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Questa è la copia cache di Google di http://www.rodoni.ch/busoni/bibliotechina/laforgue.htm. È un'istantaneadella pagina visualizzata il 8 gen 2011 20:59:07 GMT. Nel frattempo la pagina corrente potrebbe esserestata modificata. Ulteriori informazioni

Sono stati evidenziati i seguenti termini usati nella ricerca: jules laforgue hamlet Itermini specificati sono presenti solamente in collegamenti che rimandano alla seguente pagina: pdf

JULES LAFORGUE

MORALITÀ LEGGENDARIEAMLETOovvero

Le conseguenze della pietà filiale

TRADUZIONE DI NELO RISI È più forte di me. Dalla finestra diletta, così belante ad aprirsi con i fragili vetrigialli fermati tra losanghe di piombo, Amleto personaggio bizzarropoteva, quando gli cantava, fare dei cerchi nell'acqua, come dire nelcielo. Questo fu il punto di partenza del suo cogitare e aberrare. La torre, dove il giovane principe s'era fermamente costretto avivere dopo l'anomalo paterno decesso, s'erge lebbrosa e trascuratascolta in fondo al parco reale, sulla riva del mare che è di tutti. Taleangolo di parco è la cloaca che convoglia i rifiuti delle serre, gli spentimazzolini degli effimeri balli. Il mare è il Sund, ai cui flutti non ci sipuò affidare, con la costa della Norvegia in vista o la città diElsinborg, nido al malagiato e pratico principe Fortebraccio. L'assise della torre, dove il giovane e sventurato principe si èfermamente costretto a vivere, funghisce in riva a un'ansa stagnanteche lo stesso Sund tende a arricchire con le schiume meno chiare deisuoi quotidiani e anonimi travagli. Povera ansa stagnante! Le flottiglie dei cigni regali dall'occhiolepido non vi fanno punto scalo. Dal fondo, lutulento per massefilamentose, salgono nei crepuscoli piovorni fino alla finestra di questo

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principe così umano i cori d'intere schiatte di rospi, viscidi rantoliespettorati da vecchi catarrosi cui una minima variazione atmosfericabasta a rimuovere i reumatismi o le tenaci cove. E gli estremi risucchidelle navi da carico, come i perpetui acquazzoni, riescono a malapenaa rimuovere la cutanea lebbra di quest'angolo d'acqua decrepita,ossidata da una scia bavosa di fiele (come della malachite liquida),qua imbrattata da mucchi di foglie piatte a forma di cuore attorno adei rudimentali tulipani gialli, là irta di magri ciuffi di giunchi fioriti, difragili ombrelle che, sia detto per inciso, ricordano il fiore della carotadei nostri climi. Povera ansa! Rospi di casa e fioriture irresponsabili. E poveroangolo di parco! mazzolini buttati via da giovani donne proprio alrintocco di mezzanotte. E povero Sund! flutti svillaneggiati daicapricciosi altani, rimpianti inviliti dalle più che usuali faccende di unFortebraccio dirimpettaio!... Ecco perché (salvo burrasche) questo cantuccio d'acqua èdavvero lo specchio dello sventurato principe Amleto, nella sua torredi paria, nella sua camera con due finestre vetrate di giallo che dannol'una sul grigio sporco dei cieli, sullo slargo e su un'esistenzasenz'uscita, e l'altra che si spalanca al gemito perenne del vento tragli alberi d'alto fusto del parco. Povera stanza così strapazzata inseno a un inguaribile, insolvibile autunno! Perfino di luglio, come oggi.È oggi il 14 luglio del 1601, un sabato; e domani è domenica: nelmondo intero le ragazze andranno candidamente a messa. Ai muri, una dozzina di vedute dello Jutland, quadriirreprensibilmente ingenui, ordinati tempo addietro a un pittorecondannato alle galere e che le stanze del castello vedono esposti adozzine. Tra le due finestre, due ritratti al naturale; il primo è diAmleto, molto mondano, con un pollice infilato nella cinta di cuoiogrezzo e un sorriso accattivante dal fondo di una penombra sulfurea;il secondo è di suo padre, calato entro una bella armatura nuova, conl'occhio malizioso e faunesco: fu suo padre il re Orwendill,anomalmente deceduto in stato di peccato mortale e che Dio,secondo la ben nota misericordia, si tenga l'anima. Su un tavolo,nella luce d'insonnia dei vetri gialli, tutto un corredo d'acquefortistairrimediabilmente corroso da sporche amenità. Un ricettacolograveolente di libri, un piccolo organo, uno specchio alto da terra,una sdraio; e una credenza col suo segreto (la paura di morireavvelenato dopo il losco paterno decesso). Nella stanza da letto, in

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prossimità del letto, un'edicola gotica in ferro battuto che per ungioco di chiavi è in grado di esibire due statuette di cera: Gherutamadre di Amleto e il suo attuale marito, l'adultero e fratricidausurpatore Fengo, modellati entrambi da un pollice ricco in estrovendicativo, e con il cuore puerilmente trafitto da un ago - il belvantaggio! In fondo all'alcova, ahimé, una doccia. Nerovestito, con lo spadino al fianco e con in capo il suosombrero da nottambulo, Amleto, i gomiti sul davanzale, contempla ilSund, il vasto e laborioso Sund che smercia il solito flusso di anonimiflutti, aspettando che il vento e l'ora offrano il destro per qualchesuperbo scherzo mancino a danno delle povere barche dei pescatori(unico svago alla fatalità che li opprime). Dopo il cielo di ieri e in previsione di quello di domani, oggi èuna giornataccia livida siennò alleggerita dal recente acquazzone, cheperò promette una bella domenica per l'indomani. È già il crepuscolo,uno di quei crepuscoli che le Cronache del tempo riportano conun'emozione così contenuta; coi rumori della città di Elsinore, dalvasto specchio d'acqua messo tra sé e i dominii reali, che s'avvia adisperdere il frastuono del giorno di mercato affogandolo nelletaverne. - Ah! sospira Amleto, se come questi flutti io potessispassarmela in lungo e in largo. Ah! dal mare alle nuvole, dallenuvole al mare! vada come vada... E abbracciando con un gesto ad hoc il felice inconsapevolepanorama, così divaga: - Ah! solo che me ne occupassi... Ma tutto per istanti è così riccoe così labile! e niente è più prezioso d'un bel tacere, tacere, e agire diconseguenza... - Stabilità! Stabilità! il tuo nome è Donna... La vita, arigore, posso anche ammetterla! Ma un eroe! Anzitutto esserecondizionato dai tempi e dall'ambiente! La chiami lotta schietta e lealeper un eroe, questa?... Un eroe! e tutto il resto non è checommedia!... - Quanto a me, se io fossi una giovane per bene, tollererei chesolo un puro eroe osasse posare le sue labbra sul mio destino; uneroe di cui all'occorrenza si possano citare le formule, o le gesta...Ah! in tempi come questi di 'danno' e di 'vergogna', Michelangelodixit (uomo ben superiore ai nostrani Torwaldsen), non vi sono piùgiovinette; sono tutte samaritane, e tralascio le adorabili pupattole,ahimé, infrangibili, vipere e oche di prima piuma. - Un eroe! O

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semplicemente vivere. Metodo, Metodo, che vuoi da me? Sai beneche ho mangiato il frutto dell'incoscienza! Sai bene che sono io cheannuncio la nuova legge al nato di Donna, e che sto soppiantandol'Imperativo Categorico per instaurare in sua vece l'ImperativoClimaterico!... Il principe Amleto ne ha tante sul cuore che non starebbero incinque atti né in tutta la nostra filosofia che regge il cielo e la terra;ma ciò che al presente più l'infastidisce è l'attesa di quei commediantiche non arrivano e sui quali conta in modo così tragico; perdipiù egliha appena fatto a pezzi le lettere di Ofelia scomparsa la vigilia, letterescritte su carta doppia d'Olanda con una smania di mocciosa venutasu dal nulla, e talmente restie a essere lacerate che le dita glibruciano ancora maledettamente. Miseria, e quisquilie!... - A quest'ora, dove si sarà cacciata? Da dei parenti in campagna,ma sicuro. Tornerà tornerà, conosce bene la strada. Del resto, equando mai m'ha capito? Se ci penso! Aveva un bell'essere adorabilee sensitiva all'eccesso, sotto sotto saltava fuori l'Inglese imbevuta findalla nascita della filosofia egoistica di Hobbes. «Non v'è niente di piùpiacevole nel possesso dei nostri beni del pensiero che essi sianosuperiori a quelli degli altri» dice Hobbes. È così che Ofelia miavrebbe voluto, come un suo «bene», anche perché io erosocialmente e moralmente superiore ai «beni» delle sue piccoleamiche. E di che pensierini era capace sul benessere e sul confortonell'ora in cui s'accendono le lampade! Un Amleto di comodo!Maledizione! Un po' di pietà almeno per il mio angelo custode se nonper me! Ah! se in una sera come questa m'apparisse qui, nella miatorre d'avorio, una sorella ma cadetta di quell'Elena di Narbona cheseppe andare a conquistarsi a Firenze il suo adorato Bertrando, contedi Rossiglione, pur conscia del disprezzo di cui era ricambiata!... -Ofelia, Ofelia, mio dolce piccolo inganno, ti supplico fa ritorno; non citornerò più su. - Insomma mio caro, hai un bell'essere Amleto, seisempre una simpatica canaglia. Basta così. - Ah, eccoli! Sulle rive d'Elsinore, laggiù a sinistra egli scorge (chi non sa deisuoi occhi sorprendenti, da rondine di mare?) un assembramento, enon v'è dubbio che si tratta di quei famosi commedianti. Il traghettatore li stava imbarcando sul suo battello piatto; unbotolo abbaiava a quegli stracci; un ragazzino aveva smesso digiocare a rimbalzello. Uno di quei signori, tutto agghindato, afferrò unpaio di remi imitando il traghettatore, col gesto di chi si degrada per

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divertire la compagnia, e puntarono alla volta di... Gli indici tesiindicavano il Castello, una dama lasciava pendere il suo braccio nudosul filo dell'acqua; e i latrati le risa le voci giungevano stemperaticome all'acquerello. C'era davvero materia per una bella seratasecentesca. Lasciando la finestra Amleto s'installa davanti un tavolo, poisfoglia due smilzi quaderni. - Eppure sì! L'impulso era di affidarmi all'orribile, orribile, orribileavvenimento al fine di esaltare la pietà filiale, figurarmi il fatto intutta la sua irrefutabilità poetica, far gridare l'ultimo grido al sanguedi mio padre, caldarmi !üèïò ôï" åßíáé$)! ho preso gustoall'opera, io! Poco per volta dimenticai che si trattava di mio padreassassinato, spogliato di quel che gli restava da vivere in questo belmondo (pover'uomo, pover'uomo!), di mia madre prostituita (visioneche mi ha distrutto la Donna spingendomi a far morire di vergogna edi consunzione la celeste Ofelia!), del mio trono, per finire! Me neandavo a braccetto con le finzioni di un bel tema. Che sia un beltema, è indubbio! Rifeci il lavoro in versi giambici, intercalai accessoriprofani, espunsi dal mio vecchio Filottete una epigrafe sublime. Sì,scavavo i miei personaggi più addentro del vero! forzavo i documenti!Con immutato genio ho difeso la causa del bravo eroe e del pessimotraditore! Poi a sera, dopo aver ribadito un'ultima rima con una tirataa effetto, mi addormentavo sorridendo beato alle domestichechimere, come un onest'uomo di lettere che col lavoro della pennamantiene una ricca prole! Mi addormentavo scordando di rivolgere lemie preghiere alle due statuine di cera e di ritorcergli l'ago in cuore!Va va, istrione! Guardatelo il piccolo mostro! E il giovane insaziabile principe corre a genuflettersi dinnanzi alritratto di suo padre e ne bacia i piedi sulla fredda tela. - Vero che mi perdoni, padre? Tutto sommato tu mi conosci... E nel rialzarsi, non riuscendo a schivare l'occhio paterno, sempree comunque ammiccante sotto un'aria regalmente faunesca: - Del resto, tutto è ereditarietà. Sii scienza e istinto e finirai colvederci chiaro. Torna a sedere presso i suoi quaderni, che contempla con unostesso occhio regalmente faunesco. - Eppure vi sono delle belle pagine là dentro, se solo i tempifossero meno grami!... Come vorrei essere semplice chierico a Parigi,monte Santa Genoveffa, dove oggidì fiorisce una scuola di neo-

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alessandrini! Un semplice misero bibliotecario alla corte brillante deiValois! invece che in quest'umido castello, in quest'antro di sciacalli edi rozzi personaggi dove non si è nemmeno sicuri della propriapelle!... Hanno battuto due colpi con una chiave d'oro sul martellod'argento della porta. Entra un valletto. - I due primari della compagnia sono qua, secondo gli ordini divostra Altezza. - Che entrino. - E poi sua Maestà la regina chiede se vostra Altezza persiste avolere che lo spettacolo abbia luogo proprio questa sera. - Diamine! e perché no? - Già ma anche il seppellimento del lord ciambellano Polonio haluogo proprio questa sera, o vostra Altezza lo ignora? - Ma che ragionamenti! C'è chi recita e c'è chi sparisce dietro lequinte, ecco tutto. E l'Ideale si elegge ugualmente il suo massiminotutte le sere, suvvia, vecchio mio. Il valletto si fa da parte e chiude la porta dietro la riverenza deidue comprimari annunciati. - Entrate fratelli. Sedete e servitevi; ecco le sigarette. Qui c'è delDubeck, e delle Bird's-eye. Niente cerimonie in casa mia. Tu, come tichiami? - William, replica l'attor giovane in farsetto a spicchi ancoraimpolverati. - E voi, mia giovane signora? (Dio com'è bella! Ancora deiguai!...). - Ofelia, riepiloga costei con nel sorriso un che di imbronciato,un sorriso infido da morire e così malefico che il giovane principesbotta, tanto per creare un diversivo: - Come! ancora un'Ofelia nella mia melassa! Oh, questa logoramania dei genitori d'imporre ai propri figli dei nomi teatrali! PerchéOfelia mica è preso dalla vita, oh, no! Sono tutte storie dapalcoscenico e da repliche: Ofelia, Cordelia, Lelia, Coppelia, Camelia!Per un paria come me non avreste un altro nome di battesimo (diBattesimo, sia ben chiaro!), magari per farmi piacere? - Sì, Signore, mi chiamo Kate. - Alla buon'ora! e vi sta meglio! Qua le mani, che ve lesbaciucchi Kate, come vuole il cerimoniale. E si alza, e la bacia in fronte, a lungo, su quella fronte a cui

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volta brusco le spalle per andare alla finestra e tuffare un istante ilviso tra le mani. William fa un segno alla compagna: - Di', non ci avevano ingannato. Lo è davvero. - Possibile? rispondono con tutta la mansuetudine blu di cui sonocapaci gli occhi di Kate che, paffete!, Amleto t'incontra tornando alsuo posto. Amleto alza le spalle, adulatorio: - Ebbene, ragazzi miei, basta con le cerimonie. Che cosa avetenel vostro repertorio? - Abbiamo Le Allegre Comari di Saint-Denis, Il Dottor Faustus,L'Apologo di Menenio Agrippa, Il Re di Tule. - Sì, sì, il resto posdomani, al suo momento. Tutte belleconcezioni, ma non immacolate come le mie. Per qui e per stasera,mi studierete in segreto il dramma che vi dico io. D'altronde sareteregalmente ricompensati. È un mio dramma. Richiede solo tre ruoliprincipali. C'è un re, di nome Gonzago e una regina, Battista; il luogoè Vienna. La regina intrattiene relazioni adulterine e orditrici con ilcognato Claudio. Un dopopranzo, il re fa la siesta: cova sotto lapergola i suoi peccati in fiore; la regina finge austeramente dimondare delle fragole per il risveglio dello sposo. SopraggiungeClaudio. I due complici si scambiano un bacio silenzioso, poi fannofondere del piombo in un cucchiaio e lo versano delicatamentenell'orecchio del re. - Che orrore! si lascia sfuggire Kate con un sospiro che finisce inbroncio. - Orribile, vero? orribile! orribile! ... Dunque dicevamo cheversano del piombo fuso (questo liquido pallido!); il povero reGonzago spira tra le convulsioni ... orribili, orribili; e, badate bene, instato di peccato mortale. Allora Claudio gli toglie la corona, se la calcasul capo e offre il braccio alla vedova. Ne consegue che, a dispettodei pronostici più incresciosi, William sarà Claudio, e Kate la regina,due bei mostri, in fede mia. - È che... esita Kate. - È che, dichiara William, per consuetudine la mia compagna e ionon incarniamo, di preferenza, che ruoli simpatici. - Simpatici? Razza di villani! E in base a che voi potete giurarese un essere è simpatico, in questo mondo? E il Progresso allora,dove lo mettete?

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- Sempre agli ordini del nostro grazioso signore. - William, a voi il manoscritto, ve lo affido e soprattutto non losmarrite; sul serio, ci tengo. Studiatelo come si deve per stasera. Ebadate bene: tutto quello che ho segnato a matita rosso sangue dibue dovrà essere recitato con foga e sottolineato; e tutto quello che ècompreso in una graffa a matita blu me lo potete sopprimere cometroppo episodico, sebbene in fondo... tutto sommato queste strofe,per esempio: Un cuore sognante tramite occhiate Monde da ogni idea di zizzania! Mie povere forze estenuate dall'arte! A furia di ripetermi ho l'emicrania!... O luna di miele Cala, cala! E questa: O animula tanto brava O carne fiera e incorrotta, È la mia indole che lotta Per essere vostra schiava. - Toh, com'è grazioso! si lasciano scappare William e Kateguardandosi. - Lo credo bene. Ah! se i tempi fossero meno grami!... E questa: Oh! va in convento! Coi tempi che corrono l'amore Lo si scambia incredulo e quieto Come un saluto. - Davvero singolare, ne conviene l'attore. E Amleto, principe di Danimarca e creatura sventurata, esulta! - E questo graziosissimo girotondo: C'era una bella blusa;

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Ron ron il gattino fa le fusa, C'era una bella blusa Con tutti i suoi bottoni... ecc. Eccetera, eccetera! - Insomma, un destino ben curioso il mio!...Ma questo, lasciatemelo: è il canto di trionfo dell'usurpatore Claudio,e lo si canta sull'aria di Ingannevoli premonizioni!... ricordate? Vi garantisco io Che Domenedio Avrà gran cura Di questa avventura! Dunque intesi. Ecco il manoscritto, ve lo riaffido, mio buonWilliam. Lo spettacolo, del resto, non ha luogo che alle dieci e ioverrò un po' prima dietro le quinte per vedere come vanno le cose. O,nell'attesa, non vorreste che io mi proverbiassi con voi per farviaccettare questo? I due comprimari intascano e escono a ritroso. William declama in sordina alla compagna: La mattana è dappertutto e senza convenevoli Tocca il girovago o l'attore di genio E nemmeno la guardia che veglia alle porte Salva Amleto dalla malasorte. - Povero giovane! sospira angelica Kate, e dire che non sembraneanche pericoloso... Amleto, uomo d'azione, resta un bel po' a sognare sul suodramma ormai in buone mani. Poi si esalta: - Ci siamo. Messer Fengo capirà, a buon intenditore... Non restache agire e apporre la mia firma! Agire! Ucciderlo! che vomiti la vita!Uccidere... Mi sono fatto la mano uccidendo ieri Polonio, mi spiava dadietro quel l'arazzo che raffigura la Strage degli Innocenti. Ah, ho tutticontro io! e domani Laerte e posdomani il dirimpettaio Fortebraccio!Devo agire, mi è d'uopo uccidere o evadere da questo luogo. Oh!evadere... Libertà libertà! Amare vivere sognare, essere famoso malontano! Oh, cara la mia aurea mediocritas! Ciò che manca a Amletoè la libertà, proprio così. - Non chiedo niente a nessuno io. Non ho

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amici, non un amico in grado di raccontare la mia storia, un amicoche mi preceda ovunque evitandomi le intollerabili spiegazioni. Nonuna donna che mi sappia apprezzare. Dimenticavo, una samaritana!samaritana per amore dell'arte, che concede i suoi baci solo aimoribondi, in sull'estremo, che non possano poi vantarsene. - E pensare che in fondo io esisto! che ho una vita tutta mia!Un'eternità in sé prenatale, un'eternità in sé dopo morto. Invecepasso i miei giorni ingannando il tempo! con la vecchiaia alle porte,l'orribile vecchiaia venerata e riverita dalle giovinette, da ipocriteragazze abitudinarie. Mica posso scalpitare così anonimo! Come sebastasse lasciare delle Memorie... Amleto Amleto, se lo si sapesse!Tutte le donne verrebbero a singhiozzare sul tuo cuore divino, comein passato andavano a singhiozzare sul corpo di Adone (con qualchesecolo di civiltà in più). - Bah, che se ne farebbero della mia biografia, attaccate comesono al loro pane quotidiano, ai loro amori e ai circostanti decessi? Sìcerto, per un momento, sulla scena, dopo che hanno banchettato; mauna volta rientrati alla magione!... - Uomini e donne in coppiaammireranno i mei scrupoli esistenziali ma non li imiteranno davvero,né perciò proveranno maggior vergogna tra loro, da uomo amato adonna amata, nell'intimità. Poi, mi si accuserà di aver fatto scuola! Ese io lo nominassi il mio dannato Maestro, il mio Maestro universale! -Tuttavia, ah! come sono solo! È così, l'epoca non vi può niente. Hocinque sensi che mi annodano alla vita; ma il sesto senso, quel sensodell'Infinito! - Fortuna che sono ancora giovane, e fintanto che godròottima salute andrà tutto bene. Ma la Libertà! la Libertà! E sia, me neandrò, ritornerò anonimo tra la brava gente e farò un matrimoniovalido per la vita e per ogni giorno. Di tutte le mie idee questa saràstata la più amletica. Ma stasera bisogna agire, bisogna oggettivarsi!Avanti, passando sulle tombe, come la Natura! Amleto lascia la sua torre, imbocca un lungo corridoiotappezzato di monotone vedute dello Jutland (che passando copre dieroici sputi) quindi svolta in un pianerottolo dove i due alabardieri diguardia hanno appena il tempo di riconoscerlo e di fare ilpresentatt'arm; altri, su delle panche giocano agli aliossi. Amleto gligrida passando: Sustine et abstine! Libertà, libertà! e fischiettandoscende ancora una rampa di scale e sbuca sotto il peristiliod'ingresso, davanti alla loggia del castellano. La finestra del castellano è aperta, alla persiana è appesa una

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gabbia. Prima ancora di vedere la gabbia Amleto ci si butta sopra, laspalanca, vi coglie un tiepido canarino appisolato, gli torce il collo trapollice e indice e, sempre fischiettando allegramente, lo scaglia infondo alla stanza, proprio in testa (oh, ma per caso) a una bimbettache sta lì col suo lavoro all'uncinetto, profittando dell'ultimo sprazzodi luce, e che smette, gli occhi spalancati e le mani giunte, di fronte aquel fulmineo misfatto! Amleto scappa senza voltarsi. E di colpo torna indietro, siavvicina alla finestra, entra nella camera. La piccola è sempre là, amani giunte. Amleto si getta ai suoi piedi. - Oh! perdono! perdono! Non l'ho fatto apposta! Espierò ciò chevorrai se me lo ordini. Sapessi come sono buono! Ho un cuor d'orocome non se ne fanno più. Vero che tu mi capisci? - O mio signore, mio signore! balbetta la bimba. Oh! se sapeste!Vi capisco tanto! è da tanto che vi amo! Ho capito tutto!... Amleto si alza. «Eccone un'altra!» pensa. - Hai un padre infermo? - No mio signore. - Peccato: gli faresti degli ottimi cataplasmi. - Oh, voi, voi! Saprei curarvi così bene! - Ma certo, ripasserò lunedì prossimo; il mio cancro non suppuraancora (non so proprio perché). A lunedì, mio angelo. Debitamente sollevato Amleto se ne va. «È sempre perallenarmi» pensa «che ho ucciso quell'uccellino». Giovane e sventurato principe! Dopo il davvero anomalo decessodel padre, strani impulsi di distruzione lo afferrano spesso alla gola. Un giorno Amleto era partito di buon'ora per la caccia. Allora lapremeditazione l'aveva tenuto desto tutta notte (la notte che portaconsiglio). Armato di pregevolissimi spilli esordì infilzando gli scarabeiche la Provvidenza gli faceva trovare sul suo cammino, lasciandoli poiproseguire in quello stato. Strappò le ali alle futili farfalle, decapitò lelumache, tagliò a rospi e rane le zampe posteriori, spolverò di salnitroun formicaio e v'appiccò il fuoco, raccolse più e più nidi pigolanti trale fratte, per abbandonarli alla corrente, e così vedano il mondo;falciando nel frattempo a dritta a manca miriadi di fiori, ignorando abella posta le loro virtù terapeutiche. Dopodiché, a caccia! Loincantava la foresta coi suoi mille brusii primaverili, non diversamenteda come l'avrebbe incantato una camera di tortura coi suoi millesfrigolii sui fornelli! E la sera, finalmente, dopo una vana siesta più in

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là sotto gli alberi che non hanno occhi per vedere, ritornando sui suoipassi, uno spasimo residuo lo spinse a prelevare dalle vittime, chenon avevano saputo celarsi per morire e che ritrovò sul suo cammino,una libbra di occhi perforati; ci si lavò le mani, se ne ingrassò lefalangi facendole scricchiolare, già tutte indolenzite. Ah! IL DEMONEDELLA REALTÀ! il piacere di constatare che la Giustizia non è che unaparola, e che tutto è lecito - con ragione, per Dio! - contro gli esseriinferiori e muti. Ma avvicinandosi al castello, istupidito dall'insonnia edalle esaltazioni, Amleto avvertiva che la diffusa pena del crepuscoloio stringeva dappresso per strangolarlo. Rientrò furtivo correndo arinchiudersi nella sua torre, guazzando stralunato ai buio dentro unbrulichio di sbatter d'occhi forati, occhi spenti imbrattati di lacrimeinessicabili, finché si rannicchiò così vestito sotto le coperte,bruciando un sudor freddo, piangendo un elisir di lacrime, disposto aidee quasi suicide o mutilanti a espiazione; auscultando il suo buoncuore, il suo cuor d'oro sommerso per sempre in quel pantano dipoveri occhi forati, eternamente meditabondi. - E l'indomani: «Bah!Ero davvero ridicolo! Le guerre allora? E i tornei da mattatoio dei beitempi andati, e il resto! Povero provinciale! Ciarlatano! Callista!». L'irreparabile assassinio dell'uccellino non è che turbi, dunque,più che tanto Amleto, - un semplice clic di valvola in accordo coi suoianimal spirits. Comodo davvero: e se Amleto non è ancora al punto dipensare di non aver apprezzato alla stessa stregua la triste Ofelia(oh! non molto diversamente, povera implume!) il suo AngeloCustode non è da meno. Il cimitero di Elsinore giace ammucchiato verticalmente sullastrada maestra, a venti minuti dalla città. Amleto passa sotto la triplaporta di cinta; qui hanno vita cinque o sei stamberghe grazie al corpodi guardia; poi è la campagna, come dappertutto, triste e piatta, oltrele difese... Degli operai fanno ritorno; degli oziosi sostano, incerti sul dafare, a quell'ora in città. A Elsinore il principe Amleto non lo riconoscono proprio. Esitano,non lo salutano. Né la sua esile figura è fatta... Ma giudicate voi. Di media statura, costituzionalmente bene in carne, Amleto hauna testa allungata, un po' infantile, che porta non troppo eretta; deicapelli castani che spiovono a punta sulla fronte nobile, per ricaderelisci e deboli, spartiti da una bella riga dritta, a nascondere duegraziose orecchie di fanciulla; una maschera imberbe ma senza che

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dia nel glabro, d'un pallore quasi artificiale eppure giovanile; dueocchi blu-bigi sempre stupiti e candidi, ora frigidi ora scaldati dalleinsonnie (ventura vuole che questi occhi romanzescamente timidiirradino pensieri limpidi e non infangati, perché Amleto, con la suaaria di guardare sempre all'ingiù come di chi cerca di definire coninvisibile antenne il Reale, farebbe pensare più a un camaldolese chea un principe ereditario di Danimarca); un naso sensuale; una boccaingenua normalmente aspirante ma che passa presto dal semichiusotenero al rictus un po' losco dei gallinacei, e da una simile grintastiracchiata agli angoli pei ferri delle odierne galere all'irresistibilerisata tagliata a salvadanaio di un ragazzetto paffuto sui quattordicianni; il mento, purtroppo, non è affatto sporgente! e ancor menovolitivo è l'angolo del mascellare inferiore, salvo nei giorni di noiaimmortale quando con l'avanzare della mascella e, di conseguenza,con l'arretrare nell'ombra della fronte vinta, l'intera maschera si ritraecome invecchiata di ventanni. E ne ha trenta. I suoi piedi sonofemminili; le mani solide e un po' contorte e contratte, all'indice dellasinistra porta uno scarabeo egizio di un bel verde smalto. Non vesteche di nero, e se ne va se ne va con un piglio strascicato e corretto,corretto e strascicato... Ed è con un piglio strascicato e corretto che Amleto si dirigeverso il cimitero al calar del sole. Incrocia branchi di proletari, vecchi, donne e bambini che fannoritorno dalle quotidiane capitalistiche galere, curvi sotto il peso di undestino sordido. - Perdio! cogita Amleto, lo so quanto voi se non meglio; l'attualeordine sociale è uno scandalo da far mozzare il fiato alla Natura! e ionon sono che un parassita feudale. E con questo? Sono nati làdentro, è una vecchia storia, il che non impedisce le loro lune dimiele, né la loro paura della morte; e tutto è bene quel che non hafine. - Ma svegliatevi una buona volta! e fatela finita! Mettete tutto aferro e a fuoco! Schiacciate come cimici d'insonnia religioni castelingue idee! Rifateci un'infanzia fraterna sulla Terra, che è nostramadre, e si vada tutti a pascolare in climi più temperati. Nei Giardini dei nostri istinti Coglieremo di che guarirci. Sì, stai fino se li aspetti! Sono troppo imbevuti di domestiche

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tirannie per osare, e non ancora sufficientemente estetici e chissamaiper quanto tempo ancora troppo vili dinnanzi all'Infinito. Cheinghiottano a bocca aperta un Polonio, filantropo da strapazzo, chesnocciola loro: «Arricchitevi!» - E dire che per un attimo ho avutoanch'io la mia follia apostolica, come Ciakya-Muni figlio di re! Oh!lallà, io e la mia impagabile esistenziucola (da dividere conun'impagabile donnacola) dovremmo prendere l'iniziativa? E perciòusare la mia fragorosa testa matta! Via, non siamo più proletari deiproletari. E tu, Giustizia umana, non sii più forte che Natura! Amicimiei, fratelli: l'approssimativo storico o l'evacuativo apocalittico, ilcaro vecchio Progresso o il ritorno allo stato di natura. Nell'attesa,buon appetito e buon divertimento per domani che è domenica. Ardua è la salita che dal viottolo mena al cimitero. Amletos'imbroncia gualcendo dei papaveri tra le dita. È arrivato troppo tardi:la cerimonia che aveva per tema Polonio è seppellita; già se ne vannole ultime ombre ufficiali. Accovacciato dietro una siepe Amleto lelascia passare senza essere visto; c'è chi dà il braccio a Laerte, figliodel defunto, che fa proprio pena. Una voce fuori della grazia di Dioesclama: «Ma quando si ha un pazzo in casa lo si rinchiude!» Nel rialzarsi Amleto si accorge di aver disturbato seriamente unformicaio. - «Tanto vale! pensa. E perché il Caso mi sia debitore...» elo finisce a colpi di tacco. Sono usciti tutti. Nel cimitero Amleto non trova che due becchinie si avvicina al primo che sta sistemando le corone deposte sullatomba di Polonio. - Avremo il suo busto solo il mese entrante annuncia, noninvitato, l'uomo. - Di che cosa è morto, si sa? - Di un urto apoplettico. Era un buontempone. A questo punto Amleto che, in coscienza e malgrado una naturacosì artista, non se n'era ancora avveduto, intuisce che ha davveroucciso un uomo, soppresso una vita, una vita di cui si può renderetestimonianza. Il nomato Polonio ... intravvedeva davanti a séquarantanni buoni almeno (era di quelli che in ogni occasione viricordano di godere di una salute di ferro) e con una stoccatainconsulta ma fatale Amleto, proprio così, glieli ha cancellati, come sitaglia in un preventivo troppo salato. Derisorie diatribe di fenomeniche non hanno senso alcuno fuori di questa terra! Amleto si pianta davanti a quel becchino che l'osserva

