Jules Verne - Il Destino Di Jean Morénas

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Racconto

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Jules Verne

IL DESTINO DI JEAN MORÉNAS

Titolo originale dell’opera

LE DESTINÉE DE JEAN MORÉNAS (1910)

Traduzioni integrali dal francese di GIUSEPPE RIGOTTI Prima edizione: 1984

Proprietà letteraria e artistica riservata – Printed in Italy © Copyright 1984 U. MURSIA & C.

2668/AC – U. MURSIA & C. – Milano – Via Tadino, 29

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Indice PRESENTAZIONE ________________________________________3

IL DESTINO DI JEAN MORÉNAS________________________ 4 I ________________________________________________________4 II _______________________________________________________9 III______________________________________________________14 IV ______________________________________________________17 V_______________________________________________________24 VI ______________________________________________________27 VII _____________________________________________________32 VIII ____________________________________________________35 IX ______________________________________________________39

PRESENTAZIONE

Questa novella inedita risale alla giovinezza dell'autore dei « Viaggi straordinari », ma in seguito è stata riveduta e considerevolmente modificata. (M.J.V.) È apparsa nel 1910, nell'opera postuma Hier et demain.

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IL DESTINO DI JEAN MORÉNAS

I

QUEL GIORNO, verso la fine di settembre – dal fatto è già passato molto tempo – una ricca carrozza si fermò davanti al palazzo del vice ammiraglio comandante la piazza di Tolone. Un uomo di quarant'anni circa, di corporatura robusta, ma di aspetto piuttosto ordinario, ne scese, e fece consegnare al vice ammiraglio, oltre al suo biglietto da visita, alcune lettere di presentazione firmate da nomi tali che l'udienza ch'egli sollecitava gli fu immediatamente accordata.

— È al signor Bernardon, il noto armatore di Marsiglia, che ho l'onore di parlare? — domandò il vice ammiraglio quando il visitatore fu introdotto nel suo studio.

— A lui in persona — rispose costui. — Vogliate accomodarvi — riprese il vice ammiraglio — e

prendete atto che sono interamente a vostra disposizione. — Ve ne sono grato, ammiraglio — ringraziò il signor Bernardon

— ma ritengo che la domanda che debbo presentarvi non sia delle più difficili da accogliere.

— Di che si tratta? — Semplicemente dell'autorizzazione a visitare il bagno penale. — Niente di più semplice, infatti — approvò il vice ammiraglio —

ed era del tutto superfluo il munirvi delle lettere di raccomandazione che mi avete trasmesso. Un uomo del vostro nome non ha bisogno di codeste credenziali.

Il signor Bernardon s'inchinò, poi, avendo nuovamente espressa la sua gratitudine, s'informò delle formalità che doveva espletare.

— Non ve ne sono — gli fu risposto. — Recatevi dal generale in capo a nome mio, e vi sarà data subito soddisfazione.

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Il signor Bernardon prese congedo, si fece condurre dal generale in capo, e ottenne subito il permesso di entrare nell'Arsenale. Un piantone lo condusse dal commissario del bagno che si offrì di accompagnarlo.

Il marsigliese, pur ringraziando calorosamente, declinò l'offerta, manifestando il desiderio di essere solo.

— Come volete, signore — acconsentì il commissario. — Non vi è dunque nessun inconveniente nel fatto che io visiti

liberamente l'interno del bagno? — Nessuno. — E neppure nel fatto che io parli liberamente con i condannati? — Nessuno. Gli aiutanti saranno preavvertiti e non vi

ostacoleranno. Tuttavia permettetemi di chiedervi con quale intenzione compite questa visita non troppo piacevole.

— Con quale intenzione?... — Sì. È pura curiosità, o avete un altro scopo... uno scopo

filantropico, per esempio? — Filantropico, per l'appunto — rispose vivacemente il signor

Bernardon. — Benissimo! — esclamò il commissario. — Siamo abituati a

queste visite che sono assai gradite dai superiori. Il governo apporta continui miglioramenti al regime dei bagni e molti sono già stati realizzati.

Il signor Bernardon approvò con un gesto senza rispondere, da uomo non molto interessato a queste considerazioni; ma il commissario, tutto infervorato nel suo argomento e trovando propizia l'occasione per esporre i suoi principi, non rimarcò il contrasto fra l'indifferenza del visitatore e lo scopo confessato della visita e continuò imperturbabilmente:

— È difficile, in materia, attenersi a una giusta misura. Se è bene non esasperare i rigori della legge, è altrettanto necessario stare in guardia contro i critici sentimentali che dimenticano il crimine che è stato commesso per addolorarsi soltanto del castigo. Comunque, non perdiamo mai di vista il fatto che la giustizia, qui, deve essere moderata.

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— Simili sentimenti vi fanno onore — rispose il signor Bernardon — e se le mie osservazioni possono interessarvi, avrò piacere di farvi conoscere quelle che mi saranno suggerite dalla visita a questo bagno penale.

I due interlocutori si separarono, e il marsigliese, munito d'un lasciapassare in perfetta regola, si diresse dalla parte dove sorgevano le costruzioni per i detenuti.

Il porto militare di Tolone si componeva principalmente di due immensi poligoni che dal lato settentrionale confinavano con la banchina. Uno, chiamato col nome di Darsena Nuova, era situato ad ovest dell'altro chiamato Darsena Vecchia. La periferia di questi recinti, veri prolungamenti delle fortificazioni della città, era attraversata da larghe dighe, abbastanza ampie per servire da base a lunghi edifici, officine delle macchine, caserme, magazzini della Marina, ecc. Ciascuna di queste darsene, che esistono ancora oggi, ha nella parte sud un'apertura sufficiente per il passaggio di navi di buon tonnellaggio. Esse avrebbero facilmente formato dei bacini navigabili, se la costanza del livello del Mediterraneo, che non è soggetto a maree di grande considerazione, non avesse reso inutile la loro chiusura.

All'epoca degli avvenimenti che stanno per essere narrati, la Darsena Nuova confinava, ad ovest, con i Magazzini ed il Parco d'artiglieria, e, a sud a destra dell'entrata nella piccola rada, con i bagni penali, ora soppressi. Questi comprendevano due costruzioni che si univano ad angolo retto. La prima, sul davanti delle officine, era esposta a mezzogiorno; la seconda dava sulla Vecchia Darsena ed era continuata dalle caserme e dall'ospedale. Indipendentemente da queste costruzioni, esistevano tre bagni galleggianti, dove alloggiavano i condannati temporanei, mentre i condannati a vita erano alloggiati sulla terraferma.

Se al mondo vi è un luogo dove non regna l'eguaglianza, questo è il bagno penale. In rapporto all'empietà dei crimini e al grado di perversità degli spiriti, la scala delle penalità dovrebbe implicare delle distinzioni di casta e di ranghi. Invece le cose non stanno affatto così. I condannati di ogni età e di ogni specie sono vergognosamente mescolati, e da questa deplorevole promiscuità non può risultare che

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una laida corruzione, e il contagio del male esercita i suoi deleteri effetti su quelle masse cancerose.

All'epoca in cui comincia questo racconto, il bagno di Tolone conteneva circa quattromila forzati. Le Direzioni del Porto, delle Costruzioni navali, dell'Artiglieria, del Magazzino generale, delle Costruzioni idrauliche e delle Costruzioni civili ne occupavano tremila, e a questi forzati era riservato il lavoro più penoso. Quelli che non avevano potuto trovar posto in queste cinque grandi divisioni erano impiegati nel porto, al carico e allo scarico della zavorra e al rimorchio delle navi, al trasporto delle boe d'ormeggio, all'imbarco e allo sbarco delle munizioni e dei viveri. Altri erano infermieri, impiegati speciali, o condannati alla doppia catena a causa di tentativi d'evasione.

Quando aveva avuto luogo la visita del signor Bernardon, già da molto tempo non si era registrato nessun incidente di questa specie, e durante parecchi mesi, il cannone d'allarme non era stato udito nel porto di Tolone.

Non è perché l'insonne amore della libertà si fosse affievolito nel cuore dei condannati, ma lo scoraggiamento sembrava avesse appesantito le loro catene. Poiché alcuni guardiani, accusati d'incuria o di tradimento, erano stati espulsi dalla ciurma, una specie di punto d'onore e di spirito di corpo rendeva più severa e più meticolosa la sorveglianza degli altri. Il commissario del bagno si compiaceva molto di questo risultato, senza però lasciarsi ingannare da quella precaria sicurezza, perché, a Tolone, le evasioni erano più frequenti e più facili che in ogni altro luogo di pena.

Mezzogiorno e mezzo suonava all'orologio dell'Arsenale, quando il signor Bernardon raggiunse la Darsena Nuova. La banchina era deserta. Una mezz'ora prima, la campana aveva richiamato nelle loro rispettive prigioni i forzati che lavoravano dall'alba. Ognuno di essi aveva ricevuto in quel momento la sua razione. I condannati a vita erano risaliti sul loro banco, e una guardia li aveva subito incatenati, mentre i condannati temporanei potevano liberamente circolare in tutta la lunghezza della sala. Al fischio dell'aiutante, essi si erano raggruppati intorno alle gamelle, contenenti una zuppa fatta di fave secche, che era sempre la stessa per tutto l'anno.

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I lavori sarebbero stati ripresi all'una, per non essere lasciati che alle otto di sera. Allora si sarebbero ricondotti i condannati alle loro prigioni, dove alcune ore di sonno avrebbero loro permesso di dimenticare il loro destino.

