Eco Dei Barnabiti n. 2 - Giugno 2012

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    2GIUGNO 2012

    Posteitaliane

    S.p.A.-Sped.abb.post.-D.L.353

    /2003(conv.inL.27/02/2004n.46

    )Art.1,comma2-DcBRoma

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    Tempi duri per la Chiesa, come sempre daltronde. In ogni parte, su ogni fronte, da

    parte di quasi tutti. Naturale, quindi, le tribolazioni e le ostilit, lo sconcerto, il dolore,

    la delusione Ma pure naturale, per un cristiano, ricorrere allinterrogazione della

    Parola per comprendere il senso di un cos angusti oso presente e proiettare un pi

    sereno futuro. La risposta della Parola chiara: la gioia evangelica indissociabile

    dalla sofferenza per la causa del regno. Questo emerge a pi riprese sia

    nellinsegnamento di Ges sia nella testimonianza dei discepoli. Cristo ebbe a

    dichiarare beati coloro che subiscono insulti e persecuzioni, per poi aggiungere:

    Rallegratevi ed esultate, perch grande la vostra ricompensa nei cieli. Cos infatti

    perseguitarono i profeti che furono prima di voi (Mt 5,12). E fin dalle prime battute

    dellattivit evangelizzatrice, ci viene detto che gli apostoli se ne andarono via dalsinedriolieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Ges (At 5,41).

    Paolo in particolare ci offre una preziosa testimonianza. Egli si dichiara afflitto, ma

    sempre lieto (cf 2Cor 6,10), pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni

    tribolazione (2Cor 7,4).

    La gioia nelle prove e nelle tribolazioni per lEvangelo viene motivata come contributo

    personale alla causa del regno: Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do

    compimento a ci che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo

    corpo che la Chiesa (Col 1,24); come a dire che il sacrificio di Cristo si ripropone

    nella vita dei suoi discepoli, chiamati a condividerne la stessa missione salvifica,

    trasformando - come si detto pi sopra la propria vita in sacrificio spirituale

    gradito a Dio.Dagli apostoli la sofferenza si sposta ai loro seguaci. Pietro, ad esempio, ritiene che i

    cristiani debbano considerarsi ricolmi di gioia, anche se devono essere afflitti da

    varie prove (lPt 1,6) e si rivolge loro in questi termini: Nella misura in cui

    partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perch anche nella rivelazione della

    sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare (lPt 4,13). A sua volta Giacomo scriver:

    Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove (Gc 1,2).

    Di una simile gioia nata fra grandi tribolazioni furono testimoni le Chiese della

    Macedonia, coinvolte da Paolo nella grande colletta per i poveri di Gerusalemme:

    nonostante la grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro

    estrema povert hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosit (2Cor 8,2).

    Di fronte a ci, probabile che anche da noi salga spontaneo esclamare, con gliapostoli: Durus est hic sermo. Ma bisogner pur accettarlo per essere

    minimamente coerenti con noi stessi. E, daltra parte, agire in modo tale da non

    aumentare le sofferenze della Chiesa.

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    bibbia

    Per prepararci a vivere lAn-no della Fede (11 ottobre2012 - 24 novembre 2014),

    abbiamo scelto come filo conduttoredei nostri contributi il capitolo 11della Lettera agli Ebrei, ove trovia-

    mo una moltitudine di testimoniche hanno vissuto per fede.Tralasciando le figure delle origini

    (la creazione, Abele, Enoc, No), cisiamo soffermati sulla prima partedella storia di Abramo che, chiama-to da Dio, obbed partendo per unluogo che doveva ricevere in eredit,e part senza sapere dove andava(Eb 11,8).

    Questa volta sosteremo sul secon-do grande evento della vita del no-stro padre nella fede: la sua prova.

    Per fede, Abramo messo alla pro-

    va, offr Isacco, e proprio lui, cheaveva ricevuto le promesse, offr ilsuo unigenito figlio, del quale erastato detto: Mediante Isacco avraiuna tua discendenza. Egli pensavainfatti che Dio capace di far risor-gere dai morti: per questo lo riebbeanche come simbolo (Eb 11,17-19).

    Il testo, evidente, fa riferimento aGenesi 22, 1-19, noto come il sacri-ficio di Isacco; ma, pi precisamen-te, dovrebbe essere intitolato comeil sacrificio di Abramo (A. Marcha-dour), lofferta del figlio della pro-

    messa (W. Vogels), oppure ed lanostra scelta la prova di Abramo.Questa pagina stata definita lanarrazione pi perfetta nella forma ela pi abissale di tutte le storie deiPatriarchi (G. Von Rad); ad essa ciaccosteremo mediante una letturanarrativa.

    pt u

    Dopo la partenza, come noto, lapromessa di Dio si realizza (non sen-za alterne vicende): Abramo giunge

    nella terra e nasce il figlio Isacco. Inverit, prima di lui nasce Ismaele cheAbramo genera con la schiava Agar,cercando in tal modo di portare acompimento con i propri mezzi unapromessa di fecondit che non sem-brava potersi realizzare.

    Ma Dio insiste nella sua linea: ilvero figlio un altro, quello chebisogna attendere e che nascer daSara. E infine questo figlio nasce. Labenedizione di Dio ha trionfato; lafede di Abramo ha trovato la sua

    ricompensa. Ma proprio quando latensione si allenta e tutto sembra ri-solto, ecco giungere la nuova prova:Dio chiede ad Abramo di sacrificareIsacco.

    Fin dallinizio, lAutore ci mette inguardia e ci d la chiave di lettura ditutto il brano: Dio mise alla provaAbramo... Ma cosa significa? Diomette alla prova qualcuno per cono-scerlo nel senso di far scaturire da luila sua identit profonda. La provapone luomo nella condizione di es-sere conosciuto fino in fondo da Dio

    perch un processo di rivelazionedi ci che luomo nel suo intimo:ha quindi uno scopo pedagogico,

    che porta la persona a esprimereconcretamente se ama Dio sopraogni cosa (cf. Dt8,2-5).

    Ma pi in profondit: lo stessocammino di fede che, prima o poi,

    mette luomo alla prova, nel sensoche la trascendenza assoluta di Dio ela sua alterit radicale pongono ilcredente davanti a dei criteri e deicammini completamente diversi daipropri. Il rapporto con Dio gi unaprova in s, un ignoto in cui possi-bile entrare solo se la fede superaloscurit e la paura.

    In parole pi semplici: Abramo sitrova necessariamente dentro la pro-va, per il fatto stesso che andavadietro a Dio. proprio cos che lavicenda di Abramo pu diventare

    parabola per noi.Abramo posto di fronte allin-comprensibilit di Dio, che gli chie-

    La prova di abramoIn questo secondo contributo propedeutico alla comprensione dello spirito dellAnno dellaFede, il p. Giuseppe DellOrto mette a fuoco la testimonianza di Abramo che scegliendoliberamente di obbedire alla richiesta di Dio, arriva a conoscere la verit di Dio. Dio si svela adAbramo con il suo vero volto, proprio perch Abramo ha deciso di affidarsi a Lui.

    il sacrificio di IsaccoRoma, catacombe di Priscilla

    Abramo e Isacco salgono il monteMoria - Miniatura della Bibliapauperum

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    de di sacrificare suo figlio, quel figlioche rappresenta la realizzazionestessa della promessa e della benedi-zione divina: Dio disse: prendi tuofiglio, il tuo unico figlio che ami,Isacco, va nel territorio di Moria eoffrilo in olocausto su di un monteche io ti indicher (Gen 22,2). Latradizione giudaica ha interpretato lafrase del v. 2 quasi come una sintesidi un immaginario dialogo trail Signore e Abramo. Rashi diTroyes, un ebreo medievalista,cos commentava: Dio disse:Il tuo figlio. Abramo obiett:Io ho due figli. Dio gli disse: Iltuo unigenito. Abramo rispo-se: Questi lunico figlio per

    sua madre (Agar), e quello lunico figlio per sua madre(Sara). Dio gli disse: Quelloche ami. Abramo replic: Si-gnore del mondo! C forse unlimite negli affetti pi intimi?Io li amo entrambi. Dio alloragli disse: Isacco.

    La scena struggente, con iltentativo patetico, da parte diAbramo, di fingere di non ca-pire, di rimandare il confrontocon la terribile realt.

    Nella parola di Dio ritorna

    il verbopartire che riecheggiala prima partenza di Gen 12,1,verso la terra che io ti indi-cher. Allora partiva senzasapere verso dove, aperto soloalla speranza della promessadi Dio. Adesso, invece, Abra-mo sa dove andare: il terri-torio di Moria che la tradizio-ne identificher con la collinadel Tempio di Gerusalemme,proprio nel cuore della terrapromessagli da Dio.

    Le parole contenute nella ri-chiesta di Dio giocano un ruo-lo importante allinterno delracconto. II termine figlio(bn) vi compare dieci volte,diventando elemento centrale.Ci che in questione infat-ti la discendenza e chi deve esseresacrificato non un figlio qualun-que, ma il figlio della promessa divi-na. La qualificazione poi di unigeni-to (yahd), sempre messa sulla boc-ca di Dio, specifica ulteriormente ilconcetto, quasi a precisare che il so-

    lo figlio di Abramo Isacco. Il suonome, yitzhq, viene dalla radicetzhq, che vuol dire ridere, sorridere,

    giocare. Sempre nominato nei mo-menti cruciali, in strettissimo rappor-to con il sacrificio, questo nome ri-corda il riso di Abramo (cf. Gen 17,17.19) e quello di Sara (cf. Gen 18,12ss), e la gioia della nascita del fi-glio della vecchiaia (cf. Gen 21, 6-7).

    E ora, il figlio del sorriso sta di-ventando occasione di pianto e met-te alla prova la fede del padre. Lin-

    credulit del riso di Abramo e di Sararicordata nel suo nome si va ora tra-sformando in obbedienza totale esenza riserve.

    s , s f

    Ma Abramo uomo di fede, e insilenzio entra nellobbedienza: Abra-

    mo si alz di buon mattino, sell lasi-no, prese con s due servi e il figlioIsacco, spacc la legna per lolocaustoe si mise in viaggio verso il luogo cheDio gli aveva indicato (Gen 22,3).

    La sequenza dei verbi strana,con la menzione dello spaccare lalegna solo alla fine, solo dopo averpreparato tutto ed essere gi in pro-cinto di partire. Forse, come stato

    suggerito da Y. Mazor, si trat-ta di un accorgimento lettera-rio che, senza dire nulla espli-citamente, permette al lettoredi entrare nel cuore di Abra-mo e di cogliervi tutta la sof-ferenza di padre. Come seAbramo avesse accettato di

    obbedire al Signore comin-ciando dalle cose pi inno-cue, facendo dei preparativigenerici e neutri, quasi si trat-tasse di un viaggio simile atanti altri, rimandando fino al-la fine il gesto inequivocabile,che trasforma il viaggio in tra-gedia: spaccare la legna chedeve servire per il sacrificiodel figlio. Solo ora lobbe-dienza veramente compiuta.

    E infatti si giunge, dopo tregiorni di cammino, al monte

    stabilito da Dio. E l, Abramoe Isacco, lasciati i servi, co-minciano, soli, la loro salitaverso la morte.

    Abramo si congeda dai servidicendo: fermatevi qui conlasino; io e il ragazzo andre-mo fin lass, ci prostreremo epoi ritorneremo da voi (Gen22,5). Ritorneremo... davve-ro uno strano plurale, perchAbramo sa, e anche il lettorelo sa, che invece Isacco deve

    morire! un modo con cuiAbramo, nel suo amore di pa-dre, non vuole spaventare il fi-glio? O unaffermazione pro-fetica, che nella fede pi buiasa che Dio in qualche modointerverr? II lettore non sa la

    risposta, ma partecipa alla vicendainsieme con i protagonisti, condivi-dendo langoscia di Abramo, che de-ve tacere la verit, e soffrendo perIsacco, che si desidererebbe avvisaredel pericolo mentre lo si vede salireignaro verso la morte.

