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ATENEO PONTIFICIO “REGINA APOSTOLORUM” Facoltà di Teologia I Sacramenti in GenereDocente: Prof. Edward McNamara Roma, 2013

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ATENEO PONTIFICIO

“REGINA APOSTOLORUM”

Facoltà di Teologia

“I Sacramenti in Genere”

Docente: Prof. Edward McNamara

Roma, 2013

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Sacramenti in generale

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PRIMA PARTE

TEOLOGIA POSITIVA

I. DIO COMUNICA ALL'UOMO IN MODO

SACRAMENTALE:

1. Sacramento e sacramentalità.

Al inizio della nostra esposizione risulta necessario chiarire i

concetti di sacramento e di sacramentalità. Negli ultimi secoli nella

teologia si usava la parola sacramento soltanto per riferirsi ai sette

sacramenti della Chiesa. Anche noi continuiamo ad usare la parola in

questo senso ma la piena realtà sacramentale non è sufficientemente

manifestata se si riduce al settenario sacramentale. Vi sono altri centri

di sacramentalità che, senza opporsi o sminuire il valore dei sette

sacramenti, costituiscono l'ambiente proprio per la loro comprensione,

celebrazione e realizzazione nella vita.

In questo contesto i sette sacramenti e la parola sacramento

formano parte della categoria più estesa della sacramentalità, ovvero la

visibile manifestazione storica del dono invisibile della grazia di Dio.

Questo senso di sacramento può essere applicato ad altre realtà oltre ai

sette sacramenti come ha fatto il Concilio Vaticano II riferendolo a

Cristo, alla Chiesa, e, in senso generico, al cristiano e alle realtà create

come sacramenti, ma senza per questo negare l’unicità dei sette

sacramenti o sminuirne la loro importanza centrale nella vita della

Chiesa.

Una riflessione sulla categoria della sacramentalità in senso ampio

risulta necessaria perché, come vedremo durante il corso, il modo

sacramentale è il modo ordinario che Dio usa quando comunica e offre

la sua salvezza agli uomini e non è possibile capire bene i sacramenti

senza entrare nella categoria della sacramentalità.

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2. Carattere simbolico e radici antropologiche della

comunicazione sacramentale. La volontà salvifica di Dio e la natura simbolica dell'uomo sono i

due assi fondamentali per la comprensione della realtà sacramentale

come incontro fra Dio e l'uomo. Dio ha creato l’uomo per poter

comunicare con lui, si constata che il simbolismo è una costante

culturale dell'uomo e che l’uomo ha una natura simbolica e vive e si

comunica simbolicamente. Per questo motivo una breve riflessione sulla

natura e nozione del simbolo ci servirà per approfondire la nostra

conoscenza del modo sacramentale tramite il quale Dio ci comunica.

3. Nozione e natura del segno e del simbolo. Non esiste una nozione uniforme di simbolo. Etimologicamente

simbolo-simbolico deriva dal greco symbolon e symbállein, e significa

mettere qualcosa in relazione, congiungere, articolare, venire a un

accordo. Questo significato di base è il fondamento dell'uso del simbolo

nella filosofia, psicologia, semiotica, antropologia e teologia. La

teologia, che parte dal principio che ogni discorso su Dio è simbolico,

riconosce che il simbolo è irriducibile e insostituibile nel linguaggio

teologico. Inoltre sostiene che, siccome il simbolo è distinto dal

simboleggiato, il simbolo è come parte di quella realtà che insieme vela

e rivela, della quale partecipa e dalla quale si distingue. In genere il

simbolo può essere definito:

Il simbolo è una realtà umana, di ordine esterno e visibile che,

distinta da se stessa e dalla realtà simboleggiata, esercita su

ambedue una funzione di mediazione e comunicazione in quanto

rimanda alla realtà simboleggiata, la rappresenta in modo

immediato per noi, ce ne rivela il mistero pur rimanendo l'alterità,

in virtù della somiglianza, della partecipazione e differenza tra

simbolo e simboleggiato1.

1 Cfr. D. BOROBIO (ed.), La celebrazione nella Chiesa 1, Liturgia e sacramentologia fondamentale, Elle

Di Ci, Torino-Leumann 1992. 428.

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Gli autori discutono sulle differenze e somiglianze tra segno e

simbolo. Non ci soffermiamo perché, sebbene nel contesto della

teologia sacramentale si parla tradizionalmente di segno, nell’uso questa

parola ha un senso assai vicino a quello del concetto moderno di

simbolo. Così qualcosa di non arbitrario che rinvia a un significato

invisibile o indicibile del quale fa parte, cioè un significato presente nel

simbolo stesso, e non tanto nel senso di segno come qualcosa di

arbitrario o convenzionale che rinvia a un ordine diverso dal proprio. In

sintesi in genere quando usiamo la parola segno sarà come segno-

simbolico.

4. I sacramenti come simboli. Tutte le comunicazioni sacramentali di Dio agli uomini e in modo

particolare i sette sacramenti possono essere qualificati come simboli.

Ciò significa che quanto si può dire del simbolo, in qualche misura si

può affermare anche del sacramento. In quanto simbolo il sacramento è

una realtà di ordine esterno e visibile che, distinta da noi stessi e dalla

realtà simboleggiata, ci rimanda ad essa, ce la rappresenta

immediatamente, ce ne svela il mistero, in virtù della somiglianza e in

qualche modo della partecipazione della stessa realtà simboleggiata. Il

sacramento non è arbitrario, è un simbolo convenzionale con radici

nella storia salvifica e basato sull'interpretazione della fede, che

rappresenta la realtà contenuta e alla cui superiore pienezza rimanda, e

che realizza la salvezza nel soggetto che con fede l'accoglie. Il

sacramento è un’immagine o simbolo efficace in quanto offre come

dono gratuito per la santificazione la realtà stessa che significa e

rappresenta.

Ma se è vero che quanto si può dire del simbolo, in qualche

misura si può affermare anche del sacramento, non è vero invece il

contrario in quanto, tramite la comunicazione sacramentale, Dio

stabilisce un rapporto personale con gli uomini che supera il livello del

simbolo.

Dato che il significato simbolico dei sacramenti può essere

pienamente capito soltanto alla luce della storia della salvezza, è dunque

necessario vedere innanzitutto come questa realtà della comunicazione

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simbolica e sacramentale di Dio agli uomini è riflesso nella creazione e

nella Rivelazione.

II. LA COMUNICAZIONE SACRAMENTALE DI DIO

NELLA CREAZIONE:

1. I segni fondamentali2

A. Dio si comunica nelle cose.

La creazione in quanto opera di Dio, nella quale si manifesta e si

riflette la sua orma, ha un carattere di sacramentalità.

Per comprendere la sacramentalità della creazione, bisogna partire

dall'azione creatrice di Dio e dall'esistenza creata della creatura,

specialmente dell'essere umano. Questo perché tutto il creato nella

misura in cui è una realtà proveniente Dio, significa, esprime e diventa

parola e segno di Lui. Così la realtà creata nella sua condizione di

parola ha una funzione mediatrice la cui origine ed efficacia procedono

dallo stesso Dio Creatore, e la loro finalità è ricondurci a Dio, come

presenza attuante e come fine. La potenzialità che le cose create hanno

in sé di esprimere qualcosa che va aldilà di loro stesse viene messa in

atto attraverso il ministero dell’essere umano in quanto lui, si serve

delle cose per mezzo delle sue parole e dei suoi gesti per comunicare

con altri esseri umani e con Dio. Dice il Catechismo, al numero 54:

"Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del

Verbo, offre agli uomini nelle cose create una perenne

testimonianza di sé. Inoltre volendo aprire la via della salvezza

celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori" (DV

3) Li ha invitati ad una intima comunione con sé rivestendoli di

uno splendore di grazia e giustizia.

B. Dio si comunica all'uomo e nell'uomo.

2 In questa nostra analisi sui segni sacri, ci rifacciamo soprattutto allo studio fatto da: S. MARSILI, I segni

del mistero di Cristo, Teologia liturgica dei sacramenti, CLV, Roma 1987. 19-68.

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La parola della creazione è rivolta all'uomo ed è l'uomo che deve

fare l'interpretazione del cosmo, è l'uomo che svela il senso occulto

scritto nelle cose e le rende intelligibili. Ma le cose non svelerebbero

nell'uomo il senso della presenza di Dio se Dio non fosse già presente

nell'interiore dell'uomo stesso. L'uomo è il punto più alto nel

comunicarsi creativo di Dio perché questi ha fatto l'uomo a sua

immagine e somiglianza (Gen 1,26). Da ciò segue che l'uomo è

un’immagine, quindi un segno, che deve rappresentare Dio nel mondo.

A lui vengono dati alcuni degli attributi stessi di Dio: la santità, la

spiritualità, il dominio sul mondo, lui è il vicario di Dio e implica in sé

stesso l'intervento di Dio nella creazione.

L'uomo può ascoltare il messaggio della creazione per mezzo

della sua corporeità. Tramite il corpo l’uomo può riconoscere una

presenza di Dio nelle cose simile a quella che lui ha nell'anima.

(Esempi. La grandezza del cielo e delle stelle, comparata al corpo

umano, può svegliare il senso di trascendenza e grandezza di Dio

rispetto all'uomo). L'uomo può anche riconoscere la presenza e

l'immagine di Dio negli altri uomini. La comunità umana, specialmente

la comunità sponsale, diventa simbolo della comunicazione fra Dio e

l'uomo. Comunicando col prossimo nel vero amore l'uomo comunica

implicitamente con Dio.

Nello stato primordiale dell'uomo questa comunicazione non era

soltanto al livello di idee e valori ma per una disposizione libera di Dio

consisteva nella partecipazione alla stessa vita divina. Ma dato che tutto

il cosmo è stato creato in Cristo colui che è: «l’immagine del Dio

invisibile, primogenito di tutta la creazione, poiché in lui sono stati

creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra...Tutte le cose sono state

create per mezzo di lui e in vista di lui...» (Col 1,15-17).

A partire da queste affermazioni paoline diversi Padri della

Chiesa affermano che la sacramentalità primordiale del mondo creato si

fonda sulla sacramentalità primordiale che sta all’origine di ogni

comunicazione del divino, vale a dire, sull'umanità di Gesù Cristo il

Verbo di Dio fatto uomo. Anche la partecipazione della vita divina,

goduta dall’uomo, nello stato primordiale, non era ancora completa o

perfetta, ma era chiamata a svilupparsi e raggiungere la pienezza di

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Cristo. Così nel progetto originale di Dio, l'umanità dell’uomo - e per

mezzo di questa le altre creature - era orientata a trovare senza ostacoli

la pienezza della grazia nell’umanità del Verbo, il quale, secondo

diversi padri, come Sant’Ireneo di Lione, si sarebbe incarnato anche se

l’uomo non avesse peccato, per portare l’uomo alla sua propria

perfezione.

C. La rottura della sacramentalità primordiale.

La caduta dell’uomo oscurò questo carattere simbolico

sacramentale della creazione che poi è diventato invece un ostacolo e

limite all’unione completa con Dio. Certamente il Creato, come

espressione di Dio che «vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molta

buona» (Gen 1,31), rimane una prima e fondamentale parola di Dio.

Ma non è ancora la parola definitiva di Dio, e proprio per questo, anche

se la creazione intera proclama l'annuncio e il clamore della grandezza

di Dio (Sal 29,67.78.98.104.136.148...) l'uomo, specialmente nella sua

condizione di creatura caduta, ha difficoltà a riconoscerne il messaggio

nella creazione.

S. Paolo ricorda questo fatto ai Romani:

Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio

stesso lo ha loro manifestato. Infatti dalla creazione del mondo in

poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con

l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua potenza e

divinità. Essi sono dunque inescusabili perché, pur conoscendo

Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a

Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata

la loro mente ottusa (Rm 1,19-21).

Seguendo questa affermazione della Scrittura la tradizione ha

riconosciuto nella creazione un sacramento, o segno di Dio creatore, ma

un sacramento che deve essere interpretato nella fede.

D. La religiosità: inizio del ritorno all'unione.

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La separazione tra Dio e l'uomo porta con sé le tendenze al

disordine interiore e l'incapacità di comunicare pienamente con gli altri

e con la creazione. Ma questi castighi sono anche dono di Dio in quanto

mettono l'uomo al suo posto, come creatura, e gli fanno riconoscere il

suo bisogno di Dio. Sono una forma di sacramentalità negativa che

porta a Dio. Dice il catechismo:

Questa rivelazione non è stata interrotta dal peccato dei nostri

progenitori. Dio, in realtà "dopo la loro caduta, con la promessa

della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza ed ebbe

costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti

coloro i quali cercano la salvezza con le perseveranza nella pratica

del bene (DV 3)"

"Quando, per la sua disobbedienza l'uomo perse la tua amicizia, tu

non l'hai abbandonato in potere della morte... Molte volte hai

offerto agli uomini la tua alleanza...(MR, PE IV)".

Così dopo il peccato l'uomo sente la chiamata alla responsabilità

individuale e collettiva per il peccato: Adamo dove sei?, Caino, dov'è

tuo fratello? e riceve da Dio la promessa della redenzione (Gen 3, 9,15).

Questa promessa indica una certa grazia iniziale che prepara a ricevere

la pienezza della grazia in Cristo.

Le realtà della vita umana fanno nascere il desiderio della

riconciliazione con Dio per poter superare la lontananza e la rottura

causate dal peccato. La ministerialità dell'uomo con rispetto alle

creature non è andata totalmente perduta e si manifesta

nell’organizzazione di una comunità cultuale. A ragione di questo fatto

la religiosità e i diversi riti religiosi come i sacrifici cruenti o le offerte

dei frutti della terra possono essere considerati come un primo passo nel

cammino di ritorno dell’uomo a Dio nel Cristo.

Nei sacrifici primitivi come quelli di Caino e Abele (Gen 4,3-8).

Ognuno offre quello che ha e fa un atto di culto verso Dio. Questo culto

si manifesta attraverso un segno, che è diverso nell'espressione esterna,

prodotto agricolo e animale, ma uguale nel suo significato generale.

L'offerta non è specificata, non si dice che l’animale offerto da Abele fu

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ucciso, o che fu offerta di espiazione o di immolazione, ma

semplicemente che fu presentato. Quello che si mette in risalto è il

colloquio tra l'uomo e Dio e da questo si vede che lo scopo del

sacrificio e il mettersi in contatto con Dio, è un segno di comunione. Il

sacrificio è il segno o simbolo della nostra dedizione a Dio: mi dono. Il

sacrificio ha quindi il significato di presenza di comunione, è un mezzo

rituale nel quale si cerca di ristabilire un clima di comunione diretta tra

gli uomini e Dio.

2. Significato dei segni sacri della religiosità primitiva. Pur nella loro diversità esteriore, il sacrificio e gli altri riti

religiosi indicano sempre un intervento divino nella storia umana e sono

un tentativo di perpetuare questo intervento, o ricordandolo o

rendendolo in qualche modo realmente presente.

Così fra ombre ed immagini, con l'assistenza della grazia iniziale,

e nonostante certe deviazioni come i sacrifici umani, l'uomo va

sviluppando una struttura rituale che è vista come mezzo per colmare

l'infinita distanza fra Dio e la creatura e come rimedio per il peccato che

ha danneggiato i suoi rapporti d'intimità con Dio. Il barlume della

religiosità umana inizia a risplendere nel momento dell’auto-rivelazione

di Dio ad Abramo e continua con l’epopea del popolo d’Israele, ma sarà

pienamente illuminata, redenta e resa efficace, soltanto con

l’Incarnazione, Morte e Risurrezione del Figlio di Dio. I sacramenti

della nuova creazione saranno quelli che sorgono dall’umanità divina

del Cristo. La risurrezione non soltanto ristabilisce l'uomo nella sua

condizione iniziale ma lo porta alla pienezza della comunicazione della

vita divina nella sua umanità risorta.

III. LA COMUNICAZIONE SACRAMENTALE

NELL'ANTICO TESTAMENTO:

Abbiamo già visto che nel piano originale di Dio, le cose e i gesti,

il corpo umano, la comunità umana, avevano un rapporto originario con

l'umanità di Cristo. Un rapporto ferito dal peccato e ristabilito dalla

redenzione. Ma la chiamata di Dio alla redenzione, cominciata nella

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religiosità naturale, in un momento si è concentrata nella chiamata di un

uomo e poi di un popolo per poi estendersi di nuovo a tutta l'umanità.

Questa chiamata la fa Dio al popolo d'Israele, i discendenti di Abramo

(Vedi CCC 59-60).

La fede e la speranza nel Dio che salva e che è fedele alle sue

promesse sono tipiche dei patriarchi. Dio fa con Abramo un'alleanza

unita alla promessa di discendenza e di benedizione con possesso della

terra promessa (Gen 12 1-3; 15,5-6). Il sacrificio di Isacco (Gen 22),

rappresenta sia la totale riconoscenza della dipendenza dell'uomo da

Dio, sia l’annunzio profetico di un nuovo culto a Dio nel quale Dio

stesso prende l'iniziativa.

Tuttavia, nel tempo dei patriarchi, non si può parlare ancora di un

culto stabilito con feste e riti, elementi che non troviamo sino al tempo

successivo all'esodo e alla conseguente alleanza sul Sinai che, in certo

senso, è ciò che trasforma i figli d’Israele in Popolo di Dio.

1. Simbolismo religioso Nelle feste e nei riti del popolo d’Israele si utilizzavano cose e

oggetti materiali che avevano valore simbolico. L'acqua, olio, fuoco,

cenere, fumo, pane, animali etc. Utilizzavano gesti simbolici:

imposizione delle mani, unzioni, aspersioni etc. Infine facevano uso di

formule religiose, preghiere, benedizioni etc.

In genere la Bibbia ci mostra un universo simbolico nel quale le

cose fatte, i nomi, ecc., hanno un significato rispetto al piano di Dio per

il suo popolo. Gran parte del simbolismo religioso d’Israele è comune

alla tradizione religiosa universale, mentre una parte è loro propria e

specifica. Tuttavia il simbolismo religioso del popolo eletto non

conserva il significato religioso primitivo ma va integrato nella

prospettiva dell'intervento salvifico di Dio nella storia d'Israele. Il

Catechismo esprime queste idee nel nº 1150:

Il popolo eletto riceve da Dio segni e simboli distintivi che

caratterizzano la sua vita liturgica: non sono più soltanto

celebrazioni di cicli cosmici e di gesti sociali, ma segni

dell'Alleanza, simboli delle grandi opere compiute da Dio per il

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suo popolo. Tra questi segni liturgici dell'Antica Alleanza si

possono menzionare la circoncisione, l'unzione e la consacrazione

dei re e dei sacerdoti, l'imposizione delle mani, i sacrifici e

soprattutto la Pasqua. In questi segni la Chiesa riconosce una

prefigurazione dei sacramenti della Nuova Alleanza.

Il culto israelita va concepito come servizio al Signore,

letteralmente come uno stare presso il Signore e va associato con altri

atteggiamenti come il seguire, il timore, l’osservare, l’obbedire (Dt

10,12; 12,30; 13,15). Il nucleo della ritualità e dell’esperienza religiosa

di Israele è la fedeltà all'Alleanza per mezzo del compimento della

legge.

2. Il Memoriale Il fatto che i simboli religiosi di Israele sono segni o simboli

dell’Alleanza fa si che i riti e le feste si convertano in ricordi,

memoriale3 o Zikkaron, delle meraviglie fatte da Dio negli interventi

salvifici. Forme della radice Zkr ricorrono circa 230 volte nel testo

ebreo. I testi nel quale Dio è il soggetto del ricordo mostrano che ha un

ruolo centrale nell’auto rivelazione di Dio. Il memoriale «non è un

semplice ricordarsi, ma è piuttosto un comportamento di Dio che

conduce Dio stesso a intervenire di nuovo nella realtà storica...e che

quindi trapassa nell’azione».

Similmente quando l'uomo è il soggetto del verbo, il memoriale

Tende sempre a trarre le conseguenze del ricordo, sia per quanto

riguarda l'adempimento di promesse fatte, sia per quanto riguarda

la conversione e il ritorno a Dio. Ciò riveste una particolare

importanza in quei passi come l’istituzione della Pasqua sul Sinai,

nell'Esodo, in cui zkr esprime l'obbligo che Israele ha di dedicarsi

alla memoria cultuale, e alla celebrazione cultuale in genere.4

3 Cfr. NEUNHEUSER, B., Memoriale, in SARTORE D., E TRIACCA A.M., Nuovo Dizionario di Liturgia

(=NDL), Paoline, Cinisello Balsamo (MI)19956. 765-781. 4 Cfr. NEUNHEUSER, B., Memoriale, 770-771.

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I riti memoriali diventano segni dei segni e prodigi di Dio. Questi

ricordi hanno un’efficacia propria perché Dio è fedele per tutta l'eternità

alla sua Alleanza e l'istituzione cultuale diventa così una

«perennizzazione» dell'azione salvifica storica. Così i riti fanno

memoria dell'Alleanza, la fanno presente nella celebrazione del rito e

annunziano la fedeltà perpetua di Dio. Così sono segni che concentrano

il passato-presente-futuro del popolo. Per mezzo del memoriale il

popolo vive di nuovo i suoi fatti fondanti, rivive l’autoidentità e si auto-

costruisce come popolo di Dio. Vedremo poi che questo concetto sarà

fondamentale per poter capire la natura dei sacramenti della Chiesa.

Adesso esamineremo più concretamente diversi dei più importanti segni

sacri della religione ebraica e il loro significato.

3. Significato dei segni sacri della religione ebraica:

A. Il Sacrificio.

Uno sguardo panoramico della Sacra Scrittura ci indica

l’importanza centrale del concetto di sacrificio lungo tutta la storia

biblica cominciando con il doppio sacrificio di Caino ed Abele.

Il tema del sacrificio ha un ruolo particolare come mezzo per

sigillare un’alleanza fra Dio e gli uomini, l’alleanza promessa ad

Abramo (Gen 15.9ss), e, soprattutto, l'Alleanza con il popolo sul Sinai

che va sigillata col sacrificio cruento delle vittime (Es 24). Nel loro

modo di concepire la storia della salvezza gli autori dell’Antico

Testamento non concepiscono una vita religiosa senza la presenza del

sacrificio.

È importante notare che il sacrificio dell’AT escludeva

decisamente ogni forma di magia. Il sacrificio veterotestamentario non

mira a mettere in moto una dinamica apersonale, bensì a stabilire o

ristabilire un collegamento con Dio. Per mezzo del sacrificio il popolo

vuol esprimere sottomissione, o implorare riconciliazione ed aiuto. Esso

viene chiamato: dono consacrato, offerta fatta a Dio, realizzazione della

comunione con Dio, riconoscimento del sacro, e atto di riconciliazione

e obbedienza. In genere si distinguono gli olocausti (sacrifici totali in

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adorazione a Dio), i sacrifici di ringraziamento, che spesso esprimevano

anche una preghiera o un voto, e infine il sacrificio di espiazione.

I sacrifici d'Israele sono diversi dai sacrifici dei vicini pagani per

due ragioni fondamentali:

• Il fondamento e la motivazione religiosa del sacrificio d’Israele

sono più profondi, in quanto i sacrifici vengono offerti a Dio

Creatore e Signore che viene riconosciuto come dominatore di

tutto;

• La funzione del sacrificio è di costruzione della comunità in

quanto occupa un posto importante nella conclusione

dell'Alleanza e nel memoriale del patto, che continua e rinnova

la consacrazione del popolo come popolo di Dio.

Ma lo stesso concetto di sacrificio subisce una graduale

trasformazione sia sotto l’aspetto esterno dei riti come sotto l’aspetto

interno. Sotto il profilo rituale il sacrificio passa dai semplici e

rudimentali costumi di un popolo seminomade, che per offrire un

sacrificio costruiva un altare di pietra in un luogo associato ad una

teofania, alla più elaborata, ma ancora provvisoria, forma nella tenda

mobile del deserto (Es 20,24; 23,15), fino ad arrivare alla liturgia

complessa del culto del tempio con i diversi tipi di sacrificio,

specializzati secondo il motivo e il tempo dell’anno. Dal punto di vista

interiore si nota che con il tempo, e specialmente a partire dall’esilio

babilonese, c’è uno sviluppo nel concetto di sacrificio che si estende

oltre all’offerta di animali e prodotti della terra fino ad includere il

concetto della conversione del cuore e della preghiera, la quale non solo

prende il posto del sacrificio (cfr. Sal 50,18ss; Dn 3,38; Sir 35,1-10),

ma diventa un altra espressione di esso; si va delineando sempre più: la

preghiera diventa un sacrificio di lode o di ringraziamento spirituale

(cfr. Sal 40,7-9; 69,31-32; 141,2; Sir 4,14; Mic 61-8).

Si deve riconoscere la posizione decisiva e centrale del sacrificio

nella religione d'Israele. Anche la presa di posizione dei profeti viene

vista dagli esegeti non più come un rifiuto radicale, ma come una

protesta contro l'esteriorizzazione del culto sacrificale. Il Nuovo

Testamento accetterà l’intuizione fondamentale dell’Antico Testamento

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del ruolo centrale del sacrificio nella vita religiosa, ma la trasformerà in

modo originale e definitivo alla luce del sacrificio di Cristo.

B. Ministri e luoghi di culto

Il culto è la funzione sacerdotale del popolo d'Israele, ma dopo

l'esodo la tribù di Levi venne specialmente consacrata a realizzarlo in

nome del popolo, anche se qualche volta re e profeti realizzavano certi

atti sacerdotali. Nel periodo monarchico il sacerdozio comporta varie

attività di rilievo che si trovano riassunte nelle due parti della

benedizione della tribù di Levi pronunciata da Mosè (Dt 33, 8-11): La

funzione di consultare Dio, un attività magistrale che riguarda la

congruenza o meno dell'agire umano rispetto alla legge, e il

compimento del sacrificio cruento e dell'incenso. Con il tempo si

afferma sempre più anche la funzione giudiziale (Es 18,13-26 Dt 17,8-

13; Ez 44,24). Dopo l'esilio è evidente la differenza rispetto all'epoca

anteriore soprattutto per l'enfasi posta sulla sacralità sacerdotale e la

relativa limitazione delle azioni cultuali ai soli sacerdoti. Tuttavia il

sacerdote non era proprietario ma amministratore del culto, che doveva

essere sempre compiuto secondo la legge e la volontà di Dio.

Abbiamo detto che il culto si faceva per stare alla presenza di Dio.

L'idea della presenza di Dio acquista il suo primo grandioso

riconoscimento nell’esodo. Il roveto ardente del Sinai, la nube di giorno

e il fuoco di notte, sono segni sensibili della presenza di Dio in mezzo al

suo popolo. Per avere una presenza più immediata Dio dà l'ordine:

«Fatemi un santuario nel quale io possa risiedere in mezzo a voi (Es

25,9)» e così nasce il tabernacolo-tenda. È la risposta data da Dio al suo

popolo che sul Sinai ha accettato l'alleanza che Dio ha donato loro

diventando il Suo popolo particolare. È nella tenda, chiamata

dell'incontro, dove Dio si incontrerà con il popolo. Il tempio, che

sostituisce la tenda, è anche segno della presenza di Dio ma a differenza

della tenda il tempio è la casa di Dio, qualcosa di stabile, permanente,

fisso. A causa di questa stabilità, man mano, nella religiosità popolare,

il tempio diventa non più segno bensì materializzazione della presenza

di Dio, e assume un valore a sé: «è il tempio di Dio». Così il profeta

Geremia ammonisce gli ebrei avvisandoli che gli assiri stanno per

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Sacramenti in generale

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mettere tutto a fuoco e annuncia i castighi di Dio, ma essi rispondono

«Tempio del Signore! Tempio del Signore! Tempio del Signore è

questo!» (Ger 7 4-10) (intendendo: finché c'è il tempio di Dio non

accadrà nulla di male).

La distruzione del tempio e l'esilio fu così un periodo di

maturazione religiosa che portò verso una visione più spirituale del

culto persino dopo la ricostruzione del tempio, preparando così il culto

Cristiano nel tempio nuovo e definitivo che sarà il corpo di Cristo, non

più segno della presenza di Dio, ma la realtà di questa presenza.

C .Feste

La festa più importante era certamente la Pasqua che presto fu

celebrata insieme a quella degli azzimi. Per essere precisi dobbiamo

dire che la Pasqua non è tanto una festa, ma un rito. Col nome di Pasqua

si intende il rito sacrificale che si fa in quel determinato giorno; il rito

dà occasione ad una celebrazione festiva. Abbiamo detto che l'originale

festa primaverile assunse un senso soteriologico, come memoriale o

zikkaron della liberazione dall'Egitto e la costituzione del popolo.

Col tempo la Pasqua diventa il punto di riferimento, prima di

tutto, per il tempo dell'Alleanza vera. Gli ebrei sanno che la loro

alleanza è vera ma non definitiva. I profeti parlano di una nuova

alleanza che deve venire e che verrà nel tempo del Messia. La

tradizione rabbinica (Targum e Midrash) interpreta l'alleanza ebraica

dell'esodo come un prodromo, l'annuncio di una nuova alleanza che

deve venire ed essere compiuta la notte di pasqua. Per esempio in quello

che si chiama il poema delle quattro notti (1. Caos prima della creazione

2. il diluvio e 3. la notte pasquale dell'esodo), parlando della quarta

notte si dice «c'è una quarta notte del mondo, quando Jahwè verrà

dall'alto, avendo a fianco il Messia e Mosè, a liberare definitivamente il

suo popolo. Questa sarà la vera notte di Pasqua per prepararsi alla

quale il Signore ha comandato di celebrare ogni anno il rito

pasquale....»

Quindi la Pasqua è orientata tutta verso un'alleanza nuova è

dunque il segno della liberazione finale messianica. È una tradizione

talmente forte che i profeti quando vogliono parlare della novità che il

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Messia porterà, si riferiscono sempre all'Esodo, cioè alla liberazione (Is

30,29; Ger 31, 32-33 Os 2,17).

Celebravano altre feste come la Pentecoste che commemorava la

legge, la festa delle tende, o dei Tabernacoli, che ricordava gli anni del

deserto, l’anno nuovo, l’espiazione, la dedicazione del tempio, il Purim

e il Sabato come giorno settimanale dedicato al Signore.

D. La Circoncisione

Fra gli atti religiosi quali sono le purificazioni, le benedizioni, il

rito matrimoniale, le penitenze, la consacrazione di Re e Sacerdoti, il

più importante è certamente la circoncisione.

La circoncisione è di origine certamente preabramitica,

probabilmente dell'era neolitica, (il fatto che la circoncisione dovesse

essere compiuta con un coltello di pietra sta ad indicarlo). In genere

nella cultura mediterranea, ma non soltanto, è un rito di iniziazione

puberale col quale il ragazzo viene aggregato responsabilmente al clan.

Nella Sacra Scrittura il segno compare con Abramo (Gen 17). Già

nella genesi vediamo la trasformazione del segno originario in segno

soteriologico: la circoncisione diventa il segno di un aggregazione al

popolo di Dio, infatti diventa segno dell'alleanza e assumerà dei valori

sempre più spirituali, ma sempre sulla stessa linea. Così l’appartenere

per la circoncisione al popolo di Dio vuol dire entrare in alleanza con

Dio, ossia disporsi a seguire la legge spirituale di Dio, circoncidendo il

cuore, separandosi dal male, come la circoncisione separa da una parte

della propria carne (Cfr. Dt 10,12-19). Dt 30,6 «Il signore tuo Dio

circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché tu ami

il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima tua, affinché tu

viva». In questo testo la circoncisione è veramente il segno di un

impegno di totale amore per Dio da parte del suo popolo. Il senso

soteriologico supera chiaramente il valore clanico del rito.

E. La benedizione e la proclamazione della fede

Il ricordo delle opere prodigiose di Dio si realizza nella parola,

generalmente mediante una formula di benedizione o ringraziamento, e

anche per una proclamazione, o narrazione, dei fatti che spiegano il

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senso del rito, e contengono il credo del popolo d'Israele. Questa

proclamazione si trasmette da una generazione all'altra (Es 12, 14. 26-

27; 13.14-16; Dt 26,5). Benedizione e proclamazione sono unite nei

salmi di lode che si cantavano nelle feste di Pasqua. Altri elementi della

preghiera erano l'invocazione e la supplica. Nel “corso di liturgia” si

vede come man mano nella storia d'Israele la preghiera prende un

significato di offerta a Dio e va associata al sacrificio di lode.

F. Il comportamento morale

La fedeltà alla legge di Dio è la prova della autenticità del culto in

quanto fedeltà all'Alleanza. Il Deuteronomio insiste e i profeti

predicarono la necessità della dimensione morale, che non dev'essere

soltanto esterna ma deve partire del cuore (Sal 50; Is 1,11-17; Ger 7, 3-

11; Dt 10,12;26,16; Sir 35,1-3). I riti religiosi dovrebbero significare la

disposizione a compiere nella doppia dimensione: l’unione del popolo

con Dio e l’unione del popolo in sé. Dio non accetta l'offerta di colui

che non rispetta il prossimo (Sal 50 16-18) «All’empio così dice Dio:

"Perché ti dai pensiero di enumerare i miei precetti e poni sulla tua

bocca la mia alleanza? Mentre tu hai in odio la disciplina e hai gettato

dietro la spalle le mie parole..."»

Passaggio al Nuovo Testamento

La promessa della nuova alleanza si concretizza in un discendente

di Davide che sarà il Messia che istituirà il regno definitivo di Dio. Il

Catechismo descrive l'iter nel numero 64.

Attraverso i profeti, Dio forma il suo popolo nella speranza della

salvezza, nell'attesa di un’Alleanza nuova ed eterna, destinata a

tutti gli uomini (Cfr. Is 2,2-4) e che sarà scritta nei cuori (Cfr. Ger

31,31-34; Eb 10,16). I profeti annunziano una radicale redenzione

del Popolo di Dio, la purificazione da tutte le sue infedeltà, (Ez

36) una salvezza che includerà tutte le nazioni (Cfr. Is 49,5-6;

53,11). Saranno soprattutto i poveri e gli umili del Signore (Cfr.

Sof 2,3) che porteranno questa speranza. Le donne sante come

Sara, Rebecca, Rachele, Miryam, Deborah, Anna, Giuditta ed

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Ester hanno conservato viva la speranza della salvezza d'Israele.

La figura più luminosa in questo è Maria (Lc 1,38).

Proseguendo, lungo i secoli Israele prende coscienza del suo ruolo

di sacramento (segno e strumento di realizzazione) del mistero del

piano di Dio per gli uomini. Tuttavia rimane sempre viva la tentazione

di vedere nella figura del Messia un condottiero politico-militare che

porterà il trionfo sui nemici del popolo.

Così Israele e la sua storia si considerano come una grande

profezia rispetto a Cristo e alla Chiesa; e pure come sacramento di

preparazione. I riti dell’Antico Testamento avevano una certa efficacia

in ordine alla salvezza, non perché contenessero la pienezza della grazia

ma in quanto segni della fede e della speranza in questa pienezza che

arriverà soltanto con Cristo e rimarrà poi nella Chiesa. Con le parole di

Schillebeeckx si trattava della grazia della ricettività al Messia.

IV. COMUNICAZIONE SACRAMENTALE NEL

NUOVO TESTAMENTO: Abbiamo visto la parte simbolica nella vita e nella comunicazione

umana e nell'Antico Testamento, adesso cercheremo i simboli che

comunicano la pienezza della grazia aprendo agli uomini la

partecipazione nella vita divina.

La rivelazione è la proclamazione al mondo del vero simbolo

della unione con Dio che è Gesù Cristo. Lui è un simbolo reale come

vedremmo adesso.

1. Il segno-realtà del Nuovo Testamento.

Tutto il nostro precedente discorso aveva per fine di condurci alla

comprensione dei segni sacri del Nuovo Testamento che chiamiamo

sacramenti. Dobbiamo riflettere un po’ sull'elemento essenziale che

forma il Nuovo Testamento e lo distingue dall'Antico. Il NT non è

semplicemente quello che segue cronologicamente l'Antico ma, è un

momento nuovo nell'unico ed eterno Testamento (alleanza) stabilito da

Dio con gli uomini, e la novità consiste nel fatto che in questo secondo

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momento si attua e si adempie quello che era stato promesso. In altre

parole la differenza non è nell'essere un altro Testamento ma nel fatto

che il Testamento ha ora una definitiva ed irrevocabile consistenza, che

prima non aveva. Il NT è realizzazione di quello che nell’AT, essendo

solo promessa e profezia, non aveva una reale consistenza. Il NT si

identifica con Cristo, in quanto Cristo è la realizzazione della salvezza

annunciata nell’AT.

Tuttavia, anche parlando del NT su un piano di realtà, si deve dire

che questa ci viene presentata tutta in un regime di segni, i quali però,

appunto perché sono "segni e simboli di una realtà", portano la realtà in

sé. Non indicano un futuro ancora non esistente, ma dipendono nel loro

essere da un fatto o avvenimento che si è realizzato. Inoltre il fatto, o

avvenimento, una volta realizzato, non è passato o cessato, perché la

sua cessazione implicherebbe il termine dell'alleanza, che invece è, e

deve essere, eterna nella sua realizzazione come lo fu nella sua

promessa.

Concludendo questa introduzione diremo che i segni dell’AT si

riferiscono ad una reale promessa, mentre i segni del NT si riferiscono

ad una realizzazione della medesima promessa; quelli erano segni di un

avvenire (futuro ma non ancora esistente), questi sono segni di un

avvenimento (fatto perennemente esistente). Per questo a proposito del

NT si deve parlare di segno-realtà o simbolo-realtà.

2.Cristo: segno-realtà fondamentale del Nuovo Testamento.

Il messaggio centrale del Nuovo testamento è che Cristo è la

piena e definitiva auto-comunicazione di Dio all'uomo. Cristo che rivela

e attualizza il mistero di Dio è il compimento della promessa; inoltre ci

rivela e comunica la stessa interiorità divina, la vita divina stessa. Gesù

Cristo è l'autore della nuova creazione (2Cor 5,17). Si può ricordare il

n. 4 della Dei Verbum come un’espressione chiara e sintetica di Cristo

pienezza della rivelazione e della salvezza.

A. Cristo è il segno di Dio

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Tra i segni-realtà del NT il primo e fondamentale segno è Cristo

in sé stesso, in quanto sacramento della realtà eterna, che è il rapporto

d'amore di Dio per l'uomo. In altre parole: L'amore di Dio per l'uomo è

la realtà della quale Cristo, nella sua esistenza umano-divina, è il segno.

Questo valore di segno rivestito da Cristo si rivela già in Lc 2,10-

12 «Vi annuncio una grande gioia: oggi nella città di Davide vi è nato

un salvatore, ed ecco il segno: Troverete un bambino....» Nelle parole

dell'evangelista si avverte chiaramente l'eco di Isaia 7,11-14 in cui il

figlio di una vergine è dato come “segno” alla casa di Davide. Il senso

delle parole di Luca è chiaro: il bambino neonato nella città di Davide

viene proclamato Messia, ma è allo stesso tempo il segno della

salvezza (vi è nato un salvatore) che in lui si va attuando. E cioè segno-

realtà.

Questo valore segnale di Cristo è espresso ripetutamente da S.

Paolo, quando parla di Cristo come il mistero di Dio (Col 1,26-27; Ef

3,3-4.9), per indicare che Cristo è colui nel quale si fa presente e si

rivela il disegno eterno dell'amore di Dio, che vuole la salvezza degli

uomini.

Cristo insomma, in quanto concreta incarnazione della Parola di

Dio, è il segno per eccellenza del NT che è appunto realtà in rapporto

all’AT.

B. I Segni di Cristo

In Gv 6,26-28 Cristo si dichiara apertamente segno di Dio e pone

con chiarezza il rapporto tra quello che Cristo è e quello che Cristo fa,

ed è un rapporto sul piano del segno.

Leggiamo infatti: «Voi mi cercate non perché avete visto dei

segni, ma perchè avete mangiato il pane...Operate per il cibo che il

Figlio dell'uomo vi darà, perché su di lui Dio Padre pose il suo sigillo»

[Il termine greco usato per sigillo nel testo ci riporta a “sphragis” che la

Chiesa poi adopera per il segno di consacrazione o carattere dei

sacramenti di battesimo, cresima e ordine]. In altre parole: se nel

mangiare il pane dato dal Cristo si vede o capisce il segno che questo

dono del pane racchiude, allora si è capito anche che Cristo è il segno di

Dio, ossia un indice della presenza divina. Quindi le sue azioni non

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sono valutabili solo sul piano umano - mangiare il pane, ossia avere una

sicurezza economica - ma sono esse stesse segni che la volontà salvifica

di Dio si va attuando. Quest’aspetto divino-umano delle azioni di Cristo

sono descritte nel nº 515 del Catechismo:

I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere

(cfr. Mc 1,1: Gv 21,24) e che vogliono condividere con altri la

loro fede. Avendo conosciuto nella fede, chi è Gesù, hanno

potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le tracce

del suo Mistero. Dalle fasce della sua nascita, fino all'aceto della

sua passione (Mt 27,48) e al sudario della Risurrezione (Gv 20,7),

tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero. Attraverso i suoi

gesti, i suoi miracoli, le sue parole è stato rivelato che "in lui abita

corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9)." In tal

modo la sua umanità appare come il "sacramento" cioè il segno e

lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò

che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero

invisibile della sua filiazione divina e della sua missione

redentrice.

I diversi segni compiuti da Cristo, specialmente i miracoli, sono

segni dell'arrivo definitivo del Regno di Dio e della nuova alleanza.

D'altra parte i segni non indicano solo un intervento divino - per

così dire distaccato - ma sono elementi di colloquio tra Dio e l'uomo; in

quanto l'uomo risponde al segno di Dio. Il segno è sempre un momento

che deve provocare, e di fatto provoca, una reazione da parte dell'uomo.

Nel Vangelo di Giovanni per esempio vediamo che è sempre su questo

punto che, ora Cristo direttamente, ora l'Evangelista commentano le

parole del Signore, insistono «Voi avete visto i segni e non credete.»

Vedere i segni senza credere vuol dire che viene a mancare quella

reazione che il segno deve produrre. Il segno se non parla, non è un

segno, ma se parla esige una risposta. Quindi serve a creare un

colloquio di fede nella salvezza significata dal segno.

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C. Il segno fondamentale di Cristo, il sacrificio di Cristo del mistero

pasquale.

Il sacrificio della nuova alleanza è il fatto e il segno fondamentale

della missione di Cristo e ciò che esige la più grande risposta di fede.

Lo scopo della Incarnazione era di realizzare il sacrificio definitivo per

sigillare la nuova alleanza. L'incarnazione è il grado massimo d'unione

fra Dio e l'uomo e il sacrificio di Cristo aprirà a tutti gli uomini la

possibilità di partecipare in questa unione diventando figli nel figlio per

mezzo di segni o sacramenti della nuova alleanza.

In Cristo coincidono colui che offre il sacrificio è la vittima

offerta, il suo ministero non è un ufficio ma coincide con la sua stessa

vita. Con la sua offerta volontaria per amore, la morte passa dall’essere

simbolo di rottura con Dio ad essere simbolo d'unione con Lui. La sua

morte sulla croce costituisce l'offerta totale di disponibilità alla volontà

di Dio e rivela e realizza l'immenso amore di Dio per gli uomini. La

Risurrezione di Cristo è il sigillo dell’accettazione del Padre del

sacrificio di Cristo e l'inizio della nuova creazione nella comunione

perfetta con Dio.

I sacramenti della Chiesa sono collocati nel tempo fra la

prima e seconda venuta di Cristo, il tempo nel quale il Signore ha

dato il suo Spirito nei cuori dei fedeli (Rm 5,5) per annunciare ed

attuare il Mistero Pasquale nella storia.

D. Il memoriale eucaristico.

L'Eucaristia, momento massimo dell'unione fra Cristo e la Chiesa,

sarà la fonte e il culmine di tutta la vita della Chiesa come massima

espressione della sua sacramentalità in quanto segno efficace

dell’alleanza tra Dio e gli uomini e tra gli uomini tra di loro. (LG 1)

Cristo non solo realizza la Nuova Alleanza col sacrificio della sua

vita, ma, realizza nell'ultima cena il rito che continuerà per sempre

quest'alleanza nella comunità da lui fondata, oltre a stabilire il

memoriale eucaristico come fonte e culmine della nuova comunità di

culto.

Certamente Cristo nell'ultima cena compie un segno profetico

efficace. Ma questo segno consisteva soprattutto nell'applicazione a se

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stesso dell'antico rito della pasqua. Il rito pasquale ebraico celebrava

due momenti che sono distinti nel tempo, senza essere separati, ma sono

diversi, in certo modo, nel loro significato: 1) la liberazione dall'Egitto:

fatto sottolineato dall'immolazione dell'Agnello pasquale. 2) Dopo

cinquanta giorni Israele arriva al Sinai e qui vi si fa l'Alleanza, ratificata

nel sacrificio del sangue offerto al Signore. Due avvenimenti ma

un’unica realtà: cioè la creazione del popolo di Dio che fu liberato per

essere consacrato al servizio di Dio nell'alleanza.

Questi due momenti del fatto storico sono oggetto del rito

pasquale compiuto da Cristo nella cena. Così alle parole di Cristo

«Questo è il mio corpo che è dato per voi;».(Lc 22,19) corrispondono le

parole dell'Esodo 12,27: «questo rito è il sacrificio pasquale in onore di

Jahwè, quando liberò i figli d'Israele.» E «Questo è il calice del sangue

della nuova Alleanza sparso per voi in remissione dei peccati (Mt

26,28)» ci riportano a quelle analoghe dette da Mosè al Sinai Es 24,8

«Questo è il sangue dell'alleanza che Dio ha concluso con voi.» Si

tratta quindi di un unico sacrificio, cioè del sacramento del sacrificio

pasquale di Cristo per mezzo del quale Egli ha portato agli uomini la

salvezza.

Egli poi comanda di fare di questo avvenimento un memoriale

proprio analogamente a quanto Dio aveva ordinato nell'Esodo a

proposito della liberazione d'Israele (Es 12,14). Egli vuole cioè che si

faccia memoriale del "corpo che viene dato (Lc 22,19) e del sangue

della nuova alleanza sparso per la remissione dei peccati (Mt 26,28)."

Memoriale di una duplice e concreta realtà: questa sua morte (corpo

sacrificato per voi) e questo stabilire un'Alleanza con Dio per mezzo del

suo sangue. Il memoriale essendo la realizzazione della presenza del

Corpo e sangue di Cristo proclama che la morte salvifica di Cristo, fatto

avvenuto nel passato, è la realtà, il contenuto, è la Pasqua vera. Essa è

resa presente e questa presenza viene proiettata verso il futuro.

Come dice il Catechismo nel nº 1115.

Le parole e le azioni di Gesù nel tempo della sua vita nascosta e

del suo ministero pubblico erano già salvifiche. Esse anticipavano

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la potenza del suo Mistero pasquale. Annunziavano e preparavano

ciò che egli avrebbe donato alla Chiesa quando tutto fosse stato

compiuto. I misteri della vita di Cristo costituiscono i fondamenti

di ciò che, ora, Cristo dispensa nei sacramenti mediante i ministri

della sua Chiesa, poiché "ciò che era visibile nel nostro salvatore

è passato nei suoi misteri (S. Leone Magno, Serm. 74,2)".

In un modo analogo, come la celebrazione del rito pasquale

costituiva il popolo d'Israele quale popolo di Dio, la celebrazione della

pasqua di Cristo costituisce in un modo più reale la Chiesa quale nuovo

popolo di Dio. Quando Cristo ci dà il pane e il vino consacrati, non li dà

soltanto per darci direttamente se stesso, anche se questo è vero. Il suo

scopo primario è darci nel pane e nel vino consacrati la sua pasqua; ci

dà qualcosa che si è realizzato in lui, in primo luogo un fatto, la

redenzione e la liberazione, poi la conclusione dell'alleanza realizzando

il regno di Dio e costituendo la Chiesa come il nuovo popolo di Dio.

Allo stesso tempo nella comunione del pane e del vino siamo

intimamente uniti alla persona e opera di Cristo e fra di noi, formando

un solo corpo mistico in Cristo.

Tutti i sacramenti sono riuniti attorno all'eucaristia e sono in

funzione della partecipazione nel sacrificio pasquale di Cristo. Anche la

missione della Chiesa di predicare a tutte le genti è frutto dell'eucaristia

e orientata a portare la salvezza di Cristo ricevuto nel sacramento a ogni

uomo.

Appendice: Testi del Concilio Vaticano II sull’economia

sacramentale: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se stesso e

manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale

gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne nello Spirito Santo

hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (Ef 2,18:

2Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15;

1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr.

Es 33,11: Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per

invitarli e ammetterli alla comunione con Sé. Questa economia della

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rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo

che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza manifestano e

rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole

dichiarano le opere e il mistero in esse contenuto. La profonda verità

poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa

rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la

pienezza di tutta intera la rivelazione» (DV 2).

«Dio il quale “vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla

conoscenza della verità” (1Tm 2,4), “dopo aver a più riprese e in più

modi parlato un tempo ai padri per il tramite dei profeti” (Eb 1,1),

quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto

carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a

risanare i cuori affranti, «medico di carne e di spirito», Mediatore tra

Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità nell'unità della persona del

Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per cui in Cristo «avvenne la

nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la

pienezza del culto divino» (SC 5)

«Pertanto come il Cristo fu inviato dal Padre, così anche egli ha

inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo perché predicando

il Vangelo a tutti gli uomini, annunziassero che il Figlio di Dio con la

sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte

e trasferiti nel regno del Padre, ma anche perché attuassero per mezzo

del Sacrificio e dei Sacramenti, sui quali s'impernia tutta la vita

liturgica...» (SC 6)

«In quest'opera così grande con la quale viene resa a Dio una

gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a

sé la Chiesa sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per

mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre. (SC 7)

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PARTE I/II

LINEE DI SVILUPPO NELLA COMPRENSIONE

TEOLOGICA DEI SACRAMENTI

V. IL CONCETTO DI SACRAMENTO NEL NUOVO

TESTAMENTO:

1. Sinottici. La parola sacramentum traduce il mysterion greco che viene

adoperato 30 volte nel NT. I sinottici l'usano solo in Mc 4,11 e in testi

paralleli (Mt 13,11; Lc 8,10) : «a voi è stato dato il mistero del regno di

Dio» che pare non essere altro che lo stesso Regno messianico in Cristo.

Esso è rivelato ai soli discepoli ai quali è dato di conoscerlo. La

rivelazione del mistero comporta una relazione di intimità tra colui che

rivela e coloro ai quali esso viene svelato e implica una reale

comunione o partecipazione del soggetto al mistero rivelato, alla realtà

salvifica in essa contenuta e svelata, una conoscenza e una

partecipazione preclusa agli altri che non hanno ricevuto la rivelazione.

Nei sinottici Marco sottolinea l'aspetto partecipativo “è stato dato il

mistero del regno...” mentre Matteo e Luca mettono in luce l'aspetto

conoscitivo del mistero anche se i due aspetti sono inscindibilmente

uniti. Rivelare da parte di Dio, è sempre comunicare, dare, rendere

partecipe l'uomo della realtà rivelata. E così rivelare il mistero della

salvezza all'uomo è farlo partecipe della salvezza stessa. La parola di

Dio è sempre efficace e in questo senso, è sacramentale.

2. S. Paolo. Nelle lettere di S. Paolo la parola mysterion assume una posizione

centralissima ma tale parola ha un significato assai vasto.

Paolo adopera il vocabolo mysterion per designare l'evento, il

piano divino della salvezza in Cristo, un piano che comprende la

vocazione dei giudei e dei pagani, la predestinazione in Cristo e la

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ricapitolazione in lui di tutte le cose (1Cor 2,7-10; Rm 11,25; 16,25-26;

Col 1,26-27; Ef 1,9-10; 3,3-32). Si vede che qui si tratta del contenuto

centrale della predicazione di Paolo su Cristo e per questo l'Apostolo

vuole proclamare il mistero di Dio, la sapienza di Dio nel mistero (Cfr.

1Cor 2.1) «far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in

mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi speranza della gloria (Col 1,27)».

Ma perché viene impiegato il termine mysterion? Qual è il suo

senso? Il termine mysterion si utilizzava nel mondo dell’ellenismo per

designare i riti di vari culti religiosi, chiamati precisamente misterici,

che promettevano la salvezza attraverso l'iniziazione al destino dei loro

dèi.

Sembra abbastanza certo però, che i cristiani, all’usare questo

termine, non lo presero dai culti misterici, dato che erano sempre

contrari alle usanze pagane, ma dalla Bibbia greca dei LXX e dal

linguaggio dell'apocalittica del giudaismo contemporaneo.

Nella Bibbia greca mysterion significa i culti idolatrici (Sap

14,15.23.), i segreti di Dio (Sap 6,22), i segreti escatologici, quegli

eventi stabiliti da Dio affinché si compissero alla fine dei tempi (Dn

2,27-30. 46-48). Dio rivela questi misteri per mezzo di un linguaggio di

segni che esprimevano un arcano escatologico, ossia la predicazione

velata degli eventi futuri stabiliti da Dio. Dio dona pure l'intelligenza di

poterli capire per mezzo di mediazioni umane. Questo si vede nel libro

di Daniele ma al tempo di Gesù esistevano già molte altre opere del

genere apocalittico che non sono entrate nella Scrittura.

Ricollegandosi a tale senso e sviluppandolo, mysterion viene poi a

significare in S. Paolo il disegno nascosto di Dio manifestato solo

mediante la rivelazione e destinato ad essere realizzato alla fine. Il

mistero di Dio è quindi in definitiva Gesù stesso come Messia. Un

accento speciale viene sempre posto sulla prospettiva escatologica in

cui tale storia si compirà. Vediamo per esempio Ef. 1,9: Dio «ci ha fatto

conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua

benevolenza aveva in Lui (in Cristo) prestabilito per realizzarlo nella

pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le

cose.»

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Così vediamo che per valutare l'uso paolino del termine mysterion

non c’è bisogno di rifarsi al significato cultuale pagano del termine.

Non sembra che S. Paolo abbia mai applicato il termine ai riti del culto

cristiano anche se alcuni autori hanno proposto in 1Cor 4,1 «Ognuno ci

consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio»

come eccezione. L'interpretazione di questo testo è ancora aperta perché

il senso cultuale sarebbe un uso poco abituale per S. Paolo e il testo

sembra riferirsi piuttosto all'amministrazione degli atti salvifici di Dio o

all'economia della salvezza. Comunque il fatto che queste azioni

salvifiche siano dispensate attraverso i sacramenti è almeno

implicitamente menzionato.

A. Giustificazione dell'uso di mysterion per i riti cristiani.

Anche se non è chiaro che S. Paolo abbia mai utilizzato il termine

mysterion in senso cultuale, l'uso di questo termine per tali riti non si

esclude e questo vocabolo fu utilizzato dai cristiani per descrivere in

modo generale i riti del culto cristiano.

Per giustificare quest’uso vediamo che per Paolo il Battesimo e

l'Eucaristia sono partecipazioni nel mistero salvifico di Dio. In 1Cor

10,1-6 lui mette gli eventi dell'Esodo in rapporto ai riti cristiani come

tipi, o figure, del Battesimo di Cristo e del cibo e bevanda che è Cristo.

Come abbiamo visto l’Esodo era l'evento salvifico centrale dell’AT e

tipo degli eventi salvifici del NT, i quali sono partecipati attraverso

Battesimo-Cresima ed Eucaristia.

Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli che i nostri Padri sono

stati tutti sotto la nube, tutti hanno attraversato il mare, tutti sono

stati battezzati in Mosè nella nube e nel mare, tutti hanno

mangiato lo stesso cibo spirituale, tutti hanno bevuto la stessa

bevanda spirituale. Bevendo infatti da una roccia spirituale che li

accompagnava: quella roccia era Cristo. Ma Dio non si

compiacque della maggior parte di loro, e furono atterrati nel

deserto. Queste cose accaddero come figure per noi, perché non

desiderassimo cose cattive come essi desiderarono.

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In altri testi è ancor più esplicito come Rm 6, 3-5 in rapporto al

battesimo e 1Cor 11,26-27 in riferimento all'eucaristia. Così risulta

chiaro che per S. Paolo, anche se non lo dice specificamente, il

Battesimo e l'Eucaristia sono modi e mezzi di partecipare realmente nel

mistero di salvezza. Sono segni (figure, similitudini) e parte del mistero

salvifico che incorpora tutti gli uomini, ebrei e pagani, al corpo di

Cristo. Per questo motivo i riti sacramentali del battesimo e

dell’Eucaristia possono chiamarsi mysterion con fondamento biblico e

per estensione il termine può essere applicato agli altri riti cristiani di

culto.

3. Conclusione

Dal punto di vista biblico i sacramenti sono i memoriali dei segni

e prodigi che realizzano l'efficacia della Parola di Dio nel tempo della

Chiesa, attualizzando e realizzando il segno e prodigio fondamentale:

Cristo nella sua incarnazione, morte e risurrezione che ha sigillato la

nuova e definitiva alleanza fra Dio e gli uomini. Per mezzo del

ministero della Chiesa e l'azione dello Spirito Santo gli uomini

partecipano di quest'Alleanza con il Padre e sono uniti in un nuovo

rapporto d'amore con i membri della Chiesa, con tutti gli altri uomini e

la creazione intera, e lavorano finché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28)

VI. LO SVILUPPO DEL CONCETTO DI

SACRAMENTO NELLA STORIA DELLA TEOLOGIA:

Abbiamo visto che la Bibbia, anche se ci dà tanti elementi

d'interesse non ci dà un termine per definire, in un modo comune, i riti

della Nuova Alleanza. I Santi Padri offrono diverse spiegazioni che

esamineremo adesso per vedere lo sviluppo nella comprensione

teologica dei sacramenti.

Nella Bibbia abbiamo visto l'uso del termine mysterion. Quella

dei LXX aveva anche i termini semeion (segno) traducendo l'ebreo ot, e

anàmnesis (memoriale) traducendo zikkaron.

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Semplificando un po’ di più, potremmo dire che la storia della

teologia sacramentaria consiste nella comprensione esatta dei termini

mistero-sacramento e segno in quanto applicati al culto cristiano. Si

tratta di eliminare man mano le confusioni che possono risultare dalla

comprensione che questi termini avevano nei diversi ambiti culturali nei

quali si è sviluppata la teologia cristiana (antico-ellenico, medievale

germanico, moderno-razionalista), per ricondurre questa comprensione

alle autentiche radici bibliche.

1. I Padri Greci: I sacramenti come misteri di Cristo

Abbiamo visto che il significato principale della parola mysterion

era di indicare in primo luogo un'azione salvifica di Dio. Questo

significato originario spiega l'utilizzazione del termine mysterion nel

periodo immediatamente post-apostolico e in tutta l'epoca patristica. Il

termine viene utilizzato raramente dai padri apostolici, però fin dai

primi apologisti diventa un concetto di capitale importanza per la

teologia e la liturgia sotto la spinta delle controversie con la gnosi e la

religiosità misterica.

I Padri greci sviluppando il pensiero paolino sulla sacramentalità

della persona di Cristo, applicarono il termine mysterion anche agli

eventi storici della vita del Redentore, ai suoi singoli atti e parole,

poiché è in essi che si manifesta e si realizza concretamente il piano

salvifico di Dio.

In questo stesso periodo cominciarono a designare con il nome di

misteri anche le profezie, le azioni salvifiche e specialmente le figure,

eventi e persone dell’AT di carattere tipologico che alludono al futuro

adempimento in Gesù Cristo, come per esempio l'agnello pasquale.

