuscita all’esterno, attraverso l’osto vaginale, di
uno o più visceri pelvici (compresa la stessa cupola vaginale)
Si riconoscono diversi tipi di prolasso:
Tricompartimentale, nel quale discendono, in successione, retto (rettocele), vagina (colpocele) e
vescica (cistocele)
Combinato, a carico del segmento anteriore e di quello medio
Combinato, a carico del segmento medio e di quello posteriore
Monocompartimetale
Studio radiologico post‐operatorio del tubo digerente
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Può essere praticato già in 4a‐10a giornata qualora vengano clinicamente sospettate complicanze a carico di suture ed anastomosi (come deiscenze e stenosi). In tale circostanza, ci si avvale di esami radiologici contrastografici, da effettuare obbligatoriamente con un mdc iodato idrosolubile. Il mdc iodato idrosolubile, infatti, se fuoriesce dal lume del tubo digerente, per l’eventuale deiscenza di una sutura o di un’anastomosi, non esercita un’azione irritante né sul peritoneo né sul mediastino, a differenza del solfato di bario. Per i controlli radiologici post‐operatori a distanza, è invece indicato l’impiego di un doppio contrasto (bario ed aria), poiché l’aumento della superficie esplorabile, indotto dalla distensione gassosa, permette un’ottimale visualizzazione della bocca anastomotica e dell’area circostante, sede elettiva di recidive. Un’ecografia e, soprattutto, una TC dell’addome vengono eseguite per la ricerca di patologie extraluminali, come ascessi e lesioni espansive. Un’RM è indicata nella valutazione dello scavo pelvico di pz sottoposti ad intervento di amputazione del retto per via addominoperineale.
Sanguinamento digestivo Bisogna distinguere tra sanguinamento digestivo
Acuto prossimale
Acuto distale
Cronico di origine imprecisata Sanguinamento digestivo acuto prossimale Si manifesta con:
Ematemesi
Melena
Presenza di sangue nell’aspirato naso‐gastrico Cause più comuni: 1. Rottura di varici esofagee e gastriche, da ipertensione portale 2. Gastriti erosive 3. Ulcera peptica, gastrica e duodenale 4. Sindrome di Mallory‐Weiss 5. Neoplasie di esofago, stomaco e duodeno Nel sospetto di un sanguinamento digestivo acuto prossimale, in prima istanza, va praticata un’EGDS perché consente di:
Individuare sede e causa dell’emorragia, con una sensibilità elevata
Effettuare procedure terapeutiche La sensibilità della metodica, tuttavia, si riduce se l’emorragia è cospicua (> 0,5‐1 mL/min), poiché il sangue fresco o coagulato può mascherare la lesione sanguinante. In questo caso, l’EGDS deve essere seguita da un’angiografia, per:
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Stabilire l’esatta sede del sanguinamento, riconoscibile in base al punto di stravaso del mdc nel lume del tubo digerente
Eseguire procedure terapeutiche, come:
Embolizzazione
Infusione di agenti vasocostrittori
Creazione di uno shunt porto‐sistemico trans‐giugulare intra‐epatico, TIPS (indicata se a sanguinare siano varici esofago‐gastriche da ipertensione portale)
Nei casi in cui l’emorragia sia minima o si sia arrestata, l’EGDS può essere sostituita da un esame radiografico delle prime vie digestive a contrasto singolo o, meglio, doppio. N.B. L’introduzione di bario nel tubo digerente non consente l’esecuzione né di un’EGDS, né di un’angiografia fino a quando il mdc non sia stato completamente rimosso.
Emorragia digestiva acuta distale Si presenta con:
Rettorragia
Assenza di sangue nell’aspirato naso‐gastrico Le cause più comuni sono: 1. Malattia diverticolare 2. Angiodisplasia 3. Colite ischemica 4. RCU 5. Polipi e carcinomi del colon‐retto 6. Malattia emorroidaria Nel sospetto di un sanguinamento digestivo acuto distale, in prima istanza, va praticata una colonscopia perché consente di:
Individuare sede e causa dell’emorragia, con una sensibilità elevata
Effettuare procedure terapeutiche La sensibilità della metodica, tuttavia, si riduce se l’emorragia è cospicua(> 0,5‐1 mL/min), poiché il sangue fresco o coagulato può mascherare la lesione sanguinante. In questo caso, la colonscopia deve essere seguita da un’arteriografia, che:
Indica l’esatta sede del sanguinamento, dimostrando lo stravaso del mdc nel lume intestinale o il groviglio di vasi sanguinanti di un’angiodisplasia
Offre possibilità terapeutiche trans‐catetere, come embolizzazione ed infusione di agenti vasocostrittori, capaci di evitare il ricorso alla chirurgia, soprattutto nel caso di un’origine diverticolare dell’emorragia.
Se la colonscopia non consente di individuare la fonte emorragica, per la modesta entità del sanguinamento, è indicata l’esecuzione di una scintigrafia con GR autologhi marcati mediante 99Tc. Tale indagine può documentare un sanguinamento attivo – al momento dell’iniezione del radiofarmaco e fino alle 18‐24 h successive – anche di soli 0,05‐0,1 mL/min, come un focolaio di accumulo extravasale patologico dei GR marcati, che si sposta con i movimenti peristaltici. Qualora tale spostamento non venga osservato, deve essere ipotizzata la presenza di:
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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne
Angiodisplasia
MAV
Tumore vascolare La metodica tuttavia, per la bassa risoluzione spaziale, non consente di stabilire l’esatta sede del sanguinamento.
Sanguinamento digestivo cronico, di origine imprecisata Si manifesta con:
Anemia sideropenica
Astenia
Presenza di sangue occulto nelle feci Le cause più frequenti sono:
Neoplasie benigne o maligne di qualsiasi tratto del tubo digerente
Diverticolo di Meckel, diverticolo congenito (quindi vero), derivante dalla mancata obliterazione del dotto onfalo‐mesenterico ed in genere situato a 30‐90 cm dalla valvola ileo‐ciecale, sul versante anti‐mesenterico dell’ileo
Angiodisplasie Nel sospetto di un sanguinamento digestivo cronico, di origine imprecisata, in prima istanza ci si avvale di:
EGDS
Colonscopia Se negative, nell’ipotesi che la fonte emorragica sia localizzata in corrispondenza del tratto digiuno‐ileale dell’intestino, va effettuato un clisma del tenue a doppio contrasto. Mediante tale indagine, tuttavia, un diverticolo di Meckel viene spesso confuso con una sovrapposizione di anse. La metodica d’elezione per individuare un diverticolo di Meckel è piuttosto costituita da una scintigrafia con 99Tc‐pertecnetato. Il 99Tc‐pertecnetato viene infatti concentrato dalla mucosa gastrica ectopica, in esso generalmente presente, consentendone il riconoscimento. Qualora anche tali indagini si dimostrassero negative, nel sospetto di un’angiodisplasia o di piccolo tumore occulto, è indicata l’esecuzione di un’arteriografia selettiva del tripode celiaco, dell’arteria mesenterica superiore e di quella inferiore. Va detto, comunque, che una piccola lesione neoplastica potrebbe essere svelata anche da una TC spirale o MS con mdc, mentre un’angiodisplasia sarebbe dimostrabile anche da un’angio‐TC.
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