    La sofferenza si fa ancora pi acu-ta, assistendo al dialogo tra i due:Isacco si rivolse al padre Abramo

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    bibbia

    in semine tuo benedicentur omnes gentes -miniatura del Messale di Stammheim, Los

    Angeles, Paul Getty Museum

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    e disse: Padre mio!. Rispose: Ec-comi, figlio mio. Riprese: Eccoqui il fuoco e la legna, ma dovlagnello per lolocausto? Abramorispose: Dio stesso si provvederlagnello per lolocausto, figlio mio!.Proseguirono tutti e due insieme(Gen 22,7-8).

    Abramo come messo con lespalle al muro; ora sar costretto adire tutta la verit. La sua risposta

    evasiva?, oppure prolettica, cioanticipa lesito positivo? Questa lasola parola che Abramo dice al figlioIsacco.

    La frase di Abramo mantiene co-munque una certa ambiguit, dovutaal fatto che, in ebraico, quel figliomio pu avere una duplice funzio-ne sintattica: o di vocativo (comenella traduzione CEI) o di apposi-zione (in questo caso, bisognerebbetradurre: Dio stesso si provvederlagnello, cio mio figlio). Come seAbramo, esprimendo la sua fede, si

    lasciasse anche sfuggire qualcosa delsuo terribile segreto. Ancora una vol-ta, la particolarit testuale e letteraria

    ci apre uno spiraglio nella lotta inte-riore del patriarca.

    Con la menzione di Dio e davantial mistero di ci che sta per accade-re, sulla scena cala il silenzio. Dopola frase di suo padre, Isacco non re-plica e Abramo non dice pi nulla.

    La narrazione rallenta il ritmo e siconcentra sui gesti essenziali; il ral-lentare la scena lascia aperta lattesa:che cosa succeder? Vita o morte?

    Cos arrivarono al luogo che Diogli aveva indicato; qui Abramo co-stru laltare, colloc la legna, leg(aqad, da cui aqedah) il figlio Isac-co e lo depose sullaltare, sopra la le-gna. Poi Abramo stese la mano eprese il col tel lo per immolare suofiglio (Gen 22,9-10).

    Il testo raggiunge qui il suo culmi-ne. Il seguito poi ben conosciuto:langelo di Dio interviene, ferma lamano di Abramo e gli rinnova la pro-messa; un ariete sostituir Isacco nelsacrificio e il luogo diventer segno

    per sempre dellamore provvidentedi Dio. Abramo chiam quel luogoIl Signore vede; perci oggi si dice:

    Sul monte il Signore si fa vedere(Gen 22,14).

    Abramo che aveva visto (rah) ilmonte da lontano e si era fidato cheDio avrebbe provveduto (lett. ve-duto per s: yireh l) lagnello per ilsacrificio, dopo lintervento dellan-gelo vede (rah) lariete e chiamaquel luogo il Signore si fa vedere(YHWH yeraeh). Da un vedere an-goscioso, presago di morte, si passaal vedere gioioso e salvifico dellarie-te che sancisce la fine dellincubo.Ma perch il passaggio si operi necessario che Abramo, e il lettorecon lui, si affidi nella speranza e nel-la fede, al vedere provvidente di Dio(B. Costacurta).

    Il Signore vede e il Signore si fa ve-dere sono allusivi: Dio si fa vederequando vede il cuore delluomo to-talmente in ricerca di lui; e luomo,dopo la notte oscura della fede, giun-ge a comprendere come Dio provve-da a lui.

    Cos dunque, in questo luogo sim-bolico rappresentato dal dono scam-biato, donato e ri-donato, il Signorevede Abramo e si fa vedere da lui:comunione nella distanza presuppo-sta dalla visione, riconoscimento re-ciproco nel faccia a faccia. Questo

    supera infinitamente quanto Abramoaveva oscuramente osato sperare daDio (v. 8). Ma, secondo il narratore,proprio la prova ha reso possibilequestincontro inaudito (A. Wnin).

    Scegliendo liberamente di obbedi-re alla richiesta di Dio, Abramo arri-va a conoscere la verit di Dio, ilquale non vuole la morte del figlio;Dio si svela ad Abramo con il suovero volto, proprio perch Abramoha deciso di affidarsi a Lui: laffidarsia Dio da parte di Abramo (Dio stesso

    si provveder lagnello) il luogonel quale Dio si manifesta (Dio si favedere).

    pfuz

    Il testo paradigmatico (parabola-simbolo, secondo la lettera agli Ebrei).Dio viene presentato come Assoluto,al di l di ogni possibile identifica-zione. Il rapporto con lui chiede unaobbedienza totale, nellaccoglienzadi un comando che mette in relazio-ne con la morte e chiede la rinuncia

    alla propria vita.Abramo modello di fede per tuttiproprio in questo senso: stato capa-

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    bibbia

    Marc Chagall, Il sacrificio di Isacco - Nizza, Muse nationale Message biblique

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    ce di accettare il misterioso parados-so. Dio sembrava contraddire radi-calmente la propria parola di vita; edecco, invece che Dio si rivela comeParola che fa vivere dentro la morte.Il nostro racconto, allora, non tantolesaltazione di Abramo, ma la glori-ficazione di Dio. Alla fine, Abramopotrebbe esclamare: Mio figlio sta-to salvato: siano rese grazie a Dio.Dalla prova Abramo ha imparato cheDio lassoluta volont di far vivere,di salvare.

    La tradizione giudaica ha inter-pretato lepisodio del sacrificio diIsacco come sacrificio realmenteconsumato. Si legge in Pirq di Rab-

    bi Eliezer: Quando il coltello ar-riv al suo collo, si dipart e usclanima di Isacco. Ma quando Diofece udire la sua voce fra i due che-rubini e disse: Non stendere la tuamano sul ragazzo, lanima ritornnel suo corpo, e Abramo lo sleg,ed egli stette ritto sui suoi piedi, eIsacco conobbe la risurrezione deimorti... Allora apr la sua bocca edisse: benedetto sei tu, Signore, chedai la vita ai morti.

    La fede di cui parla la Lettera agliEbrei trova qui la sua esplicazione(cf. Rm 4,17-22). Ebrei pensa nelladirezione di una fede che fonda-mento-esperienza delle realt che sisperano (Eb 11,1). Dio porta a

    compimento le sue promesse. An-che quella della risurrezione? Laaqedah, cio la legatura di Isac-co, evento che fonda la promessa,porta gi in se stessa una implica-zione della risurrezione. Per Eb1,19, la fede di Abramo nelloffrireIsacco a Dio fu fede nella risurrezio-ne. Proprio per la sua fede, il pa-triarca non solo ha riottenuto il fi-glio, ma lo ha riottenuto come prefi-gurazione (o parabola) di unarealt futura. Nella continuit maanche nel superamento delle tradi-

    zioni giudaiche secondo cui lattodi Abramo costituiva gi un sacrifi-cio il Predicatore sostiene in mo-do originale la funzione prefigurati-va di questa restituzione di Isaccoad Abramo in rapporto al sacrificiopersonale e alla conseguente risur-rezione di Ges (F. Manzi). Certo una prefigurazione imperfetta, per-ch Isacco non stato realmenteimmolato e non ha sperimentatodavvero la risurrezione (la migliorerisurrezione: Eb 11,35). Ma la sua

    sopravvivenza una prefigurazioneche ha trovato nella risurrezione diCristo (Eb 13,20) la sua realizzazio-ne eccedente rispetto a qualsiasi at-tesa umana.

    Lesperienza di Abramo diventa, intal modo, motivo di speranza per tuttii credenti: Dio, il totalmente Altro, mi-stero trascendente e innominabile, sirivela come dono radicale di vita. Egli Colui che vivifica. Luscita dallap-parente contraddizione, dal misteriosoparadosso con cui la fede si deve con-frontare, si realizza definitivamente

    nella risurrezione dai morti.

    G. DellOrto

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    bibbia

    anniversari 2012

    a Pf r

    70

    Fr. NOIA Vincenzo 2 febbraioP. COLOMBO Gaudenzio 15 agostoP. SAMP Giovanni 15 agosto

    60

    Rev.mo P. BASSOTTI Giuseppe 7 ottobreP. CALVANO Nicola 7 ottobreP. GRIFFA Giuseppe 7 ottobreP. HERZL Adolfo 7 ottobreP. MONTESANO Giuseppe 7 ottobreP. PERABONI Luigi 7 ottobre

    50

    P. DO NASCIMENTO PEREIRA Luiz Anto-nio 1 marzo

    P. NORONHA CINTRA Sebastio 1 marzoP. GADDA Mario 29 settembreP. GRAIFF Giorgio 29 settembreP. VISINTIN Paolo 29 settembreP. VASTI Cosimo 29 settembre

    25

    P. MARTINS SILVA Manoel 30 gennaioP. RODRIGUES Paulo de Tarso 30 gennaioP. SOUSA DE JESUS Osmar 30 gennaioP. PANES VILLALOBOS Miguel Angel 18

    febbraioP. VALDIVIA VEAS Guillermo del CarmenP. DEL VALLE GIUDICE Osvaldo 22 marzoP. NITTI Giovanni 13 settembre

    a sz

    60

    P. FRANCESCONI Antonio 2 aprileP. HENNINGS Erich Georg 12 aprileP. PARREIRA DA MATA Joo 12 aprileP. PICETTI Battista 12 aprile

    50

    P. BADERACCHI Vittorio 17 febbraioP. BRENNA Cesare 17 febbraioP. VERHOEVEN Bernard 17 marzo

    25

    P. DEL VECCHIO Juan Carlos 4 luglioP. BRASCA Davide 5 luglio

    lelogio di abramo

    Venerabile Padre Abramo! Quan-do tu scendesti dal monte Moria,non avevi bisogno di nessun pa-negirico che potesse consolartidella perdita; infatti tu avevi ot-tenuto tutto e conservato Isacco non era cos? Il Signore non telo tolse pi e tu fosti felice conlui nella tua tenda, come lo sei

    nellaltra vita per tutta leternit.Venerabile Padre Abramo! Sonpassati millenni da quel giorno,ma tu non hai bisogno di nessuntardo amante che strappi il tuoricordo alla violenza e alloblio,poich ogni lingua ti ricorda e tu per ricambi il tuo ammira-tore nella forma pi splendida:tu lo fai beato nellal di l ripo-sante sul tuo seno, e qui ne im-prigioni la vista e il cuore con lameraviglia della tua azione. Ve-nerabile Padre Abramo! Secon-

    do Padre dellumano genere! Tuche per primo comprendesti etestimoniasti per quellenormepassione che disdegna la lottaspaventosa con la furia degli ele-menti e le forze della creazioneper lottare con Dio. Tu che perprimo conoscesti quella sublimepassione, la sacra pura e umileespressione per la follia divina,che fosti ammirato dai pagani perdona colui che ha voluto par-lare in tua lode, anche se nonlha fatto come si conveniva(Kierkegaard, Timore e tremore).

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    bacio Nella bocca si delineano con assolutaimmediatezza i segni della gioia e del dolore.Sotto questo profilo, anche prescindendo daogni altro particolare del viso, a seconda che lasagoma della bocca descriva un arco rivolto ver-so il basso o rivolto verso lalto, noi coglieremosubito un messaggio di esultanza o di mestizia.

    Il sorriso esprime una comunicazione contagio-sa, alle volte irresistibile, e pu assumere infinitesfumature: dalla bonomia allincoraggiamento,dallironia al sarcasmo. Pu sdrammatizzare, an-che inquietare. Voltaire parlava del gran sorrisovendicatore che ferisce pi di una spada acumi-nata. Alcune volte la bocca trasmette, con lo sba-diglio, noia, saturazione, rifiuto.

    Altre, infine, pu atteggiarsi con versi e smorfieche travisano il volto e conferiscono alla comuni-cazione un segno negativo e inquietante.