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II

IL SIGNOR Bernardon approfittò dell'assenza dei forzati per esaminare la disposizione del porto. Tuttavia è da supporre che lo spettacolo non l'interessasse gran che, poiché egli fece in modo di avvicinarsi ad un aiutante, al quale si rivolse senza troppi preamboli:

— Signore, potreste dirmi a che ora i prigionieri ritornano al porto? — All'una — rispose l'aiutante. — Sono tutti insieme e sottoposti ai medesimi lavori, senza

distinzione? — No. Taluni vengono impiegati in lavori particolari, sotto la

sorveglianza di capisquadra. Nei laboratori dove si fabbricano serrature, nelle corderie, nelle fonderie, che esigono delle conoscenze speciali, si possono incontrare eccellenti operai.

— E sono retribuiti? — Certo. — In quale misura? — Dipende. Pagati un tanto all'ora, possono guadagnare dai cinque

ai venti centesimi al giorno. A cottimo possono arrivare fino ai trenta.

— Hanno il diritto di spendere questo denaro per migliorare la loro condizione?

— Sì — rispose l'aiutante. — Essi possono comperare del tabacco, perché, nonostante il regolamento contrario, si tollera ch'essi fumino. Per pochi centesimi possono anche ottenere delle porzioni di stufato o di legumi.

— I condannati a vita e i condannati temporanei hanno lo stesso salario?

— No, questi ultimi hanno un supplemento d'un terzo che vien loro messo da parte, fino all'estinzione della pena. Allora essi ne ricevono l'ammontare, affinché non si trovino del tutto sprovvisti di denaro all'uscita dal bagno.

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— Ah!... — esclamò semplicemente il signor Bernardon che sembrò immergersi nei suoi pensieri.

— In fede mia, signore — riprese l'aiutante — essi non sono poi così infelici come si crede. Se per le loro colpe o i loro tentativi d'evasione non aumentassero essi stessi la severità del regime, sarebbero meno da compiangere di molti operai di città.

— Il prolungamento della pena — domandò il marsigliese la cui voce sembrò un po' alterata — non è dunque la sola punizione che si infligge loro in caso di tentativo d'evasione?

— No. Possono essere puniti anche con la bastonatura e la doppia catena.

— La bastonatura?... — ripeté il signor Bernardon. — Che consiste in colpi sulle spalle, da quindici a sessanta secondo

il caso, applicati con una corda incatramata. — Senza dubbio, ogni fuga diventa impossibile per un condannato

messo a doppia catena. — Press'a poco è così — rispose l'aiutante. — I forzati vengono

attaccati ai piedi del loro banco, e non escono più. In queste condizioni una evasione non è cosa facile.

— È dunque durante il lavoro che scappano più facilmente? — Senza dubbio. Le coppie, per quanto sorvegliate dal guarda-

ciurma, hanno quella certa libertà che il lavoro esige, e l'abilità di codesta gente è tale, che nonostante la più stretta sorveglianza, in meno di cinque minuti la catena più solida viene tagliata. Quando la bietta ribadita nel bullone mobile è troppo dura, essi sono costretti a conservare l'anello che circonda loro la gamba, e rompono solo la prima maglia della catena. Molti forzati addetti alle officine delle serrature vi trovano gli utensili di cui hanno bisogno. Sovente la stessa placca di latta con il loro numero può essere utilizzata all'occorrenza. Se riescono a procurarsi una molla d'orologio, il cannone d'allarme non può di certo tardare a farsi sentire. Infine, essi hanno mille risorse, e un condannato ha rivelato più di ventidue di questi segreti per sottrarsi a una bastonatura.

— Ma dove possono nascondere i loro strumenti? — Dappertutto e in nessun posto. Un forzato si era fatto dei tagli

appositi sotto le ascelle, e vi faceva scivolare dei pezzettini d'acciaio

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fra la carne e la pelle. Ultimamente, ho confiscato a un condannato un paniere di paglia, in cui ogni frammento nascondeva delle lime e delle seghe microscopiche! Nulla è impossibile, signore, a degli uomini che vogliono riconquistare la libertà.

In quel momento suonò l'una. L'aiutante salutò il signor Bernardon e si recò al suo posto di vigilanza.

I forzati uscivano allora dal bagno, gli uni soli, gli altri a due a due, sotto la sorveglianza dei guardaciurma. E subito il porto echeggiò del brusio delle voci, del cozzare dei ferri, delle minacce degli aguzzini.

Nel parco dell'Artiglieria, dove il caso lo condusse, il signor Bernardon trovò affisso il codice penale della ciurma.

« Sarà punito con la morte ogni condannato che colpirà un agente, che ucciderà il suo compagno, che si ribellerà o provocherà una rivolta. Sarà punito con tre anni di doppia catena il condannato a vita che avrà tentato di evadere; con tre anni di prolungamento di pena, il condannato temporaneo che avrà commesso lo stesso delitto, e con un prolungamento da stabilirsi ogni condannato che ruberà una somma superiore a cinque franchi.

« Sarà punito con la bastonatura ogni condannato che avrà spezzato i suoi ferri o impiegato un mezzo qualsiasi per evadere, che sarà trovato con panni per travestirsi, che ruberà una somma superiore ai cinque franchi, che si ubriacherà, che giocherà a giochi d'azzardo, che fumerà nel porto, che venderà o sciuperà i suoi vestiti, che scriverà senza permesso, che sarà trovato in possesso di una somma superiore ai dieci franchi, che picchierà il suo compagno, che rifiuterà di lavorare, o che commetterà atti di insubordinazione ».

Letto questo avviso, il marsigliese restò pensieroso. Egli fu distolto dalle sue riflessioni dall'arrivo di una squadra di galeotti. Il porto era in piena attività; il lavoro veniva distribuito in tutti i punti. I capisquadra facevano sentire qua e là le loro voci rudi:

— Dieci coppie per Saint-Mandrier! — Quindici calzette per la corderia! — Venti coppie alle alberature! — Un rinforzo di sei rossi al bacino! I lavoratori richiesti si dirigevano ai posti designati, sospinti dalle

ingiurie degli aiutanti, e sovente dai loro temibili bastoni, il

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marsigliese osservava attentamente i galeotti che sfilavano davanti a lui. Gli uni si mettevano tra le stanghe di carrette pesantemente caricate; gli altri trasportavano sulle loro spalle dei pesanti pezzi di armature di legno e spazzavano il terreno per ammucchiarvi dell'altro legname da costruzione, o rimorchiavano dei battelli con le corde.

I forzati erano indistintamente vestiti d'una casacca rossa, d'un panciotto dello stesso colore, e di pantaloni di grossa tela grigia. I condannati a vita avevano in testa un berretto di lana verde. A meno che possedessero delle capacità particolari essi erano adibiti ai lavori più duri. I condannati sospetti per i loro istinti viziosi o per i loro tentativi d'evasione avevano in capo un berretto verde bordato d'una larga striscia rossa. Ai condannati temporanei era riservato il berretto uniformemente rosso, adorno d'una placca di latta recante il numero d'immatricolazione. Erano questi ultimi che il signor Bernardon esaminava con maggiore attenzione.

Gli uni, incatenati a due a due, avevano dei ferri pesanti da otto a ventidue libbre. La catena, partendo dal piede di uno dei condannati, risaliva fino alla sua cintura dove era attaccata, e andava poi a fissarsi alla cintura e al piede del suo compagno e così di seguito. Questi disgraziati si chiamavano scherzosamente i « Cavalieri della ghirlanda ». Altri non portavano che un anello e una mezza catena pesante da nove a dieci libbre, o anche un solo anello detto calzetta, pesante da due a quattro libbre. Alcuni temibili galeotti avevano il piede chiuso da un martinetto, che è una specie di triangolo di ferro, le cui punte vengono fissate intorno alla gamba, ed essendo forgiato in modo particolare, resiste a tutti i tentativi di rottura.

Il signor Bernardon, interrogando ora i forzati, ora i guardaciurma, percorse i diversi cantieri del porto. Ai suoi occhi si offriva un pietoso spettacolo, molto indicato per commuovere il cuore d'un filantropo. Tuttavia, per amore di verità, bisogna dire ch'egli non aveva l'aria di accorgersene. Senza fermarsi all'insieme della scena, i suoi occhi scrutavano da ogni lato, individuando i forzati l'uno dopo l'altro, come se, in quella folla miserabile, avesse cercato qualcuno che non l'attendeva. Ma la ricerca si prolungava invano, e in certi momenti, l'inquieto visitatore si lasciava sfuggire dei gesti di scoraggiamento.

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La sua passeggiata finì casualmente dalla parte delle alberature. A un tratto egli si fermò, e i suoi occhi si fissarono su uno degli uomini che maneggiavano un argano. Dal punto dove si trovava, poteva vedere il numero di quel galeotto, il numero 2224, inciso su una placca di latta attaccata a un berretto rosso.

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III

IL NUMERO 2224 era un uomo di trentacinque anni, di corporatura solida. Il suo viso era franco ed esprimeva a un tempo l'intelligenza e la rassegnazione. Non la rassegnazione del bruto cui il lavoro degradante ha annichilito il cervello, ma l'accettazione meditata d'una disgrazia inevitabile, per nulla incompatibile con la sopravvivenza dell'energia interiore, così come testimoniava la fermezza del suo sguardo.

