Affidati alla Parola · BIBBIA 2 Eco dei Barnabiti 4 ... differenza delle beatitudini presenti ......

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BIBBIA Eco dei Barnabiti 4/2018 2 S iamo così giunti all’apice del discorso di addio di Paolo agli anziani di Efeso, un di- scorso nel quale l’Apostolo ha riper- corso la sua vita spesa al servizio del Vangelo ed ha rivolto un accora- to appello alla vigilanza, perché la custodia del gregge del Signore sia attenta ed efficace. Nelle sue parole si sono dispiegati passato, presente e futuro, nella profonda consapevo- lezza di quanto compiuto e di quan- to – avvinto dallo Spirito – ora lo at- tende, per continuare a rendere viva e fedele testimonianza al Vangelo. E le ultime parole che Paolo rivolge agli anziani divengono mandato e benedizione; la sua intensa esorta- zione si trasforma in preghiera di in- tercessione, perché la comunità si lasci edificare dalla Parola di cui lui, Paolo, si considera servo e umile portatore. Leggiamo dunque il suo commiato. « 32 E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concede- re l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santifica- ti. 33 Non ho desiderato né argento né oro né il vestito di nessuno. 34 Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provvedu- to queste mie mani. 35 In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavo- rando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel riceve- re!”.» (At 20,32-35). Affidati alla Parola Già la prima espres- sione può stupire: anzi- ché affidare la Parola al- la protezione degli an- ziani, l’Apostolo affida gli anziani alla protezio- ne della Parola («paratí- themai hymâs tô theô kaì tô lógo tês cháritos autoû», v. 32). Ci sarem- mo aspettati il contrario, che cioè, dopo aver a lungo predicato il Van- gelo, Paolo desse man- dato agli anziani di Efe- IL VANGELO DELLA GRAZIA (III) Affidati alla Parola L’espressione “Affidati alla Parola” vuole esprimere, a chiare lettere, che non siamo noi a “possedere” la Parola, ma è la Parola ad avere in mano la nostra vita. È la Parola la protagonista, perché nella Parola la potenza di Dio agisce, opera e salva. San Paolo - Efeso, Grotta di san Paolo (sec. V-VI)

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BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/20182

Siamo così giunti all’apice deldiscorso di addio di Paoloagli anziani di Efeso, un di-

scorso nel quale l’Apostolo ha riper-corso la sua vita spesa al serviziodel Vangelo ed ha rivolto un accora-to appello alla vigilanza, perché lacustodia del gregge del Signore sia

attenta ed efficace. Nelle sue parolesi sono dispiegati passato, presente efuturo, nella profonda consapevo-lezza di quanto compiuto e di quan-to – avvinto dallo Spirito – ora lo at-tende, per continuare a rendere vivae fedele testimonianza al Vangelo.E le ultime parole che Paolo rivolge

agli anziani divengono mandato ebenedizione; la sua intensa esorta-zione si trasforma in preghiera di in-tercessione, perché la comunità silasci edificare dalla Parola di cui lui,Paolo, si considera servo e umileportatore.Leggiamo dunque il suo commiato.

«32E ora vi affido a Dioe alla parola della suagrazia, che ha la potenzadi edificare e di concede-re l’eredità fra tutti quelliche da lui sono santifica-ti. 33Non ho desideratoné argento né oro né ilvestito di nessuno. 34Voisapete che alle necessitàmie e di quelli che eranocon me hanno provvedu-to queste mie mani. 35Intutte le maniere vi homostrato che i deboli sidevono soccorrere lavo-rando così, ricordando leparole del Signore Gesù,che disse: “Si è più beatinel dare che nel riceve-re!”.» (At 20,32-35).

Affidati alla Parola

Già la prima espres-sione può stupire: anzi-ché affidare la Parola al-la protezione degli an-ziani, l’Apostolo affidagli anziani alla protezio-ne della Parola («paratí-themai hymâs tô theôkaì tô lógo tês cháritosautoû», v. 32). Ci sarem-mo aspettati il contrario,che cioè, dopo aver alungo predicato il Van-gelo, Paolo desse man-dato agli anziani di Efe-

IL VANGELO DELLA GRAZIA (III)Affidati alla Parola

L’espressione “Affidati alla Parola” vuole esprimere, a chiare lettere, che non siamo noi a“possedere” la Parola, ma è la Parola ad avere in mano la nostra vita. È la Parola la protagonista,perché nella Parola la potenza di Dio agisce, opera e salva.

