3 2012

121
Nova itinera percorsi del diritto nel XXI secolo N° 3 - Dicembre 2011 L’EDITORIALE IL GOvERNO TECNICO E IL TRADIMENTO DEI CHIERICI ACCADE OggI CRISTIANI E RESPONSAbILITÀ: COME RINNOvARSI? PER NON DIMENTICARE I PATRIOTI DEL RISORGIMENTO IN AMERICA

description

novaitinera 3 2012

Transcript of 3 2012

Page 1: 3 2012

Novaitinera

percorsi del dirittonel XXI secolo

N° 3 - Dicembre 2011

L’EDITORIALE

IL GOvERNO

TECNICO

E IL TRADIMENTO

DEI CHIERICI

ACCADE OggI

CRISTIANI

E RESPONSAbILITÀ:

COME RINNOvARSI?

PER NON DIMENTICARE

I PATRIOTI

DEL RISORGIMENTO

IN AMERICA

Page 2: 3 2012

SommarioL’EDITORIALE

IL GOVERNO TECNICO E IL TRADIMENTO DEI CHIERICI 5di STEFANO AMORE

ACCADE OGGI

CRISTIANI E RESPONSABILITÀ SOCIALE: COME RINNOVARSI? 7di EMILIO BETTINI

PER NON DIMENTICARE

I PATRIOTI DEL RISORGIMENTO IN AMERICA 13di FRANCESCO NICOTRA

AMBIENTE E SICUREZZA

NUOVE PROSPETTIVE PER L’UTILIZZAZIONE DELLE AREE RICOMPRESE NEI SITI CONTAMINATI 17di MARIO DE IORIS

UNIVERSITÀ TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE

UNIVERSITÀ: UN PRESENTE DIFFICILE, UN FUTURO INCERTO 22di MARIO ASCHERI

ACTA NOTARILIA

IL NOTAIO TRA FUNZIONE E PROFESSIONE 29di CLAUDIO TOGNA

ASSISTENZA SANITARIA IN ITALIA : QUALE FUTURO?

I PROGETTI DEL FASI 33di CLAUDIO TOGNA

CRONACHE DELLA MAGISTRATURA

IL PROBLEMA DEI TRASFERIMENTI DEI MAGISTRATIDALLO STATUTO ALBERTINO ALLE LEGGI ORLANDO 35di CRISTINA DANUSSO

AVVOCATURA PER L’AVVENIRE

IL DIRITTO DEI MINORI AD AVERE UNA FAMIGLIA:L’ADOZIONE 47di MARINA MEUCCI

Quadrimestrale di legislazione,giurisprudenza, dottrinae attualità giuridicaN° 3 - Dicembre 2011Autorizzazione del Tribunaledi Roma nr. 445del 23 novembre 2010

DIRETTORE RESPONSABILE:Stefano Amore

VICE DIRETTORI:Paolo LiberatiLuigi Viola

DIRETTORE EDITORIALE:Cynthia Orlandi

COMITATO DI REDAZIONE:Giuseppe BiancoCarlo CarboneCristian CarusoLauretta CasadeiUmberto CerasoliPietro ChiofaloMaria Antonietta CrocittoFrancesco De ClementiMario De IorisVito Antonio De PalmaAndrea GiordanoMassimiliano LucchesiLaura MorselliSandra MoselliEmanuela PorruGianluigi PratolaDaria ProiettiEnzo ProiettiMarco ProiettiLorenzo QuiliciLucia SpiritoFederico Tomassini

SEGRETERIA DI REDAZIONE:Antonio Torroni

Page 3: 3 2012

REGIONI ED AUTONOMIE LOCALI

LA QUALITÀ DELLA NORMAZIONE TRA STATO E REGIONI 55

di ROSALBA IERACITANO

INFORMAZIONE, TECNOLOGIA E SOCIETA’

INTERNET E COCOONING: LE NUOVE FRONTIEREDEL CONSUMISMO MODERNO 57

di MARGHERITA LIBRI

OSSERVATORIO SUL LAVORO

RIFLESSIONI SULLA OCCUPAZIONE GIOVANILE 63

di FABIO MASSIMO GALLO

TEORIA E PRATICA DEL PROCESSO

L’IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO E LA RIFORMADELLA GIUSTIZIA 69

di PAOLA BALDUCCI

L’ANGOLO DELLE RIFORME

SPUNTI DALL’EUROPA PER UNA DISCIPLINA PIÙ TRASPARENTESUL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI 73

di YLENIA M. CITINO

DIRITTO ED ECONOMIA

L’INSOLVENZA DEI GRUPPI TRANSNAZIONALI TRA NECESSITÀDI COORDINAMENTO E CERTEZZA DEL DIRITTO 81

di Stefano Conti

GIURISPRUDENZA COMMENTATA

LA SOTTOSCRIZIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVOTRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE 95

a cura di Marzia Petrelli

COMITATO SCIENTIFICO:

Mario AscheriProfessore Ordinario di Storia

del Diritto Medievale e Moderno

Paola BalducciAvvocato, Professore Associato di DirittoProcessuale Penale

Giovanni BiancoProfessore di Dottrina dello Stato e Diritto Pubblico

Guido CalviDocente di Filosofia del Diritto, Componente del C.S.M.

Giuseppe CelesteNotaio, Componente Consiglio Nazionale Notariato

Bona Ciaccia Professore Ordinario di Diritto Processuale Civile

Fiorella D’AngeliProfessore Ordinario di Diritto Civile

Rosario De LucaPresidente della Fondazione Studidei Consulenti del Lavoro

Giuseppe de RosaConsigliere della Corte dei Conti

Angela Del VecchioProfessore Ordinariodi Diritto dell’Unione Europea

Pasquale d’Innella CapanoAmministratore di Telpress Italia S.p.A.

Fabio Massimo GalloPresidente Sez. Lav. Corte di Appello di Roma

Antonio LaudatiProcuratore della Repubblica del Tribunale di Bari

Giuseppina LeoGiudice del Tribunale del Lavoro di Roma

Filiberto PalumboAvvocato, Componente del C.S.M.

Piero SandulliProfessore di Diritto Processuale civile

Giuseppe ValentinoAvvocato

Antonio VallebonaProfessore Ordinario di Diritto del Lavoro

Page 4: 3 2012

Sommario

ELOGIO DELL’INERZIA: IDEE E PROPOSITI NON ANCORA ATTUATI

L’ITALIA DEI RIFIUTI E LA POLITICA DELLE PAROLE 101

di GIUSEPPE BIANCO

UN NUOVO CODICE PENALE. QUANDO? 105

di STEFANO AMORE

LETTURE E RECENSIONI 107

DOVE PENDE LA BILANCIA: PROBLEMI DELLA GIUSTIZIA

PROCESSO BREVE E AUTUNNO DELLA GIUSTIZIA 109

di GIUSEPPE CORASANITI

IL PUNTO DELLA QUESTIONE

LA RESPONSABILITÀ PENALE DEGLI AMMINISTRATORI“PRIVI DI DELEGA” NELLE SOCIETÀ PER AZIONI 111

di GIULIO GAROFALO

COMITATO D’ONORE:

Marina CalderonePresidente del Comitato Unitariodelle Professioni

Giuseppe ChiaravallotiVice Presidente dell’Autorità Garanteper la Protezione dei Dati Personali

Adolfo de RienziPresidente dell’Accademia

del Notariato

Ignazio LeottaPresidente di Federnotai

Alberto SarraSottosegretario alle Riforme

della Regione Calabria

Francesco SchittulliPresidente della Provincia di Bari

Giuseppe ScopellitiPresidente della Regione Calabria

Nova ItineraQuadrimestraleSpedizione in abbonamento postale

Casa editrice Nuova Scienza S.R.L.,Via S.Tommaso d’Aquino, 4700136 RomaCod. Fisc. / P.I. 11072071001

Stampa: Stamperia Lampo - RomaFinito di stampare nel mese di dicembre 2011

Page 5: 3 2012

Caravaggio,Narciso

Page 6: 3 2012

5

L’ed

itor

iale

Il governo tecnico e il tradimento dei chierici

Stefano AmoreMagistrato

In una famosa opera pubblicata nel 1927, “Iltradimento dei chierici”, Julien Benda accusavagli intellettuali di aver tradito la loro missione,lasciandosi coinvolgere dalla politica e riget-tando, così, la loro tradizionale funzione diguide spirituali e custodi dei valori.

L’intellettuale impegnato e militante, di cuiBenda denunciava il tradimento, doveva peral-tro divenire l’unico modello di intellettuale co-nosciuto e possibile nel XX secolo, carosoprattutto alla cultura della sinistra (come nonricordare l’intellettuale collettivo di Gramsci?),ma comodo portavoce anche di correnti ideo-logiche diverse.

Si potrebbe anzi sostenere che tutte le “ideo-logie” hanno sempre mal tollerato la possibilitàche gli intellettuali potessero sottrarsi al giocodegli opposti schieramenti e della presa di po-sizione politica.

Il chierico moderno, insomma, poteva esseredi destra, di centro o di sinistra, ma doveva inogni caso essere impegnato a favore di qual-cuno e di qualcosa, pena l’isolamento e l’esiliosociale.

In questa triste parabola della “tessera” dipartito e della progressiva politicizzazione ditutti gli spazi della società civile, il governo deitecnici a cui l’Italia oggi ricorre per superare leparalizzanti contrapposizioni della politica al-lude, al di là della crisi che lo ha generato,anche a un diverso modello di rapporto tra gliintellettuali e il paese.

E rappresenta, nel contempo, la tardiva

presa d’atto della pericolosità della sistematicariduzione alla politica e alle sue logiche di con-trapposizione amico-nemico di ogni momentodella vita sociale e spirituale della nazione.

D’altronde, le malattie della democrazia edei sistemi politici rappresentano ottime occa-sioni per la carriera e l’opportunismo di tuttiquegli esponenti della cultura alla ricerca di unpadrone che ne possa favorire la visibilità, esal-tare i meriti e finanziare le molte esigenze.

La politica del futuro, quella politica “vera”di cui tutti auspichiamo il ritorno, dovrà esserein grado di mettere a frutto questa lezione, tor-nando a costituire un momento di sintesi e diascolto, di servizio e non di prevaricazione.

Ma spetta agli intellettuali italiani avere ilcoraggio di tornare ad essere autentici custodidei valori, piuttosto che funzionari di partito.

Page 7: 3 2012
Page 8: 3 2012

7

Acca

de o

ggi

Cristiani e responsabilitàsociale: come rinnovarsi?

Emilio BettiniDocente di Filosofia Teoretica presso l’Università Europea di Roma

Da più parti l’impegno sociale dei cattolici,sia in politica che nelle istituzioni, richiede unvero e proprio processo di rinnovamento peruna azione e una presenza più significativa. Ilproblema è: da dove dobbiamo cominciare?

Benedetto XVI, con il suo motu proprioPorta Fidei indica una strada che ogni cristianoimpegnato nella vita pubblica non può più tra-scurare: ricominciamo con il riappropriarci deiveri contenuti della fede, perché solo su di essiè possibile costruire.

La “porta della fede” (cfr. At 14,27)

Il motu proprio Porta Fidei, con il quale ilSanto Padre Benedetto XVI ha aperto l’anno de-dicato alla fede, prende le mosse da At. 14,27 incui si dice: «Appena arrivati, [Paolo e Barnaba]riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello cheDio aveva fatto per mezzo loro e come avesseaperto ai pagani la porta della fede».

In particolare i vv. 27-28 concludono laprima sezione del libro degli Atti degli Apo-stoli, in cui Luca racconta l’esperienza dellapersecuzione della prime comunità a Gerusa-lemme. In pochi versi, l’evangelista Luca evi-denzia come il seme della parola di Dio stiaportando molto frutto e come l’esperienza dellamissione e della testimonianza della fede sia unaspetto importante e irrinunciabile della vita di

una comunità che, prendendo vita dalla sua co-munione con Cristo, è in comunione con tuttele chiese particolari.

Alla luce di questo passo biblico, BenedettoXVI si preoccupa di sottoporre all’attenzione diogni battezzato alcune questioni che sono ilfondamento di ogni testimonianza della fede.

Secondo Benedetto XVI, l’atto di fede chenoi compiamo ogni giorno della nostra vita nonpuò essere disgiunto anche dal conseguenteatto di assenso ad un contenuto che, purtroppo,

spesso non è conosciuto. Come è possibile dire“credo” se poi ci sfuggono i contenuti della no-stra fede? Ma soprattutto, come possiamo dire“Amen” se il nostro atto di fede si riduce sem-plicemente ad un atto autoreferenziale? Tuttociò non è possibile, proprio perché quando nonsi conoscono i contenuti della fede, allora nonsi è liberi di credere. Per recuperare la libertàdel credere, Benedetto XVI raccomanda a cia-scuno di noi di ritrovare il gusto di rientrare inpossesso della fede che la Chiesa ci ha donatoil giorno del nostro Battesimo.

La seconda preoccupazione di BenedettoXVI è una conseguenza della prima. Se untempo la fede poteva essere considerata un pre-supposto ovvio della vita della società cristiana,oggi non è più così. Per le comunità cristiane diquesto nuovo millennio si apre pertanto unasfida che da ogni parte viene sintetizzata con laquestione della nuova evangelizzazione. Ma

Page 9: 3 2012

8

Acca

de o

ggi

cosa dobbiamo intendere per nuova evangelizza-zione? Benedetto XVI esprime con molta sem-plicità la sua preoccupazione: ogni cristiano,oggi, è proiettato in un contesto di vita in cui èurgente: riscoprire la gioia nel credere e ritrovarel’entusiasmo nel comunicare la fede. Solo rien-trando in possesso di questi due aspetti, chesono il dono di grazia della fede vissuta, cele-brata e pregata, sarà possibile dare una testi-

monianza capace di generare.La terza preoccupazione di Benedetto XVI,

infine, concerne la necessità di curare personal-mente e in senso alla comunità ecclesiale il rap-

porto stretto esistente tra il credere e il

testimoniare la fede. Una preoccupazione cheimpegna non solo sul piano dei contenuti, maanche su quello della conformazione alla vitadella Chiesa e allo sforzo di personalizzare lapropria testimonianza, non partendo dal nullama prendendo spunto e ispirazione dai tantisanti che hanno costellato la storia della Chiesa.

Conoscere i contenuti della fede

Il primo aspetto da prendere in considera-zione è sapere cosa si intende per fede e quali ca-ratteristiche comporta l’atto di fede in quantotale.

Benedetto XVI si preoccupa di escluderel’atto di fede da una sua identificazione con unqualsiasi atto di sottomissione che esclude la li-bertà di scelta. La fede, infatti, è un dono dellagrazia preveniente di Dio, che introduce alla

vita di comunione con Dio e permette l’in-

gresso nella sua Chiesa. In tal senso la fede èun vero e proprio atto dinamico mediante ilquale Dio invita l’uomo ad oltrepassare la sogliache introduce nella comunione con Dio. L’as-senso della fede è l’espressione libera e consa-pevole dell’uomo di voler attraversare quellaporta attraverso un cammino che impegna tuttala vita. L’atto di fede è il volersi far coinvolgere

nella gloria di Dio attraverso una vita e una te-stimonianza che sia una vera e propria profes-sione di fede nella Trinità.

Benedetto XVI continua la sua introduzioneall’Anno della fede attraverso una precisazioneche sarebbe alquanto superbo considerare tra-scurabile o di poco conto. Quella soglia che cia-scuno di noi è chiamato ad oltrepassare; quellaporta che bisogna ritrovare il coraggio di attra-versare, non corrispondono ad un luogo, ma siidentificano con una persona: il Figlio di Dio,l’unico Salvatore del mondo. Dunque, il SantoPadre ci ricorda una verità spesso dimenticatama essenziale: credere in Gesù Cristo è la via.Pertanto la via della fede è legata alla testimo-nianza che Gesù dà di se stesso: « In verità, inverità io vi dico: io sono la porta delle pecore»(Gv. 10,7).

Alla luce di questa verità, Benedetto XVI ri-corda che la vera fede si nutre di due atteggia-menti che nascono da una valorizzazionecontinua e senza sosta del nostro Battesimo: te-nere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, perchétutto trova compimento nel mistero della sua Incar-nazione; lavorare per rendere sempre più saldo

il rapporto con Cristo Signore, perché la fede inlui ricolmi di gioia, anche se afflitti e consenta, anchenelle avversità della vita di esultare di gioia in-dicibile e gloriosa, mentre raggiungiamo la mètadella vostra fede.

Alla luce di ciò, oggi ci chiediamo: che cosa si-gnifica allora concretamente testimoniare la pro-pria fede? Fedeli alla raccomandazione del Papa,secondo cui l’Anno della fede è un momentopropizio per ritrovare il gusto del proprio as-senso attraverso la Parola di Dio e il Pane della vita,credo che l’unico punto di partenza cui far rife-rimento Giovanni nella sua prima lettera:

«Quello che era da principio, quello che noi ab-biamo udito, quello che abbiamo veduto con i no-stri occhi, quello che contemplammo e che le nostremani toccarono del Verbo della vita - la vita infattisi manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo

Page 10: 3 2012

9

Acca

de o

ggi

testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, cheera presso il Padre e che si manifestò a noi, quelloche abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamoanche a voi, perché anche voi siate in comunione connoi. E la nostra comunione è con il Padre e con ilFiglio suo, Gesù Cristo.

Queste cose vi scriviamo, perché la nostragioia sia piena. Questo è il messaggio che ab-biamo udito da lui e che noi vi annunciamo»(1Gv. 1,1-5).

Questo testo di Giovanni introduce la Chiesasulla questione della vera testimonianza di fede.In esso, infatti, l’evangelista precisa che la veritàdella testimonianza non prende le mosse dallesensazioni personali, ma da un contenuto ogget-tivo che il credente deve possedere come nessunaltro. Ciò che si testimonia non è la propria im-pressione su Dio, ma “quello che era sin dal princi-pio”, ossia il progetto di Dio Padre. Un talecontenuto, tuttavia, si identifica con una persona:Gesù Cristo, il Verbo incarnato, al tempo stessoRivelazione e Rivelatore del Padre.

Alla oggettività del contenuto della fededovrà corrispondere una coerenza e criticità nelvagliare i contenuti da accogliere nella propriaesperienza di fede: non tutto ciò che colpisce opiace o ci viene proposto, ma solo ciò che gli apo-stoli hanno veduto, udito e toccato di Cristo. Inaltri termini, la fede di ogni battezzato o è apo-stolicamente strutturata o è pura ideologia. SanGiovanni, infatti, non trascura di ricordare chel’obiettivo ultimo della testimonianza della fedeè quello di entrare in comunione con Cristo, congli Apostoli e con la Chiesa.

Il frutto della testimonianza della fede, ossiala gioia di credere in Gesù e nella sua opera disalvezza, richiede l’obbedienza della fede, nelsenso di ob-audire, ossia di “ascoltare allo scopo di”.In tal senso, ci ricorda Benedetto XVI, la fedenasce da un impegno assunto con il Battesimo eche trova il suo fare memoria nel possesso consa-pevole e reale delle parole della professione difede, «parole su cui è costruita con saldezza la fede».

Benedetto XVI, tuttavia, invita tutti i fedeli chesi avviano a celebrare l’anno della fede a no in-correre nel rischio di intellettualismo della fede. «Laconoscenza dei contenuti da credere - sottolinea ilSanto Padre - non è sufficiente», giacché esso «esigeanche la responsabilità sociale di ciò che si crede. […]La Pentecoste mostra con tutta evidenza questa di-mensione pubblica ». Pertanto credere comportaanche una responsabilità sociale, che è anche ec-clesiale, alla quale non si accede per infusione disapere ma attraverso lo sforzo consapevole di unasincera ricerca dei veri contenuti della fede tra-smessi dalla Chiesa.

In tal senso, Benedetto XVI ci ricorda alcuniaspetti importanti legati al Catechismo della

Chiesa Cattolica: esso è una norma sicura, unasintesi sistematica e organica, per l’insegnamentoal servizio della comunione ecclesiale. Esso noncontiene nessuna teoria, ma l’esperienza di un in-contro con una Persona, con la quale il credentepuò entrare in relazione con la fede, la liturgia e lapreghiera.

L’anno della fede deve diventare momentopropizio per risistemare il nostro rapporto con lafede e riscoprirne la ricchezza e la profondità. Sitratta di riprendere un cammino i cui connotatisi sono sbiaditi, in parte per la nostra stanchezza,in parte per quel senso di disorientamento e au-toreferenzialità che sta asfissiando lo spiritodell’uomo contemporaneo.

Per fare questo cambiamento di rotta, vera epropria conversione del cuore, dobbiamo ora sof-fermarci su quali ricchezze l’anno della fede in-tende porre la nostra attenzione.

L’anno della fede

L’idea di dedicare un anno del nostro cam-mino spirituale al tema della fede, è un ri-chiamo da parte di Benedetto XVI a prepararela strada al ruolo che ciascuno di noi dovràavere in seno alla nuova evangelizzazione.

Page 11: 3 2012

10

Acca

de o

ggi

L’arte di «illustrare a tutti i fedeli la forza e la bel-lezza della fede» non può essere lasciata all’im-provvisazione.

Per una testimonianza efficace è necessarioche ciascuno di noi prenda «esatta coscienzadella sua fede».

La prima questione che dobbiamo pren-dere in considerazione, pertanto, sarà pren-dere coscienza del fatto che l’anno della fedenon è un anno sabbatico durante il quale sa-remo chiamati a rispolverare vecchi contenutidimenticati nel cassetto.

Il punto di partenza è un altro: la nostrafede ha una sua identità precisa, perché essanon corrisponde ad una consegna di contenutima ad un vero e proprio incontro con il Verboche “si è fatto carne e venne ad abitare inmezzo a noi” (Gv. 1,1). Essa si lega ad una Per-sona, la seconda persona della Trinità, che so-stanzia la fede con il contenuto di una vitarealmente spesa per introdurre gli uomini inuna vera comunione con il Padre. Ciò ha unaconseguenza fondamentale: la nostra fede silega vitalmente alla parola vivente, procla-mata e celebrata dalla Chiesa nell’Eucaristia.

Ora, per prendere coscienza della fede checi è stata data in dono, non ogni interpreta-zione della parola è utile. Lo stesso Pietro ci ri-corda che “nessuna scrittura profetica vasoggetta a privata spiegazione, poiché non davolontà umana è mai venuta una profezia, mamossi da Spirito Santo parlarono alcuni uo-mini da parte di Dio” (2Pt. 1,21-22). Per cre-dere liberamente e consapevolmente, bisognache ci sia una corrispondenza biunivoca tra lavera fede e la sua retta interpretazione, ci ri-corda Benedetto XVI. E, da questo punto divista, l’anno della fede si presenta come unavera e propria opportunità, perché esso portacon sé una serie di ricorrenze che la Provvi-denza ha sicuramente posto al servizio di que-sto cammino di rinnovamento.

Così, unitamente ad una riappropriazione

dei contenuti del Catechismo, troviamo anchel’invito di Benedetto XVI di ravvivare e puri-ficare la fede riscoprendo la ricchezza dei con-tenuti che il Concilio Vaticano II, di cui ricorreil cinquantesimo, ha lasciato in eredità al no-stro tempo. Questi testi, lasciati in eredità daiPadri conciliari, se guidati da una giusta erme-neutica, possono certamente, secondo lo spi-rito che ha animato il CV II, condurre ad unrinnovamento della Chiesa attraverso la testi-monianza dei suoi figli. È in questo senso cheBenedetto XVI pensa all’anno della fede comead una conseguenza ed esigenza postconci-

liare il cui sbocco dovrà essere la conferma ela confessione della fede.

La confessione della fede porta al centro delnostro impegno di rinnovamento il rapportotra fede individuale e fede della Chiesa, nellacoscienza che nella Chiesa, sposa di Cristo,nessuno mai crede da solo. La professione difede, pur essendo un atto della volontà indi-viduale, è sempre radicato nel terreno della co-munità credente dalla quale, sin dalle sueorigini abbiamo ricevuto il vero contenutodella nostra professione, ossia il credo aposto-

lico. Se, per Benedetto XVI «solo credendo lafede cresce e si rafforza», ne consegue che ilSimbolo della fede, consegnatoci nel giornodel nostro Battesimo, è un dono posto total-mente al servizio del cammino di rinnova-mento: esso presenta al credente una sintesimirabile e sistematica delle verità essenzialidella fede, rinunciando alle quali “vana è lanostra fede”, come ci ricorda San Paolo. IlCredo, che, ripeto, contiene ciò che è essen-ziale credere, consente così di celebrare

quest’Anno in maniera degna e feconda.L’intensificarsi della riflessione sulla fede certaha lo scopo di rendere più consapevole e di rin-vigorire l’adesione al Vangelo.

Risulta utile soffermarsi brevemente su dueesigenze di partenza. La prima riguarda pro-prio il significato della adesione al Vangelo:

Page 12: 3 2012

11

cosa significa questo atto di fede? È pura ade-sione ad un libro, oppure nasconde un’altraverità?

Per trovare una risposta alla prima esi-genza intendo soffermarmi premio sul Van-gelo di Marco, poiché proprio lui èl’inventore del genere evangelo. All’iniziodella sua opera Marco dice espressamente,(traduco letteralmente il testo mettendo in ri-lievo il genitivo epesegetico che esso con-tiene e che, se non considerato conduce atradurre in modo errato e non utile per la no-stra questione): “Inizio del Vangelo, che èGesù Cristo, il Figlio di Dio”. Questo aspettoè in forte corrispondenza con l’utilizzo delverbo credere, che nei Vangeli è sempre co-niugato come un credere in Gesù. Dunqueaderire al Vangelo significa porsi alla sequeladi Cristo; e tale decisione ha le sue esigenzee le sue conseguenze, sulle quali Cristo stessonon transige. In merito alla sua sequela, Cri-sto veramente si comporta come un Maestroche pone dei fondamenti e per questo motivoegli impone ai suono discepoli di non esseremai più del proprio maestro.

La seconda questione concerne il punto dipartenza della fede come sequela: essa è unasemplice riduzione a ripercorrere i passi diun uomo ormai non più presente, riformu-lando e ripresentandone il pensiero, oppurec’è qualcosa di più?

Benedetto XVI sottolinea con forza comevivere quest’Anno della fede al servizio del

credere e dell’evangelizzare imponga al cre-dente l’obbligo di porsi una serie di interro-gativi che provengono da una mutata mentalità.Questa si fonda su una certezza ch provienedalla Risurrezione: «Io sarò con voi, fino allafine del mondo». Dunque la riscoperta dellafede e la sequela che ne consegue si tradu-cono poi concretamente nella riscoperta diuna presenza che non si consuma e nella sua

celebrazione come glorificazione di Dio edell’uomo. Pertanto, Benedetto XVI ricordacon vigore come l’anno della fede debba es-sere considerato un momento di grazia in cuisi provvede ad intensificare la celebrazione

della fede nella liturgia, in particolare nel-

l’Eucaristia in cui è la presenza reale di Cri-sto in corpo, anima e divinità a costituire ilprincipio di tutto; l’atto creativo con cui ilPadre fonda il nostro cammino verso la pie-nezza dell’Amore.

La celebrazione eucaristica, in particolarequella domenicale, possiede pertanto unaforza ri-creativa della fede tale da trasfor-marla in speranza e carità, ossia in futuro econdivisione. Nell’eucarestia celebrata e con-sumata, la storia della nostra fede, misteroinsondabile dell’intreccio tra santità e pec-cato, è assunta nella esistenza di Cristo e inlui trova la speranza della risurrezione e laforza dell’Amore che tutto può. In conclu-sione, una fede non celebrata è faticosa e su-scettibile di essere abbandonata.Passi concreti per cominciare

Benedetto XVI, ricordando la dimensioneecclesiale della fede, ci mette al riparo dallaquestione circa il come e da dove cominciare:iniziamo dalla vita della Chiesa e da quantoessa ci offre.

Ma realmente, cosa offre la Chiesa? Essa,ci ricorda il Papa, ci offre la fede di Maria, in-crollabile sotto i colpi della croce e fondatasu un unico comandamento: «Fate quello cheEgli vi dirà» (Gv. 2,5). Offre la fede degliApostoli che porta con sé la speranza dell’in-contro con il Risorto. Conserva la fede dellaprima comunità credente, perché sia la fedea fondare la storia e il cammino dell’umanità.Celebra la forza della fede dei martiri per iquali credere è stato l’atto più importantedella loro esistenza, al punto tale che proprioin esso la loro vita è stata ricapitolata. Infine, Ac

cade

ogg

i

Page 13: 3 2012

la Chiesa, attraverso i santi e le sante, ci offrel’esempio di uomini e donne che con i loroesempi testimoniano che la fede è la porta perla santità che Dio spalanca per tutti, nessunoescluso.

In tutto ciò, l’anno della fede avrà il com-pito di coinvolgere anche noi nella possibileofferta della Chiesa, affinché possiamo guar-dare con «speranza al nostro impegno nelmondo».

Tutto ciò presenta il mistero della fedecome un compito di responsabilità che inve-ste l’impegno concreto e quotidiano di ognicredente. Per tale motivo Benedetto XVIesorta ogni figlio della Chiesa affinché nes-

suno diventi pigro nella fede. Prendersi cura

della fede, infatti, è un prendersi cura di rin-saldare giorno dopo giorno il proprio rap-porto con Cristo. Il frutto di questo lavoro,che tengo a sottolineare non è mai il frutto diun nostro merito ma è grazia della presenzadi Cristo, sarà la possibilità di offrire una te-stimonianza attraverso uno sguardo semprenuovo che sia il segno storico della presenzadel Risorto. Questa è la testimonianza credi-

bile cui la Chiesa invita a concentrare il no-stro rinnovamento. Iniziare dall’Avvento delSignore significa iniziare da dove tutto haavuto origine, ossia dal Verbo che è Dio ed èpresso Dio e, come diciamo nel credo, permezzo di Lui tutte le cose sono state create.

12

Acca

de o

ggi

Peter Paul Rubens, Il trionfo della fede

Page 14: 3 2012

13

Per

non

dim

enti

care

Il 14 maggio del 1848, l’anno delle grandisperanze del Risorgimento italiano, il tricolore– bianco rosso e verde- sventolò per la primavolta nel porto di New York. Era stato issatosul pennone più alto della nave Carolina, pro-veniente da Palermo, per ordine del coman-dante Corrao, ufficiale ostile al regimeborbonico e favorevole al movimento perl’unità d’Italia.

L’avvenimento fu salutato con grande en-tusiasmo dalla piccola colonia italiana di NewYork, della quale facevano parte non pochi pa-trioti, esuli negli Stati Uniti per sfuggire alla ti-rannide dei piccoli e grandi despoti cheopprimevano l’Italia.

Agli ufficiali e all’equipaggio della Carolinafurono riservate festose accoglienze e una de-legazione della comunità chiese ed ottenne dalcomandante Corrao l’onore di poter custodirecome una reliquia il primo tricolore che avevasventolato in terra d’America. In cambio, la co-munità offrì all’ufficiale un’altra grande ban-diera bianca rossa e verde, appositamenterealizzata.

“Noi italiani siamo ormai tutti fratelli, unaNazione dalla Alpi all’Etna”, dichiarò Gio-vanni Francesco Secchi De Casali, un esulepiacentino (aveva cospirato contro il governoducale), durante la manifestazione organizzataper la consegna del vessillo, con parata suBroadway e cerimonia religiosa. Almeno inquella occasione, preti cattolici ed esponenti

mazziniani festeggiarono e brindarono in-sieme all’unità d’Italia. La Repubblica Romananon aveva ancora indotto alla fuga a Gaetapapa Pio IX, che tante speranze aveva susci-tato tra i patrioti dopo la sua elezione.

Gli Stati Uniti furono un rifugio ospitale permolti esuli del Risorgimento che avevano evi-tato con l’esilio di finire sul patibolo o di scon-tare lunghe condanne in carceri disumane.Buona parte delle vecchie generazioni di co-spiratori, soprattutto carbonari che avevanopartecipato ai movimenti rivoluzionari del1820-21 e del 31, si erano ritrovati a New York,bene accolti dalla piccola comunità italiana (lagrande emigrazione doveva iniziare nell’ul-timo ventennio del secolo) formata da intra-prendenti commercianti, artigiani ed artisti.

A questi si erano aggiunti diversi esuli deimoti del 48-49, nonché degli ultimi moti maz-ziniani degli anni cinquanta.

Il 6 giugno del 1841 era stata fondata a NewYork la “Congrega centrale ”della “GiovaneItalia”, che aveva sezioni in diverse città degliStati Uniti, dove erano presenti patrioti italiani.

Le vicende del Risorgimento erano state se-guite con grande simpatia dagli americani findall’inizio.

Gli esuli venivano accolti con ammirazione,come autentici campioni della libertà contro latirannide. Se ne ebbe una riprova nel 1836, conl’arrivo a New York della nave austriaca Us-saro, che trasportava un gruppo di patrioti li-

I patrioti del Risorgimentoin America

Francesco NicotraDirettore dei Programmi Speciali di National Italian American Foundation

Page 15: 3 2012

14

berati dal terribile carcere dello Spielberg, a con-dizione che si trasferissero oltre Atlantico.

I giornali newyorkesi fecero a gara nel tes-sere le lodi dei proscritti, diversi di quali ave-vano scontato molti anni di carcere duro perpresunti reati politici.

A far aumentare la simpatia degli americaniper i moti italiani era stata la recente edizione inlingua inglese del libro “Le mie prigioni” diSilvio Pellico, uscita nel 1836, con note del forli-vese Piero Maroncelli, che per la sua apparte-nenza alla carboneria aveva scontato molti anniallo Spielberg, dove gli era stata amputata lagamba destra, colta da cancrena.

Ma già nel 1821 il veneto Lorenzo Da Ponte,complessa figura di letterato e di avventuriero,giunto a New York nel 1804, aveva portato al-l’attenzione dell’opinione pubblica americanala questione della libertà dell’Italia e della suarinascita. Amico di Mozart e autore dei testi per“Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni” e “Cosìfan tutte”, Da Ponte era diventato un riferi-mento importante dell’italianità per i suoi scrittie i suoi discorsi. La sua casa era frequentata dapatrioti e intellettuali. Anche il tenente vene-ziano Attilio Bandiera che finirà fucilato daiborbonici nel 1844, in occasione di una sostadella sua nave a New York, aveva assoluta-mente voluto incontrarlo.

Docente di letteratura italiana al ColumbiaCollege e all’Università di New York, Da Pontesi era molto impegnato anche per introdurrel’opera italiana in America.

Maroncelli, graziato dallo Spielberg nel 1830,giunse a New York con la moglie nel 1833. Nonera uno sconosciuto. Diplomato maestro con-certista al prestigioso conservatorio di Napoli,era sposato con una cantante lirica. Amico dimusicisti famosi come Bellini e Doninzetti,aveva lettere di presentazione di personaggi im-portanti, come Lafayette. Svolse un ruolo diprimo piano tra i patrioti esuli in America e fin-ché le condizioni di salute glielo permisero si

impegnò per la causa italiana, restando in cor-rispondenza con Mazzini e promuovendo ini-ziative di solidarietà in favore degli esuli piùsfortunati. Morì nel 1846 e l’urna contenente lesue ceneri fu accompagnata alla nave italianaArchimede con una solenne cerimonia allaquale partecipò una folla immensa. Il medico escrittore Tullio De Suzzara Verdi, mantovanonaturalizzato americano, si incaricò di recarla aForlì e di consegnarla al sindaco a nome dei pa-trioti italiani d’America.

Con Maroncelli troviamo a New York altriex detenuti dello Spielberg, come Felice Foresti,già magistrato a Rovigo, arrestato nel 1818 perla sua appartenenza alla Carboneria, condan-nato a morte nel 21 e poi a venti anni di carcereduro. Quando fu imbarcato sulla nave Ussaroin partenza per gli Stati Uniti, aveva già scon-tato 15 anni di reclusione. Attivissimo per lacausa italiana, fu docente di letteratura italianaalla Columbia e successivamente console degliStati Uniti a Genova, dove morì nel 1858.