Egli era accoppiato con un vecchio condannato, che, più indurito e più bestiale, contrastava nettamente con lui, e nella cui bassa fronte non dovevano albergare che abbietti pensieri.

In quel momento le coppie issavano gli alberi maggiori d'un vascello varato di recente, e, per ritmare il loro sforzo, cantavano la canzone della Vedova. La Vedova è la ghigliottina, vedova di tutti coloro ch'essa uccide.

Oh! Oh! Jean-Pierre, oh! Fa' la tua toletta!

Ecco il barbiere! Oh! Oh! Oh! Oh! Jean-Pierre, oh!

Ecco la carretta! Ah! Ah! Ah!

Falciate Colas!

Il signor Bernardon attese pazientemente che i lavori fossero interrotti. La coppia che l'interessava approfittò della sosta per riposarsi. Il più vecchio dei due forzati si distese quant'era lungo sul suolo, il più giovane, appoggiandosi al rampone d'un'ancora, restò in piedi.

Il marsigliese gli si avvicinò. — Amico mio — gli disse — vorrei parlarvi.

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Per avvicinare il suo interlocutore, il numero 2224 dovette tirare la catena, e quel movimento scosse il vecchio forzato dalla sua sonnolenza.

— Ohe, tu! — disse — non potresti star tranquillo?... Ci farai stringere dalle volpi!

— Taci, Romain. Voglio parlare con questo signore. — E io ti dico di no. — Sfila un po' la tua catena in alto. — Neanche per sogno! Anzi. La mia metà me la tengo ben stretta. — Romain!... Romain!... — ripeté il numero 2224 che cominciava

ad arrabbiarsi. — Ebbene, giochiamola — disse Romain, togliendosi di tasca un

mazzo di carte bisunte. — Va bene — replicò il condannato più giovane. La catena dei due forzati era composta di diciotto maglie di sei

pollici. Ciascuno ne possedeva nove, e di conseguenza disponeva d'un uguale raggio di libertà.

Il signor Bernardon si avvicinò a Romain. — Vi compro la vostra parte di catena — gli disse. — Quanto? Il negoziante prese cinque franchi dalla sua borsa. — Un thune!1 — esclamò il vecchio forzato. — È fatto! Egli acchiappò il denaro, che scomparve non si sa dove, poi

svolgendo le maglie del suo pezzo di catena che aveva arrotolate davanti a sé, riprese il suo posto e si coricò col dorso al sole.

— Che volete da me? — domandò il numero 2224 al marsigliese. Questi, guardandolo fissamente, disse:

— Voi vi chiamate Jean Morénas. Siete condannato a venti anni di galera per assassinio e furto aggravato. Presentemente avete scontato la metà della vostra pena.

— È vero — disse Jean Morénas. — Voi siete figlio di Jeanne Morénas, del villaggio di Sainte-

Marie-des-Maures. — Ah, la mia povera madre! — esclamò il condannato tristemente.

— Non mi parlate di lei! La poveretta è morta! 1 Parola dell'argot, linguaggio della malavita parigina, usato ancora oggi. (N.d.T.)

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— Da nove anni — disse il signor Bernardon. — Anche questo è vero. Ma voi chi siete, dunque, per conoscere

così bene i fatti che mi riguardano? — Che cosa v'importa? — replicò il signor Bernardon. —

L'essenziale è quello che io voglio fare per voi. Ascoltate, e facciamo in modo di non discorrere troppo a lungo insieme. Da qui a due giorni preparatevi a fuggire. Comprate il silenzio del vostro compagno. Datevi da fare, e io manterrò la mia promessa. Quando voi sarete pronto, riceverete le istruzioni necessarie. A presto!

Il marsigliese continuò tranquillamente la sua ispezione, lasciando il condannato stupefatto per quanto aveva udito. Egli fece alcuni giri nell'Arsenale, visitò alcuni laboratori, e poi raggiunse la sua carrozza; i cavalli si allontanarono al gran trotto.

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IV

QUINDICI anni prima del giorno in cui avveniva questo dialogo con il forzato 2224 nel bagno di Tolone, la famiglia Morénas – composta da una vedova e dai suoi due figli, Pierre, allora in età di venticinque anni, e Jean, di cinque anni più giovane – viveva felice nel villaggio di Sainte-Marie-des-Maures.

Entrambi i giovani esercitavano il mestiere di falegname, e tanto sul posto quanto nei villaggi vicini, il lavoro non mancava loro. Tutt'e due ugualmente capaci, essi erano assai ricercati.

Non uguale era invece la stima ch'essi godevano nell'opinione pubblica, e bisogna riconoscere che questa differenza di trattamento era giustificata. Mentre il più giovane era assiduo al lavoro e amava sua madre con sincera dedizione, tanto che avrebbe potuto servire da modello a tutti i giovani, il maggiore di quando in quando si concedeva qualche scappata. Violento, facile alla collera, si rendeva protagonista, dopo aver bevuto, di litigi e di risse, e non sapeva tenere a freno la sua lingua. Infatti, egli manifestava spesso propositi sconsiderati. Malediceva la sua esistenza, confinata in quell'angusto cantuccio di montagna e proclamava il suo desiderio d'emigrare sotto altri cieli per ricercarvi più facili fortune. Non ci voleva di più per destare diffidenza nelle menti tradizionalistiche dei contadini. Tuttavia le colpe di cui lo si poteva accusare non erano poi gravi. Ecco perché, mentre accordava a suo fratello una totale simpatia, la gente si accontentava d'abitudine di considerarlo uno scervellato, capace di bene come di male, secondo le occasioni che le circostanze gli avrebbero offerto.

La famiglia Morénas era dunque felice, nonostante queste leggere nubi. Doveva la sua felicità alla sua perfetta unione. Come figli, i due giovani non davano adito a critiche severe. Come fratelli, essi si amavano con tutto il cuore, e chi avesse osato attaccar briga con uno, avrebbe avuto due avversari da combattere.

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La prima disgrazia che colpì la famiglia Morénas fu la scomparsa del figlio maggiore. Il giorno stesso in cui compiva i venticinque anni, egli si recò, come d'abitudine, al suo lavoro, che, quel giorno, lo chiamava in un villaggio vicino. La sera, la madre e il fratello attesero invano il suo ritorno. Pierre Morénas non ritornò.

Che gli era accaduto? Era rimasto vittima di una delle sue solite zuffe, o coinvolto in un incidente o in un delitto? O si trattava semplicemente d'una fuga? Nessuna risposta doveva mai essere data a queste domande.

La disperazione della madre fu straziante. Poi il tempo fece la sua opera, e a poco a poco l'esistenza riprese il suo tranquillo corso. Sostenuta dall'amore del suo secondogenito, la signora Morénas raggiunse gradualmente quello stato di melanconia rassegnata che è la sola consolazione permessa ai cuori che sono stati toccati dal dolore.

Cinque anni passarono così, cinque anni durante i quali la devozione filiale di Jean Morénas non si smentì un solo istante. Fu allo spirare dell'ultimo di questi cinque anni, nel momento in cui anche Jean compiva il suo venticinquesimo anno, che una seconda, più terribile disgrazia colpì quella famiglia, già così crudelmente provata.

A poca distanza dalla casetta dei Morénas, il fratello della vedova, Alexandre Tisserand, eserciva l'unico albergo del villaggio. Con lo zio Sandre – così Jean aveva l'abitudine di chiamarlo – viveva la sua figlioccia Marguerite. Molto tempo prima, alla morte dei genitori della fanciulla, egli aveva accolto in casa sua Porfanella. Entrata nell'albergo, essa non ne era più uscita. Vi era vissuta aiutando il suo benefattore e padrino nella conduzione della modesta locanda, passando nel frattempo dall'infanzia all'adolescenza. Quando Jean Morénas compiva i venticinque anni, essa ne aveva diciotto, e la bambina d'un tempo era diventata una giovane dolce e affettuosa quanto bella.

Marguerite e Jean erano cresciuti a fianco a fianco. Essi avevano giocato insieme per tutta l'infanzia, e il vecchio albergo aveva echeggiato più d'una volta delle loro grida. Poi, man mano, i loro

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passatempi cambiarono, e intanto si andava modificando, almeno nel cuore di Jean, l'infantile sentimento d'amicizia d'un tempo.

Venne un giorno in cui Jean amò come una fidanzata colei che fino allora egli aveva trattato come una cara sorella. Egli l'amò secondo la sua onesta natura, così come amava sua madre, con la stessa abnegazione, con lo stesso trasporto, con l'offerta di tutto se stesso.

Tuttavia egli non disse nulla dei suoi progetti a colei ch'egli aveva intenzione di far sua moglie, e ciò perché egli comprendeva che l'affetto della fanciulla non si era mutato come il suo. Mentre la sua amicizia fraterna si trasformava a poco a poco in amore, il cuore di Marguerite rimaneva sempre lo stesso. I suoi occhi guardavano sempre con la medesima innocenza d'un tempo il suo compagno d'infanzia, nessun turbamento nuovo ne oscurò l'azzurra purezza.

Cosciente di questa differenza, Jean conservava dunque il silenzio e non esprimeva la sua segreta speranza, con grande dispiacere dello zio Sandre, che, avendo per il nipote la più grande stima, sarebbe stato felice di affidargli la sua figlioccia e nello stesso tempo quei pochi scudi messi da parte in quarant'anni di lavoro indefesso. Tuttavia lo zio non disperava. Tutto si poteva verificare; Marguerite era ancora molto giovane, ma con l'età essa avrebbe finito col riconoscere le virtù di Jean Morénas, e questi, allora, avrebbe osato formulare la sua domanda di matrimonio che sarebbe stata favorevolmente accolta.