Infine, a partire dal secolo terzo comincia a servire a indicare i riti

religiosi cristiani. Mistero è il concetto che abbraccia sia l'azione

salvifica di Dio in Cristo, sia la sua rappresentazione cultuale.

A. Padri apostolici e apologisti. (sec I-II)

I padri apostolici usano poco la parola e lo fanno soprattutto per

riferirsi alla vita di Cristo o, come S. Giustino, alle figure e profeti

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dell'AT. Evitano di applicarlo ai sacramenti per non confonderli con i

riti misterici. Allo stesso tempo S. Giustino riconosce un certo

parallelismo in quanto compara i riti cristiani con i riti pagani

chiamando i misteri pagani uno scimmiottamento diabolico dei misteri

divini.

B. I padri Alessandrini (Sec III)

a). La terminologia platonica

La scuola di catechesi d’Alessandria fu un centro di contatto e di

interscambio culturale fra il messaggio cristiano e la mentalità

marcatamente platonica dell’ellenismo. Questo incontro merita

un'analisi più attenta.

In genere possiamo dire che in oriente la pratica sacramentale

della Chiesa fu compresa per mezzo di categorie proprie della filosofia

platonica; in concreto, con le categorie di "eikon" (immagine) e

mysterion (mistero).

I padri greci utilizzarono la concezione platonica di immagine-

archetipo che opera una distinzione tra l'immagine originaria, che è il

mondo ideale o delle idee al quale tende ogni realtà, e l'immagine

partecipata o terreste che, contenendo in qualche modo l'immagine

ideale, se ne sente attratta e tende a trascendere se stessa per ricuperare

il suo stato originario. L'immagine terrestre si sente spinta dalle cose o

immagini create, che sono come una reminiscenza o anàmnesis

permanente dell'ideale, a trascendere se stessa e ad ascendere verso

l’unione e visione dell'immagine celeste. In questo schema l’immagine-

archetipo, l'immagine è una realtà esemplare, ossia è una forma, con

somiglianza concreta, cioè reale, di una realtà spirituale invisibile. Si

tratta perciò di una presenza concreta che è espressione sensibile della

realtà in se stessa.

Questo schema con il suo dinamismo dialettico risultava

comprensibile e valido per i Padri, i quali presero i concetti platonici e li

riempirono di un nuovo contenuto soteriologico, che integrava

adeguatamente la loro visione cultuale-sacramentale data dall'uso che S.

Paolo e la lettera agli ebrei fanno del termine. Infatti, in Col. 1,15

l'Apostolo parla di Cristo come immagine del Dio invisibile; e in Eb

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10,1 si dice che: «Infatti la legge, che ha un’ombra dei beni futuri, non

l'immagine stessa delle cose....» dove il culto è presentato come

immagine o icona. Così, a differenza della legge, il culto di Cristo è

l'immagine della realtà e per questo la contiene.

Le altre forme di religiosità presenti nel mondo ellenistico

prendevano concetti simili. Così per le religioni misteriche le cose

visibili erano dei simboli del mondo spirituale e di quello divino. Gli

gnostici dicevano che per capire l'immagine c'era bisogno di una certa

mistagogia o iniziazione, ossia d’una introduzione nel mistero

dell'archetipo presente nell'immagine e, allo stesso tempo, nascosto.

Soltanto gli iniziati conoscono la vera realtà dietro le ombre delle

immagini che rimangono sempre velate ai non iniziati.

I Padri greci trovano in questa mentalità così diffusa categorie che

possono essere applicate ai fatti salvifici e al culto cristiano, ma si

servivano di loro soltanto nella misura in cui fossero compatibili con la

fede.

b). Origene

Per Origene tutta la storia della salvezza è mistero. Dio opera la

salvezza nel simbolo profetico, nel "typos" dell’AT, la attua nella vita,

morte e risurrezione di Cristo e la comunica attraverso la Parola e i riti

cultuali della Chiesa, fino a quando tutto ciò troverà compimento

escatologico nella manifestazione chiara della realtà di Dio, che stava e

sta dietro i singoli misteri.

C. Padri Greci Posteriori:

Tutti i padri posteriori si muovono sulla stessa linea. Così per S.

Atanasio mysterion è il piano di salvezza realizzato nei misteri dalla vita

di Cristo, nella predicazione del Vangelo, nella fede e nelle verità

cristiane.

Pure per I cappadoci, specialmente Gregorio di Nissa, il

mysterion è, nel senso della teologia paolina, l'azione salvifica di Dio in

Cristo e precisamente nella sua triplice gradazione: AT-Cristo-Chiesa.

Poi, in senso ancora più generale, è la realtà salvifica nascosta sotto il

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segno, simbolo o "typos", esterno, sia nelle forme storiche dell'AT e del

NT, sia nella loro riproduzione cultuale, destinata a comunicare ai fedeli

la partecipazione alla stessa azione salvifica riprodotta.

Tale rimane, sia pure con sfumature diverse, il senso e il

significato di mysterion nei padri greci: azione salvifica di Dio in Cristo

e la sua riproduzione comunicatrice di salvezza al credente attraverso il

rito. S. Gregorio Nazianzeno e S. Cirillo di Gerusalemme aggiungono

l'idea che il fatto che il mysterion sia composto di un elemento visibile e

di uno invisibile, risponde alla natura dell'uomo in quanto va celebrata

con una forma simbolica per mezzo di un intreccio di cose, gesti, parole

ecc. che si accolgono e si comprendono nella fede della Chiesa. Il

mysterion è efficace, non per se stesso, ma per l'operazione della

divinità e per la croce di Cristo. Questa nozione passerà poi alla teologia

occidentale attraverso S. Ambrogio di Milano.

D. S. Giovanni Crisostomo

Lui è il Padre che fa più uso della parola mysterion applicata ai

riti del Culto cristiano, specialmente il battesimo e l'Eucaristia.

Il mysterion ha due dimensioni: parla del mysterion aistheton, in

quanto realtà non accessibile alla conoscenza naturale e il mystero

noeton, in quanto può essere conosciuto per il dono della fede, ma senza

arrivare alla piena conoscenza perché rimane sempre trascendente

anche quando rivelato.

Ecco un testo

C'è un mistero quando consideriamo le cose diverse da quelle che

vediamo... in questo caso uno è il giudizio del fedele e altro quello

dell'infedele. Io intendo che Cristo è stato crocifisso e subito

ammiro il suo amore per gli uomini; l'infedele sente la stessa cosa,

ma dice che è stata una follia... L'infedele conosce il battesimo,

ma pensa che sia solo questione d'acqua; io invece non mi fermo a

considerare solo quello che vedo e contemplo la purificazione

dell'anima operata dallo Spirito Santo. L'infedele considera il

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battesimo come una semplice lavanda della corpo; io invece credo

che rende l'anima pura e santa e penso al sepolcro, alla

risurrezione, alla santificazione e alla giustizia, alla redenzione,

all'adozione a figli, all'eredità celeste, al regno dei cieli, al dono

dello Spirito Santo...).5

E. Dionigi l'Areopagita

Lo pseudo-Dionigi l'Areopagita, esercitò un vero fascino in tutto

il medioevo. La sua opera si può collocare tra gli ultimi anni del secolo

V e i primi del VI e rappresenta uno dei tentativi più radicali di

riconciliare il messaggio evangelico e la tradizione neoplatonica. Lui

considera il concetto mysterion in rapporto con quelle azioni rituali

nelle quali, per mezzo dell'invocazione ecclesiale dello Spirito Santo,

attua la grazia salvatrice di Dio nei fedeli e negli oggetti in forma

misteriosa. Secondo il Von Balthasar la teologia di Dionigi non è

inferiore per forza spirituale a quella di Sant'Agostino.

Per Dionigi il processo di santificazione o divinizzazione include

tre aspetti: Purificazione, illuminazione e perfezione o unione. Lui

distingue 6 misteri o sacramenti. Il mistero del battesimo costituisce il

mysterion della luce o della nascita divina che introduce i neofiti nel

popolo santo degli illuminati; i misteri dell'unione (l'eucaristia), della

cresima e, più ancora, delle consacrazioni episcopali, e, per lui,

monacali, conferiscono la perfezione dell'unità che si conclude con il

rito di quelli che sono morti santamente. La divinizzazione per mezzo

dell'azione sacramentale è inseparabile da un progresso nella

conoscenza, che deve culminare nell'in-conoscenza dell'estasi.

F. Conclusione della patristica greca e sviluppi ulteriori.

Vediamo che nel mondo greco verso il fine del sec V il termine

mysterion era applicato con perfetta tranquillità ai riti che i latini

chiamano sacramenti, specialmente quelli dell'iniziazione cristiana.

I misteri del culto erano le immagini dell’archetipo divino, la

salvezza di Dio in Cristo. Ma a differenza del platonismo l’immagine

5 In I ep. Ad Cor., hom. I,7 PG 63, c 55.

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non aveva una partecipazione nella realtà rappresentata soltanto per il

fatto di essere simile ma perché erano pieni della forza dello Spirito

Santo che si invocava nei riti della Chiesa. L'epiclesi o invocazione era

un elemento essenziale del rito. Sul tema dell'epiclesi il catechismo cita

S. Giovanni Damasceno nel n. 1106:

Tu chiedi in che modo il pane diventa Corpo di Cristo e il vino...

Sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo irrompe e

realizza ciò che supera ogni parola e ogni pensiero... Ti basti

sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo

stesso modo che dalla Santa Vergine e per mezzo dello Spirito

Santo il Signore, da se stesso e in se stesso assunse la carne.

2. Padri Latini: I sacramenti come segni di grazia. A. La nascita del termine "sacramentum" (Sec III)

Il termine latino mysterium preso in prestito dal greco, è noto già

dai tempi di Cicerone; qui però esso ha perso in misura più netta il suo

significato cultuale e in campo cristiano indica piuttosto la verità

rivelata e la prefigurazione o i tipi dell'AT. Dato però che esso continua

in qualche modo a riecheggiare il significato cultuale, e quindi a

ricordare i riti pagani, si diede la preferenza a una sua traduzione latina:

al termine sacramentum.

Tertulliano

Tertulliano, pur non essendo l'autore di tale traduzione, di fatto si

trova per la prima volta nelle antiche traduzioni latine della Bibbia in

Africa, le riservò una decisa preferenza. Partendo dal significato biblico

del mysterion lui adopera il termine "sacramentum" in un senso molto

largo assumendo una ricca varietà di significati: sul piano liturgico

concreto significa sacrificio o rito sacro (nel senso odierno di

sacramento e sacramentale); in modo speciale indica il battesimo con i

suoi obblighi di fedeltà (riecheggiando il senso profano di

"sacramentum", cioè di giuramento della recluta mediante una

consacrazione alla divinità). Va pure applicato all'eucaristia e alla

confermazione. Insiste anche in maniera un po’ troppo materiale sulla

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sua efficacia, legando in modo impressionante l'efficacia al significato.

Per esempio dice:

La carne è lavata perché l'anima sia senza macchia; la carne è

segnata, perché l'anima sia fortificata; la carne è messa in ombra

per l'imposizione della mano, perché l'anima riceva

l'illuminazione dello Spirito; la carne è nutrita del corpo e del

sangue di Cristo perché l'anima sia ristorata da Dio.

D'altra parte egli attribuisce espressamente alla virtù divina

l'efficacia dei sacramenti.

Su un piano più astratto, poi, significa il typos dell'AT, la

rivelazione del NT, cioè l'economia della salvezza operata in Cristo, la

religione cristiana, una verità nascosta. Così Tertulliano parla del felix

sacramentum aquae nostre (De Bapt 1); dell'eucharistiae sacramentum

(De corona 3); afferma che vocati sumus ad militiam Dei vivi iam tunc,

cum in sacramenti verba responemus (Ad martyres 3).

Infine potremmo dire che per Tertulliano sacramentum ha tutti i

sensi del mysterion greco ma ad esso aggiunge anche l'aspetto giuridico

del giuramento o impegno.

B. Grande Patristica Latina (secc. IV-V) Prima di S. Agostino

Il De Mysteriis di San Ambrogio contiene una teologia

sacramentale più elaborata. Abbiamo già menzionato che lui ha

l’intuizione che il sacramento risponde alla natura dell'uomo in quanto

composto da un elemento visibile e da uno invisibile. Il sacramento è

efficace, non per se stesso, ma per l'operazione della divinità e per la

croce di Cristo. Per questo è uno dei primi a distinguere la presenza di

due elementi essenziali all’interno dei sacramenti. Per esempio nel

Battesimo distingue l'abluzione dall'invocazione della Trinità. Ecco il

testo:

Che cos'è l'acqua, senza la croce di Cristo? Un elemento

ordinario, sprovvisto di ogni efficacia sacramentale. E tuttavia

senza l'acqua il mistero della rigenerazione non avviene» e poi

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aggiunge «il catecumeno se non è stato battezzato nel nome del

Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non può ricevere la

remissione dei peccati né attingere il dono della grazia spirituale

(Ambrogio 2, IV).

Nel mondo greco la dottrina sacramentale è stata abbastanza

pacifica e per questo, a differenza della dottrina trinitaria e cristologica,

non ci sono state controversie che hanno fatto progredire la dottrina. È

stato nel mondo latino dell’Africa che il donatismo e le controversie a

cui ha dato luogo hanno portato i Padri ad approfondire le nozioni di

Tertulliano. Quello che era in gioco era sapere se il valore santificatore

dei riti dipendesse dalla santità di colui che conferiva il sacramento e

dall'autenticità della comunità ecclesiale in cui erano conferiti o se era

indipendente da questi fattori. I donatisti rimproveravano ai cattolici di

celebrare i misteri con ministri indegni, «Quando un sacrilego erige un

altare, è un profano che celebra i riti, un insozzato che purifica.»

Già prima di Agostino, Ottato di Milevi rispondendo ai donatisti

metteva in risalto il carattere puramente strumentale del ministro:

Voi non cessate di domandare: chi non ha quello che dona, come

può donarlo? Ma colui che dona è il Signore; chi purifica

ciascuno è unicamente Dio: chi, in realtà, può lavare le sozzure e

le macchie dello spirito, se non Dio che ha fatto lo spirito?

Egli accorda un grande valore all'invocazione della Trinità e alla

fede del soggetto, che è la fede nella Trinità invocata e nel rito

conferito. Questa importanza è tale, da fargli pensare che il battesimo

conferito da un eretico sia senza valore. Al contrario riconosce valido il

battesimo conferito dagli scismatici.

C. S. Agostino

Un importanza particolare riveste S. Agostino per la parte

preponderante che ha avuto nella formazione della teologia

sacramentale scolastica. Egli sviluppa in maniera autonoma e creativa

quanto avevano affermato la teologia greca, e particolarmente quella

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alessandrina, sotto la spinta delle controversie donatiste e la polemica

anti-pelagiana, e orienta tutta la successiva teologia latina a vedere nel

sacramentum un rito sacro, un segno santo, un segno visibile (signum)

di cose divine, nel quale ci vengono mostrate realtà invisibili.

a). Questa dottrina si può riassumere in cinque punti:

1. Agostino estende il vocabolo sacramentum a tutti i segni sacri,

cioè a tutte le realtà visibili che, per istituzione divina, conducono lo

spirito alle cose invisibili: sia per conoscerle sia per ottenerle e per

unirci ad esse. Ciò va inteso anzitutto in un senso molto

intellettualistico: il segno fa conoscere qualcosa di diverso da sé. Questi

segni sono però di natura tale da possedere anche una somiglianza

ontologica con la cosa indicata dice nella sua lettera nº 98,9 «se infatti i

sacramenti non avessero una certa somiglianza con quelle cose di cui

sono sacramenti, non sarebbero infatti sacramenti». Lo adopera però

anche in un senso più preciso per indicare i riti della Chiesa, per mezzo

dei quali il credente ottiene la grazia e la salvezza.

2. In questo senso più preciso tutti i sacramenti significano Cristo,

unico salvatore perché la cosa indicata, la res, la realtà, in fondo è

sempre la stessa, cioè Cristo e la sua azione salvifica. I sacramenti

dell'antica Legge significavano Cristo, che sarebbe venuto; quelli della

nuova legge lo indicano già venuto. Questi hanno un triplice significato:

significano Cristo già venuto (primo avvento) e il suo mistero di

salvezza (passione-morte-risurrezione); significano la santificazione e la

salvezza, di cui sono il mezzo per chi li riceve: la remissione dei

peccati, l'unione a Cristo; significano inoltre il secondo avvento di

Cristo, cioè il compimento della salvezza. E qui Agostino si colloca

pienamente sulla linea dell'antica concessione del mistero: i misteri-

sacramenti sono quei segni arcani, che alludono all'ultima realtà

salvifica di Cristo. Perciò essi non sono semplicemente segni

intellettuali allusivi ma in qualche modo comunicano quel che indicano.

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3. I sacramenti non solo significano la salvezza di chi li riceve, ma

la producono: Dice «Da dove viene all'acqua cosi alta virtù che,

toccando il corpo lavi l'anima?». Su questo punto c'è una differenza

notevole tra i sacramenti dell'antica Legge e quelli della nuova: «I

sacramenti del NT conferiscono la salvezza, i sacramenti dell’AT

promettevano il Salvatore». Ciò vuol dire, non tanto che i sacramenti

dell'antica Legge non avevano alcuna efficacia, ma piuttosto che

avevano un’efficacia minore. Però Agostino non giunge a dire che il

sacramento della nuova legge sia un «signum efficax.» Il suo concetto di

sacramento è ancora troppo ampio per limitarsi a questo aspetto.

4. I sacramenti producono il loro effetto salvifico grazie alla

"parola" della formula sacramentale. Dice: «Sopprimi la parola; che

cos’è l'acqua senza la parola? La parola accede all'elemento e lo stesso

sacramento è una parola visibile». Dopo quest’affermazione passa alla

necessità di credere, per essere purificati e salvati. Ma data la realtà

della controversia donatista fa una distinzione all’interno del

sacramento fra Sacramentum e Res sacramentum. Agostino ha sempre

legato alla fede e alla vera Chiesa che ne è la custode, il Frutto

(effectum, la virtù interna o il res sacramentum) del sacramento che è

ciò che succede nell'anima. Senza la fede e la Chiesa il sacramento non

ha alcuna utilità per la salvezza. Nello stesso tempo però, egli ha

stabilito definitivamente che il sacramento esisterebbe anche senza

queste condizioni e conserverebbe il suo valore di santificazione, anche

se dato «da adulteri e trovati in adulterio».

In questo contesto del dibattito sui sacramenti degli eretici

Agostino sviluppa la nozione di carattere sacramentale, affermando che

il battesimo conferisce a colui che lo riceve un segno irripetibile ed

incancellabile, come il militiae character, la sottolinea il segno di

fedeltà all'imperatore ricevuto dal soldato nell'occasione del suo

sacramento o giuramento. Questo effetto è distinto dalla grazia e fa che

il sacramento rivive una volta che l’eretico torna alla comunione

ecclesiale.

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5. Agostino ha applicato questa nozione di sacramento

espressamente al battesimo, all'eucaristia, e al rito per cui un cristiano è

costituito «dispensator verbi et sacramenti». Per gli altri sacramenti, si

parla dell'unzione (confermazione) e anche di un rito di riconciliazione

che chiama impositio manuum e del sacramento degli infermi: ma non li

designa espressamente col nome di sacramento nel senso di rito

santificatore.

b). Conclusione

Con il contributo di Sant'Agostino, la teologia sacramentaria ha

percorso un cammino importante, illuminando i punti discussi sul

ministro e la validità del sacramento. Ha chiamato il rapporto essenziale

dei sacramenti con la fede e con la Chiesa. Così Sant'Agostino stabilisce

in modo definitivo la validità oggettiva dei sacramenti cristiani.

Stabilendo esatti rapporti tra ecclesiologia e teologia sacramentaria,

Sant'Agostino fornì a quest'ultima una solidità che non aveva ancora

ottenuto, e ciò spiega la straordinaria influenza esercitata sui secoli

posteriori.

D. Dopo S. Agostino

I padri latini dopo Sant'Agostino non approfondirono molto la

nozione di segno ma contemplarono il sacramento alla luce del

mysterion secondo la tradizione della patristica greca. In questo periodo

Mysterium e sacramentum sono termini quasi sinonimi e sono applicati

a molte realtà diverse.

a). Liturgia

Questo linguaggio si riscontra anche negli antichi Sacramentari romani.

Per esempio troviamo nel Veronese una preghiera pasquale:

«Omnipotens sempiterne Deus qui Paschale sacramentum

quinquaginta dierum voluisti mysterio contineri: praesta, ut

gentium dispersio... congregetur (n 191)» Dio onnipotente che ha

voluto contenere il sacramento pasquale nel mistero dei cinquanta

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giorni... Si vede come i 50 giorni della pasqua sono chiamati

mistero come in altri testi la quaresima e il natale ecc.

Adesso vedremo soltanto due figure. S. Leone Magno è

importante non tanto per l'influsso esercitato nella scolastica ma

piuttosto perché il suo pensiero è stato ripreso all'inizio del secolo

scorso e ha contribuito a capire meglio i sacramenti. Il lavoro

enciclopedico di S. Isidoro invece ha avuto un notevole influsso nella

teologia scolastica.

b). Leone Magno

Come abbiamo detto non fa grande distinzione fra mistero e

sacramentum che indicano una realtà invisibile nascosta sotto la figura

di un’altra realtà. Per lui Cristo è il sacramento primordiale, il segno

dell'azione salvifica di Dio, il segno dell'Amore totale universale. I

sacramenti sono segni simbolici di Cristo. Il seguente riassunto di un

testo esprime bene il nucleo della sua teologia:

Per la salvezza non basta l'insegnamento della legge né il

profetismo, poiché alle dottrine morali bisogna aggiungere la

verità della redenzione attraverso l'offerta di una vittima di

riconciliazione. Questa offerta ha avuto come conseguenza che il

divino disegno, secondo il quale il peccato del mondo doveva

essere distrutto per mezzo della nascita e della passione di Cristo

(il mistero totale dell’Incarnazione e della Pasqua, veniva ad

appartenere alle generazioni di tutti i secoli). L'incarnazione del

Verbo comportava che avvenisse in futuro quel che era già

avvenuto e così il sacramento della salvezza umana non è mai

diventato talmente antiquato da cessare di esistere e di agire. Dio

ha posto un'unica e medesima fonte di salvezza fin dalla creazione

del mondo e questo grande sacramento del suo amore (cioè

Cristo) fu talmente valido, anche nei suoi segni simbolici, che agì

su coloro che lo credettero quando era promesso, non meno di

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Sacramenti in generale

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quel che agì in coloro che lo accolsero quando fu realmente

donato.6

Vediamo così Cristo e la sua vita al centro della storia della

salvezza. Il mysterium sacramentum dunque è la visibilità nel quale la

realtà della salvezza di Cristo si comunica e la presenzialità della stessa

realtà salvifica significata.

Lui spiega la presenzialità mediante la dottrina dell’hodie

liturgico. Si tratta di una presenza simbolica che fa rivivere qui e adesso

l'evento salvifico celebrato. Infatti per mezzo del mistero-sacramento

l'incarnazione è diventata un fatto che sarebbe stato continuato per tutti

i secoli. Ciò perché nel mistero di Cristo non c'è misura di tempo, anche

se c'è un rapporto col tempo: si tratta di una realtà unica. Oggi, Hodie,

questo mistero di Cristo, il sacramento del amore di Dio, ha riempito il

mondo.

c). Sant'Isidoro di Siviglia (+636)

Spiega l'etimologia di sacramentum come sacrum secretum e lo

definisce come memoria dell'evento pasquale sulla base della

definizione di Sant'Agostino: il Sacramento consiste nel realizzare

qualche cosa che si deve intendere secondo un significato concreto e

che deve essere ricevuto santamente. Lui spiega che:

Sacramenti sono il battesimo, il crisma, il Corpo e il Sangue del

Signore, e si chiamano "sacramenti" perché sotto l'involucro di

cose materiali, la virtù divina porta a compimento in segreto il

potere salvifico di questi sacramenti. Di qui l'origine del loro

nome, o per le loro capacità "segrete" o per il loro carattere

"sacro". Nel seno della Chiesa la loro azione porta frutto perché,

essendo in essa presente lo Spirito Santo, realizza segretamente

l'effetto di questi sacramenti... Per questo in greco sono chiamati

"misteri" perché la loro attività è segreta e misteriosa.7

6 Sermo 23, 3-4. 7 Etymol VI 19, 39-42.

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Oltre ai chiarimenti teologici dei secoli precedenti, soprattutto di

sant'Agostino troviamo in questa esposizione di Isidoro la distinzione

dell'aspetto visibile che però passa dal concetto di "celebrazione" al

concetto di “cosa”. L'aspetto visibile, il segno, va diretto all'intelletto: la

sua funzione è “far comprendere”. Dall'altra parte sta la “virtus divina”,

che opera sotto l'apparenza del segno, ed è l'azione dello Spirito Santo,

che porta la salvezza. Così si comincia a perdere la connessione fra il

segno e la virtù salvifica. La parola "sacramentum" passa ad indicare il

segno, capito come un semplice “involucro” dell'azione divina.

C'è pure un'altra linea che evidenzia nei sacramenti la dimensione

“segreta e misteriosa”, e appare coerente per giustificare l'evoluzione

liturgica del periodo in un senso sempre più clericale e distaccato dal

popolo.

E. Conclusione della patristica latina:

Concludendo la patristica vediamo che in genere i padri non si

sono preoccupati di cercare una definizione teologica dei sacramenti, né

di determinarne il numero e la natura dell’azione. Hanno avuto una

ricca vita sacramentale ma il centro d'interesse teologico è altrove. Fra i

sacramenti la riflessione si concentra nei sacramenti d'iniziazione.

Il concetto teologico del mysterion nell'oriente e di mysterium-

sacramentum nell'occidente all'inizio erano quasi sinonimi. Col tempo il

mysterium latino viene messo sempre più in rapporto con la realtà

salvifica invisibile, e sacramentum con la manifestazione visibile, ma

sempre considerati come due lati della stessa cosa. Le difficoltà per la

comprensione verranno dopo, quando mysterium passerà a significare

unicamente la verità rivelata e sacramentum unicamente il segno della

grazia, un segno considerato ormai non pi come operativo ma soltanto

intellettualmente significativo. Questo ci porta ora alla scolastica.

3. La Scolastica. Nuovi problemi e sforzo di precisione

A. Verso una definizione di Sacramento

Nell'epoca antica la posizione di Sant'Agostino di chiamare

sacramento la parola e il personaggio dell'AT, Cristo e i riti della Chiesa

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non causava nessun problema. Ma col tempo si sentì il bisogno di

restringere l'area della sacramentalità e quindi ci si mise alla ricerca di

una più precisa definizione di sacramento. In tutte le definizioni si diede

risalto alla natura del segno che in questo modo venne definitivamente

riconosciuta al sacramento. Si comincia pure a discutere sugli aspetti

del numero e dell'efficacia dei sacramenti.

Infatti uno dei fattori che si nota dell'epoca pre-scolastica è

l'oscuramento della nozione di partecipazione nel mistero. In parte per

l'influsso di Isidoro e in parte per l'influsso dei popoli germanici più

realisti e concreti. Fondamentalmente dicono che il segno non è la

realtà, né partecipa della realtà. Il segno informa solo intellettualmente

la realtà soprannaturale che si realizza quando è attuata.

Questa posizione fu origine di una serie di discussioni circa

l'eucaristia, iniziando con Berengario di Tours nel sec. (+1088). Questi,

basandosi su affermazioni agostiniane non sempre correttamente

adoperate, scorge nel sacramento eucaristico essenzialmente un

simbolo, un segno; le due specie eucaristiche non sono il vero corpo né

il vero sangue, ma una figura e un'immagine (similitudo). Afferma che

il pane, dopo la consacrazione, è il corpo di Cristo, ma spiritualmente,

per la fede, non materialmente.

Gli oppositori di Berengario difendevano la presenza reale ma con

argomenti troppo imprecisi e poco illuminati sulla relazione tra il

sacramento e la realtà significata. Si vede con chiarezza che entrambi i

contendenti avevano dimenticato l'antica nozione di mysterion come

simbolo reale. Ciò si vede nella professione di fede, imposta dal sinodo

romano nel 1059 a Berengario, che contrappone sacramentum a veritas,

segno a realtà. Cristo sarebbe nella eucaristia «non solum sacramento

sed in veritate» (DzH 690). Difficoltà come queste hanno spinto i

teologi a cercare nozioni più precise di sacramento.

I secoli della prima scolastica (XI-XII) sono realmente importanti

nell'elaborazione di una teologia dei sacramenti, poiché in quest'epoca

si va preparando un adeguato filone di pensiero per la sintesi della

grande scolastica, il cui protagonista principale sarebbe stato Tommaso

d'Aquino. Come prima conquista di questi secoli va segnalata la

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creazione o fissazione di un vocabolario tecnico in teologia

sacramentale. Alcuni termini sono tratti dal vocabolario agostiniano

come la definizione di sacramento e le fondamentali distinzioni tra

forma e virtus, tra signum et res del sacramento, ossia i primi tentativi

di spiegare l'efficacia sacramentale. Altri termini invece sono

completamente nuovi nel linguaggio sacramentale e sono dovuti

all'influsso delle categorie aristoteliche nella teologia. Per esempio

vedremo termini come materia e forma, causa, e, dopo le controversie

con Berengario, si generalizzano i termini sostanza e presenza

sostanziale che provocano la formazione della parola

transustanziazione. Anche la distinzione tra opus operantis e opus

operatum appartiene allo stesso periodo.

Oltre la fissazione del linguaggio teologico questi secoli

presentano la sistematizzazione della teologia sacramentaria. Quando le

prime grandi summe teologiche cominciano ad apparire verso la metà

del sec. XIII appare anche un trattato organico dei sacramenti che

occupare presto un posto definitivo nell’esposizione generale della

dottrina cristiana.

Nel primo periodo si possono distinguere due tipi di sintesi

sacramentarie, quella di Ugo di S. Vittore, più ispirata a una

preoccupazione pastorale, e quella di Pietro Lombardo guidata da una

preoccupazione più speculativa.

B. Ugo di S. Vittore (1096-1141)

Nella sua opera principale De sacramentis christianae fidei, forse

il primo trattato sui sacramenti, questi vengono considerati all'interno

del grande quadro di tutta l'economia salvifica. A loro volta, tutti i

grandi interventi salvifici di Dio nella storia sono contemplati in chiave

sacramentale.

I sacramenti sono presenti nei tre stadi dell'economia della

salvezza (Stato di natura, AT, NT) ma quelli della nuova alleanza hanno

sostituito gli altri. Per Ugo di S. Vittore i sacramenti sono prima di tutto

remedium all'uomo peccatore. L'azione pedagogica di Dio per mezzo

delle azioni sacramentali si sviluppa in tre aspetti: «ad humiliationem,

ad eruditionem, ad exercitationem hominis». D'altra parte Ugo di S.

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Vittore contribuisce in modo determinante all'elaborazione del concetto,

definizione e numero dei sacramenti.

C. Pietro Lombardo (+1164)

Pietro Lombardo all'inizio del IV libro delle “Sentenze” riassume

le definizioni di sacramento, che erano già classiche, e offre la propria

definizione fondata sul principio del ilemorfismo aristotelico (dal greco

hyle = Materia e morphè = forma) assunto dalla teologia scolastica

come principio base della conoscenza dell'essere creato. La definizione

di Lombardo avrà immediato successo perché in tal modo si era trovata

la "chiave" per stabilire la distinzione chiara tra sacramento e le altre

celebrazioni sacre.

Pietro Lombardo è il primo ad offrirci l'enumerazione completa

dei sette sacramenti. Lo fa con sicurezza come cosa pacifica, senza

riferirsi ad altri autori. Da questo momento l'elenco è ammesso senza

contestazione o divergenze di alcun genere fino alla riforma Protestante.

I grandi scolastici cercano di spiegarne il numero con ragioni di

convenienza ma non a stabilirlo.

Resta ancora senza spiegazione definitiva in che maniera, ossia

per quale via e sotto quale formalità, il sacramento, composto di

elementi naturali e sensibili, eserciterà questa sua causalità di grazia che

è una realtà soprannaturale e non sensibile. Vedremo che S. Tommaso

lo spiegherà con la causalità strumentale.

D. Altri Scritti

Ci sono altri scritti che hanno contributo alla dottrina

sacramentale

a). La Summa Sententiarum

Questa opera anonima del secolo XI diviso in vari trattati. Il cap.

1 del trattato 7 si chiama De sacramentis in generali ed è la prima volta

che si trova questo titolo. Sembra anche che la serie dei nostri sette

sacramenti si trovi sviluppata per la prima volta nella Summa

Sententiarum. L’autore, dopo aver trattato del sacramento in genere,

considera ciascun sacramento in particolare. Arriva all’ordine,

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ricordandolo sbrigativamente perché l'opera è incompleta e fu

completata da un discepolo aggiungendo un trattato sul matrimonio.

b). Pietro Abelardo. (+1141) È uno dei primi a distinguere fra

sacramenti e sacramentali chiamandoli sacramenta spiritualia o

sacramenta majora e sacramenti minora. I sacramenti spiritualia sono

efficaci per la salvezza ma Abelardo nomina solo cinque dei nostri

sette, non fa cenno alla penitenza e all'ordine.

c). Lotario dei Segni (+1216) Prima di diventare Papa Innocenzo III,

Lotario introduce una nuova distinzione nel sacramento. Sant'Agostino

distingueva fra "sacramentum" e "res". Adesso si distinguono tre cose:

"sacramentum tantum" (soltanto il sacramento), che sarebbe il rito (il

segno in Agostino), il quale sarebbe segno e causa di una realtà

soprannaturale chiamata "res et sacramentum" (realtà e sacramento), il

quale a sua volta sarebbe segno e causa di un’altra realtà soprannaturale

chiamata res tantum (soltanto realtà), che sarebbe la grazia. Sotto il

concetto di "res et sacramentum" erano comprese realtà soprannaturali

come la presenza reale di Cristo nell'eucaristia e il carattere

sacramentale.

E. San Tommaso d'Aquino

Tommaso è senza dubbio il più grande fra i teologi medievali.

Anche nell'ambito della teologia sacramentaria va data particolare

importanza alla sintesi di san Tommaso, sia per l'ampiezza e profondità

del suo pensiero che per la sua capacità di conservare e sottolineare

alcuni valori fondamentali disattesi da molti suoi seguaci.

San Tommaso opera una sintesi di tutto l'enorme lavoro

precedente. La dottrina sui sacramenti viene affrontata da S. Tommaso

in varie opere: “Commento alle Sentenze” (IV Sent., d. 1, q. 1; d. 2, q.

1...) “Summa contra gentiles” (IV, cc. 56-58); “De Veritate” etc. La

sistemazione conclusiva è quella che ha realizzato nella Tertia Pars

della “Summa Theologiae”.

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Sacramenti in generale

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Lui apre il trattato dei sacramenti della Summa Theologiae con

queste significative parole: «Dopo aver considerato le questioni relative

ai misteri del Verbo incarnato, occorre considerare i sacramenti della

Chiesa, che ricevono efficacia dallo stesso Verbo incarnato (q. 60)». I

sacramenti sono dunque prolungamento del mistero di Cristo, «operano

in virtù della passione di Cristo, che in qualche modo si applica agli

uomini mediante i sacramenti (q 61 art 1 ad 3)». La trattazione dei

sacramenti in generale è suddivisa in cinque punti: 1. Che cos'è il

sacramento. " 2. La necessità, 3. Gli effetti. 4. La loro causa, 5. Il loro

numero

1. L'essenza del Sacramento.

Facendo propria la nozione di segno proposta da S. Agostino,

Tommaso definisce il sacramento come «segno d’una realtà sacra in

quanto santifica gli uomini (signum rei sacrae in quantum est

sanctificans homines q 60, a. 2)». Il sacramento viene così fatto

rientrare nella categoria del segno, si tratta di un rito-segno che rimanda

ad un'altra realtà. Una tale definizione vale per tutti i sacramenti,

compresi quelli dell'Antica Alleanza, sia pure in modo diverso in

rapporto alla loro diversa relazione con il mistero pasquale di Cristo. È

il mistero pasquale che fonda il contenuto proprio del sacramento. Dice

San Tommaso:

Sacramento propriamente si dice ciò che è ordinato a significare

la nostra santificazione. Ora in questa significazione si possono

considerare tre realtà: la causa efficiente, che è la passione di

Cristo; la causa formale, che consiste nella grazia e nelle virtù; e

la causa finale ultima che è la vita eterna. Ebbene tutt`e tre queste

realtà vengono significate dai sacramenti. Perciò il sacramento è

segno commemorativo del passato, cioè della passione di Cristo

(signum rememorativum); segno dimostrativo del frutto prodotto

in noi dalla sua passione, cioè dalla grazia; e segno profetico o

preannunziatore della gloria futura (q 60, a 3).

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Così i sacramenti sono «misteri» di salvezza in quanto

manifestano e conferiscono in modo di segno e di causa per modum

signi et causae la grazia di Cristo. La loro efficacia salvifica non può

essere altro che quella realizzata da Gesù Cristo. Due sono gli elementi

costitutivi essenziali del Sacramento, in linea con l'opinione comune,

che S.T. qualifica come res et verba (la cosa e le parole). La res

corrisponde alla materia, mentre le verba corrispondono alla forma. La

lettura in chiave ilemorfistica è fatta chiaramente in senso analogico: è

per modum materiae et formae (q 60, a.6). Questo parallelismo si

presenta più come una comparazione per indicare l'unità del segno e

della sua significazione, rifiutando così l'idea di una unione

semplicemente estrinseca, che come definizione del sacramento in sé.

D'altra parte il significato salvifico dei sacramenti deriva da

un’istituzione divina. È in virtù di tale disposizione che una realtà

naturale diviene veicolo di un evento soprannaturale (q 60 a.5).

2. Necessità del sacramento.

Nel numero 61, a. 1. S. Tommaso da tre ragioni per fondare la

necessità dei sacramenti.

1). La prima è data dalla condizione stessa dell'uomo che ha

bisogno di essere condotto per mezzo di cose sensibili alle cose

soprannaturali.

2). La seconda va desunta dallo stato dell'uomo «che peccando si

rese schiavo nei suoi affetti delle cose materiali. Ora, la medicina

dev'essere applicata sulla parte malata. Dunque era conveniente che

Dio con segni corporei fornisse all'uomo il rimedio spirituale»

3). La terza dal fatto che la maggior parte delle attività umane

hanno funzioni di ordine materiale. Così, perché l'uomo non fosse

totalmente occupato nelle cose materiali, gli sono state proposte nei

sacramenti alcune pratiche di ordine materiale alle quali applicarsi

sanamente, per evitare atti superstiziosi come la magia.

Ma S. Tommaso osserva che i sacramenti non producono la

salvezza automaticamente. Occorre la fede per raggiungere l'effetto

salvifico. Egli afferma che «La potenza del Cristo si raggiunge

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mediante la fede... e perciò la potenza dei sacramenti, ordinata a

togliere i peccati, viene principalmente dalla fede nella passione di

Cristo (q 62, a.5,ad 2)». Una tale fede implica l'adesione di tutta la

persona umana al disegno di Dio, compresi gli atti esterni.

3. Effetti del sacramento.

Gli effetti principali sono due: la grazia e il carattere. Anzitutto i

sacramenti sono causa strumentale produttiva della grazia. Questa

grazia è intesa come dono che «perfeziona l'essenza dell'anima, in

quanto le comunica una certa somiglianza con l'essere divino.» Dato

che secondo la sua teoria dell'uomo le potenze hanno origine

dall'essenza dell'anima, così dalla grazia derivano alcune perfezioni nei

confronti delle potenze dell'anima che sono la virtù e i doni, con i quali

le potenze vengono perfezionate in ordine ai loro atti:

Ora i sacramenti sono ordinati a degli speciali effetti, necessari

alla vita cristiana: così il battesimo è ordinato alla rigenerazione

spirituale, per la quale l'uomo muore al peccato e diventa membro

vivo di Cristo, e questo effetto è qualcosa di speciale, distinto

dagli atti delle potenze dell'anima. La stessa ragione vale per gli

altri sacramenti» (62, a 2.).

Perciò la grazia sacramentale aggiunge un determinato aiuto

divino alla grazia abituale, alla virtù infusa e ai doni dello Spirito Santo,

orientato a conseguire il fine proprio di ogni sacramento.

Il secondo effetto è il carattere. S. Tommaso argomenta l'esistenza

del carattere, nei sacramenti che l’imprimono, dal fine cui sono ordinati

questi sacramenti ossia la perfezione del culto cristiano. Chiunque viene

destinato a un compito specifico ne assume ordinariamente un segno

distintivo, come i soldati anticamente portavano un segno nel corpo.

Nei sacramenti gli uomini vengono destinati a prestazioni spirituali

attinenti al culto di Dio, è logico che per essi restino fregiati di un

qualche carattere o segno spirituale (q 63, a 1). I sacramenti che

abilitano l'uomo a qualche ulteriore potere di dare o di ricevere in

ordine al culto divino sono il Battesimo (porta), la Cresima

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(perfezionamento) e l'ordine. Perciò i sacramenti che imprimono

carattere sono soltanto questi tre.

La natura del carattere va determinata, per la sua collocazione

specifica, nel nuovo dinamismo spirituale creato nell'anima dalla grazia.

Infatti essendo un segno spirituale, il carattere appartiene all'anima

come una capacità o potere (potentia) sulle cose che sono proprie del

culto divino.

Gli effetti del carattere per i fedeli sono la deputazione a dare o a

ricevere ciò che riguarda il culto divino; vengono così configurati al

sacerdozio di Cristo e perciò il carattere è un segno di Cristo. Il

carattere è indelebile sia perché è partecipazione al sacerdozio di Cristo,

che è sacerdote eterno, sia perché si imprime nelle potenze spirituali

dell'anima, che sono incorruttibili (q 63, aa3 e 5). La ricezione del

carattere (signum et res) non dipende dalla fede del soggetto (q 68 a. 8);

e in ragione di esso il sacramento potrà rivivere nei suoi effetti di

grazia.

4. La causa del sacramento.

Prima di S. Tommaso la tendenza più comune quanto al modo di

spiegare l'efficacia del sacramento era attribuire ai sacramenti la virtù di

produrre nell'anima una disposizione alla grazia (causalità dispositiva).

S. Tommaso giovane aveva aderito a questa dottrina.

Poi S. Tommaso propone una nuova soluzione. In linea con la

tradizione dei Padri, S. Tommaso collega l'economia sacramentale della

Chiesa con gli atti redentori compiuti da Gesù lungo tutta la sua vita.

Quanto il Redentore ha realizzato per tutta l'umanità e ha acquisito una

volta per sempre in sé, si dispiega nello spazio e nel tempo e si

comunica a ogni uomo nei sacramenti; in essi si rendono come

contemporanei a ogni generazione gli atti redentori di Cristo ed è reso

possibile partecipare alla loro virtù salvifica. È l'evento della Pasqua di

Cristo che fonda il contenuto dei sacramenti, essi posseggono una

speciale forza derivante dalla passione di Cristo (62.a.5).

In questa visione i sacramenti non sono semplicemente una causa

dispositiva della grazia ma sono cause strumentali che attualizzano il

mistero salvifico della Pasqua. Il problema che doveva risolvere S.

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Tommaso era capire come potessero essere una causa segno del loro

effetto. Normalmente gli effetti sono segni delle loro cause. Egli risolse

il problema con la categoria di causalità strumentale. Lo strumento può

essere separato, come il bastone, o congiunto, come la mano. Lo

strumento congiunto poi muove lo strumento separato, come la mano

muove il bastone. La causa strumentale, se è visibile, manifesta la

forma che riceve della causa principale e che trasmette all’effetto che è

nascosto.

La natura fisica della causalità strumentale dei sacramenti sembra

dedursi dagli esempi che usa per illustrare il suo pensiero: la scure che

coopera con l'operaio, il bastone mosso dalla mano (61 a 5; 62 a 1).

Vediamo che S. Tommaso si situa nel contesto di una concezione

simbolico-oggettiva che conduce a riferire la causalità dei sacramenti

all'azione di Dio, prima che a quella dell'uomo. Per lui la causa

efficiente principale dei sacramenti è Dio; la causa efficiente

strumentale è l'umanità di Cristo, e, in dipendenza di essa, il ministro

umano e i sacramenti (Cfr. q48, a.6). Da ciò segue che solo Dio può

essere l'istitutore dei sacramenti (64, a.2.) Quanto al potere di Cristo

occorre distinguere: in quanto Dio, egli opera nei sacramenti:

Come causa meritoria ed efficiente strumentale» «Infatti abbiamo

già detto che la passione di Cristo, subita da lui secondo la natura

umana, è causa meritoria ed efficiente della nostra salvezza; non

come causa agente principale e suprema, ma come causa

strumentale, in quanto la sua umanità è strumento della divinità.

Nondimeno essendo la natura umana di Cristo strumento

congiunto ipostaticamente alla divinità, ha una certa superiorità e

causalità sugli strumenti separati che sono i ministri della Chiesa e

i sacramenti. Perciò come Cristo in quanto Dio ha sui sacramenti

un potere di autorità, cosi in quanto uomo ha su di essi un potere

di ministro principale, ossia un potere di eccellenza (64, a. 3.).

Secondo questa spiegazione, dunque, Dio, per mezzo di Cristo e

nello Spirito Santo, produce nei sacramenti, mentre vengono celebrati,

una forza soprannaturale, in virtù della quale essi producono in maniera

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immediata e diretta, la grazia nel soggetto che li riceve. Non che i

sacramenti contengano la grazia che comunicano in maniera formale,

ma solo virtualmente, in causa.

Così i sacramenti sono simultaneamente causa e segno, e così

deve essere capito l'assioma efficiunt quod figurant. La forma che

riceve dalla causa principale è ciò che lo fa allo stesso tempo segno e

causa strumentale.

Ciò è possibile in virtù della potentia obedientialis, in virtù della

«capacità della creatura d’essere elevata da Dio ad un effetto

superiore, purché non ripugni alla sua natura» (De Potentia q. 6 a. 1

ad. 18). Le cose come l’acqua, e il pane, etc. e le parole che

costituiscono i segni visibili dei sacramenti, sono indubbiamente

creature, e, di conseguenza, capaci di essere elevate da Dio a produrre

un effetto superiore: la grazia.

La spiegazione tomista mette in luce l'unità delle diverse fasi della

nostra salvezza. Dice M. Schmaus:

Con la spiegazione tomistica tutta la realtà di fede acquista

un'unità compatta. I sacramenti sono strumenti in mano a Cristo.

La natura umana di Cristo è a sua volta strumento del Verbo. Dal

Padre la salvezza scorre nel Figlio, dal Figlio nella natura umana

di Cristo assunta dal Figlio e formata dallo Spirito Santo, e di qui,

mediante i sacramenti ed attraverso alla Chiesa, nella persona

umana, che nella corrente di amore, che è lo Spirito Santo, viene

nuovamente portata dal Figlio al Padre. Qui tutto è organicamente

connesso.8

5. Il numero dei sacramenti.

S. Tommaso è sempre molto attento a trovare ragioni plausibili

per le cose e così fa vedere che non è per caso che i sacramenti siano

sette. Le ragioni di convenienza che propone derivano dalla necessità da

parte dell'uomo d'essere perfezionato in ciò che spetta al culto di Dio.

Così dato che la vita spirituale ha una certa analogia con la vita del

8 M. SCHMAUS I sacramenti come esplicitazione del Sacramento radicale in Sacramentum Mundi VIII,

Queriniana, Brescia 19752 p 86

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Sacramenti in generale

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corpo dice: «Nella vita fisica sono due le perfezioni che l'uomo deve

raggiungere: una rispetto alla propria persona, l’altra rispetto alla

società in cui vive, essendo l'uomo per natura un animale socievole».

Per quanto riguarda la vita fisica, sotto l'aspetto individuale, l'uomo

nasce, cresce, si nutre e, se ammalato, guarisce e si libera anche da tutti

i residui della malattia, mentre sotto l'aspetto sociale si abilita al

governo degli altri e partecipa nella propagazione della specie. Così, i

primi cinque sacramenti sono orientati alla vita individuale mentre

l'ordine e matrimonio sono orientati alla vita sociale.

In secondo luogo derivano dalla situazione di peccato in cui egli

si trova, considerando i sacramenti come rimedi contro le miserie del

peccato:

Infatti il Battesimo è contro l'assenza della vita spirituale; la

Cresima contro la debolezza spirituale che si riscontra nei neofiti;

l'Eucaristia contro la labilità dell'animo rispetto al peccato; la

Penitenza contro il peccato attuale..; L'estrema Unzione contro le

scorie dei peccati non tolte del tutto dalla penitenza o per

trascuratezza o per ignoranza; l'Ordine contro il dissolvimento

della collettività; il Matrimonio contro la concupiscenza personale

e contro i vuoti che la morte apre nella società (q. 65 a 1).

Dal punto di vista della dignità S. Tommaso spiega che

l'eucaristia è il più grande di tutti: 1. Perché contiene l'autore stesso dei

sacramenti 2. perché è il centro di tutti e 3. perché gli altri si

completano nell'eucaristia. (q 65. a 3)

Quanto alla necessità distingue tra necessità assoluta (o di mezzo)

e relativa (o di precetto). Sono assolutamente necessari, il battesimo per

tutti, la penitenza per chi ha commesso gravi peccati e l'ordine per chi

svolge determinati ministeri della Chiesa. Gli altri hanno una necessità

di precetto.

F. La tarda scolastica e il nominalismo (sec XIV-XV)

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a). La Scuola francescana e domenicana:

I secoli posteriori alla grande scolastica sono caratterizzati da un

certo scetticismo verso le conquiste della ragione e dalle dispute fra le

scuole domenicana e francescana sulla causalità dei sacramenti.

La scuola Francescana, con S. Buonaventura e Duns Scoto, si

preoccupa di salvare la sovrana libertà di Dio nella donazione della

grazia e in genere vedono con sospetto i concetti di causalità

dispositiva, o efficiente, perché credono che limiterebbero la libertà

divina e propone invece ciò che poi sarà chiamata causalità morale o

occasionale dei sacramenti.

I membri della scuola domenicana cercano di difendere San

Tommaso anche se non sempre lo interpretano bene. Così Giovanni

Capreolo pensando d’interpretare S. Tommaso parla di causalità fisico-

dispositiva mentre Tommaso di Vio, Cardinale Cayetano, ispirandosi

più fedelmente a S. Tommaso sostiene l'idea della causalità fisica.

b). Ockham e il Nominalismo.

Egli pretende semplificare la scolastica. Nega la realtà dei concetti

universali, affermando che la mente intuisce direttamente l’oggetto

singolare e ciò che chiamiamo concetti universali non sono altro che

nomi che diamo a delle cose simili. Nel campo della teologia il

nominalismo enfatizza molto la potenza di Dio e la sua azione diretta

sugli individui. Dio non si è collegato a nessuna economia salvifica e

può attuare in modo indipendente, per esempio giustificando un

peccatore senza che questi riceva la grazia o si converta. Questo

pensiero non ha avuto molto influsso sulla teologia sacramentaria

cattolica ma è stato preso da Lutero che definisce Ockam “Magister

Meus”.

D. Conclusione.

Per concludere l'esposizione della scolastica seguiamo le

riflessioni del Cardinale Y. Congar che avverte nella sua opera Un

popolo messianico9 che le condizioni storiche, in cui nella scolastica è

9 Y-M CONGAR, Un popolo messianico, Brescia 1976. 51-67.

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stato elaborato il trattato dei sacramenti, comportano rischi e limiti. Tra

i punti critici vanno segnalati:

1) La scolastica, in San Tommaso soprattutto, pose giustamente le basi

cristologiche dell'ordine sacramentale; tuttavia favorì una prospettiva

eccessivamente cristologica, senza sufficiente contemplazione della

pneumatologia.

2) Oltre il cosiddetto «cristomonismo» va segnalato un deficit di

ecclesiologia; nelle sintesi scolastiche, infatti, il trattato dei sacramenti

segue il trattato su Cristo, senza un trattato sull'ecclesiologia che faccia

da ponte di collegamento tra i due, da cui i sacramenti entrano in una

dinamica d'individualizzazione e privatizzazione.

3) La cristianità medievale vive senza far distinzione fra la Chiesa e il

mondo, per cui non è possibile mettere in evidenza il tema della chiesa

come sacramento del mondo.

4. La crisi Protestante e il Concilio di Trento. A. Il Protestantesimo

Una duplice finalità di fondo orienta la teologia dei riformatori

protestanti. Da una parte, un tentativo di tornare alla purezza e

semplicità del Vangelo, con una vigorosa insistenza sulla gratuità della

salvezza, sulla giustificazione dell'uomo mediante la fede (e non

mediante le opere) e, in definitiva, sull'assoluta trascendenza di Dio, e

in questo è largamente debitore del nominalismo. Ma vuole essere

anche una protesta contro le corruzioni che essi scoprono nelle Chiesa

del tempo, a proposito di quelle dottrine fondamentali. Il duplice aspetto

si riscontra anche nella loro dottrina sui sacramenti.

a). La dottrina sulla giustificazione

Le tesi degli iniziatori della riforma sui sacramenti, anche se

ognuno ha delle sfumature particolari, si basano su queste divergenze

fondamentali circa i punti centrali della teologia, quali: a) la fede, che in

loro è molto individualista, b) l'antropologia spiccatamente pessimista,

c) l'insignificanza del ruolo di mediazione visibile della Chiesa, d)

l'insufficiente considerazione delle conseguenze dell'incarnazione, e)

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l'attenzione esclusiva alla trascendenza di Dio e la marginalità

dell'immanenza divina.

In quanto alla giustificazione e la grazia dicono che la

giustificazione proviene dalla sola grazia, radicata nella sola fede, la

quale sorge al contatto con la sola Scrittura. Si crea così uno schema

dell’opera salvifica che esclude la possibilità di una risposta positiva da

parte dell'uomo.

La grazia o giustificazione, consiste nella non imputazione del

peccato, per un attributo giuridico dei meriti di Cristo, senza

collaborazione umana. La fede consiste nel credere che Dio ha

promesso di salvare colui che crede.

b). La dottrina sui sacramenti

In quanto ai sacramenti loro criticano fortemente il concetto

scolastico dell'efficacia sacramentale ex opere operatum.

Si deve ammettere che c'erano fra i teologi cattolici molti che

spiegavano il concetto come un’azione che aveva valore in se stessa

prescindendo dalle intenzioni-disposizioni del soggetto. Il prescindere

non significava certo che si negasse la necessità di queste disposizioni-

intenzioni; ma si insisteva tanto sul valore di oggettiva efficacia del

sacramento, ossia dell'azione esterna sacramentale, da dare

l'impressione che tutta l'importanza del sacramento stesse nel fatto che

esso era reso "valido" dalla sua composizione di parti e

dall'amministrazione canonicamente esatta. Questa presentazione

dell'opus operatum aveva per conseguenza l'occasionalismo

sacramentale che consiste nel concepire il sacramento come

concomitanza di due azioni: quella dell'uomo che fa il segno

sacramentale, e quella di Dio, che col suo intervento gli dà il contenuto,

facendo, per così dire, in modo che la sua grazia s'incontri nello stesso

momento in cui si effettua il segno sacramentale (=Grazia in occasione

del sacramento).

I protestanti presero queste presentazioni come se fosse

l'insegnamento della Chiesa e l'interpretarono come operazione magica

che, secondo loro, esclude ogni partecipazione personale del soggetto e

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che, in definitiva, suppone di accettare che siamo giustificati non per

mezzo della fede, ma per mezzo delle nostre opere.

In questo contesto dicevano che i sacramenti sono puri segni della

parola e della promessa di salvezza. Per Lutero veramente importante

era la Scrittura stessa e in certo senso tutte le parole, tutte le narrazioni

del Vangelo sono, per dirlo così “sacramenti” che vuol dire “segni

sacri”, per i quali Dio attua nei credenti ciò che queste narrazioni

significano. La Parola è sempre necessaria alla salvezza, non così il

sacramento. Per Lutero: «Tutti i Sacramenti sono stati istituiti per

nutrire la fede… I sacramenti sono segni a cui è annessa la parola

della promessa, che è da noi percepita solo attraverso la fede.»10

La nozione di promessa e il ricorso alla Scrittura permette loro di

distinguere, tra i sacramenti, quelli veramente istituiti da Cristo, dagli

altri considerati come indebitamente introdotti dalla Chiesa. Non

accettano perciò il settenario sacramentale, ma ne riducono il numero ai

due sacramenti testimoniati nella Scrittura: il Battesimo e l'Eucaristia (o

tre quando includono la Penitenza). I sacramenti sono soltanto segni che

rendono visibile la salvezza che Dio comunica all'uomo per mezzo della

sua parola, per esempio dice Calvino nella sua opera Institutiones

christianae:

I sacramenti pertanto sono simboli esterni con i quali Dio

conferma e sigilla la promessa dell’eterna benevolenza. Perciò i

Sacramenti debbono considerarsi come segni della grazia e della

fede giustificatrice, già ricevute in virtù del decreto dell’eterna

predestinazione…

Questo è il compito principale dei Sacramenti, a cui si aggiunge

come fine secondario di professare davanti agli Angeli e gli

uomini la nostra fedeltà e devozione verso Dio e attestare così la

nostra appartenenza alla Chiesa esterna.11

10 De captivitate babylonica, cap. de Baptismo,, in Luthers Werke,, 6, in ELBERTI A.,

Sacramentaria Generale, PUG, Roma 2002, 201. 11 Institutio religionis christianae, 1.4 c. 13, n.1, in Calvini Opera omnia,

München1936; in ELBERTI A., Sacramentaria Generale, 203.

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Non possiedono nessuna capacità di giustificare né alcuna

causalità in ordine alla salvezza, secondo il detto non sacramentum, sed

fides sacramenti justificat.12

B. Il Concilio di Trento

Le affermazioni protestanti, che impostano come un binomio il

rapporto parola-sacramento e fede-sacramento condizionarono

ovviamente il Concilio di Trento, che discusse la dottrina dei sacramenti

in varie sessioni, specialmente la VII del 1547, avendo presenti le tesi

protestanti dichiarate nella Confessione Augustana de 1530. Per questo

il concilio non s’è preoccupato di dare una sintesi dottrinale completa,

ma ha inteso soprattutto rispondere con affermazioni di fede, a quello

che i protestanti mettevano in dubbio o negavano o spiegavano in un

senso diverso dalla tradizione (DzH 1600). La dottrina tridentina sui

sacramenti deve essere desunta dai canoni, ossia dalle formule di

condanna degli opposti errori. I canoni in questione vengono presentati

con un breve proemio, in un gruppo di 13 affermazioni date secondo un

rigido schema Se uno dice che... sia anatema! Nel proemio ai canoni il

Tridentino afferma di volere con questi ultimi dare un «compimento

alla dottrina della giustificazione» (processo per il quale l'uomo diventa

figlio adottivo di Dio) perché è «per i sacramenti che ogni vera giustizia

(santificazione) o comincia, o cominciata aumenta, o perduta viene

ristabilita (DzH 1600)».