Condannato prima a morte e poi al carcere avita allo Spielberg per cospirazione contro il re-gime austriaco, fu deportato in America ancheil conte milanese Federico Confalonieri, che gra-zie alle sue possibilità economiche non subì tut-tavia i disagi degli altri proscritti e lasciò prestogli Stati Uniti per la Svizzera.

Nel 1850 Antonio Meucci, lo sfortunato in-ventore del telefono, si trasferì a New Yorkdall’Avana, dove un incendio scoppiato nel tea-tro Tycon aveva messo fine al suo lavoro di tec-nico di scena al seguito di una compagnia liricaitaliana.

A New York Meucci, anche lui buon patriota,entrò presto in contatto con gli esuli italiani edebbe l’onore di ospitarne nella sua casetta diStaten Island il più famoso di tutti: GiuseppeGaribaldi.

Il 30 luglio 1850, quando sbarcò a New Yorkdalla nave americana Waterloo, proveniente daLiverpool, Garibaldi aveva 43 anni. Era un per-Pe

r n

on d

imen

tica

re

Page 16: 3 2012

15

sonaggio leggendario, conosciuto e osannatoin tutto il mondo.

“Questa mattina - scrisse il New York Tri-bune - è giunto nella nostra città Giuseppe Ga-ribaldi, l’uomo di fama mondiale, l’eroe diMontevideo e difensore di Roma. Egli sarà ac-colto da quanti lo conoscono come si convieneal suo carattere cavalleresco e ai suoi servigi infavore della libertà...”

Dopo la caduta della Repubblica romana ilgenerale aveva tentato invano di raggiungereVenezia, in disperata lotta contro gli austriaci.Nella disperata fuga la sua compagna Anitaera morta per gli stenti. Braccato dalla poliziadi mezza Europa, aveva infine deciso di rag-giungere gli Stati Uniti, dove con l’aiuto diamici italiani avrebbe voluto acquistare o co-struire un bastimento per assumerne il co-mando e tornare al suo mestiere di navigante.

Mentre sbarcava, portato a braccia, a causadi una fortissimo attacco di artrite che gli im-pediva di camminare, Garibaldi poté vedere iltricolore sventolare in suo onore nel porto,diNew York, accanto alla bandiera americana.Per festeggiarlo erano state organizzate grandicerimonie di accoglienza, ma egli garbata-mente declinò ogni invito e in una lettera chedestò grande impressione, spiegò che non sela sentiva di essere festeggiato mentre la suaPatria gemeva sotto l’oppressione straniera.

Per starsene in pace e riprendersi in salute,dopo un po’ il generale accettò l’ospitalità diAntonio Meucci e della moglie Ester, che ave-vano affittato a Staten Island, tranquillo sob-borgo di New York, il villino tutt’ora esistente,sede del Museo “Garibaldi-Meucci”, gestitodal sodalizio italo americano dei Sons of Italy.

Ma inevitabilmente il rifugio di Staten Is-land divenne presto meta di pellegrinaggi dipatrioti, non solo italiani, di uomini politici,editori, giornalisti e ammiratrici, tutti ansiosidi conoscere il grande eroe e scambiare qual-che parola con lui.

Tra i frequentatori più assidui e spessoospiti fissi del villino di Meucci c’erano il ge-nerale piemontese Giuseppe Avezzana e loscrittore Quirico Filopanti (alias Giuseppe Ba-rilli): il primo aveva partecipato ai moti del 21,aveva combattuto nella guerra del 48 ed erastato Ministro della guerra della RepubblicaRomana; il secondo, bolognese, era stato vo-lontario nella guerra del 48 e poi deputato e se-gretario dell’Assemblea costituente dellaRepubblica Romana.

Entrambi, dopo la parentesi americana, se-guiranno Garibaldi nella campagna per la li-berazione dell’Italia del Sud.

Altri del gruppo erano il maggiore bolo-gnese Paolo Bovi Campeggi, un fedelissimoche nei combattimenti per la difesa di Romaaveva perduto la mano destra, e il tenore Lo-renzo Salvi, patriota e amico di Meucci, già in-terprete di Verdi alla Scala e rinomato per lesue esecuzioni di Bellini e Doninzetti.

La casetta di Staten Island era sempreaperta e la tavola spesso imbandita per gliesuli e i sostenitori della causa italiana, nono-stante le difficoltà della moglie di Meucci a farquadrare il magro bilancio.

Da autentico galantuomo quale era, Gari-baldi insistette per guadagnarsi il pane, si detteda fare, ma non riuscì a farsi assumere nep-pure come semplice marinaio.

Allora, per contribuire al bilancio familiare,da esperto falegname convinse Meucci ad aiu-tarlo a costruire una barca per andare a pesca.

Trovato il legname, in men che non si dical’imbarcazione fu pronta. Garibaldi la dipinsedi bianco rosso e verde, i colori della bandieraitaliana e la chiamò “Ugo Bassi”, in ricordo delprete patriota che lo aveva seguito nella ritiratada Roma ed era stato fucilato dagli austriaci.

Meucci, più bravo come inventore checome imprenditore, ebbe poi l’idea di metteresu una fabbrica di salumi anche per dare la-voro a qualche esule. Il maggiore Campeggi, Pe

r n

on d

imen

tica

re

Page 17: 3 2012

che da bolognese se ne intendeva, prese la dire-zione dell’affare. Ma le cose non andarono bene,probabilmente anche a causa della generosità diMeucci e Garibaldi con gli italiani, il più dellevolte affamati, che sempre più numerosi si fa-cevano vivi a Staten Island.

Per far fronte alle crescenti necessità econo-miche Meucci pensò allora di sfruttare una suainvenzione, fabbricando candele steariche diparaffina. Garibaldi e gli altri non si tirarono in-dietro. “Lavorai per alcuni mesi con Meucci –silegge nelle memorie del generale- il quale nonmi trattò come un lavorante qualunque, macome uno della sua famiglia, con molta amore-volezza…” Il forno della piccola fabbrica di can-dele è ancora visibile nel giardino della casettatrasformata in Museo.

Garibaldi visse a Staten Island dall’ottobredel 1850 all’aprile del 1851. Vi tornò per unbreve periodo tre anni dopo e il 12 gennaio 1854lasciò per sempre gli Stati Uniti. Era convinto diessere diventato cittadino americano, ma in re-altà aveva ottenuto solo un permesso di resi-denza. Quando glielo fecero notare ci restòmalissimo.

A Meucci il generale lasciò la camicia rossache aveva indossato durante e dopo la campa-gna di Roma, un suo ritratto, due pistole e unbastone da passeggio, ricavato da un osso di ba-lena. Gli lasciò anche un pappagallo che tenevasu un trespolo nella sua stanzetta e al qualeaveva insegnato a dire “Viva l’Italia, fuori lostraniero”.

16

Per

non

dim

enti

care

COSTANTINO BRUMIDIARTISTA E PATRIOTA

Della schiera dei patrioti italiani costretti al-l’esilio in America fece parte anche il pittoreCostantino Brumidi, nato a Roma nel 1805 eemigrato in America nel 1852. L’artista, già co-nosciuto per i lavori eseguiti in Vaticano, inchiese e palazzi nobiliari, era stato arrestatocome sovversivo dal governo pontificio per lasua adesione alla Repubblica romana. Comemolti aveva preferito l’esilio al carcere.

Negli Stati Uniti, dopo aver realizzato operenotevoli in chiese di Filadelfia, Baltimora eManhattan, Brumidi ottenne l’incarico di affre-scare il Campidoglio di Washington. A questoprestigioso lavoro si dedicò per 25 anni. Di-pinse l’apoteosi di George Washington, episodidella guerra di liberazione americana e decoròle sale del grande edificio con i motivi classicidei palazzi romani del Rinascimento, ispirati

alle decorazioni esistenti nelle sale della DomusAurea di Nerone, per secoli rimaste sepolte eridotte a grotte (da qui la definizione pitture agrottesche). Quasi del tutto dimenticato in Italiacome patriota ed artista, Costantino Brumidi èuniversalmente riconosciuto negli Stati Uniticome il “Michelangelo del Capitol”.

Page 18: 3 2012

17

Ambi

ente

e s

icur

ezzaSin dall’introduzione delle prima disci-

plina sulla bonifica dei siti contaminati, edella definizione del concetto stesso di sitocontaminato, si è posta la questione relativaalle attività ed agli interventi che su tali sitipotessero essere posti in essere, laddove leautorità di volta in volta competenti nonavessero adottato specifiche e puntuali limi-tazioni o restrizioni d’uso1.

Tale questione, in linea di principio, puòessere affrontata con atteggiamenti diversifi-cati, che vanno da quello improntato allamassima cautela e quindi più “intransi-gente”, per il quale in tali fattispecie deve es-sere frapposto un diniego totale e

incondizionato, a quello più “possibilista”,per il quale sarebbero ammissibili certe spe-cifiche attività e interventi in presenza di de-terminate condizioni, ricorrendo le qualisarebbe possibile comunque contemperare,sotto il controllo delle autorità competenti, leesigenze ambientali e di protezione della sa-lute pubblica con altri interessi meritevoli diconsiderazione.

Il primo atteggiamento, da un punto divista generale ed astratto, discenderebbedalla stessa nozione di sito contaminato; secostituisce sito contaminato quella porzionedi territorio le cui matrici ambientali (suolo,sottosuolo, acque superficiali e sotterranee)

Nuove prospettive per l’utilizzazionedelle aree ricomprese nei siti contaminati

Mario De IorisMagistrato

Max Ernst, Castor and Pollution

Page 19: 3 2012

18

Ambi

ente

e s

icur

ezza

sono interessate da fenomeni di inquinamentoda sostanze nocive in concentrazione tale darappresentare un pericolo per la salute umanae per l’ambiente, la conclusione che ne do-vrebbe scaturire immediatamente è quella se-condo la quale su tale porzione di territorionessuna attività può essere consentita, almenofino a quando i fenomeni anzidetti non sianostati rimossi secondo le procedure di legge oricondotti a concentrazioni ritenute accettabili.In buona sostanza, fino a quando cioè non sisia provveduto alla conclusione delle opere dibonifica e risanamento.

Nel corso del tempo, le autorità compe-tenti, sia a livello locale che centrale, hanno te-nuto entrambi gli atteggiamenti sopradescritti, partendo inizialmente da quello piùcautelativo, per poi pervenire gradualmente,in un numero sempre maggiore di occasioni,all’altro più possibilista.

Un tale alternarsi di atteggiamenti è ascri-vibile in primo luogo al fatto che il compi-mento delle opere finalizzate alla bonifica, inmolti casi, non si esaurisce in poco tempo, ri-chiedendo spesso attività prolungate e la rea-lizzazione di impianti e strutture moltocomplessi e quindi, in definitiva, tempi piut-tosto lunghi per la realizzazione dell’obiettivo.

Vietare in tali ipotesi il compimento diqualsivoglia attività, significherebbe lasciareper molto tempo completamente inutilizzatele aree ricomprese nei siti contaminati, equindi sottratte anche alla possibilità di rea-lizzarvi financo interventi manutentivi o mi-gliorativi degli impianti e delle infrastruttureivi esistenti.

Aree che, per quanto riguarda i cd. Siti con-taminanti di interesse nazionale (disciplinatiattualmente dall’art. 252 d. lgs. 152/2006), cor-rispondono a circa il 3% dell’intera superficiedel territorio nazionale, sulle quali inoltresono presenti gli insediamenti industriali sto-

rici del nostro Paese (Porto Marghera, Priolo-Augusta, Sesto San Giovanni, Taranto, Gela,Bagnoli, Porto Torres, Brindisi, etc.), molti deiquali ancora in attività.

In secondo luogo, deve poi considerarsiche nel quadro normativo di riferimento perla regolamentazione delle procedure di boni-fica dei siti contaminati (artt. 240 e ss. del d.lgs. 152/06), non sembra esistere una disposi-zione che stabilisca, in maniera specifica edespressa, un divieto assoluto di svolgere qual-siasi attività o intervento su aree ricompreseall’interno dei siti anzidetti.

Alcune norme destinate a disciplinare spe-cifiche situazioni, sembrerebbero invece auto-rizzare a concludere, almeno al livello diprincipio generale, che un siffatto divieto nonsussista, o che comunque l’ordinamento con-templa la possibilità di derogarvi in alcunicasi.

È il caso, ad esempio dell’art. 242, comma10, del d. lgs. 152/06, il quale, per i siti con at-tività in esercizio, prevede e regolamenta lapossibilità di articolare gli interventi di boni-fica in modo tale che essi risultino compatibilicon la prosecuzione di tali attività.

È il caso ancora delle disposizioni intro-dotte dall’art. 1, comma 996, della legge n. 296del 2006 che, a certe specifiche condizioni econ l’adozione di specifiche cautele, consen-tono all’interno di aree portuali marittime ri-comprese in siti contaminati di interessenazionale la realizzazione di interventi moltoinvasivi come i dragaggi, prevedendo in defi-nitiva che si possa procedere alle operazionidi dragaggio anche contestualmente alla pre-disposizione del progetto di bonifica dell’areainteressata.

Poiché però quelle appena richiamate sonofattispecie particolari e dall’ambito di applica-zione molto ben delimitato, sarebbe scorrettodesumere da loro una regola da applicare in

Page 20: 3 2012

19

Ambi

ente

e s

icur

ezza

maniera più ampia, sino a farne un principiogenerale secondo il quale nei siti contami-nati, ricorrendo certe condizioni, sarebbepossibile espletare qualsiasi attività in as-senza di specifiche limitazioni o restrizionid’uso adottate di volta in volta dalle autoritàcompetenti.

Un punto di equilibrio può allora esseretrovato in base ad un’interpretazione siste-matica e complessiva delle varie disposizionirilevanti nella materia de qua, tenendo contoanche di quello che è il contesto disegnatodai principi costituzionali.

In una siffatta prospettiva, si può allora ri-tenere che, in considerazione del valore pre-minente attribuito dalla Carta Costituzionaleal bene ambiente ed al bene salute, il criterioguida per stabilire quali attività possono es-sere consentite e quali no in un sito contami-nato sia quello della priorità da riservarecomunque agli interventi di messa in sicu-rezza e bonifica, con la conseguenza che tuttele altre attività - imprenditoriali o no, econo-micamente rilevanti o meno – devono consi-derarsi precluse, anche in assenza dispecifiche o puntuali limitazioni o restrizionid’uso adottate dalle autorità competenti,qualora tali attività interferiscano in manierainaccettabile con le matrici ambientali conta-minate, o ostacolino o addirittura pregiudi-chino gli obiettivi di bonifica.

Una tale ricostruzione ha consentito l’al-ternanza degli atteggiamenti dianzi descrittain ordine alla questione in discussione.

Esempio significativo di tale alternanza èstato l’approccio tenuto, da svariate ammini-strazioni comunali quando queste, nell’am-bito delle proprie competenze, hannoprovveduto a disciplinare l’attività edificato-ria o di trasformazione del proprio territorioper le zone ricomprese nei siti contaminati.

In un primo momento tali comuni hanno

infatti stabilito che nei siti anzidetti gli stru-menti urbanistici attuativi e i progetti diopere pubbliche, nonché gli interventi di ri-strutturazione edilizia o di nuova costru-zione, non potessero essere approvati oassentiti se non in presenza di specifica rela-zione tecnico-scientifica volta a documentareil grado di contaminazione dei suoli interes-sati e a definire le operazioni di messa in si-curezza d’emergenza o bonifica necessarie,rinviando, in caso di superamento dei limitidi inquinamento previsti dalla normativa,l’approvazione o l’assenso all’intervento soloall’esecuzione di tali operazioni (es. Comunedi Venezia).

Successivamente però i medesimi comunisono addivenuti a conclusioni parzialmentediverse, ritenendo così assentibili quegli spe-cifici interventi edilizi non interferenti in ma-niera negativa con le matrici ambientalicontaminate o tali da non costituire un po-tenziale impedimento alla bonifica.

Analogo atteggiamento è stato tenuto, nelcorso del tempo, anche alla luce di alcunipronunciamenti giurisprudenziali, dal Mini-stero dell’ambiente che, per quanto concernei siti contaminati di interesse nazionale, hasubordinato l’esecuzione di interventi suaree in essi ricomprese alla avvenuta caratte-rizzazione delle stesse e, in ipotesi di riscon-trato superamento dei limiti di legge, allapresentazione di idoneo progetto di bonificae alla valutazione di sua approvabilità daparte delle Conferenze di servizi da esso con-vocate e, in alcuni casi, all’avvio delle operein questo previste.

Ciò accompagnando sempre l’assenso allapossibilità di utilizzare l’area per l’interventorichiesto con apposite prescrizioni, assuntesulla scorta dei pareri emanati dagli istitutiscientifici, dirette a far si che fossero escluse,o limitate in maniera apprezzabile, le inter-

Page 21: 3 2012

20

Ambi

ente

e s

icur

ezza

ferenze in concreto con le attività di bonifica,minimizzati gli impatti ambientali e salva-guardata la salute degli operatori interessati.

Ciò sul presupposto che nell’ambito delcomplessivo procedimento di bonifica dellearee contaminate sussistono livelli differen-ziati di rischio apprezzabili in ragione dellemodalità di intervento richiesto e delle carat-teristiche dei beni ambientali da questo inve-stiti.

Si è cosi sviluppata una vera e propriaprassi che è stata recepita da alcuni enti localiubicati in aree ricomprese all’interno di Sitid’interesse nazionale (v. ad es. Comune diTrieste) nei propri strumenti di programma-zione urbanistica, nei quali essi hanno prov-veduto a specificare quali interventi potesseroessere compiuti in dette aree questione, ed aquali condizioni, e quali invece fossero radi-calmente vietati.

Tale prassi è stata inoltre recepita anchenegli Accordi di programma conclusi ai sensidell’art. 246 d.lgs. 152/06 per il risanamentodi siti contaminati, Accordi nei quali le partipubbliche stipulanti hanno stabilito di consen-tire la realizzazione di interventi, anche rela-tivi ad investimenti produttivi, a condizioneche fosse stato ritenuto approvabile, e in al-cuni casi avviato ad esecuzione, il progetto

presentato per la bonifica dei suoli o dellefalde acquifere sotterranee risultati contami-nati.

Tali accordi di programma, più volte sotto-posti all’esame dei giudici amministrativi, nonhanno mai dato adito a censure per quanto ri-guarda il profilo dell’assenso al riutilizzo dellearee.

A tale risultati si è arrivati dopo una pro-gressiva messa a punto delle condizioni rite-nute necessarie per il riutilizzo delle aree,seguendo anche le indicazioni fornite dallamagistratura amministrativa da cui sono statitratti utili elementi per costruire il percorso in-nanzi evidenziato.

Quando sono state poste infatti restrizionitroppo rigide in ordine al riutilizzo delle areeper effettuare determinati interventi, il giudiceamministrativo ha censurato l’operato del-l’Amministrazione, per violazione del gene-rale canone di proporzionalità nell’eserciziodell’azione amministrativa2.

In questa fattispecie le argomentazioni deigiudicanti fondate sul canone di proporziona-lità dell’azione amministrativa, richiamanocon evidenza quell’orientamento giurispru-denziale, ampiamente consolidato, secondo ilquale il principio di precauzione - per il qualeè consentito alla P.A. di adottare i provvedi-

Page 22: 3 2012

21

Ambi

ente

e s

icur

ezza

menti necessari anche in mancanza di un ri-schio concreto ma solo potenziale, laddovepaventi il rischio di una lesione di un inte-resse tutelato - deve armonizzarsi con il prin-cipio di proporzionalità, secondo cui lepubbliche autorità non possono imporre, conatti normativi e amministrativi, obblighi e re-strizioni alle libertà dei cittadini in misurasuperiore a quella strettamente necessaria alraggiungimento dello scopo3.

La prassi in precedenza descritta, da ul-timo, sembra essere stata recepita anche dallegislatore, il quale con il recente decretolegge n. 201 del 2011, pubblicato sulla g.u. del6.12.2011, ha introdotto una nuova disposi-zione (comma 5 dell’art. 40) in materia di bo-nifica dei siti inquinati di cui all’art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006, al dichiarato scopo disemplificare gli adempimenti delle imprese.Secondo tale disposizione nei siti anzidettipossono essere autorizzati interventi di ma-nutenzione ordinaria e straordinaria e dimessa in sicurezza degli impianti e delle retitecnologiche, purché non compromettano lapossibilità di effettuare o completare gli in-terventi di bonifica e siano condotti adot-tando appropriate misure di prevenzione deirischi.

È forse troppo presto per dire se una di-sposizione siffatta costituisca un intervento,per così dire, isolato, e limitato nella portataal ricorrere delle specifiche circostanze ivi ri-chiamate, o se invece costituisca un primo, ecomunque importante, passo suscettibile diessere portato ad ulteriori applicazioni ancheper altre tipologie di interventi caratterizzatida finalità identiche o assimilabili.

Quello che si può sin da ora evidenziare èche tale disposizione, per le modalità con lequali è formulata e per il fine perseguito,sembra essere decisamente ispirata all’atteg-

giamento che in precedenza si è descrittocome “possibilista”, e appare essere comeuna (ulteriore) conferma del principio per ilquale nei siti contaminati non sussiste un di-vieto generalizzato di realizzare operazionie interventi prima che siano terminate le at-tività di bonifica, dovendosi invece proce-dere a tal fine ad una valutazione caso percaso, a seconda dei diversi livelli di rischioapprezzabili in ragione delle modalità di in-tervento richiesto e delle caratteristiche deibeni ambientali da questo investiti.

NOTE

1 Limitazioni alla capacità edificatoria, interdizioni allanavigazione e balneazione, divieti di utilizzo di acqueo colture per determinati usi, etc.2 Come avvenuto per esempio con la sentenza delT.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I - 11 giugno 2007, n. 2248secondo cui “la prescrizione della conferenza di serviziche, nelle more del completamento delle attività dimessa in sicurezza e di caratterizzazione delle matriciambientali, vieta tutti gli interventi che comportanoscavi anche di modeste dimensioni, è irragionevole, inquanto contraria al generale canone di proporzionalitànell’esercizio dell’azione amministrativa, che deve tro-vare applicazione, pur con le necessarie cautele delcaso, anche in caso di situazioni di emergenza ambien-tale. Va annullata, pertanto, nella parte in cui non con-sente la realizzazione in loco di attività comportantimovimentazioni di terreno le quali, per la loro consi-stenza obiettiva, non risultino idonee in alcun modo adinterferire in modo negativo con le attività di bonificain corso, secondo una valutazione da effettuarsi casoper caso in contraddittorio fra i soggetti interessati. 3 V. ad es. Tar Campania n. 3727/09; in senso conformev. pure Tar Lombardia n. 1738 del 2009, Tar TrentinoAlto Adige n. 93/2010, ma ancor prima Corte di giu-stizia Ce n. 24 del 2003. Corollario di tale impostazioneè quello secondo il quale tutte le decisioni adottatedalle autorità, competenti in materia ambientale, de-vono essere assistite da un apparato motivazionaleparticolarmente rigoroso, che tenga conto di un’attivitàistruttoria parimenti ineccepibile.

Page 23: 3 2012

22

Un

iver

sità

tra

inn

ovaz

ion

e e

trad

izio

ne

Le inchieste sullo stato delle nostre Univer-sità si sono moltiplicate negli ultimi anni, a li-vello giornalistico e di ricerca socio-istitu-zionale, e la diagnosi è grosso modo largamentecondivisa.

E perciò, al di là di talune prese di posizioneper rispetto della bandiera tante volte issata inpassato, c’è anche largo accordo su taluniorientamenti di riforma.

Alcuni di essi hanno trovato espressioneanche nella riforma Gelmini, criticata soprat-tutto per la sua ‘avarizia’ contributiva, piutto-sto che per i suoi contenuti di riforma, oggiormai in buona parte condivisi.

Si ricorderà, ad esempio, che si dovesse im-primere una svolta di merito grazie a un piùincisivo e largo lavoro di valutazione dei risul-tati della didattica e della ricerca dei vari ate-nei, messi in qualche modo in concorrenza sul‘mercato’ dell’offerta didattica e scientifica; oche si dovesse premiare quella quota, varia-mente identificabile nei vari comparti discipli-nari (la maggiore presenza dei ricercatori latosensu intesi nelle Facoltà scientifiche è comun-que scontata) che più è degna di un riconosci-mento anche economico; oppure che siimponesse un maggior raccordo tra didatticae ricerca e il mondo produttivo e culturale cir-costante le singole università; o che si dovesseinternazionalizzare il nostro mondo accade-mico sia con scambi più intensi di docenti estudenti, sia per le tematiche di ricerca, le lin-

gue utilizzate e gli strumenti di comunica-zione; o che si dovesse semplificare l’apparatoistituzionale ed evitare l’eccesso di impegnipuramente burocratici che ormai aduggiavanola vita quotidiana dei docenti, coinvolti in riu-nioni ai livelli più vari e inconcludenti, o chesi dovessero porre limiti ai mandati infiniti dicui taluni accademici eccellenti si giovavano.Infine, last but not least, che si dovesse interve-nire sul meccanismo scandaloso dei concorsisempre più alla mercé dei gruppi organizzatie dei potentati locali negli ultimi decenni, conrisultati deleteri nel comparto delicatissimo delreclutamento.

La domanda che bisogna farsi è piuttostofino a che punto la riforma abbia soddisfattole attese e risposto alla gravità dei problemi at-tuali. Fino a che punto non sia stata invece, co-stretta entro meccanismi troppo limitati e/ocomplessi per i limiti di impostazione o per ledifficoltà parlamentari (l’eccesso di accademicinei partiti e nelle due aule, direttamente omeno, può pesare).

Il nuovo governo Monti dovrebbe provve-dere anche, pur impegnato duramente in altricontesti delicatissimi, all’emanazione di unaserie cospicua di decreti delegati per l’attua-zione della riforma.

Ce la farà? O la delicatezza delle scelte e lelentezze e difficoltà burocratiche porterannoad un annacquamento dello spirito riforma-tore?

Università: un presente difficile,un futuro incerto

Mario AscheriProfessore Ordinario di Storia del Diritto Medievale e Moderno

Page 24: 3 2012

23

Un

iver

sità

tra

inn

ovaz

ion

e e

trad

izio

ne

Certo, a scorrere il provvedimento con oc-chio esterno alla mischia, con lo sguardo dichi sta – come me – uscendo dall’impegno ac-cademico di prima fila, un’impressione è ine-vitabile.

La riforma ha cercato di rispondere a tutto,ma non anche a troppo, innescando una pro-cedura troppo complessa?

Non rischia di bloccare in infinite discus-sioni e momenti procedurali le università giàda anni con il fiatone?

Fino a che punto era necessario un artico-lato così dettagliato per affrontare temi in cuisi poteva lasciare più autonomia – e quindi re-sponsabilità, da far valere in sede di una ri-gorosa valutazione – alle forze locali, allesingole Università?

In tema di governance si sono, ad esempio,posti vincoli agli Statuti, da elaborare local-mente, che forse si sarebbero potuti evitare.

Una realtà oggi in profonda crisi comel’Università di Siena conosceva nel proprioConsiglio di amministrazione, ormai da moltianni, presenze di forze locali, istituzionali edeconomiche, esterne all’Università.

Ma quelle presenze non hanno affatto im-pedito una degenerazione personalistica eclientelare dell’Università, come lasciano in-tuire i numerosi rinvii a giudizio per il pre-sunto deficit di 270 milioni di euro,accumulato surrettiziamente in pochi anni.

I problemi di raccordo locale non si risol-vono astrattamente, al tavolino del legislatorenazionale. Così come il problema del respiroregionale dei corsi e programmi, ormai inevi-tabile per i nostri atenei, avviati a fusioni e ra-zionalizzazioni con la crisi finanziariacrescente e per effetto del discredito che ilpullulare di sedi insignificanti e con pro-grammi frammentati ha fatto crescere.

Non si devono sottovalutare i segnali de-rivanti dalla diminuzione del numero degliiscritti. La crisi quantitativa ormai emersa

non indica solo un problema di costi per glistudenti – che rimangono sempre contenutiin Italia, anche se superiori a quelli di Paesiche fanno più investimenti sul diritto allo stu-dio.

Il problema è piuttosto di affidabilità. Lalaurea è diventata più chiaramente che inpassato un pezzo di carta poco spendibile nelmercato del lavoro. Ma per quale motivo?

È perché si studiano questioni o tecnichealla fine inutili nel mercato delle professionie del lavoro? O la ragione deve, invece, co-gliersi nel nozionismo degli insegnamenti,basati su dati che in quanto tali o si dimenti-cano rapidamente o divengono obsoleti tal-mente velocemente da non essere di aiutoneppure nei lavori richiedenti un maggior ba-gaglio di informazioni? L’eccesso di ‘rispon-denza’ al mercato può, alla fine, non bisognamai dimenticarlo, essere dannoso anziché po-sitivo.

L’introduzione all’informatica o alle tecni-che di editing di una prima pagina di gior-nale sono apprendimenti di livellouniversitario o non piuttosto insegnamentitecnici che dovrebbero essere impartiti incorsi professionali di competenza regionale?

L’università di massa ha anche implicato,com’è ormai comunemente ammesso, un ab-bassamento del livello delle docenze e dellaqualità dell’apprendimento.

Nelle Università del passato – quelle affer-matesi dopo gli sparsi e disorganici inizi delsecolo XII – non si insegnavano, alla fin fine,che metodi di interpretazione e di lavoro, legati,a volte, a testi con contenuti non attuali. Pertanto tempo si è insegnato un diritto romanoche non era applicato nella pratica, o che nonlo fu praticamente mai, come in Inghilterra –dove i prestigiosissimi Regius Professors ofRoman Law formavano gli allievi in una di-sciplina apparentemente solo “culturale”.

Il punto è che studenti delle più diverse

Page 25: 3 2012

Raffaello Sanzio,La scuola di Atene(particolare)

Page 26: 3 2012

25

Un

iver

sità

tra

inn

ovaz

ion

e e

trad

izio

ne

parti d’Europa affluivano nelle sedi in cui si ri-teneva che si potessero apprendere concetti enozioni considerate patrimonio di una élite chesapeva di divenire parte di un mondo privile-giato (scientia donum Dei) e che poi avrebbeusato di quel sapere appreso, si badi, su libriuguali per tutti i Paesi (senza che fossero im-posti dall’alto!), nonostante la diversità deicontesti.

All’università si apprendevano, insomma,categorie, idee e metodi da utilizzare poi in unbricolage quotidiano per gestire situazioni di-versissime, per dare ordine, in sede giuridicacome in sede teologico-religiosa, ad un mondocomplesso e disordinato.

Prima che gli Stati di Westfalia, una voltavenuta meno l’unità cattolica europea, divenis-sero soggetti autonomi aspiranti a destini pre-potenti e differenziati, le Università europeeerano fondamentalmente simili l’una dall’altranella lingua usata, nei programmi di insegna-mento, nei titoli conseguibili e nei fini istitu-zionali: un sapere cristiano di alto livello performare le élites laiche ed ecclesiastiche.

Nonostante ciò, erano organizzate diversa-mente nei dettagli.

Noi invece imponiamo una struttura unicaalle Facoltà e ai corsi, senza renderci contodelle diversissime esigenze: cosa ha in comuneuna Facoltà di Medicina con una Facoltà diLettere e Filosofia?

E perché mai un certo tipo di Facoltà deveavere una struttura organizzativa rigida, lamedesima, in sostanza, in ogni luogo?

Quel che dovrebbe interessare è solo il ri-sultato: un laureato di buona qualità.

Nel passato la differenziazione era forte.Qui comandavano di più i professori, là gli

studenti; qui c’erano potenti organizzazioni discolari, là collegi dottorali, qui l’aiuto dellecittà e dei principi, là un costo maggiore a ca-rico dei discenti.

Ovunque, però, si diveniva baccalaureati e

dottori con un titolo universalmente ricono-sciuto, rispettato e spendibile.

I ‘dottori’ erano addirittura eccettuati dalleleggi sul lusso, tanto era ambita la loro pre-senza nelle città

La corporazione, pur articolata, plurinazio-nale e altamente differenziata nelle retribu-zioni, sapeva difendere il proprio livelloqualitativo, sentendosi parte di un corpo chia-mato a una alta missione.

Questi valori, oggi, fanno invece quasi sor-ridere.

Eppure, è proprio l’identificazione conl’istituzione il problema più serio.

Da questo punto di vista l’ampliamento delcorpo docente ha certamente innestato un pro-cesso degenerativo.

Non già perché abbia bloccato gli stipendigià avviati a un avvenire migliore, quanto per-ché ha indotto a occuparsi del proprio “parti-colare”, dell’avvenire della propria disciplina,della propria “scuola”, perdendo di vista lacredibilità complessiva dell’istituzione.

Dallo stesso punto di vista, la differenzia-zione tra tempo pieno e parziale dovrebbe es-sere molto accentuata – com’è ad esempionegli Stati Uniti. Pochi docenti stabili, salda-mente insediati giorno dopo giorno al loroposto (anche nelle Facoltà umanistiche), dannocredibilità e identità alla Facoltà: gli studentisanno chi è reperibile e chi è responsabile. E icolleghi pure.

Può essere invece anche molto ampio ilcorpo dei docenti a contratto, che i pochi “or-dinari” a colloquio con il Consiglio di ammi-nistrazione giudicano annualmente necessariper i corsi integrativi.

Nel Medioevo persino i giovani addotto-randi facevano, retribuiti miseramente siachiaro, i corsi sui testi più semplici, istituzio-nali.

E quanto era educativo per loro, sottoposticom’erano al controllo e al giudizio degli ordi-

Page 27: 3 2012

26

Un

iver

sità

tra

inn

ovaz

ion

e e

trad

izio

ne

nari! La docenza mette alla prova e tempra seguidata, corretta e indirizzata al momento giu-sto.

Da noi i ricercatori in senso stretto, quellicioè che a volte nulla ricercano perché impe-gnati nella didattica spicciola di docenti fretto-losi o perché privi dei necessari fondi (nellefacoltà scientifiche), non hanno neppure unostatus definito.

Dalla legge 382 del 1980 in poi il loro nu-mero si è ampliato enormemente come pure illoro ruolo nelle Facoltà, dove a volte (cioèspesso) sono quelli che oggi permettono laprosecuzione dei corsi.

Ma quale che sia il loro profilo preciso, checosa si possa e voglia chiedere a questi (a voltenon più giovanissimi), rimane oscuro giuridi-camente e culturalmente, oppure è frutto diuna concertazione faticosa e defatigante con ititolari della cattedra alla quale sono (di fatto)assegnati.

Questo quando c’è il confronto, natural-mente.

Perché si sono dati anche ricercatori che,per i motivi più vari, non sono stati a un certopunto richiesti di alcun adempimento in sede

e hanno, quando è andata bene, fatto poca otanta ricerca standosene a casa e nelle bibliote-che accessibili, in una posizione per qualcheverso invidiabile - come quella degli antichi eprivilegiati canonici delle cattedrali.

Com’è possibile, si dirà?Lo è se si pone mente a quella atomizza-

zione del corpo docente, più impegnato nellaprofessione o nei rapporti di disciplina chenella tutela del prestigio della sua sede univer-sitaria.

E siamo così all’ultima scena della nostrastoria attuale.

Alla politica non è mai arrivata una richie-sta omogenea e forte, supportata da un mo-dello serio di vita accademica. Né la politica haavuto l’autonomia dal mondo universitarioper studiare un modello alternativo serio, daadottare ed eventualmente da imporre se ne-cessario.

Invece, non siamo stati capaci di adottarefino in fondo un modello esistente e funzio-nante, ma abbiamo fatto ricorso a soluzioni in-terlocutorie e non risolutive.

Avete mai sentito fare serie comparazioninon dico con il modello degli USA, dove la

Università La Sapienza, Roma

Page 28: 3 2012

27

Un

iver

sità

tra

inn

ovaz

ion

e e

trad

izio

ne

prevalenza del capitale privato rende quel con-testo poco comparabile, ma con le Universitàdel mondo tedesco o francese?

Persino la Spagna, con la parte assegnata aigoverni locali nel promuovere le Università,muovendo dalla difficile situazione degli anni60-70 del secolo scorso, ha segnato dei pro-gressi rispetto al nostro Paese.

E allora torniamo al tema iniziale. La Storianon ha insegnato.