Le cose si trovavano a questo punto quando un dramma imprevisto sconvolse Sainte-Marie-des-Maures. Un mattino, lo zio Sandre fu trovato morto, strangolato, davanti al suo banco, il cassetto del quale era stato vuotato perfino della più piccola moneta. Chi era l'autore di questo assassinio? La giustizia l'avrebbe certamente ricercato a lungo invano, se il morto stesso non si fosse dato cura di designarlo. Nella mano contratta del cadavere si trovò, infatti, un foglio spiegazzato sul quale, prima di spirare, Alexandre Tisserand aveva tracciato queste parole: « È mio nipote che... » Egli non aveva avuto la forza di scrivere di più, e la morte aveva fermato la sua mano a metà della frase accusatrice.

Questo, d'altronde, era più che sufficiente. Alexandre Tisserand non possedeva che un solo nipote, nessun equivoco era possibile.

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Il delitto fu ricostruito senza fatica. La sera del giorno prima non vi era nessuno nell'albergo. L'assassino era dunque venuto di fuori, e doveva essere conosciuto dalla vittima, perché l'albergatore, assai diffidente per natura, aveva aperto senza difficoltà. Era altrettanto certo che il delitto era stato commesso prima della mezzanotte perché Alexandre Tisserand era ancora vestito. A giudicare dai conti non terminati rimasti sul banco, egli stava verificando l'incasso della giornata quando il visitatore era sopraggiunto. Nell'andare ad aprire la porta, egli aveva macchinalmente portato con sé la matita di cui si serviva, e della quale, in seguito, doveva far uso per designare il suo uccisore.

Quest'ultimo, appena entrato, aveva afferrato la vittima al collo e l'aveva abbattuta. Il dramma aveva dovuto svolgersi in pochi minuti. Infatti, non risultavano tracce di lotta, e Marguerite, in camera sua, molto distante per la verità, non aveva sentito nessun rumore.

L'assassino aveva vuotato il cassetto e rovistato scrupolosamente la camera da letto, come dimostravano il letto rivoltato e gli armadi messi a soqquadro. Infine, raccolto il suo bottino, egli si era affrettato a fuggire, senza lasciare nessuna traccia che avesse potuto comprometterlo.

Almeno così egli supponeva; ma il miserabile non aveva tenuto conto della giustizia immanente. Colui ch'egli credeva morto viveva ancora e aveva ritrovato alcuni minuti di coscienza. Egli aveva avuto la forza di tracciare quelle quattro parole che dovevano servire per orientare le ricerche, e che un ultimo spasimo dell'agonia aveva tragicamente interrotte.

Nel villaggio la costernazione fu grande. Jean Morénas, quel bravo operaio, quel buon figliolo, un assassino! E tuttavia bisognava pure arrendersi all'evidenza: l'accusa del morto era troppo formale per consentire dubbi. Tale fu almeno il parere della giustizia. Nonostante le sue proteste, Jean Morénas fu arrestato, giudicato e condannato a vent'anni di galera.

Questo dramma mostruoso fu il colpo di grazia per la madre. A partire da quel giorno, essa deperì rapidamente e meno d'un anno dopo seguiva nella tomba il fratello assassinato.

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La sorte impietosa la faceva morire troppo presto. Essa scompariva nel momento in cui, dopo tanti dolori, finalmente stava per avere una gioia. La terra era stata appena gettata sulla sua bara, quando Pierre, il suo figlio maggiore, ricompariva in paese.

Da dove veniva? Che aveva fatto durante quei sei anni, che tanto era durata la sua assenza? Quali paesi aveva percorso? In quali condizioni ritornava al villaggio? Egli non fece nessuna confidenza su questo argomento e per quanto incuriosita la gente finì con lo stancarsi di porsi queste domande.

Del resto egli non aveva fatto fortuna, nel senso che si suol dare a questa parola; tuttavia sembrava che non fosse tornato del tutto sprovvisto. Egli non esercitava, infatti, che saltuariamente il suo antico mestiere di falegname, e, durante due anni, visse quasi di rendita a Sainte-Marie-des-Maures, non assentandosi che raramente per recarsi a Marsiglia, dove, egli diceva, lo chiamavano i suoi affari.

Questi due anni, i migliori della sua esistenza, non li passò nella casa che aveva ereditato dalla madre, ma all'albergo dello zio Sandre, diventato proprietà di Marguerite, e che costei, dopo la tragica morte del padrino, gestiva con l'aiuto d'un servo.

Così, com'era facile prevedere, a poco a poco sbocciò l'idillio fra i due giovani. Quello che non aveva potuto fare la calma energia di Jean lo fecero la facondia e il carattere un po' brutale di Pierre. All'amore sempre crescente del giovane, Marguerite corrispose con altrettanto amore. Due anni dopo la morte della vedova Morénas, tre anni dopo l'assassinio dello zio Sandre e la condanna dell'assassino, venne celebrato il matrimonio fra i due giovani.

Sette anni passarono, durante i quali nacquero tre bambini, l'ultimo sei mesi prima del giorno in cui inizia questo racconto. Sposa felice, madre felice, Marguerite aveva fino allora vissuto sette anni di felicità.

Ella sarebbe stata meno felice se avesse potuto leggere nel cuore di suo marito, se avesse saputo dell'esistenza vagabonda che, durante sei anni, passando dal furto alla rapina, dalla rapina alla truffa, dalla truffa al furto, aveva condotto colui al quale aveva legato la sua vita, se, soprattutto, avesse saputo quale parte egli aveva nella morte del suo padrino.

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Alexandre Tisserand aveva detto la verità denunciando il nipote, ma – sorte deprecabile! – gli spasimi dell'agonia, turbando il suo cervello e paralizzandogli la mano, gli avevano impedito di precisare meglio. Era suo nipote, infatti, l'autore dell'abominevole crimine, ma quel nipote non era Jean, era Pierre Morénas.

Senza più alcuna risorsa, ridotto all'ultimo gradino della miseria, Pierre era ritornato, quella notte, a Sainte-Marie-des-Maures, con la precisa intenzione di far man bassa del denaro dello zio. La resistenza della vittima aveva fatto del ladro un assassino.

Una volta ridotto all'impotenza l'albergatore, egli aveva proceduto ad un saccheggio in piena regola, poi era fuggito nella notte. Della morte dello zio, ch'egli supponeva soltanto svenuto, dell'arresto e della condanna di suo fratello egli non aveva saputo nulla. È dunque con tutta tranquillità che un anno dopo il suo delitto, vedendo il suo bottino diminuire, egli ritornò al paese, non dubitando che, essendo ormai trascorso tanto tempo, avrebbe ottenuto facilmente di essere perdonato. Ed è a questo punto ch'egli seppe della morte dello zio e della madre, e della condanna del fratello.

Dapprima ne fu accasciato. La sorte del suo fratello minore, cui per vent'anni era stato unito da un reale e profondo affetto, divenne per lui una sorgente di crudeli rimorsi. D'altronde, che poteva fare per porvi rimedio se non rivelare la verità, denunciarsi e prendere al bagno penale il posto dell'innocente ingiustamente condannato?

Ma col progredire del tempo, rimpianti e rimorsi si attenuarono. L'amore fece il resto.

Però i rimorsi ritornarono quando la vita coniugale ebbe preso il suo pacifico corso. Di giorno in giorno, il ricordo del forzato innocente s'impose sempre di più alla mente del colpevole impunito. Gli anni dell'infanzia comune furono evocati con una forza sempre più grande, e venne il giorno in cui Pierre Morénas incominciò a sognare il mezzo con il quale avrebbe potuto liberare il fratello dalla palla che strascinava al piede e che egli stesso gli aveva saldato. Dopo tutto egli non era più il pezzente sprovvisto di tutto, che aveva lasciato Sainte-Marie-des-Maures per cercare nel vasto mondo una introvabile fortuna. Adesso il pezzente era proprietario, era il primo

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del suo villaggio, e il denaro non gli mancava. Questo denaro non poteva servire a liberarlo dai suoi rimorsi?

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V

JEAN MORÉNAS seguì con lo sguardo il signor Bernardon. Egli faceva fatica a comprendere quello che gli stava capitando. Come mai quell'uomo conosceva così bene le circostanze della sua vita?

Era un problema insolubile. Tuttavia, ch'egli comprendesse o no, bisognava in ogni caso accettare l'offerta che gli era stata fatta. Egli decise pertanto di prepararsi a fuggire.

Prima di tutto era necessario ch'egli informasse il suo compagno di catena del colpo che meditava. Non esisteva nessun mezzo che potesse dispensamelo, il legame che li incatenava non poteva spezzarsi senza che l'altro se ne accorgesse.

Forse Romain avrebbe voluto approfittare dell'occasione, ciò che poteva compromettere le probabilità della riuscita. Il vecchio forzato non aveva che diciotto mesi da scontare e Jean volle convincerlo che per così poco tempo egli non doveva arrischiare un aumento di pena. Ma Romain, che in quella faccenda intravedeva la possibilità di guadagnare del denaro, non voleva intendere ragione, e rifiutava ostinatamente di prestar fede a tali argomentazioni. Tuttavia, quando costui parlò d'un migliaio di franchi pagabili sul momento e d'una ugual somma che il vecchio forzato avrebbe potuto incassare all'uscita del bagno, Romain non fece più orecchie da mercante e incominciò ad ascoltare le proposte del suo compagno di catena. Definito questo punto, rimaneva da decidere il modo d'evasione. L'essenziale era uscire dal porto senza essere veduto, e per conseguenza sfuggire agli sguardi dei guarda-ciurma e dei soldati di fazione. Una volta raggiunta la campagna, prima che le brigate di gendarmeria fossero state informate, sarebbe stato facile imporsi ai contadini, che non avrebbero certamente resistito alla promessa d'una somma superiore.