In quanto al valore dogmatico di queste definizioni osserviamo

che il linguaggio scolastico adoperato non esclude l'uso di altri

linguaggi di sacramentaria. L'uso dell'anatema non significa che ciò che

si difende sia sempre un dogma in senso stretto. Non si vuole con

12 Così spiega Lutero il Battesimo: «Il Battesimo non è semplicemente acqua, ma

l’acqua con il comandamento di Dio e unita con la parola di Dio… Certamente

l’acqua non ha tale efficacia, ma la parola di Dio che è con l’acqua e la fede che

confida in codesta parola di Dio nell’acqua » M LUTERO, Il piccolo catechismo per

pastori e predicatori indotti (1529), in IDEM, Scritti Religiosi, UTET, Torino 1967,

687-688.

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questo ridurre il valore dogmatico delle affermazioni, ma inquadrarle

nel loro giusto contesto d’interpretazione.

Fra le questioni dibattute e definite le principali sono state le

questioni sulla definizione di sacramento anche se non hanno dato una

definizione propria (DzH 1606).

a). L'efficacia dei sacramenti

Sui temi dell'efficacia e della necessità dei sacramenti il concilio

risponde alle tesi protestanti mediante le seguenti affermazioni:

I sacramenti cristiani differiscono da quelli dell'AT nel contenuto

e non solo sul piano della ritualità esteriore (DzH 1602).

I sacramenti in pratica o almeno "nel voto" sono necessari alla

salvezza perché la grazia della giustificazione non si può ricevere dalla

sola fede (DzH 1604), benché non tutti i sacramenti siano necessari a

tutti (DzH 1605).

I sacramenti contengono la grazia che significano e la

conferiscono sempre a chi ad essa non pone ostacolo; non sono quindi

solo segni esterni, né sono solamente segni che distinguono i fedeli

dagli infedeli (DzH 1606), né sono istituiti solo per nutrire la fede (DzH

1605).

I sacramenti conferiscono la grazia ex opere operato (DzH 1608)

quando cioè il ministro abbia l'intenzione di fare almeno quel che fa la

Chiesa (DzH 1611) e, pur essendo egli in peccato mortale, compia

quello che è essenziale al sacramento (DzH 1612).

Tra i sacramenti ve ne sono tre: battesimo, confermazione e

ordine, che imprimono il "carattere", segno spirituale indelebile, che

impedisce la loro reiterazione.

Come si vede il Tridentino non entra nella questione disputata sul

modo o causa in cui il sacramento agisce nella comunicazione della

grazia. Anzi il Concilio intende così di entrare poco nel discorso

teologico, col rischio di far propria l'una o l'altra tesi di contrasto, che

evita persino il termine tipico caratteristico causare-causa, e le parti

contendenti tirano ognuna il concilio al proprio senso di causa fisica o

morale.

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b). Il numero dei sacramenti

Di fronte alla negazione protestante del settenario sacramentale il

Concilio dichiarerà espressamente che tutti i sacramenti della nuova

legge sono stati istituiti da Cristo e sono sette, né più né meno, afferma

pure che tutti sono ugualmente sacramenti ma non tutti della stessa

dignità (DzH 1601; 1603).

c). L'istituzione dei sacramenti

Insieme alla definizione dei sette sacramenti il concilio difende

l'istituzione di tutti da parte di Cristo, respingendo l'insegnamento dei

riformatori, e spiega che sono diversi da quelli dell'Antico Testamento.

Ma non spiega la forma di istituzione, né propende in favore di

qualcuna delle teorie esistenti.

5. L'epoca postridentina A. La Controriforma

L'insegnamento del Concilio non determina un indirizzo decisivo

nella teologia sacramentaria; è piuttosto l'assunzione dei principi alla

base della grande scolastica, soprattutto di S. Tommaso, in materia

sacramentale. Agli occhi dei protestanti la dottrina conciliare apparve

come una radicale opzione in favore dei sacramenti, a scapito evidente

della centralità della fede e della parola. Per questo nell'epoca della

controriforma le opere di ambedue le parti si caratterizzavano per un

forte clima polemico e apologetico nel quale non esisteva più alcuna

apertura per un ulteriore dialogo.

Allo stesso tempo, la teologia post-tridentina, sulla linea degli

scolastici, si imprigionò in molteplici discussioni sulle questioni lasciate

aperte da Trento nella mentalità diffusa che era piuttosto ritualista

(compiere i riti), minimalista (assicurare la validità) e giuridica

(rispettare la norma della chiesa).

Fra i temi più discussi erano quelli della:

Concettualizzazione e definizione del Sacramento. Anche se la

maggior parte dei teologi post-tridentini come Francesco Suárez,

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Giovanni di San Tommaso e Giovanni di Lugo si limitarono a

riprendere la definizione di sacramento di S. Tommaso qualche volta

aggiunsero qualche elemento di approfondimento.

Il Modo di causalità. Gli autori post-tridentini sono tutti d'accordo

nell'affermare che la grazia non dipende né dal merito del ministro né

dalla fede del soggetto, ma solo dalla volontà di Dio, che opera

efficacemente per mezzo dell'azione sacramentale. Tuttavia erano

assorbiti nelle discussioni sul «come opera il sacramento» o «in che

senso conferisce la grazia» e i diversi tipi di causalità sacramentale.

Natura della grazia sacramentale. Il concilio di Trento aveva

affermato lo stretto rapporto del sacramento con la grazia, dichiarando

che per mezzo delle azioni sacramentali essa, o è donata, oppure

accresciuta o, se perduta, ricuperata. Dopo il concilio i teologi

divergono quando si tratta di determinare la natura della grazia

sacramentale per giustificare il numero settenario dei sacramenti.

L’istituzione. Altro tema di dibattito fra i teologi fu la questione

dell'istituzione «in individuo», o «in specie» o «in genere»,

L'oggetto dell'intenzione del ministro. Il concilio afferma che «Se

qualcuno dirà che nei ministri quando realizzano e conferiscono i

sacramenti non si richiede almeno l'intenzione di far ciò che fa la

Chiesa, sia anatema». Sotto quest’ottica si è suscitata la questione

sull'intenzione minima richiesta per la validità.

B. L'illuminismo

Il razionalismo tipico dell'illuminismo causò specialmente in

campo protestante una sottovalutazione dell’aspetto misterico e

simbolico della religione e la sua riduzione al valore morale e di utilità

per la pace civile. Il simbolo è stato ridotto a un’allegoria per

esemplificare verità morali o filosofiche. La reazione della Chiesa fu di

stampo apologetico, insisteva sulla razionalità della fede e del culto di

Dio. Altri, come i giansenisti, sono andati verso il fideismo.

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In quest’atmosfera di reazione contro gli eccessi speculativi della

tardo-scolastica, e per far fronte ai bisogni dell'apologetica, s’iniziò

un’investigazione dei dati della fede a partire dalle fonti della Sacra

Scrittura e dei Santi Padri. C'è un grande lavoro di teologia positiva

nella ricerca e pubblicazione delle fonti liturgiche e patristiche senza un

effetto immediato sulla teologia sacramentaria, la quale rimane

sostanzialmente la stessa.

C. La manualistica moderna

La teologia del manuale sorge dalla massiccia finalizzazione della

teologia alla formazione del clero nei seminari fondati dopo il concilio

di Trento. Come si sa, i manuali di sacramentaria, così come il resto

della dogmatica, adoperavano lo schema della tesi. Prevaleva la teologia

positiva sulla speculativa e omettevano quasi completamente il contesto

generale della storia della salvezza, come pure il senso teologico della

liturgia.

D. Fermenti di rinnovamento

Questo non vuol dire che manchino fermenti di rinnovamento. In

Germania si esprimono germi di riscoperta del senso della

sacramentalità della Chiesa come si nota nelle opere di Klee (+1840)

Khun (1855-56) e Oswald il quale diceva che:

La Chiesa come visibilmente appare, ma sostenuta dallo Spirito

santo che agisce invisibilmente, dev'essere chiamata non soltanto

un sacramento, ma piuttosto il sacramento cristiano. La Chiesa

stessa è il sacramento come strumento di salvezza nel senso più

comprensivo del termine.

Se la Germania manifesta dei sintomi di rinnovamento ciò è

dovuto all'attenzione che i teologi tedeschi avevano prestato alla ricerca

storico-positiva fin dal secolo XVIII, nel tentativo di realizzare una

nuova sintesi di ispirazione biblico-patristica e speculativa.

Quest’impostazione diviene l'idea direttrice della scuola cattolica di

Tubinga, specialmente J.A. Möhler (+1838) M.A. Scheeben (+1888).

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Möhler, nella sua opera fondamentale Symbolik (1832) contribuisce a

far riscoprire la Chiesa come realtà viva. Per lui la Chiesa è il “Cristo

visibile”; da ciò segue la sua insistenza sui sacramenti come organi

vitali della Chiesa. Particolarmente importante è l'analogia che egli

pone tra le due nature, divina e umana, di Cristo e le due componenti,

divina e umana, della Chiesa. L'elemento invisibile è lo Spirito Santo

che si esprime in tutte le attività della Chiesa.

Scheeben pubblicò “I misteri del Cristianesimo” nel 1865. In

quest'opera i dogmi fondamentali della fede sono interpretati come

“misteri” nel duplice significato del termine: ciò che è al di là del

visibile e dimostrabile, e ciò che si rivela e si compie mediante simboli

visibili quali la parola della rivelazione e il mistero sacramentale.

L'opera di Scheeben ha il merito di aver riportato la teologia

sacramentale al concetto patristico di mysterion e di economia e non

soltanto sulle nozioni di segno e causa. In quest'ottica di economia tutto

ha un carattere sacramentale come un’irruzione delle realtà celesti nella

realtà di questo mondo. Così Cristo, ed i misteri salvifici

dell'Incarnazione-redenzione, è considerato come un grande sacramento

da dove sgorga la Chiesa come mistero, e nella Chiesa, i sacramenti

come misteri di grazia.

In Inghilterra J.H. Newman in modo indipendente arriva a

conclusioni simili a quelle dei tedeschi. Nel suo “Saggio sullo sviluppo

della dottrina cristiana”, 1845, insiste sul principio sacramentale come

specifico della fede cristiana e dice:

La dottrina dell'incarnazione è l'annuncio del dono divino

realizzato mediante una realtà materiale e visibile, essendo

l'incarnazione l'unione tra il cielo e la terra. Questo significa che il

principio sacramentale è veramente il fatto caratteristico del

cristianesimo.

Newman insiste sul fatto che il cristianesimo non ci insegni solo

delle verità ma ci pone di fronte a dei fatti di salvezza.

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Se in Germania e in Inghilterra il rinnovamento si ebbe nel

tornare alla patristica, in Italia fu ricercato mediante un ritornare ai

grandi scolastici, specialmente a San Tommaso, una linea confermata e

rafforzata dall'Enciclica “Aeterni Patris” pubblicata da Leone XIII nel

1879. Davanti alla degenerazione della filosofia moderna, la

neoscolastica voleva rispondere alla necessità di un sistema filosofico

compatibile con la rivelazione che avrebbe potuto servire meglio la

teologia, e aprire un dialogo ragionevole con il non-credente.

Purtroppo il razionalismo positivista del secolo XIX provocherà la

crisi modernista che in campo sacramentale applicherà le teorie

evoluzioniste ai sacramenti dicendo che non provenivano da Cristo ma

dal contatto con i riti misterici pagani. Cristo avrebbe fondato una

religione puramente interiore ed etica, non sacramentale. Il modernismo

fu condannato da Papa Pio X ed anche i teologi risposero cercando di

dimostrare il fondamento biblico dei sacramenti.

D. Nuove discussioni:

All’interno del campo manualistico la dottrina era abbastanza

pacifica. Fra i pochi a tentare nuove spiegazioni fu Louis Billot

(Cardinale 1911-27 morto 1931) che risuscita la teoria della scolastica

primitiva della causalità dispositiva intenzionale, sviluppata poi dai suoi

discepoli gesuiti come, per esempio, De la Taille.

A. Vonier nella sua opera “Le chiavi della dottrina eucaristica”

(1925) (Milano 1963), ha dato un contributo molto importante perché,

nel dare una soluzione a una polemica del periodo post-tridentino su

come la messa sia un sacrificio, ha riscoperto la dottrina tomista del

sacramento come segno commemorativo dell'avvenuta passione di

Cristo; segno manifestativo della grazia, che si produce attualmente in

noi mediante la sua passione; annuncio e pegno della gloria futura. Così

torna a considerare il significato del segno sacramentale pasquale in

rapporto all'azione salvifica di Cristo prima del rapporto con la grazia.

Questo rapporto fra l'evento pasquale e la sua celebrazione

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Sacramenti in generale

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sacramentale sarà il punto di riflessione più importante della teologia

sacramentale dell'epoca attuale.

6. L'epoca attuale. A. Fattori di rinnovamento della teologia sacramentaria

Il rinnovamento della teologia sacramentaria nel secolo XX non

può essere visto come qualcosa di isolato ma come parte di un

movimento generale di rinnovamento teologico. Fra i fattori principali

delle altre discipline teologiche che hanno contribuito al rinnovamento

della teologia sacramentale vi sono: il rinnovamento contemporaneo

degli studi biblici e patristici, il movimento liturgico, l'approfondimento

nel campo dell'ecclesiologia di temi come i concetti della Chiesa come

Corpo mistico di Cristo e la Chiesa come sacramento e il tema del

sacerdozio regale dei fedeli.

Pio XII, oltre alle encicliche Mystici Corporis e Mediator Dei ha

dato un contributo alla comprensione dei sacramenti con il decreto

Sacramentum Ordinis (1947)(DzH 3857-3861). In questo decreto

insiste sull’unità fra causalità e significato «È da tutti ammesso che i

sacramenti della Nuova Legge, quali segni sensibili ed efficaci della

grazia invisibile, devono significare la grazia che producono e

produrre la grazia che significano. (DzH 3858)»; e precisa il senso del

decreto di Trento, che afferma che la Chiesa non ha potere per quanto

riguarda la sostanza dei sacramenti, definendo la sostanza come «quegli

elementi che a testimonianza delle fonti della rivelazione divina lo

stesso Cristo Signore stabilì si dovessero conservare nel segno

sacramentale (DzH 3857)».

B. Problematiche preconciliari

Vogliamo qui evidenziare gli autori che più hanno contribuito ad

una nuova visione dei sacramenti.

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In primo luogo, dobbiamo ricordare di nuovo Odo Casel, che

ricupera per la teologia l'antico concetto di mistero, ed arriva a

comprendere i sacramenti non partendo dalla categoria dell'efficacia,

ma da quella del «mistero». I sacramenti sono i misteri salvifici che

attualizzano il mistero salvifico di Cristo, o mistero pasquale, e ci fanno

partecipi della sua forza di salvezza, attraverso la celebrazione rituale.

Un secondo autore è E. Schillebeeckx il quale, sulla base del

tomismo, tenta di costruire una nuova sacramentaria, tenendo conto del

contributo di Casel e soprattutto delle categorie della fenomenologia

moderna, in modo particolare della categoria dell’“incontro”. Secondo

lui, Cristo è «sacramento dell'incontro con Dio».

Diversi Teologi hanno illustrato la sacramentalità della Chiesa in

vari modi, mettendo in rilievo ora la sua somiglianza e differenza con

Cristo, come fanno O. Semmelroth e H. De Lubac, ora la sua continuità

e la sua principalità sacramentale riguardo a Cristo e ai sacramenti (K.

Rahner), ora il suo carattere di sacramento terrestre di Cristo celeste

(Schillebeeckx).

7. Dottrina del Concilio Vaticano II Il Vaticano II, raccogliendo i frutti della riflessione teologica,

formulerà una teologia sacramentale partendo dalla categoria della

liturgia come partecipazione del popolo sacerdotale nell'esercizio della

funzione sacerdotale di Gesù Cristo (SC7), raccoglierà anche come

essenziale l'aspetto sensibile dei sacramenti, in quanto nella liturgia

«per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi

proprio, realizzata, la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal

Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra, il

culto pubblico integrale.». Sono segni in continuità con la historia

salutis, e per questo la parola «sacramento» si applica anche a Cristo e

alla Chiesa, e se ne afferma la relazione e la continuità con essi: «Gli

stessi segni visibili che usa la sacra Liturgia sono stati scelti da Cristo

o dalla Chiesa per significare realtà divine invisibili (SC 33)».

La struttura dei sette sacramenti e di tutta la liturgia è la stessa

della historia salutis di Cristo e della Chiesa: una struttura

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Sacramenti in generale

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sacramentale nella quale i segni visibili manifestano e rendono presente

il mistero invisibile. Ogni sacramento è un evento di grazia, che fa

partecipare, secondo l'indole propria di ciascuno, all'evento Pasquale di

Cristo e al dono dello Spirito nella Chiesa. Ciascuno esige una

accoglienza e una risposta da parte dei cristiani in virtù della vocazione

universale alla santità. Dice il SC 59:

I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini,

all’edificazione del Corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a

Dio; in quanto segni hanno poi anche la funzione di istruire. Non

solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la

nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono

chiamati «Sacramenti della fede». Conferiscono la grazia, ma la

loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla

con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità.

È quindi di grande importanza che i fedeli comprendano

facilmente i segni dei sacramenti, e si accostino con somma

diligenza a quei Sacramenti che sono destinati a nutrire la vita

cristiana.

Adesso vedremo soltanto il rapporto fra il popolo sacerdotale ed i

sacramenti così come è espresso nella Lumen Gentium 11 che descrive

come si svolge l'esercizio del sacerdozio comune, ricevuto nel

battesimo, negli altri sacramenti, e come in questo modo i sacramenti

edificano la Chiesa e il cristiano.

I fedeli, incorporati nella Chiesa col battesimo, sono destinati

(deputantur) al culto della religione cristiana dal carattere, ed

essendo rigenerati quali figli di Dio, sono tenuti a professare

pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa.

Col sacramento della confermazione vengono vincolati più

perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza

dallo Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente

obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l'opera la

fede come veri testimoni di Cristo.

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Partecipando al sacrificio eucaristico fonte ed apice di tutta la vita

cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con Essa; così

tutti, sia con l'oblazione che con la santa comunione, compiono la

propria parte nell'azione liturgica, non però ugualmente, ma chi in

un modo e chi in un altro. Cibandosi poi del Corpo di Cristo nella

santa comunione mostrano concretamente l’unità del Popolo di

Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente

espressa e mirabilmente effettuata.

Quelli che si accostano al sacramento della penitenza, ricevendo

dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e

insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una

ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la

carità, l'esempio e la preghiera.

Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei sacerdoti,

tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e

glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi (Gc 5, 14-

16), anzi li esorti ad unirsi spontaneamente alla passione e morte

di Cristo (cfr. Rm 8,17; Col 1,24; 2Tm 2,11-12; 1Pt 4,13), per

contribuire così al bene del Popolo di Dio.

Inoltre, quelli tra i fedeli che vengono insigniti dell'Ordine sacro,

sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa con la parola e la

grazia di Dio.

E infine, i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del

matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità

e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef

5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita

coniugale e nell'accettazione ed educazione della prole, ed hanno

così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in

mezzo al Popolo di Dio (cfr. 1Cor 7,7). Da questo connubio,

infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini

della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo

diventano col Battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i

secoli il suo Popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa

domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri

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della fede, e assecondare la vocazione propria di ognuno, e quella

sacra in modo speciale.

Muniti di tanti e così mirabili mezzi di salute, tutti i fedeli d'ogni

stato e condizione, sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua

via, a quella perfezione di cui è perfetto il Padre celeste.

8. Prospettive postconciliari A. Modelli teologici13

Dopo il Concilio si sono rinnovati il contenuto e il linguaggio

della sacramentaria e la teologia ha cercato di superare la lettura

giuridica del fatto sacramentale ereditata dal passato e si preoccupa

molto di più del valore dell'insieme dell'atto celebrativo e non soltanto

degli aspetti come materia-forma, e il minimo indispensabile per la

validità etc. Così nuove categorie come incontro, comunicazione,

espressione, storia della salvezza, simbolo, alleanza ecc, hanno dato

impulso a questo progresso. Per categoria intendiamo l'espressione di

un contenuto, o significato, che porta a impostare e spiegare una realtà

totale in una nuova prospettiva. A ragione di questo, le nuove categorie

presuppongono nuovi linguaggi o modelli sacramentali.

Semplificando le cose e riconoscendo la difficoltà di inquadrare

un autore in un determinato modello si propongono alcuni esempi di

modelli teologici nella sacramentaria recente.

a). Modello personalista.

Le sue categorie principali sono «incontro», «interpersonalità»,

«comunicazione», «dialogo» e «relazione». Il sacramento è concepito

come una comunicazione vitale con Cristo per il dono dello Spirito

Santo. Si riprende di nuovo il tema biblico dell'alleanza e del

sacramento come evento di alleanza. Un avvenimento nel quale Dio ha

l'iniziativa ma che implica un'adesione e una risposta personale da parte

dell'uomo che accoglie la generosa e gratuita offerta che Dio fa di sé.

b). Modello ecclesiale.

13 Cfr. D. BOROBIO (ed) La celebrazione nella Chiesa 1, 380-383.

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Mette in evidenza il ruolo della comunità nell'atto sacramentale.

L'assemblea concreta, riunita per celebrare, è segno e manifestazione

della Chiesa universale. L'assemblea è considerata il soggetto del gesto

sacramentale senza diminuire il ruolo del ministro e di chi riceve il

sacramento ma vanno integrati nel contesto più ampio della

celebrazione ch’è sempre d'indole comunitaria.

c). Modello della parola

Usufruendo dei contributi della filosofia del linguaggio e spinti da

un’intenzione ecumenica si fa leva sulla categoria di parola e linguaggio

come chiave d'interpretazione del sacramento. Si spiega la

sacramentalità della parola-segno, la sua necessaria unione con il rito, la

sua efficacia, il suo carattere di comunicazione. Gli autori più

importanti appartengono all'area tedesca, p.es. Rahner, Semmelroth,

Kasper.

d). Altri

Fra gli altri dati che meritano di essere segnalati è il recupero del

rapporto Spirito Santo-sacramenti che la teologia occidentale aveva

messo in ombra. Il Concilio aveva già fatto qualche progresso in questo

campo nella LG 12 e 50 e i nuovi libri liturgici hanno generalmente

accentuato e posto in evidenza la dimensione pneumatologica dei

singoli sacramenti. Lo sforzo dei teologi del post-concilio era teso a

mostrare in quale modo i sacramenti, atti del Signore glorioso,

costituissero una manifestazione privilegiata della presenza dello Spirito

operante nella Chiesa e come essi fossero dono dello Spirito e

conferissero il dono stesso dello Spirito che interiorizza l'evento

sacramentale nel credente.

Altri punti particolari sono il recupero del pensiero simbolico

come categoria per spiegare l’essenza del sacramento come è stato visto

all'inizio del corso. È stato anche vivo l'interesse di sottolineare il

rapporto fra la pratica sacramentale e la vita cristiana, in Europa in

chiave morale in quanto alla fedeltà al contenuto dei sacramenti, in

America Latina in chiave sociale per influsso della teologia della

liberazione. Riconoscendo la validità dello sforzo di rapportare

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sacramento e vita si deve evitare di ridurre il cristianesimo ad un mero

umanesimo, ricordando sempre tanto la natura escatologica del

cristianesimo come la sua vocazione ad incidere nel cuore degli uomini

per farli diventare «uomini nuovi» in grado di impegnarsi a costruire

una società nuova conforme alla dignità umana.

e) Il Catechismo della Chiesa Cattolica

L'esposizione del Catechismo su sacramenti e liturgia è frutto di

un ulteriore approfondimento nelle linee teologiche del Concilio. Come

abbiamo gia visto il titolo della seconda parte del Catechismo «La

celebrazione del mistero cristiano» è di per sé una testimonianza

eloquente, in quanto i sacramenti sono visti nel contesto di una dottrina

e di una teologia della liturgia considerate come culto del popolo

sacerdotale, del Corpo mistico di Cristo, come partecipazione ed

espressione del culto tributato da Cristo al Padre nel suo mistero

pasquale. Nella parte sistematica proveremo a riflettere sulla dottrina

del catechismo.

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PARTE SECONDA

RIFLESSIONE SISTEMATICA

Fino ad adesso abbiamo raccolto i dati a diversi livelli di

riflessione, filosofico-antropologico, teologico-biblico e teologico-

dogmatico. Questo ci ha permesso di intravedere quali sono stati i temi

principali discussi lungo la storia. Adesso esporremo le questioni in

forma sistematica. Il nostro oggetto non è lo studio di ciascuno dei

sacramenti ma di ciò che fa si che ciascuno di essi sia un sacramento.

È inevitabile la ripetizione di qualche idea vista nella parte

storica, ma questa volta sarà presentata in un modo più strutturato. È

anche probabile che non tutto resterà risolto, in parte per la quantità di

materiale da vedere, in parte perché l'opinione teologica non è arrivata

ancora ad un consenso comune in tutte le questioni. Comunque

speriamo di arrivare ad una buona visione d'insieme della struttura dei

sacramenti della Chiesa.

VII L'ECONOMIA SACRAMENTALE Vogliamo esporre in primo luogo le diverse realtà sacramentali o

centri di sacramentalità, in modo che, situandole al loro livello

possiamo vedere la ricchezza di dimensioni che integrano i sacramenti

della Chiesa.14

Bisogna ricordare che prendiamo qui l'espressione sacramento nel

senso più primitivo ed ampio di sacramentalità o la visibile

manifestazione storica del dono invisibile della grazia di Dio. È

importante ricordare che se si amplia l'ambito della sacramentalità, non

si nega la verità del sacramento. Così al mettere in rilievo le

somiglianze fra sacramento e Cristo, Chiesa, uomo, cristiano e

creazione ecc., si insisterà anche sulle loro differenze. Nella teologia

d'oggi e domani, parlando di sacramento, sarà necessario aggiungere la

14 Cfr. D. BOROBIO (ed.), La celebrazione nella Chiesa 1, Liturgia e sacramentologia fondamentale, Elle

di Ci,Torino-Leumann 1992. 384-423

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corrispondente determinazione: Cristo sacramento, il sacramento del

battesimo ecc.

Prima di esaminare le diverse realtà sacramentali, conviene

situarci nel contesto e nel dinamismo da cui traggono la loro virtù

sacramentale: la storia della salvezza o, in senso ampio, l'Economia

sacramentale, anche se il Catechismo riserva l'espressione economia

sacramentale alla fase finale del tempo della Chiesa.

1. I sacramenti ricapitolano la struttura sacramentale

della storia salvifica. Abbiamo visto che Dio si manifesta e irrompe nella storia dandole

vita con la sua presenza e azione dal momento della creazione al grado

supremo della presenza di Cristo. Creazione e Incarnazione sono così

come i due assi della struttura sacramentale della storia. Nel tempo che

va dall'Ascensione alla parusia, l'espressione più significativa della

struttura sacramentale della storia della salvezza sono i sacramenti della

Chiesa. Così dice il Catechismo nel numero 1076

Il giorno di Pentecoste, con l'effusione dello Spirito Santo, la

Chiesa viene manifestata al mondo (Cfr. SC 6). Il dono dello

Spirito inaugura un tempo nuovo nella «dispensazione del

Mistero»: il tempo della Chiesa, nel quale Cristo manifesta, rende

presente e comunica la sua opera di salvezza per mezzo della

Liturgia della sua Chiesa, «finché egli venga» (1Cor 11,26). In

questo tempo della Chiesa, Cristo vive e agisce ora nella sua

Chiesa e con essa in una maniera nuova, propria di questo tempo

nuovo. Egli agisce per mezzo dei sacramenti; è ciò che la

Tradizione comune dell'Oriente e dell'Occidente chiama

«l'Economia sacramentale»; questa consiste nella comunicazione

(o «dispensazione») dei frutti del Mistero pasquale di Cristo nella

celebrazione della Liturgia «sacramentale» della Chiesa.

Se i sacramenti attualizzano, continuano e realizzano la storia

salvifica nel tempo della Chiesa, lo devono fare secondo la struttura e la

dinamica di detta storia. Queste strutture sono:

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1. la presenza del dono invisibile in forma visibile

2. la manifestazione di quella presenza nel rapporto parola-segno

3. la comunicazione tra i diversi «soggetti» che attraverso tutto questo

instaurano ed esprimono un dialogo di amore, per lode a Dio e

santificazione dell'uomo.

Nella storia della salvezza è Dio che inizia il dialogo tra lui,

l'uomo e il mondo. Come dice il Signore nel Vangelo di Giovanni 3,16-

17 «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,

perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio

non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché

il mondo si salvi per mezzo di lui». Questo brano è in certo senso il

fondamento di ciò che diremo di seguito.

Il dialogo fra Dio, l'uomo e il mondo si sviluppa progressivamente

nella storia attraverso personaggi o avvenimenti, nei quali si manifesta

l'incontro tra Dio e l'uomo, e presuppone la donazione di grazia e la

risposta di fede in un momento storico concreto. Dio apre il dialogo di

salvezza e prende l'iniziativa liberamente e gratuitamente; l'uomo,

creato da Dio, è capace di stabilire un dialogo con lui e di collaborare

nella storia salvifica; il mondo, creatura di Dio, è lo scenario dell'azione

dell’uomo, contesto naturale che rende possibile il dialogo dell'uomo

con Dio. Ognuno di questi tre dialoganti deve comprendersi al livello

che gli è proprio ed irripetibile, ma, per volontà di Dio stesso che apre e

sostiene il dialogo, sono necessari tutti e tre.

I sacramenti ricapitolano la struttura sacramentale della storia

salvifica, sono l'espressione celebrativa ecclesiale più significativa di

una continuità del dialogo di salvezza. La continuità della salvezza e la

missione di Cristo attraverso la Chiesa, sacramento principale, si

manifestano più concretamente alle singole persone, nelle diverse

situazioni fondamentali della vita, per mezzo dei sacramenti. Adesso

analizzeremo la struttura sacramentale di ognuna delle sue realtà:

Cristo, Chiesa e uomo. La sacramentalità del mondo creata è stata

sufficientemente vista nella prima parte.

2. CRISTO SACRAMENTO ORIGINALE.

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A. Una confessione di fede permanente della Chiesa.

Come abbiamo già visto Cristo è il segno-realtà fondamentale del

NT, segno della realtà dell'amore di Dio per gli uomini. Lui entra nella

storia umana con un segno-sacramento «non temete, ecco vi annunzio

una grande gioia... questo per voi il segno: troverete un bambino... (Lc

2,10-12)» Cristo è segno non perché avvolto in fasce, ma perché la

salvezza ha preso figura umana, il verbo si è fatto carne. L'incarnazione

è il punto culminante della presenza di Dio nella storia e il compimento

della promessa di Dio di stare in mezzo al suo popolo. Con Cristo si

compie un processo crescente di concentrazione sacramentale

cominciando dalla creazione, passando per Israele. Cristo è il

sacramento originale che rende visibile in modo supremo l'amore e la

grazia di Dio. Egli è la piena realizzazione del mysterion nascosto e

rivelato (Col 2,2); il luogo più eminente dell'esperienza e dell'incontro

con Dio (Eb 1,1). In Cristo la comunione di vita dell'uomo con Dio

raggiunge il suo vertice, e la manifestazione di Dio all'uomo come

Salvatore tocca il suo centro decisivo.

Il Nuovo Testamento dirà che in Cristo «è apparsa la grazia di

Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (Tt 2,11)» e «si sono

manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli

uomini (Tt 3,4; 2Tm 1,10)». Cristo è «immagine del Dio invisibile (Col

1,15)» e in lui «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col

2,9)».

La liturgia afferma che in Cristo Dio si fa conoscere all'uomo

visibilmente perché sia rapito all'amore delle cose invisibili (Cfr.

Prefazio di Natale). L'anafora di Serapione afferma «Lodiamo te,

conosciuto attraverso il figlio unico, da lui rivelato, spiegato e fatto

conoscere alla natura creata».

I padri, come Agostino, riconosceranno che «non c'è altro

sacramento di Dio se non Cristo (Epist 187 PL 33,846)». Altri

confesseranno i misteri e sacramenti della carne di Cristo.

Gli scolastici, specialmente S. Tommaso, diranno ancora che il

primo sacramento è l'incarnazione di Cristo, prima «causa strumentale»

di grazia in quanto unita alla divinità, mentre i sacramenti della Chiesa

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Sacramenti in generale

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sono il prolungamento dell'umanità di Cristo, cause strumentali seconde

della santificazione dell'uomo.

Il magistero, con il concilio di Calcedonia (DzH 300-302),

definirà la verità della unione divino-umana di Cristo con una formula

concreta. Più recentemente la Lumen Gentium 8 insegnerà che «la

natura assunta serve al verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui

indissolubilmente unito».

Affermata la realtà sacramentale di Cristo, dobbiamo ancora

domandarci quali sono le ragioni su cui si fonda questa sacramentalità,

e quali gli aspetti che la esplicitano.

B. In quale modo è Cristo un Sacramento?

In primo luogo15, Cristo è sacramento per il suo essere, per la sua

stessa verità ontologica, per la sua presenza tra gli uomini come Figlio

di Dio. L'aver assunto una natura umana e l'aver manifestato in modo

corporale e visibile l'amore di Dio fa di lui un vero sacramento. Essendo

Dio, è capace di rivelarci fedelmente i progetti del Padre; essendo

uomo, è capace di rappresentarci perfettamente davanti a Dio. Questa

unione fra Dio e l’uomo fa che Cristo, dal profondo del suo essere, sia il

sacramento dell'amore di Dio per gli uomini.

In secondo luogo, Cristo è sacramento per il suo agire, ossia le

sue opere e la totalità della sua azione salvifica, manifestate durante la

sua vita in parole, atteggiamenti e gesti che sono segni della sua realtà

profonda «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). Per mezzo

degli atti di Cristo il mistero dell'incarnazione si va dispiegando e

manifestando, Cristo non è soltanto un sacramento ontologico ma

appare come tale davanti agli uomini per mezzo delle sue parole e delle

sue azioni, che costituiscono il mezzo di comunicazione umana che

manifestano il suo essere sacramentale. Più ancora gli atti di Cristo sono

di per sé sacramentali, dato che sono atti di Dio, e perciò possiedono

essenzialmente una forza divina di salvezza, sono salvifici o sono

«causa di grazia». E poiché questa forza divina di salvezza ci appare in

una forma terrena, visibile, gli atti di Cristo sono sacramentali.

15 Seguiamo qui l’impostazione proposta nell’opera del Borobio.

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In terzo luogo, Cristo è sacramento per i suoi atti privilegiati,

quelli che sono segni e prodigi nei quali si manifesta in modo speciale il

potere salvifico di Cristo e la presenza di Dio in lui. Queste azioni,

sebbene realizzate in forma umana, sono per loro natura esclusivamente

azioni di Dio come i miracoli, il perdono dei peccati, il dare l'Eucaristia

e soprattutto la sua morte, risurrezione e glorificazione, il mistero

pasquale, nel quale tutto acquista significato e valore. Per questi atti

Gesù non solo manifesta in modo privilegiato la sua sacramentalità, ma

anche il suo appello e la sua chiamata, l'obbedienza al Padre e l'amore

agli uomini, la sua glorificazione a Dio e santificazione dell'uomo. In

una parola, sono gli atti sacramentali più perfetti di un culto nuovo.

Così la sacramentalità di Cristo è il fondamento radicale della

dimensione cristologica dei sacramenti. Cristo sacramento è la loro

origine, significato e centro. Questa struttura sacramentale diventa

paradigma di ogni sacramentalità.

3. LA CHIESA SACRAMENTO PRINCIPALE.

Cristo è l'unico sacramento originale di salvezza e ogni contatto

con Dio è legato all'incontro con Cristo dopo la sua risurrezione

glorificazione e invio dello Spirito.

La Chiesa è il segno-strumento fondamentale che rende possibile

quella grazia di redenzione definitiva che viene dall'incontro con il

Cristo glorioso. L'origine della Chiesa come sacramento, e la sua

funzione principale, si trova nella stessa dinamica escatologico-storica

del mistero Pasquale ed è di essere un prolungamento terreno del

sacramento originale qual è il corpo del Signore glorificato e di

attualizzare nella storia il dono dello Spirito. Così per mezzo dei

sacramenti della Chiesa il dono escatologico di Cristo risorto diventa

presente e storicamente visibile.

A. Storia della dottrina

Questa verità sacramentale della Chiesa, in un modo o nell'altro, è

sempre stata riconosciuta lungo la storia.

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- La Scrittura ci descrive il mistero della Chiesa dicendo che in

essa abita lo Spirito (1Cor 3,16) e si manifesta la presenza del regno di

Dio (Lc 12,32; Mc 4,26-29). Con le varie immagini: ovile, podere, vite,

edificio, tempio, sposa, ci è manifestato un mistero chiamato il Corpo di

Cristo (1Cor 12,1s).

- I Padri indicano la stessa realtà con espressioni significative. La

Didaché parla del «mistero cosmico della Chiesa», Cipriano la chiama

«magnum salutare mysterium» e Agostino «admirabile sacramentum»

che nasce dal costato di Cristo addormentato in croce.

- La liturgia, per esempio in una preghiera attribuita a Leone

Magno che si trova nel gelasiano, chiamerà anch'essa la Chiesa il

«mirabile sacramentum» mediante il quale continua l'opera della

redenzione e il mondo, rinnovato, ritorna al suo primitivo destino. La

Chiesa, nuova creazione di Cristo, deve essere il sacramento che

riconduce il mondo ai primi progetti di Dio.

-Nella scolastica spesso si dimenticò questa considerazione della

Chiesa anche se S. Tommaso ha riconosciuto la necessità degli

«instrumenta extrinseca et separata» (Contra gentiles IV, a 41). Ma già

nell’epoca post-tridentina vari autori ricupereranno l'espressione e la

teologia della Chiesa come sacramento.

-La teologia recente i teologi illustrano in vari modi il contenuto,

o verità fondamentale della Chiesa, mettendo in rilievo ora la sua

somiglianza e differenza con Cristo (Semmelroth, de Lubac), ora la sua

continuità e principalità sacramentale riguardo a Cristo e ai sacramenti

(Rahner), ora il suo carattere di sacramento terrestre di Cristo celeste

(Schillebeeckx).

- Il Magistero. Il Vaticano II nel già citato LG 8, raccogliendo i

frutti della riflessione teologica, formulerà la realtà sacramentale della

Chiesa indicandone il mistero, la sua analogia e la differenza con Cristo

sacramento.

Nel Catechismo il tema della sacramentalità della Chiesa si tocca

in diversi momenti ma soprattutto nei numeri 775-776.

B. In quale modo la Chiesa è Sacramento?

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Come prima riguardo a Cristo sacramento, anche ora dobbiamo

domandarci: quali sono i livelli o le dimensioni della sacramentalità

della Chiesa? La risposta deve essere in continuità con quanto si è

affermato a proposito di Cristo.

- In primo luogo, la Chiesa è sacramento per il suo essere, per la

sua realtà e il suo mistero. L'essenza della sacramentalità della Chiesa

consiste nel suo stesso essere divino-umano, visibile-invisibile,

salvifico-sociale. La sua sacramentalità si manifesta in quanto attraverso

i suoi elementi sensibili esprime, significa e rende presente il mistero

invisibile della grazia di Cristo, del dono dello Spirito, della salvezza.

La Chiesa dipende totalmente per il suo essere da Cristo e dallo

Spirito di Cristo, e per questo è sacramento di Cristo nello Spirito. Lo è

nella manifestazione della più grande realtà, o dono di Cristo e dello

Spirito che è la salvezza per la quale la Chiesa è chiamata sacramento di

salvezza. L'essere sacramentale della Chiesa abbraccia la totalità della

Chiesa: come gerarchia e popolo di Dio nell'esercizio della sue

funzioni, nelle sue manifestazioni esterne e nella sua vita interiore.

- In secondo luogo, la Chiesa è sacramento per il suo agire, per il

suo comportamento etico e per la sua testimonianza nel mondo. La

Chiesa è chiamata, per mezzo delle sue parole, degli atteggiamenti,

delle opere e della sua vita intera, a essere come Cristo, segno

trasparente della realtà trascendente che è l'amore di Dio per gli uomini

e il dono della salvezza.

- In terzo luogo, la Chiesa è sacramento per i segni privilegiati

che manifestano la sua sacramentalità, la parola e i sacramenti. La

Chiesa come sacramento di Cristo garantisce la continuità storica della

salvezza di Cristo. Predicando la parola, la Chiesa dà testimonianza

della salvezza ad ogni uomo. Mediante i sacramenti applica a ogni

individuo in particolare la presenza della grazia, rendendo visibile il

dono della salvezza al credente, in mezzo alla comunità.

4. SACRAMENTALITÀ DELL'UOMO, E DEL

CRISTIANO A. Ogni uomo è segno sacramentale di Dio e di Cristo

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L'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Ogni

uomo, per il fatto di esistere, di essere il risultato di un atto gratuito

della creazione di Dio è immagine e segno visibile di Dio stesso. In

quanto uomo creato, dotato degli stessi attribuiti di Dio, l'uomo è

chiamato a ri-presentare (rendere presente) Dio nel mondo e a

collaborare con lui nell'opera della creazione.

Ogni uomo è anche un sacramento di Cristo, in quanto l'irruzione

di Dio nella storia quando assume la natura umana fa di ogni uomo un

segno privilegiato di Cristo. Cristo si identifica con l'uomo e questa

identificazione unisce inseparabilmente l'amore di Dio e l'amore

dell'uomo. Così troviamo Cristo nell'uomo che soffre la fame, la sete, la

malattia, la nudità, la prigione (Mt 25,35-45).

B. Il cristiano segno-sacramento di Cristo e della Chiesa.

Tutto quello che abbiamo detto si può applicare a maggior ragione

al cristiano. Per la fede il cristiano non è solo sacramento, ma sa di

esserlo, lo professa e si impegna a viverlo in modo esplicito. Allo stesso

tempo il cristiano vive la sua sacramentalità in mezzo alla comunità di

credenti di cui fa parte e professa la sua fede come membro della

Chiesa. Per questo si può affermare che il cristiano è nello stesso tempo

sacramento di Cristo e della Chiesa.

Di nuovo possiamo distinguere tre livelli o dimensioni di questa

sacramentalità:

-In primo luogo il cristiano è sacramento per il suo essere per la

sua stessa realtà di cristiano in virtù della grazia invisibile della vita

divina che gli è stata comunicata.

La Scrittura afferma chiaramente questa realtà per es 1Cor 6,19-

20 «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è

in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti

siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro

corpo!»

I padri lo ripetono con insistenza dicendo che il battezzato è un

theóphoros-christóphoros, perché porta in se stesso l'immagine di Dio.

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Sacramenti in generale

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Allo stesso tempo è sacramento della Chiesa poiché come membro la

manifesta e la rende visibile in certo modo.

-In secondo luogo. Il cristiano è e deve essere sacramento per il

suo agire. Come per Cristo e la Chiesa all'essere sacramento si deve

accompagnare l'apparire sacramento in mezzo alla comunità credente e

al mondo. Questo apparire sacramento significa fare da segnale e

incitare umilmente una risposta attraverso l'eloquenza delle nostre opere

e, in definitiva, lasciare che Cristo stesso appaia come il sacramento

dell'amore del Padre. Se non vive così il cristiano non appare come

sacramento.

-In terzo luogo. Il cristiano e sacramento per i suoi segni

privilegiati. La vita dell'uomo ha dei momenti forti in mezzo a tempi e

ritmi normali. Sono questi momenti forti e straordinari a diventare le

situazioni fondamentali della vita, nelle quali collocare i segni

privilegiati della sacramentalità esistenziale cristiana. Fra questi segni

privilegiati della sacramentalità cristiana vi sono le celebrazioni

sacramentali perché, come già osservò San Tommaso, si da una

corrispondenza tra di esse e le situazioni fondamentali della vita umana

(nascita, matrimonio, malattia, ecc.). L'elevazione a sacramento di

questi momenti significa che la vita sacramentale del cristiano trova qui

una delle più qualificate espressioni.

Questa affermazione si basa sulla stretta unione esistente tra

sacramento-fede-vita. I sacramenti sono segni della fede, cioè della vita

reale del credente che è una vita impregnata di senso nuovo nella vita,

morte e risurrezione di Cristo. In questo modo, tutto ciò che il

sacramento celebra, esprime ed afferma, non è altro che la vita

sacramentale cristiana, che in definitiva è la stessa vita di Cristo, la sua

salvezza e il suo mistero, poiché la nostra vita è Cristo.

Altri elementi che si possono considerare come segni privilegiati

di sacramentalità cristiana sarebbero la testimonianza speciale, per

esempio attraverso l'impegno speciale al servizio della carità e della

giustizia, e lo speciale impegno nell'annuncio del Vangelo (Non solo

del sacerdote ma anche degli educatori della fede, catechisti, ecc.),

perché ogni atto che al servizio della parola, manifesta esternamente il

mistero e la presenza della salvezza, è un atto pieno di sacramentalità.

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Sacramenti in generale

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5. I SETTE SACRAMENTI COME

CONCENTRAZIONE DELLA SACRAMENTALITÀ

Abbiamo considerato finora i vari livelli e realtà sacramentali.

Abbiamo mostrato che in ogni realtà sacramentale esistono segni

privilegiati di sacramentalità che, in termini generali, si concentrano

specialmente nella parola (messaggio, predicazione), nell'azione

(miracoli, segni, celebrazione) e nella testimonianza. Vogliamo ora

mostrare che i sette sacramenti della Chiesa sono la concentrazione

significativa e simbolica più qualificata per noi dei diversi livelli e

dimensioni di sacramentalità che appaiono nelle precedenti realtà

esaminate e che i sacramenti della Chiesa non si spiegano con

sufficienza senza questa integrazione. Adesso ci limiteremo a spiegare

perché il sacramento è concentrazione e confluenza dei segni

privilegiati.

A. Il sacramento come parola.

Potremmo dire che in sé la parola è sacramentale perché esprime

simbolicamente un contenuto di salvezza poiché:

-1. ha un carattere manifestativo, secondo il quale si realizza ciò

che annuncia quando vi sia la retta disposizione nel soggetto;

-2. manifesta in modo qualificato la fede e l'impegno irreversibile

della Chiesa con la parola della fede;

-3. nel suo stesso essere di parola è dinamicamente unita al segno

come sua finalizzazione o necessaria consumazione;

-4. in se stessa, la parola è già simbolo-sacramentale, dato che è

simbolo che realizza; allo stesso modo in cui il sacramento è verbale,

dato che parla e comunica per mezzo del segno da cui il nome di parola

visibile.

B. Il sacramento come segno.

a). L'elemento esterno sensibile come costitutivo del sacramento.

Se tutte le realtà precedentemente considerate esprimono la loro

sacramentalità per mezzo di segni, gesti e azioni, ciò vuol dire che il

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Sacramenti in generale

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sacramento, in quanto concentrazione simbolica di quelle realtà, deve

avere anch'esso un carattere sensibile e visibile.

La tradizione della Chiesa lo riconosce unanimemente, definendo

il sacramento come visualizzazione esterna del dono interno della

grazia. Così abbiamo visto i Padri, come Sant'Agostino, dire che il

sacramento è un sacrum signum. Gli scolastici continueranno a definire

il sacramento in questo senso, con sfumature diverse, ma tutti

affermeranno l'elemento corporale sensibile come parte fondamentale

del sacramento. L'insistenza sul fatto che il sensibile non si riduce al

materiale (come nel matrimonio e nella penitenza) e che l'efficacia di

santificazione costituisce la differenza fra segno e sacramento,

contribuiranno ad una migliore comprensione di questo aspetto

fondamentale.

Nella sua definizione di liturgia nella Sacrosanctum Concilium 7

il Concilio raccoglierà come essenziale l'aspetto sensibile dei

sacramenti. I segni sacramentali sono segni in continuità con la storia

della salvezza e la struttura dei sette sacramenti e di tutta la liturgia

seguirà la struttura della storia della salvezza. Il carattere di segno

sensibile dei sacramenti racchiude alcune caratteristiche che lo

specificano rispetto a un semplice segno esterno.

1. Il legame biblico: per mezzo di esso mostrano la continuità con

i segni attraverso i quali Dio compì le sue meraviglie nella storia della

salvezza, e mediante i quali la stessa salvezza è significata.

2. La totalità simbolica: essa indica che il segno sacramentale non

è solo e necessariamente composto da una materia sensibile (acqua

pane...), ma dalla totalità degli elementi dell'azione liturgica, la cui

essenza risiede nel segno fondamentale di una parola e di una azione.

3. Il dinamismo interpersonale: esso fa apparire i sacramenti non

come cose o oggetti, ma come azioni per le quali Dio realizza la sua

salvezza, agisce ed è presente per coloro che lo accolgono nella libertà e

nella fede.

b). La necessità dei segni sacramentali per la salvezza.

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Sacramenti in generale

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Ammessa, come abbiamo visto nella prima parte, la possibilità

della salvezza senza il contatto diretto con la Chiesa dobbiamo dire che

nell'attuale economia della salvezza le ragioni della necessità dei

sacramenti in generale si possono riassumere così:

1. Ragione antropologica: i sacramenti sono una necessità in

armonia con la natura corporale-spirituale dell'uomo. L'uomo ha

bisogno di simboli perché vive simbolicamente; ha bisogno di

sacramenti perché vive sacramentalmente.

2. Ragione dell'incarnazione: in qualche modo la Chiesa è il

prolungamento storico dell'incarnazione, la quale ha le sue più evidenti

ed immediate attuazioni nei sacramenti. Tutta la tradizione della Chiesa

ha spiegato i sacramenti come la continuità mediatrice

dell'incarnazione, come il prolungamento dell'umanità di Cristo per

donare la grazia. Se nell'incarnazione apparve visibilmente la divinità,

era necessario che in un'altra incarnazione apparisse agli uomini la

salvezza di Cristo. Quest'altra incarnazione sono i sacramenti.

3. Ragione soteriologica: la Chiesa, come comunità e popolo di

Dio, è garante fedele e obiettiva della comunità storica della salvezza

eternamente attuale di Cristo. Ma la Chiesa si compone di membri

particolari, e la salvezza deve essere accessibile a ciascuno di essi, in

forme visibili e concrete. Queste forme sono i sacramenti, attraverso i

quali la grazia si individualizza, santificando le diverse situazioni della

vita umana.

4. Ragione pneumatologica: la salvezza si realizza nella storia

concreta mediante la forza del dono dello Spirito. Lo Spirito attualizza

in noi l'incontro con il Signore glorioso. Per la sua stessa missione

questo incontro, che può compiersi a livello interiore, deve manifestarsi

storicamente, sacramentalmente. Così succede in primo luogo con la

Chiesa, come fondamentale sacramentalizzazione del dono dello

Spirito. Ma se è vero che lo Spirito costruisce la Chiesa in ciascuno dei

membri, e nei membri nella Chiesa, allora l'azione dello Spirito non può

prescindere da una attuazione sacramentale e personale. L'attuazione

più adeguata sono i sacramenti della Chiesa e dello Spirito.

5. Ragione ecclesiologica: la Chiesa sacramento di salvezza ha

bisogno dei sacramenti per compiere la missione affidatale da Cristo. I

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Sacramenti in generale

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sacramenti applicano la sacramentalità della Chiesa alle diverse

situazioni della vita umana e cristiana. In quanto avvenimenti ecclesiali,

i sacramenti esprimono l'essere e l'identità della Chiesa. Non esiste

Chiesa senza sacramenti, né sacramenti senza Chiesa. Per questo sono

necessari.

6. Ragione della creazione: è necessario che la realtà creata,

anch'essa ferita dal peccato e bisognosa di salvezza, sia unita all'opera

che attualizza la salvezza mediante i sacramenti. I sacramenti

continuano nella nostra storia la sacramentalità dell'incarnazione e della

creazione.

Prima di passare al tema della definizione teologica dei sette

sacramenti è necessario ricordare qui il discorso che abbiamo fatto sul

simbolo con le diverse dimensioni che ha, e la sua differenza dal segno.

È pure necessario ricordare la nozione patristica dei sacramenti come

simboli.

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VIII. DEFINIZIONE TEOLOGICA DI SACRAMENTO. Questo tema tratterà della definizione teologica dei sacramenti in

senso stretto, cioè dei sette sacramenti e non soltanto della

sacramentalità generica.

1. Definizioni Classiche. Nella parte storica abbiamo visto che i Padri non hanno studiato il

concetto di sacramento in se stesso, tuttavia non è difficile conoscere

l'idea che se ne è formata quando si esamina la loro trattazione sulla

natura e gli effetti di ogni singolo sacramento particolarmente del

battesimo e dell'Eucaristia. Ben poco, invece, possiamo ricavare

dall'uso del termine sacramento poiché presso di loro ha un senso assai

ampio.

A. S. Agostino ha contribuito più di ogni altro Padre alla

formazione del concetto scientifico di sacramenti. Nella lotta contro i

donatisti e i pelagiani S. Agostino chiarì l'essenza del sacramento

riconoscendo in esso un mezzo oggettivo di grazia. Certo lui usa

sacramento in un senso ampio ma pone in prima linea i sacramenti in

senso stretto dando le definizioni: «un segno visibile della grazia

invisibile» e «un segno di una cosa santa» visibile signum invisibilis

gratiae, e signum re sacrae. Nel concepire il sacramento egli parte dal

segno esterno; questo segno però deve essere simbolo della realtà

spirituale a cui deve pure somigliare. Egli accentua senza dubbio la

«significatio sanctitatis» ma conosce pure l'efficacia per la grazia. Il

sacramento è per lui un segno religioso, ma non un segno vuoto; infatti

contiene in sé la grazia, che esso invisibilmente dà e garantisce.

Concludendo, possiamo affermare che secondo S. Agostino il

sacramento è un segno oggettivo della grazia divina. Questo concetto è

applicabile almeno ai sacramenti cristiani. L'istituzione dei sacramenti

da parte di Cristo non è accentuata perché il concetto di sacramento è

ancora molto ampio.

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B. S. Isidoro di Siviglia fa derivare il termine sacramentum da

secretum, il che lo portò a considerare il sacramento soprattutto sotto

l'aspetto di mistero, lasciando nell'ombra la nozione di segno.

C. Ugo di S. Vittore contribuisce in modo determinante

all'elaborazione del concetto di sacramento. Non soddisfatto dell'antica

definizione di sacrae rei signum, ne propone un'altra molto più ricca e

sfumata:

Sacramento è un elemento corporale o materiale proposto

esternamente in modo visibile che, rappresenta per la somiglianza,

indica per l'istituzione, e contiene per la santificazione, una grazia

invisibile e spirituale. (Sacramentum est corporale vel materiale

elementum, foris sensibiliter propositum, ex similitudine

repraesentans, et ex institutione significans, et ex sanctificatione

continens aliquam invisibilem et spiritualem gratiam.)16

Già per natura il segno e la grazia hanno una certa somiglianza

(Acqua), ma ciò non è sufficiente: bisogna che l'uno e l'altra siano

collegati dall'istituzione, idea che per prima egli introduce nella

definizione. Il naturale infatti non può, propriamente parlando,

significare il soprannaturale; anche se lo può far intravedere. Ugo lega

strettamente sacramento e grazia. Con i Greci e con S. Leone dice che la

virtù santificante esiste nell'elemento in forza della benedizione. Così

sintetizza in una frase le sue idee «Deus medicus, homo aegrotus,

sacerdos minister, gratia antidotum, vas sacramentum». La sua

concezione è un po' troppo esteriore per cui i sacramenti consistono «in

rebus factis, dictis» ma fu seguito da altri teologi.

In questa definizione di Ugo, tre componenti entrano come

costitutivi del sacramento:

1. Il loro carattere di segno

2. L'istituzione da parte di Cristo

16 UGO DI SAN VITORE, De Sacramentis christianae fidei, 1,9,2; (PL 176,317)

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3. La santificazione attraverso la grazia «contenuta» nel

sacramento.

Per questo terzo aspetto, Ugo usa l'immagine del recipiente: i

sacramenti contengono la grazia come i bicchieri contengono la

medicina per l'infermo.

D. La Summa Sententiarum: Quest’opera anonima offre una

nuova definizione con i migliori elementi di Ugo di S. Vittore ma dove

il conferimento e l'efficacia della grazia sono chiaramente inclusi nella

definizione di sacramento:

Il sacramento è la forma visibile della grazia invisibile che si

riceve in esso (in eo collatae), che certamente conferisce il

sacramento stesso. Non è soltanto segno della cosa sacra ma

anche la sua efficacia (SS., IV. 1)...

E. Pietro Lombardo: all'inizio del IV libro delle Sentenze di Pietro

Lombardo, si trovano quattro definizioni di sacramento, che erano già

classiche: due si richiamano ad Agostino (la seconda in realtà è di

Isidoro); una è stata data da Ugo di S. Vittore per correggere e

completare la definizione di Isidoro; l'ultima era nella Summa

Sententiarum. Infine offre la propria definizione di sacramento:

Si dice propriamente sacramento quello che è segno della grazia

di Dio e forma della grazia invisibile, in modo tale da portarne

l'immagine della grazia e da esserne la causa (Sacramentum enim

proprie dicitur quod ita signum est gratiae Dei, et invisibilis

gratiae forma, ut ipsius imaginem gerat et causa existat).17

La definizione del Lombardo si fondava sul principio

dell’ilemorfismo aristotelico (dal greco hyle = Materia e morphè =

forma) assunto dalla teologia scolastica come principio base della

conoscenza dell'essere creato. Tale definizione applicata al "segno"

17 PIETRO LOMBARDO, Sententiarium libri quattuor, IV, dist. 1,2; (PL 192,839)

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sacramentale nel suo complesso (materia e forma = elemento materiale

e parola) attribuisce una causalità diretta nella produzione dell'effetto di

grazia, di cui il sacramento era al tempo stesso il segno.

Questa definizione di Lombardo avrà immediato successo, perché

offriva un completamento alla dottrina agostiniana. In tal modo si era

trovata la "chiave" per stabilire la distinzione chiara tra sacramento e le

altre celebrazioni sacre.

Resta ancora senza spiegazione definitiva in che maniera, ossia

per quale via e sotto quale formalità, il sacramento, composto di

elementi naturali e sensibili, eserciterà questa sua causalità di grazia che

è una realtà soprannaturale e non sensibile. S. Tommaso lo spiegherà

con la causalità strumentale.

F. S. Tommaso D’Aquino riprende ed esamina le varie definizioni

anteriori facendo suoi gli elementi ritenuti validi e scartando gli altri.

Dato questo per scontato c'è una certa differenza tra il

commentario alle Sentenze e la Somma Teologica. Nel Commentario S.

Tommaso evidenzia l'aspetto causale dei sacramenti, la loro efficacia

salvifica «sacramentum autem simpliciter est quod causat sanctitatem»

(In IV Sent., dist. 2,q. 1 a. 2 qc 3 ad 5).

Nella Somma invece sembra volere mettere in luce l'aspetto

simbolico proprio della definizione di Sant'Agostino e considera i

sacramenti soprattutto sotto l’aspetto del segno. Così stabilisce che il

sacramento è «segno di una realtà sacra in quanto ordinata alla

santificazione dell'uomo» «proprie dicitur sacramentum quod est

signum alicuius rei sacrae ad homines pertinentes» (ST III, q. 60 a. 2

c.).

Per avere una idea esatta del pensiero di S. Tommaso sulla natura

dei sacramenti va notato che lui unisce strettamente i sacramenti

all'incarnazione poiché hanno la loro efficacia dallo stesso Verbo

Incarnato. Così la realtà significata nei sacramenti è principalmente la

grazia ma anche la Passione di Cristo da cui la grazia stessa scaturisce e

la gloria celeste che ne è la pienezza. Pertanto il sacramento in relazione

al passato significa la fonte della grazia, la Passione di Cristo (signum

remorativum) in relazione al presente, è segno della grazia interiore

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(signu demonstrativum), in relazione al futuro, annuncia la gloria

celeste (signum praenuntiativum). Si ricorda l'antifona eucaristica

«Recolitur MEMORIA Passionis eius, mens impletur GRATIA et

FUTURAE GLORIAE nobis pignus datur». Il sacramento da questo

punto di vista, significa tutto il mistero, tutta l'economia della salvezza.