San Paolo - Efeso, Grotta di san Paolo (sec. V-VI)

so perché proseguissero la sua azio-ne evangelizzatrice. E invece ... liaffida «a Dio e alla Parola della suagrazia»! Gli anziani e la comunitàtutta sono, in altri termini, affidatial Signore e alla Parola che annun-cia il Suo amore, all’amore di Dio,quel l’amore che Paolo ha sperimen-tato in modo completamente gratui-to sulla via di Damasco. Abbiamoprecedentemente notato che Paoloaveva definito la sua missione come«testimonianza al Vangelo della gra-zia» (20,24), cioè testimonianza dellieto annuncio (euaggélion) del-l’amore gratuito e salvifico di Dio(charis).Qui, ora, si specifica che la Parola

è essa stessa grazia; la Parola nonsolo annuncia che c’è questa grazia,ma la contiene. La Parola è la graziadi Dio, il suo amore, la sua stessapresenza. Nella prima Lettera ai Co-rinzi, Paolo aveva scritto che «la pa-rola della croce ... per noi, è poten-za di Dio ... annunciamo Cristo cro-cifisso ... Cristo è potenza di Dio esapienza di Dio» (1Cor 1,18.23-24). Non c’è differenza tra la perso-na di Gesù e la sua opera, tra la Pa-rola di Dio e la sua opera. Dopoche la Parola si è fatta carne in Ge-sù (cf. Gv 1,14), affidare e affidarsialla Parola coincide con l’adesionepersonale alla Parola fatta carne. Si-gnifica, in ultima istanza, trasforma-re la propria umanità a immaginedell’umanità di Gesù di Nazaret,colui che nella sua carne ha narratoDio.La Parola, prima di essere la pre-

sentazione di una dottrina o di unamorale, è innanzitutto, dunque, l’of-ferta da parte di Dio del suo amore.La Parola della grazia di Dio è il rac-conto del dono del Figlio di Dio cheha tanto amato il mondo da donarela sua vita in riscatto. È Cristo stessoquesta Parola; Parola di salvezza (ló-gos tês soterías: At 13,26): Parolache salva, Parola che converte, chesorregge, che dona vita. La Parola èDio stesso, presente e operante nel-la storia.Affidare alla Parola della grazia di

Dio significa, quindi, avere consape-volezza che non siamo noi a “posse-dere” la Parola, ma è la Parola adavere in mano la nostra vita. È la Pa-rola la protagonista, perché nella Pa-rola la potenza di Dio agisce, operae salva. Sicuramente tutti abbiamo a

cuore l’annuncio del Vangelo; sicura-mente tutti abbiamo a cuore che laParola di Dio si diffonda nel cuoredei credenti, ma se non abbiamomaturato la consapevolezza che èanzitutto la Parola a portare noi, a

sostenerci, a custodirci, ad animarci,rischiamo una missione inefficace epoco credibile.«Prima che la Parola sia loro affida-

ta, sono essi stessi affidati alla Parola;prima di essere portatori della Parola,essi stessi sono portati dalla Parola diDio! Sì, la Parola è potente ed effi-cace, ha un’energia perché è realtàviva e operante (Eb 4,12), ha il poteredi salvare la vita (Gc 1,21), di comu-nicare la sapienza che porta alla sal-vezza (2Tm 3,15-17) e, come Evan-gelo, è potenza di Dio (Rm 1,16)»(E. Bianchi).L’affidamento alla Parola, pertanto,

comporta un abbandonarsi fiduciosoad essa, porsi in ascolto di essa per-ché diventi la guida di ogni nostra

azione e di ogni nostra scelta. Solol’ascolto fiducioso della Parola puòportare ad una coerente messa inpratica della Parola stessa. Solo chi èascoltatore della Parola, chi si lasciaraggiungere, penetrare, misurare da