Jean Morénas decise di evadere durante la notte. Sebbene egli non fosse condannato a vita, non era alloggiato in quei vecchi bastimenti trasformati in bagni galleggianti. Per un'eccezione, egli alloggiava in

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una delle abitazioni situate sulla terraferma. Uscirne sarebbe stato difficile. L'importante dunque era non rientrare la sera. La rada essendo press'a poco deserta a quell'ora, non gli sarebbe stato impossibile attraversarla a nuoto. D'altronde non poteva pensare di abbandonare altrimenti l'Arsenale. Una volta raggiunta la riva libera, sarebbe toccato al suo protettore venirgli in aiuto.

Così ricondotto dalle sue riflessioni a contare sullo sconosciuto, decise d'aspettare i consigli di costui, e di sapere prima di tutto se le promesse fatte a Romain sarebbero state soddisfatte. Data l'impazienza, il tempo trascorse con una penosa lentezza.

Fu soltanto due giorni dopo ch'egli vide ricomparire il suo misterioso amico.

— Ebbene?... — domandò il signor Bernardon. — Tutto è stato stabilito, signore, e poiché voi desiderate essermi

utile, posso assicurarvi che tutto andrà bene. — Che cosa vi occorre? — Ho promesso duemila franchi al mio compagno, e precisamente

mille franchi alla sua uscita dal bagno... — Li avrà. Poi? — E mille franchi subito. — Eccoli — disse il signor Bernardon, rimettendogli la somma

richiesta, che il vecchio forzato fece subito scomparire. — Ed ecco dell'oro per voi e una lima delle meglio temprate. Vi sembra sufficiente per aver ragione della vostra catena?

— Sì, signore. Dove vi rivedrò? — Al capo Bruno. Voi mi troverete sulla riva, in fondo all'ansa

chiamata Port Mejean. La conoscete? — Sì. Contate su di me. — Quando partirete? — Questa sera, a nuoto. — Siete un buon nuotatore? — Di prima forza. — Tutto va per il meglio. A questa sera, dunque. — A questa sera! Il signor Bernardon si separò dai due forzati che ritornarono al

lavoro. Senza più occuparsi di loro, il marsigliese continuò a lungo a

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passeggiare, interrogando gli uni e gli altri, e infine usci dall'Arsenale senza essersi fatto notare.

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VI

JEAN MORÉNAS fece il possibile per sembrare il più tranquillo dei prigionieri. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, un attento osservatore sarebbe rimasto colpito dalla sua insolita agitazione. L'amore della libertà gli faceva battere il cuore, e tutta la sua volontà era impotente a dominare la sua febbrile impazienza. Quanto era lontana quella imposta, superficiale rassegnazione con cui, per dieci lunghi anni, si era corazzato contro la disperazione!

Al fine di mascherare per alcuni istanti la sua assenza al rientro serale, egli pensò di farsi sostituire da un camerata presso il suo compagno di catena. Un forzato chaussette, così chiamato dal leggero anello che i galeotti di questa categoria portano alla gamba, non avendo più che alcuni giorni da restare al bagno, e come tale essendo disaccoppiato, accettò per tre monete d'oro la proposta di Jean, e acconsenti a riattaccare al suo piede, per alcuni minuti, la catena di costui, quando fosse stata limata.

Poco dopo le sette di sera, Jean approfittò d'un breve riposo per limare i suoi ferri. Grazie alla perfezione della sua lima, e sebbene la maniglia fosse d'una tempra speciale, egli sbrigò assai in fretta questo lavoro. Al momento del rientro nelle sale, avendo il forzato chaussette preso il suo posto, egli si rannicchiò dietro una pila di legname.

Non molto lontano da lui si trovava un'immensa caldaia destinata a una nave in costruzione. Questo vasto serbatoio era appoggiato sulla sua base, e l'apertura dei fornelli offriva al fuggitivo un asilo impenetrabile. Approfittando d'un momento favorevole, Jean Morénas vi si lasciò scivolare senza rumore, portando con sé un pezzo di pancone, ch'egli scavò in forma di berretto, praticandovi dei fori. Poi aspettò, l'occhio e l'orecchio in agguato, i nervi tesi.

La notte scese. Il cielo carico di nuvole aumentava l'oscurità e favoriva Jean Morénas. Dall'altro lato della rada, la penisola di Saint-Mandrier scompariva nelle tenebre.

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Quando l'Arsenale fu deserto, Jean usci dal suo nascondiglio, e arrampicandosi prudentemente, si diresse dalla parte del bacino di carenaggio. Alcuni aiutanti erravano ancora qua e là. Jean allora si fermava e si appiattiva al suolo. Fortunatamente egli aveva potuto spezzare i suoi ferri, ciò che gli permetteva di muoversi senza rumore.

Infine egli raggiunse il mare, su una banchina della Darsena Nuova, non molto lontano dall'apertura che dava accesso alla rada. Col suo berretto di legno in mano, afferrata una corda si lasciò calare in acqua.

Quando ritornò alla superficie, egli si coprì sveltamente la testa col suo bizzarro copricapo e così si sottrasse a tutti gli sguardi. I fori praticati in anticipo gli permettevano di dirigersi dove voleva. Lo si sarebbe preso per un gavitello alla deriva.

A un tratto un colpo di cannone rimbombò. — È il segnale di chiusura del porto — pensò Jean Morénas. Un

secondo colpo, poi un terzo furono sparati. Non c'era di che illudersi, era il cannone d'allarme. Jean comprese

che la sua fuga era stata scoperta. Evitando con cura di avvicinarsi alle navi e alle catene di

ancoraggio, egli procedette nella piccola rada, dalla parte della polveriera di Millau. Il mare era un po' agitato, ma il vigoroso nuotatore si sentiva la forza di vincerlo. Poiché i suoi abiti gli erano d'impedimento, egli li abbandonò alla deriva, e non conservò che la borsa con le monete d'oro appesa al collo e che gli sbatteva contro il petto.

Arrivò senza incidenti fino a metà della piccola rada. Qui giunto, appoggiandosi a uno di quei gavitelli bordati di ferro chiamati corpi morti, si tolse con precauzione il copricapo che lo proteggeva e riprese respiro.

— Auff! — sbuffò. — Questa passeggiata non è che una gita di piacere paragonata a quanto mi resta da fare. In pieno mare non avrei nessun incontro da temere, ma bisogna attraversare il goulet2 e vi sono molte imbarcazioni che vanno dalla Grosse Tour al Fort de l'Aiguillette. Sarò protetto dal diavolo se sfuggo loro... Frattanto, 2 Cioè lo stretto formato dalla bocca del porto. (N.d.T.)

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cerchiamo di orizzontarci, e non andiamoci a gettare stupidamente nella gola del lupo.

Jean, dalla posizione della polveriera di Lagoubran e del forte Saint-Louis, si orizzontò perfettamente, quindi si rimise in acqua.

Con la testa riparata dal suo apparecchio, adesso nuotava con prudenza. Siccome il rumore del vento che si levava poteva impedirgli di udire degli altri rumori più pericolosi, egli stava in guardia, e per quanto importante fosse per lui l'uscire dalla piccola rada, avanzava molto lentamente, allo scopo di non imprimere alla falsa boa che lo celava un'eccessiva e perciò sospetta velocità.

Trascorse una mezz'ora. Secondo lui doveva adesso trovarsi vicino al punto di passaggio, quando alla sua sinistra egli credette di udire un rumore di remi. Egli si fermò, tese l'orecchio.

— Oh! — sì gridò da un canotto. — Quali notizie? — Niente di nuovo — venne risposto da un'altra imbarcazione, alla

destra del fuggitivo. — Non lo ritroveremo mai! — Ma è sicuro ch'egli sia evaso per mare? — Certamente! Si sono ripescati i suoi abiti. — C'è così scuro che egli ci condurrà fino alle Grandi Indie. — Coraggio! Teniamo duro! Le imbarcazioni si separarono. Non appena si furono

sufficientemente allontanate, Jean arrischiò qualche bracciata vigorosa e filò rapidamente in direzione del goulet.

Man mano ch'egli vi si avvicinava, le grida si moltiplicavano intorno a lui; le imbarcazioni che solcavano la rada concentravano, necessariamente, in quel punto la loro sorveglianza. Senza lasciarsi intimidire dal numero dei suoi nemici, Jean continuava a nuotare con tutte le sue forze, deciso ad annegare piuttosto che di lasciarsi riprendere. I suoi inseguitori non l'avrebbero avuto vivo.

Ben presto la Grosse Tour e il Fort de l'Aiguillette si profilarono davanti al suo sguardo.

Portatori di torce andavano e venivano correndo sulla diga e sulla banchina; le brigate di gendarmeria erano già in azione. Il fuggitivo rallentò la marcia e si lasciò sospingere dalle onde e dal vento di ovest, che lo trascinarono verso il mare.

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A un tratto la luce d'una torcia illuminò i flutti, e Jean vide che quattro imbarcazioni lo circondavano. Egli non si mosse più, il minimo movimento poteva perderlo.