    Dove, tuttavia, la comunicazione registra il suoculmine soprattutto nel bacio. Ai cristiani Paolochiede di salutarsi a vicenda con il bacio santo(1 Cor 16, 20 ss), mentre Pietro parler del ba-cio di carit (1 Pt 5, 14). Nel bacio, quindi, siesprime una comunicazione da anima ad animache raggiunge uno spessore sacro, sacramentale,e si fa veicolo dellagape. In ci riecheggia la le-zione dellAntico Testamento contenuta nel Can-tico dei Canticie mirabilmente ripresa dalla tradi-zione rabbinica e patristica. Mi baci con i bacidella sua bocca! (Ct 1, 2) lanelito della sposaverso lo sposo, dellanima verso Dio. Nel bacio siravvisa laccordo dello Spirito divino con lo spiri-to umano e laccordo profondo tra anima e ani-ma. Per questo lo Spirito santo assurge a simbolodel bacio tra il Padre e il Figlio crocifisso valgaper tutti laffresco di Masaccio in Santa Maria No-vella a Firenze e tra il Creatore e le sue creatu-re. La morte di Mose, prototipo della morte delgiusto, altro non che il bacio con cui il Signoreaccoglie lanima in paradiso e la sottrae alla cor-ruttibilit dellinvolucro corporeo.

    Data questa sua pregnanza, il bacio occupa unposto di rilievo nelle celebrazioni liturgiche. Ol-

    tre a quello di pace che si scambiano i fedeli,dobbiamo qui ricordare il bacio allaltare da par-te del sacerdote allinizio e alla fine della messa.

    il sigillo dellalleanza nuziale che si celebra at-traverso il banchetto eucaristico, quando la Chie-sa-sposa incontra lo Sposo nel tripudio dellagioia nuziale, che giunge al suo culmine al mo-mento della comunione. Baci Dio, quando fai lacomunione, afferma una mistica! E ancora, sem-pre nel contesto eucaristico, va ricordato il bacioal libro del Vangelo, poich attraverso di esso noiincontriamo la Parola e ne accogliamo lo Spirito.Sempre la mistica che abbiamo appena citato,osserva che molti muoiono senza baciare la Paro-la di Dio, e cio senza attingere lo Spirito attra-verso la lettera.

    vero, esiste bacio e bacio. C anche quello diGiuda, a ricordarci come gli abissi dellamoreaccogliente possono capovolgersi negli abissi delrifiuto pi cinico e volgare: Con un bacio tradi-sci... (Lc 22, 48; Luca il solo evangelista che ciinvita a meditare su questo gesto, espressione diuna comunicazione capovolta).

    Volendo infine offrire un ultimo tocco a questoquadro, sempre in un contesto di comunicazioneprofonda e religiosa, mettiamo a confronto duetesti biblici. Nella celebre parabola si legge che ilpadre corse incontro al figlio prodigo, lo abbraccie lo baci (Lc 15, 20). Sfigurato, emaciato, pez-zente e senzaltro ributtante (non era vissuto incompagnia dei porci?), il padre lo baci! Quandopoi Cristo invitato da Simone il fariseo e nella sa-la da pranzo si introduce lanonima peccatrice che,piangendo ai piedi di lui, cominci a bagnarli dilacrime, ad asciugarli con i capelli e a baciarli(Lc 7, 38), il Maestro stigmatizza il comportamentodellamico con un secco, pungente: Tu non mihai baciato! (v. 45). Il bacio del Signore chiede ilbacio del discepolo, poich lAmore cerca lamore.

    Sostare sulloralit anche sotto questo profilo cipu quindi aprire un ampio spazio di ricerca in-teriore, di revisione di atteggiamenti e di compor-tamenti che ridiano verit e vigore al nostro esse-re con e per gli altri e infine al nostro essere inDio, se vero che il transito dalla vita presente aquella futura pu tradursi in quel morire al ba-

    cio del Signore che coron la vita di Mose(cf linterpretazione rabbinica di Dt 34, 5) e dimolti santi dopo di lui.

    Eco dei Barnabiti 2/20126

    vocabolario ecclesiale

    vcl ecclesle

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    Eco dei Barnabiti 2/2012 7

    vita consacrata

    Tra i compiti pi significati-vi del tempo di formazio-ne c quello di insegnare

    e apprendere a pregare. Si fa stradafacendo e con molto esercizio; e

    senzaltro anche per questo compitovale losservazione dei saggi in Israe-le riguardo alla torah: Non assomi-

    glia chi studia la torah cento vol te achi la studia centouno (Aguig, 9).

    Confesso con certo rossore che nonho avuto nessuna esperienza spiritua-le o mistica rilevante e che la mia pre-ghiera lonesta precisione nella litur-gia delle ore, leucaristia e la capacitdi fare preghiera personale piuttostosemplice tanto nella gioia e nellesitocome nelle angustie e sorprese, chenon sono state scarse. In un docu-

    mento recente il Papa sottolinea cheprecisamente lEucaristia e la Liturgiadelle Ore consolidano la vita dei Con-sacrati (Benedetto XVI,Afric munus,117). Per onest devo anche dichiara-re che soffro unallergia non aggressi-va ma spontanea e non coltivata alleforme esotiche di preghiera; anche sericonosco che una forma o unespres-sione stravagante solo per chi non lavive; e senzaltro cerco di schivaregiudizi facili e frettolosi ch non vor-rei correre il rischio di spacciare per

    stranezza quello che la ricerca au-tentica della propria strada di dialogo.In parole povere non vorrei confon-dere, come Eli, langustioso soliloquiodi Anna, madre di Samuele, con infa-tuazione etilica (1Sm 1,9-18). A primavista mi pare che sono pochi quelliche vivono esperienze speciali estraordinarie di preghiera e contem-plazione; ma magari la maggioranzale vive in abbondanza e lumilt liporta a dissimularli. Cos che visionidirette di Dio, rivelazioni personali elevitazioni pullulano attorno a me

    senza che me ne accorga.Dicevo che apprendere la preghie-ra un compito del tempo della for-

    mazione e cercher di fare presentile indicazioni che su questa forma-zione ci sono state indicate dal magi-stero negli ultimi anni. Sar utile pertutta la Congregazione sapere cosa si

    fa o si dovrebbe fare perch neltempo della formazione si impari an-che la difficile arte di pregare.

    Solo indicativamente d qui alcu-ne esigenze richieste: La sacra litur-

    gia deve essere ora considerata unadelle discipline principali; perci de-ve essere presentata non soltanto sot-to laspetto giuridico, ma soprattuttosotto laspetto teologico, spirituale e

    pastorale [] affinch gli alunni co-noscano prima di tutto come i miste-ri della salvezza siano presenti edoperino nelle azioni liturgiche. []

    la liturgia sia illustrata come un lo-cus theologicus di particolare im-

    portanza, attraverso il quale si espri-me la fede della Chiesa e la sua vitaspirituale (Ratio fundamentalis insti-tutionis sacerdotales, 79).

    niente pi importante e deci-sivo di una partecipazione sempre

    pi profonda e completa alla pre-ghiera della Chiesa, prima di tuttoalla celebrazione eucaristica e allaliturgia della Parola, che la introdu-

    ce e lo richiameremo , ma anchealla liturgia delle Ore. La preghieradella Chiesa si nutre della preghieradei Salmi. In essi la Chiesa riceve daDio stesso le parole ispirate: essesono come lo stampo in cui essacola i pensieri e i sentimenti umani. lo Spirito Santo che per mezzo deiSalmi suggerisce le parole e forma ilcuore. cos che Ges pregava; lasua Passione ne una testimonianza. cos che Maria pregava, come ne chiaro esempio il suo Magnificat.Non c preghiera pi capace di

    creare a poco a poco il silenzio inte-riore che si cerca, quello vero cheviene da Dio (Sacra Congregazione

    per lEducazione Cattolica, Letteracircolare su alcuni aspetti pi urgentidella formazione spirituale nei Semi-nari, 1980).

    E specificamente per i religiosi: Laliturgia della Chiesa diviene cos perloro il culmine per eccellenza a cuitende lintera comunit e la sorgenteda cui scaturisce il suo vigore evan-

    gelico (cf. SC 2, 10) (Congregazioneper gli Istituti di Vita Consacrata e leSociet di Vita Apostolica, Direttivesulla formazione negli istituti religio-si, 1990, 22).

    In forma generale:

    La l iturgia significa e indica ad untempo lespressione, lorigine e lali-mento di ogni vocazione e ministero

    nella Chiesa. Nelle celebrazioni li-turgiche si fa memoria di quellagiredi Dio per Cristo nello Spirito a cuirimandano tutte le dinamiche vitalidel cristiano. Nella liturgia, culmi-nante con lEucarestia, si esprime la

    Pregare, non come dirloLisraelita, che vive in fedelt, allalleanza, trova Dio in un modo ancora pi intimo nelle dueforme fondamentali della preghiera: nello slancio spontaneo di ammirazione e allegria davantialle meraviglie divine, che provoca la benedizione, la lode e il ringraziamento; e nella supplicaappassionata alla ricerca della presenza di Dio (Sal 42,2-5; 63,2-6), di un incontro che neppure lamorte possa rompere (Sal 16,9; 49,16; 73,24).

    con le braccia levate verso il cielo

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    vocazione-missione della Chiesa e diogni credente in tutta la sua pienezza.

    Dalla liturgia viene sempre un ap-pello vocazionale per chi partecipa.Ogni celebrazione un evento voca-zionale. Nel mistero celebrato il cre-dente non pu non riconoscere la

    propria personale vocazione, nonpu non udire la voce del Padre chenel Figlio, per la potenza dello Spiri-to, lo chiama a donarsi a sua volta

    per la salvezza del mondo.Anche la preghiera diventa via per

    il discernimento vocazionale, nonsolo perch Ges stesso ha invitato a

    pregare il padrone della messe, maperch solo nellascolto di Dio cheil credente pu giungere a scoprire il

    progetto che Dio stesso ha pensato:nel mistero contemplato il credentescopre la propria identit, nascostacon Cristo in Dio (Col 3,3).

    E ancora, solo la preghiera chepu attivare quegli atteggiamenti difiducia e di abbandono che sono in-dispensabili per pronunciare il pro-

    prio s e superare paure e incertez-ze. Ogni vocazione nasce dalla in-vocazione.

    Ma anche lesperienza personaledella preghiera, come dialogo conDio, appartiene a questa dimensione:

    anche se celebrata nellintimit del-la propria cella relazione conquella paternit da cui deriva ogni vo-cazione. Tale dimensione quantomai evidente nellesperienza dellaChiesa delle origini, i cui membri era-no assidui nella frazione del pane enella preghiera (At 2,42). Ogni deci-sione, in tale comunit, era precedutadalla preghiera; ogni scelta, soprattut-to per la missione, avveniva in uncontesto liturgico (At 6,1-7; 13,1-5)(Pont. Opera per le Vocazioni eccle-

    siastiche, Nuove vocazioni per unanuova Europa, Documento finale delCongresso sulle Vocazioni al Sacerdo-zio e alla Vita Consacrata in Europa,Roma, 5-10 maggio 1997, 27 a).

    Laccento sullEucaristia e la Litur-gia delle ore non dice solo la loroeccellenza, ma anche la loro suffi-cienza. Se uno vive con vigile fervo-re queste esperienze di preghiera hatutto il sufficiente per la sua crescitaspirituale. Dunque la Casa di Forma-zione non impedir devozioni che

    stimolino e favoriscano la crescitaspirituale, ma non ne fomenter nes-suna in particolare e anzi ricorder

    permanentemente che le eventualidevozioni sono utili quando favori-scono lincontro con Dio nella Litur-gia e non quando la sostituiscono. LaLiturgia ha il grande merito di ripro-durre fedelmente la Storia della sal-vezza che permette lincontro di Dioe delluomo nella storia, garanziache spesso non hanno tutte le devo-zioni; anzi alcune di esse hannopiuttosto lo schema della scorciatoiae sembrerebbe che nella Storia dellasalvezza tali scorciatoie non si danno.

    Allo stesso tempo sente necessarioricordare il costante invito della spiri-tualit cristiana e nostra in particolarealla sobriet nella Liturgia. Non cdubbio che la tendenza piuttosto alritorno al ricamo specialmente conuna certa tendenza gothic nelleespressioni e nelle vestimenta. I do-cumenti della Chiesa insistono sullavalenza spirituale e teologica che hala liturgia e i segni devono aiutare inquel senso e non distrarre. Un esem-pio chiaro nel vangelo di segno tra-

    sparente di quel che significa lascalata al sicomoro di Zaccheo. semplice, esprime senza bisogno dispiegazioni cosa vuole e cos lo in-tendono quanti lo vedono. Cos al sa-lire sullalbero si capisce che vuolevedere Ges, realmente lo vede e an-che questi vede Zaccheo, reagiscecon lauto-invito a casa sua. Questoinvito cancella i peccati e la gente,che intende che cos succede, espri-me anche la sua sorpresa, perch lamisericordia sempre provocante,come ci spiega lesperienza di Giona.

    Ci distinto dai nostri segni che, es-sendo oscuri, hanno bisogno di millespiegazioni che spesso non aiutano la

    loro comprensione e a volte anzi so-no il contrario di quello che dicono. Iveri segni non richiedono glossa, sidicono da soli. Il Cantico dei Canticici ricorda che come il linguaggiodellamore che da solo esprime quel-lo che vuole. Immaginate se in quellinguaggio si dovesse spiegare: que-sto uno sguardo, un abbraccio, unbacio, un orgasmo . Che scarso tre-mito ha provocato, se c bisogno didirlo. Se non parla da solo, non ; se e si nota, non richiede spiegazioni.Quasi senza eccezione i segni sonosemplici: un ghigno segnala una veraintesa e amicizia pi di mille rumoro-si abbracci che hanno come destina-tario la platea pi che lamico.

    al

    Dai documenti si deduce anche chela finalit ultima della preghiera lascolto. Un esercizio sempre pi diffi-cile. Abbiamo tanto da dire! Certo aDio si ha tanto da comunicare: le no-stre speranze e angosciose situazioni ciattanagliano e Lui deve saperle. Ma Luiha una Parola da dirci e non trovavarco. Lo mettiamo in imbarazzo, co-me ci dice Pr Lagerkvist nel suo rac-conto Leterno sorriso. Non Dio

    cos smaliziato come noi e le nostre in-terpellazioni lo spiazzano e non osapi dirci la sua Parola, troppo sempli-ce. Dicono che in una occasione, do-mandando a Suor Teresa di Calcuttacosa diceva a Dio quando pregava, leirispose: Non dico niente. Solo ascol-to. Allora le chiesero: E quandoascolta, che dice Dio?. Suor Teresa ri-spose Non dice nulla. Solo ascolta. Elascolto richiede un ritmo pausato elento specialmente nella recita comu-ne della Liturgia delle ore. Tale calma

    e lentezza si fa ancora pi urgente enecessaria nelle case di formazione,che ospitano candidati di diversa origi-ne e radice linguistica. Spesso, senzatale precauzione, la preghiera liturgica un oscuro enigma per chi si sentepressato da un ritmo innaturale per te-nere dietro al gruppo senza capirequello che si sta dicendo. Se non c lacomprensione materiale delle espres-sioni, meno potr esprimersi il sensopi profondo. Solo chi ha dovuto fareil faticoso sforzo di introdursi in unanuova lingua pu capire quanto tempo

    e dedicazione sono necessari per assi-milare che i malcapitati passi nonsono una ...mal-capita-tipa-s.

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    vita consacrata

    Botticelli - Madonna del Magnificat

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    Lascolto e la visione. Quella capa-cit di vedere pi in l e prima di tut-ti, che secondo Baricco permette an-ticipare le cose (A. Baricco, Novecen-to, in apertura) e secondo la Bibbia siincarna in Abramo che pu disfarsidi tutto con una leggerezza invidia-bile perch ha gi visto quello cheancora non . La fede.

    Conviene anche, nel tempo dellaformazione, porsi alcuni interrogativisu rischi che si vedono accompagna-re la Preghiera.

    pegh, fugg?

    Sembrerebbe di no. Lo stesso sche-ma della liturgia delle ore indica che

    la preghiera legata allo svolgersidella vita nelle sue diverse e precisefasi. Sorge la preghiera per permette-re di iniziare in forma non banale illavoro giornaliero cui si oppongono ifantasmi dellinutilit della esigenza;ritorna necessaria durante il lavoro,quando la fatica invita a abbandona-re e specialmente sorgono i dub-bi sulla coerenza di quanto si fa conla meta che persegue; aspetta il mo-mento della misura perch la chiusu-ra di una iniziativa permetta stabilireil suo reale risultato e legarla con

    lintenzione e con la continuit per-ch quanto si fatto parte di unprogetto pi amplio che la specificafunzione realizzata; apre quel miste-rioso sipario sul riposo riparatore che anche un ingresso nella morte. Perlo meno il linguaggio dei salmi estraneo alla fuga; niente di pi an-corato nelle esperienze quotidiane!Si basa questa preghiera sulla con-vinzione che diretta a chi vede eha un permanente e incessante inte-resse per le sue creature (cfr. Es 3,7-9)

    e non le trascura (cfr. Sl 121,4). Enon le ripudia. detto Voi siete i fi-gliuol i dellEterno (Dt 14,1). E preci-sa Rab Giuda: Quando vi compor-tate come figli meritate essere chia-mati figli, ma se non vi comportatecome tali non sarete chiamati figli.Ma Rab Meir discrepa: In ogni casosiete figli. Gia che sta scritto son defigliuoli insensati (Ger 4,22) e anchedice figliuoli in cui non fedelt disorta (Dt 32,20) (Kidushin 36). Lostretto legame con la vita spiega laindicazione paolina che esorta a

    combattere con me nelle preghiereche rivolgete a Dio in mio favore(Rom 15,30; cfr. Col 4,12), una lotta

    che si confonde con quella stessa delsuo ministero (cfr. Col 2,1). Questoagonismo assicura che non si cree-ranno fratture e quindi schizofreniaspirituale. Di quel che si vive si pre-ga, e da quel che si prega si vive.

    d de?

    impossibile avere ascoltato la pa-rabola del pubblicano e del fariseosenza aver avuto il dubbio: sar traquelli che fanno della preghiera unesercizio di patetica vanagloria o traquelli che ricominciano a partire dal-lonesto esercizio dellesame oggetti-vo della propria realt? C un ingan-noso rischio di collocarsi senza spesadalla parte meno odiosa. Se ascoltia-mo la parabola del buon samaritano quasi naturale che ci identifichia-mo con lui e che non ci passi per la

    testa che magari a volte tiriamo inlungo come il sacerdote e il levita; seassistiamo al dramma del figlio pro-digo naturalmente ci sentiremo pro-tagonisti del finale felice e spesso co-me Giona invece odiamo questostrano Dio che non capace di usareil polso deciso e si fa convertire can-cellando tutta una storia di infedelte abbiamo locchio cattivo come ilvendimiatore della prima ora; se siracconta la reazione alla curazionedei dieci lebbrosi ci pare naturaleche anche in questo caso saremo il

    samaritano, quellunico che ca-pace di gratitudine. Cos simpaticisti samaritani e tante volte poi, co-

    me sarebbe a dire che noi non siamodi quel partito?

    La stessa bibbia ha i suoi tentenna-menti riguardo al perdono, cio posi-zioni in frizione tra i testi accolti nelcanone immaginiamo quali maggiorifrizioni nella nostra vita ; e cos: ilperdono non si giustifica umanamenten giuridicamente. Il Dio santo non

    dovrebbe rivelare la sua santit attra-verso la giustizia (Is 5,16) e scaricarlasu quelli che lo disprezzano (5,24)?Come potrebbe contare con il perdonola sposa infedele allalleanza (in sensostretto e in senso figurato), lei che nonarrossisce per la sua prostituzione (Ger3,1-5)? Ma il cuore di Dio non quel-lo delluomo, e al santo non piace di-struggere (Os 11,8s); lungi dal volerela morte del peccatore, vuole la suaconversione (Es 18,23) per poter con-cedere il suo perdono; perch le sue

    vie non sono le nostre vie, e i suoipensieri eccedono i nostri pensieri intutta laltezza del cielo (Is 55,7ss).

    quanto rende cos fiduciosa lapreghiera dei salmisti: Dio perdona ilpeccatore che si accusa (Sal 32,5; cf.2Sa 12,13); invece di voler perderlo(Sal 78,38), invece di disprezzarlo, lori-crea, purificando e colmando diallegria il suo cuore contrito e umi-liato (Sal 51,10-14.19; cf. 32,1-11);fonte abbondante di perdono, unpadre che perdona tutto ai suoi figli(Sal 103,3.8-14). Dopo lesilio non si

    finisce dinvocare al Dio dei perdo-ni (Ne 9,17) e delle misericordie(Dan 9,9), sempre disposto a pentirsi

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    vita consacrata

    SantAngelo in Formis - Cristo chiama Zaccheo

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    del male con cui ha minacciato il pec-catore, se questi si converte (Gl 2,13);ma Giona, che il tipo del particolari-smo dIsraele, rimane sbalordito al ve-dere che il perdono si offre a tutti gliuomini (Gio 3,10; 4,2); al contrario, illibro della Sapienza canta a Dio cheama tutto quello che ha fatto e ha

    compassione di tutti, chiude gli occhiai peccati degli uomini con la speran-za che si pentano, che li castiga pocoa poco e gli fa presente in ch pecca-no con la speranza che credano in lui(Sap 11,23-12,2); manifesta cos che onnipotente, di cui proprio perdo-nare (Sap 11,23.26) (X. Lon Dufour,Vocabolario di teologia bi-blica, s.v.perdono).

    Naturalmente dietro! Maquante volte stiamo da-vanti e la preghiera non ci

    consente di incontrarci connoi stessi n con Dio. E dadietro timidi possiamoscoprire la nuova linfa cheil perdono, il nuovo mododi disintegrare il male, in-troduce nella dinamicadella nostra vita e nei rap-porti con gli altri.

    lug?

    Siamo figli della ragio-neria. Stabilire prima la

    giusta misura.Si dice di uno che offi-ciava da ebdomadario

    davanti a Rab Eliezer che, sicura-mente preso da eccessivo entusia-smo, prolungava troppo le preghiere:

    Come la fa lunga!, osservano gliallievi del Maestro.

    Mai tanto come Mos, di cui stascritto che stette in preghiera I qua-

    ranta giorni e le quaranta notti (Dt9,25), osserva Rab Eliezer.

    In altra occasione, di un altro eb-domadario, che era un alunno cheabbreviava troppo la tefil:

    Mamma mia, che fretta!, diconoi discepoli.

    Mai tanto come Mos, che pregDio, te ne prego, cura, te ne prego,a lei (Num 12,13), replica Rab Eliezer.

    Il segreto sta nel sempre. E Paolonostro accompagna le parole che de-scrivono la preghiera con la precisa-zione senza sosta, in ogni tempo(Rom 1,10; Ef 6,18; 2Tes 1,13.11;2,13; Flm 4; Col 1,9) o notte e gior-no (1Tes 3,10; 1Tim 5,5) che ci ricor-da quella descrizione delle belle lun-

    ghe notti in cui pernottava Ges, se-condo quanto ci dice il Fondatore nelsermone sul quarto comandamento,che risuona anche nella lettera a CarloMagni e sempre secondo lo stessosermone a condizione che altri af-

    fanni non ne prendano il posto. Sicco-me letteralmente neppure i contem-plativi stanno sempre in preghiera e cideve essere tempo da dedicare allefaccende inderogabili e alla prepara-zione della predicazione e agli stessiesercizi, per insegnare agli altri a pre-gare, sicuramente si vuole dire che tut-to da Dio cominci e tenda a Lui.

    ez he l ue l ele

    Non trova posto il dialogo con Dios,o il suo ascolto, se non abbiamo estir-

    pato lodio dal nostro cuore. Suvvia,odio? Prima di tutto conviene in que-sto campo lasciarsi turbare dal lin-guaggio neotestamentario che radica-lizza e oppone e evitanto le sfumatureo sottigliezze ci avverte che dove nonc amore senza riserve c odio. Cosha senso linvito evangelico di so-

    spendere lofferta allaltareper andare a riconciliarsi(Mt 5,23-24; cf. Mc 11,25-26; Sir 28,2) e quello pao-lino di non permettere al

    sole porsi sui nostri rancori(Ef 4,26). Non si trata di ar-mare la sceneggiata, natu-ralmente. Baster ricordaresobriamente che il rischiodi smentire clamorosamen-te con la vita quello cheesprimono le nostre parolee le nostre preghiere unoscandalo da cui non esceindenne n lo stesso cre-dente n chi lo osserva. Latestimonianza coerente intempi nuovi la finalit

    dellanno della fede con-vocato recentemente dalPapa che auspica che la

    Eco dei Barnabiti 2/201210

    vita consacrata

    Roma, Catacombe dei ss. Marcellino e Pietro - Giona rigettato

    il fariseo e il publicano alla porta del Tempio, mosaico(VI sec. Ravenna - SantApollinare)

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    testimonianza della vita dei credentisia sempre pi credibile (Lettera apo-stolica Porta fidei, 4. 9, cf. 13 e 14).

    ... pe gl l

    Sicuramente la preghiera spessodi intercessione e nasce come natura-le conseguenza della preoccupazionee delloccupazione che un religiosoha per il popolo. Il secondo libro deiMaccabei ricorda questa occupazio-ne incarnata da Ona che a sua vol-ta ricorda a Geremia che descivecos: Questi lamico dei suoi fra-telli, che prega molto per il popoloche riprende il responsorio dei Vespridei Pastori e che sicuramente lo

    sbocco naturale dellesperienza pao-lina il mio peso quotidiano, lapreoccupazione di tutte le chiese(2Co 11,28). Cos pregare e apostola-to (e anche la vita comune) vanno in-sieme. Pregare in definitiva aiuta ache la nostra vita risulti illuminata e si noti da Dio che amiamo e chevogliamo che gli altri amino, convintiche non c modo migliore per ren-dere eccellente la sua qualit.

    Finalmente i documenti sulla for-mazione quando parlano della pre-ghiera mettono laccento sulla pre-

    ghiera liturgica, ricordano che devepermettere un fedele ascolto, che ri-fugge lostentazione, che camminacon gli stessi ritmi della vita a cui per-mette scoprirsi come vocazione, cheassimila la ineffabile capacit divinadi esercitare il perdono come la ma-nifestazione pi solenne della fede eche nel suo livello pi alto si riversasugli altri e si trasforma in servizio.

    Meister Eckhart afferma che quantoaveva appreso Marta, che non servivaperch non aveva scoperto ancora la

    contemplazione che esercitava Maria,ma avendo sperimentato gi la con-templazione ne aveva appreso il servi-zio. Lamore attivo supera, dunque, tut-ti i fenomeni spirituali, anche quandosono autentici. Per la sua stessa condi-zione umana luomo in questa vitanon pu stare senza attivit [] giche queste appartengono allessere-uo-mo (Sermoni nelledizione di JosefQuint, I, p. 100). La vera esigenza unaltra: Uno deve imparare a essere [in-teriormente] libero in piena attivit I,p. 136). Questa riflessione sottolinea il

    fatto che secondo Eckhart non sideve fuggire dal mondo ma tornare alui con unattivit interiore completa-

    mente mutata. la lezione del ritornodal Tabor nella redazione di Marco(Mc 9, tutto da leggere con intenzione).Questo lo spiega in forma a prima vi-

    sta eterodossa con lesempio di Mariae Marta (Si tratta di un sermone intitola-to Intravit Jesus in quoddam castellum,et mulier quaedam, Martha nomine ex-cepit illum etc. Le citazioni son fattesulla base della versione in tedescomoderno pubblicata da Quint nella suaedizione del 1955), dove Marta ladonna matura che ha imparato dallavita e possiede una saggia prudenzacapace di dirigere lattuazione esternaverso il massimo che ordina lamore(Quint, o. c., p. 280). In questa conce-

    zione di Eckhart, Marta era gi arrivataa dominare una interiorit cos solidache sapeva agire nel tempo senza esse-re turbata dalle cose di questo mondo.Comunque non il caso di fomentarepolemiche tra chi sente pi facile iden-tificazione con Marta o con Maria. solo che apprendendo a pregare be-ne supplicare che Dio ci permetta farlogi mentre stiamo in vita e nella vita le-gati a impegni e azioni che fatte perDio non ci possono allontanare da Luin dalla preghiera.

    Karl Barth in un suo libro sulla pe-

    ghiera nel catechismo riformato preci-sa: Pregare significa dirigersi a chi gici ha parlato nel vangelo e nella legge.

    Davanti a lui ci troviamo quando sia-mo tormentati dallimperfezione dellanostra obbedienza, dalla discontinuitdella nostra fede. Per causa sua ci tro-

    viamo in pericolo. Solo lui capace diaiutarci. Preghiamo per chiedergli chelo faccia (La oracin, Sgueme, Sala-manca 1969, p. 20). quanto preghia-mo con lo strano monito dellinfinitosalmo 118: stata un bene per melafflizione subita, perch imparassi ituoi statuti (Sal 118[119],71). Gi ciricorda che capace di calibrare la vi-ta solo chi ne ha sofferto le lotte. Manella linea di Barth si allude a una af-flizione esistenziale pi radicale: ve-dere e soffrire la distanza esistente tra

    il nostro essere e il nostro agire, tra ilnostro ideale e il nostro reale. Il frivolonon saccorge neppure di questarealt. Per questo il frivolo incapacedi parlare con Dio e con lo stesso uo-mo, anche se produce un fiume di pa-role. La supplica a Dio perch possaricucire la straziante schizofrenia, lapotr fare solo chi seriamente vedeche con tanta strada fatta ne rimaneancora tanta; e non come un ritornello,ma come una scoperta sempre nuovapu proclamare: Io credo; vieni inaiuto alla mia incredulit (Mc 9,24;

    cfr. Lc 17,5).

    Giulio Pireddu

    Eco dei Barnabiti 2/2012 11

    vita consacrata

    Jan Vermeer - Cristo nella casa di Marta e Maria

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    Eco dei Barnabiti 2/201212

    OsservatOriO ecclesiale

    I

    cinquantanni dalla fine del

    Vaticano II segnano senzal-tro unepoca, ed in que-stepoca che si colloca una serie di ca-pitoli generali che, a partire dal 1967,hanno assunto una fisionomia a benconsiderare nuova nella loro storia se-colare. I confratelli convenuti nellassi-se pi rappresentativa del nostro Ordi-ne hanno colto fin dallinizio le istan-ze del Concilio e il suo impatto nellavita ecclesiale, nonch le istanze deitempi, in merito alle quali il VaticanoII aveva chiesto di procedere a unadeguato aggiornamento. Risulta per-

    tanto istruttivo ripercorrere i documen-ti pi significativi che, a dal capitolodel 1967, hanno per lo pi assunto laforma di Messaggi alla Congregazio-ne. Una loro adeguata rilettura devetenere conto non soltanto delle solle-citazioni del magistero ecclesiastico,ma anche della crisi che, con linteracristianit, ha coinvolto anche le fami-glie religiose. Ne sono rivela-tori alcuni semplici dati stati-stici. Nel 1964 la Congrega-zione contava 606 membri

    (520 chierici e 86 fratelli), unpicco (in percentuale cir-ca 37%) che ha un suo pa-rallelo nel Settecento, quan-do i barnabiti raggiunsero lacifra, non pi superata, di788. Nel 2012, quindi circamezzo secolo dopo il 1964,i chierici risultano 360 e ifratelli 20, per un totale di380. Un analogo, ma benpi grave tracollo si verificlindomani delle rivoluzionidinizio Ottocento, quando i

    barnabiti furono ridotti a 197(1833), per passare a 417 unsecolo dopo.

    Dietro queste aride cifre si nascon-

    de una duplice fenomeno: da un latola defezione di non pochi soggetti cheha messo a dura prova tutti gli istitutireligiosi nel dopo-concilio; da un al-tro la crisi vocazionale dovuta, quan-tomeno in Occidente, al decrementodemografico e alla crescente secola-rizzazione. A fronte di simili dati, laCongregazione ha registrato una prov-videnziale dilatazione di confini, cosche in quelli che venivano consideratii Paesi del Terzo e Quarto Mondo riposto il nostro avvenire.

    Su questo sfondo si collocano gli

    interventi magisteriali dei capitoli, ri-presi successivamente dai padri ge-nerali nelle loro circolari. Ed suquesto che intendiamo soffermarci.

    o on

    Si diceva che punto di partenza stato il capitolo straordinario del

    1967. In quella sede la Congregazio-

    ne eman un Decreto sul rinnova-mento che ne segn una svolta stori-ca. I barnabiti avvertirono il fascinodella primavera della Chiesa che ilConcilio aveva inaugurato. Il capitoloinfatti considerava condizione preli-minare di ogni rinnovamento la vi-sione ottimistica che emerge dalla pri-me pagine della Scrittura, dove si af-ferma che lintera opera uscita dallemani del Creatore era molto buona.Partendo da questa premessa i confra-telli erano invitati a rinnovarsi allaluce dellintuizione originaria del

    Fondatore, che sollecitava la rinno-vazione degli uomini e delle donne,nonch alla luce di una tradizioneche ha reso caratteristici della nostrafisionomia spirituale alcuni tratti, co-me laccentuato spirito di famiglia,lintenso lavoro apostolico, lumilt ela modestia (la humilitas barnabitica),la condiscendente dolcezza.

    Le disposizioni prati-che emanate dallo stessocapitolo riconoscevanoda un lato laccresciuta

    sensibilit verso la per-sona e i suoi inalienabilispazi di libert e di ini-ziativa, e dallaltro solle-citavano come contrap-peso un massimo di re-sponsabilit personale edi corresponsabilit co-munitaria. Le conseguen-ze pi vistose furono larevisione di una precetti-stica che con il tempo siera rivelata formale eforse soffocante, lequi-

    parazione tra chierici efratelli (escluso lincaricodi superiore e di vicario)

    La nuova fisionomia

    dei capitoLi generaLineLLera deL post-conciLioIn uno scenario pieno di sfide e interroganti, il prossimo luglio si celebrer a Napoli un nuovoCapitolo generale. Nella vigilia capitolare, il p. Antonio Gentili offre alcuni dati significativi,accompagnati da spunti di serena riflessione critica.

    linizio di una svolta decisiva nella vita della Chiesadel sec. XX

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    e lautonomia delle province che su-perava il centralismo romano.

    A tre anni di distanza, il capitologenerale del 1970-71 non faceva cheribadire limportanza della correspon-sabilit comunitaria nella vita fraternae apostolica, fronteggiando in tal mo-do unerrata modalit di autorealiz-zazione che minava le radici stessedella consacrazione religiosa. E inol-tre si faceva strada lesigenza di unamaggiore apertura al Terzo Mondo.

    Sei anni dopo, il capitolo celebra-to a Napoli avvertiva come la postain gioco in ordine alla piena attua-zione della riforma promossa dalConcilio, era una vera e propria ri-nascita. Con questo si andava allaradice del problema e le difficolt diperseguire un simile intento vennero

    riconosciute nel Messaggio che ilcapitolo del 1982 invi allinteraCongregazione. In esso era denun-ciato disorientamento, forse stan-chezza, e torpore spirituale. Rie-mergeva in tal modo la diagnosi cheil Fondatore faceva degli spiritualidei tempi moderni, irretiti dallamaggior nemica di Cristo crocifis-so, la tiepidezza. Per questo il Mes-saggio invitava a ritornare alle fontidella nostra spiritualit.

    m pono-zno

    Si tratta di unesigenza che vennesempre pi avvertita, cos che il ca-

    pitolo del 1988, tenutosi a La Men-dola, in Trentino, affront per la pri-ma volta il carattere paolino delnostro carisma, cos da radicarelistanza della riforma interiore, nonmeno che quella della missione apo-stolica, nel magistero e nellesempiodellApostolo. Fu nella sede di que-sto capitolo che prese corpo quelProgetto comunitario tendente a ri-compattare i confratelli in una disci-plina, non pi formale ma sostanzia-le, da tutti condivisa. In quella stessasede vi fu una esplicita presa di co-scienza del carattere triforme dellin-tuizione zaccariana, che vedeva co-spirare al medesimo intento religiosi,religiose e laici. Ne nacque lo slo-

    gan: O si in tre, o non si se stes-si. Da quel momento la rinascita delTerzo collegio ebbe il suo ufficialericonoscimento.

    Quanto il capitolo del 1988 avevaabbozzato, fu ripreso nel successivo,tenuto a Varsavia nel 1994. In quellasede venne compiuto per la primavolta il tentativo di definire il cari-sma paolino del nostro istituto, ilprimo, fra laltro, a portare il nome diPaolo.

    Significativo anzitutto laver ravvi-sato nella trilogia programmatica,

    gi anticipata da Antonio Maria, ri-presa nelle Costituzioni del 1579 enuovamente riformulata in quelle del1984, il richiamo ai tre caratteri co-stitutivi della vocazione cristiana,come a dire che quella religiosa ne unapplicazione e una sviluppo.Esemplifichiamo i due aspetti:

    In secondo luogo il capitolo met-teva a fuoco il nostro carisma inquesti termini: Il carisma dei bar-nabiti si esprime in modo particola-re nel valore della discrezione (di-scretio), sentito pi che teorizzato,testimoniato da religiosi ricchi di sa-pienza e di virt e trasmesso al le ge-nerazioni.

    Questo valore si traduce in:

    unit fraterna senza uniformit;

    libert spiri tuale e intel lettua-leche evita ogni forma di estremismo;

    rispetto e accoglienza delle perso-ne, intessuti di tolleranza e di affabilit;

    dedizione generosa e piena di-sponibilit a preferenza del rigore or-ganizzativo;

    convinzione e convergenza, piut-tosto che ricerca del puro efficien-tismo;

    attenzione alle esigenza dellal-tro e della comunit, contro ogni ten-tativo di protagonismo.

    mond m

    Eventi significativi si profilavanointanto a cavallo dei due secoli. Nel

    1997 si celebrava il centenario dellacanonizzazione del Fondatore e nel2002 quello della sua nascita. At-tenti a simili coincidenze, i capitolie i superiori generali con i loro mes-saggi invitavano a sciogliere le ve-le, a spiegare le nostre bandiere,a correre come matti. Espressio-ni mutuate dal magistero zaccarianoe indicanti lurgenza di un rilancioche per registra non poca vischio-sit. E infatti il peso dellet mediache implacabilmente avanza, lindi-vidualismo che paralizza e linsuffi-

    ciente ricambio generazionale do-vuto alla scarsezza di nuovi apporti,determinano in non pochi casi unasituazione di sfaldamento, di stalloe si direbbe di impotenza.

    Saggezza vuole che anche questarealt sia vissuta carismaticamente(chi non ricorda lars moriendi cari-

    smatica?), allinsegna del seme chemuore per germogliare in vita nuo-va. Lavvenire degli istituti religiosi racchiuso nel mistero di Dio il qua-le, come direbbe Antonio Maria, indiversi anfratti e travagliosi tempi(in diverse svolte storiche e i tempitravagliati) sa disporre ogni cosa invista della piena instaurazione del

    suo (suo!) regno.

    Antonio Gentil i

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    OsservatOriO ecclesiale

    La vocazione cristiana La vocazione barnabiti ca comporta

    Profetica Rinuncia allo spirito del mondo

    Sacerdotale Totale dedizione a DioRegale Servizio apostolico ai fratelli

    la prima immagine in cui il Fondatoreappare da solo. Reca intorno settescudetti con i fatti pi salienti dellavita. Incisione di Cesare Bassano (1615)

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    eCumeniSmo

    E

    cco, io sono con voi

    tutti i giorni, sino allafine del mondo (Mt28,20). la sorprendente espressionedel Risorto che conclude il Vangelodi Matteo, dove si narra che gli undi-ci discepoli lo incontrano in Galilea,nel luogo da lui indicato, sul monte,e che quando lo vedono gli si pro-strano davanti. Dopo il mandato del-levangelizzazione del mondo, colcompito di battezzare le nazioni, pa-re incoraggiarli e confortarli alliniziodellopera straordinaria che nonavrebbe pi avuto fine, assicurando

    loro la sua reale presenza e assisten-za, con la sua energia divinizzante,sempre e dovunque, non con espres-sioni volte al futuro, ma da subito,dal presente: Ecco, io sono con voi!.

    d d ffa psa

    Dalle sue origini apostoliche laChiesa vive di questa ineffabile pre-senza che pulsa e illumina, insegna ecorrobora di continuo, stimolandoalla perseveranza nellesercizio fede-

    le del compito non facile affidatoleper la salvezza dellumanit. E laconferma viene da S. Paolo (1Cor11,23-33), soprattutto in termini dicomunione, di carit fraterna e unit(1Cor 10,16-17). Da quando statoconquistato, come scriver in Fil3,12, e fermato sulla via di Damasco(cf. At 9, 1-19), Paolo sente il Risortocos presente in lui e sempre al suofianco in ogni situazione e dovunqueva, che senza mezzi termini arrivaad affermare: Non sono pi io chevivo, ma Cristo vive in me (Gal

    2,20), come in un tabernacolo, po-tremmo dire. La guida di Paolo ilCristo vivo. lui che continua ad es-

    sere presente nel cuore della suaChiesa in vari modi: in primo luogo

    nellassemblea dei fedeli riunita nelsuo nome, poi nella sua Parola,quando viene letta e spiegata laScrittura, nella persona del ministroe, in modo speciale, sotto le Specieeucaristiche.

    a cstat fd da Chsaa psa a d Sg

    Dalla testimonianza dei Padri deiprimi secoli sappiamo con certezzache, durante le persecuzioni, i cri-stiani conservavano con amore lEu-

    caristia nelle loro case in piccoli va-si, per comunicarsi quando ne senti-vano il bisogno o addirittura la

    portavano appesa al collo in piccoli

    contenitori doro, argento, avorio, le-gno, argilla. Con la pace di Costanti-no, dal IV secolo, poterono final-mente costruire i primi luoghi di cul-to e celebrare insieme la divinaliturgia (Opus Dei-lavoro di Dio, co-me la definiva s. Benedetto nella suaRegola) al termine della quale inizila prassi di custodire lEucaristia nonpi nelle case o personalmente, masolo nelle chiese, in appropriati con-tenitori ornati e di varie forme. Daallora, la sacralit e la preziosit co-stituirono una costante nella vita

    liturgica della Chiesa, nella logicadella fede e dellamore per la realepresenza sacramentale del Signore,nella certezza che nulla troppo perlEucaristia, per il dono di S che Ge-s Cristo in persona ha lasciato insua memoria. E la Chiesa da sempre gelosa di questo dono che non haprezzo! La custodia eucaristica nelleprime basiliche ebbe due forme,quella di una torre idonea e di unacolomba in essa conservata. La pri-ma era dargento, la seconda, sospe-

    sa anche al centro del ciborio che ri-copriva laltare, spesso avvolta da unvelo, era di purissimo oro, ornata diperle e pietre preziose perch conte-neva il pane eucaristico. Una lampa-da sempre accesa indicava il luogodella divina custodia, detta poi edi-cola del Sacramento protetta da pic-cole porte decorate con arte da iscri-zioni, simboli, pitture, smalti, rilievi,sculture e con landare del tempodefinita, dal sec. XVI, col termine ta-bernacolo, di biblica e tipica memo-ria ebraica, ma per designare il parti-

    colare arredo sacro sempre ornato eimpreziosito, riservato non alla cu-stodia dei rotoli delle Scritture, ma

    SONO CON VOI TUTTI I GIORNI

    Il senso della custodia eucaristicaDi recente, nella chiesa di S. Antonio M. Zaccaria in Varsavia stato collocato in modo stabile ilmaestoso tabernacolo progettato ed eseguito con maestria dagli artisti scultori italiani della Val diSole (Trento), Livio e Giorgio Conta. Il p. Enrico Sironi, che stato parte di quel grandiosoprogetto, ci offre alcune considerazioni teologico-liturgiche, artistiche ed ecumeniche sulsignificato del tabernacolo come presenza di Cristo tra i suoi.

    lo splendido tabernacolo nella suacollocazione definitiva

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    alla reale presenza sacramentale diColui che ha detto: Io sono la via,la verit e la vita (Gv 14,6) e si donato come cibo e bevanda per lavita dei suoi discepoli nel mondo. Iltabernacolo sar poi collocato anchesopra laltare maggiore, al centro digradini, tra candelieri e fiori. In esso

    e in modo definitivo il Sacramentosar custodito gelosamente in pissidicesellate e rifinite in tanti modi e indiversi stili, con molta cura. In segui-to il tutto sar disposto in un localenobilmente riservato al di fuori del-laula ecclesiale, su apposite colonneo basamenti, per la libera adorazionesilenziosa dei fedeli, in ginocchio, inogni ora del giorno e della notte, masuccessivamente esposto in ostenso-ri, in occasioni solenni, per la comu-nitaria contemplazione dellOstia

    consacrata, grazie allintuizione e alfervore eucaristico di s. Antonio M.Zaccaria, lapostolo del Crocifisso vi-vo, ovvero dellEucaristia.

    p a vta sa

    La costante fede eucaristica dellaChiesa, in ogni tempo ha ispirato gliartisti, geniali costruttori di bellezza,come li ha definiti il beato GiovanniPaolo II nella lettera a loro destinata(1999) e ne ha favorito lespressionein molteplici forme di particolare

    bellezza, nella musica, nella poesia,nella pittura, nella scultura, nellar-chitettura, generando veri capolavo-

    ri. Larte, ispirata dalla contempla-zione del grande mistero, ha illustra-to nei secoli la fede eucaristica e neha sempre rivelato qualche scheggiadel radioso e inesprimibile mistero.Infatti attraverso il linguaggio delleforme, dei colori e dei suoni, larteha affermato Benedetto XVI ca-pace di esprimere e rendere visibileil bisogno delluomo di andare oltreci che si vede, manifesta la sete e laricerca dellinfinito. Unopera dartepu aprire gli occhi della mente edel cuore, sospingendoci verso lal-to (Ud. gen., 31.08.2011), verso lafonte di ogni bellezza, verso il Signo-re presente realmente, che ci colpi-sce con i raggi del suo splendore per

    aiutarci a vivere una vita luminosanella verit e nella carit.Agli artisti e agli artigiani cristiani

    la Chiesa non chiede di eseguireoggetti predefiniti, rinunciando allapropria creativit, ma richiede diconcepire le opere darte come servi-zio a qualcosa di pi grande, quale il culto a Dio, nel rispetto di alcuneregole rituali o linee guida fonda-mentali alle quali essere fedeli, su-perando la tentazione dellassolutaespressione e interpretazione sogget-tiva. cos che gli artisti vengono

    aiutati a inserirsi in una tradizioneche vive da millenni e non ha maiinteso mortificare la genialit dei lo-ro carismi o creare un rifugio sicuroa cui attingere per mancanza di ispi-razione: nellascolto della propriaispirazione interiore la loro arte puarricchire linestimabile patrimoniodi fede della Chiesa.

    ss tgch chat cc

    Risale soprattutto agli anni dellap-plicazione delle norme del Conciliodi Trento, a proposito della custodiadellEucaristia, in reazione alla dot-trina protestante che negava la per-manenza della presenza reale di Cri-sto nelle specie eucaristiche dopo lacelebrazione, lesigenza di affermarecon vigore la dottrina cattolica anchecon la diffusione della collocazionedel tabernacolo, ben visibile, al cen-tro dellattenzione generale di ognichiesa, prassi divenuta comune euniversalmente accolta.

    Ma a questo proposito amo riferirequanto aveva ammesso, da riforma-to, Max Thurian nella cattedrale di

    Trento (1984), sfatando accuse esa-gerate e rimproveri rivolti alle Chiesedella Riforma e chiarendo con aneli-to ecumenico: LEucaristia resterperennemente un mistero insondabi-le, ineffabile, da adorare Sotto i se-gni del pane e del vino la realtprofonda lessere totale del Cristorisorto veramente e sostanzialmen-te presente. Il vero anelito ecumeni-co sta generando chiarimenti e scel-te fondamentali anche in tale senso.

    Col rinnovamento liturgico operatodal Concilio Vaticano II, stato mes-so in migliore rilievo il primato dellacelebrazione eucaristica e con ci lacentralit dellunico altare, ma senzaomettere la dovuta attenzione alla

    collocazione del tabernacolo in unluogo riservato e degno. Nelle istru-zioni della Chiesa si evidenzia che ilfatto di destinare un luogo specialealla conservazione dellEucaristia de-ve essere inteso in modo tale da met-tere in maggiore risalto il misterodella permanenza della presenzareale di Cristo dopo la celebrazionee di creare le condizioni migliori perla sua adorazione. Anche nellade-guamento delle chiese e nella costru-zione delle nuove stata ed tuttorariservata una particolare attenzione

    alla nobile collocazione del taberna-colo nel quale deposto il Tesorodei tesori, il SS. Sacramento, in mododa educare i fedeli a cogliere sempremeglio il rapporto tra la celebrazionedella divina liturgia e la conservazio-ne dellEucaristia e a comprendernele ragioni, al fine di fomentare in tuttila fede nella presenza reale del Si-gnore anche dopo la celebrazione.La presenza eucaristica di Cristo in-fatti il frutto della consacrazionedel pane e del vino avvenuta sullal-

    tare in seguito allinvocazione dello

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    eCumeniSmo

    volto di Cristo - dettaglio della palacentrale del tabernacolo

    Cristo e la Vergine - dettaglio dellapala destra del tabernacolo

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    Spirito Santo (epclesi), e tale deve ap-parire con chiarezza. Lindividuazio-ne e lallestimento di una cappella eu-caristica disposta vicino allaltare, se-parata dal corpo centrale della chiesa,adatta, raccolta e favorevole allado-razione, di primaria importanza.

    Secondo le norme liturgiche dellaChiesa, il luogo per la conservazionedellEucaristia deve distinguersi pernobilt e decoro, deve essere acces-sibile, adatto alla preghiera e allado-razione. Il tabernacolo deve essereunico, definitivo, solido, inamovibi-le, non trasparente, chiuso e inviola-bile. pure prescritto che la cappellaeucaristica deve essere facilmente ri-conoscibile da chi entra nella chiesa,

    introdotta dal segno-richiamo di unaparticolare lampada ardente, perquanto possibile a olio o a cera,ben visibile.

    A VArSAViA:unA nobile ColloCAzione

    Nella nostra nuova chiesa parroc-chiale dedicata in Varsavia alla glori-ficazione di Dio, alla venerazionedella Madre della Divina Provvidenza,di S. Paolo e del S. Fondatore (28 set-

    tembre 2003), che con pazienza eimpegno sta arrivando alla sua com-pleta definizione in ogni sua parte,grazie alla tenace attenzione del par-roco, p. Casimiro Lorek e dei confra-telli, col sostegno della comunitparrocchiale dei 15.000 fedeli chene seguono con interesse e parteci-pazione la realizzazione, le normeliturgiche sopra indicate per una no-bile collocazione della custodia eu-caristica nella cappella ad essa riser-vata accanto alla zona presbiterale,

    sono state osservate con appropriataapplicazione.Di recente, finalmente, stato col-

    locato in modo stabile il maestoso eatteso tabernacolo dalle notevoli di-mensioni (cm. 80 80 80), proget-tato ed eseguito con maestria dagliartisti scultori italiani della Val di So-le (Trento), Livio e Giorgio Conta, ginoti e apprezzati per la splendidarealizzazione del gruppo ligneo delCrocifisso in dialogo con la Madre aipiedi della croce, posto accanto al-laltare della stessa chiesa e sullasse

    che lo congiunge direttamente allacappella della reposizione e adora-zione eucaristica.

    Limponente custodia eucaristica,che ammonta a 130 Kg, fissata so-pra una adeguata base marmoreache frontalmente porta inciso il mo-nogramma dorato del Cristo Risortoe vivo. Essa composta di tre parti,come di un articolato polittico ret-tangolare di cm 170 di larghezza.Quella centrale (cm. 80 80), fa-cilmente apribile, nonostante lo spes-sore (cm. 10), per deporvi le pissidi elostensorio, mentre le altre due, po-ste ai fianchi (cm. 45 45), e colle-gate da adeguate cerniere, non sonofisse, ma leggermente piegate verso ilcentro. I temi o soggetti rappresentatisulle tre parti anteriori, suggeriti dalricco repertorio iconografico della

    Chiesa, di carattere narrativo e sim-bolico con intento catechetico edifi-cante, sono tratti dai Vangeli e inten-zionalmente attinenti al mistero euca-ristico, pertanto di immediata letturae riferimento.

    vt d eas:Signore, rimani con noi!

    Nella parte centrale del tabernaco-lo, che corrisponde alla vera e pro-pria custodia del Sacramento, lascultura volutamente in aggetto, a

    differenza delle due parti laterali, evi rappresentato in misurato rilievolincontro di Ges con i due discepo-li nella loro casa di Emmaus, dopo ilfamoso dialogo con lui tornando daGerusalemme (Lc 24,12-35). Il Risor-to con i segni della passione sedutoal centro della parte concava, ha trale mani il pane appena spezzato e looffre ai discepoli che, aperti gli occhi

    del cuore gi reso ardente dallascol-to della sua parola lungo la via, nescoprono con sorpresa la presenzaviva, il raggio di gloria. Ges sembradire: Io sono il pane della vita (Gv6,35) Prendete e mangiate: questo il mio corpo che dato per voi (Mt26,26; Lc 23,19) Rimanete inme Senza di me non potete farenulla (Gv 10,4-5), mentre i discepo-li ascoltano stupiti, in ammirato si-lenzio. La singolare scena inscrittain un cerchio ideale che richiama lacomunione divina nella quale ognicredente e ogni uomo in ricerca in-vitato a entrare. LEucaristia il sa-cramento per eccellenza della comu-nione e dellunit piena e visibile

    della Chiesa, meta verso la quale staprocedendo con speranza il cammi-no del dialogo teologico ecumenico.Siamo in paziente attesa di arrivare abere tutti insieme allo stesso calice.Ges ha chiesto al Padre lunit deisuoi discepoli (cf. Gv 17) e quindiogni cristiano o vive lecumenismo ocontraddice il suo Maestro. A propo-sito della comunione significata dalcerchio i fratelli ortodossi ricordanoil mistero della divinizzazione, con-seguenza dellincarnazione del Ver-bo e scopo finale della vita di fede di

    ogni credente.

    a tpca ch cta

    Nella formella o sportello di sini-stra la scultura rientrante e vi ri-cordata la prima moltiplicazionedei pani e dei pesci, preceduta dal-linvito provocante di Ges ai di-scepoli a provvedere loro stessi asaziare la fame della folla affaticata.Ma il Maestro risolve la situazionecompiendo lo strepitoso miracolo,

    facendo per intendere che la fedein lui pu generare delle capacitsorprendenti a beneficio dei poverie dei bisognosi. Aveva detto: an-che chi crede in me compir leopere che io compio e ne far dipi grandi (Gv 14, 12). lui cherende capaci di compiere meravi-glie. E la storia della Chiesa oltre-modo ricca di prodigi compiuti daisanti, dalle persone umili che si so-no fidate ciecamente di lui. S, per-ch tutto possibile per chi crede(Mc 9,23). Ecco allora i cesti stra-

    colmi e straripanti di pani e pesci:tutti mangiarono e furono saziati(Mt 14,20). La moltiplicazione del

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    eCumeniSmo

    la Cena di Emmaus - bozzetto cretaceodella pala centrale del tabernacolo

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    pane eucaristico, vero corpo del Si-

    gnore, cibo per tutti, per sempre.

    ac p

    Nella formella di destra, essa purerientrante, spicca la figura della Ma-dre di Ges che, invitata con lui e idiscepoli a una festa di nozze a Canadi Galilea (Gv 2,1-11) il banchetto accennato nello sfondo superiore si accorge del disagio e lo fa notareal Figlio: Non hanno pi vino.Sembra dirgli anche con lo sguardo:

    Ges, fa qualcosa. Tu puoi!. Dal-lespressione di Ges si coglie uncerto imbarazzo: Non ancoragiunta la mia ora, ma emerger lafede di Maria che sapeva bene conchi aveva a che fare e dir senza in-dugio ai servi: Qualsiasi cosa vi di-ca, fatela. Ges compir il miracoloper amore della Madre: lacqua dellesei anfore di pietra diventa vino.Quello fu linizio dei segni compiu-ti da Ges, grazie allintervento pre-muroso di Maria. I segni si moltipli-cheranno, fino allultima cena, du-

    rante la quale il vino nel calicediventer suo sangue, versato per ilperdono dei peccati (Mt 26,28) e ve-

    ra bevanda. il prodigio dei prodigi,nellattesa dellultimo, quello dellarisurrezione gloriosa di Colui chesvuot e umili se stesso facendosiobbediente fino alla morte e a unamorte di croce: per questo Dio loesalt (cf. Fil 2, 7). S, Ges risor-to, vivo e rimane con noi tutti igiorni col suo corpo, col suo sangue,con la sua anima, con la sua energia,con la sua divinit per divinizzarci eMaria, donna eucaristica, che haanticipato, nel mistero dellIncarna-zione, anche la fede eucaristica dellaChiesa, nella Visitazione, portandoin grembo il Verbo fatto carne, si fain qualche modo primo tabernacolodella storia, come lha definita il

    Giovanni Paolo II, che ha aggiunto:LEucaristia ci data perch la no-stra vita, come quella di Maria, siatutta un Magnificat (Ecclesia de Euch.,55, 58).

    pa d a,t ch d va atstc

    Il tabernacolo stato realizzato inottone e argento, e mi preme eviden-ziare che i fedeli della parrocchiahanno contribuito notevolmente allasua realizzazione, fermamente desi-

    derata da tutti, con generose offerte econ la raccolta di 105 Kg di argentoche stato raffinato e ridotto a 65 Kgportato a 800 carati. Alcuni partico-lari, come le aureole che irradiano lagloria di Ges, sono in oro zecchino.Ne risultata unopera preziosa e digrande valore artistico, anche se sempre bene ricordare che la presen-za reale del Signore, pane e braceche nutre e riscalda i fedeli, sem-pre infinitamente pi preziosa di tut-te le opere darte, pur celebri! Un

    imponente lampadario sorretto da treangeli, in ottone argentato (cm. 60 didiametro), che pende allincrocio didue grandi archi, con una lampadaardente tra vetri soffiati e ben visibilea chiunque entra in chiesa, indicalubicazione della raccolta cappellaa pianta circolare riservata alla cu-stodia eucaristica, caratterizzata an-che da alcune vetrate con simboli erichiami evangelici. Linvito allado-razione della Presenza lampante.

    c a dvta att a pv

    La Chiesa, senza mai dimenticaree trascurare i poveri che sono sem-

    pre presenti nel cuore attento dellasua vita e ritenuti sue vere perle, hariservato una speciale attenzione an-che per i vasi sacri e le varie sup-pellettili destinate alla celebrazionee alla conservazione dellEucaristia.