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aspettandosi dei complimenti per come ha disposto le corone; losquadra dall'alto in basso, poi gli ringhia in faccia: «Words! words!words! capite? parole parole parole!» E si dirige verso l'altro becchino, incurante del suo grido: «Evattene fannullone!» - E voi, brav'uomo, che cosa fate qui? - Sua Signoria lo vede, risistemo le vecchie tombe. Ah! è da queldì che i vecchi hanno smesso di asciugare i muri da queste parti. Ilnostro cimitero è rimasto sempre così piccolo, mentre le cortesie deldefunto re hanno raddoppiato quasi la popolazione della sua caracittà. Il becchino, un po' bevuto, cerca l'equilibrio su una zappa. - Ah, davvero? raddoppiato la popolazione... - Si vede che Sua Signoria non è di queste parti. Il defunto re(morto pure lui di un urto apoplettico) era sottaniere ma bell'uomo ecuor d'oro, e dappertutto dove ingravidava si lasciava dietro un buonricordo e scudi sonanti con la sua effigie. - E dite un po', il principe Amleto è proprio il figlio di sua moglieGheruta? - Eh no affatto! Sua Signoria avrà forse sentito parlare del mattomattissimo defunto Yorick... - Naturalmente. - Ebbene, il principe Amleto non è altro che suo fratello perparte di madre. Amleto fratello di un buffone di corte; non s'è poi fatto «tutto dasé» come credeva!... - E quella madre... lei? - Sicuro, la madre era la più maledettamente bella zingara che,col vostro rispetto, si sia mai vista. Era venuta da queste partidicendo la buona sorte col figlio Yorick. Fu trattenuta al Castello e unanno dopo morì mettendo al mondo il nobile Amleto; quando dicomettendo al mondo... Morì del taglio cesareo che le fecero. - Ah! ah! non è poi stato tanto facile accalappiare Amleto inquesto basso mondo!... - Proprio così. Era seppellita dove Sua Signoria vede cheabbiamo sterrato. Un mese fa viene un ordine della regina diriesumare i resti e di bruciarli malgrado che la zingara fosse cristianaquanto voi e me, e così quel giorno facemmo a chi più imbotta. Poi èvenuto il turno del suo povero Yorick, di cui Sua Signoria può

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calpestare qui i resti. - Non ci penso proprio. - Devo aggiustarmi per far posto entro un'ora al corpo dellanobile figlia di Polonio, Ofelia, che hanno ritrovato. Eh già, siamo tuttimortali. - Ah! Ofelia... Ia damigella è poi stata ritrovata? - Sissignore, vicino alla chiusa. È suo fratello Laerte che èvenuto stamane a avvertirci. Faceva una pena, povero giovane. Èmolto amato. Sapete che si occupa del problema degli alloggi deglioperai? Davvero succedono di quelle cose... - E in giro si dice che il principe Amleto è diventato pazzo, non ècosì? (Mio Dio, mio Dio! vicino alla chiusa...) - Si, è una rovina. L'ho sempre detto che siamo maturi perl'annessione. Un bel mattino il principe Fortebraccio di Norvegia cisistema tutti. Io il mio gruzzolo l'ho già convertito in azioni diNorvegia. Tutto questo non m'impedirà di lisciare il fiasco domani cheè domenica. - Bene bene, continuate il vostro lavoro. Amleto gli mette in mano uno scudo e raccoglie il cranio diYorick, poi si perde con la sua andatura strascicata e corretta tramusolei e cipressi, gravato da destini, da ben loschi destini, nonsapendo troppo che fare per rimettersi con un po' di decenza nel suoruolo. Amleto si ferma, col cranio di Yorick accostato all'orecchio eascolta, ascolta, rapito... - Alas, poor Yorick! Come uno crede in una sola conchiglia disentire il gran fracasso dell'Oceano, sembra a me d'ascoltare quadentro inestinguibile la sinfonia dell'anima universale di cui questascatola fu un crocicchio di echi. Ecco un'idea ben fondata. La vedetevoi una specie umana che non andasse più addentro in fatto dispiegazioni sulla morte, vale a dire in fatto di religione e che siattenesse a quel fragore vagamente immortale che risuona nei crani?Alas, poor Yorick! I cari elminti hanno degustato l'intelletto di Yorick...era un ragazzo di un umorismo a dir poco infinito, a me fratello (unastessa madre per nove mesi) se fratello lo si può usare in unaaccezione particolare. Fu qualcuno. Aveva l'io minuzioso, aggrovigliatoe ritorto; si vantava. E tuttociò dov'è finito? Né visto né conosciuto.Neppure più traccia del suo sonnambulismo. Il buonsenso in sé,dicono, non lascia traccia. C'era una lingua qua dentro, che

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barbugliava: «Good night, ladies; good night, sweet ladies! goodnight, good night!» E che musica, che fioritura spesso di scurrilità. -Egli prevedeva! (Amleto fa il gesto di buttare avanti il cranio). Egli siricordava. (Stesso gesto indietro). Parlava, arrossiva, SBADIGLIAVA! -Orribile orribile orribile! - Ho ancora ventanni, forse trenta da vivere,e verrà il mio turno come per gli altri. Gli altri? - Oh Tutto! chemiseria non esserci più! - Ah! voglio andarmene già domani einformarmi in giro pel mondo dei processi più adamantinid'imbalsamazione. - Vissero anch'essi, i piccoli personaggi dellaStoria, imparando a leggere, curandosi le unghie, accendendo ognisera la lampada sporca, innamorati, golosi, vanesii, avidi dicomplimenti di strette di mano e di baci, nutrendosi di ciarle diparrocchia, dicendo: «Che tempo farà domani? Ecco che vienel'inverno... Quest'anno non abbiamo avuto prugne». - Ah, tutto èbene quel che non ha fine. E tu, Silenzio, perdona alla Terra; lagirellona non ha troppo la testa a segno; il giorno della grandeaddizione della Coscienza di fronte all'Ideale essa sarà catalogata conun povero idem nella colonna evoluzioni-in-miniatura dell'EvoluzioneUnica, nella colonna delle entità trascurabili. - E poi, parole paroleparole! Questo il mio motto finché non mi si dimostrerà che le nostrelingue sposano bene una realtà trascendente. - Quanto a me, potreicol mio genio essere ciò che comunemente è detto un Messia se nonfossi troppo ma troppo viziato come un Beniamino della Natura. Iointendo tutto, io adoro tutto, io voglio fecondare tutto. Ecco perché,come l'ho inciso sul muro del mio letto in un distico regolarmentecanagliesco: La facoltà mia rara d'assimilazione Avversa il corso della mia vocazione. Mi annoio ma in un modo veramente sublime! - Insomma, checosa aspetto qui? - La morte! La morte! E chi mai, con tutto il suoingegno, trova il tempo di pensarci? Io morire? Via, via! neriparleremo con calma domani. - Morire! D'accordo che si muoresenza accorgersene come ogni sera si scivola nel sonno; non si hacoscienza del passaggio dall'ultimo pensiero lucido al sonno allasincope alla Morte. D'accordo. Ma non essere più, non esserci più, nonesserne più! Solo al pensiero di non poter più stringere sul cuore, inun pomeriggio qualunque, la secolare tristezza racchiusa nel più

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piccolo accordo di piano! - Mio padre è morto, la carne di cui sono unprolungamento non è più. Giace da quella parte, allungato sul dorsocon le mani giunte. Che posso farci, più di passare un giorno a miavolta per di là? Così anch'io sarò visto, dignitosamente allungato conle mani giunte, senza ridere! E diranno: «Dunque è finito là anche lui,quel giovane Amleto talmente vezzeggiato, talmente ricco di unamabile brio? È lui là, fattosi talmente serio, né più né meno come glialtri; che con tanta dignità ha subìto senza ribellarsi il grandissimotorto di essere là?» Amleto si prende il futuro cranio di scheletro tra le mani e provaa rabbrividire con tutte le sue ossa. - Oh! attenzione! Cerchiamo di essere seri in questo luogo! Oh!dovrei saper trovare delle parole appropriate! Ma che ci posso fare sea tuttociò io resto freddo? - Vediamo un po': se ho fame ho la nettasensazione del cibo; se ho sete ho la netta sensazione del liquido; seavverto che il mio cuore è disponibile posso piangere sul sentimentodegli occhi amati e della pelle tenera; dunque se l'idea della morte miè tanto estranea, vuol dire che sono ebbro di vita, che la vita mi ha inpugno, che la vita mi riserba qualcosa! Ah! vita mia, a noi duedunque! - Ehi voi laggiù! gli grida dietro il secondo becchino, sta giustosalendo il corteo funebre di Ofelia! Il primo impulso del pensatore Amleto è di scimmiottare ad arteil pagliaccio sorpreso nel sonno da un colpo di mazzuolo di grancassasulla schiena, ed è a malapena ch'egli riesce a reprimerlo. Poi scivoladietro una balaustra trilobata a giorno e s'apposta in attesa. Il malinconico corteo sbuca fuori (una volta per sempre!). Per gliscossoni dell'erta, alcune rose bianche cascano dal velluto nero checopre il feretro (cascano, ahi noi! una volta per sempre!). - Non è che pesi poi tanto, cogita partecipe Amleto.Dimenticavo; sarà gonfia d'acqua come un otre, la sudiciona;ripescata nella chiusa! Doveva finire da quelle parti, avendo datofondo senza criterio alla mia biblioteca. - Oh, mio Dio! Ora apprezzocerte sue occhiate blu! Povera sventurata ragazza! Così magra e cosìeroica! Cosi inviolata e così modesta! - Ma pazienza! è la rovina dellerovine! Domani il conquistatore Fortebraccio ne avrebbe fatto la suaamante; quanto a questo è un vero turco! Ben'inteso, ne sarebbemorta di vergogna, la conosco, l'avevo bene ammaestrata io! Se nesarebbe andata all'altro mondo lasciandosi dietro una pessima

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reputazione di Bella Elena, non fosse che io... Per un attimo si smemora Amleto seguendo i gesti dei fratiofficianti intorno alla fossa; si sbrigano i fratoni perché domani èdomenica e avranno il loro da fare. Una ragazza, è così prestoseppellita che sposata. Ma dove lo trovi il tempo di reagire a tuttociò?Tanto lunga è l'arte quanto breve è la vita! E per il suo umile ruolo,Amleto non può che provare un brivido di rimorso a fior di nervi. - Sebbene! sebbene! Io che sono cosi buono di cuore io che,come tutti sanno, ho un cuor d'oro, aver fatto questo! Oh, Amleto,vergognati!... - Povera Ofelia, povera Lilì; era la mia piccola amicad'infanzia, io l'amavo! Proprio così! chiaro e lampante. Inoltre nonchiedevo di meglio che di rigenerarmi secondo lo sguardo del suosorriso. Ma tanto grande è l'Arte quanto breve è la vita! E la praticitàè inesistente. Da parte di madre e di fratello, e di tutto, ero dannatoin partenza. (Dev'essere così). Di conseguenza, dunque, la pena cheallora non potevo mancare di farle, la rese magra al punto che la fedeche in tempi migliori le avevo infilato al dito cadeva ogni momento,prova celeste questa che... E poi aveva un'aria di moritura! e ancora,con tutti quei balli a corte dove ci si scolla già all'età di sedici anni, lesue spalle non furono per me una verginità da saccheggiare; il diavolomi porti se ricordo quando vidi per la prima volta le sue spalle! Ora, èrisaputo che la verginità delle spalle per me è tutto, su questo io nontransigo. E poi, con tutto il celeste dei suoi sguardi alzati, non eradiversa dalle altre. Avevo le mie buone ragioni per essere deluso. Nonmi mancava che di osservare i suoi piccoli atti di femmina; dentro dime pensavo: «A quali occhi ormai credere, dannazione! Avrei dovutocavarglieli, quegli occhi, e lavarmici le mani». Del resto, per finire,c'era quella voce infernale che arrivava sempre un bel po' prima ainostri appuntamenti e che m'intronava la testa fino a farmela perderecoi suoi «l'abbraccerà! No! Assolutamente! No, parole parole parole!»Era da impazzire; devo risparmiarmi. - Su, su, salmodiate Holy, holy,holy, Lord God Almighty! La personalità divina, ma che idea! Quandosi dice fabbricare una personalità. - Il suo paradiso è quanto ancoraricordo. Perché, effettivamente, essa aveva ciò che chiederò semprealla fidanzata del mio genio, una bocca di un'ingenuità accogliente macustodita da due occhioni che sanno, o meglio (come quell'attriceKate, ammettiamolo) due sottili occhi blu vagabondi e creduli,custoditi da una bocca devastata con la piega amara agli angoli,immortalmente sulle sue. E il suo profilo, qui del resto sta il metro

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per valutare la bellezza della donna, non ricordava il profilo di nessunanimale, dal bull-dog alla gazzella. Ma che nell'intimità io abbia coltoin lei una sfumatura canina. Insomma, era una santa in gonnella.Sarebbe stato un guaio che invecchiasse. Amante di Fortebraccio poi!Ah, Ofelia, come non eri nata per essermi compagna! come non eriabbastanza sconosciuta per esserlo! L'ho aiutata ad appassirsi e laFatalità ha fatto il resto. Ofelia, Ofelia Il tuo bel corpo sullo stagno, Tanti giunchi galleggianti In preda alla mia rancida follia... La cerimonia volge al termine (una volta per sempre!). Sisentono risuonare sulla bara le palate di terriccio, ahi!, risuonano sullabara una volta per sempre!... - Ripeto, aveva un torso angelico. C'è forse un rimedio, adesso,a tuttociò? Orsù: dieci anni della mia vita per risuscitarla! Dio nonfiata! Aggiudicato! Vuol dire che non c'è un Dio o che non mi restanoneppure dieci anni di vita. La prima ipotesi, naturalmente, mi sembrala più vitale. Amleto, uomo d'azione, lascia il suo nascondiglio solo, beninteso,dopo essersi accertato che quell'animale di Laerte se n'è andato contutta l'onorata compagnia. - Fratello mio Yorick, porto a casa il vostro cranio; gli darò unposto d'onore sullo scaffale dei miei ex-voto, tra il guanto di Ofelia eil mio dente di latte. Ah! con tutto quel che è successo ne avrò dellavoro quest'inverno! Ho dell'infinito in cartellone. Cala la notte, è tempo d'agire! Amleto ricalca la via del Castellosenza lasciarsi troppo prendere dalla quotidianità notturna dellegrandi strade. Per prima cosa sale sulla torre a posare quel cranio,ninnolo solenne. Resta un istante, coi gomiti appoggiati alla finestra,a contemplare la bella luna piena d'oro che si specchia nel marecalmo dove serpeggia una colonna franta di nero velluto e d'oroliquido, magica e senza scopo. Riflessi su di un'acqua malinconica... La santa dannata Ofelia hagalleggiato così tutta la notte... - Oh, non per questo posso uccidermi, privarmi della vita! Ofelia!Ofelia! Perdonami! Non piangere così!

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Amleto rientra in camera sua brancolando febbrilmente. - Non posso tollerare le lacrime delle ragazze. Sì, far piangereuna ragazza mi sembra più irreparabile che sposarla. Perché lelacrime sono della prima infanzia; perché il versar lacrime esprimesemplicemente un dispiacere così profondo che tutti gli annid'incallimento sociale e di ragione si sgonfiano e vanno a picco dentroquesta sorgente zampillata dall'infanzia, dalla creatura elementareincapace di fare del male. Begli occhi di Ofelia, malgrado tuttoinviolati proprio perché inaddomesticabili, addio! Si fa tardi, è tempod'agire. Rimandiamo baci e teorie. Amleto scende a vedere come va il suo dramma. Un corridoio dove normalmente si conservano i cibi pei gran ballidi gala è stato diviso in tante piccole stanze per servire da cameriniagli attori. Amleto, senza pensarci troppo, spinge con dolcezza la porta diuno di quei camerini e entra. Ma resta sulla soglia: e chi ti vede là trai bauli sfatti, piangente come una Maddalena scossa dagli ultimisinghiozzi di una crisi? proprio lei, Kate, stesa sul pavimento in unaveste di broccato rosso laminato a strisce d'oro, le braccia e le spalleofferte, libera ancora dal corpetto e col seno nudo sotto unacamicetta tutta a pieghe, là, come una povera creatura, forseconsolabile. Dolcemente e con destrezza Amleto si chiude la porta alle spallee s'approssima alla nuova storia. - Allora? cosa c'è Kate? Che cosa c'è? La bella Kate non sembra poi tanto commossa dalla presenza disua Altezza. Resta ancora a lungo prostrata nella superiorità delle suelacrime, nella superiorità della sua infanzia ritrovata. Ma dato cheprima o poi bisogna sempre arrivare al dunque, essa si alza esenz'altro segno d'interessamento per sua Altezza che di voltargli lespalle, riprende a aggiustare, qua e là nel disordine, il suo costume diregina di una sera lottando irritata contro i nodi dei lacci in un residuodi lacrime. - Malgrado tutto è generosamente bella! Oh certo, se gliparla, se gli parla sfiorando l'amletismo senza immergervisi, Amleto èperduto! Perduto e vinto! - Su, non è proprio così; Kate, amica mia, ma che c'è? E la prende con dolcezza per la vita. - Ditelo, a me. Ed ecco che la bella Kate lo fissa immortalmente, poi si lascia

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andare affondando il viso nel petto del casto principe e riprende asinghiozzare, a piangere tutte le sue lacrime su quel giubbetto divelluto nero dove Ofelia ne ha versate, e come, il mese scorso. Amleto si sente in dovere di picchiettare la sua nuca di bacicalmanti e no, e intanto le liscia le ciocche dei capelli. Ci vorrebbe la penna di Amleto per ammannirvi il sentimentodella bellezza di Kate. Kate è una di quelle apparizioni chev'inchiodano lì per strada, senza pensare di seguirla (tanto a cheserve? diciamo, chissà quante occasioni ha, quella) e che in unsalotto è guardata non con benevolenza, follia o tenerezza, ma condisinvoltura e distacco (chissà com'è abituata alle teste che si voltanostordite! meglio non allungare la coda, pensiamo). Poi si viene asapere che vive come tutte le altre, o sposata o sola o qua e là. E cisi meraviglia che non sia la tale famosa, oppressa da drammiinternazionali nonostante i suoi venticinque anni e una cert'aria dimostro che ha sempre fatto un buon sonno il giorno prima. E Kate, che ha discretamente passeggiato, ha passeggiatotutt'altro che in modo epico. Miseria se ha passeggiato! O cittadine diprovincia, paralumi accesi, sudici interrnediari, sbattere di porte! Omiseria, o occasioni! Ne ha fatto di strada, e tuttavia è qui che viguarda; e la bocca atteggiata a una campanula appena schiusa, e isuoi grandi occhi sconosciuti balbettano: «Cosa?... Ah?...» e quantamodestia in quella dolce crocchia sulla sua nuca delicata! - Beh,lasciamo perdere, essa appartiene all'altro sesso, essa è schiava, essanon sa... Non sa niente, e a Amleto non resta altro che andare su e giùcon la smorfia caritatevole e ghiotta delle sue labbra adolescenziali,lungo la pelle delicatamente risciacquata delle caste spalle scosse daldispiacere, e rivelarsi creatura, creatura senza parole. E no! a quest'ora le praterie naturali sono lontane! Per primacosa: tabula rasa, e da stasera! - Ora Kate, mi direte il perché, di queste lacrime in cui vi hosorpreso, voi che ancora ieri non mi conoscevate e che staseratrovate naturali i miei baci. Dovete dire. - Oh no, mai! - Così terribile, dunque? Andiamo, proprio a me... E siccome la parola gli muore tra le spalle nude nel su e giùdelle sue guance, Kate lo guarda in faccia, abbassa gli occhi, stira lebraccia, poi dice con voce strascicata e con un fare annoiato:

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- Bene, ecco! Sarò una disgraziata, ma di animo elevato, voglioche lo si sappia. A quante sublimi eroine ho dato vita sulla scena lo sasolo Dio! Ma quando ho letto il mio ruolo con le scene dell'infanzia edel primo fidanzamento in quella specie di lavoro che avete scritto,oh! credetemi!... Com'è così, il nostro povero destino, pietoso espietato! Oh! dovete essere unico e incompreso! e mica matto, comequei tipi da stuzzicadenti e speroni d'argento dicono in giro. Ma comedovete avergliele cantate anche! Insomma, ecco, è molto semplice...No! no! - Continua, continua, Ofelia. - Ecco! credetemi, mentre mi vestivo io mi ripetevo il monologoin chiesa, e di colpo il cuore è scoppiato un'altra volta in lacrime, e misono sentita andar giù sul pavimento. Se voi sapeste che cuoregrande che ho! Ah! basta con questa vita sfacciata e vuota! Domanimollo tutto, torno a Calais e mi faccio monaca per consacrarmi aipoveri feriti della guerra dei Centanni. Amleto, anche se bene educato, non può proprio contenere lasua allegria d'artista. È il suo battesimo di poeta! e questacommediante glielo serve sul piatto del primo teatro di Londra. Eeccolo che assilla di spiegazioni la povera Kate, e si fa indicare i passipiù insignificanti, per rispecchiarsi con cosmico cuore in quegli occhiesperti che il suo genio va dilatando di gloria. - Dunque tu credi che dinnanzi a un pubblico di capitale e sottole luci, l'effetto sarebbe sbalorditivo? E che per strada miguarderebbero passare sorpresi del mio portamento triste? E che c'èchi si ucciderebbe di fronte all'enigma della mia vita? O Kate, tusapessi! Questo dramma, non è niente, l'ho concepito e riscritto inmezzo a ripugnanti preoccupazioni domestiche. Ma ne ho pieni icassetti lassù, di drammi e di poemi, di fantasmagorie e dimetafisiche, inauditi, folgoranti o portatori di morte lenta! Ah! vedraise ci ameremo, lascio tutto anch'io, partiremo, stanotte sotto questochiaro di luna tanto terso! Ti leggerò tutto! andremo a vivere a Parigi. Kate comincia di nuovo a piangere in silenzio. - No, no Amleto, non fa per me; voglio ritirarmi, farmi monaca,curare i feriti della disgraziatissima guerra dei Centanni e pregare pervoi. Bussano alla porta. - Da brava, Kate, asciugate i piacevoli occhi, affrettate la vostratoletta; ritornerò prima che finisca lo spettacolo. Vi amo! vi amo! So

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che mi darete ragione di questa immensità. - Avanti! È il direttore di scena; di sfuggita Amleto gli intima: - E, naturalmente, mi raccomando il segreto! Questo drammanon è mio. Ma uno dei tanti del vostro repertorio. Dateci dentro. - Eh! continua con voce forte Amleto salendo nella sua stanza,me ne infischio di questa rappresentazione e della sua moralità comedel primo amante di Kate! - Il dado è tratto. Ho il mio piano, io. Sonocose che arrivano quando meno te l'aspetti. A me la vita e il resto, e ipiù che gloriosi pessimismi! Amleto si veste pesante; sistema delle acqueforti che ammucchiacon dei manoscritti, dell'oro e dei preziosi dentro due cofanetti.Sceglie alcune armi maneggevoli. Poi accende uno scaldino, vi posasopra un rame da incisione su cui adagia le due statuette di cera dalcuore trafitto infantilmente da un ago, e le due statuette liquefanopresto, unendosi teneramente in un magma ripugnante. - Me ne infischio anche del trono. Abbruttisce troppo.Fortebraccio di Norvegia mi direbbe che questo è il miglior partito daprendere. E sia; tutto bene. I morti sono morti. Girerò il mondo. EParigi! Sono certo che recita come un angelo, come un mostro.Faremo sensazione. Avremo dei curiosi nomi di battaglia. Per un attimo Amleto cerca un curioso nome di battaglia;macché! già lo prende alla gola la distanza che percorreranno quellanotte a cavallo. Già domani, domenica, che le ragazze di Elsinorestaranno come sempre a messa e ai vespri, già domani a quest'oraessi saranno lontano, malinconicamente lontano dai bastioni diElsinore! Amleto suona al suo scudiero per gli ultimi preparativi.Nell'attesa si diverte a spruzzare con getti di saliva i quadri appesi aimuri della sua camera, quelle vedute dello Jutland che furono di pesoalla sua giovinezza sterile e denutrita. Re Fengo e la regina Gheruta volgono intorno un sorriso frollod'affabilità installandosi nei loro stalli; in sala si prende posto con unfrufru incerto da campo di grano maturo che tende l'orecchio persentire da che parte tirerà il vento. I paggi arretrano verso le porte. Ilsipario si apre a destra e a sinistra della scena. Da un canto in ombra di una tribuna, Amleto cui nessuno fa maicaso, sta osservando, seduto su un cuscino, la sala e la scena tra le

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intercolonne della balaustra. «Pubblico tempestoso» è lo stereotipo che gli viene alle labbra. -Via, Amleto, che tuttociò vi lasci impenetrabilmente freddo. La salanon ha valore, l'etichetta impedendo di applaudire, e ogni viso siconforma a quelli della coppia reale che non sarà affatto a suo agio,quindi, niente affatto imparziale a partire dal secondo atto. La rappresentazione ha inizio, che Amleto conosce a memoria. Èassorto nello studio degli effetti scenici, controlla in anticipo larisonanza delle sue parole di fronte a un vero pubblico, rumina deiritocchi. Finalmente appare Kate e l'opera si fa elettrica. - Perbacco! Non ero che uno scolaro! Ecco cosa mi mancava, laprova del palcoscenico! Oh! non ho espresso neanche un quarto diquello che mi cuoce dentro. E lei! com'è decisamente echimericamente bella, cosi pettinata alla Tito! E non sembranemmeno accorgersi di dove sta andando! e in nome del Cielo! queisuoi occhi che ora sanno tutto, proprio tutto! ora niente, proprioniente! Giuro che è una creatura forgiata per portare a termine cosedi cui si parlerà tra millanni. Noi c'intendiamo. Faremo furore. Haanche lei, come Ofelia, quell'aria affettata; ma che in lei si traduce infascino (osservazione da ritenere!). Voglio amarla come la vita. - Oh!in che modo ha detto questo: Torna quaggiù Torna a vagire tra i miei capelli miei Di me, te ne farò bracciali di confiteor, Vuoi tu? inanéllati... Vengo, certo che vengo! E io che credevo di conoscere la Donna! laDonna e la Libertà! mentre le insudiciavo aprioristicamente di luoghicomuni! Tanghero! Callista! - E i due criminali laggiù; parola mia,sono ben disposti verso lo spettacolo. Ancora non hanno capito dondeviene un cosi orrendo dramma. Forse mi sono cullato un po' troppotra le fioriture dell'immaginazione e, malgrado i tagli, ne restanoancora. Ma aspettiamo la scena del giardino. - To', non c'è Laerte. Ci si alza per l'intervallo. Il re e la regina (i paggi hanno ripresoa reggere lo strascico dei loro mantelli) fanno circolo e dispensanosorrisi affabili e frolli. Si passano in giro filetti di aringa e piccoli cornidi bue selvatico schiumanti cervogia. Dalla II scena dell'atto seguente, quella della pergola dove il re

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Gonzago prende ad assopirsi ventilato dalla moglie, il pavido cuore diFengo capisce! E senza attendere l'entrata di Claudio, ecco ches'accascia svenuto. La regina si erge, molto Erinni alla PaulDelaroche; è un prodigarsi in un repertorio di moine e di bisbigli. Uncolpo di alabarda del ciambellano successore di Polonio (feliced'inaugurare così le sue funzioni) fa tirare il sipario sul drammaorrendo. Ritto nel suo angolo Amleto balbetta: - Musica! Musica! Dunque era vero! E io che ancora non cicredevo!... - Secondo me, in fondo, sono abbastanza puniti così.Scappo; un giorno di più e mi avvelenerebbero come un topo, unlurido topo! E infila di slancio le scale di servizio piene di tintinnii dicampanelli e di appelli. I camerini sono deserti. Per prima cosaAmleto riprende il suo manoscritto lasciato là, aperto al puntointerrotto. Kate lo aspettava. - Un semplice svenimento. Ti racconterò poi. Ma lascia chet'abbracci! Hai recitato come un angelo. Ora non abbiamo un minutoda perdere... come due topi! L'aiuta a venir fuori dai suoi broccati; che buona idea la sua, ditenere sotto il solito vestito! Amleto l'avvolge in un mantello e lecalca in testa una berretta. - Seguimi. Attraversano il parco, facendo svolare gli uccelli assopiti. Amletofischietta allegramente. Escono da un portoncino; uno scudiero è làche regge due cavalli per le briglie. Il tempo d'inserirsi in sella tra quei preziosi cofanetti e eccolipartiti, al trotto, nel più naturale dei modi. (No, no! Non è possibile! Eaccaduto così in fretta!). Vanno per campi, per raggiungere la strada maestra senzapassare dalla porta di Elsinore, la grande strada senza la luna che poilaggiù starà cosi bene attraverso pianure e pianure... È la strada dove Amleto, qualche ora fa, camminava incrociandoi giornalieri del proletariato: Fa un tempo dolce di termosifone da paradiso. E la luna recita,non senza successo, l'incantesimo delle notti polari. - Kate, avete cenato prima dello spettacolo? - Ah! no, figuratevi se avevo voglia di mangiare.

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- È da mezzogiorno che io non tocco cibo. Tra un'ora arriveremoa un ritrovo di caccia dove mangeremo qualcosa. Il custode è il miobalio. Da lui potrai vedere una miniatura di me infante. Amleto s'accorge che stanno passando proprio in prossimità delcimitero. (Il cimitero...) Come punto da chissacché tarantola, scende dal suo cavallo chelega a un albero, un albero malinconico e indifferente. - Solo un minuto, Kate. È per la tomba di quel pover'uomo dimio padre che fu assassinato. Ti racconterò. Torno subito; il tempo dicogliere un fiore, un semplice fiore di carta che ci farà da segnalibroquando rileggendo il mio dramma saremo costretti a interromperloper i baci. Procede tra le dure ombre dei cipressi sulle pietre al chiaro diluna, va dritto alla tomba d'Ofelia, della già misteriosa e leggendariaOfelia. E là, a braccia conserte, attende. - Indubbiamente, Da costumati Al fresco Dormono I trapassati. - Chi va là? Sei tu, Amleto della malora? Cosa vieni a fare inquesto luogo? - Siete voi, mio caro Laerte, qual buon vento?... - Sì, sono io; e se voi non foste un povero demente,irresponsabile a detta delle ultime conquiste della scienza, vi fareiscontare qui all'istante sulle loro tombe la morte del mio onorevolepadre e quella di mia sorella, giovinetta di rara perfezione! - O Laerte, niente può turbarmi. Ma state pur certo che prenderòin considerazione il vostro punto di vista... - Giusto cielo, che mancanza di senso morale! - Allora, voi credete che sia successo? - Basta! Fuori di qui, pazzo, o trascendo! Chi finisce pazzo èsegno che è nato ciarlatano. - ... tua sorella! - Ah! A questo punto si leva nella notte dal diffuso chiarore spettrale

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un abbaiare così sovranamente solitario di un cane da pagliaio allaluna, che il cuore dell'ottimo Laerte (il quale, ci penso ahimé troppotardi, avrebbe meritato piuttosto d'essere l'eroe del nostro racconto)deborda, deborda dal buio anonimato del destino dei suoi trentanni! Ètroppo! E afferrando con una mano Amleto per la gola, con l'altra glipianta nel cuore un vero pugnale. Il nostro eroe piega le orgogliose ginocchia sul prato e vomitaboccate di sangue, e mima la bestia braccata da morte certa, e vuoleparlare... stentatamente articola: - Ah! Ah! qualis... artifex... pereo! Rendendo la sua anima amletica alla natura indifferente. Laerte, idiota per troppa umanità, si china, bacia in fronte ilpovero morto, gli stringe la mano poi, a tentoni nel vuoto, fuggeattraverso il recinto e per sempre, a farsi monaco, forse. Silenzio e luna... Cimitero e natura... - Amleto! Amleto! presto chiama la voce brividosa di Kate;Amleto!... La luna allaga ogni cosa dentro un silenzio polare. Finalmente Kate viene a vedere. Kate vede. E palpa quel cadavere livido di luna e di estinzione. - Si è pugnalato, o Cielo! Si china su quella tomba e legge: OFELIA, FIGLIA DL LORD POLONIO E DI LADY ANNA MORTA DI ANNI DICIOTTO. E la data d'oggi. - Era lei che egli amava! Allora perché portarmi via con amore?Povero eroe... Che fare? Si china, lo bacia, lo chiama. Amleto, my little Hamlet! Ma la morte è la morte, si sa da che c'è vita. - Farò ritorno al Castello coi cavalli, ritroverò lo scudierotestimone della nostra partenza, e dirò tutto. Riparte allo stesso trotto, voltando le spalle alla luna piena chedoveva stare così bene laggiù, sulle pianure, le pianure, alla volta diParigi e degli splendidi Valois, che ricevono il gran mondo. Si seppe tutto, il riprovevole colpo di scena a danno dellepersonalità, il rapimento, ecc... Si mandò a cercare il cadavere con

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fiaccole di prima qualità. - O serata tutto sommato storica! Ora si dà che Kate fosse l'amante di William. - Ah! ah! fece l'uomo, così tu volevi mollare Bibì! (Bibì è un'abbreviazione di Billy, diminutivo di William). A Kate toccò una bella scarica di botte che non era la prima enon doveva nemmeno essere l'ultima, purtroppo! - E tuttavia Kate era così bella che in altri tempi la Grecia leavrebbe alzato degli altari. E tutto rientrò nell'ordine. Un Amleto di meno; non per questo la razza si è estinta,diciamocelo pure! IL MIRACOLO DELLE ROSE L'altra seminagione di Sensitive si comportò in un modo un pocodiverso, infatti i cotiledoni s'abbassarono durante la mattinata finoalle ore 11 e 30, per poi alzarsi; ma dopo mezzogiorno e 10 cadderodi nuovo. E il grande movimento ascensionale della serata non ebbeluogo che a partire dalle ore 1 e 22.Darwin I Mai, mai la piccola città termale con la sua Giunta insipiente,delegata da montanari avidi e, malgrado l'abito, nient'affatto operetta,mai ne ebbe sentore. Ah! se tutto fosse soltanto operetta!... Se tutto evolvesse atempo di quel valzer inglese Myosotis allora in voga al Casinò (ioafflitto in un angolo, come si può immaginare), valzer in coscienzacosì malinconico, e giorni, inesorabilmente ultimi bei giorni!... (Oh!quel valzer, magari io ve ne potessi inoculare in due parole ilsentimento, prima di lasciarvi entrare in questa storia!) O guanti mai rinfrescati dalla benzina! O malinconico e brillanteva e vieni di tali esistenze! O sembianze di felicità tanto scusabili! Obeltà che invecchieranno tra neri pizzi, vicino al caminetto, incapaci diapprezzare la condotta degli figlioli atletici e gaudenti che alloramisero al mondo con una malinconia così casta!...