La via solitaria, non supportata dalle espe-rienze positive del passato o di taluni Paesiesteri, da noi ha prevalso, ed ora si tenta conenormi difficoltà e tentennamenti di uscirne.

Storia e Comparazione latitano ancoratroppo.

Come la reale concorrenza tra le sedi favo-rita dal valore legale dei titoli, che renderebbeassai più seria la politica delle ‘chiamate’ deidocenti.

Oppure, come la reale responsabilità, anchefinanziaria, che imporrebbe ora non la chiu-sura forse, ma certo il ridimensionamento dra-stico di talune Università, che dovrebberorisentire in modo concreto, evidente ed esem-plare per tutte, di non aver bene esercitato lapropria autonomia.

Se non si darà un segnale percepibile, unoscossone reale, che faccia cogliere tutta la gra-vità di certe situazioni, non si potrà mai inne-scare nessun processo virtuoso.

Né si potrà sperare che la maggioranza deidocenti, da sempre paga del proprio ‘particu-lare’ (e dello stipendio, tutt’altro che basso, alivello comparativo), prenda coscienza delleproprie responsabilità.

Uscendo, finalmente, dal proprio mondodisciplinare per guardare all’identità dell’Isti-tuzione. E al suo futuro.

Harvard

Page 29: 3 2012

Ugo Spirito

Page 30: 3 2012

29

Acta

not

aril

ia

Una delle maggiori difficoltà nell'approcciodegli operatori al Notariato consiste nella na-tura controintuitiva del termine “Notaio”.

La nozione definitoria del Notaio non ri-sulta infatti monodimensionale come quella dialtri professionisti: bensì “ambivalente” intesal'ambivalenza sia nel suo dato fattuale che nelsuo significato sociologico ben indagato daBauman (Modernità ed ambivalenza).

Per strutturare una nozione definitoria del“Notaio” non si può che partire dall'articolo 1della Legge 16 febbraio 1913 n. 89 (Ordina-mento del Notariato e degli Archivi Notarili)il quale testualmente recita “i Notari sono Pub-blici Ufficiali Istituiti...” Il dato letterale scolpi-sce con chiarezza la strutturalità della qualificae della funzione: i Notai sono Ufficiali Pub-blici...

Il dato letterale indica per la verità un altroelemento di strutturalità tra qualifica e fun-zione: ed è l'utilizzo del termine “Istituiti”.

L'utilizzo di detto termine segna in manierairrevocabile la diversità ontologica del Notaiodagli altri professionisti in quanto lo strutturae lo conforma in funzione della statualità.

In funzione ma non parte della amministra-zione dello Stato in rapporto di dipendenza econ strutturazione gerarchica in quanto nel-l'esercizio delle funzioni anche “libero profes-sionista”.

Come lucidamente sostiene Giuseppe Ce-leste (Riflessioni sull'imparzialità del Notaio)

nel caso in esame “la funzione amministrativaè demandata, dunque, ad un soggetto che nonè titolare di alcun complesso organizzativo;esiste pur sempre un ufficio in senso oggettivo,inteso cioè come determinazione della podestànelle quali il suo esercizio si concreta, ma nonvi è una struttura materiale servente, con laconseguenza che la podestà pubblica non puòessere riferita ad un' istituzione organizzatanell'ambito dei pubblici poteri, ma soltanto alsuo titolare”.

Da qui l'ambivalenza della figura professio-nale del Notaio: istituito e regolamentato nelnumero e nelle funzioni dallo Stato ma sog-getto economico di diritto privato nell'esplica-zione concreta dell'attività. E il Notaio puòdefinirsi ufficio della Repubblica, purchè contale espressione si voglia designare solo la po-destà attribuitagli, che viene da questo eserci-tata in nome proprio. In tal modo si attua ilnecessario raccordo tra la sua posizione pub-blicistica e l'esercizio dell'attività in regime dilibera professione.

I lavori preparatori alla Legge del 1913 illu-strano bene quali fossero le finalità che lo Statosi prefiggeva con la regolamentazione unitariae statuale delle precedenti figure Notarili preu-nitarie: applicazione tendenzialmente coerentedi impianti civilistici e successori da valere inuno Stato caratterizzato da forti disomogeneitàculturali ed economiche; attribuzione di Pub-blica fede alla volontà privatistica per il filtro

Il notaio tra funzione e professione

Claudio TognaNotaio

Page 31: 3 2012

30

Acta

not

aril

ia

di adeguamento notarile; regolamentazione deicosti delle prestazioni attraverso tariffari di ap-provazione statuale.

Questa sintesi di funzione pubblica e di li-bera professione il Notariato ha sapientementeinterpretato fin quando la tendenziale ambiva-lenza si è mantenuta all'interno di un sistema incui la norma ed il diritto (e quindi la politica) sisono trovati con l'economia in rapporto dimezzo (l'economia) e di fine (la norma e quindila politica).

Come hanno bene evidenziato Natalino Irtied Emanuele Severino (Dialogo su diritto e tec-nica) che, sul punto, è bene riportare letteral-mente “la politica il Jus proprium civitatis sarebbein grado di stabilire il regime dell'economia e diorientare e/o arginare gli sviluppi della tec-nica”.

Nel momento in cui l'economia o meglio latecnica economica con un sostanziale processodi ipostasi si è affrancata da mezzo a fine l'am-bivalenza della nozione definitoria non ha piùtrovato una sua sintesi aprendo invece una de-vastante dialettica.

Il tentativo (per altro riuscito) della tecnicaeconomica di liberarsi di fini e di regole impostidal diritto (e quindi dalla politica) per porsiquale unico fine l'eliminazione di ogni fine e re-gola normativamente imposte che possano rap-presentare un limite al prevalere dell'economiaquale fine ultimo (ed a cui regole e norme sonosubordinati) non poteva non comportare unatensione di sistema nell'essenza stessa del No-tariato.

Tensione di sistema (bene indagata da Irti -Severino) che viene imputata a due ordini di ra-gioni: uno comune ad ogni tipo di ideologia;l'altro, proprio del sistema democratico.

La prima ragione consiste “nelle territorialitàdei logoi, contrapposta alla spazialità di econo-mia e tecnica”. Non è un caso che i Trattati eu-ropei mirino a formare uno spazio senza

frontiere interne: si badi, non un territorio piùampio ed esteso (il quale sarebbe sempre unnuovo territorio), ma uno spazio, cioè una sededegli scambi, che trascende i territori dei singoliStati.

Non un grande luogo, ma un ambito de-lo-calizzato e, perciò, de-storicizzato.

Avviene così che l'individuo, in quanto partedell'accordo di scambio, non sia più cittadino,membro di una determinata e storica civitas, maassume la semplice e nuda posizione di vendi-tore o di compratore.

Ora, la territorialità è tra i caratteri fisiono-mici del diritto moderno.

I codici civili sono leggi del territorio. Questosignifica che le ideologie politiche, come porta-trici di progetti normativi, appartengono allaterritorialità degli Stati, mentre il capitalismo ela tecnica si dilatano nella spazialità planetaria.

Il divario determina un'intima scissione: tral'individuo quale membro della civitas politico-giuridica e l'individuo quale membro dello spa-zio economico.

Il diritto perde capacità regolatrice; esso nonpuò dare misura a ciò che sta oltre le sue propriefrontiere.

La seconda ragione di indebolimento, pro-pria del sistema democratico, deriva dal suo ri-spondere alla stessa logica dell'economia dimercato.

La democrazia - scrive Emanuele Severinoin una delle lezioni bocconiane, raccolte sotto iltitolo di Crisi della tradizione occidentale - èuna metodologia che amministra il consensopolitico. Del pari, l'economia di mercato è unametodologia che amministra il consenso econo-mico. Metodologia, in ambedue i casi, poichèdemocrazia politica ed economica di mercatodesignano insiemi di procedure, meccanismicalcolanti le qualità di consenso.

Severino in particolare in due libri di granderilievo - “Il declino del capitalismo” e “Il destino

Page 32: 3 2012

31

Acta

not

aril

ia

della tecnica”, sostiene che la tecnica si va tra-sformando da strumento in scopo del capitali-smo, il quale è un capitalismo solo inapparenza, mentre in realtà è tecnocrazia, e cioèl'agire che si propone come scopo l'incrementoindefinito della capacità di realizzare scopi, ol-trepassando così la volontà “ideologica” di rea-lizzare un certo mondo invece di un altro. Daparte loro, i gruppi politici - e il diritto - per iquali l'uso o la minaccia della coercizione fisicasono indispensabili, hanno bisogno dei mezziprodotti dalla tecnica: e così la democrazia è co-stretta a subordinare il proprio scopo alla tec-nica: ossia ad assumere come scopo ilfunzionamento ottimale della tecnica, e dun-que, a non essere più democrazia (giacchè unqualsiasi agire è ciò che esso è in forza delloscopo a cui esso è ordinato). In breve, lo svi-luppo indefinito della tecnica - da strumentoche era - diviene scopo e del capitalismo e dellademocrazia politica. L'approdo conclusivo è nelgoverno dei tecnici (affine alla posizione giàenunciata da Ugo Spirito in Critica della demo-crazia).

Questa tensione di sistema tra diritto (equindi politica) ed economia trova nel Nota-riato il suo esempio emblematico.

La sostanziale ambivalenza del termine No-taio ovvero la possibilità di assegnare esso siaalla categoria del diritto che alla categoria del-l'economia ne opera una torsione concettualenell'alternanza tra sistema regolante (diritto oeconomia) o sistema regolato (diritto o econo-mia).

In questo particolare momento storico la de-bolezza del sistema democratico rappresenta-tivo e la sua sostituzione (sia pure con i caratteridelle temporaneità e della eccezionalità) con unsistema di governo dominata dal tecnicismo (ecioè dalla presunta competenza specialistica)comporta la sottoposizione ai due processi cheBauman nell'opera citata definisce di tayloriz-

zazione e fordizzazione.L'effetto combinato dei due processi di tay-

lorizzazione e fordizzazione è la creazione diuna sovrastruttura decisionale specializzata aldi sopra del livello dell'effettiva esecuzione deicompiti, associata all'esclusione degli esecutorida tutte le decisioni in cui è richiesta una com-petenza.

Da qui l'insofferenza della tecnocrazia (e diquella parte della politica ancella dell'economia)verso le professioni in genere (in quanto porta-trici di un sapere specialistico connotato da forteautorità sociale) e del Notariato in particolare.

Del Notariato e del Notaio in particolare inquanto quest'ultimo presenta nella sua ambiva-lenza gli stessi principi che l'economia deve ab-battere nella politica:

- territorialità come carattere fisionomico;- punto di differenziazione tra regola e rego-

lato: ossia tra diritto, da un lato, e capitalismoed economia dall'altro.

Infatti come bene ha chiarito Giuseppe Ce-leste (Riflessioni sull'imparzialità del Notaio) lafigura del Notaio è posta a tutela dei diritti delcittadino ed in particolare del diritto del contra-ente più debole e del diritto dei terzi a non es-sere giudicati dall'attività delle parti.

Accanto alla tutela dei diritti dei singoli, se-condo Celeste, al Notaio è demandata anche lacura di interessi superiori connessi al rispettodella legalità e della certezza del diritto, alla si-curezza ed efficacia della contrattazione e al-l'eguaglianza delle parti.

Ora il prevalere dell'economia che fa della a-territorialità e della de-responsabilizzazionegiuridica sul piano locale (piano locale su cuioperano i soggetti passivi: lavoratori e consu-matori) non riesce a rendere assimilabile il No-tariato ed il Notaio alle proprie categorie (o perlo meno con molta più difficoltà rispetto ad altreprofessioni).

Page 33: 3 2012
Page 34: 3 2012

33

Assi

sten

za s

anit

aria

in It

alia

: qua

le fu

turo

?

L’anno appena trascorso è stato caratteriz-zato per il Fasi, dalla realizzazione di impor-tanti progetti, finalizzati ad un ulteriorerafforzamento del Fondo nonchè al miglio-ramento dei sevizi istituzionalmente previsti,in favore delle aziende, dei dirigenti e deiloro familiari.

Tra questi, Il Presidente Stefano Cuzzilla,ha il piacere di ricordare:

• la revisione completa dei Nomenclatori-

Tariffari;• l’ulteriore riduzione dei tempi medi di li-

quidazione delle richieste di prestazioni;• il conferimento, a titolo volontario, del-

l’incarico di certificare il Bilancio ad unaimportante società di revisione;

• l’avvio del Progetto Prevenzione di al-cune importanti patologie;

• un significativo ampliamento del numero

delle Strutture Sanitarie convenzionate

in forma diretta, attraverso procedure online, attive 24 ore al giorno, per tutti igiorni dell’anno (festivi compresi);

• una gestione innovativa delle risorse fi-

nanziarie attenta ai suggerimenti ed alcontrollo dell’Advisor in materia di inve-stimenti finanziari;

• il rinnovo della Convenzione FASI/Fe-

dermanager e la stipula di una Conven-

zione GSR Fasi/Federmanager, per iservizi di assistenza e consulenza svolti,

tramite le sedi territoriali della Federma-nager medesima, nei confronti degliiscritti al FASI;

• il rinnovo della Polizza di Assistenza

Socio Sanitaria;• l’introduzione di diverse modalità di co-

municazione attraverso il sito Internet emediante l’utilizzo degli indirizzi di postaelettronica forniti al Fondo da oltre n.90.000 iscritti;

• il potenziamento dei servizi on line.

“In particolare, il potenziamento delleprocedure informatiche”, prosegue Cuzzilla,“ha costituito la premessa per il migliora-mento e la semplificazione della comunica-zione tra il Fondo, le aziende e gli iscritti,anche attraverso il nuovo sistema denomi-nato MYFASI, che consente l’accesso a nuoviservizi on line, attraverso l’utilizzo di unaCARD USB personalizzata, che consente il ri-conoscimento sicuro ed automatico, asso-ciando il dispositivo fisico al dirigente oall’azienda”.

“Suddetto potenziamento, ha inoltre co-stituito la premessa per non procedere, a

partire dal 2012, con la tradizionale spedi-zione cartacea del plico di inizio anno (fatta

eccezione per i dirigenti che non hanno for-nito un indirizzo di posta elettronica per iquali, ancora per il 2012, si procederà con laspedizione del plico in formato cartaceo)”.

I progetti del FASI

Page 35: 3 2012

34

Assi

sten

za s

anit

aria

in It

alia

: qua

le fu

turo

?

Tutta la documentazione sarà infatti dispo-nibile d’ora in poi in formato esclusivamenteelettronico; il materiale sarà consultabile estampabile collegandosi al sito www.fasi.it;quindi, attraverso il portale del Fondo e, inmaniera più completa, con l’utilizzo della

suddetta Card USB, sarà più semplice ed ef-

ficiente il rapporto tra il Fasi e i propri

iscritti.Gli iscritti, in questo modo, potranno co-

gliere le ulteriori ed importanti opportunitàderivanti dalla possibilità di disporre di tuttala modulistica costantemente aggiornata, conparticolare riguardo alle convenzioni in

forma diretta con le Strutture Sanitarie, la cui

rete è in continuo ampliamento, soprattuttoin corso d’anno, diversamente dal passato.

“Desidero inoltre evidenziare che le nuovemodalità introdotte permetteranno al Fondol’ottimizzazione delle risorse, anche di tipoeconomico, che potranno essere impiegatenell’avviato percorso di sviluppo di nuoviprogetti finalizzati ad un ulteriore potenzia-mento e miglioramento del livello di assi-stenza e dei servizi previsti in favore degliiscritti. Si tratta di un obiettivo che abbiamocondiviso con le Parti Sociali e il Consiglio diAmministrazione e che stiamo portandoavanti nel corso di questi anni”, conclude Ste-fano Cuzzilla.

Peter Paul RubensHygeia, Dea della salute

Page 36: 3 2012

35

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

Una delle questioni più complesse e deli-cate inerenti allo status personale dei magi-strati in seno all’organizzazione giudiziaria èancor oggi senza dubbio quella dell’inamovi-bilità, che si collega alla disciplina non solo deitrasferimenti, ma pure degli avanzamenti dicarriera, i quali, in determinate condizioni,possono essere gestiti in modo da soddisfareintenti punitivi: laddove l’inamovibilità e isuoi eventuali limiti non siano garantiti dalleleggi, l’indipendenza della magistratura ri-sulta inevitabilmente minata e vulnerabile,come è ben dimostrato dalle vicende succes-sive all’unificazione italiana, che qui si vo-gliono brevemente ripercorrere puntandol’attenzione sulla scottante questione dei tra-sferimenti ordinati d’ufficio dal Ministro dellaGiustizia.

Nel Regno d’Italia, fino alle leggi promosseda Vittorio Emanuele Orlando nel 1907 e 1908,molta parte della disciplina della carriera deimagistrati rimase affidata a decreti regi predi-sposti dai Guardasigilli, decreti ministeriali ecircolari; rimase, cioè, in balìa dei Ministri dellaGiustizia e, poiché questi in genere duravanoin carica solo per brevi periodi, fu caratteriz-zata da notevole instabilità, provocandomalumori e tensioni, critiche e richieste di ri-forma.

Il principio dell’inamovibilità era solenne-

mente enunciato dall’art. 69 dello Statuto al-bertino, modellato sui rispettivi articoli 58 e 49delle Carte francesi del 1814 e del 1830, che la-conicamente recitava: «I giudici nominati dalRe, ad eccezione dei giudici di mandamento, sonoinamovibili dopo tre anni di esercizio».

Una così generica formulazione lasciavaspazio a diverse interpretazioni, poiché nonprecisava se l’importante prerogativa fosse darestringere soltanto al grado oppure da esten-dere anche alla sede; d’altra parte, non eranemmeno chiaro a quali organi spettasse la re-golamentazione della carriera dei magistrati,poiché l’art. 70 stabiliva una riserva di leggeper tutto quanto atteneva all’organizzazionegiudiziaria, ma l’art. 68 continuava a far di-pendere la giustizia dal Re: «La Giustizia emanadal Re, ed è amministrata in suo nome dai giudicich’Egli istituisce».

L’ambiguità di questi presupposti, unitaalla difficoltà di varare una legge organica diriordinamento della magistratura, sia per lamolteplicità degli interessi in gioco sia ancheper l’impossibilità, da parte dei Guardasigilli,di ottenere, nel breve periodo del loro man-dato, l’approvazione del legislativo sui pro-getti da essi predisposti, favorirono l’emis-sione di provvedimenti amministrativi par-ziali e provvisori, che comunque consentironoall’esecutivo di mantenere un saldo controllo

Il problema dei trasferimenti dei magistratidallo Statuto albertino alle leggi Orlando(1848-1908)

Cristina DanussoProfessore Associato di Storia del Diritto Medievale e Moderno

Page 37: 3 2012

36

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

sul corpo giudicante.Inizialmente, al tempo del Regno di Sarde-

gna, la prima concreta attuazione dei principistatutari era stata data con una legge presentatada Siccardi che, non incontrando opposizioniné alla Camera né al Senato, era entrata in vi-gore il 19 maggio 1851.

I casi in cui i giudici inamovibili potevanoessere privati della loro carica, sospesi dall’eser-cizio delle loro funzioni, oppure trasferiti, postiin aspettativa o a riposo senza il loro consenso,erano minuziosamente enumerati e specificatidal legislatore, che configurava svariate situa-zioni implicanti inidoneità allo svolgimentodella funzione giudicante.

La decisione su quali provvedimenti adot-tare competeva al magistrato di Cassazioneesclusa qualsiasi ingerenza del ministero diGiustizia, il quale doveva limitarsi a promuo-vere un decreto del Re conforme alla declara-toria della Corte suprema.

Allo stesso magistrato di Cassazione era af-fidato il potere di traslocare un giudice inamo-vibile anche contro la sua volontà qualora perqualsiasi circostanza non potesse più «conve-nientemente» amministrare la giustizia nelluogo in cui risiedeva. L’attribuzione al Guar-dasigilli della facoltà di trasferire i giudici persoddisfare le esigenze del pubblico servizio erastata volutamente esclusa, essendo prevalso nelgoverno (come si evinceva dalla relazione delMinistro) «il desiderio di attuare il principio d’ina-movibilità in tutta l’ampiezza delle sue conse-guenze».

Solo due anni e mezzo più tardi, però, il 23dicembre 1853, il Ministro Rattazzi aveva pre-sentato un nuovo disegno di legge, intitolato«Riordinamento dell’ordine giudiziario e del mini-stero pubblico», col quale dichiarava di voler re-stituire al governo la libertà necessaria acomporre i tribunali secondo le necessità delservizio, poiché riteneva che solo il «potere am-

ministrativo» fosse in grado di usare «quegli ac-corgimenti […] che difficilmente si potrebbero rin-venire nella deliberazione di un corpo qualunque, emeno ancora di un corpo giudiziario consueto a di-scernere le cose con un criterio rigorosamente giu-ridico».

Il progetto, sottoposto all’esame di un’appo-sita commissione, non giunse alla discussionein parlamento; tuttavia il Rattazzi potè conse-guire il suo scopo sei anni più tardi, quando,approfittando dei pieni poteri di cui il governoera stato investito in occasione della secondaguerra d’indipendenza, riuscì a far promulgareil decreto 13 novembre 1859 sull’ordinamentogiudiziario.

Una volta costituito il Regno d’Italia, iltesto di tale decreto confluì, con poche modi-fiche, in quello del successivo decreto 6 dicem-bre 1865, emanato su delega del poterelegislativo mediante la legge 2 aprile 1865.L’art. 199 di tale decreto, che l’Arcoleo definirà«norma degna di governi assoluti», riproducendoin buona sostanza il dettato dell’art. 103 del1859, a sua volta modellato sull’art. 83 del di-segno di legge del 1853, così recitava: «I fun-zionari dell’ordine giudiziario che hanno, a terminidell’art. 69 dello Statuto, acquistato l’inamovibi-lità, non possono essere privati del loro grado, o so-spesi, né posti senza il loro consentimento, indisponibilità, in aspettativa o riposo, anche conpensione, salvo nei casi previsti dalla presentelegge, e secondo le forme in essa prescritte. Possonobensì per l’utilità del servizio essere tramutati dauna corte o da un tribunale ad altra corte o tribu-nale, con parità di grado e di stipendio».

Se il primo comma era coerente con l’enun-ciazione statutaria, il secondo apriva la possi-bilità di spostamenti di sede coatti al di fuoridei casi previsti dalla legge, pur nel rispetto delgrado; la scelta veniva giustificata dall’esigenzadi tutela dei cittadini: occorreva lasciare aiGuardasigilli la facoltà di ordinare trasferi-

Page 38: 3 2012

37

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

menti laddove lo richiedessero «urgenti ragionidi pubblico interesse».

E di tale facoltà fecero uso con una certa am-piezza i Ministri, come si evince da varie circo-lari e come nel 1903 ricorderà GiuseppeZanardelli: «Ben presto apparve quale significatopotesse assumere, nelle deliberazioni ministeriali, lafrase “per utilità di servizio”. I tramutamenti deimagistrati per cause supposte d’indole politica com-mossero la coscienza pubblica; e i sospetti e le accuseebbero eco in Parlamento», tanto che si avvertì lanecessità di elaborare dei disegni di legge di-retti ad attenuare l’arbitrio ministeriale neitrasferimenti d’ufficio mediante l’attività con-sultiva di organi composti da giudici.

Dopo il fallimento di due tentativi di ri-forma intrapresi prima dal senatore GiuseppeVacca (maggio 1870) e poi dal Ministro Gio-vanni De Falco (novembre 1871), il 3 ottobre1873 il Guardasigilli Paolo Onorato Vigliani ri-tenne opportuno venire incontro - «nei limiticonsentiti al potere esecutivo» - alle esigenze piùurgenti e fece firmare al Re un decreto colquale, oltre a qualche innovazione nella proce-dura burocratica, si ammetteva che i giudici

inamovibili di tribunale non consenzienti alproprio trasferimento potessero quanto menoessere sentiti di persona o per iscritto «sui motividel provvedimento»; che i giudici d’appello po-tessero esprimere le loro ragioni, sulle qualiavrebbe poi dato parere la sezione civile dellaCorte di Cassazione con l’intervento del Procu-ratore Generale; che, infine, altrettanto potes-sero fare i magistrati di Cassazione, il cuitrasferimento coatto doveva avvenire solo die-tro parere favorevole della corte di apparte-nenza. Inoltre, tutte le decisioni inerenti allacarriera dei giudici inamovibili dovevano es-sere precedute da «ponderate e motivate» propo-ste fatte da una Commissione composta dalprimo Presidente, dal Procuratore Generale edal Presidente di sezione anziano (o, in suamancanza, dal consigliere anziano) della cortedel distretto dove il posto si fosse reso vacante,cioè dai tre magistrati più idonei, per la loro po-sizione gerarchica, «a far conoscere ed apprezzarele qualità, i titoli e le attitudini di ciascun Funzio-nario, e ad illuminare il Governo sulle vere esigenzedel servizio della giustizia nelle diverse parti delRegno»: con ciò il Guardasigilli riteneva che,

Giuseppe Zanardelli

Page 39: 3 2012

38

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

senza togliere al governo «la libertà di scelta ine-rente alla sua responsabilità», si sarebbero evitate«arbitrarie o inconsulte disposizioni» dell’esecu-tivo.

Secondo la testimonianza di Giuseppe Mi-rabelli, il decreto Vigliani trovò nel complessobuona accoglienza sia presso la magistraturache presso l’opinione pubblica, anche se nonmancarono voci discordanti.

In ogni caso, la Destra non si spinse oltre sultema dell’inamovibilità e la Sinistra, appena sa-lita al potere, nel 1876, ordinò il trasferimentodi un cospicuo numero di Procuratori Generalie di un primo Presidente di corte d’appello.

Ciò provocò le interpellanze del deputatoDonati e dello stesso senatore Vigliani, i qualiaffacciarono dubbi sull’opportunità dei trasfe-rimenti operati e sulla loro eventuale motiva-zione politica, non legata all’utilità del servizio.

In risposta, il Ministro Pasquale StanislaoMancini, oltre a ribadire la «convenienza» deiprovvedimenti adottati, si soffermò sul pro-blema della legalità del decreto del 3 ottobre1873 e della sua possibile incostituzionalità,non sembrandogli ammissibile che un semplicedecreto potesse abrogare o modificare l’art. 199della legge sull’ordinamento giudiziario (cheperaltro era stata anch’essa emanata in formadi decreto, sia pure su delega del legislativo),né tanto meno che potesse essere consideratocome un’interpretazione autentica dello Sta-tuto, interpretazione che era prerogativa speci-fica del legislativo e non poteva certo essereaffidata ad un Ministro.

Il decreto del Vigliani era, a suo avviso, sem-plicemente un vincolo che il suo predecessoreaveva imposto a se stesso e, come tale, non ob-bligava i Ministri successivi, i quali potevanoeluderlo e basarsi unicamente sulla legge del1865, usando tutte le facoltà che essa conferivaloro.

Nonostante queste considerazioni, il Man-cini non abrogò il decreto del 1873; predispose

invece un disegno di legge che, presentato allaCamera il 15 giugno 1877, non ebbe però alcunseguito.

Alla revoca del decreto Vigliani provvide,all’inizio del 1879, il Guardasigilli Diego Tajani,il quale, nella relazione al Re, spiegava chel’aver affidato l’iniziativa di nomine, promo-zioni e trasferimenti del personale giudicantealla Commissione istituita presso ciascunacorte alimentava, da un lato, il pernicioso re-gionalismo che già caratterizzava la magistra-tura italiana, e intralciava, dall’altro, con inutiliritardi «il retto e celere andamento dell’amministra-zione giudiziaria», in quanto impediva al Mini-stro di esercitare la facoltà che l’art. 199 dellalegge sull’ordinamento giudiziario gli confe-riva, quella, cioè, di agire prontamente anchesui magistrati inamovibili per sopperire allemolteplici e svariate esigenze del servizio.Posto che ciascuna corte locale non poteva co-noscere le condizioni del personale delle altrecorti, «né i titoli e i meriti dei Magistrati» non ap-partenenti al proprio distretto, l’iniziativa do-veva per forza – secondo il Tajani - spettare «alMinistro della Giustizia come il solo che, posto acapo di tutta la Magistratura del Regno, è vera-mente in grado di conoscere e valutare i bisogni e lecondizioni dei vari corpi giudiziari ed i meriti com-parativi dei magistrati». In ogni caso, le facoltàconcesse dalla legge al potere esecutivo sul per-sonale giudiziario non dovevano essere smi-nuite finché la magistratura non avesse«conseguito il suo migliore e definitivo assetto» efosse «costituita sulle solide basi della universaleconsiderazione, spintavi da un superiore concettounificatore».

Prima di ottenere la firma di Umberto I, ilTajani, probabilmente immaginando le reazioninegative che il provvedimento avrebbe potutosuscitare, si premurò di richiedere «contro ogniconsuetudine» il parere del Consiglio di Stato.L’illustre consesso, peraltro, evitò di pronun-ciarsi sull’opportunità del provvedimento, li-

Page 40: 3 2012

39

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

mitandosi ad avallare le valutazioni del Mini-stro e confermando la legittimità dell’abroga-zione di un decreto mediante un successivodecreto, laddove intervenissero «gravi ragioni»e la «necessità di meglio provvedere alle esigenze diun pubblico servizio».

Alla Camera dei Deputati, comunque, nonsi registrarono proteste di rilievo: anzi, a dettadel professor Adeodato Bonasi, la «restaurazionedell’arbitrio ministeriale […] passò quasi inosser-vata» e, secondo la testimonianza del Mirabelli,si manifestò addirittura «una nuova scuola, cheplaudendo alle opinioni del Ministro e andando in-nanzi a lui, considerava l’ordine giudiziario comeuna dipendenza del governo, sotto il sindacato delparlamento, al pari di qualunque amministrazionedello Stato».

Viva disapprovazione per la revoca del de-creto Vigliani fu espressa invece dalla rivistamilanese Monitore dei tribunali: non si vedevanoparticolari inconvenienti in quella che il Tajanideprecava come regionalizzazione della magi-stratura, «perché la cognizione dei titoli dei funzio-nari è certo più naturale che si abbia dai capi dellemagistrature locali, che non da quello dell’Ammini-strazione centrale»; d’altra parte non si condivi-deva con il Ministro l’idea che «le esigenze veree oneste del servizio» richiedessero «ad ogni istantemisure draconiane» da adottare con ineludibileurgenza. Nient’affatto rassicuranti, poi, eranogiudicate le intenzioni che il Tajani faceva tra-sparire da una circolare il cui testo veniva ri-prodotto in calce alla nota redazionale: se, daun lato, si garantiva ai magistrati che si sareb-bero tenuti in gran conto i rapporti, i ragguaglie le proposte di rimpiazzo dei posti vacanti edei movimenti richiesti dai bisogni del servizio,come pure le raccomandazioni relative a fun-zionari distintisi per «dottrina, operosità, zelo econdotta», dall’altro, si avvertiva: «Solo perquanto riguarda le residenze da assegnare ai funzio-nari riuscirà talvolta difficile di seguire i suggeri-menti delle SS. LL. Ill.me, perché, come avranno

letto nella relazione a S.M. […], tale assegnazionedeve essere guidata da un concetto di ordine supe-riore».

Partendo da questi presupposti, il Guarda-sigilli approfittò senza molti scrupoli della re-cuperata libertà di movimento: ci informa,infatti, il Mirabelli che nei primi sei mesi del1879 dieci alti magistrati furono collocati a ri-poso d’ufficio e centoventidue furono trasferiti:in particolare, quarantadue per misure discipli-nari e ventisette «solamente per effetto di lunghis-sima dimora, che avea resa sospetta la loropermanenza in una data sede».

Per altri centoventidue il trasferimento av-venne mediante promozione: centoquattordicidi costoro si spostarono in regioni diverse daquelle in cui risiedevano, «talché [...] duecentoun-dici magistrati o per punizione o per premio, furonocambiati di regione».

Movimenti di tali dimensioni non pote-vano non suscitare malcontento, tanto che lostesso Tajani fu indotto a preparare un pro-getto di legge volto a garantire «la magistraturadagli errori e dagli arbitri del governo» in materiadi «tramutamenti», ma non ebbe il tempo dipresentarlo alle Camere.

Fu invece Tommaso Villa, divenuto Ministronel novembre 1879, a intraprendere nuove ini-ziative.

Pochi giorni dopo la nomina, in un discorsotenuto alla Camera, egli spiegava anzitutto che,pur non disapprovando la decisione del suopredecessore di abrogare un decreto comunqueinsufficiente a tutelare i diritti dei magistrati, in-tendeva disciplinare con una legge il problemadell’inamovibilità e le attribuzioni del potereesecutivo in materia; ma, essendo tale legge dif-ficilmente varabile in tempi brevi a causa del-l’importanza e della complessità degli interessiin gioco, riteneva opportuno istituire nell’im-mediato una Commissione consultiva che coa-diuvasse le sue decisioni su «nomine, promozionie tramutamenti» del personale giudicante.

Page 41: 3 2012

40

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

Teneva anche a precisare che una simileCommissione non l’avrebbe assolutamente sot-tratto alla responsabilità conferitagli dallalegge, ma avrebbe contribuito, con i pareri «diseri, di probi, ed onesti magistrati», ad «illuminare»la sua coscienza nell’esercizio del «terribile po-tere», inducendolo a scelte rispettose non solodegli interessi particolari dei singoli giudici, maanche dell’interesse generale dei cittadini: «iodubito troppo di me per non credere di poter caderein qualche errore, e come quest’errore potrebbe spar-gere la desolazione nelle famiglie, l’amarezza nelcuore di un onesto magistrato e gettare lo scredito ela sfiducia su persone che devono rendere grandi ser-vigi all’amministrazione della giustizia, io non credodi mancare al mio dovere circondandomi di quellemaggiori cautele che valgano ad allontanare da meil pericolo di errare».

Pur confermando il ruolo essenziale dellaprerogativa dell’inamovibilità per consentire aigiudici di mantenersi pienamente imparziali,non disconosceva l’opportunità della disposi-zione dell’art. 199, che permetteva di ordinaretrasferimenti d’ufficio «per l’utilità del servizio»laddove si creassero particolari condizioni«d’interessi, di aderenze, di rapporti per i quali lapermanenza di un magistrato in una determinatalocalità invece di giovare nuoccia alla retta ammini-strazione della giustizia» oppure quando «l’operadi un magistrato può tornare più profittevole ed ef-ficace in altra sede»; sottolineava altresì l’impor-tanza dell’ordine gerarchico nel corpogiudiziario e del «potere censorio che le autoritàpiù elevate devono esercitare di fronte alle inferiori».Ciò che destava invece forti perplessità e cheaveva dato adito a «lunghe contese» era la pienadiscrezionalità lasciata al Ministro della Giusti-zia nella valutazione delle «utilità del servizio»:ad essa occorreva porre subito dei limiti conl’istituzione di una Commissione di cinque altimagistrati della Corte di Cassazione di Roma(uno dei quali rappresentante della Procura

Generale), eletti annualmente con voto segretodalla Corte stessa (la quale era per legge depo-sitaria dell’«alto esercizio del potere disciplinare»)riunita in assemblea generale per l’inaugura-zione dell’anno giudiziario. Riservandosene lapresidenza, il Ministro dichiarava che la sua in-tenzione non era quella di circoscriverne la li-bertà, ma di poter «assistere alle sue adunanze,dare ragione delle sue proposte, porgere schiarimentie rendere così più facile e spedita l’opera sua; ché es-sendo ufficio della Commissione quello unicamentedi consigliare, meglio si svolge e si completa collaforma più semplice della discussione, che non colleformali deliberazioni».

Unitamente alle domande di avanzamentoo trasferimento, la Commissione riceveva le in-formazioni dei capi di collegio e dei funzionaridel Pubblico Ministero, ma aveva facoltà dichiedere integrazioni di notizie e ragguagli tra-mite il Ministro. Alle sedute poteva essereanche invitato il direttore della divisione delpersonale giudiziario «per dare schiarimenti, edanche per riferire sugli oggetti di cui fosse stato spe-cialmente incaricato». Nell’idea del Villa, i magi-strati membri della Commissione avrebberoesercitato una funzione di rappresentanza ditutta la categoria e sarebbero stati resi partecipidei criteri ispiratori dell’azione del governo«nell’esercizio di un potere che, mantenuto al disopra di ogni questione di partito, non ha altro scopoche di rafforzare nella pubblica coscienza il rispettodella giustizia, e di coloro che ne sono i fedeli mini-stri».