— Ehi!... voi del canotto! — venne gridato da una delle imbarcazioni.

— Niente! — Muoviamoci, allora! Jean respirò. Le imbarcazioni stavano per allontanarsi. Era tempo,

poiché esse non erano più che a dieci braccia da lui e la loro vicinanza l'obbligava a nuotare perpendicolarmente.

— Guarda! Che cosa c'è laggiù? — gridò un marinaio. — Che cosa? — gli venne risposto. — Quel punto nero che galleggia. — Non è niente. È una boa alla deriva. Jean si tenne pronto per immergersi. Ma proprio in quel momento

si udì il fischietto d'un quartiermastro. — Avanti, ragazzi! Abbiamo ben altro da fare che ripescare un

pezzo di pancone... Avanti su tutta la linea!... I remi sbatterono l'acqua con grande rumore. Il disgraziato riprese

coraggio. Il suo stratagemma non era stato scoperto. Le forze gli ritornarono insieme con la speranza, ed egli si rimise in movimento verso il Fort de l'Aiguillette la cui massa scura si drizzava davanti a lui.

D'un tratto si trovò nelle tenebre più profonde. Un corpo opaco occultava ai suoi occhi la vista del forte. Era una delle imbarcazioni che, lanciata a tutta velocità, urtò contro di lui. Nel cozzo, uno dei marinai si piegò soprabordo.

— È una boa — disse a sua volta. Il canotto riprese la sua marcia. Ma sfortunatamente, uno dei remi,

colpendo la falsa boa, la rovesciò. Prima che l'evaso avesse potuto pensare a scomparire, la sua testa rasata si era mostrata fuori dell'acqua.

— Lo teniamo! — urlarono i marinai. — Forza, voi laggiù!... Jean fu svelto a tuffarsi e, mentre i fischietti chiamavano da tutte le

parti le imbarcazioni sparse qua e là, egli nuotò fra due acque dalla parte della spiaggia del Lazaret. S'allontanava così dal luogo del

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convegno, perché questa spiaggia è situata a destra dell'entrata della grande rada, mentre il capo Bruno vi si profila sulla sinistra. Ma egli sperava così di trarre in inganno i suoi nemici, dirigendosi dalla parte meno propizia alla sua evasione.

Il posto designato dal marsigliese, tuttavia, doveva essere raggiunto ad ogni costo. Dopo alcune bracciate fatte in direzione opposta, Jean Morénas ritornò indietro. Le imbarcazioni s'incrociavano intorno a lui. Ad ogni istante doveva ritrarre la testa sott'acqua per non essere veduto. Infine, le sue abili manovre distolsero i suoi inseguitori, ed egli riuscì ad allontanarsi nella giusta direzione.

Non era troppo tardi? Stanco di questa lunga lotta contro gli uomini e gli elementi, Jean si sentiva mancare. Le forze gli venivano meno. Più volte i suoi occhi si chiusero, e fu preso da vertigini; più volte le sue mani si tesero, e i suoi piedi appesantiti sprofondarono verso l'abisso.

Per quale miracolo raggiunse la terra? Egli stesso non avrebbe saputo dirlo. Tuttavia la raggiunse. A un tratto sentì il suolo fermo sotto i suoi piedi. Si raddrizzò, fece qualche passo incerto, girò su se stesso e ricadde svenuto, ma non più in pericolo d'essere raggiunto dalle onde.

Quando riprese i sensi, un uomo stava curvo su di lui e gli metteva fra i denti il collo d'una fiaschetta, dalla quale colavano alcune gocce d'acquavite.

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VII

IL PAESE, situato ad est di Tolone, irto di boschi e di montagne, solcato da crepacci e da corsi d'acqua, offriva al fuggiasco numerose possibilità di scampo. Adesso che era riuscito a raggiungere la terraferma, poteva sperare di riconquistare pienamente la sua libertà. Rassicurato da questo lato, Jean Morénas sentì rinascere la curiosità che gl'ispirava il suo generoso protettore. Egli non riusciva a indovinare il suo scopo. Il marsigliese aveva forse bisogno d'un uomo intraprendente e dall'intrepido cuore, e se l'era andato a scegliere al bagno? In tal caso, egli aveva fatto male i suoi calcoli: Jean Morénas era fermamente risoluto a respingere ogni proposta sospetta.

— Vi sentite meglio? — gli chiese il signor Bernardon, dopo aver lasciato al fuggitivo il tempo di rimettersi. — Avete la forza di camminare?

— Sì — rispose Jean alzandosi. — In questo caso indossate questo vestito da contadino che ho

portato appositamente per voi. Poi, in marcia! Non abbiamo un minuto da perdere.

Erano le undici di sera, quando i due uomini si avventurarono per la campagna, evitando i sentieri battuti, nascondendosi nei fossati e nelle erbe folte quando udivano rumore di passi o quello di una carretta cigolante in mezzo al silenzio. Per quanto il travestimento del fuggitivo lo rendesse irriconoscibile, essi temevano un'ispezione particolarmente attenta; il costume provenzale ch'egli aveva indossato poteva rivelare un non so che di posticcio.

Oltre alle brigate di gendarmeria, che si mettono subito in moto al primo colpo del cannone d'allarme, Jean Morénas doveva temere anche qualsiasi passante. La preoccupazione per la propria sicurezza, nonché l'allettante premio promesso dal governo per la cattura d'un forzato evaso, accrescevano l'acutezza degli sguardi dei contadini, la rapidità delle loro gambe, il vigore delle loro braccia. Ora, ogni

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fuggiasco rischia d'essere facilmente riconosciuto, sia perché, abituato al peso delle catene, egli trascina visibilmente la gamba, sia perché un rossore involontario ne può rivelare il turbamento.

Dopo tre ore di cammino, i due uomini si fermarono ad un segno del signor Bernardon. Questi tolse dalla bisaccia che recava in spalla alcuni viveri, che furono avidamente divorati al riparo d'una folta siepe.

— Dormite, adesso — disse il marsigliese, quando il breve pasto fu terminato. — Voi avete da percorrere un lungo cammino, e dovete risparmiare le vostre forze.

Jean non si fece ripetere l'invito e, allungandosi per terra, cadde come un masso, sprofondando in un sonno di piombo.

Era già giorno avanzato quando il signor Bernardon lo svegliò. Tutt'e due si rimisero subito in cammino. Non si trattava più di filare attraverso i campi, né di nascondersi, ma di mostrarsi tuttavia il meno possibile, non lasciandosi esaminare troppo da vicino, e di seguire le strade maestre. Tale doveva essere la condotta da adottare.

Il signor Bernardon e Jean Morénas camminavano già da molto tempo, quando quest'ultimo credette di udire un rumore di cavalli. Egli sali su una scarpata per dominare meglio la strada, ma una curva gl'impedì di vedere bene. Ciò nonostante egli non poteva essersi ingannato. Si allungò al suolo e appoggiò l'orecchio contro la terra, sforzandosi di riconoscere il rumore che l'aveva insospettito.

Prima ancora ch'egli si fosse rialzato, il signor Bernardon si era precipitato su di lui. In men che non si dica Jean si vide imbavagliato e strettamente legato.

Nello stesso momento, due gendarmi a cavallo sbucarono sulla strada. Essi arrivarono all'altezza del signor Bernardon che tratteneva con tutte le sue forze il suo prigioniero sbalordito. Uno di essi interpellò il marsigliese:

— Ehi, voi, buon uomo! Che cosa significa tutto questo? — È un forzato evaso, gendarme, un forzato evaso che io ho preso

— rispose il signor Bernardon. — Oh! Oh! — esclamò il gendarme. — Quello di questa notte? — Può anche darsi. In ogni caso, lui o un altro, io non lo mollo. — Vi attende un buon premio, camerata!

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— Non è da rifiutarsi, senza contare che i suoi abiti non appartengono alla ciurma. Me li daranno per soprammercato.

— Avete bisogno di noi? — domandò uno dei due gendarmi. — In fede mia, no! Come vedete è solidamente legato, e io lo

condurrò da solo. — Tanto meglio — rispose il gendarme. — Arrivederci e buona

fortuna! I gendarmi si allontanarono. Quando essi furono scomparsi, il signor Bernardon si fermò fra le alte erbe che fiancheggiavano la strada. In un istante i legami di Jean Morénas caddero.

— Voi siete libero — gli disse il suo compagno, levando l'indice verso ovest. — Seguite la strada da questa parte. Con un po' di coraggio, voi potrete, questa sera, raggiungere Marsiglia. Cercate nel porto vecchio la Marie-Magdeleine, è un tre alberi carico, diretto a Valparaiso del Cile. Il capitano è al corrente. Egli vi prenderà a bordo. Voi vi chiamate Jacques Reynaud. Ecco delle carte intestate a questo nome. Voi avete dell'oro. Cercate di rifarvi una vita. Addio.

Prima che Jean Morénas avesse avuto il tempo di rispondere, il signor Bernardon era scomparso fra gli alberi. Il fuggitivo era solo al margine della strada.

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VIII

PER UN certo tempo, Jean Morénas restò immobile, stupefatto della conclusione di quella inesplicabile avventura. Perché, dopo averlo aiutato nella fuga, il suo protettore l'abbandonava? Soprattutto perché questo sconosciuto si era interessato alla sorte d'un condannato che non conosceva? Jean si accorse ch'egli non aveva nemmeno pensato a chiedere il nome del suo salvatore.