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Piccola città, piccola città del mio cuore. Non è che i malati deambulino intorno alle Fonti, con in mano ilbicchiere graduato. Vi si fanno i bagni; acqua a 25 gradi (quattropassi dopo il bagno, poi un pisolo) buona per i nevropatici, esoprattutto per la donna, per le muliebri in quello stato. Li vedi che vanno in giro, i bravi nevropatici, tirandosi dietro unagamba che non valzerà neanche più sull'aria tenue e compassata diMyosotis, o spinti dentro una carrozzella imbottita d'usatissimo cuoio;li vedi in pieno concerto lasciare improvvisamente il loro posto alCasinò, in preda a strani rumori di deglutizione automatica; o durantela passeggiata volgersi improvvisamente portando una mano alla nucacome se qualche spiritaccio li avesse colpiti con una rasoiata; liincontri in prossimità del bosco, la faccia scossa da tic inquietanti,seminando tra le fenditure antidiluviane coriandoli di lettere lacerate.Sono i nevropatici, figli di un secolo troppo brillante; te li trovi tra ipiedi ovunque. Il vecchio sole, amico delle serpi, dei camposanti e dellebambole di cera, calamita qui come altrove qualche tisico, razzatardigrada eppure cara al dilettante. Una volta sì che si giocava in quel Casinò! (o epoche brillanti eirresponsabili, il mio cuore falotico, il mio cuore come vi rimpiange!)Ma da quando non vi si gioca più (ombra del principe Canino cheavevi sempre al fianco il fedele Leporello, quale imperscrutabilebeccamorti ha cura di voi?) le sale dai superflui custodi decorati, inpanno blu con bottoni di metallo, si sono proprio spopolate. La saladove si leggono i giornali, fissi da sempre al loro posto, ospitasempre, tanto per tenervi lontano, qualche nevropatico dalladeglutazione automatica, e a quel rumore Il Tempo vi casca di mano.La vecchia sala da gioco non ha più che delle trottole olandesi, deibiliardi, delle cabine in vetro per lotterie infantili e, negli angoli, degliimpianti per giocatori di dama e di scacchi. Un'altra sala serve darimessa per il piano a coda di un tempo, - o ballate inguaribilmentesentimentali di Chopin, ne avete seppellita ancora una di generazione!mentre la giovinetta che vi suona stamane, ama, è convinta cheprima di lei l'amore non sia mai stato provato, prima dell'avvento delsuo cuore sensibile e spaiato e s'impietosisce, o ballate, sui vostri esiliincompresi. Nessuno solleva più la fodera a fiori stinti che coprequesto pianoforte di un tempo; ma i soffi di vento delle belle seratearrischiano strani arpeggi di armonica tra le stalattiti di cristallo del

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luminario che rischiarò le ben nutrite spalle volteggianti sulle ariegaleotte di Offenbach. Ah! ma dal terrazzo del galeotto Casinò d'un tempo si godeanche la vista sul sano e fitto tappeto verde di un Tennis ove tuttauna gioventù per l'appunto moderna, muscolosa, ben lavata eresponsabile della Storia, dà libero corso ai propri animal spirits, abraccia nude e con superbo e responsabile torace, in presenza diRagazze istruite e libere che si muovono, zoppicando con eleganzanelle loro scarpe piatte, sfidando l'aria aperta e l'Uomo (invece dicoltivare l'anima immortale e di pensare alla morte che è, con lamalattia, la condizione naturale di ogni cristiano). Di là da questo verde tappeto di gioventù per l'appuntomoderna, stanno le prime colline e la cappella greca dalle cupoledorate, con le sue cripte dove viene relegato tutto ciò che infossadella famiglia dei principi Stourdza. E più sotto, ecco la villa X... ove, debitamente indotta,immusonisce una regina cattolica decaduta che crede sempre dionorare con la sua presenza la località, come un tempo, e presso laquale ci si mette in nota sempre meno. Poi le colline, luoghi da cartoline a più colori ritoccate, coitorrioni romantici e coi villini da schizzare. E sulla piccola stramba città e sul suo cerchio di colline, il cieloinfinito di cui si è orbati, giacché queste effimere femminine nonescono mai, in verità, senza che esse frappongano un frivolo ombrellotra sé e Dio. Il comitato per i festeggiamenti prospera: notti veneziane,ascensioni di aerostati (l'aeronauta si chiama sempre Karl Securius),caroselli infantili, sedute di spiritismo e di antispiritismo; e sempre alsuono della brava orchestra locale cui niente al mondo potrà maiimpedire di andare alle Fonti ogni sette e trenta del mattino per ilcorale d'apertura della giornata, poi dopopranzo sotto le acacie dellaPasseggiata (oh! gli a solo della piccola arpista che si mette in nero, esi sbianca di cipria, e alza gli occhi al soffitto del Chiosco per farsirapire da qualche esotico nevropatico dall'anima fremente come lasua arpa!), poi la sera sotto la luce elettrica di rigore (oh! la marciadell'Aida sulla cornetta a pistone, verso le ineluttabili e chimerichestelle!...) Eccola dunque, in definitiva, questa piccola stazione di lusso,come un ricco apiario in fondo alla valle.

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Coppie vaganti, ricche tutte di chissacché passato, e senza unproletario in giro (oh! se le capitali fossero delle delicate cittàtermali!), nient'altro che subalterni di lusso, valletti, fiaccherai, cuochiin bianco sul limitare delle porte la sera, guidatori d'asini, mandrianidi vacche da latte per tisici. E tutte le lingue, e tutte le teste che laciviltà fa belle. E al crepuscolo, proprio nel momento della musica quando, tradue sbadigli, vien fatto di alzare gli occhi a guardare l'eterno cerchiodelle colline ben tenute e coloro che passeggiano tra sorrisi acuti epallidi, si prova ma esasperata la sensazione di vivere in una prigionedi lusso dal verde cortile, e che si tratti di malati messi lì, patiti diromanzesco e di passato, relegati lontani dalle autorevoli capitali dovesi rumina il Progresso. Ogni sera si cenava sul terrazzo; un poco più in là, la tavoladella principessa T... (una brunona malfatta e millantata) convinta,poveretta, di fare dello spirito in mezzo a dei familiari che ne eranoaltrettanto convinti, poveretti!; - io guardavo il getto d'acquazampillare e salire alla diavola verso la stella di Venere appenaapparsa all'orizzonte, proprio nel momento in cui, destando echi nellavalle, salivano pure i razzi, i razzi d'artificio come getti d'acquasupplementari ma più affini alle stelle, - stelle del resto ineluttabili echimeriche vuoi per il getto d'acqua e i razzi d'artificio, vuoi per lamarcia dell'Aida nostalgicamente fulminata dalla canna pensante dellacornetta a pistone. Serate davvero ineffabili, quelle. Voi che c'eravatee che non vi avete attratto, come il magnete la folgore, la fidanzataignota, non datevi più la pena di cercare perché colei che troverestesarebbe sicuramente un'altra, una povera altra. O piccola città, sei stata il mio solo amore; ma già ho dettotroppo. Da quando lei (Lei) è deceduta, io non vi ho più fatto ritorno,né voglio averci più a che fare; non per sentimentalismo (quantunqueil sentimentalismo non sia ciò che la gente vanesia crede) ma per unnonsocché che non ha nome in nessuna lingua, allo stesso modo dellavoce del sangue. II E venne il giorno del Corpus Domini. Era dal mattino che le vecchie campane scampanavano.

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Campane mie campane! Doglianze divine!... Ma le divine campane urtavano troppo contro certi interessibassamente pubblicitari. Difatti doveva aver luogo la processione, lapiazza principale ne era la sosta d'obbligo, e su questa piazzaprincipale tutti gli anni i due alberghi d'Inghilterra e di Franciaridestavano le penose rivalità di Waterloo e del Gran Premio, nellamessa in scena delle loro edicole. Anche questa volta l'opinione pubblica (vox populi, vox Dei)diede la palma all'albergo d'Inghilterra. E di fatto, sul tappeto a bacchette di rame che ricopre i gradinidella scalea, oltre l'addobbo classico dei quattro quadri di soggettoreligioso con i portafiori da refettorio e i candelabri con tutte lecandele accese nel sole di giugno, ecco che questo covo dei figlid'Albione esibiva in cima all'ultimo gradino, tra la confusione deiventagli di palma, una Santa Teresa (patrona del luogo) il cui istericopolicromo rococò catturava malsanamente gli sguardi. Mentrel'albergo di Francia non aveva trovato di meglio che rincarare l'orgiadi fiori dell'anno prima. È anche vero che al terzo cantone della piazza principale, ilpalazzo della duchessa H... frapponeva, a salvaguardia del buon tonoe a edificazione delle masse, la superiore serenità di un isolato altareprovvisorio: in mezzo a le peonie, le piume di pavone e le candelerosa, tra una Sacra Famiglia del Tiepolo e una Maddalena attribuita aLuca Cranach, tre stipetti a reggere il blasone della nobildonnaricamato su uno scudo di felpa amaranto. E tuttavia fu con voce unanime che venne proclamata la vittoriadell'Inghilterra. Ma vittoria brutale, vittoria dell'orpello e delpaganesimo impressionista, vittoria che più tardi, in un mondomigliore, costerà cara. E questo nel momento in cui l'altare provvisorio dell'albergo diFrancia, senza voler entrare in merito alla convenienza dei suoideliziosi canestri di gigli (che non filano, come sa il regno di Francia),stava per essere teatro di una seconda edizione più estetica delMiracolo delle Rose! Sì, il leggendario Miracolo delle Rose! Agli occhi, se non altro, di colei che ne fu l'eroina, toccante e

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tipica creatura troppo presto sottratta all'affetto dei suoi cari e aldilettantismo degli amici. Sulla piazza principale dove gli alberghi d'Inghilterra e di Franciastanno a evocare le penose rivalità di Waterloo e del Gran Premio edove avverrà la sosta d'obbligo della processione del Corpus Domini,già sostano al sole gruppi di stranieri in abiti nuovi fiammanti (invecedi coltivare la loro anima immortale ecc...) e di brava gente delluogo. Un gran bel vedere, nella canicola di giugno; quand'ecco cheentra in scena una figura crepuscolare! - State comoda così, Ruth? - Sì Patrick. La giovane malata si stende convenientemente sulla sua sdraiosotto il peristilio d'ingresso dell'albergo e il fratello Patrick l'avvolgeben bene nelle coperte da viaggio, mentre il portiere gallonatosistema con insolente ossequiosità un paravento alla sua sinistra. Patrick siede al capezzale della sorella; ha con sé il fazzolettodiafano come un profumo, la bomboniera di catecú all'arancio, il suoventaglio (un ventaglio, o ironia e malinconico capriccio delmomento!), il flacone di muschio naturale (ultimo conforto aimoribondi); ha con sé questi tristi accessori d'uso della sorella, li hacon sé costantemente al servizio dei suoi sguardi, sguardi giàreimmessi alle originarie altezze dell'aldilà della vita (la vita, dieta delnulla), sguardi intenti per l'occasione a meditare sullo sfumato dimani, le sue, dalle falangi malinconicamente madreperlacee. Mai Ruth era stata sposa o promessa, eppure l'anulare sinistrodalle falangi malinconicamente madreperlacee porta una fede, inverità molto sottile (ancora un mistero). Ideale bellezza agonizzante troppo presto rapita al dilettantismodegli amici, nel suo abito grigioferro dalle lunghe pieghe dritte,avvolta in una cappa a mantellina doppia di pelo da dove emerge unastuarda di pizzo bianco chiusa a mo' di spilla da una vecchia foglia dimoneta d'oro con su tre fiori di giglio, coi capelli rosso ambra acascata sulla fronte finemente intrecciati dietro la nuca pura in undolce nodo piatto alla Julia Mammea; gli occhi sgomenti, buoni maselvatici e la piccola bocca golosa eppure esangue, e con quell'ariatardivamente, tardivamente adorabile! Tardivamente adorabile, chécome potrebbe il cereo incarnato avvampare ormai in scenate digelosia?...

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Ecco che dice, pur di dire qualcosa per il piacere di ascoltarsi: - Ah! Patrick, il rumore di questa fiumara mi farà morire... È vero, a lato dell'albergo scorre a salti il torrente. - Suvvia, Ruth, non mettetevi delle idee in testa... Allora, tanto per distendere i nervi, crea lo scompiglio tra lescialbe rose tee (il medico le ha proibito le rose rosse del colore delsangue) disseminandole sullo scozzese a scacchi bianchi e neri,finendo col concludere come sempre ma con una smorfia sottilmentevittimistica che dissipa anche il sospetto della posa: - Mi sento fiacca, Patrick, davvero fiacca, come una fialasvuotata... Sono fratello e sorella, però di madri diverse (molto diverse), luile è minore di quattro anni, primaticcio e nobile come un verde patrioabete. Calarono due mesi fa in questo albergo di cui occupano unvillino appartato. - Fiacca, Patrick, fiacca come una fiala svuotata... Troppo pura davvero per vivere, troppo nervosa per vivere allagiornata ma anche troppo adamantina per lasciarsi morderedall'esistenza, l'inviolabile Ruth che simile a una fiala si svuotaevaporando poco a poco, di stazione invernale in stazione invernale,al sole amico dei camposanti, delle putredini e delle bambole di ceravergine... L'anno passato fu vista in India, a Darjeeling, ed è là, oh acerbaetica! che la sua tisi si pimentò d'allucinazioni. Fu in seguito a unbizzarro suicidio in cui si trovò (lei già così lontana dalla rissa diquesto basso mondo cruento) suo malgrado coinvolta nel più segretodi un giardino, durante una notte di luna, ispiratrice perdutamenteinvolontaria e testimone unica. E da quella notte crede di ravvisaresempre, nelle tracce di sangue del suo espettorato, sangue rosso eveemente, lo stesso sangue dell'enigmatico suicida e a quel sangue dicose essenziali e cocenti così radicalmente versato essa delira. Tisica, allucinata: quale che sia il fondamento di tutto questoromanzesco, la giovane dama «non ne ha per molto» come ci sipermette di canticchiare giù nei servizi, al seminterrato dell'albergo(questo piano è impietoso). Così, come in un sogno che per una stagione o due interrompa isuoi viaggi personali e il suo perfezionamento dell'eroe, il buon Patricksegue d'un occhio fatalista le moribonde, moribonde aurore delleetiche macchie sugli zigomi della sorella e le lunule di sangue dentro i

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suoi fazzoletti. Non vive che curvo sull'orlo dei suoi occhi, acuti avolte come quelli degli uccelli selvatici dell'Atlantico, a volte annebbiatida una pece, curvo sulle vene azzurrine delle sue tempie, azzurrinecome gli estivi lampi; e servendola a tavola, portandola a spasso,offrendole ogni mattina un piccolo mazzo di fiori da poco,mostrandole delle immagini colorate, suonando per lei al piano deipiccoli pezzi norvegesi da un album di Kjerulf, o con voceassolutamente naturale leggendole qualcosa. Patrick per l'appunto, nell'attesa della processione, e nonvolendo fare troppo caso a qualche grossolano indiscreto fermo aipiedi della scalinata, sta finendo di leggere una pagina di Serafita allasorella. - ... «Per un attimo un'anima ristette, come bianca colomba,posata su quel corpo...» - Facile a descriversi! dice Ruth; no, davvero si tratta di unavolgare sdolcinatura serafica; è una pagina che risente di Ginevradov'è stata scritta. E quel messaggero di luce con tanto di spada e dicimiero! Povera, povera Serafita! no, quel Balzac dal collo taurino nonpoteva esserti fratello. È sublime nel suo riserbo, Ruth riprende con una mano ascompigliare le rose tee disseminate sullo scozzese a scacchi bianchi eneri, mentre con l'altra tormenta una strana piastra smaltata chesembra inchiavardare esotericamente l'asessuato petto. Strana, davvero strana questa piastra di smalto che essaaccarezza sull'asessuato petto! Accostiamoci, di grazia; è uno smaltoburinato, di gusto barbaro e futuro, uno splendido occhio gigantescodi coda di pavone sotto una palpebra umana, il tutto incastonato trapietre tonde esangui. A Parigi, in un giorno di maggio, al Bois, unpovero diavolo che Ruth da qualche tempo trovava sempre sul suocammino, venne fuori da un cespuglio, seguì la sua carrozza e gettaai suoi piedi quella piastra di smalto dicendo con la voce più naturaledel mondo: «Per voi sola, e sappiate che il giorno in cui la dovestelasciare, io lascerei questa vita». Ecco che una sera, facendo Ruth ilsuo ingresso in un salone, un signore svenne a quella vista.Riavutosi, il signore balbettò che non era lei la cagione ma la piastradi smalto che portava sul petto, e pregava che gliela cedesse per lasua collezione. Ruth oppose un rifiuto, raccontò la storia fornendo iragguagli che sapeva, utili a identificare l'invasato. L'amatore si misein cerca, fallì, perdette la salute, e un giorno andò da Ruth dove rese

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a madre natura la sua povera anima d'amatore di cose artificiali. Ecco svelato l'arcano! Per una fatalità imperscrutabile Ruth,quest'incantevole agonizzante, passa la vita a seminare suicidi sullasua via, sulla sua via crucis. Prima di venire a rattristare la piccola città termale Ruth operavaa Biarritz; e malgrado l'orrore del sangue volle assistere a una corridaa San Sebastiano. Ruth e l'imperturbabile fratello avevano preso posto sopra lostallo dei tori, nel palco del governatore. Ah! come vibrava nell'ampiagala di velo tea, gala drappeggiata alla brava, senza pieghe névolantini, imbastita in fretta col passo ricavato da un sudario,probabilmente per non ferire con un taglio troppo accentuato, conuna rifinitura troppo resistente, la friabilità indifesa e fuori delle modedi colei che doveva indossarla! È giocoforza riconoscere che il sangue bestiale che colava là,lappato lentamente dalla sabbia dell'arena, rimpiazzava il sangue delsuo incubo abituale. Educatamente, senza un conato, Ruth tripudiò allo spettacolo disei rozze sventrate alla cieca, di quattro tori lardellati di ferite eproprio all'ultimo trafitti, e di due banderilleros atterrati, uno ancheferito alla coscia. Era lei a trattenere ogni volta il braccio delgovernatore presidente, quando l'arena tutta coi suoi mille fazzolettisventolati gli intimava di sventolare il suo perché cessasse il massacrodei cavalli dei picadores e facesse accorrere i banderilleros. - Oh! non ancora 'signor presidente', ancora uno scontro, è il piùbello... Al quinto toro una scarica d'improperi s'era abbattuta sul troppodebole 'signor presidente'. Due cavalli giacevano rantolandoteneramente tra le zampe l'uno dell'altro nell'attesa che li si finisse;due altri furono trascinati via perdendo a fiotti le budella. Finalmente,a un segnale, anche i pesanti picadores vestiti di giallo si ritrasserolasciando il toro solo, in un silenzio predisposto, faccia al banderilleroa pié fermo coi suoi due dardi ornati di nastri in resta. Sanguinava, ilpovero toro, delle molte scalfitture messe a segno (vale a dire a fiordi pelle, per esasperare senza indebolire). Balza, poi girò strettoritornando a fiutare e a rivoltare con le sue corte corna le flaccidemasse dei due cavalli stesi, e arrestandoglisi davanti a fronte bassa,sentinella fraterna, come cercando di capire. Invano il banderillero inposizione lo chiamava, lo scherniva, gli lanciò pure il suo berretto a

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nappine di seta nera tra le zampe, il toro si ostinava a cercarefrugando la sabbia con zoccolo rabbioso, stranito dai clamorivariopinti di quel campo recintato dove non sventrava che dei brocchicon le bende sugli occhi o dei volteggianti brandelli insanguinati. Un capador scavalcò la barriera e corse a scaraventar gli sulmuso un otre sgonfio, e fu applaudito. Quand'ecco che di colpo, dinnanzi ai ventimila ventagli palpitantiin un grande silenzio d'attesa sotto uno splendido cielo scoperto, labestia tese manifestamente il collo verso Ruth come a individuare inlei sola la causa di tante cattiverie ed emise, lontano dai pascolinativi, un muggito così sovranamente sventurato (a dir tutto, cosìgeniale) che vi fu un minuto di totale turbamento, uno di quei minutiin cui si fondano le nuove religioni mentre, svenuta e delirante, eraportata via, chi? - la bella dama crudele della loggia presidenziale. E Ruth che riprendeva il suo ritornello in modo straziante: - Il sangue, il sangue... là sull'erba; tutti i profumi d'Arabia... Naturalmente, poiché Ruth era passata di là, l'ecatombe dicavalli e di tori doveva quel giorno completarsi in un modo bencurioso! Sì, quel 'signor presidente' che vedeva per la prima volta,senza averla mai prima conosciuta, la nostra giovane e tipica eroina,questo strano individuo con la faccia di febbre gialla e con gli occhialid'oro, questo creolo assonnato e impassibile di fronte alle richieste eai sarcasmi di tutta l'arena, doveva suicidarsi la stessa seraindirizzando con qualche cianfrusaglia (ricordi dell'esilio consolare incolonia, esilio che, come diceva, gli aveva lasciato l'anima strana estanca) una enigmatica e nobile lettera a Ruth che Patrickfortunatamente riuscì a intercettare, desistendo tuttavia dal coglie reil nesso di quell'epidemia di scene sconcertanti. E chi mai poté idearle, se non Colui che regna nei cieli? III Le campane avendo preso fiato come esseri umani, ciondolaronoancora un bel po' in seno all'inconsulta Natura, la quale ignora se èpiù «naturata» o più «naturante», pur unendo i due estremi. Si avvertiva, al rumore, l'incedere della Processione di Colui cheregna nei cieli. Si sentiva la fanfara. La processione apparve. Venivano primi due giovani cantori in robbia, praticoni e

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disincantati, l'uno con l'incensiere, l'altro con la gran croce d'argentovecchio. Dietro, in uno scalpiccio di gregge, una scuola di ragazzetti, dueper due, vestiti a festa dalle povere mamme che s'erano fatte inquattro, tutti col libro dei salmi aperto sul fondo del loro cappello,pigolando straccamente le loro litanie alle acacie a ombrello delCorso. I due in testa, assettati come degli influenti omarini borghesi,inalberavano un ponderoso stendardo di crespo usato di cui altri due,meno influenti, reggevano i fiocchi. A un tratto il padre di uno dicostoro, uscendo dalla siepe degli spettatori, avanzò nei ranghi e conun'aria di parrocchiano sistemò la riga impomatata del commoventeEliacin col suo personale spazzolino da barba. Gli ultimi quattro delgregge, i più grandicelli e palliducci nel loro abito nero dacomunicandi, offrivano la spalla alle stanghe di una barella dovetroneggiava una Pietà, stile rue Saint Sulpice. Quattro cantori contanto di gibus strinato, riccamente inguantati e con sciarpa sgargiantea croce di Sant'Andrea, sorvegliavano andando e venendo il tutto,pugno sul fianco come degli ufficiali di cerimonia. Venivano quindi le bambine, angioletti di zucchero d'orzo, tuttein bianco cinturato d'azzurro, i capelli ricci incoronati di mughetti, lebraccia nude a reggere cestini di petali da spargere, che delleborghesi danarose scortavano sotto ombrellini materni. Poi delle collegiali non in divisa e in abbigliamento dimesso checon voce incerta elevavano un cantico. Poi un accalcarsi di educande in bianco, qualche congregazionedi Figlie di Maria, con coroncina e guanti, eccessivamente presentabili,a scorta qua di uno stendardo, là di una barella col suo idolo dicartapesta, vaghe rustiche reliquie. Ancora in bianco, una fila raccolta di comunicande dai lunghi velipieghettati, occhi bassi, mani giunte in punta, mormoranti all'unisonocose che il cuore sa ritenere. (Ah! quando c'è di mezzo il cuore...) Ora era la volta della banda, robusta, preceduta dal corpo deipompieri, una chiassosa banda paesana in finanziera e gibus: ottoniammaccati al ritorno dai balli di nozze, clarini di minchioni inbisboccia, e la botte della grancassa dalla pelle piena di lividi e con lapagina di musica sozza per l'uso, ficcata in cima allo strumento.Stavano giusto macellando la marzia nuziale dal Sogno di una Notted'Estate di Mendelssohn. Ancora quattro bimbette scelte, con i cestini pieni di petali di

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rose da spargere e finalmente, su quattro pertiche tenute da uominiimportanti, era la volta del baldacchino rosa frangiato d'oro cheriparava l'ecclesiastico officiante il quale, pomposo all'aspetto maannichilito nell'intimo, offriva a quei fedeli di strada il sole leggendariodel Santissimo Sacramento. E il baldacchino fece sosta dinnanzi all'edicola dell'albergo diFrancia! O passi attutiti d'unzione edificante, silenzio in pieno giorno alsole, campanella dal suono gracile e sacro come a messa nelmomento dell'elevazione, colpi d'incensiere! Di tutta evidenza, ilSanto Sacramento era il centro della processione. I signori si erano scoperti, numerose signore s'inginocchiavanosul bordo del marciapiede. Non vi fu uno scettico di lusso che osasseprendere la parola. O silenzio in pieno giorno al sole, campanella dal suono gracile esacro come a messa nel momento dell'elevazione, incensieri alzati danuvole di omaggi! Erano tutti in visibilio. Ma per Ruth, la sventurata e tipica eroina che mi sono eletto!questo silenzio affascinante al punto di urlare, questa campanellagracile e implacabile da Giorno del Giudizio non è forse l'arnese delledesolazioni, delle desolazioni delle ingiuste valli d'oltretomba dovel'altro erra, il Suicida, il Suicida per troppo amore, il Suicida senzatante definizioni, col suo buco in fronte?... E disgiungendo le mani febbrilmente pie essa s'aggrappa albraccio del fratello e riprende a vagire dal fondo dei suoi sonnambolicilimbi: - Il sangue, il sangue, là sull'erba!... Tutti i profumi d'Arabia... OPatrick, se solamente sapessi perché. Io piuttosto di un'altra, inquesto vasto mondo dove il nostro sesso è in maggioranza?... E Patrick che ora potrebbe gridarle davanti a tutti: «Sei tu chehai cominciato!» invece le carezza le mani, le passa il flacone dei salimuschiati e aspetta con dolcezza, senza scandalo, benché la sentasvenuta. Il sacerdote portatore del Santo Sacramento si volta un attimocon ostentazione verso la ricca giovane malata per gratificarla adistanza, d'un moto di labbra, del suo santo ministero. In quello stesso istante fu vista una bimba, spinta da un giovaneche radioso e teso restava al suo posto, uscire dai ranghi una bimbarossa di vergogna ma come mossa da un ordine terribile, salire la

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scalinata e venire a spargere attorno allo sdraio della povera svenutatutte le rose rosa del suo cesto. (E mancò poco che cadesseridiscendendo). Vi sono nella vita dei minuti assolutamente strazianti, straziantiper ogni classe sociale. Questo non lo fu, ma ve ne sono; el'eccezione non può che confermare la regola. La processione si mosse, ora diretta a incensare col SantoSacramento la Santa Teresa dell'albergo d'Inghilterra, di un istericopolicromo rococò, prima d'incensare a sua volta l'altare di famigliadella duchessa H. In testa avevano ripreso i cantici, e la coda dellaprocessione sfilava. Sfilava, la coda della processione. Prima i valletti della reginadecaduta; poi, su due file, tutto un senato di borghesi col cappello inmano, stigmatizzati in modo indelebile dai loro mestieri: dai macellaiapoplettici ai pallidi pasticceri; poi i paesani, curvi, stratificati, daicrani malfatti, col berretto in mano, due o tre sulle grucce, qualcunosolitario che si dice addosso le orazioni; poi le suore di carità,maniche larghe a manicotto e con le cuffie le cui ali palpitano comeSpiriti Santi mostruosamente inamidati per volere di una religione dairiti veleggiati via; poi delle dame col parasole, e delle domestiche; poidelle contadine in scialli del tempo che fu, col gozzo cotto dal sole;qua e là a intervalli un uomo o una donna sgranando a gran voce ilrosario mentre i vicini mormorano responsori. E la processione del Corpus Domini chiudeva, stupidamentetronca, chiudendo su una frotta di timide domestiche. E il pubblico non irregimentato filava via verso la lista dellevivande tra la polvere e i petali finiti sotto i piedi. Tuttavia, mentre si smonta l'edicola: Passata la festa, gabbato lo santo!... Ruth si è ridestata e guarda, esulta, una mano sulla piastra dismalto che inchiavarda l'asessuato petto, l'altra che indica in giro: - O Patrick, Patrick! Guarda, al posto del sangue vi sono dellerose! Non più sangue ma rose di un sangue trascorso e ormairiscattato! Oh! dammene una che la tocchi... - Però, è proprio vero! fa Patrick, col suo tenero istinto e tuttopreso dalla sorella, senza riflettere. Oh! sangue davvero tramutato inrose... - Allora è salvo, Patrick? - Ma sicuro, è salvo.

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La sorella si riempie le mani di petali e vi singhiozza dentro. - Poveretto! ora sì che non dovrò più occuparmi del suo stato. Il tutto chiuso da un accesso di tosse che è giocoforza annaffiarecon l'eterno sciroppo benzoico. Perché, grazie alle rose rosa dell'anonima bimbetta cosìprovvidenzialmente sfogliate in loco, Ruth era esorcizzata delle sueallucinazioni e poteva ormai dedicarsi tutta all'unico e non contagiatotravaglio della sua tisi, di cui riprese il diario con una penna intinta inun calamaio a fiori blu tipo Delft. Inutile dire che non seppe mai che quella stessa sera del CorpusDomini il fratello della bimbetta dal cesto di rose miracolose sisuicidava in una camera d'albergo, col pensiero rivolto a lei, avendo atestimone unico dello stato del suo povero cuore Colui che regna neicieli. Ma il Miracolo delle Rose era giunto al suo fine nella gloriatrionfante di sangue e di rose! Alleluia! LOHENGRIN FIGLIO DI PARSIFAL Quante ore della notte io ho vegliato accanto al caro corpo chedormiva, cercando di capire perché mai tenesse tanto a evadere dallarealtà.A. Rimbaud I Ah, quanto sono irreparabili, foss'anche solo nell'immaginazione,le sere dei Grandi Sacrifici!... Naturalmente, per la degradazione della vestale Elsa sulla piazzadel Sagrato di Nostra Signora, in un rintocco di Nox Irae di tutte lecampane, era stato scelto il sorgere del Primo Plenilunio implacabile edivino di fronte al mare eterno delle belle sere. Su due palchi drappeggiati inviolabilmente di tele di lino stannocontrapposti il Bianco Concilio e la Corporazione delle Vestali; tra ledue istituzioni una folla in bisbigli e un uditorio che fa corona, tutti inpiedi; occhi blu, verdi, grigi, sgomenti nell'attesa, di fronte al maresovrumano delle belle sere.