Oltre ad essere segno, il sacramento è pure causa della grazia. S.

Tommaso introduce qui il concetto di causa strumentale. Dio è la causa

efficiente principale e l'umanità di Cristo è causa efficiente strumentale

dalla quale derivano i sacramenti. Questa è, si può dire, la tesi

fondamentale della sacramentologia di S. Tommaso.

2. Il Concilio di Trento:

Il Concilio non ha voluto definire il sacramento anche se qualche

padre l'ha chiesto per raggiungere una maggiore unità di pensiero.

Mettendo insieme diverse affermazioni, come per esempio ciò che dice

sull'Eucaristia, potremmo dire che il Concilio considera i sacramenti

come simboli di una realtà sacra e forma visibile di una grazia

invisibile (DzH 1639), che contengono e conferiscono la grazia

significata (DzH 1606). Definisce pure la necessità dell'istituzione da

parte di Cristo. Il Catechismo Romano o di Trento descrive il

sacramento come «un segno sensibile che, per istituzione divina, ha la

virtù di significare e di produrre la santità e la giustizia, cioè la grazia

santificante».

3. Dopo Trento:

La maggior parte dei teologi post-tridentini si limitano a

riprendere la definizione di sacramento di S. Tommaso qualche volta

aggiungendo qualche elemento di approfondimento.

A. Francesco Suárez definisce il sacramento come «segno

sensibile per conferire una certa santificazione e significare una vera

santità dell'anima». Dopo di lui l'aspetto dell'istituzione forma parte

definitiva della definizione di sacramento. Usa l'espressione vaga «una

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certa sanctificatione» allo scopo di comprendere nella sua definizione i

sacramenti dell'AT, ma è diversa la sanctificatione dei due Testamenti.

B. Giovanni di San Tommaso. sviluppa le nozioni di segno e le

applica alla dottrina tomista. Definisce il sacramento come «segno

pratico» non tanto nel senso che «efficit quod significat» ma piuttosto

nel senso che «significat id quod Deus efficit (in anima)». I sacramenti

sono segni pratici in quanto rendono presente alla coscienza del

soggetto la realtà a cui rimandano. È così che il segno sacramentale

viene spiegato come «signum efficax gratiae»: più che costituire una

causalità efficiente, il segno sacramentale rappresenta il segno efficiente

di una causalità. Il contenuto di tale significato è determinato

dall'istituzione di Cristo. Così il fondamento della causalità risiede nel

mistero del Verbo incarnato «L'essere causativo di grazia non è

essenziale al sacramento in quanto sacramento ma in quanto strumento

dell'umanità di Cristo e deriva dalla sua passione».

C. Giovanni di Lugo qualifica il sacramento come «un rito

sensibile che significa la grazia di cui è causa, santificando il

soggetto». È una definizione che riprende la duplice dimensione del

sacramento come segno e causa. Il valore di questa definizione risiede

nel mettere in evidenza il carattere di azione del sacramento rispetto ad

una concezione troppo statica di esso.

D. Odo Casel. Quasi tutte le definizioni erano variazioni di quelle

menzionate poc’anzi fino a quando Odo Casel tenta di riprendere la

nozione di sacramento come mistero. Per Casel i sacramenti sono

misteri in quanto rendono presenti i misteri storici della vita e della

morte di Cristo, non più realmente, storicamente, ma sacramentalmente.

Un commentatore indipendente di Casel, G. Soehngen, ha precisato che

il mistero liturgico o sacramentale e il mistero di Cristo si

ricongiungono nell'unità trascendente di un unico mistero di salvezza.

Questa teoria pone l'accento sul mistero, sulla pienezza e

sull'attualità della presenza realizzata dai sacramenti. Ma la sua

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debolezza consiste forse precisamente nel dimenticare il segno-simbolo.

Portando la teoria alle ultime conseguenze non si vede bene perché, per

esempio, il Battesimo non dovrebbe rendere presente l'immolazione

sacrificale di Cristo tanto quanto l'eucaristia se tutto è un unico mistero

di salvezza.

4. Il Magistero della Chiesa

Il magistero non si è preoccupato molto di dare una definizione

scientifica ma d’indicare degli elementi essenziali. Non abbiamo una

definizione ufficiale di sacramento in quanto le definizioni riportate nei

catechismi ufficiali non hanno la pretesa di essere dottrina definitiva.

A. Pio XII nel decreto Sacramentum Ordinis dice che i

sacramenti...quali segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile,

devono significare la grazia che producono e produrre la grazia che

significano.

B. Il Concilio Vaticano II considera i sacramenti come atti nei

quali la Chiesa si realizza come popolo sacerdotale e sacramento

universale di salvezza e ricorda che i sacramenti sono ordinati alla

santificazione degli uomini, alla santificazione del Corpo di Cristo e,

infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche la

funzione di istruire (SC 59). Il Diritto Canonico nel canone 840 si ispira

al Concilio.

C. Il Catechismo della Chiesa Cattolica. La dottrina del

Catechismo è molto ricca e ha molte sfumature. Inoltre la definizione ha

incorporato le intuizioni degli autori recenti anche se la terminologia

utilizzata è quella più tradizionale. Possiamo prendere come una

definizione il numero 1084:

"Assiso alla destra del Padre" da dove effonde lo Spirito Santo nel

suo Corpo che è la Chiesa, Cristo agisce ora attraverso i

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sacramenti, da lui istituiti per comunicare la sua grazia. I

sacramenti sono segni sensibili (parole e azioni), accessibili alla

nostra attuale umanità. Essi realizzano in modo efficace la grazia

che significano, mediante l'azione di Cristo e la potenza dello

Spirito Santo.

Questa definizione e poi precisata nei nn. 1113-1134 che

prendono in considerazione gli aspetti dell’istituzione, della comunità

sacerdotale della Chiesa, del ruolo dello Spirito e della fede e dei frutti

della partecipazione sacramentale. Dice il n. 1131:

I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e

affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita

divina. I riti visibili con i quali i sacramenti sono celebrati

significano e realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento.

Essi portano frutto in coloro che li ricevono con le disposizioni

richieste.

Il fatto che il Catechismo da più di una definizione indica che non

pretende dare una definizione ufficiale definitiva dei sacramenti e che

c'è spazio per ulteriori precisazioni. Allo stesso tempo credo che abbia

fissato certi elementi che devono formar parte di ogni futura

definizione.

5. Elementi che devono formar parte di ogni futura

definizione del sacramento

- Un primo elemento viene dal contesto nel quale il Catechismo

dà le definizioni di sacramenti. Il fatto che il capitolo si intitola «Il

Mistero Pasquale nel tempo della Chiesa» indica che i sacramenti

devono essere visti come celebrazioni del Mistero Pasquale anche se

questa espressione non è entrata nella definizione come tale.

- Assiso alla destra del Padre: indica che i sacramenti sono azioni

del Cristo celeste.

- Da dove effonde lo Spirito Santo nel suo Corpo che è la Chiesa:

indica che l'azione del Cristo celeste opera attraverso lo Spirito e la

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Chiesa. Così la definizione deve considerare sia l'aspetto

pneumatologico che quello ecclesiologico.

- Cristo agisce ora attraverso i sacramenti, da lui istituiti, per

comunicare la sua grazia. Si ricorda specialmente l'aspetto

dell'istituzione dei sacramenti. Così attraverso lo Spirito Santo e la

Chiesa agisce attraverso i sacramenti voluti ed istituiti da lui stesso.

- I sacramenti sono segni sensibili etc. Si deve sempre considerare

l'aspetto incarnazionale, sensibile e simbolico dei sacramenti, e che

questo aspetto simbolico è composto di parole e azioni.

L'aspetto dei sacramenti come segno o più propriamente segno-

simbolico è uno dei più comuni nella teologia recente. Molti teologi

hanno cercato di spiegare la natura del sacramento mediante le

caratteristiche del simbolo. Ciò significa che quanto si può dire del

simbolo, in qualche misura si può affermare anche del sacramento. Si è

già trattato ampiamente del concetto del simbolo e della sua presenza

nella teologia dei padri. Diremo soltanto che i sacramenti sono

espressioni simboliche, intendendo espressione come qualcosa che

manifesta, ricrea, e trasforma una esperienza. Riferito ai sacramenti

dobbiamo intenderli come l'espressione simbolica di Dio, della Chiesa,

dell'uomo: perché Dio, la Chiesa, l'uomo sono realtà simbolico-

sacramentali che hanno bisogno di esprimersi e si esprimono mediante

simboli sacramentali che sono relativi e fanno parte della stessa realtà.

La radice del carattere espressivo dei simboli sacramentali non sono i

segni isolati e la loro concreta ritualità, ma la natura simbolico-

espressiva degli agenti del sacramento, i soli capaci di elevare i segni a

vero simbolo religioso. In altre parole, non sono Dio, la Chiesa e l'uomo

ad esistere perché esistono i simboli che li esprimono, ma esistono i

simboli perché esistono Dio, la Chiesa e l'uomo che si manifestano

come simboli. L'incontro della reciproca e interpersonale espressione-

comunicazione simbolica avviene precisamente nei sacramenti.

Dio, la Chiesa e il soggetto si esprimono nei sacramenti nello

stesso tempo, sia pure in modo diverso. Bisogna distinguere tra

espressione soggettiva, mediante la quale i sacramenti, esistendo di per

sè stessi, mostrano creativamente la mia esperienza personale;

espressione oggettiva, in quanto nei sacramenti Dio manifesta il suo

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Sacramenti in generale

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mistero e la sua salvezza, e mostra se stesso in modo totalmente gratuito

e sovrano per me; espressione mediata in quanto i sacramenti sono i

simboli della mediazione ecclesiale, ed esprimono non solo la mia

esperienza, ma anche l'esperienza di tutta la comunità, la vita e la fede

condivisa.

È in questo contesto che si può includere l’altro elemento rilevato

dal Catechismo in quanto i sacramenti sono espressione della fede

ecclesiale e insieme, seppure a diverso livello, espressione della fede

soggettiva.

- Essi realizzano in modo efficace... Si deve ricordare l’aspetto

dell’efficacia, e che tale efficacia sia propria secondo il significato di

ogni sacramento, ma il catechismo, dicendo che portano frutti secondo

le disposizioni, evita che l'efficacia ex opere operato sia capita come

qualcosa di automatico senza una connessione con la vita.

Dopo vedremo più particolarmente diversi elementi delle

definizioni.

6. ALTRE PROPOSTE DI DEFINIZIONI

Abbiamo visto che nella teologia recente ci sono state varie nuove

categorie per spiegare il sacramento. In genere non sono esclusive ma

reciprocamente co-implicate e in certo senso vediamo che il

Catechismo prende spunti da varie di loro. Fra le più importanti vi sono

le categorie del mistero, (Casel), dell’incontro (Schillebeeckx), della

parola (Rahner), dei simboli (Rahner-Chauvet).

Altri teologi hanno fatto diverse sintesi per proporre altre

definizioni anche se prima della definizione del catechismo. Per

esempio dice Carlo Rocchetta nel suo trattato:

Il sacramento - sullo sfondo del "mysterion" nella storia, della

simbolicità dell'ordine creaturale e della sacramentalità di Cristo e

della Chiesa - è un atto personale del Cristo celeste dispiegato,

nella potenza dello Spirito, in una forma simbolica posta in atto

dalla Chiesa e rivolta alle situazioni decisive dell'uomo credente.

In esso si rivela e si autorealizza la natura misterica della

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Sacramenti in generale

97

comunità ecclesiale e si compie il massimo grado della parola

consegnata alla chiesa. La forma simbolica è costituita da cose,

gesti e parole, dal ministro e dal soggetto del sacramento. In tale

forma si realizza un segno efficace di grazia, oggettivamente

operativo dei doni da esso significati (= opus operatum).18

È abbastanza completa anche se manca l'aspetto dell'istituzione e

c'è bisogno di leggere le 440 pagine precedenti per poterla capire.

Questo ci rivela anche le difficoltà, oggigiorno, di dare una definizione.

Per questo invece di proporre una propria definizione abbiamo preferito

indicare, a partire dal catechismo, quali elementi consideriamo

importanti per una ulteriore riflessione. Certamente una nuova

formulazione è molto più complessa della semplice definizione dei

sacramenti come segni efficaci di grazia; ma questo non vuol dire che

tale definizione sia da considerarsi inutile. Conserva tutto il suo

significato e il suo valore; dev'essere soltanto inserita nell’economia

dell’attualizzazione del mistero di Cristo. Di fatto un approfondimento,

in tutta la ricchezza del valore biblico e simbolico del segno come

abbiamo tentato di fare nella parte biblica, può aprire la strada per

interpretare il termine segno della definizione classica in senso

misterico della storia della salvezza. Quest’idea sarà chiarita nei temi

che seguono.

18 ROCCHETTA C., Sacramentaria fondamentale, Dal “Mysterion” al “sacramentum”,

EDB, Bologna 1989. 440

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Sacramenti in generale

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IX. L'ISTITUZIONE DEI SACRAMENTI:

Adesso dobbiamo vedere il tema della istituzione dei

sacramenti.19

1. Il Concilio di Trento Insieme alla definizione dei sette sacramenti il Concilio di Trento

difende l'istituzione di tutti da parte di Cristo, respingendo

l'insegnamento dei riformatori, e spiega che sono diversi da quelli

dell'antico Testamento. Nella sessione VII, can 1 DzH 1601, Trento

dichiara:

Se qualcuno afferma che i sacramenti della Nuova Legge non

sono stati istituiti tutti da Cristo nostro Signore...sia scomunicato.

Quest'affermazione va collocata nel suo ambiente storico: si tratta

di una proposizione direttamente in polemica anti-protestante. Loro, i

Protestanti, accettavano l'istituzione di Cristo solo dell’Eucaristia e del

battesimo; l'istituzione degli altri era problematica, mentre l'unzione

degli infermi la negavano assolutamente. A proposito di quest'ultimo il

Concilio afferma che anch'esso è stato istituito da Cristo e poi

promulgato dall'Apostolo Giacomo (DzH 1695 e 1716). Il Concilio non

spiega la forma dell’istituzione, né propende in favore di qualcuna delle

teorie esistenti. Di fronte alla questione: fin dove arriva l'istituzione di

Cristo, e quindi è immutabile, e fin dove si estende il potere della

Chiesa sui sacramenti, e quindi è mutabile, il Concilio dichiara soltanto

che la Chiesa non può cambiare la sostanza dei sacramenti, (DzH 1728)

perché è Cristo che li ha istituiti. Tuttavia l'affermazione non chiarisce

se la sostanza dei sacramenti comprende materia e forma e in che

misura. Pio XII poi cercò di precisare la questione affermando che la

sostanza è «Ciò che secondo le fonti della rivelazione Cristo stesso ha

stabilito come immutabile nel segno sacramentale».

19 Cfr. S. MARSILI, I segni del mistero di Cristo, 69-90.

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Sacramenti in generale

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Per queste ragioni l'accento della definizione tridentina cade sulla

parola tutti, un accento secondario è posto poi come conseguenza

sull'istituzione da parte di Cristo. L'affermazione di Trento è di fede

anche se non condanna i teologi anteriori che con un concetto diverso di

sacramento negavano l'istituzione di tutti da parte di Cristo.

2. Che cosa si intende per "istituzione dei sacramenti"? Gli autori comunemente danno in termini più o meno analoghi

questa definizione di istituzione come «annettere a cose sensibili il

potere di significare e di produrre la grazia». Quasi tutti gli autori si

rifanno a San Tommaso STh III q 64, a 2 nel sed contra: «ille instituit

aliquid qui dat ei robur et virtutem, ut patet de institutoribus legum»

(istituisce qualcosa colui che dà alla cosa stessa una forza e un potere -

cioè quando annette una sanzione o comunque un'efficacia - come si

vede nel caso degli istitutori delle leggi).

A. S. Tommaso D’Aquino

S. Tommaso, seguito in genere dai teologi, nel parlare

dell'istituzione dei sacramenti fissa la sua attenzione direttamente

sull'effetto interiore operato dal sacramento, la grazia o efficacia.

Trattandosi di un effetto, questo richiama necessariamente una causa,

ma l'effetto è la grazia e quindi la causa non può essere altro che Dio, o

Cristo in quanto Dio. Gli uomini possono stabilire segni religiosi, solo

Dio però vi può annettere la grazia.

Dio è così propriamente l'autore dei sacramenti (auctor

principalis); egli solo ha il potere di istituire i sacramenti (potestas

principalis);

Cristo, in quanto Dio, possiede tale potere in modo assoluto; ma

come uomo, ha meritato tale potere sui sacramenti grazie alla sua

passione (causa meritoria e effettiva).

Quindi come Dio Cristo possiede sui sacramenti un potere di

autorità (potestas auctoritatis). Come uomo possiede un potere di

eccellenza (potestas excellentiae).

Perciò Egli ha istituito i sacramenti come uomo, in virtù del

potere divino.

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L'istituzione divina dei sacramenti si estende però anche agli

elementi materiali di cui risultano composti i sacramenti, e che, almeno

per quella parte necessaria per il sacramento sono stati istituiti da

Cristo. Questi elementi materiali si fondano su una «certa attitudine

delle cose a significare effetti spirituali, attitudine che però viene

specificata dall'istituzione divina, la quale fa della stessa attitudine un

mezzo per esplicitare meglio il significato dei sacramenti» (64 2 ad 2).

A proposito di questa esposizione si osserva che la distinzione di

S. Tommaso tra istituzione per potere di autorità (Dio) e l'istituzione per

potere di strumentalità principale o eccellenza (umanità-passione) non

ha avuto più un influsso decisivo nella teologia a partire dalla

definizione di Trento dell’istituzione dei sacramenti da parte di Cristo.

L'attenzione veniva posta sul segno sacramentale più che sul contenuto

di grazia che era stato il centro di attenzione nella spiegazione tomista

dell’istituzione.

B. La Teologia posteriore

I teologi posteriori in genere vanno in cerca, nella scrittura, di

quegli elementi, come i cosiddetti comandamenti di Cristo, che possono

giustificare l'affermazione tridentina. Siccome questi comandi non si

riscontrano chiaramente per tutti i sacramenti in particolare, si è allora

posta la questione se l’istituzione da parte di Cristo debba intendersi

come istituzione immediata, nel quale Cristo avrebbe istituito

personalmente tutti i sacramenti, assegnando sia la grazia sia il rito

esterno di ogni sacramento, o istituzione mediata nel quale Cristo,

manifestata la sua volontà di conferire la grazia per mezzo di un rito,

avrebbe lasciato agli Apostoli e alla Chiesa la facoltà di determinarli.

Comunemente i teologi ritengono che Trento dev’essere

interpretato in favore di un’istituzione immediata ma anche in questo

caso ci si domanda se la determinazione del rito sacramentale in

rapporto a una determinata grazia sia da considerarsi come:

-Determinazione generica: Cristo avrebbe per esempio stabilito

che l'Eucaristia debba essere una comunicazione di grazia (contenuto)

attraverso il segno di cibo (rito).

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Sacramenti in generale

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-Determinazione specifica: Cristo avrebbe stabilito che

nell'Eucaristia la grazia debba essere comunicata nel segno pane-vino.

-Determinazione nei particolari: Cristo avrebbe stabilito che

nell'Eucaristia la grazia debba essere comunicata nel segno del pane

azzimo e del vino di uva.

C. Note critiche alla teologia posteriore

Le opinioni a questo riguardo sono molte e contrastanti e, anche

se può essere sufficiente a salvare la fede di Trento, non ha un buon

fondamento nella Scrittura e così forse non è una presentazione

adeguata dell'istituzione perché:

a). Tutto si fonda sull'a-priori di una definizione dell'idea di

istituzione, senza chiedersi se questo sia il procedimento più adatto a

proposito del sacramento. È chiaro che la definizione che abbiamo visto

fa pensare che il sacramento è come una legge, ossia come qualcosa che

manifesta una certa volontà e la rende efficace. È una concezione a

sfondo nettamente giuridico che riposa sul fatto che:

b). L'istituzione dei sacramenti viene praticamente ristretta alla

determinazione del segno esteriore del sacramento. Si cerca infatti di

sapere se Cristo ha fatto o ha detto qualcosa che presenti le

caratteristiche esterne di quelli che poi sarebbero stati i sacramenti

cristiani.

c). Il contenuto del sacramento, ossia la grazia, è visto come un

univoco (auto-infusione di Dio nell'anima) senza un rapporto diretto

con Cristo.

d). Il valore segnale del sacramento (cioè la sua situazione di rito)

è visto principalmente nel significato che si desume dalle cose sensibili

usate a significare la grazia. Al contrario, il significato del sacramento

deve essere scoperto nel rapporto che esso stabilisce con Cristo e con i

suoi misteri, essendo il sacramento un rito relativo a Cristo-Mistero di

salvezza.

D. Proposta alternativa

Lo studio approfondito della catechesi apostolica ci mostra che

l'istituzione dei sacramenti da parte di Cristo non può essere vista sulla

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Sacramenti in generale

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linea della promulgazione giuridica. Risulta invece chiaramente che

l'istituzione dei sacramenti deve essere vista sulla linea della realtà,

ossia che essa consiste semplicemente nel porre su un piano di

realizzazione quello che esisteva già in determinati segni sul piano

dell'annunzio profetico.

Spieghiamo: Cristo nel dare i sacramenti intende dare agli uomini

che crederanno in lui, il mezzo per inserirsi nella storia della salvezza, a

livello di realizzazione e di attuazione. Infatti, come abbiamo visto, la

storia della salvezza esiste in due momenti, annunzio espresso in fatti e

parole che sono segni della salvezza futura; e la realtà che questi segni

trovano in Cristo il grande sacramento della salvezza. Così quegli stessi

segni che prima di lui annunziavano la salvezza futura, ora, dopo di lui,

annunziano e realizzano la salvezza diventata realtà in lui.

Questa è la ragione per la quale Cristo nel parlare, per esempio,

del battesimo e dell'Eucaristia si rifà ai “segni” relativi esistenti

nell’AT. Non è questione di un procedimento pedagogico, inteso a far

comprendere il significato del suo gesto; ma è volontà di restare sulla

linea della rivelazione della salvezza, per cui non c'è rottura di

continuità tra AT e NT: il segno dell’AT trova la sua realtà in Cristo e

continua - nel tempo di Cristo - a essere segno reso ormai efficace, ossia

destinato non solo ad annunziare, ma a realizzare la salvezza.

Questo ci riporta in parte alla dottrina di S. Tommaso che

parlando del potere di Cristo nell'istituzione dei sacramenti riporta quel

potere al fatto che è la Passione-Morte a dare efficacia ai sacramenti

stessi. Questo vuol dire che il segno sacramentale ha la sua efficacia,

ma anche la sua origine, ossia la sua istituzione, dal fatto della Passione

di Cristo che è il punto culminante nel quale si realizza la storia della

salvezza che i segni antichi annunziavano.

La conclusione che s'impone ci sembra sia questa: La dottrina di

Trento è di fede ed esige necessariamente l'istituzione immediata di tutti

i sacramenti da parte di Cristo anche quando i testi biblici non sembrano

dare testimonianze sufficienti. Ma per mantenere questa fede non ci

sembra necessario conservare l'idea dell'istituzione giuridica; invece

possiamo dire che l'istituzione dei sacramenti deve intendersi come

l'atto con il quale Cristo, realizzatore della salvezza, ha dato pienezza e

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Sacramenti in generale

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realtà a dei segni preesistenti e già in rapporto - con compito di

annunzio - con la storia della salvezza.

I Padri della Chiesa quasi sempre rimandano alla storia della

salvezza in quanto realizzata in Cristo nel mistero pasquale quando

parlano dell'origine dei sacramenti e l'antica Chiesa ha mantenuto quei

segni dell’AT più intimamente legati alla storia della salvezza (la

Pasqua per esempio) ma non ha mantenuto molte istituzioni e segni

dell’AT perché erano stati svuotati del loro significato a causa della

realtà portata da Cristo. Cosi ha sostituito la circoncisione con il

battesimo perchè questo era un rito senza le connotazioni tribali e di

classe, e perché il battesimo come passaggio dalla schiavitù alla libertà

attraverso l'acqua, più direttamente si ricollegava alla storia della

salvezza in quanto rivelata attraverso il segno del passaggio del Mare

Rosso e del Giordano. In questo modo ci sembra che si salvi bene la

istituzione da parte di Cristo di tutti i sacramenti e anche l'unità della

Rivelazione.

3. Il Numero settenario dei Sacramenti:

A. Tradizione e teologia

I Padri della Chiesa non distinguevano tra sacramenti e

sacramentale perché mancavano ancora i motivi per tale precisazione.

Ugo di S. Vittore dice che ci sono tre tipi di sacramenti: quelli nei quali

si realizza (o è presente) e si percepisce la salvezza (Battesimo e

Eucaristia).

Quelli che, anche se non necessari per la salvezza, sono utili per

raggiungerla (cenere, acqua benedetta etc.).

Quelli che rendono possibili gli altri (ordine).

Abbiamo visto che sembra che la serie dei nostri sette sacramenti

si trovi per la prima volta nella Summa Sententiarum: sotto forma di

trattati di ciascun sacramento, ma l'elenco completo appare per la prima

volta nelle sentenze di Pietro Lombardo. Al tempo di Pietro Lombardo

il numero settenario dei sacramenti era stato dichiarato dal magistero

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ecclesiastico, ma senza troppa precisione. Nel III Concilio del Laterano

(1179) troviamo queste parole:

È altamente deplorevole che in certe chiese... per l'intronizzazione

dei vescovi, degli abati... per le sepolture e le onoranze ai defunti,

per le benedizioni nuziali e gli altri sacramenti...

Non sappiamo con certezza se l'aggiunta «e gli altri sacramenti»

si riferisca unicamente al matrimonio o a tutto l'insieme. La lista

completa dei sette sacramenti in un documento ufficiale si trova per la

prima volta nella professione di fede imposta da Innocenzo III (+1216)

ai Valdesi, che volevano far ritorno alla Chiesa. Si trova anche nella

professione di fede dell’imperatore Michele Paleólogo fatta al Concilio

di Lyon nel 1274 e nel Decreto pro Armenis del Concilio di Firenze

(1439).

Di fronte alla negazione protestante del settenario sacramentale il

Concilio dichiarerà espressamente che tutti i sacramenti della nuova

legge sono stati istituiti da Cristo e sono sette né più né meno, afferma

pure che tutti sono ugualmente sacramenti ma non tutti della stessa

dignità (DzH 1601; 1603).

Dagli atti del Concilio di Trento si sa che la commissione che

formulò gli errori protestanti, li classificò in diversi gruppi: quelli che

semplicemente devono essere condannati (i sacramenti non sono stati

istituiti da Cristo); quelli che si devono condannare solo con qualche

chiarimento (numero dei sacramenti), e altri da ignorare.

Non pochi teologi desideravano che la questione del settenario

fosse meglio specificata soprattutto in relazione alla frase «né più né

meno» e davano diversi motivi per giustificare il numero sette:

l'opinione comune della Chiesa; il fondamento scritturistico di ciascuno

dei sette, nel senso che si potrebbe trovare qualche menzione nella

Scrittura per ciascuno di loro; il valore simbolico del numero sette,

anche se questa maniera di argomentare era tipicamente medievale; e

gli argomenti tomisti di convenienza antropologica, etc.

Trento, ha preferito semplicemente affermare il numero senza

dare giustificazioni. Non voleva condannare i teologi anteriori che

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avevano un numero più o meno ampio di sacramenti ma rispondere con

il numero preciso al protestantesimo che aveva una grande indifferenza

verso l'ordine sacramentale in quanto tale, perché la giustificazione,

secondo loro, è frutto della fede. Il «né più né meno» è l'affermare un

numero fisso, visto come l'unica possibilità di salvare l'orizzonte

simbolico della sacramentalità, e ribadire che nella Chiesa i sacramenti

sono fonte e principio della giustificazione.

B. L’Opinione di Karl Rahner

Certamente Trento non escluse l'interpretazione simbolica dei

sacramenti e per questo certi teologi come Karl Rahner hanno cercato

diverse spiegazioni. Dice il Rahner:20

Il numero dogmatico di sette va preso con una certa cautela...

L'essenziale nel definire il numero settenario non è il numero, ma

l'affermazione che i riti della Chiesa intesi in questo numero sono

in realtà di efficacia sacramentale, tutti questi e soltanto questi. Se

poi nella numerazione complessiva di questi riti così

contrassegnati si perviene a questo o a quel numero, è in sé

indifferente. Se si dicesse che si danno nove sacramenti (poiché

anche il diaconato e l'episcopato sono sacramenti) non si sarebbe

detto nulla di erroneo. E se si affermasse che se ne danno soltanto

sei, poiché il battesimo e la cresima si comprendono sotto il

concetto di sacramento di iniziazione nella sua gradualità... non si

direbbe neppure in questo caso qualcosa di necessariamente

errato...

Personalmente credo che l'interpretazione di Rahner non regge e

direi che piuttosto si dovrebbe interpretare, per esempio, l'ordine come

un sacramento e non tre in virtù della dichiarazione di Trento e non

interpretare Trento in virtù della mia teoria.

20 KARL RAHNER, Chiesa e sacramenti, Brescia 1966, 56

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X. L'EFFICACIA DEI SACRAMENTI:

1. Introduzione:21 Il concilio di Trento prende posizione contro le posizioni

protestanti e afferma come dottrina di fede che i sacramenti producono i

loro effetti per se stessi attuando ex opere operato (letteralmente per il

fatto stesso che l'azione viene compiuta) cioè in virtù dell'opera

salvifica di Cristo compiuta una volte per tutte (cfr. CCC 1128). Questa

espressione è forse il modo più chiaro e preciso di esprimere l'essenza

dei sacramenti come mezzi oggettivi di grazia. I sacramenti operano per

intrinseca virtù in quanto sono azioni di Cristo stesso, che comunica e

diffonde la grazia del Capo divino nelle membra del Corpo mistico.

Adesso vediamo come è arrivato Trento a questa affermazione.

2. Tradizione e teologia

A. La virtus sacramenti presso i Padri:

È vero che né Scrittura né Padri conoscono il termine opus

operatum ma ne conoscono bene la realtà. Gli scritti neotestamentari

affermano in modo esplicito l'intimo legame tra la comunicazione del

dono interno della grazia e i segni esterni istituiti da Cristo. Così la

salvezza e l'incorporazione in Cristo sono strettamente collegate con il

battesimo: «Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può

entrare nel Regno dei cieli» (Gv 3,5) «Chi crederà e sarà battezzato

sarà salvato.» (Mc 16,16). Il dono dello Spirito Santo e il dono del

ministero sono legati all'imposizione delle mani (cfr. At 8,17-18; 2Tm

1,6).

I Padri fedeli all'insegnamento biblico sono espliciti nell'affermare

l'efficacia oggettiva dei segni sacramentali. Per esempio dice Teofilo di

Antiochia: «gli uomini riceveranno la remissione dei peccati per mezzo

21 Per questo capitolo vedi: D BOROBIO, La celebrazione nella Chiesa I., 493-516; S.

MARSILI, I segni del mistero di Cristo, 91-104.

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dell'acqua e del lavacro di rigenerazione».22 Espressioni simili si

potrebbero moltiplicare. La stessa convinzione nell'oggettiva efficacia

dei sacramenti è attestata dall'antica prassi di amministrare il battesimo

anche ai bambini che non possono emettere un atto di fede proprio.

L'efficacia oggettiva dei sacramenti è stata molto discussa nella

controversia contro i donatisti. I Padri, per quanto concerne la natura

dell'efficacia dei sacramenti, attribuiscono l'effetto della grazia in modo

causale al compimento del rito sacramentale stesso ed escludono la

possibilità dell'influsso diretto del ministro o del soggetto del

sacramento sull’efficacia dello stesso. Così scrive S. Ottato di Milevi

che i sacramenti sono santi per se stessi non a causa degli uomini.

(Sacramenta per se esse sancta, non per homines) e questa dottrina è

poi seguita da S. Agostino e dagli altri padri latini.

I Padri attribuiscono l'effetto dei segni sacramentali alle varie

Persone della Santissima Trinità, alcuni per l'intercessione dello Spirito

Santo altri, specialmente S. Agostino perché i sacramenti sono atti di

Cristo essendo Lui l'autore principale di ogni effetto sacramentale.

Disse S. Agostino:

Si disse del Signore prima della sua passione, che ne battezzava

più di Giovanni; e subito si aggiunse: sebbene non fosse Egli che

battezzasse, ma i suoi discepoli. Egli e non Egli: Egli per la

potestà, quelli per il ministero; questi prestavano la loro opera per

battezzare, il potere di battezzare rimaneva in Gesù Cristo. Quindi

battezzavano i suoi discepoli, tra i quali c'era pure Giuda... Quelli

che battezza Giuda non sono stati battezzati da Giuda ma da

Cristo... 23

B. Il signum efficax degli scolastici:

Fu la scolastica primitiva che sviluppò il linguaggio tecnico con

l'introduzione dell’opus operatum che sembra sia stato formulata per la

prima volta da Pietro di Poitiers (+1205). Il Papa Innocenzo III,

studente a Parigi sotto Pietro di Poitiers applica la formula

22 Ad Autolicum 2,16: OG 6 1077. 23 In Ioan Evang., tract 5, 18 PL 35 1424

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Sacramenti in generale

108

all'Eucaristia. Sembra che le formule classiche ex opere operato e ex

opere operantis siano state introdotte da Guglielmo di Auxerre (+

1230), poi riprese da tutti i grandi teologi e incorporate nella definizione

di Trento.

Abbiamo già visto le teorie di S. Tommaso sulla causalità

efficiente fisica strumentale dei sacramenti, ma non era l'unica teoria.

La scuola francescana si preoccupava di salvare la sovrana libertà di

Dio nella donazione della grazia e in genere vedeva con sospetto i

concetti di causalità dispositiva, o efficiente perché credeva che

limitasse la libertà divina.

Già S. Bonaventura, contemporaneo di S. Tommaso aveva messo

in dubbio la causalità sacramentale dicendo:

Nei sacramenti non c'è né causalità efficiente né dispositiva,

poiché né contengono né producono la grazia, essendo questo

possibile solo a Dio. Essi non sono altro che occasioni del dono

della grazia, che Dio ha unito a determinate condizioni esterne, o,

al più, sollecitazioni della grazia.24

Questo è l'inizio di ciò che poi sarà chiamata causalità morale o

occasionale dei sacramenti. Sulla stessa linea Duns Scoto dirà che la

grazia non può essere prodotta da un elemento materiale, e quindi non

va attribuita ai sacramenti una causalità fisica, né strumentale né

dispositiva, ma piuttosto occasionale o, tutt'al più, come disposizione

immediata alla grazia in virtù dell'atto imperato della volontà di Dio,

che rimane sempre l'agente principale.

C. La problematica Tridentina e le sue cause:

I Protestanti accusavano i cattolici di avere con l’ex opere operato

un concetto magico dei sacramenti. Come risposta Trento, benchè

accentuasse l'opus operatum con le condanne alle tesi Protestanti (DzH

24 BONAVENTURA, In IV Sent., d. I, p. i, a. 1.

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1605-1608) «Se qualcuno afferma che con i sacramenti della nuova

legge la grazia non viene conferita ex opere operato, ma che è

sufficiente la sola fede nella divina promessa per ottenere la grazia:

AS» (DzH 1608), tuttavia, quando parlava della grazia faceva pure

spiccare l'opus operantis (DzH 1526-1527) ossia lo sforzo e la

collaborazione di chi riceve il sacramento, in quanto richiede, come

disposizioni per la giustificazione, la fede, la speranza, il timore di Dio,

l'amore iniziale e la penitenza. Appoggiava questa dottrina citando la

Scrittura.25

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riprende e completa questa

dottrina nei numeri 1127-1128 quando spiega i sacramenti come

sacramenti di Cristo, della Chiesa, della fede della salvezza e della vita

eterna. Così parlando della fede dice che i sacramenti «non solo

suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono,

la irrobustiscono e la esprimono...(cfr. 1123)».

La dottrina cattolica si può riassumere dicendo che si produce la

grazia nell'anima dell'uomo disposto mediante i sacramenti. Per questo

è necessario ricordare che non basta compiere correttamente il

sacramento se non c’è un legame con la vita.

3. Teorie per spiegare l'opus operatum. Ma una cosa è affermare l'efficacia oggettiva dei sacramenti e

un’altra è spiegare in quale modo i sacramenti sono efficaci. Gli autori

post-tridentini sono tutti d'accordo nell'affermare che la grazia non

dipende né dal merito del ministro né dalla fede del soggetto, ma solo

dalla volontà di Dio, che opera efficacemente per mezzo dell'azione

sacramentale. Tuttavia, si deve riconoscere che nell'azione sacramentale

non si raggiunge un vero equilibrio circa il posto dovuto a Dio, al

soggetto e al ministro. Questo perché i teologi erano assorbiti dalle

continue discussioni su «come opera il sacramento» o «in che senso

25 Cfr. S. MARSILI, I segni del mistero di Cristo, 91-104.

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conferisce la grazia»; ragion per cui i vari autori si dedicarono a

spiegare le ragioni pro e contro i diversi tipi di causalità sacramentale.

Lo stesso S. Tommaso ne segue dapprima l'efficacia per causalità

morale abbandonandola poi per adottare la causalità efficiente

strumentale fisica. Il suo pensiero veniva a sua volta interpretato in

modi diversi dalle scuole posteriori. Infatti tutte le teorie invocavano la

autorità della Scrittura, dei Padri e di S. Tommaso.

A. L'efficacia fisica.

Una causa agisce fisicamente quando produce il suo effetto

immediatamente e direttamente, e non mediatamente, determinando

un'altra causa ad agire. Secondo tale teoria Dio pone nel sacramento, in

forza della sua potenza obbedienziale, una virtù tale che il sacramento

divenuto quasi vivente incarnazione della virtù divina, produce la grazia

nell'anima del soggetto. In genere questa è la teoria sostenuta dai tomisti

basandosi sul concetto di causalità strumentale di S. Tommaso e

appellandosi anche al Concilio di Trento che chiamava il sacramento

causa, e non condizione, della nostra giustificazione, il che implicava un

rapporto fisico.26 Fra le diverse sfumature della teoria fisica ci sono:

-Giovanni Capreolo: pensando d’interpretare S. Tommaso parla

di causalità fisico-dispositiva. Secondo questa teoria i sacramenti non

danno immediatamente la grazia, ma ad essa dispongono mediante la

grazia sacramentale, e non producono l’effetto del carattere.

-Tommaso di Vio, Cardinale Caietano: ispirandosi più fedelmente

a S. Tommaso propone l'idea della causalità fisica spiegando che la

Grazia viene da Dio, ma è in rapporto immediato con la realtà fisica del

sacramento, a cui è comunicata una forza santificante in virtù della

salvezza di Cristo. L'umanità di Cristo è un vero e proprio strumento

unito alla divinità, come i sacramenti sono stati elevati al rango di veri

strumenti della grazia.

26 Ci sembra che l'appello a Trento non sia pienamente valido in quanto che il Concilio

non intendeva affermare un determinato modo di spiegare la causalità sacramentale,

in detrimento degli altri già allora propugnati, ma i padri intesero soltanto insegnare

che Dio ha legato il dono della sua grazia ai sacramenti

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In genere la teoria della causalità fisica ha il vantaggio di

rispettare il realismo delle espressioni bibliche che attribuiscono

direttamente ai sacramenti l'effetto della grazia e così è pienamente

conforme alla vera natura dei sacramenti in quanto segni efficaci che

comunicano Cristo. Inoltre mette in luce la partecipazione del mondo

creato alla salvezza dell'uomo.

B. L’efficacia o causalità morale

Questa teoria, propugnata dai seguaci di Duns Scoto, molti

Gesuiti e qualche Domenicano come Melchor Cano e Martín Ledesma,

nacque in un tempo in cui i rapporti fra Dio e l'uomo erano concepiti

secondo categorie giuridiche e quando si cercava un atteggiamento pi

conciliante verso i Protestanti che induceva alcuni ad usare un

linguaggio a loro pi accettabile, nel tentativo di richiamarli.

Una causa morale quando non produce l'effetto

immediatamente ma solo mediatamente, agendo su di un essere

ragionevole e determinandolo a fare una cosa, o a produrre un effetto.

Applicando questa teoria ai sacramenti, si afferma che essi, essendo

istituzioni ed azioni umano-divine di Cristo, posseggono una tale

dignit e santit che Dio, quando vede conferire in suo nome e per suo

ordine un sacramento comunica infallibilmente la grazia. Insomma i

sacramenti non comunicano essi stessi ma muovono moralmente Dio a

comunicare la grazia.

Essi sostengono che i Padri, la scolastica e S. Tommaso insistono

su Dio come Causa principale, un fatto che secondo loro dimostra che

questi autori sono favorevoli alla causa morale. Argomentano inoltre

delle incongruenze di stampo razionalista che trovano nella causalit

fisica. Anzitutto il sacramento per produrre fisicamente la totalit della

grazia dovrebbe essere un tutto fisico, mentre in realt appare piuttosto

come una serie di atti discontinui fra loro. Dicono che la causalit fisica

non corrisponde a S. Tommaso ma nata con Cayetano.

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Ci si potrebbe chiedere se questa interpretazione tenga in

sufficiente considerazione il realismo sacramentale riscontrato nelle

testimonianze della S. Scrittura, dei Padri, di Trento, per non dire dei

testi dei riti sacramentali.

Inoltre la tesi della causalit meramente morale sembra indebolire

il rapporto tra natura e vita soprannaturale, perché la grazia salvifica

scorre accanto alla natura umana di Cristo ed ai segni sacramentali, che

non sono accolti nella corrente della grazia, ma ne rimangono fuori e

sono soltanto occasione per l'azione salvifica di Dio. Non si avrebbe

una reale compenetrazione ma soltanto un accostamento della grazia e

dei segni sacramentali.

C. L'efficacia o causalità intenzionale.

Louis Billot (Cardinale 1911-27 morto 1931) non soddisfatto

delle altre due teorie risuscita, con nuova interpretazione, la teoria della

causalità dispositiva intenzionale che si trova nella scolastica

primitiva, per esempio in Alessandro di Ales, in Alberto Magno e nel

commento che il giovane S. Tommaso fece alle sentenze di P.

Lombardo. Fu sviluppato poi dai suoi discepoli gesuiti come il De la

Taille.

Secondo Billot27 la causalità morale insufficiente, la causalit

fisica impossibile. L'effetto immediato dell'azione sacramentale non

la stessa grazia, ma una disposizione la cui conseguenza la grazia, se

non si pongono ostacoli. Ed cos perché la virtus che opera nei

sacramenti non fisica, ma intenzionale: una virtus che suscita

un'immagine, esprime un'intenzione, rapporta l'intelligenza e il pensiero

a Cristo. Questa mozione intenzionale, il cui fondamento l'istituzione

di Cristo, non produce la grazia, ma costituisce un titolo che la esige.

Per Billot, questa quasi realt intermedia tra il segno esterno e la grazia

si dovrebbe affermare di tutti i sacramenti e non soltanto di quelli che

imprimono il carattere.

27 L. BILLOT, De Ecclesiae sacramentis, t, I. Romae 1924 .

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La tesi di Billot concorda con quella tomistica nell'asserire che i

segni sacramentali producono direttamente per se stessi un effetto ma

l'effetto non la grazia stessa ma il titolo che la esige. L'opinione di

Billot spiega bene la reviviscenza dei sacramenti quando si riceve un

sacramento con un ostacolo che lo rende infruttuoso finché non venga

tolto. Ma come abbiamo detto sembra difficile conciliare la sua teoria

con l'ex opere operato di Trento che parla dei sacramenti come causa di

grazia e non come riti che dispongono a riceverla.

D. L’ Efficacia Misterica.

In primo luogo, dobbiamo ricordare di nuovo Odo Casel che tenta

di comprendere i sacramenti non dalla categoria dell'efficacia, ma da

quella del «mistero». I sacramenti sono i misteri salvifici che

attualizzano il mistero salvifico di Cristo o mistero pasquale, e ci fanno

partecipi della sua forza di salvezza, attraverso la celebrazione rituale. I

sacramenti sono celebrazioni liturgiche che rappresentano e rendono

presente, non pi realmente, storicamente, ma sacramentalmente, il

mistero pasquale di Cristo.

Il mistero ci comunica l'opera salvifica come opera di Dio per

l'umanit e come fondamento della sovranit di Dio. E`

un’attualizzazione «in mysterio» «in sacramento» «in pneuma o

spirito», poiché dopo la sua morte e risurrezione, il Cristo glorioso il

Cristo pneumatico, presente a noi mediante la forza dello Spirito. Per

tutto questo, pi che segni efficaci che conferiscono la grazia ex opere

operato, i sacramenti sono «misteri del culto cristiano» che attualizzano

il mistero salvifico di Cristo e ce ne rendono partecipi. E pi che

complesso di cerimonie per l'amministrazione del sacramento, la

liturgia sar «un'azione rituale dell'opera salvifica di Cristo, che rende

presente, sotto il velo dei segni, l'opera divina della redenzione...» 28

Il concetto fondamentale che sta al fondo delle teorie caseliane

quello di memoriale o anmnesis, il punto centrale delle sue

28 O CASEL, Il mistero del culto cristiano, Borla, Torino 1966. 102-103.

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spiegazioni dei sacramenti. Purtroppo Casel, sotto l'influsso della storia

delle religioni, non vedeva l'origine del memoriale cristiano nel mondo

biblico e negava l'esistenza di un vero memoriale tra gli ebrei.

E. L’Efficacia Simbolico-strumentale.

Proposta da Schillebeeckx, Rahner, Chauvet e altri, benché con

sfumature diverse. Questa teoria, specialmente nell'impostazione data

da Schillebeeckx accettata dalla maggioranza dei teologi attuali.

Questo autore sulla base del tomismo, e tenendo conto del contributo di

Casel e soprattutto delle categorie della fenomenologia moderna, in

modo particolare della categoria di incontro, tenta di formare una nuova

sacramentaria. Secondo lui, Cristo «sacramento dell'incontro con

Dio».

Rileva che, in virtù dell'economia della salvezza, l'incontro con

Dio è legato all'incontro con Cristo. Ma - si domanda - come possiamo

incontrare Cristo risorto e glorioso, sottratto dalla nostra vista? Non

direttamente nella sua corporalità, ma attraverso i prolungamenti

terrestri e visibili di essa: i sacramenti. Per questo definisce i sacramenti

come:

Un atto della salvezza personale del Cristo celeste, nella forma di

manifestazione visibile di un atto funzionale della Chiesa... I

sacramenti della Chiesa non sono cose, ma incontri degli uomini

che vivono sulla terra con il glorificato, Gesù, per mezzo di una

forma visibile. Nella dimensione della visibilità storica, i

sacramenti sono una manifestazione concreta dell'atto salvifico

celeste di Cristo. Sono lo stesso atto salvifico in quanto rivolto a

noi, atto personale del Signore nella visibilità e manifestazione

terrestre. 29

29 SCHILLEBEECKX E., Cristo, Sacramento dell’incontro con Dio, San Paolo, Cinisello

Balsamo 199410. 82.

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Spiega l'ex opere operato insistendo sulla sovranità e libertà di

Dio, sulla dipendenza dall'atto salvifico di Cristo, e soprattutto sul

valore dell'atto attuale di Cristo che si prolunga nei sacramenti. Dice:

Poiché i sacramenti sono, sotto un velo ecclesiale, il mistero di

culto del Cristo sempre esaudito dal Padre, danno anch'essi

infallibilmente, cioè ex opere operato, la grazia.30

Ciò che spiega l'efficacia del sacramento è l'impetrazione

cultuale della grazia e il suo dono effettivo, in virtù dell'invocazione

dello Spirito Santo che rende presente il mistero cultuale di Cristo.

Conseguentemente all’esigenza di rendere visibile la grazia,

Schillebeeckx deve affermare che non è tanto il segno a produrre la

grazia, quanto questa a produrre il segno: «Non che il segno, in quanto

tale, possa avere una efficacia reale: al contrario, è il dono della grazia

che porta con sé la propria visibilità.»31

Pertanto Schillebeeckx apre una nuova prospettiva cultuale e

interpersonale alla comprensione dell'efficacia sacramentale. I

sacramenti non sono cose, sono incontri:

Nell’incontro umano, l’espressione visibile dell’amore è un invito

e un offerta, non la causa di una realtà fisica. L’amore vi è donato

liberamente, e deve essere accettato liberamente. Il gesto

espressivo di amore invita, chiede, sollecita; è un offerta…. Ma

qui si tratta di un’offerta divina in forma umana che, nell’uomo di

buona volontà, raggiunge infallibilmente il suo obiettivo. Così

l’uomo è, nel suo insieme, opera di grazia e, nonostante questo,

implica la risposta personale dell’uomo, la quale è in se stessa

grazia.32

30

SCHILLEBEECKX E., Cristo, Sacramento dell’incontro con Dio, 105-106.

31 SCHILLEBEECKX E., Cristo, Sacramento dell’incontro con Dio, 111 32 SCHILLEBEECKX E., Cristo, Sacramento dell’incontro con Dio, 116.

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Così segue le linee generali della teologia dei misteri proposta da

Casel e dei suoi discepoli che accettano l'assioma scolastico che i

sacramenta significando efficiunt ma capiscono efficiunt in un senso

pi ampio, non solo come causa, ma come realizzazione, o costituzione

di una realt.

Karl Rahner invece delle categorie di culto o di incontro

personale, parte dalle categorie di parola e simbolo per spiegare i

sacramenti sempre nel contesto della Chiesa come proto-sacramento.

Lui dopo aver affermato l'importanza della fede nella grazia insiste sul

fatto che il sacramento è efficace soprattutto in quanto è parola

sacramentale che manifesta la salvezza, con la quale è impegnata la

Chiesa come prolungamento storico di Cristo come parola che annuncia

e realizza la salvezza. L'efficacia del sacramento dipende da questa

parola-Cristo, in quanto pronunciata dalla Chiesa impegnata in una

situazione concreta. Questo è il momento del massimo grado di

efficacia della parola e spiega l'efficacia dei sacramenti:

L’opus operatum è la parola escatologicamente efficace di Dio in

quanto autorealizzazione assoluta della Chiesa, secondo la sua

propria essenza come protosacramento. Questa autorealizzazione

della Chiesa avviene in un impegno assoluto, soprattutto quando

si rivolge a un individuo nelle sue situazioni fondamentali.33

Ma Rahner non spiega l'efficacia solo mediante la parola ma

anche mediante il concetto di simbolo o segno che identifica il

significare con la causalità in quanto che:

I sacramenti sono causa della grazia precisamente come segni…

si tratta di quella causalità del simbolo che spetta al “simbolo

essenziale” come tale… Ora, nei “simboli essenziali” il segno in

quanto “fenomeno”… costituisce un momento intrinseco a ciò

33 K. RAHNER, Parola ed Eucaristia, in Saggi sui sacramenti e sulla escatologia,

Roma 1965. 150.

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che appare e si attua, anche se è realmente distinto dalla cosa che

appare… Tra il simbolo intrinseco essenziale e il simboleggiato

non sussiste un rapporto di efficienza transeunte… Si tratta di un

intimo e reciproco rapporto causale; che si mostra nella propria

essenza e nel proprio esserci, mente si mostra nel suo aspetto

fenomenico differente da sé… il segno è dunque causa di ciò che

viene significato, in quanto è il modo in cui ciò che viene

significato realizza se stesso.34

Come si può vedere, Rahner vuole superare ogni oggettivismo o

estrinsecismo simbolico della grazia, partendo dalla semiotica e

antropologia del simbolo: la manifestazione della grazia è un momento

interno della grazia stessa. Ma cerca di unire questa concezione alla sua

visione della Chiesa in quanto simbolo-sacramento della grazia:

La Chiesa, nella sua percepibilità storica, è proprio l’intimo

simbolo della grazia di Dio escatologicamente vittoriosa; in

questa percepibilità spazio-temporale si rende presente questa

stessa grazia. Poiché ora i sacramenti sono atti con cui la Chiesa

stessa si compie, attualizzazioni della Chiesa nei confronti

dell’uomo singolo, in quanto la Chiesa, nella sua realtà totale, è

l’essere qui presente della grazia di Dio (in quanto è il “Nuovo

Patto”), ecco perché questi segni sono efficaci. Tale efficacia è

quella del simbolo visto nella sua interiorità: Cristo agisce

sull’uomo attraverso la Chiesa mentre e per il fatto che

concretizza nello spazio e nel tempo questo suo agire, e in quanto

rende percepibile nel sacramento l’offerta della sua grazia… Il

segno sacramentale è causa della grazia, in quanto la grazia si dà

con l’atto stesso con cui si mostra. E questa presenza semantica

della grazia nei sacramenti è solo l’attualità stessa della Chiesa in

quanto essa stessa è la percepibilità della grazia. E per questo ha

valore l’affermazione opposta… il segno produce la grazia in

34 K. RAHNER, Chiesa e sacramenti, 38-39.

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quanto la grazia produce il sacramento come segno dell’evento di

grazia. Questo naturalmente si può dire soltanto se la Chiesa nella

sua totalità è la realtà inseparabilmente connessa con la grazia.35

Secondo il Borobio, con questo contributo di Rahner, l’efficacia

ricupera il proprio riferimento alla parola, la propria verità simbolica e

dimensione ecclesiologica. Il sacramento cessa di essere oggetto, è

piuttosto azione simbolica di Cristo, per mezzo della Chiesa, al servizio

dell’uomo concreto.36

L.M. Chauvet, propone di studiare i sacramenti nella loro

«risonanza antropologica» «nella prospettiva del simbolo»,

avvicinandosi alla loro realtà a partire dal simbolo.37

L’autore riconosce la sua dipendenza dalle scienze umane e

specialmente si riconosce debitore di autori come Heidegger e Lacan.

Dopo aver criticato molti aspetti della teologia sacramentaria

tradizionale «oggettivista» o la teologia di K. Barth e di alcuni cattolici

detto «soggettivista», intenta elaborare una teologia sacramentale che

secondo lui sarebbe più adattata alle categorie del uomo attuale. Si

sforza di capire l’efficacia sacramentale partendo dall’atto del

linguaggio simbolico della Chiesa che in essa si esprime

«esponendosi».

F. Conclusioni

Queste teorie spiegano l'unione fra gli atti dell'umanità di Cristo e

gli atti della Chiesa, un punto che S. Tommaso non tratta

specificamente. Sono gli stessi atti della Chiesa che mediante il potere

35 K. RAHNER, Chiesa e Sacramenti, 40 36 D. BOROBIO, La celebrazione nella Chiesa 1, 509. 37 CHAUVET L-M., ¡Error! Solo el documento principal.Simbolo e

sacramento. Una rilettura sacramentale dell’esistenza cristiana, Elle di Ci, Leumann

(Torino) 1990.

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dello Spirito Santo portano il fedele a partecipare nella vita divina della

liturgia celeste come spiega il CCC 1084-1090.

Queste teorie non escludono la teoria tomista della causalità

strumentale. Infatti possono essere considerate come tentativi di capire

bene lo strumento e così possiamo dire che il simbolo forma parte dello

strumento con il quale Dio dà la grazia. Il sacramento per il potere dello

Spirito Santo produce l'elevazione dell'anima allo stato di grazia, (o se

si vuol dire all'incontro interpersonale con Dio) e non dà soltanto un

diritto a riceverla o un motivo perché Dio la produce. Così supera le

teorie della causalità intenzionale perché la riflessione sul simbolo

mostra che se è vero che i sacramenti esprimono l'intenzione che il

Cristo ha di dare la grazia, essendo simboli, nell'esprimere danno

realmente la grazia a chi non pone ostacoli all’incontro con Cristo e al

suo dono di se stesso.

Ma, anche se le diverse teorie del simbolo hanno una certa

ragione, certamente non possiamo ridurre i sacramenti soltanto al livello

di simbolo umano. I simboli religiosi esprimono la tendenza dell’uomo

verso l’assoluto e formano parte della sacramentalità dell’uomo stesso.

Allo stesso tempo, come abbiamo visto nella teoria della

rappresentazione misterica, nel sacramento il simbolo religioso va

assunto dal Cristo, nel contesto della Rivelazione e la storia della

salvezza, e lo rende efficace come autentica e definitiva comunicazione

fra Dio e gli uomini. Questa efficacia include e abbraccia tutta la forza

che i sacramenti hanno come simboli religiosi, ma la loro efficacia

raggiunge un livello definitivo che dipende unicamente dall'iniziativa

divina. Così lo spiega il CCC 1152.

Dopo la Pentecoste, è mediante i segni sacramentali della sua

Chiesa che lo Spirito Santo opera la santificazione. I sacramenti

della Chiesa non aboliscono, ma purificano e integrano tutta la

ricchezza dei segni e dei simboli del cosmo e della vita sociale.

Inoltre essi danno compimento ai tipi e alle figure dell'Antica

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Alleanza, significano e attuano la salvezza operata da Cristo,

prefigurano e anticipano la gloria del cielo.

Alla fine, sia la teoria dalla ripresentazione misterica come quella

del simbolo spiegano meglio il fatto che il sacramento sia un atto di

culto. Perché i sacramenti sono una partecipazione e l'espressione

terrestre del culto che il Cristo celeste offre al Padre nello Spirito. I

credenti nel comunicare con Cristo per mezzo dei sacramenti, sono

incorporati al Corpo mistico, la Chiesa, e si inseriscono nel mistero

della sua vita divina intratrinitaria. Inoltre, per poter partecipare e fare

un vero incontro con Dio, il soggetto non va al sacramento con il

minimo di disposizione (non mettere ostacoli), ma con una vera

partecipazione all'azione liturgica.

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XI. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL

SACRAMENTO

Il corso di liturgia include una riflessione sulla celebrazione così

non credo che sia necessario trattare il tema del sacramento come atto di

culto e celebrazione ma soltanto quello tradizionale di materia e forma.

1. Gli elementi strutturali del Sacramento (Materia e

forma) A. Tradizione e teologia

Fin dal principio si distinsero due aspetti nel sacramento: uno

esterno o segno e l'altra interno o grazia. Ma Dopo S. Agostino si

chiama sacramento anche il segno preso da solo, e questo stesso segno è

diviso in due componenti, uno materiale e l'altro formale; in altri

termini, l'elemento e la parola. Già nella Scrittura si parla chiaramente

di un elemento materiale: l'acqua, pane vino, olio, imposizione delle

mani. Anche se la Scrittura non ci dice le parole rituali in quanto tali,

almeno attribuisce un effetto oggettivo alle parole di benedizione. Così

S. Paolo parla del «calice di benedizione elevato a sangue del Signore

(1Cor 10,16)» e le parole del battesimo sono chiamate parole di vita.

Come abbiamo visto Agostino introduce la distinzione dei due

componenti ma non è l'unico. La Scolastica inquadra tali componenti

nelle categorie di materia e forma. E la traduzione in termini metafisici

di ciò che aveva espresso S. Agostino nella sua celebre fase «Togliete la

parola che sarà l'acqua se non pura acqua? Aggiungete la parola

all'elemento e si avrà il sacramento. Accedit verbum ad elementum et fit

sacramentum».38 Tuttavia la scolastica non intese subito la forma nel

senso filosofico ma come forma verborum (parola della formula

dell'amministrazione). Col diffondersi dell'aristotelismo, il termine

forma prese poco a poco il significato che gli attribuiamo oggi, e si

pensarono i sacramenti come costituiti essenzialmente dai due

componenti materia e forma: la materia è l'elemento indeterminato la

38 S. AGOSTINO In Ioan 80,3

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forma l'elemento determinante. Ordinariamente si considera Guglielmo

d'Auxerre l'iniziatore di questa concezione.