Se a questa dimenticanza non c'era più rimedio, tutto sommato la cosa non era di grande importanza. L'essenziale era di non dover più trascinare i ferri che gli avevano così a lungo fiaccato le ossa. Il resto si sarebbe spiegato più tardi o mai. Una cosa sola era certa, in ogni caso: ch'egli era solo al margine d'una strada deserta, che aveva dell'oro in tasca, ch'era munito di documenti regolari, e che aspirava a pieni polmoni l'aria inebriante della libertà.

Jean Morénas si mise in cammino. Gli era stato detto di andare dalla parte di Marsiglia. E verso Marsiglia egli si diresse, senza neppure pensarci. Ma si fermò ai primi passi.

Marsiglia, la Marìe-Magdeleine, Valparaiso del Cile, rifarsi una vita, tutte belle cose queste! Ma era per « rifarsi una vita » in contrade lontane ch'egli aveva sospirato la libertà? No, no! Durante la sua lunga prigionia, egli non aveva sognato che un solo paese: Sainte-Marie-des-Maures; che un solo essere al mondo: Marguerite. Erano la nostalgia del villaggio natio e il ricordo di Marguerite che gli avevano reso il bagno così crudele, e così pesanti le catene. E adesso egli sarebbe partito senza neppure tentare di rivederli? Suvvia dunque! Meglio sarebbe stato allora ritornare e curvare la schiena sotto il bastone dei guardaciurma!

No, rivedere il suo villaggio, inginocchiarsi sulla tomba della madre, e soprattutto rivedere Marguerite, ecco ciò che bisognava fare ad ogni costo. Quando fosse stato in presenza della fanciulla, avrebbe trovato il coraggio che gli era mancato prima. Egli si sarebbe spiegato, avrebbe parlato, le avrebbe dimostrato la sua innocenza.

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Marguerite non era più una ragazzina. Forse adesso l'avrebbe amato. In tal caso, l'avrebbe persuasa a seguirlo. Che bell'avvenire si sarebbe aperto davanti a lui! Se, al contrario, essa non l'amava accadesse pure qualunque cosa. Non gli sarebbe importato più nulla.

Jean, abbandonando la strada maestra, prese il primo sentiero che trovò, dirigendosi verso il nord. Ma ben presto sostò di nuovo, e per prudenza e per il desiderio stesso di riuscire nella sua impresa. Conosceva troppo bene il paese che attraversava, e che, sovente, aveva percorso nella sua infanzia, per ignorare che lo scopo ch'egli voleva raggiungere non era molto lontano. In due ore egli poteva essere a Sainte-Marie-des-Maures. L'importante era non mostrarsi prima che fosse notte avanzata, per timore d'essere subito catturato.

Jean indugiò dunque nella campagna, e non si mise decisamente in cammino che al crepuscolo, dopo un lungo sonno e un pasto confortevole in una osteria.

Suonavano le nove e l'oscurità era profonda quand'egli raggiunse le case di Sainte-Marie-des-Maures. Per le viuzze deserte e silenziose, Jean, senza essere notato da nessuno, giunse all'albergo dello zio Sandre.

Come penetrarvi? Dalla porta? Certamente no. Sapeva egli chi potesse trovarsi nella sala comune? E se dietro la porta ci fosse stato un nemico? D'altronde, l'albergo apparteneva sempre a Marguerite? Perché, dopo tanti anni ch'erano trascorsi, non poteva essere passato in altre mani?

Per fortuna egli aveva un migliore e più sicuro mezzo di quello della porta per introdursi in casa.

Non è raro che i mas3 provenzali posseggano delle uscite segrete che permettono ai loro abitanti di entrare e di uscire in incognito. Questi « trucchi », più o meno ingegnosi secondo il caso, sono senza dubbio stati immaginati all'epoca dei tumulti religiosi che hanno messo queste contrade a ferro e fuoco. Niente di più naturale che i contemporanei di quei torbidi tempi abbiano cercato dei mezzi per sottrarsi con la fuga, qualora se ne fosse presentata la necessità, ai loro nemici. 3 Mas, propriamente casa rustica, cioè masseria. Oggi ancora se ne trovano di originari in Provenza, e molti sono anche i mas riattati. (N.d.T.)

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Il segreto dell'albergo dello zio Sandre, rimasto certamente ignorato dallo stesso proprietario, Jean e Marguerite l'avevano scoperto per caso durante i loro giochi d'infanzia, e, fieri di essere i soli a conoscerlo, si erano ben guardati dal rivelarlo a chicchessia. Diventati adulti, alla loro volta, l'avevano dimenticato, sebbene Jean sperasse di ritrovare il meccanismo intatto qualora avesse bisogno di utilizzarlo.

Il segreto consisteva nel fondale mobile del grande camino della sala comune. Come in molte costruzioni di campagna, questo camino era immenso, sufficientemente largo e profondo (mentre il minuscolo focolare non ne occupava che il centro) perché parecchie persone potessero sedervi. Il fondale di questo camino era formato da due grandi placche di ghisa parallele e separate da uno spazio di pochi decimetri. Queste due placche erano mobili e potevano leggermente girare su se stesse sotto la pressione di un'impugnatura manovrata in una maniera particolare. Era dunque facile per chi possedesse il segreto (di cui nulla faceva sospettare l'esistenza) introdursi nello spazio praticato fra le due placche, poi, richiusa quella che gli aveva dato il passaggio, socchiudere la seconda e passare così dal di fuori all'interno o reciprocamente.

Jean fece il giro della casa, e, tastando con la mano il muro dietro il camino, trovò senza fatica la placca esterna. Alcuni minuti di perlustrazione gli fecero trovare l'impugnatura ch'egli premette e girò nel senso necessario. Decisamente, nulla era cambiato. L'impugnatura obbedì, e la placca, con un sordo rumore, girò sotto la sua pressione.

Jean s'introdusse attraverso questa apertura, poi, richiusa la placca, riprese respiro.

Era necessario agire con sempre maggiore prudenza. Un raggio di luce filtrava nel nascondiglio dalla fessura della placca interna, e un rumore di voci veniva dalla sala comune. Non si dormiva ancora nell'albergo. Prima di mostrarsi era necessario sapere con chi aveva a che fare.

Purtroppo, Jean ebbe un bell'applicare il suo occhio intorno alla placca; gli fu impossibile distinguere qualcosa. Stanco e innervosito, decise di far girare leggermente la placca a tutto suo rischio...

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In quello stesso momento dalla sala venne un sordo rumore, seguito da un grido straziante, un grido di aiuto, e, immediatamente dopo, una specie di rantolo; poi si udirono degli ansiti, simili a quelli di due lottatori alle prese, che furono seguiti dal fracasso di un mobile rovesciato.

Jean, dopo un brevissimo istante d'esitazione, premette l'impugnatura della placca interna. La placca girò interamente su se stessa, mostrando in tutta la sua vastità la sala comune dell'albergo.

Nel momento in cui stava per slanciarsi, Jean indietreggiò sotto l'ombra protettrice del camino, fra il fumo di alcuni arbusti rimasti nel focolare; lo spettacolo che si offriva al suo sguardo l'aveva atterrito.

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IX

SULLA PESANTE tavola che occupava il centro della sala, stava seduto un uomo, che un altro uomo, in piedi, dietro di lui, stava strangolando, con tutta la forza possibile. Era il primo che sentendosi afferrato per il collo, aveva gridato e poi rantolato. Era dal petto del secondo uomo che proveniva quel rauco soffio d'atleta che esauriva le sue energie per vincere il suo avversario. Nella lotta, una seggiola era caduta.

Davanti all'uomo seduto, un calamaio e dei fogli di carta da lettera dimostravano ch'egli stava scrivendo quando il suo nemico l'aveva sorpreso. Sulla tavola, a portata di mano, una borsa semiaperta lasciava intravedere i documenti che conteneva.

La scena durava appena da un minuto e già terminava. Ormai l'uomo seduto aveva cessato di dibattersi, e non si udiva più che l'ansito del suo assassino. D'altronde la scena non avrebbe potuto maggiormente prolungarsi. Il grido della vittima era stato udito. Di fuori si udivano dei passi. Nella camera del primo piano dell'albergo, cui si accedeva da una scala in fondo alla sala comune, Jean udì due piedi nudi appoggiarsi pesantemente al pavimento. Qualcuno si alzava lassù. Ancora un momento e una porta si sarebbe aperta, un testimone sarebbe sopraggiunto.

L'assassino comprese il pericolo. Le sue mani allentarono la stretta, e mentre la testa della vittima ricadeva inerte sulla tavola, affondarono nella borsa, arraffando un pacco di biglietti di banca. Poi l'uomo fece un balzo indietro e scomparve da una porticina che si apriva sotto la scala e che conduceva alla cantina.

Per un attimo il suo viso apparve così in piena luce. Non ci volle di più perché Jean Morénas, sgomento, smarrito, lo riconoscesse.

Quell'uomo era colui che di recente aveva fatto cadere i ferri del galeotto innocente, che gli aveva consegnato l'oro, che l'aveva protetto, guidato attraverso la campagna fino a pochi chilometri da Sainte-Marie-des-Maures. Invano egli aveva soppresso la barba

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posticcia e la parrucca con le quali aveva cercato di modificare i lineamenti del suo viso. Gli restavano gli occhi, la fronte, il naso, la bocca, la statura, e Jean non poteva ingannarsi.