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Fa ancora giorno pieno, non un alito clemente di brezza acontrariare le corte fiamme dei ceri. Ma che cosa si prepara? Oh, di grazia! come tutto è bianco e barbaro in quest'ora, sullariva di un mare che sta come dentro un solenne bacile! E cometuttociò è lontano dal mio villaggio! ... Ecco che nell'incanto dell'orizzonte appare adesso NostraSignora. Infatti, oh, la bella d'oro vecchio luna piena, allucinante, tonda,stuporosa, da palpare! Tanto vicina che la si direbbe un'opera degliuomini della Terra, aerostatica esperienza di tempi nuovi (già, unaluna ingenua nella sua dismisura come un pallone mollato!) Come sempre tutto ciò dà un brivido. E come sempre, le facciate gessose della piazza a balconiaddobbati con sudari d'ufficio e il rosone dallo sboccio sepolcrale dellaBasilica del Silenzio si tingono di un pallore attraente, e in questoincantesimo tutto nuovo le corte fiamme gialle dei ceri ricordano ipoveri vecchi gioielli di famiglia. Salve Regina dei Gigli! Ostia di Lete! Specchio trasfigurante! Mecca delle Sterilità polari! Oh, Eucaristia tuttopiaghe, Eucaristia malcauterizzata, ostia sulciborio dell'oceano! Ecco che all'orizzonte le onde finora in vena di bonacciaeseguono da lei attratte un va e vieni ninnante, palesementeninnante, come a implorarla di calare un po' stasera, tanto pervedere... e allora sì che la coccolerebbero nottetempo! Sul che lo scampanìo agonizza. E la folla ulula allora (uomini donne vecchi bambini, tutti in uncoro di soprano acuti) lo Stabat di Palestrina in versione, però,infinitamente purgata! A quel segnale sovracuto la lanterna-uccelliera del Faro della Dealascia liberi i gabbiani consacrati! Simili a uccelli falena svolarono via con pigolii selvaggi verso laGrande Luna roteando al Suo Cospetto; e dopo queste preliminaridevozioni, attesero alla solita pesca delle belle sere. Tutti a sedere, niveamente ebbri di tali preludi. Che silenzio!... Si alza il Gran Sacerdote anziano di Selene; in un silenzio polare

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adempie i tre offertori d'incensiere alla Luna Piena e dice: «Davvero, mie sorelle, sere come questa s'addicono alla vostrabellezza! «Ecco a noi giunta sulle invalicabili lagune del mare l'ImmacolataConcezione (la sola)! Ave, Vergine delle notti, piana di ghiaccio, siabenedetto il nome tuo tra tutte le donne, tu che dai lustro ai seni efai sgorgare il latte lustrale». Le Vestali si alzano, tranne l'ultima fila delle più giovani ancoravotate al silenzio, e ripetono l'invocazione, - allora tutte (in tre tempi,ma non senza una certa assai scusabile atteggiata flemma) buttanoindietro la pallida casimirra, sciolgono il soggolo di lino e esibiscono albenefico Astro i loro giovani seni, - oh! come altrettante ostie, comealtrettante aspiranti lune; - le novizie un po' rabbrividendo al sentirsifar dure le loro mandorle sotto la carezza del sacro raggio venuto cosìda lontano attraverso le invalicabili lagune del mare. Una di costoro, isolata in prima fila, è rimasta estraneaall'incantevole cerimonia, abbassando anche il capo sul suo bustocondannato. Il Grande Sacerdote, che la teneva d'occhio, riprende con piùanimo: «Mandorle dei seni, suggelli di maternità, poppate gli effluvidell'Eucaristia che s'alza sul mare e compie il suo giro nei nostridormitori. Perché voi siete ancora le sue vergini, degne di albergare isuoi Misteri, di custodire i suoi filtri e le magiche formule, degne dibenedire le focacce nuziali. Natale! Natale dunque! al Virgineo Faro,alla scolta dei Poli, al Labaro delle Società moderne!». E si risiede. Tocca al vicario di Diana Artemide ergersi, doricamentedrappeggiato, pallido come la statua del Commendatore dei Credenti. «Elsa! Elsa! Elsa!» squilla tre volte con le sue canne di perfettosettario. La Vestale isolata in prima fila, la donnina dal senovergognosamente celato, viene avanti a testa bassa sul palco,davvero afflitta. «Elsa, Vestale giurata, guardiana dei misteri, dei filtri, delleformule e del frumento delle focacce nuziali, che ne hai fatto dellachiave del tuo registro? Ah! ah! il tuo seno conosce altre carezze daquelle così lontane della luna, la tua carne s'è imbevuta d'una scienzaben diversa dal culto; mani profane hanno sciolto la tua cintura e

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rotto il sigillo delle tue piccole solitudini! Che cosa sai rispondermi,per esempio?». Elsa articola angelica: «Credo di essere innocente. Un crudeleequivoco!» - (e a bassa voce: «Mio Dio, quanti pettegolezzi!»). Con un gesto convenuto il Bianco Concilio fa segno dicontinuare. È il turno del confessore di Ecate che si alza e sgrana l'attod'accusa. «Nella notte del... ecc... ecc...» (Insomma nient'altro che dei sospetti, dei miserabili sospetti). «...Il solo fatto di essere pubblicamente sospettata rendeinadatti al culto. - Vedova Elsa, dimenticate che foste Vestale.Dimenticate, col più terribile per sempre, misteri formule filtri e lievitodi focacce! Ora, vedova Elsa, contemplate per l'ultima volta la Dea:se, come il rito vuole, dopo tre intimazioni il vostro fidanzato non sipresenterà per assumervi, i vostri begli occhi saranno abbruciati percontatto e con la massima delicatezza compatibile dall'Aerolite delSacrilegio sceso tra noi al tempo della prima luna dell'Egira, aeroliteche riposa, come sapete bene sulle bende nell'ipogeo della Dea, nelpiù segreto della Basilica del Silenzio. - Popolo! passeremo alle treintimazioni di rito». Era palese che Elsa non si dava neppure la pena di lanciare unosguardo a caso su quella folla da cui non s'attendeva, dunque, ombradi Cavaliere. Le Matrone dalle cuffie a bendelle di Sfinge la fanno scendere dalpalco, la spogliano della pallida casimirra e del soggolo di lino e delleperle del culto. Annodano le perle nel soggolo e nella casimirra, e iltutto sprofonda nelle necropoli sottomarine dentro un cofanetto dipiombo; successione di simboli impressionante. Il che, agli occhi del popolino, fa apparire Elsa fidanzata. - Oh!attraente e promessa, dentro una lunga veste livida costellata dalbasso in alto di occhi di piume di pavone (nero blu verde-oro, èrisaputo ma vale la pena di ricordarlo), con le spalle nude, con lebraccia nella loro angelica nudità, con la vita fermata proprio sotto ilgiovane seno da una larga cintura blu da dove pende una piuma dipavone con un occhio anche più superbo, è su quel gioiello di occhiocentrale che la poverina tiene per pudore le piccole mani dai lunghimezzoguanti blu incrociate! Nondimeno i suoi occhi restano pursempre succosi come delle bocche, attesoché la sua bocca semiaperta

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è venuta a assumere, per la circostanza, tutta la tristezza di unosguardo. Un mormorio palese d'ammirazione corre tra le donne (lo spiritodi corpo, ahinoi, le fa come sempre solidali) le quali intonano: «Felice! davvero felice colui che la condurrà sotto il suo tetto. Lesue forme sono deliziose; - ci sbagliamo, o non ha ancoradiciottanni?». Elsa neanche si degna di confermare questo dettaglioirresistibile. Ma un araldo avanza tenendo ben alto su una patena, perché ilpopolo veda, l'aerolite che deve corrodere i begli occhi succosi; suonacol suo corno d'avorio ai quattro punti cardinali, poi... - Non potreste suonare con maggior convinzione versol'orizzonte dei mari? gli fa notare Elsa. - Ci prende in giro. - È per farci perdere del tempo. - All'ordine! - L'accecamentodegli occhi! - Non voglio avere niente da rimproverarmi, dichiara il GranSacerdote: Araldo, ottemperate e date fiato con più convinzione versol'orizzonte dei mari! L'araldo suona a scorno verso il noto orizzonte dei mari! poigrida: «Chi vuol prendere in legittima sposa Elsa, vestale da strapazzo,si faccia avanti e lo giuri con voce chiara e distinta!». Elsa non batte ciglio, anzi, dà di schiena alla cerimonia come aispezionare l'ignoto orizzonte dei mari. Nessuno ci trova da ridire. - Chissà quante madri, oggi, hannomesso i propri figli sotto chiave! - È pure altera! Mi sa che non simette bene. Le altre due intimazioni restano senza risposta. «Aggiudicato!» Elsa irrompe: - Passatemi prima uno specchio! Un giovane esce dalla folla e porge alla condannata unospecchietto tascabile (poi a bassa voce: «Di', mi amerai? Vorraiseguirmi dappertutto con occhi folli se... - È inutile. Grazie tante»). Ecco che si rimira e s'ammira! Invece d'abbandonarsi alcompianto della sorte dei suoi occhi, Elsa s'aggiusta la pettinatura,liscia l'arco delle vantate sopracciglia e s'aggiusta ancora i capelli.

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(Che mancanza di senso morale!) - Spero che adesso mi si lascerà dire una piccola preghiera allaLuna, nostra padrona, no? Senza aspettare che deliberino Elsa s'inginocchia sulla sabbiadella riva. E tendendo le piccole mani dai mezzo guanti bluall'orizzonte così incantato dei mari, incomincia a salmodiare: «Buon Cavaliere che in una notte fatale e memorabilem'apparisti cavalcando un gran cigno luminoso! «Abbandonereste voi la vostra ancella? Fatale Cavaliere voisapete bene che i miei occhi succosi sotto le vantate sopracciglia e lamia bocca triste sono alla vostra mercé, e che con sguardi folli io viverrò dietro dappertutto. «Ah! ho la carne tanto stordita dalla vostra visione che il miopiccolo cratere (mette la mano sul cuore) ancora mi fa male! Mi sonoscoperta un mucchio di tesori; io vi dico che il vostro capriccio, cosìnobile, sarà tutto il mio pudore. «Grazioso Cavaliere, non ho ancora diciottanni. Venite dunquead assumermi, non vi morderete certo le mani. - Angelus! Angelus! Iosono la Sulamita! Non ho che la probità in eccesso di un fiore». Con la mano a schermo sugli occhi si china per un attimo ascrutare il magico orizzonte, poi riprende strascicando le parole: «Sì, dico bene, alla vostra mercé, Grazioso Principe! E sapròforgiarvi delle corazze di scorta. «Ebbene, ve lo voglio confessare: il gusto di quel che portoaddosso vi farà sbocciare ben più di una famelica papilla! - E le lunedei miei gomiti, che mandano lampi come allodole ripiombanti! ah!ah!... «Come può l'adorabile Cavaliere tollerare ch'io invecchi cieca eparia in mezzo a questa società borghese? Io sono bella, bella bella!come uno Sguardo incarnato! «Certo che vi capisco, e in anticipo! Se vi seguirò? madappertutto con occhi folli! Voglio tenermi così perennemente sospesaalla luce della vostra fronte che mi scorderò perfino d'invecchiare,saprò incastonarmi nella vostra scia di luce al punto di divenire unpiccolo diamante che l'età non potrà più intaccare! «Ah no! no, non sono che una povera creatura del sesso! nonfarò altro che lavare ogni mattina con le mie lacrime la vostraarmatura di cristallo...» Poi si volta verso l'Esecutore.

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E a quel cuore tre volte corazzato di bronzo: - Ma se vi dico chesta per arrivare! Me l'ha promesso; almeno vedrete una volta pertutte che cosa io intenda per un bell'uomo. - Ah eccolo! eccolo!eccolo! Ma guardate voi piuttosto! I gabbiani ripigolavano spauriti verso le uccelliere dormitorio delFaro. Proprio così, o dolce sera... Veniva dall'orizzonte sul filo delle onde remissive e nell'incantodella Luna Piena sgranata, mirabilmente e con il collo atteggiato aprua, un luminoso cigno badiale cavalcato da un efebo in raggiantearmatura che, sublime d'ignota fiducia, tendeva le braccia diretto allaRiva tribunalizia... E ai nostri carnefici di tramutarsi in allocchi accalcati sul litorale,attorno a Elsa sgomenta, la quale riesce appena a articolare: «Ma nonspingete così! Non vedete dunque che mi sgualcite l'abito?». E gli allocchiti carnefici: - Chi sarà mai l'onesto Cavaliere che avanza sui mari, armoniosodi coraggio, schietto come le cime, col cece della Fede in fronte? cheluminarie! Elsa, senza sottintesi, noi ci felicitiamo con te; avrai dei beibambini, di sicuro. E come sta in arcione sul serafico uccello, frana dineve fatta cigno! Oh! è perlomeno Endimione in carne e ossa, ilgiovincello di Diana. E il suono della sua voce, chissà come sarà...provvidenziale! Arriva, glissando, ingigantendo, magico, mantenendosi in posa,sicuro di tutto! Come dev'essere ricca e raffinata la sua famiglia! Chissà in cheombrosi e incantati recessi sta sorbendo i gelati a quest'ora? Èlontano, a tal punto lontano?... Sarà in viaggio da molto, lui?... Eccolo! Come è proprio Lui! Quale donna potrebbe avere con luiincompatibilità d'umore? Il gentile Cavaliere ha toccato terra sulla riva. Per prima cosa,accarezzando il collo atteggiato a prua del bel cigno taciturno e moltoaraldico: «Addio e tante grazie mio bel cigno quadrigato, riprendi il tuovolo contro l'orizzonte sbarrato dalla Luna Piena, supera le grandinatedi stelle, doppia il capo del Sole e rivoga tra gli argini cagliati dimiriadi della Via Lattea verso i nostri laghi senza pari del Santo Graal;va, mio piccolo cuore!». Il cigno spiega le ali e puntando con un fremito imponente e

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nuovo fa rotta, veleggia spiegato e presto scompare del tutto di làdalla Luna. Arte sublime di bruciarsi le navi alle spalle! Nobile fidanzato! Poi che il cigno fu debitamente perduto di vista seguì un silenziogelido, un tantino provinciale. Il Cavaliere avanza appena intimidito edice: «Non sono affatto Endimione. Arrivo dritto dal Santo Graal. Miopadre è Parsifal, mia madre non l'ho mai conosciuta. Sono Lohengrin,il Cavaliere Errante, il giglio delle future crociate per l'emancipazionedella Donna. Nell'attesa, soffrivo troppo in ufficio, da mio padre. (Houna certa predisposizione all'ipocondria). Sì, vengo per sposare labella Elsa dal collo di cigno che abita qui tra voi. Dite, dov'è suamadre ch'io le parli...». - È orfana come tutte le Vestali, Elsa, proclama l'Araldo. - Davvero! Eccola! la riconosco bene. Oh, perché ti nascondevi?Ma che belle piume di pavone! chi te le ha date? Te le spiegheròall'alba! Ma che occhi belli hai! Che figura... armoniosa! Caddero insieme ai piedi l'uno dell'altra; insieme ma più o menofatalmente, purtroppo. - Buon Cavaliere, così come sono, compreso il mio passato, cosìcome posso essere io mi prosterno alla vostra mercé. Già lo sapevate,e non mi disdico. - Ma no Elsa, tu sei troppo preziosa, (che divino esemplareumano!) alzati! - È vero, non sono poi tanto male; ma voi m'insegnerete aconoscermi a fondo, sono così suscettibile di perfezione! Oso darvianch'io del tu? - O mia piccola Virtuosa dei Messali! - Lo dite con gusto. Allora, che si suoni mortalmente a nozze! campane campanedella Città! campane delle belle domeniche sulle province tranquille!Gioia della biancheria pulita come se durante la settimana non ci sifosse sporcati! Allegria decorosa di collegiali a festa sotto la portagrande del duomo! Campane! Campane! Giovani sacre frementi etutte senza risparmio avvicendantisi in un solo inno avveniristico! Ah!le campane che proprio così suonano: «La tovaglia bianca è giàmessa. Ecco la focaccia. Dite: questa è la mia carne e questo è il miosangue!». Per tre volte i tre zotici preti elevano gli incensieri zeppi e

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fumanti al topazio della Luna Piena, proprio per niente turbata daquei curiosi feticismi. E si va su in processione al Tempio, verso gli amboni nuzialiilluminati e i grandi organi scatenanti gli Osanna! e i Crescite etmultiplicamini! - Sapete il latino? chiede Elsa. - Così così, e voi? - Oh! non sono tanto sofistica! Sono una ragazza, punto e basta.Pare che il latino non sia mica poi così pulito nelle parole, l'ho letto inun vecchio almanacco... S'inginocchiano davanti alla Tavola Santa drappeggiata di pannivirginali, sotto un baldacchino d'orifiamme percosse dalle raffiche diallegria dei grandi organi. Sta per cominciare... e il tutto si svolge con un bel spiegamentodi sacro... Allo sbocciare delle Valve d'oro del Tabernacolo si offre alla vistal'Ostensorio dalla patena a forma di luna, libero dalle fasce, espostosu un manutergio. Non hanno bisogno di scambiarsi occhiate in tralice percomunicare perdutamente tra loro: - Non so te, ma io soffoco sotto i tuoi occhi, dice Lohengrin. E bagna con lacrimoni lustrali i panni della Tavola Santa. - Conoscerai la mia leggiadria, dice a bassa voce Elsa convinta.Come! tu batti i denti! Ma non t'impressionare! Di tutto quello chesuccede qui io non credo a niente; per me la loro luna è come unamatrigna, sul serio, uno spelacchiato idolo da vecchi. - Sarà per via dell'organo... - Ah! sai, vado matta per la musica io! Dalle tribune ululavano isoprano: «Orfani innamorati, le praterie della giovinezza attendono i vostriagonici fianchi. Titubando e belando sui ritornelli dei rigogoli notturnidei vostri cuori, flagellandovi con verghe di qualità, ipnotizzatevi inpresenza della Luna quando è stagione di semina e carezzatevi poicon tanta fantasia da dar vita, fuor di crisalide, alle vostre farfallenotturne! Perché il resto non è che Desiderio». Infine, mentre l'organo dipana la matassa di una fuga sul nototema: «Si fa tardi» tutti escono, meno processionalmente di comeerano entrati, scossi da tante opposte emozioni. La notte si annuncia calda. I tetti, il litorale, la città e la

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campagna dormono gelati di luna; le praterie marine luccicano allalunare serata di gala; lo spazio è come spolverato da una mannaimpalpabile di sortilegio. L'ostia abbagliante è allo zenit! Verrebbe quasi voglia di staccarele gondole per andare laggiù, sullo specchio d'acqua, a catturare conuna rete quell'immagine ferma di ostia così abbagliante!... Elargendo questo spettacolo con un gesto, e davanti a questamostra del bianco, il Concilio grida alla coppia la formula di rito:«Buon prò ragazzi! la tovaglia è apparecchiata». Oh! le tovaglie fini Dei sacri festini! Andatevene via gente in baldoria A casa tutti gente in allegria. Ragazzette in male di marito Chissà che l'anno prossimo Dio non v'abbia esaudito! I cori svanirono, e i ragazzi rimasero solo, poverini, nel loroduetto. II Era alle dipendenze del Ministero dei Culti la Villa Nuziale,perduta in un'ansa della costa trasformata a giardino. La si cedevagratis agli sposi novelli, durante la loro prima settimana; perciò nonv'erano levatrici distaccate presso la casa. Sembrava prossima, vedendo così vicino il meraviglioso solitariopioppo argentato che ne indicava l'ingresso. Ma in virtù degliingegnosi tornanti dei sentieri in fiore, il duo impiegava degli interiquarti d'ora prima di avvertire il bisbiglio del meraviglioso pioppodella soglia. Quarti d'ora a due, o semplicemente a braccetto, estasiati dateneri sussulti. - Caro Cavaliere, il chiaro di luna vi sta proprio d'incanto sullamisteriosa corazza di cristallo!

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- Vero? e come ci sublima tuttociò!... - E sulla mia bellezza, che effetto fa il chiaro di luna? - Le volute dei vostri capelli scuri non sono meno calde. - Ah! il cuore lo è altrettanto. Ma perché non mi date più del tu? - È che mi state diventando un personaggio, un personaggio conil quale dovrò fare i conti. - Nevvero! Ma... patti chiari amici cari. - Quanta magia nelle siepi di questi sentieri scoraggianti! ... Il chiaro di luna era così intenso che i nidi cinguettarono e iformicai furono presi da frenesie diurne. Finalmente apparve il nuziale pioppo sublime con le sue foglied'argento impalpabile, tutt'un fremito nell'incantesimo polare sullosfondo diaccio di cielo blu oltre marino! Ecco Lohengrin che lascia il braccio della compagna e mette unginocchio a terra: - E credevo di essere Lohengrin, il Giglio fatto uomo! Ma comemi superi pioppo glorioso! nato quaggiù, tu sei vegetante; tu tendiper sottilissime unanimi branchie all'Empireo e il tuo fogliameimpalpabile d'argento, sulla soglia di questa villa nuziale, mormoracon immutata purezza vedendo le coppie che entrano, che entrano eescono sette giorni dopo, e così se ne vanno. - Entriamo! entriamo! è la nostra casa! intona Elsa battendo lemani. Si avventurano dunque senza esitare, in preda al disagio e alsilenzio, coi piedi spossati dalle tiepide ghiaie, e si affrettano versoqualcosa come dei salti d'acqua là intorno, - ancora attraversoscoranti labirinti di tassi potati a corridoio e per ammassicuriosamente plastici tra i balsamizzanti spruzzi opalini dei cloffete-clop solitari, nel mezzo di rotonde piazzuole a terrazze di marmoconcentriche, dove bianchi pavoni ancheggiano nel loro strascicoimmacolato al chiaro di luna. Erano proprio delle cascate quelle che loro sentivano, un circo dicascate ininterrotte attorno a una vasca la cui acqua, profonda unpiede appena e translucida, offriva alle magie lunari le miche brillantidel suo fondo di sabbia pura. Ah! gettano corazza di cristallo e strascico stellato di begli occhidi pavone: - edenicamente nudi essi entrano in acqua con risatineassurde, per allungarsi fiaccamente al centro, sotto una copertaideale, poggiando sui gomiti e dicendo qualcosa, tanto per riaversi.

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Si sorvegliano, senza parere. Lohengrin, adolescente e spirito superiore, le gambe troppoincrociate, alla turca. Elsa stirandosi sotto la luna, magra, duramente sagomata egoffa (Detesto le molli curve che per eccesso franano in anticipoverso la putredine), fianchi superbi, gambe per galoppare inallevamenti sassosi; eretta nel busto e senza vergogna dei suoi senitanto acerbi che potrebbe nasconderli sotto due piattini. Elsa, appoggiata sui gomiti e nell'acqua fino al collo, scioglie icapelli e li sparpaglia a onda intorno al viso abbassato che per unattimo, tra quelle alghe e sullo stelo di un collo, appare come uncrudele fiore lacustre. Ottenuto l'effetto, si riscuote: - Sai, non ne potevo proprio più di quella vita conventuale e deisuoi culti platonici. Per caso, non mi trovi un po' incartapecorita? Chene dici, caro, se facessimo una galoppata nei prati? - Se vi va. - Ah! non mi ami. Me l'aspettavo! Sarebbe stato troppo bello! - Sì che ti amo! troppo!... Le tende il braccio, in una stretta di mano cordiale; poi perriaversi: - Su, raccontami un po' la tua vita... - Ma tesoro, non ho vissuto... fino a questa notte. (Ma sapeteche non ho ancora diciottanni?) - Ho sognato e questo e quello, voiinsomma, Grazioso Cavaliere. - E naturalmente, sai tutto! Non rispondi? Non ti sono maipassate sotto gli occhi le tavole anatomiche del destino dellaspecie?... - Oh! tutta la vita vi pentirete di avermi detto questo! - Ma non ho detto niente! Dopotutto alludevo a cose moltonaturali e molto piacevoli! - Le donne avranno sempre l'ultima parola, sospira Lohengringuardando nel vuoto. Si alza; anche lei si alza, impadronendosi del suo braccio con ungesto gentile ma fermo. - Vi bagno forse? fa lei. - Oh, non fateci caso. Compiono il giro della vasca, arrestandosi dove i salti d'acquasono più belli, spezzando un attimo con la punta del piede la falda

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rifrangente che filtra tra le loro dita, furibonda e diaccia. Un pretestoper stringersi addosso al suo tesoro. E lui la calma, non con labanalità di un bacio, ma con qualche parola appropriata. Stanchi di combattere si siedono su una proda intensamenteerbosa. - Adesso come va? chiede lui. - Dove?... - Senti! non senti in giro il singhiozzo di un uccello notturno? - Oh! e questo rumore di germinazioni dappertutto? Che notte! «Orsù! mormora tra sé il misterioso cavaliere. Non l'Assoluto,ma il compromesso; niente è troppo, è consentito tutto». E s'arrischia a carezzarla con una buona dose di curiosità. Poialzando la voce fa la seguente riflessione: «Questa Villa Nuziale puzzadi fossa comune». - Siamo tutti mortali, dice in tono molto conciliante lei. Finalmente: «Se rientrassimo?» sospira lui per due. La Luna Piena è altissima, tumefatta e colore del polipo. Nella notte, ricca in svolgimenti naturali, non s'avverte che losconnesso gracidio delle raganelle dei fossi. - Guarda! cosa sono quelle costruzioni laggiù? Ahssì! la sidirebbe una pietra con dei simboli graffiti e delle regole... - Vieni, vieni o prenderai freddo. Tornano indietro senza parlare, lui gravato da responsabilitàtrascendenti, lei di casa. Lui pensa: Nessun Assoluto, Il compromesso; Niente è di troppo, Tutto è permesso. Lei pensa: È il nido arredato Dall'uomo idolatra, Le bufere scadute Notte e dì accanto al fuoco: Proprio niente per poco

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Quasi mai una lite, Bella cosa due vite Che si sanno arrangiare. Entrano. È la villa invasa d'erbe folli. Facciata con garofani aspalliera bendisposti, scalinata di mattoni rosa, balcone maiolicato afiori, tetto di canne, una banderuola a forma di gatta che miagolerà.Corridoi a eco, troppe scale a chiocciola. Stanze vuote. Nomi e dateincisi col diamante sugli specchi. Piani, salita, discesa: aveva ragionelui, tuttociò puzza di fossa comune. Che peccato, oh rabbia che fuori sui prati faccia troppo fresco!Lui è già così intirizzito. E quei trofei d'orsi neri e quei cuscini stinti in una mansarda lacui finestra a ogiva guarda sulle solitudini del mare e lascia liberoaccesso al debordante chiaro di luna! Insomma, è la vita o una notte di allucinazioni? Appoggiato sui gomiti, Lohengrin può scorgere l'ombreggiaturadelle ciglia sulla guancia di Elsa, di Elsa calata fino alle spalle dentrofiere pellicce. - Che cosa guardate là? fa lei. - Rifletto sui prodigi d'organizzazione del corpo umano. Un silenzio. Elsa si solleva mettendosi sui gomiti: - Oso pronunciarmi? - Dite. - Posso veramente? Dico a voi, che pure ho visto in sogno, ecosì buono, così discorsivo! E che m'avete portato qui! Posso, perquella schiettezza che mi ha fatto? - L'Eterno femminino! ecco, sorellina, cosa vuol dire far gruppo asé. E se ci mettessimo noi a organizzare l'Eterno mascolino? - Oh, via! ma è cosa fatta... - E gli uomini di genio! Perché vi accanite a farli soffrire gliuomini di genio? Da dove viene l'istinto che turba in certi momenti ilpensatore?... - Se è un istinto, non posso saperlo. - So io, è perché sudino il capolavoro che voi li fateparticolarmente soffrire! Sapete bene che sono soprattutto glistravolti capolavori di quegli infelici a ridarvi ogni generazione quellanobiltà che renderà più attraenti le vostre figlie alla generazionesuccessiva.

