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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna Anno XXXVIII N. 4 Agosto-Settembre 2017 Euro 2,00 Ex libris Ischia la perla delle isole della Baia Napo- letana La Chiesa di Portosalvo compie cento anni (1857-2017) Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di Pithecusa con considerazioni sulle oreficerie di stile orientalizzante antico Castello Aragonese di Ischia - Castel dell'Ovo di Napoli Arte, Storia e Poesia - Omaggio a Carlo Poerio Quale funzione assume l'Isola d'Ischia nel sistema Miceneo alla luce delle ultimissime scoperte di Vivara? Analisi e statistiche sulla popolazione dei Comuni isolani La mostra "Volti a Napoli" Fonti archivistiche I monasteri dell'isola d'Ischia

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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportiviDir. responsabile Raffaele Castagna

Anno XXXVIIIN. 4

Agosto-Settembre 2017

Euro 2,00

Ex libris Ischia la perla delle isole della Baia Napo-letana

La Chiesa di Portosalvocompie cento anni (1857-2017)

Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di

Pithecusa con considerazioni sulle

oreficerie di stile orientalizzante antico

Castello Aragonese di Ischia - Castel dell'Ovo di NapoliArte, Storia e Poesia - Omaggio a Carlo Poerio

Quale funzione assume l'Isola d'Ischia nel sistema Miceneo alla luce delle ultimissime scoperte di Vivara?

Analisi e statistiche sulla popolazione dei Comuni isolani

La mostra "Volti a Napoli"

Fonti archivisticheI monasteri

dell'isola d'Ischia

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Pierpaolo Lista in mostra al Castello Aragonese di Ischia

“Strati d’animo”Sul Castello Aragonese di Ischia, nel-

la Chiesa dell’Immacolata, è in corso la personale di Pierpaolo Lista “Stra-ti d’animo”: 22 luglio - 28 settembre 2017, a cura di Antonello Tolve, pro-mossa dall’Associazione Amici di Ga-briele Mattera.

(Dalla rivista “Segno” (Salerno) - Percorsa da una grammatica visiva fatta di oggetti, di affetti e di cose, la parabola visiva messa in campo da Pierpaolo Lista (Salerno, 1977) presenta un di-scorso che fa i conti con il quotidiano per costru-ire una prosa fatta di piccoli dettagli, di accenni e accenti preziosi. Spigolose e apparentemente ostili, le sue opere mirano ad introdurre lo spet-tatore in uno spazio ovattato, imbottito di colori densi e cremosi, intriso di emblemi che evitano i rumori del mondo e costruiscono scenari silenzio-si, ossessivi, buttati giù apparentemente di getto, con pennellate rapide e ripide, graffi sicuri, legge-ri, folgoranti.

Il percorso di Lista presso la Chiesa dell’Imma-colata tende a mostrare un mondo in cui il vivente e l’oggetto si appartengono mediante originarie

ritualità affettive, in cui l’ordinario è sempre ecce-zionale per dare (e magari ridare) senso alle cose o per aderire alla natura stessa delle cose.

Asettici, scarni, abitati da pochi argomenti d’uso quotidiano che galleggiano in un ambiente sovra-temporale e sovrastorico, i suoi lavori ritornano all’intimo della pittura in quanto atto e gesto del dipingere. Ma evidenziano anche un rapporto con un fruitore che inciampa nell’opera facendo en-trare nel discorso artistico il tempo come durata reale o come vita vissuta.

Dalla pittura alla fotografia, la galassia ogget-tuale proposta da Lista si appropria dell’oggetto ordinario per alleggerirlo ed immetterlo in un pa-norama poetico che fa i conti con il tempo della vita per costruire mondi incontaminati, spazi leg-geri e trasparenti. Per lui la realtà tutta è il mon-do: e il mondo, in tutte le sue varie declinazioni, è lo spazio nel quale muoversi per agire e produrre immagini delle cose, per costruire ambienti lumi-nosi, per elaborare strati d’animo appunto, stati di cose che fanno i conti con la realtà e con quello che realtà non è.

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 3

La Rassegna d’Ischia

In questo numero

2 Castello Aragonese Pierpaolo Lista : Strati d'animo

4 Da Caravaggio a Bernini

5 Motivi

6 Rassegna Libri

7 Nuovi aspetti e problemi posti dagli Scavi di Pithecusa con particolari considerazioni sulle oreficerie di stile orientalizzante antico

13 Archivio Diocesano La Chiesa di Portosalvo compie 160 anni

16 Archivio Diocesano Un anonimo San Pasquale Baylon 19 Quale funzione assume l'isola d'Ischia nel sistema micenero alla luce delle ultimissime scoperte di Vivara 23 La mostra "Volti a Napoli"

28 Arte, Storia e Poesia Omaggio a Carlo Poerio

34 I vincitori dell'Ischia Film Festival 2017

35 Fonti archivistiche I monasteri dell'isola d'Ischia

40 Ex libris Sciences et Voyages - Ischia è la perla delle isole della Baia Napoletana

45 2013-2016 Analisi e statistiche sulla popolazione dei Comuni isolani

51 Galleria Ielasi: Iacono-Cortese

- Pompei e i Greci

52 Un abito racconta la storia di Procida

Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi

Anno XXXVIII - n. 4Agosto-Settembre 2017

Euro 2,00

Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna

La Rassegna d’IschiaVia IV novembre 19

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n. 2907 del 16.02.1980Registro degli Operatori

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Chiuso in redazione il 4 agosto 2017

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4 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

NapoliMuseo Archeologico Nazionale

Amori divini7 giugno – 16 ottobre 2017

Da Caravaggio a Bernini - Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna

Il 30 luglio si è conclusa a Roma alle Scuderie del Quirinale l’interessantissima mostra “Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle Col-lezioni Reali di Spagna” curata da Gonzalo Redín Mi-chaus. Sono state esposte sessanta opere seicentesche tra pittura e scultura, tutte provenienti dal palazzo reale di Madrid e da altri siti reali come ad esempio: l’Escorial, il Prado, il palazzo reale della Granja di San Ildefonso. Opere molto note poste accanto ad altre meno note, conservate in luoghi non aperti al pub-blico e rimaste quindi inedite sino allo scorso anno, quando sono state esposte presso la reggia madrilena in una prima mostra, la quale ha fatto da prologo a questa delle Scuderie del Quirinale. La mostra rivela-va gli strettissimi legami politici e culturali intercorsi tra la Spagna e l’Italia nel XVII secolo. In questo pe-riodo le due culture, quella iberica e quella italiana, ebbero modo di influenzarsi considerevolmente a vicenda. Il barocco italiano era molto apprezzato da viceré, principi, ambasciatori e dignitari di corte, che acquistavano o commissionavano opere per inviarle ai sovrani di Spagna, su loro diretta richiesta o come doni diplomatici, per riceverne in cambio appoggio e favori. Questo è il caso di due opere tra i dipinti più interessanti esposti in mostra, Lot e le figlie del Guer-cino e La conversione di Saulo di Guido Reni, dona-ti a Filippo IV dal principe Ludovisi per garantire la protezione spagnola sul piccolo Stato di Piombino. Dunque attraverso la mediazione di alti dignitari e il collezionismo diretto di Ambasciatori e Viceré, l’im-portazione di opere italiane in Spagna e il loro gra-duale confluire nelle Collezioni Reali contribuiscono alla nascita di un gusto e di una scuola nazionale che con Diego Velázquez conquisterà vette assolute nel-la Storia dell’Arte europea. In questa prospettiva le due grandi personalità di Caravaggio e di Bernini rappresentano i cardini su cui si sviluppano rispet-tivamente la prima e la seconda metà del secolo, tra Naturalismo, Classicismo e Barocco.

Particolarità e grande novità della mostra è che per la prima volta sono ritornate in Italia opere di arti-sti italiani realizzate ed inviate alla corte spagnola ed opere che tornano nella terra in cui furono concepite, come La tunica di Giuseppe, opera di grandi dimen-sioni realizzata da Diego Velázquez, probabilmente subito dopo il suo primo viaggio in Italia, tra il 1629 e il 1631, quando aveva ancora negli occhi le immagini dell’arte classica ma anche delle opere caravaggesche e dei maestri della scuola bolognese. Il dipinto, tra i più belli e interessanti della mostra, collocato in po-sizione centrale nell’allestimento, illustra con gran-de chiarezza e compostezza compositiva, come se si trattasse della scena di una rappresentazione teatrale,

il momento in cui i fratelli di Giuseppe, dopo averlo venduto come schiavo, raccontano al padre Giacobbe la menzogna della sua morte, mostrandogli una tuni-ca insanguinata. Solo il cane in primo piano, fiutan-dola, riconosce che il sangue è quello di un capretto e abbaia inutilmente, ignorato da tutti.

Jusepe de Ribera: la mostra espone cinque capola-vori tra cui il celebre Giacobbe e il gregge di Labano, bello ed intenso il San Gerolamo penitente, del 1638, imponente per grandezza e bellezza il ritratto eque-stre di don Giovanni d’Austria, figlio naturale del re di Spagna Filippo IV e dell’attrice Maria Calderon, fu inviato a Napoli nel 1647 per domare la rivoluzione di Masaniello.

Altro capolavoro ben noto è la Salomè con la testa del Battista di Caravaggio, proveniente dal palazzo reale di Madrid. Il dipinto, esposto nella prima sala, faceva parte della collezione di García de Avellaneda y Haro, conte di Castrillo, viceré di Napoli tra il 1653 e il 1659; da uno sfondo scuro, riscoperto da un recente restauro, emergono i busti della principessa giudai-ca che ha tra le mani il vassoio con il capo mozzo del Battista, l’anziana donna e il giovane giustiziere che regge la spada, rappresentati con tutto il contrasto lu-ministico e la drammaticità caratteristici del linguag-gio dell’autore.

Interessante la sezione della mostra dedicata alla città di Napoli con opere di Andrea Vaccaro, Mattia Preti, Luca Giordano e Massimo Stanzione. Meravi-glioso il dipinto I sette arcangeli di Stanzione.

Nella sezione dedicata alla scultura, esposta al se-condo piano, vi sono opere in marmo, avorio, bronzo. Tra queste risaltano due opere in bronzo di Bernini: un modello della Fontana dei Quattro Fiumi posto al centro della sala, e un stupendo Crocifisso, non vi sono aggettivi per la descrizione dell’opera. Il grande Crocifisso è ritenuto dalla critica un manufatto di ec-cezionale qualità, come afferma il professore Tomaso Montanari, è l’unico esemplare di figura completa in metallo, autonoma e mobile di Bernini che ci sia per-venuta, cioè l’unica non legata, fisicamente o anche solo concettualmente, a una architettura o a un com-plesso monumentale.

Ernesta Mazzella

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 5

Motivi Raffaele Castagna L’isola d’Ischia si fa vanto attual-

mente degli splendori, dei ricordi e di tutto ciò che è stato il passato, rappresentato non solo da una cer-ta vita quotidiana, per lo più tran-quilla, ma anche da un ambiente ancora intatto del territorio, dei suoi paesaggi e di una realtà a vol-te primigenia, al di là delle vicende specifiche che daranno concretez-za, sempre più palese, a quello che è stato l’uso improprio, scriteriato e continuo dello spazio. Di tanto in tanto viene presentata, special-mente sul web, qualche vecchia cartolina, in cui l’isola appare del tutto diversa dall’attuale e, alla vi-sta di placide vedute e significativi aspetti di riposo e di pace di que-sto bel giardino che rappresenta “il paradiso” della natura, si trova l’occasione per esaltarne i momen-ti di vita che vi si trascorrevano; e non mancano i “mi piace” dei per-sonaggi stessi che hanno contribu-ito a deturpare l’isola.

Chi vede e chi legge si crea quin-di una emozione, per lo più, distor-ta della realtà e ci crede veramen-te! E allora ovunque l’isola viene riconosciuta e celebrata nella sua bellezza come località desiderabi-le per ogni evenienza. Oltre tutto, ci sono le acque termali, quelle che hanno posto in passato le basi per il turismo e per le fortune di un’isola, poi invero lasciata al suo destino, senza una guida precisa e costante che ne indirizzasse le nuove vicende, nella salvaguardia delle sue peculiarità specifiche ed a vantaggio dei cittadini isolani tut-ti, senza preferenze per alcuno, il cui unico fine risulta essere quello del profitto immediato.

Queste impressioni sono fornite, per esempio e soprattutto, da una veduta che sempre viene ripropo-sta: quella di Lacco Ameno con il Fungo, davanti al paese, là in mez-zo al mare, una volta solitario a dare realtà ad un panorama, anzi un panorama esso stesso; purtrop-

po questa visione non c’è più, spe-cialmente nei mesi estivi, soppian-tata da quella di una stazione por-tuale, di cui non si conoscono esat-tamente i vantaggi per i lacchesi; peraltro si tratta anche dell’arenile più esteso e frequentato di Lacco Ameno! Non di rado sono trascu-rate e dimenticate le esigenze dei pescatori, oltre che dei cittadini lacchesi, con le spiagge tutte date in concessione e a volte delimitate indecorosamente.

E che fanno le amministrazioni locali? Brillano per la loro assenza e la mancanza di controllo, se non sono esse stesse a creare tale re-altà negativa per la maggior parte della cittadinanza! Sono occupate a presenziare le varie manifesta-zioni, qua e là realizzate, con una prosopopea senza pari, il tutto ri-portato come espressione di cultu-ra, che invero è la grande assente nelle programmazioni previste in ciascun comune.

Vorremmo invece chiedere a co-loro che si qualificano come "as-sessori alla cultura": che cosa si fa per il Museo archeologico di Pithe-cusae, aperto da qualche anno solo grazie ai volontari? Che cosa si fa per il Museo di S. Restituta e per onorare don Pietro Monti, che ne fu l’artefice, chiuso da alcuni anni, nell’indifferenza generale? E che dire dell’oblio che avvolge ormai la figura di Giorgio Buchner, colui che ha dato vita a Pithecusa? Che cosa si fa per la Colombaia di Fo-rio? Che cosa si fa per la Torre di Michelangelo (o di Guevara, che dir si voglia)? Che cosa si fa per la struttura del Pio Monte della Mi-sericordia di Casamicciola, che sta diventando il simbolo del degrado della cittadina, una volta “regina” del turismo isolano? Che cosa si fa?... si potrebbe continuare in una disamina di problematiche mai af-frontate seriamente?

Il territorio è lasciato senza cura e attenzioni da amministratori e

dai cittadini stessi, incuranti di cose che vanno male e che non rispondono alle aspettative gene-rali. E che dire di amministratori che non riescono a deliberare il di-vieto di spari pirotecnici, special-mente in un’estate infuocata come quest’anno? Non lo fanno perché i proprietari dei grandi complessi promettono ai loro clienti spetta-coli pirotecnici. Non lo fanno per-ché per molti ogni festa (di chiese comprese) non ha senso senza quegli spari. Di riposo e di tran-quillità non è neppure il caso di parlare: si suona a ripetizione ed a volumi alti nella notte, ora da una parte, ora dall’altra.

Non è il caso di parlare ovunque-di scempi?

Lo scempio di Forio

(Nota di Nicola Lamonica – VAS Campania – 31.07.2017))

La nuova invasione sugli scogli di Forio, a breve distanza dal porto e dal centro abitato, è uno scempio ambientale che grida vendetta e ri-chiede una riflessione accurata sul ruolo della Soprintendenza ai Beni Culturali di Napoli. Occorre capire quali sono i motivi che inducono il Consiglio Comunale, la Giun-ta ed il Soprintendente dell’area a determinare un’alterazione così grave del territorio portuale di Fo-rio introducendo nel suo contesto un ulteriore segno di degrado, sia pure temporaneo. Certo tutto si gioca sulla temporaneità del fatto e con essa si definiscono intrusioni ambientali inaccettabili che vanno a definire un panorama di basso profilo a chi viene a Forio attrat-to anche dalla bellezza e ricchezza del suo paesaggio. Ha mai pensato a ciò la Soprintendenza di Napoli quando ha dato il Suo OK? E come lo si giustifica? E’ come se, in pre-senza di una mostra importante al Torrione, per garantire le esigenze fisiologiche dei tanti amanti del bello e dell’arte, si autorizzassero

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6 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

Tutto quello che fu resta presenteRicordando Giovanni Verde

Progetto grafico: Marianna Coppa, Scelta dei testi: Anita e Wanda Verde; Cura redazionale: Marianna Coppa e Wanda Verde. Pag. 116. Edizione fuori commercio.

Rassegna Libri

Il titolo ripropone un verso del-la scherzosa poesia di Giovanni Verde: Inno alla facoltà della poesia. Fatti, testimonianze e ricordi se-lezionati da un'ampia raccolta permettono una maggiore cono-scenza del personaggio:"I vari brani, di prosa e di poe-sia, pubblicati o ancora inediti, vogliono far emergere la po-

liedrica versatilità di Giovanni Verde nel campo artistico-let-terario", come è riportato nella prefazione.Ad una settimana dalla sua scomparsa il Gazzettino dell'iso-la d'Ischia titolava in prima pa-gina: "Giovanni Verde orgoglio e vanto della laboriosa gente di Forio d'Ischia" (n. 13, 4 aprile 1956),

Misteri di IschiaEnigmi, suggestioni ed inquietu-dini dell'Isola Verdedi Massimo CoppaEditore: Youcanprint, 2017.Siluri nucleari sovietici, armi chimi-che, spie britanniche, aerei precipi-tati, dame nere, la Gioconda di Leo-nardo, nord-coreaninell’Ischia calcio, profezie mariane, presenze maligne, riti segreti, mano-scritti enigmatici, spedizioni naziste, ingressi ad Agarti, miniere d’oro, messe nere, pietre cantanti, vesco-vi profeti, santi dimenticati, templi solari: leggende e fatti misteriosi connessi alla maggiore delle isole partenopee.

e si collocassero ( sia pure nella temporaneità dell’evento ! ) un paio di vespasiani all’ingresso o sulla terrazza antistante la Torre o sul piazzale sottostante che detur-perebbero di fatto l’immagine del monumento di Forio e del sito.

Con la messa in opera dei casso-ni e dell’intero impianto turistico, un altro pezzo della fascia costiera foriana - già invaso da interventi scellerati del passato per effetto di clientelari discariche di materiale edile e non solo - invece di essere sanato e riproposto all’uso pub-

Specchi riflessidi Luciano Castaldi

blico con l’opportuna bonifica in uno al recupero del vecchio molo di Monticchio esce ulteriormente malconcio dalla politica attuale foriana che mostra di non avere alcun rispetto dei luoghi e dei ri-cordi della Comunità foriana. A tale richiamo penso che sia il caso, per quello che è stato anche in ri-ferimento ai rientri del foriano Cardinale Lavitrano, che ci si ado-peri per ridare visibilità al citato “ pontile di Monticchio” in pietra lavica, un primo approdo certo, un pezzo molto importate della no-

stra storia anche contadina foria-na come sito per la “ la cura delle botti “ prima della loro “ imposta-zione in cantina” e della successi-va vendemmia. Un pezzo di storia da non dimenticare in uno ai tanti altri ricordi personali e collettivi che il sito richiama alla memo-ria di tante generazioni del secolo scorso come punto di riferimento degli artisti, dei canti corali delle spensierate comitive giovanili, de-gli amanti del mare e degli scogli. Una storia che è parte della cultura foriana, da non deprezzare!

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 7

Il sito dell’abitato principale e della necropoli di Pithecusa sono stati correttamente identificati fin dalla fine del ‘700 da un dotto paesano. È stato, infatti, merito del medico e sacerdote Francesco De Siano di Lacco Ameno1 aver osservato per primo che sul promontorio di Monte di Vico, che forma l’estremità NW dell’isola d’Ischia, si trova gran quantità di rottami di tegole e di vasi antichi, mentre nell’adiacente Valle di San Montano si scoprono delle tombe pagane, e di aver dedotto da ciò che qui sia stata la sede della colonia greca2. Dalla sua descrizione appare che egli ha osservato tuttavia soltanto tombe di età ellenistica in casse di tufo e tombe a tegole di età romana, mentre altre fonti riferiscono di tombe, a inumazione e a cremazione, con vasi a figure rosse, scavate nella Valle di San Montano nella prima metà del secolo scorso3.

1 Il genuino nome moderno della cittadina è Lacco, e più propriamente nella forma articolata Lo Lacco o Il Lacco. L’e-piteto di Ameno è stato aggiunto soltanto nel 1863, quando tutti i municipi dell’Italia meridionale furono invitati a por-tare agli antichi nomi dei loro comuni quei mutamenti che avessero creduto opportuni (Giuseppe D’Ascia, Storia dell’i-sola d’Ischia, Napoli, 1867, p. 401).2 Francesco De Siano, Brevi e succinte notizie di storia naturale e civile dell’isola d’Ischia, s. l. né d. (ma Napoli, iniziato a stampare nel 1798 e uscito soltanto nel 1801, a causa della rivoluzione napoletana del 1799), p. 71 e 74 sq.3 J. E. Chevalley de Rivaz, Description des eaux minéro-thermales et des étuves de l’ile d’Ischia, II ed., Naples, 1835, p. 39 sg.: « En faisant des recherches dans le vallon de St. Montano, il n’est pas rare d’y trouver des sépulcres anciens, construits en briques et couverts de grands carreaux de tuf, renfermant des vases en terre cuite, des lampes, des épées et des mon-naies antiques, qui font connaître que cette partie de l’île, dans les âges qui ont précède l’ère Chrétienne, était destinée au repos et à la mémoire des morts. Il y a quelques années, on retira d’un de ces tombeaux plusieurs urnes, d’une légè-reté remarquable et d’une forme élégante, offrant sur un fond obscur diverses figures exécutées dans un style, auquel il était facile de reconnaître l’origine Grecque de ces vases. Dans une fouille faite en 1832 dans ce lieu, au milieu d’un nombre considérable de sépulcres formés de deux carreaux de terre cuite disposés à angle aigu, sous lesquels il y avait de

Il Beloch riferisce queste notizie e deduce che la città dev’essere stata situata sul Monte di Vico almeno dal V sec. in poi, mentre ritiene impossibile precisare se già il primo stanziamento euboico fosse stato nello stesso sito4.

Il Pais, in un articolo apparso per la prima volta

petites lampes et des vases de peu de valeur, mon honorable confrère M. Benedetto Vulpes, qui dirigeait cette opération, fut assez heureux pour rencontrer une large pierre carrée, recouvrant une espèce de caisse en tuf, dans laquelle se trou-vait un grand vase étrusque orné de figures, contenant des os brûlés. A coté était un très long cercueil, creusé dans une seule pièce de tuf et couvert de trois morceaux de la même substance volcanique, renfermant le squelette d’un homme adulte, ayant à son coté gauche une épée en fer, consumée en grande partie par la rouille. tandis que vers ses pieds, à droite, il y avait un petit vase étrusque contenant une boîte en ivoire, et à gauche était un vase en terre cuite vernissée avec son couvercle, lequel renfermait des oeufs de poule et des fragments d’os paraissant avoir appartenu à ce dernier animal». A questo passo, che è riportato anche nelle successive edi-zioni del libro, l’autore aggiunge nella 6a ed ultima edizione (Naples 1859, p. 61 sg.) la notizia di uno scavo più recente a San Montano: «Une nouvelle fouille pratiquée à la fin de l’année dernière dans la même localité, par les soins des studieux fils d’un gentilhomme distingué anglais, M. Stuart Monteatht, a donné les mêmes résultats, par rapport aux oeufs et aux os brûlés trouvés dans les sépulcres découverts à cette occasion, en même temps qu’on recueillit en outre dans ces tombeaux plusieurs fragments de vases différents en terre cuite, divers lacrymatoires en verre dont quelques uns avaient changé de forme par la chaleur volcanique existant dans cet endroit, ainsi qu’une médaille romaine d’Antonin le pieux assez bien conservée, et qui était encore dans la bouche d’un des squelettes renfermés dans les susdits sépulcres». Sulla personalità poliedrica dell’autore di queste relazioni dei primi scavi eseguiti nella Valle di San Montano, nato nel 1801 a Vevey nel canton Vaud e morto a Casamicciola nel 1863, vedi Paolo Buchner, Jacque Etienne Chevalley de Ri-vaz, il più rinomato medico della prima metà dell’Ottocento presso le terme dell’isola d’Ischia, in Atti del Centro Studi sull’Isola d’Ischia, Ricerche contributi e memorie 1944-1970, Napoli, 1971, a cura dell’Ente Valorizzazione Isola d’Ischia, p. 461-480.4 J. Beloch, Campanien, 2a ed., Breslau, 1890, p. 208 sq.

Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di Pithecusa con particolari

considerazioni sulle oreficerie di stile orientalizzante antico

di Giorgio Buchner

Estratto da : Contribution à l’étude de la Société et de la Colonisation Eubéenne (Centre Jean Bérard, Naples 1975)

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8 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

nell’anno 1900 e più tardi ristampato altre tre volte, pensa che la colonia più antica si debba cercare piuttosto sulle colline che si estendono tra Porto d’Ischia e Casamicciola5. Eppure sarebbe bastato fare una passeggiata sul Monte di Vico per raccogliervi in superficie cocci geometrici e protocorinzi, così come feci io per la prima volta, da ragazzo, agli inizi degli anni ‘30!

Nello stesso articolo, il Pais ha ben intuito l’importanza di Pithecusa ed ha invocato ricerche archeologiche ad Ischia «che gioverebbero forse» — egli scrive, si badi bene, nell’anno 1900 — «a trovare la chiave a più di un problema relativo alle più vetuste relazioni commerciali fra i Greci e le popolazioni indigene della Penisola6». Ma l’invito non è stato mai raccolto dagli archeologi napoletani, troppo affascinati dai tesori di Pompei ed Ercolano.

Sebbene i giacimenti, tanto della necropoli di Cuma quanto di quella di Pithecusa, fossero stati già individuati tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, le loro sorti sono state tuttavia interamente diverse. Mentre la prima è stata ampiamente frugata senza alcun metodo scientifico durante tutto il secolo scorso, tanto che oggi non possediamo che tristi resti smembrati e incompleti dei corredi tombali cumani, la seconda non è stata mai oggetto di scavi più consistenti e, ad eccezione delle non molte tombe di età piuttosto recente rinvenute nei tempi passati, è rimasta praticamente inviolata finché vi iniziai le prime ricerche nel 1952. Ciò è dovuto a due circostanze, di cui la principale è la cattiva e spesso pessima conservazione del materiale archeologico, che dipende dal fatto che la necropoli è situata in una zona termale. Più si scava in profondità e più il terreno è riscaldato da fumarole vulcaniche, tanto che in alcune tombe, al momento dell’apertura, abbiamo misurato fino ad un massimo di 63°. Questo calore umido produce effetti spesso disastrosi, specialmente sulla ceramica, ma anche sui metalli. Il consolidamento e restauro del materiale pone perciò problemi del tutto particolari e spesso richiede un lungo e paziente lavoro.

L’altra circostanza che ha contribuito a conservare intatta la necropoli di Pithecusa, è la notevole profondità alla quale si trovano le tombe, almeno nella maggior parte dell’area, profondità dovuta all’apporto di terreno alluvionale. Nella

5 E. Pais, Per la storia d’Ischia nell’antichità, in Riv. Stor. Ant., V, 1900, p. 465-492. Ristampato in Ricerche storiche e geografiche sull’Italia antica, Torino, 1908, p. 226-255 (ivi, p. 250 sull’ipotetica localizzazione della colonia più an-tica); in Ancient Italy, Chicago Univ. Press, 1908; in Italia Antica, Bologna, 1922, voi. II, p. 221-257.6 Cf. in Ricerche storiche e geografiche, cit., p. 236.

zona centrale, dove sono stati eseguiti gli scavi più recenti, le prime tombe romane si rinvengono infatti ad una profondità di 4-5 m., mentre le tombe ad inumazione dell’VIII sec. stanno a 7-8 m dal piano di campagna attuale. Questi aspetti negativi, la cattiva conservazione del materiale e la profondità delle tombe, vengono tuttavia largamente compensati dallo stato praticamente intatto della necropoli. Favorevole è stato anche il fatto che il continuo rialzamento del piano di campagna per mezzo del terreno dilavato dalle colline circostanti è avvenuto in parte già durante il periodo in cui la necropoli è stata usata e che comprende all’incirca un millennio. Soltanto in tal modo, scomparendo sotto la terra accresciuta, hanno potuto conservarsi i piccoli tumuli delle tombe a cremazione. Diversamente questi cumuli di pietra, trascorso un certo periodo di tempo, dopo il quale le tombe non furono più rispettate, erano inevitabilmente soggetti ad essere demoliti con facilità per riusare le pietre. Tanto è vero che è questo il primo esempio di simili tombe che si conosca, mentre non hanno certamente costituito una peculiarità di Pithecusa. Si deve presumere piuttosto che sia stato un tipo molto più diffuso di sepoltura che altrove non si è conservato. Per la stessa ragione si riscontra soltanto raramente a S. Montano che tombe più antiche siano state danneggiate seriamente da sepolture a fossa più recenti.

Molto meno favorevole è la situazione dell’abitato a Monte di Vico. Qui la coltre del terreno, anziché accrescersi, è soggetta piuttosto ad essere dilavata, specie nei punti più alti. Né si è avuto un apprezzabile apporto di cenere vulcanica proveniente da eruzioni avvenute in età storica in altre località dell’isola. Nella valle di S. Montano sono state riscontrate bensì le testimonianze di tre eruzioni, la prima avvenuta intorno all’anno 600 a. C, le altre due di età romana imperiale, ma si tratta di straterelli di cenere soltanto qua e là conservati, che raggiungono al massimo una ventina di cm. Si aggiunga che il sito è stato abitato più o meno densamente fino all’inizio del I sec. a. C, a giudicare dai cocci che si rinvengono sparsi in superficie. Le strutture deperibili delle case dell’VIII e VII sec. saranno state quindi già distrutte durante la vita stessa dell’abitato. Per di più la superficie di Monte di Vico è stata terrazzata e coltivata a vigneto da molti secoli7.

Fortunatamente questa perdita viene compensata dalla recente scoperta di un abitato suburbano

7 Già in un atto di donazione del 1036 sono ricordati vigneti e un palmento sul mons qui nominatur ad Bicum (B. Capasso, Monum. Neap. Duc, II, 1, Regesta neapolitana, n. 458, p. 282).

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sul margine della collina di Mezzavia situata dirimpetto al Monte di Vico, e particolarmente nella località detta Mazzola, abitato la cui fondazione risale al periodo più antico finora documentato a Pithecusa, mentre è stato molto presto nuovamente abbandonato, in parte già nel primo quarto del VII sec, e in seguito mai più rioccupato. Questo precoce abbandono, insieme ad un apporto abbastanza notevole di terreno alluvionale proveniente dalla zona più alta della stessa collina, hanno permesso una conservazione relativamente molto buona delle strutture murarie dell’VIII-VII sec.8.

Prima di dare ora uno sguardo un po’ più particolareggiato alla topografia dell’insediamento di Pithecusa, occorre rilevare che la configurazione morfologica della zona interessata, l’angolo NW dell’isola, non ha subito mutamenti profondi almeno dalla metà del II millennio a.C. fino ad oggi. Era sembrato molto probabile che la particolareggiata descrizione che Timeo (apud Strab. V, 248) dà di una eruzione ischitana avvenuta poco prima del suo tempo,- quindi verso la prima metà del IV sec. a. C, - si debba identificare con quella di Zaro. E ciò non soltanto per l’aspetto ancora relativamente fresco di questa colata da cupola di ristagno, ma soprattutto perché la descrizione di Timeo si addice bene al meccanismo di questa grandiosa eruzione che ha prodotto oltre 100 milioni di metri cubi di trachite formando un promontorio che si protende per quasi un chilometro nel mare e il cui versante NE delimita verso SW la valle e la baia di S. Montano, cioè la necropoli. L’identificazione eruzione di Timeo = Zaro, già proposta nel 1884 dal sismologo G. Mercalli, è stata accettata, nel 1930, dal vulcanologo A. Rittmann, e in un primo tempo anche da me stesso9, finché non è apparso che i tumuli delle tombe greche dell’VIII sec. sono costruiti prevalentemente con la caratteristica trachite di Zaro e che sulla lava stessa di Zaro sono stati impiantati l’insediamento dell’VIII sec. di Mezzavia-Mazzola ed un sottostante insediamento della civiltà appenninica dell’età del bronzo.

L’unico mutamento di un certo rilievo, a prescindere da piccoli cambiamenti in seguito all’erosione delle pendici scoscese di Monte di Vico, è dovuto all’abbassamento bradisismico cui l’isola è soggetta almeno dall’età romana in poi,

8 G. Buchner, Recent work at Pithekoussai (Ischia), 1965-71, in Archaeological Reports, 1970-71, p. 64 sq.9 G. Mercalli, L’isola d’Ischia ed il terremoto del 28 luglio 1883, in Mem. R. Istituto Lombardo, Cl. di sc. mat. e nat., XV, 1884, p. 105 sq.; A. Rittmann, Geologie der Insel Ischia, in Ergänzungsband 6 zur Zeitschr. für Vulkanologie, Ber-lin, 1930, p. 137 sq.; P. und G. Buchner, Die Datierung der vorgeschichtlichen und geschichtlichen Ausbrüche auf der Insel Ischia, in Die Naturwissenschaften, XXVIII, 1940, p. 558.

ma probabilmente già prima. Dai tempi romani ad oggi l’isola si è abbassata di ca. 5-6 m., dall’VIII sec. a.C. forse anche di 7-8 m.10. L’abbassamento non avrà inciso tanto sulle coste rocciose che scendono a picco, quanto sulla configurazione delle due spiagge ai lati del promontorio di Monte di Vico: l’insenatura della baia di S. Montano sarà stata meno profonda, la spiaggia dei pescatori sull’altro versante dev’essere stata più larga.

Uno sguardo alla carta fa vedere quanto sia favorevole la posizione della località prescelta dai coloni di Calcide e Eretria per l’impianto della nuova città. Il promontorio di Monte di Vico, che forma la punta nord-occidentale dell’isola, si protende nel mare con coste a picco ed anche verso l’entroterra presenta pendii scoscesi facilmente difendibili che racchiudono in alto un’area abbastanza vasta e relativamente pianeggiante di forma pressoché triangolare, con uno spazio abitabile di almeno ca. 6 ettari. I due approdi alla base del promontorio assicuravano riparo secondo i venti. Quello della ex spiaggia dei pescatori, aperto verso E, che doveva costituire il porto principale, è riparato da tutti i venti, ad eccezione di quelli del I quadrante, dai quali è invece protetto l’approdo di S. Montano, aperto verso NW. La posizione di Pithecusa è dunque analoga a quella di molti altri insediamenti ellenici costieri situati su promontori con doppia possibilità di approdo.

Nessuna traccia è rimasta dell’antica via di accesso alla città. La morfologia del terreno non consente peraltro un accesso che non sia troppo disagevole in un punto diverso da quello della vecchia strada moderna che sale alla base orientale del promontorio (sostituita ora dalla nuova strada carrozzabile costruita nel 1961). Poiché le pendici sono qui costituite da materiale vulcanico poco coerente, è molto probabile che la sede stradale antica non corrisponda esattamente a quella moderna, ma sia da tempo franata. Esistono ancora un paio di viottoli che scendono direttamente nella valle di S. Montano, lungo il pendio scosceso di Monte di Vico verso SW, ed è probabile che anche qui ci sia stata già in antico qualche strada, che tuttavia, data la sua ripidità, non poteva essere che una via secondaria.

Dalla raccolta sistematica dei cocci in superficie, fatta negli anni passati, quando era più facile e fruttuosa in seguito alla intensa coltivazione del terreno — oggi i vigneti sono semiabbandonati e il terreno in parte coperto di rovi — si può dedurre che tutta la superficie di Monte di Vico era abitata durante l’ultimo quarto dell’VIII sec. ed anche

10 Per il bradisismo vedi D. Buchner Niola, L’isola d’Ischia: Studio geografico, in Mem. di Geografia Econ. e Antrop., n.s., Ili, Napoli, 1965, p. 15, con bibliografia.

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cocci del periodo più antico, cioè del terzo quarto dell’VIII sec, sono stati trovati sparsi un po’ dovunque. Soltanto la zona più alta che culmina con il semaforo militare a quota 115 m. — e che recentemente è stata deturpata con la costruzione di un grande albergo — è risultata del tutto sterile, ma è da presumere che qui gli strati culturali siano stati interamente dilavati dalle piogge.

L’unico posto dove finora è stato eseguito uno scavo a Monte di Vico si trova al margine della pendice orientale del promontorio, dove, in occasione della costruzione di una villa, nel 1965, è stato rinvenuto uno scarico antico ricchissimo di materiale. Lo chiameremo «Scarico Gosetti», dal nome della proprietaria della villa. Purtroppo si tratta di uno scarico secondario, con il quale è stato riempito, verso la fine del II o l’inizio del I sec. a. C, un burrone naturale inciso dalle acque piovane nella cenere vulcanica. Il materiale di riempimento, che deve provenire da uno spianamento eseguito in qualche posto più in alto, non era stratificato, ma conteneva, confuso in modo caotico, un’enorme quantità di materiale archeologico che va dalla ceramica della civiltà appenninica dell’età del bronzo — con bellissimi pezzi a decorazione incisa — fino alla tarda ceramica campana a vernice nera. La sola lacuna è costituita dalla mancanza assoluta di ceramica dell’età del ferro preellenica, lacuna che si è riscontrata anche tra i cocci raccolti in superficie a Monte di Vico e nelle altre zone di ricerca (necropoli e Mezzavia) che invece hanno ugualmente fornito resti della civiltà appenninica. Sembra dunque che, a differenza di quanto è avvenuto a Cuma, i coloni si siano insediati ad Ischia in una località allora disabitata dagli indigeni. Che altre zone dell’isola fossero abitate al momento dell’arrivo dei coloni, insegna il villaggio dell’età del ferro sul Castiglione, tra Porto d’Ischia e Casamicciola11.

Abbondantissimo è, nello scarico Gosetti, il materiale dell’VIII sec.12, tanto del periodo LG I quanto del LG II, meno frequente quello del VII,

11 G. Buchner, Nota preliminare sulle scoperte preistori-che nell’isola d’Ischia, in Bull. Paletnol. Ita!., n.s. I, 1936-37, p. 65-93.12 Attenendoci alla nomenclatura usata dal Coldstream nel suo volume Greek Geometric Pottery, London, 1968, chiameremo qui di seguito LG I (= Late Geometric I) il periodo più antico finora riscontrato a Pithecusa, il quale è caratterizzato soprattutto dalla presenza delle kotylai del tipo Aetos 666, più rare in esemplari corinzi importati, ma frequentissime in esemplari d’imitazione di fabbrica locale, e dalla assenza degli aryballoi globulari del Protocorinzio antico. Questo periodo comprende all’incirca il terzo quarto dell’VIII sec., dal 750 al 725. Chiameremo invece LG II il periodo caratterizzato dalla ceramica importata appartenente al Protocorinzio antico (EPC) che comprende all’incirca l’ultimo quarto dell’VIII sec.

VI e V sec, e di nuovo molto abbondante quello di età ellenistica.

Per l’impianto della necropoli, come è ben noto, è stata scelta la valle di S. Montano che si estende in direzione SE-NW per una lunghezza di 500 m. e una larghezza tra 70 e 150 m., delimitata dal fianco SW di Monte di Vico da una parte e da un tratto del fianco NE della colata di lava di Zaro dall’altra parte.

Non c’è dubbio che il principale centro abitato di Pithecusa sia stato fin dall’inizio situato sul Monte di Vico. Tuttavia, fin dal periodo più antico per ora documentato, l’insediamento non era limitato al promontorio, ma si estendeva anche sul versante NE della collina di Mezzavia, distante tra 200 e 400 m. ca. dal piede meridionale di Monte di Vico e separato da questo da una zona bassa e pianeggiante che si prolunga verso NW nella valle di S. Montano.

Dagli indizi finora raccolti appare che questo abitato suburbano si estendeva per una lunghezza di ca. 500 m. È da presumere, già per la morfologia del terreno, che non si sia trattato di un abitato continuo, ma di una serie di piccoli nuclei distinti, di cui il solo finora meglio definito e parzialmente scavato, quello della località Mazzola, occupa un’area di ca. 5-6000 mq. Altri due nuclei simili, uno a poca distanza da Mazzola verso NW, l’altro più distante verso SE, sono stati finora accertati soltanto attraverso cocci. Sembra probabile che altri ancora possano essere identificati proseguendo le ricerche. Tutti questi nuclei abitati sono stati fondati durante il periodo LGI ed hanno avuto la loro massima fioritura fino alla fine dell’VIII sec. Il nucleo di Mazzola è stato parzialmente abbandonato già entro il primo quarto del VII sec. e desertato definitivamente intorno alla metà del VI sec. Sembra che lo stesso valga per gli altri due nuclei non ancora meglio esplorati. In tutta la zona, comunque, non abbiamo finora trovato un coccio che sia più recente della metà del VI sec.

Non possiamo dilungarci in questa sede a descrivere lo scavo di Mazzola. Ricordiamo soltanto che sono stati messi in luce un edificio a pianta ovale, uno absidato ed altri a pianta rettangolare. Soltanto l’edificio absidato sembra essere stato una casa di abitazione, gli altri erano officine metallurgiche. Una era l’officina di un fabbro ferraio, con il posto della fucina indicato dal suolo fortemente arrossato dal fuoco e cosparso di innumerevoli minuscoli pezzettini di ferro, oltre a molte loppe e scorie di ferro. Un’altra era l’officina di un bronziere con una piccola fucina costruita in mattoni crudi, poi cotti dal fuoco, e numerosi residui della lavorazione, uno scarto di fusione di una fibula, piccoli ritagli di lamina e filo di bronzo,

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un piccolo lingotto di bronzo o rame, scorie di fusione verdastre, etc.

Nessun rinvenimento che si riferisca all’VIII e VII sec. è stato fatto finora nella zona bassa e pianeggiante che si estende tra il piede della collina di Mezzavia e quello di Monte di Vico e che si trova oggi a quota 5 m. ca. sul livello del mare (ma parte di questa altezza è dovuta a riempimento di epoca recentissima). Né c’è speranza di poter ancora rinvenirvi resti di quel periodo, non soltanto perché la zona è oggi piuttosto intensivamente fabbricata, ma soprattutto perché gli strati più antichi, in seguito al bradisismo, si trovano al di sotto del livello del mare. In un saggio eseguito davanti alla Chiesa di Santa Restituta, infatti, uno strato con cocci del V sec. e qualche blocco di tufo è stato trovato a ca. 1 m. sotto il pelo dell’acqua e similmente, durante la costruzione dell’albergo Reginella, negli anni ‘50, sono stati riscontrati avanzi di muri in grandi blocchi di tufo sommersi nell’acqua — e il livello dell’VIII sec. deve trovarsi a profondità notevolmente maggiore.

Questa zona pianeggiante situata tra le due colline abitate, fin dall’inizio, non poteva essere rimasta deserta. Confinante con l’approdo Est — che doveva costituire la zona portuale principale perché è quella più riparata e situata accanto alla via d’accesso alla città — essa rappresenta anzi un’area ideale per gli impianti connessi con l’attività portuale e commerciale, magazzini e depositi di merci, mentre lungo la spiaggia che si estende verso SE per ca. 500 m. fino alla roccia del Capitiello, potevano trovar posto anche gli indispensabili cantieri navali per le riparazioni e costruzioni delle navi. È molto probabile che fossero situate in questa zona anche le officine figuline. Un indizio in questo senso è dato dal rinvenimento di resti di fornaci figuline di età romana ed ellenistica, proprio qui, sotto ed accanto alla chiesa di Santa Restituta. E da notare che in questa zona, oltre alle sorgenti termali, ci sono, o meglio c’erano fino a pochi decenni fa, anche pozzi con acqua dolce fredda, che erano usati per irrigare gli orti oggi spariti, e in antico potevano fornire anche l’acqua indispensabile per la lavorazione della creta. La grande quantità di ceramica di fabbrica locale appartenente al periodo LG I trovata, più che nella necropoli, soprattutto negli scavi degli abitati, tanto nello scarico Gosetti a Monte di Vico quanto a Mazzola, — tra cui molta ceramica geometrica figurata che per qualità non è seconda a quella della madre-patria —, insegna che quest’industria, fin d’allora, ebbe un notevole volume a Pithecusa, grazie anche all’ottima argilla figulina che si trova nell’isola stessa.

Nel periodo LGI, ossia tra il 750 e il 725 ca., la città di Pithecusa ha già raggiunto la sua massima

espansione topografica ed occupa un’area vasta, delimitata, verso l’interno, da una linea all’incirca retta in direzione NW-SE, che va dalla spiaggia-approdo di S. Montano, limite SW della valle di S. Montano-necropoli, collina di Mezzavia fino al nucleo abitato di Mezzavia SE, per una lunghezza di 1200 m., e da qui fino alla costa per una larghezza tra 700 e 500 m. Un’area dunque di ca. 3/4 di chilometro quadrato. Tra il margine settentrionale della zona abitata di Monte di Vico, con cocci del periodo LGI, ed il nucleo abitato dello stesso periodo di Mezzavia SE corre una distanza, in linea d’aria, di esattamente 1 Km. (Cf. fig. 1).

Un impianto così vasto non può essere sorto d’un tratto. Eppure la ceramica più antica trovata finora a Pithecusa non va oltre il periodo LG I, con le kotylai tipo Aetos 666, mentre manca il tipo del vaso da bere che caratterizza il periodo precedente, l’MG II, vale a dire le cosiddette «coppe cicladiche» o «skyphoi a chevron», le quali si trovano invece, come è noto, nelle tombe indigene dell’età del ferro preellenica di Cuma, a Capua, a Pontecagnano, a Veio13. Ci limitiamo a constatare questo fatto, e ad osservare che sarebbe metodologicamente sbagliato voler trarne una deduzione. È possibile che la fondazione di Pithecusa sia avvenuta realmente in età posteriore al fiorire degli «skyphoi a chevron» — e allora non ci rimane che ammettere l’esistenza di commerci precoloniali per spiegare la loro diffusione nelle tombe indigene della Campania e dell’Etruria, ma è ugualmente possibile che la circostanza di non averle ancora trovate ad Ischia sia puramente casuale. È vero che il materiale dell’VIII sec. che possediamo da Ischia è ormai molto ragguardevole, ma non si deve dimenticare:

1) che non dobbiamo aspettarci di trovare avanzi appartenenti al più antico periodo di vita

13 Cuma: E. Gabrici, Cuma, in Mon. Ant., XXII, 1913, col. 93, tav. XVIII, 9 (tomba Osta 3), col. 109 ss., tav. XVIII 7 (tomba Osta 29): buone fotografie degli skyphoi da Cuma in Dial. di Archeol. , I, 2, 1967, fìg. 11, 12, 13. Capua: W. Johannowsky, Problemi relativi alla «precolonizzazione» in Campania, in Dial. di Archeol., I, 2, 1967, p. 159-185, fìg. 8 b; id., Scambi tra ambiente greco e ambiente italico nel periodo preco-loniale e protocoloniale e loro conseguenze, ibid., III, 1-2, 1969, p. 31-43 e appendice, p. 213-219, fìg. 1,10a, 11c. Ponte-cagnano: B. D’Agostino, Dial. di Archeol., III, 1-2, 1969, p. 56 sq. e nota 22, fìg. 14a,1,3. Veio: D. Ridgway, «Coppe cicladi-che» da Veio, in Studi Etr., 35, 1967, p. 311-321. Per quanto riguarda l’erronea affermazione circa la presenza di fram-menti di «skyphoi a chevron» nell’abitato dell’età del ferro di Castiglione d’Ischia (Johannowsky, Dial. di Archeol., I, 2, 1967, p. 167), vedi Buchner, Dial. di Archeol., III, 1-2,1969, p. 96 sq. e fig. 25, e D. Ridgway, The First Western Greeks: Campanian Coasts and Southern Etruria, in Greeks, Celts and Romans, London, 1973, p. 24 e n. 1. Del problema posto dalla presenza di questi skyphoi in Etruria e in Campania in generale ha trattato per ultimo Ridgway, ibid., p. 35 sq.

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12 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

della colonia a Mazzola e negli altri nuclei abitati di Mezzavia in genere, che possono essere stati soltanto un insediamento secondario;

2) che il materiale dell’abitato di Monte di Vico proviene in massima parte dallo scarico Gosetti che a sua volta deve provenire dallo spianamento di un’area limitata dell’abitato. Ed è ben possibile che in quell’area non ci siano stati scarichi del periodo più antico;

3) che finora è stata scavata soltanto una parte relativamente molto piccola della necropoli e nulla ci autorizza a pensare di aver trovato le tombe più antiche; al contrario, la probabilità di non averle ancora trovate è molto più grande.

Mi sembra superfluo inoltrarsi ora in discussioni sulla data assoluta della fondazione di Pithecusa. Possiamo dire soltanto che finora non abbiamo trovato nulla che debba essere necessariamente più antico del 750 ca., secondo gli schemi cronologici oggi accettati, anche se alcuni vasi potrebbero forse risalire a una data leggermente più alta. Considerata la vasta estensione che l’insediamento di Pithecusa ebbe nel terzo quarto del secolo, appare comunque più probabile che la sua fondazione sia avvenuta già entro il secondo quarto dell’VIII sec.

***Prima di accennare ancora ad alcune delle

molteplici informazioni che dalle loro tombe e dai resti dei loro abitati si possono ricavare sulla vita e sulle attività dei pithecusani della seconda metà dell'VIII sec. a. C, vorrei premettere una breve digressione metodologica. L'epoca in cui le

necropoli erano considerate anche dagli studiosi semplicemente come miniere di oggetti antichi di interesse artistico o antiquario è tramontata da molto tempo. Si deve osservare, tuttavia, come perduri ancora oggi talvolta un'attitudine che, se non è ugualmente deleteria, è però anch'essa deprecabile e derivante dalla stessa mentalità, cioè dall'interesse limitato ad una ricerca di carattere prevalentemente antiquario. Le necropoli non vengono più considerate come miniere di singoli oggetti, ma come miniere di associazioni di oggetti in base alle quali ognuno cerca di elaborare il suo proprio sistema di ripartizioni in periodi, fasi e sottofasi. Si cerca ancora la « bella » tomba ricca di oggetti e magari si pubblica soltanto una scelta delle tombe più « significative » in tal senso. In questo modo tutte le informazioni sulla struttura sociale e sulla statistica della popolazione vanno irrimediabilmente perdute. L'ideale sarebbe di poter scavare la necropoli di un insediamento interamente. Purtroppo ciò non sarà mai attuabile in pratica, anche quando le condizioni fossero tali che uno scavo integrale sarebbe in teoria ancora possibile, come è il caso proprio di Pithecusa, semplicemente per il costo di una simile impresa. Ma almeno si dovrebbe cercare di scavare delle aree congiunte il più possibile vaste, rilevandone la pianta quotata esatta e in scala sufficientemente grande, e tenendo conto di ogni sepoltura, sia essa ricca, o povera, o senza corredo.

(1-continua

Topografia di Pithecusa nell'VIII sec. a. C.

A tratteggio : aree abitate documentate da avanzi di ceramica

Monte di Vico e nuclei minori sulla collina di Mezzavia

A tratteggio incrociato : necropoli (San Montano)

Nero pieno : zone scavate1. Necropoli, scavi 1952-19612. Necropoli, scavi dal 1965 in poi3. 4. 5. Necropoli, saggi minori6. Monte di Vico, scarico7. Monte di Vico, tracce di tempio del VI-V

sec.8. Mezzavia, località Mazzola9. 10. Mezzavia, altri nuclei

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 13

Archivio Diocesano di IschiaCronache religiose dell’episcopato di Felice Romano

II

Dal diario del cerimoniere vescovile di Ischia Canco Aniello Sassone

Cronaca della cerimonia per la posa della prima pietra della chiesa di S. Maria di Portosalvo, 26 settembre 1854

Liber ordinatorum memoriae ab anno 1847 ad annum 1874, ff. 2-4.

[foglio 2] Oggi, che sono li 26 del mese di Settem-bre dell’anno 1854 questo Illmõ, e Rmõ Monsi-gnor D. Felice Romano Vescovo di questa Diocesi d’Ischia ha eseguito una funzione commoventis-sima, e che può dirsi rara a verificarsi.Sono già due anni da che piacque alla munifi-cenza del Nostro Augusto Sovrano Ferdinando Secondo, che Iddio sempre feliciti, di ridurre a Porto il Lago di questo Comune sistente nel Vil-laggio de’ Bagni per dare un incoraggiamento al commercio, e nel tempo medesimo un sollievo ai naturali di quest’Isola. Mandata a buon termi-ne un'opera così speciosa, surge nella sua real mente un'idea religiosissima, di edificare cioè ac-canto al Porto medesimo una Chiesa per comodo de’ Legni, e degli abitanti di detto Villaggio. Di-morando il prelodato Sovrano da circa tre mesi colla sua Regale Famiglia nella Real Casina ivi sistente, volle che nel sopradetto giorno avesse luogo la funzione di mettere cioè la prima pietra fondamentale di questo Tempio, giusto il pre-scritto fissato nel Pontificale Romano. Quindi il prelodato Monsignor Vescovo dietro l’invito rice-vuto dalla prelodata Maestà sua, accompagnato dal suo Capitolo Cattedrale si portò sopra luogo per adempiere alla funzione in parola. Giunto ivi, trovò preparati due Padiglioni, [f.3] uno per gli Ecclesiastici, e l’altro pel Re, e suo Seguito, ove la Maestà sua era già raccolta con alcuni Ge-nerali, e varii uffiziali maggiori de’ Legni della Real Marina ancorati nel Porto, e nella Spiaggia. Il lodato Pastore vestiti cogli abiti Pontificali, in unione del Suo Capitolo vestito con Cappa ma-gna diè principio alla funzione, celebrate le preci, detta la Litania de’ Santi, e benedetta la prima pietra, il Vescovo coi Canonici assistenti si portò

nel cavamento per collocarvi la prima pietra, ivi giunto, e dette delle preci all’oggetto, il preloda-to Sovrano accompagnato da due Generali del Real Esercito, ed un ufficiale maggiore, avendo ciascuno in mano una cofina di terra, che il Re colle sue proprie mani la collocò nel luogo sudet-to, e ciò in onore di tre Santi, cioè Maria SSmã di Porto Salvo, S. Giuda Taddeo, e S. Francesco di Paola. Fatte tutte le altre cerimonie prescritte dal Ponti-ficale Romano il prelodato Pastore volle dar ter-mine alla funzione con un’allocuzione al popolo, presente il Sovrano, che s’intenerì, come intenerì il cuore di tutto l’uditorio, che ognuno benedice-va il Signore Iddio, e ’l Sovrano, indi il prelodato Pastore [f.4] benedisse il popolo tutto ivi accorso in gran copia. Terminata la funzione il Sovrano volle ringraziare il Vescovo, ed il Capitolo per la eseguita funzione. Quindi a memoria eterna de’ nostri posteri si è creduto segnare nel presente libro l’avvenimento di questa funzione, non mai veduta nella Diocesi di Ischia.

Canco Aniello Sassone Cancelliere Vescovile

Annotazione compilata in occasione della bene-dizione della chiesa di S. Maria di Portosalvo, 19 luglio 1857 Liber ordinatorum memoriae ab anno 1847 ad annum 1874, ff. 36-38

[foglio.36] Memoria

Il giorno 19 Luglio dell’anno 1857 Questo No-stro Ill.mõ e R.mõ Prelato D. Felice Romano, accompagnato dal suo Capitolo Cattedrale be-nedisse la nuova Chiesa sotto il titolo di Maria SS.mã di Porto Salvo, ed in detto giorno consa-crò tutti, e tre gli Altari della Medesima, cioè l’Al-tare Maggiore sotto il đ. (detto) titolo di Maria SS.mã di Porto Salvo, il Secondo di S. Giuda Tad-deo Apostolo e ‘l terzo di S. Francesco di Paola, giusto il Pontificale Romano; i Santi Martiri, che

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14 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

furono rinchiusi nel Sepolcretto di detti Altari sono S. Restituta V. e M., S. Simplicia V. e M. e S. Gioconda V. e M.

La Sacra Cerimonia riuscì con tutta pompa, e solennità, che durò per lo spazio di ore quattro, e mezzo.

Furono presenti a detta Sacra Cerimonia tutte le autorità locali Civili e Militari, non che il Sot-tindentente del Distretto di Pozzuoli Signor Na-varra, ed una gran popolazione venuta da tutte le parti dell’Isola, anche qualche famiglia dall’i-sola di Ventotene. Verso poi la metà della funzio-ne venne a bella posta, come si era compreso col nostro ottimo Prelato, il Nostro Religiosissimo Sovrano Ferdinando Secondo da Castellamma-re in unione del Principe Ereditario, e due altri Principi Reali cioè il Principe D. Luigi Conte di Trani e ‘l Principe D. [f.37] Alfonso Maria Conte di Caserta, con che quattro Generali, ed ufficiali Maggiori del Seguito del Re.

Il Prelodato Monsignor Vescovo celebrò la Messa Pontificale letta, e prima di dar principio alla đ. (detta) Messa fece un analogo Sermone adatto alla circostanza, che fece veramente una componzione di affetto ai circostanti, che taluni si vedevano uscire dagli occhi le lacrime. Dopo celebrata la S. Messa il Vescovo diede la bene-

dizione col SS.mõ nella sfera al Re ai Principi, ed a tutta quell’adunanza ivi accorsa. La detta Chiesa fu data dal Sovrano sotto la Giurisdizione del Vescovo d’Ischia coll’obligo di nominare lui il Cappellano, come infatti il Nostro Re nominò il Sacerdote D. Giosuè Lauro della medesima Villa de’ Bagni, che fu approvato dal Vescovo, con al-cune condizioni scritte al međ. (medesimo) Ret-tore e Vicario Curato Signor Castaldi, affinché in avvenire non ci sia controversia, dapoichè il Re ha fabbricato la đ. (detta) Chiesa coll’obbligo, che i Sacramenti in caso di morte escono dalla đ. (detta) Chiesa, cioè dagli abitanti, che sono dal-la Chiesa in sopra, perché il prelodato Sovrano essendosi trovato in tempo dell’ultimo Colera Morbus, e dovendo uscire il Viatico dalla Chiesa Succursale del Purgatorio, poteva l’infermo mo-rire per la distanza, per cui per comodo di questi, e pel nuovo Porto costruito nel Laco di detta [f. 38] Villa de’Bagni fece costruire detta Chiesa, che sarà a perpetua memoria della Religiosità del Gran Monarca Ferdinando Secondo, che Iddio sempre lo conservi incolume e per lunga serie di anni per bene di tutto questo Regno e della Re-ligione, di cui il Sovrano ne ha fatto delle largi-zioni.

Can.co Agnello Sassone Cancelliere

La chiesa di Portosalvo compie 160 anni (1857-2017)

Gli Archivisti dell’Archivio Diocesano d’Ischia, con questo secondo intervento, vogliono ricor-dare il 160° Anniversario della fondazione del-la chiesa di Santa Maria di Portosalvo in Ischia, proponendo la lettura delle due interessanti cro-nache scritte dal cerimoniere vescovile di Ischia Can.co Aniello Sassone nel suo diario dal titolo Liber ordinatorum memoriae ab anno 1847 ad annum 1874 custodito nell’Archivio Storico Dio-cesano d’Ischia. Le cronache documentano, come visto, la cerimonia per la posa della prima pietra della chiesa di S. Maria di Portosalvo, avvenuta il 26 settembre 1854 e la benedizione della chie-sa il 19 luglio 1857, entrambe le funzioni furono presiedute dal vescovo Mons. Felice Romano alla presenza del re Ferdinando II di Borbone accom-pagnato dalla corte (1).

In occasione della benedizione ed apertura della nuova chiesa, come riferisce il cerimoniere vesco-vile, sono consacrati i tre altari: l’altare maggiore dedicato alla Madonna di Portosalvo, quello del transetto destro a San Francesco di Paola e quello di sinistra a San Giuda Taddeo. L’altare maggiore è stato realizzato in marmi policromi e la porti-cina del ciborio rappresenta l’Agnello Mistico, è opera del noto argentiere napoletano Mattia Con-dursi. La Croce e la serie di candelieri sono rea-lizzati in legno intagliato e dorato, il Crocifisso è modellato in cartapesta dorata, opere di un arti-sta campano della seconda metà del XIX secolo. Sull’altare domina la maestosa pala che raffigura la Madonna di Portosalvo, dipinta nel 1855, il d’Ascia attribuisce l’opera al pittore isclano Vin-cenzo De Angelis, la D’Arbitrio invece al pittore Luigi Niccoli. Al centro del quadro vi è dipinta la Vergine Assunta in cielo portata da angeli, in alto la SS. Trinità su nubi tra putti. In basso si ammira una meravigliosa veduta del porto, questa è una

1) Per la storia della chiesa si consiglia i Cenni Storici sulla Chiesa di Portosalvo, a cura di Ernesta Mazzella, pubbli-cati nel numero precedente de La Rassegna d’Ischia, anno XXXVIII n. 3 pp 21-23.

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delle più antiche e prime rappresentazioni del porto d’Ischia, appena aperto nel 1854 per volere del monarca Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie. Infatti la chiesa fu fortemente voluta dal re come completamento del porto per offrire una maggiore assistenza religiosa agli abitanti dei nuclei di S. Alessandro, via Nuova dei Conti e di via Quercia. Il pensiero di dotare gli abitanti della zona, che allora erano contadini, pescatori e pa-stori, di un tempio anche più ampio delle esigenze della scarsa popolazione della contrada rientrava nel vasto e lungimirante progetto di trasforma-zione e di qualificazione di tutta la zona, sino ad allora poco sfruttata, in seguito avrebbe raggiunto il ruolo di una cittadina progredita proprio grazie alla realizzazione del porto. L’altare maggiore in fondo all’abside è andato in disuso in seguito alla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Dopo aver rimossa la balaustra in ferro battuto, fu eretto un altare rivolto al popolo (coram popu-lo), consacrato solennemente il 20 luglio 1978 dal vescovo mons. Diego Parodi. Su questo altare nel 1993 ha celebrato il Cardinale Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI.

Le pareti di destra e di sinistra dell’abside sono aperte per ospitare due palchetti rifiniti con ba-laustre finemente lavorate. Il palchetto di destra è dedicato alla cantoria, ove è collocato l’organo a canne opera del maestro organaro Vincenzo Petrucci, realizzato nel 1857, restaurato nel 2007

dalla Premiata Ditta Bottega d’Arte Organaria “Ponziano Bevilacqua” di Torre di Nolfi (Sulmo-na). Il palchetto di sinistra era riservato alla fa-miglia reale, da qui Ferdinando II assisteva alle celebrazioni senza che potesse essere visto dal popolo.

L’altare dedicato a San Francesco di Paola è realizzato anch’esso in marmi policromi. La pala che lo sovrasta è stata dipinta nel 1855 dall’artista Battista Santoro, rappresenta S. Francesco di Paola mentre attraversa lo stretto di Messina mi-mi-racolosamente trasportato sul suo mantello, il quale funge da scafo e da vela, sostenuto dal suo bastone, in compagnia di alcuni frati. La portici-na del ciborio è lavorata in argento sbalzato, reca l’immagine della Gloria del Sacramento, opera del noto argentiere napoletano Gennaro Russo.

Anche l’altare dedicato a San Giuda Taddeo è realizzato in marmi policromi. Il Crocifisso con la serie dei sei candelieri sono in legno scolpito e dorato.

La grande pala è stata dipinta nel 1855 dal pit-tore Vincenzo De Angelis e raffigura la Visione di Cristo a San Giuda Taddeo. La porticina del cibo-rio è opera della prima metà dell’800, rappresen-ta la bella immagine del Cuore di Gesù, creata dal noto argentiere napoletano Gennaro Russo.

Agostino Di LustroErnesta Mazzella

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Un anonimo San Pasquale Baylon nel Museo Diocesano di Ischia

Opera di Domenico Di Venuta?

di Ernesta Mazzella

Nel Museo Diocesano d’Ischia1 è custodita una pregevole scultura lignea raffigurante San Pa-squale Baylon. L’opera, allo stato attuale degli studi, è del tutto sconosciuta alla critica speciali-sta, si conosce solo la sua provenienza. Essa pro-viene dalla chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine in Serrara.

Il San Pasquale è raffi gurato in ginocchio, pog-è raffigurato in ginocchio, pog-, pog-gia su di un sasso, in atteggiamento di devozione. Nell’iconografia classica il Santo viene raffigura-to spesso nell'atto di adorare il Santissimo posto nell'ostensorio2. L’ostensorio può essere sorretto da un angelo o più angeli; la scultura isclana si presenta mutila di questo attributo iconografico, ma in origine v'era sicuramente, dato che nel lato destro della stessa fuoriesce un supporto in ferro che fa ipotizzare che vi era scolpito l’ostensorio.

Dopo un attento esame ed un lungo studio l’a-nonimo San Pasquale Baylon nel Museo Diocesa-no di Ischia lo si può considerare probabilmente opera dello scultore Domenico Di Venuta. Pale-sa, infatti, affinità stilistiche e compositive con diverse opere, in modo particolare con tre scul-ture di medesimo soggetto del Di Venuta, come il San Pasquale nella collegiata dell’Assunta di Bagnoli Irpino, quello nella chiesa madre di Vietri di Potenza e l’altro proveniente dalla chie-sa dei Santi Pietro e Paolo, ed attualmente nella matrice di Stio, opere realizzate dall’Artista tra il 1707 e il quarto decennio del 700. Stringenti cor-rispondenze con tali opere sono osservabili nella resa fisionomica, nelle capigliature che sembrano colpite dal vento e sono rese per fiammature, la morfologia e la gestualità enfatica delle mani, l’in-

1 AA.VV. Guida al Museo Museo Diocesano di Ischia, in Musei Diocesani della Campania, Poligrafica, Castellam-mare di Stabia, 2000; A. Di Lustro – E. Mazzella, Insulanae Ecclesiae pastores I pastori della chiesa d’Ischia, Fisciano Edizioni Gutemberg 2014, pp. 239-243; www.museodioce-sanoischia.it.2 Nell’iconografia il suo attributo principale è l’ostensorio, in quanto è considerato “il teologo dell’Eucaristia”, per le dispute che egli sostenne con i calvinisti di Francia, inoltre autore di un libro sulla reale presenza di Cristo nel pane e nel vino. Oltre alle dotte dissertazioni, l’Eucaristia fu il centro della sua intensa vita spirituale e meritò di essere proclamato da papa Leone XIII patrono delle opere euca-ristiche, e più tardi patrono dei congressi eucaristici inter-nazionali.

tensa carica espressiva nell’atteggiamento asceti-co del volto, l’espressione levigata e giovanile del volto, gli occhi rivolti al cielo. L’intaglio delle vesti condotte per piani con spezzature acuminate. Il movimento creato dall’andamento delle pieghe del saio e del mantello contribuiscono a bilancia-re la ieraticità dell’impianto compositivo. L’osser-vazione, dunque, dei dati stilistici ed iconografici porta a formulare questa ipotesi sull’autore dell’o-pera, che probabilmente possa essere lo scultore Domenico Di Venuta.

Chi è, dunque, quest’artista e dove ha operato? Si tratta di uno scultore più ignoto che sconosciu-to. Il primo studio è stato condotto dallo storico bagnolese Alfonso Sanduzzi suo concittadino, nel 19243. La critica recente ha riportato importan-

3 A. Sanduzzi, Memorie storiche di Bagnoli Irpino: dall’ori-gine fino alla metà del secolo XIX, Melfi 1924, p. 479; www.divenuta.it/domenicodivenuta.htm

Ischia - San Pasquale Baylon

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febbraio del 17444. Riguardo la sua formazione non è certo un soggiorno giovanile a Roma e a Firenze, come riferito dal San-duzzi, ma appare più fondata l’ipotesi formulata dalla studio-sa Gaeta5 e ribadita dal Borelli6 di un alunnato del Di Venuta presso il Colombo; tale ipotesi è corroborata dalle affinità stilisti-che tra le opere dei due artisti. Il Casciaro recentemente ha sug-gerito per il Di Venuta anche un legame ai modi della scultura di Nicola Fumo7. Nel catalogo delle opere dello scultore Domenico Di Venuta compaiono, oltre alle immagini sacre, anche figure che confermano l’attività di scultore presepiale, come afferma il Bor-relli: “Domenico Di Venuta, scul-tore in legno operante entro il primo trentennio del 700, è una recente acquisizione del presepe precarolino, a ragione di opere firmate e datate. In funzione di ciò è stato possibile assegnargli il “gruppo di famiglia” testé pre-sentato composto dai genitori e dal figlio. La presenza di questa (come di altre famiglie) nel pre-sepe induce all’idea che stesse-ro a rappresentare i ritratti dei committenti, come più tardi, nella seconda metà del 700, sarà più agevolmente dimostrato dai resoconti dei viaggiatori stra-nieri …”8.

La prima opera sicura del Di Venuta è il Cristo morto, datata

4 Ibidem. 5 L. Gaeta in Il Cilento ritrovato. La produzione artistica nell’antica Dio-cesi di Capaccio, catalogo della mostra (Padula, Certosa di San Lorenzo, 1990), Napoli 1990, p. 172. 6 G. G. Borelli, Sculture in legno di età barocca in Basilicata, Na, 2005, p. 30. 7 R. Casciaro, Seriazione e variazione: sculture di Nicola Fumo tra Napoli, la Puglia e la Spagna, in La Scultura me-ridionale 2007, II, pp. 248-249. 8 G. G. Borelli, Scenografie e scene del presepe napoletano, Napoli 1991, p. 61, fig. n. 46.

1704, custodita nella collegiata dell’Assunta di Bagnoli Irpino; per la stessa collegiata l’artista realizza nel 1707 il San Pasqua-le Baylon, il quale risulta stili-sticamente prossimo all’analo-go soggetto, il San Pasquale del Museo Diocesano d’Ischia, come già scritto, anche se quest’ulti-mo non presenta sulla base una gloria di cherubini come quello di Bagnoli. Sempre per la col-legiata dell’Assunta realizza in questi stessi anni, probabilmen-te, anche il San Lorenzo, l’Addo-lorata e l’Ecce Homo, il Borrelli attribuisce allo stesso periodo il San Pasquale Baylon nella chiesa Madre di Vietri di Potenza9.

In queste opere il Di Venuta mostra una particolare attenzio-ne all’efficacia espressiva conno-tando le sue sculture di un forte verismo che lo rendono, come sostiene la Gaeta, il più “colom-beggiante” tra gli scultori noti. Di recente la Studiosa ha ipotizzato una collaborazione del Di Venuta al San Gianuario della matrice di Marsico Nuovo opera firmata dal Colombo. Un chiaro riferimento ai modelli del maestro sono an-cora ravvisabili in alcune scultu-re come l’Ecce Homo di Bagnoli Irpino, il quale mostra evidenti riferimenti al San Strato opera del Colombo, custodito nell’o-monima chiesa in Pozzuoli,10 il San Rocco nella chiesa di San-ta Maria delle Grazie a Mercato San Severo, il San Cono nella cattedrale di Teggiano ed il San Gennaro nella cappella di San Giuseppe a Sala Consilina, opere firmate e datate dal Di Venuta nel 171511. Dopo il 1715 nel catalogo dell’artista compare soltanto la

9 G. G. Borelli, Sculture in legno op. cit., p. 30; fig. 82.10 L. Gaeta, Giacomo Colombo tra compari, amici e rivali, in Sculture 2007. 11 L. Gaeta, in Il Cilento ritrovato op. cit., p. 180.

San Pasquale Baylon di Bagnoli Irpino

San Pasquale Baylon di Vietri di Potenza

ti ritrovamenti. Le notizie bio-grafiche su questo scultore, operante al seguito di Giacomo Colombo, sono attualmente piut-tosto esigue.

Domenico Di Venuta nasce il 28 maggio 1687 a Bagnoli Irpi-no da Tommaso e Maddalena Nicastro, muore a Napoli il 3

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18 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

Sant’Irene realizzata per la chie-sa di Santa Maria dell’Assunta a Magliano Nuovo, come opera firmata e datata nel 173512. Del-lo stesso periodo possono essere indicate alcune opere non firma-te, ma considerate autografe. Di recente la Sorrone ritiene opera

12 L. Avino, Per gli inventari napoleo-nici opere d’arte nel Salernitano, Baro-nissi 2003, fig. 86.

degli anni venti l’Immacolata nell’omonima chiesa in Casara-no; tale opera era stata attribuita al Di Venuta dal Casciaro13 come anche la Maddalena di Uggiano.

Il San Pasquale Baylon di Stio è datato dall’Avino agli inizi del quarto decennio del’70014, lo stu-dioso attribuisce anche la scultu-ra raffigurante la Madonna delle Grazie custodita nella chiesa di San Benedetto a Teggiano. La Gaeta ascrive allo scultore altre due opere: il San Martino nella chiesa dedicata al santo in Ser-re ed il busto rappresentante la Santa Lucia custodita nella chie-sa dell’Assunta di Magliano Ve-tere15.

L’ipotesi di ascrivere allo scul-tore Domenico Di Venuta il San Pasquale Baylon del Museo Dio-cesano d’Ischia scaturisce quin-

13 R. Casciaro, Seriazione e variazione op. cit., pp. 248-249.14 L. Avino, Per gli inventari op. cit., p. 55. 15 L. Gaeta, in Il Cilento ritrovato op. cit., p. 180.

San Cono

di dall’attenta analisi dell’opera, in mancanza purtroppo di altri dati certi per il momento, come quelli tratti dai documenti stori-ci, che in genere permettono di ricostruire una parte o le intere vicende di un artista, una botte-ga, o svelano anche notizie im-portanti riguardo il committente, permettendo di formulare un’at-tribuzione sicura dell’opera.

Quest’opera infine conferma l’importanza dell’isola d’Ischia in passato. Infatti, l’Isola non è sta-ta del tutto estranea al fermento culturale, al contrario è la patria dei famosi scultori Gaetano e Pietro Patalano16, tra i suoi abi-tanti vi sono stati anche grandi committenti.

*Si ringrazia la Professoressa Leti-zia Gaeta. Docente di Storia dell’Ar-te, Università del Salento.

Ernesta Mazzella

16 A. Di Lustro, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano tra Napoli e Cadice, Napoli, Arte Tipografica 1995.

Ischia - San Pasquale Baylon (particolare)

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 19

Quale funzione assume l’isola d’Ischia nel sistema Miceneo alla luce delle ultimissime

e importantissime scoperte di Vivara ? Analisi e riflessioni

di Gianni Matarese

I primi villaggi stanziati nelle isole del golfo na-poletano sono stati, sin dall’inizio della loro esi-stenza, considerati tappe importanti e punti di riferimento per quegli uomini preistorici che sol-cavano il mare.

Essi si spingevano in luoghi lontani e scono-sciuti per commercializzare le materie prime più richieste.

Non si trattava solo di materiali utili per fabbri-care attrezzi, ma anche di oggetti non indispen-sabili ma che possedevano, per gli uomini del tempo, un valore ideologico di carattere estetico, culturale, simbolico o religioso.

Durante il periodo neolitico, gli scambi com-merciali legati alla diffusione dell’ossidiana e del-la selce, avevano messo in contatto popoli e cultu-re diverse.

Le assidue relazioni che ne derivarono sono alla base della nascita di una koinè marinara comune che si svilupperà in seguito ai successivi traffici dei metalli (rame - stagno - oro - argento - piom-bo ecc.).

Il mare Mediterraneo diviene quindi un ele-mento di unione tra popoli.

Alla base di ciò che potremo definire “parente-la culturale” risiede, forse, l’antichissima pratica dell’ospitalità.

Alcuni storici, in riferimento al culto di Deme-tra, ritengono che esso alluda alla acculturazione agricola del Neolitico, mettendo in evidenza come tali incontri potessero essere veicoli di nuove tec-niche e conoscenze.

“Già nel neolitico esistevano quindi in tutta Europa alcuni “centri” che costituivano punti di riferimento importanti per lo stoccaggio e la di-stribuzione delle materie prime”1.

Il ritrovamento, in prossimità dei fondali di Ca-pri, di una imbarcazione che trasportava ossidia-na e alcuni reperti di ossidiana e selce importata ad Ischia testimoniano i traffici e le intense fre-quentazioni praticate nel golfo napoletano.

1 Carlo D’Adamo Sardi, Etruschi e Italici nella guerra di Troia.. Edizioni Pendragon, 2011.

I Micenei sfrutteranno l’antica rete di scambio ampliandola e perfezionandola, dando vita ad una “globalizzazione” che coinvolse gran parte dell’Europa.

Dall’estremità orientale dell’Europa meridiona-le fino all’estremità occidentale si formerà una fit-ta rete di “scambi commerciali e di relazioni cul-turali2” a cui gli storici hanno dato la definizione di sistema miceneo3.

La struttura di tale sistema aveva lo scopo di controllare le attività economiche legate ai metalli e coinvolse diverse genti: Ciprioti, Euboici, Italici, nord Africani che, come afferma il D’Adamo, “sa-ranno coloro che erediteranno gli spezzoni dopo la crisi di questa civiltà”.

Nel XVII secolo a.C. i traffici commerciali au-mentano nel Tirreno meridionale. L’attenzione è

2 Ibidem.3 Dei gruppi di esploratori che avevano lo scopo di indivi-duare i giacimenti metalliferi; gruppi di tecnici (minatori e fonditori) che si occupavano dell’estrazione e della fusione del metallo che veniva come risultato finale trasformato in pani. Infine gruppi di mercanti che si interessano allo stoc-caggio ed al trasporto nei vari empori e nelle regie micenee.

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20 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

rivolta verso i piccoli arcipelaghi come le Eolie e le isole Flegree. Lo scopo era quello di accaparrarsi le materie prime presenti in Sicilia, nel Lazio e in Toscana.

E’ in questo periodo che i Micenei cominciano ad affermarsi “come gruppo dominante nella Grecia continentale4”.

Le testimonianze archeologiche rinvenute sull’i-solotto di Vivara dimostrano che vi sia stato “un contatto transmarino stabile5” con il mondo pe-loponnesiaco già attorno alla metà del XVII seco-lo a.C.

Ma che tipo di contatto si instaurò tra i due popoli?In un primo momento gli studiosi credevano

alla tesi dell’apporto miceneo, in cui la comunità Vivarese conservò una sua distanza culturale ri-spetto ai prospettori greci.

Oggi gli studiosi non sono più sicuri di questo. Grazie alla lettura delle recenti scoperte ed all’a-nalisi accurata di quelle fatte in passato ci si è resi conto che ci troviamo di fronte ad una situazione più complessa.

Si è convinti di un contatto del tipo “composi-zione multietnica” o “ comunità franca” di “genti che nella comune esperienza marinara ritrova-no un legame di stretta solidarietà e di intensa comunicazione6”.

Tra i numerosi reperti di Vivara-Procida vi sono manufatti pregiati Egeo-Micenei destinati al ban-chetto ed una vasta gamma di altri tipi di vasi che di solito non erano destinati all’ esportazione; tra questi primeggiano grandi orci leggeri adatti al trasporto per il mare.

In alcuni casi, le argille usate erano di prove-nienza locale, probabilmente ischitana.

Si pensa che vasai egei, insieme ad altri artigia-ni, abbiano operato sull’isola, introducendo persi-no l’uso del tornio.

L’attività primaria che maggiormente veniva praticata, come dimostrano le numerose struttu-re fusorie presenti su tutta l’isola, consisteva nel fondere i metalli.

I fabbri vivaresi conoscevano con estrema preci-sione il punto di fusione dei vari metalli.

Essi erano in grado di produrre un ottimo bron-zo dalla durezza e resistenza ottimale.

4 Ibidem.5 V. la Rosa, D. Palermo, L. Vagnetti, I Micenei a Vivara o i Micenei di Vivara? Un bilancio delle ricerche a vent’an-ni dall’inizio degli scavi, in Simposio Italiano di studi Egei, Edd Roma 1999.6 Ibidem.

Venivano fabbricati spilloni, recipienti in lami-na bronzea e punte di frecce.

La comunità si dedicava inoltre ai processi di accumulo e restribuzione del metallo.

Il ruolo commerciale delle isole Flegree termi-na con molta probabilità nel XIV secolo, a causa di un nuovo collegamento tra l’Egeo ed il Tirreno meridionale.

Questa nuova via soppiantò la rotta passante per Vivara-Procida.

A questo stesso periodo risalgono le testimo-nianze micenee Ischitane del villaggio del Casti-glione.

Se ad oggi non sono presenti reperti archeolo-gici che possano dimostrare presenze micenee, antiche quanto quelle di Vivara, dipende, forse, dal fatto di una insufficiente esplorazione arche-ologica dell’isola.

Il versante ischitano che potrebbe essere in-teressato da tali ricerche è quello molto vicino a Vivara e che guarda frontalmente Punta d’Alaca, il punto piu alto di Vivara corrispondente, grosso modo, alla Mandra o Punta molino ed il suo in-terno.

Si tenga presente che tale zona, purtroppo, è stata ricoperta dalla colata lavica dell’Arso del 1302 che ha modificato persino la linea della co-sta; è probabile che, nonostante l’intensa attivi-tà edilizia, non si sia scavato oltre la roccia assai dura formatasi con il passaggio della lava.

Che cosa aveva da offrire l’isola d’Ischia?

1) Acqua ,Viveri e legname :Vivara, a quel tempo unita a Procida, era priva

di sorgenti naturali.Inoltre, a causa delle piccole dimensioni del ter-

ritorio, si privilegiava l’allevamento dei suini a di-scapito della pastorizia.

Si è notato che l’età di macellazione relativa-mente bassa indica uno sfruttamento intensivo delle risorse animali allevate in loco; non solo, il ridotto uso delle risorse marine sia per quanto riguarda i prodotti ittici che la raccolta dei mollu-schi, e la presenza dell’arvicola portano a pensare che molte risorse alimentari, provenissero dall’e-sterno.

L’isola d’Ischia, molto vicina all’isola di Vivara - Procida, era forse maggiormente raggiungibile grazie alla presenza di lagune costiere7.

7 Come si evince dal consumo delle orate di grandi dimen-sioni. Secondo gli studiosi tali esemplari raggiungono il loro

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 21

2) Argillacome scrive il Buchner, il giacimento d’Ischia

altro non è “che l’antico fondo marino formato da ceneri vulcaniche dilavate e argillificate, sol-levato con l’emersione dell’isola: esso è infatti l’unico esistente nella regione intorno al Golfo di Napoli8”.

3) Oro, allume, zolfo e altri minerali“Di fronte al Capo Miseno c’è l’isola di Procida

che è un pezzo distaccato di Pitecusa.Pitecusa fu colonizzata da Eritresi e Calcidesi,

i quali, sebbene vi prosperassero per la fertilità del suolo e per le miniere d’oro, l’abbandonaro-no9”.

Si è molto discusso sul termine Kruseia utiliz-zato da Strabone; a tal proposito, scrive il Pipino:

“ L’attitudine ad attribuire ad errori delle fonti i particolari che non si riescono a spiegare, è piut-tosto comune, ma, fortunatamente, il progresso delle conoscenze porta talora a riconoscere la giustezza di notizie in precedenza ritenute prive di fondamento”... “che poi oggi non si trovi trac-cia di oro nell’isola non deve recare meraviglia, dato che l’oro non cresce come i funghi e, una volta esportate completamente le parti affioranti dei filoni, non ne rimane più traccia10”.

Ma oltre a Strabone, come nota il geologo, è possibile ritrovare in fonti più recenti segnalazio-ni di presenze aurifere sull’isola.

Elisio (1500): “(l’isola) abbonda di solfo, allume e oro, come fu in passato accertato dagli eccellenti e perspicacissimi veneti11”.

Iasolino (1588) :”... e sono in essa miniere d’o-ro, come è manifesto non solo per quello che la-sciò scritto Strabone, ma anche col testimonio de’ moderni; si come si dimostra con l’autorità di Giovanni Elisio: il quale nel suo libro, che scrive l’isola d’ischia è abbondante e ferace di frutti, di eccellentissimo... vino generoso, di solfo, di allu-me e d’oro, come ancora l’hanno ritrovato e spe-

massimo sviluppo (5 Kg) nelle acque lagunari nel periodo estivo.8 Giorgio Buchner, Alfred Rittmann - Origine e passato dell’isola d’Ischia, Intodruzione di Amedeo Maiuri. Prefa-zione di Giovanni Castagna, Imagaenaria edizioni Ischia anno 2000.9 Strabone - Geografia V. 910 Giuseppe Pipino, Oro e allume nella storia dell’isola d’I-schia. In La Rassegna d’Ischia, n. 6 / 2009.11 Giovanni Elisio. Li bagne annexi de la insula de Hiscla detta Enaria, 1519

rimentato i nobilissimi e ingegnosissimi signori veneziani”...

E poco oltre ...” vi è anco la miniera dell’oro a Campagnano vicino alla cappella di San Sebastia-no12”...

Sempre a Campagnano, come scrive il Pipino, l’autore segnala la presenza di altri interessanti elementi “geo-minerari”: “Viene dopo il promon-torio detto della Parata... dopo l’altro detto della Pisciazza della vecchia, così chiamato per una li-nea minerale, che in esso si vede, che scende dal monte sopra il casale di Campagnano... si ve-dono in quelle rupi (lungo il mare) li colori delle miniere, e massimamente del ferro, e dell’ocri; e copiosa di arena nera, ferrigna, che tira la cala-mita come il ferro13”.

Come nota il Pipino, dalle letture dello studio del Buchner, Iasolino era un profondo e scrupo-loso conoscitore dell’isola.

Inoltre, doveva aver letto l’opera di Elisio; ed in-fatti ne riporta importanti passi, con piccole mo-difiche e con integrazioni dovute alle sue osserva-zioni personali.

Le ricerche e gli studi del Pipino condotti sull’i-sola d’Ischia dimostrano la possibilità che l’isola ospitasse giacimenti auriferi del tipo epitermale (oro invisibile).

Egli in proposito scrive:“sono state riscontrate, al momento, soltanto

lieve anomalia (d’oro) in alcuni livelli piroclasti-ci e ai contatti tra vulcaniti ignimbritiche e se-dimenti marnoso-arenacei; locali arricchimenti superficiali stanno forse alla base dell’antico ri-trovamento aurifero citato da Strabone14”.

Dopo tali valutazioni assume un certo interesse il ritrovamento di un applique d’oro puro ritrova-to sull’isola di Vivara, molto simile per fattura a quelle coeve scoperte a Micene.

Secondo gli studiosi, la forma potrebbe richia-mare un’ ape o un motivo floreale.

Le analisi su l’oro ritrovato sono ancora in corso e, francamente, non sono riuscito a capire se gli studiosi abbiano pensato alla possibilità che esso possa essere di provenienza ischitana; attendia-

12 Iasolino Giulio, De rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia 1588. “La localizzazione delle miniere d’oro a Campagnano fu probabilmente suggerita a Iasolino da ricordi ancora vivi sul posto e, a quanto dice, egli poté vederne le tracce”.13 Ibidem.14 Giuseppe Pipino, Oro e allume nella storia dell’isola d’I-schia. In La Rassegna d’Ischia, n. 6 / 2009.

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mo con molto interesse i risultati finali delle loro ricerche.

Per quanto riguarda la presenza e lo sfrutta-mento di Allume e zolfo, abbiamo testimonianze documentali molto antiche già a partire dal 1131;a tal proposito, molto preziose sono state le ricer-che di Agostino di Lustro.

Piastrelle / cocci Rileggendo il testo di Buchner e Rittmann a pag

70 scopriamo: “Ancora un piccolo, intimo particolare ci re-

sta da menzionare. Tanto a Vivara, negli strati dell’età del bronzo, quanto a Castiglione, in quelli dell’età del bronzo e del ferro, sono state trova-te piastrelle tonde ricavate da cocci”... “E oggi si possono osservare i ragazzini isolani che gioca-no sulle strade con piastrelle identiche ritagliate da un coccio. Con tanta tenacia si è conservata, attraverso più di tre millenni, la tradizione di questo gioco elementare!15”

In realtà, secondo le ultime valutazioni degli studiosi che hanno analizzato le scoperte fatte a Vivara, tali piastrelle non vanno considerate come le pedine di un gioco; piuttosto, esse avevano un ruolo molto importante che riguardava il contat-to con il mondo miceneo.

Questi gettoni fittili erano utilizzati come forme di memorizzazione e registrazione per eseguire un preciso computo e, forse, un controllo degli approvvigionamenti e delle merci.

Erano di diverse forme (circolare - semicircola-re - quadrangolare) ; probabilmente ad ogni for-ma si doveva far corrispondere un qualche tipo di bene del quale si intendeva mantenere memoria.

Per ogni forma, inoltre, sono attestati gettoni di diverse grandezze16.

Sistemi identici erano diffusi sia nel mediterra-neo orientale, che in diversi punti strategici del bacino occidentale, come Ustica e le isole Eolie. Sempre a Vivara è stato scoperto un frammento di tavoletta recante sulla superficie di una delle sue facce indicazioni numeriche per mezzo di tac-

15 Giorgio Buchner - Alfred Rittmann, Origine e passato dell’isola d’Ischia. Intodruzione di Amedeo Maiuri. Prefa-zione di Giovanni Castagna. Imagaenaria edizioni Ischia anno 2000.16 È stata trovata a Vivara una conchiglia lavorata per ot-tenere una tessera sub rettangolare.

che circolari; ciò ricorda molto da vicino le tavo-lette d’argilla micenee a forma di foglie di palma17.

Gianni Matarese

Bibliografia

- Corso di Laurea Magistrale in scienze dell’antichi-tà: Letteratura, Storia e Archeologia.

Tesi di Laurea : Cipro e l’Italia tra il tardo Bronzo e la prima età del Ferro, di Chiara Gregorini,

prof. Filippo Maria Carinci 2012-2013.- Giulio Iasolino, De’ rimedi naturali che sono nell’i-

sola di Pithecusa hoggi detta Ischia 1588, - V. la Rosa, D. Palermo, L. Vagnetti, I Micenei a Vi-

vara o i Micenei di Vivara? Un bilancio delle ricerche a vent’anni dall’inizio degli scavi, in Simposio Italiano di Studi Egei, , Edd Roma 1999.

- Alfredo Carrannante, Salvatore Chilardi, Armando Nappi, Carla Pepe, Federico Santo, Indagini archeozo-ologiche sul sito dell’età del Bronzo di Vivara - Punta d’Alaca, Procida (Na):- risultati preliminari.

- Giovanni Elisio, Li bagne annexi de la insula de Hi-scla detta Enaria 1519.

- Giorgio Buchner - Alfred Rittmann, Origine e pas-sato dell’isola d’Ischia, Intodruzione di Amedeo Ma-iuri. Prefazione di Giovanni Castagna. Imagaenaria edizioni Ischia anno 2000.

- Giuseppe Pipino, Oro e allume nella storia dell’iso-la d’Ischia. In La Rassegna d’Ischia, n. 6 / 2009.

- Carlo D’Adamo, Sardi, Etruschi e Italici nella guer-ra di Troia. Edizioni Pendragon, 2011.

Sito: Vivara riserva naturale statale - la Preistoria.

17 V. la Rosa, D. Palermo, L. Vagnetti, I Micenei a Vivara o i Micenei di Vivara? Un bilancio delle ricerche a vent’an-ni dall’inizio degli scavi, in Simposio Italiano di Studi Egei, , Edd Roma 1999

Vivara - Casa colonica

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Premessa

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,una lonza leggiera e presta molto,che di pel macolato era coverta;

non mi si partia dinanzi al vólto,anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

(Dante, Inferno I, vv. 31-36)

Carmen Iorio e Filippo Felacodue artisti alla ricerca di un proprio

percorso creativo con le loro opere che rispondono al desiderio dell'uomo di conoscere

il proprio futuro e il ruolo nel mondo e nella società***

Protagonisti della Mostra "Volti a Napoli"

nella Sala Corradino di Svevia

di Carmine Negro

Dante, smarrito nella selva, ha intravi-sto una via di salvezza al di là del monte. Vi si frappongono però tre fiere spaventose: una lonza, un leone e una lupa. Spaventa-to a morte e senza la guida di Virgilio, è se-riamente tentato di tornare sui suoi passi. In questo caso la parola “volgere”, evidenzia un duplice artificio: vólto, nel senso di viso e vòlto come participio di volgere. Insieme formano quella che viene definita una rima equivoca: una rima che utilizza parole di significato diverso, ma dalla pronuncia sostanzialmente identica. La sola differenza sta nella maggiore o minore apertura della “o”. Ma non è finita: nel verso 36 abbiamo anche una figura etimologica “più volte volto”, ossia l’accostamento tra parole che hanno la stessa radice. Volendo, potremmo considerare persino la rima tra vòlto e vólto una figura eti-mologica, ammesso che anche vultus derivi da “volgere”, come alcuni ipotizzano.

In sintesi potremmo considerare il termine “volto” come proveniente dal verbo volgere che

descrive un girare verso qualcosa, una direzio-ne, lo scorcio di un’intenzione, la ricerca di un successo o il carattere di mutamento di direzio-ne. In questo caso volgere diventa trasformare. Si può anche considerare “volto” come aspetto, fac-cia, viso o anche fisionomia, indole, natura.

I due significati della parola volto ben si adat-tano all’etimo del termine arte. L’etimologia della parola arte deriva dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa andare verso, ed in senso tra-slato, adattare, fare, produrre. Questa radice la ritroviamo nel latino ars, artis. Originariamente, quindi la parola arte aveva un’accezione prati-ca nel senso di abilità in un’attività produttiva, la capacità di fare armonicamente, in maniera adatta. L’arte? .. un percorso, la trasformazione di un contenuto che modifica la forma e cambia l’immagine. La rima equivoca e la figura etimo-logica frutto dall’analisi del testo di Dante, sono senza dubbio di contrasto a quell’univocità del testo totem della linguistica moderna ed essen-ziale per una qualsivoglia codificazione di uno scritto nel contesto tecnologico contemporaneo. Sono un’attività specificatamente umana.

La mostra “Volti a Napoli” ha inteso presentare entrambe le accezioni e, attraverso l’ambiguità di un termine, spaziare nei meandri della ricer-

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ca che da sempre è alla base di un percorso artistico. Filippo Felaco, attraverso 30 pagine del suo diario fatto di sculture in miniatura inserite in riquadri 20 cm x 20 cm, racconta Napoli

e le sue stratificazioni. Carmen Iorio, attraverso la rappresen-tazione di volti, è lì a raccontare la manifestazione dell’interio-rità, dell’irrazionalità umana o dell’abbandono ai sensi. Car-

men e Filippo hanno una lun-ga esperienza nell’operare con i materiali: sanno leggerne le potenzialità, sentirne il respiro più profondo, utilizzarli con ma-estria e perizia.

Filippo Felaco

L’opera presentata da Filippo, “Cento Camerelle”, prende il nome da un monumento ar-cheologico romano, costruito a Miseno a picco sul mare del gol-fo di Napoli. Fu di proprietà del console romano Quinto Ortensio Ortalo, successivamente acqui-stato dalla madre dell’impera-tore Claudio, poi appartenuto a Nerone, ed infine a Vespasiano. L’edificio, che consta di numero-si vani, distribuiti in altezza su tre - quattro piani, è interamente scavato nel tufo ed è conosciuto anche come “Prigione di Nero-ne”. Nel tardo Seicento gli fu at-tribuito il nome attuale “Cento

Inaugurazione della mostra nella sala Corradino di Svevia

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Camerelle” proprio per indicare il numero enorme di locali che non si finiva mai di scoprire. In esposizione ci sono 30 cubi di ce-ramica che chiameremo moduli narrativi; saranno 100 quando l’opera sarà completata. Sono al-trettanti “volti” della città, aspet-ti di una Napoli delle meraviglie che non si finisce mai di conosce-re, non si finisce mai di scoprire. Un modulo narrativo importante è quello dedicato a S. Gennaro, icona di una Napoli alla ricerca di una sicurezza contro le tragedie della natura e dell’uomo. Il fulcro della devozione è legato al rosso fuoco dello scioglimento del san-gue. Oltre che in rosso, S. Genna-ro è rappresentato anche con un immacolato bianco e nero, tipico delle figurine antiche.

Struggente il modulo del car-dellino con le sbarre della gabbia in parte divelte ma non abba-stanza da restituirgli la libertà. In tutto il Sud Italia ma, special-mente, in quello che fu una volta il Regno delle due Sicilie, esiste-va ed esiste una tradizione se-colare, importata dagli spagnoli che a loro volta la debbono agli arabi: selezionare cardellini da canto. Questo uccello, che non vive in cattività ma libero, viene catturato e fatto prigioniero per il suono del suo canto: un reper-torio canoro straordinariamente vario, costituito da innumerevoli vocalizzi con differenti funzioni legate alla sfera della socialità ed in particolare ad attirare ed indurre alla nidificazione la fem-mina. Per rendere ancora più struggente il canto questi uccelli vengono accecati con una prati-ca barbara ancora oggi molto in voga. Non aiuta ad abbandonare questa pratica una leggenda par-tenopea che attribuisce la capaci-tà, a quanti lo ascoltano, di cam-biare il destino.

E ancora i moduli con le ma-schere variopinte di pulcinel-

la dai colori sgargianti, vivaci e chiassosi, come la realtà popo-lare che si svela agli angoli della strada o nei palcoscenici verticali dei palazzi in spettacoli popo-lari improvvisati da commedia dell’arte. Colori che riverberano le discussioni dove la magmatica fantasia e l’avvincente narrazione hanno come protagonisti gli abi-tanti della città, maturi gentiluo-mini, operai, sfaccendati, giovani popolane, adolescenti inquieti ed irrequieti, casalinghe e signore di alto rango. Trascorrono il loro tempo tra fatui pettegolezzi, litigi condominiali, piacevoli convene-voli, ardimentose discussioni.

Non manca la descrizione della forte relazione tra sacro e pro-fano e tra presente e passato. In una città dove anche la morte è scoppiettante, il modulo sulle anime del purgatorio ricorda il rito dell’adozione. L’estinto con-tinua a vegliare e a indirizzare il presente descrivendo una linea del tempo che non conosce inter-ruzioni.

Filippo osserva, vive, descrive. Domina una tecnica felicemen-te costruita e sperimentata negli anni. Sa modellare con sapienza le sue forme che riveste di una cromaticità, a tratti sorprenden-te. È capace di realizzare figure evocative e narrare racconti at-traenti che risveglia dalle viscere della città. Nei moduli narrativi ci sono pagine dense di garba-ta ironia, altre caratterizzate da melodiosa poesia, altre che evi-denziano uno stile palesemente spettacolare. Sono altrettanti aspetti di una città che fa del-la tra sfigurazione scenica un modello di vita e Filippo è il de-miurgo capace di rendere l’osser-vatore partecipe e cosciente dei vizi e delle virtù che ci affliggono collettivamente, protagonista di quegli affetti e quelle passioni che ci caratterizzano singolar-mente.

Carmen Iorio

“In un’estasi mi apparve un angelo tangibile nella sua costi-tuzione carnale e era bellissimo; io vedevo nella mano di questo angelo un dardo lungo; esso era d’oro e portava all’estremità una punta di fuoco. L’angelo mi penetrò con il dardo fino alle vi-scere e quando lo ritirò mi lasciò tutta bruciata d’amore per Dio. […] Nostro Signore, il mio sposo, mi procurava tali eccessi di pia-cere da impormi di non aggiun-gere altro oltre che a dire che i miei sensi ne erano rapiti".

Questa estasi, descritta da S. Teresa d’Ávila, monaca vissuta durante il viceregno spagnolo e ritratta in una celebre scultura dal napoletano Gian Lorenzo Bernini per la cappella Cornaro della chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, ben rappresen-ta l’opera di Carmen Iorio nella mostra Volti. Come per l’opera del Bernini il volto della santa, compatrona di Napoli, è ab-bandonato e rivolto verso l’alto, in totale rilassamento, stanco e provato dall’incombente espe-rienza mistica. Gli occhi socchiu-si e orientati al cielo raccontano un completo trasporto emotivo e fisico. Il viso, esempio di mas-sima e dolce bellezza, evidenzia tratti somatici delicati e giovani; da una bocca semiaperta sembra emergere un gemito dovuto all’e-stasi. Per la rivisitazione dell’e-sperienza mistica della santa, la Iorio utilizza per il suo lavoro, oltre ai colori, il collage. La pa-ternità dell’uso di questa tecnica in arte, una lunga tradizione in Oriente, spetta a Pablo Picasso che nel 1912 in Natura morta con sedia impagliata inserisce

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nel quadro un pezzo di tela cerata stampata a can-nicciata per rappresentare una sedia. Anche Juan Gris, sempre nel 1912, ne Il lavabo incolla parti di uno specchio, mentre i futuristi selezionano, in base alle frasi riportate, frammenti di giornali che poi utilizzano per aggiungere all’opera il messag-gio della carta stampata.

In Estasi 1 (2016) l’autrice utilizza il collage al modo di Mirò, come mezzo di esplorazione del subconscio per l’accostamento casuale di mate-riali diversi sulla superficie del quadro. Riper-corre l’esperienza dei Nouveaux réalistes quando strappa e lacera parti di immagini preesistenti prima di incollarle su tela. Il risultato? Un‘opera emozionante mistica e carnale allo stesso modo, dove le stratificazioni e le velleità del tempo (la cornice barocca che circonda il volto) non scalfi-scono i sentimenti e le passioni che albergano da sempre nell’animo umano.

L’opera Banksy does Naples (2017) porta dise-gnato sulla tela il busto di una Madonna che ri-corda lo stencil1 di piazza dei Gerolomini, la “Ma-donna con la pistola”. Sul petto della Vergine è cucito, con fili ben evidenti, un grande cuore rosso

1 La tecnica dello stencil consiste nel ricavare su un supporto rigido una maschera in negativo dell’immagine che si vuole creare. La me-desima immagine viene riprodotta su una superficie attraverso l’ap-plicazione di vernice o altro materiale colorante sulle parti mancanti del supporto. Http://www.treccani.it/enciclopedia/stencil-art/

simile a quelli degli ex voto. È l’omaggio della Io-rio a Banksy considerato uno degli esponenti più famosi al mondo della street art. La composizio-ne sembra prediligere l’ipotesi che, dietro questa identità, tenuta gelosamente segreta, si celi il mu-sicista (e graffitista) Robert Del Naja dei Massive Attack, grande tifoso del Napoli, passione tra-smessa da suo padre Franco, originario di Torre del Greco che, all’inizio degli anni ’60, si imbarcò su una nave diretta a Brighton per cercare lavoro e aprirsi un pub. Il componimento è costituito da due pannelli: quello in alto, che porta una coro-na con tanti raggi in bianco e nero e una pistola al centro, è rigato da un rivolo rosso sangue. Il pannello in basso, con il busto della Madonna e il cuore, presenta raggi di varie tonalità di grigio su cui dominano frammenti di giornali, rossi come il cuore, intrisi di quotidiano. Sembra quasi che Banksy abbia fatto un pellegrinaggio a Napoli e regalato un cuore fiammeggiante ad indicare l’ar-dore della donazione, un fervore ed impeto che può venire prima dalla ricerca e poi dalla consa-pevolezza delle proprie radici. Le stesse che tro-viamo in Santa Maradona dove il simbolo della città calcistica porta con sé i sogni colorati del bambino della favelas o del Mercato o di Forcella. Carmen con un linguaggio moderno sa catturare con i suoi lavori lo spettatore e coinvolgerlo nelle

Carmen Iorio - Estasi 1

Carmen Iorio - Banksy does Naples

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sue narrazioni. Rivisita e ricompone le opere mo-strando significante e significato delle stesse, sen-za tralasciare le stratificazioni del tempo, senza scalfire ma evidenziando il messaggio originario.

***

I due artisti hanno realizzato le loro opere dopo aver sviluppato, con consa-pevolezza, le abilità legate ai materia-li e alla loro trasformazione. Un lungo esercizio “di bottega” ha consentito una gestione originale e puntuale dell’esecu-zione sia sul piano della “performance” sia su quello della padronanza dei siste-mi simbolici, vale a dire sulla capacità di realizzare relazioni logiche tra i vari elementi costitutivi dell’opera stessa. Non manca accanto a questo aspetto più “co-gnitivo” quello “affettivo" che coinvolge ed emoziona.

Le opere di Carmen e Filippo hanno la capacità di rievocare storie smarrite nei labirinti della memoria ed evocare im-pulsi, affetti e passioni da sempre motore dei comportamenti degli uomini. Sanno coinvolgere e far vibrare, suscitare en-tusiasmo e turbamenti, rendere coscienti e far riflettere. Sono opere di due artisti alla ricerca di un proprio percorso creati-vo, che rispondono al desiderio dell’uomo di conoscere il proprio futuro e il proprio ruolo nel mondo e nella società proprio come il “pellegrino” Dante che compie il viaggio per conoscere la propria missio-ne: essere la guida di un rinnovamento spirituale. Si sa che ogni percorso ha una sua specificità, una ricerca di soluzioni, tra barlumi di luce e crepuscoli fatti di solitudini e abbandoni. Il viaggio diven-ta sofferenza, penitenza, come per l’anti-chità. Anche per questo viaggio, elemen-to indispensabile è la paura che coglie il viandante: Dante, impaurito dalle tre belve della "selva oscura", vorrebbe fug-gire attraverso il "dilettoso monte" e sa-lire immediatamente verso il bene, ma deve prima conoscere tutte le manifesta-zioni del male del mondo.

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,una lonza leggiera e presta molto,che di pel macolato era coverta;

non mi si partia dinanzi al vólto,anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

(Dante, Inferno I, vv. 31-36)

Carmine Negro

Sala Corradino di SveviaNapoli - Via S. Eligio n 106

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Con la Medaglia del Presidente della Repubblica

Arte, Storia e Poesia – Omaggio a Carlo Poerio

L’Associazione Arteggiando1 ha realizato, in collaborazione con l'Assessorato alla Cul-tura e Turismo del Comune di Napoli e Ma-nifestazione artistico-culturale del Castello Aragonese di Ischia, una rassegna d’arte ispi-rata al Risorgimento Italiano, in occasione del 150° anniversario della morte di Carlo Po-erio2, il maggiore esponente del partito liberal

1 L’Associazione Arteggiando nasce nel 2012 ed ha al suo attivo eventi e rassegne d’arte organizzate su tut-to il territorio nazionale, solitamente in siti di interes-se storico-architettonico, associati ad altri eventi con l’obbiettivo di promuovere l’arte e la cultura. L’obiet-tivo perseguito è quello di promuovere e diffondere la conoscenza delle arti visive contemporanee (pittura, scultura, fotografia) nonché la creatività e l’innova-zione di artisti di talento.2 Carlo Poerio, a causa dei suoi ideali costituziona-li, fu più volte perseguitato ed incarcerato dalla polizia borbonica. Nel 1849, accusato da un falso testimone di appartenere alla setta dell’unità italiana, fu imprigio-nato e subì per dieci anni, senza mai chiedere la grazia al re, l’atroce condanna nelle carceri borboniche (fra cui quelle di Ischia, Castello Aragonese). Il suo ingiusto processo scandalizzò l’Europa intera, e molti uomini politici e letterati, sia italiani che stranieri, si interessa-

moderato napoletano, Deputato al Parlamen-do italiano.

Due le locations collegate all’importante pa-triota che hanno ospitato la manifestazione: 1) Sala delle Carceri Borboniche presso il Castello Aragonese di Ischia (18 giu-gno – 28 giugno 2017); 2) Sala delle Carce-ri presso il Castel dell’Ovo a Napoli (2 luglio – 7 agosto 2017)

All'inaugurazione sono intervenuti: Giovan-na D'Amodio, Clementina Petroni, Ernesta Mazzella, Anna Poerio, Peppino Castiglione: quest'ultimo ha letto alcune poesie di Ales-sandro Poerio con l'intervento musicale di Pina Trani e Luigi Bruno.

La rassegna itinerante, svoltasi nel corso di circa tre mesi, ha voluto portare all’attenzione

rono al suo caso. William E. Gladstone, particolarmen-te colpito dalla figura di Carlo Poerio, volle assistere personalmente al processo e gli fece clandestinamente visita nel carcere di Nisida. Il poeta e scrittore france-se Victor Hugo lo citò in alcuni suoi versi ricordandolo come difensore del popolo e del diritto.

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e conoscenza di un vasto pubblico il patrimo-nio culturale della nostra nazione, sollecitan-do la voglia di riscoprire la storia di un’epoca, anche attraverso la conoscenza dei perso-naggi che hanno contribuito alla costituzio-ne dell’ Unità d’Italia e a formarne l’identità nazionale. La manifestazione ha mirato sia alla valorizzazione del patrimonio storico-architettonico, sia alla promozione dell’arte contemporanea e delle arti visive, nella sva-riata quantità di generi e di tecniche (pittura, scultura, fotografia, video, installazioni), met-tendo in essere il felice binomio attraverso

esposizioni pittoriche all’interno di tali siti, assegnando ad essi un ruolo chiave nella dif-fusione dell’arte contemporanea. Alla rasse-gna sono stati associati altri eventi di natura artistico-culturale: convegni, presentazioni di libri, concerti, degustazioni di prodotti tipici e performances, al fine di creare un contenito-re culturale e dare un’ampia visione completa dell’arte, riuscendo a cogliere in tal modo l’at-tenzione di un pubblico differenziato. Presen-ti all’evento vari storici, critici d’arte e giorna-listi.

La mostra ha ospitato, tra l’altro, la personale dell’artista ANNA POE-RIO “Non gir vagando intorno, o fantasia. Omaggio alle poesie di Ales-sandro Poerio”, curata dall’arch. Giovanna D’Amodio. La professores-sa Anna Poerio ha vinto il Premio Arte Salerno 2017, manifestazione,

svoltasi lo scorso 11 giugno, che ha visto coinvolti 310 artisti ed ha visto, alla fine vincitrice la raffi-nata pittrice campana " per aver descritto l'intimità dell'animo umano attraverso una ricerca estremamente mentale e ricca di fascino". Ha premiato la Poerio il prof. Vittorio Sgarbi.

L’importante concorso interna-

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30 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

zionale d’Arte Contemporanea “Arte Salerno 2017”, organizzata da Ar-tetra e Prince Art, ha visto la partecipazione di artisti provenienti da diverse parti d’Italia e dall’estero. Più di settecento opere esposte in tre prestigiosissime sedi nella splendida città di Salerno: la Stazione Ma-rittima, Palazzo Fruscione e il Complesso Monumentale di Santa Sofia.

Altri artisti che hanno esposto loro opere: Aurora Baiano, Maddalena Barletta, Giovanna Renzi, Laura Bruno, Francesco Bulzis, Alessandra Cannavacciuolo, Ester Chianese, Giorgio Carta, Pasquale dell'Aver-sana, Angelina Di Bonito, Gennaro Di Giovannantono, Francesco Fa-bozzi, Giancarlo Gagliardi, Gard Pietro Gardano, Franco Lista, Valeria Mariotti, Pamela Elizabeth Mazzu, Ennio Montariello, Giulia Nardone, Maya Pacifico, Rosa Perugino, Monj Monica Presciutti, Silvia Rea, Lu-ciano Romualdo, Laura Venturi, Federica Virgili

*

Ut pictura poësis *Ut pictura poësis. Quanta influenza ha esercitato sulle sorti della storia dell’arte occidentale que-sta celebre formula di Orazio, un poeta, non un artista. Non solo in maniera diretta, quando, ri-scoperta con l’Umanesimo, ha ispirato gli artisti fra Rinascimento e Manierismo, e in massima mi-sura nel Barocco, giustificando le licenze dell’im-maginazione rispetto all’altro principio-base che faceva da riferimento, la mimèsis, la fedeltà alle apparenze della natura. Anche quando è stata forzatamente dimenticata, in omaggio a un culto della modernità che voleva rinnegare qualunque parentela con il retaggio culturale greco-romano, ma non sparendo, rimanendo, semmai, interio-rizzata, come si farebbe con qualcosa che fosse as-sunto come comune patrimonio ideale: non è for-se l’astrattismo di Kandinskij, pietra miliare della nuova espressività emancipata dalla mimèsis, la più palese e coerente messa in pratica dell’ut pic-tura poësis? Ut pictura poësis, ovvero: in pittura come in poesia. Che può essere inteso in due modi fondamentali: o che la pittura deve ispirarsi alla poesia in senso strutturale, in quanto, cioè, mo-dello formale avente finalità spiccatamente este-tiche, come sostanzialmente ha fatto Kandinskij, oppure riferirsi ad essa in quanto testo letterario

* Testo di Vittorio Sgarbi, già pubblicato nel Catalogo "Porto franco" di E.A. Editore, Palermo 2014.

già costituito, quindi illustrandolo, dandogli un riscontro visivo, come è successo prevalente-mente nel passato. È questa seconda strada quel-la battuta da Anna Poerio nelle opere ispirate ai componimenti lirici di un suo omonimo, non so se suo avo, Alessandro Poerio, patriota e poeta, napoletano immolatosi per difendere la libertà della novella Repubblica di Venezia (chissà se i leghisti lo sanno), fratello di Carlo, anch’egli eme-rito del Risorgimento. Uomini, insomma, facen-ti parte di quella schiera eletta di “migliori”, per coraggio, impegno civile, cultura, che hanno fatto l’Italia. Anna nutre una venerazione per i Poerio, verso i quali ha indirizzato l’attività della specifica associazione culturale che presiede, dedicando, fra l’altro, una pubblicazione monografica a Car-lo. Ai versi di Alessandro, invece, ha rivolto le sue opere pittoriche, anche nell’intento di favorire la loro conoscenza e considerazione critica, che la Poerio deve ritenere inadeguata. Che poeta era Alessandro Poerio? Di solito, lo si classifica come un emulo di Leopardi, che bene conosceva e fre-quentava. Cosa che forse Alessandro avrebbe gra-dito in vita, ma che a distanza di tempo ha finito per penalizzarlo, pagando, scontatamente, il con-fronto col più grande amico. Croce lo riteneva, per il suo tempo, inferiore, oltre al Recanatese, solo a Manzoni, accanto al Tommaseo e al Giusti. Ma quale sia stata la reale dignità letteraria di Poerio ha in fondo un’importanza relativa, almeno per il discorso che si sta facendo. Più redditizio soffer-marsi sul modo in cui la sua omonima ha posto

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in essere artistico il motto oraziano di cui sopra, fornendo un correlativo figurato alla poesia. Os-serverei, innanzitutto, che non si tratta di illu-strazioni, dunque di trasposizioni narrative da un linguaggio a un altro, che d’altra parte non sareb-bero state semplici, trattandosi di poesia. Direi, piuttosto, che il registro scelto dalla Poerio ha un carattere interpretativo ed evocativo allo stesso tempo: riecheggia, ma reinventando liberamen-te ciò che i versi ispirano, cercando in tal modo di appropriarsi della loro sostanza lirica per pro-porne una versione personalizzata. Ne scaturisce, così, una poesia sulla poesia, con l’immagine a farsi più autonoma dal testo originario di quanto avremmo potuto immaginare; e ciò che in Ales-sandro è debito obbligato nei confronti della lin-gua letteraria del tempo, con la sua retorica, con il suo inevitabile anacronismo, in Anna si converte in un sermo cotidianus, perfino popolareggiante

in certe riduzioni primitiviste e approssimazioni di resa, che rende commestibile l’aulicità ottocen-tesca a chi non ne è abituato, facendo emergere il lato forse più interessante della poesia di Ales-sandro, la genuinità e la relativa semplicità della sua ispirazione, almeno in confronto alla titanica complessità leopardiana. Così come fresca e pri-va di sofisticazioni è l’idea del bello che sottende le opere della Poerio, anche quelle non legate alle liriche di Alessandro, dove spesso viene concre-tizzata in eleganti rappresentazioni coreografiche, quando non di ginnastica acrobatica. Come a vo-lerci ricordare che il corpo umano, colto in movi-menti armonici che ne esprimono il livello di ide-ale equilibrio con la natura, specie se femminile, rimane pur sempre la poesia per eccellenza, ieri come oggi, oggi come domani.

Vittorio Sgarbi

Alcune delle più suggestive poesie di Alessandro Poerio, definito dal Tommaseo “il più forte poeta lirico dopo Manzoni”, sono state per la prima volta rappresentate su tela attraverso la sensibilità e la personale interpretazione di Anna Poerio. I dipinti mettono in rilevo la profon-dità e l’alto valore delle poesie del poeta-patriota napoletano e pongono l’accento non solo sul sentimento patriottico, fortemente sentito e vissuto dal Poerio, ma soprattutto sul tema del do-lore umano e sul conflitto interiore, quasi religioso, tra l’aspirazione all’assoluto e la coscienza dei limiti della condizione umana di fronte all’infinito. Scopo della mostra è stato quello di far avvicinare il pubblico moderno ad un insigne Poeta, che fu sempre restio a far pubblicare le sue opere e che, per questo motivo, è rimasto a lungo sconosciuto al grande pubblico.

La poesia di Alessandro Poerio

Tutti i critici che hanno dedicato il loro studio ad Alessandro Poerio concordano nel riconosce-re in lui una figura fortemente emblematica nella storia della spiritualità romantica e risorgimenta-le. Benedetto Croce lo reputa a pieno titolo uno dei più rilevanti poeti della prima metà dell’Otto-cento: “chi procuri di tornare, come si deve, alla semplice realtà delle cose, sarà portato a rico-noscere che, dopo il Manzoni ed il Leopardi, nel periodo che va dal 1830 al ’48, l’opera di Ales-sandro Poerio, è accanto a quelle del Tommaseo e del Giusti, la sola che meriti di suscitare ancora l’interessamento dell’amatore di poesia.” La sua opera è il frutto di un animo generoso ed elevato, un animo, come lo definisce Croce, “fine, sensibi-le, melanconico, austero e memore di colpe com-messe o pavido di colpe possibili; umanamente dignitoso, secondo la esatta definizione che lo stesso Poerio aveva dato una volta dell’umana

dignità – un congiungimento sublime dell’umiltà e dell’orgoglio.” Michele Tondo rileva che la sua poesia è imperniata su di un conflitto “tutto inte-riore, religioso possiamo dire, tra l’aspirazione all’assoluto e la coscienza dei limiti della condi-zione umana”. Quella inquietudine interiore, os-serva Mario Sansone, quella “forma di insanabile scontentezza di sé e delle cose,” quella “angoscia esistenziale” fanno sì che egli si distingua come un “personaggio nel quale la spiritualità mo-derna e romantica si esprime con una serietà e singolarità inconfondibili.” L’opera del Poerio, pur distaccandosi dalla tendenza individualistica della poesia romantica e dalle sue implicite sdol-cinature, riesce, come asserisce il Secrétant, ad “esprimere e condensare con varietà elegante, meglio dei romantici, anche di alcuni fra i più noti, le idee di quella scuola d’arte e di filosofia.” Per questo motivo, si può affermare che nelle sue liriche il Romanticismo viene ad assumere una peculiare caratteristica tipicamente italiana, pie-

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namente conforme alla tradizione greco - latina. Il Poerio fu “Poeta e cooperatore” del Risorgimento italiano. Tuttavia, la sua fu una poesia che, per la varietà dei temi trattati e per la sua complessità, non merita esclusivamente e semplicisticamente l’appellativo di poesia patriottica, che spesso i cri-tici hanno attribuito, per lo più con valore dispre-giativo, in quanto lontano dalla cima dell’arte, a gran parte della poesia risorgimentale. L’intera sua opera mira verso vette sublimi e si proietta decisamente lontano, ampliando in modo eroico e generoso il mero appello nazionali-stico di ribellione contro lo straniero usurpatore; il suo sentimento di rivolta, la sua aspirazione alla libertà non solo coinvolge tutti i popoli oppressi (come la Germania, la Polonia, la Grecia, accomu-nate all’Italia dalla medesima aspirazione all’in-dipendenza), ma si fa portavoce di quel senso ro-mantico più ampio di ribellione contro qualsiasi vincolo, contro qualsiasi limite all’umana libertà. Questo è lo stesso senso romantico che lo spinge a rivolgere il pensiero alle cose arcane, a qualco-sa di superiore, di intangibile, e che gli consente di abbandonarsi talvolta all’immaginazione me-lanconica, grazie alla quale sente il proprio spi-rito liberarsi da tutti quei limiti che ostacolano il libero corso della vita quotidiana. Costante è in lui questo anelito, ma ad esso è inscindibilmente legata la profonda ed indiscussa fiducia nel valo-re dell’azione, una fiducia che egli vuole a tutti i costi trasmettere agli altri uomini, esortandoli a lasciare un’impronta gloriosa e duratura sulla ter-ra, affinché la vita di ognuno possa essere simile ad una guerra combattuta per una nobile causa e non un passaggio silenzioso e vano. “Lascia Me-moria, che ti narri, e muori” è il monito di Ales-sandro Poerio, perché l’azione rende l’uomo nella vita terrena protagonista attivo e conquistatore di vittorie universalmente valide. Con l’aiuto della Speranza, secondo il Poerio, l’uomo deve aspirare a raggiungere delle vette sempre più alte; per la Speranza e per la Fede bisogna combattere contro le malvagità, contro i tiranni e vincere ogni guer-ra, poiché lo scopo finale della vita è quello di con-quistare Dio nel Cielo e la Libertà sulla Terra. La poesia più efficace del Poerio rivolta alla patria, si ritrova, secondo Croce, “in quei nudi e duri senarî nei quali espresse disdegno per le vane parole e invocò muti fatti, rivolta e guerra di popolo.” Il Risorgimento, definita dal Settembrini “la canzo-ne bellissima,” è tutto un “crescendo d’entusia-smo,” in cui la rapidità e la limpidezza del verso, mirano ad accendere gli animi, a ravvivare la spe-ranza latente nutrita di scherno, affinché il popolo

italiano si unisca finalmente a combattere contro lo straniero usurpatore. Credendo nell’alto valore della Poesia, intesa come fonte di vita, luce e guida infallibile per gli uomini, il Poerio sosteneva che ai poeti spettasse il sublime compito di infondere nell’animo umano gli ideali più elevati; per questo motivo egli criticava aspramente quei verseggia-tori che facevano della poesia un mezzo per espri-mere esclusivamente le proprie confessioni per-sonali. Questa è la principale nota di distinzione della poesia del Poerio rispetto alla poesia roman-tica. Egli, difatti, criticando il soggettivismo e l’in-dividualismo dei poeti dei suoi tempi, espressione dell’egoismo del secolo, anelava ad una poesia in-tensa, come egli stesso la definiva, apportatrice di profondi messaggi morali, ma nello stesso tempo immune dalla retorica. Attribuendo al Poeta la missione di Vate, egli aveva idealizzato un imper-vio modello di poesia-profezia e poesia-filosofia, pur essendo consapevole della sua difficile realiz-zazione. Ed era proprio l’aspirazione a questo alto ideale di poesia la causa di quell’intima sensazio-ne di insoddisfazione che lo tormentava costante-mente e gli faceva rifiutare l’idea di far stampare le sue opere. Spesso nelle sue poesie egli stesso ri-vela quel suo stato di incontentabilità, l’angoscia per non riuscire a trasmettere con parole adegua-te la sua immensa ricchezza interiore, la dolcezza racchiusa nel suo cuore, così come si evince dal-la poesia Amore: “Il cor mio si nasconde al mio pensiero. /Sol di me la superba arida noja/Sfo-gai con verso ignudo/Della dolcezza che nel sen conchiudo;/Ed, ahimè, de’ fratelli/Tacqui io nato ad amarli, io nato a quelli.” Per questo motivo Croce afferma che non si deve cercare la vera poe-sia del Poerio in quelle liriche in cui egli persegue l’ideale di una poesia oggettiva ed universale, né nelle canzoni storiche e civili dedicate alle grandi figure della storia, ma bisogna piuttosto cercarla, oltre che nei sublimi versi dedicati al riscatto della Patria, anche in quelli che esprimono il suo senti-mento cosmico e la sua sensibilità per gli spetta-coli della Natura. Da qui nasce la magnifica lirica La Luce. Il Poerio definisce la luce “casta nutrice dell’uman pensiero” e considera la luminosità del sole come massima fonte d’ispirazione per i poeti, come “riflessa gloria” del Signore dei Cieli, grazie alla quale l’intelletto umano “s’alza dell’invisibile al concetto.”

Degna di nota è in proposito anche la lirica Una stella, dai versi morbidi e fluenti, piena di dolcez-za e di armonia. Il poeta si sente parte dell’univer-so e il suo animo si riempie di gioia e di speranza nell’ammirare il cielo stellato di notte. Egli con-

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templa incantato la bellezza di una stella solitaria come se fosse il volto di una donna innamorata. La pallida luce di quella stella apporta serenità nel suo cuore e giunge sulla terra per consolare gli uomini che soffrono. In questi versi, come in altri ispirati alla contemplazione delle bellezze dell’universo, egli si fa interprete dello spirito ro-mantico, di quella consapevolezza della caducità degli esseri viventi, della constatazione del limite umano di fronte all’infinito. Ed è proprio questa, a mio avviso, la parte più bella e affascinante, anche se poco conosciuta, della poesia del Poerio, una poesia, che pur essendo molto vicina per ispira-zione a quella del Leopardi, si distacca nettamen-te dal pessimismo cosmico del poeta recanatese. Il Poerio, infatti, come il poeta francese Lamar-tine, trova consolazione nell’idea dell’immortali-tà dell’anima e lenisce i propri dolori attraverso l’ammirazione della Natura e delle bellezze dell’U-niverso, trovando in esse conferma dell’esisten-za di Dio. Diversamente dal Leopardi, il Poerio, sorretto dalla fede, riconquistata dopo un lungo travaglio spirituale, finisce con il comprendere ed accettare serenamente il dolore. Ad un certo pun-to della sua vita egli giunge alla conclusione che il dolore ha lo scopo di purificare l’anima per farla avvicinare a Dio: “Il trarre conforto ed orgoglio dall’eccesso del dolore è un sentimento eroico, insito nella natura umana, non già un artificio di stoicismo, come alcuni tengono: quindi non è

proprio degli antichi soli, e bene può stare con la mite rassegnazione del Cristiano.” Egli stesso, infatti, in alcuni suoi versi confessa che il dolore è stata la guida, il compagno che lo ha aiutato a superare tutti i suoi dubbi di ordine spirituale: “E per uscire dall’intricato errore/ Mi fu guida e compagno il mio dolore.” Il Poerio si sente diver-so da coloro che si cullano nell’ozio accontentan-dosi di cose facilmente raggiungibili e sa di trarre giovamento dalle tempeste che sconvolgono il suo cuore, in quanto queste spingono il suo spirito a tendere verso il porto divino. Come si legge nella poesia Non gir vagando intorno, o Fantasia, egli vuole che la sua anima affronti il dolore e non si lasci ingannare dalla fantasia; l’invocata lacrima che disseta il suo occhio gli è molto più cara di ogni gemma rarissima profferta lietamente dalla fantasia: “D’ogni del tuo tesor gemma più rara/Che profferisci lieta/M’è l’invocata lacrima più cara/Che l’occhio mio disseta.” In realtà, l’ener-gia morale che riesce a trarre dall’accettazione del dolore fa sì che egli sia in grado di godere con in-tensità di quelle piccole gioie che la sorte talvolta elargisce e, nello stesso tempo, fa sì che si senta più forte per affrontare le avversità della vita: “Ei mi fa mite se fortuna gira/Lieta, ei forte mi rende a’ tempi rei, /Per l’ebbra gioja che sempre delira/Le gioje del dolore io non darei.” A questo pun-to è opportuno rilevare che lo sconforto, il dolore, cui spesso il Poerio fa riferimento, non è esclu-sivamente legato alle sue esperienze personali, ma anche alla considerazione della situazione in cui versano gli uomini sulla terra, da cui deriva chiaramente uno spiccato senso di solidarietà nei confronti delle sofferenze altrui. In una toccante poesia, rivolta ad una donna triste, osserva che gli animi superficiali spesso si soffermano soltanto sull’aspetto esteriore delle persone e non com-prendono che talvolta dietro ad un sorriso si può celare un grande dolore che può essere però sco-perto solo da chi dalla propria sofferenza ha avu-to in dono il conforto di comprendere gli afflitti: “Non può l’uomo, cui lenta/L’alma s’affaccia, del perpetuo riso/La pace violenta/Comprender del tuo viso,/E come in te ti scoppj il chiuso cor./Quel che agli altri ti cela/Sembianza placidissima mentita/A me rado ti vela,/Tu non sarai romita/Ed il tuo rapirò nel mio dolor.” Esempio altissi-mo di questo nobile sentimento di comprensione del dolore altrui è la suggestiva e calorosa lirica Conforto, con cui il Poeta dolcemente offre il suo pietoso abbraccio al lettore deluso dal mondo e dalla vita.

Anna PoerioAnna Poerio - Ai Martiri della Causa Italia con ritrat-to di Alessandro Poerio - olio su tela 90x100

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.... E fui sommerso dal mare

Arrivò da ponenteanomala onda,e la vididistruttiva, spettrale,vendicatrice e impuramentre un raggio di sole beffardogiocava a nascondino fra nubi.Era il mio mareche tra il cullar di nenie sopitespesso dal cuore ribelle scintilla,ed era il mio mare!Bàlia e culla,fiorito giardino e bara di memorie,illusione e agra realtà.Ora trascolora il tempoe in un batter di ciglia m'annullo.....per altra vita, per altri sogni.

Gaetano Ponzano

su quello che vede. Da questo punto di vista, grazie alla forma creata dal film, il titolo - in qualche modo - tutti ci riguarda. Another me è, in fondo, ognuno di noi.

Premio BAYER Location Negata THE INVISIBLE CITY [KAKUMA] di L. Corthouts

Menzione speciale a:Marco D’Amore per l’interpretazione del cortometrag-gio UOMO IN MARE di Emanuele Palamara

Premio Augustus Color nell’ambito della sezio-ne Location negataMARY MOTHER di Sadam Wahidi

XV Ischia Film Festivali vincitori

Ischia Film Award al miglior lungometraggio IMMORTALITY di Mehdi Fard Ghaderi

Menzione speciale a:Premio Castello Aragonese alla migliore regia Alessandro Aronadio per il film ORECCHIE

Premio Epomeo alla fotografia cinematografi-ca Rocco Marra e Roberta Allegrini per il film CAINA

Premio Aenaria alla migliore scenografia George Thomson per il film LE MONDE DONT ON REVE N’EXISTE PAS

Ischia Film Award al miglior cortometraggio SELFIE di David M. Lorenz

Menzione speciale a:IL SILENZIO di Farnoosh Samedi e Ali AsgariTHE TRANSFER di Michael grudsky

Ischia Film Award al miglior documentario UNWANTED HERITAGE di Irena SkoricMotivazione della giuria“La maturità di una società può essere misurata dal rapporto che instaura con l’eredità del suo passato”. Suona pressapoco così la frase dell’architetto Tomislav Premerl che apre questo film. Un minuzioso lavoro di ricostruzione di un rapporto con un’eredità artistico-monumentale scomoda, che la regista Irena Skoric, per ragioni anagrafiche non compromessa con quell’e-poca, fa partire da un gioco: completare un album di figurine dei monumenti della ex Jugoslavia di Tito. Testimoni muti di un passato che era “quotidiano” per molte generazioni, ora negletti o abbandonati. E così, “ce l’ho, mi manca”, la regista ci racconta il rapporto che la gente e il territorio della Croazia, hanno man-tenuto con quella Storia. E perché è importante non distruggerne i segni, soprattutto quelli di valore artisti-co, capaci più di altri, di raccontare un’epoca. Per non diventare come chi, per furia iconoclasta, distrugge ca-polavori dell’umanità come quelli di Palmira.

Menzione speciale a:UN ALTRO ME di Claudio CasazzaMotivazione della giuriaSpesso i documentari si accontentano dell’urgenza del “cosa” raccontare. Claudio Casazza in Another me si in-terroga invece anche e soprattutto sul “come” raccon-tare. Il suo film non solo si (e ci) immerge nell’universo disturbato dei detenuti per reati sessuali nel carcere di Bollate, ma rompe i canoni naturalistici del linguaggio cinematografico ed usa in modo originale la sintassi filmica (dal fuori fuoco al dettaglio) per trovare una forma che chiami in causa lo spettatore e lo interroghi

Il Museo Nazionale del Cinema (Torino) sarà regolarmen-te aperto per tutto il periodo estivo. Sarà possibile visita-re, oltre alla ricca e originale esposizione permanente, la grande mostra BESTIALE! Animal Film Stars: la prima importante esposizione che celebra gli animali sul gran-de schermo, a cura di Davide Ferrario e Donata Pesenti Campagnoni, con la collaborazione di Tamara Sillo e Ni-coletta Pacini. Il percorso espositivo, composto da oltre 440 pezzi che ri-percorrono la costante e trasversale presenza degli anima-li nella storia del cinema, si sviluppa all’interno della Mole Antonelliana ed è articolato in dieci sezioni tematiche che raccontano allo spettatore un universo multiforme, dove fotografie, manifesti, storyboard, costumi di scena, me-morabilia e animatronics dialogano con le sequenze dei film assemblati in montaggi speciali.

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Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’IschiaA cura di Agostino Di Lustro

Colligite fragmenta, ne pereant

I monasteri dell'isola d'IschiaA conclusione del lungo nostro girovagare per

le balze della nostra Isola in cerca dei luoghi sa-cri citati dal vescovo Innico d’Avalos in quella che abbiamo citato come la “Platea d’Avalos”, che poi altro non è che la prima relazione ad limina pre-sentata nel 15991, sembra opportuno soffermarci brevemente sulla presenza monastica ad Ischia nei secoli medioevali.

La “Platea” ci ha presentato solo qualche notizia sui conventi agostiniani di Santa Maria della Sca-la e del Soccorso, sui Conventuali di Santa Maria delle Grazie o dell’Arena e sui Domenicani di San Domenico per gli ordini monastici maschili; sulle Cappuccinelle di Santa Maria della Consolazione per gli ordini femminili. Tace, invece, inspiega-bilmente sui Carmelitani del convento di Santa Maria del Carmine o Santa Restituta. Qui però vogliamo dare uno sguardo solo ai monasteri la cui esistenza sulla nostra Isola è, in qualche modo, documentata nei secoli del secondo millennio, al-meno fino alla metà del secolo XVI.

Dei secoli anteriormente all’anno 1000, la, pri-ma testimonianza che attesti la presenza di un monastero ad Ischia risale alla fine del X secolo; la testimonianza, citata in un “sermo de transitu S. Costantii”2, racconta che una fanciulla, che abi-tava “in Insula que appellatur Maior”, con gli abi-tanti dell’Isola si erano recati a venerare la tomba di San Costanzo a Capri quando un tale, preso da ardore femmineo, tentò di violentare una ragaz-za della riferita famiglia che però riuscì a resiste-re a tutte le promesse allettanti che le aveva fatto e a tutte le sue prove di forza. In ringraziamento dell’ottenuta vittoria, i genitori costruirono sull’i-sola d’Ischia una cappella in onore di San Costan-zo e l’arricchirono di molti doni. Inoltre il “Sermo

1 Come già sappiamo da tempo, è la prima relazione ad limi-na presentata da questo vescovo. È pubblicata integralmente da P. Lopez, Ischia e Pozzuoli nell’età della Controriforma, Napoli Adriano Gallina Editore 1991, pp. 209 – 219. 2 Monumenta Germaniae Historica, Scriptores tomi XXX partis II fasciculus 12 Lipsiae impensis Karoli W. Hierse-mann, MDCCCXXX: IX, pp. 1020-1021; 1048.

de virtute Sancti Constantii3” racconta che nel luglio 991 una scorreria mussulmana attaccò le località costiere del golfo di Napoli e i monasteri ivi esistenti tra cui anche uno di Ischia4. Eviden-temente sulla nostra Isola alla fine del primo mil-lennio doveva esserci qualche monastero e primo fra tutti uno dedicato a S. Costanzo come ci viene confermato quarantanni dopo dal rogito del conte Marino Mellusi.

In questo periodo così antico, e per tantissimi versi ancora quasi del tutto sconosciuto, per la mancanza di testimonianze documentarie, tro-viamo che le “abbazie” insulane sono dislocate in diverse località, come ci attesta il rogito del conte Marino. Questo documento dell’imperatore bi-zantino Michele IV Paflagonio (1034-1041), “ma-gno imperatore” è datato 12 maggio 1036, “hanno secundo”5. Esso attesta che “Marinus illustris co-mis et Theodora regalissima iugales filio et nuru quondam bone memorie domini Gregorii incliti comiti millusi ....” offrono tra l’altro a Pietro “ve-nerabili abati ipsius monasterii ... in monte qui dicitur at bicum in quo nos indignis horatorium construximus ha nobo fundamine had onore ip-sius Christi virginis et martire Restitute, situm vero in memorata insula nostra que enaria voci-tatur, qui et insula maior dicitur”. Alcuni dei beni donati all’abate Pietro sono confinanti con un al-tro monastero : “ha parte hoccidentis sicuti redit super terra monasterii nostri Sancti Constantii, et badit iusta casa que nominatur de campulo”.

Il terzo monastero di cui riferisce il rogito del conte Marino, si trova anch’esso presso alcuni beni che questi concede all’abate Pietro. Anzi an-che in questo il conte esercita un certo potere dal momento che “simulque hofferimus et firmamus vobis et integrum casalem nostrum et pineas que nominatur at simplignana qauliter descen-dit usque at monte; quod est a parte monasterii

3 Napoli nel Medioevo, a cura di A. Finiello, Galatina, Con-gedo Editore 2009, Vol. II, p. 119.4 Ibidem.5 Cfr., Regii Neapolitani Archivii Monumenta, Napoli MDCCCXX: IX, pp. 1020-1021; 1048

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nostri sancti Angeli alloquio; quod est a parte orientis coniunctum cum binea quas iterum vo-bis hobtulimus et firmamus”. Questa fonte, così importante per conoscere la toponomastica me-dievale di Ischia, oggi di difficile individuazione, ci presenta ben tre monasteri: S. Maria in Cementa-ra, S. Angelo Alloquio e S. Costanzo6.

Su quest’ultimo ho già presentato quanto le fonti archivistiche ci dicono7 . Degli altri due si perdo-no subito le tracce. Infatti quello dedicato “had onorem domini et salvatoris nostri ihesu Christi atque intemerata eius genitricis semperque vir-ginis mariae intus ecclesiam monasteii que ipsius domini matris hadest sita in monte qui dicitur Cementara” che sappiamo sorgeva nel territorio dell’attuale comune di Lacco8. Resta difficile la col-locazione del monastero di “S. Angelo Alloquio”. Poteva trovarsi nel territorio dell’attuale Sant’An-gelo, forse sul promontorio oggi detto “La Torre” per la presenza di una torre della quale esistono ancora i ruderi9. Di questi tre monasteri abbiamo solo qualche notizia. Sta di fatto che per il secolo XIII i documenti in nostro possesso ci presenta-no solo il monastero benedettino di Santo Stefano sull’isola di Ventotene. Questo però, sebbene sia sotto la giurisdizione del vescovo “Insulanus”, è ubicato esattamente “in insula Parva Ventutene Ordinis Sancti Benedicti, insulana Diocesis10”.

Il 16 dicembre 1239 “Mattheus divina miserato-ne humilis lnsulanus Episcopus” concede “Priori et fratribus Monasterii S. Stephani de Insula Par-va Ventutene divino intuitu de consensu ac spon-tanea voluntate totius Capituli Insulani, predic-tum Monasterium cum omnibus, que nunc habet et possidet, et que auxiliante Domino in futurum poterit adipisci …”. Questo documento di enorme importanza per la storia dell’Isola, ci è pervenuto in transunto in una bolla di papa Innocenzo IV, datata da Anagni 3 ottobre 1243. Di questo mona-stero, dopo questa data, non abbiamo più notizie,

6 B. Casale, Ischia Procida Capri le vicende, in Napoli nel Medioevo. 7 Cfr. A. Di Lustro, I luoghi sacri di Testaccio, in La Rasse-gna d’Ischia, anno XXXIII, n° 6, dicembre 2013. 8 Cfr. D. Mallardo, Le antiche memorie di Lacco Ameno, in Ricerche Contributi e memorie, Atti del Centro di Studi sull’isola d’Ischia, I, Napoli, Tipografia Amodio, 1971, pp. 343 ss; P. Monti, Ischia Archeologia e storia, Napoli, 1980, pp. 336 e ss. 9 Sulla torre di S. Angelo, Cfr. G. D’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli 1867, pp. 488; P. Monti op.cit. p.679 e ss.; A. Di Lustro, I luoghi sacri di Fontana, in La Rassegna d’I-schia, anno XXXIII, n 4, giugno-luglio 2012. 10 A. Lauro, Ischia in alcuni documenti pontifici del Duecento, Roma 1964, p. 12.

anche se l’isoletta di Ventotene continuerà a resta-re sotto la giurisdizione del vescovo “Insulanus”, come ci attesta la relazione ad limina presentata il 12 aprile 1747 dal vescovo d’Ischia Felice Amato (1743-1764)11. Con un decreto legge del re di Na-poli emesso il 13 ottobre 1770 “l’isola di Ventotene sia compresa nella diocesi di Gaeta12”. Dal mo-mento che dopo questa data si perdono le tracce documentarie del monastero di S. Stefano, non siamo in grado di stabilire come e quando esso sia scomparso. Non siamo in grado neppure di de-terminare quale influenza abbia potuto esercitare sulla chiesa Insulana, data la distanza che inter-corre tra le due Isole.

Di altri monasteri esistenti sul territorio Insula-no nel XIII secolo non abbiamo notizie. Non sia-mo in grado neppure di stabilire se i vescovi della seconda metà del secolo13, che risultano apparte-nere a ordini monastici, provengano da qualche monastero insulano.

Secolo XIV

Per il secolo XIV le “Rationes decimarum” degli anni 1308-131014 ricordano alcuni ecclesiastici con il titolo di “Abbas” che potrebbe far pensare alla presenza di monasteri, anche se la fonte non ne cita alcun nome, per cui è probabile che si tratti di titolari di benefici ecclesiastici. I nomi di que-sti “abbates” sono: “Abbas lohannes de Sancto” e “Abbas Manfredus Letus” che vengono tassati en-trambi per un tarì; “Abbas Laurentius Nullonus” tassato per tarì cinque e grana tre e “Abbas Petrus Calosirtus pro beneficio suo quod valet tarenos X solvit tarenos decem”. Inoltre, tra i “monaste-ria monialium” la stessa fonte cita il “Monastrium Sancti Dominici Ordinis Sancte Clare valet uncias tres solvit tarenos duos; Monasterium Omnium Santorum valet uncias unam tarenos viginti solvit tarenos quinque”.

Un riferimento, a dir vero molto vago, al “mona-sterium Sancti Dominici” potremmo intraveder-lo in una notizia riferita dall’Onorato a proposito del monastero di Santa Maria della Consolazione. Egli infatti scrive: “qui si deve notare e far sapere che allora quando si formò l’anzidetto monaste-

11 A. Lauro, op. cit., p. 5; Codice di Leggi del Regno di Napoli, presso Vincenzo Orsini, MDCCXXII, pp. 67 e ss, 12 A. Lauro, op. cit., p. 5.13 Sui vescovi di questo periodo, cfr. C. D’Ambra, Ischia tra fede e cultura, Torre del Greco, 1998, pp. 20 e ss; A. Di Lustro, Antiquiores Insulani Episcopi, in “La Rassegna d’Ischia”, anno XXVII n.4, agosto-settembre 2006. 14 Rationes Decimarum, Campania, Città del Vaticano, 1942.

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ro (di Santa Maria della Consolazione), venne soppresso quello delle monache domenicane, le quali vennero unite alle monache del nuovo in-signe monastero promosso dalla sudetta (Bea-trice) della Quadra15”. Questa, a mia conoscenza, sarebbe l’unica testimonianza dell’esistenza sul castello di questo monastero. Se però azzardassi-mo a identificarlo con quello citato dalle “Rationes decimarum” ci troveremmo dinanzi a una grande contraddizione. Infatti il monastero citato dall’O-norato era di “monache domenicane”, mentre quello citato dalle “Rationes” sarebbe stato dedi-cato a San Domenico, ma abitato da monache Cla-risse, quindi francescane, due fonti che quindi non si accordano tra loro e sicuramente non posiamo integrale. Del secondo monastero citato dalle “Ra-tiones”, che sarebbe stato intitolato a Tutti i San-ti, non possediamo altri riferimenti documentari. D’altra parte bisogna anche notare che in questo periodo storico il vocabolo “monastero” avrebbe potuto anche indicare una costruzione molto mo-desta abitata da qualche Religioso o eremita.

Sempre a detta dell’Onorato, “ci erano in det-ta antica città (d’Ischia) ben vero due conventi-ni, uno domenicano con cappella, attaccato alla casa del parlamento, e l’altro benedettino, che si accostava verso l’additato tempiuccio (cioè la cappella di Santa Maria dell’Ortodonico?), l’uno e l’altro furono legittimamente soppressi. Ed un monastero ancora di monache domenicane esi-steva nel 1415 e ci è documentato, e per il suo go-verno ci era un vicario stabilito16”.

Del primo non sappiamo se fosse un monastero, o un convento, maschile o femminile, ma certa-mente non sembra possa essere identificato con quello di San Domenico dell’Ordine di Santa Chia-ra o dell’altro monastero “di monache domenica-ne” di cui parla l’Onorato17.

La presenza benedettina nella chiesa Insulana è documentata ancora nel 1358 da una annotazio-ne delle “Taxae pro communibus servitiis” che ci presenta un “Abbas monasterii S. Petri in insula Isclanensis O(rdinis) S(ancti ) B(endicti) il quale fu “liberatus” dal pagamento delle “obligationes propter paupertatem”18

15 Vincenzo Onorato, Ragguaglio Istorico Topografico dell’isola d’Ischia, Biblioteca Naz. di Napoli, Ms. 436, Fondo S. Martino, f. 156r. Sul manoscritto, cfr. A. Lauro, A propo-sito di un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Archivio Storico delle Province napoletane, 85-86 (1970); E. Mazzella, L’Anonimo Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’isola d’Ischia, Gutenberg Ed., Fisciano 2013, p. 244. 16 Vincenzo Onorato, op.cit., f.155v.17 Vincenzo Onorato, op.cit., f.135v.18 H. Hobert, Taxae pro communibus, Città del Vaticano,

Altra testimonianza, sebbene indiretta la riscon-triamo nella vicenda che interessa fra Iacopo Bus-solaro dell’Ordine degli eremitani di S. Agostino. Era fratello del vescovo insulano Bartolomeo che guida la chiesa Insulana tra il 1359 e il 1389. Ver-rà processato e privato della diocesi dall’antipapa avignonese Clemente VII (1378-94)19.

II vescovo accolse il fratello agostiniano esule, dalla sua patria Pavia perché perseguitato da Gian Galeazzo Visconti, e si rifugiò presso il convento di San Domenico sopra il “borgo di mare” presso il castello d’Ischia. Qui egli trascorse gli ultimi anni della sua vita, e fu sepolto in “marmoreo sepulcro ubi ejusdem Beati effigies spectatur, librum aper-tum in minibus habens, in quo haec verba insculp-ta liber excusatorius de gestis per eum de tota vita sua; in fronte tumuli haec:

Beatus frater Jacobus Busolarius nuncupatus sub isto altari MCCCCLXX die XVI Augusti fuit traslatus. Per annos XIIII a Joanne Galeacio Mediolanense martyrium carceris pro veritate suscepit Papiam, Alexandriam de omni malo ad homine bono reduxit, omnes dignitates aborru-it, et numquam propriam habuit. Deo Gratias20”. Egli si rifugiò in questo convento che appartene-va all’Ordine dei Predicatori. Su questo convento già ci siamo soffermati21, ma dobbiamo subito dire che non abbiamo nessun riferimento documenta-rio che risalga al periodo più antico del convento, né conosciamo l’anno della sua fondazione. Se la chiesa di San Domenico già all’epoca dei Busso-laro fosse sede di un convento domenicano, non sappiamo con certezza. Tuttavia non vi può es-sere confusione tra quello che fu il convento e il monastero dedicati a San Domenico, citato dalle “Rationes decimarum” perché quest’ultimo era di monache e non di frati, e sopratutto perché le mo-nache erano “Ordinis Sancte Clare” e non “Ordinis Sancti Dominici”, tanto più che questo, a giudizio dell’Onorato, si trovava sul castello e non fuori le mura della città22, come già sappiamo.

Abbiamo accennato al “monasterium Sancti Pe-tri” ricordato nel 1358 dalle “Obligationes”. Dove esso si trovasse non si riesce a stabilirlo perché non abbiamo altri riferimenti documentari. D’al-tra parte una chiesa dedicata a San Pietro, anche se non è detto che fosse unita a un monastero, è documentata a Ischia già nel 1082 quando Giorda-

1949, p. 298.19 A. Lauro, op. cit., p. 10; C. D’Ambra, op. cit., pp. 37-38.20 F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, N. Coletti, Venezia 1717, Vol. VI, coll. 233. 21 A. Di Lustro, Il convento e la chiesa di S. Domenico II, in La Rassegna d’Ischia, n. 4, agosto – settembre, pp. 33-37. 22 Cfr. V. Onorato, op. cit. f. 135v.

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no I, principe di Capua, riconferma al monastero “Domini Salvatoris in insula Maris in pertinenti-is Neapolis”23 e a “Urso abbati eiusdem ecclesie” i beni ubicati “in loco Yscle in villa que dicitur Pa-storanu24 et ecclesie Sancti Petri de Cintoria cum omnibus suis pertinentiis et cum toto campi qui dicitur Campanianus”25. è però risaputo da tutti che sul lago dell’isola d’Ischia, il “Pantanellum”, su una delle colline che lo circondano, vi era un mo-nastero di “basiliani” intitolato a San Pietro detto “San Pietro a Pantaniello” o “ad Pantanellum”. In-fatti lo scrive già G. lasolino: “Passato un poco più oltre si vede il tempio di San Pietro à Pantanello altre volte monastero di Greci”26 mentre V. Ono-rato scrive che “su di un colle vulcanico laterale allo stesso lago ne’tempi antichi vi esisteva un monastero di Basiliani, del quale oggi appena si osserva alcun rudere27”.

Se veramente i monaci basiliani abbiano abitato un monastero dell’isola d’Ischia non è confermato da alcun documento. Oltre il monastero di Santo Stefano sull’isola di Ventotene che nel 1243 è be-nedettino e appartiene alla chiesa Insulana è certo che i benedettini nel 1358 sono presenti sull’isola d’Ischia e posseggono un “monastero” intitolato a San Pietro. Se Benedettini e Basiliani avessero abitato lo stesso monastero, anche se in epoche di-verse, bisognerebbe stabilire quale dei due ordini l’abbiano abitato per primi.

Per il Monti “la sicura presenza benedettina cioè già prima del Mille, non offre spazio a quel-la dei Basiliani. Quindi fin dall’origine, e anche dopo, furono i benedettini a occupare la collinet-ta di San Pietro, in una posizione solitaria donde s’allarga tutt’intorno una scenario che lascia in-cantati”

23 Il monastero di S. Salvatore “Insula Maris” era ubicato sullo scoglio detto “Castel dell’Ovo” a Napoli presso il Chia-tamone. Nei secoli medievali fu un centro monastico molto importante. Ancora oggi al suo interno sono ben visibili al-cuni ambienti monastici scavati nel tufo. Cfr. J Mazzoleni, Le pergamene di Capua, Napoli 1957-60, pp. 75, LI. Cfr. G. Liccardo, Vita quotidiana a Napoli prima del Medioevo, Na-poli, Edizioni Tempo Lungo, 1999, pp. 41 e ss. 24 Questa è l’unica volta che nei documenti di Ischia si riscontri questo toponimo che non sappiamo esattamente localizzare nel territorio. Potrebbe riferirsi al villaggio di-strutto dall'eruzione di Fiaiano nel 1303. 25 Non sappiamo con certezza se questo toponimo si rife-risca a una località dell’isola d’Ischia. Per il Monti “Campa-nianus” equivarebbe a “Campagnano” nella località dell’at-tuale comune di Ischia che presenta ancora questo toponi-mo. Cfr. P. Monti, Ischia altomedievale, Ischia 1991, p. 258. 26 Cfr. De remedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa, Hoggi detta Ischia, Libri II, di G. Iasolino, in Napoli, presso G. Cochij, MDLXXXVII, p. 20. 27 Cfr. V. Onorato, op. cit., f. 63r.

D’altronde, aggiunge il Monti, “la penetrazio-ne dei monaci italo-greci, che vivevano secondo la regola di San Basilio, è collocata dagli storici al tempo di San Nilo il quale procurò un grande movimento di vita spirituale e un numero sempre crescente di proseliti28” . Pur non avendo delle te-stimonianze dirette, possiamo pensare che in ana-logia con altri luoghi è probabile che “anche l’isola d’Ischia per posizione geografica era particolar-mente adatta, come altri luoghi che si trovano lungo la costa del Mar Tirreno, a monaci isolati o gruppi di essi che potrebbero aver dato origine ad insediamenti monastici già nel periodo tar-do antico e alto medioevale”. Tutto questo però non ci conferma la presenza basiliana sulla nostra isola e in particolare il monastero di S. Pietro “ad Pantanellum”, “benché non si possa escludere la presenza sull’isola di monaci italo-greci. Se il cul-to per San Pietro è tra i più antichi e diffusi già nei primi secoli cristiani, ugualmente attestata in molte località dell’Italia meridionale è la de-vozione per San Vito, alla quale rimanda l’inti-tolazione di una chiesa a Citara sul territorio di Forio …29”. Ad altri edifici religiosi rimandano po-chi altri documenti esistenti nell’attuale comune di Serrara Fontana come un “Fondo Sant’Andrea, che suggerisce un luogo di culto omonimo, in co-erenza con la diffusa circolazione della devozione per il Santo in Campania, e particolarmente nel territorio amalfitano. Altri agio toponimi fanno supporre ulteriori luoghi di culto, di cui però non si può confermare l’origine Medioevale come per il Golfo di San Montano nel territorio di Lacco Ameno30”.

A proposito delle “domunculas cum clausuris possesionum Sanctae Rstitutae” che il vescovo Bartolomeo Bussolaro realizza insieme con al-tre opere in alcune località dell’Isola “de sudore sui corporis”31 bisogna osservare che certamente non si riferiscono ad un convento, o monastero,

28 P. Monti, op. cit. p. 263. 29 Su questo argomento si può vedere anche F. Lacava Ziparo, Dominazione bizantina e conventi basiliani nella Calabria prenormanna, Edizioni Parallelo, Reggio Clabria, 1977. 30 B. Casole, op. cit., pp. 160-161.31 Cfr. La lapide del Bussolaro che si trovava nell’androne dell’ex Villa Mennella a Casamicciola. Questa oggi è da considerarsi dispersa perché è sparita diversi anni fa quando l’immobile è stato venduto e ristrutturato. Personalmente ho visto questa lapide murata nell’androne del palazzo qualche anno prima che questo venisse venduto. Sono tornato sul posto quando i lavori di ristrutturazione non erano ancora finiti e non ho più trovato la lapide del Bussolaro in caratteri gotici, né gli altri frammenti marmorei che pure erano murati alle pareti dell’androne.

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esistente al Lacco, all’epoca, bensì sono indice della “preoccupazione del vescovo di provvedere di abitazione i sacerdoti addetti al culto di Santa Restituta, di cui ha recintato possedimenti dotali come una laura orientale per assicurarli da even-tuali incursioni e predazioni nemiche, che, pro-prio per questo, si devono supporre frequenti32”

Secolo XV

Per il secolo XV abbiamo qualche sporadica no-tizia di monasteri sia maschili che femminili, dei quali ignoriamo l’esatta ubicazione.

Il primo ci viene ricordato da Agostino Lubin il quale scrive: “In Isclana Insula, vulgo Ischia, olim Aenaria, Abbatia titulo Sancti Angeli de Pa-cia, Ordinis Sancti Benedicti. In Registro Eugenii Papae circa annum 1432 ita codex Taxarum D. Passionei Insula Tirrenis maris e regione Terrae Laboris, promontorii sive Miseni33” L’ubicazione di questo monastero è sconosciuta né sappiamo se si possa identificarlo con quello di “Sant’Angelo Alloquio” che troviamo citato nel rogito del 1036 del conte Marino, e se fosse di monaci o di mo-nache. È certo che questa è l’unica volta che viene ricordato dai documenti.

L’Onorato ricorda ancora un monastero fem-minile esistente all’inizio del secolo XV. Parlando della vicenda episcopale della chiesa d’Ischia nei primi decenni del secolo, scrive: “E quanto sopra descritto si è dedotto, relativo a non sentirsi ve-scovo in Ischia durante il tempo del cardinalato, del Papato, e del prosieguo di Baldassarre Cossa, che il medesimo all’ora quando nel 1415 rinunciò al Pontificato appunto in tal tempo occorrendo di provvedersi di un vicario un monistero di mona-che sotto la regola di San Dominico, il capitolo d’I-schia capitolarmente, si radunò, ed elesse, desti-nò per vicario delle cennate monache il Reveren-do Salvatore Amalfitano, e si disse, e si annunciò, che la sede vescovile di Ischia era vacante. Cotale notizia si rilevò da una legale pergamena sistente in uno stipo dell’antica cattedrale d’Ischia notata colla lettera C, e dove si conservavano altre per-gamene34”. Ma anche per questo monastero non abbiamo altra notizia che questa.

Non esisterebbero altri monasteri o conventi

32 Il testo della lapide del Bussolaro è pubblicato da A. Lauro, La chiesa e il convento di S. Restituta a Lacco Ame-no, in “Ricerche contributi e Memorie” I,cit., pp. 651 e ss.33 Abbatiarum Italiae notitia, di A. Lubin, Romae MDCXCIII typis J. Kamarek Boemi apud Angelum Custodem, p. 179.34 Cfr. nota n° 17.

sull’isola d’Ischia fino alla metà del secolo XV se si esclude il convento agostiniano di Santa Ma-ria della Scala le cui origini, secondo l’Onorato, risalgono agli anni precedenti la prima riforma dell’Ordine Agostiniano avvenuta sotto il pontifi-cato di Innocenzo IV (1243-1254) e del successore Alessandro IV (1254-1261). Infatti egli così scri-ve: “taluni Agostiniani di quei che erano dispersi per l’Occidente e molto tempo prima di metter-si l’Ordine Agostiniano sotto perfetta regola ed approvazione, intesero stabilirsi in Ischia, come effettivamente si stabilirono35”. È vero che l’Ono-rato a conferma delle sue affermazioni non cita alcuna fonte documentaria, ma in un altro passo egli ribadisce che “dove sta la presente cattedrale esisteva un’antica chiesa: la stessa era governata dalli dimessi monaci agostiniani, che stavano in Ischia prima di mettersi a regola l’Ordine degli Agostiniani ed erano quelli dispersi per l’Occi-dente; i quali ebbero dagli antichi Coscia il sito, siccome appresso riceverono la torre, che al pre-sente è campanile36”. Ma questi sono argomenti già ampiamente trattati da noi e da altri, per cui possiamo, per il momento, chiudere questa rubri-ca in attesa di riaprila presto con un altro filone di ricerca. I miei “venticinque lettori”, facciano qual-che mese di riposo. Il nostro discorso però non si interrompe ma continuerà con altri argomenti.

Agostino Di Lustro

35 V. Onorato, op. cit., ff. 135v – 136r. 36 Ibidem, f. 137v.

Lapide del vescovo Bussolaro

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40 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

Ex libris

Ischia, avec son passé légendaire, ses vergers, ses sources thermales, ses treize volcans éteints, est la perle des iles de la baie napolitaine

La baie de Naples est, de l’avis de tous les voya-geurs, l’un des plus beaux sites du monde. Elle forme un large golfe d’une régularité parfaite, ou presque parfaite, qui est bordé au nord-ouest et au sud-est par deux larges péninsules rocheuses.

La première s’étend des ruines de l’ancienne Cumes au cap Misène qui la termine. Elle est comme percée à jour de plusieurs lacs. Lac de Licola, lac de Fusara, lac Lucrin. La deuxième, dont la racine se trouve à Cas-tellamare, est un peu plus large, un peu plus massive et entièrement rocheuse, elle se termine par un cap déchiqueté, le cap Campanella. Naples se trouve sur le côté droit de la baie en regardant la mer, non loin de ces sites célèbres dans l’antiquité et tout chargés d’his-toire : le cap Misène où était ancrée la flotte de guerre romaine, Pouzzoles, Baïes, le Pausilippe.

Au milieu exactement de la baie, entre Naples et Castellamare, se dresse le cône régulier du Vésuve, merveilleux fond de tableau.

Dans la baie d’un bleu éclatant, et comme pour en rompre la magnifique monotonie, des îles sont jetées, et dans le rivage découpé, la verdure, les montagnes ajoutent à la beauté de l’horizon qu’on découvre de Naples. Capri, la Caprae des Romains où se retira Tibère, et d’où il exerça son affreuse tyrannie, est située dans le prolongement du cap Campanella. En face, à quelques kilomètres du cap Misène, l’île de Procida, presque complètement plate, et où les montagnes ne se trouvent que dans les péninsules capricieusement découpées qui la ter-minent.

La plus importante enfin est Ischia. Elle est situé à 6 kilomètres environ à l’ouest de Procida.

Elle a une forme assez régulière ; celle d’une ellipse

Ischia, con il suo passato leggendario, i suoi frutteti, le sue sorgenti termali, i suoi tredici vulcani spenti, è la perla delle isole della Baia Napoletana

La Baia di Napoli, secondo il parere di tutti i viag-giatori, è uno dei luoghi più belli del mondo. Essa forma un ampio golfo perfettamente regolare o quasi, che è bordato a nord-ovest e a sud-est da due grandi penisole rocciose.

La prima si estende dalle rovine dell’antica Cuma fino a Capo Miseno che ne è il termine, ed è come sve-lata da numerosi laghi: Lago di Licola, Lago di Fusa-ro, Lago di Lucrino. La seconda, la cui radice si trova a Castellammare, è leggermente più grande, più mas-siccia ed interamente rocciosa, terminante con un capo frastagliato, il Capo Campanella. Napoli si trova sul lato destro della Baia guardando il mare, non lon-tano da questi siti famosi nell’antichità e tutti pieni di storia: Capo Miseno, dove era ancorata la flotta roma-na di guerra, Pozzuoli, Baia, Posillipo .

Esattamente al centro della Baia, tra Napoli e Ca-stellammare, si erge il cono regolare del Vesuvio, me-raviglioso sfondo di quadro.

Nella Baia di un blu brillante, e come per rompere la magnifica monotonia, sono poste delle isole e lungo la riva frastagliata la vegetazione, le montagne accresco-no la bellezza dell’orizzonte che si scopre da Napoli. Capri, la Caprae dei romani dove si ritirò Tiberio, e donde egli esercitò la sua terribile tirannia, è situata sul prolungamento del capo Campanella. Di fronte, a pochi chilometri da Capo Miseno, l’Isola di Procida, quasi completamente pianeggiante, dove le monta-gne si trovano solo nelle penisole capricciosamente frastagliare che la terminano.

La più importante è finalmente Ischia, che si trova a circa 6 km a ovest di Procida.

Ischia ha una forma molto regolare; quella di un’el-

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 41

"La Marine" ou boulevard maritime de Casamicciola

Le Château d'Ischia se dresse sun un îlot abrupt qui se rrou-ve à l'extrémité de l'île

lisse leggermente allungata, lunga circa 10 chilometri, larga da 7 a 8. Ma i suoi contorni sono come smer-lati da golfi larghi e poco profondi e separano strette penisole. Ischia è un’isola interamente vulcanica. Ha l’aspetto di un’enorme montagna molto regolare, la cui cima si trova quasi esattamente al centro. Questa sommità è quella di un vulcano, l’Epomeo. Ha un’al-tezza di poco più di 800 metri. Tuttavia, visto dal mare, esso sembra quasi alto come il Vesuvio.

L’Epomeo e il Vesuvio sembrano, però, fare parte di una serie di ampi apparati vulcanici a duplice com-portamento. È stato osservato, infatti, che i periodi di attività vulcanica del Vesuvio e dell’Epomeo non coincidono, ma si alternano. Quando il Vesuvio erut-ta, l’Epomeo è tranquillo; quando l’Epomeo s’adira, il Vesuvio è calmo. I parossismi d’eruzione vulcanica dell’Epomeo si sono verificati durante lunghi periodi di riposo del Vesuvio.

Il più terribile è stato quello del 1302. A quel tempo, il vulcano vomitò una quantità enorme di lava, così compatta che, da allora, i suoi contorni non hanno mai potuto ricoprirsi di vegetazione. Più tardi il Vesu-vio si trovò in attività e l’Epomeo si calmò.

Verso la fine del XIX secolo, quando il Vesuvio sem-brava sonnecchiare, l’Epomeo, si svegliò. Il 18 (il 28, ndr) luglio 1883, avvenne una terribile eruzione che causò la morte di tremila abitanti dell’isola.

La catastrofe fu tanto più inattesa in quanto il terri-bile vulcano aveva avuto cinque secoli di tranquillità. Furono il lato nord dell’isola e in particolare il borgo di Casamicciola che ebbero a soffrirne.

Sotto l’aspetto della geologia di Ischia, tutto dimo-stra che l’isola è interamente emersa dalle acque e in un’epoca recente.

I geologi trovano, infatti, che le acque d’Ischia ripo-sano su argille e marne contenenti molluschi simili a quelli del Mediterraneo.

Oggi, però, sembra che l’isola d’Ischia tenda ad ab-

peu allongée, longue d’environ 10 kilomètres, large de 7 à 8. Mais ses contours sont comme festonnés par des golfes larges et peu profonds que séparent d’étroites péninsules. Ischia est une île entièrement volcanique. Elle a l’aspect d’une énorme montagne fort régulière, dont le sommet se trouve à peu près exactement au milieu. Ce sommet est celui d’un volcan, l’Epomeo. Il n’a qu’une hauteur d’un peu plus de 800 mètres. Ce-pendant, vu de la mer, il paraît à peu près aussi haut que le Vésuve.

L’Epomeo et le Vésuve semblent, d’ailleurs, faire partie d’une suite de vastes appareils volcaniques à double boucle. On a remarqué, en effet, que les pé-riodes d’activité volcanique du Vésuve et de l’Epomeo ne coïncident pas, mais qu’elles alternent. Quand le Vésuve est en éruption, l’Epomeo se tient tranquille; quand l’Epomeo se fâche, le Vésuve est calme. Les pa-roxysmes d’éruption volcanique de l’Epomeo se sont produits pendant les grandes périodes de repos du Vésuve.

Le plus terrible a été celui de 1302. A ce moment, le volcan vomit une formidable quantité de laves, et tel-lement compacte que depuis lors, ses abords n’ont ja-mais pu se couvrir de végétation. Plus tard le Vésuve se retrouva en activité et l’Epomeo se calma.

Vers la fin du XIXe siècle lorsque le Vésuve semblait sommeiller, l’Epomeo, lui, s’est réveillé. Le 18 (28, ndr) juillet 1883, une terrible éruption se produisit qui cau-sa la mort de trois mille des habitants de l’île.

La catastrophe fut d’autant plus imprévue que le terrible volcan avait eu cinq siècles de tranquillité. C’est le côté nord de l’île et particulièrement le bourg de Casanicciola qui eurent à souffrir.

Tout, dans l’aspect de la géologie d’Ischia, montre bien qu’elle est toute entière surgie des eaux et à une époque récente.

Les géologues constatent, en effet, que les lacs d’Is-chia reposent sur des argiles et des marnes contenant des coquillages semblables à ceux qui vivent dans la Méditerranée.

Aujourd’hui, d’ailleurs, il semble que l’île d’Ischia

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42 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

bassarsi: alla base delle scogliere, le onde stanno fa-cendo un grande lavoro di erosione.

Gli isolotti situati nelle vicinanze di Ischia si trovano nella stessa situazione. Così è di Ventotene e di Santo Stefano, ex parti della stessa isola, Pandataria, e che sono diventate, oggi, terre distinte; l’erosione ha ta-gliato l’isola in due. Altre tre isole, Ponza, Palmarola e Zanova, erano così, una volta, una stessa terra vulcani-ca. Anche se l’Epomeo è oggi calmo, tuttavia le mani-festazioni dell’attività vulcanica rimangono. Ovunque ci sono sorgenti di acqua calda. Se ne trovano vicino a Porto d’Ischia, il capoluogo, piccolo borgo abitato da pescatori sulle rive di una calanca del tutto blu, domi-nata dalle cupole nerastre e arrotondate delle monta-gne vulcaniche. Se ne trovano anche in Casamicciola e a Lacco. Casamicciola è stata, per lungo tempo, una stazione termale molto frequentata. Le sorgenti mine-rali, della specie clorurata sodica, arrivano dalle pro-fondità della terra, ad una temperatura da 70 a 8o°. Casamicciola si trova in un sito affascinante; dove le montagne si allontanano un po’ dal mare, lasciando tra di loro e l’azzurro del Golfo una spiaggia piuttosto am-pia, a forma di mezzaluna. Lungo questa spiaggia e il piccolo porto naturale è stato attrezzato un boulevard marittimo, ampio, regolare, formato di begli alberghi e di ville e occupato, nella parte centrale, da bei giardini. Si tratta di un luogo di villeggiatura molto frequentato.

Ha alcune migliaia di abitanti ed è, dopo Porto d’I-schia, che ne ha circa diecimila, la località più impor-tante dell’isola.

Ischia tiene il suo posto nella storia e nella leggenda dei popoli mediterranei. Come la maggior parte delle isole dove arrivarono, dopo i navigatori fenici, i navi-gatori greci, quest'isola figuta nell’Odissea; Omero, in-fatti, fa arrivare l’ingegnoso Ulisse, dopo aver superato i pericoli degli scogli di Scilla e di Cariddi, nell’isola di Enaria, che non è altro che l'isola di Ischia. Poi, fa dell’Epomeo, come anche dell’Etna, la dimora degli dei maledetti.

Tifeo, uno degli audaci Titani che osarono cercare di detronizzare Giove e marciarono all’assalto dell’Olim-po, fu colpito dal fulmine del re degli dei e sepolto sot-to la massa della montagna di fuoco. A volte, a disagio nella sua prigione, egli s’agita, e la sua rabbia fa solle-vare il vulcano e tremare la terra. I Greci dopo i Fenici, gli Etruschi dopo i Greci, i Romani dopo gli Etruschi, occuparono a loro volta questa isola, la cui posizione strategica è notevole, dal momento che controlla il Golfo di Napoli. Alla fine della Repubblica romana, e al tempo dell’Impero, essa fu una delle località prefe-rite dei ricchi romani, fecero costruirono sulle rive del mare, in prossimità delle sorgenti termali, magnifiche ville di marmo circondate da alberi di limone. Le isole vicine, Pandataria in particolare, erano luoghi di de-portazione dove l’imperatore inviava le principesse della sua famiglia la cui condotta aveva provocato uno scandalo e che vivevano in un cielo dorato.

tende à diminuer : à la base de ses falaises, les vagues accomplissent un grand travail d’érosion.

Les îlots placés dans le voisinage d’Ischia sont dans le même cas. Ainsi de Ventoniene et de San Stéfano, jadis parties de la même île, la Pandataria, et qui sont devenues, aujourd’hui, des terres distinctes, l’érosion ayant coupé l’île en deux. Trois autres îlots, Ponza, Palmarola et Zanova, étaient aussi, jadis, une même terre volcanique. Bien que l’Epomeo soit calme au-jourd’hui, cependant les manifestations de l’activité volcanique subsistent. Un peu partout se trouvent des sources thermales. On en trouve non loin de Porto d’Ischia, la capitale, petit bourg où vivent des pêcheurs sur les bords d’une calanque toute bleue, dominés par les dômes noirâtres et arrondis des montagnes vol-caniques. On en trouve également à Casanicciola et à Lacco. Casanicciola a été, pendant longtemps, nne station thermale assez fréquentée. Les sources miné-rales, de l’espèce chlorurée sodique, arrivaient des profondeurs du sol, à une température de 70 à 8o°. Casanicciola est bâtie dans un site charmant ; là les montagnes s’écartent un peu de la mer, laissant entre elles et le golfe bleu une assez vaste plage, en forme de croissant. Le long de cette plage et du petit port natu-rel on a aménagé un boulevard maritime, large, ré-gulier, bâti de beaux hôtels et de villas et occupé, dans sa partie centrale, par de beaux jardins. C’est un lieu de villégiature extrêmement fréquenté.

Il a quelques milliers d’habitants et c’est, après Por-to d’Ischia, qui, elle, en a dix mille environ, la localité la plus importante de l’île.

Ischia tient sa place dans l’histoire et dans la lé-gende des peuples méditerranéens. Comme la plupart des îles où cabotèrent, après les marins phéniciens, les marins grecs, elle figure dans l’Odyssée ; Homère fait, en effet, aborder le subtil Ulysse, après qu’il a échappé aux périls de Charybde et Scylla, dans l’île d’Enaria, qui n’est autre qu’Ischia. Un peu plus tard, on fit de l’Epomeo comme de l’Etna, la demeure des divinités maudites.

Typhée, l’un des audacieux Titans qui osèrent es-sayer de détrôner Jupiter et marchèrent à l’assaut de l’Olympe, Typhée fut frappé par la foudre du Roi des dieux et enseveli sous la masse de la montagne de feu. Parfois, mal à l’aise dans sa prison, il s’agite, et sa co-lère soulève le volcan et fait craquer le sol. Les Grecs, après les Phéniciens, les Étrusques après les Grecs, les Romains après les Étrusques occupèrent tour à tour cette île dont la position stratégique est remarquable, puisqu’elle commande le golfe de Naples. A la fin de la République romaine, et au temps de l’Empire, elle fut l’une des villégiatures favorites des riches Romains, qui se faisaient construire sur les bords de la mer, à proximité des sources chaudes, de magnifiques villas de marbre entourées de bois de citronnier. Les îles voisines, Pandataria en particulier, étaient, elles, des lieux de déportation où l’empereur envoyait les prin-cesses de sa famille dont la conduite avait fait scan-dale et qui vivaient dans un ciel doré.

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 43

Non mancarono le ospiti a Pandataria.Più tardi, le eruzioni e le depredazioni degli invasori,

Unni e Vandali, contribuirono, gli uni e gli altri, a far sparire le belle dimore e a rovinare l’isola felice.

Nel Medioevo l’isola d’Ischia si trovò a far parte del Regno di Sicilia, poi regno di Napoli, fondato, come sappiamo, dai Normanni francesi e governato, in due riprese, nell XIII e XIV secolo e nel XV secolo, dalle due case francesi d’Angiò.

Allora fu costruito il castello di Ischia. Esso si trova su una piccola roccia, larga solo poche centinaia di me-tri, e si stacca dalla massa principale ad est dell’isola, in direzione di Procida. La roccia s’eleva, di getto, una cinquantina di metri sopra il mare. Risulta abbordabile soltanto da un lato. Inoltre è stato necessario allargare di molto lo stretto spazio per farne un imbarcadero. La parte superiore forma una piattaforma, quasi piana, meglio, una sorta di piano inclinato che si innalza nel-la direzione d’Ischia e s’abbassa in quella di Procida. Questa piattaforma è stata, quasi del tutto e tranne che nelle parti più ripide, circondata da un muro che evoca un po’ quello del Mont Saint Michel. In questo recinto è ospitato il castello.

Vi si svolgevano, al tempo dei principi della casa d’A-ragona, splendide feste, dove i gran signori apparivano in farsetto di seta e di velluto, e sontuosi tornei. Poi, dopo l’occupazione spagnola di Napoli, il castello ab-bandonato è diventato una prigione. La prigione stessa è stata poi abbandonata ed oggi non vi è che un rudere. Roine ancora imponenti con le sue enormi mura e la cupola che l’incorona.

Oggi, tuttavia, il Castello di Ischia appartiene a un privato che avrebbe voluto disfarsene, senza averlo mai potuto fare, e che, avendo perduto tutta la sua for-tuna, vive solitario tra le rovine.

Ischia è intanto molto frequentata dai turisti. È una delle escursioni obbligatorie per i visitatori di Napoli. Vi si va per prendere le acque termali di Porto d’Ischia, di Casamicciola, di Lacco.

L’abbondanza delle sorgenti, la bellezza dell’isola, il fascino dei suoi frutteti, che producono frutti squisiti, contribuiscono a trattenervi i turisti. I luoghi di escur-sioni non mancano affatto. Si va alla ricerca dei tredici vulcani spenti dell’isola. Si sale in cima all’Epomeo, a 792 metri. Non lontano dal punto culminante, le grotte di San Nicola sono completamente scavate nella mon-tagna.

Nel XVII secolo, queste sono state trasformate in una rudimentale dimora da una pia napoletana che ne fece un ritiro di preghiera e vi viveva con le sue compagne. In seguito vi si stabilirono dei monaci. Un eremita vive lì oggi. Lui racconta volentieri i suoi ricordi dei visita-tori illustri che vi vennero a chiedergli ospitalità. Tra loro ci sono il Re d’Italia Vittorio Emanuele II, e Emile Zola. Dalla grotta si scopre uno dei paesaggi più belli del mondo, tutta l’isola di Ischia, verde e nera, verde per la sua lussureggiante vegetazione, nera per il terre-

Les hôtesses ne manquèrent point à Pandataria. Plus tard, les éruptions et les dépradations des en-

vahisseurs, Huns et Vandales, contribuèrent les uns et les autres à faire disparaître les belles demeures et à ruiner l’île heureuse.

Au moyen âge, l’île d’Ischia se trouva comprise dans le royaume de Sicile, plus tard royaume de Naples, fondé, on le sait, par des Normands français et gouverné à deux reprises, au XIIIe et XIVe siècle et au XVe siècle, par les deux maisons françaises d’An-jou.

Alors fut bâti le château d’Ischia. Il se trouve sur un rocher tout petit, large seulement de quelques cen-taines de mètres, qui se détache de la masse principale à l’est de l’île, dans la direction de Procida. Le rocher se dresse, d’un jet, à une cinquantaine de mètres au-dessus de la mer. On ne peut l’aborder que par un seul côté : encore a-t-il fallu beaucoup élargir l’étroite plage pour en faire un débarcadère. Le sommet forme une plate-forme, presque plane, mieux, une sorte de plan incliné qui s’élève dans la direction d’Ischia et s’abaisse dans celle de Procida. Cette plate-forme a été presque complètement, et sauf dans les parties les plus à pic, entourée d’une muraille, qui évoque un peu celle du Mont Saint-Michel. Dans cette enceinte s’est logé le château.

Là se déroulèrent, aux temps des princes de la mai-son d’Aragon, des fêtes splendides, où les grands seigneurs paraissaient en pourpoint de soie et de velours, et des tournois somptueux. Puis, après l’ins-tallation des Espagnols à ‘Naples, le château délaissé devint une prison. La prison elle-même fut désaffectée et aujourd’hui elle n’est plus qu’une ruine. Ruine en-core imposante avec ses énormes murailles et le dôme qui les couronne. Aujourd’hui, d’ailleurs, le château d’Ischia appartient à un particulier qui eût bien voulu s’en défaire, qui ne l’a jamais pu et qui, ayant perdu toute sa fortune, vit solitaire dans les ruines.

Ischia elle-même reste cependant assez fréquen-tée par les touristes. Elle est une dés excursions obli-gatoires pour les visiteurs de Naples. On y va pour prendre les eaux thermales de Porto d’Ischia, de Casa-nicciola, de Lacco.

L’abondance des sources, la beauté de l’île, le charme de ses vergers, qui produisent des fruits exquis contri-buent à y retenir les touristes. Les lieux d’excursions n’y manquent pas. On va à la recherche des treize vol-cans éteints de l’île. On monte au sommet de l’Epomeo, à 792 mètres. Non loin du point culminant, les grottes de Saint-Nicolas sont taillées en plein dans la mon-tagne.

Au XVIIe siècle, elles furent aménagées en une demeure rudimentaire, par une pieuse Napolitaine qui s’en fit une pieuse retraite et y vécut avec ses ser-vantes. Par la suite, des moines s’y établirent. Un ermite y habite aujourd’hui. Il raconte volontiers ses souvenirs sur les visiteurs illustres qui vinrent lui de-mander l’hospitalité. Parmi eux figurent le roi d’Ita-lie Victor-Emmanuel II, et Emile Zola. De la grotte

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44 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

no vulcanico, il Golfo di Napoli con il cono del Vesuvio, la città stessa e le alture di Posillipo, l’isola di Capri.

Tra le attrazioni figurano le solennità delle feste pa-tronali: festa di San Michele, festa di Santa Restituta, con le loro imponenti processioni, con l’esecuzione della danza nazionale, la famosa tarantella, e con la splendida varietà di costumi femminili, uno dei più sontuosi d’Italia; e lo scintillio di vestiti e di corpetti rossi ricamati d’oro, sotto il cielo azzurro e il sole splen-dente è, tra l’altro, una delle bellezze di questa isola, uno di questi paradisi terrestri così numerosi sulle rive del mare latino.

Léon AbensourAssociato dell’Università degli Studi,Dottore in Lettere.

on découvre l’un des plus beaux paysages du monde, toute l’île d’Ischia, verte et noire, verte par sa végéta-tion exubérante, noire par ses terrains volcaniques, le golfe de Naples avec le cône du Vésuve, la ville elle-même et les hauteurs du Pausilippe, l’île de Capri.

Parmi les attractions figurent les solennités des fêtes patronales, fête de Saint Michel, fête de Sainte Restitute, avec leurs processions imposantes, avec l’exécution de la danse nationale, la célèbre tarantelle et avec l’éclatante bigarrure des costumes féminins, l’un des plus somptueux qui soient en Italie ; et le papillonnement des robes et des corsages rouges bro-dés d’or, sous le ciel bleu et l’éclatant soleil est, entre autres, l’un des charmes de cette île, l’un de ces para-dis terrestres si nombreux sur les rivages de la mer latine.

LÉON ABENSOUR,Agrégé de l’Université,Docteur es lettres.

Ischia, l'ile des légendes, où aborda Ulysse, est presque entiérement couverte de montagnes

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 45

Popolazione Forio 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Forio dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazioneassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 17.625 +920 +5,51% 8.340 2,112014 31 dicembre 17.646 +213 +0,12% 8-345 2,112015 31 dicembre 17.615 -31 -0,18% 8.350 2,112016 31 dicembre 17.749 +134 +0,76% 8.432 2,10

Popolazione Ischia 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Ischia dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazioneassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 19.726 +1.031 +5,51% 8.899 2,212014 31 dicembre 19.877 +151 +0.75% 8.873 2,242015 31 dicembre 19.915 +38 +0,19% 8.903 2,232016 31 dicembre 20.010 +95 +0,48% 8.973 2,23

Popolazione Barano d'Ischia 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Barano d'Ischia dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazioneassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 10.071 +101 +1,01% 4.034 2,492014 31 dicembre 10.143 +72 +1,01% 4.055 2,502015 31 dicembre 10.113 -30 -0,30% 4.048 2,502016 31 dicembre 10.036 -77 -0,79% 3.973 2,52

Popolazione Casamicciola Terme 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Casamicciola Terme dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazioneassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 8.328 +169 +2,07% 3.478 2,382014 31 dicembre 8.358 +30 +0,36% 3.475 2,402015 31 dicembre 8.362 +4 +0,05% 3.493 2,382016 31 dicembre 8.301 -61 -0,73% 3,477 2,38

2013 - 2016Analisi e statistiche sulla popolazione dei Comuni isolani Barano, Casamicciola Terme, Forio, Ischia, Lacco Ameno, Serrara Fontana

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46 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

Popolazione Lacco Ameno 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Lacco Ameno dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazionassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 4.787 +143 +3,08% 2.181 2,192014 31 dicembre 4.830 +43 +0,90% 2.126 2,272015 31 dicembre 4.853 +23 +0.49% 2.152 2,262016 31 dicembre 4.842 -11 -0,23% 2.163 2,24

Popolazione Serrara Fontana 2013 - 2016Andamento demografico della popolazione residente nel Comune di Serrara Fontana dal 2013 al 2016

Data Data riferimento

Popolazioneresidente

Variazionassoluta

Variazione percentuale

NumeroFamiglie

Media comp. famiglia

2013 31 dicembre 3.193 +19 +0,60% 1.264 2,532014 31 dicembre 3.174 -19 -0,60% 1.266 2,512015 31 dicembre 3.173 -1 -0,03% 1.264 2,512016 31 dicembre 3.147 -26 -0,62% 1.265 2,49

Popolazione straniera residente nei Comuni isolani al 1° gennaio 2016 (sono considerati cittadini stranieri le persone di cittadinanza non italiana aventi dimo-

ra abituale in Italia - Comunità straniere più numerose,)

Barano Maschi Femmine TotaleStranieri residenti 454 (il

4,5 % della popolazione) con componente più numero-

sa proveniente da Ucraina, Romania e Albania

Europa 117 227 344America 20 31 51Africa 37 13 50Asia 3 6 9

Totale 177 277 454

Casamicciola Maschi Femmine Totale

Stranieri residenti 535 (il 6,4% della popolazione) con componente più numerosa

proveniente da Ucraina, Ro-mania e Rep. Dominicana

Europa 130 260 390America 39 58 97Africa 20 14 34Asia 3 10 13Oceania 0 1 1

Totale 192 343 535

Popolazione Isola d'Ischia 2013 - 2016Anni Barano Casamicciola Forio Ischia Lacco Serrara Totale2013 10.071 8.328 17.625 19.726 4.787 3.193 63.7302014 10.143 8.358 17.646 19.877 4.830 3.174 64.0282015 10.113 8.362 17.615 19.915 4.853 3.173 64-0312016 10.036 8-301 17.749 20.010 4.842 3.147 64.085

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 47

Forio Maschi Femmine Totale

Stranieri residenti 1950 (l'11,1 % della popolazione)

con componente più numero-sa proveniente da Romania,

Ucraina e Albania

Europa 602 825 1.427America 94 128 222Africa 175 68 243Asia 32 23 55Oceania 1 2 3

Totale 904 1.046 1.950

Ischia Maschi Femmine TotaleEuropa 286 491 778

Stranieri residenti 1138 (il 5,7 % della popolazione) con componente più numerosa proveniente da Romania,

Ucraina e Rep. Dominicana

America 102 146 249Africa 43 29 72Asia 22 18 40Oceania 0 1 1

Totale 453 685 1.138

Lacco Ameno Maschi Femmine TotaleStranieri residenti 341 (il

7,0% della popolazione) con componente più numerosa

proveniente da Ucraina, Ro-mania e Rep. Dominicana

Europa 73 146 219America 33 39 72Africa 28 10 38Asia 8 4 12

Totale 142 199 341

Serrara Fon-tana

Maschi Femmine Totale

Stranieri residenti 186 (il 5,9 % della popolazione) con componente più numerosa proveniente da Romania,

Germania e Ucraina

Europa 46 79 125America 5 12 17Africa 16 8 24Asia 11 8 19Oceania 0 1 1

Totale 78 108 186

Isola Maschi Femmine TotaleBarano 177 277 454

Stranieri residenti al 1° gen-naio 2016 : 4.604

Casamicciola 192 343 535Forio 904 1.046 1950Ischia 453 685 1.138Lacco Ameno 142 199 341Serrara Fontana 78 108 186

Totale 1.946 2.658 4.604

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48 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

Flusso migratorio della popolazioneDettaglio del comportamento migratorio dal 2013 al 2016

Anno1 gennaio

31dicembre

Iscritti CancellatiSALDO

con l'esteroSALDO

totaleDAaltri comuni

DAestero

PERaltri motivi *

PERaltri comuni

PERestero

PERaltri motivi *

BARANO2013 229 32 73 214 17 24 +15 ++792014 181 27 7 148 10 15 +17 +422015 150 19 6 157 16 21 +3 -192016 144 16 20 196 16 66 0 -98

CASAMICCIOLA TERME2013 217 43 101 194 5 1 +38 +1012014 220 47 6 233 16 3 +31 +212015 228 20 3 200 16 3 +4 +232016 211 24 12 194 28 93 -4 +68

FORIO2013 351 92 1.126 351 17 344 +51 +202014 305 89 40 326 38 90 +51 +202015 338 84 30 336 40 112 +44 +362016 398 79 67 293 27 115 +52 +109

ISCHIA2013 394 81 1.072 471 23 18 +55 +1-0252014 385 77 86 362 36 29 +41 +1212015 340 59 58 373 33 4 +26 +472016 397 53 53 374 30 11 +23 +88

LACCO2013 175 21 119 157 4 10 +17 +1442014 132 24 6 135 5 1 +19 +212015 134 26 9 139 3 5 +23 +222016 139 13 6 157 6 16 +7 +21

SERRARA2013 56 21 32 48 1 48 +20 +122014 41 6 0 56 7 0 +1 +162015 54 9 0 52 12 1 +3 +22016 48 7 0 59 17 0 +10 +21

La tabella riporta il dettaglio del comportamento migratorio dal 2013 al 2016. Sono riportati il nmero di trasferimento di resi-denza da e verso il Comune. I trasferimenti sono riportati come iscritti e cancellati dall'Anagrafe del Comune.

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La Rassegna d’Ischia n. 4/2017 49

BARANOAnno Nascite Decessi Saldo

2013 95 73 +222014 94 64 +302015 86 97 -112016 81 60 +21

CASAMICCIOLA TERME2013 84 76 +82014 79 70 +92015 58 77 -192016 73 66 +7

FORIO2013 172 109 +632014 159 118 +412015 154 149 +52016 163 138 +25

Movimento naturale della popolazione dal 2002 al 2013 con saldo naturale (differenza tra nascite e decessi)

ISCHIA2013 167 161 +62014 192 162 +302015 181 190 -92016 168 161 +7

LACCO AMENO2013 43 44 -12014 49 27 +222015 48 47 +12016 50 40 +10

SERRARA FONTANA2013 27 20 +72014 26 29 -32015 25 24 +12016 28 33 -5

Notizie utili

Barano d'IschiaPopolazione (Istat 01-01-2017) 10.036Superficie (in km2 ) 10,96 Densità (abit/ km2) 915,60Prefisso telefonico 081CAP 80070Numeri utili istituzionali Centralino comne 081 906711 Fax 081 905709 Polizia municipale 081 908722 Guardia medica 081 983292 Pec [email protected] Sito www.comune.barano.na.it Nome abitanti baranesiSanto Patrono San Rocco (16 agosto)Località o frazioni: Buonopane, Testaccio, Cretaio...

Elezioni : l'11 giugno 2017 hanno avuoto luogo le elezioni comunali. È stato eletto il sindaco Dionigi Gaudioso

Casamicciola TermePopolazione (Istat 01-01-2017) 8.301Superficie (in km2 ) 5,85 Densità (abit/ km2) 1.419,24Prefisso telefonico 081CAP 80074Numeri utili istituzionali Centralino 081 5072511 Fax 081 5072557 Guardia medica 081 983292 Pec [email protected] Sito www.comune.casamicciolaterme.na.it

Nome abitanti casamicciolesiSanto Patrono S. Maria Maddalena (22 luglio)Località o frazioni : Piazza Bagni, Sentinella, Maio, Perrone...

Elezioni :il 25 maggio 2014 hanno avuoto luogo le elezioni comunali. È stato eletto il sindaco Giovan Battista Castagna

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50 La Rassegna d’Ischia n. 4/2017

A cura di Raffaele Castagna su fonte www.tuttitalia.it

ForioPopolazione (Istat 01-01-2017) 17.749Superficie (in km2) 13,8 Densità (abit/ km2) 1.356,79Prefisso telefonico 081CAP 80075Numeri utili istituzionali Centralino comune 081 3332911 Fax 081 3332927 Guardia medica 081 998655 Pec [email protected] Sito www.comune.forio.na.itNome abitanti forianiSanto Patrono San Vito (15 giugno)Località o frazioni: Monterone, Panza, San Francesco, Scentone...

Elezioni : il 26 e 27 maggio 2013 si sono avute le elezioni comunali. È stato eletto il sindaco Fran-cesco Del Deo.

IschiaPopolazione (Istat 01-01-2017) 20.010Superficie (in km2) 8,14 Densità (abit/ km2 ) 2.458,14Prefisso telefonico 081CAP 80077Numeri utili istituzionali Centralino comune 081 906711 Fax 081 905709 Polizia municipale 081 908722 Guardia medica 081 983292 Pec [email protected] Sito www.comuneischia.it Nome abitanti ischitaniSanto Patrono S. Giovan Giuseppe della Croce (5 marzo)Località : Ischia Porto, Ischia Ponte, San Miche-le, Piedimonte, Sa t'Antuono, Piano Liguori

Elezioni : l'11 giugno 2017 hanno avuoto luogo le elezioni comunali. È stato eletto il sindaco Vin-cenzo Ferrandino.

Lacco AmenoPopolazione (Istat 01-01-2017) 4.842Superficie (in km2) 2.08 Densità (abit/ km2 ) 2.231,47Prefisso telefonico 081CAP 80076Numeri utili istituzionali Centralino comune 081 3330811 Fax 081 900183 Guardia medica 081 998655 Pec [email protected] Sito www.comunelaccoameno.it Nome abitanti lacchesiSanto Patrono S. Restituta (17 maggio)Località o frazioni: Fango, Fundera

Elezioni : il 31 maggio 2015 hanno avuoto luogo le elezioni comunali. È stato eletto il sindaco Giacomo Pasquale

Serrara FontanaPopolazione (Istat 01-01-2017) 3.147Superficie (in km2) 6,44 Densità (abit/ km2 ) 488,41Prefisso 081CAP 80070Numeri utili istituzionali Centralino 081 9048811 Fax 081 9906262 Guardia medica 081 998635 Pec [email protected] Sito www.comune.serrara-fontana.na.it Nome abitanti serraresi o fontanesiSanto Patrono San Vincenzo Ferreri (5 aprile)Località o frazioni : Fontana, Serrara, Succhivo, Sant'Angelo

Elezioni : il 5 giugno 2015 hanno avuoto luogo le elezioni comunali. È stato riconfermato sin-daco Rosario Caruso

* Dati e informazioni, in parte rielaborati per la pubblicazione in questa rivista, sono tratti dal sito internet di Tuttitalia (guida ai Comuni, alle Province e alle Regioni), pubblicato all'indirizzo www.tuttitalia.it Non si assumono responsabilità per eventuali errori e omissioni o per danni derivanti dall'utilizzo di questo servizio.

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Galleria IelasiIschia Ponte

22 giugno- 20 luglio 2017

Mostra Iacono - Cortese

in

InTeRelazioniffotopittura

minano i frequenti contatti con il Mediterraneo greco. Seguendo ar-tigiani, architetti, stili decorativi, soffermandosi su preziosi oggetti importati ma anche su iscrizioni in greco graffite sui muri della città, si mettono a fuoco le tante anime diverse di una città antica, le sue identità temporanee e instabili.

Sono oltre 600 i reperti esposti, tra ceramiche, ornamenti, armi, elementi architettonici, sculture provenienti da Pompei, Stabiae, Ercolano, Sorrento, Cuma, Capua, Poseidonia, Metaponto, Torre di Satriano e ancora iscrizioni nel-le diverse lingue parlate - greco, etrusco, paleoitalico -, argenti e sculture greche riprodotte in età romana. La mostra nasce da un progetto scientifico e da ricerche in corso che per la prima volta mettono in luce tratti sconosciuti di Pompei; gli oggetti, provenien-ti dai principali musei nazionali e europei, divisi in 13 sezioni tema-tiche, rileggono con le loro ‘biogra-fie’ luoghi e monumenti della città vesuviana da sempre sotto gli oc-chi di tutti.

L’allestimento espositivo, che occupa gli spazi della Palestra Grande di Pompei, è progettato

dell’architetto svizzero Bernard Tschumi e include tre installazioni audiovisive immersive curate dal-lo studio canadese GeM (Graphic eMotion). La grafica di mostra e la comunicazione sono disegnate dallo studio Tassinari/Vetta.

Pompei e i Greci illustra al gran-de pubblico il fascino di un raccon-to storico non lineare, multicentri-co, composto da identità multiple e contraddittorie, da linguaggi stra-tificati, coscientemente riutilizzati: il racconto del Mediterraneo. Una narrazione che suggerisce, non da ultimo, un confronto e una rifles-sione con il nostro contemporaneo con il suo dinamismo fatto di mi-grazioni e conflitti, incontri e scon-tri di culture.

La mostra di Pompei è la prima tappa di un programma espositi-vo realizzato congiuntamente con il Museo Archeologico di Napoli: qui, a giugno, si è inaugurata una mostra dedicata ai miti greci, a Pompei e nel mondo romano, e al tema delle metamorfosi.

Sede : Pompei, Palestra grande

Apertura fino al 27 novembre 2017.

*

Pompei e i GreciLa mostra, curata dal Direttore generale Soprintendenza Pompei Massimo Osanna e da Carlo Resci-gno (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli), è pro-mossa dalla Soprintendenza Pom-pei con l’organizzazione di Electa.

Pompei e i Greci racconta le storie di un incontro: partendo da una città italica, Pompei, se ne esa-

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Sei splendidi abiti storici delle procidane raccontano la storia della grande Procida marinara del passato. Il taglio orientale, le sete e i ricami in oro risalgono al medioevo islamico e ai rapporti commerciali con il mondo ottomano del cinquecento. Il corsetto aperto davanti ad offrire il seno nella tradizione mediterra-nea dalle statuette delle sacerdotesse cretesi è deco-rato con i simboli della fertilità e del mare. La don-na è elemento portante di un mondo cosmopolita di armatori, navigatori e mercanti, gestisce l’economia e la società di un’isola ricca e popolosa. Il suo abbi-gliamento ne identifica il valore. Nell’ottocento ispi-ra i pittori di tutta Europa sedotti dall’orientalismo rendendo Procida meta del Grand Tour e inducendo Lamartine a farla protagonista del suo popolare ro-manzo. Autrici del progetto Lena Costagliola ed Eli-sabetta Montaldo.