essa e sa accoglierla e custodirla saràpoi capace di realizzarla.Il verbo ebraico che indica l’ascol-

to (il verbo shama’) indica contem-poraneamente anche la realizzazione,il fare ciò che si ascolta, l’obbe-dienza. Gesù ha delineato il pro-cesso della Parola che, seminata inabbondanza, può non venire accol-ta da quegli ascoltatori da lui iden-tificati nel terreno calpestato, sas-soso, spinoso (cf. Mc 4,1-7.13-19 epar.).La Parola viene ascoltata nella mi-

sura in cui viene realizzata: se nonc’è realizzazione, non c’è nemmenoascolto. Se non c’è ascolto, non c’ètrasformazione, cambiamento, con-versione.

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«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca» (Ger 1,9) - Bibbia di Winchester,f. 148r (sec. XII)

«Sulla tua parola getterò le reti» ri-sponde Pietro a Gesù che gli dice ditornare a pescare dopo che ha tentatoper tutta la notte senza ottenere risul-tati (Lc 5,5). «E presero una quantitàenorme di pesci e le loro reti quasi sirompevano». Un successo straordina-rio dovuto alla fede-fiducia nella Pa-rola di Gesù; nel Gesù-Parola!Ecco, dunque, che in questo senso,

essere affidati alla Parola diviene pernoi un impegno di assiduità con le

Scritture che la contengono, un’assi-duità fatta di lettura (lectio), di ap-profondimento meditativo del testo(meditatio), di preghiera (oratio), diesperienza quotidiana vissuta sottoil giudizio della Parola di Dio (con-templatio).Solo così si fa proprio il pensiero

di Cristo, in modo da poter dire conl’Apostolo: «Noi abbiamo il pensierodi Cristo» (noûn Christoû échomen:1Cor 2,16).

edificati dalla Parola

E così la Parola è anche ciò cheedifica. J. Caillot parafrasava con ildetto Scripturae faciunt christianosuna celebre espressione di sant’Ago-stino: «il nostro cibo quotidiano suquesta terra è la Parola di Dio, chesempre viene distribuita nelle chiese»(Discorsi, 56,6,10). Il cristiano, la co-munità cristiana, è costruito dalla Pa-rola, edificato sulla Parola.

La comunità cristiana è come unedificio che ha un fondamento unicoe solido: Gesù Cristo. Su questo fon-damento nasce, cresce e si edificatutta la comunità cristiana. È la Paro-la di Dio che ha il potere di “edifica-re”, che ha il potere di trasformare isingoli in pietre da costruzione. Perdiventare pietre da costruzione, biso-gna che siano accostabili le une allealtre e che ciascuna venga collocatadentro a un progetto unitario e armo-

nioso. È questo che fa la Parola diDio. Affidati alla Parola, abbandonatifiduciosi ad essa, «sarà questa parolaa costruire, grazie alla forza divinache contiene in sé. Essa dispiegheràla sua energia sia in favore degli an-ziani che le vengono affidati, sia infavore dei credenti che gli anziani de-vono custodire con grande sollecitu-dine. È stata la parola della grazia agettare le fondamenta dell’edificio;sarà anche capace di tirarlo su e diportare a termine la sua costruzione»(J. Dupont).Affidando gli anziani di Efeso alla

«parola della sua grazia, che ha lapotenza di edificare e di concederel’eredità fra tutti quelli che da lui so-no santificati», Paolo «ricorda cheDio si manifesta loro nella Parola-Gesù. Paolo non sarà più con la co-munità, non parlerà più ma la Paroladi Dio è sempre con loro e la poten-za di questa Parola rinnova con unainiziativa gratuita che previene e ri-para ogni umana debolezza» (CarloM. Martini).

la beatitudine del donare

Cronologicamente, l’ultima parolameravigliosa e riassuntiva dell’espe-rienza paolina è una beatitudine: «Siè più beati nel dare che nel ricevere!»(v. 35). Questa massima, attribuita aGesù, è sorprendente sia perché, adifferenza delle beatitudini presentinel Vangelo, è riferita ad un’azione enon ad una persona, sia perché nonsi trova in nessuno dei Vangeli.Se il tema della beatitudine con-

nesso con quello del dono comparenaturalmente al termine delle Beati-tudini («Date e vi sarà dato; unabuona misura pigiata, colma e tra-boccante vi sarà versata nel grem-bo»: Lc 6,38), l’ultima volta che nelVangelo di Luca troviamo la parola“beati”, essa riguarda proprio il temadel dono: «quando offri un banchet-to, invita poveri, storpi, zoppi e i cie-chi; e sarai beato perché non hannoda ricambiarti. Riceverai infatti la tuaricompensa alla risurrezione dei giu-sti» (Lc 14,13-14). Se la tematica del-l’elemosina (éleos) e del dono è cer-tamente uno dei temi più importantidi Luca e una realtà fondamentaleper i primi cristiani, il significato diquesto detto si riconnette ad un donoben più grande. Per lo stesso Gesùl’elemosina non è l’unico dono pos-

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«Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Lc 5,4) – Schaffhausen,Stadtbibliothek, Gen 8, f. 38r (a. 1340)

sibile né, forse, il più importante.Nell’episodio della povera vedova,Luca mette in evidenza il parallelofra il dono di tutto ciò che essa haper vivere (ólon ton bíon) e il donoche Cristo si appresta a fare della suavita. Ed è dunque in questa otticache va considerata la massima con-clusiva del discorso di Paolo. Infatti,a proposito della complicata vicendadella colletta destinata alla comunitàdi Gerusalemme, Paolo fa esplicita-mente riferimento all’offerta totale diCristo: «conoscete infatti la grazia delnostro Signore Gesù Cristo: da riccoche era, si è fatto povero per voi, per-ché voi diventaste ricchi per mezzodella sua povertà» (2Cor 8,9). Così ildetto di At 20,35 riecheggia non solol’insegnamento di Gesù sul dono, maanche quello di Paolo su «questo ser-vizio a favore dei santi» (tèn koino-nìan tès diakonìas: 2Cor 2,4) e richia-ma l’offerta che Cristo ha fatto dellasua vita, offerta alla quale Paolo si èconformato.A questo è dovuta l’insistenza con

cui Paolo tiene a ricordare agli an-ziani di non aver voluto ricevere so-stegno economico da parte dellesue comunità. Una insistenza che ri-corre anche all’interno dell’epistola-rio: «lavorando notte e giorno pernon essere di peso ad alcuno di voi,vi abbiamo annunciato il vangelo diDio» (1Ts 2,9); «ci affatichiamo lavo-rando con le nostre mani» (1Cor4,12); «Qual è dunque la mia ricom-pensa? Quella di annunciare gratui-tamente il Vangelo senza usare il di-ritto conferitomi dal Vangelo» (1Cor9,18).Lavorare con le proprie mani e

guadagnarsi da vivere dà all’Aposto-lo la possibilità di annunciare la Pa-rola gratuitamente: è la gratuità unodi quei segni, di quelle testimonian-ze che rendono credibile l’annuncio.Anche la Prima Lettera di Pietro, d’al-tra parte, mette in evidenza il disinte-resse che deve accompagnare la pre-dicazione della Parola e la cura delgregge: «pascete il gregge di Dio chevi è affidato ... non per vergognosointeresse, ma con animo generoso»(1Pt 5,2) e ancora, sempre nel rac-conto degli Atti, quando Pietro, incompagnia di Giovanni, incontra lostorpio che chiedeva l’elemosina allaporta del tempio, lo guarisce dicen-dogli «non possiedo né argento néoro, ma quello che ho te lo do: nel

nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àl-zati e cammina!».«Il discorso di Mileto non fa che

enunciare una particolare applicazio-ne della legge della carità; ancor piùdegli altri, coloro che sono stati inca-ricati di guidare il popolo cristiano edi insegnargli le esigenze dell’ideale

evangelico devono imitare nel pro-prio comportamento la carità di Cri-sto. [...] i presbiteri lavoreranno conle loro stesse mani, in modo da pro-curarsi i denari necessari per l’eserci-zio della carità. E anche qui il co-mando è avvalorato dall’esempio: aquelli che l’ascoltano Paolo tende lesue grosse mani callose» (J. Dupont).

La vita di Paolo, modellata su quel-la di Cristo, si caratterizza per il pri-mato del dono sulla sua ricezione,un dono sovrabbondante che non te-me di eccedere la capacità della ri-cezione.È l’invito – da cui deriva la beati-

tudine – a fare di tutta la propria vita

un’offerta, un dono. Si tratta dunquedi un programma di vita. È ciò cheGesù ha fatto della sua stessa vita. Èciò che Paolo ha fatto e vuole faredopo che la sua nave sarà salpataverso Gerusalemme. È la raccoman-dazione che lascia agli anziani diEfeso. E a ciascuno di noi, come ri-suona anche nelle parole del Fonda-

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L. Pezzaniti, Il fabbricante di tende (icona moderna)

tore: «E felici noi, finché la mentenostra sarà così fondata nel desideriodella povertà, da voler essere no talipoveri cui abbondi qualche cosa, maai quali manchino moltenecessità» (SAMZ, Costi-tuzioni, cap. IV).

congedo

Anche l’ultimo gesto,così come l’ultima parolaalla Chiesa di Efeso, è digrande intensità non soloaffettiva ma cristologica:«36Dopo aver detto que-sto, si inginocchiò contutti loro e pregò. 37Tuttiscoppiarono in pianto e,gettandosi al collo diPaolo, lo baciavano, 38ad-dolorati soprattutto per-ché aveva detto che nonavrebbero più rivisto ilsuo volto. E lo accompa-gnarono fino alla nave»(20,36-38). Si congedapregando. Prega insiemeagli anziani, prega conloro, prega per loro. Nes-sun evangelista come Lu-ca descrive così tantescene nelle quali incon-triamo Gesù che prega eche insegna a pregare. Gesù affrontapregando gli eventi più importantidella sua vita: prega in occasione delsuo battesimo (Lc 3-21-22), dopo aver

guarito i lebbrosi (Lc 5,16), prima discegliere i dodici apostoli (Lc 6,12),prima della Trasfigurazione (Lc 9,29) esoprattutto prega prima del suo con-

geda da questo mondo, prima dellapassione (Lc 22,44).La preghiera accompagna Gesù

dall’inizio del suo ministero fino alla

sua morte sulla croce. Ciò rivela, daun lato, che la forza di percorrere ilcammino scaturisce dalla preghiera,dall’altro che la vita di Gesù è infor-

mata dall’abbandono fi-ducioso nelle mani delPadre. Imparando da luia pregare, riconosciamochi è per noi Gesù Cri-sto. E al tempo stesso lapreghiera è il modo perdiventare sempre più si-mili a lui. Ecco perchéLuca, negli Atti degliApostoli, parla ben ven-ticinque volte della pre-ghiera e descrive laChiesa primitiva comeuna comunità oranteche trova nella preghierala sua identità più pro-fonda. L’ultimo gesto diPaolo è quindi espressio-ne e testimonianza dellaconformazione alla vitadi Gesù, attraverso lapreghiera che sostiene lacomunione fraterna e siabbandona, fiduciosa,nelle mani del Signore.Ora dunque, al termi-

ne del cammino percor-so insieme, accogliamola benedizione che Pao-

lo ha rivolto agli anziani di Efesocome augurio anche per noi. L’affi-damento a Gesù-Parola è responsa-bilità che ci chiama ed interpellaperché essa sia compagna e guidadella nostra vita, così come esortaanche SAMZ: «Studino, i fratelli, laSacra Scrittura, e con avidità si dilet-tino così di intenderla e capirla, cheabbiano manifesti e aperti i sensiocculti, maxime quelli che sono attialla istruzione dei costumi ... e ciòfarete con la vera imitazione di Ge-sù Cristo Crocifisso» (Costituzioni,cap. VIII).Abbiamo cercato di ascoltare insie-

me e di cogliere la ricchezza dellaParola che il Signore ci ha rivolto. Siaora la Parola a continuare il suo lavo-ro: che la Parola ci custodisca, ciprotegga, ci guidi, ci edifichi. Co-scienti, come Paolo, che la nostra vi-ta non è nelle nostre mani, ma dob-biamo abbandonarla fiduciosi allaParola di Dio, che operi in noi e at-traverso di noi.

Giuseppe Dell’Orto

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particolare del libro delle Costituzioni che S. Antonio M. Zaccaria tiene inmano nella statua vaticana

particolare della statua di S. Antonio M. Zaccaria nellaBasilica di S. Pietro in Vaticano

Vocabolario ecclesiale

Veglia e risveglio

«Siamo della materia di cui sono fatti i sogni, ed è cinta da unsonno la nostra piccola vita», ci ricorda Shakespeare nella Tem-pesta (IV, II). Sonno che conosce una sospensione: o tempora-nea con la veglia notturna, o definitiva con il risveglio mattutino.Conosciamo tutti lo stato di veglia che interrompe il sonno.

C’è però veglia e veglia. Quella su cui intendiamo riflettere è laveglia spirituale, ossia l’interruzione volontaria del sonno perdedicarci alla preghiera nell’arco della notte. Non v’è tradizionereligiosa che ne non proponga l’esperienza, sulla scorta – pernoi cristiani – dell’invito di Gesù: «vegliate e pregate» (Mt26,41). Conosciamo l’insuccesso che tale invito registrò, quan-do venne rivolto agli apostoli nel Getzemani: «Non siete staticapaci di vegliare con me una sola ora?» (Mt 26,40). L’orante bi-blico è consapevole della sacralità che riveste lo scorrere deltempo nell’arco di un’intera giornata: «È bello rendere grazie alSignore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al matti-no il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte» (Sal 91,2-3). Diqui l’importanza della preghiera nelle ore notturne, ampiamenteregistrata nei Salmi: «Nella notte ricordo il tuo nome, Signore»(118,55). Ai custodi del Tempio era rivolto quest’invito: «Voi chestate nella casa del Signore durante la notte … benedite i Signo-re» (133,1-2). Il giusto «medita la legge giorno e notte» (1,3).Davide recita: «Nel mio letto di te mi ricordo e penso a te nelleveglie notturne» (62,7). Il pio israelita, come un canto «di not-te», scandisce la «preghiera al Dio della vita» (41,9). E ancora:«Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: medito e il mio spiri-to si va interrogando» (76,7). Alle volte l’orazione notturna è ungrido: «Davanti a te grido giorno e notte» (87,2). Il salmista quin-di si alza «nel cuore della notte» per «rendere grazie» (118,62).

Sull’esempio di Gesù

Di Gesù sappiamo che «pernottava le belle lunghe nottiquante si vogliano nell’orazione» (Lc 6,12), come si legge neiSermoni (sul IV precetto del Decalogo) del nostro Fondatore.Sant’Isacco il Siro (ca. 613-700), vescovo di Ninive, l’attualemartoriata Mosul in Iraq, afferma che «la notte è prescelta perl’opera della preghiera». Shenuda III (1923-2012), patriarca del-la Chiesa copta di Alessandria d’Egitto, coglie l’importanza cheriveste la preghiera nelle ore notturne in riferimento alle orediurne: «La riserva spirituale che il cuore accumula durante lanotte, sarà utile nelle lotte del giorno», e raccomanda di «gua-dagnarsi l’amicizia della notte, per poter intraprendere il buoncammino del giorno» (Il risveglio spirituale, San Paolo, Cinisel-lo B. 1990, p. 109). Nella veglia si esprime la vigilanza che do-vrebbe accompagnare lo scorrere delle ore, ma si manifesta pu-re la gratuità dell’orazione, ritagliata in un tempo sottratto alnecessario riposo. La preghiera notturna, che si avvale dellaquiete che accompagna le ore del riposo, ci familiarizza con lamorte e ci dischiude gli orizzonti dell’eternità, per non dire chefavorisce una vera comunione planetaria (si pensi fra l’altro al“popolo della notte”!) e cosmica. Un antico aforisma dei Padridel deserto recita: «Lo stolto che passa la notte in svaghi o dis-solutezze, non pensa che la veglia gli frutterebbe la vita eter-na». Con questo, gli adoratori notturni non ignoravano le com-prensibili difficoltà della veglia. Anba Bishoi (320-417), santodalla Chiesa Copta e fondatore di un monastero presso Nitria,