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- E con questo? se tutti ci guadagnano!... - Mio Dio! mio Dio! E sarebbe una semplice schiava secolarepriva di malizia? Se fosse una spia trascendente? Oh, mentre l'uomo seppellitoimputridisce e basta, se la donna partisse in un mondo femminiledove verrebbe ricompensata secondo la qualità e la quantità di tutticoloro che avrà saputo abbindolare quaggiù, facendoli lavorare innome dell'Ideale! ... - Uffa! che caldo! ... - Ma non rispondi ai miei dubbi? - Ti giuro che non so niente; ti amo e non ho altro pensiero chedi piacerti perché tu mi adotti. Credi che non abbia anch'io i mieidispiaceri, i miei dispiaceri, i miei dispiaceri? - Via, non piangere così! non piangere! Sorridimi: più di così!Su, cantami qualcosa. - Non conosco che le filastrocche. - Ottimo, t'ascolto. Elsa tossisce un po', e canta con un residuo di lacrime nellavoce: Sansone credeva in Dalilà, Giro girotondo, giro girotondo! La ragazza più bella del mondo Non può dare che quello che ha. - Chi ve l'ha insegnata? Non sapreste qualcosa di menoepitalamico? - Con la mano sul cuore e con gli occhi al baldacchino Elsasalmodia: Tu ci lasci e te ne vai Te la batti e ti ritrai. Fai le trecce? Le disfai? Sono sempre eterni guai. - No! non sta mica bene! Elsa, sareste per caso libidinosa? - Ignoro il senso di questa parola. - Ah! perché non cantate voiallora? Lohengrin declama con un accento perfetto:

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C'era una volta un re di Tule Fino alla morte fu fedele, Amava un cigno le cui ali Bianche sui laghi erano vele, Quando la morte sopraggiunse... Morire! morire! oh, non voglio morire! Voglio vedere tutta laterra. Voglio sapere la verità sulla Ragazza. Lohengrin ha la faccia sul cuscino e singhiozza disperatamente.Elsa si china sulla sua tempia, e sulla tempia che brucia alita consincerità infernale: - Bambino, bambino, bambino, conosci i fasti voluziali? Guarda iconfetti dei miei giovani seni, tocca come la mia capigliatura di unnero tenero è sensuale, gusta, gusta un po' le mie puberose... Orancori uggiversali! esperienze nevricide, notti martiridescenti!...Amami a fuoco lento, inventàriami, massacrami, massacrilégiami! - Ma, voi divagate? Mi fareste temere per la vostra... - Ah! non indispormi anche tu così! Alla fine, ferisce! - Indispongo perché... - Cosa? cosa? Se non chiedo che di amarti. - Vorrà dire che detesto i vostri fianchi magri! non ammetto chei fianchi larghi, io! Almeno ricordano con franchezza la servitù delfigliare che, dopotutto, sta in fondo a queste belle cose. - Non dire così! Che ti ho fatto di male? - Scusa, scusa! non piangere! Era una cattiveria. Oh! alcontrario, ma io vado matto per i fianchi duri e dritti! - Dici davvero? - Sì, alla follia! Non vedo altro! - E allora! - Ti spiego; quel che non sopporto in te, è che malgrado i tuoifianchi stretti, insomma antimaterni, tu ti muovi invece col perpetuoancheggiamento del mammiferino che ha appena scaricato il qualchechilo del suo parto (cosa c'è da ridere?); sì, proprioquell'ancheggiamento di chi, meravigliata di trovarsi così leggeradopo nove mesi di fatica, va in giro sentendosi più leggera delnaturale, come approfittando di quella leggerezza intermedia primache si ricominci un'altra volta, anzi facendo dell'ancheggiamento

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liberatorio la propria esca per i prossimi gravatori! Questa io lachiamo leggerezza, aberrazione bell'e buona. Afferri? - Sì sì, non ci avevo mai pensato. Ma d'ora innanzi misorveglierò, sì tesoro, farò tutto secondo i tuoi dettami. - Eh no! nemmeno pensarci: è incurabile. Su, su! ancora dellelacrime! non piangere! non piangere! Lo sai che non posso soffrire lelacrime. Lohengrin le passa delicatamente la mano sul collo per calmarla. - Che sorpresa la tua mano! dice lei. Fa la morta; si ricorda che il primo complimento delsorprendente cavaliere è stato per il suo collo di cigno; ma no, lamano insiste su un punto... - Com'è che lo chiamate voi questo? - Non so; il pomo d'Adamo. - Come? - Il pomo d'Adamo. - E questo non vi ricorda niente? - Parola mia no. - E v...va dunque! A me ricorda i giorni peggiori della nostrastoria! - Oh! non piangere! non piangere! Chiuso, ti dico che hochiuso. - Sul serio, tesoro? - Ecco, lasciami fare un riposino, un quarto d'ora tutto per me,nel silenzio della notte, - poi ti prometto che in nome di questairresistibile notte mi farò un dovere di adorarti ben bene. - Come vorrai, tesoro. Lohengrin, il sorprendente cavaliere, le volta la schienadopodiché, impossessandosi più che follemente del suo cuscino eafferrandolo perdutamente tra le braccia in una stretta maldestracontro il petto e la guancia, prende a vagirgli, come un bimbo, unbimbo incurabile, vi dico! «O mio buon buon buon cuscino, tenero e bianco come Elsa! Omia piccola Elsa, bebè incosciente che ti meravigli dei miei abissi,bebè succulento, nubile da sgranocchiare, misirizzi, creatura dagliorgani divini, sei un fenomeno! Ah! voglio amarti a tentoni, trovare ilcammino della tua anima!... «Dove sei? dove sei? fa che ti adori da ogni parte! O mio buoncuscino, non ti resterà il più piccolo spazio fresco (dopo una giornata

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così faticosa) per la mia fronte. Mio buon cuscino bianco e puro comeun cigno, mi senti? «Mio cigno, mio cigno mi senti! Oh, non c'è dubbio che seiproprio tu, pallido e muto! sei tu! «Ecco, m'aggrappo alla prua del tuo collo insommergibile,portami via di là dai mari immacolati, rapiscimi in spirali, poveroGanimede, di là dalle prode della Via Lattea, oltre le grandinate distelle e l'infido capo del Sole, verso il Santo Graal dove mio padreParsifal prepara un progetto di riscatto per la nostra sorellina umanacosì terra terra!... «Tu sai tutto questo, mio buono, mio tenero cigno! Ci sono,m'afferro bene, trattengo il respiro! - Addio, voi!...». Oh, la finestra della sala nuziale scoppiò follemente dentro unciclone di magia lunare! e ecco che il cuscino mutato in cigno spiegòle sue ali imperiose e cavalcato dal giovane Lohengrin s'alzò in spiralisiderali puntando verso la libertà meditativa, puntando, sopra ledesolate lagune del mare, oh ben di là dal mare! verso le altitudinidella Metafisica dell'Amore, i cui ghiacciai a specchio nessun alito diragazza potranno mai appannare per tracciarvi con un dito il proprionome e la data!... È da allora che in notti come questa i poeti celebrano a freddo einviolabilmente dietro la loro fronte una certa festiccioladell'Assunzione. SALOMÉ Nascere è uscire: morire è rientrare.(Proverbi del regno di Annam raccolti dal padre Fourdain delleMissioni Straniere). I Erano passate giusto quel giorno duemila canicole da che unasemplice rivoluzione concertata dai Mandarini di Palazzo avevaportato il primo Tetrarca, un infimo proconsole romano, sul tronodelle Bianche Isole Esoteriche - trono da quel dì ereditato per

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selezione controllata e isole da quel dì perdute alla storia, salvotuttavia restando quell'unico titolo di Tetrarca, inviolabile alla stessastregua di Monarca, oltre i sette simbolismi di stato propri delladesinenza tetra in opposizione alla desinenza monos. In tre blocchi, su dei piloni tozzi e nudi, con cortili interni galleriesepolcreti, col vantato giardino pensile dalle giungle verzicanti agliatlantici venti e con un osservatorio di vedetta a duecento metri su dicasa nel cielo con cento rampe di cinocefali e sfingi il tetrarchicopalazzo altro non era che un monolito sgrezzato, ricavato dal ventre,ben messo, insomma tirato a lustro dentro un monte di nero basaltoscreziato di bianco, con in più l'aggetto di un rumoroso molopedonale a doppia fila di pioppi incassati color viola-gran lutto,proteso verso la inquieta solitudine marina, fino allo scoglioimperituro su cui, avorica spugna, s'esibiva alle nottambule giuncheun faro d'opera buffa. Titanica funerea mole venata di livido! facciate d'un neroeburneo riverberanti misticamente l'odierno sole di luglio: sole sulmare a tal punto riverberato di nero che le civette del pensilegiardino, dall'alto dei loro polverosi pini, osano contemplarlo senzadanno!... La galera che ancora ieri portava i due principi intrusi, presuntifiglio e nipote di un certo Satrapo del Nord, si culla sugli ormeggi aipiedi del molo, tra i commenti di figure oziose ma schiette nel gestire,al modo indigeno. Così nel ristagno di mezzodì che si perpetua, legittimo dato chela festa non sarebbe esplosa che alle tre, il palazzo poltriva nonriuscendo a scrollarsi di dosso la sua siesta. Dalla corte, là dove convergono le grondaie, veniva unosbellicarsi di gente al seguito dei Principi del Nord e a servizio delTetrarca, un ridere senza capirsi tra i giochi di piastrelle e gli scambidi tabacco. C'è chi mostra ai colleghi stranieri come vanno strigliati glielefanti bianchi... - Ma da noi non ci sono elefanti bianchi, cercavano di far capire. E i palafrenieri giù a toccarsi, come a scongiurare propositi empi.Dopodiché restavano allocchiti davanti ai pavoni bighellonanti incerchio, con la ruota sgargiante al sole, sopra il getto d'acqua; ma sidivertivano, ne abusavano anche! ai loro barbari appelli rispondevanoechi gutturali a rimbalzo nel caos di più piani di rocce. Tutti costoro rientrarono in fretta per accudire alle proprie

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faccende quando sulla terrazza centrale apparve il Tetrarca Smeraldo-Archetipas sfilandosi i guanti al sole, Aedo universale allo Zenit,Lampiride dell'Empireo, ecc... Oh, il Tetrarca sulla terrazza, cariatide di dinastie! Dietro a lui la città, in un brusìo di festa, che sciorina le suericche innaffiature; e più in là, dopo i bastioni nani smaltati difiorellini gialli, come si stendeva lieta la pianura! Strade graziose con iquartieri dalle selci rifilate, scacchiere dalle svariate colture. Davanti alui il mare, il mare sempre nuovo e venerabile, il Mare, dato che nonc'è modo di chiamarlo altrimenti. Ora il silenzio era unicamente punteggiato dall'abbaiare festoso echiaro, laggiù, dei cani che i bimbi, tra il brillìo dei nudi corpi nellemiche delle sabbie arse, eccitavano con esotici fischi contro laspiegata curva della linea del mare, sul cui pelo dell'acqua gli stessigiocavano poco fa a rimbalzello con delle frecce di scarto. Così, poggiato sui gomiti, godendosi il fresco degli invisibiliruscelletti, tra le clemàtidi della terrazza, il Tetrarca buttava svogliatoin volute senz'arte, tristi e sconnesse, il fumo della sua dosemeridiana di narghilé. Ieri, per un istante, all'arrivo sospetto di unmessaggero che annunciava i Principi del Nord, il suo destino troppopago su queste isole troppo paghe aveva vacillato tra i terroristrettamente domestici e un dilettantismo assoluto che troverà il suoconforto del tutto per tutto nella rovina. Perché era proprio della razza di quei figli del Nord, mangiatoridi carne dalle facce non rasate, l'infausto Johanaan piombato qui unbel mattino, con tanto di occhiali e una barbaccia rossa, acommentare proprio nella lingua del paese certi opuscoletti chedistribuiva gratis, ma propagandandoli in un modo così sedizioso cheper poco il popolo non l'aveva lapidato, e che adesso se ne stava acogitare in fondo all'unica segreta del tetrarchico palazzo. Che dopo tanti secoli di esoterismo senza storia, il ventesimocentenario della dinastia degli Smeraldo-Archetipas dovesse sorbirsi,mazzo di luminarie, una guerra dell'altro mondo? Johanaan avevaparlato della sua patria come di un paese intristito dall'indigenza,affamato dell'altrui bene, dedito alla guerra come a una industrianazionale. Che i due principi fossero venuti a reclamare quel tizio, unsignore di genio, dopotutto, e loro suddito, a complicare il fattopretestuoso esibendo un nordico diritto delle genti?... Ancora fortunato! poteva ringraziare le misteriose intercessioni di

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sua figlia Salomé se il boia non era stato distolto dalla tradizionalesinecura onoraria e spedito a Johanaan col sacro kris... Ma, un ben misero allarme! Il viaggio dei due Principi non erache una circumnavigazione, in cerca di colonie vagamente occupate,con scalo strada facendo, per curiosità, alle Isole Bianche. È proprioin quest'angolo di mondo rischiava la corda il loro celebre Johanaan?Eccoli avidi di particolari sulle tribolazioni di quel povero diavolo giàcosì poco profeta in patria. Così il Tetrarca poppava la sua dose meridiana di narghilé, conanimo svuotato e con umore malfermo come sempre, del resto, sulmezzodì - più malfermo oggi tra i rumori crescenti della festanazionale, i petardi i cori gli sbandieramenti e le limonate... L'indomani, la galera di quei signori si sarebbe dileguataall'orizzonte; certo infinito, ma di là dal quale vivevano sotto lo stessosole numerosi altri popoli. Curvo sulle giulebbanti clemàtidi della balaustra di maiolica,intento a sbriciolare una focaccia di fior di farina per i pesci dei vivaisottostanti, Smeraldo-Archetipas rimuginava il fallimento - oh, esiguarendita! - delle sue facoltà in pensione, la tarda vecchiaiaindubbiamente frustrando ogni impulso galvanico, vuoi artistico omeditativo o gemellare o industriale. E pensare che il giorno della sua nascita un grosso temporales'era abbattuto proprio sul nero dinastico palazzo, e che da gentedegna di fede era stato visto un lampo iscrivere l'alfa e l'omega!Giorni e giorni sciupati sospirando su quel mistico trillo! Non s'era maimanifestato proprio niente. E poi, alfa e omega possono voler diretante cose... Per finire, da quasi due mesi aveva rinunciato ai temi fatui,esortandosi a ritrovare quella fiammella di rassegnazione al nulla deisuoi ascetici ventanni, per imporsi con applicazione la regola deipellegrinaggi quotidiani alla necropoli avita, così fresca, d'altronde,l'estate. - L'inverno era alle porte, con le cerimonie del culto dellaNeve, con l'investitura del nipote. E gli restava sempre Salomé, la suabambina, che non voleva sentir parlare delle dolcezze dell'imene! La mano di Smeraldo-Archetipas era già sul gong, per larichiesta di altre focacce destinate ai pesci di lusso al luglio, quandoalle sue spalle risuonò sulla pietra la verga di bronzo del Profitented'inezie. I Principi del Nord erano rientrati dalla visita in città;attendevano il Tetrarca nella sala dei Mandarini di Palazzo.

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II Detti Principi del Nord, bardati, impomatati, inguantati, gallonati,con tanto di barba e di riga all'occipite (le ciocche riportate sulletempie per dare rilievo ai profili di bronzo) erano in attesa, una manocon l'elmo poggiata sulla coscia destra, l'altra a tormentare l'elsa dellasciabola, stando in bilancia come stalloni che fiutano la polvere.S'intrattenevano coi notabili: il grande Mandarino, il Gran Maestrodelle Biblioteche, l'Arbiter Elegantiarum, il Conservatore dei Simboli, ilRettore delle Selezioni e dei Ginecei, il Pope delle Nevi e l'Intendentedella Morte, tra due ranghi di scribi allampanati e svelti, con lacannuccia al fianco e il calamaio sul cuore. Le loro altezze si congratularono col Tetrarca, complimentandosidel buon vento che... in un giorno così glorioso... in queste isole -chiudendo con un elogio alla metropoli, la cui Basilica Bianca, doveavevano udito un Toedium laudamus sulla pianola dei Sette Dolori, eil Cimitero degli Animali e delle Cose non erano tra le curiosità diminor conto. Fu servito uno spuntino. Ma dato che i Principi si facevanoscrupolo di toccare la carne presso degli ospiti tanto ortodossi in fattodi vegetarianismo e ittiofagia, la tavola così delicatamente disposta,tra i cristalli, sembrava dipinta, coi mazzi di carciofi callipigi natanti inbaccelli di ferro bivalve e puntuti, con gli asparagi sui graticci rosa digiunco, con le anguille grigio-perla, e i dolci di datteri, la gamma dellegelatine di frutta, la varietà di vini dolci. Allora il Tetrarca e il suo seguito, con in testa il Profitented'inezie, si sentirono in dovere di fare agli ospiti gli onori di palazzo,del titanico funereo palazzo venato di livido. E per incominciare, una visita al panorama delle isole dall'altodell'osservatorio, per poi scendere di piano in piano attraverso ilparco il serraglio e l'acquario, giù giù fino alle cripte. Il corteo attraversò lesto, in punta di piedi, le stanze di Salomé,arroccate - è il caso di dire - pneumaticamente lassù tra un continuosbattere di porte e un dileguare di due tre torsi di negre dalle scapoledi bronzo lucenti. Giusto in tempo per notare al centro di una salarivestita di maioliche (oh, così gialle!) una vasca d'avorio lasciata làcon una spugna bianca di dimensioni ragguardevoli, i rasi inzuppati e

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un paio di babbucce rosa (oh, così rosa!). Poi una libreria, poi unastanza ingombra di materiali metalloterapici, una scala a chiocciola euna piattaforma per una boccata d'aria dall'alto - ah! giusto in tempo,prima che sparisse una ragazza musicalmente avvolta dentro unamussola d'impalpabile giunchiglia a pallini neri, per vederla scivolarevia nel vuoto, con un gioco di pulegge, verso altri piani!... Ai Principi, che l'intrusione già prosternava in galantisalamelecchi, fu di monito quel cerchio d'occhi stupefatti che stava asignificare: «Bene bene, sia chiaro che di tuttociò che qui accade,niente ci riguarda». Si riprese a circolare all'aperto, tra frasi leggere di ammirazionesoffocata, intorno a questa cupola d'osservatorio che fa da tetto a ungrande equatoriale di diciotto metri, cupola mobile, pittata a affrescoimpermeabile, e la cui massa di centomila chili sospesa su quattordiciperni d'acciaio nella sua slitta di cloruro di magnesio virava, a quantopare, in due minuti sotto la lieve pressione della mano di Salomé. A proposito, se a questi impagabili esotici gli prendesse l'uzzolodi buttarci di sotto? pensarono unibrividendo i due Principi. Ma in due,nella loro uniforme attillata, erano dieci volte più robusti di quelladozzina di pallidoni depilati, con le dita cariche di anelli,sacerdotalmente impediti nei loro broccati rilucenti di lamé. E sidivertirono a riconoscere laggiù al porto la loro galera, simile a uncoleottero dalla teca di lamiera forbita. E quelli intanto a snocciolargli le isole, arcipelago di chiostrinaturali, ognuna con la sua casta, ecc... Ridiscesero, passando per una sala dei Profumi dove l'ArbiterElegantiarum prese nota dei doni che le loro altezze si sarebberodegnate di accogliere; poi additando i pasticci segreti di Salomé:belletti senza carbonato di piombo, ciprie senza biacca né bismuto,corroboranti senza cantaride, acque lustrali senza protocloruro dimercurio, depilatori senza solfuro di arsenico, latte senza sublimatocorrosivo né idrossido di piombo, tinture vegetali purissime senzanitrato d'argento, iposolfito di soda, solfato di rame, solfuro di sodio,cianuro di potassio, acetato di piombo (possibile?) e due damigianed'essenze di fiori marzolino - autunnali. In fondo a un corridoio umido, interminabile, che puzzad'agguato, il Profitente aprì una porta resa verde dal muschio e dallefungosità come un vecchio scrigno: e il sovrano silenzio del vantatogiardino pensile colse tutti di sorpresa - ah! giusto in tempo per veder

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sparire dietro la curva di un sentiero il fru-fru di una figurinaermeticamente avvolta dentro una mussola di impalpabile giunchigliaa pallini neri, scortata da molossi e da veltri i cui latrati saltellanti,veri singhiozzi di fedeltà, finirono col perdersi in lontani echi. Oh! solitudine chilometricamente fonda d'un verde severo, in unaeco di labirintici recessi, annaffiata da macchie di luce, di null'altroaddobbata che di legioni d'erti pini, coi nudi tronchi rosa-salmone,espansi solo lassù a ventaglio in polverose ombrelle orizzontali... Lebarre di luce si posavano tra quei tronchi con la stessa tranquilladolcezza che esse assumono tra le colonne di una cappella claustraledalle finestrelle grigliate. Una brezza marina spirava tra i fusti eccelsi,col rombo bizzarro di un direttissimo che si perda nella notte. Poi ilsilenzio delle altezze, che è di casa, s'installava nuovamente.Prossimo, oh! in qualche luogo, un usignolo si sgolava in raffinatigorgheggi; lontano gli rispondeva un altro, come in famiglia, dentrouna voliera secolarmente dinastica. Era un inoltrarsi computando lospessore di quel suolo artificiale, sul veltro delle foglie morte e deglistrati di aghi di mille epoche trascorse, così accogliente per le radicidi quei pini patriarcali! E ancora: abissi di prati, di pendii erbosievocanti festività faunesche, di acque morte dove s'impegolano noiatiannosi cigni adorni d'orecchini troppo pesanti per dei colli affusolati; esvariati decameroni di statue policrome, tirate giù dai basamenti, inpose di una nobiltà sorprendente. Per finire, il recinto delle gazzelle faceva da trapasso, del restosenz'altra pretesa, tra i pomari e il Serraglio e l'Acquario. Le belve, al passaggio, neanche alzarono le palpebre; gli elefantisi dondolavano in un robusto frusciare d'intonaco, ma il loro pensieroera altrove; le giraffe, pur nel garbo del manto caffellatte, parveroeccessive, ostinandosi a guardare più su della corte vivace; lescimmie non si curarono d'interrompere le scene d'intimità del lorofalansterio; le uccelliere scintillavano assordanti; i serpenti, da unasettimana, non smettevano più di cambiar pelle; e le scuderieapparivano vuote proprio delle bestie più pregiate: stalloni cavalle ezebre dati in prestito alla municipalità per una cavalcata in quelgiorno. L'Acquario! Ah! L'Acquario, per esempio! Fermiamoci qui. Comevolteggia in silenzio... Labirinto: a destra di grotte a forma d'ambulacro, a sinistra diparatie con squarci vitrei e luminosi per le nazioni sottomarine.

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Lande coi dolmen incrostati di ornamenti gommosi, circhi agradoni basaltici dove i granchi in un ottuso brancicante buonumorepostprandiale s'intralciano in coppia con occhietti ridevoli tra le chelecuculiatorie... Pianure e pianure di una rena così fine che talvolta si leva sotto icolpi di coda d'un pesce piatto venuto da chissaddove, in un garrirelibertario d'orifiamma, e che è visto passare e che ci lascia e se neva, tra uno spiare qua e là d'occhiacci a fior di sabbia, e in ciò staproprio tutto il suo quotidiano. O una desolazione di steppe con al centro un solo albero,folgorato, ossificato, dove a grappoli vibratili saprofitano gliippocampi... E sfilate di muschi, in un cavalcavia di ponti naturali, doveruminano in un ribollio fangoso le gualdrappe embricate dei limulidalla coda di topo, e qualcuno si dibatte capovolto, così, di suo gusto,tanto per strigliarsi... Sotto caotici archi di trionfo in rovina le aguglie vanno in girocome frivoli nastri; e migrano alla buona gl'ispidi nucleobranchi dalleciglia a ciuffo intorno a una matrice che si fa vento nella monotoniadei lunghi viaggi... E campi di spugne, spugne dalle parcelle di polmone; coltivazionidi tartufi dal velluto arancione; e tutto un cimitero di molluschimadreperlacei; e queste piantagioni di asparagi fittili e turgescentinell'alcool del Silenzio... E a perdita d'occhi distese, distese smaltate di bianche attinie, dicipolle grasse a puntino, di bulbi dalla mucosa viola, di lembi di trippefiniti da qualche parte ma in grado di rifarsi per davvero un'esistenza,di moncherini le cui antenne ammiccano al corallo dirimpettaio, dimille verruche senza senso; un'intera flora fetale e claustrale evibratile che agita il sogno imperituro di poter un giorno sussurrarsimutui rallegramenti sullo stato attuale delle cose... Oh! ancora questo altopiano, cui s'abbarbica a ventosa la Scoltadi un polpo, grasso e glabro minotauro di tutta una regione.... Prima di uscire, il Pope delle Nevi si gira verso il corteo che ristàe parla, quasi recitasse un'antica lezione: «Né giorno né notte, Signori, né inverno né primavera, né estatené autunno, e altre simili fanfaluche. Amare, sognare, mai mutare diposto, al riparo da cecità imperturbabili. O mondo di soddisfatti, voistate in una beatitudine cieca e silenziosa, mentre noi, noi ci

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inaridiamo in smanie sopraterrestri. Perché mai le antenne dei nostrisensi, di noi, non sono limitate dal Cieco e dall'Opaco e dal Silenzio,invece di fiutare di là dal nostro naso? Perché non sappiamoincrostarci nel nostro cantuccio e lì fermentare la sbronza del nostropiccolo Io? «Tuttavia, o villeggiature sottomarine, pur con le nostre smaniesopraterrestri, noi siamo a conoscenza di due leccornie che vivalgono: il viso della troppo amata che sul guanciale si sigilla, ciocchepiatte agglutinate nei sudori di poco fa, bocca ferita che rivela ilpallore dei denti in un raggio d'acquario della Luna (oh, non cogliete,non cogliete!) - e la Luna stessa, questo giallo girasole, schiacciato,inaridito a forza d'agnosticismo (oh! cercate, cercate di cogliere!)». Così per l'Acquario; ma quei principi stranieri furono in grado dicapire? Rapidi e discreti, tutti infilarono il corridoio centrale dei Ginecei,affrescati da scene callipediche, di una mestizie fradicia d'aromifemminili; non si sentiva che il gorgoglio di un gioco d'acqua - asinistra? a destra? - abbeverante con la sua freschezza la rete di unamelopea indicibilmente schiava, sterile e sventurata. L'ignoranza dei riti locali potendo esporli a qualche sinistratopica, i Principi attraversarono d'un sol passo discreto la necropolitetrarchica, una doppia fila di armadi a muro, celati da ritratti a figuraintera, che racchiudono fiale e quantità di realistici oggetti devoti,naturalmente degni di devozione solo per la famiglia. Ma era chiaro che desiderassero soprattutto rivedere il lorovecchio amico Johanaan! Seguirono dunque un funzionario dalla chiave ricamata ditraverso lungo il filo della schiena, il quale arrestandosi in fondo a unbudello che puzzava di salnitro, indicò una grata che per mezzo di unpraticabile fece abbassare ad altezza d'appoggio; fatti più prossimi,riuscirono a distinguere in fondo a una cella l'infelice Europeo che sisollevava, distolto dal suo stare bocconi, col naso tuffato in undisordine di scartafacci. Sentendosi augurare un duplice cordiale bongiorno nella linguamaterna, Johanaan s'era messo ritto, aggiustandosi i grossi occhialirabberciati con dello spago. Oh! mio Dio, i suoi principi qui! - Seratacce d'inverno, con glizoccoli imbevuti di fanghiglia, in prima fila tra poveri diavoli, reducidalla loro giornata salariata, che si attardano un attimo là, trattenuti

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da tirannici poliziotti a cavallo, per osservarli scendere impennacchiatidalle carrozze di gala e salire tra due file di sciabole sguainate loscalone di palazzo, di quel palazzo dalle finestre 'a giorno' a cuiandandosene egli mostrava il pugno mormorando ogni volta che «itempi» erano vicini! - E ora, eccoli arrivati, questi tempi! eccoacquisita al paese la rivoluzione promessa! e dopo dio, ecco il suopovero vecchio profeta Johanaan! e questo intervento del re inpersona, questa intrepida lontana spedizione dei suoi Principi venuti aliberarlo, senza alcun dubbio una consacrazione commovente volutadai popoli per sigillare, grazie a lui, l'avvento della Pasqua Universale! Per prima cosa, automaticamente si prosternò come d'uso dallesue parti, sforzandosi di trovare una frase memorabile, storica, certofraterna, degna anche... La parola gli fu illico soffocata dal nipote del Satrapo del Nord,un soldataccio dalla calvizie apoplettica che farfugliava a sproposito,imitando Napoleone, la sua esecrazione per «gli ideologhi»: - «Ah!ah! eccolo l'ideologo, lo scribacchino, il riformato di leva, il bastardodi Rousseau! Sei venuto fin qui per farti impiccare, gazzettieredeclassato! Un bel sollievo! Che la tua zazzera tignosa vada presto araggiungere nel cesto della ghigliottina quelle dei tuoi confratelli delCalza-Becchi! sì, la congiura dei Calza-Becchi, teste ancorafresche...». Oh! bruti, inestirpabili bruti! dunque il complotto del Calza-Becchi era fallito! i suoi fratelli, assassinati! e nessuno in grado difornirgli particolari pietosi. Finito, finito, non resta che crepare come ifratelli sotto il Tallone Costituito. Lo sventurato pubblicista si chiuserisoluto in un silenzio, nell'attesa che, una volta sfollato tutto quel belmondo, nel suo cantuccio morte lo colga. Due lacrimoni bianchi glicolarono sotto gli occhiali lungo le guance smunte verso la barbarada. - Di colpo fu visto ergersi sui piedi scalzi, le mani tese aun'apparizione, e singhiozzare gli epiteti più dolci della sua linguamadre. Tutti si volsero, - ah! giusto in tempo per vedere, in un tinnirdi chiavi, sotto il lividore di quell''in pace', eclissarsi una svelta figuraindubbiamente avvolta dentro una mussola d'impalpabile giunchiglia apallini neri... Johanaan ripiombò bocconi sul giaciglio; e come s'accorse d'averrovesciato il calamaio sugli scartafacci, prese ad asciugare l'inchiostrocon una tenerezza infantile. Il corteo risalì, senza commenti; il nipote del Satrapo del Nord

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tormentando il collare della sua gorgera e masticando tra sé sacriprincìpi. III Su un modo allegro e fatalista, un'orchestrina dagli strumentid'avorio stava improvvisando una introduzioncella unanime. Entrò la corte salutata dal festoso baccano di duecento invitati dilusso levatisi in piedi dai loro triclini. Ci fu un attimo di sosta dinnanzia una piramide di doni offerti al Tetrarca in quel giorno. I due Principidel Nord si davano di gomito, eccitati all'idea di togliersi il collare delTosone Ferreo per passarlo al collo del loro ospite. Non osarono, nél'uno né l'altro. La pochezza artistica del collare, soprattutto inquell'occasione, saltava agli occhi. Quanto al valore onorifico, nonessendoci niente del genere in giro, sembrò loro che le spiegazioniutili a metterlo in luce rischiassero di cadere nel vuoto, o a malapenain un successo di stima. Tutti presero posto; Smeraldo-Archetipas presentando figlio enipote, due prodotti superbi (superbi, sia chiaro, nel senso esoterico ebianco), agghindati emblematicamente. Allora, nell'aerea sala fiorita di giunchi color giallo giunchiglia,cinta a pergolato da un'assordante uccelliera, con al centro un gettod'acqua montante in colonna a trafiggere lassù il bianco velario digomma variamente dipinto e ricadente in un crepitìo di dolce pioggiaristoratrice, tuttociò fece dieci file di letti, ciascuno addobbatosecondo il gusto del commensale, lungo le tavole a emiciclo - e, difronte, una scena d'Alcazar di vaste proporzioni, dove il fior fiore deisaltimbanchi dei giocolieri delle bellezze e dei virtuosi delle Isolesarebbe venuto a esibirsi. Una brezza ben studiata correva lungo il velario, reso tuttaviapesante dai continui rovesci del getto. E le uccelliere, ilari pel loro frusciare colorato, tacquero amalincuore quando la musica iniziò a accompagnare il pranzo. Povero Tetrarca! le musiche, e la platea dei lussuosi omaggi inun giorno pomposo lo irritavano profondamente. Assaggiava appenala studiata successione delle portate, piluccandovi con spatole di neveindurita, andando in oca come un bimbo, a bocca aperta, dinnanziagli strepitosi rabeschi del fregio volteggiante sul palcoscenico

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dell'Alcazar. Si esibivano, su quel palcoscenico: La ragazza serpente, esile, viscosamente squamata di blu diverde di giallo, il petto e il ventre d'un rosa tenero; glissava e sitorceva, mai sazia di contatti personali, e intanto intonava da blesal'inno che così principia: «Bilbili, mia germana Bilbili, oh tu mutata infonte!...» Poi una processione di costumi sacramentalmente inediti,simbolizzanti ciascuno un desiderio umano; una vera finezza! Poi degli intermezzi, sul piano dell'orizzonte, di cicloni di fioriamperizzati: una tromba orizzontale di mazzetti esagitati... Poi dei musici pagliacci con sul cuore la manovella di autenticiorganetti di Barberìa che giravano con arie da Messia, puntoinfluenzabili, anzi disposti a compiere fino in fondo il loro apostolato. Altri tre pagliacci recitarono l'Idea la Volontà l'Incosciente. L'Ideascilinguava su tutto, la Volontà dava capocciate alla scena, el'Incosciente faceva larghi gesti misteriosi come chi, tutto sommato,ne sa più di quanto può dire. Questa trinità, del resto, aveva un soloidentico ritornello: O pagana gente, Un bel niente! Il niente, santuario Al bibliotecario! Fu un successo d'ilarità. Poi dei virtuosi del trapezio, dalle ellissi quasi siderali!... Poi fu introdotto un pavimento di ghiaccio naturale, e schizzòfuori un pattinatore adolescente, con le braccia incrociate suglialamari d'astrakan bianco, il quale non s'arrestò che dopo averdescritto tutte le combinazioni di curve conosciute; poi fece un giro divalzer sulle punte come una ballerina; poi disegnò al bulino sulghiaccio una cattedrale d'un gotico fiammeggiante, senza trascurarviun rosone, un ricamo! Poi figurò una fuga in tre parti, finendo con ungroviglio turbinoso alla fachiro posseduto 'dal diavolo' e uscì di scena,gambe all'aria, pattinando sulle proprie unghie d'acciaio!... Si chiuse il tutto con una sfilata di quadri viventi, nudità di unpudore vegetale, in una simbologia gradualmente euritmica,

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attraverso i calvari dell'Estetica. Tolti dalle carriole i calumeti, la conversazione si fece generale, eJohanaan ne faceva le spese, con tutto quel tripudio sopra la suapovera testa. Il disquisire dei Principi del Nord intorno all'autorità, all'esercito,alla religione suprema, scolta di pace, di pane e di concorrenzainternazionale finì con l'imbrogliarsi; per tagliare corto, citarono aguisa d'epifonema il seguente distico: Del resto si sa che ogni uomo professa Il perfezionamento della Specie stessa. Era opinione dei mandarini che occorresse atrofizzare,neutralizzare le fonti della concorrenza sociale, chiudersi in cenacoliiniziatici, vivacchianti in pace tra loro, al riparo della Grande Muraglia,ecc. ecc... E la musica, andando per conto suo, pareva voler proseguire ciòche la gente era troppo effimera per formulare. Finché il silenzio s'allargò come una sciabica dalle maglie pallidegettata in una sera di ricca pesca; tutti si alzarono; pare che siaSalomé. Entrò, scendendo la scala a chiocciola, rigida nella sua guaìna dimussola; fece segno con la mano di risdraiarsi; una piccola lira nerale pendeva dal polso; sulla punta delle dita spiccò un bacio indirezione di suo padre. Venne a approdare frontalmente sulla pedana, davanti al sipariochiuso dell'Alcazar, aspettando che la si contemplasse con agio,divertendosi a ondeggiare, per darsi un contegno, sui piedi esanguidagli alluci divaricati. Non prestava attenzione a nessuno. - I capelli incipriati di pollinisconosciuti si scioglievano sulle spalle in ciocche piatte, arruffati confiori gialli e paglie gualcite sulla fronte; le spalle nude trattenevano,rialzata da bretelle di madreperla, una ruota di pavone nano dal fondocangiante, marezzato, azzurro, oro, smeraldo, aureola su cui spiccavauna candida testa, testa superiore, certo, eppure cordialmenteincurante di sapersi unica, il collo svuotato, gli occhi corrotti daespiazioni cangianti, le labbra schiuse ad accento circonflesso d'unrosa pallido su una dentatura dalle gengive d'un rosa anche piùpallido, in un sorriso dei più crocifissi.