Ma la soppressione della barba posticcia e della parrucca aveva una conseguenza ancora più sorprendente, ancora più tragica. In quell'uomo, restituito al suo aspetto naturale, in quell'uomo, che si rivelava a un tempo come suo salvatore e come assassino, Jean aveva riconosciuto suo fratello, Pierre, già scomparso e che egli non aveva più veduto da quindici anni!

Per quali misteriose ragioni suo fratello e il suo salvatore non erano che una sola persona? Per quale concorso di circostanze Pierre Morénas si trovava precisamente quel giorno nell'albergo dello zio Sandre? A quale titolo vi si trovava? Perché l'aveva scelto come teatro del suo delitto?

Queste domande si affollavano tumultuosamente nel cervello di Jean. Ma furono i fatti a dare la risposta.

L'assassino era appena scomparso che una porta si aprì al primo piano.

Sul ballatoio di legno apparve una giovane donna accanto alla quale trotterellavano due bambini in camicia da notte: essa teneva tra le braccia un terzo bambino, piccolissimo. Jean riconobbe Marguerite, Marguerite con i suoi figli!... I suoi figli, era evidente!... Essa aveva dunque rinnegato, dimenticato l'innocente che, lungi da lei, agonizzava in un bagno penale. Il disgraziato Jean comprese immediatamente l'assurdità della sua speranza.

— Pierre!... Pierre mio!... — chiamò la giovane donna che l'angoscia faceva tremare.

A un tratto ella scorse il corpo ch'era crollato sotto la tavola. E mormorando: «O mio Dio!...» discese precipitosamente, col piccino stretto fra le braccia e gli altri due che, spingendosi, strillavano dietro di lei.

Marguerite corse verso l'uomo strangolato, gli sollevò la testa ed emise un sospiro di sollievo. Non poteva capire quanto era accaduto, ma i suoi timori svanirono: l'uomo morto non era suo marito!

Nello stesso momento venne energicamente bussato alla porta esterna e parecchie voci si fecero udire dal di fuori. In preda a un

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vago timore, Marguerite indietreggiò verso la scala, come una bestia si avvicina al suo rifugio quando il pericolo la minaccia, e restò in piedi sul primo gradino, i due fanciulli aggrappati alla gonna, e tenendo sempre il terzo fra le braccia.

Dal posto dove stava, essa non poteva vedere la porta della cantina.4 Non vide dunque quella porta scostarsi, e Pierre Morénas insinuare nell'apertura la sua faccia, verde d'una paura bestiale. Ma Jean, al contrario, aveva davanti agli occhi tutto l'insieme del quadro: l'uomo morto, Marguerite e i suoi figli che battevano in ritirata, Pierre, suo fratello, un assassino, che stava in agguato sentendo arrivare il castigo che segue inesorabilmente il delitto. Nel suo cervello turbinante una luce s'accese d'improvviso. Egli comprese!

La presenza di Pierre, il suo crimine di oggi, l'incompleta accusa dello zio Sandre gli illuminarono il passato. L'assassino di oggi era l'assassino di allora, ed era per il fratello colpevole che l'innocente aveva pagato. Poi, quando il tempo aveva attenuato le tinte del dramma, Pierre era ritornato, si era fatto amare da Marguerite e per la seconda volta aveva distrutto la felicità del miserabile che si disperava sotto la rude sferza dei guardaciurma.

Ah, ma tutto questo stava per finire!... Jean non aveva che da dire una parola per rovesciare tutto quel cumulo d'infamie e vendicarsi in una volta sola di tutte le torture subite. Una parola?... Neppure. Egli non aveva che da tacere, scomparendo senza far rumore com'era venuto. L'assassino non poteva fuggire. Era preso, e avrebbe conosciuto il bagno penale anche lui!...

E dopo?... Questa parola Jean l'udì, come se un ironico contraddittore l'avesse

pronunciata al suo orecchio. Sì, davvero, e dopo?... Che sarebbe accaduto quando Pierre e Jean avrebbero rivestito tutt'e due i panni del galeotto? Ciò avrebbe reso all'innocente la felicità perduta? Ahimè! Marguerite non avrebbe forse continuato ad amare quel ribaldo, che in quel momento tremava del più abbietto terrore? Perché ella lo amava, la povera donna, lo amava con tutto il suo essere. La sua voce, quando aveva chiamato Pierre, aveva gridato il 4 Evidentemente questa porta era alle spalle della donna, come detto prima, sotto la scala. (N.d.T.)

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suo amore. Un amore che esprimeva anche adesso, con il suo atteggiamento: in piedi, i figli stretti fra le braccia, ostruiva la scala col suo corpo, come se avesse voluto difendere l'accesso del focolare domestico contro un vago, sconosciuto pericolo.

Allora, a che giovava la vendetta? Gli avrebbe forse reso un'impossibile felicità? L'avrebbe forse salvato dal dolore di trascinare anche Marguerite nella disperazione? Non era meglio lasciare a colei che adorava l'illusione della sua felicità e conservare per sé il dolore, tutto il dolore, di cui aveva, ahimè!, una così lunga abitudine? Come avrebbe potuto mutare il suo triste destino? Egli non era, non poteva più essere niente ormai. La strada era sbarrata davanti a lui e non esisteva più nulla in cui egli potesse sperare. Quale migliore impiego della sua inutile vita, se non quello di offrirla per la salvezza di un altro, d'un altro essere che già possedeva il cuore di lei, la cui vita sarebbe la sua vita, la cui felicità sarebbe la sua?...

Frattanto di fuori si accanivano. La porta forzata si aprì. Quattro o cinque uomini entrarono, si precipitarono in direzione della vittima, ne sollevarono la testa...

— Bon Dieu! — esclamò uno di essi. — È mastro Cliquet! — Il notaio! — esclamò un altro. Essi si diedero da fare. Mastro Cliquet fu disteso sulla tavola. Il suo

petto si dilatò e un profondo sospiro usci dalle sue labbra. — Grazie a Dio, non è morto! — disse un contadino. Si asperse d'acqua fredda il viso del notaio, che non tardò ad aprire

gli occhi. Jean sospirò tristemente. Poiché il delitto non era completo, e la vittima era sopravvissuta, l'assassino non sarebbe stato condannato che al bagno. Egli avrebbe preferito il patibolo.

— Chi vi ha conciato così, mastro Cliquet? — domandò un contadino.

Il notaio, che riprendeva a respirare penosamente, scosse la testa: egli non aveva visto in faccia il suo aggressore.

— Cerchiamo! — propose un altro. In verità non occorse cercare per molto tempo. Il colpevole non era

lontano, e, d'altronde, egli stava per consegnarsi supinamente da solo.

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Contando infatti sul primo disordine per darsi alla fuga, Pierre aveva aperto ancora di più la porticina che lo riparava, e già stava per mettere un piede sul pavimento della sala, pronto a slanciarsi. Senza alcun dubbio egli sarebbe stato acchiappato al passaggio. E quand'anche egli fosse sfuggito a questo pericolo, ve n'era un altro che non avrebbe potuto evitare: passare davanti a Marguerite, che non aveva lasciato il suo posto, immobile come un marmo. Essa allora avrebbe compreso.

Ora, salvare il colpevole era poca cosa se non si salvava nello stesso tempo la felicità di Marguerite, se ella non potesse continuare ad amare colui al quale si era data. Bisognava dunque ch'ella ignorasse, ignorasse sempre... Forse il sospetto nasceva già dietro quella fronte che un misterioso spavento faceva impallidire.

Jean usci improvvisamente dalla penombra proiettata dalla cappa del camino e s'inoltrò nella luce della sala. Tutti lo riconobbero immediatamente: Pierre e Marguerite, che fissarono su di lui gli occhi spalancati dallo stupore, e i cinque contadini, i cui visi ebbero una strana espressione, mista dell'antica simpatia per Jean e dell'orrore invincibile che ispira un forzato.

— Non cercate — disse Jean. — Sono io che ho fatto il colpo. Nessuno fiatò. Non è che si dubitasse delle sue parole. La confessione era plausibile, perché chi ha ucciso una volta può uccidere ancora. Ma la cosa era così inattesa che la sorpresa paralizzava le labbra.

Frattanto la scena era cambiata nei suoi particolari. Pierre adesso si mostrava interamente fuori dalla porticina e, senza che nessuno facesse attenzione a lui, si avvicinava a Marguerite che non sembrava accorgersi della sua presenza. Essa si era raddrizzata, il volto illuminato di soddisfazione e di odio. Soddisfazione nel vedere distrutto, appena formulato, il sospetto che l'aveva sfiorata; odio per il reo confesso il cui delitto glielo aveva fatto concepire.

Jean guardava soltanto lei, Marguerite. La giovane donna gli mostrò il pugno. — Canaglia!... — esclamò. Senza rispondere, Jean distolse il capo e offrì i suoi polsi alle

ruvide mani che si abbatterono su di lui. Lo trascinarono fuori.

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La porta principale, spalancata, disegnava un rettangolo nero, che Jean fissava con intensità. Su questo fondo oscuro, un quadro crudele e insieme dolce gli si delineava nitidamente. Era, sotto un implacabile cielo azzurro, una banchina bruciata dal sole... E, su questa banchina, s'incrociavano, portando pesanti carichi, degli uomini dai piedi incatenati... Ma, al di sopra di essi, brillava un'abbagliante immagine, l'immagine d'una giovane donna che reggeva un fanciullino fra le braccia...

Jean, tenendo gli occhi fissi su questa immagine, scomparve nella notte.