La materia del sacramento si distingue ancora, a partire dalla

seconda metà del sec XIII, in remota e prossima: è remota se si

considera in sé e per sé (substantia materialis); è prossima invece se si

considera nella sua applicazione sacramentale (applicatio seu usus).

Così per esempio, nel battesimo l'acqua è la materia remota, l'abluzione

fatta con l'acqua è la materia prossima.

In quanto al Magistero Eugenio IV usa questa terminologia nella

sua istruzione per gli Armeni (Dz. 1312) La formula usata da Papa

Eugenio fu poi incorporata al Catechismo di Trento. Così anche se

questa terminologia non è stata dogmatizzata è però generalmente usata

e si può parlare di un uso dogmatico generale di cui bisogna tenere

conto.

B. Analisi del Binomio materia-forma

Il senso della formula materia-forma è figurato analogico, non

filosofico. Nello stesso modo per cui le cose naturali, secondo la

filosofia aristotelico-scolastica, sono costituite da un elemento

indeterminato, la materia, e da un elemento determinante, la forma,

cos pure il sacramento risulta da un azione di per sé indeterminata,

capace di avere pi significati, e da parole che la determinano. I due

elementi costituiscono necessariamente un'unità. Però mentre nelle cose

naturali materia e forma formano un'unità fisica, nei sacramenti si ha

soltanto un'unità estrinseca o morale.

Anche se le diverse interpretazioni dello schema materia-forma

saranno chiarite trattando ciascun sacramento in particolare, tuttavia

potremmo dire che per il fatto che l'unità fra materia e forma sia morale

e non fisica, nel sacramento è possibile una separazione di tempo tra i

due elementi, come avviene talvolta nella penitenza e nel matrimonio,

purché sia sempre riconoscibile la loro connessione morale. Tuttavia nel

battesimo, nella cresima e nell'unzione materia e forma devono sempre

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permanere strettamente uniti perché la forma esige e suppone la

presenza della materia. Nell'Eucaristia la forma va concepita come

elemento costitutivo essenziale del sacramento in quanto lo produce e

persiste moralmente in esso come sacramentum permanens.

Il fondamento ultimo per l'importanza e il significato della forma

e la materia richiama anzitutto Cristo, il sacramento vivo dell'umanità in

cui troviamo unite la Parola divina (Verbo) e la natura umana visibile.

Si vede l'importanza della materia per il sacramento dal fatto che

fin dai primi tempi, essa non viene usata nel suo stato naturale, ma è

precedentemente consacrata. La cosa è fuori di dubbio per la

consacrazione dell’acqua del battesimo e dell'olio cresimale al meno

dall’anno 200. In qualche caso questa consacrazione è ritenuta dai

teologi scolastici come addirittura essenziale per la materia del

sacramento.

Ricordiamo anche che eccetto l'eucaristia i sacramenti non hanno

esistenza reale se non nella persona che li riceve. Ciò è importante per

comprendere la distinzione tra materia remota e materia prossima. Solo

nell'Eucaristia la confezione può essere separata dall'amministrazione e

il sacramento viene ad avere un'esistenza indipendente dal soggetto che

lo riceve.

XII. LA RISPOSTA DI FEDE, ELEMENTO

COSTITUTIVO DEL SACRAMENTO:

1. Nota terminologica Prima una nota terminologica: L'amministrazione e la ricezione di

un sacramento possono essere

-Valide, quando sia da parte del ministro sia da parte del soggetto

si pone tutto ciò che appartiene all'essenza del sacramento;

-Invalide, quando c'è un difetto di elementi essenziali;

-Lecite, quando da ambo le parti si osservano tutte le prescrizioni

stabilite da Cristo e dalla Chiesa ;

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-Illecite, quando da una o entrambe le parti c'è la mancanza a una

legge che però non rende invalido il sacramento.

-Degne, quando sia nel ministro che nel soggetto si trovano le

disposizioni necessarie. Un difetto su questo punto è ordinariamente un

peccato grave.

2. I protagonisti dei sacramenti.

Il protagonista integrale e principale dei sacramenti è il Cristo-

totale, Cristo e la Chiesa, Capo e membra. L'assemblea liturgica riunita

per la celebrazione del sacramento è il segno vivo della presenza di

Cristo nella sua Chiesa. Così ogni assemblea è il soggetto integrale di

ogni celebrazione concreta dei sacramenti.

Perché l'assemblea liturgica sia veramente espressione del Corpo

mistico di Cristo deve essere gerarchicamente congregata sotto la

direzione di vescovi e sacerdoti. Certamente Cristo è il ministro

principale dei sacramenti in quanto soltanto la sua azione personale

produce la grazia. Il Figlio è inseparabile dalle altre Persone divine,

perciò tutta la Trinità agisce nei sacramenti.

Ma Cristo agisce per mezzo della Chiesa che è l'agente

subordinato dei sacramenti, e Cristo e la Chiesa agiscono per mezzo dei

ministri umani che sono necessari come strumenti di Dio per mezzo dei

quali si partecipa alla vita soprannaturale col Corpo mistico di Gesù

Cristo. Se la Chiesa è come la mano visibile di Dio, i ministri dei

sacramenti sono come le dita mediante le quali essa adempie il suo

compito salvifico. Questa ministeralità è chiaramente messa in luce da

Paolo nella prima lettera ai Corinzi, «né colui che pianta è qualcosa, né

colui che irriga, ma colui che fa crescere, cioè Dio» (3,7); «noi infatti

siamo operai di Dio: voi siete campo di Dio, edificio di Dio» (3,9);

«così ognuno si consideri come ministro di Cristo ed amministratore

dei misteri di Dio» (4,1). I padri ribadiscono questo pensiero

specialmente durante la controversia antidonatista. Per esempio Paciano

(+ prima del 392) che dice «sia che battezziamo o imponiamo una

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Sacramenti in generale

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penitenza o rimettiamo la colpa, lo facciamo nell'autorità di Cristo»;

Agostino ripete spesso la stessa idea come abbiamo già citato.

3. Disposizione e intenzione del Ministro.

A. Sviluppo del concetto di Intenzione

I ministri dei sacramenti sono ordinariamente i sacerdoti in quanto

ricevono dall'ordinazione una speciale configurazione col Cristo che

costituisce la loro capacità ministeriale.

Ma il ministro non è passivo e ci sono delle condizioni per la sua

attuazione ministeriale:

L'idoneità: del ministro dei sacramenti. L'idoneità comporta due

elementi fondamentali. Egli deve essere innanzi tutto una persona

distinta dal soggetto del sacramento. L'auto amministrazione di un

sacramento è impensabile. Essa è stata respinta, per quanto riguarda il

battesimo, da Innocenzo III, dichiarandolo invalido. (DzH 788). La

comunione del sacerdote nella messa deve essere considerata solo come

il compimento del sacrificio che il sacerdote celebra con e per la Chiesa

e non da solo e per sé. In secondo luogo, che la persona possieda il

potere e la capacità di amministrare i vari sacramenti, specialmente

l'ordine per i sacramenti che lo richiedono per la loro validità. In certi

casi il ministro deve avere anche l'autorità data dalla Chiesa (es. per la

penitenza).

L'intenzione: La necessità dell'intenzione del ministro è stata

sempre ribadita dalla Chiesa. Nella Scrittura si trova soltanto

implicitamente in quanto gli apostoli sono chiamati ministri,

amministratori, dispensatori, ambasciatori di Cristo e del suo mistero.

Ora agire come ministri di Cristo comporta avere l'intenzione di agire

nel suo nome, secondo la sua volontà.

Molto più espliciti sono i Padri, specialmente S. Agostino. Per

essi la necessità è una conseguenza del carattere strumentale del

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compito del ministro del sacramento (cfr. i testi citati sulla causalità

oggettiva dei sacramenti).

S. Tommaso tratta il punto nella somma basandosi sulla

distinzione tra strumento animato e inanimato, così si esprime:

Lo strumento non ha alcuna intenzione rispetto al suo effetto, ma

al posto dell'intenzione c'è l'impulso, con il quale è mosso

dall'agente principale. Ma uno strumento animato, come il

ministro, non soltanto è mosso, ma anche in certo qual modo

muove se stesso, in quanto di sua volontà muove le membra

all'azione. Perciò si richiede la sua intenzione, con la quale si

sottomette all'agente principale, di fare ciò che fa Cristo e la

Chiesa. (ST III, 64 a.8 ad1)

Si trova la stessa dottrina in altri scolastici come S. Bonaventura.

Alcuni riformatori negavano la necessità dell'intenzione del

ministro, per esempio Calvino scriveva:

Quanto si dice rispetto all'intenzione del ministro, è tutto e solo

frutto di sofisti loquaci, senza solido fondamento. Infatti, se fosse

necessaria l'intenzione del ministro, nessuno di noi potrebbe

essere certo del valore del battesimo. E quale sarà mai la fede, che

dipenderà dall'impenetrabile volontà altrui?.

Come risposta il Concilio di Trento definì la necessità per i

ministri che celebrano i sacramenti di avere almeno l'intenzione di fare

ciò che fa la Chiesa quando dice: «Se qualcuno dirà che nei ministri

quando realizzano e conferiscono i sacramenti non si richiede almeno

l'intenzione di far ciò che fa la Chiesa, sia anatema».

B. Definizione del concetto di Intenzione

L'intenzione è l'atto di volontà per cui ci si propone di conseguire

un determinato fine, usando i mezzi convenienti o facendo qualcosa o

omettendo qualcosa. L’intenzione è una vera e propria esigenza, sia da

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Sacramenti in generale

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parte del ministro che deve avere l'intenzione precisa di fare con la sua

azione ciò che fa la Chiesa, quando compie quella stessa azione, sia

vista da parte dello stesso segno sacramentale da lui compiuto.

Da parte del ministro: il sacramento è un atto umano e un atto

ministeriale, pubblico, ufficiale, vale a dire non un atto posto

meccanicamente da un automa bensì da un uomo libero e responsabile.

Orbene in quanto atto umano, la celebrazione del sacramento deve

essere un atto liberamente voluto; altrimenti non si potrebbe dire

pienamente umano. In quanto atto ministeriale, proprio per mezzo

dell'intenzione il ministro si unisce a Cristo e alla Chiesa, e la sua

diventa un'azione sacramentale. Egli si rende così hic et nunc,

coscientemente e liberamente causa strumentale nelle mani di Cristo. Se

tale unione con la volontà di Cristo venisse a mancare, allora il rito

compiuto dal ministro non avrebbe il carattere di un atto autentico, non

sarebbe un vero sacramento.

Comunque, non si deve confondere l'intenzione con l'attenzione,

atto della intelligenza che potrebbe non influire sulla validità anche se

questa sia necessaria per rendere la celebrazione un vero atto di culto.

La necessità dell’intenzione del ministro appare anche dalla

natura dello stesso segno sacramentale. Il rito sacramentale può essere

compiuto per significare più cose e, quindi in quanto rito ha sempre una

certa indeterminazione e ambiguità per quanto concerne il suo vero

significato. Questa ambiguità può essere tolta solo dall’intenzione del

ministro che compie il rito sacramentale. (Così potrebbe succedere che

in qualche setta si compia il rito del battesimo ma in un contesto di fede

e intenzione diverso da quello della Chiesa)

C. Tipi di Intenzioni

Dopo Trento la funzione del ministro è stata interpretata in modo

piuttosto ritualista (compiere i riti), minimalista (assicurare la validità) e

giuridico (rispettare la norma della Chiesa). Sotto quest’ottica si sono

suscitate diverse distinzioni per analizzare le questioni e determinare

l'intenzione minima richiesta per la validità.

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Si può considerare la natura dell'intenzione richiesta per la

validità dei sacramenti da due punti di vista, quello soggettivo e quello

oggettivo.

a). Intenzione soggettiva.

Per determinare il grado dell'intenzione, i teologi distinguono

l'intenzione attuale, virtuale ed abituale.

-Attuale (Volitum actualiter) - è la determinazione presa in

antecedenza e persistente durante l'azione di compiere il sacramento,

unita all'attenzione a tutti i momenti dell'azione stessa. Per esempio

l’intenzione del sacerdote di amministrare il sacramento del battesimo

mentre porge l’acqua.

-Virtuale (Volitum virtualiter) - è quella che fu pure emessa

precedentemente e non ritrattato ma che non persiste durante

l'amministrazione anche se si può supporre che l'azione emana ed è

influenzata in qualche modo dall’intenzione. Per esempio avendo avuto

l’intenzione di celebrare la Messa il sacerdote lo fa in un modo distratto.

-Abituale (Volitum habitualiter) - quando l'atto di volontà

corrispondente vi è stato in precedenza ma non esiste pi e non

continua durante il conferimento, senz'essere però formalmente

revocato, di modo che non esercita nessuna influenza efficace o positiva

sull'azione.

Può essere che abbia un influenza negativa nel senso che non

essendo formalmente revocata rimane per così dire nella condizione di

un abito. Per esempio un ministro battezzando in uno stato di

intossicazione, o malato di mente. In questo modo l’intenzione previa,

rimanendo come abito in quanto non revocata , non è il motivo e causa

dell’azione che si svolge in questo momento.

In genere si può dire che un’intenzione abituale è una

disposizione di ricevere e non per fare un azione.

Un’intenzione abituale si chiama esplicita se si capisce

chiaramente. Per esempio un moribondo che prima di perdere coscienza

aveva espresso un desiderio di ricevere i sacramenti.

Si chiama implicita se l’intenzione di ricevere i sacramenti non fu

espressa in modo chiaro ma possa dedursi dal fatto che il soggetto abbia

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Sacramenti in generale

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vissuto una vita cristiana o al meno non abbia mai abbandonata la

religione.

Si chiama interpretativa nei casi che una intenzione non è mai

stato espresso ne esplicitamente o implicitamente e non esiste nel

presente ma si considera che l’individuo l’avrebbe espressa se lo avesse

pensato o potrebbe pensarlo. Di fatto non c’è nessun’intenzione reale

ma soltanto un’intenzione ipotetica. Per esempio l’intenzione di

ricevere il battessimo di un’infedele incosciente che viveva una vita

naturalmente buono senza conoscere nulla del battesimo e avrebbe

voluto il battesimo se lo avesse conosciuto.

L’intenzione interpretativa infatti si fonda sulla base di una

presunzione dell’intenzione futura di una persona. L’intenzione abituale

implicita invece si fonda sulla presunzione di un’intenzione attualmente

esistente (anche se non attiva) dedotta da un fatto o disposizione del

passato.

Per assicurare la validità del sacramento è auspicabile l’intenzione

attuale. L’intenzione virtuale è sufficiente. Non è sufficiente invece, per

il ministro, l'intenzione abituale perché è incapace di fare della

celebrazione sacramentale un'azione veramente umana.. L’intenzione

abituale esplicita o implicita potrebbe essere sufficiente per la valida

ricezione del sacramento da parte del soggetto ma non l’intenzione

interpretativa.

b). Intenzione oggettiva

Dal punto di vista oggettivo cioè per il contenuto dell'intenzione,

deve almeno comprendere la volontà di fare ciò che fa la Chiesa; ciò

infatti è espressamente richiesto dalla definizione Tridentina. Dagli atti

conciliari appare che l'avverbio «almeno» è stato espressamente inserito

per indicare che è auspicabile nella celebrazione dei sacramenti,

un’intenzione più perfetta.

Si può capire Trento alla luce del modo in cui hanno inteso questa

dottrina i teologi che l'hanno coniata. La formula «di fare ci che fa la

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Chiesa» fu usata per la prima volta da Prepositino da Cremona (+1217),

l'adoperarono largamente gli Scolastici e il Magistero prima di Trento.

La formula va intesa nel senso che il ministro mentre compie il rito

esterno del sacramento, deve avere almeno l'intenzione di fare quello

che la Chiesa fa, e non quello che essa intende e crede. Questo

escluderebbe soltanto per esempio l'amministrazione del battesimo per

scherzo o in teatro. Non è necessario che il ministro si proponga proprio

lo scopo di avere presente l'effetto particolare del sacramento come il

conferimento della grazia, né che il ministro creda alla Chiesa, ai suoi

sacramenti, e nell'efficacia soprannaturale del rito che compie. Se così

fosse, sarebbe invalido il battesimo amministrato da chi non ha fede, ma

che intende fare ciò che fa la Chiesa. Inoltre per Chiesa non è

necessario intendere la Chiesa cattolica; basta pensare alla Chiesa di

Cristo. Così Trento parla appositamente di Chiesa e non di Chiesa

Cattolica mostrando di non avere dubbi sulla validità del battesimo

presso gli eretici.

L'intenzione in quanto atto positivo deve tendere ad applicare la

materia e la forma al soggetto di modo che l'azione sacramentale che ne

risulta sia veramente riconoscibile. Per questo motivo l’intenzione del

ministro dovrebbe essere sufficientemente determinato, vale a dire

definito e specifico. Per esempio in linea di principio basta che il

ministro abbia l’intenzione di assolvere o di battezzare l’individuo

anche se non sa, o si sbaglia se si tratta di un uomo o di una donna, o di

consacrare tutte le ostie nel ciborio anche se ignora quanti siano.

Se il ministro non è preciso e inclusive d’accordo con la natura

della materia o del soggetto del sacramento l’intenzione è invalida. Per

esempio avere l’intenzione di consacrare alcune delle ostie nel ciborio

senza indicare quali o dire “Io ti assolvo” senza indicare quali di più

individui intende assolvere.

In circostanze normali l’intenzione dovrebbero essere anche in

forma assoluto dato che un sacramento può essere conferito sotto

condizione soltanto in virtù di una causa proporzionato.

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c). Dibattito sull’intenzione oggettiva interna o esterna

Circa la natura dell'intenzione, nel secolo XVI si discusse se

l'intenzione del ministro dovesse essere un’intenzione interna o esterna.

In fondo questa controversia mira a stabilire se un amministrazione fatta

con ipocrisia interna sia ancora valida. Coloro che sostengono

l'intenzione interna richiedono che il ministro non solo compia il rito

esterno, ma che lo voglia interiormente come un'azione santa e

sacramentale. I sostenitori dell'intenzione esterna ritengono sufficiente

che il ministro compia il rito in modo conveniente, anche se le sue

disposizioni interiori fossero indifferenti o addirittura contrarie di modo

che non vorrebbe compiere il rito religioso professato. Se non fosse così

dicono non si sarebbe mai sicuri della validità del sacramento.

Nel 1690 il Papa Alessandro VII appoggiò la necessità

dell’intenzione interna condannando la tesi di F. Farvacques secondo il

quale sarebbe valido il battesimo «conferito da un ministro che osserva

esattamente il rito esterno e la forma del battesimo ma nel suo interno

dice: non intendo fare ció che fa la Chiesa.» (cf. DzH 2328) Oggi la

maggior parte dei teologi richiede l'intenzione interna perché l'azione

del ministro deve essere un'azione veramente umana. Ma in quanto alla

sicurezza di ricevere il sacramento ricordano che si deve insistere pi

sull’efficacia dell'azione di Cristo e dello Spirito Santo e non tanto

sull'intenzione del ministro e che, comunque, non è necessario avere

una certezza metafisica ma basta avere una certezza morale che esclude

ogni dubbio prudente.

Da ciò che abbiamo visto si capisce anche il perché della

definizione del Concilio di Trento come dato “di fede” che la validità

del sacramento non dipende dall'ortodossia né dallo stato di grazia del

ministro (DzH 1612, 1314). La ragione sta nel fatto, evidenziato da S.

Agostino, che il ministro principale dei sacramenti è lo stesso Cristo; e

S. Tommaso spiega che il sacerdote agisce come causa strumentale e

che quindi rimane dipendente da Dio, il quale può compiere le sue

opere mediante ministri spiritualmente morti. Ma oltre alla questione di

validità la teologia morale considera l'amministrazione dei sacramenti

da parte del ministro indegno come colpa grave perché costituisce

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Sacramenti in generale

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un'offesa a Dio e disonora il sacramento, anche se in casi urgenti e gravi

si può fare un atto di contrizione perfetta.

Ma quest’affermazione non deve indurre all’errore di pensare che

non ci sia alcun rapporto tra la fede, la santità e la celebrazione dei

sacramenti. Fede e santità del ministro sono indispensabili per una

celebrazione pienamente degna dei sacramenti. Per capire ciò si deve

ricordare il nesso esistente tra funzione ministeriale e santità nella

Chiesa santa, che è comunità di salvezza. Ogni funzione ecclesiale è

sempre accompagnata da un dono di grazia, ed esige, per la sua stessa

natura, una vera santità personale in colui che la esercita. I ministri della

Chiesa non sono semplici funzionari ma rappresentanti della Chiesa nel

senso più profondo e biblico di questo termine, in quanto devono

rappresentare la Chiesa santa, sposa di Cristo, incarnandola, rendendola

presente ed agente in seno al popolo di Dio. Non potrebbero

rappresentare fedelmente la Chiesa santa se essi stessi non incarnassero

la santità nella propria vita.

Se i sacramenti sono atti salvifici di Cristo e della Chiesa, e

inoltre, atti di culto santificante di Cristo e della Chiesa in favore del

soggetto dei sacramenti, si deve concludere che questo comporta la

necessità per il ministro, quale rappresentante di Cristo e della Chiesa,

di una profonda integrazione personale, religiosa e apostolica alla

celebrazione dei sacramenti. Integrazione richiesta dalle stesse formule

dei sacramenti «Io ti assolvo» «io ti battezzo» etc. Il ministro dei

sacramenti non sarebbe quello che deve essere se, mentre pronuncia le

parole, non fa di esse una preghiera personale in favore del soggetto che

riceve il sacramento. Ora questa integrazione personale religiosa e

apostolica non è possibile senza una intensa vita di fede, di preghiera, e

un profondo e fervente amore per Cristo, per la Chiesa, e verso i fratelli,

insomma, di santità personale.

4. La risposta di fede del soggetto individuale dei

sacramenti.

A. Punti essenziali

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La Chiesa raramente ha avuto l'occasione di pronunciarsi circa il

soggetto dei sacramenti. Tuttavia si possono stabilire i seguente punti.

-Solo la persona umana durante la sua vita terrena può ricevere i

sacramenti.

-Non tutti possono ricevere tutti i sacramenti. Ogni persona

umana può ricevere il battesimo che è un prerequisito assoluto per poter

ricevere tutti gli altri. Tutti i battezzati possono ricevere la cresima e

l'Eucaristia. Gli altri sacramenti sono legati a particolari condizioni

morali e fisiche. La penitenza è per lo stato di peccato, l'unzione per

quello di infermità, l'ordine è riservato agli uomini e il matrimonio a

persone che posseggano le qualità fisiche necessarie.

-Perché il sacramento sia validamente ricevuto è necessaria nel

soggetto l'intenzione di riceverlo. Dalla pratica della Chiesa è certo che

gli infanti e le persone mentalmente equivalente agli infanti in modo

perpetua non hanno bisogno dell’intenzione per i sacramenti che

possono ricevere: Battessimo, Cresima, l’Eucaristia e persino gli ordini.

Non avendo peccato personale non hanno bisogno di un atto personale

per essere giustificati, e essendo incapace di cooperare nella loro

salvezza, l’intenzione di Cristo e della Chiesa tramite la volontà del

ministro supplice per loro. Dio, nel suo amore per gli uomini, non vuole

privare coloro che non possono esercitare l'uso della ragione dei suoi

doni.

-Per gli adulti il sacramento non può essere imposto, ma deve

essere liberamente ricevuto e si richiede perciò in qualche modo

un’intenzione positiva della volontà. Non basta un atteggiamento

soltanto passivo che ne vuole ne non vuole ma almeno che la volontà,

nel momento della ricezione, non si oppone o ostruisce anche se non

consente positivamente. La paura non invalida l’intenzione, eccetto nel

matrimonio per legge positiva della Chiesa.

In quanto al grado o tipo di intenzione richiesto agli adulti in

genere basta un’intenzione abituale. Alcuni sacramenti come l’ordine e

il matrimonio che impongono obblighi speciali richiedono l'intenzione

esplicita. Per gli altri sacramenti basta un’intenzione generale o abituale

di ricevere un rito comune, usuale, nella Chiesa. Per l'amministrazione

dell'unzione degli infermi, il viatico o la cresima a un malato senza

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coscienza basta l'intenzione abituale implicita, contenuta nella sua

volontà prima dell'infermità di morire nella Chiesa. Per amministrare il

battesimo ad un adulto in pericolo di morte occorre avere qualche

certezza che ciò corrisponde alla sua volontà. Per la penitenza e il

matrimonio è necessario un’intenzione virtuale al meno nel momento di

porre la materia del sacramento.

Per gli altri, e presupponendo l’intenzione abituale il sacramento

sarebbe validamente ricevuto da coloro che sono dormendo, ubriachi,

fuori di testa o incosciente.

È da notare che l’attenzione non è richiesta per la validità da parte

del soggetto del sacramento dato che un atto umano procede

dall’intenzione della volontà e non dall’attenzione dell’intelletto. Inoltre

i sacramenti godono del carattere del dono che non richiedono

l’attenzione per essere ricevuto veramente.

-Per ricevere validamente il sacramento, oltre all'intenzione, non

sono necessarie né la fede ortodossa, né le disposizioni morali. Ma

certamente sono necessarie per ricevere degnamente e con frutto, i

sacramenti, come pure per la loro integrità come atto di culto.

Come dice S. Paolo per l'eucaristia «chi mangia il pane e beve il

calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del

Signore. Esamini ognuno se stesso, e in tale modo mangi del pane e

beva del calice: poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve

la propria condanna se non riconosce il corpo di Cristo» (1Cor 11, 27-

29).

B. Analisi del concetto Tridentino: «Non ponentibus obicem»

Il Concilio di Trento fa dipendere il conferimento della grazia

dall’assenza del obice o ostacolo, in coloro cioè che soggettivamente

non mettono nessun ostacolo alla grazia. Non si confonda l'obex con la

semplice incapacità di ricevere o di amministrare i sacramenti, come è il

caso della donna rispetto all'ordine o del non battezzato riguardo alla

partecipazione all'Eucaristia dove si parla di incapacità, non di obice.

Si distinguono obice fisico e morale. L'ostacolo fisico impedisce

l'esistenza del sacramento e lo rende invalido, come il chierico che

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cerca di sposarsi, o la mancanza dell'intenzione sufficiente. L'ostacolo

morale impedisce il ricevimento della grazia e lo rende oggettivamente

illecito, e se il soggetto ne ha coscienza, sacrilego. Un ostacolo di

questo tipo sarebbe la mancanza dello stato di grazia nel ricevere la

comunione.

Quando un sacramento che imprime carattere è stato ricevuto con

un ostacolo morale, soltanto alla rimozione di essa si potrà avere

l'effetto della grazia; allora il sacramento rivive, o pi tecnicamente

rivivisce, un'idea che gi si trova in S. Agostino basata sulla

convinzione che il battesimo conferisce un carattere indelebile, anche se

ricevuto fuori della Chiesa.

Gli altri sacramenti non possono rivivere, con una possibile

eccezione per il matrimonio, perché normalmente quando si ricevono

questi sacramenti indegnamente, si ricevono pure invalidamente.

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XIII LA DIMENSIONE PERMANENTE DEL SACRAMENTO

1. Teoria della res et sacramentum. Nel trattare dell’efficacia del sacramento e del ruolo del ministro e del soggetto del sacramento, abbiamo parlato della validità e del frutto del sacramento. Questo perché la Chiesa considera la possibilità di ricevere validamente certi sacramenti senza ricevere il frutto, quando esiste un ostacolo, e che rimosso l’ostacolo si riceve il frutto senza necessità di ripetere il rito. Partendo da ciò la teologia parla di una dimensione permanente del sacramento, che è l’effetto del rito sacramentale ma che a sua volta è segno efficace di grazia (segno che deve essere capito in senso analogico dato che non si tratta di un segno sensibile ma di un segno invisibile o spirituale cioè un segno davanti a Dio). Questo segno spirituale si identifica dall’inizio con il carattere dei sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine. La scolastica ha elaborato la terminologia del res et sacramento all’inizio per spiegare la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e poi, per analogia, applicandolo al carattere sacramentale, per spiegare la natura dei sacramenti. Si distinguono tre parti essenziali nel sacramento:

-Il segno o rito esterno - sacramentum tantum. -La grazia interna (solo effetto) - res tantum. -Una realtà intermedia - res et sacramentum.

Quest'ultima è intermedia perché considerata in rapporto al segno esterno (sacramentum tantum) è qualcosa da esso prodotto (e per ciò si dice res); considerata invece in rapporto alla grazia (res tantum) è qualcosa che concorre a produrla (quindi si dice sacramentum)

2. Il Carattere sacramentale.

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Il carattere impresa nell’anima per i sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine è un segno indelebile che fonda una triplice relazione a Cristo, alla grazia e alla Chiesa. A. La Scrittura: La Scrittura ci offre soltanto qualche allusione alla dottrina del carattere. S. Paolo mette in risalto la fedeltà di Dio che compie le sue promesse (Rm 3, 3-4, 21-24) e paragona il Battesimo con la circoncisione che era segno di appartenenza al popolo di Dio. Infatti la parola «sigillo» era spesso usato nel giudaismo per riferire alla circoncisione. Alla luce di questo parallelismo si possono leggere i seguenti testi: «Colui che ci fortifica con voi in Cristo, e ci ha unti, è Dio, il quale ci ha pure improntati del suo sigillo dandoci come caparra lo Spirito nei nostri cuori. (2Cor 1,21-22)» «È in Cristo, che anche voi, avendo ascoltato la parola di verità, ed avendo creduto, siete stati improntati del sigillo dello Spirito Santo promesso (Ef 1,13)» «Non contristate lo Spirito Santo di Dio, per mezzo del quale riceveste l'impronta per il giorno della redenzione (Ef 4,30)». Dai tre testi citati risultano chiaramente questi punti: -Il cristiano per il fatto che ha creduto e ricevuto il Battesimo è stato segnato da Dio e ha ricevuto il sigillo (sphragis) che segna la sua appartenenza a Dio. -L’impronta del sigillo è stata prodotta nello Spirito Santo, il quale è garanzia che il cristiano è ormai proprietà di Dio. -Il sigillo stesso viene considerato come spirituale e deve permanere fino al giorno della redenzione completa. B. I Padri: a). Prima di Sant’Agostino I padri si sono attenuti ai dati generici della Scrittura. Così lo Pseudo-Clemente Romano raccomanda di conservare: «immacolato il sigillo per ottenere la vita eterna».39 Il Pastore d’Erma parla del sigillo del Figlio di Dio che si riceve per mezzo del battesimo, sigillo necessario per entrare

39 PSEUDO-CLEMENTE ROMANO, 2 Corinzi 8,6.

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nella vita eterna.40 S. Cipriano scrive che alla fine del mondo sfuggiranno al giudizio «solo coloro che sono stati rigenerati e segnati dal sigillo di Cristo». Clemente Alessandrino afferma che il carattere viene impresso anche nella cresima41. San Giovanni Crisostomo paragona il carattere al marchio dei soldati: «Come si imprime ai soldati un marchio, così ai fedeli si imprime lo Spirito.»42 poi, riferendosi ad Ef 1,13 «Gli Israeliti furono segnati col sigillo, ma mediante la circoncisione, come i greggi e gli animali; noi pure siamo stati segnati col sigillo, ma come figli, mediante lo Spirito».43 Sant’Efrem invece usa l’immagine della cera: «Come l’anello imprime nella cera la sua impronta, così il sigillo occulto dello Spirito viene impresso sui corpi con l’olio, allorché vengono unti nel Battesimo e nello stesso Battesimo segnati.»44 Si potrebbero citare molti altri testi in testimonianza dell’uso patristico dei termini sigillo (sphragis) e carattere che sono oggettivamente eguali. Questi Padri insegnano che Dio imprime, mediante il carattere, la sua immagine o quella del suo Figlio nell'anima del cristiano. Il cristiano viene così assimilato al Figlio di Dio che secondo l'espressione della lettera agli Ebrei 1,3 ì «l'impronta (karakter) della divina sostanza». Queste espressioni testimoniano la fede dei Padri nell'effetto totale del Battesimo e nella comunicazione dello Spirito Santo. Ma non hanno sviluppato una dottrina sul carattere. Infatti ancor oggi la dottrina del carattere sacramentale non è stata sviluppata nella teologia ortodossa, in parte perché non hanno avuto né S. Agostino, né la Scolastica. b). S. Agostino e la controversia donatista: S. Agostino per primo trattò il tema nella controversia circa il Battesimo e l'ordine presso gli eretici. Cominciò a distinguere come abbiamo visto tra il sacramento e il suo effetto. Il sacramento ricevuto ha un effetto in quanto produce in chi lo riceve il carattere. Questo carattere è incancellabile e per questo non è possibile reiterare questi sacramenti.

40 ERMA, Il Pastore, sim. IX, 16. 3-7 e 17.4. 41 CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata 1. 2, c.5; PG 8, 942 s. 42 GIOVANNI CRISOSTOMO, In 2Cor., hom. 3, n7; PG. 61,418. 43 GIOVANNI CRISOSTOMO, In ad Ephesios,, hom. 2. 2, PG 62 44 ASSEMANI, Bibl. Orient., I 94.

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Sotto questo ottica il vescovo di Ippona dice: «Ecco che il battezzato riceve il sacramento della rinascita; riceve il sacramento, però guardi nel suo cuore e veda se ha la carità, perché se non l’ha, ha bensì impresso il carattere, ma va vagando come un disertore.»45 in termini simili afferma il carattere della cresima e in risposta ai donatisti afferma fortemente il carattere dell’ordine: «I vescovi che tornano dallo scisma non devono di nuovo essere ordinati poiché, come è rimasto in essi intatto il battesimo, così pure la ordinazione.»46 Per Agostino il carattere costituisce l’arruolamento perpetuo al servizio della Chiesa, una inserzione definitiva nelle proprietà di dominio divino. Per questo usa spesso l’immagine militare. In conclusione, come fa notare Antonio Miralles:

Sant’Agostino usa la parola carattere in un senso differente dal senso attuale. Con essa designa soprattutto il rito esterno, connotando la permanenza dell’effetto; invece per indicare l’effetto nell’anima differente della grazia, egli parla piuttosto di santità, di consacrazione.47

Così dice il Santo sul battesimo e ordine: «Tutti e due sono sacramenti e sono dati all’uomo con una consacrazione: il primo quando è battezzato, il secondo quando è ordinato, pertanto nella [Chiesa] Cattolica non è lecito darli di nuovo».48 C. La Scolastica La Scolastica ha sviluppato la dottrina agostiniana in tre punti: la dottrina dell'impossibilità di reiterare alcuni sacramenti, la struttura tripartita del sacramento, di cui già abbiamo parlato (sacramentum tantum, res tantum, res et sacramentum) e l'indagine sullo scopo e la natura intima del carattere.

45 AGOSTINO, In Jo., tr 6; PL. 35, 1456. 46 AGOSTINO Contra epistolam Parmeniani, I. 2, n.28; PL 43,70. 47 ANTONIO MIRALLES, I sacramenti Cristiani, Trattato generale, Apollinare Studi,

Roma 1999. 276 48 AGOSTINO Contra epistolam Parmeniani, II. 13, 28; PL 43.

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-1. la dottrina così chiara nei testi agostiniani andò offuscandosi nei secoli successivi, specialmente riguardo all’ordine, Alcuni pensavano che un intervento dell'autorità ecclesiastica ne facesse perdere i poteri, tanto che alcuni Papi ordinarono nuovamente i simoniaci. Lo stesso Pietro Lombardo dovette ammettere che: «Le parole dei teologi rendono questa questione perplessa e quasi insolubile, poiché sembrano parecchio discordi.»49 Alessandro di Ales e S. Tommaso portarono più luce sul tema con la distinzione tra esercizio lecito e valido dell'ordine.50 La questione fu risolto dal magistero per prima nel Decreto pro Armenis (1439) e reiterato definitivamente nel Concilio di Trento (DH 1609). Il decreto per gli Armeni dice:

Tra questi sacramenti ve ne sono tre: battesimo, confermazione e ordine, che imprimono nell’anima un carattere indelebile, ossia un segno spirituale che distingue dagli altri, per cui non possono essere reiterati nella stessa persona (DzH 1313).

Il motivo dell'impossibilità di reiterare i sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine fu all’inizio cercato nell'unica morte di Cristo e non nel carattere; ma i grandi scolastici come S. Tommaso e Bonaventura portarono come ragione prossima della non reiterazione il carattere, e come ragione remota la volontà di Dio.51 -2. Per quanto riguarda l'indagine sullo scopo e natura del carattere si trova per la prima volta come termine tecnico in Innocenzo III, il quale in una istruzione all'arcivescovo di Arles, afferma che colui che riceve volontariamente il battesimo riceve pure il carattere (cf DH 780-781). A partire da questo documento troviamo una trattazione del carattere nelle Somme degli Scolastici. Specialmente Alessandro di Ales, Bonaventura, Alberto Magno e S. Tommaso. In quanto allo scopo o fine del carattere Alessandro di Ales, seguito dagli altri autori, attribuisce un quadruplice scopo al carattere:

49 PIETRO LOMBARDO IV Sent., d.25. 50 ST III 64,9; ALESSANDRO DI ALES Summa Theol. 82,7 e 8 51 ST III, 63,5; BONAVENTURA Brevil P6, c. 6, n3.

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- Significa la grazia; - dispone l'anima; - Produce una rassomiglianza a Dio; - Distingue chi ne è segnato da tutti gli altri. Già prima di Alessandro di Ales era dottrina comune che il carattere fosse una disposizione alla grazia e anche una distinzione spirituale. Ma adesso i teologi cercano di precisare la natura del carattere, nei tre sacramenti che lo conferiscono, in quanto al suo significare la grazia e così gli attribuiscono lo stabilirsi nell'anima un triplice stato di fede. Non solo il carattere del battesimo crea uno stato di fede in quanto genera la fede, ma anche quello della cresima in quanto la fa più robusta e quello dell'ordine la moltiplica. Il terzo punto, che cioè il carattere rende simili a Dio, più precisamente al Cristo uomo-Dio, era nuovo. Si considerava l'anima come soggetto del carattere. Il carattere dell'Ordine era attribuito ai sette ordini. Come effetto si poneva in evidenza, quasi unicamente il potere spirituale per il culto. In quanto alla natura o essenza del carattere i teologi medievali affermarono che non poteva essere una sostanza, poiché l’ordine soprannaturale appartiene alla categoria accidentale. Dei nove accidenti reali il carattere dovrebbe essere una qualità. Come le qualità possono essere di quattro specie: abito e disposizione, potenza e impotenza, passione, forma e figura. Di questi le uniche possibilità oggettive erano l’abito e la potenzia. Secondo Alessandro di Ales il carattere sarebbe come una figura intelligibile, Altri dicevano che il carattere sarebbe un abito (habitus); proprio per tal ragione è indelebile. S. Tommaso si distingue dagli altri. Nega che il carattere possa essere una figura intelligibile perché la figura riguarda soltanto i corpi e il carattere e di natura spirituale.52 Nega pure che il carattere sia un abito. Il suo argomento si fonda sul fatto che il carattere in sé è moralmente

52 Cfr. S. TH., III. Q 63, a.2, ad 1.

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indifferente: può essere usato bene o male; non è dunque un abito, il quale può essere usato in un solo senso bene o male secondo la natura dell’abito. Per S. Tommaso il carattere è semplicemente una potenzia o capacità per il culto divino. Ogni carattere rende capaci direttamente di atti cultuali e indirettamente della grazia, senza la quale questi atti cultuali non potrebbero essere compiuti degnamente. Ora questo culto consiste nel ricevere o nel donare realtà divine. In entrambi i casi occorre una capacità: per ricevere una capacità passiva, per donare una capacità attiva. Questa capacità o potentia va intesa come causa strumentale come del resto i sacramenti stessi. Per questo attribuisce un'importanza cultuale a tutti e tre i sacramenti con carattere e non soltanto all'ordine:

I sacramenti della nuova legge imprimono il carattere, perché deputano gli uomini al culto di Dio secondo la religione cristiana. Cosicché Dionigi, dopo aver affermato che "Dio comunica se stesso al neofita mediante il segno (sacramentale)", aggiunge: "rendendolo divino e comunicatore delle cose divine". Il culto divino infatti consiste, sia nel ricevere i beni divini, sia nel comunicarli agli altri. Ora, per l'uno e per l'altro compito si richiede una facoltà, un potere: infatti per comunicare qualche cosa ad altri occorre una potenza attiva, per ricevere occorre una potenza passiva. Dunque il carattere implica un potere spirituale in ordine alle cose che sono proprie del culto divino.53

Per la sua natura strumentale la potenzia il soggetto del carattere non è fisso ma sempre perfettibile. Per questo motivo il Dottore Angelico colloca il carattere nella facoltà intellettiva:

Il carattere, come abbiamo visto, è un contrassegno che distingue l'anima, affinché possa ricevere per sé, o comunicare ad altri le cose riguardanti il culto divino. Ora, il culto divino consiste in determinati atti. Ma come l'essenza è ordinata all'essere, così le potenze dell'anima sono ordinate agli atti. Dunque il carattere non risiede nell'essenza, ma nelle potenze dell'anima.

53 TOMMASO D’AQUINO, S. Th., III q 63 a 2

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E precisamente nella potenza intellettiva:

2. L'essenza dell'anima è il soggetto delle potenze naturali che derivano dai principi dell'essenza stessa. Ma il carattere non è un potere naturale, bensì un potere spirituale che viene dal di fuori. Perciò, come l'essenza dell'anima, fonte della vita naturale dell'uomo, viene perfezionata dalla grazia che le dona la vita spirituale; così le potenze naturali dell'anima vengono perfezionate dalla potenza o potere spirituale che è il carattere. Gli abiti e le disposizioni infatti risiedono nelle potenze dell'anima, proprio perché sono ordinati agli atti, che hanno il loro principio nelle potenze stesse. Per la stessa ragione tutto ciò che è ordinato all'atto è da attribuirsi alle potenze. 3. Il carattere riguarda, come abbiamo detto, gli atti che sono propri del culto divino. Ora, questo equivale a una professione di fede manifestata con segni esterni. Ne segue perciò che il carattere risieda nella potenza conoscitiva in cui risiede la fede.54

Queste precisazione, apparentemente fatte di oscure sottigliezze servano a sottolineare che tutto il culto cristiano implica sempre l’attività delle nostre facoltà umane e specialmente in quanto il culto è contemporaneamente professione di fede. La Causa e prototipo del carattere è Cristo. S. Tommaso sviluppò quest'idea già presente negli altri autori e vide una rassomiglianza con Cristo sacerdote non solo nel carattere dell’ordine, ma anche in quello del battesimo e della cresima. Sono appunto questi tre caratteri che ci fanno partecipare al sacerdozio di Cristo. -La natura indistruttibile del carattere è dovuta alla permanenza del suo prototipo, Cristo. Anche nell’al di là il carattere continua ad esistere, a onore dei buoni e a confusione dei cattivi. Il Cristo non possiede personalmente il carattere, ma piuttosto i pieni poteri essenziali di cui il carattere non è che una incompleta partecipazione.

54 TOMMASO D’AQUINO, S. Th., III q 63 a 4. C., ad 2, ad 3.

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In virtù della configurazione con Cristo il carattere dice relazione alla Chiesa. Indirettamente in quanto li incorpora individualmente a Cristo e conseguentemente sono vincolati fra di loro. Direttamente in quanto il sigillo li unisce e insieme li distingue da coloro che non sono forniti del carattere. Come dice San Cirillo di Gerusalemme: «Conoscono gli angeli (chi è segnato col sigillo) per difenderlo come uno della loro famiglia.»55 D. Teologia posteriore: Una generazione dopo San Tommaso Duns Scotus considererà che il carattere è una semplice consacrazione alla Chiesa che non tocca l'anima e non deve qualificarsi come qualitas o habitus. Generalmente però prevale la linea tomista e la teologia posteriore si è fermata a questa interpretazione del carattere, aggiungendo soltanto la definizione in quanto alla funzione e allo scopo del carattere come segni nei diversi aspetti menzionati prima: Segno distintivo: di coloro che l’hanno o non ce l’hanno e che si manifesta nell’esercizio del ministero o missione ecclesiale. Segno dispositivo: In quanto dispone positivamente e non soltanto passivamente a ricevere la grazia. Segno configurativo: Con Cristo sacerdote, il suo sacerdozio è partecipato a livello ministeriale dagli ordinati e a livello regale o comune per i battezzati e cresimati. Segno obbligativo. In quanto segno obbligativo il carattere significa che colui che lo ha ricevuto è a servizio del culto divino, di cui deve osservare fedelmente le prescrizioni ed esercitarne con zelo i poteri. La dottrina tomista del carattere come configurazione al sacerdozio di Cristo è stato recepito nel Magistero più recente. Già Pio XII lo affermava nell’enciclica Mediator Dei (DzH 3851). Il Concilio Vaticano II enfatizza l’aspetto ecclesiale del sacramento, come incorporazione alla Chiesa, e pertanto al popolo sacerdotale che è la Chiesa (cfr. LG 10-11). Il catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza tutta la dottrina: «I tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine conferiscono, oltre la grazia, un

55 CIRILLO DI GERUSALEMME, Catech., I,3; PG 33, 371

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carattere sacramentale o “sigillo” in forza del quale il cristiano partecipa al sacerdozio di Cristo e fa parte della Chiesa secondi stati e funzioni diverse» (CCC 1121). Finora abbiamo parlato del carattere come configurazione con Cristo sacerdote ma non abbiamo menzionato se c’è un rapporto con la funzione regale e profetica. Il Piolanti dice che secondo il pensiero di San Tommaso:

Come Cristo è re, profeta e sacerdote, così i segnati col carattere sono semplice sudditi – i battezzati – oppure i combattenti nella battaglia della fede – i cresimati – oppure coloro che partecipano, come ministri della redenzione, alle funzioni sacerdotali del Capo – gli ordinati. 56

Il tema non è stato trattato molto dai teologi posteriori. Il Concilio Vaticano II al parlare del apostolato dei laici implica che la partecipazione alla triplice funzione di Cristo sia fondata nel battesimo e la cresima (cfr. LG 31a; AA 2b-3a) ma fu chiaramente affermato dal Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Christifideles Laici: «La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua radice prima nell’unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell’Eucaristia» (n. 14). E. Precisazioni Bisogna ancora notare quanto segue: 1. Il carattere è sempre impresso quando il sacramento è amministrato e ricevuto validamente. 2. esso è indipendente dalle qualità morali del soggetto e perciò è uguale in tutti e rimane invariabilmente lo stesso nei buoni come nei cattivi. Un'ultima nota. Il Concilio di Trento distingue tra sacramentum in voto e sacramentum in re (s. 7 can 4; s. 13, c. 18). Il sacramento ricevuto solo in voto ottiene il suo effetto, cioè la grazia ma non ex opere operato bensì ex opere operantis. Perciò non imprime il carattere.

56 ANTONIO PIOLANTI, (a cura), I sacramenti, Coletti, Roma 1959. 332.

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4. La res et sacramentum negli altri sacramenti Dalla dottrina del carattere come res et sacramentum sorge l’interesse per trovare – per analogia – una res et sacramentum negli altri sacramenti, benché non tutti gli autori ne siano convinti, in ogni caso la res et sacramentum può definirsi facendo una analogia col carattere. È una permanente presenza attiva dello Spirito Santo (ma non per sempre come nei tre che imprimono carattere), è una specie di consacrazione, che configura con Cristo e dà al soggetto un ministero e una missione all’interno della Chiesa. Il caso dell’eucaristia è del tutto speciale dato che il concetto di res et sacramentum è nato precisamente dal tentativo di spiegare la presenza eucaristica. Il res et sacramentum è precisamente la presenza reale e sostanziale di Cristo nelle specie del pane e del vino. Questa presenza permane in modo stabile sotto le specie sacramentali. Nel soggetto che riceve l’eucaristia si dà una configurazione con Cristo e una incorporazione alla Chiesa nel suo maggiore grado, ma non come res et sacramentum bensì come grazia. Per questo non c’è riviviscenza dell’eucaristia. D’accordo con la dottrina di S. Tommaso il res et sacramentum degli altri sacramenti è: -Nel matrimonio è il vincolo sacro fra gli sposi che è un vincolo oggettivo che riproduce e partecipa l’alleanza di Cristo e la Chiesa. Questo vincolo si mantiene durante la vita degli sposi. Il vincolo fra i due è la dimensione orizzontale della loro partecipazione nell’alleanza come piccola comunità o chiesa domestica mentre la dimensione verticale è l’unione che ambedue hanno, come matrimonio, con Cristo. Questo spiega la possibilità della riviviscenza del sacramento se uno o entrambi i coniugi mettono un ostacolo alla grazia del matrimonio. Dato che Cristo ha voluto stabilire con loro una alleanza speciale, della quale non si pente, e che gli lascia come consacrati per la loro missione la grazia del matrimonio, arriva una volta tolto l’ostacolo. Nell’unzione si può dire che esiste una configurazione oggettiva del soggetto con il Cristo dolente che San Tommaso chiama l'unzione spirituale, ed è questo che dà al malato la sua missione nella Chiesa. Tale configurazione dura mentre dura la malattia e rende possibile una certa riviviscenza durante questo periodo.

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Nella penitenza San Tommaso parla della contrizione interiore senza specificare troppo. Fra i teologi si discute pure se il res et sacramentum sia la contrizione perfetta o la riconciliazione con la Chiesa. Alcuni dicono che entrambi sono effetti del sacramento e che in tal caso non si può parlare di res et Sacramentum nel caso della penitenza. Certamente non si può parlare della riviviscenza del sacramento della penitenza dato che la ricezione indegna rende invalido il sacramento. Come si vede anche se il tema non è molto definito, questo modo di concepire la struttura del sacramento ha un certo valore pratico nella spiegazione della reviviscenza dei sacramenti.

5. La questione del Sacramento Permanens. Come abbiamo detto la res et sacramentum si dice sacramento in senso analogico dato che non è un segno sensibile. Ma ci si può domandare se esiste una dimensione sensibile del sacramento che rimane dopo la sua celebrazione in modo analogo alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Infatti nell’eucaristia perdurano le apparenze e gli accidenti del pane e vino trasformati in Corpo e Sangue di Cristo anche dopo la celebrazione eucaristica. Per questo, nella teologia medievale, l’eucaristia si chiamò sacramentum permanens. Ma le specie consacrate sono chiamate “sacramento” anche in modo analogo; non in quanto producono permanentemente la presenza reale sostanziale di Cristo (questo si produce nella consacrazione), ma in quanto la presenza reale sostanziale di Cristo si manifesta tramite loro. Una volta chiarita in che senso l’eucaristia è sacramentum permanens, ci domandiamo se per analogia esiste qualcosa di simile negli altri sacramenti, cioè una dimensione permanente sensibile. Come abbiamo visto negli altri sei sacramenti il res et sacramentum rimane nel soggetto che ha ricevuto il sacramento a modo di configurazione con Cristo. Da ciò si potrebbe dire, sempre per analogia, che la dimensione sensibile del sacramento è lo stesso soggetto che lo abbia ricevuto, mentre rimane in lui il res et sacramentum (che nel caso del

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carattere è per sempre), e in quanto attua d’accordo con il ministero e la missione ai quali i sacramenti ricevuti lo spingono. Lo stesso soggetto, con il suo comportamento, fa possibile che la res et sacramentum ricevuta gli trasmetta la grazia, e che questa grazia si sviluppi nella sua vita. Inoltre per la ministeralità che conferisce ogni sacramento, lo stesso soggetto si converte in ministro di Cristo e in fonte di grazia per gli altri. Questo si verifica in modo particolare nell’ordine ma anche nel matrimonio.

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XVI LA GRAZIA SACRAMENTALE:

1.Teorie della grazia santificante e sacramentale: Secondo la spiegazione teologica più comune, i sacramenti infondono la «grazia santificante» distinta dalla «grazia sacramentale». A. Base di tale comune spiegazione: La base della spiegazione la trovano i teologi appellandosi a San Tommaso e al concilio di Trento e aggiungendo certe ragioni teologiche. San Tommaso d'Aquino aveva detto che:

La grazia, considerata in se stessa, perfeziona l'essenza dell'anima, in quanto le comunica una certa somiglianza con l'essere divino. E come dall'essenza dell'anima derivano le potenze, così dalla grazia derivano alle potenze dell'anima alcune perfezioni che si dicono virtù e doni, e che completano le potenze stesse in ordine ai loro atti. Ora, i sacramenti sono diretti a degli effetti speciali, necessari alla vita cristiana: così il battesimo è destinato a una specie di rigenerazione spirituale per cui l'uomo muore ai peccati e diventa membro di Cristo; il quale effetto è un atto speciale distinto da quelli delle potenze dell'anima. Lo stesso si dica degli altri sacramenti. Come dunque le virtù e i doni aggiungono alla grazia in genere un perfezionamento delle potenze in ordine ai loro atti, così la grazia sacramentale aggiunge, sia alla grazia in genere, che alle virtù e ai doni, uno specifico aiuto divino (quoddam divinum auxilium),, per conseguire il fine del sacramento.57

Il Concilio di Trento aveva affermato lo stretto rapporto del sacramento con la grazia, dichiarando nel prologo ai canoni relativi ai sacramenti che: «Per completare la salutare dottrina della giustificazione...è sembrato logico trattare dei santissimi sacramenti della Chiesa, mediante i quali ogni vera

57 S. Th., q 62. a 2c. Cf. ad 1 e 3; q 65, a.1; q 72. a 7 ad 3.

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giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è ricuperata, se perduta» (DzH 600). Così il primo effetto dei sacramenti è la grazia santificante che consiste nell'intima comunione di vita con Dio, che, impossessandosi totalmente dell'uomo, lo rinnova nel suo stesso essere, lo trasforma, lo deifica e lo fa diventare veramente una nuova creatura. Dopo il concilio di Trento i teologi facevano la distinzione fra i sacramenti che conferiscono o ridonano la grazia (detti sacramenti dei morti che conferiscono la «prima grazia») come battesimo e penitenza e i sacramenti che aumentano la grazia (sacramenti dei vivi che conferiscono la «seconda grazia»). Allo stesso tempo i teologi ammettevano che le cose non erano sempre così nitidi. Per esempio un sacramento dei morti come la confessione poteva dare un aumento di grazia santificante per coloro che confessavano soltanto peccati veniali. Inoltre i sacramenti dei vivi qualche volta potevano donare il perdono dei peccati se ricevuti in buona fede. Così diceva San Tommaso: «Se un adulto si trova in peccato, di cui non ha coscienza, o se anche non perfettamente contrito riceva la cresima, purché sia in buona fede, per la grazia di questo sacramento ottiene anche la remissione dei peccati.»58 Ma, oltre alla grazia abituale o santificante che viene conferita da ogni sacramento, l’effetto di ogni singolo sacramento sarebbe quel arricchimento della grazia santificante, prodotto da ciascun sacramento, che è detto grazia sacramentale.59 B. Argomenti teologiche per sostenere la grazia sacramentale Le ragioni teologiche più comuni sono: -Siccome ogni sacramento ha uno scopo diverso, e siccome la grazia prodotta da ogni sacramento ha ragione di mezzo per il fine specifico di

58 S Th., III q 72, ad 2. Per l’Eucaristia vedi, S. Th III q 79, ad 3. 59 Cfr., ANTONIO PIOLANTI, I sacramenti, 315-324

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quel sacramento, è ovvio che ogni sacramento conferisca una grazia speciale e diversa. Altrimenti non si spiegherebbe perché debba esistere un settenario sacramentale. -Trento dice che i sacramenti «contengono e comunicano la grazia che significano» (DzH 1606), orbene, significano effetti diversi, anche se strettamente legati tra di loro nell'insieme della vita Cristiana. -Inoltre se la grazia sacramentale non si distinguesse dalla grazia santificante, non vi sarebbe differenza tra chi riceve i sacramenti e chi non li riceve, e fra la maggiore o minore necessità di un sacramento rispetto all’altro. Per queste ragioni sostengono che l'esistenza della grazia sacramentale è un fatto. Ma gli autori divergono quando si tratta di determinare la natura o essenza della grazia sacramentale. Capreolo affermava che la grazia sacramentale dovesse essere intesa come un habitus particolare distinto dalla grazia santificante il quale la precede come conditio sine qua non per la sua infusione. Un certo numero di autori come Cayetano, Suárez e Lugo, si oppongono a Capreolo con la nozione di San Tommaso di «quoddam divinum auxilium» e affermano che la grazia consiste in un diritto alle diverse grazie attuali significate dal sacramento. Di diversa opinione sono Giovanni di S. Tommaso, Bañez e altri che interpretano la dottrina di San Tommaso preferendo parlare nel senso che in fondo la grazia sacramentale non è che una certa colorazione della stessa grazia santificante o abituale, ma intrinsecamente perfezionata, orientata e determinata (come vigor) nel senso indicato da ciascun sacramento in modo tale da rendere tutto l’organismo soprannaturale dell’uomo (virtù, doni, opere meritorie) idoneo a raggiungere il fine proprio di ogni sacramento. Questa è diventata l’opinione della maggioranza dei teologi e in fondo è anche la nostra ma il dibattito non è ancora chiuso e dobbiamo riflettere ancora sugli argomenti per l'esistenza della stessa distinzione fra grazia santificante e sacramentale prima di concludere.

2. Critica alla comune teoria e proposta alternativa:

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A. Riguardo alla produzione della grazia santificante. Crediamo, con Salvatore Marsili, che non sia del tutto giusta l'interpretazione del testo citato del Concilio di Trento, rileviamo che: 60 -Sembra che la tripartizione del modo in cui i sacramenti conferiscono la grazia viene trasformata indebitamente in una bipartizione della grazia, mentre il Concilio parla di tre maniere in cui i sacramenti producono la grazia (cominciandola, accrescendola o restaurandola), questo triplice modo di azione viene interpretato come una duplice grazia (prima e seconda). -Si parla di grazia dipendente dai diversi sacramenti: il testo di Trento dice semplicemente che «per mezzo dei santissimi Sacramenti viene data ogni vera giustizia» Il Concilio non conosce la distinzione fra grazia santificante e sacramentale ma parla solo di vera giustizia come effetto comune dei sacramenti. Quindi non si può escludere a priori, senza averlo dimostrato, l'aspetto «sacramentale» di questa grazia non specificata, ma dipendente dai sacramenti che viene detta santificante. Diremmo infatti che non esiste di fatto, alcuna grazia santificante che non sia sacramentale perché ogni grazia santificante riferisce sempre e solo a Cristo, in quanto sacramento di salvezza, del quale i diversi sacramenti sono parziali applicazioni. Si può obbiettare che si può essere salvi anche senza i sacramenti. Questo è vero solo in un certo senso: ci si può salvare anche senza i sacramenti ma non senza Cristo sacramento di salvezza. Un buddista, per esempio, potrebbe essere salvato pur non conoscendo ne Cristo ne i sacramenti ne la Chiesa. Ma non può essere salvato senza l’intervento di Cristo, la Chiesa e i sacramenti che gli fa raggiungere la grazia di essere implicitamente disposto a ricevere nel sacramento che non conosce, quella salvezza che egli cerca. La Chiesa di Cristo continua la sua missione di essere anima mundi e prega per: «Quelli che ti cercano con cuore sincero» (Preghiera Eucaristica IV) Così se ogni grazia santificante è sacramentale non regge la distinzione tra grazia santificante e grazia sacramentale.