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Oh! dolce forma celestiale di estetiche ben assimilate, espertareclusa delle Bianche Isole Esoteriche!... Ermeticamente avvolta dentro una mussola d'impalpabilegiunchiglia a pallini neri che, agganciandosi qua e là a fibbie diverse,lasciava libere le braccia in un'angelica nudità e formava tra dueombre di seni dalle mandorle guarnite d'un garofano una sciarparicamata dei suoi verdi anni che riunita un poco più su della deliziosafossetta ombelicale in una cintura a volanti doppi d'un giallo intenso egeloso gettava un'ombra inviolabile ad altezza del bacino, nellastretta delle magre anche, per finire alle caviglie e risalire da dietro indue sciarpe fluttuanti separate, riagganciandosi infine alle bretelle dimadreperla della ruota di pavone nano dal fondo cangiante, azzurro,marezzato, smeraldo, oro, aureola a quella candida testa superiore,essa vacillava sui suoi piedi, quei piedi esangui dagli alluci divaricati,unicamente calzati d'un anello alle caviglie da cui piovevano dellefrange smaglianti di crespo giallo. Oh! il piccolo Messia da matrice! Come la testa doveva pesarle!Delle mani non sapeva che farsene, anche le spalle rivelavanoimbarazzo. Chi mai poteva averle crocifisso il sorriso, piccolaImmacolata-Concezione? E corrotto il blu dello sguardo? - Oh!esultavano i cuori, come la sua gonna deve emanare ingenuità! Comel'arte è lunga e la vita breve! Oh, parlare con lei in un cantuccio,accanto a un getto d'acqua, conoscere non il suo perché, ma il suocome, e morire!... morire, a meno che... Forse ci racconterà qualcosa, dopotutto?... Chinato in avanti, dentro una frana di serici cuscini, le rughedilatate, le pupille che sugano dalle feritoie delle palpebre sdorate,tormentando contegnosamente il Sigillo appeso al collo, il Tetrarcaaveva appena passato a un paggio l'ananas che stavamangiucchiando e la sua tiara turrita. - Chiuditi in te stessa! chiuditi prima in te stessa, Idea e Formaperfetta, o Cariatide delle isole senza storia! supplicava. Eppoi sorrideva a tutti, da padre felice, con l'aria di dire: «Stateper vedere ciò che vedrete», mettendo al corrente in modo assaisconnesso gli ospiti principeschi, dal che essi si resero conto che, perdecidere il destino della personcina in questione, la Luna s'era cavatamolto sangue, e d'altronde era voce comune (c'era stato un Concilioin proposito) che fosse la sorella di latte della Via Lattea (per lei,tutto!).

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Così, delicatamente poggiata sul piede destro, l'anca rialzata,l'altra gamba flessa indietro alla Niobide, avendo dato libero sfogo auna risatina tossicolosa, forse per render noto che non occorrevacerto credere che si prendesse sul serio, Salomé pizzicò a sangue lasua lira nera e con la voce atimbrica e asessuata del malato chereclama la sua pozione di cui sicuramente non ha mai avuto bisognopiù di voi o di me, eccola improvvisare lì per lì: «Com'è stimabile il Nulla, Vita latente che vedrà la luceposdomani, al più presto, e stimabile, assolutorio, coesistenteall'Infinito, limpido in sommo grado!». Li stava prendendo in giro?Continuò: «Amore! mania inclusiva di non voler assolutamente morire (benmisera scappatoia!), o fratellastro, non dirò certo che è giunto ilmomento di spiegarsi. Dal tempo dei tempi, le cose sono le cose. Ecome sarebbe giusto farsi delle concessioni reciproche sul terreno deicinque sensi attuali, in nome dell'Incosciente! «O latitudini, altitudini, dalle Nebulose di buona volontà allepiccole meduse d'acqua dolce, orsù fatemi la grazia di andare apascolare gli empirici pomari. O passeggeri di questa Terra,eminentemente idem a innumeri altre ugualmente sole nella vita intravaglio indefinito d'infinito! L'Essenziale attivo s'ama (seguitemibene), s'ama in modo dinamico più o meno di buon grado: un'animabella che si suona la piva in eterno, è affar suo. Siate, voi, i passivinaturali; entrate vera-Mente automatici negli Ordini dell'Armonia Ben-Vigilante! E me ne racconterete di belle. «Eh sì, teosofi idrocefali, come dolci volatili del popolo, anodinogruppo di fenomeni privi di garanzia di un governo ultraterreno,ritornate a essere degli individui minati dall'incuria, brucatemi giornodopo giorno, di stagione in stagione, questi Delta senza sfinge i cuiangoli, comunque, equivalgono a due retti. Là è il vero decoro ogenerazioni inguaribilmente puberi; simulate soprattutto l'impaccio neilimbi irresponsabili delle virtualità che vi ho detto. L'Incosciente 'faràda sé'. «E voi, fatali Giordani, Gangi battesimali, sideree correntiinsommergibili, cosmogonie di Mamma! lavatevi, entrando, la macchiapiù o meno originale del Sistematico; fate che masticati anzitempo infilacce per la Grande Virtù Curativa (diciamo, palliativa) che aggiustagli strappi prativi, epidermici, ecc. - Quia est in ea virtus dormitiva. -Va'...».

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Qui tacque Salomé, ricomponendo i capelli incipriati di pollinisconosciuti; le ombre dei suoi seni così ansimanti che i garofani necaddero lasciando vedove le loro mandorle. Per riprendersi, cavò dallasua nera lira una fuga senza senso... - Oh! continua continua, di' tutto quello che sai! gemevaSmeraldo-Archetipas battendo le mani come un bimbo. Parola mia diTetrarca! ti darò tutto quello che vorrai, l'Università, il mio Sigillo, ilculto delle Nevi? Inoculaci la tua grazia d'lmmacolata-Concezione... Minoio, ci noiamo tanto! vero, signori? In effetti, dall'uditorio esalava un brusio di un malessere inedito;qualche tiara titubava. Era un vergognarsi gli uni degli altri, ohdebolezza del cuore umano! malgrado il perbenismo della schiatta...(vicino, tu m'hai capito). Poi che ebbe fatto giustizia sommaria di teogonie, teodicee eformule sulla saggezza delle nazioni (e col tono secco di un direttoredel coro che dice: «Una battuta di troppo, vero?») Salomé riprese ilsuo mistico zirlìo appena delirante, la faccia subito rivolta all'indietro,il pomo d'Adamo che saltava da far paura, - non essendo più sestessa ormai di un tessuto aracneo con un'anima a goccia di meteora. O maree, oboi lunari, corsi, fioriture al crepuscolo, ventideclassati di novembre, fienagioni, carriere mancate, sguardi ferini,vicissitudini! - Mussole color giunchiglia a pallini funebri, occhi sfatti,sorrisi crocifissi, incantevoli ombelichi, aureole di pavoni, garofanicaduti, fughe insensate! Era un sentirsi rinascere incolto, giovaneoltre misura, l'anima sistematica spirando in spirali tra rovesci daiclamori innegabilmente definitivi, per il bene della Terra, e parteciped'ovunque, palpato di Varuna, con l'Aria Onniversale di chi s'accertadel al dunque. E Salomé a insistere follemente: «Vi dico che è lo stato puro! O settari della coscienza, perchécatalogarvi individui, vale a dire indivisibili? Soffiate sui cardoni diqueste scienze nel Levante dei miei Settentrioni! «È vita, forse, il persistere nel tenersi al corrente di sé e di tuttoil resto, a ogni tappa formulando la domanda: Ah! ma chi si vuoleingannare, qui? «Organizzazioni, schiatte, regni: via! Niente si perde, niente siaggiunge, tutto è di tutti; e tutto è addomesticato in anticipo, senzabigliettini confessionali, dal Figliuol Prodigo (intendiamoci, lo siliquiderà a dovere).

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E non saranno dei trucchi da espiazioni e ricadute, ma levendemmie calpestate dell'Infinito; non sperimentale, fatale piuttosto,imperocché... «Siete voi l'altro sesso, noi siamo le piccole amiche d'infanzia(sempre inafferrabili Psiche, questo è vero). Tuffiamoci dunque dastasera nella mansa armonia delle moralità prestabilite, galleggiamoalle derive col ventre in fiore smarrito nel vento; in un profumo disprechi, di doverose ecatombe, verso il laggiù dove non batte ilnostro cuore né il polso della coscienza. «In un avanzare di stanza in stanza, tra salve di valve, infornicature senza cesure, dentro cotte smunte, e che si abdichi versol'obliquo delle derive più primitive, in un tirarsi tutto fuori da me! -(Non posso dire che ci riesco)». La piccola vociferante gialla a pallini funebri ruppe la sua lira suun ginocchio, poi si erse fiera. Per darsi un contegno l'uditorio intossicato si asciugava letempie. Passò un silenzio di confusione ineffabile. I Principi del Nord non osavano consultare gli oriuoli, tanto menochiedere: «A che ora la si mette a dodò?» Non dovevano essere piùdelle sei. Il Tetrarca scrutava i disegni dei suoi cuscini; era finita, ma ladura voce di Salomé lo riscosse di colpo. - E ora, padre mio, gradirei che mi faceste portare di sopra incamera la testa di Johanaan servita su un piatto qualunque. Ho detto.Salgo ad aspettarla. - Ma non pensarlo neanche, piccola mia! uno straniero... Tutta la sala opinò fervidamente con la tiara che in quel giornofosse rispettata la volontà di Salomé; e le uccelliere, riprendendol'assordante scintillio, dettero il loro consenso definitivo. Smeraldo-Archetipas sbirciò verso i Principi del Nord; non unsegno di approvazione o di riprovazione. Senza dubbio la cosa non liriguardava. Aggiudicato! Il Tetrarca lanciò il suo Sigillo all'Intendente della Morte. Già i convitati, chiacchierando d'altro, sciamavano verso il bagnoserale. IV

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Coi gomiti sul davanzale dell'osservatorio Salomé, che ha inuggia le feste nazionali, ascoltava il mare intimo delle belle notti. Un tutto esaurito di notte stellata! Eternità di braceri allo zenit!Oh! di che smarrirsi, si fa per dire, in un esilio dei più celeri! ecc. Salomé, sorella di latte della Via Lattea, non lasciava il suo in séaltro che per le stelle. Grazie allo spettro, sulla scorta della fotografia a colori dellestelle cosiddette gialle, rosse, bianche di sedicesima grandezza,Salomé s'era fatta squadrare dei diamanti esatti per disseminarli nellacapigliatura e su tutta la sua bellezza e sulla camicia da Notte(mussola viola gran-lutto a pallini d'oro) onde conferire a quattr'occhisulle terrazze con i suoi ventiquattro milioni di astri, come un sovranoche dovendo ricevere i suoi pari o satelliti li dispone nell'ordinesecondo le loro circoscrizioni. Salomé disprezzava i volgari capocchioni di prima secondagrandezza, ecc. Fino alla quindicesima grandezza gli astri nonappartenevano al suo mondo. Del resto, spasimava solo per lenebulose-matrici; non le nebulose già formate, dai dischi planetiformi,ma le amorfe, le perforate, quelle a tentacoli. - E la nebulosa diOrione, un pasticcio gassoso dai raggi striminziti, restava pur semprela gemma prediletta della sua corona a barlumi. Ah! care compagne delle praterie stellari, Salomé non è più lapiccola Salomé! E quella notte avrebbe visto nascere un'era nuova direlazioni e di cerimoniali! Anzitutto, esorcizzata dalla sua verginità tissulare, già si sentiva,al cospetto di quelle nebulose-matrici, ugualmente fecondata daevoluzioni rotatorie. Dipoi, il fatale sacrificio al culto (davvero fortunata d'uscirne cosìa buon prezzo!) l'aveva obbligata all'atto (grave, si ha un bel dire)chiamato omicidio, affinché l'iniziatore sparisse. Infine, per guadagnarsi il silenzio mortale dell'Iniziatore, avevadovuto servire a delle genti contingenti l'elisir, anche se allungato,distillato nell'angoscia di cento notti della tempra di questa attuale. Massì, era la sua vita; Salomé era una specialità, una piccolaspecialità. Ora lì, la testa di Giovanni (come già quella di Orfeo) brillava suun cuscino tra i frammenti della lira d'ebano, spalmata di fosforo,lavata, imbellettata, inanellata, ghignando ai ventiquattro milioni di

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astri. Non appena in possesso dell'oggetto, per sgravio di coscienzascientifica, Salomé aveva tentato i celebri esperimenti postdecollatoriidi cui tanto si parla; se lo aspettava: i passaggi di corrente nonprovocarono sulla faccia che delle smorfie senza importanza. Un'idea, però, ce l'aveva. E dire che non abbassava più gli occhi dinnanzi a Orione! Perdieci minuti buoni s'irrigidì a fissare la mistica nebulosa delle suepubertà. Che notti, che notti future per chi avrà l'ultima parola!... E quei cori, quelle salve di spari, là dove si stende la città! Finalmente si scosse, da persona ragionevole, rialzando il suoscialletto; e scovò su di sé il torbido e sabbiato opale d'oro grigiod'Orione che depose nella bocca di Giovanni come un'ostia;misericordiosamente, ermeticamente baciò quella bocca, e la sigillòcol suo marchio corrosivo (procedimento istantaneo). Salomé attese, un minuto!... nessun segnale attraversò lanotte!... con un «suvvia!» vivace e irritato impugnò nelle sue piccolemani di donna quella zucca di genio... Desiderando che la testa cadesse in pieno mare senza primafracassarsi sulle rocce delle fondamenta, prese un certo slancio. Ilrelitto descrisse una bastante parabola fosforescente. Oh! che nobileparabola! - Ma l'infelice piccola astronoma aveva calcolato assai maleil suo slancio! sbilanciata oltre il parapetto, e con un grido finalmenteumano! rimbalzando di roccia in roccia Salomé finì rantolante dentroun anfratto pittoresco lavato dai flutti, lungi dai rumori della festanazionale, lacerata al vivo coi suoi diamanti siderali penetrati nellecarni, il cranio sfondato, paralizzata dalla vertigine, insommaconciata, agonizzando per un'ora. E non le fu data neppure la grazia di vedere la testa di Giovanniche galleggiava sul mare come una stella fosforescente... Quanto ai cieli lontani, erano lontani... Così trapassò Salomé, almeno quella delle Bianche IsoleEsoteriche; meno vittima del caso illetterato che dell'esser vissuta nelfittizio e non alla buona, come ciascuno di noi è uso fare. PAN E LA SIRINGA ovvero L'invenzione del flauto a sette canne

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Sul suo piffero mattutino Pan si lagna, Pan dà fiato a lamenteleprivate destando echi nella Valle-d'Erba Diasprina, in Arcadia. Chi non ha vissuto un bel mattino d'estate, in una vallescervellatamente incantevole, chi non è in grado di dire: «So di che sitratta»? Entro uno slargo felicemente intatto, le cateratte primaverili diun sole tutto radiose nebbie di beatitudine, tutto diluvi effervescentid'un vivo zuccherino dove il Sole stesso entrerebbe in infusione, siriversano inondando i tronchi delle selve d'alto fusto e le tovagliedelle colline e l'intera valle! O miliardi di prismi d'ottimismo! Ogioventù, o bellezza, o unanimità! Oh! del sole... Giovane eimmortale, Pan non ha mai amato, almeno come lui e io l'intendiamo. Tutta la notte, nella valle immersa in un fenomenale assolo diluna, Pan s'è lagnato amaramente sul suo imperfetto e monotonozufolo-piffero, sul suo piffero da due soldi. Poi ha finito per cedere alsonno. I sogni gli hanno svuotato anche più il cuore. All'alba hastirato e sgranchito le sue gambe di capra dai peli torti dalla rugiada(non fa più ginnastica); ora è là in mezzo al timo, pancia in giù,poggiato sui gomiti, ed ecco che riprende a snocciolare le sue miseriesul piffero che ha solo quattro note: un solitario nella solitudine soavedel mattino. Quando si ama, non resta che aspettare, così, all'ariaaperta, cercando di esprimersi per il tramite dell'arte... Pan aspetta e intanto canta: L'Altro sesso! l'Altro sesso! Ecco la tutta Eva menomuccia Venire avanti, in estasi Pel ruolo che le tocca, Con un brillìo negli occhi Maritali, Con tutti i suoi capelli sulle spalle, Nel sacro sole che va su! Oh, dite dite! L'Eva menomuccia che scende dalle altezze Con la sua carne sacrificale E l'anima dai rossori subitanei! Un corpo e un'anima

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Amici dall'infanzia! Mia tutta donna Di essenza! Venendo avanti, vive Con un cuore troppo grande, Col miele rosa delle sue gengive E i seni timidi come due leprotti! Un venticello si destreggia Tra gli orecchini di cerase E il nasino le s'impenna quando Grida al sole: «Stupendo!». Ben salda sulla terra Butta là la sua sfida: «Non sono una pavoncella Non sono mica una pupattola! Tutto un can can io avrei fatto Per naufragare tra le braccia Del gran Pan! Intatta sono Come un tulipano, pura D'ogni pregiudizio terreno! Aprile! aprile! Felicità sospesa a un filo!». Sia! ci governino Dunque e fauna e flora Dalla sera all'aurora Dall'aurora a sera! Venga Eva Menomuccia, visitata in sogno! Epifania, ah! epifania Invenzione mia! Pan la smette, poi torna a considerare il mattino felicementeintatto sull'intera valle. - Un ben radioso mattino, tutto solare,

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un'impalpabile felicità universale! Dunque, a lui d'arrangiarsi peressere felice come ha saputo arrangiarsi il mattino. Facile a dirsi. Pan si riabbandona al piffero imperfetto ma fedelee degno d'essere chiamato «vecchio mio». Prova la vecchia ballata:Ho nausea delle fragole di bosco, e subito smette perché la ballata glidà la nausea. Insomma! Il timo ha un brivido interno, i calabroni ronzano, igambi delle umbelle si crogiolano a quell'arietta dolce, le cicalecominciano a rosolarsi a grido lento, e la felicità non ha limite! Pan, sentendosi dentro anche lui la sua brava ragion d'essere,riprende su un tono più umano il ritornello del grande amore: Il mio corpo ha male all'anima La mia anima ha male al corpo. Da quante mai notti spasimo Senza che niente accada. Non è che la sua carne mi sarebbe tutto, Né io presumo d'essere per lei unica- mente Pan. Però saremmo folli Di fare delle storie tra fratelli! Poi cerca di convincersi a voce alta, in un piccolo a parte. - O donna, donna! tu che l'umanità fai monomane! Io t'amo,t'amo! Ma cos'è questa parola: ti amo? Da dove viene e come suonacon le sue due sillabe così comuni e così neutre? Io per me, eccocosa mi sono inventato. Amo mi dice qualcosa solo associandone ilsuono, con un'intuizione non cervellotica, al suono della parolabritannica aim che vuol dire scopo. - Ah! scopo, sì! «T'amo»significherebbe dunque: «A te tendo, tu sei il mio scopo!» Allabuon'ora, ora sì che ci sono! E come! Oh! tu vieni, a tra poco? Ma dove andrò a cercarti O mia fragile Psiche Che ogni attimo deflora Rubandoti al mio abbraccio? O come sarà tanto te! con che

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Destrezza io ti saprò portare Nel fondo fitto della foresta, Là dove fa più fresco, e tu Potrai stirarti sull'erbetta, Dopo tanti meriggi virginali, E abbandonarti alla stagione buona Dentro un concerto di cicale. Vedrai, vedrai... Io ingrato, e quando mai? Il mio abbraccio è ricco Quanto è ricco il mondo. E non è che la tua carne... - Zitto! ma eccola venire avanti burlona e bianca tra le erbe altedella mia prateria! Farò in modo di suonare e di cantare assorto, pernon spaventarla. Mio Dio, mio Dio, che si faccia sotto, dunque! Ho nausea delle fragole di bosco Da quando in sogno io ho visto La mia Eva menomuccia Sorridermi portando un dito Sulla boccuccia. Ho nausea, posso dirlo, di mistero Da quando l'Eva menomuccia, Pur sorridendo carezzevole, Mi fece segno velenosetta Che si doveva stare zitti!... Sorriso e mistero O mio bel veliero! Un sorriso e poi muto, Ah! zitto, mio liuto! E non è che la sua carne mi sarebbe tutto, dico sul serio... Al colmo del mattino e al sacro Sole, nella beata prateria èapparsa proprio la ninfa Siringa, imprevista, fremente di vita e incarne e ossa (con quanta giovinezza i suoi occhioni lo affermano!):

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sta là, con lo sguardo estatico, il collo reclinato, le braccia penzoloni,incantata dalla lagna inoffensiva di Pan. Poco a poco, credetemi, e permeglio ascoltare s'è messa a suo agio, tra il grazioso timo, standoglidi fronte ma a una certa distanza (anche se irreprensibilmente adistanza). Oh! è esattamente lei, rosea e pudica, stupenda come unmandorlo in fiore, nell'attesa. Non si vergogna, sa quello che vale, senza tante fisime. Eppure,con la sua forte capigliatura rialzata d'istinto a diadema, gli occhioniallevati in elevazione e la smorfietta d'un rosa tenero, non sembracerto presagire di essere al mondo per abbandonarsi a tal punto allabella stagione nello stordimento delle cicale. Tuttavia, malgrado gli occhioni allevati in elevazione e i suoicapelli a diadema e la smorfietta così atteggiata, è proprio venuta almondo per quella, proprio per quella tal cosa è stata attrezzata. - Sì, dice Pan a se stesso... - Ahimé! dice Pan a se stesso, e nei domani e nei posdomaniessa avrà sempre i suoi occhioni vicinissimi e sovrumani e la suasmorfietta dell'altro mondo! Ma che importa! nelle sue meditazioni Pan s'è imbattuto inantinomie altrettanto irriducibili. Oggi, in mal d'amore com'è,accetterebbe la Donna senza tanto discutere. Lascia da parte gli aggeggi musicali e la guarda. Non osa ancoraparlare, per timore di rompere l'incanto di quell'apparizione, tuttosommato, immeritata. Anzitutto vuol persuadersi e convincersi cheessa è là, e che è reale! Si guardano. Lui a denti stretti, con occhi miserabili; lei coi suoiocchioni vicinissimi e la boccuccia tirata verso l'alto da bimba viziata,perfettamente soddisfatta d'essere com'è, e senza salti d'umore. Così, è lei che si assume la responsabilità di rompere l'incanto,giacché d'incanto si tratta. La sua voce è davvero strascicata enostalgica, eppure incrollabilmente sorgiva. - Bellino, quel che stavate suonando. - Oh! un piffero da due soldi. Se avessi un flauto più ricco, nefarei di cose! Non dubiterei più di niente... Essa tace, non chiedendo che partecipazione e svago in ungiorno così bello. - Non dubiterei di niente, insiste Pan; neanche di... - Di che?

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- Di dividere con voi il mio vecchio amore. - Davvero? Ha detto quel «davvero?» con un'aria non mondana madistaccata. E, senza abbassare gli occhi, aggiusta le pieghe drittedella sua corta tunica, la sua corta tunica bianca appena stretta allavita, proprio sotto i giovani seni, e tenuta da una fibbia sulla spalla. - Davvero? - Sì, ma non vale neanche la pena di tentare, basta che guardi ivostri occhi, così grandi, e quella smorfia, incantevole, del resto. No.E poi stamane ho un mal di testa... dico sul serio. Ma grazie d'esserevenuta. La vostra presenza qui è un vero riposo per me. Essa tace, gli occhi vicinissimi: tutto è così meravigliosamentebello! Pan china la testa, si sfoga facendo a pezzi fiorellini e fili d'erba. Alza gli occhi: è sempre là, a suo agio nel timo, che lo fissa conuno sguardo verginalmente desto, con la sua smorfia verginalmentedesta. No! Non si può guardare con tanta inimitabile innocenza! - Quando la finirete? - Ma cosa? Insomma! ha detto quel «Ma cosa?» con un tale raddoppio diperfezione dei suoi occhi e di perfezione della sua smorfia che Pan sicontorce, che Pan si lascia sfuggire, nella solitudine radiosa delmattino, un singhiozzo, un unico lungo singhiozzo d'amore,semplicemente d'amore, alla Pan! Certo lei deve sapere da dove viene e dove va quel singhiozzo,dato che non accenna minimamente a scomporsi! ... Pan, che se la vedeva già tutta spaurita ed era pronto aintervenire con un provvidenziale «oh! non abbiate paura!», devecontentarsi di dire: - Sto male, tanto male! Oh, se vi capisco! Mi obbietterete,risentita, che passavate da queste parti, che non siete cheun'occasione. Che ne sapete voi? E intanto com'è che passavate daqueste parti? Voi tacete... Io, io non sarei ingrato. Ah, lasciamoperdere. Pan abbassa la testa e riprende la strage delle erbette e deifiorellini, come un maniaco imbelle. Rialza gli occhi: è con tutto ilpeso della sua bellezza apparentemente senza scopo che essa loguarda. - Se le si gettasse immortalmente ai suoi piedi per stordirla!

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Ma si contiene. Accada quel che deve accadere; tutto è nel Tutto. Eriprende il suo piffero, il suo vecchio zufolo a quattro canne, col faredi un giovanotto a cui basta l'arte, a cui bastano poche scale algiorno. Chimericamente tuba: Occhi belli accesi In brillio di sponsali! Anima, tutta in rossori subitanei, Carne unta di false piste, interamente! Non è che la sua carne mi sarebbe tutto Né io presumo d'essere per lei unica- mente Pan. Però saremmo folli Di fare delle storie tra fratelli! Aprile! Aprile! (qui un ritardando a morire) Nostra felicità sospesa a un filo! Epifania! Epifania! Strada libera al mio genio, via! Per stamane ha lavorato anche troppo. Pan rialza la testa. Essaè là, sorridente, come disarmata da quel bambinone, e un po' anchedalla bellezza eccezionale di un mattino come questo. E pensare che basterebbe rispondere a quel sorriso con unfranco sorriso! Pan crede di cavarsela con una superiore alzata dispalle e con una posa da conquistatore. - Parola mia, avete degli occhi incredibili, dico a voi, chiunquevoi siate! E un ovale così sottile in basso! E una smorfia che viconviene! Vi capita di sognare d'essere diversa quando vi guardateallo specchio di fonte? - Ma no, dato che si ha il viso della propria anima che la miaanima non saprebbe immaginare qualcosa che sia più se stessa delmio viso. È in un circolo vizioso, qui vi riconosco bene. - Fortuna che siete una dea! se così non fosse verrebbe untempo, quello della vecchiaia, in cui la vostra anima immaginerebbeun viso diverso dal suo. - Non ci avevo pensato, siete davvero realista. - Sono Pan.

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- Pan chi? - Io sono... ben poco in questo momento, ma normalmente sonotutto, sono per definizione il tutto. Cercate di capirmi: sono io chesono, e il lamento del vento... - Già, e Eolo? - Ma no, capitemi! Io sono le cose, la vita, le cose... in un certosenso, classicamente. No, io non sono niente. Ah! sono bendisgraziato! Avessi almeno uno strumento più ricco di questo piffero!vi canterei tutto quello che sono, oh, canterei in un modostraordinario! La sobrietà classica mi fa ridere! Dei Kyrie, dei Gloria inexcelsis, e poi delle belle ariette vivaci come dalle mie parti. - Possibile che un uomo non riesca mai a essere chiaro con noidonne? basterebbe dichiararsi in buon francese, voglio dire nel nobileaereo dialetto ionico; e invece no, ci vuole la musica e subito! lamusica così grossolanamente infinita... Pan si raddrizza infuriato! - E voi allora! nient'altro che il suono della vostra voce. Voi,guarda un po', solo la musica della vostra voce! Cos'è, più leale,questo? Ah, miseria, miseria da tutte e due le parti, vi assicuro io! E si rotola davanti a lei, nel timo, come un lercio Calibano, madisperato. Essa l'osserva con tanto d'occhioni compassionevoli, peròcompassionevoli con riserbo. Pan si riprende, e con un tono solenne: - Insomma! nobile vergine, o chiunque voi siate, voi che pureavete una forma definita, state a sentire! La giornata procede e ionon ho mai amato. Volete lasciarvi essere tutto per me in nome delTutto? Un silenzio (tempo perso durante il quale la natura continuaincurante). La ninfa Siringa si erge lentamente in tutta la sua bellezza. Edice pacata: - Sono la ninfa Siringa, un po' naiade anche, perché mio padre èil fiume Ladone dal bel torso e dalla barba fiorita. Ritornavo dal monteLicèo... - Capisco, capisco, una naiade! Devo sembrarvi ben brutto, benCalibano, ben capricante! Una naiade! Una cugina del bel Narciso,figlio del fiume Cefiso! Peste! Bello, Narciso, eh? distinto! La ninfa Siringa s'irrigidisce, scosta un ricciolo dalla sua frontealta, e proclama con voce rude e sorgiva:

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- Voi vi sbagliate! Io sono un'anima estetica immersa sette voltenell'acqua diaccia della fonte Castalia cara alle caste Muse; io sono lapiù fedele delle compagne di Diana... Pan indietreggia! Siringa alza le braccia a quel puro firmamentodove, stasera, risplenderà Ecate; a quel gesto i suoi pallidi senirimontano sotto la tunica diafana e si stemperano in proporzione,intatti e lunari: - O Diana! Imperatrice delle notti pure! La mucosa del tuo cuoreè ruvida come la lingua dei tuoi molossi. Tu salti i fossi e parli poco.L'acciaio dei tuoi sguardi gela il sangue rosa alle ragazze chevorrebbero subito ammalarsi. Le pieghe della tua clamide sono di unapurezza dorica. Al ritorno dalle tue grandi cacce è un crollare dischianto sulle foglie secche in un sonno che non conosce sogni, finoalle trombe dell'alba! A caccia! A caccia! Siringa prorompe in una stridula risata da Valchiria e, giàdimentica di Pan, dà inizio alla sua corsa, una giovane corsaimpetuosa, per prati e nella valle, in un bel mattino! E Pan, col cuore a pezzi per l'ampia tristezza primigenia, laguarda andare! senza che si volti. Inchiodato e avvilito di botto,infelicissimo come se gli si rivelasse lo stato di miseria e di lordura incui senza alcun dubbio viviamo. Schietta a quel modo e impetuosa econ lo sguardo dritto dinnanzi a sé! Povero Pan! Oh! come in unlampo gli passa dentro la rivelazione del vasto e leggendario dolore diCerere che si trascina su tutta la terra, impolverata e mendica,interrogando i pastori, in cerca di sua figlia Proserpina scomparsa unmattino mentre raccoglieva dei fiori di campo che metteva insiemeper sua madre. Amore! Amore! Vuoi dunque che qui m'incenerisca, senza unaparola, senza un verso? Ma Pan è immortale! E al pensiero di quella sera, solo con la suatristezza di genio, oh, all'idea del suo genio, all'idea delle disputesublimi nelle quali incanterebbe la stessa Diana, Pan si riempie ipolmoni d'aria pura, che è di tutti, e corre dietro la preziosa fuggitiva!A caccia! A caccia! Così ha inizio il leggendario inseguimento della ninfa Siringa daparte del dio Pan in Arcadia. Che avventura!... Oh se l'avrà! la costringerà in ginocchio in qualche angolo buio dibosco, le dirà il fatto suo piegandola al suo stato, allora sì che potràadorarla di tutto cuore, nel suo buon cuore oscuro!

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Essa è già lontana; si volta e si vede inseguita. S'arresta unattimo, a far fronte, poi riprende il travolgente galoppo! - Ah, tu fuggi, fuggi! Ma ti avrò! ti torcerò i polsi, farò a pezzi ituoi ossicini di gatta, te lo farò vedere io... Lungo giorno leggendario, come sei lontano! non ritornerai più...Questo accadeva in Arcadia prima della venuta dei Pelasgi. Il sole sovrasta, le praterie sono entusiasmanti, gli uccelli sisgolano nel paesaggio, e tutti quei cespugli degni di nota! Dellecoppie di cervi smettono di bere, gli stambecchi arrampicati sullerocce a picco non brucano più, e al margine dei boschi rasentati incorsa gli scoiattoli spiccano brevi salti secchi, tra le foglie secche,intervallati da silenzi pieni. Oh! quando avrà vinto e domato quella piccola selvaggiasovrumana, verranno a errabondare da queste parti, e lui non sivendicherà mai abbastanza, le farà del male per lo sfumato di unafoglia! A caccia, nell'attesa, a caccia! tutta la mattina... Siringa conserverà ancora a lungo il suo vantaggio, lei non èsfinita da insonnie e da febbri, non ha perduto l'abitudine allaginnastica, ha ben dormito e vive con metodo. Passi ancora finché sista in pianura, ma se si costeggia un bosco, di quando in quandoSiringa si diverte a sparire al margine tra gli alberi, e Pan devefermarsi, che non sia una trappola, che non prenda per i boschilasciando il terreno battuto. - Oh! ti avrò, ti avrò! e ti terrò il broncio per tre giorni e trenotti. Ma come ti amo, ti amo, mio unico scopo! Com'è bella la tuafuga! E come il mio cuore di Calibano s'illumina a ogni attimo dellatua fuga, e quante mie belle lacrime ti varrà stasera, non appenat'avrò perdonato! Sfilano boschi e praterie e paesaggi, e nella corsa Siringa sitrova di fronte a un'alta scarpata vertiginosa, stecconata da rovifioriti. Siringa obliqua e s'accinge a attaccare l'ostacolo di lato,attraverso un pendio dolce che la porta a sistemarsi lassù, in vista diPan che sopraggiunge dritto. Essa lo guarda venire. Invece diobliquare come lei ha fatto, Pan naufraga al piede della muragliascoscesa. Si ferma. Sarà una tregua, durante la quale potrà cosìcontemplarla (oh! che almeno ci s'imbeva di questa realtà presente!).Non v'è dubbio che riprenderanno a discutere, forse finirà da buoniamici, nel sole di mezzodì.