in Egitto, temendo di essere colto dal sonno, legava i lunghi ca-pelli a una catena fissata al muro, così che, se il corpo cedevaal sonno, la catena, dandogli uno strattone, lo svegliava. I bar-nabiti conoscono la palla di piombo, conservata nell’ipogeodella chiesa milanese di san Barnaba, che san Carlo Borromeoteneva in mano durante la preghiera notturna. Se fosse statocolpito dal sonno, gli sarebbe scivolata di mano, ridestandolo…In ogni caso, anche a prescindere dall’interruzione del

riposo notturno, vale l’esperienza che leggiamo nel poemabiblico dell’amore umano/divino: «Io dormo e il mio cuoreveglia» (Ct 5,2); affermazione ripresa nella preghiera seraledella Chiesa: «Il cuore vegli… il corpo riposi».

Il risveglio

Per il poeta romanesco, la nascita costituisce già il primorisveglio: «Iddio pijò la fanga [prese del fango] dar pantano,/ formò un pupazzo e je soffiò sur viso. / Er pupazzo se mos-se a l’improviso / e venne fòra subbito er cristiano / ch’aper-se l’occhi e se trovò ner monno [mondo] / com’uno che sesveja da un gran sonno» (Trilussa, L’incontentabbilità). Contutto ciò, «l’uomo moderno vive nel sonno: nato nel sonno,egli muore nel sonno… Deve anzitutto riflettere sulla manie-ra di risvegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere»(P. D. Ouspenski, Frammenti di un insegnamento sconosciu-to, Astrolabio, Roma 1976, p. 77). Si tratta evidentementedel risveglio interiore, quel risveglio che, al dire di un afori-sma islamico, si verificherà senz’altro con la morte: «Gli uo-mini dormono; è quando muoiono che si risvegliano». Senzaperò attendere la modalità suprema che caratterizzerà il no-stro risveglio, quando saremo approdati sull’Oltre, le dottri-ne spirituali lo presentano come meta da perseguire lungol’arco della vita terrena. Per rifarci alla tradizione domestica,ricorderemo come lo Zaccaria, nei suoi Sermoni, intendevarivolgersi a «quelli che sono saggi e stanno sempre svegliati»(Sermone V). Atteggiamento che ritroviamo nelle Lettere del-l’APA, l’Angelica Paola Antonia Negri, quando scrive: «In-tendo parlare a spiriti [ri]svegliati. Svegliatevi, svegliatevi!Dobbiamo svegliare quel Cristo che dorme in noi».Ci porterebbe lontano sviluppare in modo adeguato questo

tema, che vanta un’ininterrotta tradizione, dal “Risvegliato”per antonomasia, il Buddha (565-486 aC), a Platone (428/27-348/47 aC), con la dottrina della reminiscenza, al supremodei risvegliati dal “sonno della morte”: il Cristo Risorto, ilquale propizia anche a noi, fin da quaggiù, l’esperienza delrisveglio. Ci basti richiamare la liturgia battesimale, già atte-stata da san Paolo, quando cita l’inno liturgico: «Svegliati, tuche dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).Inno che Clemente Alessandrino (150-215) ci ha tramandatoin questa forma: «Svegliati tu che dormi, / risorgi dai morti / erisplenderà sopra di te Cristo Signore, / il sole della risurrezio-ne; / egli, che è nato prima della stella del mattino, / ha do-nato la vita con i suoi raggi» (si veda A. Gentili, Il risveglio.Dottrina Testimoni e Pratica, Appunti di Viaggio, Roma 2015,p. 48). Al “risveglio” sacramentale” del battesimo che accom-pagna tutta l’esperienza cristiana, subentrerà il risveglio fina-le, quando «vedremo [Dio] così come egli è» (1 Gv 3,2). Al-lora – diremo con il salmista – «contemplerò il tuo volto, al ri-sveglio mi sazierò della tua immagine» (Sal 16,15).

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VOCABOLARIO ECCLESIALE