Dell’abrogato decreto del Vigliani una soladisposizione meritava – ad avviso del Villa – diessere reintrodotta: quella che accordava ai ma-gistrati cui fosse imposto un trasferimentosenza il loro consenso il diritto di far sentire leproprie ragioni, quanto meno per iscritto.

Al decreto reale del 4 gennaio 1880, istitu-tivo della Commissione (denominata Commis-sione consultiva per le nomine, promozioni e

Page 42: 3 2012

41

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

tramutamenti dei magistrati), seguì, il 27 gennaio,un decreto ministeriale contenente indicazionipiù dettagliate sulla procedura di elezione deimembri e sui modi di funzionamento delnuovo organo. In particolare, si specificava chela Commissione poteva essere convocata dalMinistro ogni qualvolta lo esigessero «le ragionidel servizio»; che ciascun membro dovevaesporre individualmente, «con o senza motiva-zione», il proprio parere sulle proposte di nomina,promozione o trasferimento; che non doveva compi-larsi alcun verbale «dei pareri e dei motivi manife-stati»; che, qualora si ritenesse opportunosentire di persona un magistrato per il qualefosse proposto un trasferimento contro la suavolontà, si dovevano stabilire il giorno e l’oradell’udienza: in tal caso, il magistrato avrebbepotuto esporre a voce le sue ragioni e ogni com-ponente della Commissione avrebbe potutoporgli «tutte le interrogazioni che egli crederà con-venienti, ed esaminare i documenti che si riferisconoal suo stato di servizio».

Pertanto, i giudici sul cui capo pendesse untrasferimento d’ufficio avrebbero potuto pero-rare la propria causa in un colloquio direttosolo se la Commissione avesse deciso di con-vocarli: diversamente, si sarebbero dovuti limi-tare a una difesa scritta. Ma gli aspetti delledisposizioni ministeriali che furono più criticatierano, da un lato, la non obbligatorietà dellamotivazione sia per i pareri dati dai singolimembri, sia per la decisione del Ministro diver-gente da tali pareri e, dall’altro, l’assenza diverbale delle riunioni (evidentemente finaliz-zata – come rimarcava il Bonasi - a non lasciaretracce «della inanità alla quale erano predestinati ivoti dei consultori»).

Il Villa dimostrò ben presto di voler eserci-tare con molto rigore la sua funzione di sorve-glianza e di controllo, come si evince anche daltono perentorio e intransigente di una circolareemessa quattro giorni dopo il decreto ministe-riale ora esaminato. Alle richieste di aumento

di personale pervenute da alcuni presidenti ecapi del pubblico ministero per far fronte allaimponente mole di cause arretrate, il Ministrorispondeva dichiarando di aver individuatodue cause principali di inefficienza: una voltarimosse quelle, il numero di consiglieri e giu-dici in servizio sarebbe stato adeguato al caricodi lavoro.

La prima di tali cause era data dai giudiciche «stanchi ora per la tarda età ed affranti da inco-modi di salute lasciano per la maggior parte del-l’anno deserti i loro stalli»: la benevola tolleranzadimostrata dai capi dei loro collegi, se umana-mente poteva essere comprensibile in quantodettata da un «generoso sentimento di riverenza edi pietosi riguardi», finiva per scontrarsi con le«imponenti ragioni del pubblico interesse» e con i«diritti dei più giovani ed operosi magistrati che ve-dono per tal fatto arrestato, o quanto meno impeditoil libero corso della loro carriera».

A questa causa se ne aggiungeva una assaipiù grave e dannosa: «i vuoti che si lasciano nellefile della Magistratura, frequenti, numerosi ripetutiper le assenze abusive, per i congedi ingiustificati,per le licenze, le proroghe che ogni giorno si consen-tono con soverchia larghezza».

Per far cessare questo stato di cose, il Guar-dasigilli ordinava che entro due mesi i capi dicollegio e i rappresentanti del pubblico mini-stero gli trasmettessero l’elenco dei magistratida essi dipendenti segnalando quelli che nonfossero più in grado di svolgere conveniente-mente le proprie funzioni: l’inottemperanzaall’ordine e qualunque dichiarazione dei capidi collegio o dei rappresentanti del pubblicoministero che mirasse a sottrarre il magistratoincapace di assolvere ai propri doveri alle con-seguenze stabilite dagli artt. 203 (dispensadall’impiego) e 207 (provvedimenti discipli-nari) della legge sull’ordinamento giudiziario,sarebbe stata considerata come un’«offesa ai do-veri d’uffizio» meritevole delle sanzioni stabilitedalla legge sull’ordinamento giudiziario (am-

Page 43: 3 2012

monizione, censura, riprensione, sospensionedall’ufficio o dallo stipendio).

Quanto poi agli allontanamenti dalla sede,il Villa ne ribadiva il divieto, salvo che interve-nisse il permesso delle autorità superiori, ilquale peraltro poteva essere legittimamenteconcesso solo «nei casi eccezionali di urgentissimibisogni di salute, o di famiglia constatati da certifi-cati e da documenti» e il periodo di assenza an-dava comunque computato nelle vacanzeferiali a termini dell’art. 53 del regolamento ge-nerale giudiziario.

Con riguardo ai “tramutamenti”, nessun ri-tardo all’insediamento nella nuova sede sa-rebbe stato tollerato «tranne che per gravi egiustificati motivi di salute o di famiglia»; le richie-ste di trasferimento dovevano essere «indispen-sabilmente» motivate «da ragioni di servizio o daincompatibilità locali»; tutte le altre, miranti adun miglioramento di sede o ad un avvicina-mento ai luoghi nativi, sarebbero state prese inesame solo dopo una permanenza di almenodue anni in una determinata residenza. Infine,le domande sia di promozione che di trasferi-mento non trasmesse in via gerarchica sareb-bero state considerate come non presentate.

La riduzione degli spostamenti del perso-nale giudicante – sottolineava ancora il Mini-stro - avrebbe, tra l’altro, giovato alle finanzedello Stato «pel diminuito numero d’indennità ditrasferta, e per quelle di supplenza».

Malgrado le minacciate sanzioni, le segna-lazioni dei capi di collegio e dei rappresentantidel pubblico ministero riguardanti i loro colle-ghi «inabili» tardavano ad arrivare, sicché ilVilla diramò una nuova circolare (14 marzo1880) sollecitando l’adempimento dei suoi or-dini e avvertendo che, in caso di disobbe-dienza, sarebbe ricorso «a più gravi disposizioni».I destinatari delle sue istruzioni non dovevanopreoccuparsi di accertare se concorrevano op-pure no gli estremi stabiliti dalla legge sull’or-

dinamento giudiziario per la rimozione dal-l’impiego o per la destituzione: nel riferire ifatti, dovevano ispirarsi «alle severe prescrizionidella loro coscienza» e bandire «dal loro cuore ognisentimento che non sia quello del rigoroso loro do-vere», poiché per mantenere la dignità e il pre-stigio della magistratura era indispensabileavere dei giudici che potessero «adempiere ret-tamente al loro dovere»; dal canto suo, il Ministrosi impegnava a ricavare dai dati raccolti e a il-lustrare, nei riassunti dei resoconti bimestrali,il numero delle udienze cui ciascun giudiceaveva partecipato negli ultimi due anni nonchéil numero delle sentenze stese.

In nome del prestigio della magistratura,dunque, il Villa giungeva perfino a dispensaredalla verifica della sussistenza dei presuppostirichiesti dalla disciplina vigente per l’adozionedi provvedimenti che incidevano in modoestremamente drastico sulla vita e sulla carrieradei giudici.

Negli anni successivi, la Commissione con-sultiva subì varie modifiche, sia nella compo-sizione che nelle funzioni, ad opera deiGuardasigilli, che cercavano di placare le criti-che e di ovviare ai problemi che via via si pre-sentavano. Con Pessina, alla fine del 1884, lapresidenza passò dal Ministro (il quale, peral-tro manteneva il diritto di convocazione) ad unmembro della Commissione eletto nel suostesso seno; inoltre, ai componenti effettivi fuaggiunto, in qualità di segretario, un consi-gliere di Corte d’appello, che rimaneva tempo-raneamente dislocato presso il Ministero.

Il numero dei componenti fu più volte ritoc-cato, fino ad arrivare, nel 1905 con ScipioneRonchetti, a ventiquattro, con l’inclusione, inqualità di membri di diritto, dei magistrati cheavevano un grado gerarchico nella Corte diCassazione di Roma. Le cariche di segretario edel suo vice (introdotto, quest’ultimo, da Za-nardelli nel 1890) furono abolite da Gianturco

42

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

Page 44: 3 2012

43

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

nel 1900, per evitare che costoro svolgesserola maggior parte del lavoro, ma Cocco-Ortunel 1901 provvide a ripristinarle.

La procedura dei trasferimenti d’ufficio furitoccata nel 1897 da Giacomo Costa, il qualeimpose alla Commissione l’obbligo di invitareil giudice inamovibile a esprimere per iscrittoi motivi del suo dissenso (o, se ritenuto oppor-tuno, di interrogarlo a voce), ammettendo, co-munque, che la domanda o il consenso altrasferimento potessero risultare «anche da di-chiarazione verbale, venuta direttamente o indiret-tamente a cognizione del Ministero».

Nel frattempo, le critiche e le discussionisulla composizione, sul funzionamento e per-fino sulla stessa esistenza della Commissionenon cessavano, sia in Parlamento, sia nellastampa, sia nel corpo giudiziario.

Un giurista di indubbia autorevolezza,quale fu Ludovico Mortara, ad esempio, nel1903 auspicava l’abolizione della Commis-sione, che – a suo dire – solo in apparenza svol-geva una funzione semplicemente consultiva,poiché la complessità e la solennità delle pro-cedure e l’elevatissimo grado dei suoicomponenti finivano per condizionare irrime-diabilmente il giudizio del Guardasigilli; co-stui, infatti, non poteva non sentirsi obbligatoa seguirne il parere per evitare di incorrere nel-l’accusa «di arbitrio, e peggio, di favoritismo».

Da consultiva, dunque, la funzione dellaCommissione diveniva, in buona sostanza,deliberativa, senza che ad essa corrispondesseun’adeguata responsabilità: tutto ciò provo-cava, di conseguenza, l’irresponsabilità delMinistro.

Consapevole, comunque, del fatto chemolto difficilmente la completa abolizione sa-rebbe stata attuata, il Mortara chiedeva per lomeno la modifica dei criteri di composizione,la diminuzione delle attribuzioni e una razio-nale restrizione della funzione consultiva, inmodo da ripristinare la libertà di decisione del

Ministro e la sua piena responsabilità di fronteal parlamento: «So di poter affermare con veritàche il funzionamento della Commissione consul-tiva è una catena al piede del Ministro ed è unacausa di gravissimo malcontento e di sconforti pro-fondi fra i magistrati. […] Se si potesse bandire unplebiscito, o referendum che dir si voglia, fra i ma-gistrati, sono certo che la grandissima maggio-ranza ne voterebbe l’abolizione».

Tre anni più tardi, però, lo stesso Mortara,divenuto Consigliere di Cassazione e nomi-nato membro della Commissione, nella terzaedizione del suo volume «Istituzioni di ordina-mento giudiziario», esprimeva un’opinionealquanto diversa, riconoscendo che l’obbliga-torietà del giudizio della Commissione con-sultiva era «un piccolo freno all’arbitrio» delMinistro, al quale rimaneva «una certa lar-ghezza di potere»; egli esortava, in ogni caso,ad uno studio attento del sistema, che andava«migliorato nei limiti del possibile».

Al fine di placare proteste e malumori, al-l’inizio del 1904 il Ronchetti decise di esten-dere l’elettorato attivo a tutte le Corti diCassazione, fermo restando l’elettorato pas-sivo ai soli membri della Cassazione romana:il coinvolgimento di tutti i componenti delleCorti supreme nella scelta avrebbe accre-sciuto, secondo lui, il prestigio e l’autoritàdella Commissione non solo di fronte al go-verno e all’opinione pubblica, ma pure difronte alla magistratura nel suo insieme, che,in certo qual modo resa partecipe dell’ele-zione, sarebbe stata «proclive a tributare mag-giore ossequio» ai pareri della Commissionestessa; d’altra parte, anche i commissari,espressi da un elettorato così ampio e autore-vole, avrebbero più fortemente avvertito la re-sponsabilità del loro operato.

L’elettorato passivo fu esteso ai consiglieridella Cassazione romana a riposo, purché fos-sero domiciliati nella capitale e non esercitas-sero la professione legale: in tal modo, si

Page 45: 3 2012

44

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

ammetteva l’introduzione nell’organico dellaCommissione di persone autorevoli e libere dapressanti impegni di lavoro.

Nel luglio successivo venne emanata unalegge in cui si prevedeva l’obbligatorietà delparere della Commissione in caso di sposta-menti temporanei di giudici ordinati con de-creto reale e dovuti a circostanze straordinarie.

Fin qui, dunque, malgrado l’elaborazione dinumerosi disegni di legge e sempre in attesa diuna riorganizzazione più radicale dell’appa-rato giudiziario, tutte le riforme relative agliavanzamenti di carriera e ai trasferimenti deimagistrati erano rimaste fuori dalla sferad’azione del legislativo, mantenendo un carat-tere di precarietà in dipendenza dei diversi in-dirizzi seguiti dai singoli ministri, i qualiricoprivano l’autorevole carica per brevi o ad-dirittura brevissimi periodi.

Il sospirato approdo ad una soluzione legi-slativa si ebbe solo con il Guardasigilli VittorioEmanuele Orlando, che riuscì a dare una disci-plina più stabile alla materia ottenendo in par-lamento il varo di due leggi, emanate adistanza di un anno l’una dall’altra.

La prima, del 14 luglio 1907, basata sostan-zialmente sui precedenti progetti di Zanardellie di Gallo, apportava notevoli innovazioni al-l’organizzazione giudiziaria e, tra l’altro, devol-veva i compiti della Commissione consultivaad un nuovo organo: il Consiglio Superioredella Magistratura. La seconda, del 24 luglio1908, regolamentava accuratamente l’inamovi-bilità (estesa anche ai pretori, ormai assimilatiai giudici di tribunale) e le procedure discipli-nari.

La composizione del Consiglio Superioredella Magistratura presentava notevoli affinitàcon quella della Commissione consultiva: aidue membri di diritto - il primo Presidentedella Corte di Cassazione di Roma (cui spet-tava la presidenza) e il Procuratore Generalepresso la stessa Corte – si aggiungevano nove

membri elettivi designati dalle cinque Corti diCassazione del Regno e nominati dal Ministro,e altri nove nominati con decreto reale delibe-rato in Consiglio dei Ministri su proposta delGuardasigilli e scelti tra i magistrati giudicantie requirenti di grado non inferiore a quello diprimo presidente di corte d’appello, nonché trai magistrati collocati a riposo che avessero rive-stito un grado pari a quello di primo presidentedi corte d’appello. Quattro membri supplentierano designati dalle Corti di Cassazione.

Le funzioni di segretario erano svolte da unConsigliere della Corte d’appello di Roma no-minato dal Ministro.

Come per la Commissione consultiva, lasede del Consiglio Superiore era presso il Mi-nistero di Grazia e Giustizia e la convocazionespettava al Ministro, sia per le adunanze ple-narie che per quelle di ciascuna delle due se-zioni in cui il Consiglio stesso andava diviso.

Quanto poi alle attribuzioni, esse erano piùestese di quelle della Commissione consultiva,pur essendo in parte simili: in particolare, ilConsiglio esercitava un ruolo più marcato nellepromozioni per merito alle cariche elevate(escluse, tuttavia, quelle di vertice, che rimane-vano appannaggio dell’esecutivo).

Nella successiva legge 24 luglio 1908 si san-civa con chiarezza che la garanzia dell’inamo-vibilità, oltre ad essere estesa a tutti i giudici(quindi anche ai pretori) dopo tre anni di eser-cizio, non era limitata al grado e allo stipendio,ma comprendeva pure la sede, e che i trasferi-menti d’ufficio potevano essere ordinati unica-mente «nei casi previsti dalla legge e secondo leforme dalla medesima prescritte».

Cadeva quindi finalmente l’ambigua clau-sola dell’«utilità del servizio», la quale aveva con-sentito ai Ministri di disporre trasferimenti conun amplissimo potere discrezionale: il marginedi manovra lasciato all’esecutivo era ora disci-plinato dal legislatore, che, all’art. 3, attribuivaal Ministro il potere di trasferire i giudici lad-

Page 46: 3 2012

45

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

dove sussistessero alcune cause d’incompati-bilità, dovute a parentela o affinità con avvo-cati o procuratori esercitanti la professionenella stessa circoscrizione o nello stesso di-stretto oppure con altri magistrati apparte-nenti al medesimo collegio o corpogiudiziario.

Se poi un magistrato, per qualche motivoanche indipendente da sua colpa, non era ingrado, nella sede in cui si trovava, di ammini-strare la giustizia «nelle condizioni richieste dalprestigio dell’ordine giudiziario», lo spostamentoad altra sede poteva essere ordinato con de-creto reale preceduto dal parere di una se-zione speciale del Consiglio Superiore dellaMagistratura «eletta dal Consiglio stesso in adu-nanza plenaria e composta di membri residenti inRoma».

La genericità del criterio del «prestigio del-l’ordine giudiziario» apriva il varco a possibiliarbitrî, ma il parere della sezione speciale delCSM e l’intervento del sovrano, che emanavail decreto, costituivano un freno alla discrezio-nalità dei Guardasigilli.

Nel complesso, le riforme fatte varare daOrlando attenuavano le interferenze dell’ese-cutivo sulla carriera dei magistrati, ma non leeliminavano. Del resto, l’obiettivo perseguitodal Ministro non era la piena autonomia dellamagistratura, come risulta dalle parole da luipronunciate a conclusione della discussionegenerale in parlamento sul primo dei due pro-getti di legge. Egli aveva affermato, infatti, diessersi ispirato all’orientamento che vedevanella magistratura «un servizio pubblico, anzi ilpiù cospicuo dei servizi pubblici, che come tale do-veva essere sotto un controllo continuo sia dellapubblica opinione che dei poteri pubblici», e nonalla concezione «che faceva della magistratura uncorpo autonomo, rigidamente chiuso in se stesso ecapace di trovare in sé tutti gli impulsi e tutti ifreni». Seguendo una simile direttiva, avevasottoposto all’approvazione del legislatore un

sistema di norme per disciplinare lo status e lacarriera dei giudici in modo stabile, allo scopodi circoscrivere entro confini inequivocabili ilpotere del governo ed evitare che i singoli mi-nistri nei brevi periodi della loro carica ope-rassero mutamenti più o meno arbitrari delleregole esistenti mediante decreti e circolari.

Che questo fosse l’intento principale di Or-lando si evince chiaramente anche dal di-scorso pronunciato nella seduta inauguraledel Consiglio Superiore del 14 dicembre 1907.In tale occasione il Ministro, non senza unacerta enfasi, asseriva che «varie e profonde» dif-ferenze sostanziali separavano la discioltaCommissione, dotata di attribuzioni «monchee incomplete», dal Consiglio, nato come «orga-nismo autonomo e stabile, concorrente con azionecontinua al governo della magistratura»; ma ciòche andava sottolineato con particolare vigoreera la diversità formale che caratterizzava lagenesi dei due consessi: «Nata per atto del po-tere esecutivo, la Commissione restava quasi comeuna derivazione dell’autorità ministeriale: non fos-s’altro pel fatto che da questa dipendeva il suo as-setto, il suo ordinamento. Il quale non poteva esserepiù instabile, di guisa che impedì che si formasseuna forte e salda tradizione, che, nei corpi collettivi,è come la nobiltà, che “discende per li rami” e chequanto più vetusta, tanto più è autorevole e vene-randa».

Una simile connotazione «aristocratica»non si era potuta ottenere per la Commissioneconsultiva, che era stata oggetto di sette ri-forme in venticinque anni da parte dell’esecu-tivo: questo pericolo non incombeva più sulConsiglio, che derivava «non da volontà di go-verno, ma da autorità di legge»; di esso, definito«un nuovo e gagliardo ed eminente istituto», ilGuardasigilli decantava non soltanto la «vastae organica e completa composizione, nella qualetutta la magistratura d’Italia ha la sua rappresen-tanza», ma altresì «le funzioni che è chiamato adadempiere»; con la sua creazione prendeva

Page 47: 3 2012

46

Cro

nac

he

dell

a M

agis

trat

ura

forma «un intero sistema, che regola in manieracerta e sicura, che tutela di norme obiettivetutta la carriera del magistrato, in ogni suopasso, in ogni suo avanzamento».

Si colmava finalmente una lacuna dell’ordi-namento, nel quale, «in tanto moltiplicarsi di di-sposizioni legislative, che bene spesso si riferisconoad argomenti di importanza molto scarsa», man-cava «un diritto regolatore della carriera dei molte-plici organi, che il diritto amministrano».

Un passo importante era, dunque, statocompiuto, in quanto ogni modifica delle normein vigore sarebbe dovuta passare attraverso leassemblee legislative, ma la decantata stabilitàera ben lungi dall’essere raggiunta: solo treanni dopo le innovazioni di Orlando si ripresel’attività di progettazione. Il primo disegno dilegge, presentato al Senato il 31 gennaio 1911dal Ministro Cesare Fani, non fu discusso, men-tre il secondo, fatto elaborare nel giro di pochimesi dal Ministro Camillo Finocchiaro-Aprilesotto il governo Giolitti, sfociò nella legge 19 di-cembre 1912, n. 1311, che, oltre a rimaneggiarele modalità di nomina e di promozione dei ma-gistrati, ridisegnava la composizione del Con-siglio Superiore, del tutto privato di rap-presentanza elettiva.

Ai due membri di diritto (il primo Presi-dente della Corte di Cassazione di Roma e ilProcuratore Generale della stessa Corte) si ag-giungevano otto membri effettivi, tra cui duefunzionari del pubblico ministero, e quattrosupplenti residenti in Roma, tutti di grado noninferiore a quello di Consigliere di Corte diCassazione, sia in attività di servizio che a ri-poso, e tutti nominati con decreto reale su pro-posta del Guardasigilli, udito il Consiglio deiMinistri. Rimaneva la divisione in due sezioni,rispettivamente presiedute dai due membri didiritto.

Con queste disposizioni e con l’incrementodei poteri del Guardasigilli nella selezione delpersonale giudicante, si tornava ad accentuareil controllo del ministero sui magistrati e sullaloro carriera. Ora, però, grazie agli interventi diOrlando che avevano riportato la materia nel-l’alveo della legge, la riforma, pur voluta dal-l’esecutivo, era passata al vaglio e all’approva-zione del Senato e della Camera dei Deputati.

Si ritornava così al pieno rispetto della ri-serva di legge sull’organizzazione giudiziariastabilita dall’art. 70 dello Statuto albertino.

Page 48: 3 2012

47

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

Premessa storica

L’adozione è un istituto giuridico noto aipiù antichi popoli, giuridicamente discipli-nato già presso i Babilonesi1, e, successiva-mente, presso gli Ebrei ed i Greci.

L’istituto trova nel diritto romano una suasistematizzazione per offrire, a chi non avevadiscendenza propria, la possibilità di tra-mandare il cognome e il patrimonio.

Tale rapporto non escludeva tuttavia i le-gami dell’adottato con la sua famiglia di ori-gine, poiché non intendeva sostituirsi alrapporto di filiazione di sangue, ma costi-tuire solo taluni effetti della filiazione, me-diante uno strumento giuridico.

Nel diritto romano esistevano almeno dueforme di adozione.

La prima era la così detta adrogatio, sicu-ramente la più antica poiché precedenteanche alla legge delle XII Tavole: mediantetale negozio giuridico, un pater familias si as-soggettava alla patria potestas di un altro paterfamilias divenendone filius familias. Origina-riamente l’adrogatio veniva utilizzata dalpater familias privo di propri discendenti percrearsi artificialmente un erede.

La seconda era l’adoptio, preordinata al-l’adozione di un filius familias, ossia di unsoggetto già sottoposto alla potestà del suopater familias originario: l’adottato uscivadalla famiglia originaria, perdendo ogni rap-

porto di parentela ed ogni diritto e doverenei suoi confronti; acquistava, invece, rap-porti di parentela e relativi diritti e doveri neiconfronti della famiglia dell’adottante.

Nel diritto giustinianeo si distinse traadoptio plaena ed adoptio minus quam plaena.

L’adozione piena era compiuta nei ri-guardi del filius in potestate, di un proprio di-scendente emancipato o di un propriodiscendente in linea femminile.

Comportava la capitis deminutio minimadell’adottato, il quale era del tutto equipa-rato, anche ai fini successori, ai filii dell’adot-tante.

L’adoptio minus quam plaena non era com-piuta dall’ascendente e non comportava nél’acquisto della patria potestas sull’adottando,né la perdita dei diritti successori di questonei confronti della sua famiglia di origine2.

Venendo a tempi più recenti, per quantoattiene alla legislazione italiana, già nel no-stro codice civile del 1865, per costituire ilrapporto affiliativo non era più sufficiente,come nel diritto romano, un semplice atto diautonomia privata, ma si richiedeva un pro-cedimento peculiare, di natura pubblica.

Con l’avvento del nuovo codice, nel 1942,la funzione dell’istituto rimase sostanzial-mente identica, pur con l’estensione dell’am-bito di applicazione ai minori di età.

Infatti, il minore, nella legislazione del-l’epoca, conservava ancora intatti i rapporti

Il diritto dei minori ad avere una famiglia:l’adozione

Marina MeucciAvvocato Civilista e Rotale

Page 49: 3 2012

48

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

con la famiglia di origine, con evidente conse-guente ostacolo ad un suo effettivo inseri-mento nella nuova famiglia.

Il principio della sostituzione di una fami-glia legale a quella naturale, fu sancito attra-verso l’istituto dell’adozione speciale con lalegge n. 431 del 5 giugno 1967: l’adozione ini-ziava pian piano ad essere uno strumento perdare una famiglia a chi non ne avesse una.

Con la legge del 29 maggio 1975 n. 151 e,ancor di più, con la legge 4 maggio 1983, n.184 “Disciplina dell’adozione e dell’affido fami-liare”, l’istituto dell’adozione venne inqua-drato in modo completamente diverso.

Con la legge n. 467 del 31 dicembre 1998,relativa all’adozione dei minori stranieri e conla legge n. 149 del 28 marzo 2001, e successivemodifiche, si è completato l’assetto odierno.

La portata più significativa è l’afferma-zione del principio di sussidiarietà: il dirittodel minore di crescere ed essere educato nellapropria famiglia, alla quale, se in difficoltà,Stato, regioni ed Enti Locali sono tenuti ad as-sicurare aiuto e sostegno3.

E ciò è in linea con la legge 8 novembre2000, n. 328, “legge quadro per la realizzazione delsistema integrato di interventi e servizi sociali”, ilcui articolo 1 prevede, infatti, che la Repub-blica assicuri alle persone e alle famiglie un si-stema integrato di interventi e servizi sociali;promuova interventi per garantire pari oppor-tunità, non discriminazione e diritti di cittadi-nanza; prevenga o riduca le condizioni didisabilità, di bisogno e di disagio individualee familiare, derivanti da inadeguatezza di red-dito, difficoltà sociali e condizioni di non au-tonomia.

I vari istituti giuridici e gli interventi dellapubblica Autorità4, a tutela del minore e dellasua famiglia, possono essere indicati comeforme per realizzare il diritto all’educazionedel minore.5

Da citare obbligatoriamente è la previsione6

che i compiti dei genitori incapaci debbano co-munque essere altrimenti assolti, e che deb-bano essere favoriti gli istituti necessari allaprotezione dell’ infanzia e della gioventù.7

L’adozione internazionale prima della Con-

venzione dell’Aja del 1993

Si può a buon ragione affermare che, se siverificano tante unioni felici tra bambini instato di abbandono e coppie con l’aspirazionea prendersi l’impegno di mantenere, istruireed educare un figlio, almeno in parte, è permerito della “Convenzione sulla protezionedei minori e sulla cooperazione in materia diadozione internazionale” stipulata a l’Aja il 29maggio 1993.

All’epoca della progettazione del testodella Convenzione, ci si trovava, infatti, ad as-sistere ad un fenomeno, progressivamente cre-scente, che sconcertava per la sua immoralitàe per l’enorme diffusione che aveva: ci si rife-risce alla prassi per i Paesi ricchi di sopperirealla propria sterilità ed al proprio basso tassodi natalità, con il prelievo di bambini dei Paesipiù poveri.

Parliamo crudamente di “prelievo”, perchédietro il concetto di adozione si celava in re-altà, molto spesso, un illegittimo sradica-mento dei bambini dalle loro famiglie, dallaloro terra, dalle loro origini, previo prezzola-mento sia delle loro famiglie poverissime e,troppo spesso, anche di improbabili media-tori.

Si può affermare che mancava una “culturadell’adozione”.

Attraverso un vero e proprio mercatoumano, invece, si cercava di rispondere ai bi-sogni di chi, non potendo avere un figlio na-turalmente, era disposto a pagare anche

Page 50: 3 2012

49

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

somme ingentissime per adottare un bam-bino straniero, non potendo accedere, per lemotivazioni più varie, all’adozione di unbambino della propria nazione; l’adozioneinternazionale era vista semplicemente comel’ultima spiaggia cui approdare per avere unfiglio.

È però fuori dubbio che la Convenzionedell’Aja del 1993 e le successive leggi di rati-fica hanno notevolmente contribuito a cam-biare le carte in tavola; si è colmato un vuotolegislativo nel quale albergavano sì onestioperatori che cercavano di perseguire loscopo di dare una famiglia a bambini abban-donati, ma anche tanti sfruttatori dell’uma-nità che, approfittando della povertà edell’ignoranza delle famiglie d’origine, die-tro corresponsione di danari (ben pochi da-nari, oltretutto), privavano i bambini dei lorogenitori, trovando loro collocazione pressofamiglie spesso inadeguate ad accoglierli.

Infatti, prima della Convenzione del ‘93 edelle relative leggi di ratifica, i coniugi cheavessero ottenuto il decreto di idoneità al-l’adozione internazionale, erano, in sostanza,lasciati soli: potevano recarsi all’estero, tro-vare il “loro” bambino e portarlo nel proprioPaese ove poi, attraverso una sentenza - sibadi, solo dopo un periodo di affidamentopre-adottivo (ad esempio un anno per la le-gislazione italiana) -, si sanciva l’adozionecon il conseguente status di figlio legittimo.

Le novità contenute nella Convenzione.

La Convenzione del 1993 ha stabilito che,in tutti gli Stati contraenti - sia Stati d’originesia Stati d’accoglienza - debbano essere isti-tuite delle Autorità Centrali che, in coopera-zione tra loro, assicurino la protezione deiminori, seguendo interamente l’iter delle

adozioni, dalla richiesta degli aspiranti geni-tori adottivi, all’abbinamento coppie/bam-bini, alla loro reciproca conoscenza.

Il principio cardine che informa la Con-venzione è: una famiglia per un bambino chene ha bisogno e non un bambino per una fa-miglia.

Il diritto ad avere un figlio non è mai statosancito da alcuna legislazione di alcun Paese.

È finalmente sancito, invece, il diritto diogni bambino ad essere allevato in una fami-glia che gli permetta di essere felice, amato,compreso, istruito ed educato.

La famiglia più consona a tale fine do-vrebbe essere quella d’origine: per questo gliStati aderenti alla Convenzione si impe-gnano “(…) ad adottare, con criterio di priorità,misure appropriate per consentire la permanenzadel minore nella famiglia d’origine”.

Il ricorso all’ adozione internazionaledeve essere residuale, per offrire cioè una fa-miglia a quei minori per i quali non può es-serne trovata una idonea nel proprio Stato d’origine: è il cosiddetto “Principio di sussidia-rietà”.

L’indicazione più significativa che tra-spare dalla lettura della Convenzione è chele adozioni internazionali si facciano nell’in-teresse superiore del minore e nel rispetto deisuoi diritti fondamentali, e che siano evitatela sottrazione, la vendita e la tratta dei mi-nori.

Ambito storico della Convenzione

Già da tempo il problema dei minori eravenuto alla ribalta nelle discussioni tra ipaesi cosiddetti “avanzati”.

Sulla scia (una scia lunga 20 anni) dellaConvenzione Internazionale dei Dirittidell’Uomo del 1968, il 20 novembre 1989, si

Page 51: 3 2012

50

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

firmava a New York, la “Convenzione sui di-ritti del fanciullo”8 che, tra la congerie di indi-cazioni che dava agli Stati per favorire latutela dei diritti dei, fino ad allora, “menoascoltati”, si occupava anche del tema scot-tante delle adozioni, ponendo i prodromi perla Convenzione che oggi studiamo e per unaserie di accordi internazionali successivi tracui ricordiamo la “Convenzione Europeasull’esercizio dei diritti del minore” del 1995.

L’articolo 20 della Convenzione sui dirittidel fanciullo del 1989 (resa esecutiva, in Italia,dalla legge 27 maggio 1991 n. 176), prevede,espressamente, che “ogni fanciullo il quale ètemporaneamente o definitivamente privato del suoambiente familiare oppure che non può essere la-sciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, hadiritto ad una protezione e ad aiuti speciali delloStato”9.

In particolare, riguardo all’adozione10, lastessa Convenzione del 1989 prevede che “gliStati parti che ammettono e/o autorizzano l’ado-zione, si accertano che l’interesse superiore del fan-ciullo sia la motivazione unica e fondamentale perl’adozione internazionale, e : a) vigilano affinchél’adozione di una fanciullo sia autorizzata solodalle Autorità competenti le quali verificano, inconformità con la legge e con le procedure applica-bili e in base a tutte le informazioni affidabili rela-tive al caso in esame, che l’adozione può essereeffettuata in considerazione della situazione delbambino in rapporto al padre e alla madre, genitorie rappresentanti legali e che, ove fosse necessario,le persone interessate hanno dato il loro consensoall’adozione in cognizione di causa, dopo aver ac-quisito i pareri necessari; b) riconoscono che l’ado-zione all’estero può essere presa in considerazionecome un altro mezzo per garantire le cure necessa-rie al fanciullo, qualora quest’ultimo non possa es-sere messo a balia in una famiglia, oppure in unafamiglia di adozione oppure essere allevato in ma-niera adeguata; c) vigilano, in caso di adozione al-

l’estero, affinché il fanciullo abbia il beneficio di ga-ranzie e di norme equivalenti a quelle esistenti perle adozioni nazionali; d) adottano ogni adeguatamisura per vigilare affinché, in caso di adozioneall’estero, il collocamento del fanciullo non diventifonte di profitto materiale indebito per le personeche ne sono responsabili; e) ricercano le finalità delpresente articolo, stipulando accordi o intese bila-terali o multilaterali a seconda dei casi, e si sfor-zano in questo contesto di vigilare affinché lesistemazioni di fanciulli all’estero siano effettuatedalle autorità o dagli organi competenti”.

Oggetto e scopo della Convenzione

Molti spunti offerti dalla Convenzione diNew York sono recepiti dalla Convenzioneper la tutela dei minori e la cooperazione inmateria di adozione internazionale, confezio-nata a L’Aja il 29 maggio 1993.11

L’articolo 1 della Convenzione fissa il pro-prio oggetto e scopo: 1) far sì che le adozioniinternazionali abbiano di vista essenzialmentel’interesse superiore del minore, nel rispettodei suoi diritti come riconosciuti nell’ambitodel diritto internazionale; 2) realizzare, tra gliStati contraenti, un sistema di cooperazioneossequioso dell’esigenza sopra indicata al finedi prevenire la sottrazione, la vendita o latratta dei minori; 3) assicurare il riconosci-mento, negli Stati contraenti, delle adozionirealizzate in conformità a essa.