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Come domina irresistibilmente di lassù, in quella fiera posaancora ansante! in tutta la sua fresca e casta figura, con la chiomache è un solido diadema, con i suoi occhioni vicinissimi, vergini diogni insonnia così come l'acqua di fonte lo è dell'essenza di rosa! E lesue gambe, di lassù, come appaiono pure e perfette! - Perché m'inseguite? essa grida con una voce abituata alanciare e a trattenere le mute di Diana. - Perché vi amo; voi siete il mio scopo! risponde, al diapason dipanteismo della sua voce. Al diapason di panteismo della sua voce! Ma Siringa, compagnadi Diana, è spiritualista, deve sapere il fatto suo sulla riproduzioneecc. - Mi prendete per una bestiola, una bestiolina catalogata?Sappiate che non ho prezzo! - E io sono un artista, un essere strabiliante! Tutto sommato ioho l'anima di un grande pastore, vedrete. - Se vi dico che il mio orgoglio di rimanere me stessa valealmeno la mia prodigiosa bellezza! Anche se a volte so esserebambina... - O Siringa, osservate, sforzatevi di capire la Terra e lameraviglia di un mattino come questo e la circolazione della vita. Voilà, io qui! Oh voi! Oh io! Tutto è nel Tutto? - Tutto è nel Tutto! Davvero? Ah, voi e le vostre formule bell'efatte! Ebbene, prima cantatemi la mia bellezza! - Oh, sì, ecco! Resta lassù a aspettare, ben piantata, con un'espressione didisponibilità indefinita. Pan s'arrampica su un albero non lontano, difronte a lei ma neanche a portata di mano, e si siede tra i rami con legambe penzoloni. Comincia, guardandola negli occhi per meglio concentrarsi: - O ben immacolata concezione... No no! capite che non troveròaltro. - Ho tempo, in fondo non è che un gioco, animo! Quando vorretevantare la mia bellezza se non ora? Su, analizzatemi! analizzatemi!Mostrate di valere qualcosa, siate il mio specchio come la coscienzaumana vuol essere lo specchio dell'Ideale indefinito... - Eh no, bimba mia ideale! Avreste buon gioco con l'ineffabile! (Adottrinaria, dottrinario nell'ossa!). - È riconoscere incidentalmente che la felicità risiede nella ricerca

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dell'Ideale, punto e basta. - A questo punto non posso rispondere che con uno sgarbo. - Dite pure. - È che voi spostate il problema. Voi non siete lo scopo del mioinseguimento; sotto il pretesto di questo stesso scopo, voi non sieteche una tappa intermedia. In fondo è la stessa cosa perché fintantoche io non vi conosco, voi siete per me lo scopo in sé, l'Ideale.Quando vi avrò attraversato, o tappa, pur così assoluta, allora iovedrò al di là! (A dottrinaria nell'ossa, la verità in carne e ossa!) - D'accordo. Ma potrei facilmente costringervi a marcire dinnanziall'illusione che mi appartiene oppure costringervi a saltarla. Ma,come voi, non voglio essere che vittima di una mutua illusione.Anzitutto ditemi almeno il colore della mia illusione. - Ehm ehm... ben immacolata concezione... Io chiudo gli occhi:due occhioni come i vostri esistevano già di per sé, come animeimmortalmente attente. Il sacro arco di Diana non ha una curva piùinesorabile dell'arco della vostra bocca... via, non distendetelo! Ivostri occhioni preannunciano qualcosa che chiamerò cristianesimo, ela fierezza del vostro portamento è proprio per chi guarda sopra legreggi di Pan per vedere se il Messia non venisse! Siringa s'è seduta sulla scarpata con le gambe penzoloni tra irovi, gambe perfette e soavi dai piedi calzati di bianchi sandali.S'appoggia sul gomito destro, il capo sulla mano, offrendo i suoiocchioni nostalgici e inesplorati. Pan continua a balbettare inezie: - Tutto è nel Tutto! E la piccola Siringa è un prodotto dellaTerra. E no! forse che amandovi io sono in grado di enumerare levostre bellezze? Aspettate che vi raggiungo... No no! restate! Sietebella, siete spontaneamente perfetta! I vostri organi respirano ilprezzo dell'immortalità naturale! Noi galopperemo in perpetuifidanzamenti tra i rovi dei monti! Oh, come dovete essere bella acaccia! - A caccia! a caccia! acclama Siringa che resa divina da quelrichiamo è balzata in piedi e riprende il galoppo verso la giornata!emettendo clamori da Valchiria! Hoyotoho! Heiaha! Hahei! Heiaho! Hoyohei!

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Si ricomincia. Prima di scendere dal suo ridicolo osservatorio,Pan studia la direzione che prenderà la sua bella. Gli tocca tornareindietro e scalare la scarpata sul fianco, lungo il pendio dolce. Scossod'indignazione, Calibano si risveglia a un ardore primigenio! unmugolìo rauco da povero orso incompreso che han fatto troppoballare gli esce dalla bocca. Coi suoi salti divini la piccola ha preso uncerto vantaggio ma non è più che una questione di tempo! E il leggendario inseguimento della ninfa Siringa per opera deldio Pan prosegue lungo l'afoso pomeriggio che finirà per sciogliersinella sera... Ora sì che è donna, di sicuro! Sarà sua, sarà sua laggiù, in cimaall'azzurra collina e non oltre; oppure nel fondovalle che segue, e lemetterà paura nell'antro a lui noto dove si sdrucciola pel bagnato.Tutto è Tutto, poi la costringerà a gridare Aditi! Magari per finire colchiederle scusa, ma che importa! Oh! sorga pure stasera Diana colsuo pallido discobolo, e ne vedrà di belle! Non per niente tutto è nelTutto! Via! attraverso foreste di pini in solitudini chilometricamenteclaustrali dove fa buio dal principio del mondo, allorché Dio disse:«Sia fatta la luce!». A balzi, la piccola immortale riempie i grandiosianditi d'ostinati clamori: Hoyotoho! Heiaha! Hahei! Heiaho! Hoyohei! - Felici gloriosi richiami! Oh! come mi ha capito! A caccia acaccia! Ora sì che ti capisco! non vuoi essere felice che stremata e coipiedi in sangue! Oh, certo! curerò i tuoi piedi gloriosi, laverò le tuemembra intatte e perfette, ti cullerò tutta notte cantando sottovoceAditi! In cima alla collina azzurra accenderemo i fuochi della sera.Così per tutti i giorni, un giorno dopo l'altro! E tutto l'Olimpo parleràdel genio di Pan e dei suoi nuovissimi amori, pieni di temperamentomoderno. Oh! come mi sarà preziosa nell'imminente autunno, allacaduta delle foglie che sfugge ancora a ogni comprensione! Farò inmodo, per allora, che il mio piffero sia perfezionato affinché canti alleprime nevi la cosa che è la cosa! Hoyotoho! Corri sempre, fuggi,fuggi! La sera tarda a scendere.

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E Pan, che vuol lasciare un po' di respiro alla sua fidanzata,giunto in cima a un poggio dominante una nuova pianura, Pan ristà.La fidanzata si volta un attimo e stupisce; ne ha abbastanza? vuolrinunciare al gioco? Non si fida, riparte! Hoyotoho! la sera tarda ascendere. In un punto della pianura c'è lo smagliante riquadro di marmobianco di una tomba. Siringa vi si arresta e si curva come a odorareun fiore, poi emette un Heiaha! di scherno e riparte veloce spiccandosalti divini!... E sia Heiaha! Pan si precipita giù pel poggio e l'insegue con saltiugualmente divini!... Gli tocca di fermarsi a sua volta presso quella tomba di marmobianco, e si curva come l'oggetto del suo inseguimento; non vi sonodei fiori da odorare ma un'iscrizione su cui riflettere: ET IN ARCADIA EGO «Anch'io vivevo in Arcadia!». - Poveri mortali, ne hanno di ragioni, loro, per amarsi! Quanto a Pan e a Siringa, che sono immortali, non c'è fretta. La pianura si stende fino alla collina azzurra, vasta come unmeriggio che finirà presto per sciogliersi nella sera. I clamori:Hoyotoho!... Heiaha! si fanno più rari. Che pianura! Che pianura!... Che pianura!... Poco a poco, dato che tutto cammina, il sole va giù. La poveraninfa sente che il crepuscolo s'avvicina tessendo le maglie invisibilidella sua rete. Siringa perde terreno; già è prossima la collina azzurrada scalare, stecconata, senza dubbio, da rovi atroci. Nei rovi dovràarrampicarsi, nei rovi, fin che potrà, tutta in sangue, da fargli pietà!... - Viene meno, vien meno e non vuol cedere! Mi prende per unCalibano lussurioso. Ma, in ginocchio, io arresterò il sangue chesgorga dai tuoi piedi! - Oh! sto per toccare i suoi capelli, per passarepiù e più volte il dito sul suo braccio delicato; farò in modo che sioccupi di me! Saprò conquistarla con la dolcezza, e con qualcheargomento fatalista. Dovrò anche pensare alla cena. Finirò perconfonderla con un mucchio di piccole attenzioni contraddittorie... Nepiangerà di sicuro, in un singhiozzo di perdoni infiniti! Ecco l'ora del pastore...

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Il sole fa i suoi addii, o piuttosto dice arrivederci senza eccessivesmancerie (altri tempi!). Ecco che calano sui paesaggi brividi elanguori di tardive tenerezze. Il pioppo freme, albero così signorile che sceglie il suo momento!E sull'immotivato imbrunire dello specchio delle sue acque piange ilsalice piangente. Colline e sfondi s'abbuiano di solitudine inquieta. Leraganelle stanno per cantare, né tarderanno le stelle, le stelle chenon potrebbero tardare. Non ci manca che l'Angelus. (Altri tempi, altricostumi). Ma, o crepuscolo! fraternità, innocenza, e che Dio ce lamandi buona. O ripositorî, nevvero! che l'Ignoto resti dov'è, e pace interra alle coppie di buona volontà! O fastelli di un passato, paese natale (si fa per dire), falseconvalescenze! Presto farà notte, e la lucciola andrà in giro, e il gufodirà la sua. Ma grazie a Dio, ci si vede ancora, e la giovane donna tienesempre duro e promette a se stessa di scalare la collina che ormai lasovrasta, per poco che possa ritardare la frattura della sua vita indue. Quel crepuscolo che strozza gli Heiaha! in gola, altroché se loconosce! e una volta gettata la rete della sera, non ci vorrà niente dimeno del chiaro di luna di Artemide-Vigilante per spazzar via con lasua inondazione tutto quel po' po' di ambulatorio. Essa va e va! egiunge alla collina... - O crepuscolo tu non mi tocchi, non mi toccherai mai! non c'èvoluttà positiva che saprebbe penetrare nel ciborio del mio essere! - Ma chi mormorava laggiù?... Ah! sventura! tre volte sventura! a mormorare laggiù, dietro lecanne, è un fiume traditore, vago e profondo, che impedisce l'accessoalla collina. È un'acqua vaga nella sera... Scosta le canne e vede il fiume, largo e silenziosamentemortuario! E Pan che sopraggiunge, l'uomo, ebbro di notte! È là; Siringa si volta e alza la mano verso di lui, che si ferma adistanza. Com'è bella così nella sera! Cosa pensare?... - Volete dimenticarmi? - Oh! perdono, perdono! Vedete bene ch'io non c'entro perniente. Ma dimenticarvi! Io vi amo, voi siete il mio scopo, io sono io,e la sera vien giù! Lasciate, che m'incarichi di spiegarvi ogni cosa.Oh! ma cos'è che di me vi ripugna? Oh! focolare contro focolare! Non

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respiri forse da tutti i tuoi liberi pori questa notte d'estate? Notted'estate, malattia sconosciuta, quanto male ci fai! Non sento altro chenoi due, io! O ricca notte d'estate, ora sì che ricordo i raccontiinebrianti che mi faceva Bacco sulla conquista dell'India! Mi ricordo,né posso staccarmi da Delfi! Oh la furia del gracile flauto che fascoppiare la tempesta sulfurea a chiusura delle vendemmie e siappella alle burrasche lustrali! Tirsi, e chiome arruffate? Misteri diCerere, misteri e sagre paesane, e fossa comune! Astarte! Ashtoret!Dèrceto! Adonai! In cerchio nella prateria che si accende di danze, traconvitti di Sulamite, nello schiamazzo di tutti i flauti salamboici! Tuttoè nel Tutto! - Non vi avvicinate! Il mio respiro va al passo con la gelosanostalgica ammirazione per tuttociò che è animato e inanimato, percolei che passa sola e in buona salute, che va verso il chiaro di lunadei monti e i cui amori non conoscono domani ma unicamente vigilie! - Certo, siete perfetta così come siete, dentro un'armatura che vicalza a pennello. Ma quando verrà l'autunno, povera cara? che faraicon un cuore che respirerà la mortalità dei paesaggi fino a tossirnedal fondo del cuore? - Mi rannicchierò dentro una tana che ci è nota in Ircania e nonne uscirò Hoyotoho! che per saziarmi Hoyohei! attraverso la mannaserena della caduta delle nevi! - Sì, senza dubbio, l'autunno è ancora lontano, se mai ritornerà!Ma com'è piena la notte d'estate che stiamo vivendo! O Siringa, ionon posso andarmene così! Dopo una giornata come questa, comepotrò dimenticarti, o consolatrice del mio genio troppo... tutto! Perchétutto è nel Tutto! E vorreste farmi credere di esserne al disopra?...Guardate, già, quei lampi di caldo!... Astarte! Adonai! Dio vuole così! - Hoyotoho! non mi avvicinate! Heiaha! Heiaha? Aiuto!... Comenon vedi, bamboccio, che la voluttà sta nel desiderio, che la felicitàsta nel passare muovendo a invidia le coppie assetate di felicità? - E sia, io morirò; io che vi avrei curato così bene! La mia follia èdivina, certo, ma non quanto il prezzo della vostra volontà. Perdono,vi chiedo perdono, morirò in dolcezza. Esalerò l'anima nel miosemplice e grezzo piffero da due soldi cantando l'esilio di cui la vostravisione mi ha onorato. - Lo capite da voi, non c'è che l'arte; l'arte questo desiderioperpetuato... Ah! come effetto, si è espressa in un tono così ingannevolmente

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caritatevole che Pan non esita più, non potrebbe più esitare: a testabassa, spalancando le braccia, si butta a caricarla risoluto! Ecco ladonna debole, la sola degna in effetti di tal nome, perseguitata eavvolta nell'indifferenza delle belle sere! In uno slancio supremo d'inumanità, con tutta l'immortalepurezza dei suoi occhi che affrontano l'altro, Siringa trattiene ancoraun istante Pan, gli getta a sfida un ultimo Hoyotoho! dopodiché va giùa capofitto dentro un sottile sipario di canne, abbandonandosi alleacque! E l'innamorato di genio, che ha spiccato il salto, riesce atrattenere nell'abbraccio schietto solo qualche arido flabello di canna!Si fa largo e guarda: vede la bella bimba in salvo, accolta, bianca traquelle bianche braccia, dalle chete naiadi che se la portano via inlinee chete! Fuggevoli trastulli che increspano appena i riflessi crepuscolaridel fiume lento e mortuario sotto il bel cielo della sera... Tutto si è svolto in silenzio, ed è già finito. Ed è subito sera, la sera che non porta consiglio. Oh! laggiù dirimpetto, sul pelo dell'acqua, è sempre la sua testaamata che ancora guarda immobile, o semplicemente un mazzetto digigli d'acqua che gioisce a suo modo? È la fine, il fiume s'addormenta. Fu una vera vergine e un segno, sicuramente, dei tempi nuovi. A questo punto Pan, che non riesce a togliere gli occhi dallatomba del suo sogno contraddittorio, a questa rivelazione dei tempinuovi ai quali il suo genio forse non saprà adeguarsi, Pan se ne escein un sospiroso «oh!» d'un tedio così adorabilmente giovane, ah, inun «oh!» così disinteressato dopo quel po' po' di giornata, in un«oh!» così inviolabilmente inconsolabile e senza seguito, cosìinnocentemente unico, oh, così beatamente in uno di quegli «oh!»come non capiterà più di sentirne qualunque cosa tutti i tempi nuovici potranno mai portare, che d'improvviso ecco che s'alza una vocemusicale esalata là dirimpetto da quel mazzolino di gigli d'acqua, unavoce che scivola sul fiume mortuario e dice: «O, brezze, su da brave,commettetegli la mia anima». E un vezzo di brezza scivola via a eseguire un qualcosa in fru-fru regolati dentro un sipario di canne alte e cave, dalle serichelunghe foglie, dai flabelli che intonano canti. Questa brezza d'anima tra le canne, è qualcosa! Pan drizza le

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orecchie puntute. O fremito costante, baci d'ali, ghirigori di rumori, ventagliall'unisono nebulizzanti l'acqua che zampilla nell'antro d'Armida, stoffedi fate sgualcite, l'alto silenzio che sogna, spugna passata sull'interapoesia!... Tuttociò sussurra misericordioso: «Presto presto, amico, èl'anima sua che passa in queste canne che stringi tra le mani!». A piene mani Pan si comprime il cuore più divino che mai; siasciuga una lacrima, getta il vecchio zufolo nell'avello del fiume epreso da un'ispirazione universale, senza più esitare, senza grattarsil'orecchio né tormentare la barbetta a punta stringe in un abbraccioquei càlami incantati poi taglia tre gambi e ne fa sette canne dilunghezza decrescente che scava, svuota del midollo, fora di buchi elega assieme con due giunchi. Il flauto è bell'e fatto, e dei più nuovi! Pan vi fa scorrere le sue labbra aride di speranza di baci, e ciòche cava da quel flauto è una gamma miracolosa di una nuova èrache dice schiettamente la sua felicità di flauto, la sua felicità di venireal mondo in una bella sera dell'Età Pastorale!... Pan, ridendo tra le lacrime, gira e rigira con grosse dita diCalibano il nuovo flauto, il flauto dalle sette canne, la divina Siringa. - Oh! grazie, grazie! Sette canne! Ormai fa buio, il mazzetto di gigli d'acqua dirimpetto è sparito. Pan si siede tra le canne, preludia e ripreludia e stringe il suogiocattolo sul cuore, lo sfiora con le carnose labbra, e si concentra. È calata la notte. Non si vede più che la solitudine dellacampagna, non si sente più che il fresco del fiume. O nottememorabilmente attenta, andiamo! Pan comincia: «Mio inno, sviluppati non in avanti ma su testesso, così come dovrà fare la coscienza terrestre se non vuolrompere l'incanto e chiudere per sempre gli occhi belli a Maia laPlacida!». Dapprincipio non sono che funambolici lancinanti smaniosisfacciati trilli che uggiolano, si spengono e spirano in un rosario pioda miracolato. Allora s'alza una nota isolata e tenuta, calma come un aerostatosu una folla di babbei. Ed è il canto, chilometrico, pallido come una romanza dipurificazione, subito interrotto da una gamma pesante come una

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campana ruzzolante giù dal suo improvvisato castello, che poi sismaglia e si sviluppa in ghirlanda attorno a una base che aspetta lasua statua che per fortuna non verrà mai e poi mai. Allora, alla rinfusa: introibo rimontanti al diluvio, kirie incarovane senz'acqua, offertori nel marasma, orazioni intirizzite ecadute ben in basso, litanie troppo facili, magnificat che sismarriscono in dettagli, schiumanti miserere e stabat attorno a unpresepe o a una cisterna che fa da specchio a Diana-la-Luna. Pan s'asciuga le labbra col dorso della mano, posa un attimo ilflauto e parla a se stesso. - Son proprio solo: monotona è la mia canzone dato che io nonso fare altro che amare, e gemere fino a nuovo ordine avendomilasciato la mia bella. Oh! giornata ormai trascorsa! Siringa, t'hosognato forse? La ricordo, minuto per minuto e parola per parola, e ilsuo modo di guardare e il grado d'inclinazione del suo collo e il suonodella sua voce, e tuttavia non posso dire di averla vista né di averlasentita! Una volta di più mi sarà mancata la presenza di spiritod'immedesimarmi nella presenza delle cose! Avrei potuto esaminarlaper sempre da capo a piedi, e ascoltarla in eterno e catturare la suaformula al vivo! Invece di far questo, a che pensavo? a tutto! Ed èpassato. Ahi! sono proprio inguaribilmente nel Tutto. Poverospensierato, chi mai getterà un ponte tra il mio cuore e il presente?M'avesse almeno lasciato una ciocca dei suoi capelli da premere sullelabbra fino all'evidenza... E riaccosta alle labbra il suo flauto a sette canne, il suo flautotalismano, anima di Siringa. Ed è ancora lo Stabat, poiché è lecitoripetersi in una così bella sera dell'Età Pastorale, lo Stabat nei pressidi una cisterna dove si specchia Diana-la-Luna. Alza gli occhi; eccola, la Luna! Palpabile, gloriosa, abbagliante atutto tondo, che sale all'orizzonte puro e malinconico su una lineanera di colline. Pan strapazza il suo Stabat e scaglia un'imprecazione a Diana: «Hoyotoho! lassù! scudo di ghiaccio, Luna color canfora! «O Diana, sapessi come la tua divinità mi lascia freddo, io chenon ho niente da spartire coi tuoi difetti di sviluppo... «Ma perché giri agghindata di un sesso? che te ne fai di quegliorgani impuri? o che castità così poco immortale è la tua che habisogno, per resistere, di ricorrere a simili esche per attrarre(spettacolo sconcio e riconfortante) il maschio reso insano e schiavo?

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«E da dove ti viene questa divinità? da un grande amoreimpossibile o morto e sepolto? Macché! scommetto che non hai maisognato il nostro sesso, il nostro sesso più che legittimo! No, sei stataeducata nelle foreste, alle grandi cacce in tutte le stagioni, alle setoleispide dei cinghiali, al sangue, ai latrati, alle docce ghiacciate in fondoai boschi. Sei un uomo, piuttosto, sublime e pallido, un piantatoreproprietario di schiave bianche, e tu sferzi crudelmente le tuecompagne di caccia e con riti inconfessabili cauterizzi il loro poverosesso nel segreto delle selve claustrali. Va, va che so tutto! Non sonoun allucinato. Tutto è nel Tutto, a cui io taccio da coraggiosasentinella empirica!». Ma la Luna, abbagliante a tuttotondo, sola nel firmamento, restaimperterrita... E Pan, tremante di febbre, ruzzola dentro sogni da Mille e unaNotte d'abiezione, nel vento della sera che s'attarda bighellone acanzonare le brezze di tutti i recessi, i belati di tutti gli ovili, i sospiridi tutte le banderuole, gli aromi di tutte le medicazioni, i fru-fru ditutte le sciarpe perdute sui rovi delle contrade. O clima estatico, incantesimo lunare! È proprio vero? Èl'Annunciazione, o è solo la storia di una sera d'estate? E Pan, balzando su come un matto, senza neanche un addio alfiume morto, e stringendo il suo nuovo flauto contro il fianco ferito,riparte al galoppo nell'incantesimo lunare verso la sua valle, pilotatodalla Luna, alla ventura! Per buona sorte e ormai gli basta di cavare, in queste ore tristi,una nostalgica gamma dalla sua Siringa a sette canne per rimettersiin cammino, a testa alta, gli occhi grandi e vicinissimi, verso l'Idealeche è maestro a noi tutti. PERSEO E ANDROMEDA o Il più felice dei tre I O patria monotona e immeritata!... Isola, unicamente, in un giallo grigio di dune sotto cielimigratori, e il mare dappertutto che chiude la vista, coi gridi e lasperanza e la malinconia.

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Il mare! da qualunque parte lo si scruti, per ore e ore, inqualunque parte lo si sorprenda: sempre lui, mai in difetto, sempresolo, dominio dell'insocievole, gesta in fìeri, inappetibile cataclisma -come se lo stato liquido in cui ci appare non fosse altro chedecadenza! E i giorni in cui butta a mare tale stato (liquido)! e quellipiù intollerabili quando assume la smorfia vittimistica di chi non hauna faccia della sua tempra da rimirare, di chi non ha nessuno! Ilmare, sempre il mare, senza un attimo di cedimento! Insomma, nonha certo stoffa d'amico (Oh davvero! che si rinunci a una simile idea,finanche alla speranza di condividere familiarmente le sue rabbie,restando soli soletti malgrado tutto il nostro frequentarci). O patria monotona e immeritata!... Quando mai tutto ciò finirà?- Ma come! in tema d'infinito: lo spazio monopolizzato da un mareesclusivo impassibile e senza limiti, il tempo espresso da cieli esclusivipercorsi da stagioni impassibili in un migrare d'uccelli striduli grigi eselvatici! - Eh! che ne sappiamo noi di tuttociò, che possiamo fare difronte a una simile scontrosità confusa e ineffabile! Allora tanto valemorire subito, dato che ci portiamo dentro fin dalla nascita un buoncuore sentimentale. Un mare qualsiasi, oggi pomeriggio, d'un verde scuro a perditad'occhi; un accavallarsi a perdita d'occhi d'innumeri schiume tuttebianche ora accese ora spente ora riaccese, gregge sterminato dipecore natanti, anneganti, riemergenti e mai approdanti, e che silasceranno sorprendere dalla notte. E su tutto questo, i trastulli deiquattro venti, un trastullarsi per amore dell'arte, pel gusto di unmeriggio trascorso a frustare le creste di schiuma dentro un polverìoiridescente. Che un raggio di sole oh! venga a franare, e sulla schienadelle onde ecco la carezza d'un arcobaleno simile a un'imponenteorata apparsa per un attimo a galla e subito inabissata, ottusamentemalfida. Ecco tutto. O patria immeritata e monotona!... Il vasto ripetuto mare giunge asmatico e grondante fino allapiccola ansa dalle due grotte imbottite di piume d'edredone e dipallide stramaglie di fuchi troppo cresciuti. Ma il suo lamento noncopre i gagnolìi acuti e rauchi di Andromeda distesa là, poggiata suigomiti ventre sotto, in faccia all'orizzonte, intenta a scrutareimmemore il meccanismo dei flutti, dei flutti che nascono e muoionoa perdita d'occhi. Andromeda si geme addosso; geme e d'improvvisos'accorge che il suo gemere fa il paio col lamento del mare e del

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vento, due compari forti e scontrosi che neppure la degnano d'unosguardo. Allora smette, brusca, poi cerca intorno, se c'è qualcuno concui attaccare briga. Chiama: - Mostro!... - Pupa?... - Ehi mostro! - Pupa? - Si può sapere che stai lì a fare? Il Mostro-Drago accovacciato all'ingresso della sua grotta e colposteriore a mollo, si volta facendo brillare il dorso tempestato di tuttii preziosi delle Golconde sottomarine, alza con aria compassionevolele palpebre frangiate di cartilaginose passamanerie multicolori, scopredue vaste pupille d'un azzurro acquoso e dice (col tono di unapersona a modo che ha avuto i suoi dispiaceri): - Lo vedi, Pupa, io spacco e levigo ciottoli per la tua fionda;avremo ancora qualche passo d'uccelli prima che vada giù il sole. - Smetti, questo rumore mi fa male. E non voglio più uccidere gliuccelli che passano. Che passino oh! e rivedano i loro paesi. - O volimigratori che passate senza vedermi, orde di flutti sempre in arrivoche smorite senza portarmi niente, come mi annoio! Stavolta sì chesto male... - Mostro?... - Pupa? - Dimmi un po', perché da qualche tempo in qua non mi portipiù delle gemme? Cosa ti ho fatto, eh, zietto? Il Mostro sfoggia un'alzata di spalle, raspa la sabbia alla suadestra, alza un ciottolo e afferra una manciata di perle rosa e dicristalli d'anemoni che teneva in serbo per qualche capriccio, quindideposita il tutto sotto il nasino d'Andromeda. Andromeda, sempreventre sotto e poggiata sui gomiti, sospira senza scomporsi: - Se rifiutassi con durezza, con inspiegabile durezza? Il Mostro si riprende il suo tesoro e lo spedisce giù alle nataliGolconde sottomarine. E Andromeda a rotolarsi sulla sabbia, a gemere tirandosi i capellisulla faccia in un disordine patetico: - Oh! le mie perle rosa, i miei cristalli d'anemoni! Oh! ne morirò,ne morirò! e sarà tua la colpa. Ah! tu non conosci l'Irreparabile! Ma si calma presto, per venire ad allungarsi strisciando, conabituale civetteria, sotto il mento del Mostro e con le bianche bracciagli circonda il collo, un collo di un viola viscido. Il Mostro sfoggia

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un'alzata di spalle e comincia a secernere, bonario, il musco selvaticoper tutti i pori carezzati da quelle braccine di carne, le braccine dellacara bimba che subito riprende a sospirare: - O Mostro, o Drago, tu dici di amarmi, e non puoi niente perme. Vedi che la noia mi consuma, e non puoi niente. Se tu potessiguarirmi, farmi qualcosa, come ti amerei! ... - Nobile Andromeda, figlia del re d'Etiopia! Il povero mostro,Drago suo malgrado, non può risponderti che circonlocutoriamente: -Non ti guarirò se non quando mi amerai, perché è amandomi che tumi guarirai. - Sempre il fatidico rebus! Ma se ti dico che ti voglio bene! - Non è che me lo fai sentire poi tanto. Ma lasciamo perdere;sono ancora un povero mostro di Drago, uno sventurato Catoblepa. - Volessi almeno prendermi in groppa e trasportarmi in mezzoalla gente. (Ah, come vorrei lanciarmi nel bel mondo!) Una volta là telo darei davvero un bel bacetto in premio della tua fatica. - È impossibile, te l'ho già detto. Qui dovranno sciogliersi i nostridestini. - Oh dimmi, dimmi, che ne sai? - Non più di te, o nobile Andromeda dai rossi capelli. - I nostri destini i nostri destini! Ma se invecchio di giorno ingiorno, io! No, non si può più andare avanti così! - E se facessimo una giterella in mare? - Le conosco le vostre gite! Sarebbe ora di trovare qualcosa dimeglio. Andromeda torna a buttarsi ventre sotto sulla sabbia che graffiae raspa lungo i fianchi legittimamente affamati, poi ricomincia i suoigagnolìi acuti e rauchi. Il Mostro, tanto per canzonare quella lagna sentimentale, imita ilfalsetto della povera bimba che sta cambiando voce, e attacca conaria indifferente: - Piramo e Tisbe. C'era una volta... - No! niente storie defunte o m'ammazzo! - Ma insomma che c'è! Bisogna reagire! Va a pesca, a caccia,infila delle rime, suona la buccina ai quattro punti cardinali, rinnova latua collezione di conchiglie; o se vuoi, incidi dei simboli sulle pietrerefrattarie (ecco un modo per passare il tempo)... - Non ce la faccio, ti dico che non ho più voglia niente. - Guarda, guarda! Pupa? guarda lassù. Oh! la vuoi la tua fionda?