60 Cfr. S. MARSILI, I segni del mistero di Cristo, Teologia liturgica dei sacramenti, CLV,

Roma 1987. 115-125.

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B. Riguardo alla produzione della grazia sacramentale. Trento dice «I sacramenti contengono e conferiscono la grazia che significano». Ma da questa proposizione, così esatta, si fa uscire il concetto della grazia sacramentale. Non sembra che l'affermazione conciliare appoggia ma piuttosto distrugge la distinzione tra grazia sacramentale e santificante. a). il Concilio espressamente afferma che i sacramenti conferiscono la grazia che significano e solo quella; non dice la grazia in modo generico ma specifico: quella grazia che significano: direttamente quella e non per una certa aggiunta come sostiene la teoria comune. Il sacramento infatti, è il segno col quale Cristo opera ogni volta di nuovo il suo mistero, e in ogni sacramento (dei vivi o morti) non si ricevono tanto degli aumenti di grazia ma tutto il Mistero di Cristo. Nel sacramento si ha la partecipazione al Mistero di Cristo, ossia alla grazia del Signore nella sua totalità, e anche secondo una certa formalità per cui un sacramento non è l'altro, benché l'uno e l'altro mettano a contatto col Mistero unico di Cristo. E questo Mistero unico che si proietta diversamente nei diversi sacramenti: unica grazia, sempre santificante eppure diversa secondo i momenti diversi del mistero di Cristo rispecchiati dai singoli sacramenti. L'idea di una grazia principio e di una grazia aumento suppone una visione del sacramento soprattutto nel fedele come soggetto passivo e non tanto nel Cristo come soggetto agente. Al contrario, se il sacramento va considerato come un intermedio, un relativo che stabilisce un rapporto tra il soggetto e Cristo: il soggetto potrà cambiare nelle varie situazioni, ma il sacramento crea sempre lo stesso rapporto con lo stesso Cristo (in certo senso questa osservazione ci riporta alla dottrina di S. Tommaso sulle ragioni antropologiche per i sette sacramenti). b). La grazia significata dai diversi sacramenti è la stessa unica grazia (la conformità a Cristo) espressa in modi diversi, secondo una successione storica della salvezza (cioè prima nella rivelazione profetica) e poi in quella di Cristo che ha portato la salvezza con la sua obbedienza al Padre. Questa grazia è unica ma viene comunicata in forme, in momenti diversi, secondo una certa alternanza, una certa successione, dato che si tratta di una storia di salvezza. Cristo ha santificato l'umanità tutta insieme, ma fa santi gli

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uomini gradualmente nella misura in cui loro crescono come Lui in santità e sapienza (Lc 2,40): è la realtà della vita; altrimenti la santità non sarebbe una cosa umana. Così la nostra inclinazione sarebbe di prendere le distanze della dottrina della divisione della grazia sacramentale. La nostra proposta è una conclusione dell'impostazione data ai sacramenti, che abbiamo visto in rapporto a Cristo-Sacramento totale, ossia nella prospettiva della storia della salvezza.

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Sacramenti in generale

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DALLA SOMMA TEOLOGICA DI SAN TOMMASO:

Questione 60

Che cos'è il sacramento

Dopo lo studio dei misteri del Verbo incarnato passiamo a considerare i

sacramenti della Chiesa che da lui ricevono la loro efficacia. Tratteremo

prima dei sacramenti in genere, poi di ciascun sacramento in

particolare. Sui sacramenti in genere si presentano cinque argomenti:

Primo, che cos'è il sacramento, secondo, la necessità dei sacramenti:

terzo, gli effetti dei sacramenti; quarto, la loro causa; quinto, il loro

numero.

Sul primo tema si pongono otto quesiti: 1. Se il sacramento sia un

segno; 2. Se ogni segno di cosa sacra sia sacramento; 3. Se stia a

significare una o più cose; 4. Se sia un segno sensibile; 5. Se per il

sacramento si richieda una cosa sensibile determinata; 6. Se per il segno

sacramentale si richieda la parola; 7. Se si richiedano parole

determinate; 8. Se a codeste parole si possa aggiungere o togliere

qualche cosa.

ARTICOLO 1

Se il sacramento sia un segno

SEMBRA che il sacramento non sia nella categoria dei segni. Infatti:

1. Sacramento viene da sacrare (santificare), come medicamento da

medicare. Ma ciò dice causa piuttosto che segno. Il sacramento dunque

è più causa che segno.

2. La parola sacramento significa qualche cosa d'occulto, come si legge

in Tobia: "È bene tener nascosto il sacramento (segreto) del re", e in S.

Paolo: "Quale sia la traduzione in atto del sacramento (mistero)

nascosto da secoli in Dio". Ora, quello che è occulto, non può servire da

segno, il quale, come lo definisce S. Agostino, "oltre la percezione di sé

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impressa sui sensi fa conoscere qualche altra cosa". Dunque il

sacramento non è nella categoria dei segni.

3. Sacramento qualche volta sta per giuramento; così nel Decreto di

Graziano: "I bambini che non sono ancora giunti all'età della ragione

non si obblighino a giurare, e chi è stato spergiuro non sia più ammesso

né a fare da teste né a prestare sacramento (giuramento)". Ma il

giuramento non è un segno. Quindi neanche il sacramento.

IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: "Il sacrificio visibile è

sacramento, o segno sacro, del sacrificio invisibile".

RISPONDO: Tutte le cose che, sia pure in modi diversi, si riferiscono a

un medesimo termine, possono riceverne una stessa denominazione:

così, in relazione alla sanità che si riscontra nell'animale, si dice sano

non soltanto l'animale in cui essa si trova, ma si dice sana la medicina in

quanto causa la sanità, la dieta in quanto la conserva e l'orina perché ne

è un sintomo. Allo stesso modo quindi una cosa può essere denominata

sacramento, o perché ha in sé una santità occulta: e allora sacramento è

lo stesso che segreto sacro; o perché ha con la santità un rapporto di

causa, di segno o di altro. Ora, qui noi parliamo dei sacramenti in

quanto implicano relazione di segni (di cose sacre). E sotto

quest'aspetto il sacramento entra nella categoria dei segni.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

1. La parola medicamento e tutte le altre che derivano da medicina,

hanno senso di causa, perché tale è il rapporto della medicina rispetto

alla salute. La santità invece, da cui deriva il termine sacramento, non

va intesa come causa efficiente, ma come causa formale o finale. Non è

detto quindi che sacramento abbia sempre significato causale.

2. La difficoltà prende sacramento nel senso di segreto sacro. Va notato

che sacro o sacramento viene denominato non solo il segreto di Dio, ma

anche quello di un re, perché secondo gli antichi si chiamavano sante o

sacrosante tutte le cose inviolabili, anche le mura cittadine e le persone

costituite in autorità. Ecco perché si dicono sacri o sacramenti quei

segreti divini e umani che non è lecito violare rendendoli pubblici.

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3. Anche il giuramento ha un certo rapporto con le cose sacre, perché è

un'attestazione mediante ricorso a qualche cosa di sacro. E in tal senso

può denominarsi sacramento; però non nella stessa accezione in cui ora

parliamo dei sacramenti; ma in un senso non del tutto equivoco, bensì

analogico, poiché secondo relazioni diverse si riferiscono a un'unica

cosa, cioè al sacro.

ARTICOLO 2

Se ogni segno di cosa sacra sia sacramento

SEMBRA che non ogni segno di cosa sacra sia sacramento. Infatti:

1. Tutte le creature sensibili sono segni di cose sacre, secondo S. Paolo:

"Le perfezioni invisibili di Dio, comprendendosi dalle cose fatte, si

rendono visibili". Ma non tutte le cose sensibili possono dirsi

sacramento. Quindi non ogni segno di cosa sacra è sacramento.

2. Tutto ciò che si faceva nell'antica legge, come afferma S. Paolo

raffigurava il Cristo, il Santo dei Santi: "Tutte queste cose accadevano

loro in senso figurale", "sono l'ombra di ciò che doveva avvenire, cioè

della realtà di Cristo". Però non tutti i fatti del vecchio Testamento né

tutti i riti dell'antica legge sono sacramenti, ma alcuni in particolare,

come si è detto nella Seconda Parte. Perciò non ogni segno di cosa sacra

è sacramento.

3. Anche nel nuovo Testamento molte cose hanno significato sacro e

non sono tuttavia sacramenti: p. es., l'aspersione dell'acqua benedetta, la

consacrazione di un altare e cose simili. Dunque non ogni segno di cosa

sacra è sacramento.

IN CONTRARIO: La definizione s'identifica con la cosa definita. Ma

alcuni definiscono il sacramento "segno di cosa sacra", e ciò anche in

base al testo di S. Agostino citato sopra. Sembra perciò che ogni segno

di cosa sacra sia sacramento.

RISPONDO: I segni interessano l'uomo, perché questi ha bisogno di

procedere dal noto all'ignoto. Quindi si dice sacramento in senso

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proprio ciò che è segno di cose sacre riguardanti gli uomini; ossia è

sacramento, come intendiamo parlarne ora, il segno di cose sacre fatte

per santificare gli uomini.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

1. Le creature sensibili significano qualche cosa di sacro, cioè la

sapienza e bontà divina, in quanto sacre in se stesse, non già in quanto

santificano noi; e quindi non possono dirsi sacramenti nel senso

indicato.

2. Alcune cose del vecchio Testamento stavano a significare la santità

del Cristo come posseduta da lui. Altre invece volevano significare la

sua santità in quanto santifica noi: così l'immolazione dell'agnello

pasquale prefigurava l'immolazione del Cristo dalla quale noi siamo

stati santificati. Ebbene, solo queste ultime erano in senso proprio i

sacramenti dell'antica legge.

3. Le cose prendono nome dal loro fine e compimento. Ora, il fine non

si ha nella disposizione, ma nella perfezione raggiunta. Perciò hanno

nome di sacramenti non le cose che dispongono alla santità, come

quelle ricordate nell'obiezione, ma soltanto quelle che significano la

santità umana nella sua perfezione.

ARTICOLO 3

Se il sacramento stia a significare una cosa soltanto

SEMBRA che il sacramento non stia a significare che una cosa sola.

Infatti:

1. Ciò che ha più di un significato, come si riscontra nelle parole

equivoche, è ambiguo e occasione d'inganno. Ma ogni inganno

dev'essere tenuto lontano dalla nostra religione, secondo l'esortazione di

S. Paolo: "Guardate che nessuno riesca a prendervi al laccio con la

filosofia o con vani inganni". Dunque il sacramento non è segno di più

cose.

2. Il sacramento, come abbiamo detto, significa una cosa sacra in

quanto causa della santificazione umana. Ma la causa della nostra

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santificazione, a detta di S. Paolo, è una sola, cioè il sangue di Cristo:

"Gesù per santificare con il suo sangue il popolo, soffrì fuori della

porta". Il sacramento quindi non può significare più cose.

3. Il sacramento, come abbiamo detto sopra, sta a significare

propriamente la santificazione nel suo ultimo termine. Ma il

compimento della santificazione è la vita eterna, come avverte S. Paolo:

"Avete per vostro frutto la santificazione e per compimento la vita

eterna". Dunque il sacramento deve significare una cosa soltanto, la vita

eterna.

IN CONTRARIO: Nel sacramento, come insegna S. Agostino, due sono

le cose significate: il corpo reale e il corpo mistico del Cristo.

RISPONDO: Sacramento propriamente si dice, come abbiamo precisato

sopra, ciò che è destinato a significare la nostra santificazione. Ma in

questa si possono considerare tre cose: la sua causa efficiente, che è la

passione di Cristo; la causa formale, che consiste nella grazia e nelle

virtù; e la causa finale ultima, che è la vita eterna. Ebbene tutte e tre

queste cose vengono significate dai sacramenti. Perciò il sacramento è

segno commemorativo del passato, cioè della morte di Cristo; segno

dimostrativo del frutto prodotto in noi dalla sua passione, cioè della

grazia; e segno profetico o preannunziatore della gloria futura.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

1. Un segno è ambiguo e offre l'occasione di sbagliare, quando significa

più cose disparate che non si coordinano a vicenda. Quando invece le

cose indicate dal segno costituiscono un tutto unico per il nesso che le

lega, allora il segno non è ambiguo, ma certo; così il termine uomo

indica sia l'anima che il corpo in quanto costituiscono la natura umana.

Allo stesso modo il sacramento indica tutte e tre le cose suddette, in

quanto esse per la relazione reciproca costituiscono una cosa sola.

2. Il sacramento, appunto perché significa la cosa che ci santifica, viene

a significare anche l'effetto di essa quale causa santificante.

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3. Per avere un sacramento basta che una cosa significhi la perfezione

derivante dalla forma: perciò non si richiede che indichi solamente la

perfezione derivante dal raggiungimento del fine.

ARTICOLO 4

Se il sacramento sia sempre qualche cosa di sensibile

SEMBRA che il sacramento non sia sempre qualche cosa di sensibile.

Infatti:

1. Il Filosofo dice che "ogni effetto è segno della sua causa". Ma come

ci sono effetti sensibili, così ci sono anche effetti spirituali : la scienza,

p. es., è effetto della dimostrazione. Perciò non ogni segno è sensibile.

Del resto per la nozione di sacramento basta, come si è già detto, che ci

sia la significazione di una cosa fatta per santificare l'uomo. Non si

richiede dunque che il sacramento sia una cosa sensibile.

2. I sacramenti fanno parte del regno di Dio e del culto di Dio. Ma le

cose sensibili non rientrano nel culto di Dio, perché, come dice il

Vangelo: "Dio è spirito, e quelli che lo adorano, lo devono adorare in

spirito e verità"; e S. Paolo insegna: "Non è il regno di Dio né cibo né

bevanda". Dunque per il sacramento non si richiedono cose sensibili.

3. Per S. Agostino "le cose sensibili sono beni minimi, senza dei quali

l'uomo può vivere rettamente". I sacramenti invece sono necessari alla

salvezza umana, come vedremo in seguito; cosicché senza di essi non si

può vivere rettamente. Perciò per i sacramenti non si richiedono cose

sensibili.

IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto: "La parola raggiunge

l'elemento e ne fa un sacramento". E nel caso si riferisce all'elemento

sensibile dell'acqua. Dunque per i sacramenti sono indispensabili dei

dati sensibili.

RISPONDO: La sapienza divina provvede a ciascun essere secondo la

sua natura; ecco perché sta scritto nella Sapienza che "governa ogni

cosa con soavità". E il Vangelo dichiara che "diede a ciascuno secondo

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Sacramenti in generale

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la sua capacità". Ora, all'uomo è connaturale giungere alla conoscenza

delle cose spirituali attraverso quelle sensibili. D'altra parte il segno

serve come mezzo per conoscere altre cose. Poiché dunque le cose sacre

significate dai sacramenti sono beni spirituali e soprasensibili per

santificare l'uomo, ne segue che la mediazione dei sacramenti debba

concepirsi per il tramite di elementi sensibili: del resto persino nella S.

Scrittura le cose spirituali ci vengono descritte con esempi di cose

materiali. Ecco perché per i sacramenti si richiedono cose sensibili; e

ciò risulta anche dall'insegnamento di Dionigi.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:

1. Ogni cosa deriva nome e definizione da ciò che le appartiene in modo

primario ed essenziale, non già da ciò che le viene attribuito in relazione

ad altro. Ora, un effetto sensibile, imponendosi immediatamente per se

stesso alla nostra conoscenza, ha per sua natura la funzione di guidarci a

conoscere altre cose, perché la nostra conoscenza inizia sempre dal

senso. Al contrario i fatti d'ordine spirituale non hanno tale potere, se

non in quanto e dopo che si sono resi manifesti attraverso effetti

sensibili. Ecco perché a prendere nome di segni sono prima e

principalmente le cose che si offrono ai sensi; ed ecco perché S.

Agostino definisce il segno "ciò che oltre la percezione di sé prodotta

sui sensi fa conoscere qualche altra cosa". Ora, i fatti d'ordine spirituale

non hanno natura di segno, se non in dipendenza da altri segni che li

facciano conoscere. E in questo senso si dicono sacramenti anche alcuni

elementi non sensibili, in quanto sono significati da elementi sensibili,

come vedremo appresso.

2. Le cose sensibili, se si considerano nella loro natura, non

appartengono al culto o al regno di Dio; ma ne fanno parte solamente

come segni delle cose spirituali che costituiscono il regno di Dio.

3. S. Agostino parla delle cose sensibili secondo quello che valgono per

la loro natura; non già in quanto esse sono assunte a significare i beni

spirituali, che sono i beni supremi.

ARTICOLO 5

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Sacramenti in generale

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Se per i sacramenti si richiedano cose sensibili determinate

SEMBRA che per i sacramenti non occorrano cose sensibili

determinate. Infatti:

1. Stando a ciò che abbiamo detto, le cose sensibili si richiedono nei

sacramenti per significare. Ma niente proibisce che una stessa cosa sia

significata da più dati sensibili: nella Sacra Scrittura, p. es., Dio è

indicato metaforicamente ora dalla pietra, ora dal leone, ora dal sole, e

così via. Dunque cose diverse possono convenire a un medesimo

sacramento. Quindi non c'è bisogno che le cose sensibili siano

determinate.

2. È più necessaria la salute dell'anima che quella del corpo. Ma tra

le medicine corporali, destinate alla salute fisica, una può prendersi al

posto di un'altra che venga a mancare. Molto più dunque nei

sacramenti, che sono le medicine spirituali ordinate alla salute

dell'anima, potrà in caso di bisogno usarsi una cosa per un'altra.

3. Non è conveniente che la salvezza dell'uomo sia resa più difficile

dalla legge divina: e tanto meno dalla legge di Cristo, venuto a salvare

tutti. Ora, nello stato della legge naturale non si richiedevano nei

sacramenti delle cose determinate, ma si sceglievano liberamente, come

quando Giacobbe promise a Dio di offrire decime e vittime pacifiche.

Perciò la libertà dell'uomo non doveva essere coartata, e tanto meno

dalla nuova legge, con la determinazione di cose determinate nell'uso

dei sacramenti.

IN CONTRARIO: Il Signore ha affermato: "Chi non rinasce

dall'acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio".

RISPONDO: Nell'uso dei sacramenti possiamo considerare due cose,

il culto divino e la santificazione dell'uomo; il primo è compito

dell'uomo rispetto a Dio, la seconda viceversa compete a Dio nei

riguardi dell'uomo. Ora, nessuno può avere libertà sulle cose che sono

in potere di un altro, ma solo su quelle che sono in potere suo. Essendo

quindi la santificazione dell'uomo in potere di Dio santificatore, non

compete all'uomo assumere a suo arbitrio le cose che lo santifichino, ma

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Sacramenti in generale

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esse devono venire determinate per istituzione divina. Ecco perché nei

sacramenti della nuova legge, fatti per santificare gli uomini, secondo le

parole di S. Paolo ai Corinzi: "Siete stati lavati, siete stati santificati", è

necessario adoperare quelle cose che sono state determinate per

istituzione divina.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È vero che una stessa cosa

può essere rappresentata da segni diversi; tuttavia la scelta del segno

spetta a chi prende l'iniziativa di esprimersi. Ora, è Dio che prende

l'iniziativa di significare le cose spirituali con cose sensibili, sia

mediante i sacramenti che mediante le parole metaforiche della

Scrittura. Quindi, come nei vari passi della Scrittura fu determinato

dallo Spirito Santo quali similitudini usare per esprimere le cose

spirituali, così dev'essere determinato per istituzione divina quali siano

le cose da adibirsi nei vari sacramenti.

2. Le cose sensibili hanno dalla loro natura le virtù terapeutiche per

la salute del corpo; e quindi se due di esse hanno la stessa virtù, non ha

importanza la preferenza per l'una o per l'altra. Esse invece non sono

ordinate a santificare per una loro virtù naturale, bensì soltanto per

istituzione divina. Perciò era necessario che Dio determinasse di quali

cose sensibili si dovesse far uso nei sacramenti.

3. Come nota S. Agostino, a tempi diversi si addicono sacramenti

diversi; infatti anche per indicare tempi diversi si usano forme verbali

differenti, cioè presente, passato e futuro. Ecco perché nello stato della

legge naturale gli uomini, come non erano mossi al culto di Dio da

nessuna legge esterna, ma solo da una spinta interiore, così dall'interno

l'ispirazione suggeriva loro le cose da destinare al culto di Dio. In

seguito si rese necessaria anche una legge esterna, sia per l'oscuramento

della legge naturale a causa dei peccati degli uomini, sia per dare una

più chiara significazione della grazia con la quale Cristo santifica il

genere umano. Per questo era necessario che si determinassero agli

uomini le cose da usare nei sacramenti. Né con questo è resa più

angusta la via della salvezza; poiché le cose necessarie nei sacramenti, o

sono di uso comune, o si possono avere con poca fatica.

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ARTICOLO 6

Se per la significazione dei sacramenti si richieda la parola

SEMBRA che per la significazione dei sacramenti non si richiedano

parole. Infatti:

1. S. Agostino si domanda: "Che altro sono i sacramenti materiali se

non parole visibili?". Aggiungere quindi delle parole alle cose sensibili

nei sacramenti, è come aggiungere parole a parole. Ma ciò è superfluo.

Dunque nei sacramenti non si richiede l'aggiunta delle parole alle cose

sensibili.

2. Il sacramento è qualche cosa di unitario. Ma non si può ottenere

l'unità con cose di genere diverso. Ebbene, siccome le cose sensibili e le

parole sono di genere diverso, provenendo le cose dalla natura e le

parole dalla ragione, è chiaro che nei sacramenti non si richiede

l'aggiunta delle parole.

3. I sacramenti della nuova legge sono succeduti ai sacramenti della

legge antica: "tolti questi, sono stati istituiti quelli", osserva S.

Agostino. Ma nei sacramenti dell'antica legge non occorreva nessuna

formula orale. Quindi nemmeno nei sacramenti della legge nuova.

IN CONTRARIO: S. Paolo afferma: "Il Cristo amò la Chiesa e diede

se stesso per lei, al fine di santificarla purificandola con il lavacro

dell'acqua mediante la parola di vita". E S. Agostino precisa: "La parola

raggiunge l'elemento e ne fa un sacramento".

RISPONDO: Abbiamo già detto che i sacramenti si usano come

segni per la santificazione degli uomini. Si possono dunque considerare

sotto tre aspetti: e sotto ciascuno di codesti aspetti è conveniente che

alle cose sensibili siano aggiunte le parole. Primo, si può considerare in

essi la causa santificante che è il Verbo incarnato: a questi il sacramento

in certo qual modo si conforma per il fatto che aggiunge a una cosa

sensibile la parola, poiché nel mistero dell'incarnazione il Verbo di Dio

si unì alla carne sensibile.

Secondo, i sacramenti si possono considerare rispetto all'uomo che

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Sacramenti in generale

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santificano e che è composto d'anima e di corpo: a lui si adatta la

medicina del sacramento, che con il suo elemento sensibile tocca il

corpo, e con le sue parole penetra, mediante la fede, nell'anima. Ecco

perché S. Agostino a commento di quel passo evangelico, "Voi siete già

stati mondati dalla parola...", si domanda: "Donde questa così grande

virtù dell'acqua, che toccando il corpo purifichi lo spirito, se non

dall'efficacia della parola, non già in quanto è pronunziata, ma in quanto

è creduta?".

Terzo, i sacramenti si possono considerare rispetto all'efficacia della

loro significazione. Ebbene, in proposito S. Agostino osserva che "le

parole hanno tra gli uomini il primato nell'ordine della significazione";

perché esse si possono modellare in varie forme per significare i diversi

concetti della mente, e ci danno così la possibilità di esprimerli con

maggiore precisazione. Perciò per rendere perfetto il significato dei

sacramenti, era necessario che si determinasse con qualche parola il

significato delle cose sensibili. L'acqua infatti può esprimere

ugualmente lavacro per la sua umidità e refrigerio per la sua freschezza;

ma quando si dice: "Io ti battezzo", si fa capire che l'acqua viene usata

nel battesimo a indicare un lavacro spirituale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose visibili usate nei

sacramenti son chiamate parole in senso metaforico. Cioè in quanto

partecipano la capacità di significare che risiede principalmente nelle

parole stesse, come si è detto sopra. Quindi non è inutile nei sacramenti

aggiungere parole ai segni visibili, perché le prime precisano i secondi.

2. Le parole e gli altri dati sensibili, per quanto appartengano a generi

diversi se si guarda alla loro natura, si accordano tuttavia nella funzione

di segni. Le parole però meglio delle altre cose. Perciò parole e cose

visibili costituiscono un tutto unico nei sacramenti, come forma e

materia, appunto nel senso già detto che le parole determinano il

significato delle cose. - Però sotto il nome di cose s'intendono gli stessi

atti sensibili, come l'abluzione, l'unzione e simili; perché il loro modo di

significare è identico a quello delle cose.

3. Come dice S. Agostino, i sacramenti istituiti per indicare il

presente devono essere diversi da quelli istituiti per indicare il futuro.

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Ora, i sacramenti dell'antica legge erano prefigurativi del Cristo venturo

e perciò non lo significavano così bene come i sacramenti della nuova

legge, che sono scaturiti da lui e di lui portano in se stessi una certa

somiglianza, come abbiamo già notato. - Tuttavia anche nell'antica

legge si usavano le parole nei riti cultuali, sia da parte dei sacerdoti che

erano ministri di quei sacramenti, come in quel passo dei Numeri: "Così

benedirete i figli d'Israele dicendo loro: Il Signore ti benedica..."; sia da

parte di coloro che ricevevano quei sacramenti, come si legge nel

Deuteronomio: "Io professo oggi dinanzi al Signore Dio tuo...".

ARTICOLO 7

Se nei sacramenti si richiedano parole determinate

SEMBRA che nei sacramenti non si richiedano parole determinate.

Infatti:

1. Il Filosofo osserva che "le parole non sono identiche presso tutti".

Ma la salvezza che si cerca con i sacramenti è la medesima per tutti.

Perciò nei sacramenti non sono necessarie parole determinate.

2. Abbiamo detto che nei sacramenti la parola serve in quanto segno

principale. Ma capita di poter significare la stessa cosa con parole

diverse. Perciò nei sacramenti non si richiedono parole determinate.

3. In qualsiasi genere di cose la corruzione ne cambia la specie. Ma

ci sono alcuni che nel pronunziare corrompono le parole, e tuttavia non

si ritiene che per questo venga impedito l'effetto dei sacramenti:

altrimenti gli illetterati e i balbuzienti che l'amministrano, spesso

comprometterebbero il sacramento. Perciò non si richiedono nei

sacramenti parole determinate.

IN CONTRARIO: Il Signore proferì parole determinate nella

consacrazione del sacramento dell'Eucaristia, dicendo: "Questo è il mio

corpo"; così pure ordinò ai discepoli di battezzare con una formula

determinata quando disse: "Andate, ammaestrate tutte le genti,

battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".

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RISPONDO: Abbiamo spiegato sopra che nei sacramenti le parole

fanno da forma e le cose sensibili da materia. Ora, negli esseri composti

di materia e di forma, la determinazione viene dalla forma che è quasi il

fine e il completamento della materia, e perciò alla costituzione di una

cosa è più necessaria la determinazione della forma che quella della

materia: si richiede infatti una materia determinata, perché sia adatta a

una determinata forma. Perciò se nei sacramenti devono essere

determinate le cose sensibili che ne sono come la materia, molto più

devono essere determinate in essi le parole della forma.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come nota S. Agostino, "la

parola opera nei sacramenti non in quanto pronunziata", cioè non per

suo suono esteriore, "ma in quanto creduta", cioè per il senso, che è

oggetto della fede. E questo senso è lo stesso per tutti (i credenti), anche

se i vocaboli non danno il medesimo suono. Ecco perché codesto senso,

in qualunque lingua sia espresso, produce il sacramento.

2. Sebbene in tutte le lingue ci siano più parole di uguale significato,

l'uso tuttavia ne adopera principalmente e più comunemente una per

indicare una determinata cosa. E codesta voce va usata nella forma

sacramentale. Come anche tra le cose sensibili si assume nell'atto del

sacramento quella che è di uso più comune per indicare l'effetto

sacramentale: per l'abluzione corporale, p. es., simbolo di quella

spirituale, la materia più comune di cui gli uomini si servono è l'acqua;

e per questo si usa l'acqua come materia del battesimo.

3. Chi nel pronunziare corrompe le parole, se lo fa intenzionalmente,

mostra di non voler fare ciò che fa la Chiesa: e quindi il sacramento non

viene compiuto.

Se invece lo fa per errore o per difetto di lingua, non si compie il

sacramento, quando la corruzione è tale da distruggere il senso della

frase. E ciò avviene principalmente quando si cambiano le iniziali delle

parole: se uno, p. es., invece di dire in nomine Patris dicesse in nomine

matris. - Se invece la corruzione non toglie totalmente il senso della

frase, il sacramento sussiste. Ciò avviene principalmente quando si

corrompono le finali, dicendo, p. es., patrias et filias. Perché, sebbene

queste parole mal dette non abbiano morfologicamente alcun

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Sacramenti in generale

168

significato, tuttavia si prendono per buone nell'uso ordinario. E perciò

sebbene il suono sia diverso, il senso rimane identico.

La ragione poi della differenza tra la corruzione delle iniziali e quella

delle finali sta nel fatto che presso di noi la variazione iniziale cambia il

senso, mentre la variazione finale ordinariamente non lo cambia. Presso

i Greci invece cambia anche con variazioni iniziali nelle coniugazioni

dei verbi.

Più di tutto però occorre stare attenti all'entità della mutazione.

Perché in un modo e nell'altro può essere così piccola da non togliere il

senso, o così grande da toglierlo. Quest'ultimo caso capita più

facilmente, quando si altera l'iniziale del vocabolo, l'altro caso quando

si altera la finale.

ARTICOLO 8

Se si possa aggiungere qualche cosa alle parole della forma

sacramentale

SEMBRA che alle parole della forma sacramentale non si possa

aggiungere niente. Infatti:

1. Le parole sacramentali non hanno meno valore delle parole della

S. Scrittura. Ma alle parole della Scrittura niente si può aggiungere o

togliere, poiché nel Deuteronomio si legge: "Non aggiungete e non

togliete nulla a ciò che io vi dico"; e nell'Apocalisse: "Io protesto a

ognuno che ode le parole della profezia di questo libro che, se aggiunge

a queste cose, Dio manderà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro.

E se ne toglie, Dio gli toglierà la sua parte dal libro della vita". Perciò

anche alla forma dei sacramenti non è lecito aggiungere o togliere nulla.

2. Nei sacramenti le parole costituiscono la forma, come si è detto.

Ma nelle forme come nei numeri ogni aggiunta o sottrazione, come nota

Aristotele, cambia la specie. Perciò aggiungendo o togliendo qualche

cosa alla forma sacramentale, non si ha più l'identico sacramento.

3. Alla forma di un sacramento, come si richiede un determinato

numero di parole, così si richiede un determinato ordine e la continuità

della loro pronunzia. Se dunque l'aggiungere o il togliere non distrugge

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Sacramenti in generale

169

la validità del sacramento, lo stesso sembra potersi dire della

trasposizione delle parole, o dell'interruzione nel pronunziarle.

IN CONTRARIO: Nella forma dei sacramenti vengono fatte da

alcuni aggiunte che non vengono usate da altri: i Latini, p. es.,

battezzano con la formula: "Io ti battezzo nel nome del Padre e del

Figlio e dello Spirito Santo"; i Greci invece con quest'altra: "Sia

battezzato il servo del Cristo... nel nome del Padre...". E tuttavia gli uni

e gli altri conferiscono validamente il sacramento. Perciò nella formula

sacramentale è lecito aggiungere o togliere qualche cosa.

RISPONDO: Circa le variazioni che si possono verificare nella

forma dei sacramenti, si devono tener presenti due cose. La prima

riguarda colui che pronunzia la forma e la cui intenzione, come si dirà, è

indispensabile per il sacramento. Se dunque costui con l'aggiunta o con

l'abbreviazione intende introdurre un rito diverso, non approvato dalla

Chiesa, non compie il sacramento, perché non intende fare ciò che fa la

Chiesa.

La seconda cosa da tener presente riguarda il significato delle parole.

Infatti, operando queste nei sacramenti, come sopra abbiamo detto, per

il senso che hanno, bisogna vedere se la mutazione ne altera il debito

significato. Se lo altera, è evidente che il sacramento non si produce.

Ora, è chiaro che se si toglie alla forma del sacramento un elemento

essenziale, il debito significato delle parole viene alterato; e quindi non

si produce il sacramento. Di qui le parole di Didimo: "Se qualcuno tenta

di battezzare tacendo uno dei nomi indicati", cioè del Padre, del Figlio e

dello Spirito Santo, "battezza invalidamente". - Se invece si omette

qualche elemento non essenziale della forma, non viene meno il senso

debito delle parole e di conseguenza non è menomato il sacramento.

Così nella forma dell'Eucaristia: "Questo è infatti il mio corpo",

l'omissione di "infatti" non impedisce il senso necessario delle parole, e

quindi non menoma il sacramento, quantunque in tale omissione si

possa peccare per negligenza o per mancanza di rispetto.

Anche nelle aggiunte può capitare d'introdurre qualche cosa che

corrompe il senso dovuto; se uno dicesse p. es.: "Io ti battezzo nel nome

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Sacramenti in generale

170

del Padre maggiore e del Figlio minore", come facevano gli Ariani.

Tale aggiunta comprometterebbe il sacramento. Se invece l'aggiunta è

tale da conservare il senso dovuto, si salva il sacramento. E non importa

nulla che l'aggiunta sia fatta al principio, in mezzo, o alla fine. Se si

dicesse, p. es.: "Io ti battezzo nel nome di Dio Padre onnipotente e del

suo Figlio unigenito e dello Spirito Santo Paraclito", il battesimo

sarebbe valido. Così pure se si dicesse: "Io ti battezzo nel nome del

Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e la Beata Vergine ti aiuti", il

sacramento varrebbe.

Se invece per ipotesi si dicesse: "Io ti battezzo nel nome del Padre e

del Figlio e dello Spirito Santo e della Beata Vergine Maria", il

battesimo non sarebbe valido; poiché S. Paolo giustamente domanda ai

Corinzi: "Forse Paolo fu messo in croce per voi? O forse siete stati

battezzati nel nome di Paolo?". È chiaro che nel caso del battesimo non

varrebbe, se si intendesse battezzare nel nome della Beata Vergine alla

stessa maniera che nel nome della Trinità, la quale fa santo il battesimo;

perché tale senso è contrario alla vera fede e di conseguenza toglie

valore al sacramento. Se invece l'aggiunta, "e nel nome della Beata

Vergine", si fa non per significare che il nome della Beata Vergine

operi qualche cosa nel battesimo, ma perché la sua intercessione giovi

al battezzato per conservare la grazia del battesimo, non si compromette

la validità del sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alle parole della Sacra

Scrittura quanto al senso non è lecito aggiungere niente, ma quanto alla

spiegazione gli esegeti aggiungono molte parole. Tuttavia queste

aggiunte espositive non possono farsi passare come parti integranti della

Scrittura, perché ciò sarebbe falso. E lo stesso avverrebbe, se uno

affermasse che è essenziale alla forma sacramentale ciò che non lo è.

2. Le parole costituiscono la forma sacramentale per il loro

significato. Perciò qualunque aggiunta o sottrazione di parole che non

intacchi il senso genuino, non altera la natura del sacramento.

3. Se l'interruzione delle parole è tanta da compromettere l'intenzione

di chi le pronunzia, si perde il senso e quindi la validità del sacramento.

Non così invece, quando si tratta di una breve interruzione che non

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Sacramenti in generale

171

compromette né l'intenzione del ministro né la comprensione della

frase.

E altrettanto dobbiamo dire della trasposizione delle parole. Perché

se altera il senso della formula, non si ha il sacramento, come è chiaro

nel caso di una negazione preposta o posposta al vocabolo decisivo. Se

invece la trasposizione è tale da non mutare il senso della frase, il

sacramento rimane integro, perché, come dice il Filosofo, "nomi e

parole invertiti di posto hanno lo stesso senso".

Questione 61

La necessità dei sacramenti

Passiamo ora a considerare la necessità dei sacramenti.

Sull'argomento si pongono quattro quesiti: 1. Se i sacramenti siano

necessari alla salvezza dell'uomo; 2. Se fossero necessari nello stato

d'innocenza; 3. Se fossero necessari dopo il peccato originale prima di

Cristo; 4. Se siano necessari dopo la venuta di Cristo.

ARTICOLO 1

Se i sacramenti siano necessari alla salvezza umana

SEMBRA che i sacramenti non siano necessari alla salvezza umana.

Infatti:

1. L'Apostolo insegna: "L'esercizio del corpo è utile a poco". Ma

l'uso dei sacramenti, l'abbiamo visto sopra, è un esercizio corporeo,

perché essi si compiono adoperando come simboli cose sensibili e

parole. Perciò i sacramenti non sono necessari all'umana salvezza.

2. S. Paolo si sentì dire: "Ti basta la mia grazia". Ma essa non

basterebbe, se i sacramenti fossero necessari alla salvezza. Essi dunque

non sono necessari.

3. Posta la causa sufficiente, nient'altro è necessario per l'effetto. Ma

la passione di Cristo è causa sufficiente della nostra salvezza; dice

infatti l'Apostolo: "Se essendo nemici siamo stati riconciliati con Dio

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Sacramenti in generale

172

per la morte del suo Figlio, tanto più, riconciliati, saremo salvi nella vita

di lui". Non si richiedono dunque i sacramenti per la salvezza umana.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Gli uomini non possono

raggrupparsi sotto il nome di nessuna religione, vera o falsa, senza che

si uniscano nella compartecipazione di riti o sacramenti visibili". Ora, è

necessario alla salvezza umana che gli uomini si raccolgano sotto il

nome dell'unica vera religione. Dunque i sacramenti sono necessari

all'umana salvezza.

RISPONDO: I sacramenti sono necessari alla salvezza dell'uomo per

tre ragioni. La prima va desunta dalla condizione dell'uomo il quale

dev'essere condotto per mezzo di cose corporee e sensibili alle cose di

ordine spirituale e intelligibile. Ma la provvidenza divina suol

provvedere a ogni essere secondo la sua condizione. Perciò è

conveniente che la divina sapienza offra all'uomo gli aiuti della salvezza

sotto segni corporei e sensibili, che si chiamano sacramenti.

La seconda ragione è da desumersi dallo stato dell'uomo, che

peccando si rese schiavo nei suoi affetti delle cose materiali. Ora, la

medicina dev'essere applicata sulla parte malata. Dunque era

conveniente che Dio con segni corporei fornisse all'uomo il rimedio

spirituale; perché, se gli avesse proposto cose del tutto spirituali, non si

sarebbe potuto applicare ad esse l'animo suo dedito alle cose materiali.

La terza ragione poi si deve desumere dal predominio che

nell'attività umana hanno le funzioni d'ordine materiale. Perché dunque

non riuscisse duro all'uomo essere completamente astratto dalle attività

materiali, gli sono state proposte nei sacramenti alcune pratiche di

ordine materiale alle quali applicarsi salutarmente, per evitare gli atti

superstiziosi, volti al culto dei demoni, o gli atti comunque dannosi che

costituiscono peccato.

In conclusione, con l'istituzione dei sacramenti l'uomo dalle cose

sensibili viene formato spiritualmente in armonia con la sua natura:

viene cioè mantenuto nell'umiltà, vedendosi sottomesso a cose materiali

chiamate a soccorrerlo; e viene preservato dalle cattive azioni di ordine

materiale con i riti salutari dei sacramenti.

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Sacramenti in generale

173

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli esercizi del corpo, in

quanto corporali, non sono molto utili. Ma codesti esercizi nell'uso dei

sacramenti non sono puramente corporali, bensì in un certo senso

spirituali: cioè in forza del loro significato e della loro efficacia.

2. Causa efficace della salvezza umana è certo la grazia divina. Ma

Dio dà la grazia agli uomini nel modo ad essi conveniente. Ecco perché

gli uomini hanno bisogno dei sacramenti per conseguire la grazia.

3. La passione di Cristo è causa sufficiente dell'umana salvezza. Ma

non ne segue che i sacramenti non siano necessari allo stesso scopo;

perché essi operano in virtù della passione di Cristo e questa con i

sacramenti viene come applicata alle singole persone, secondo la

dichiarazione di S. Paolo: "Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù,

siamo stati battezzati nella morte di lui".

ARTICOLO 2

Se i sacramenti fossero necessari all'uomo nello stato d'innocenza

SEMBRA che i sacramenti fossero necessari all'uomo anche prima

del peccato originale. Infatti:

1. I sacramenti, abbiamo detto, sono necessari all'uomo per

conseguire la grazia. Ma anche nello stato d'innocenza l'uomo aveva

bisogno della grazia, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Quindi

anche in quello stato erano necessari i sacramenti.

2. I sacramenti, abbiamo detto, sono necessari all'uomo per la

condizione della sua natura. Ma uguale è la natura dell'uomo prima e

dopo il peccato. Quindi anche prima del peccato l'uomo aveva bisogno

dei sacramenti.

3. Il matrimonio è un sacramento, come si rileva dalle parole di S.

Paolo: "Grande è questo sacramento: lo dico a riguardo del Cristo e

della Chiesa". Ma il matrimonio fu istituito prima del peccato, come

sappiamo dalla Genesi. Quindi i sacramenti erano necessari all'uomo

anche prima del peccato.

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Sacramenti in generale

174

IN CONTRARIO: La medicina è necessaria solo per i malati,

secondo le parole del Signore: "Non sono quelli che stanno bene ad aver

bisogno del medico". Ma i sacramenti sono delle medicine spirituali che

si usano contro le ferite del peccato. Quindi non erano necessari prima

di esso.

RISPONDO: Nello stato d'innocenza prima del peccato i sacramenti

non erano necessari. La ragione si può desumere dalla rettitudine di

quello stato, nel quale le cose superiori dominavano quelle inferiori e in

nessun modo ne dipendevano; come infatti l'anima si teneva sottomessa

a Dio, così le potenze inferiori e la carne stessa erano soggette

all'anima. Sarebbe stato contro un tale ordine se l'anima, nel suo

perfezionamento quanto a scienza e a grazia, avesse dovuto dipendere

da qualche cosa di corporeo, come avviene al presente nei sacramenti.

Perciò nello stato d'innocenza l'uomo non aveva bisogno dei sacramenti,

non solo in quanto sono ordinati a rimedio del peccato, ma neppure in

quanto essi sono ordinati al perfezionamento dell'anima.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uomo nello stato

d'innocenza aveva bisogno della grazia; ma non aveva bisogno di

conseguirla con segni sensibili, bensì in maniera spirituale e invisibile.

2. Uguale è la natura dell'uomo prima e dopo il peccato, non è uguale

però lo stato di essa. Poiché dopo il peccato l'anima anche nella sua

parte superiore ha bisogno di ricevere qualche cosa dagli elementi

corporei per il suo perfezionamento: ciò che non era necessario

all'uomo nello stato precedente.

3. Il matrimonio fu istituito nello stato d'innocenza, non come

sacramento, ma quale compito naturale. Tuttavia indirettamente

significava qualche cosa di futuro in relazione a Cristo e alla Chiesa, al

pari di tutte le altre cose che precedettero il Cristo come figura.

ARTICOLO 3

Se i sacramenti fossero necessari dopo il peccato originale prima di

Cristo

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Sacramenti in generale

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SEMBRA che prima di Cristo i sacramenti non fossero necessari

dopo il peccato originale. Infatti:

1. Abbiamo detto che con i sacramenti si applica alle singole persone

la passione di Cristo, e così questa sta ai sacramenti come la causa

all'effetto. Ma l'effetto non precede la causa. Quindi prima della venuta

del Cristo non dovevano esserci sacramenti.

2. I sacramenti devono corrispondere allo stato del genere umano,

osserva S. Agostino. Ma lo stato del genere umano non mutò dopo il

peccato, finché Cristo non compì la redenzione. Dunque nemmeno i

sacramenti dovettero mutare, così da esserne istituiti dei nuovi nella

legge di Mosè diversi da quelli dello stato di natura.

3. Quanto più una cosa si accosta alla perfezione, tanto più le deve

assomigliare. Ora, la perfezione della salvezza umana fu dovuta a

Cristo, e a lui furono più vicini i sacramenti dell'antica legge che quelli

precedenti. Perciò i sacramenti dell'antica legge avrebbero dovuto

essere più somiglianti degli altri ai sacramenti di Cristo. Invece sembra

che sia avvenuto il contrario, perché il sacerdozio di Cristo fu predetto

"secondo l'ordine di Melchisedech e non secondo l'ordine di Aronne",

come osserva S. Paolo. Dunque i sacramenti istituiti prima di Cristo non

furono ordinati in modo conveniente.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive che "i primi sacramenti,

comandati e celebrati secondo la legge, erano preannunzi del Cristo

venturo". Ma per l'umana salvezza era necessario che la venuta di Cristo

fosse preannunziata. Dunque era necessario che prima di Cristo fossero

istituiti dei sacramenti.

RISPONDO: I sacramenti sono necessari alla salvezza umana in

quanto sono segni sensibili delle cose invisibili dalle quali l'uomo viene

santificato. Dopo il peccato però nessuno può essere santificato se non

da Cristo, che Dio ha prestabilito come vittima di propiziazione per via

della fede nel suo sangue, per far risplendere la sua giustizia, affinché

sia egli riconosciuto giusto e giustificatore di chi crede in Cristo Gesù.

Perciò era necessario che prima della venuta di Cristo ci fossero dei

segni visibili con i quali l'uomo testimoniasse la sua fede nel Salvatore

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Sacramenti in generale

176

futuro. Ora, codesti segni si chiamano sacramenti. È evidente quindi che

prima di Cristo era necessaria l'istituzione di qualche sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La passione di Cristo è

causa finale dei sacramenti dell'antica legge, perché questi erano stati

istituiti per simboleggiarla. Ora, la causa finale viene prima, non in

ordine di tempo, ma solo d'intenzione. Perciò niente impediva che

esistessero dei sacramenti prima della passione di Cristo.

2. Lo stato del genere umano dopo il peccato prima di Cristo si può

considerare in rapporto a due cose. Prima, in rapporto alla fede. E sotto

quest'aspetto lo stato del genere umano rimase sempre identico: perché

gli uomini in tutto quel tempo venivano giustificati per la fede nel

Cristo futuro.

Secondo, tale stato si può considerare in rapporto all'aggravarsi del

peccato e a una più esplicita conoscenza del Cristo. Infatti con l'andare

del tempo il peccato prese a dominare di più sugli uomini, tanto che a

vivere rettamente non bastarono più all'uomo, per la ragione ottenebrata

dalle colpe, i precetti della legge naturale, ma fu necessario imporgli

con la legge scritta alcune norme; e con esse qualche sacramento della

fede. Era pure necessario che progressivamente si facesse più esplicita

la conoscenza della fede; perché, come dice S. Gregorio, "col progresso

del tempo, progredì la cognizione di Dio". Di qui la necessità che

nell'antica legge venissero determinati, in relazione alla fede raggiunta

nel Cristo venturo, alcuni sacramenti, i quali stanno a quelli anteriori

alla legge come il determinato all'indeterminato; nel senso cioè che

prima della legge (mosaica) non era determinatamente prescritto

all'uomo di quali sacramenti dovesse servirsi, come lo fu con la legge. E

questo era necessario, sia per l'oscurarsi della legge naturale, sia per il

bisogno di esprimere la fede con segni più determinati.

3. Il sacramento di Melchisedech, anteriore alla legge mosaica,

somiglia di più al sacramento (eucaristico) della nuova legge per la

materia; perché "egli offrì pane e vino", come narra la Scrittura,

prefigurando con l'oblazione del pane e del vino il sacrificio del nuovo

Testamento. Tuttavia i sacramenti della legge mosaica somigliano di

più alla cosa significata dal sacramento (eucaristico), cioè alla passione

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Sacramenti in generale

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di Cristo: ciò è evidente nell'agnello pasquale e in altri riti consimili. E

ciò perché la continuità nel tempo di un medesimo rito sacramentale

non inducesse a pensare alla continuità di un identico sacramento.

ARTICOLO 4

Se i sacramenti siano necessari dopo Cristo

SEMBRA che dopo Cristo non ci sia bisogno di sacramenti. Infatti:

1. Venendo la verità, cessa necessariamente la figura. Ma "la grazia e

la verità è venuta per Gesù Cristo", dice S. Giovanni. Essendo dunque i

sacramenti segni e figure della verità, non dovevano esserci sacramenti

dopo la passione di Cristo.

2. I sacramenti, come abbiamo spiegato, si concretizzano in

determinati elementi. Ma S. Paolo fa notare che "da fanciulli eravamo

tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo"; ora invece, "venuta la

pienezza dei tempi", non siamo più fanciulli. Dunque non dobbiamo più

servire Dio sotto gli elementi di questo mondo usando sacramenti

materiali.

3. "In Dio non c'è mutamento né ombra di variazione", dice S.

Giacomo. Ora, il fatto che nel tempo della grazia vengono offerti agli

uomini per la santificazione sacramenti diversi da quelli di prima

sembra implicare un mutamento nella volontà di Dio. Dunque dopo la

venuta di Cristo non si dovevano istituire altri sacramenti.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive che i sacramenti dell'antica

legge "sono stati aboliti, perché compiuti: e altri ne sono stati istituiti

maggiori in efficacia, migliori in utilità, più facili nell'uso, più limitati

nel numero".

RISPONDO: Come gli antichi Patriarchi si salvavano per la fede nel

Cristo venturo, così noi ci salviamo per la fede nel Cristo già venuto e

immolato. Ora, i sacramenti non sono che professioni di quella fede che

giustifica l'uomo. Ma il futuro, il passato e il presente è necessario

indicarli con simboli diversi; perché, come nota S. Agostino, "una

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Sacramenti in generale

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stessa cosa in un modo va indicata quando è da farsi e in un altro

quando è già fatta: le stesse parole morituro e morto hanno suono

diverso". Perciò è indispensabile che nella nuova legge a significare le

cose già compiute in Cristo ci siano dei sacramenti diversi da quelli

dell'antica legge, che preannunziavano le stesse cose come future.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Lo stato della nuova legge,

come osserva Dionigi, sta in mezzo tra lo stato dell'antica legge, le cui

figure si attuano nella legge nuova, e lo stato di gloria, in cui ogni verità

ci si manifesterà nuda e perfetta. Perciò allora non esisteranno più i

sacramenti. Ora invece, finché conosciamo "per specchio, in enimma",

come si esprime S. Paolo, è indispensabile per noi giungere alle cose

spirituali per mezzo di segni sensibili. E questo è il compito preciso dei

sacramenti.

2. I sacramenti dell'antica legge sono chiamati da S. Paolo "deboli e

poveri elementi", perché non contenevano né causavano la grazia.

Quindi chi ne faceva uso, serviva a Dio, dice l'Apostolo, sotto gli

elementi del mondo, appunto perché altro non erano che elementi di

questo mondo. I sacramenti nostri invece contengono e causano la

grazia. Quindi il confronto non regge.

3. Come un capofamiglia non dimostra incostanza di volontà se ai

suoi impartisce ordini diversi per la diversità delle stagioni, altro

esigendo nell'inverno e altro nell'estate, così nessun cambiamento

risulta in Dio dal fatto che egli istituì altri sacramenti dopo la venuta di

Cristo e altri al tempo della legge, perché questi erano opportuni come

prefigurazioni della grazia, quelli invece sono adatti per indicarla già

presente.

Questione 62

L'effetto principale dei sacramenti: la grazia

Veniamo ora a parlare degli effetti dei sacramenti. Primo, dell'effetto

principale che è la grazia; secondo dell'effetto secondario che è il

carattere.

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Sacramenti in generale

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Sul primo argomento si pongono sei quesiti: 1. Se i sacramenti della

nuova legge possano causare la grazia; 2. Se la grazia sacramentale

aggiunga qualche cosa alla grazia delle virtù e dei doni; 3. Se i

sacramenti contengano la grazia; 4. Se abbiano la virtù di causare la

grazia; 5. Se tale virtù derivi ai sacramenti dalla passione di Cristo; 6.

Se i sacramenti dell'antica legge causassero la grazia.

ARTICOLO 1

Se i sacramenti possano causare la grazia

SEMBRA che i sacramenti non possano causare la grazia. Infatti:

1. Una stessa cosa non può essere segno e causa, perché il compito di

segno si addice piuttosto all'effetto. Ma il sacramento è un segno della

grazia. Dunque non può esserne la causa.

2. Nessuna cosa materiale può agire su una realtà spirituale, perché

"l'agente è superiore al paziente", come nota S. Agostino. Ma soggetto

della grazia è l'anima dell'uomo che è spirituale. Dunque i sacramenti

non possono causare la grazia.

3. Ciò che è proprio di Dio non si può attribuire a nessuna creatura.

Ma causare la grazia è proprio di Dio, secondo l'espressione dei Salmi:

"Grazia e gloria le elargisce il Signore". Perciò, essendo i sacramenti

costituiti di parole e di cose create, non possono causare la grazia.

IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che l'acqua del battesimo

"tocca il corpo e purifica il cuore". Ma il cuore non si purifica che

mediante la grazia. Dunque il battesimo causa la grazia: e così pure, per

lo stesso motivo, gli altri sacramenti della Chiesa.

RISPONDO: È necessario affermare che i sacramenti della nuova

legge causano in qualche modo la grazia. Si sa infatti che mediante i

sacramenti della nuova legge l'uomo viene incorporato a Cristo, come

S. Paolo dice a proposito del battesimo: "Quanti siete stati battezzati in

Cristo, vi siete rivestiti di Cristo". Ora, l'uomo non diviene membro di

Cristo se non per la grazia.

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Sacramenti in generale

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Tuttavia alcuni dicono che i sacramenti sono causa della grazia non

nel senso che la producano; ma nel senso che Dio la infonde nell'anima

prendendo occasione dai sacramenti. E fanno l'esempio di chi

presentando una moneta di piombo se la vede cambiare per disposizione

regia con cento libbre: nel quale caso non è la moneta presentata a

valere la somma percepita, ma solamente la volontà del re. In proposito

S. Bernardo scrive: "Come un canonico viene investito per mezzo di un

libro, l'abate per mezzo di un pastorale, il vescovo per mezzo di un

anello, così diverse distribuzioni di grazie sono state assegnate ai

sacramenti".

Ma, a pensarci bene, questa spiegazione si limita a riscontrare la

formalità del segno. Infatti la moneta di piombo non è che un segno

dell'ordine impartito dal re per quella riscossione di danaro. Similmente

il libro è un segno che indica il conferimento del canonicato. Perciò

secondo la suddetta spiegazione i sacramenti della nuova legge non

sarebbero niente di più che segni della grazia; mentre molti testi dei

Santi Padri affermano che i sacramenti della nuova legge non

significano soltanto, ma causano la grazia.

Perciò dobbiamo procedere diversamente: ricordando che la causa

agente è di due specie: principale e strumentale. Quella principale opera

in virtù della propria forma, imprimendo la propria somiglianza

sull'effetto: il fuoco, p. es., con il suo calore riscalda. Ebbene in questo

modo niente all'infuori di Dio può causare la grazia, perché essa non è

altro che una somiglianza partecipata della natura divina, secondo le

parole di S. Pietro: "Grandi e preziose promesse adempì in noi, così che

fossimo partecipi della natura divina". - La causa strumentale al

contrario non agisce in forza della sua forma, ma in forza dell'impulso

con cui è mossa dall'agente principale. Quindi l'effetto non somiglia allo

strumento, bensì all'agente principale: un letto, p. es., non ha una

somiglianza con l'accetta, ma con l'arte che è nella mente dell'artigiano.

È così che i sacramenti della nuova legge causano la grazia: vengono

usati infatti per disposizione divina per produrre la grazia. Di qui le

parole di S. Agostino: "Tutte queste cose", cioè i riti sacramentali, "si

fanno e passano, ma la virtù" di Dio "che opera in essi rimane per

sempre". E strumento si chiama appunto la cosa mediante la quale uno

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Sacramenti in generale

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agisce. Il che fa dire a S. Paolo: "Ci salvò mediante il lavacro della

rigenerazione".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La causa principale

propriamente non può essere segno dei suoi effetti, sebbene occulti,

anche se essa è visibile e manifesta. La causa strumentale invece, se è

manifesta, può anche essere segno di un suo effetto occulto, perché non

è solamente causa, ma in una certa misura è anche effetto, essendo

mossa dall'agente principale. Ed è così che i sacramenti della nuova

legge sono allo stesso tempo cause e segni. Per questo si dice

comunemente che essi "producono ciò che significano". E ciò dimostra

pure che sono sacramenti in modo perfetto: perché sono ordinati a ciò

che è sacro non solo come segni, ma anche come cause.

2. Lo strumento ha due funzioni: la prima strumentale, in cui agisce

non per virtù propria, ma per la virtù comunicatagli dall'agente

principale; l'altra propria, e gli compete per natura: incidere, p. es.,

compete alla scure per l'acutezza del taglio, ma fare un letto le compete

in quanto strumento del mestiere. Però la scure non compie l'azione

strumentale, se non esercitando l'azione propria: infatti è col tagliare

che produce il letto. Così avviene nei sacramenti sensibili, i quali

esercitando l'azione propria sul corpo del quale vengono a contatto,

compiono sull'anima per virtù divina la loro azione strumentale: l'acqua

del battesimo, p. es., mentre per virtù propria lava il corpo, in quanto è

strumento della virtù divina purifica l'anima, essendo anima e corpo un

unico composto. Ecco perché S. Agostino dice: "Tocca il corpo e

purifica l'anima".

3. L'argomento si riferisce alla causa principale della grazia: e

questo, come abbiamo detto, è proprio di Dio.

ARTICOLO 2

Se la grazia sacramentale aggiunga qualche cosa alla grazia delle

virtù e dei doni

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Sacramenti in generale

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SEMBRA che la grazia sacramentale non aggiunga nulla alla grazia

delle virtù e dei doni. Infatti:

1. La grazia delle virtù e dei doni basta a rendere perfetta l'anima,

tanto nella sua essenza quanto nelle sue potenze, come abbiamo già

spiegato nella Seconda Parte. Ma la grazia è ordinata al

perfezionamento dell'anima. Perciò la grazia dei sacramenti niente può

aggiungere alla grazia delle virtù e dei doni.

2. Le miserie dell'anima sono causate dai peccati. Ma tutti i peccati

sono sufficientemente prevenuti dalla grazia delle virtù e dei doni,

perché non c'è peccato che non abbia come antidoto una virtù. Dunque

la grazia dei sacramenti, essendo ordinata a riparare le miserie

dell'anima, non può essere diversa dalla grazia delle virtù e dei doni.

3. Ogni aggiunta o sottrazione fa cambiare la specie, come dice

Aristotele. Se dunque la grazia dei sacramenti è qualche cosa di più

della grazia delle virtù e dei doni, ne segue che tale grazia debba

intendersi in senso equivoco. E allora, quando si afferma che i

sacramenti producono la grazia, non si dice nulla di definito.

IN CONTRARIO: Se la grazia sacramentale non aggiunge nulla alla

grazia dei doni e delle virtù, inutilmente si danno i sacramenti a coloro

che hanno doni e virtù. Ma nelle opere di Dio nulla è superfluo. Dunque

la grazia sacramentale aggiunge qualche cosa alla grazia delle virtù e

dei doni.