Ambito di applicazione della Convenzione

La Convenzione in questione trova appli-cazione quando un minore, abitualmente re-sidente in uno Stato contraente (lo “Statod’origine”) debba trasferirsi presso altro Statocontraente (“Stato di accoglienza”) e concor-

Page 52: 3 2012
Page 53: 3 2012

52

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

rano altresì i seguenti, ulteriori, requisiti: il tra-sferimento sia preordinato all’adozione di taleminore da parte di coniugi, o di una personasingola12, residenti nello Stato di accoglienza(è irrilevante se l’adozione sia già intervenutanello Stato d’origine o se questa si perfezio-nerà esclusivamente nello Stato di acco-glienza); deve trattarsi di adozione tale dainstaurare - tra l’adottato e gli adottanti - un“legame di filiazione”.13

Non occorre, peraltro, che si realizzi, nelloStato d’origine e in quello di accoglienza unrapporto di filiazione “legittima” (come, adesempio, è espressamente previsto in caso diadozione di minori stranieri da parte di citta-dini italiani, salvo diversi patti bilaterali con ipaesi d’origine), ma è sufficiente che si realizziun rapporto che abbia le caratteristiche, speciequanto alla durata nel tempo, di quello di fi-liazione. Non si applicheranno, pertanto, lenorme della Convenzione in esame né in casodi affidamento provvisorio di un minore,presso una famiglia residente in un altro Stato,per i fini di istruzione, né in caso di inseri-mento del minore in una struttura non fami-liare; il consenso da parte delle persone,istituzioni e autorità, che nello Stato d’origineè richiesto per l’adozione, sia prestato allorchél’adottando non abbia ancora raggiunto il di-ciottesimo anno d’età.

Le condizioni per le adozioni internazionali

Qualsiasi rapporto di adozione coinvolgealmeno tre parti: da un lato (punto centrale)l’adottando, agli altri due estremi, da unaparte la famiglia d’origine del minore (intesain senso lato), dall’altra, gli adottanti14.

Perché un’adozione internazionale possaaver luogo, a norma della Convenzione stessa,è indispensabile che siano soddisfatte una

serie di condizioni, sia nello Stato d’origine,sia nello Stato d’accoglienza.

In merito alle condizioni che devono ricor-rere nello Stato d’origine, è necessario che leAutorità competenti nello Stato stesso (pos-sono essere queste, ovviamente, sia autoritàamministrative, sia giudiziarie, sia - come nonè raro verificare nella pratica - autorità conso-lari) verifichino che: 1) il minore è adottabile;2) l’adozione internazionale risponde al supe-riore interesse del minore, facendo difetto, nelsuo Stato d’origine, altre possibilità di affida-mento; 3) tutte le persone (genitori del minore,o - eventualmente - suoi rappresentanti legalie altri familiari), istituzioni e autorità che de-vono prestare il loro consenso - senza revo-carlo - per farsi luogo all’adozione (consensiche, in conformità alla legge vigente nel Paesed’origine, hanno reso il minore adottabile)hanno manifestato tale consenso nei modi ap-presso descritti: con piena cognizione di causa(cioè dopo essere state debitamente informatesulle conseguenze dell’adozione e sui suoi ef-fetti sulla famiglia d’origine ed essere state, al-tresì, adeguatamente consigliate nella scelta);in assoluta libertà (cioè non in forza di coa-zione, fisica o morale); nella forma scritta;senza aver ricevuto somme di danaro o altreutilità (e ciò, precipuamente allo scopo di su-perare la piaga del commercio dei minori);dopo la nascita del minore, nel caso di con-senso prestato dalla madre.

È importantissimo sottolineare quest’ul-timo concetto: si prevede che la madre prestiil proprio consenso all’adozione internazio-nale solo successivamente alla nascita dellapropria creatura.

Infatti non sempre ciò che la donna desi-dera prima del parto coincide con i suoi senti-menti dopo questo, specie nell’ipotesi in cuiabbia potuto vedere il proprio figlio.

Appunto per evitare scelte affrettate e non

Page 54: 3 2012

53

Avvo

catu

ra p

er l’

avve

nir

e

sufficientemente mediate, la Convenzionepretende che la donna rinunci al proprio figlio- dia cioè il consenso alla sua adozione daparte di sconosciuti, magari residenti all’altrocapo del mondo - solo dopo la sua nascita; chesiano tenuti (nell’ambito della procedura)nella dovuta considerazione, altresì, i desiderie le aspettative del minore, ovviamente te-nendo conto della sua età e maturazione.

È necessario che lo Stato d’origine verifichi:non solo che il minore sia stato debitamenteinformato sulle conseguenze dell’adozione edel consenso eventualmente prestato a questa(nell’ipotesi che la legge nazionale preveda, inconsiderazione dello stato di maturità del mi-nore, tale consenso), ma anche che sia statoadeguatamente assistito e consigliato; chesiano stati presi in considerazione, nel corsodella procedura, i desideri e le opinioniespresse al riguardo dal minore; che il con-senso all’adozione, eventualmente prestatodal minore, sia stato manifestato liberamente,nelle forme di legge; che tale consenso non siastato ottenuto dietro pagamento di somme didanaro o la consegna (o la promessa) di altreutilità.

Quanto allo Stato di accoglienza, le Auto-rità di questo devono verificare, esclusiva-mente, che gli aspiranti genitori adottivi sono“qualificati e idonei per l’adozione”, che sianostati “assistiti coi necessari consigli”, ed, infine,che il minore potrà entrare e soggiornare inpermanenza nello Stato di accoglienza.

NOTE

1 Nella legislazione di Hammurabi, secoli XVIII-XVII a.C.2 ARANGIO-RUIZ V., Istituzioni di diritto romano, Napoli,1998, p. 466 e ss.3 Cfr. Caferra V. M., Famiglia e assistenza. Il diritto della fami-glia nel sistema della sicurezza sociale, Bologna, 1984, p. 87:“per gli articoli 29 e 30 della Costituzione, la famiglia è istitu-zionalmente il luogo privilegiato di formazione e sviluppo dellapersonalità del minore: i genitori hanno il dovere ed il diritto dimantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal ma-trimonio; per converso il minore ha diritto di essere educato nellapropria famiglia”.4 Cfr. Ricciotti F., Il diritto minorile e dei servizi sociali. Gli in-terventi amministrativi, Rimini, 1982, pag.18.5 Cfr. Caferra V. M., op. cit., pag. 89.6 V. art. 30, cpv., Cost.7 V. art. 31, cpv., Cost.8 Cfr. BUONOMO V., I diritti nelle relazioni internazionali,Roma, 1997, p. 176.9 Cfr. Convenzione sui diritti del Fanciullo, New York, 20novembre 1989, art. 20, c. 1.10 Cfr. Convenzione sui diritti del Fanciullo, New York, 20novembre 1989, art.21.11 La Convenzione è stata resa esecutiva in Italia con lalegge di ratifica n. 476 del 1998.12 Naturalmente ciò è possibile solo in quegli ordinamentiove sia prevista la possibilità di adozione anche da partedi persone singole. Ad esempio, in Italia è previsto chepossa procedere alla richiesta di idoneità all’adozione (sianazionale, sia internazionale) solo una coppia di aspirantigenitori.13 Quindi non necessariamente tale adozione deve essere“legittimante”.14 Ancora più complessa è la vicenda in caso di adozioneinternazionale, atteso che in questo caso sono coinvolti -in varia misura - anche due diversi ordinamenti giuridici.

Page 55: 3 2012
Page 56: 3 2012

55

Reg

ion

i e a

uton

omie

loca

li

La necessità di affrontare il tema della qua-lità della normazione trae origine dalla consa-pevolezza che l’eccessivo ricorso alla fontelegislativa, quale strumento principale di rego-lazione ha creato, nel corso degli anni, una stra-tificazione di norme complessa ed articolata cheha determinato significative difficoltà nell’ap-plicazione della disciplina ivi contenuta, com-promettendone inevitabilmente l’effettivitàdelle leggi nonché il rispetto del principio dellacertezza del diritto, principio cardine dell’ordi-namento.

L’auspicata qualità della normazione nonpuò essere riferita solo a quella “formale” deitesti normativi, che debbono essere chiari, ac-cessibili ed intelligibili, bensì anche a quella “so-stanziale”, ovvero ad una qualità che garantiscaun livello qualitativo elevato del rapporto au-torità-cittadini e autorità-imprese; ciò in quanto,adesso piü che mai, si rende necessario assicu-rare l’effettività dei diritti e delle libertà fonda-mentali attraverso regole “buone”, ovvero cheabbiano un contenuto finalizzato al raggiungi-mento di tali obiettivi condivisi.

Negli ultimi anni si è tentato di rimediareall’eccessiva stratificazione di norme attraversola delegificazione, ossia demandando alle fontisecondarie il compito di disciplinare materie ointeri settori specifici, anche attraverso la reda-zione di veri e propri testi unici o codici setto-riali.

La modifica del Titolo V, Parte II, della Co-

stituzione, operata con la Legge costituzionalen. 1/1999 e successivamente con la Legge costi-tuzionale n. 1/2001, che hanno modificato ilrapporto tra Stato, Regioni ed Autonomie locali,ha anche parificato la legge statale a quella re-gionale, sottoponendole ai medesimi limiti det-tati dall’art. 117, comma 1 della Costituzione.

Ciò ha evidenziato ulteriormente l’esigenzadi garantire una maggiore coerenza ed unita-rietà dell’interno ordinamento giuridico nazio-nale, sottoposto ai vincoli dettati dagli obblighiinternazionali e dall’ordinamento comunitario,stante anche la complessa ripartizione delle ma-terie di competenza tra Stato e Regioni.

Proprio a tal proposito la Conferenza Unifi-cata Stato-Regioni – Enti Locali il 29 marzo 2007ha siglato l’accordo sulla semplificazione am-ministrativa che definisce i principi comuni peril miglioramento della qualità e della traspa-renza del sistema normativo, nonchè per uni-formare la tecnica legislativa tramite unraccordo costante tra Stato, Regioni e Province.

Il miglioramento della qualità della forma-zione rientra tra i principi dettati dalle racco-mandazioni dell’Unione Europea, dall’OCSE edalle Conclusioni del Consiglio Europeo dell’8e 9 marzo 2007 in materia di Better Regulation.

In ambito regionale un nodo fondamentaledella questione “Qualità della formazione” è lamancanza di un preventivo studio di fattibilità,ossia di un’analisi d’impatto della regolamen-tazione, ed è emersa l’esigenza di un preventivo

La qualità della normazionetra Stato e Regioni

Rosalba IeracitanoAvvocato, Capostruttura U.O.A.della Regione Calabria

Page 57: 3 2012

56

Reg

ion

i e a

uton

omie

loca

li

esame tecnico dei testi delle proposte di legge edei regolamenti regionali.

Un esame tecnico preventivo mirato all’ana-lisi d’impatto della regolamentazione e quindi aduna analisi della leggibilità e della univocità dellainterpretazione dei testi già dal momento dellaformazione della proposta.

È evidente che questa analisi non deve to-gliere, e non toglierà, nulla agli intenti ed alla vo-lontà dell’Organo Legiferante, ma apparealtrettanto evidente che lo studio dell’impatto ela formulazione testuale tecnicamente correttanon fanno altro che agevolare e dare certezzaall’effettiva volontà del legislatore allorché miratea prevenire interpretazioni differenti, se non con-trapposte, ed applicazioni non univoche.

Molte regioni si sono già dotate, ed altrehanno avviato le procedure legislative di riformaatte ad inserire nei propri Statuti, l’obbligo dellapreventiva analisi di impatto delle nuove norme(AIR: analisi d’impatto della Regolamentazione).

In modo da dare piena attuazione al principiodella Better Regulation (migliore regolamentazione)prendendo spunto dall’ormai perfezionata atti-vità normativa comunitaria che si caratterizzaper le procedure chiare e trasparenti, per gli or-gani di controllo preventivo e successivo sugliimpatti ambientali, sociali ed economici dellenuove norme.

Così come, ormai, si ritiene di preminente ne-cessità la previsione di procedure e la creazionedi organi ad hoc per la valutazione periodica delraggiungimento delle finalità e nella stima deicosti e degli effetti prodotti da atti normativisull’attività dei cittadini e delle imprese e sull’or-ganizzazione e sul funzionamento delle PP.AA.(la c.d. VIR: Verifica di Impatto della Regolamenta-zione).

Di certo, un ulteriore strumento di fondamen-tale importanza è l’Agenda Normativa, ovvero

quel documento redatto, e modificato almenocon cadenza annuale, che fissa la programma-zione normativa dell’Ente Regione, in modo daavere una visione complessiva degli obiettivi le-gislativi e dei provvedimenti da realizzare intempi ben scadenzati e suscettibili di modifica al-lorquando esigenze contingenti (di natura so-ciale, economica, ecc..) lo rendano necessario.

La Regione Calabria, ad esempio, ha creatoun team di lavoro composto da rappresentantidel DAGL (Dipartimento degli Affari Giuridici eLegislativi), Dirigenti degli Uffici Legislativi dellaGiunta e del Consiglio Regionale, oltre che daesperti settoriali e referenti locali e centrali al ser-vizio dell’Assistenza tecnica, al fine di effettuareuna ricognizione delle numerose leggi regionali,abrogare quelle inattuali e creare Testi Unici set-toriali e facilmente comprensibili da cittadini edimprese Calabresi.

È stato anche avviato il procedimento legisla-tivo di riforma dello Statuto della Regione Cala-bria, peraltro con un testo di riforma giàlicenziato dalla Giunta della Regione il 2 novem-bre 2011, con la prevista introduzione di un ap-posito articolo (art. 39bis rubricato appunto“Qualità della Normazione”).

Lo stesso prevede l’inserimento delle obbli-gatorie verifiche ex ante ed ex post ai progetti dilegge regionali, nonchè un controllo preliminaredel Presidente del Consiglio Regionale atto a di-chiarare preliminarmente improcedibili queiprogetti di legge che non rispettino le previsionistatutarie della Better Regulation.

In sintesi, la classe dirigente della Regione Ca-labria ha già mosso i primi passi verso la Sem-plificazione che rivela un recepimento culturale,prima ancora che procedurale, dei principi dibuon andamento ed efficienza della PubblicaAmministrazione.

Page 58: 3 2012

57

Info

rmaz

ion

e, te

cnol

ogia

e s

ocie

“Oggi siamo tutti consumatori, innanzituttoe soprattutto consumatori, consumatori per di-ritto e per dovere”. Così scrive il sociologoZygmunt Barman. “Nulla ci emoziona e ciriempie di entusiasmo come acquistare per im-pulso e scartare oggetti che non ci piacciono piùper sostituirli con altri, più invitanti. La pienezzadella gioia del consumo equivale alla pienezzadella vita. Compro, ergo sono”.

E non è certo un caso che il giorno dopola tragedia dell’11 settembre, nel suo appellolanciato agli Americani per incoraggiarli asuperare il trauma e tornare alla normalità, ilpresidente Bush non trovò niente di meglioda dire che «Ricominciate a comprare!»: é illivello della nostra attività di acquirenti e lafacilità con cui ci sbarazziamo di un oggettodi consumo per sostituirlo con una versionepiù «nuova e aggiornata» a fissare i parame-tri fondamentali del nostro status sociale e ilnostro punteggio nella corsa al successo. I ne-gozi e lo shopping hanno avuto, negli anni,una vera e piena dimensione escatologica. Isupermercati, recita la celebre citazione diGeorge Ritzer, sono diventati le nostre catte-drali.

Ma qual è l’identikit del consumatore delXXI secolo?

Èattento e informato, meno incline a pren-dere rischi rispetto al passato, cerca comesempre affidabilità, convenienza e durata,ma, nella sovrabbondanza di stimoli cui è

sottoposto, usa i nuovi media per ponderarele sue scelte. Il nuovo consumatore - ha spie-gato John A. Quelch, professore di BusinessAdministration all’Harvard Business Schooled esperto sui temi di marketing e strategia– presta grande attenzione ai consigli e ai dibattitiche fioccano nelle community virtuali, nelle retidi amici e in quelle familiari. Anche perché tra-scorre sempre più tempo tra social network e mo-tori di ricerca, complice la crisi che estende questa“vita” online: si esce di meno e si cerca nelle retisociali quel confronto che viene a mancare in am-bito lavorativo. È il fenomeno noto come cocoo-ning, una sorta di “ritorno alle origini”:l’ansia da recessione ha fatto rivalutare aiconsumatori valori come casa, famiglia, ri-sparmio e ambiente, rispetto ad acquisti dilusso o legati allo status; la riscoperta dellacasa come rifugio dallo stress e come luogodi felicità e sollievo per la famiglia e la rilut-tanza all’utilizzo del credito per gli acquistisono le due tendenze che la crisi lascia in ere-dità e che caratterizzano le scelte dei consu-matori a livello mondiale, tendenze che,seppur ciascuna con intensità diversa, sonodestinate a perdurare anche in futuro.

I social media hanno profondamente cam-biato il modo di concepire l’informazione. Eper mantenere il paragone con la politica, ilpassaggio dai media tradizionali ai socialmedia è come quello tra autocrazia e demo-crazia. Non a caso uno “sconosciuto” come

Internet e cocooning: le nuove frontieredel consumismo moderno

Margherita LibriAvvocato

Page 59: 3 2012

58

Info

rmaz

ion

e, te

cnol

ogia

e s

ocie

Barack Obama è riuscito ad assicurarsi le pri-marie democratiche e poi a diventare Presi-dente degli Stati Uniti d’America battendo l’exfirst lady Hillary Clinton. Con la sua campa-gna mediatica informale, Obama non ha certovinto solo grazie a internet, ma sicuramentenon ce l’avrebbe fatta senza. Ha raggranellatoun movimento che ha lavorato per lui dalbasso, postando video contro l’establishmentrappresentato da Hillary, e ha ricevuto la piùalta percentuale di contributi in denaro sotto i200 dollari: donazioni “popolari”.

È così che i social network insidiano igrandi brand, i quali più che impegnarsi a co-struire il proprio valore, devono proteggersidagli attacchi che arrivano dalla rete e difen-dersi, perché internet “è una bacheca aperta aireclami“.

Nel processo di acquisto, é cosa nota, as-sume fondamentale importanza l’esposizionedel consumatore agli stimoli che lo circon-dano. Fino a qualche anno fa questi stimolierano sotto il controllo delle aziende: spotpubblicitari, esposizione dei prodotti, packa-ging e via dicendo. Anche il passaparola fragli individui poteva essere considerato unostimolo ma, a quei tempi lontani, avevaun’importanza marginale. Poco importava seun cliente si era trovato male con un prodottoo un servizio e ne parlava con amici e parenti,il problema veniva circoscritto in quella pic-cola cerchia di persone e pian piano messo neldimenticatoio.

Questo è ancora vero. Ma non è più suffi-ciente.

Chi vuol fare un nuovo acquisto, nonchiede più solo all’amico esperto e non leggesolo la rivista specializzata. Sicuramente, faràanche un bel giro su google, magari leggendoblog e forum di persone che hanno avuto ache fare con il prodotto o con l’azienda.

Ecco, quel blog, quel forum non lo leggesoltanto lui; lo leggono tutti i potenziali clienti

che sono interessati a quel prodotto e quelblog o forum non cade nel dimenticatoio comeil vecchio passaparola, sono parole che restanoon line, nero su bianco ed è molto difficile farlesparire. L’avvento dell’era di Internet ha por-tato inevitabili cambiamenti nella nostra vitaquotidiana, soprattutto in relazione ai rap-porti instaurati attraverso l’utilizzo del WorldWide Web. La ragione di questo cambiamentorisiede nel diverso modo con il quale l’uso diInternet permette l’instaurarsi di rapporti giu-ridici ed economici.

Sappiamo che Internet per definizione è unluogo non luogo, ossia un posto dove è possibileincontrarsi ed instaurare una serie di rapportisenza che questo comporti un contatto fisicoreale. Internet è un nuovo canale di accesso aprodotti e servizi, che consente al consuma-tore di relazionarsi con tali prodotti e servizi,provenienti da ogni parte del mondo, senzarecarsi fisicamente nel luogo dove il bene ècommercializzato, ma entrando nello spaziovirtuale dove lo stesso è messo a disposizionee realizzando l’acquisto con un semplice“click”.

La sensazione che si ha navigando nelWorld Wide Web è che non ci siano limiti agliscambi commerciali e non commerciali chepossono avvenire, perché la dimensione del-l’offerta dei prodotti e dei servizi è globale eallo stesso tempo suscettibile di essere perso-nalizzata perché interattiva: chiunque è ingrado di procurarsi diversi tipi di beni e ser-vizi provenienti da ogni parte del mondo e,allo stesso tempo, chiunque può vendere inogni angolo del globo il prodotto della propriaimpresa.

Ma al mercato globale non corrisponde unapparato normativo altrettanto globale, e al-l’insorgere di una controversia emergono tuttiquei problemi relativi alla non riconducibilitàdel rapporto ad uno spazio fisico ben deter-minato e, come tale, ad una giurisdizione spe-

Page 60: 3 2012

59

Info

rmaz

ion

e, te

cnol

ogia

e s

ocie

cifica. Lo smantellamento delle frontiere spa-zio-temporali e le conseguenti problematichegiuridiche scaturenti da questo nuovo stru-mento, sia di comunicazione che di commer-cio, hanno richiamato l’attenzione di moltioperatori giuridici intorno a questi temi, con-centrandosi principalmente verso la ricercadella legge applicabile e dello strumento giu-ridico più idoneo per garantire un’esaurientetutela sia sostanziale che processuale in mate-ria. Questo nuovo strumento di comunica-zione ha portato ad un ripensamento di queicapisaldi del diritto e dell’economia, che perlungo tempo hanno rappresentato il substratonecessario allo sviluppo di normali rapportinegoziali.

E che sia stato un percorso tutto in salita,che ad oggi non può certo definirsi concluso,lo dimostra il fatto che dei consumatori non viè parola nella nostra carta costituzionalefrutto, come si sa, della sintesi tra le istanze so-ciali e le «pressioni» della borghesia indu-striale. Del resto, anche il codice civile,risentiva di questa impostazione: il mercato,fino all’emanazione della legge italiana anti-trust (legge n. 287/1990), non era autonomooggetto di tutela; gli imprenditori nel rapportocon altri imprenditori, era l’angolo visuale. Ineffetti, anche l’intera disciplina dei contratti èorganizzata sulla base di una nozione unitariadel soggetto di diritto, fatti salvi i meccanismiper garantire, almeno a livello formale, unprincipio di «parità» (v. l’art. 1341 e 1342 cod.civ., nonché l’art. 2597). I consumatori, cosìcome gli utenti nei confronti della pubblicaamministrazione, erano soggetti ad una tutela«di secondo livello», quale conseguenza dellasoluzione delle frizioni nelle relazioni tra leimprese.

E se, nel tempo, la tutela del consumatoreè riuscita a conquistarsi uno spazio autorevolenel panorama del diritto, maggiori sono stati

le difficoltà per la tutela giuridica del consu-matore on line, poiché la rete per sua naturaprescinde dallo spazio fisico e i rapporti nego-ziali tendono ad instaurarsi tra soggetti che ilpiù delle volte appartengono a giurisdizionidiverse, in quanto cittadini di Stati diversi.

Più precisamente, ogni volta che si tratti diattività commerciali on line, le questioni prin-cipali alle quali occorre dare soluzione sonoquelle relative alla individuazione della leggeapplicabile ed della giurisdizione competente.

Questi problemi, in realtà, non si sono pre-sentati solo con l’avvento di Internet, ma sonorisalenti nel tempo e si sono riproposti ogniqual volta lo sviluppo del commercio ha por-tato al sorgere di rapporti che prevaricanol’ambito della sovranità nazionale.

Pensiamo, ad esempio, al diritto dei mer-canti medievali.

La lex mercatoria nasce per soddisfare le esi-genze dei mercanti medievali nel regolare iloro rapporti commerciali. Il suo compito eraquello di derogare al diritto civile dell’epoca,ossia il diritto romano, ritenuto inadeguatoalle nuove esigenze mercantili, creando unaserie di regole più congeniali alle esigenze diquei traffici, in grado di superare le diver-genze giuridiche dei diversi Stati nei quali imercanti operavano.

In pratica, per una volta non era il diritto astabilire le regole da applicare alla regolamen-tazione dei rapporti commerciali, ma erano lestesse esigenze del commercio a creare un cor-pus di norme ritenute cogenti dal ceto mer-cantile.

Guardando ai motivi che all’epoca indus-sero i mercanti a creare norme più adeguate ailoro traffici, ci accorgiamo che questi nonerano poi così diversi dalle esigenze che oggisi manifestano con l’avvento del commercioelettronico: in entrambi i casi, infatti, il fattoreprincipale è quello di favorire lo sviluppo del

Page 61: 3 2012

60

Info

rmaz

ion

e, te

cnol

ogia

e s

ocie

commercio su scala internazionale, elimi-nando gli ostacoli frapposti dagli ordinamentinazionali.

Parimenti a quanto accadeva per i mercantimedievali, oggi, con lo sviluppo della rete In-ternet e la conseguente globalizzazione deimercati, gli imprenditori commerciali, da unlato, ed i consumatori, dall’altro, avvertonol’inadeguatezza delle singole legislazioni na-zionali a soddisfare le esigenze di un mercatosempre più trasnazionale.

Le operazioni di commercio elettronico inInternet presentano, dal punto di vista giuri-dico, problematiche assolutamente specificheal settore e di certo stimolo intellettuale. Il ca-rattere transnazionale e multinazionale di In-ternet, l’assenza di alcuna frontiera se nonquella del pensiero, pone difatti problemi dicompatibilità tra le diverse normative nazio-nali e probabilità assolutamente elevate diconflitto tra le stesse, imponendo agli studiosiun continuo studio teorico ed applicazionesperimentale delle diverse soluzioni. Non sitratta, a ben vedere, di un problema di diritto,ma di un problema per il diritto: lo scambioavviene senza contatti, senza guardare in fac-cia il contraente e senza poter toccare conmano il bene compravenduto ed è per questoche si ravvisa la necessità dell’elemento fidu-ciario e di “sicurezza” che sarà tutelato attra-verso “garanzie” diverse. In difetto di taligaranzie, si è difatti costretti a tornare all’uti-lizzo di strumenti alternativi e storicamentetestati quali sicuri, pagamento in contrassegnoo bonifici bancari oppure misti, quali la comu-nicazione a mezzo posta o telefono degliestremi delle carte di pagamento, strumentiche, però, mortificano le potenzialità insitenella rete.

Si tratta di una serie di questioni di ordinegiuridico, alle quali occorre dare soluzione,onde consentire a questa forma di commercio

uno sviluppo non solo potenziale ma ancheeffettivo. Certo, difficoltà di regolamentazionenon vuol dire “assenza” di norme applicabili:le difficoltà riguardano la sola identificazionedel regime normativo da applicarsi, il qualeconsegue alla nazionalità dei soggetti che par-tecipano all’operazione di commercio elettro-nico. Pertanto l’analisi giuridica saràimpegnata nella ricerca ed individuazionedelle regole applicabili in base alle norme didiritto internazionale privato ed alle Conven-zioni internazionali oltre che, quale aspettopratico, nel garantire l’effettiva applicazionedelle regole così individuate.

La struttura “aperta” di Internet, conside-rata tale perché consente l’accesso ad un nu-mero indefinito e non identificabile a priori disoggetti, residenti in Stati diversi ed in gradodi scambiarsi informazioni “sensibili” e diconcludere contratti senza alcun supporto car-

Page 62: 3 2012

61

Info

rmaz

ion

e, te

cnol

ogia

e s

ocie

taceo, pone innumerevoli questioni di ordinegiuridico che coinvolgono settori del dirittosino ad oggi assolutamente distanti. L’av-vento di Internet ha rappresentato per ilcommercio un nuovo canale di sviluppo,denso di potenzialità e allo stesso tempo diproblematiche, alle quali gli operatori giuri-dici moderni dedicano molta attenzione percercare di trovare idonee soluzioni ai diversiinterrogativi che questa nuova materia ponecontinuamente.

La peculiarità del caso è che, a differenzadi ogni altro strumento di commercializza-zione, nella rete Internet vi é l’incognita delquasi certo incontro con legislazioni diverse(potenzialmente anche in forte conflitto) el’impossibilità pratica di stabilire la “norma”applicabile al caso di specie. Nell’instaurarsidi rapporti negoziali fra persone residenti innazioni diverse, la scelta della legislazioneapplicabile diventa un dilemma di non facilesoluzione, essendo le diverse parti negozialilegate a legislazioni diverse, e, soprattutto,legate a giurisdizioni diverse, per cui, in casodi conflitti tra queste parti, il problema fon-damentale è quello di individuare il giudicecompetente a dirimere la controversia.

Tra i tanti interventi sul tema da parte divari organi, nazionali e stranieri, l’attenzionepare orientata verso la ricerca di sistemi chesuperino le naturali barriere spaziali frappo-ste dai diversi ordinamenti.

Per quanto riguarda, in particolar modo,l’individuazione della giurisdizione compe-tente a dirimere le controversie sorte su in-ternet tra soggetti residenti in Stati diversi,l’orientamento è verso soluzioni alternativeai normali sistemi giudiziari, in grado di ri-comporre le liti senza la necessità di rivol-gersi ad un giudice, e quindi senza la

necessità di porsi il problema circa la giuri-sdizione competente.

In tal modo si determina lo spostamentodell’attenzione degli operatori giuridiciverso questi sistemi alternativi, nell’intentodi predisporre nelle rispettive legislazioninazionali idonee strutture di risoluzione al-ternative delle controversie e di attuare unapolitica diretta a favorirne lo sviluppo.

È quello che sta avvenendo con lo svi-luppo delle Alternative Dispute Resolution,anche nei Paesi, quali l’Italia, dove tali si-stemi di risoluzione alternativa delle contro-versie sono ancora poco utilizzati. E,segnatamente, per quello che riguarda piùda vicino il commercio elettronico, è quelloche avviene con lo sviluppo di un particolaresistema alternativo di risoluzione delle con-troversie in rete, rappresentato dalla crea-zione delle On Line Dispute Resolution, ossiadi procedure amministrate da appositi orga-nismi per la risoluzione in rete delle contro-versie.

Si tratta di sistemi la cui efficacia si potràtestare nel tempo e che troveranno più com-piuta regolamentazione con l’affinarsi dei si-stemi giuridici, ancora forse non del tuttopreparati alla dirompente novità telematica,in continua evoluzione.

La tendenza è comunque quella di evitare“precetti” rigidi e di favorire piuttosto unaauto-regolamentazione del settore il qualecresce costruendosi le proprie regole.

Su questi temi è, dunque, rivolta l’atten-zione di tutti gli operatori giuridici, convintidel fatto che la soluzione a questi problemisia presupposto e condizione essenziale perpoter dare nuova linfa allo sviluppo del mer-cato globale, al fine di sfruttarne a pieno leenormi potenzialità.

Page 63: 3 2012
Page 64: 3 2012

63

Oss

erva

tori

o su

l lav

oro

Premessa

Da anni il nostro Paese avverte profonda-mente il problema della disoccupazione, par-ticolarmente sentito dai giovani, i qualistentano ad inserirsi nel mondo del lavoro.

Secondo i dati ISTAT resi noti l’1 febbraio2011, il tasso di disoccupazione rilevato (acampione) nel mese di dicembre 2010 erapari all’8,6 % con un aumento di 0,2 puntipercentuali rispetto al mese di dicembre2009. Alla stessa data, il tasso di disoccupa-zione giovanile arrivava al 29% con un au-mento di 2,4 punti percentuali rispetto allostesso mese, dicembre 2009.

Notizie un po’ più confortanti sulla disoc-cupazione giovanile vengono però diffusedallo stesso ISTAT con riferimento al mese diluglio 2011, quando pur essendo costante iltasso di disoccupazione all’8%, quello delladisoccupazione giovanile è sceso al 27,6 %, ilpiù basso dal mese di settembre 2010.

È arduo, al momento, ritenere che questolieve miglioramento sia destinato a durare,stante l’improvviso aggravamento della si-tuazione economica nazionale e mondialeverificatosi nello scorso mese di agosto.

Per la verità occorre anche dire che la si-tuazione economica e finanziaria italiana èdensa di problemi e di contraddizioni, per-ché spesso si confrontano esigenze contra-stanti tra loro.

Così, il progressivo innalzamento dell’etàpensionabile, necessario per adeguare il bi-lancio degli enti previdenziali alle mutateaspettative di vita, congela indubbiamente iposti di lavoro dei lavoratori anziani, impe-dendo la formazione di spazi per nuove as-sunzioni.

D’altra parte, non manca chi sostiene chele aziende tentano sovente di licenziare, oconvincere all’esodo incentivato, lavoratorianziani, per sostituirli con giovani appenaentrati, il cui costo, data la minore anzianità,è notevolmente inferiore rispetto a quello diun dipendente con trent’anni di servizio.

Ciò provoca l’immissione, sul mercato dellavoro, di lavoratori di cinquanta, cinquan-tacinque anni d’età, troppo giovani per usu-fruire della pensione, ma troppo vecchi perreperire una nuova collocazione, e questo èsenza dubbio un altro dei problemi legatiall’occupazione, o meglio alla carenza diposti di lavoro.

Parimenti, il blocco delle assunzioni nelpubblico impiego, in atto da anni per intui-bili necessità di bilancio, oltre a rendere og-gettivamente difficoltoso il funzionamento divari settori dell’apparato statale (dalla ammi-nistrazione della giustizia, ove il personale dicancelleria è paurosamente insufficiente, allaforze dell’ordine, quali Carabinieri, Polizia diStato, Polizia Penitenziaria) ha fatto venirmeno notevoli possibilità di lavoro, per

Riflessioni sull’occupazione giovanile

Fabio Massimo GalloPresidente di Sezione Lavoro presso la Corte di Appello di Roma

Page 65: 3 2012

64

giunta nel settore pubblico che, per tradizione,costituisce tuttora – giustamente o non, pocorileva in questa sede – l’aspirazione di larghefasce di cittadinanza.

Certo è che la congiuntura economica ita-liana e mondiale acuisce, e non attenua, il pro-blema dei livelli occupazionali, aggravato –nei paesi altamente industrializzati – dal feno-meno della globalizzazione, che consente diinstallare in paesi a basso costo di manodo-pera nuovi impianti, o addirittura di spostarviquelli che fino a pochi decenni fa si trovavanonella nazione della casa madre.

In tal modo si rallenta la formazione dinuovi posti di lavoro nei paesi ad alto reddito,utilizzando il lavoro dei paesi in via di svi-luppo, con un meccanismo che si arresteràsolo allorquando, e se, le condizioni politicheed economiche dei paesi emergenti raggiun-geranno un tenore di vita paragonabile al no-stro, e consentiranno lo svolgimento di unacorretta azione sindacale e l’adeguamento deisalari a quelli dei paesi occidentali, o almenoun avvicinamento tale da rendere non più ap-petibile lo spostamento delle attività produt-tive.

È impensabile, a mio personale avviso, checon interventi sul diritto del lavoro si possanorendere concretamente competitivi paesi alta-mente industrializzati, come l’Italia, nei con-fronti dei paesi emergenti dove il costo dellavoro è bassissimo come bassissimo è il te-nore di vita e, spesso, la tutela stessa dei dirittiumani.

Di tali problemi si è interessato ripetuta-mente, guardando all’intero pianeta, anche ilSanto Padre, in particolare con la sua enciclicasociale Caritas in veritate, nella quale indica iprincipi morali ai quali si dovrebbe confor-mare l’economia mondiale per diventare fontedi sviluppo, materiale e morale, per tutti i con-sociati, e non solo un momento di arricchi-mento economico per alcuni in danno di

molti, e ciò sia nei rapporti tra gli stati cometra gli individui.

Nell’attuale momento caratterizzato dallacrisi finanziaria di tutti i paesi tradizional-mente più industrializzati, e dalla crescita ver-tiginosa di quelle economie basatesull’enorme sforzo dei lavoratori, Sua Santitàrivolge dunque alla comunità politica il mo-nito a non disinteressarsi alle vicende econo-miche (il che significa anche non limitarel’attenzione solo al lato prettamente econo-mico dei periodi di crisi o delle fasi di svi-luppo) ma ad adottare indirizzi politici idoneia realizzare, tra i popoli come tra i singoli in-dividui, una forma di giustizia distributiva,necessaria non solo sul piano etico ma ancheal fine di assicurare la pace sociale e giustiequilibri tra i popoli.