    Quanto stato realizzato nella no-stra chiesa potrebbe sembrare a detri-mento di una giusta sobriet e di unadoverosa carit e creare un certo imba-razzo. Sono ben note le espressioniprovocanti di Giovanni Crisostomo: Ache serve che la tavola eucaristica siasovraccarica di calici doro, quandoCristo muore di fame? Comincia a sa-ziare lui affamato, poi con quello cherester potrai ornare anche laltare ADio non occorrono calici doro, ma

    anime doro (Omelia su Mt, 50, 3-4),e non intendo affatto minimizzarle. Maricordando pure lobiezione e la prote-sta di Giuda, che segnalava comespreco intollerabile il gesto delladonna di Betania che aveva espressocon lolio profumato molto prezioso,un atto di amore molto apprezzato daGes stesso (cf. Mt 26, 6-13; Mc 14,4;Gv 12,1-8), amo riportare, per rispon-dere a chi eventualmente avesse di cheagitarsi a proposito del nuovo taberna-colo di Varsavia, una significativa ri-

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    eCumeniSmo

    le nozze di Cana - bozzetto cretaceodella pala destra del tabernacolo

    la moltiplicazione dei pani - bozzettocretaceo della pala sinistradel tabernacolo

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    flessione di Giovanni Paolo II: Comela donna di Betania, la Chiesa non hatemuto di sprecare, investendo il me-glio delle sue risorse per esprimere ilsuo amore adorante di fronte al donoincommensurabile dellEucaristia (Ec-clesia de Euch., 48). Ges, che si eraaccorto dello sdegno di Giuda e deglialtri discepoli, aveva precisato, allu-dendo alla sua passione e alla sua im-minente morte in croce: lasciatela fa-re i poveri li avete sempre con voi,ma non avete sempre me Gv 12, 7-8)e li incaricher di predisporre con curala grande sala addobbata per lultimacena (cf. Lc 22,12).

    Ripensando allartistica e preziosacustodia eucaristica di Varsavia, che

    ho avuto la soddisfazione di ammira-re direttamente in loco, realizzata do-po tanta riflessione, progettazione edefinizione condivisa di ogni partico-lare, con paziente e meticolosa dili-genza e tra non poche fatiche, possosemplicemente affermare, con edifi-cazione, che quel tabernacolo espri-me lamore dellintera comunit par-rocchiale per Ges Cristo realmentepresente nel sacramento dellEucari-stica, ma che riconosciu-to anche nei molti poveriassistiti e nutriti quotidia-

    namente, dalla sua fon-dazione, con altrettantoamore e dedizione esem-plare negli attigui locali ri-servati alla loro cura. Eccole anime doro che Cri-sto cerca e trova anchenella comunit che portail nome di s. Antonio M.Zaccaria, lapostolo del-lEucaristia e della carit.Presenza di Cristo reale?S. Il credente incontra

    realmente il corpo di GesRisorto nel corpo comuni-tario, nel corpo scritturisti-co e nel corpo eucaristico.

    davat a taac, pgha c Saaa psa d Sg

    Signore, bello per noistare qui (Mt 17, 4).

    Benedici il Signore, ani-ma mia Signore, mio Dio,quanto sei grande! Rivesti-

    to di maest e di splendo-re, avvolto di luce come diun manto (Sal 104,1-2). Ti

    loder tra i popoli, a te canter innitra le genti, perch la tua bont grande fino ai cieli e la tua verit finoalle nubi (108,4-5). Signore, amo lacasa dove tu dimori e il luogo dove

    abita la tua gloria. La tua bont da-vanti ai miei occhi (26,3.8). Il tuo vol-to, Signore, io cerco (27,8). A te pro-tendo le mie mani, non nascondermiil tuo volto (143,7). Ti amo, Signore,mia forza, mia roccia, mia fortezza,mio liberatore (18,2). Signore, mia lu-ce e mia salvezza (27,1),

    Tu mi scruti e mi conosci, tu sai(139,1-2): abbi piet di me, secondo latua misericordia; nella tua grandebont cancella il mio peccato (51,3).Non respingermi dalla tua presenza(51,13). Io sono tuo: salvami Signore(119,94), mi affido alle tue mani (32,6).

    Beato chi abita la tua casa: per meun giorno nei tuoi atri pi che mil-le altrove (Sal 84,5,11).

    Tu sei la mia difesa, tu sei la miagloria e sollevi il mio capo (Sal 3,4).Ti amo, Signore mia forza, mia roccia,mia fortezza, mio liberatore (18,2-3).Gioisco in te ed esulto (9-10,14). Inte la sorgente della vita (35,10). So-no in te tutte le mie sorgenti (87,7).

    Conservo nel cuore le tue parole(119,11), piega il mio cuore verso ituoi insegnamenti (119,36): la tua pa-rola mi fa vivere (119,50). Lampada

    per i miei passi la tua pa-rola, luce sul mio cammino(119,105). Poni su di me la

    tua mano: guidami sullavia della vita (139,5.24).Custodiscimi come pupilladegli occhi, proteggimi al-lombra delle tue ali (17,8).

    Come incenso salga a te,Signore, la mia preghiera(141,2). Dal profondo a tegrido, Signore, ascolta lamia preghiera (130,1-2).Nelle tue mani sono i mieigiorni (31,16). Possa io vi-vere e darti lode (119,175).

    Ti voglio benedire ognigiorno, lodare il tuo no-me in eterno e per sempre(145,2).

    Amen

    c maa

    Lanima mia magnificail Signore e il mio spiritoesulta in Dio, mio Salva-tore, perch ha guardatolumilt della sua serva

    (Lc 1,46-55).Enrico M. Sironi

    Eco dei Barnabiti 2/201218

    eCumeniSmo

    la lampada eucaristica,degno complemento del tabernacolo

    la lampada eucaristica nellarmonioso insieme del tempio

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    osserVatorio paolinoosserVatorio paolino

    chi ha fondatoil cristianesimo?

    cosa dicono i testimonidei primi secoli

    Nel maggio del 2008 due eminen-ti studiosi, Daniel Marguerat, bibli-

    sta, esegeta del Nuovo Testamento,specialista di fama internazionale suGes e sul cristianesimo delle origi-ni, e ric Junod, storico del cristia-nesimo antico, specialista di lettera-tura apocrifa e di cristianesimo ales-sandrino, tennero allUniversit diLosanna un Corso congiunto, il cuitema era: chi ha fondato il cristiane-simo? Il libro in questione la pub-blicazione di queste lezioni (Qui afond le christianisme? Ce que di-sent les tmoins des premiers si-cles, ditions Bayard, Mountrouge

    France , 2010). Assai opportuna-mente le edizioni Dehoniane di Bo-logna ne presentano oggi (2012)una traduzione in italiano.

    Alla domanda: chi ha fondato ilcristianesimo?, per moltissimo tempola risposta stata: Ges di Nazaret,chiamato il Cristo, cio il Messia.Negli ultimi tempi, per, si fattasempre pi strada lopinione chesenza di Paolo, il grande missiona-rio, noi non avremmo mai avuto ilcristianesimo cos come lo conoscia-

    mo. Allora, chi ha fondato il cristia-nesimo, Ges o Paolo?Oggi noi sappiamo che non faci-

    le individuare il fondatore di una re-ligione; e che, daltra parte, il pro-cesso di separazione tra la chiesa diCristo e lambiente giudaico da cuiera sorta stato lento, progressivo,pi o meno profondo nelle varie re-gioni dellimpero romano.

    Loriginalit di questo libro consistenella ricerca di che cosa hanno dettoi cristiani dei primi secoli riguardoalla fondazione del loro movimento

    (p. 6).Il libro si compone di quattro ca-pitoli: i primi due, scritti da Daniel

    Marguerat; gli altri due, scritti daric Junod.

    Ilprimo capitolo pone la questionefondamentale: chi ha fondato il cri-stianesimo? Ges di Nazaret o Paolodi Tarso? Ovviamente, lesplorazionedelle origini del cristianesimo partedai documenti che ci sono pervenuti:le lettere di Paolo e i vangeli.

    Dai vangeli emerge chiaramenteche Ges non si erge come eroe soli-tario contro la tradizione ebraica, masi inserisce in un dibattito aperto, alsuo tempo, fra le varie correnti del

    giudaismo (p. 14). Ges, come affer-mano Theissen e Merz, fu anzituttoun rabbi ebreo, che discuteva con al-tri rabbi sulla interpretazione della To-

    rah e sulla vita conforme alla volontdi Dio (p. 15). Con il peculiare annun-cio del Regno di Dio, la cui venutaera imminente, Ges voleva riformareil giudaismo in nome di un Dio insi-stente, che cancella ogni compromes-so, ogni protezione, ogni limite impo-sto allaccettazione dellaltro. Gesvoleva promuovere un giudaismo pifedele, ma non c riuscito (p. 19).Non aveva tutti i torti Alfred Loisy adaffermare che Ges an-nunciava il Regno ed venuta la Chiesa (p. 20).

    Ora, se Ges non ha fon-dato la Chiesa, sarebbestato Paolo a fondarla?

    A lanciare in ambitoteologico questa idea stato allinizio del sec.XX il grande storico eteologo tedesco Adolfvon Harnack. Per Har-nack, Paolo ha dato im-pulso al movimento che,dopo di lui, si imporr,nel II secolo, in tutto

    limpero romano. Que-sto movimento, che Har-nack chiama ellenizza-zione del cristianesimo,deriva da una contami-nazione fra il pensierosemplice e idealistico diGes e le speculazioniteologiche basate sullafilosofia greca. In realt,una tale idea era apparsaqualche decennio primapresso il filosofo Nietz-sche che aveva scritto:

    che nella Bibbia sia con-segnata la storia di unani-ma fra le pi ambiziose e

    invadenti, di uno spirito tanto super-stizioso quanto astuto, la storia del-lapostolo Paolo, chi lo sa, al di fuoridi qualche studioso?...Tale ilprimocristiano, linventore del cristianesi-mo! Prima di lui, cerano solo alcunisettari giudei (pp. 20-21). Si trattacertamente di una grande mistifica-zione e calunnia, derivante dallodionietzschiano verso il cristianesimo.Su un punto, per, Nietzsche e Har-nack hanno ragione: il cristianesimo nato alla confluenza fra giudaismoed ellenismo. allincrocio fra la tra-dizione giudaica e la cultura greco-romana che esso ha abbandonatolorbita ebraica e cessato di essereuna setta messianica per diventare

    un movimento religioso autonomo(p. 21).Questa permeabilit (p. 22) delle

    due culture la si riscontra anche neidue grandi rappresentanti del giu-daismo del I secolo, il filosofo Filo-ne di Alessandria (13 a.C.-54 d.C.) elo storico Giuseppe Flavio (37 circa-100 d.C.). Questi due intellettualihanno voluto descrivere e divulgarefra i non giudei dellimpero romano

    Osservatorio paolino

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    la storia e la teologia dellebraismosvolgendo un impressionante lavorodi interpretazione della tradizioneebraica nelle categorie della filoso-fia greca. Paolo fa lo stesso. La suaazione identica. anchegli un

    passatore, un interprete (p. 23). Cer-tamente egli non fu il primo ad ope-rare questa interpretazione e questotraghettamento. Dagli Atti degliApostoli sappiamo che tra i seguacidella Via cerano alcuni giudeo-cri-stiani greci detti ellenistiche, cac-ciati da Gerusalemme, si stabilironoad Antiochia, dove cominciaronoad evangelizzare i non giudei. MaPaolo fu il protagonista pi brillantee pi creativo di questa missione ai

    pagani. (p. 23).Paolo ha dunque formu