RISPONDO: Come abbiamo detto nella Seconda Parte, la grazia,

considerata in se stessa, perfeziona l'essenza dell'anima, in quanto le

comunica una certa somiglianza con l'essere divino. E come

dall'essenza dell'anima derivano le potenze, così dalla grazia derivano

alle potenze dell'anima alcune perfezioni che si dicono virtù e doni, e

che completano le potenze stesse in ordine ai loro atti. Ora, i sacramenti

sono diretti a degli effetti speciali, necessari alla vita cristiana: così il

battesimo è destinato a una specie di rigenerazione spirituale per cui

l'uomo muore ai peccati e diventa membro di Cristo; il quale effetto è

un atto speciale distinto da quelli delle potenze dell'anima. Lo stesso si

dica degli altri sacramenti. Come dunque le virtù e i doni aggiungono

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Sacramenti in generale

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alla grazia in genere un perfezionamento delle potenze in ordine ai loro

atti, così la grazia sacramentale aggiunge, sia alla grazia in genere, che

alle virtù e ai doni, uno specifico aiuto divino, per conseguire il fine del

sacramento. In questo modo la grazia sacramentale aggiunge qualche

cosa alla grazia delle virtù e dei doni.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La grazia delle virtù e dei

doni basta a perfezionare l'essenza e le potenze dell'anima per quanto

riguarda l'agire ordinario. Ma quanto ad alcuni effetti speciali, richiesti

dalla vita cristiana, occorre la grazia dei sacramenti.

2. Virtù e doni bastano a impedire vizi e peccati per il presente e per

il futuro: in quanto trattengono l'uomo dal peccare. Ma per i peccati

trascorsi, il cui atto passa ma perdura il reato, viene offerto all'uomo un

rimedio speciale con i sacramenti.

3. La grazia dei sacramenti sta alla grazia in genere come la specie al

genere. Quindi, come non è equivoca la parola animale riferita

all'animale in genere e all'uomo, così non è equivoca la parola grazia

adoperata per la grazia in genere e per quella sacramentale.

ARTICOLO 3

Se i sacramenti della nuova legge contengano la grazia

SEMBRA che i sacramenti della nuova legge non contengano la

grazia. Infatti:

1. Il contenuto è nel contenente. Ma la grazia non è nel sacramento

né come in un soggetto, perché il soggetto della grazia è l'anima e non il

corpo; né come in un vaso, perché "il vaso è un luogo mobile", osserva

Aristotele, l'accidente invece non può avere un luogo a parte. Dunque i

sacramenti della nuova legge non contengono la grazia.

2. I sacramenti sono ordinati a che gli uomini per mezzo di essi

conseguano la grazia. Ma la grazia, essendo un accidente, non può

passare da soggetto a soggetto. Quindi la grazia nei sacramenti sarebbe

senza scopo.

3. Ciò che è spirituale non può essere contenuto da ciò che è

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materiale, anche se si trova in esso: l'anima infatti non è contenuta dal

corpo, ma piuttosto contiene il corpo. Quindi la grazia, essendo

spirituale, non è contenuta in un sacramento materiale.

IN CONTRARIO: Ugo di S. Vittore afferma, che "il sacramento per

la sua santità contiene la grazia invisibile".

RISPONDO: Una cosa può essere in un'altra in più modi: ebbene,

secondo due di essi la grazia può trovarsi nei sacramenti. Primo, può

trovarsi come nei segni che la rappresentano, perché il sacramento è il

segno della grazia. - Secondo, come effetto nella propria causa. Poiché,

come abbiamo spiegato, il sacramento della nuova legge è causa

strumentale della grazia. Perciò la grazia è nel sacramento della nuova

legge non secondo una somiglianza specifica, come l'effetto è nella sua

causa univoca, e neppure nella forma propria e permanente

proporzionata a codesto effetto, ossia non come gli effetti contenuti

nelle loro cause analogiche: cioè non come si trovano nel sole gli esseri

che si producono per generazione; ma secondo una virtù strumentale,

che, come spiegheremo, è un'entità reale transitoria e incompleta.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non si dice che la grazia si

trovi nel sacramento come in un soggetto e nemmeno come in un vaso,

inteso nel senso di recipiente, ma inteso come strumento; cioè nel senso

in cui è usato in quell'espressione di Ezechiele: "Ciascuno ha in pugno

il vaso (ossia lo strumento) dell'eccidio".

2. L'accidente, sebbene non passi da un soggetto a un altro, passa

tuttavia in qualche modo a un altro soggetto dalla causa principale per

mezzo dello strumento: non perché si trovi in entrambi allo stesso

modo, ma adattandosi al modo particolare di essere di ciascuno.

3. Una realtà spirituale che si trovi allo stato perfetto in un ente

corporeo, contiene l'ente corporeo e non è contenuto da esso. Ma la

grazia è nel sacramento in stato transeunte e incompleto. Perciò

l'affermazione che il sacramento contiene la grazia non può dirsi

sbagliata.

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Sacramenti in generale

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ARTICOLO 4

Se nei sacramenti risieda una virtù capace di causare la grazia

SEMBRA che nei sacramenti non risieda una virtù capace di

produrre la grazia. Infatti:

1. La virtù di produrre la grazia è una virtù spirituale. Ma in un

essere corporeo non può risiedere una virtù spirituale: né come propria,

perché la virtù propria deriva dall'essenza di ciascuna cosa e non ne può

superare i limiti; né come ricevuta da altri, perché ciò che si riceve

prende il modo di essere del ricevente. Dunque nei sacramenti non può

esserci una virtù capace di produrre la grazia.

2. Ogni cosa è riducibile a uno dei generi dell'ente e a un grado nella

gerarchia dei beni. Ma tra i generi dell'ente non ne esiste uno in cui

possa rientrare tale virtù, come appare chiaro a passarli tutti in rassegna.

Né detta virtù può ridursi a uno dei gradi nella gerarchia dei beni: infatti

non è uno dei beni minimi, essendo i sacramenti necessari alla salvezza;

non è uno dei beni intermedi, quali le potenze dell'anima, che sono

potenze naturali; e non è uno dei beni massimi, perché non è né la

grazia né una virtù spirituale. Perciò nei sacramenti non esiste una virtù

capace di produrre la grazia.

3. Se nei sacramenti esistesse una simile virtù, esisterebbe solo

perché prodotta da Dio in essi per creazione. Ma non sembra possibile

che una creatura così nobile cessi subito di essere appena il sacramento

è prodotto. Dunque non c'è nei sacramenti nessuna virtù destinata a

causare la grazia.

4. L'identica cosa non può essere in soggetti diversi. Ora, a costituire

un sacramento concorrono entità diverse, cioè parole ed elementi

sensibili: ma un sacramento non può avere che una sola virtù. Dunque

nei sacramenti non può esserci alcuna virtù.

IN CONTRARIO: S. Agostino esclama: "Donde tanta virtù

dell'acqua da toccare il corpo e purificare il cuore". E S. Beda afferma

che "il Signore con il contatto della sua carne purissima conferì alle

acque una forza rigeneratrice".

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RISPONDO: Chi ritiene che i sacramenti concorrano alla grazia solo

per concomitanza, non ammette nel sacramento alcuna virtù che cooperi

all'effetto sacramentale: ammette invece una virtù divina che, presente

all'atto del sacramento, ne produrrebbe l'effetto. Ma se al contrario si

afferma che il sacramento è causa strumentale della grazia, allora è

necessario ammettere nel sacramento una virtù strumentale per

produrne l'effetto. E questa è una virtù proporzionata allo strumento.

Essa cioè sta alla virtù assoluta e perfetta da cui dipende come lo

strumento sta all'agente principale. Lo strumento infatti, come abbiamo

detto, non opera se non in quanto è mosso dall'agente principale, il

quale opera per virtù propria, cosicché la virtù dell'agente principale ha

una esistenza permanente e completa; invece la virtù strumentale ha

un'esistenza incompleta che passa da un soggetto a un altro,

somigliando al moto il quale è un atto imperfetto che passa dall'agente

al paziente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nelle cose materiali una

virtù spirituale non può trovarsi in maniera permanente e completa,

come vuole la difficoltà. Niente impedisce però che vi si trovi in modo

strumentale, cioè per il fatto che una data cosa materiale viene usata da

una sostanza spirituale alla produzione di un effetto spirituale: così

avviene, p. es., nella voce umana sensibile, in cui c'è una virtù spirituale

dovuta all'intelletto di chi parla, e capace di suscitare l'intelligenza di

chi ascolta. Alla stessa maniera c'è una virtù spirituale nei sacramenti,

in quanto essi sono ordinati da Dio a un effetto spirituale.

2. Come un moto, essendo un atto imperfetto, non ha propriamente

un genere, ma si colloca nel genere dell'atto perfetto, l'alterazione, p.

es., rientra in quello della qualità; così la virtù strumentale non

appartiene, propriamente parlando, a un genere determinato, ma è

riducibile al genere e alla specie della virtù perfetta.

3. Come la virtù strumentale viene ricevuta dallo strumento

nell'istante stesso in cui l'agente principale lo muove, così il sacramento

consegue la sua virtù spirituale dalla benedizione di Cristo e dall'uso

sacramentale che ne fa il ministro. Di qui le parole di S. Agostino: "Non

c'è da meravigliarsi, se diciamo che l'acqua, ossia una sostanza

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Sacramenti in generale

187

materiale, arrivi a purificare l'anima. Lo fa sicuramente e penetra in tutti

i recessi della coscienza. Infatti, sebbene essa sia già fine e penetrante,

tuttavia è resa ancora più penetrante dalla benedizione di Cristo, con il

suo umore sottile invade le occulte vie della vita e i segreti dello

spirito".

4. Come l'identica virtù dell'agente principale è strumentalmente in

tutti gli strumenti da esso adoperati per produrre un dato effetto, in

quanto essi per il loro coordinamento sono una cosa sola; così una e

identica è la virtù sacramentale nelle parole e nelle cose in quanto

concorrono a costituire un medesimo sacramento.

ARTICOLO 5

Se i sacramenti della nuova legge ricevano la loro virtù dalla

passione di Cristo

SEMBRA che i sacramenti della nuova legge non ricevano la loro

virtù dalla passione di Cristo. Infatti:

1. La virtù dei sacramenti è di causare nell'anima la grazia, che ne è

la vita spirituale. Ora, stando a S. Agostino, "il Verbo, come era in

principio presso Dio, vivifica le anime; ma in quanto si è fatto carne,

vivifica i corpi". La passione di Cristo dunque, poiché spetta al Verbo in

quanto si è fatto carne, non può causare la virtù dei sacramenti.

2. La virtù sacramentale dipende dalla fede, poiché, come dice S.

Agostino, la parola di Dio fa il sacramento, "non in quanto pronunziata,

ma in quanto creduta". Ora, la nostra fede non riguarda soltanto la

passione di Cristo, ma anche gli altri misteri della sua umanità e

principalmente la sua divinità. Perciò i sacramenti non ricevono la loro

virtù in modo speciale dalla passione di Cristo.

3. I sacramenti sono ordinati alla giustificazione degli uomini,

secondo la frase di S. Paolo: "Siete stati lavati e siete stati giustificati".

Ma la giustificazione dallo stesso Apostolo è attribuita alla resurrezione:

"Fu risuscitato per la nostra giustificazione". Quindi i sacramenti

ricevono la loro virtù più dalla resurrezione che dalla passione di Cristo.

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IN CONTRARIO: Commentando il testo di S. Paolo, "a somiglianza

della trasgressione di Adamo", la Glossa afferma che "dal fianco di

Cristo morto sulla croce sgorgarono i sacramenti, dai quali la Chiesa ha

ricevuto la salvezza". Dunque i sacramenti devono la loro virtù alla

passione di Cristo.

RISPONDO: I sacramenti, come abbiamo già spiegato, concorrono a

causare la grazia quali strumenti. Ebbene, lo strumento può essere di

due specie: o separato, come il bastone; o congiunto, come la mano. Lo

strumento separato poi viene mosso per mezzo di quello congiunto,

come il bastone per mezzo della mano. Ora, la principale causa

efficiente della grazia è Dio stesso, rispetto al quale l'umanità di Cristo

fa da strumento congiunto e il sacramento da strumento separato. Perciò

la virtù salvifica deriva necessariamente dalla divinità di Cristo

attraverso la sua umanità fino ai sacramenti.

Ma la grazia dei sacramenti è ordinata principalmente a due fini: a

togliere le colpe dei peccati commessi, di cui passa l'atto ma rimane il

reato; e a perfezionare l'anima in ciò che riguarda il culto di Dio

secondo la religione cristiana. Ma da quanto abbiamo detto sopra appare

evidente che Cristo ci ha liberato dai nostri peccati principalmente per

mezzo della sua passione, non solo a modo di causa efficiente e

meritoria, ma anche come causa soddisfattoria. Inoltre egli iniziò il

culto della religione cristiana proprio con la sua passione, "offrendo se

stesso come oblazione e sacrificio a Dio", secondo l'espressione di S.

Paolo. È chiaro dunque che i sacramenti della Chiesa ricevono la loro

virtù specialmente dalla passione di Cristo, che viene applicata a noi

quando li riceviamo. In segno di ciò dal fianco di Cristo pendente in

croce sgorgarono acqua e sangue, l'una elemento del battesimo e l'altro

dell'Eucaristia, che sono i sacramenti principali.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Verbo, qual era in

principio presso Dio, vivifica le anime in qualità di agente principale:

ma la sua carne e i misteri in essa compiuti operano per la vita stessa

dell'anima in qualità di strumenti; mentre per la vita del corpo operano

non solo come strumenti, ma anche con una certa funzione di

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Sacramenti in generale

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esemplarità, secondo le spiegazioni, date in precedenza.

2. Come dice S. Paolo, "Cristo abita in noi per la fede". Perciò la

virtù di Cristo si trasfonde in noi mediante la fede. Ma la virtù di

rimettere i peccati appartiene in modo speciale alla sua passione.

Dunque è per la fede nella sua passione che vengono liberati gli uomini

dai peccati, conforme a quell'altra affermazione dell'Apostolo: "Dio ha

prestabilito Cristo come mezzo di propiziazione per via della fede nel

suo sangue". Ecco perché la virtù dei sacramenti, ordinati a togliere i

peccati, deriva principalmente dalla fede nella passione di Cristo.

3. La giustificazione si attribuisce alla resurrezione come a termine

finale, che consiste in una vita nuova mediante la grazia. Ma si

attribuisce alla passione come a punto di partenza, che muove dalla

remissione dei peccati.

ARTICOLO 6

Se i sacramenti dell'antica legge causassero la grazia

SEMBRA che i sacramenti dell'antica legge causassero la grazia.

Infatti:

1. I sacramenti della nuova legge hanno efficacia dalla fede nella

passione di Cristo. Ma tale fede c'era anche nella legge antica come

nella nuova: dice infatti S. Paolo, che "abbiamo lo stesso spirito di

fede". Come dunque i sacramenti della nuova legge conferiscono la

grazia, così la conferivano anche i sacramenti dell'antica legge.

2. La santificazione non si produce che mediante la grazia. Ma i

sacramenti dell'antica legge santificavano gli uomini, come attesta il

Levitico: "Dopo che Mosè ebbe santificato Aronne e i suoi figli nei loro

vestimenti, ecc.". Dunque i sacramenti dell'antica legge conferivano la

grazia.

3. S. Beda scrive: "La circoncisione sotto la legge porgeva contro le

ferite del peccato originale lo stesso aiuto salutare che porge

comunemente il battesimo nel tempo della rivelazione della grazia". Ma

il battesimo ora conferisce la grazia. Quindi la circoncisione conferiva

la grazia. E per lo stesso motivo la conferiscono gli altri sacramenti

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Sacramenti in generale

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legali; perché come il battesimo è la porta dei sacramenti della nuova

legge, così la circoncisione era la porta dei sacramenti della legge

antica; cosicché l'Apostolo poteva scrivere: "A chiunque è circonciso io

dichiaro ch'egli è in dovere d'osservare tutta la legge".

IN CONTRARIO: Il rimprovero di S. Paolo ai Galati: "Come mai vi

rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi", dalla Glossa viene

riferito "alla legge, che si dice debole, perché non giustifica

perfettamente". La grazia invece giustifica perfettamente. Dunque i

sacramenti dell'antica legge non conferivano la grazia.

RISPONDO: Non si può dire che i sacramenti dell'antica legge

conferissero la grazia santificante per se stessi, cioè per virtù propria;

perché allora, non sarebbe stata necessaria la passione di Cristo, poiché,

come osserva S. Paolo, "se la giustizia si avesse per la legge, Cristo

sarebbe morto invano".

E neppure si può dire che derivassero la virtù di conferire la grazia

della giustificazione dalla passione di Cristo. Infatti, come abbiamo già

visto, l'efficacia della passione di Cristo viene applicata a noi sia

mediante la fede che mediante i sacramenti, però in due modi diversi:

l'applicazione infatti mediante la fede si compie con un atto dell'anima;

l'applicazione invece mediante i sacramenti si compie con l'uso di cose

materiali. Ora, niente impedisce che una cosa futura nel tempo agisca

prima di avverarsi secondo che è già spiritualmente presente nell'anima:

il fine p. es., sebbene raggiungibile nel futuro, muove già l'agente in

quanto è da lui conosciuto e desiderato. Quanto invece è ancora

inesistente nella realtà non può agire mediante l'uso di cose esterne. La

causa efficiente infatti non può essere come la causa finale posteriore

all'effetto in ordine di tempo. È chiaro quindi che dalla passione di

Cristo, la quale è causa dell'umana giustificazione, può ben derivare la

virtù giustificativa ai sacramenti della nuova legge, ma da essa non può

risalire ai sacramenti dell'antica legge.

Tuttavia anche gli antichi Padri venivano giustificati come noi dalla

fede nella passione di Cristo. Di questa fede i sacramenti dell'antica

legge erano come altrettante dichiarazioni o professioni, in quanto

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Sacramenti in generale

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rappresentavano la passione di Cristo in se stessa e nei suoi effetti.

Perciò i sacramenti dell'antica legge non avevano in sé alcuna virtù di

conferire la grazia santificante; ma esprimevano soltanto la fede che

operava la giustificazione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli antichi Padri avevano la

fede nella passione futura di Cristo, la quale poteva giustificare in

quanto esisteva come atto dell'anima; noi invece abbiamo la fede nella

passione di Cristo già avvenuta, ed essa può giustificare anche mediante

l'uso dei sacramenti, come si è detto.

2. Quella era una santificazione figurale: consisteva infatti nel

rendere idonei al culto divino secondo il culto dell'antica legge, il quale

era tutto ordinato a prefigurare la passione di Cristo.

3. Sulla circoncisione ci sono state molte opinioni. Alcuni hanno

detto che essa non conferiva la grazia, ma solo toglieva il peccato. - Ora

ciò è impossibile, perché l'uomo non viene liberato dal peccato se non

per mezzo della grazia, come dichiara S. Paolo: "Giustificati

gratuitamente per la grazia di lui".

Altri perciò hanno detto che la circoncisione conferiva la grazia

quanto alla rimozione della colpa, ma non quanto ai suoi effetti positivi.

- Anche questo però è falso. Perché, la circoncisione dava ai bambini il

diritto di giungere alla gloria, che è il supremo effetto positivo della

grazia. E poi nell'ordine della causa formale gli effetti positivi vengono

naturalmente prima degli effetti negativi, sebbene secondo l'ordine della

causa materiale sia vero l'inverso: la forma infatti non esclude la

privazione, se non informando il subietto.

Perciò altri dicono che la circoncisione conferiva la grazia anche

quanto all'effetto positivo di rendere l'uomo degno della vita eterna, ma

non quanto all'effetto di reprimere la spinta della concupiscenza al

peccato. Un tempo questa fu anche la nostra opinione. - Ma a

considerare meglio la cosa, si vede che nemmeno questo è vero; perché

la grazia anche se minima è capace di resistere a qualunque

concupiscenza e di meritare la vita eterna.

È meglio dire dunque che la circoncisione, come gli altri sacramenti

dell'antica legge, era solo un segno esterno della fede giustificante;

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Sacramenti in generale

192

infatti l'Apostolo afferma che "Abramo ricevette il segno della

circoncisione, quale segno della giustizia della fede". Ecco perché nella

circoncisione, quale segno della futura passione di Cristo, veniva

conferita la grazia, come vedremo in seguito.

Questione 63

Il carattere, secondo effetto dei sacramenti

Passiamo a considerare il secondo effetto dei sacramenti, che è il

carattere.

Sull'argomento si pongono sei quesiti: 1. Se i sacramenti producano

nell'anima un carattere; 2. Che cosa sia il carattere; 3. Di chi sia il

carattere; 4. Dove esso risieda; 5. Se s'imprima indelebilmente; 6. Se

tutti i sacramenti imprimano il carattere.

ARTICOLO 1

Se i sacramenti imprimano nell'anima un carattere

SEMBRA che i sacramenti non imprimano nessun carattere

nell'anima. Infatti:

1. Il carattere è un segno distintivo. Ma ciò che distingue le membra

di Cristo dalle altre creature è l'eterna predestinazione, la quale non

pone nulla nel predestinato, essendo soltanto un atto di Dio

predestinante, come abbiamo spiegato nella Prima Parte; e ciò conforme

alle parole di S. Paolo: "Saldo rimane il fondamento di Dio, avente

questo suggello: Il Signore conosce quelli che sono suoi". Dunque i

sacramenti non imprimono nessun carattere nell'anima.

2. Il carattere è un segno distintivo. Ma il segno, secondo la

definizione di S. Agostino, è "ciò che oltre l'immagine di sé prodotta sui

sensi fa conoscere qualche cos'altro". Ora, nell'anima non c'è nulla che

possa produrre sui sensi una qualunque immagine. Dunque dai

sacramenti non viene impresso nessun carattere nell'anima.

3. I sacramenti della nuova legge distinguono il fedele dal non fedele

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Sacramenti in generale

193

come i sacramenti dell'antica legge. Ma i sacramenti dell'antica legge

non imprimevano (nell'anima) nessun carattere: per questo sono riferiti

dall'Apostolo "alla giustizia della carne". Dunque neanche i sacramenti

della nuova legge imprimono un carattere.

IN CONTRARIO: S. Paolo scrive: "Colui che ci conferma con voi in

Cristo, e che ci ha unti, è Dio. Il quale ci ha anche contrassegnati con il

suo sigillo e ha infuso nei nostri cuori il pegno dello Spirito". Ma il

carattere non è altro che un contrassegno. Dunque Dio con i sacramenti

imprime in noi il suo carattere.

RISPONDO: I sacramenti, come abbiamo già detto, sono ordinati a

due scopi: a togliere i peccati e a perfezionare l'anima in ciò che

riguarda il culto di Dio secondo la religione cristiana. Ora, chiunque

viene destinato a un compito specifico, ne assume ordinariamente il

segno distintivo, come i soldati che venivano arruolati nell'esercito

solevano anticamente essere contrassegnati con un qualche segno sul

corpo, data la materialità della loro prestazione. Ora, poiché con i

sacramenti gli uomini vengono destinati a prestazioni spirituali attinenti

al culto di Dio, è logico che per esse restino fregiati di un qualche

carattere, o segno spirituale. Di qui le parole di S. Agostino: "Se un

disertore, preso dalla paura del segno militare impresso nel suo corpo,

ricorre alla clemenza dell'imperatore, lo supplica, ne ottiene il perdono e

ritorna sotto le armi, forse, perché libero e pentito, gli viene rinnovato il

segno militare o non piuttosto gli viene controllato e riconosciuto? E

che forse i sacramenti cristiani lascerebbero minor traccia di questo

contrassegno corporeo?".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Al premio della futura

gloria i fedeli cristiani vengono deputati dal segno della predestinazione

eterna. Ma alle funzioni della Chiesa qui presente vengono deputati da

un segno spirituale impresso in loro, che si denomina carattere.

2. Il carattere impresso nell'anima si presenta come segno per il fatto

che viene impresso da sacramenti sensibili: poiché la certezza che uno è

fregiato del carattere battesimale risulta dal fatto che è stato asperso

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sensibilmente con l'acqua. Tuttavia metaforicamente si può chiamare

carattere o contrassegno qualsiasi cosa, anche non sensibile, che serva a

conferire rassomiglianza con qualcuno o a distinguerlo: Cristo, p. es., a

detta dell'Apostolo, è "figura", o "carattere della sostanza del Padre".

3. I sacramenti dell'antica legge, come abbiamo già detto, non

avevano in se stessi una virtù spirituale capace di produrre effetti

spirituali. Ecco perché in essi non si riscontrava nessun carattere

spirituale; ma bastava allora la circoncisione corporea, che l'Apostolo

chiama "sigillo".

ARTICOLO 2

Se il carattere sia un potere spirituale

SEMBRA che il carattere non sia un potere spirituale. Infatti:

1. Carattere è lo stesso che figura: poiché nella Lettera agli Ebrei

dove il latino dice "figura della sostanza del Padre", il greco ha

carattere. Ma la figura è la quarta specie della qualità, e quindi

differisce dalla potenza o potere, che è la seconda specie della qualità.

Perciò il carattere non è un potere spirituale.

2. Dionigi scrive che "la divina beatitudine accoglie nella

partecipazione di sé il battezzato e gli si comunica con la propria luce,

quasi suo contrassegno". E così il carattere viene presentato come una

specie di luce. Ma la luce appartiene alla terza specie della qualità.

Dunque il carattere non è un potere o una potenza, che appartiene alla

seconda specie della qualità.

3. Il carattere viene definito da alcuni: "Il segno santo della

comunione nella fede e dell'ordine sacro conferito dal ministro sacro".

Ora, il segno è nella categoria della relazione e non in quella della

potenza. Il carattere dunque non è un potere spirituale.

4. La potenza o potere ha natura di causa e di principio, come spiega

Aristotele. Invece il segno, che entra nella definizione del carattere, ha

piuttosto natura di effetto. Il carattere dunque non è un potere spirituale.

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Sacramenti in generale

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IN CONTRARIO: Aristotele insegna che "nell'anima ci sono tre

cose: potenza, abito e passione". Ma il carattere non è una passione,

perché la passione passa presto e il carattere invece è indelebile, come

vedremo. E neppure è un abito. Perché un abito non può servire

indifferentemente al bene e al male. Il carattere invece ha questa

capacità: alcuni infatti ne usano bene, altri male. Il che non può capitare

agli abiti: poiché gli abiti virtuosi "nessuno può usarli male", e gli abiti

viziosi nessuno può usarli bene. Resta dunque che il carattere è un

potere, o facoltà.

RISPONDO: Come abbiamo già detto, i sacramenti della nuova

legge imprimono il carattere, perché deputano gli uomini al culto di Dio

secondo la religione cristiana. Cosicché Dionigi, dopo aver affermato

che "Dio comunica se stesso al neofita mediante il segno

(sacramentale)", aggiunge: "rendendolo divino e comunicatore delle

cose divine". Il culto divino infatti consiste, sia nel ricevere i beni

divini, sia nel comunicarli agli altri. Ora, per l'uno e per l'altro compito

si richiede una facoltà, un potere: infatti per comunicare qualche cosa

ad altri occorre una potenza attiva, per ricevere occorre una potenza

passiva. Dunque il carattere implica un potere spirituale in ordine alle

cose che sono proprie del culto divino.

Bisogna però osservare che questa potenza spirituale è strumentale,

come abbiamo notato sopra per la virtù che si trova nei sacramenti.

Infatti avere il carattere sacramentale spetta ai ministri di Dio, e il

ministro ha funzione di strumento, come aveva già notato Aristotele.

Perciò come la virtù che risiede nei sacramenti rientra in un genere non

per sé, ma per riduzione, essendo un'entità transeunte e incompleta; così

anche il carattere non rientra propriamente in un genere, o in una specie,

ma si riduce alla seconda specie della qualità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La figura non è che una

delimitazione della quantità. Quindi propriamente si trova solo nelle

cose materiali, e si attribuisce alle spirituali in senso metaforico. Ora,

qualsiasi cosa viene catalogata in un genere o in una specie solo per ciò

che le compete in senso proprio. Quindi il carattere non può rientrare

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Sacramenti in generale

196

nella quarta specie della qualità: sebbene alcuni l'abbiano affermato.

2. Nella terza specie della qualità ci sono soltanto le passioni

sensibili e le qualità sensibili. Ma il carattere non è una luce sensibile.

Quindi non appartiene alla terza specie della qualità, come alcuni hanno

preteso.

3. La relazione, il cui concetto è implicito nel termine segno, deve

avere qualche cosa come suo fondamento. Ma la relazione di quel segno

che è il carattere non può avere per fondamento immediato l'essenza

dell'anima, perché così spetterebbe per natura a ogni anima. È dunque

necessario ammettere nell'anima qualche cosa che sia il fondamento di

tale relazione. Questo qualche cosa è la realtà del carattere. Perciò il

carattere non può rientrare nel genere della relazione, come alcuni

hanno sostenuto.

4. Il carattere ha natura di segno solo se si considera in connessione

col rito sensibile che lo imprime. Ma considerato in se stesso ha natura

di principio, nel senso che abbiamo illustrato.

ARTICOLO 3

Se il carattere sacramentale sia il carattere di Cristo

SEMBRA che il carattere sacramentale non sia il carattere di Cristo.

Infatti:

1. S. Paolo raccomanda agli Efesini: "Non contristate lo Spirito

Santo di Dio, con il quale siete stati sigillati". Ora nell'idea di carattere è

implicita quella di sigillo. Dunque il carattere sacramentale deve

riferirsi più allo Spirito Santo che a Cristo.

2. Il carattere ha natura di segno. Ed è segno della grazia, conferita

dal sacramento. Ma la grazia viene infusa nell'anima da tutta la Trinità,

secondo le parole del Salmo: "Grazia e gloria le elargisce il Signore".

Quindi il carattere sacramentale non va attribuito in modo speciale a

Cristo.

3. Il carattere si riceve per distinguersi dagli altri. Ma ciò che

distingue i santi dagli altri è la carità, la quale secondo l'espressione di

S. Agostino, "è sola a separare i figli del Regno dai figli della

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Sacramenti in generale

197

dannazione", i quali ultimi, a detta dell'Apocalisse, sono contrassegnati

dal "carattere della bestia". Ma la carità non viene attribuita a Cristo,

bensì allo Spirito Santo, come in quell'affermazione di S. Paolo: "La

carità divina si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu

donato"; oppure al Padre: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo e la

carità di Dio". Dunque il carattere sacramentale non va riferito a Cristo.

IN CONTRARIO: Così alcuni definiscono il carattere: "Il carattere è

una distinzione impressa nell'anima razionale dal carattere eterno, per

cui la trinità creata viene sigillata a immagine della Trinità creante e

ricreante, e distingue nello stato della fede dai non configurati". Ora, il

carattere eterno è il Cristo stesso, che S. Paolo chiama "splendore della

gloria e figura", o carattere "della sostanza di Dio". Dunque il carattere

propriamente ha riferimento a Cristo.

RISPONDO: Come risulta da quanto abbiamo detto finora, il

carattere è in senso proprio il contrassegno col quale si deputa una data

cosa a un compito specifico: le monete, p. es., sono così contrassegnate

per gli scambi, e i soldati lo sono per la milizia. Ora, due sono i compiti

cui possono essere deputati i fedeli. Il primo e principale è il godimento

della gloria. E per questo essi sono contrassegnati dalla grazia, secondo

l'allusione di Ezechiele: "Segna in fronte con un tau gli uomini che

gemono e piangono"; e quella dell'Apocalisse: "Non danneggiate né la

terra né il mare né le piante finché non abbiamo marcato sulle loro

fronti con il sigillo i servi del nostro Dio".

Il secondo compito di ogni fedele è di ricevere per sé e di

comunicare agli altri le cose riguardanti il culto di Dio. E per questo

propriamente viene concesso il carattere sacramentale. Ma tutto il culto

della religione cristiana deriva dal sacerdozio di Cristo. È chiaro quindi

che il carattere sacramentale è specificamente carattere di Cristo, del cui

sacerdozio i fedeli vengono resi partecipi in forza di questi caratteri

sacramentali, i quali altro non sono che partecipazioni del sacerdozio di

Cristo derivanti da Cristo medesimo.

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Sacramenti in generale

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SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo nel testo citato

parla del contrassegno per cui si è destinati alla gloria futura e che

consiste nella grazia. Questa viene attribuita allo Spirito Santo, perché

la donazione gratuita implicita nel concetto di grazia dipende dall'amore

di Dio, e lo Spirito Santo è amore. Ecco perché S. Paolo dichiara che

"vi sono differenze di grazia, ma uno solo è lo Spirito".

2. Il carattere sacramentale è res (realtà sacra) rispetto al rito esterno

ed è sacramento (o segno sacro) rispetto all'effetto ultimo. Perciò si può

parlare del carattere in due accezioni diverse. Primo, in quanto è

sacramento, e allora è segno della grazia invisibile conferita dal rito

sacro. Secondo, in quanto è specificamente carattere. E allora è un

contrassegno che configura a un capo nel quale risiede la pienezza di

quei poteri, o facoltà, che vengono accordati dal carattere: i soldati p.

es., che sono deputati a combattere prendono il segno (o le insegne) del

loro comandante, al quale in qualche modo si configurano. Così coloro

che sono deputati al culto cristiano, di cui Cristo è fondatore, ricevono

un carattere che li rende simili a Cristo. Quindi esso è propriamente

carattere di Cristo.

3. Il carattere distingue una persona da un'altra in rapporto al fine cui

viene indirizzata la persona che lo riceve, come abbiamo notato a

proposito dei caratteri, o contrassegni militari, che sul campo di

battaglia distinguono il soldato del re legittimo dal soldato del nemico.

Allo stesso modo i caratteri che distinguono i fedeli di Cristo dai servi

del diavolo possono essere, relativi o alla vita eterna, o al culto della

Chiesa militante. La prima di queste distinzioni è data dalla carità e

dalla grazia, come vuole la difficoltà; la seconda invece è data dal

carattere sacramentale. Quindi per la ragione dei contrari "il carattere

della bestia" può significare o la malizia ostinata, a motivo della quale

alcuni vengono destinati alla pena eterna, o la professione di un culto

illecito.

ARTICOLO 4

Se il carattere risieda in una potenza dell'anima

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Sacramenti in generale

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SEMBRA che il carattere non risieda in una potenza dell'anima.

Infatti:

1. Il carattere è una disposizione alla grazia. Ma la grazia risiede

nell'essenza dell'anima, come abbiamo visto nella Seconda Parte.

Dunque il carattere è nell'essenza dell'anima e non nelle sue potenze.

2. Le potenze dell'anima non sono soggetto se non di abiti o di

disposizioni. Ma il carattere, abbiamo detto, non è un abito o una

disposizione, bensì un potere o una potenza, che risiede solo

nell'essenza dell'anima. Dunque il carattere non risiede in nessuna

potenza dell'anima, ma piuttosto nella sua stessa essenza.

3. Le potenze dell'anima razionale si dividono in conoscitive e

appetitive. Ma non si può limitare il carattere alle potenze conoscitive e

neppure a quelle appetitive: perché non è destinato né solo a conoscere

né solo a volere. E tuttavia non può risiedere simultaneamente nelle une

e nelle altre, perché un medesimo accidente non può avere diversi

soggetti. Dunque il carattere non risiede in una potenza, ma nell'essenza

dell'anima.

IN CONTRARIO: In una precedente definizione del carattere è stato

detto che esso s'imprime nell'anima razionale "come un'immagine". Ma

l'immagine della Trinità nell'anima si concepisce in rapporto alle

potenze. Dunque il carattere è nelle potenze dell'anima.

RISPONDO: Il carattere, come abbiamo visto, è un contrassegno che

distingue l'anima, affinché possa ricevere per sé, o comunicare ad altri

le cose riguardanti il culto divino. Ora, il culto divino consiste in

determinati atti. Ma come l'essenza è ordinata all'essere, così le potenze

dell'anima sono ordinate agli atti. Dunque il carattere non risiede

nell'essenza, ma nelle potenze dell'anima.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per determinare il soggetto

di un accidente si deve tener conto di ciò cui esso dispone

prossimamente, non già di ciò cui dispone in maniera remota o indiretta.

Ora, il carattere in maniera diretta e immediata dispone l'anima agli atti

del culto divino; e poiché questi, senza l'aiuto della grazia non si

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Sacramenti in generale

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compiono debitamente, come si legge nel Vangelo: "Quelli che adorano

Dio, lo devono adorare in spirito e verità", è logico che la generosità

divina a chi riceve il carattere conceda anche la grazia per assolvere

degnamente il compito assegnato. Perciò la sede da attribuire al

carattere è da ricercarsi più in relazione agli atti concernenti il culto

divino che in relazione alla grazia.

2. L'essenza dell'anima è il soggetto delle potenze naturali che

derivano dai principii dell'essenza stessa. Ma il carattere non è un potere

naturale, bensì un potere spirituale che viene dal di fuori. Perciò, come

l'essenza dell'anima, fonte della vita naturale dell'uomo, viene

perfezionata dalla grazia che le dona la vita spirituale; così le potenze

naturali dell'anima vengono perfezionate dalla potenza o potere

spirituale che è il carattere. Gli abiti e le disposizioni infatti risiedono

nelle potenze dell'anima, proprio perché sono ordinati agli atti, che

hanno il loro principio nelle potenze stesse. Per la stessa ragione tutto

ciò che è ordinato all'atto è da attribuirsi alle potenze.

3. Il carattere riguarda, come abbiamo detto, gli atti che sono propri

del culto divino. Ora, questo equivale a una professione di fede

manifestata con segni esterni. Ne segue perciò che il carattere risieda

nella potenza conoscitiva in cui risiede la fede.

ARTICOLO 5

Se il carattere rimanga nell'anima in maniera indelebile

SEMBRA. che il carattere non rimanga nell'anima in maniera

indelebile. Infatti:

1. Un accidente più è nobile, più è duraturo. Ma la grazia è più nobile

del carattere, perché il carattere è ordinato alla grazia come a un fine

superiore. Ora, la grazia si può perdere con il peccato. Tanto più dunque

il carattere.

2. Il carattere è una iniziazione dell'uomo al culto divino, come

abbiamo spiegato. Ma alcuni dal culto divino passano al culto contrario

con l'apostasia della fede. Costoro quindi perdono il carattere

sacramentale.

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Sacramenti in generale

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3. Cessando il fine deve cessare anche ciò che era ordinato al fine,

perché non avrebbe più scopo: dopo la risurrezione finale, p. es., non ci

sarà più il matrimonio, perché non ci sarà più la generazione, che è il

fine del matrimonio. Ma il culto esterno cui è ordinato il carattere verrà

a cessare nella Patria, dove il simbolo, o figura lascerà il posto alla nuda

verità. Dunque il carattere sacramentale non rimane per sempre

nell'anima. Quindi non è indelebile.

IN CONTRARIO: S. Agostino osserva che "i sacramenti cristiani

non lasciano minore traccia del carattere militare impresso sul corpo".

Ma il carattere militare non viene rinnovato, bensì "riconosciuto e

confermato" in colui che ottiene dall'imperatore il perdono dopo la

colpa. Perciò neppure il carattere sacramentale può essere cancellato.

RISPONDO: Come abbiamo detto, il carattere sacramentale è una

partecipazione del sacerdozio di Cristo concessa ai suoi fedeli: infatti

come Cristo ha la piena potestà del sacerdozio spirituale, così i suoi

fedeli si configurano a lui, nel partecipare in qualche misura i poteri

spirituali relativi ai sacramenti e alle altre funzioni del culto divino. Per

questo a Cristo non si attribuisce il carattere, ma i poteri del suo

sacerdozio stanno al carattere come un tutto perfetto sta alla sua

partecipazione. Ora, il sacerdozio di Cristo è eterno, secondo le parole

del Salmista: "Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di

Melchisedech". Ecco perché ogni consacrazione che viene fatta in virtù

del suo sacerdozio, finché dura la cosa consacrata, è permanente. Ciò

avviene persino nelle cose inanimate: la consacrazione, p. es., di una

chiesa o di un altare dura per sempre, se essi non vengono distrutti. Ora,

poiché soggetto del carattere, come abbiamo visto, è la parte intellettiva

dell'anima in cui risiede la fede, è evidente che essendo l'intelletto

perpetuo e incorruttibile, anche il carattere rimane nell'anima in maniera

indelebile.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Grazia e carattere risiedono

nell'anima in maniera diversa. Infatti la grazia è nell'anima come una

forma dotata di intrinseca completezza; il carattere invece vi risiede, e

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Sacramenti in generale

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l'abbiamo già detto, come una virtù strumentale. Ora, una forma

completa risiede nel suo soggetto partecipandone le condizioni. E

poiché l'anima, fin tanto che si trova nello stato di via è mutevole nel

suo libero arbitrio, ne segue che la grazia si trovi nell'anima in modo

mutevole. Al contrario la virtù strumentale segue le condizioni

dell'agente principale. E quindi il carattere rimane nell'anima

indelebilmente, non per la sua perfezione, ma per la perfezione del

sacerdozio di Cristo, da cui deriva come una virtù strumentale.

2. S. Agostino risponde, che "neppure gli apostati vengono a perdere

il battesimo, infatti quando si pentono non lo ricevono una seconda

volta; di qui la convinzione che esso non si può perdere". La ragione di

ciò sta nel fatto che il carattere è una virtù strumentale, come abbiamo

detto; ora, l'essenza dello strumento consiste nell'esser mosso da un

altro e non nel muoversi da se stesso volontariamente. Perciò, per

quanto la volontà compia atti contrari, il carattere non viene cancellato

data l'immutabilità dell'agente principale.

3. Dopo questa vita, sebbene non rimanga il culto esterno, rimane

tuttavia il fine di tale culto. E quindi resta il carattere nei buoni a loro

gloria e nei cattivi a loro ignominia, come nei soldati il carattere

militare si conserva anche dopo la vittoria; nei vincitori come titolo di

gloria e nei vinti come pena.

ARTICOLO 6

Se il carattere venga impresso da tutti i sacramenti della nuova

legge

SEMBRA che tutti i sacramenti della nuova legge imprimano il

carattere. Infatti:

1. Tutti i sacramenti della nuova legge rendono partecipi del

sacerdozio di Cristo. Ma il carattere sacramentale, come abbiamo

notato, non è altro che una partecipazione del sacerdozio di Cristo.

Dunque tutti i sacramenti della nuova legge imprimono il carattere.

2. Il carattere compie nell'anima in cui risiede quello che la

consacrazione compie nelle cose consacrate. Ma da ogni sacramento

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Sacramenti in generale

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della nuova legge l'uomo riceve la grazia santificante, come abbiamo

detto. Dunque da ogni sacramento della nuova legge si riceve il

carattere.

3. Il carattere è res et sacramentum. Ma in ciascun sacramento della

nuova legge c'è qualche cosa che è soltanto res, qualche cosa che è

soltanto sacramentum, e qualche cosa che è res et sacramentum.

Dunque ciascun sacramento imprime il carattere.

IN CONTRARIO: I sacramenti che imprimono il carattere, non si

ripetono, perché il carattere è indelebile, come abbiamo detto. Ma

alcuni sacramenti si possono ripetere, per es., la penitenza e il

matrimonio. Quindi non tutti i sacramenti imprimono il carattere.

RISPONDO: Dicevamo sopra che i sacramenti hanno due scopi: la

riparazione del peccato e il culto divino. Ebbene fornire un rimedio

contro il peccato è cosa comune a tutti i sacramenti, per ciò stesso che

conferiscono la grazia. Non tutti i sacramenti invece sono direttamente

ordinati al culto divino: ciò è evidente nel caso della penitenza che

libera l'uomo dal peccato, ma non gli offre nessun nuovo potere per il

culto divino, restituendolo soltanto allo stato di prima.

Ora, un sacramento può essere ordinato al culto divino in tre modi:

primo, per la natura stessa del suo atto: secondo, preparando i ministri;

terzo, predisponendo a ricevere altri sacramenti. Per la natura stessa

dell'atto appartiene al culto divino l'Eucaristia, in cui il culto divino ha

la sua principale espressione, essendo essa il sacrificio della Chiesa. Ma

da questo sacramento non viene impresso il carattere: perché con esso il

fedele non viene ordinato ulteriormente a fare o a ricevere qualche

cos'altro nell'ambito dei sacramenti, essendo esso piuttosto "il termine e

il coronamento di tutti i sacramenti", come si esprime Dionigi. Contiene

però in sé realmente il Cristo, in cui risiede non il carattere, ma tutta la

pienezza del sacerdozio.

Ai ministri dei sacramenti è riservato il sacramento dell'ordine,

perché con questo gli uomini ricevono l'ufficio di comunicare i

sacramenti agli altri. A coloro poi che son deputati a riceverli spetta il

battesimo, perché con esso l'uomo acquista la facoltà di ricevere gli altri

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Sacramenti in generale

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sacramenti della Chiesa: il battesimo infatti è chiamato "la porta di tutti

i sacramenti". In qualche modo è identico lo scopo della confermazione,

come vedremo in seguito. Ecco perché questi tre sacramenti, battesimo,

confermazione e ordine, imprimono il carattere.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutti i sacramenti rendono

l'uomo partecipe del sacerdozio di Cristo, in quanto gli comunicano

qualche suo effetto: non tutti i sacramenti però gli conferiscono il potere

di agire o di ricevere in atti relativi al culto proprio del sacerdozio del

Cristo. Il che è indispensabile perché un sacramento imprima il

carattere.

2. Tutti i sacramenti santificano l'uomo in quanto gli conferiscono la

mondezza dal peccato ottenuta per mezzo della grazia. Ma l'uomo viene

santificato in modo particolare con una specie di consacrazione a opera

di alcuni sacramenti, che imprimono il carattere, appunto perché viene

deputato al culto divino: come le stesse cose inanimate si dicono

consacrate in quanto vengono destinate al culto divino.

3. È vero che il carattere è res et sacramentum; però non segue che in

tutti i casi la res et sacramentum sia il carattere. Diremo in seguito che

cosa sia la res et sacramentum negli altri sacramenti.

Questione 64

La causalità dei sacramenti

Veniamo ora a parlare della causalità che si esercita nei sacramenti,

sia di quella principale, che di quella ministeriale.

Su questo tema esamineremo dieci argomenti: 1. Se Dio soltanto

produca l'effetto interiore dei sacramenti; 2. Se l'istituzione dei

sacramenti venga solo da Dio; 3. Il potere di Cristo sui sacramenti; 4. Se

egli abbia potuto comunicare ad altri questo potere; 5. Se il potere di

amministrare i sacramenti possa trovarsi nei peccatori; 6. Se questi

pecchino dispensando i sacramenti; 7. Se gli angeli possano essere

ministri dei sacramenti; 8. Se nei sacramenti sia richiesta l'intenzione

del ministro; 9. Se si richieda la vera fede, cosicché l'incredulo non sia

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Sacramenti in generale

205

capace di amministrare i sacramenti; 10. Se si richieda la retta

intenzione.

ARTICOLO 1

Se Dio soltanto produca l'effetto interiore dei sacramenti oppure

anche il ministro

SEMBRA che non soltanto Dio, ma anche il ministro produca

l'effetto interiore dei sacramenti. Infatti:

1. Effetto interiore dei sacramenti è la purificazione dell'uomo dai

suoi peccati e la sua illuminazione mediante la grazia. Ma è compito dei

ministri della Chiesa "purificare, illuminare e perfezionare", come

insegna Dionigi. Dunque non Dio soltanto, ma anche i ministri della

Chiesa producono l'effetto dei sacramenti.

2. I riti con i quali si amministrano i sacramenti contengono delle

preghiere di petizione. Ma le preghiere dei buoni sono presso Dio più

esaudibili di quelle di chiunque altro, secondo le parole evangeliche:

"Se uno ha il timore di Dio e ne esegue la volontà, egli lo ascolta".

Perciò chi riceve i sacramenti da un ministro santo ottiene un effetto

maggiore. E quindi anche il ministro influisce sul loro effetto interiore,

e non soltanto Dio.

3. L'uomo vale più delle cose inanimate. Ma le cose inanimate

concorrono all'effetto interiore dei sacramenti: infatti "l'acqua tocca il

corpo e purifica il cuore", come dice S. Agostino. Dunque anche l'uomo

influisce sull'effetto interiore dei sacramenti, e non Dio soltanto.

IN CONTRARIO: A detta di S. Paolo, "è Dio che giustifica". Ora,

poiché l'effetto interiore di tutti i sacramenti è la giustificazione, è

chiaro che Dio soltanto compie l'effetto interiore del sacramento.

RISPONDO: Una cosa può produrre un effetto in due modi: primo,

come causa principale; secondo, come strumento. Nel primo modo Dio

soltanto causa l'effetto interiore dei sacramenti. Sia perché Dio solo

penetra nell'anima in cui si produce l'effetto sacramentale. E nessuna

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Sacramenti in generale

206

cosa può agire immediatamente dove non è. - Sia perché la grazia, che è

un effetto interiore di tutti i sacramenti, viene esclusivamente da Dio,

come abbiamo detto nella Seconda Parte. Anche il carattere, effetto

interiore di alcuni sacramenti, è una virtù strumentale che promana

dall'agente principale, che è Dio.

Nel secondo modo l'uomo può concorrere all'effetto interiore del

sacramento operando come ministro. Ministro e strumento infatti sono

sullo stesso piano: poiché l'azione dell'uno e dell'altro viene applicata

esteriormente; ma sortisce un effetto interiore in forza della causa

principale, che è Dio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La purificazione che viene

attribuita ai ministri della Chiesa non è la purificazione dai peccati:

poiché è detto dei diaconi che purificano, in quanto, o estromettono gli

indegni dal ceto dei fedeli, o li preparano con pie esortazioni a ricevere i

sacramenti. E si dice dei sacerdoti che illuminano il popolo fedele, non

perché infondono la grazia, ma perché danno i sacramenti della grazia,

come risulta dal testo di Dionigi.

2. Le preghiere che si dicono nel conferire i sacramenti vengono

presentate a Dio, non a nome di persone private, ma di tutta la Chiesa,

le cui orazioni vengono esaudite, secondo la promessa evangelica: "Se

due di voi si mettono insieme sulla terra a domandare qualsiasi cosa,

essa sarà loro concessa dal Padre mio". Tuttavia non si può dire che la

devozione privata di un santo non cooperi affatto allo scopo.

Quello però che è l'effetto proprio del sacramento non si impetra con

le preghiere della Chiesa o del ministro, ma per i meriti della passione

di Cristo, la cui virtù, come abbiamo notato, opera nei sacramenti. Il

sacramento quindi non ha un effetto superiore perché è compiuto da un

ministro più santo. Tuttavia la devozione del ministro può ottenere

qualche cosa a chi riceve il sacramento: non nel senso che il ministro ne

sia la causa diretta, ma nel senso che l'impetra da Dio.

3. Le cose inanimate non concorrono all'effetto interiore dei

sacramenti se non strumentalmente, come abbiamo spiegato. In modo

analogo gli uomini, come abbiamo detto, non producono l'effetto

interiore dei sacramenti, se non come ministri.

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Sacramenti in generale

207

ARTICOLO 2

Se i sacramenti siano soltanto d'istituzione divina

SEMBRA che i sacramenti non siano solo d'istituzione divina.

Infatti:

1. Le cose d'istituzione divina ci sono tramandate dalla Sacra

Scrittura. Ma nei sacramenti si trovano cose che la Sacra Scrittura non

menziona: p. es., il crisma della confermazione, l'olio con cui si

consacrano i sacerdoti e molte altre cose, parole e azioni, usate nei

sacramenti. Dunque i sacramenti non sono soltanto d'istituzione divina.

2. I sacramenti sono segni. Ma le cose sensibili hanno un simbolismo

naturale. Ora, non si può dire che Dio abbia preferenza per certi segni e

non per altri: perché egli ama tutte le cose che ha fatto. Semmai sembra

una caratteristica dei demoni lasciarsi allettare da determinati segni;

dice infatti S. Agostino: "Vengono attratti i demoni mediante le creature

fatte non da essi, ma da Dio, dalla varietà delle loro forme, non come

animali dai cibi, ma come spiriti dai segni". Non è necessario dunque

che i sacramenti siano d'istituzione divina.

3. Gli Apostoli in terra facevano le veci di Dio, S. Paolo infatti

dichiara: "Anch'io, se in qualche cosa ho usato misericordia, l'ho fatto

per amor vostro in persona di Cristo", cioè come se l'avesse usata Cristo

medesimo. Perciò gli Apostoli e i loro successori possono istituire

nuovi sacramenti.

IN CONTRARIO: Istituire è dare alla cosa forza e vigore; il che è

evidente nell'istituzione delle leggi. Ma la forza del sacramento viene

solo da Dio, come abbiamo già dimostrato. Soltanto Dio dunque può

istituire un sacramento.

RISPONDO: Ricordiamo quanto è stato già detto, cioè che i

sacramenti producono strumentalmente effetti spirituali. Ora, lo

strumento riceve la sua virtù dall'agente principale. Due però sono gli

agenti, cui si riferisce il sacramento, cioè chi lo ha istituito e chi lo usa.

Ma la virtù del sacramento non può venire da chi lo usa, perché questi

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Sacramenti in generale

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non agisce se non come ministro. Resta dunque che la virtù del

sacramento promani dall'istitutore. Ma non potendo a sua volta la virtù

del sacramento provenire che da Dio, è chiaro che solo Dio è l'istitutore

dei sacramenti.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che si trova nei

sacramenti per istituzione umana, non è necessario alla validità del

sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a

eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono. Ciò che

invece è indispensabile alla validità di un sacramento, è stato istituito da

Cristo stesso, che è Dio e uomo. Ora, sebbene non tutto ci sia stato

tramandato dalle Scritture, tuttavia la Chiesa lo ha appreso dalla

tradizione nata dalla familiarità con gli Apostoli, come risulta dalle

parole di S. Paolo: "Alla mia venuta regolerò le altre cose".

2. Le cose sensibili hanno per loro natura una certa attitudine a

rappresentare effetti spirituali; ma questa attitudine deve essere

determinata per istituzione divina a un significato specifico. È quanto

intende dire Ugo da S. Vittore, quando afferma che "il sacramento ha

valore di simbolo in forza dell'istituzione". Dio poi ha preferito per i

segni sacramentali certe cose ad altre, non perché egli limiti il suo

affetto alle cose scelte, ma perché più adatte per un dato significato.

3. Gli Apostoli e i loro successori fanno le veci di Dio nel governo

della Chiesa costituita sulla fede e sui sacramenti. Perciò, come non è in

loro potere fondare un'altra Chiesa, così non possono insegnare altra

fede né istituire altri sacramenti: poiché giustamente si dice che la

Chiesa è stata costruita sui sacramenti, "sgorgati dal costato di Cristo

pendente dalla croce".

ARTICOLO 3

Se Cristo come uomo avesse il potere di produrre l'effetto interiore

dei sacramenti

SEMBRA che Cristo come uomo avesse il potere di produrre

l'effetto interiore dei sacramenti. Infatti:

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Sacramenti in generale

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1. S. Giovanni Battista dichiarò: "Chi mi ha mandato a battezzare

con l'acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo

Spirito Santo, è quello stesso che battezza con lo Spirito Santo". Ma

battezzare con lo Spirito Santo è conferirne la grazia interiore. Ora, lo

Spirito Santo discese su Cristo in quanto uomo, perché in quanto Dio

egli dà lo Spirito Santo. Cristo dunque anche come uomo ebbe il potere

di causare l'effetto interiore dei sacramenti.

2. Il Signore affermò: "Sappiate che il Figlio dell'uomo ha sulla terra

il potere di rimettere i peccati". Ma la remissione dei peccati è un effetto

interiore del sacramento. Dunque il Cristo come uomo produce l'effetto

interiore dei sacramenti.

3. L'istituzione dei sacramenti è propria di colui che come agente

principale ne produce l'effetto interiore. Ma è noto che Cristo fu

l'istitutore dei sacramenti. Quindi egli ne produce anche l'effetto

interiore.

4. Nessuno senza i sacramenti può produrne gli effetti, se non li

produce per virtù propria. Ma Cristo senza ricorrere al sacramento ne

conferì l'effetto, com'è evidente nel caso della Maddalena, a cui disse:

"Ti sono rimessi i tuoi peccati". Dunque Cristo come uomo produce

l'effetto interiore del sacramento.

5. Colui per la cui virtù il sacramento opera è l'agente principale nel

produrre l'effetto interiore. Ora, i sacramenti ricevono la loro virtù dalla

passione di Cristo e dall'invocazione del suo nome, secondo le parole

dell'Apostolo: "Forse Paolo fu messo in croce per voi? Oppure è nel

nome di Paolo che siete stati battezzati?". Cristo dunque in quanto

uomo produce l'effetto interiore del sacramento.

IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: "Nei sacramenti è la virtù

divina a operare invisibilmente la salvezza". Ma la virtù divina

appartiene a Cristo come Dio e non come uomo. Quindi Cristo non

produce l'effetto spirituale del sacramento in quanto uomo, ma in

quanto Dio.

RISPONDO: Cristo produce l'effetto interiore dei sacramenti e in

quanto Dio, e in quanto uomo, ma in modo diverso. Infatti in quanto

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Sacramenti in generale

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Dio opera nei sacramenti come causa suprema. In quanto uomo invece

produce gli effetti interiori dei sacramenti come causa meritoria ed

efficiente, però strumentalmente. Infatti abbiamo già detto che la

passione di Cristo, subita da lui secondo la natura umana, è causa

meritoria ed efficiente della nostra salvezza: non come causa agente

principale, o suprema, ma come causa strumentale, in quanto la sua

umanità, secondo le spiegazioni date, è strumento della divinità.

Nondimeno essendo la natura umana di Cristo strumento congiunto

ipostaticamente alla divinità, ha, secondo le spiegazioni date, una certa

superiorità e causalità sugli strumenti separati, che sono i ministri della

Chiesa e i sacramenti. Perciò come Cristo in quanto Dio ha sui

sacramenti potere di autorità, così in quanto uomo ha su di essi potere di

ministro principale, ossia potere di eccellenza. Quest'ultimo consiste in

quattro prerogative. Primo, nel merito e nella virtù della sua passione, la

quale opera nei sacramenti, come abbiamo già visto. - E poiché la virtù

della sua passione viene applicata a noi mediante la fede, conforme al

testo di S. Paolo: "Dio ha prestabilito Cristo quale mezzo di

propiziazione, per via della fede, nel suo sangue", fede che noi

professiamo invocando il nome di Cristo, in secondo luogo il potere di

eccellenza che Cristo ha sui sacramenti esige che essi vengano conferiti

nel suo nome. - E poiché i sacramenti traggono la loro forza

dall'istituzione, in terzo luogo il potere di eccellenza esige che Cristo, il

quale ha loro conferito la virtù, abbia potuto istituirli. - E poiché la

causa non dipende dall'effetto ma viceversa, in quarto luogo il potere di

eccellenza di Cristo implica che egli abbia potuto produrre gli effetti dei

sacramenti senza di essi.

E così son risolte anche le difficoltà, poiché tutte hanno una parte di

verità secondo la distinzione adottata.

ARTICOLO 4

Se Cristo potesse comunicare ai ministri il suo (stesso) potere sui

sacramenti

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Sacramenti in generale

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SEMBRA che Cristo non avrebbe potuto comunicare ai ministri il

suo (stesso) potere sui sacramenti. Infatti:

1. S. Agostino ragiona così: "Se poteva e non volle, fu geloso". Ma la

gelosia va esclusa da Cristo, che ebbe la somma pienezza della carità.