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Dal mattino, era già il terzo stormo d'uccelli migratori autunnali;il loro triangolo passava con lo stesso palpito ben regolato, senzadispersioni. Passavano, e stasera sarebbero stati ben lontani... - Oh andare dov'essi vanno! Amare, amare!... grida lasventurata Andromeda. La piccola indemoniata è in piedi d'un balzo e urlando tra leraffiche sparisce a gran galoppo dietro le dune grige dell'isola. Il Mostro sorride bonario, poi riprende a levigare i suoi ciottoli; -a quel modo il savio Spinoza doveva lustrare le sue lenti. II Come una bestiola ferita Andromeda galoppa, galoppa del fragilegaloppo di un trampoliere in una regione di stagni; ancora più irata didover ricacciare indietro, incessantemente, i suoi lunghi capelli rossiche il vento le incolla sulla faccia e sulla bocca. E dove va così,pubertà pubertà! nel vento e tra le dune, con questi abbai di bestiolaferita? Andromeda! Andromeda! I piedi perfetti nei sandali di lichene, con al collo un giro dicoralli grezzi infilati in una fibra d'alga, ineccepibilmente nuda,inflessibile e nuda, è cresciuta così, tra galoppate e raffiche e soli enuotate e notti all'addiaccio. La faccia, le sue mani, non sono più o meno bianche del restodel corpo; il suo fisico minuto, con una capigliatura di un rosso setache casca fino ai ginocchi, ha la tonalità uniforme della terracottalavata (Oh quei salti! quei salti!). Bene armata, ben molleggiata, tuttaabbronzata questa pubertà selvatica, con tanto di gambe lunghe esottili, coi fianchi dritti e fieri che si affinano in vita proprio sotto iseni, un petto infantile, due ombre di seni così inadeguati che il fiato,pur nel galoppo, li solleva appena (e quando e come avrebbero potutoformarsi, andando sempre così controvento, il vento salso che vienedal largo, e contro i getti furiosamente ghiacciati delle onde?) e illungo collo, e la piccola testa infantile un po' stravolta entro la cornicerossa, e gli occhi ora penetranti come quelli degli uccelli di mare orasmorti come le acque quotidiane... insomma una ragazzina compìta.Oh quei salti, quei salti! e quei gagnolìi di bestiola ferita avvezza aidisagi. Vi dico che è venuta su così, nuda e inflessibile e abbronzata,

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con tanto di chioma rossa, tra galoppate e raffiche e soli e nuotate enotti all'addiaccio. Ma dove va così, o pubertà, pubertà? Proprio in fondo, ecco una bizzarra scogliera a forma dipromontorio; Andromeda la scala percorrendo un labirinto di rampenaturali: dalla stretta cengia essa domina l'isola e la mobile solitudineche la isola. Nel mezzo della cengia le piogge hanno scavato un catinoche Andromeda ha lastricato di ciottoli di nero avorio che trattengonoun'acqua pura; quello è il suo specchio, già da una primavera, el'unico segreto che abbia al mondo. È la terza volta, oggi, che torna a rimirarsi. Non è che vi sispecchi sorridendo, anzi fa il broncio, tenta di approfondire la gravitàdei suoi occhi, e gli occhi non si staccano dalla loro profondità. Ma lasua bocca! non si stanca di adorare lo sbocciare innocente della suabocca. E chi capirà mai la sua bocca? - Tutto sommato ho un'aria ben misteriosa! pensa tra sé. Si dà un mucchio di arie: - E poi ecco, sono io né più né meno; prendere o lasciare. E riflette che, tutto sommato, manca di distinzione! Ma ritorna ai suoi occhi. Ah! gli occhi sono belli, toccanti, e bensuoi. Non si stanca di conoscerli, resterebbe là a interrogarli fino alleultime luci del giorno... E che cos'hanno che se ne stanno così infiniti?Perché lei non è un altro? passerebbe la vita a spiarli, a sognare illoro segreto, in silenzio! Ha un bel rimirarsi! Proprio come lei, il suo viso vive nell'attesa,serio e remoto. Allora se la prende con la sua capigliatura: prova una ventina diacconciature, ma alla fine esce sempre qualcosa di troppo pesanteper la sua testolina. Ecco sopraggiungere dei nembi carichi di pioggia che alterano ilsuo specchio. Ha nascosto sotto una pietra una pelle di pesce seccatache le fa da lima per le unghie; si siede e si cura le unghie.Sopraggiungono i nembi che si lacerano in un frastuono di diluvio.Andromeda si precipita giù per la scogliera e riprende il galoppo allavolta del mare, pigolando sotto l'acquazzone: Ah! una panacea Alla bua d'Andromeda! Oh issa! Alla sua bua.

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La nenia è tanto triste che qualche lacrima cola sul senoinfantile. E l'acquazzone è già passato e il vento le scompiglia icapelli, una raffica via l'altra... Oh issa! Nessuno mi viene in aiuto? Allora io mi butto! Oh issa! Ma non è che un'annaffiata, e corre a farsi una doccia di mare.Nell'atto di buttarsi ci ripensa: ancora e sempre il bagno! Non ne puòpiù di giocare con le sorelle onde, grossolane, formosette, di cuiconosce a sazietà la pelle e i modi. Ecco. Si stende di schiena sullasabbia fradicia, le braccia in croce, di fronte all'irrompere dei flutti.Meglio così, non resta che attendere un bel cavallone; dopo unminaccioso va e vieni una voluta che s'impenna le salta addosso. Lariceve da brava, a occhi chiusi, con un lungo singhiozzo agonizzante,e si dimena per trattenere con tutte le membra quel mobile guancialediaccio che scorre e non le lascia niente tra le braccia... Si siede, inebetita, osserva le carni che grondano da far pietà, emonda la chioma dalle alghe che la doccia vi ha impigliato. Poi si butta risolutamente in acqua, schiaffeggia le onde amulinello, si tuffa e risale e soffia e fa il morto; una nuova bordatasopraggiunge e la piccola ossessa, ecco, dopo il primo urto fa il saltodella carpa e vuole inforcare la creste! Ne afferra una per la criniera ela cavalca per un attimo abbaiando selvaggiamente; ne sopraggiungeun'altra a tradimento, che la disarciona, ma Andromeda si aggrappa aun'altra ancora; e tutte le si ritraggono troppo svelte poiché nonsanno aspettare. Il mare, che piglia gusto al gioco, diventainsostenibile; allora Andromeda come un relitto si lascia naufragarescarmigliata sulla sabbia, striscia fuori tiro dei flutti e resta ventresotto, semisommersa tra le sabbie mutevoli. Una nuova falda d'acquazzoni trascorre sull'isola. Andromedanon si ritrae, gemendo pel fragore diluviale si piglia tuttol'acquazzone, l'uggiolante acquazzone che la solletica in un ribollìolungo il filo della schiena. Sente che la sabbia inzuppata le cede sottopoco a poco e si dimena per sprofondare maggiormente. (Oh! ch'iosia sommersa, sia sepolta viva!)

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Ma quei nembi diluviali se ne vanno com'erano venuti, anche ilrumore s'allontana, ed è la solitudine atlantica dell'isola. Andromeda si mette seduta a guardare l'orizzonte, l'orizzonteche schiarisce senza un che d'insolito. E adesso? una volta che ilvento l'ha asciugata per benino, essa corre col fiato corto a scalare dibel nuovo la scogliera promontorio dove almeno un barlumed'intelligenza l'attende. Ma la brutta pioggia ha alterato la fattura del suo poverospecchio. Andromeda si scosta, sta per scoppiare in singhiozzi quando ungrande uccello di mare si avvicina a vele spiegate, dritto sull'isola,puntando verso la scogliera, magari destinato a lei! Lancia a richiamoun pigolìo prolungato, e s'accascia a ridosso della roccia con lebraccia in croce, e chiude gli occhi. Ah! piombasse quell'uccello sulsuo esserino prometeico esposto là per volere degli dei, e appollaiatosulle sue ginocchia la frugasse dentro con un becco salutare,implacabile, fino a estrarle il nòcciolo ardente della sua bua! Avverte invece il volo del grande uccello che passa: è giàlontano, quando riapre gli occhi, ansioso certo di carogne ben piùeccitanti. Povera Andromeda che non sa proprio da che parte abbordare ilsuo essere per esorcizzarlo. E ora? non resta che ricontemplare il mare così limitato etuttavia così unicamente aperto alla speranza... E ancora, un benpuerile tormento è il suo se confrontato a quella solitudine a perditad'occhi! Con una sola ondata il mare può appagarla a morte; ma lei,piccola carne gracile, come può pensare di appagarlo e di scaldarlo ilmare?! Come se bastasse allungare le braccia... Del resto, poi, sisente così stanca! Una volta sì che galoppava tutto il giorno nel suoregno, ma oggi con le palpitazioni di cuore... Un altro di quei grandiuccelli di mare che passa. Vorrebbe tanto adottarne uno, cullarlo! Nonuno che faccia sosta sull'isola. Bisogna ucciderli a colpi di fionda pervederli davvicino. Cullare, essere cullata; il mare non è che la culli tantodolcemente. È caduto il vento, ed è la bonaccia; l'orizzonte s'appresta allacerimonia del tramonto e fa tabula rasa, in vena di malinconia. Cullare, essere cullata!... E la testolina stanca di Andromeda siriempie di ritmi materni; le ritorna il solo ritmo umano che conosca,

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una leggenda: «La verità intorno al caso Tutto», poemetto sacro concui il Drago, suo custode, le cullò l'infanzia. «In principio era l'Amore, legge universale, centro in cosciente,infallibile. Nient'altro che l'aspirazione infinita all'Ideale, immanente aiturbinii solidali dei fenomeni. «Chiave di volta per la Terra, sua Cisterna, sua Sorgente è ilSole. «Ecco perché il mattino e la primavera s'addicono alla gioia,perché il crepuscolo e l'autunno s'addicono alla morte. (Ma dato chenon c'è niente di più esaltante per un organismo superiore del sentirsimorire pur sapendo che non è vero, il crepuscolo e l'autunno, ildramma del sole e della morte sono in massimo grado estetici). «L'impulso dell'Ideale è dato da sempre e da sempre, nellospazio infinito, va oggettivandosi in innumeri mondi che si formano eorganicamente si evolvono nel modo più elevato che gli elementi loroconsentano, per disgregarsi poi in nuove gestazioni da laboratorio. «Unica preoccupazione dell'incosciente iniziale è di salire più inalto, preso com'è dalle sue cure particolari ch'esso tiene sottocontrollo in altri mondi più vivaci e più seri; niente lo saprebbedistrarre dal suo sogno futuro. «E i pianeti, che avendo già percorso l'evoluzione propriaall'Incosciente non hanno fondamento sufficiente per servire dalaboratorio all'Essere futuro, sono dall'Incosciente trascurati; le loropiccole evoluzioni si fanno fatalmente, sulla scorta dell'impulso giàdato, come altrettante prove idem e trascurabili d'un modelloacquisito e arcinoto. «Ordunque, allo stesso modo che l'evoluzione fatale dell'umanitànel grembo della madre è una miniatura riflessa dell'intera evoluzioneterrestre, l'evoluzione terrestre non è che una miniatura riflessa dellaGrande Evoluzione Incosciente nel Tempo. «Altrove, altrove, negli spazi infiniti l'Incosciente è piùprogredito. Che feste!... «La Terra, dovesse anche produrre degli esseri superioriall'Uomo, non è che una prova idem e trascurabile d'un modellod'apprendimento. «Ma la buona Terra originata dal Sole per noi è tutto, dotaticome siamo di cinque sensi cui tutta la Terra risponde. O succulenze,stupori plastici, fragranze, strepiti, sorprese a perdita d'occhi, Amore!O vita mia di me!

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«L'Uomo non è che un insetto sotto i cieli; fate che egli sirispetti e può essere davvero Dio. Uno spasimo della creatura valel'intera natura». Tale è il salmodiare uggioso di Andromeda dinnanzi a un'altrasera che cala; e non conosce altra dolcezza che la lezione appresa.Ah! essa si stira e geme. Ah! fino a quando continuerà a stirarsi e a gemere?... Con voce alta e intelliggibile, nella solitudine atlantica della suaisola, essa dice: - Sì, ma dal momento che ignoro quale sesto senso sconosciutovuole schiudersi, e che niente, niente gli risponde! Ah! - Grattagratta, la verità è ch'io sono troppo sola, troppo appartata, e che nonso proprio come tutto questo andrà a finire. Si accarezza le braccia, e dall'esasperazione digrigna i denti, sigraffia e si sfregia appena con una scaglia di silice a portata di mano. - O dei! non posso mica togliermi la vita tanto per provare! Piange. - No, no! Mi si trascura troppo! Anche se ora venissero acercarmi per portarmi via... ma io serberei rancore tutta la vita,serberei sempre un po' di rancore. III Un'altra sera che cala, un bel tramonto in mostra; bilancioclassico! bilancio più che classico!... Andromeda butta indietro la sua rossa capigliatura e riprende ilcammino di casa. Il Mostro non le viene incontro. Cosa significa? Il Mostro non c'èpiù! Lo chiama: - Mostro! Mostro!... Nessuna risposta. Suona la buccina. Niente. Fa ritorno allascogliera che domina l'isola e suona e chiama, Dio mio!... Nessuno.Torna a casa. - Mostro! Mostro!... - Che disastro! si fosse inabissato persempre, fosse partito lasciandomi sola, con la scusa che l'hotormentato troppo, che gli ho reso la vita impossibile?... Nella sera che cala, l'isola le appare incredibilmente,

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impossibilmente perduta! Si butta sulla sabbia davanti alla grotta egeme geme, geme che vuol lasciarsi morire, che dovevaaspettarselo... Quando si rialza, il Mostro è là, nella solita melma, intento abucare una di quelle buccine con cui le fabbrica delle ocarine. - To' eccovi, dice. Vi credevo partito. - Dio me ne guardi. Fin che vivo sarò il vostro carceriere senzamacchia e senza paura. - Come dite? - Dico che fin che vivo... - Bene bene; lo sappiamo. Silenzio e orizzonte; l'orizzonte dei mari è bell'e sgombro per iltramonto. - Se giocassimo a dama, sospira Andromeda visibilmente irritata. - Giochiamo a dama. Una scacchiera a mosaici neri e bianchi è incrostata sulla sogliadella grotta. La partita ha inizio e già Andromeda scompiglia tutto,visibilmente irritata. - È impossibile, perderei; non ho la testa. Mica ne ho colpa.Sono irritata e lo si vede. Silenzio e orizzonte! Dopo tutte le follie del pomeriggio l'aria èferma, come racconta in attesa della classica ritirata dell'Astro. L'Astro! ... Laggiù all'orizzonte rutilante dove le sirene trattengono il fiato, salgono le impalcature del tramonto, di faro in faro si dispongono a terrazze le murature di scena; i pirotecnici danno gli ultimi ritocchi; sbocciano lune d'oro in serie, tanti bocchini di trombe allineateda cui fulminassero falangi di araldi! Il mattatoio è pronto, si ripiegano i paramenti; su lettighe di diademi, sulle messi di lampioncini veneziani e dicaligini e di covoni, arginate da barriere in similoro messe a sacco, l'Astro Pascià Sua Eminenza Rossa in zimarra di rovine cala, mortalmente trionfale per interi minuti attraverso la Porta Sublime! Eccolo che giace su un fianco, venato di stigmate atrabiliari.

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Svelto, qualcuno spinge giù con un calcio quella zucca fessa, eallora!... Addio, finita la festa!... L'allineamento di trombe s'abbassa, le difese crollano coi loro faridi boccioni prismatici! I cimbali volano via, i cortigiani inciampanonegli stendardi, le tende vengono ripiegate, l'esercito leva il campoportandosi dietro nel panico le basiliche occidentali, i torchi gl'idoli ifagotti le vestali gli uffici le ambulanze le cantorie delle fanfare e tuttigli accessori di rito. Per stemperarsi in uno spolverìo rosa aureo. Insomma, è andate tutto a meraviglia!... - Favoloso, favoloso! sbava in estasi il Mostro Taciturno, e le suevaste pupille acquose brillano ancora degli ultimi riflessi occidentali. - Addio, finita la festa! sospira crepuscolarmente Andromeda, lacui rossa capigliatura sembra ben povera cosa dopo quegli incendi. - Non resta che accendere i fuochi della sera, cenare, e benedirela luna prima di andare a letto, per svegliarsi l'indomani ericominciare una giornata uguale. Orsù, silenzio e orizzonte pronti per la funerea luna... allorché! -Oh! benedetti gli dei che inviano proprio al momento giusto un terzopersonaggio. Arriva come un razzo l'eroe adamantino su un Pegaso di neve lecui ali fremono tinte dai tramonti, nitidamente riflesso nel pur vastospecchio malinconico dell'atlantico delle belle sere!... Non c'è alcun dubbio, è Perseo! Andromeda, soffocata da acerbi palpiti, corre a rannicchiarsisotto il mento del Mostro. E delle grosse lacrime spuntano sulle ciglia del Mostro, come deidoppieri sulle balaustre. Parla con una voce che non gli conoscevamoaffatto: - Andromeda, nobile Andromeda, rassicurati, è Perseo. È Perseo,figlio di Danae d'Argo e di Giove tramutato in pioggia d'oro. Viene peruccidermi e rapirti. - Mannò che non ti ucciderà! - Mi ucciderà. - Non ti ucciderà se mi ama. - Non può portarti via che uccidendomi. - Mannò, ci metteremo daccordo, ci si mette sempre daccordo.Aggiusterò tutto io.

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Andromeda ha lasciato il suo posto abituale e guarda. - Andromeda, Andromeda! pensa al valore della tua carne unica,pensa al valore della tua anima schietta; un mispatto coniugale è cosìpresto consumato! Figurarsi se quella sta a sentire! La faccia protesa, i gomitiincollati al corpo, le dita contratte sulle anche, è piantata là sulla rivadel mare, femminilmente, in atto di sfida. Prodigioso e d'un gusto raffinato, Perseo s'avvicina con un batterd'ali più lento dell'ippogrifo; - più s'avvicina più Andromeda si senteprovinciale; e delle sue braccia incantevoli non sa proprio che farsene. Giunto a qualche metro d'Andromeda, l'ippogrifo si ferma con ungarbo perfetto, piega le ginocchia a sfiorare i flutti, pur sostenendosicon un roseo fremito d'ali; e Perseo fa un inchino. Andromedarisponde d'un cenno del capo. Ecco dunque il suo fidanzato. Qualesarà il suono della sua voce, e la sua prima parola? Védilo che riparte senza una parola e avendo preso quotacompie di slancio delle ellissi passando e ripassandole davanti,caracollando sul filo del mare - prodigioso specchio! diminuendo viavia le sue orbite su Andromeda, quasi volesse dare all'acerba vergineil tempo di ammirar lo e di desiderarlo. Un ben curioso spettacolo inverità!... Stavolta, sorridendo, le è passato così vicino che avrebbe potutotoccarlo! Perseo monta all'amazzone incrociando vezzosamente i piedicalzati da sandali di bisso; uno specchio sta appeso all'arcione dellasella; è imberbe, la bocca rosa atteggiata al sorriso potrebbe definirsiuna melagrana spaccata, sull'incavo del petto è laccata una rosa, lesue braccia sono tatuate d'un cuore trafitto da una freccia, ha ungiglio dipinto sul grosso dei polpacci, porta un monocolo di smeraldo,anelli e bracciali in gran copia; dal balteo dorato pende uno spadinocon l'elsa di madreperla. Perseo ha sul capo l'elmo di Plutone che rende invisibili, ha le alie i calzari di Mercurio e lo scudo divino di Minerva, dalla cinturapenzola la testa della Gòrgone Medusa alla cui sola vista, è risaputo,il gigante Atlante si cangiò in montagna; il suo ippogrifo è quelPegaso che cavalcava Bellerofonte quando uccise la Chimera. Ungiovane eroe dall'aria maledettamente sicura. Il giovane eroe ferma l'ippogrifo davanti a Andromeda e senzasmettere di sorridere con quella bocca di melagrana spaccata, traccia

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una serie di mulinelli con la sua spada adamantina. Andromeda resta inchiodata, l'incertezza la dispone al pianto,quasi non d'altro in attesa che del suono della voce di quelpersonaggio per abbandonarsi al destino. Il Mostro fa la cuccia in disparte. Con eleganza e senza turbare lo specchio d'acqua, Perseocompie un volteggio e la cavalcatura s'inginocchia davanti aAndromeda presentando il fianco; il giovane cavaliere fa delle suemani staffa e inclinandole verso la giovane reclusa dice con un'erreincurabilmente grassa: - Su, òp! a Citera! Finiamola una buona volta! Andromeda ha già il piede ruvido inquella staffa delicata quando si volta per dire addio al Mostro. - Maecco che costui si getta sotto l'ippogrifo e riappare inalberato inmezzo a loro, le due zampe in resta, spalancando l'antro violaceodella gola che getta un dardo di fiamma! L'ippogrifo s'impenna,Perseo indietreggia per avere più campo, gridando smargiassate. IlMostro le raccoglie, Perseo si fa sotto e subito s'arresta: - Ah! non ti darò la soddisfazione di scannarti in sua presenza,grida; fortuna che gli dei giusti hanno messo più d'una corda al mioarco. Io... ti meduso io! Il mignoncello degli dei sgancia dalla sua cinta la testa dellaGòrgone. Recisa al collo, la famosa testa è viva ma viva di una vitastagnante e avvelenata, nera d'apoplessia repressa, gli occhi bianchi einiettati sono fissi, e fisso il rictus di decollata; tutto di lei è fermotranne la capigliatura di vipere. Perseo l'impugna per quella chioma i cui nodi blu screziati d'orogli fanno dei nuovi bracciali, e la presenta al Drago mentre grida aAndromeda: - Voi, giù gli occhi! O prodigio! l'incantesimo non s'avvera. Non vuole avverarsi, l'incantesimo! La Gòrgone, di fatto, con uno sforzo inaudito ha chiuso i suoiocchi petrificanti. La buona Gòrgone ha riconosciuto il nostro Mostro. Ricorda benei ricchi tempi pieni di brezze quando con le sue due sorellefrequentava quel Drago, già guardiano del giardino delle Esperidi, delmeraviglioso giardino delle Esperidi, sito nei pressi delle Colonned'Ercole. No, mille volte no, non sarà lei che petrificherà un vecchio

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amico! Perseo attende sempre, a braccio teso, ignaro di tutto. Ilcontrasto tra il gesto valoroso e magistrale che ha assunto e il suofallimento ha del grottesco; e la selvatica piccola Andromeda non hapotuto trattenere un sorrisetto; sorrisetto che Perseo sorprende!L'eroe stupisce, ma che succede alla sua buona testa di Medusa?Benché l'elmo, in fondo, lo renda invisibile, non è senza timore ches'azzarda a guardare in faccia la Gòrgone, per sincerarsidell'accaduto. Lapalissiano; l'incantesimo petrificante non ha operatoperché la Gòrgone ha chiuso gli occhi. Furibondo, Perseo riaggancia la testa, brandisce la spada con unghigno da vincitore e serrando sul cuore lo scudo divino di Minerva,dà di sprone (oh! giusto nel mentre laggiù la luna piena si alza sulprodigioso specchio atlantico!) e s'avventa contro il Drago, poveramassa orba di ali. L'accerchia con smaglianti volteggi, gli dà di picca adritta e a manca poi lo costringe a ridosso d'un anfratto e lì gliaffonda così mirabilmente la spada nel mezzo della fronte, che ilpovero Drago s'affloscia, appena in tempo per rantolare spirando: - Addio, nobile Andromeda, ti amavo, e con delle prospettive,solo che tu l'avessi voluto; addio, ci penserai spesso. Il Mostro è morto. Malgrado l'infallibilità della vittoria Perseo ètroppo eccitato e vuole infierire sul defunto; lo lardella lo sfregia glifora gli occhi e lo massacra! finché Andromeda non lo ferma. - Basta basta, vedete bene che è morto. Perseo appende la sua spada al balteo, ricompone i riccioli biondidella sua chioma, ingoia una pasticca e scendendo dalla suacavalcatura, di cui carezza il collo: - E ora, bellezza mia! dice con voce melassata. Andromeda, che è rimasta sempre là, ineccepibilmente einderogabilmente nuda coi suoi neri occhi alcionici, chiede: - Voi mi amate, mi amate veramente? - Se vi amo? Ma vi adoro! senza di voi la vita mi sarebbeintollerabile e piena di tenebre! Se ti amo! ma guardati dunque! E le allunga il suo specchio; Andromeda con aria esterrefattarifiuta soavemente quella bigiotteria. Lui non ci fa caso, anzi s'affrettaa aggiungere: - Ah! questo però sì, bisognerà che ci facciamo belle! Cava di dosso uno dei suoi collari, un collare di monete d'oro(ricordino di nozze di sua madre) e vuole infilarglielo al collo. Essa lo

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respinge dolcemente ma lui approfitta di quel gesto per cingerle adue mani la vita. L'animaletto ferito si risveglia! Andromeda mandaun grido, il grido dei gabbiani nei momenti più neri, un grido cherisuona sull'isola tutta buia: - Non mi toccare!... - Oh scusate, scusate, ma in verità tutto èaccaduto così in fretta! Vi prego, lasciate ch'io vaghi ancora un po'sola, ch'io dica un ultimo addio ai luoghi... Si scosta per abbracciare con un gesto l'isola, e la cara scoglierasu cui cala la notte, una vera notte, oh! vera per tutta la vita! cosìvera e inafferrabile che Andromeda subito se ne distacca peraffrontare colui che viene a strapparla al suo passato, cherappresenta il suo mi-gioco-tutto. Ma ecco che lo sorprende!Sbadigliava! uno sbadiglio compassato che si sforza di tramutare inun sorriso di melagrana spaccata. O notte sull'isola del passato! Mostro vilmente ucciso, Mostrosenza sepoltura! Paesi troppo eleganti di un domani... Andromedanon ha che un grido: - Andatevene! andatevene! Mi fate orrore! Meglio morire sola,andatevene, avete sbagliato indirizzo. - Ah! bene, bei modi questi! Piccola mia, sappiate che i miei pariun ordine del genere non se lo fanno dare due volte. E non è chesiate poi un campione di raffinatezza... Traccia un mulinello con la sua spada adamantina, si rimette insella e fila via senza voltarsi nell'incanto dell'aurora lunare; lo si senteche tuba un'aria tirolese; fila via come una meteora, dilegua versocontrade eleganti e facili... O notte sulla povera isola di sempre!... Quale sogno!... Andromeda se ne sta lì a testa bassa, inebetita davantiall'orizzonte, al magico orizzonte rifiutato, che non ha neanche potutorifiutare, o dei che la forniste d'un cuore così grande! Essa va dal Mostro, che giace sempre nel suo angolo, esanime,livido e flaccido, l'infelice. Valeva proprio la pena! ... Come sempre, va a rifugiarsi sotto il suo mento, ora senza vita eche deve sollevare per allacciargli il collo con le sue braccine. Èancora tiepido. Incuriosita, alza con l'indice una palpebra, la palpebrascopre un globo spaccato e ricade. Scosta le ciocche della criniera econta i fori sanguinanti che gli ha fatto l'orribile spada di diamante.Delle lacrime scorrono silenziose, lacrime di passato e d'avvenire.Come la vita era ancora bella con lui in quell'isola! E nel passargli con

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un gesto meccanico la mano tra le ciglia essa ricorda. Ricorda comele fosse amico, gentiluomo perfetto, scienziato ingegnoso, poetaeloquente. E il suo cuoricino scoppia in singhiozzi mentre essa si agitasotto il mento inerte del Mostro non apprezzato abbastanza e glistringe il collo e troppo tardi ormai lo scongiura. - Oh! povero, povero Mostro! M'avessi detto tutto a suo tempo!non saresti morto qui, per mano d'uno stupido eroe d'operetta. E iocosì sola nella notte! Avremmo avuto ancora dei bei giorni. Potevicapirlo da te che la mia non era che una crisi passeggera, quellanguore, quella curiosità fatale. Oh! curiosità tre volte funesta! Oh!Ho ucciso il mio amico, ho ucciso il mio unico amico! Il mio paternonutritore, il mio precettore. Di che lamenti potrei far risuonare questerive insensibili ormai? Nobile Mostro: - Addio, Andromeda, ti amavo econ delle prospettive, solo che tu l'avessi voluto! furono le sue ultimeparole. - Ora sì che capisco la gravità della tua anima grande! e i tuoisilenzi e i tuoi pomeriggi e tutto! Troppo tardi, troppo tardi! Ma senzadubbio questo era il volere degli dei. O dei di giustizia, prendete lametà della vita di Andromeda, prendete la metà della mia vita erendetemi la sua, che io lo ami e lo serva d'ora in poi con fedeltà econ grazia. O dei, fate questo per me, voi che mi leggete nel cuore esapete quanto, in fondo, io l'amassi, anche se obnubilata da fugacicapricci dell'età, io che non ho mai amato altri che lui, che l'amerò ineterno! E lo sboccio della bocca della nobile Andromeda trascorre lievesulle palpebre chiuse del Drago. A un tratto si ritrae!... Perché ecco che alle sue parole fatidiche, a quei baci redentori ilMostro trasale, apre gli occhi, piange in silenzio e la guarda... Poiparla: - Nobile Andromeda, grazie. I tempi della prova sono finiti. Iorinasco, sto rinascendo a dovere per amarti; e non una parola né unistante siano in grado di definire la tua felicità. Impara piuttosto aconoscere me e il mio destino. Ero della stirpe maledetta di Cadmovotata alle Furie! Predicavo la derisione dell'essere e la deità del nullanei boschi d'Arcadia. Per punirmi, gli dei della vita mi cambiarono inDrago dannandomi, in queste sembianze, alla sorveglianza dei tesoridella terra fino al giorno in cui una vergine mi amasse, me Mostro,per me stesso. Drago a tre teste, custodii dapprima a lungo i pomid'oro del giardino delle Esperidi; Ercole sopraggiunse e mi sgozzò.Successivamente passai in Colchide, dove sarebbe approdato il Vello

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d'Oro. Sull'ariete dal vello d'oro giungevano il tebano Frisso e suasorella Elle. Un oracolo m'aveva fatto intendere che Elle era la verginepromessa. Ma annegò in viaggio legando il suo nome allo strettodell'Ellesponto. (Seppi poi che non era un granché). Vennero alloraquegli strani Argonauti, come non se ne vedrà più!... Splendore diun'epoca! Giasone era il loro capo, quindi veniva Ercole, e il suoamico Teseo, e Orfeo che si vantava d'incantarmi con la sua lira (eche doveva fare più tardi una così brutta fine!) e ancora i dueGemelli: Castore, domatore di cavalli e Polluce eccelso nel pugilato.Epoche svanite!... Oh! i loro bivacchi, i fuochi che accendevano nellesere! - Dovevo finire sgozzato ai piedi del Vello d'Oro del Santo Graal,vittima dei filtri di Medea, arsa d'amore folle pel sontuoso Giasone. Evennero altri cicli: ho conosciuto Eteocle e Polinice, e la pia Antigone,e il perfezionarsi degli armamenti che segnò la fine dei tempi eroici.Da ultimo, la bizzarra e opprimente Etiopia e tuo padre e te, o nobileAndromeda, Andromeda la più bella di tutte, a cui devo di potertirendere tanto felice che non ci sarà né una parola né un istante ingrado di definire la tua felicità. Com'ebbe terminato quel mirifico discorso il Drago, senzapreavviso, ecco che si muta in un giovanotto a modo. Affacciatoall'ingresso della grotta, con la sua pelle umana inondata dagliincantesimi lunari, parla dell'avvenire. Andromeda non osa riconoscerlo e si gira appena, sorridendo nelvuoto, con uno di quei moti fascinosi di tristezza forieri in lei dei piùimpensati colpi di testa (la sua anima è così facilmente soggetta allosconforto...). Ma bisogna pur vivere, e viverla questa vita, perquanto si debbatenere gli occhi bene aperti a ogni sua svolta. L'indomani di quella notte essenzialmente nuziale, ricavaronouna piroga da un tronco d'albero e la misero in mare. Vogarono, evitando le coste disseminate di casinò. Oh! viaggio dinozze sotto il sole come al sereno! Il terzo giorno approdarono in Etiopia dove regnaval'inconsolabile padre di Andromeda (lascio immaginare la sua gioia). - Ah questa poi, mio caro signor Amyot d'Epinal, ce la raccontabella! esclamò la principessa d'U. E. accomodando appena lo scialleperché la notte, splendida, s'annunciava fresca. E io che avevodisposto ben altrimenti il mio animo all'avventura di Perseo e

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Andromeda! e quel povero Perseo come me l'avete conciato! (Viperdono solo pel tocco da maestro con cui m'avete adulato all'antica,sotto i tratti d'Andromeda). Ma lo scioglimento della storia! Che èquesto Mostro a cui nessuno finora aveva mai prestato attenzione? Epoi, caro signor Amyot d'Epinal, alzi un po' gli occhi verso la cartaceleste della notte. Quella coppia di nebulose laggiù, vicino aCassiopea, non si chiama forse Perseo e Andromeda? mentre invecelà in fondo, quella fila sinuosa di stelle, con la sua aria umile, non èla costellazione del Drago, che vivacchia tra l'Orsa Maggiore e l'OrsaMinore, zoticone della stessa razza?... - Cara U..., questo non prova niente. I cieli sono sereni econvenzionali; tanto varrebbe dire che i vostri occhi sonosemplicemente castani (voi non lo vorreste). No, perché - vedete -allo stesso modo, dall'altra parte laggiù verso la Lira, che è la miacostellazione, non c'è forse il Cigno, che è la costellazione diLohengrin ed è disposto a croce in ricordo di Parsifal? Ammetteràpure che io e la mia Lira non abbiamo niente da spartire conLohengrin e con Parsifal? - È vero, parabolicamente vero. Ma non c'è mai modo didiscutere e d'istruirsi con lei. Via, rientriamo a prendere il tè. Aproposito, e la morale? dimentico sempre la morale... - Eccola: Ragazze mie, prima di rifiutare un mostro Pensateci su due volte, date retta a me. Così come la nostra storia lo dimostra Il poveraccio era il più meritevole dei tre.