E speriamo che l’umanità non debba, ungiorno neanche molto lontano, rimpiangere dinon aver dato ascolto a tale monito.

Gli interventi legislativi in materia di occu-

pazione giovanile

Basta scorrere gli anali della Gazzetta Uffi-ciale per rendersi conto di come tutti i Go-verni, dalla fine della guerra ad oggi, hannoadottato una serie di misure per incentivarel’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro,offrendo ai datori di lavoro sgravi fiscali e con-tributivi ed altre facilitazioni.

Per la verità, già il Codice Civile (promul-gato il 16 marzo 1942) agli articoli 2130 – 2133si occupa del tirocinio, preoccupandosi peròesclusivamente di dettare norme a tutela dellavoratore, stabilendo limiti di durata, l’ob-bligo di formazione professionale, e l’applica-zione delle norme sul rapporto di lavoro, inquanto compatibili.

Un più organico intervento si è avuto neglianni successivi, con la Legge n. 25 delO

sser

vato

rio

sul l

avor

o

Page 66: 3 2012

65

Oss

erva

tori

o su

l lav

oro

19.1.1955 sull’apprendistato, e via via conl’ampia legislazione in materia di formazioneprofessionale, dalla legge quadro n. 845 del 21dicembre 1978, che attribuiva alle regioni po-teri e funzioni in materia di formazione pro-fessionale, fino al D. L. 30 ottobre 1984 n. 726,convertito in Legge 19 dicembre 1984 n. 863 (esuccessive modifiche ed integrazioni), al DPRn. 257 del 12 luglio 2000 e ai recentissimi in-terventi sull’apprendistato così come discipli-nato dagli articoli 47 e seguenti del D. L.vo 10settembre 2003 n. 276, al contratto di inseri-mento previsto dagli articoli 54 e seguentistessa legge.

Tutti i tentativi del Legislatore di favorirel’ingresso dei giovani nel mondo del lavorohanno sempre mirato a realizzare l’ equilibriotra l’incentivazione alle imprese, sotto formadi sgravi fiscali e contributivi e erogazione diminore retribuzione, e la tutela dei giovani, in-teressati non solo alla conquista del posto maanche a conseguire una effettiva formazioneed una retribuzione comunque ragionevole edignitosa.

Sull’argomento si è formato un vasto con-tenzioso, che deriva dalla domanda del lavo-ratore di vedere riconosciuto sin dall’inizio unnormale rapporto di lavoro subordinato atempo indeterminato, affermando di aversvolto sin dall’inizio mansioni ordinarie e nonda apprendista, e di non aver ricevuto nes-suna formazione; talvolta le domande trovanoaccoglimento, talvolta no, ma il contenzioso èil sintomo del malessere spesso derivante dasimili rapporti, pur necessari e – fortunata-mente – destinati, nella maggior parte dei casi,a svolgersi senza problemi.

Il Legislatore nazionale deve altresì fare iconti con i limiti derivanti dalla normativa co-munitaria, molto attenta ad impedire inter-venti che possano in qualche modo alterare lalibertà di mercato, favorendo immotivata-mente alcune imprese.

Non possiamo non menzionare al riguardola sentenza della Corte di Giustizia delle Co-munità Europee in data 7.3.2002, con la qualel’Italia è stata condannata in via definitiva arecuperare le agevolazioni fiscali e contribu-tive riconosciute alle imprese che assumesserocon contratto di formazione e lavoro, ai sensidelle Leggi 863/84, 407/90, 169/91 e 541/94giovani fino a 32 anni, ordinando allo Stato direcuperare le somme corrispondenti alle age-volazioni concesse, ad eccezione dei CFL peri giovani fino a 25 anni di età.

(Inutile dire che ne è scaturito un conten-zioso di dimensioni ciclopiche tra l’INPS, te-nuto al recupero, e le imprese costrette alversamento).

La rilevanza del problema, comunque, con-tinua a porre la questione all’attenzione delGoverno, ed è recentissima l’emanazione delnuovo Testo Unico sull’apprendistato (De-creto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167).

Si tratta di un provvedimento approvatoda parte del Consiglio dei Ministri in data 28luglio scorso, e destinato a ridisciplinare inmodo organico l’intera materia, allo scopo “dirilanciare l’apprendistato come strumentofondamentale per l’ingresso stabile dei gio-vani nel mercato del lavoro” come si èespresso, con soddisfazione, il segretario ag-giunto della CISL Giorgio Santini subito dopol’approvazione.

Soddisfazione per il testo, approvato a se-guito di un lavoro congiunto tra Governo, Re-gioni e parti sociali, è stata espressa anche dalsegretario confederale della CGIL, FulvioFammoni, il quale sottolinea soprattutto la ri-duzione della durata massima a tre anni daisei attuali, e dalla UGL nella persona del se-gretario confederale Nazzareno Mollicone.

Per contro, insoddisfazione è stata subitomanifestata dalla Confcommercio, che, perbocca del Direttore Generale, Francesco Ri-volta, ha lamentato come l’approvazione del

Page 67: 3 2012

66

Oss

erva

tori

o su

l lav

oro

testo sia avvenuta senza tenere conto dellacontrarietà della Confcommercio, settore chepure impiega il 45% degli apprendisti, confer-mando poi l’80% di essi con un contratto atempo indeterminato.

Senza minimamente entrare nel merito delprovvedimento in questione, è però agevolerilevare che la voce dissonante di una impor-tante associazione datoriale conferma l’impor-tanza delle ricadute dell’apprendistato, e piùin generale dell’inserimento giovanile, suvasti settori dell’economia nazionale, e quantosia delicata la ricerca di un punto di equilibriotra le aspirazioni dei giovani e le esigenzedelle aziende.

Poco dopo la pubblicazione del decreto le-gislativo sull’apprendistato altre misure inmateria sono state predisposte nel quadrodelle più recenti manovre destinate a favorirela ripresa dell’economia nazionale, a riprovadella fondamentale importanza dell’inseri-mento dei giovani nel mondo del lavoro, chedovrebbe al contempo consentire a questi diraggiungere una sistemazione quanto piùpossibile stabile, e alle imprese di assicurarsiuna nuova forza lavoro a costi sostenibili, conevidenti ricadute favorevoli non solo sull’oc-cupazione ma sul funzionamento stesso dellaproduzione nazionale.

I giovani e il precariato

Intanto il mercato del lavoro offre sempredi più rapporti di lavoro a termine, nelle varietipologie previste dal D. L.vo 276 del 2003, lac.d. Legge Biagi, primo fra tutti il lavoro a pro-getto.

Certamente il lavoro a tempo determinatonon assicura la tranquillità di un rapporto atempo indeterminato, e tale situazione inge-nera incertezza nella vita dell’individuo con

ricadute immediate sulla società, a partiredalla difficoltà di contrarre matrimonio o met-tere al mondo dei figli; anche tali questionisono state affrontate con paterna preoccupa-zione e profonda competenza nella già men-zionata enciclica Caritas in veritate, nellaquale il Sommo Pontefice ha anche auspicatouna maggiore stabilità lavorativa ed econo-mica, nell’interesse generale come indivi-duale.

Tuttavia, la realtà attuale non sembra an-dare nella direzione indicata, ma continua adessere caratterizzata dalla diffusione di formedi lavoro precario, ed è con questa realtà che,allo stato, occorre confrontarsi, facendo di ne-cessità virtù.

Se dunque da una parte è indubbiamenteauspicabile un recupero di stabilità, ossia diposti di lavoro fissi, e questo è compito dellapolitica e dell’economia, è d’altra parte inevi-tabile, nell’immediato, che i giovani accettinodi adattarsi, come in effetti già avviene, aforme di lavoro c.d. precario, sperando in unasuccessiva stabilizzazione o almeno in unacontinuità tra rapporti a termine, anche in set-tori diversi, tale da consentire comunque difare fronte alle esigenze non solo economiche,ma anche sociali ed etiche, della propria esi-stenza.

Brevi considerazioni conclusive

È evidente che il problema della disoccu-pazione giovanile non può trovare una solu-zione che nell’ambito del più ampio problemadei livelli occupazionali: è fin troppo facile os-servare, in generale, che se vi è occupazione,anche i giovani trovano più agevolmente unposto di lavoro, e se vi è restrizione dei postidi lavoro, sorge un conflitto tra le esigenze dichi cerca lavoro, e chi difende quello su cui ha

Page 68: 3 2012

impostato la vita sua e della sua famiglia.In momenti di crisi, si assiste infatti ad

una sorta di scontro inconsapevole tra chilotta per mantenere il proprio posto di la-voro, e chi è alla ricerca di una prima occu-pazione: solo una reale ripresa economica,evidentemente, può assicurare il manteni-mento dei posti di lavoro esistenti e la crea-zione di nuovi.

Tuttavia, credo si possa affermare che allecondizioni del mercato del lavoro si affian-cano, sia pure non con una decisiva inci-denza, anche ragioni di carattere socio-culturale, come la scarsa propensione a cam-biare luogo di residenza per andare dove sipotrebbe trovare il lavoro.

A volte le imprese, soprattutto piccole emedie, hanno tuttora bisogno di unità lavo-rative valide e affidabili, motivate e prepa-rate, ma lamentano difficoltà nel reperirle,tanto che sovente questi posti vengono co-perti da lavoratori stranieri, anche extraeu-ropei. Si verifica quindi un mancato incontrotra domanda e offerta di lavoro.

Le spiegazioni sono molteplici e non age-voli.

La nostra è obiettivamente una societàstatica, ancora caratterizzata non soltantodall’aspirazione (ben comprensibile, certo) alposto fisso ma anche dalla resistenza a tra-sferirsi in località diverse da quella d’origine,e dalla tendenza a fare di tutto per riavvici-narsi al luogo di partenza.

Questo stato d’animo però non è dovutosolo a ragioni affettive o abitudinarie, o allaincapacità di adattarsi a realtà sociali diverse,ma spesso trova una giustificazione concretanella difficoltà di affrontare i disagi econo-mici di una nuova sistemazione, con una re-tribuzione magari sufficiente per chi giàrisiede nella località ove lavora, ma non perchi deve fare fronte a tutte le esigenze a co-

minciare da quella, fondamentale, di un al-loggio.

Il fenomeno è particolarmente avvertitonel settore pubblico, ove sono ben note le dif-ficoltà di coprire sedi nel nord del Paese,quando molti dipendenti, di origine meridio-nale, tendono a fare ritorno nelle zone d’ori-gine; ma come negare che lo stipendio di unagente della Polizia di Stao, o di un profes-sore di scuola media, consente una vita di-gnitosa a Benevento, a Matera o ad AscoliPiceno, ma è del tutto inadeguato per la vitaa Milano, a Venezia o a Modena?

Vi è poi una ingiustificata preferenzaverso attività impiegatizie, lato sensu intel-lettuali, retaggio di una visione ottocentescache contrapponeva operai ad impiegati. Ep-pure, quanto rispetto per il lavoro anche ma-nuale, quanto socialismo nel significato piùalto del termine, quanto amor di patria,senso dello stato e del dovere, troviamo inquel capolavoro ottocentesco, oggi dimenti-cato se non irriso, che è il Cuore di EdmondoDe Amicis, quanto affetto per la figura im-mortale del Muratorino!

Senza contare che oggi le mutate condi-zioni di lavoro, l’evoluzione sociale, le cono-scenze tecniche che il lavoro degli operairichiede, dovrebbero aver fatto venir menocerti pregiudizi: un posto di lavoro, quale chesia, rappresenta un tassello nella scacchieradella società, necessario e rispettabile cometutti gli altri tasselli.

Ma in chiusura, consapevole di dire qual-cosa di politicamente scorretto, credo perso-nalmente che una certa dose di pigrizia nonsia estranea al fenomeno di quelli che il buonPadoa Schioppa ebbe a chiamare, simpatica-mente, bamboccioni, sollevando da destra eda sinistra asperrime critiche, degne di benaltre battaglie.

Non posso infatti fare a meno di eviden-

67

Oss

erva

tori

o su

l lav

oro

Page 69: 3 2012

68

Oss

erva

tori

o su

l lav

oro

ziare la singolare tendenza, a mio avviso gra-vemente deresponsabilizzante, a definire ra-gazzi anche persone che hanno superato itrent’ anni, così innalzando enormemente l’etàdell’adolescenza, e così tutto benevolmentecomprendendo e giustificando, laddove percontro i giovani (che hanno il diritto di voto a18 anni) amano considerarsi sempre più pre-sto autonomi, indipendenti e padroni delleproprie scelte; e di questa tendenza sono sin-tomo le recenti proposte di abbassare l’età perl’elettorato passivo al senato, sicché avremmocome senatori le stesse persone che poi, se siparla di notti brave in discoteca o di scontriallo stadio, vengono definite ragazzi.

Credo davvero che occorra, da parte ditutti i cittadini, a qualsiasi livello di responsa-bilità, un recupero di senso del dovere, il pro-

fondo rispetto per il lavoro, il superamento diuna visione edonistica e superficiale della vita,del perseguimento del guadagno anche allespalle del prossimo, la consapevolezza cheuna società funziona solo se ciascuno fa la suaparte con impegno e serietà.

È fondamentale, a tal fine, il compito dellascuola.

Questa infatti deve essere in grado di for-nire ai giovani una preparazione professionaleche consenta loro l’inserimento nel mercatodel lavoro, ma anche e soprattutto deve for-mare cittadini preparati sul piano etico, dotatidi rispetto verso il prossimo, spirito solidari-stico, consci e rispettosi di quei valori moralie civici che sono alla base anche della nostraCostituzione.

Firma della Costituzione italiana

Page 70: 3 2012

69

Teor

ia e

pra

tica

del

pro

cess

o

Da tempo assistiamo ad un incessante di-battito sulla c.d. “riforma della giustizia”.Dovrebbe però essere ormai chiaro a tutticome questo tema non possa essere adegua-tamente affrontato e risolto se non abbando-nando la logica dell’intervento d’urgenza epensando ad una “riforma di sistema” chegarantisca finalmente una giustizia più fun-zionante e veloce.

Sul punto va senz’altro premesso che ognistrumento normativo finalizzato all’ “accele-razione” o alla “modernizzazione” dell’ordi-namento deve essere sempre attentamentevalutato affinchè non si traduca in una dra-stica diminuzione delle garanzie dell’impu-tato così come dei degli organi inquirenti.

È noto, infatti, che la piena attuazione deiprincipi del “giusto processo” e della sua ra-gionevole durata, impongono al legislatoredi riconsiderare i ruoli e i compiti della ma-gistratura, definendo regole omogenee in or-dine ai alle funzioni, alla modalità di accesso,alle incompatibilità e al controllo deontolo-gico.

Chiaro è che l’irragionevole durata delprocesso penale non dipende da una sola, mada moltissime cause: 1) dai riti alternativi chenon hanno funzionato a dovere come stru-menti realmente deflattivi del processo pe-nale; 2) dalle inefficienze organizzative dellamacchina burocratica; 3) dalla nota penuriadi risorse della giustizia penale; 4) e, soprat-

tutto, da un sistema normativo-penale a dirpoco farraginoso ed ipertrofico.

È indubbio infatti che un fattore che piùdi altri incide sulla mole di lavoro delle Pro-cure e dei Tribunali è l’eccessivo numero deireati con i quali le strutture giudiziarie si de-vono confrontare. Sarebbe necessario perciò,accanto ad una riforma organica del pro-cesso, intervenire anche a monte sulla sele-zione dei reati, riservando la sanzione penaleai soli comportamenti davvero meritevoli ditutela.

Per fare questo occorre lavorare ad unaseria riforma dei codici sia di diritto sostan-ziale che processuale: una buona politica cri-minale, insomma, accanto ad una serie diinterventi volti allo snellimento dei procedi-menti.

Sotto questo aspetto importante potrebbeessere, da un punto di vista deflattivo,l’estensione della perseguibilità a querela,come pure l’applicazione di rimedi sostan-ziali come quello dell’irrilevanza del fattoper particolare tenuità o conseguente a con-dotte riparatorie e/o risarcitorie verso la vit-tima.

La necessità di verificare anche nel nostrosistema, in un’ottica de jure condendo, solu-zioni diverse rispetto alla secca alternativaattuale tra la decisione di richiedere l’archi-viazione e di esercitare l’azione penale, do-vrebbe seguire, infatti, alla semplice consta-

L’irragionevole durata del processoe la riforma della giustizia

Paola BalducciAvvocato, Professore Associato di Diritto Processuale Penale

Page 71: 3 2012

tazione per cui in moltissimi casi la fattispeciee il processo finiscono per assurgere a nullapiù che ad una allegoria della giustizia: unarappresentazione meramente simbolica dellalegge ma pagata a caro prezzo dallo Stato.

Mi spiego meglio: in un contesto comequello italiano caratterizzato dall’enuncia-zione formale del principio di obbligatorietàdell’azione penale nell’art. 112 Cost. occorredomandarsi quanto ne sia concepibile l’effet-tiva applicazione pratica, tanto sul piano or-ganizzativo, come su quello economico eproduttivo del sistema- giustizia. Pensare diimpiegare le poche risorse del sistema “a piog-gia”, senza alcuna selezione dei procedimentida istruire appare incongruo rispetto all’obiet-tivo di una giustizia veloce ed efficace.

Occorre cioè prendere atto che già oggi

l’azione penale viene, di fatto, esercitata di-screzionalmente, proprio perché l’organizza-zione giudiziaria dispone di risorseinsufficienti. È evidente, insomma, che se unpubblico ministero dispone di mezzi e tempilimitati deciderà di trattare prima un fatto piùgrave, posponendo quello più lieve e pros-simo alla prescrizione. È ovvio però che que-sta valutazione non sempre dà chiare garanzieai cittadini.

Si tratta di vedere allora come bilanciarecorrettamente le diverse esigenze in gioco: laragionevole durata dei processi da un lato el’obbligatorietà dell’azione penale come ga-ranzia di eguaglianza dei cittadini di frontealla legge.

Sembra comunque evidente come nell’at-tuale situazione politica intavolare un con-

70

Teor

ia e

pra

tica

del

pro

cess

o

Page 72: 3 2012

fronto parlamentare a tutto campo sul futurodella giustizia penale italiana appaia di dif-ficile realizzazione.

Una seria riforma della giustizia non puòprescindere, in ogni caso, dal rispetto di unvalore cardine del nostro Paese che è quellodell’indipendenza della Magistratura.

Solo l’indipendenza della Magistraturapuò garantire infatti un corretto eserciziodella funzione giurisdizionale: i giudici sonosoggetti soltanto alla legge e le stesse normedell’ordinamento giudiziario sono stabilitecon legge. Del resto è stata la stessa Corte co-stituzionale a riconoscere che «realizzare lalegalità nell’uguaglianza non è […] concreta-mente possibile se l’organo cui l’azione è de-mandata dipende da altri poteri: sicchè di taliprincipi è imprescindibile requisito l’indi-pendenza del Pubblico Ministero. Questi èinfatti, al pari del Giudice, soggetto soltantoalla legge (art. 101, secondo comma, Cost.) esi qualifica come “magistrato appartenenteall’ordine giudiziario collocato come tale inposizione di istituzionale indipendenza ri-spetto ad ogni altro potere», ciò non di menole garanzie di indipendenza del Pubblico Mi-nistero «sancite a livello costituzionale, dal-l’art. 107 Cost., vengono rimesse per ladeterminazione del loro contenuto, alla leggeordinaria sull’ordinamento giudiziario» (C.Cost. n. 52/1976).

Come è noto, il problema della separa-zione delle carriere tra la magistratura requi-rente e quella giudicante rappresenta unasnodo politico-istituzionale della massimaimportanza e delicatezza. Ciò proprio per laparticolare posizione funzionale del P.M. dititolare esclusivo dell’azione penale. Ed èevidente, allo stesso tempo, come il porsioggi, in modo prepotente, il problema dellaseparazione delle carriere, dopo decenni - dipressochè indiscussa – unità del ruolo deimagistrati, dipenda dalla straordinaria con-

tingenza politica attraversata dall’Italianell’ultimi anni.

Che il problema della separazione dellecarriere risenta del clima politico fortementeconflittuale che attraversa il nostro paese ècosa risaputa, così come non si può sfuggireal sospetto che questa forte sensibilità di al-cune forze politiche sul tema, nasca nontanto dalla considerazione in cui versa oggila giustizia penale, quanto piuttosto dal fattoche l’azione penale sia stata indirizzata neiconfronti dei reati commessi “dai potenti” eabbia cominciato a interessarsi di ceti, per-sone, funzioni che tradizionalmente non neerano, se non in casi eccezionali, toccati.

Sul punto ci tengo a sottolineare come giàoggi nell’ordinamento giudiziario esista unanetta distinzione tra le funzioni di pm e giu-dice, in modo da impedire un disinvolto pas-saggio dalle funzioni requirenti a quellegiudicanti e viceversa, e che le circolari delCsm molto stanno facendo in questo senso.

E poi mi chiedo: se il pm dovesse essereseparato da chi dipenderà? Dal ministroforse? E questo eventuale assoggettamentoall’esecutivo non inciderà sull’indipendenzadella pubblico ministero e sulla sua capacitàdi compiere indagini, scevro da interferenzeesterne? In particolare mi chiedo se non ci siail rischio che la separazione delle carrierecontribuisca ad allontanare pericolosamentela magistratura requirente dalla cultura dellagiurisdizione, appiattendola in un ruolo dipolizia estraneo alla funzione giudiziaria.

L’obbligatorietà dell’azione penale, san-cita dall’art. 112 Cost. richiede inoltre comeimprescindibile requisito per la sua concretarealizzazione – e quindi per la salvaguardarel’uguaglianza dei cittadini di fronte alla leggepenale – la totale indipendenza da altri po-teri, dell’organo cui l’azione è demandata: èevidente quindi come, sulla base di questepremesse, non si può legittimamente ipotiz- Te

oria

e p

rati

ca d

el p

roce

sso

71

Page 73: 3 2012

zarsi la separazione delle carriere posto che sifinirebbe inevitabilmente per porre il P.M.sotto l’esecutivo. Solo l’indipendenza dell’or-gano d’accusa garantirebbe, infatti, l’impar-zialità dell’attività del PM. e quindil’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Un cenno, infine, anche alla materia delleintercettazioni.

Tema che, come è noto, si è posto negli ul-timi anni al centro di un acceso dibattito, cheha coinvolto gli esponenti del mondo politico,gli operatori del diritto e l’opinione pubblica.

La problematicità dell’argomento derivadalla circostanza che in materia di intercetta-zioni risultano coinvolti molteplici interessi dirilevanza costituzionale, tra i quali: l’interesseall’accertamento e alla repressione dei reati, dicui è portatrice l’autorità giudiziaria, che trovail proprio fondamento costituzionale nell’art.112 Cost. e il contrastante diritto alla libertà ealla segretezza delle comunicazioni, ricono-sciuto inviolabile e tutelato dall’art. 15 Cost.

Ebbene, l’esigenza di riformare l’istitutodelle intercettazioni nasce indubbiamentedalla necessità che gli interessi costituzionaliappena citati trovino un adeguato bilancia-mento nella disciplina dettata dal legislatore,

onde evitare che gli uni vengano ad esseresproporzionatamente sacrificati a vantaggiodegli altri.

In particolare, la circostanza che spinge illegislatore a modificare la disciplina delmezzo di ricerca della prova in esame consistenella prassi, sempre più diffusa, della pubbli-cazione a mezzo stampa o mediante altrimezzi mediatici delle conversazioni captate,anche nelle parti riguardanti fatti, circostanzeo persone estranee alle indagini, con evidentelesione del diritto alla privacy dei cittadinicoinvolti nelle intercettazioni.

Pertanto, se da un lato la materia delle in-tercettazioni richiede un urgente intervento diriforma che ne renda la disciplina più con-forme ai precetti costituzionali, soprattuttoper quanto concerne la soluzione delle proble-matiche relative alla tutela della riservatezzadei cittadini, dall’altro devono essere scongiu-rate quelle modifiche che determinano un ap-pesantimento del procedimento autorizzativoed un restringimento dell’ambito applicativodell’istituto, tale da costituire un intralcio perlo svolgimento delle attività di indagine. E suquesto, sinceramente, credo ci sia ancoramolto da lavorare nelle aule del Parlamento.

72

Teor

ia e

pra

tica

del

pro

cess

o

Page 74: 3 2012

73

L’an

golo

del

le r

ifor

me

Il dibattito sul finanziamento pubblico

L’odierna disaffezione della cittadinanzanei confronti della classe politica si è di re-cente manifestata col plauso unanime rivoltoal nuovo governo tecnico, incaricato di por-tare a termine quelle manovre impopolariche avrebbero fatto perdere consensi a qual-siasi movimento politico. Nella stagionedell’austerità e dello slancio riformatore, em-blematici del malcontento popolare e dellavoglia di cambiamento, i grandi leader sistanno adoperando per recuperare il terrenoperso e sottrarre voti al grande “partito del-l’astensione”. Rifondare radicalmente i par-titi, ringiovanendoli e rendendoli piùdemocratici, è l’obiettivo che va per la mag-giore. Si vuole lanciare un segno di aperturaverso quei cittadini “che non ci credono più”.Ma da dove cominciare? Le questioni in so-speso sono molte: si parla di modifica dellalegge elettorale, di elezioni primarie, dinuovi e capillari impegni sul territorio, ov-vero dell’esigenza di formare coalizioni fortiche permettano di governare stabilmente econcretizzare i programmi elettorali. Ma nes-suno oggi parla di un quesito che scorre si-lente come un fiume carsico: la trasparenzanelle modalità di finanziamento dei partiti.A questo scopo, l’Unione Europea potrebbe

essere una ricca fonte di ispirazione, poichéha proprio di recente tentato di dare una ri-sposta definitiva.

Da noi la suddetta questione andava dimoda negli anni Novanta, quando i giudicidel pool di Mani Pulite ruppero il patto di fi-ducia tra elettori e partiti. Tangentopoli eraperò solo la punta dell’iceberg di un feno-meno che ha portato molti studiosi a parlaredi “corruzione ambientale”1. Il sistema delletangenti, del resto, aveva due differenti mo-tivazioni alla base: o l’arricchimento perso-nale del politico di turno, o il procacciamentodi risorse finanziarie per i partiti di riferi-mento. Se le fattispecie del primo tipo si sonoverificate sporadicamente e costantementenel tempo, quelle del secondo tipo sono au-mentate a livelli esponenziali quando la finedella guerra fredda ha provocato l’interru-zione dei flussi di denaro provenienti dagliStati Uniti o dall’Unione Sovietica. Sull’ondaemozionale della maxi-inchiesta, ebbe poisuccesso il referendum del 1993 che abrogòla legge sul finanziamento pubblico dei par-titi2 e costrinse il Parlamento a riattivarsi. Oc-correva, infatti, trovare una soluzionegiuridicamente idonea a consentire ai partitistessi di espletare senza condizionamentiesterni una funzione costituzionalmente rile-vante3. Cosa che non sarebbe di certo acca-

Spunti dall’Europa per una disciplinapiù trasparente sul finanziamentopubblico dei partiti

Ylenia M. Citino

Page 75: 3 2012

duta qualora il partito, per necessità di so-pravvivenza, avesse dovuto subordinare ilproprio operato agli interessi di questa oquella lobby, intenzionata a influenzare i mec-canismi istituzionali attraverso il partitostesso.

Si adottò l’escamotage dei “rimborsi elet-torali”4 in base al quale i partiti che abbianosuperato la soglia di sbarramento dell’1% deivoti validamente espressi hanno diritto a con-correre ai finanziamenti.

Oggi il problema che si pone è diverso. Si èsuperata la fase del dilemma fra sostenta-mento di origine pubblica o privata, posto cheil primo è irrinunciabile. Ma la persistenza diuna crisi economica senza precedenti sta im-ponendo a tutte le istituzioni fortissimi tagli.Un’iniziativa che farebbe di nuovo presa suglielettori, dunque, non potrebbe prescinderedalle esigenze di oculatezza e moderazione.Esigenze facilmente assolvibili tramite l’au-toimposizione di regole di trasparenza, pub-blicità e legalità.

La politica, infatti, ha un costo. E la rilut-tanza dei privati a finanziarla fa sì che l’oneresia quasi interamente sostenuto dalle cassedello Stato. I cittadini, concorrendo al gettitoerariale, finiscono per esserne i contributoriindiretti. Ma in che misura? Uno sguardo allecifre può essere utile per capire l’entità del fe-nomeno.

Nelle ultime politiche del 2008, i fondi sta-tali erogati ai partiti ammontavano a503.094.380,9 milioni di euro, con un costo sulsingolo cittadino di 10,5 euro mentre nelle po-litiche del 1994 lo Stato aveva elargito appena46.917.449,3 euro, cioè 0,83 euro per contri-buente5. Le ragioni di questo incremento sonodovute alla novella legislativa che ha incisosui parametri di calcolo del monte-contributi:se fino al 1999 per determinare la somma com-plessivamente erogabile si moltiplicavano1.600 lire per il numero degli abitanti risultanti

dall’ultimo censimento6, a partire dal 2002 simoltiplicava 1 euro per ciascun anno di legi-slatura (dunque, il contributo reale era di 5euro) per il numero di cittadini iscritti alle listeelettorali per le elezioni della Camera dei De-putati7. Una singolare anomalia contabile, giàrilevata dalla stessa Corte dei Conti, risiede,inoltre, in una modifica intervenuta con l’art.39-quaterdecies del d.l. 273/20058, che consentel’erogazione dei contributi anche in caso di an-ticipato scioglimento delle Camere, laddoveprima vigeva il principio dell’interruzione deiflussi. Cosa che, in seguito allo scioglimentoanticipato delle Camere nel 2008, ha consen-tito ai partiti di fruire non solo della terza an-nualità di ratei dei rimborsi del 2006, maaltresì della prima annualità per quelli del2008, oltre che i rimborsi per le regionali del2005 e le europee del 2004, fino al concorreredella cifra massima di 291.549.230,27 milionidi euro.

Se si valuta, inoltre, la differenza fra lespese che i partiti sostengono “ai fini eletto-rali” (le uniche teoricamente rimborsabili perlegge) e i contributi riconosciuti, ci si accorgeche ciò che viene giuridicamente rubricatocome “rimborso” è in realtà un vero e propriofinanziamento, e non potrebbe essere altri-menti visto che, in assenza dei contributi sta-tali, i partiti avrebbero magrissime fonti disostentamento9. Queste cifre non considerano,chiaramente, le spese che lo Stato annual-mente effettua per finanziare altre voci affinialla politica, come l’editoria di partito10, i con-tributi alle imprese radiofoniche di partito11, igruppi parlamentari12 e quelli consiliari delleRegioni, il fondo per i debiti dei partiti13 e leagevolazioni fiscali previste dalla L. 157/1999.Spese che alcuni si sono presi la briga di som-mare, per far saltare sulle poltrone i non ad-detti ai lavori. Ma tale elencazione non devespaventare. La democrazia pluralistica, lo ri-badisco, ha un costo e i partiti hanno bisogno

74

L’an

golo

del

le r

ifor

me

Page 76: 3 2012

75

L’an

golo

del

le r

ifor

me

di professionalità che difficilmente sarebberoreperibili nel mercato del volontariato, oltreche di sedi, uffici, risorse per la ricerca, ecce-tera. I frequenti giudizi antipartitici prescin-dono dalla considerazione che se possonoesservi i partiti senza democrazia, non puòperò esservi una democrazia senza partiti. Lescelte da fare, allora, sono a un livello supe-riore, quello della garanzia di una democra-zia nei partiti, non raggiungibile se non conun attento studio di esperienze affini comequella europea, che potrebbero guidare il le-gislatore verso una riforma promettente dirinnovamento dei partiti.

Alcune peculiarità dei partiti politici europei

Prima di illustrare le modalità di finanzia-mento delle attività politiche nell’Unione eu-ropea, è d’uopo introdurre una distinzionedi tipo genetico e ontologico fra i partiti inambito comunitario e qualsivoglia modellodi partito operante in ambito nazionale14. Iprimi, infatti, non possiedono il forte e carat-terizzante vissuto storico vantato dagli eredidei pionieristici partiti di massa15, emersi nel

passaggio dallo stato liberale allo stato so-ciale, oggi pluralistico. Sono, piuttosto, deisoggetti relativamente “giovani”, essendonati per trasformazione (e successiva istitu-zionalizzazione) di precedenti “federazionitransnazionali” di partiti, ascrivibili alle clas-siche famiglie politiche. Se per partito si in-tendesse soltanto una struttura con funzionidi comitato elettorale, potremmo limitarci adire che i partiti europei sono nati nel giugnodel 1979, anno in cui si tennero le prime ele-zioni al Parlamento Europeo. In realtà, gli eu-ropartiti operavano già da prima ma sottoaltre vesti formali, poiché i membri del PE,non ancora eletti a suffragio universale, lavo-ravano in gruppi parlamentari che segui-vano certe linee politiche omogenee, utilicasse di risonanza per le varie istanze nazio-nali, oltre che per le grandi tematiche del per-corso di integrazione comunitario16. Inoltre,bisogna rilevare, per completezza espositiva,che i partiti europei non sono ancora oggi ingrado di esprimere dei propri candidati alleelezioni del PE, ma svolgono un ruolo piùampio di coordinamento delle campagneelettorali dei vari partiti nazionali, tanto piùfacile da capire allorché si paragonino i loro

Page 77: 3 2012

76

compiti a un ombrello che copre e rende omo-genee diverse realtà territoriali, guidandole.

Sebbene i partiti europei abbiano presoforma in un momento successivo rispettoagli omologhi gruppi parlamentari, inver-tendo il percorso obbligato che nei vari Statispinge i movimenti politici ad espandersiper “trovare il loro spazio” in Parlamento,ciò non significa che ne sia stata trascuratala disciplina giuridica. Può, invece, notarsicome l’eccessivo zelo del legislatore comuni-tario dell’ultimo quinquennio sia dovutoproprio all’esigenza di affrancare i partiti dalrapporto di stretta dipendenza e derivazioneparlamentare, creando un’intelaiatura giuri-dica formale che funga da volano per un am-pliamento del loro ruolo dal punto di vistasostanziale.

Da qui il paradosso per cui esistono deipartiti politici a livello europeo che nonhanno ancora trovato una dimensione defi-nita in cui operare, ma rispondono ad unacompiuta e dettagliata regolamentazione17.Al contrario, i partiti italiani, pur vantandoun ruolo affermato, non sono disciplinati daalcuna norma che ne definisca lo statuto giu-ridico.

I partiti italiani, infatti, sono stati da sem-pre refrattari a farsi “ingabbiare” nelle ma-glie giuridiche del diritto pubblico, nellaconvinzione che un partito non abbia biso-gno del riconoscimento dello Stato per defi-nirsi tale. Le tesi strettamente privatisticheritenevano sufficienti le norme di diritto ci-vile per assicurare il mantenimento delle piùalte garanzie di libertà18. Tuttavia, tale orien-tamento muove dall’errato assunto che unasistemazione legislativa della materia ver-rebbe fatta solo per imporre e limitare, nonanche per garantire e tutelare. Ecco perché,in quest’ottica, è utile conoscere e riportarel’esperienza europea, avviata dall’esigenzadi dar vita autonoma a dei soggetti, gli euro-

partiti, che si stanno progressivamente im-ponendo. L’esempio è paradigmatico e ati-pico nello stesso tempo: paradigmatico,perché potrebbe fungere da paradigma eorientamento per la confusa e turbolenta si-tuazione italiana; atipico, perché inverte ilnormale percorso del diritto, di adegua-mento postumo ai mutamenti della società,nuotando controcorrente, ossia creando re-gole in grado da operare come fertilizzantiper l’innesto di fattispecie non ancora piena-mente radicate.

A livello europeo, la molla che ha fattoscaturire il dibattito sui partiti è stata la pra-tica dell’erogazione di flussi costanti di de-naro dai gruppi parlamentari agli omologhipartiti, senza sottostare ad alcuna disciplinae, dunque, rendendo pericolosamente opacala contabilità del Parlamento europeo. In-vero, i gruppi, organi interni, non avevanol’onere di specificare come i partiti, soggettiesterni e non controllati, spendessero quantoriscosso e a quali scopi. Ciò aveva finito perprovocare delle distorsioni crescenti, rilevatepuntualmente dalla Corte dei Conti Euro-pea19 e tali da costringere il legislatore comu-nitario ad attivarsi20 per creare degli appositibinari di legalità.