Dunque, se non comunicò ai ministri il suo potere, vuol dire che non lo

poteva comunicare.

2. A commento delle parole di S. Giovanni "Farà cose maggiori di

queste", S. Agostino afferma: "Questo, cioè rendere giusto un

peccatore, direi senz'altro essere cosa più grande che creare il cielo e la

terra". Ma Cristo non poteva concedere ai suoi discepoli di creare il

cielo e la terra. Quindi neppure di rendere giusto un peccatore. Ora,

siccome la giustificazione dei peccatori viene compiuta dal potere che

Cristo ha sui sacramenti, è chiaro che egli non poteva comunicarlo ai

ministri.

3. A Cristo in quanto capo della Chiesa compete la facoltà di

diffondere la grazia sugli altri, secondo l'espressione di S. Giovanni :

"Della pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto". Ma questa non era

comunicabile: altrimenti la Chiesa sarebbe diventata mostruosa,

venendo ad avere molti capi. Dunque Cristo non poteva comunicare ai

ministri il suo potere.

IN CONTRARIO: S. Agostino spiega la dichiarazione di S.

Giovanni Battista, "Io non lo conoscevo", quasi volesse dire: "Io non

sapevo che il Signore in persona avrebbe battezzato e se ne sarebbe

riservato il potere". Ma Giovanni non l'avrebbe ignorato, se tale potere

non fosse stato comunicabile. Dunque Cristo avrebbe potuto

comunicare ai ministri il suo potere.

RISPONDO: Cristo, come è stato detto, ebbe sui sacramenti un

duplice potere. Uno di autorità, che gli compete come Dio. E tale potere

non poteva essere comunicato a nessuna creatura: come non può essere

comunicata l'essenza divina.

L'altro era un potere di eccellenza, che gli compete in quanto uomo.

E tale potere Cristo avrebbe potuto comunicarlo ai ministri: concedendo

loro tanta pienezza di grazia, da far sì che i loro meriti influissero sugli

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Sacramenti in generale

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effetti dei sacramenti; che i sacramenti fossero conferiti nel loro nome;

che essi potessero istituirli; e finalmente che potessero produrre l'effetto

sacramentale col loro volere, senza il rito esterno. Infatti lo strumento

congiunto, quanto più è forte, tanto maggiore virtù può comunicare allo

strumento separato, come la mano al bastone.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo si astenne dal

partecipare ai ministri della Chiesa il proprio potere di eccellenza, non

per gelosia, ma per il bene dei fedeli; affinché non riponessero la loro

speranza nell'uomo, e non istituissero sacramenti diversi, che dessero

ansa al sorgere di divisioni nella Chiesa; come avvenne (ciò nonostante)

presso i cristiani di Corinto su testimonianza dell'Apostolo: "Io sono di

Paolo, e io di Apollo, e io di Cefa".

2. L'argomento si riferisce al potere di autorità che compete a Cristo

in quanto Dio. - Tuttavia il termine autorità può anche indicare il potere

di eccellenza, in confronto a quello degli altri ministri. Così a

commento delle parole "Cristo è stato forse diviso?", la Glossa afferma:

"Poteva dare l'autorità sul battesimo a chi ne aveva concesso il

ministero".

3. Per evitare l'inconveniente deplorato, cioè che nella Chiesa ci

fossero molti capi, Cristo non volle comunicare ai ministri il suo potere

di eccellenza. Tuttavia se l'avesse comunicato, egli sarebbe il capo in

modo principale, gli altri in modo secondario.

ARTICOLO 5

Se i ministri indegni siano in grado di conferire i sacramenti

SEMBRA che i ministri indegni non siano in grado di conferire i

sacramenti. Infatti:

1. I sacramenti della nuova legge sono ordinati a mondare dalla colpa

e a infondere la grazia. Ma gli indegni, essendo immondi, non sono in

grado di mondare gli altri dal peccato, secondo l'osservazione

dell'Ecclesiastico: "Chi può essere mondato da un immondo". Ed

essendo privi di grazia, non lo possono conferire, perché nessuno dà ciò

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Sacramenti in generale

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che non ha. Dunque i peccatori non sono in grado di conferire i

sacramenti.

2. Tutta la virtù dei sacramenti viene da Cristo, come abbiamo già

spiegato. Ma i peccatori sono separati da Cristo; perché non hanno la

carità che unisce le membra al loro capo, secondo le parole di S.

Giovanni: "Chi sta nella carità, sta in Dio e Dio è in lui". Perciò i

sacramenti non possono essere (validamente) conferiti dai peccatori.

3. Se manca qualcuna delle cose necessarie ai sacramenti, il

sacramento non è valido: p. es., se manca la debita forma o la materia.

Ma debito ministro del sacramento è solo chi è immune dal peccato;

poiché nel Levitico si legge: "Se nelle famiglie della tua stirpe uno avrà

qualche difetto, non offrirà i pani al suo Dio, né si accosterà a servirlo".

Dunque se il ministro è peccatore, il sacramento non ha nessun valore.

IN CONTRARIO: S. Agostino commentando le parole del Battista,

"Colui sul quale vedrai discendere lo Spirito, ecc.", osserva: "Giovanni

ignorava che il Signore avrebbe avuto e si sarebbe riservato il potere sul

battesimo, mentre l'amministrazione di esso sarebbe stata concessa ai

buoni e ai cattivi. Che ti può fare il ministro cattivo, quando il Signore è

buono?".

RISPONDO: Come abbiamo già visto, i ministri della Chiesa

operano nei sacramenti strumentalmente, perché in certo qual modo la

funzione del ministro somiglia a quella dello strumento. Ma è stato

anche detto che lo strumento non agisce in forza della propria natura,

bensì in forza della virtù di chi se ne serve. Perciò allo strumento in

quanto tale può anche capitare di avere disposizioni diverse, purché sia

salva la sua funzione specifica: a un medico, p. es., può capitare di

avere un corpo, che è strumento della sua anima esperta nell'arte

medica, o sano o infermo; e a un tubo per la conduzione dell'acqua può

capitare di essere d'argento o di piombo. I ministri della Chiesa dunque

sono in grado di conferire i sacramenti anche se peccatori.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I ministri della Chiesa

mondano gli uomini che si accostono ai sacramenti dai loro peccati e

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conferiscono loro la grazia, non con la propria virtù: ma ciò si deve al

potere di Cristo, il quale si serve dei ministri come di strumenti. Ed è

per questo che l'effetto dei sacramenti consiste nel raggiungere una

somiglianza con Cristo, non già con chi li amministra.

2. La carità unisce le membra a Cristo loro capo, perché da lui

ricevano la vita, poiché sta scritto: "Chi non ama, rimane nella morte".

Ma ci si può anche servire di uno strumento inanimato e separato, a

condizione che il corpo lo muova: diverso è infatti da parte di un

artigiano l'uso delle mani e l'uso della scure. Allo stesso modo è Cristo

che agisce nei sacramenti, sia servendosi dei buoni ministri come di

membra vive, sia servendosi dei ministri indegni come di membra

morte.

3. In due modi una cosa può essere necessaria al sacramento. Primo,

come indispensabile alla sua validità. E in questo caso, se manca, non si

produce il sacramento: così avviene quando manca la debita forma o la

debita materia. Secondo, come cosa conveniente. E in tal modo è

necessario che i ministri dei sacramenti siano buoni.

ARTICOLO 6

Se i cattivi pecchino nell'amministrare i sacramenti

SEMBRA che i cattivi non pecchino nell'amministrare i sacramenti.

Infatti:

1. A Dio come si serve con i sacramenti, così si serve con le opere di

carità, come si rileva da quelle parole della Scrittura: "Non vi

dimenticate di fare del bene e di partecipare (i vostri averi agli altri),

poiché di tali sacrifici Dio si compiace". Ma i cattivi non peccano

servendo Dio con opere di carità, che anzi sono sempre da consigliarsi,

poiché sta scritto: "Sia accetto a te, o re, il mio consiglio: riscattati con

elemosine dai tuoi peccati". Dunque i peccatori non peccano

amministrando i sacramenti.

2. Chi partecipa al peccato altrui, ne è anch'egli colpevole; perché,

come osserva S. Paolo, "è degno di morte e chi fa azioni riprovevoli, e

chi acconsente a coloro che le commettono". Ma se i cattivi peccano

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amministrando i sacramenti, coloro che da essi li ricevono sono

partecipi del loro peccato. Perciò peccano anch'essi. E questo è

inammissibile.

3. Nessuno dev'esser messo in condizione di perplessità, perché si

esporrebbe alla disperazione, trovandosi a non poter evitare il peccato.

Ma se i peccatori peccassero nell'amministrare i sacramenti, si

troverebbero perplessi; perché qualche volta peccherebbero a non

amministrarli; p. es., quando lo devono fare per quella necessità

d'ufficio, che faceva dire a S. Paolo: "La necessità mi s'impone, e guai a

me se non avrò evangelizzato"; oppure per il pericolo imminente, come

quando a un peccatore viene presentato per il battesimo un bambino che

sta per morire. Dunque i cattivi non peccano nell'amministrare i

sacramenti.

IN CONTRARIO: Dionigi afferma che "i peccatori non devono

nemmeno toccare il simbolo", cioè i segni sacramentali. E ancora:

"Temerario si mostra il peccatore che accosta la mano ai riti sacerdotali,

che osa senza vergogna compiere cose divine lui che si è posto fuori

della divinità, che crede a Dio nascoste le colpe da lui stesso viste

dentro di sé; che pensa d'ingannare Dio falsamente chiamandolo con il

nome di padre e ardisce pronunziare cristiformemente sui segni divini

non preghiere, perché non le posso chiamare così, ma immonde parole".

RISPONDO: Si pecca nell'agire, "quando non si agisce come si

deve", secondo l'espressione del Filosofo. Ora, come sopra abbiamo

notato, è necessario che i ministri dei sacramenti siano santi, perché essi

devono somigliare a Dio, secondo le parole del Levitico: "Siate santi,

perché santo sono io", e quelle dell'Ecclesiastico: "Quale il principe del

popolo, tali i suoi ministri". Quindi non c'è dubbio che i peccatori,

presentandosi quali ministri di Dio e della Chiesa, nel conferire i

sacramenti commettano peccato. E poiché, per quanto dipende dal

peccatore, si tratta di una irriverenza verso Dio e di una profanazione di

cose sante, sebbene i sacramenti in se stessi siano incontaminabili, ne

segue che questo peccato è nel suo genere mortale.

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Sacramenti in generale

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SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le opere di carità non sono

state santificate da una consacrazione, ma appartengono alla santità

della giustizia come parti di essa. Perciò l'uomo che serve a Dio come

ministro di opere di carità, se è in stato di grazia, maggiormente si

santifica; se invece è in peccato, si dispone alla grazia. Al contrario i

sacramenti hanno in se stessi per una mistica consacrazione una

(intrinseca) santità. E quindi si esige nel ministro la santità della grazia,

perché non sia in contrasto con il suo ministero. Agisce dunque

indegnamente e pecca, chi in stato di peccato esercita un tale ministero.

2. Chi si accosta a ricevere i sacramenti, li riceve dal ministro della

Chiesa, non in quanto è quella data persona, ma in quanto è ministro

della Chiesa. Perciò finché la Chiesa lo tollera nel ministero, chi da lui

riceve i sacramenti, viene a comunicare non con il suo peccato, ma con

la Chiesa che lo presenta come ministro. Se invece la Chiesa non lo

tollera degradandolo, scomunicandolo, o sospendendolo, chi pretende

ricevere da lui i sacramenti, pecca, perché si rende partecipe del suo

peccato.

3. Chi è in peccato mortale, se per ufficio deve amministrare i

sacramenti, non si trova necessariamente in stato di perplessità; perché

può pentirsi del suo peccato e amministrarli lecitamente. Niente invece

impedisce che sia veramente perplesso, nell'ipotesi che voglia rimanere

in stato di peccato.

Tuttavia non peccherebbe se battezzasse in caso di necessità, in uno

di quei casi nei quali può battezzare anche un laico. Poiché allora non si

presenterebbe quale ministro della Chiesa, ma verrebbe in soccorso di

chi è nel bisogno. Diverso è il caso degli altri sacramenti, che non sono

così necessari come il battesimo, come vedremo in seguito.

ARTICOLO 7

Se gli angeli possano amministrare i sacramenti

SEMBRA che gli angeli possano amministrare i sacramenti. Infatti:

1. Quello che può un ministro inferiore, lo può anche un ministro

superiore: tutto ciò che può il diacono lo può anche il sacerdote, ma non

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Sacramenti in generale

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viceversa. Ora, gli angeli in ordine gerarchico sono ministri superiori a

tutti gli uomini, come insegna Dionigi. Perciò, siccome gli uomini

possono amministrare i sacramenti, a maggior ragione possono farlo gli

angeli.

2. I santi in cielo vengono equiparati agli angeli, come attesta il

Vangelo. Ma alcuni santi del cielo possono amministrare i sacramenti,

perché il carattere sacramentale è indelebile, come abbiamo detto.

Dunque anche gli angeli possono amministrare i sacramenti.

3. Stando alle spiegazioni date, il demonio è il capo dei peccatori, e

questi formano le sue membra. Ma i peccatori sono in grado di

amministrare i sacramenti. Quindi anche i demoni.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "Ogni sommo sacerdote, preso di

mezzo agli uomini, è costituito rappresentante degli uomini in tutto ciò

che riguarda Dio". Ma gli angeli, buoni o cattivi, non appartengono agli

uomini. Quindi essi non vengono costituiti ministri delle cose che

riguardano Dio, cioè dei sacramenti.

RISPONDO: Tutta la virtù dei sacramenti deriva dalla passione di

Cristo, che gli appartiene in quanto uomo. Ora, a Cristo come uomo

sono conformi per natura gli uomini, non gli angeli. Anzi rispetto a

questi il Cristo viene presentato da S. Paolo come "un poco inferiore", a

motivo della passione. Dunque spetta agli uomini e non agli angeli

dispensare i sacramenti ed esserne i ministri.

C'è però da osservare che Dio, come non ha vincolato la sua virtù ai

sacramenti in tal modo da non poterne produrre gli effetti anche senza

di essi, così non ha vincolato la sua potenza ai ministri della Chiesa in

modo da non poterla concedere anche agli angeli. E siccome gli angeli

buoni sono a servizio della verità, se un ministero sacramentale venisse

esercitato dagli angeli buoni, lo dovremmo ritenere valido, perché

sarebbe evidente in ciò la volontà divina: si dice, p. es., che alcune

chiese siano state consacrate per ministero angelico. Se invece i

demoni, che sono spiriti di menzogna, prestassero qualche ministero

sacramentale, non sarebbe da ritenersi valido.

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Sacramenti in generale

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SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quello che fanno gli

uomini in una forma inferiore, ossia con i sacramenti sensibili,

proporzionati alla loro natura, lo fanno anche gli angeli come ministri

superiori in forma più alta, ossia purificano, illuminano, e perfezionano

invisibilmente.

2. I santi del cielo sono simili agli angeli nella partecipazione della

gloria, non già nella condizione della natura. Perciò non sono addetti

all'amministrazione dei sacramenti.

3. I peccatori derivano i loro poteri ministeriali sui sacramenti non

dal fatto di essere membra del diavolo col peccato. Quindi non segue

che il diavolo, loro capo, abbia più di essi tale potere.

ARTICOLO 8

Se l'intenzione del ministro si richieda alla validità del sacramento

SEMBRA che l'intenzione del ministro non si richieda alla validità

del sacramento. Infatti:

1. Il ministro agisce nei sacramenti strumentalmente. Ma l'azione non

viene compiuta secondo l'intenzione dello strumento, bensì secondo

l'intenzione dell'agente principale. Dunque l'intenzione del ministro non

si richiede alla validità del sacramento.

2. Nessuno può conoscere l'intenzione di un altro. Se dunque

l'intenzione del ministro si richiedesse alla validità del sacramento, chi

lo riceve non potrebbe avere la certezza d'averlo ricevuto validamente.

Così non potrebbe avere la certezza della salvezza, soprattutto perché

certi sacramenti sono necessari per salvarsi, come si dirà appresso.

3. Non si può avere intenzione senza avvertenza. Ma qualche volta i

ministri dei sacramenti non prestano attenzione a quello che dicono o

fanno, perché pensano ad altro. Perciò in questo caso il sacramento non

sarebbe valido per difetto d'intenzione.

IN CONTRARIO: Gli atti preterintenzionali sono casuali. Ma questo

non può dirsi dell'azione sacramentale. Quindi i sacramenti esigono

l'intenzione del ministro.

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Sacramenti in generale

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RISPONDO: Quando una cosa può essere ordinata a più scopi, è

necessario che intervenga un elemento che la determini a uno di essi, se

lo si vuole attuare. Ma le azioni sacramentali possono avere più scopi:

così l'abluzione con l'acqua che si fa nel battesimo, può essere ordinata

alla pulizia del corpo, e alla sua salute, al divertimento e a molti altri

fini. Perciò dev'essere determinata a un dato scopo, cioè all'effetto

sacramentale, dall'intenzione di chi battezza. E tale intenzione viene

espressa con le parole che si pronunciano nei sacramenti, dicendo, p.

es.: "Io ti battezzo nel nome del Padre...".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Lo strumento inanimato

non ha nessuna intenzione riguardo all'effetto, ma al posto

dell'intenzione c'è l'impulso che riceve dall'agente principale. Lo

strumento animato invece, qual'è il ministro, non è soltanto mosso, ma

si muove, in quanto con la sua volontà muove le membra ad agire.

Perciò occorre la sua intenzione con la quale si metta a servizio

dell'agente principale, ossia intenda fare quello che fanno Cristo e la

Chiesa.

2. A questo proposito ci sono due opinioni. Alcuni dicono che nel

ministro occorre l'intenzione mentale e, mancando questa, il sacramento

non è valido. Però tale difetto viene sanato da Cristo che invisibilmente

battezza nel caso dei bambini, i quali non hanno l'intenzione di accedere

al sacramento, mentre nel caso degli adulti che intendono ricevere il

sacramento è sanato dalla loro fede e devozione.

Questo si potrebbe anche ammettere quanto all'effetto ultimo che è la

giustificazione dei peccati; quanto invece all'effetto che è res et

sacramentum, ossia quanto al carattere, non sembra che la pietà del

soggetto possa supplire la mancata intenzione del ministro, perché il

carattere non s'imprime mai se non in virtù del sacramento.

Perciò altri ritengono con più ragione che il ministro del sacramento

agisca in persona della Chiesa, di cui è ministro. Ora, le parole che

pronunzia esprimono l'intenzione della Chiesa, e questa intenzione

basta alla validità del sacramento; se nulla in contrario viene

esternamente manifestato da parte del ministro o di chi riceve il

sacramento.

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Sacramenti in generale

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3. Chi pensa ad altro, sebbene non abbia l'intenzione attuale, ha

nondimeno l'intenzione virtuale, che basta alla validità del sacramento.

Immagina un sacerdote che sul punto di battezzare intenda di fare circa

il battesimo ciò che fa la Chiesa. Se poi durante il rito il suo pensiero si

distrae dietro ad altre cose, il sacramento è valido in virtù

dell'intenzione iniziale. Tuttavia il ministro del sacramento deve curare

diligentemente di mettere l'intenzione attuale. Ma ciò non è

completamente in potere dell'uomo, perché senza volerlo egli, quando

cerca di prestare maggiore attenzione, incomincia a pensare ad altro, e

si trova nella situazione del Salmista che diceva: "Il mio cuore mi

abbandona".

ARTICOLO 9

Se la fede del ministro sia necessaria al sacramento

SEMBRA che la fede del ministro sia necessaria al sacramento.

Infatti:

1. L'intenzione del ministro è necessaria alla validità del sacramento.

Ma "la fede dirige l'intenzione", come osserva S. Agostino. Quindi se

manca la vera fede nel ministro, non è valido il sacramento.

2. Se il ministro della Chiesa non ha la vera fede, è un eretico. Ma gli

eretici non possono amministrare i sacramenti. Dice infatti S. Cipriano

che "quanto fanno gli eretici, è tutto carnale, vano, falso; e nulla di ciò

che fanno dev'essere da noi accettato". E il papa S. Leone dice: "Una

crudele e furiosa pazzia manifestamente ha spento nella Chiesa di

Alessandria tutta la luce dei celesti sacramenti, ha arrestato l'oblazione

del sacrificio, ha fatto venir meno la consacrazione del crisma, perché

tutti i misteri si sono sottratti dalle mani parricide degli empi". Dunque

la vera fede del ministro è di necessità nei sacramenti.

3. Coloro che non hanno la vera fede, sono separati dalla Chiesa per

scomunica; si legge infatti in S. Giovanni: "Se qualcuno viene a voi e

non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa e non lo salutate"; e S.

Paolo raccomanda a Tito: "L'uomo eretico, dopo una o due

ammonizioni, evitalo". Ma lo scomunicato non può amministrare i

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Sacramenti in generale

221

sacramenti, perché è separato dalla Chiesa, cui appartiene

l'amministrazione di essi. Dunque la vera fede del ministro è necessaria

al sacramento.

IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Ai sacramenti di Dio non

nuoce il malcostume degli uomini, perché esso non li invalida né li

rende meno santi".

RISPONDO: Come abbiamo già detto, il ministro, poiché agisce nei

sacramenti strumentalmente, non opera per virtù propria ma per virtù di

Cristo. Ora, nella virtù personale del ministro rientra sia la sua carità

che la sua fede. Quindi come non occorre alla validità del sacramento

che il ministro abbia la carità, ché sono in grado di amministrarlo anche

i peccatori, secondo le spiegazioni date, così non occorre la fede del

ministro; ma anche chi manca di fede può amministrare un sacramento

valido, purché non manchino i requisiti necessari al sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Può accadere che uno

manchi di fede verso qualche cosa e non verso il sacramento che

conferisce: uno, p. es., può credere che il giuramento sia sempre illecito

e tuttavia credere che il battesimo è necessario alla salvezza. Tale

mancanza di fede non impedisce l'intenzione di conferire il sacramento.

Se invece manca di fede verso il sacramento stesso che amministra,

pur ritenendo che il rito esterno non abbia nessuna efficacia interiore,

tuttavia sa che la Chiesa cattolica intende con il rito esterno offrire un

sacramento. Perciò, nonostante la mancanza di fede, può avere

l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, sebbene consideri vano tutto

questo. Ebbene tale intenzione basta al sacramento; perché, come

abbiamo visto sopra, il ministro del sacramento agisce in persona della

Chiesa, la cui fede supplisce quanto manca alla fede del ministro.

2. Tra gli eretici alcuni nel conferire i sacramenti non osservano la

forma della Chiesa. E costoro non conferiscono né il sacramento, né la

grazia del sacramento. - Altri invece mantengono la forma della Chiesa.

E questi conferiscono il sacramento, ma non la grazia del sacramento.

Dico questo per quelli che siano manifestamente separati dalla Chiesa.

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Sacramenti in generale

222

Perché allora chiunque accetta da essi i sacramenti commette peccato, e

quindi non può conseguire la grazia del sacramento. Di qui le parole di

S. Agostino: "Sii fermissimamente convinto e non dubitare affatto che il

battesimo ai battezzati fuori della Chiesa, se non ritornano ad essa, porta

rovina". Ed è in tal senso che S. Leone Magno ha scritto, che "nella

sede d'Alessandria si è spenta la luce dei sacramenti": si è spenta cioè

quanto alla grazia del sacramento, non quanto al rito stesso del

sacramento.

S. Cipriano invece riteneva che gli eretici non fossero più in grado di

amministrare validamente i sacramenti; ma in questo il suo parere non è

accettabile. In proposito osserva S. Agostino: "Il martire S. Cipriano, il

quale non voleva riconoscere come validamente conferito il battesimo

dagli eretici e dagli scismatici, fu accompagnato fino al trionfo del

martirio da meriti così grandi, che quell'ombra venne fugata dalla luce

della carità di cui splendeva, e se qualche cosa aveva da espiare, la

tagliò via la falce della sua passione".

3. Il potere di conferire i sacramenti deriva dal carattere che è

indelebile, come sopra abbiamo spiegato. Quindi per il fatto che uno

viene sospeso, scomunicato, o degradato dalla Chiesa, non perde il

potere di amministrare i sacramenti, bensì la facoltà di usare tale potere.

Egli perciò amministra validamente i sacramenti, sebbene pecchi

nell'amministrarli. Così pecca chi da lui li riceve: e quindi viene a

mancare la grazia del sacramento, a meno che uno non sia scusato

dall'ignoranza.

ARTICOLO 10

Se si richieda la retta intenzione del ministro alla validità dei

sacramenti

SEMBRA che alla validità dei sacramenti si richieda la retta

intenzione del ministro. Infatti:

1. L'intenzione del ministro dev'essere conforme all'intenzione della

Chiesa, come abbiamo già detto. Ma l'intenzione della Chiesa è sempre

retta. Dunque alla validità del sacramento si richiede necessariamente la

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Sacramenti in generale

223

retta intenzione del ministro.

2. Un'intenzione cattiva è peggiore di un'intenzione scherzosa. Ma

un'intenzione scherzosa rende invalido il sacramento: nel caso, p. es.,

che uno battezzasse non seriamente, ma per gioco. Quindi a maggior

ragione lo rende invalido un'intenzione cattiva: nel caso, p. es., che uno

battezzasse un altro per ucciderlo.

3. Un'intenzione cattiva perverte tutto l'atto, secondo le parole del

Vangelo: "Se il tuo occhio è guasto, tutto il tuo corpo sarà nelle

tenebre". Ma i sacramenti di Cristo, come afferma S. Agostino, non

possono essere contaminati dai peccatori. Perciò se l'intenzione del

ministro è perversa, il sacramento non sussiste.

IN CONTRARIO: L'intenzione perversa del ministro fa parte della

sua cattiveria personale. Ma la malvagità del ministro non rende

invalido il sacramento. Quindi nemmeno la sua cattiva intenzione.

RISPONDO: L'intenzione del ministro può esser menomata in due

modi. Primo, rispetto al sacramento stesso: come quando uno non

intende amministrarlo, ma farne la parodia. E tale perversione invalida

il sacramento: soprattutto quando viene manifestata esternamente.

Secondo, l'intenzione del ministro può essere perversa rispetto a ciò

che segue il sacramento: nel caso, p. es., che un sacerdote intendesse

battezzare una donna per abusarne; o intendesse consacrare l'Eucaristia

per servirsene a scopo di veneficio. Ora, poiché ciò che viene prima non

dipende da ciò che viene dopo, ne segue che tale perversità

dell'intenzione non rende invalido il sacramento: il ministro però per

tale intenzione pecca gravemente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'intenzione della Chiesa è

retta, sia rispetto alla validità, sia rispetto all'uso del sacramento: la

prima assicura l'essenza del sacramento, la seconda il merito di chi

l'amministra. Quindi il ministro che conforma la sua intenzione a quella

della Chiesa rispetto al primo tipo di rettitudine e non al secondo,

compie validamente il sacramento, ma non ne riceve nessun merito.

2. L'intenzione scherzosa esclude la prima retta intenzione necessaria

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Sacramenti in generale

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alla validità del sacramento. Perciò il paragone non regge.

3. L'intenzione malvagia corrompe l'opera dell'agente che nutre tale

intenzione, non l'opera altrui. Perciò l'intenzione perversa del ministro

corrompe ciò che egli personalmente opera nei sacramenti, non ciò che

in essi opera il Cristo, di cui è ministro. È come se un servo portasse a

dei poveri con cattiva intenzione, l'elemosina che il padrone manda loro

con retta intenzione.

Questione 65

Il numero dei sacramenti

Dobbiamo ora considerare il numero dei sacramenti.

In proposito tratteremo quattro argomenti: 1. Se i sacramenti siano

sette; 2. Il loro ordine reciproco; 3. Il confronto tra essi; 4. Se tutti siano

necessari alla salvezza.

ARTICOLO 1

Se i sacramenti debbano essere sette

SEMBRA che i sacramenti non debbano essere sette. Infatti:

1. I sacramenti hanno efficacia dalla virtù divina e dalla passione di

Cristo. Ma unica è la virtù divina e unica la passione di Cristo, il quale

"con una sola offerta ha perfezionato i santificati", come dice S. Paolo.

Quindi non ci doveva essere che un unico sacramento.

2. Il sacramento è diretto contro le miserie del peccato. Ora, le

miserie del peccato sono due: la pena e la colpa. Quindi dovrebbero

bastare due sacramenti.

3. I sacramenti, dice Dionigi, rientrano nelle funzioni della gerarchia

ecclesiastica. Ma secondo lo stesso Dionigi i compiti della gerarchia

sono tre: "purificazione, illuminazione e perfezionamento". Dunque non

devono esserci che tre sacramenti.

4. S. Agostino osserva, che i sacramenti della nuova legge sono

"meno numerosi" dei sacramenti della legge antica. Ma nell'antica legge

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Sacramenti in generale

225

non c'era nessun sacramento che corrispondesse alla cresima e

all'estrema unzione. Perciò questi non devono annoverarsi tra i

sacramenti della nuova legge.

5. La lussuria non è un peccato più grave degli altri; e l'abbiamo

dimostrato nella Seconda Parte. Ma per difendere dagli altri peccati non

è stato istituito nessun sacramento. Quindi neppure doveva essere

istituito il sacramento del matrimonio per difendere dalla lussuria.

IN CONTRARIO: Sembra che i sacramenti siano più di sette. Infatti:

1. I sacramenti sono dei "segni sacri". Ma nella Chiesa si fanno molte

altre benedizioni con segni sensibili, come l'acqua benedetta, la

consacrazione degli altari e cose simili. Perciò i sacramenti sono più di

sette.

2. Ugo di S. Vittore afferma che sacramenti dell'antica legge erano le

oblazioni, le decime, i sacrifici. Ma il sacrificio della Chiesa è uno dei

sacramenti, quello che chiamiamo Eucaristia. Quindi anche le oblazioni

e le decime devono considerarsi sacramenti.

3. Esistono tre specie di peccato: originale, mortale e veniale. Ora,

contro il peccato originale c'è il battesimo; e contro il peccato mortale la

penitenza. Dunque dovrebbe esserci oltre i sette un ottavo sacramento

contro il peccato veniale.

RISPONDO: Come abbiamo già notato, i sacramenti della Chiesa

mirano a due scopi: a perfezionare l'uomo in ciò che spetta al culto di

Dio secondo la religione cristiana; e a fornire i rimedi contro il peccato.

Per entrambi gli scopi è opportuno il numero di sette sacramenti.

Infatti la vita dello spirito ha una certa analogia con la vita del corpo;

come in genere tutte le cose corporali hanno una certa somiglianza con

quelle spirituali. Ora, nella vita fisica sono due le perfezioni che

l'individuo deve raggiungere: una rispetto alla propria persona; l'altra

rispetto alla società in cui vive, essendo l'uomo per natura un animale

socievole. Rispetto a se stesso l'uomo nella sua vita corporale si

perfeziona in due modi: primo, direttamente (per se) acquistando una

qualsiasi perfezione; secondo, per accidens, liberandosi da ciò che

minaccia la vita, cioè dalle infermità e da altre cose simili. Il

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Sacramenti in generale

226

perfezionamento diretto della vita corporale ha tre tappe. La prima è la

generazione, per cui l'uomo comincia a essere e a vivere. E nella vita

dello spirito le corrisponde il battesimo che è una rigenerazione

spirituale; secondo quelle parole di S. Paolo: "Con il lavacro della

rigenerazione, ecc.". - La seconda è la crescita, per cui uno arriva alla

pienezza della sua statura e della sua forza. E nella vita dello spirito le

corrisponde la cresima, nella quale ci viene dato lo Spirito Santo per

irrobustirci. Difatti ai discepoli già battezzati Gesù disse: "Rimanete in

città finché siate rivestiti di forza dall'alto". - La terza è la nutrizione,

con cui l'uomo conserva in sé la vita e la forza. E nella vita dello spirito

le corrisponde l'Eucaristia. Di qui le parole evangeliche: "Se non

mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non

avrete in voi la vita".

Questo sarebbe sufficiente per l'uomo, se egli avesse fisicamente e

spiritualmente una vita indeperibile; ma poiché oltre che nelle malattie

corporali, incorre in quelle spirituali, cioè nei peccati, sono necessari

all'uomo dei rimedi contro le infermità. E questi rimedi sono due. Il

primo è la guarigione che restituisce la sanità. Nella vita dello spirito le

corrisponde la penitenza, secondo la preghiera del salmista: "Sana

l'anima mia, perché ho peccato contro di te". - L'altro rimedio è il

recupero delle forze con una opportuna dieta e con l'esercizio. Gli

corrisponde nella vita dello spirito l'estrema unzione, la quale toglie le

scorie dei peccati e dispone l'uomo alla gloria finale. Di qui le parole di

S. Giacomo: "E se trovasi in peccati, gli saranno rimessi".

Rispetto poi alla collettività l'uomo si perfeziona in due modi. Primo,

raggiungendo il potere di governare gli altri e di compiere atti pubblici.

E nella vita dello spirito a ciò corrisponde il sacramento dell'ordine;

perché, come dice S. Paolo, "i sacerdoti offrono sacrifici non solo per se

stessi, ma anche per il popolo". - Secondo, con la propagazione della

specie. E questo avviene mediante il matrimonio, tanto per la vita

corporale che per quella spirituale; perché esso non è soltanto

sacramento, ma anche ufficio di natura.

Da ciò risulta giustificato il numero dei sacramenti, anche sotto

l'aspetto di rimedi contro le miserie del peccato. Il battesimo infatti è

contro l'assenza della vita spirituale; la cresima contro la debolezza

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Sacramenti in generale

227

spirituale che si riscontra nei neofiti; l'Eucaristia contro la labilità

dell'animo rispetto al peccato; la penitenza contro il peccato attuale

commesso dopo il battesimo; l'estrema unzione contro le scorie dei

peccati non tolte del tutto dalla penitenza, o per trascuratezza, o per

ignoranza; l'ordine contro il dissolvimento della collettività; il

matrimonio contro la concupiscenza personale e contro i vuoti che la

morte apre nella società.

Alcuni però cercano di giustificare il numero dei sacramenti in

rapporto alle virtù, alle colpe e ai castighi: alla fede fanno così

corrispondere il battesimo diretto contro il peccato originale; alla

speranza l'estrema unzione, diretta contro il peccato veniale; alla carità

l'Eucaristia, la quale è ordinata contro i castighi dovuti ai peccati di

malizia; alla prudenza corrisponde l'ordine, diretto contro l'ignoranza;

alla giustizia la penitenza, ordinata a riparare il peccato mortale; alla

temperanza il matrimonio, diretto contro la concupiscenza; alla fortezza

la cresima, diretta contro la debolezza, o fragilità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una medesima causa

principale adopera diversi strumenti per effetti diversi, secondo le

esigenze delle cose da fare. Parimente la virtù di Dio e la passione di

Cristo operano in noi con sacramenti diversi come mediante strumenti

diversi.

2. Peccati e castighi si diversificano secondo la loro specie, perché ci

sono specie diverse di colpe e di pene: si distinguono però anche

secondo la diversità degli stati e delle condizioni umane. E in ordine a

ciò era opportuno che i sacramenti fossero nel numero che abbiamo

detto.

3. Nelle funzioni gerarchiche dobbiamo distinguere gli agenti, i

beneficiari e le azioni. Gli agenti sono i ministri della Chiesa. E ad essi

spetta il sacramento dell'ordine. - I beneficiari sono coloro che si

accostano ai sacramenti. Essi sono procreati dal matrimonio. - Le azioni

poi sono "purificazione", "illuminazione" e "perfezionamento". Ma la

purificazione da sola non può costituire un sacramento della nuova

legge, il quale conferisce la grazia: è compito invece di certi

sacramentali, come la catechesi e gli esorcismi. La purificazione invece

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Sacramenti in generale

228

assieme all'illuminazione spetta al battesimo, secondo Dionigi;

secondariamente però, ossia per i recidivi, spetta alla penitenza e

all'estrema unzione. Il perfezionamento poi rispetto alla virtù, che quasi

costituisce la nostra perfezione formale, spetta alla cresima; invece

rispetto al conseguimento del fine spetta all'Eucarestia.

4. Nel sacramento della cresima ci viene data la pienezza dello

Spirito Santo per irrobustirci; e nell'estrema unzione l'uomo viene

preparato immediatamente alla gloria: ebbene, nessuna di queste due

cose spettava all'antico Testamento. Perciò niente poteva corrispondere

a questi sacramenti nell'antica legge. Nondimeno nella legge antica i

sacramenti furono più numerosi per la molteplicità dei sacrifici e delle

cerimonie.

5. Contro la concupiscenza dei piaceri venerei era bene che fosse

provveduto un rimedio speciale con un sacramento: primo, perché tale

concupiscenza vizia non solo la persona, ma anche la natura; secondo,

perché essa è tanto forte da assorbire la ragione.

6. L'acqua benedetta e le altre benedizioni non si chiamano

sacramenti, perché non raggiungono l'effetto dei sacramenti che è il

conseguimento della grazia. Sono piuttosto delle disposizioni ai

sacramenti: o in quanto rimuovono gli ostacoli, come l'acqua benedetta

usata contro le insidie del demonio e contro i peccati veniali; oppure in

quanto preparano l'amministrazione dei sacramenti: così si consacrano

gli altari e i vasi per rispetto verso l'Eucarestia.

7. Le oblazioni e le decime, sia nella legge di natura che in quella

mosaica, non avevano soltanto lo scopo di sostentare i ministri del culto

e i poveri, ma anche quello di prefigurare (i tempi messianici): perciò

erano sacramenti. Attualmente invece non hanno più quest'ultimo

compito: e quindi non sono sacramenti.

8. Per distruggere il peccato veniale non occorre l'infusione della

grazia. Perciò, siccome ciascun sacramento della nuova legge infonde la

grazia, nessun sacramento della nuova legge è fatto appositamente

contro il peccato veniale, che però può essere cancellato con i

sacramentali: p. es., con l'acqua benedetta e cose simili. - Alcuni però

dicono che contro il peccato veniale è ordinata l'estrema unzione. Ma di

ciò si parlerà a suo tempo.

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Sacramenti in generale

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ARTICOLO 2

Se stia bene l'ordine accennato dei sacramenti

SEMBRA che non vada bene l'ordine accennato dei sacramenti.

Infatti:

1. Come dice S. Paolo, "è prima l'elemento animale e dopo viene

quello spirituale". Ma con il matrimonio l'uomo riceve la prima

generazione che è animale; con il battesimo poi viene rigenerato una

seconda volta spiritualmente. Dunque il matrimonio deve precedere il

battesimo.

2. Con il sacramento dell'ordine si riceve il potere di compiere azioni

sacramentali. Ma l'agente precede le sue operazioni. Dunque l'ordine

deve precedere sia il battesimo, sia gli altri sacramenti.

3. L'Eucarestia è nutrimento spirituale, mentre la cresima si equipara

alla crescita. Ma il nutrimento è causa della crescita; e

conseguentemente la precede. Perciò l'Eucarestia viene prima della

cresima.

4. La penitenza dispone l'uomo all'Eucarestia. Ma la disposizione

precede la perfezione. Dunque la penitenza deve precedere l'Eucarestia.

5. Ciò che si avvicina di più all'ultimo fine viene dopo. Ma l'estrema

unzione è tra tutti i sacramenti la più vicina all'ultimo fine della

beatitudine. Deve dunque avere l'ultimo posto tra i sacramenti.

IN CONTRARIO: I sacramenti vengono disposti da tutti

ordinariamente come sopra.

RISPONDO: La giustificazione dell'ordine dei sacramenti risulta da

quanto abbiamo detto. Infatti l'unità viene prima della molteplicità, e

quindi i sacramenti che sono ordinati alla perfezione dell'individuo

precedono naturalmente quelli che sono ordinati alla perfezione della

collettività. Perciò all'ultimo posto tra i sacramenti troviamo l'ordine e il

matrimonio, che hanno per fine la perfezione della collettività; ma il

matrimonio viene dopo l'ordine, perché partecipa meno della vita

spirituale a cui sono destinati i sacramenti.

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Sacramenti in generale

230

Tra i sacramenti che sono ordinati alla perfezione dell'individuo,

vengono prima naturalmente quelli che vi sono ordinati direttamente a

confronto di quelli che vi sono ordinati indirettamente come la

penitenza e l'estrema unzione, cioè per rimuovere eventuali

impedimenti. Ma l'estrema unzione, che completa il risanamento

spirituale, è naturalmente posteriore alla penitenza che lo inizia.

Degli altri tre sacramenti ha evidentemente la precedenza il

battesimo, che è rigenerazione spirituale; segue la cresima, che è

ordinata alla perfezione formale della virtù; ultima viene l'Eucaristia,

perché tende alla perfezione del fine.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il matrimonio in quanto è

ordinato alla vita animale, è ufficio di natura. Per quanto invece ha di

soprannaturale, è sacramento. E si mette all'ultimo posto, perché ha il

minimo di spiritualità.

2. Prima di operare bisogna aver raggiunto la perfezione. Perciò i

sacramenti che perfezionano l'uomo in se stesso, hanno la precedenza

sul sacramento dell'ordine, che rende l'uomo perfezionatore degli altri.

3. Il nutrimento precede la crescita come causa, ma la segue in

quanto conserva l'uomo nella perfezione della sua statura e della sua

forza. Ecco perché l'Eucaristia si può anteporre alla cresima, come fa

Dionigi, e può posporsi, come fa il Maestro (delle Sentenze).

4. Il ragionamento sarebbe esatto, se la penitenza occorresse

necessariamente come preparazione all'Eucaristia. Ma ciò non è vero,

perché uno che fosse senza peccato mortale, non avrebbe bisogno della

penitenza per ricevere l'Eucaristia. Questo rende evidente che la

penitenza prepara alla Eucaristia occasionalmente, cioè nell'ipotesi del

peccato. In proposito si legge nella Scrittura: "Tu, Signore, Dio dei

giusti, non imponi penitenza ai buoni".

5. Per la ragione addotta l'estrema unzione è l'ultimo tra i sacramenti

che sono destinati alla perfezione dell'individuo.

ARTICOLO 3

Se il sacramento dell'Eucaristia sia il più grande dei sacramenti

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Sacramenti in generale

231

SEMBRA che il sacramento dell'Eucaristia non sia il più grande dei

sacramenti. Infatti:

1. Il bene comune è superiore al bene privato, come osserva

Aristotele. Ma il matrimonio è ordinato al bene comune dell'umanità

attraverso la generazione; il sacramento dell'Eucarestia invece è

ordinato al bene privato di chi la riceve. Questo dunque non è il

supremo dei sacramenti.

2. Sembra che i sacramenti più nobili siano quelli che vengono

conferiti da un ministro più alto. Ma i sacramenti della cresima e

dell'ordine sono conferiti solo dal vescovo, che è un ministro superiore

al semplice sacerdote il quale può amministrare l'Eucaristia. Dunque

quei due sacramenti sono superiori.

3. I sacramenti sono tanto più importanti, quanto più grande è la loro

efficacia. Ma alcuni sacramenti, cioè il battesimo, la cresima e l'ordine,

imprimono il carattere; ciò che non fa l'Eucaristia. Dunque quei

sacramenti sono più importanti.

4. Superiore è ciò da cui dipendono le altre cose e non viceversa. Ma

dal battesimo dipende l'Eucaristia, perché nessuno può ricevere

l'Eucaristia se non è battezzato. Perciò il battesimo è superiore

all'Eucaristia.

IN CONTRARIO: Dionigi dichiara che "nessuno può raggiungere la

perfezione gerarchica se non per mezzo dell'Eucaristia santissima".

Dunque questo sacramento è il più grande e il coronamento di tutti gli

altri.

RISPONDO: Assolutamente parlando, il sacramento dell'Eucarestia

è il più grande di tutti i sacramenti. Ciò risulta da tre considerazioni.

Primo, perché contiene realmente Cristo in persona: negli altri

sacramenti invece si trova una virtù strumentale partecipata da Cristo,

come sopra abbiamo spiegato. Infatti ciò che è tale per essenza è sempre

superiore a ciò che lo è per partecipazione.

Secondo, ciò risulta dall'ordine esistente tra i sacramenti: tutti gli altri

sacramenti infatti sono ordinati all'Eucarestia come al loro fine. È

chiaro, p. es., che il sacramento dell'ordine mira alla consacrazione

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Sacramenti in generale

232

dell'Eucarestia. Il sacramento del battesimo tende alla comunione

eucaristica. A questa l'uomo viene sotto altro aspetto disposto anche

dalla cresima, perché non si astenga per vergogna dal sacramento

eucaristico. Così la penitenza e l'estrema unzione preparano l'uomo a

ricevere degnamente il corpo di Cristo. Il matrimonio poi si riferisce

all'Eucarestia almeno per il suo simbolismo, in quanto rappresenta

l'unione di Cristo con la Chiesa, di cui l'Eucarestia raffigura l'unità,

onde S. Paolo ha scritto: "Grande è questo sacramento: lo dico a

riguardo di Cristo e della Chiesa".

Terzo, ciò risulta dal rituale dei sacramenti. Infatti la recezione di

quasi tutti i sacramenti si completa con la comunione eucaristica, come

osserva Dionigi: gli ordinandi, p. es., e i neo battezzati adulti ricevono

in fine anche la comunione.

Gli altri sacramenti poi si possono confrontare tra loro sotto vari

punti di vista. Sotto l'aspetto della necessità il battesimo è il primo dei

sacramenti; sotto quello della perfezione il primo è il sacramento

dell'ordine; il sacramento della cresima occupa un posto intermedio; i

sacramenti invece della penitenza e dell'estrema unzione sono al di sotto

dei precedenti, perché essi, come abbiamo visto, sono ordinati non

direttamente ma indirettamente alla vita cristiana, cioè quali rimedi

contro eventuali deficienze. Dei due l'estrema unzione sta alla penitenza

come la cresima al battesimo, cosicché la penitenza è più necessaria, ma

l'estrema unzione implica una perfezione maggiore.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il matrimonio persegue il

bene comune fisico, ma il bene comune spirituale di tutta la Chiesa è

contenuto realmente nel sacramento dell'Eucarestia.

2. L'ordine e la cresima deputano i fedeli di Cristo a dei compiti

particolari che si riallacciano alla funzione di principe. Perciò conferire

tali sacramenti è competenza esclusiva del vescovo, che è quasi principe

nella Chiesa. Il sacramento dell'eucarestia invece non deputa a nessun

compito speciale, ma piuttosto, come dicemmo, questo sacramento è il

fine di tutti gli altri compiti.

3. Il carattere sacramentale, come è stato già spiegato, è una

partecipazione del sacerdozio di Cristo. Perciò il sacramento, che unisce

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Sacramenti in generale

233

l'uomo a Cristo in persona, è più degno dei sacramenti che imprimono il

carattere di Cristo.

4. L'argomentazione fa leva sulla necessità. E sotto tale aspetto il

battesimo, essendo di estrema necessità, è il primo dei sacramenti.

L'ordine e la cresima invece hanno una certa superiorità per il compito

annesso, e il matrimonio per il suo simbolismo. Niente infatti impedisce

che una cosa sia superiore relativamente, mentre non lo è in senso

assoluto.

ARTICOLO 4

Se tutti i sacramenti siano necessari alla salvezza

SEMBRA che tutti i sacramenti siano necessari alla salvezza. Infatti:

1. Ciò che non è necessario, è superfluo. Ma nessun sacramento è

superfluo, perché Dio non fa cose inutili. Tutti i sacramenti quindi sono

necessari alla salvezza.

2. Come del battesimo è detto che "se uno non rinasce dall'acqua e

dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio", così

dell'Eucarestia è detto che "se non mangerete la carne del Figlio

dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi". Quindi

come è necessario il battesimo, così lo è l'Eucarestia.

3. Senza il sacramento del battesimo ci si può salvare, purché, come

vedremo in seguito, non il disprezzo della religione, ma una forza

maggiore impedisca di riceverlo. Ora, in qualsiasi sacramento il

disprezzo della religione impedisce la salvezza dell'uomo. Dunque tutti

i sacramenti sono ugualmente necessari alla salvezza.

IN CONTRARIO: I bambini si salvano con il solo battesimo, senza

altri sacramenti.

RISPONDO: La necessità in rapporto al fine, della quale ora

parliamo, può attribuirsi a una cosa in due maniere. Primo, come

necessità assoluta, senza la quale non si può raggiungere il fine: il cibo,

p. es., è necessario così alla vita umana. - Secondo, come necessità di

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Sacramenti in generale

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convenienza, senza di cui il fine non si raggiunge con facilità: così il

cavallo è necessario per viaggiare. E questa non è una necessità

assoluta.

Ora, secondo il primo tipo di necessità tre sono i sacramenti

necessari. Due per l'individuo: cioè il battesimo in maniera diretta e

assoluta, la penitenza invece nella supposizione di un peccato mortale

dopo il battesimo. Il sacramento dell'ordine poi è necessario per la

Chiesa; perché, come dice la Scrittura, "dove non c'è governo, il popolo

va in rovina".

Per il secondo tipo di necessità sono necessari gli altri sacramenti.

Infatti la cresima completa il battesimo; l'estrema unzione la penitenza;

mentre il matrimonio conserva la comunità della Chiesa mediante la

procreazione della prole.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Perché una cosa non sia

superflua, basta che sia necessaria in uno dei due modi. Così sono

necessari tutti i sacramenti, secondo le spiegazioni che abbiamo dato.

2. Le parole del Signore che abbiamo riferito vanno applicate, come

spiega S. Agostino, alla manducazione spirituale e non alla sola

comunione sacramentale.

3. Sebbene il disprezzo di qualunque sacramento impedisca la

salvezza, tuttavia non c'è disprezzo del sacramento, se uno non procura

di riceverne qualcuno che non è indispensabile alla salvezza. Altrimenti

coloro che non ricevono l'ordine, o che non contraggono matrimonio,

disprezzerebbero tali sacramenti.

BIBLIOGRAFIA GENERALE BASICA:

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Sacramenti in generale

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INDICE

PRIMA PARTE TEOLOGIA POSITIVA.

PARTE I/I: LA COMUNICAZIONE SACRAMENTALE NELLA

STORIA DELLA SALVEZZA

I. DIO SI COMUNICA ALL’UOMO IN MODO

SACRAMENTALE

1. Sacramento e sacramentalità.

2. Carattere simbolico e radici antropologiche dei sacramenti.

3. Nozione e natura del segno e del simbolo.

4. I sacramenti come simboli.

II. LA COMUNICAZIONE SACRAMENTALE DI DIO NELLA

CREAZIONE

1. I segni fondamentali:

A. Dio si comunica nelle cose.

B. Dio si comunica all'uomo e nell'uomo.

C. La rottura della sacramentalità primordiale.

D. La religiosità: inizio del ritorno all'unione.

2. Significato dei segni sacri primitivi.

III. LA COMUNICAZIONE SACRAMENTALE NELL’ANTICO

TESTAMENTO

1. Simbolismo Religioso

2. Il memoriale

3. Significato dei segni sacri della religione ebraica:

A. Il sacrificio.

B. Ministri e luoghi di culto

C. Feste

D. La Circoncisione

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Sacramenti in generale

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E. La Benedizione e la proclamazione della fede

F. Il comportamento morale

IV. COMUNICAZIONE SACRAMENTALE NEL NUOVO

TESTAMENTO

1. Il segno-realtà del Nuovo Testamento.

2. Cristo: segno-realtà fondamentale del Nuovo Testamento.

A. Cristo è il segno di Dio

B. I Segni di Cristo

C. Il segno fondamentale di Cristo: il sacrificio del mistero

pasquale.

D. Il memoriale eucaristico.

PARTE I/II: LINEE DI SVILUPPO NELLA COMPRENSIONE

TEOLOGICA DEI SACRAMENTI

V. IL CONCETTO DI SACRAMENTO NEL NUOVO

TESTAMENTO

1. Sinottici.

2. S. Paolo.

3. Conclusione

VI. LO SVILUPPO DEL CONCETTO DI SACRAMENTO

NELLA STORIA DELLA TEOLOGIA

1. I Padri Greci: I sacramenti come misteri di Cristo

A. Padri apostolici e apologisti. (sec I-II)

B. Padri Alessandrini (Sec III)

C. I Padri Cappadoci: (Gregorio di Nissa), S. Gregorio

Nazianzeno e S. Cirillo di Gerusalemme,

D. S. Giovanni Crisostomo

E. Dionigi l'Areopagita

F. Conclusione della patristica greca e sviluppi ulteriori.

2. Padri Latini: I sacramenti come segni di grazia.

A. La nascita del termine "sacramentum" (Sec III), Bibbia latina e

Tertulliano

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Sacramenti in generale

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B. Grande patristica latina prima di S. Agostino:

Ambrogio di Milano

I donatisti

Ottato di Milevi

C. S. Agostino

D. Dopo S. Agostino

Liturgia

S. Leone Magno.

S. Isidoro di Siviglia (+636)

E. Conclusione della patristica latina:

3. La Scolastica. Nuovi problemi e sforzo di precisione

A. Verso una definizione di Sacramento: Controversia attorno a

Berengario di Tours (+1088).

B. Ugo di S. Vittore(1096-1141)

C. Pietro Lombardo (+1164)

D. Altri Scritti: Summa Sententiarum; Pietro Abelardo (+1141)

E. San Tommaso d'Aquino

L'essenza del Sacramento.

Necessità del sacramento.

Effetti del sacramento.

La causa del sacramento.

Il numero e dignità dei sacramenti.

F: La tarda scolastica e il nominalismo (sec XIV-XV)

La scuola Francescana e Domenicana.

Ockham e il Nominalismo.

Conclusione.

4. La crisi Protestante e il Concilio di Trento.

A. Il Protestantesimo

La dottrina sulla giustificazione

La dottrina sui sacramenti

B. Il Concilio di Trento

L'efficacia dei sacramenti

Il numero dei sacramenti

L'istituzione dei sacramenti

5. L'epoca postridentina

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Sacramenti in generale

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A. La Controriforma

Autori principali e temi pi discussi

Concettualizzazione e definizione del Sacramento.

Il Modo di causalità.

L'Istituzione dei sacramenti.

L’oggetto dell'intenzione del ministro.

B. L'illuminismo

C. La manualistica moderna

D. Fermenti di rinnovamento.

La riscoperta della sacramentalità della Chiesa

Scuola cattolica di Tubinga

J.H. Newman

L'Enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879).

E. La crisi modernista.

F. Nuove discussioni

6. L'epoca attuale.

A. Fattori di rinnovamento

B. Problematiche preconciliari

7. Dottrina del Concilio Vaticano II

8. Prospettive postconciliari

A. Modelli teologici:

Modello personalista.

Modello ecclesiale.

Modello della parola.

Altri

Il Catechismo della Chiesa Cattolica.

PARTE SECONDA

RIFLESSIONE SISTEMATICA

VII. L'ECONOMIA SACRAMENTALE

I sacramenti ricapitolano la struttura sacramentale della storia

salvifica.

1. Cristo Sacramento Originale.

A. Una confessione di fede permanente della Chiesa.

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Sacramenti in generale

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B. In che modo Cristo è un sacramento

Per il suo essere

Per il suo agire

Per i suoi segni privilegiati.

2. La Chiesa Sacramento Principale.

A. Storia della dottrina.

Scrittura

I Padri e la liturgia:

La scolastica

La teologia recente

Il Catechismo (775-776)

B. In che modo la Chiesa è sacramento

Per il suo essere; per il suo agire; per i suoi segni

privilegiati.

3. Sacramentalità dell’uomo e del cristiano.

A. Ogni uomo è segno sacramentale di Dio e di Cristo

B. Il cristiano segno-sacramento di Cristo e della Chiesa.

Per il suo essere; per il suo agire; per i suoi segni

privilegiati.

4. I sette sacramenti come concentrazione della sacramentalità.

Per la parola e l’azione-segno

VIII. DEFINIZIONE TEOLOGICA DI SACRAMENTO:

1. Definizioni classiche.

A. S. Agostino

B. S. Isidoro di Siviglia

C. Ugo di S. Vittore

D. La Summa Sententiarum:

E. Pietro Lombardo:

F. S. Tommaso

2. Il Concilio di Trento:

3. Dopo Trento:

A. Francesco Suárez:

B. Giovanni di San Tommaso

C. Giovanni di Lugo

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Sacramenti in generale

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D. Odo Casel

4. Magistero della Chiesa.

A. Pio XII. Sacramentum Ordinis

B. Il Concilio Vaticano II. (SC 59 CDC 840).

C. Il Catechismo della Chiesa Cattolica

5. Elementi che devono formar parte di ogni futura definizione.

6. Altre proposte di definizione.

IX. L'ISTITUZIONE E IL NUMERO DEI SACRAMENTI:

1. Concilio di Trento

2. Che cosa si intende per "istituzione dei sacramenti"?

A. S. Tommaso d’Aquino.

B. Teologia posteriore:

C. Note critiche alla teologia posteriore.

D. Proposta alternativa.

3. Il Numero settenario dei Sacramenti:

A. Tradizione e teologia.

B. Opinione di K. Rahner.

X. L'EFFICACIA O CAUSALITÀ DEI SACRAMENTI:

1. Introduzione:

2. Tradizione e teologia:

A. La virtus sacramenti presso i Padri:

B. Il signum efficax degli scolastici:

C. La problematica Tridentina e le sue cause:

D. Il Catechismo della Chiesa Cattolica.

3. Teorie per spiegare l'opus operatum.

A. L'efficacia o causalità fisica.

Giovanni Capreolo e Tommaso di Vio, Cardinale Caetano

B. L'efficacia o causalità Morale.

C. L'efficacia o causalità intenzionale.

D. Efficacia Misterica.

E. Efficacia Simbolico-strumentale.

Schillebeeckx e Karl Rahner.

F. Conclusioni.

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XI. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL SACRAMENTO:

1. Gli elementi strutturali del Sacramento (Materia e forma)

A. Tradizione e teologia.

B. Analisi del binomio materia-forma.

XII. LA DISPOSIZIONE DEL MINISTRO E DEL SOGGETTO

NELLA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO:

1. Nota terminologica:

2.. I protagonisti del sacramento.

A. Il Cristo Totale.

B. Il ministro.

3. Disposizione e intenzione del Ministro.

A. Definizione del concetto di intenzione.

B. Tipi di intenzione.

Intenzione Soggettiva (Attuale, Virtuale, Abituale)

Intenzione Oggettiva.

Intenzione oggettiva interna o esterna?

4. La risposta di fede del soggetto individuale dei sacramenti.

A. Punti essenziali.

B. Analisi del concetto tridentino: Non ponentibus obicem:

XIII LA DIMENSIONE PERMANENTE DEL SACRAMENTO:

1. Teoria della res et sacramentum

2. Il Carattere Sacramentale

A. La Scrittura

B. I Padri.

Prima di S. Agostino:

S. Agostino e la controversia donatista:

C. La Scolastica

Prima di San Tommaso

Non ripetibilità

Natura e scopo del carattere

S. Tommaso.

D. Teologia posteriore:

3. Precisazioni:

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Sacramenti in generale

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4. Il res et sacramentum negli altri sacramenti

5. La questione del Sacramentum permanens.

XIV. LA GRAZIA SACRAMENTALE:

1. Teorie della grazia santificante e sacramentale:

2. Teoria più comune.

A. Esposizione:

B. Argomenti per sostenere la comune spiegazione:

3. Critica alla comune teoria e proposta alternativa:

A. Riguardo alla produzione della grazia santificante.

B. Riguardo alla produzione della grazia sacramentale.

XV. LA VITA SACRAMENTALE: