Artisti isolani Mariolino Capuano -...

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La Rassegna d’Ischia 4/1994 31 Artisti isolani Mariolino Capuano Opinioni di un burattino di Tonino Della Vecchia In questi giorni di fine maggio, a Forio, la festa di San Vito (il Santo Patrono) è già nell’aria. Come tante formiche, degli operai trasportano lunghi pali blu per l’addobbo, che odorano ancora dei botti per Santa Restituta. Non sono più, questi, giorni di esotico splendore che resistono in ogni vita come pietre di marmo, come si augurava Auden nella sua “Ischia”: ci restano almeno queste giornate di gran caldo, mentre altri turisti fanno galleggiare le loro “pagliette” lungo il corso. La boutique di Mariolino, piantonata dalle auto in sosta, ne domina la parte centrale. E’ un momento di relativa calma, quando entro. Solo una settimana fa si è inaugurata nella Galleria di Carolina Monti, ad Ischia Ponte, una sua mostra (resterà aperta fino al 21 giugno), che fornisce lo spunto a questa no- stra conversazione. Che significa per te dipingere? gli chiedo, mentre il rumore del traffico fa da sfondo alla domanda. E’ un modo di manifestare quello che si ha dentro. Ho scelto questo modo di espressione, anche se sentivo che avrei potuto scrivere o scolpire, perché avevo un tempo forti stimoli soprattutto per la scrittura. Pare, allora, che la pittura sia stata per te casuale. Questo no. Fin da piccolo ho avuto passione per la pittura, nata in me sponta- neamente. Solo anni dopo ho cominciato a prendere interesse per i singoli pit- tori che vedevo per la strada, ma questo per osservare le varie tecniche dell’uso dei colori, dei pennelli, non come modo di espressione artistica. Nel frattempo, un discreto viavai di amici, clienti, parenti anima oltre misura il locale. Un giovane turista col sacco incollato alla schiena gli chiede un paio di calzini esposti. “Che misura?” - “Undici e mezzo” - “Ed il colore?” - “Quello bianco sporco” risponde il turista, indicandolo col dito. “Bianco panna”, cor- regge Mariolino. Ci pare opportuno proseguire la nostra conversazione in un luogo più tran- quillo, così che ci trasferiamo nel suo studio, lasciando il controllo del locale alla moglie Lucia.

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Artisti isolani

Mariolino Capuano

Opinioni di un burattino

di Tonino Della Vecchia

In questi giorni di fine maggio, a Forio, la festa di San Vito (il Santo Patrono) è già nell’aria. Come tante formiche, degli operai trasportano lunghi pali blu per l’addobbo, che odorano ancora dei botti per Santa Restituta. Non sono più, questi, giorni di esotico splendore che resistono in ogni vita come pietre di marmo, come si augurava Auden nella sua “Ischia”: ci restano almeno queste giornate di gran caldo, mentre altri turisti fanno galleggiare le loro “pagliette” lungo il corso. La boutique di Mariolino, piantonata dalle auto in sosta, ne domina la parte centrale. E’ un momento di relativa calma, quando entro. Solo una settimana fa si è inaugurata nella Galleria di Carolina Monti, ad Ischia Ponte, una sua mostra (resterà aperta fino al 21 giugno), che fornisce lo spunto a questa no-stra conversazione.Che significa per te dipingere? gli chiedo, mentre il rumore del traffico fa da sfondo alla domanda.

E’ un modo di manifestare quello che si ha dentro. Ho scelto questo modo di espressione, anche se sentivo che avrei potuto scrivere o scolpire, perché avevo un tempo forti stimoli soprattutto per la scrittura.

Pare, allora, che la pittura sia stata per te casuale.

Questo no. Fin da piccolo ho avuto passione per la pittura, nata in me sponta-neamente. Solo anni dopo ho cominciato a prendere interesse per i singoli pit-tori che vedevo per la strada, ma questo per osservare le varie tecniche dell’uso dei colori, dei pennelli, non come modo di espressione artistica.

Nel frattempo, un discreto viavai di amici, clienti, parenti anima oltre misura il locale. Un giovane turista col sacco incollato alla schiena gli chiede un paio di calzini esposti. “Che misura?” - “Undici e mezzo” - “Ed il colore?” - “Quello bianco sporco” risponde il turista, indicandolo col dito. “Bianco panna”, cor-regge Mariolino. Ci pare opportuno proseguire la nostra conversazione in un luogo più tran-quillo, così che ci trasferiamo nel suo studio, lasciando il controllo del locale alla moglie Lucia.

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Continuavi a dipingere durante gli anni degli studi?

Fino al termine, al Nautico di Procida. Mi rimangono solo pochi la-vori del tempo, perché li ho quasi tutti bruciati. Mi restano solo pochi disegni di compagni di classe, di amici... Erano disegni che eseguivo a scuola, al bar, dove capitava.

Poi tira fuori una piccola tela arrotolata: il suo autoritratto all’età di tredici anni, ben eseguito, che lascia indovinare il giovane lupo di mare che sarebbe diventato, ma anche l’artista che ora ammiriamo. Per quanto tempo hai navigato?

Dal ‘64 al ‘68 con periodi, talvolta, anche di sedici mesi. Poi aprii il negozio e anche col matrimonio tornai per qualche tempo a navigare.

In che periodo potremmo collocare il tuo vero confronto con la pit-tura, il tuo misurarti?

Guarda che, ogni volta che mi ponevo di fronte ad un foglio bianco o alla tela pulita, il confronto era sempre serio, a prescindere dalla mia età. Se invece ti riferisci al periodo nel quale ho ripreso a dipingere in modo regolare, allora andiamo agli inizi degli anni Ottanta. A farmi decidere fu una collettiva, che fece sorgere in me una sensazione di sfi-da. Oltre che di “fanatismo”. La pria prima personale l’organizzò l’ami-ca Maria Mennella all’interno di un’edizione del Premio Coppola. Fu un’esperienza deludente, per certi commenti ricevuti (e non sempre a torto), ma anche salutare.

Quali erano allora i tuoi soggetti? Mariolino mi mostra allora alcune tempere con uno sciatore d’ac-qua (di scarso interesse), un giornale straniero strappato incollato ad una parete e il Castello aragonese che si erge maestoso come l’iso-la di Saint Michel dopo la bassa marea, mentre un aliscafo giace sul fondo essiccato come un pesce che geme sulla sabbia.Dal portone in fondo, proviene la voce della figlia minore che invoca la traduzione tedesca per un certo capo di abbigliamento.

In verità, qualcosa prima dipingevo. Ma si trattava di esercizi, ed i soggetti erano nature morte per la maggior parte, che eseguivo a china. Poi è venuto il tempo dell’ideazione, di origine surrealista per qualche influenza avuta in passato e della quale non mi rendevo ben conto.

Cosa ricordi dei pittori che venivano a Forio?

Bargheer lo conoscevo attraverso i fatti che mia madre riportava in famiglia: il suo riposare in terrazza, l’allarme per qualche lucertola che gli entrava in camera... Se non ricordo male, l’abitazione di mia madre - giacché io vivevo con mia zia - fu la sua prima a Forio, sia prima che dopo la guerra. Era situata sopra la “Bussola” e dominava il porto. Ri-cordo invece bene quando Filippo Dakin si installava, coi suoi attrezzi, ben lbel mezzo della piazza Pontone (l’attuale Matteotti), imitato poco dopo da suo cognato Giocondo Sacchetti, che allora sfoggiava uno spe-ciale pennello che si era fatto spedire dalla Svizzera. Poi c’era Pagliacci. Il primo Pagliacci, quello del “Colpo di luna”, faceva danzare oltre alle

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ragazze anche le bottiglie, ed allora volavano sedie, bestemmie: era un leone di forza e di carattere. Poi è venuto il Pagliacci foriano, che aprì due boutiques alle sue amiche. Poco prima della sua morte, lo andai a trovare con Vito Mattera e gli organizzammo la sua ultima mostra.

E invece con i pittori foriani?

Solo con Gino Coppa vi sono scambi di opinioni, in tema di pittura. Di Peperone ricordo le sue straordinarie invenzioni quando, ragazzini, sotto un albero di noci nella campagna di San Giuliano, creava funghi con le noci o ancora ricreava a suo modo la montagna: erano di un fascino che magnetizzava la nostra fantasia... Ricordo ancora le litigate fra Maddalena e Bolivar, perché si aggiungesse un po’ di rosso ai qua-dri/ questi consigli, urlati dalla donna, facevano imbestialire Bolivar creando forti attriti.

Da cosa nasce l’esigenza di esprimerti attraverso il trompe l’oeil?

Dal fatto di non condividere una certa idea dell’arte contemporanea che porta materialmente gli oggetti all’esposizione. Credo che, se si vuole comu-nicare attraverso un dato oggetto, poniamo la tazza da bagno, questa vada raffigurata e non trasportata materialmente. Quando costruisco in me un quadro, devo però superare la noia dell’esecuzione, perché dal momento che l’ho ideato, è come se lo possedessi già. E questo lo sento più pesante della realizzazione stessa: è cioè una difficoltà psicologica che devo ogni volta su-perare.