In Italia, invece, non esiste un cordoneombelicale finanziario così stretto coigruppi. Sono i partiti ad avere un ruolo piùforte, mentre i gruppi rappresentano la loro“proiezione” nelle istituzioni pubbliche21 ehanno per ciò stesso un bilancio finanziariopiù limitato. Questo comporta che i partiti,pur essendo percettori di denaro pubblico inmisura maggiore, si autoregolano mutuandole norme dalla disciplina civilistica e sono, diconseguenza, sollevati dal rispetto dei prin-cipi di trasparenza, pubblicità e legalità a cuisoggiacciono le istituzioni pubbliche, soprat-tutto se di livello costituzionale. L’

ango

lo d

elle

rif

orm

e

Page 78: 3 2012

77

Il finanziamento della politica in Europa

Il primo problema che si pone in materiadi finanziamento è come delimitare i soggettiautorizzati a ricevere il finanziamento stesso.In altre parole, per creare delle regole sucome i partiti possano gestire delle donazionio dei trasferimenti pubblici, occorre primasapere quali movimenti politici rientrinosotto la definizione di “partito”. Tale attivitàenunciativa è estremamente delicata poichédalla latitudine o meno della categoria di-pende la buona valenza pratica della norma.Il modello di partito europeo deve molto aquello tedesco22, circostanza che affiora so-prattutto nei quattro punti che definiscono lecondizioni per accedere ai finanziamenti (art.3 Reg. Ce 2004/2003):

a) possesso della personalità giuridicanello Stato membro in cui il partito ha sede(criterio giuridico);

b) rappresentanza in almeno un quartodegli Stati membri, da membri del Parla-mento europeo o nei parlamenti nazionali oregionali o nelle assemblee regionali oppureaver ricevuto, in almeno un quarto degli Statimembri, almeno il 3% dei voti espressi in oc-casione delle ultime elezioni del Parlamentoeuropeo (criterio rappresentativo);

c) obbligo per il partito del rispetto, inparticolare nel suo programma e nella suaazione, dei principi sui quali è fondatal’Unione europea, ovvero i principi di libertà,di democrazia, di rispetto dei diritti del-l’uomo, delle libertà fondamentali e dellostato di diritto (criterio democratico);

d) aver partecipato alle elezioni al Parla-mento europeo o averne espresso l’inten-zione.

Bisogna evidenziare che l’ultima versionedel regolamento, così come modificata dalReg. CE 1524/2007, risulta molto alleggerita,

come effetto delle pressioni politiche emersenella fase di prima implementazione. Proprioqueste, ad esempio, hanno reso la disciplinapiù blanda e lontana dalle rigidità del mo-dello tedesco, mediante l’abbandono dell’ini-ziale principio di registrazione dello statuto.In tal modo, l’unica forma di controllo sullastruttura interna del partito è limitata all’ob-bligo di acquisire la personalità giuridica(lett.a). Nell’atto pratico, i partiti hanno mag-giormente scelto di avere sede a Bruxelles,per poi conformarsi a una delle due opzionipreviste dall’ordinamento giuridico belga,segnatamente la forma della ASBL (associa-tion sans but lucratif) o della AISBL (associationinternationale sans but lucratif), che differi-scono in base alla composizione del consigliod’amministrazione (solo nella seconda sonoammessi membri non di nazionalità belga).

Per ricevere i contributi comunitari, i par-titi devono redigere una domanda di finan-ziamento, diretta all’Ufficio di Presidenza delParlamento europeo, il quale avrà così l’attod’impulso necessario ad attivare la proce-dura di verifica delle condizioni. Tra i variobblighi previsti dall’art. 6, condicio sine quanon ai fini della procedura, il partito è tenutoad inviare la documentazione relativa al pro-prio statuto interno che, pur non essendo piùsoggetto a registrazione, sarà valutato per ilrispetto dei criteri di democrazia. Lo statuto,infatti, dovrà essere trasparente nella defini-zione degli organi responsabili della gestionepolitica e finanziaria, degli organismi o dellepersone fisiche che detengono, in ciascunodegli Stati membri interessati, il potere dirappresentanza legale, in particolare perquanto riguarda l’acquisizione o la cessionedi beni mobili e immobili e la capacità distare in giudizio.

Importanti sono poi gli obblighi dal puntodi vista contabile. Si va dalla pubblicazione L’

ango

lo d

elle

rif

orm

e

Page 79: 3 2012

annuale delle proprie entrate e uscite, con an-nessa una dichiarazione relativa all’attivo e alpassivo, alla dichiarazione delle proprie fontidi finanziamento, con un elenco dei donatorie delle donazioni ricevute da ciascuno, salvoquelle che non superino i 500 euro. Analoghilimiti sono previsti per le donazioni delle per-sone giuridiche, salvo specificare che è proi-bito ricevere donazioni da imprese apartecipazione statale su cui i pubblici poteriesercitino in modo diretto o indiretto un’in-fluenza dominante a titolo della proprietà,della partecipazione finanziaria o delle regoleche la disciplinano. Ogni donatore, inoltre,può devolvere un massimo di 12.000 euro,tetto raddoppiato rispetto alla precedente ver-sione nella considerazione che le fonti di fi-nanziamento di natura privata costituisconoun tassello importante per la vita politica diun partito. È ferreo, invece, il divieto di finan-ziamento ad altri partiti o ai partiti nazionali,in ragione del fatto che le somme che i partitiricevono devono essere impiegate allo svolgi-mento di attività strettamente connesse allaloro natura.

Una volta ricevuta la domanda di finanzia-mento, spetterà all’Ufficio di Presidenza va-gliare i documenti e decidere23 l’ammontaredei contributi, elargiti in misura del 15% inquote uguali per tutti i partiti, più un ulteriore85% fra quelli che hanno membri eletti al Par-lamento europeo, in proporzione al numerodegli eletti. In ogni caso, l’insieme dei contri-buti non può superare l’85% dei costi del par-tito.

Conclusioni

Dalla sommaria analisi effettuata, è facileintuire quanto la normativa europea siaasciutta ed essenziale. Rifugge da fronzoli o

orpelli legislativi poiché è il frutto dell’incon-tro di diverse realtà nazionali che, se non fossestato posto su un livello più lato e chiaramentecompromissorio, sarebbe sfociato in evidentescontro. Tale semplicità bene si attaglia al so-strato italiano, che invece soffrirebbe dall’in-gessamento voluto da alcune disciplinepresentate come disegni di legge24. Se lo spi-rito costruttivo vuole evitare di diventare co-struttivista deve, infatti, porsi dei limiti,rinvenibili nella stessa tradizione storico-cul-turale che si intende modificare. Per pervenireall’attuazione dell’art. 49 della Costituzione,della quale per problemi di spazio non ab-biamo potuto parlare, occorre acquisire la con-sapevolezza della non repentinità delleriforme. Il primo passo potrebbe perciò esserequello di considerare la normativa europea e,sulla base di questa, prevedere i primi obbli-ghi di pubblicità25 in capo ai partiti: pubblica-zione in Gazzetta dello statuto, enumerazionedei diritti e doveri degli iscritti, delle fonti difinanziamento e dei soggetti finanziatori, non-ché trasparenza nelle modalità di gestione deifondi e nel loro impiego. In questo modo, ipartiti rimarrebbero comunque nell’alveodelle “associazioni non riconosciute”, evi-tando di sottoporsi a una stretta regolamenta-zione insuscettibile di adeguarsi alla realtàmultiforme e prismatica della politica, ma siporrebbero sotto una luce diversa agli occhidegli elettori, finalmente invogliati a parteci-pare a quei giochi dei quali, spesso, difficil-mente ne comprendono i meccanismi.

NOTE

1 Vedi ad esempio D. Nelken, Il significato di Tangentopoli,in “Annali”, n. 14, Legge, diritto e giustizia, Einaudi Edi-tore, Torino, 1998, p. 615-616.2 Tale referendum, promosso dai Radicali Italiani e svol-

78

L’an

golo

del

le r

ifor

me

Page 80: 3 2012

79

L’an

golo

del

le r

ifor

me

tosi il 18 aprile 1993, vide il 90,3% dei voti a favore del-l’abrogazione e prevedeva il seguente quesito: “Volete voiche siano abrogati gli artt. 3 e 9 della legge 2 maggio 1974, n.195: “Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti po-litici”, così come modificati e integrati: dalla legge 16 gennaio1978, n. 11: “Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195”;dall’art. 3, comma 1 (Per l’anno 1980 la somma da erogare atitolo di contributo di cui al primo comma dell’art. 3 dellalegge 2 maggio 1974, n. 195, è fissata in lire 72.630 milioni.Con effetto dal 1° gennaio 1981 la stessa somma è fissata inlire 82.886 milioni annui) e dal comma 6 (La percentuale dicui al primo ed al secondo periodo dell’ultimo comma dell’art.3 della legge 2 maggio 1974, n. 195, è ridotta al 90 per cento)della legge 18 novembre 1981, n. 659: “Modifiche ed integra-zioni alla legge 2 maggio 1974, n. 195 sul contributo delloStato al finanziamento dei partiti politici“?3 L’art. 49 della Costituzione recita, infatti: “Tutti i citta-dini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per con-correre con metodo democratico a determinare la politicanazionale”.4 Per mezzo prima della Legge n. 2 del 2 gennaio 1997,intitolata “Norme per la regolamentazione della contribu-zione volontaria ai movimenti o partiti politici”, che intro-duce la possibilità di devolvere ai partiti il 4 per milledell’imposta sul reddito delle persone fisiche. L’adesioneresta, tuttavia, minima, tale per cui è necessario emanareuna seconda legge, la n. 157 del 3 luglio 1999, recante“Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali eabrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione vo-lontaria ai movimenti e partiti politici”, che prevede di fattoun vero e proprio finanziamento pubblico, parafrasatodal blando richiamo alle spese elettorali. 5 Come rileva il Collegio di Controllo sulle Spese Eletto-rali presso la Corte dei Conti, nel “Referto ai Presidentidelle Camere sui consuntivi delle spese e sui relativi finanzia-menti riguardanti le formazioni politiche che hanno sostenutola campagna per le elezioni della Camera dei Deputati e delSenato della Repubblica del 13-14 aprile 2008”.6 L’art. 9, comma 1 della legge 515/1993 prevedeva la mi-sura del contributo in 1.600 lire, poi elevato a 4.000 liredall’art. 1, comma 5 della legge 157/1999.7 Come da art. 2, comma 1, lett. a della legge 156/2002,mentre il diverso fattore di moltiplicazione (cittadinielettori della Camera) è stato introdotto dall’art. 1,comma 5 della legge 157/1999.8 Convertito con legge 51/2006. 9 Il nostro sistema, infatti, è profondamente diverso daquello, ad esempio, statunitense, il quale non cita i partitinella Costituzione del 1787 ma ne disciplina dettagliata-mente il finanziamento, che avviene solo nella fase dellacampagna elettorale grazie all’attività di fund raising deicomitati elettorali di supporto (cd. PACs). Sono poco

utili, quindi, quelle proposte di legge che pretendano diintrodurre nel nostro sistema istituti a noi sconosciuti,nel tentativo di scimmiottare meccanismi che altrovefunzionano grazie al complessivo concorso di precisecircostanze. 10 Nel complesso delle norme di sostegno all’editoria, ri-leva soprattutto il comma 2 dell’art. 153, L. 388/2000(legge finanziaria del 2011) a nome del quale “i contri-buti statali sono concessi esclusivamente alle impreseeditrici di quotidiani e periodici anche telematici che –oltre che attraverso esplicita menzione riportata in te-stata – risultino essere organi o giornali di forze politicheche abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delleCamere o rappresentanze nel Parlamento europeo, osiano espressione di minoranze linguistiche ricono-sciute, avendo almeno un rappresentante nel ramo delParlamento italiano nell’anno di riferimento dei contri-buti”. Alle imprese così individuate spetta un contributoordinario annuale, composto da una quota fissa e unavariabile, più un contributo integrativo previsto in casodi ridotte entrate pubblicitarie. Tuttavia, ai sensi dell’art.3 della L. 250/1990, tali contributi non possono superare,assieme, il 70% dei costi sostenuti dall’impresa.11 Previsti dall’art. 4, L. 250/1990.12 V. per la Camera l’art. 15, 3 comma del Regolamentodella Camera. Per il Senato della Repubblica, vale l’art.16 che assicura la disponibilità di contributi, a carico delbilancio interno, differenziati in ragione della consi-stenza numerica dei gruppi.13 Istituito dal comma 2 dell’art. 6-bis inserito a modificadella legge 157/1999 dalla lett. d del comma 2 dell’art.39-quaterdecies del d.l. 275/2005.14 Intramontabile punto di partenza per ogni riflessioneè M. Duverger, I partiti politici, Edizioni di comunità, Mi-lano, 1961.15 Cfr.: S. Belligni (a cura di), Il partito di massa: teoria epratica / scritti di Karl Dietricht Bracher (et al.), Milano, F.Angeli, 1975; ma anche, per un commento più recente:F. Malgeri, L. Paggi (a cura di), Partiti e organizzazioni dimassa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.16 È interessante il commento di P. Delwit, E. Kulahci, C.Van de Walle (eds.), Les fédérations européennes de partis,organisation et influence, Éditions de l’Université de Bru-xelles, Bruxelles, 2001: “Le progrès de la fédération est unexemple réussi d’adaptation des partis nationaux à l’Unioneuropéenne. Cela permet d’accroître l’influence du parti surl’agenda de l’Union européenne et peut prefigurer l’émergenced’europartis plus vigoreux”.17 Vedi il Regolamento (CE) n. 2004/2003 del Parlamentoeuropeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 relativoallo statuto e al finanziamento dei partiti politici a livelloeuropeo, pubblicato in GU L 297 del 15.11.2003, pag. 1 e

Page 81: 3 2012

il Regolamento (CE) n. 1524/2007 del Parlamento euro-peo e del Consiglio del 18 dicembre 2007 recante “Mo-difica del regolamento (CE) 2004/2003 relativo allostatuto e al finanziamento dei partiti politici a livello eu-ropeo”, pubblicato in GU L 343 del 27.12.2007.18 Invece, autori come Maranini criticano la “partitocra-zia” denunciando la mancanza di regole democraticheinterne. Cfr.: G. Maranini, Il tiranno senza volto, Bom-piani, Milano, 1963.19 V. il rapporto speciale 13/2000 della Corte, pubblicatoin GU C 313 volume II, del 12/12/1990.20 Solo un anno dopo, infatti, la Commissione proponeuno statuto per i partiti politici europei e il loro finan-ziamento: COM (2000) 898 def., 2001/0011 (CNS), Bru-xelles.21 Così, per es., P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Istituzioni didiritto pubblico, Padova, 1998. Sposano questa tesi ancher. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Torino, 2007.M. Mazziotti Di Celso, G. Salerno, Manuale di diritto co-stituzionale, Padova, 2002. P. Caretti, U. De Siervo, Istitu-zioni di diritto pubblico, Torino, 2004. C. Mortati, invece,li definisce più agilmente “espressione dei partiti poli-tici”, in Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975.Anche la Corte Costituzionale ha definito i gruppi par-

lamentari “il riflesso istituzionale del pluralismo poli-tico” (sent. 49/1998).22 La base giuridica del regolamento CE 2004/2003 èl’art. 224 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, il cuiprimo comma è ricalcato pedissequamente dalla primafrase dell’art. 21, 1° co. della Legge Fondamentale tede-sca (“I partiti collaborano alla formazione della volontà poli-tica del popolo”) e recita: “I partiti europei sono indispensabilicome fattore d’integrazione all’interno dell’Unione. Essi con-tribuiscono alla formazione del consenso e alla formulazionedella volontà dei cittadini dell’Unione”.23 in base alle disposizioni dell’art. 108, paragrafo 1 delregolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002, il cd. regola-mento finanziario, con il supporto delle certificazionifornite da un apposito organismo di controllo esterno.24 Una recentissima proposta di legge, ad esempio, è lan. 3809 d’iniziativa dell’on. Sposetti, presentata il 25 ot-tobre 2010, così dettagliata da spingersi persino a preve-dere la procedura di iscrizione al partito (art. 3, lett. adella pdl).25 Gli obblighi di pubblicità sono al centro degli studi diL. Ciaurro, Trasparenza e finanziamento dei costi della poli-tica, in Nuovi Studi Politici, n. 2, 1995.

80

L’an

golo

del

le r

ifor

me

Marinus Van ReymerswaeleIl banchiere e sua moglie

Page 82: 3 2012

81

Dir

itto

ed

econ

omia

Le fattispecie di insolvenza transnazionale:

l’esigenza di certezza del diritto

Dalla fine della seconda guerra mondiale,le grandi imprese occidentali e giapponesihanno iniziato a dislocare direttamente neimercati di consumo le proprie unità produt-tive, oppure hanno localizzato in Stati diversifasi o settori della propria attività, in modotale da poter usufruire di un mercato del la-voro o di un mercato dei capitali o di un si-stema fiscale più vantaggioso.

Questo fenomeno della “globalizzazionedei mercati” deve essere inteso, quindi, nontanto come interdipendenza delle economienazionali o espansione del commercio inter-nazionale, quanto come espansione globaledell’organizzazione produttiva e distributivadella grande e medio grande impresa attra-verso l’adozione di due modelli organizzativiimprenditoriali: il primo caratterizzato dalladelocalizzazione dell’attività di impresa tra-mite l’insediamento di una dipendenza (c.d.“establishment”), come tale priva di personalitàgiuridica, mentre il secondo modello è statocaratterizzato dalla dislocazione dell’attivitàd’impresa tramite la costituzione di società fi-glie, quindi di soggetti autonomi di diritto,con la conseguente assunzione della formagiuridica del gruppo di società1. In questasede, ci occuperemo di questo secondo mo-

dello organizzativo. Parallelamente al feno-meno della globalizzazione dei mercati e delladelocalizzazione da parte delle grandi emedio grandi imprese della propria attività inStati differenti, sono aumentate la frequenzae la rilevanza delle fattispecie di insolvenzatransnazionale2. Questo fenomeno è avvenutoin maniera ancora più accentuata nell’Unioneeuropea, dove la creazione di un mercato in-terno, ossia di “(…) uno spazio senza frontiereinterne, nel quale è assicurata la libera circo-lazione delle merci, delle persone, dei servizie dei capitali secondo le disposizioni dei trat-tati”, ha determinato un importanteincremento delle attività economiche tran-sfrontaliere3.

Le fattispecie di insolvenza transnazio-nale hanno elementi di “estraneità” o “inter-nazionalità”, ossia punti di contatto con piùordinamenti e pongono, pertanto, i classiciquesiti di diritto internazionale privato:quale giudice è competente ad aprire unaprocedura di insolvenza? Una volta stabilitoil giudice competente, quale legge, lex fori olex causae, si applica al procedimento?

Quali presupposti sono necessari per il ri-conoscimento delle decisioni assunte in undeterminato Stato e quali sono gli effetti chederivano da questo riconoscimento?

Nelle fattispecie di insolvenza transnazio-nale, la possibilità che questi aspetti siano re-

L’insolvenza dei gruppi transnazionalitra necessità di coordinamento e certezzadel diritto

Stefano Conti

Page 83: 3 2012

golati in maniera uniforme e trasparente ri-sulta fondamentale4. In questo modo, i poten-ziali creditori potrebbero calcolare il rischioconnesso alla eventuale insolvenza di un po-tenziale debitore, sapendo ex ante quale sa-rebbe il giudice competente ad aprire laprocedura di insolvenza e quale sarebbe,quindi, la legge applicabile.

Un’unica disciplina trasparente e prevedi-bile di diritto internazionale privato in mate-ria di insolvenza consentirebbe, pertanto, dipromuovere certezza e fiducia nel mercato,così determinando la diminuzione dei tassi diinteresse e l’aumento della liquidità del mer-cato dei capitali. In ultima analisi, verrebberofavorite stabilità e crescita economica5.

Il gruppo di società insolvente e l’esigenza

di coordinamento tra le singole procedure

Nell’insolvenza dei gruppi transnazionali,emerge l’ulteriore esigenza di garantire un co-ordinamento effettivo tra le procedure affe-renti le singole società che lo compongono.Per comprendere ciò, è necessario premetterebrevi cenni sul fenomeno del gruppo di so-cietà. Quest’ultimo è definito tradizional-mente come la forma giuridica assunta dallagrande e medio grande impresa che si fram-menta in una pluralità di società, tutte legateda un rapporto di controllo con la holding, at-traverso il quale quest’ultima esercita un’ef-fettiva attività di direzione e coordinamentosugli altri membri del gruppo per il «persegui-mento di scopi comuni anche trascendentidagli obiettivi delle singole società apparte-nenti al gruppo stesso (c.d. interesse digruppo)»6. Nei principali ordinamenti giuri-dici, secondo studi comparatistici, alle societàdi capitali vengono attribuite due caratteristi-che fondamentali: la personalità giuridica(c.d.“legal personality”), e la responsabilità li-

mitata. Nella nostra ipotesi, in cui le società dicapitali siano inserite all’interno di una stessastruttura di gruppo, queste caratteristiche as-sumono un significato ben preciso.

Ciascuna società del gruppo, grazie allapersonalità giuridica, è un soggetto di dirittoautonomo dagli altri membri del gruppostesso, è dotata di capacità giuridica e capacitàdi agire, è titolare di un patrimonio autonomoda quello dei suoi investitori (c.d. “autonomiapatrimoniale”), vincolato a garanzia dei pro-pri creditori sociali e impermeabile alle pre-tese dei creditori dei soci, ovvero, nel caso disocietà controllate, i creditori della control-lante stessa

In virtù, invece, della responsabilità limitata,i soci sono responsabili per le obbligazioni so-ciali nei limiti dei propri conferimenti e solo lasocietà risponde, con il proprio patrimonio,delle obbligazioni sociali, mentre il patrimoniopersonale dei soci rimane insensibile alle pre-tese dei creditori sociali; nel caso di società con-trollate, il patrimonio della controllante risultaimpermeabile alle pretese dei creditori dellecontrollate. Il vincolo sul patrimonio che derivadalla personalità giuridica è anche chiamato af-fermative asset partitioning, mentre gli effetti chederivano dalla responsabilità limitata sono de-finiti defensive asset partitioning7.

In definitiva, quindi, ciascuna società delgruppo è formalmente indipendente daglialtri membri ed è titolare e responsabile, conil proprio patrimonio, esclusivamente dei de-biti assunti in proprio nome, per cui non ri-sponde dei debiti degli altri membri; in altreparole, il gruppo non costituisce un centro au-tonomo di imputazione dei rapporti giuridici8.

Nella terza parte della “Legislative Guide onInsolvency Law” dell’UNCITRAL, intitolata“Treatment of enterprise groups in insolvency”,questo trattamento dei gruppi viene definitocome “separate entity approach”, ed è decisa-mente il modello di disciplina dei gruppi di

82

Dir

itto

ed

econ

omia

Page 84: 3 2012

83

Dir

itto

ed

econ

omia

società più diffuso nel mondo.Da questo approccio discende che, in caso

di default di società appartenenti al medesimogruppo, queste saranno considerate come de-bitori distinti, nei cui confronti, quindi, do-vranno essere aperte autonome procedure diinsolvenza9; si formano, quindi, differentimasse passive e attive per ciascuna società,così come lo stato di insolvenza, o il diversopresupposto oggettivo, deve essere accertato“con esclusivo riferimento alla situazione econo-mica”10 della singola società; quindi l’apparte-nenza ad un medesimo gruppo di società nonavrà rilevanza giuridica, in ossequio ai prin-cipi sopraesposti.

Raramente, però, questo modello rappre-senta la soluzione più efficace ed efficiente neltrattamento dell’insolvenza di società appar-tenenti al medesimo gruppo. Nell’ipotesi digruppi di società transnazionali caratterizzatida un alto livello di integrazione, per cui i pa-trimoni e i debiti delle società siano forte-mente collegati tra di loro, è da preferire unapproccio all’insolvenza del gruppo conno-tato da un coordinamento tra le singole pro-cedure nazionali, tale da riflettere la realtàunitaria dell’esercizio dell’attività imprendi-toriale attraverso gruppi di società altamenteintegrati. Questo diverso modello è stato de-nominato, nel testo dell’UNCITRAL sopraci-tato, come “procedural coordination”.

Tale disciplina consentirebbe alle corti na-zionali di adottare decisioni coerenti e carat-terizzate da un’unica strategia; sarebbe, così,possibile sia il risanamento del gruppo nel suoinsieme – ipotesi altrimenti impraticabile – sia,nel caso di liquidazione del patrimonio, lamassimizzazione del valore dei beni delgruppo (c.d. “maximization of asset value”).

Si eviterebbe, quindi, la frammentazionedel trattamento dei singoli membri e la conse-guente falcidia del “going concern value”.

La necessità di introdurre forme di coordi-

namento tra le singole procedure nazionali diinsolvenza rappresenta, quindi, l’ulteriore esi-genza che emerge nelle fattispecie di insol-venza transazionale. La vera sfida è individuareil modo in cui possa instaurarsi questa coopera-zione tra corti di diversi Stati – un esempio, comevedremo, può essere individuato alla luce dellegiurisprudenze nazionali nell’applicazione delregolamento 1346/200011.

Il regolamento 1346/2000 e l’assenza di una

disciplina del gruppo di società

In ambito europeo, la necessità di intro-durre una disciplina uniforme di diritto inter-nazionale privato in materia di insolvenza erasorta già nel lontano 1959, quando la Commis-sione nominò un gruppo di esperti affinché re-digessero il testo della convenzionecomunitaria che avrebbe dovuto introdurreuna normativa del genere. Dopo quarantunoanni, tre progetti di convenzione falliti (1970,1973 e 1982) e una convenzione firmata mamai entrata in vigore (convenzione di Bruxel-les del 1995), finalmente la comunitarizza-zione del settore della cooperazionegiudiziaria in materia civile – avvenuta con iltrattato di Amsterdam – ha consentito l’ado-zione del regolamento 1346/2000, attraversoil quale, senza la scure dello strumento di ra-tifica proprio delle convenzioni comunitarie,è stato imposto agli Stati membri una disci-plina di diritto internazionale privato uni-forme in materia di insolvenza12.

La forma di coordinamento instaurata daquesta disciplina si fonda sul principio di uni-versalità limitata. Il regolamento dispone, in-fatti, l’apertura di una procedura “principale”nello Stato membro in cui si trovi il “centrodegli interessi principali” (c.d. centre of maininterests o COMI) del debitore. Tale proceduraè di carattere universale e, pertanto, idonea a

Page 85: 3 2012

84

Dir

itto

ed

econ

omia

produrre effetti in tutti gli ordinamenti inte-ressati dall’insolvenza e a ricomprendere tuttii beni del debitore, ovunque dislocati, e tutti isuoi creditori. Accanto alla procedura princi-pale, il regolamento prevede, inoltre, la possi-bilità che siano aperte, negli stati in cui si troviuna dipendenza dello stesso debitore, delleprocedure “locali”, in grado di spiegare effettisolo all’interno del territorio dello Stato diapertura e tali, quindi, da “limitare” la portatauniversale della procedura principale13.

Il coordinamento tra questa pluralità diprocedure si fonda sul principio di subordina-zione delle procedure secondarie alla proce-dura principale, oltre che sull’obbligo dicollaborazione e informazione tra il curatoredella procedura principale e i curatori delleprocedure secondarie (art. 31, reg. cit.).

La funzione meramente ancillare delle pro-cedure secondarie rispetto alla proceduraprincipale emerge da una serie di norme: adesempio, l’art. 33, reg. cit., attribuisce al cura-

tore della procedura principale il potere dichiedere la sospensione delle operazioni di li-quidazione della procedura secondaria – po-tere che viene, in effetti, individuato dalladottrina come un vero e proprio diritto pote-stativo14; il successivo art. 34 consente, invece,sempre al curatore della procedura principale,di chiedere la chiusura della procedura secon-daria attraverso “un piano di risanamento, unconcordato o una misura analoga […] “15.

Tuttavia, il regolamento menzionato disci-plina unicamente il modello organizzativo im-prenditoriale di esercizio di attivitàeconomiche all’estero tramite la ramificazionedi una o più dipendenze prive di personalitàgiuridica, mentre nulla prevede in relazione almodello del gruppo di società. Lacuna – que-st’ultima – tanto più rilevante se si confron-tano dati statistici dai quali emerge l’assolutocarattere recessivo del modello della dipen-denza rispetto a quello dei gruppi.

Questa carenza del dettato normativo im-

ONU

Page 86: 3 2012

plica che le società insolventi di un mede-simo gruppo, in quanto dotate di personalitàgiuridica, siano considerate come distinti de-bitori e che, nei loro confronti, venganoaperte autonome procedure principali, senzache l’inserimento nella medesima strutturadi gruppo possa assumere alcuna rilevanzagiuridica diretta16.

In questo senso si è pronunciata anche laCorte di giustizia nel noto caso Eurofood: «nelsistema di determinazione della competenza deigiudici degli Stati membri posto in essere dal re-golamento, esiste una specifica competenza giu-risdizionale per ciascun debitore costituenteun’entità giuridicamente distinta».

Questa visione atomistica dell’insolvenzadi società appartenenti ad un medesimogruppo impedisce l’applicazione di queglistrumenti di coordinamento tra proceduraprincipale e procedura secondaria predispostidal regolamento per l’insolvenza di un unicodebitore. Quindi, in definitiva, il regolamentoimpedisce la possibilità che vi sia una gestioneefficace ed efficiente dell’insolvenza digruppo: il risanamento del gruppo nel suo in-sieme diventa quasi impossibile da raggiun-gere, così come la liquidazione dei beniavviene a prezzi notevolmente inferiori17.

Il potere discrezionale dei giudici nazionali

Visto che il regolamento non prevede unaforma di coordinamento tra le procedureprincipali aperte nei confronti di membridello stesso gruppo, le giurisprudenze nazio-nali hanno adottato una soluzione in gradodi consentire una forma di coordinamento.Prima di evidenziare questi orientamentigiurisprudenziali, bisogna fare alcune preci-sazioni. Il regolamento attribuisce ai giudicinazionali una discrezionalità pressoché asso-luta, sia in virtù di una concezione indeter-

minata del COMI, sia sulla base del principiodi fiducia reciproca e del riconoscimento au-tomatico. Il COMI è un elemento chiave delregolamento, in quanto individua diretta-mente il giudice competente ad aprire la pro-cedura principale e indirettamente stabilisceanche la legge applicabile alla procedurastessa. Infatti, si applica alla procedura prin-cipale la legge dello Stato di apertura del-l’iter, ossia la legge dello Stato dove si trovail COMI del debitore (art.4).

Nonostante il suo ruolo chiave e il largoutilizzo, in generale, della tecnica definitoriada parte del legislatore europeo, il regola-mento non prevede, nel suo articolato, alcunadefinizione o riferimento al concetto di COMI.Unica eccezione è rappresentata dall’articolo3, che stabilisce una presunzione semplice(c.d. “rebuttable presumption”): «Per le società ele persone giuridiche si presume che il centro degliinteressi principali sia, fino a prova contraria, illuogo in cui si trova la sede statutaria».

Solo il considerando n. 13, che, però, inquanto “considerando” (cd. “recital”), ha unafunzione di carattere ermeneutico e non pro-priamente precettiva, prevede una definizionedi COMI: «Per “centro degli interessi principali”si dovrebbe intendere il luogo in cui il debitore eser-cita in modo abituale, e pertanto riconoscibile daiterzi, la gestione dei suoi interessi». In ogni caso,emerge già in questi riferimenti la necessitàche il COMI sia localizzato in base a criteri og-gettivi e trasparenti, come esplicitamente ri-chiede il considerando n. 1318; peraltro, lastessa presunzione juris tantum di coincidenzadel COMI con la sede statutaria, ossia con unluogo «riconoscibile dai terzi con una certezza as-soluta e documentale»19, non può che avvalorarela tesi che fonda l’individuazione del COMIin virtù di fattori riconoscibili dai terzi.

A contribuire alla discrezionalità assolutadei giudici nazionali si pongono anche ilprincipio di fiducia reciproca tra le autorità

85

Dir

itto

ed

econ

omia

Page 87: 3 2012

86

Dir

itto

ed

econ

omia

degli Stati membri e il meccanismo di ricono-scimento automatico di cui all’art.16, espres-sione del detto principio. Alla luce propriodell’art. 16, infatti, la decisione di apertura diuna procedura principale «è riconosciuta intutti gli altri Stati membri non appena essa pro-duce effetto nello Stato in cui la procedura èaperta.», l’art. 17 aggiunge «senza altra forma-lità», proprio a voler sottolineare che questoriconoscimento avviene de plano.

Tale meccanismo comporta il riconosci-mento della decisione di apertura in tutti isuoi capi e presupposti da parte di tutti glialtri Stati membri, quindi deve essere ricono-sciuta anche la parte relativa alla affermazionedel giudice a quo della propria competenza adaprire una procedura principale.

I giudici degli altri Stati membri richiestisaranno, quindi, privati della propria giurisdi-zione ad aprire una procedura principale; ilCOMI, infatti, è uno solo per ciascun debitoree, una volta aperta la procedura principale, igiudici degli Stati membri ad quibus devono ri-conoscere la sua collocazione nello Stato diapertura. Peraltro, i giudici degli Stati membririchiesti, in virtù della fiducia reciproca e delriconoscimento automatico, non potrannocontestare la statuizione sulla giurisdizionedel giudice che ha avviato la procedura prin-cipale; se una parte ritiene che il centro degliinteressi principali sia situato in un altro Statomembro, dovrà impugnare la decisione nelloStato di apertura secondo quanto previstodalla legge di questo stesso Stato.

In linea teorica, questo sistema dovrebbeimpedire la possibilità che si verifichino deiconflitti di giurisdizione. Tuttavia, nel caso incui vi siano giudici di diversi Stati membri cheaprano una procedura principale nei confrontidello stesso debitore, il conflitto si dovrà risol-vere sulla base del criterio di “priorità”, impli-cito nel meccanismo di riconoscimentoautomatico: la procedura aperta per prima

(rectius: che produce per prima effetti nelloStato di apertura) prevarrà sulle altre.

In questa direzione, è ben comprensibile ladiscrezionalità assoluta dei giudici, i qualipossono localizzare il COMI del debitore nelproprio Stato sulla base di una loro personaleinterpretazione di questo titolo di giurisdi-zione e, poi, possono imporre questa interpre-tazione a tutti i giudici degli altri Stati membriin virtù del meccanismo di riconoscimento au-tomatico20.

La soluzione delle giurisprudenze nazionali

all’assenza di coordinamento

Proprio in virtù dell’assoluta discrezionalitàdei giudici nazionali, vista l’ampia nozione diCOMI e il meccanismo di riconoscimento au-tomatico, e al fine di instaurare una forma dicoordinamento nell’insolvenza di società ap-partenenti ad un medesimo gruppo, è nato unorientamento giurisprudenziale definito “mindof management approach”, anche noto, inizial-mente come “anglo-saxon approach”.

Questo approccio si fonda su una conce-zione del COMI come coincidente con la sedeamministrativa della società, ossia con il luogoin cui si svolgono i processi decisionali interniall’ente, o, in altre parole, il luogo in cui vieneesercitata l’attività direzionale e gestionalesempre interna all’ente stesso.