Con quale intensità ti dedichi al lavoro?

Dalle due ore al giorno fino alle dieci nel periodo invernale: la pittura è una componente importante della mia vita.

MariolinoCapuano

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Uno dei tuoi primi lavori, che meglio ricordo, raffigura una chiesa dal portone spalancato. Al suo interno, un cumulo di sabbia.

Si trattava di un deserto illuminatissimo, po-sto all’interno di una chiesa (solitamente buie). E’ una sensazione ambigua, in quanto il deserto, che evoca generalmente fame, siccità, assenza di vita, è portatore di tantissima luce. Questo riflet-te l’antitesi presente nei miei lavori: il meno co-stituito dal deserto, il più dato dalla luce. Il qua-dro di cui parliamo si intitola “Restauro”.

Vi era in esso un riferimento alla realtà fo-riana, che del resto nei lavori di quel periodo è spesso richiamata?

Non in questo quadro. Per il resto, osservavo la realtà che mi circondava. Poi, sono andato oltre.

Ma in questi lavori, come vedevi il tuo paese?

Ogni paese costituisce una realtà a sé. Certo, non ne ero, né lo sono adesso, contento. Ma que-sto fa parte del mio spirito critico. Tengo però a precisare che non sono un nostalgico dei tempi andati: il passato non lo ricordo mai con piace-re, perché rivedo tempi difficili ed il desiderio di ragazzino di soddisfare tanti bisogni, la fame...

Ma questi inserti fotografici (chiamiamoli così), presenti in tanti lavoro, non hanno forse un significato di ricordo?

M. Capuano - Effluvio di estate - 1994 Acrilico su tela cm 60x80

Per me una foto antica ha il valore dell’ispirazione, che non è ne-cessariamente legata alla foto. Ad esempio, da una foto di un basti-mento può venirne fuori un nudo.

Quindi non ha una specifica funzione mnemonica... Dipingere il lungomare foriano e applicarvi sul lato un antico quadretto fami-liare, non credi che ciò comporti una particolare relazione fra la foto e il paesaggio?

Li vedo piuttosto come scene, attori (testimoni muti, chiamiamoli così) di una commedia che sto rappresentando. Lo scopo è quello di stimolare una continua riflessione intorno al quadro.

Seduti intorno alle sue opere, mentre dal cavalletto Mariolino ha fatto sparire il quadro al quale sta lavorando, la discussione fluisce c alma ed appassionata, in ciò favorita (credo) dall’assenza di scirocco. Ora prende un’opera dove un Pinocchio triste e sconso-lato siede nel braccio di una croce. A lato, la parte piena di quella stessa croce è sormontata dal cubo di Rubik, con le sue facce mul-ticolori mischiate. Riprende:

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Ricordi l’episodio di Pinocchio nel paese degli acchiappacitrulli? E’ un concetto molto interessante, perché in questo paese i furbi sono fuori, mentre gli onesti finiscono in galera. In questo quadro Pinocchio, fino ad ora un malandrino, fini-sce nella croce, mentre di fuori, sopra di essa, vi è l’arbitrio, la follia (penso alla “Corda pazza” di Sciascia, ma non glielo dico). I ruoli sono invertiti.

A me, invece, veniva da pensare (forse un po’ banalmente) alla solitudine dell’uomo nella croce, al silenzio di Dio...

E’ il tipo di sensazione che intendo trasmettere con i miei quadri, senza entrare, in definitiva, nel merito delle singole interpretazioni, legittime o meno che pos-sano sembrare.

Ma come nasce il testimone Pinocchio?

Tempo fa vi era un negozio di cianfrusaglie di fronte al mio locale. Mi ci reca-vo spesso e sempre mi capitava di posare lo sguardo in un cartone dov’erano in vendita vari Pinocchi. Così pensai che avrebbe potuto diventare l’attore della mia commedia, senza che - tienilo presente - mi identificassi in lui, ma che rappre-sentasse la mia idea allo stesso modo, poniamo, di Pulcinella... Pinocchio è un discorso che ho avviato fin dai primi lavori e che ho portato avanti parallelamente ad altre opere, anche se solo di recente mi sono deciso a farlo “recitare” in pub-blico.

Mi viene da pensare, a questo proposito, al famoso quadro “impacchettato” e legato con uno spago. Di ritorno da una mostra collettiva in Germania alla quale aveva partecipato con alcuni pezzi, alla Dogana un solerte funzionario si ostinava a voler scartocciare il quadro per poterlo vedere. Anche questo è Mariolino.

Tonino Della Vecchia

M. Capuano - Ritorno alle origini - 1993 - Acrilico su tela cm 100 x 70