Il “mind of management approach” è adottatodai giudici dello Stato membro nel quale sitrova la sede statutaria – e, quindi, il COMIdella holding del gruppo – e si applica ad unoschema ben definito. Più precisamente, nel casodi insolvenza di gruppi transnazionali, i giudicidello Stato membro in cui si trova la sede sta-tutaria della capogruppo, affermano la propriacompetenza ad aprire una procedura princi-pale, non solo nei confronti della controllante,ma anche verso le controllate la cui sede statua-

Page 88: 3 2012

87

ria è situata in Stati membri diversi da quellodella holding. Gli stessi giudici, quindi, supe-rano in maniera sistematica la presunzionesemplice di coincidenza del COMI delle con-trollate con la loro sede statutaria, situata inStati membri diversi da quello della control-lante, e localizzano il COMI delle controllatenello Stato della controllante, ossia nello Statodei giudici stessi. Questo orientamento con-sente di concentrare le procedure principaliaperte nei confronti dei membri del gruppo inun’unica giurisdizione; in tale modo, si riescead ottenere quel coordinamento tra le proce-dure che il regolamento altrimenti non garan-tisce: vi sarebbe un unico giudice competentee potrebbe essere nominato un unico cura-tore per le diverse procedure principali e sa-rebbe possibile pianificare una strategiagenerale per la gestione della crisi infra-gruppo21. In contrapposizione a questa giu-

risprudenza, si sono schierati i giudici degliStati membri dove si trova la sede statutariadella controllata. Questi hanno sostenuto lapropria competenza giurisdizionale adaprire la procedura principale nei confrontidella controllata, prima di tutto sulla basedella presunzione semplice di coincidenzadel COMI con la sede statutaria, poi anche invirtù della tesi per cui questa presunzionepotrebbe essere superata solo se in uno Statomembro diverso da quello della sede statu-taria sia esercitata l’attività sociale della con-trollata, o comunque si manifesti all’esternola volontà della società e quindi quest’ultimaentri in contatto con i terzi (c.d. «contact withcreditors approach»). Proprio questa contrap-posizione tra diversi orientamenti ha determi-nato la nascita di conflitti positivi digiurisdizione nelle applicazioni del regola-mento alle insolvenze di società infragruppo, D

irit

to e

d ec

onom

ia

Corte di Giustizia Europea

Page 89: 3 2012

88

Dir

itto

ed

econ

omia

facendo emergere l’inidoneità del regolamento1346/2000 a garantire la certezza del diritto ela prevedibilità del giudice competente e dellalegge applicabile alle procedure di insolvenza22.

La pronuncia della Corte di giustizia nel caso

Eurofood

Alla luce delle brevi notazioni sul conside-rando n.13 e della pronuncia della Corte digiustizia nel caso Eurofood, sembra evidente laprevalenza dell’interpretazione del COMIcoincidente con il luogo in cui il debitore entraa contatto coi i terzi, ossia con il luogo che ri-sulta riconoscibile per questi ultimi.

La Corte di giustizia ha infatti stabilito consentenza del 2 maggio 2006 che il centro degliinteressi principali debba essere localizzatosulla base di criteri «obbiettivi e verificabili daiterzi», in quanto, «tale obbiettività e possibilità diverifica da parte dei terzi sono necessarie per ga-rantire la certezza del diritto e la prevedibilità del-l’individuazione del giudice competente ad aprireuna procedura di insolvenza principale», anzi lacertezza del diritto e la prevedibilità sono an-cora più rilevanti, poiché con l’individuazionedel giudice competente viene determinataanche la legge applicabile. In questa direzionela Corte, inoltre, ha sostenuto che la presun-zione semplice di cui all’art. 3 «può essere su-perata solo se elementi obbiettivi e verificabili daterzi consentono di determinare l’esistenza di unasituazione reale diversa da quella che si ritiene cor-rispondere alla collocazione nella detta sede statu-taria.».

Tra gli esempi che la Corte riporta per il su-peramento della presunzione semplice, vi èl’ipotesi della società fantasma (c.d. “letterboxcompany”), ossia quella società che non svolgaalcuna attività nello Stato della sede statutaria;al contrario, il semplice controllo delle sceltegestionali della società debitrice da parte di

una società, la cui sede statutaria si trovi inuno Stato membro diverso, «non è sufficienteper superare la presunzione stabilita dal regola-mento.». A meno di non voler considerarel’ipotesi della società fantasma come unica fat-tispecie in cui sia possibile il superamentodella presunzione della sede statutaria, vistoche la Corte presenta questo caso come unamero esempio («ciò potrebbe in particolare valere[…]»), sembra che sussistano ulteriori casi, incui al mero controllo, insufficiente per supe-rare la presunzione, si aggiungano non speci-ficati parametri che consentano, comunque, dicollocare il COMI del debitore in uno Stato di-verso da quello della sua sede statutaria.

Ma quali siano questi fattori non è dato sa-perlo, unico elemento sicuro essendo la neces-sità della loro “oggettività”. In altre parole,neanche l’intervento della Corte di giustiziaha portato chiarezza nel concetto di COMI, lacui elasticità appare ancora troppo elevata perpensare che possa essere garantito il principiodi certezza del diritto, fondamentale per il cal-colo del rischio di insolvenza23.

Una critica alle categorie tradizionali e al re-

golamento n. 1346/2000

Per quanto, in via generale, è da preferireil «contact with creditors approach», in concretole decisioni delle giurisprudenze nazionalidifficilmente possono essere completamenteinquadrate in una di queste categorie tradizio-nali. Ad esempio, in alcune pronunce ritenuteappartenenti al «mind of management approach»sono individuabili dei parametri che riman-dano, invece, all’orientamento opposto.

Il Tribunale di Parma, con la sentenza del20 febbraio 200424, ha dichiarato lo stato di in-solvenza della società Eurofood IFSC Ltd., con-trollata al 100% da Parmalat s.p.a. e con lasede statutaria in Irlanda. Questa decisione

Page 90: 3 2012

89

rientra in via generale nel «mind of manage-ment approach», per il fatto che il giudice ita-liano ha ritenuto applicabile il criteriogiurisdizionale nazionale della “sede princi-pale” (art. 9 l.f.) e, solo in via sussidiaria, ilCOMI; questi criteri sarebbero identici se-condo la Corte, coincidendo entrambi con lasede amministrativa del debitore. Da qui, ilTribunale, ai fini del radicamento della pro-pria giurisdizione, ha individuato una seriedi parametri idonei a localizzare la sede am-ministrativa di Eurofood in Italia. Questi ele-menti non sono, quindi, in alcun modoriconoscibili dai terzi: il controllo totalitariodi Eurofood da parte di Parmalat s.p.a., la na-zionalità italiana degli amministratori esecu-tivi di Eurofood e la loro partecipazione alleriunioni del consiglio di amministrazionedella società irlandese dall’Italia tramite col-legamento telefonico.

Eppure, lo stesso Tribunale di Parmapone, poi, a fondamento della propria deci-sione un ulteriore fattore, che, a nostro giu-dizio, è del tutto riconoscibile dai terzi: tuttele operazioni finanziarie e i prestiti obbliga-zionari di Eurofood erano garantite da Parma-lat s.p.a., «per cui i terzi che contrattavano conEurofood non potevano non riconoscere, dietro ilsuo fragile schermo societario, il vero soggettogiuridico ed economico con cui stavano nego-ziando e su cui facevano affidamento sotto il pro-filo economico (ossia Parmalat s.p.a. N.d.R.)».

Il punto centrale diventa, quindi, se que-sto elemento “oggettivo”, da solo, consentao meno il superamento della presunzionesemplice di coincidenza del COMI di Euro-food con la sua sede statutaria in Irlanda25.

Peraltro, quest’ultimo parametro è statoutilizzato anche nella più recente sentenzadel 10 aprile 2009 del Tribunale di Isernia26,ove quest’ultimo ha affermato la propria giu-risdizione sulla società lussemburghese ItHolding Finance S.A., sub-holding del gruppo

di moda Itierre con sede statutaria nel Gran-ducato.

Oltre ai parametri non riconoscibili – al-meno dal soggetto medio – del controllo to-talitario da parte della capogruppo It Holdings.p.a. e della nazionalità italiana degli ammi-nistratori esecutivi di It Holding Finance S.A.,il giudice ha localizzato il COMI della sub-holding in Italia anche sulla base dell’ele-mento verificabile dai terzi per cui i prestitiobbligazionari della It Holding Finance S.A.erano garantiti dalle altre società del gruppo.Anche per questa sentenza, ascrivibile al mo-dello del «mind of management approach», valela critica esposta sopra per la sentenza delTribunale di Parma. Non sembra azzardatoaffermare che il concetto di COMI permanetuttora incerto, rimesso – come è – all’asso-luta discrezionalità dei giudici. A questo siaggiunga che lo schema all’origine del «mindof management approach» ha subito delle mo-difiche dopo la sentenza Eurofood.

Infatti, il giudice francese, nella pronunciadel 2 agosto 200627, non ha affermato la pro-pria giurisdizione su una società estera con-trollata da una capogruppo con sede inFrancia, ma ha stabilito la propria compe-tenza internazionale nei confronti di una so-cietà con sede in Inghilterra al vertice delgruppo Eurotunnel insieme ad una societàfrancese con sede a Parigi.

È emersa, così, l’incapacità della pronun-cia della Corte di giustizia di individuare iconfini del concetto di COMI e di porre,quindi, fine alla grave incertezza collegata al-l’applicazione del regolamento 1346/2000 al-l’insolvenza dei gruppi di società. Anzi, lavariazione sullo schema originale del «mindof management approach», successiva alla sen-tenza Eurofood, non ha fatto che aumentare lefattispecie di insolvenza a cui applicare que-sto approccio, legato ad un’interpretazionedel concetto di COMI in contrasto con il re- D

irit

to e

d ec

onom

ia

Page 91: 3 2012

90

golamento e con la pronuncia della Corte digiustizia.

Siamo probabilmente di fronte all’afferma-zione generale di un orientamento teso allagestione unitaria dell’insolvenza di gruppo,non più circoscritto allo schema iniziale intro-dotto dai giudici inglesi.

Questo processo non farà che contribuire adaumentare i casi di conflitti di giurisdizione e diincertezza, visto che, senza riferirsi ad un con-cetto definito di COMI, i giudici che lo adottanomirano a consentire la centralizzazione delleprocedure principali, ai fini dell’introduzione diuna forma di coordinamento nell’insolvenza diun gruppo, anche nell’ottica di realizzare gli in-teressi pubblici del proprio Stato connessi allacrisi di un’impresa: tutelare i creditori in mododa attrarre investimenti nel proprio paese, di-fendere l’immagine del mercato nazionale e i li-velli occupazionali, realizzare quelle politichenazionali irrealizzabili ove la procedura fossestata aperta in altro Stato. La certezza del diritto,in presenza di un titolo di giurisdizione così in-certo, resta, dunque, una chimera28.

D’altro canto, il coordinamento tra le proce-dure principali, aperte nei confronti delle so-cietà appartenenti ad un medesimo gruppotransnazionale, potrà essere instaurato solo lad-dove le decisioni di apertura delle procedureprincipali siano adottate per prime nello Statoin cui si trovi la sede statutaria della capo-gruppo ovvero la sede di altre società delgruppo stesso; altrimenti, ai lumi del principiodel riconoscimento automatico, sono destinatea prevalere le eventuali procedure principali av-viate nei singoli Stati membri in cui vi siano lesedi statutarie delle distinte società del gruppo,impedendo qualsiasi forma di connessione edinterazione. L’esigenza di coordinamento infra-gruppo è lasciata quindi, inopportunamente, alcaso29. In conclusione, la valutazione della ca-pacità del regolamento 1346/2000 di realizzarele due esigenze fondamentali di coordinamento

e certezza del diritto è largamente insufficiente.Si potrebbe ovviare al detto problema introdu-cendo una disciplina esplicita dell’insolvenzadei gruppi transnazionali che garantisca al-meno quelle forme di coordinamento tra proce-dure secondarie e principali, previste nelregolamento, anche nei casi di insolvenza diuna pluralità di debitori inseriti in una mede-sima struttura di gruppo. Questo, però, senzache le procedure aperte nei confronti delle sin-gole società del gruppo siano qualificate tecni-camente come procedure “secondarie”, proprioperché queste procedure si aprono negli Stati incui un debitore, già assoggettato a proceduraprincipale, abbia una dipendenza, come talepriva di personalità giuridica, e non possono es-sere avviate nei confronti di un soggetto debi-tore giuridicamente autonomo da quellosottoposto a procedura madre. In aggiunta, nonè del tutto fuori luogo esigere un ben più defi-nito concetto di COMI: la Corte di giustiziaavrebbe potuto prevedere che la fattispecie disocietà fantasma fosse l’unica che consentisse ilsuperamento della presunzione semplice di cuiall’art. 3. Chiedere, da una parte, certezza e, dal-l’altra, prevedere un criterio di giurisdizionecosì indeterminato è un controsenso.

NOTE

1 F. GALGANO, Le società per azioni, in F. GALGANO (di-retto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblicodell’economia, V. 7, Padova, 1988, p. 195 ss.; ibidem, Trattatodi diritto civile, V.3, Padova, 2010, p. 709 ss.;2 I. QUEIROLO, Le procedure d’ insolvenza nella disciplinacomunitaria. Modelli di riferimento e diritto interno, Torino,2007, p. 3 ss.3 Si confronti l’art. 26 del TFUE (ex art. 14, TCE); G.STROZZI, Diritto dell’unione europea. Parte speciale,Torino, 2005, p. 1 ss.4 I.F. FLETCHER, Insolvency in private international Law:National and International Approaches, Oxford, 2005, p. 5 5 United Nations Commission on International TradeLaw [da qui in poi UNCITRAL], Legislative Guide on In-solvency Law, p. 10 recommendations 1 paras. 3-4; I.F.D

irit

to e

d ec

onom

ia

Page 92: 3 2012

91

FLETCHER, op. cit., p. 10 ss. 6 ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il diritto delle so-cietà, Bologna, 2006, p. 421 ss.; G. F. CAMPOBASSO,Diritto commerciale 2. diritto delle società, a cura di M.CAMPOBASSO, Torino, 2006, p. 286 ss.; L. ABETE,L’insolvenza nel gruppo e del gruppo, in Il Fallimento, 2009,p. 1111; F. FUNARI, Il concetto di gruppo fra diritto socie-tario e diritto fallimentare, in Le società, 2005, p. 636 ss. 7 R. R. KRAAKMAN, P. DAVIES, H. HANSMANN, G.HERTIG, K. J. HOPT, H. KANDA, E. B. ROCK (a curadi L. ENRIQUES), Diritto societario comparato, 2006, Bo-logna, p. 7 ss.; UNCITRAL, Legislative Guide on Insol-vency Law part three: “Treatment of enterprise groups ininsolvency” forty-third session, New York, 21 June-9 July2010, reperibile al sito http:// www.uncitral.org/pdf/english/texts/insolven/pre-leg-guide-part-three.pdf, visitato in data 20 settembre 2011, p. 2; F.GALGANO, Diritto privato, Padova, 2004, p. 83 ss.; AS-SOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il diritto delle società

cit., p. 24 ss.8 A. DI MAJO, Gruppi di imprese nel fallimento, in AA.VV., Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010, p.289 ss.; G. PELLEGRINO, Aspetti processuali del falli-mento delle società. Gruppi di società e fallimento. Il falli-mento delle società cooperative. Trasformazione, fusione,scissione delle società e fallimento, In AA.VV. (a cura di A.DIDONE), Riforme della legge fallimentare. Modelli e tec-niche dei processi civili, v. 2, Torino, 2009, p. 1515 ss.9 UNCITRAL, Legislative Guide on Insolvency Law partthree: “Treatment of enterprise groups in insolvency”, cit.,p. 14 ss.10 Cass. 16 luglio 1992, n. 8656, in Diritto fallimentare edelle società commerciali, 1993, II, p. 381.; nello stessosenso si confronti Cass. 14 aprile 1992, n.4550, In Il di-ritto fallimentare e delle società commerciali, 1993, p. 313ss.; L. MACCARONI, Insolvenza transfrontaliera deigruppi, libertà di stabilimento delle società e abuso del dirittonell’ordinamento comunitario, in Diritto comunitario e degli D

irit

to e

d ec

onom

ia

Il Palazzo della Pace all'Aia,sede della Corte Internazionale di Giustizia

Page 93: 3 2012

92

scambi internazionali, 2009, p. 3 ss.11 Per un’analisi dei principi fondamentali alla base dellediscipline sull’insolvenza dei principali paesi si veda B.WESSELS, B. A. MARKWELL e J. J. KILBORN, Internatio-nal cooperation in bankruptcy and insolvency matters, Oxford,2008, p. 14 ss.; UNCITRAL, Legislative Guide on InsolvencyLaw, part three: “Treatment of enterprise groups in insol-vency”cit., p. 68 ss.12 G. MICHELI, Universalità e territorialità del fallimento nellaC.E.E., in AA.VV., in Studi in onore di Domenico Pettiti, Vol.II, Milano, 1973, p. 953-954; V. PROTO, L’insolvenza tran-sfrontaliera nell’ordinamento comunitario, in Il diritto fallimen-tare delle società commerciali, 2003, p. 562-563; P. DE CESARIe G. MONTELLA, Le procedure di insolvenza nella nuova di-sciplina comunitaria. Commentario articolo per articolo del Re-golamento CE n.1346/2000, Milano, 2004, p. 14 ss.; P. DECESARI, Diritto internazionale privato e processuale comuni-tario. Atti in vigore e in formazione nello spazio di libertà, si-curezza e giustizia, Torino, 2005, p. 313 A. LUPONE, L’insolvenza transnazionale. Procedure con-corsuali nello Stato e beni all’estero, Padova, 1995, p. 57; G.CORNO, La disciplina comunitaria dell’insolvenza La disci-plina comunitaria dell’insolvenza, in Il diritto fallimentare dellesocietà commerciali, 2002, p. 277 ss.; M. SANDULLI, La crisidell’impresa: il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2009,p. 248 ss.; P. DE CESARI e G. MONTELLA, Le proceduredi insolvenza nella nuova disciplina comunitaria, cit., p. 5 ss.14 Infatti il giudice della procedura secondaria potrà rifiu-tare la sospensione solo nell’improbabile caso di «man-canza manifesta di interesse dei creditori della proceduraprincipale».15 V. STARACE, Disciplina comunitaria delle procedure di in-solvenza, in CARELLA G.(a cura di), Cooperazione giudizia-ria ed efficacia delle sentenze: problematiche di dirittointernazionale ed europeo, Bari, 2007, p. 16 ss.; L. DANIELE,Il regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insol-venza : spunti critici, in PICONE P. (a cura di), Diritto inter-nazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, p. 595ss.; P. DE CESARI e G. MONTELLA, Le procedure di insol-venza nella nuova disciplina comunitaria, cit., p. 262 ss.16 Per quanto riguarda i dati statistici si riporta F. GAL-GANO, Trattato di diritto civile, cit., p. 709 nota 1 e p. 723,«prendendo per base, in Italia, le società con almeno 50 addetti,si è potuto constatare che il 50% di esse è costituita da societàdi gruppo, ma che appartiene ad un gruppo la quasi totalità dellesocietà con almeno mille addetti. Se poi si allarga la prospettiva,si constata che appartengono ad un gruppo il 90% delle societàgiapponesi, il 70% delle società tedesche, il 65% delle societàstatunitensi, il 60 % delle società francesi, il 55% delle societàbritanniche, il 50% delle società svizzere.»; M. FABIANI,Gruppi d’imprese ed insolvenza transfrontaliera: spazi residuidi forum e law shopping nella disciplina comunitaria, in Int’l

Lis, 2004, p. 98 ss.;17 Corte di giustizia del 2 maggio 2006 in causa n. C-314/04, EUROFOOD, In raccolta, 2006, I, p. 3813 ss.; F.DIALTI, Il caso Eurofood: tanto rumore per (quasi) nulla?, inIl diritto fallimentare e delle società commerciali, 2006, p. 796ss.18 M.V. BENEDETTELLI, «Centro degli interessi principali»del debitore e forum shopping nella disciplina comunitaria delleprocedure di insolvenza transfrontaliera («Center of main inte-rests» of the debtor and forum shopping in the Ec Regulationon cross-border insolvencies), in Rivista di diritto internazio-nale privato e processuale, 2004, p. 514 ss.; G.M. BUTA, In-solvenza transfrontaliera e localizzazione del ‘centro degliinteressi principali’, in Banca borsa e titoli di credito, 2008, p.723 ss.; P. DE CESARI e G. MONTELLA, Insolvenza tran-sfrontaliera e giurisdizione italiana. Competenza Internazionalee riconoscimento delle decisioni, Milano, 2009, p. 91 ss.; I.QUEIROLO, op. cit., p. 16419 P. DE CESARI e G. MONTELLA, Insolvenza transfronta-liera e giurisdizione italiana, cit., p. 70 20 F. PERSANO, L’efficacia delle decisioni straniere nel regola-mento comunitario sulle procedure di insolvenza, in CA-RELLA G. (a cura di), Cooperazione giudiziaria ed efficaciadelle sentenze : problematiche di diritto internazionale ed euro-peo, Bari, 2007, p. 219 ss.; C. PAPPALARDO REALE, Il re-golamento comunitario n.1346/2000 sulle procedure diinsolvenza transfrontaliere, in Il diritto fallimentare e delle so-cietà commerciali, 2004, p. 1107 ss.; C. PUNZI, Le proceduredi insolvenza transfrontaliere nell’Unione europea, in AA.VV.,Le espropriazioni individuali e concorsuali. Incertezze e pro-spettive. Atti del convegno nazionale: Siena, 30-31 maggio2003, Milano, 2005, p. 24 ss.; P. DE CESARI e G. MON-TELLA, Le procedure di insolvenza nella nuova disciplina co-munitaria, cit., p. 110 ss. e p. 184 ss.21 Ibidem, Insolvenza transfrontaliera e giurisdizione italiana,cit., p. 70 ss.; M. A. LUPOI, Conflitti di giurisdizioni e di de-cisioni nel regolamento sulle procedure d’insolvenza: il caso‘Eurofood’ e non solo, in Rivista trimestrale di diritto e proce-dura civile, 2005, p. 1393 ss.;P. CATALLOZZI, Il regolamentoeuropeo e il criterio del COMI(centre of main interest):la parolaalla Corte, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2006,p. 1256 ss.22 F. DIALTI, Il caso Eurofood: tanto rumore per (quasi) nulla?,cit., p. 796 ss.; L. FUMAGALLI, Apertura della proceduraprincipale, competenza giurisdizionale e riconoscimento delladecisione, in Giurisprudenza commerciale, 2007, p. 324 ss.23 Corte di giustizia del 2 maggio 2006 in causa n. C-314/04, EUROFOOD, In raccolta, 2006, I, p. 3813 ss.; M.M.WINKLER, Le procedure concorsuali relative ad imprese mul-tinazionali: la Corte di giustizia si pronuncia sul caso Eurofood.(Nota a sent. C.giust. CE, G.S., 2 maggio 2006, C-341-04), inInt’l Lis, 2007, p. 17 ss.; Ibidem, Eurofood: è davvero finito ilD

irit

to e

d ec

onom

ia

Page 94: 3 2012

93

periodo di ‘rodaggio’ del Regolamento comunitario sulle pro-cedure di insolvenza?, in Il diritto del commercio internazio-nale, 2007, p. 533 ss.; P. CATALLOZZI, Il regolamentoeuropeo e il criterio del COMI(centre of main interest): la pa-rola alla Corte, cit., p. 1256 ss.; L. BACCAGLINI, Il casoEurofood: giurisdizione e litispendenza nell’insolvenza tran-sfrontaliera. (Nota a sent. C.giust.CE, Grande sez., 2 maggio2006, C-341/04), in Int’l Lis, 2006, p. 123 ss.; S. BARIATTI,Il regolamento n. 1346/2000 davanti alla Corte di giustizia: ilcaso Eurofood, in Rivista di diritto processuale, 2007, p. 198ss.; F. DIALTI, Il caso Eurofood: tanto rumore per (quasi)nulla, cit., p. 791 ss.24 Tribunale di Parma 20 febbraio 2004, In rivista di dirittointernazionale privato e processuale, 2004, p. 693 ss.25 I. QUEIROLO, op. cit., p. 202 ss.; F. DIALTI, Il caso Eu-rofood: tanto rumore per (quasi) nulla?, cit., p. 805 ss.; L. FU-

MAGALLI, Apertura della procedura principale, competenzagiurisdizionale e riconoscimento della decisione, cit., p. 324ss.26 Tribunale di Isernia, sentenza 10 aprile 2009, in Il dirittofallimentare, 2010, con nota di G. MONTELLA, Il falli-mento del COMI?, p. 59 ss.;27 Le sentenze sono disponibili al sito www.lexinter.net;si veda anche P. DE CESARI e G. MONTELLA, Insol-venza transfrontaliera e giurisdizione italiana, cit., p. 73 ss.28 L. M. LOPUCKI, Courting failure. How competition forbig cases is corrupting the bankruptcy Courts, Ann Arbor(Michigan), 2005, p. 209 ss.; 29 M. FABIANI, Gruppi d’imprese ed insolvenza transfron-taliera: spazi residui di forum e law shopping nella disciplinacomunitaria, cit., p. 98 ss.

Dir

itto

ed

econ

omia

Page 95: 3 2012
Page 96: 3 2012

95

Giu

risp

rude

nza

com

men

tata

Atto amministrativo - Sottoscrizione - Man-

canza - Nullità ed inesistenza - Condizione

TAR Catania, Sicilia, sez. I, sentenza n. 2883

del 2 dicembre 2011

“È nullo per mancanza di uno degli elementiessenziali, ex art. 21 septies, L. n. 241 del 1990,il provvedimento amministrativo che non rechi lasottoscrizione del Dirigente del Dipartimentocompetente ad adottarlo”.

La sentenza in commento ha annullato lanota del Comune di Messina che, in esito allaD.I.A. presentata dalla società ricorrente, hadichiarato illegittimo l’intervento edilizioproposto, in quanto priva della sottoscri-zione del Direttore del Dipartimento attivitàedilizia – di fatto impossibilitato ad apporlapoiché al momento dell’emanazione delprovvedimento impugnato si trovava instato di custodia cautelare – e, quindi, adot-tata in violazione dell’art. 21 septies della L.n. 241/19901 il quale stabilisce, tra l’altro, inun’ottica di espansione delle categorie priva-tistiche nell’ambito del diritto amministrativo,che “è nullo il provvedimento amministrativoprivo degli elementi essenziali”.

La decisione de qua è meritevole di atten-zione non solo perché offre l’occasione peruna ricognizione delle posizioni assuntedalla giurisprudenza sulla questione della

sottoscrizione, quale elemento essenziale ono del provvedimento amministrativo2, maanche perché, richiamando il c.d. Codice del-l’Amministrazione Digitale (D.lgs. 7 marzo2005, n. 82, come modificato dal D.lgs. 4aprile 2006, n. 159, dal D.lgs. 30 dicembre2010, n. 235 e, da ultimo, dal d.l. 13 agosto2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settem-bre 2011, n. 148), permette di ripensare il con-cetto di sottoscrizione alla luce dell’evoluzionetecnologica e della diffusione della comunica-zione telematica.

In tema di sottoscrizione dell’atto/provve-dimento amministrativo è possibile riscontraredue diversi orientamenti giurisprudenziali:uno più rigoroso (v.d., ad es., Tar Liguria, sez.II, 7 febbraio 2007 n. 169), secondo cui la ca-renza di sottoscrizione determina l’inesi-stenza o quantomeno la nullità dell’attoamministrativo, ed uno meno rigoroso cheesclude la nullità quando, pur in assenza disottoscrizione, è comunque possibile indivi-duare l’autore dell’atto (Cass. civ., sez. I, 11ottobre 1996, n. 8881).

Preme sottolineare che la quaestio sull’es-senzialità o no della sottoscrizione autografaattiene unicamente alla copia originale delprovvedimento, non anche alla copia con-forme. È, infatti, pacifico che la mancanzadella sottoscrizione nella copia conforme diun provvedimento amministrativo non è

La sottoscrizione del provvedimentoamministrativo tra tradizione ed innovazione

a cura di: Marzia PetrelliDottore di Ricerca in Diritto Amministrativo

Page 97: 3 2012

96

causa di nullità, né tantomeno di annullabilità,ma dà luogo semplicemente ad una mera ir-regolarità (TAR Catanzaro, Calabria, sez. I, 13aprile 2011, n. 511).

Deve osservarsi che la giurisprudenza pre-valente attribuisce alla sottoscrizione una rile-vanza non solo sotto il profilo dell’impu-tazione, ma anche sotto il profilo dell’esi-stenza della volontà3. In altri termini, la sotto-scrizione documenta la volontà dell’agente diassumere la paternità di un determinato attoe al contempo costituisce la volontà stessa del-l’agente. Come ha chiarito il Tar Liguria nellasentenza sopra citata, in assenza di sottoscri-zione del provvedimento, non si può neppureinvocare “il principio del raggiungimento delloscopo in quanto se l’atto è emanazione di una p.a.che, in quanto persona giuridica fa propria la vo-lontà della persona fisica che si immedesima nel-l’organo, la sottoscrizione della persona fisica chesi immedesima nell’organo costituisce la “cer-niera” tra la volontà della persona fisica che si im-medesima nell’organo e la persona giuridica cuitale volontà viene imputata di talché in assenza disottoscrizione non può ritenersi né che alcuna vo-lontà dell’ente si sia formata né che la stessa possaessere all’ente imputata”.

Dall’assenza di sottoscrizione, va poi distintoil caso della firma illeggibile: in tal caso, infatti,la volontà di adottare l’atto esiste e si pone soloun problema di imputazione. Pertanto, se il di-fetto di sottoscrizione comporta la nullità delprovvedimento amministrativo, ai sensi del-l’art. 21 septies della L. n. 241 del 1990, essendola firma annoverabile tra gli elementi essenziali,non è invece causa di invalidità o nullità l’ille-gibilità della firma apposta in calce al provve-dimento quando sia comunque possibileindividuare lo status del soggetto sottoscrittore,trattandosi in questo caso di mera irregolaritàdel provvedimento (in tal senso, Cons. St., sez.V, 7.9.2004, n. 5853 e, recentemente, Cons. St.,sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4269).

La sentenza in esame, come già accennato,richiama il Codice dell’Amministrazione Di-gitale, in particolare l’art. 21, dedicato allafirma elettronica, e stimola delle osservazioniin ordine al rapporto mezzo di comunica-zione/sottoscrizione/invalidità. È, infatti,ovvio, che se cambia il mezzo di comunica-zione, le categorie tradizionali della firma edella forma4 vanno riconsiderate.

Ante processo di informatizzazione dellapubblica amministrazione, la sottoscrizioneera sempre correlata ad un documento carta-ceo e doveva essere autografa. Ne discendevache anche la forma, nello specifico la formascritta, doveva considerarsi elemento essen-ziale del provvedimento amministrativo. Diqui la nullità dello stesso in difetto della firmaautografa e della forma scritta.

Oggi, in controtendenza rispetto alla pa-ventata “crisi della sottoscrizione”, si assistead una crescente diffusione del documento in-formatico che diviene il nuovo mezzo di cuila p.a. si avvale per esternare la propria vo-lontà (a detrimento del documento cartaceo)e la firma autografa è sostituita dalla firmaelettronica5. Il cambiamento dei mezzi pro-duce effetti non solo materiali, ma anche giu-ridici. A tal proposito, vanno ricordati gliarticoli 20 e 21 del D. lgs. n. 82/2005 e s.m., ru-bricati rispettivamente “documento informa-tico” e “documento informatico sottoscrittocon firma elettronica”. Con riguardo alla que-stione affrontata in questa sede, rivestonoenorme importanza il comma 1-bis dell’art. 20del Codice dell’Amministrazione Digitale, se-condo cui “L’idoneità del documento informaticoa soddisfare il requisito della forma scritta e il suovalore probatorio sono liberamente valutabili ingiudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche og-gettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodi-ficabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21” e i commi 1 e 2 dell’articolo 21 delmedesimo Codice che stabiliscono quantoG

iuri

spru

den

za c

omm

enta

ta

Page 98: 3 2012

97

segue: “1. Il documento informatico, cui è appo-sta una firma elettronica, sul piano probatorio èliberamente valutabile in giudizio, tenuto contodelle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicu-rezza, integrità e immodificabilità. 2. Il docu-mento informatico sottoscritto con firmaelettronica avanzata, qualificata o digitale, for-mato nel rispetto delle regole tecniche di cui al-l’articolo 20, comma 3, che garantiscanol’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immo-dificabilità del documento, ha l’efficacia previstadall’articolo 2702 del codice civile. L’utilizzo deldispositivo di firma si presume riconducibile al ti-tolare, salvo che questi dia prova contraria”.

In definitiva, le norme sopra riportate de-finiscono il valore sia del documento infor-matico, sia della firma elettronica in quanto,a fronte dello sviluppo dell’informatica edegli strumenti telematici, assurge ad inte-resse preminente la salvaguardia della cer-tezza dei rapporti giuridici attraverso lacorretta identificazione dei soggetti che di-vengono parti di tali rapporti. Mentre la tra-dizionale firma autografa mantiene un

legame “fisico” con il soggetto che material-mente appone il segno grafico, consentendoin tal modo di accertarne l’autenticità attra-verso, ad esempio, una perizia calligrafica, lafirma digitale prescinde dalle caratteristichefisiche di colui che ne è l’autore, essendo ilfrutto di una procedura informatica basatasu complesse modalità di identificazione e sucodici segreti, rendendo così più arduo indi-viduare l’autore del documento informatico,ben potendosi verificare che ad utilizzare lafirma digitale sia un soggetto diverso dal ti-tolare.

Le norme contenute nel Codice dell’Am-ministrazione Digitale equiparano la firmaelettronica avanzata, qualificata o digitalealla sottoscrizione autografa6: tutte allo stessomodo soddisfano il requisito della formascritta. Quanto all'efficacia probatoria, al do-cumento informatico si applica l'art. 2702 c.c.,secondo cui "la scrittura privata fa pienaprova, fino a querela di falso della prove-nienza delle dichiarazioni da chi l’ha sotto-scritta, se colui contro il quale la scrittura è G

iuri

spru

den

za c

omm

enta

ta

Page 99: 3 2012

prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovverose questa è legalmente considerata come rico-nosciuta”. In tal modo, il documento informa-tico, in quanto atto scritto, ingloba sia la forma“ad substantiam”, sia la forma “ad probationem”:la firma digitale, pur essendo priva del carat-tere dell’autografia non essendo apposta amano libera con caratteri grafici, rimane unelemento essenziale e rappresenta soltantouna modalità diversa di esternazione della vo-lontà rispetto alla sottoscrizione tradizionaleper iscritto e, quindi, essa non va ad alterare lastruttura dei documenti generati in via telema-tica, né la funzione propria del procedimentocui accedono. Stante, peraltro, la stretta connes-sione strutturale e funzionale tra documento in-formatico e firma digitale per cui l’uno non puòesistere senza l’altra, sembra ragionevole rite-nere che la mancanza della firma digitale rilevinon tanto in termini di nullità (come nel caso,invece, di mancata sottoscrizione autografa),quanto di inesistenza. In effetti, poiché non tuttii documenti elettronici possono essere assimilatialla scrittura privata, ma solo quelli muniti difirma digitale o di altra forma di firma elettro-nica qualificata, la firma digitale costituisce quel“quid pluris” indispensabile affinchè il docu-mento sia suscettibile di qualificazione giuri-dica, nonché di imputazione, e come tale, vengaad esistere nel mondo giuridico.

NOTE

1 Per un generale inquadramento della nullità, quale ca-tegoria codificata nell’art. 21-septies della L. n. 241/1990,introdotto dalla L. n. 15/2005, v. V. CERULLI IRELLI, Linea-menti del diritto amministrativo, Torino 2006, pp. 521-522;N. LONGOBARDI, La legge n. 15/2005 di riforma della leggen. 241 del 1990. Una prima valutazione, in www.gius-tamm.it n. 3/2005; F.G. SCOCA, Il punto sulla disciplina le-gislativa del procedimento amministrativo, inwww.giustamm.it, n. 1/2006; M. D’ORSOGNA, La nullità del

provvedimento amministrativo, in La disciplina generaledell’azione amministrativa, Napoli 2006, pp. 359-374. M.R.SPASIANO, Nullità del provvedimento, in La pubblica ammi-nistrazione e la sua azione – Saggi critici sulla legge n.241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, a curadi N. Paolantonio, A. Police, A. Zito, p. 558 rileva ancheuna differenza di ordine lessicale tra l’art. 21-septies el’art. 1418 c.c. Infatti, mentre il codice civile più corretta-mente si riferisce alla mancanza “di uno dei requisiti”,nel chiaro senso che anche l’assenza di uno solo deglielementi essenziali del contratto ne comporta la nullità,l’art. 21-septies usa una formula (“mancanza degli ele-menti essenziali”) che, pur non dando adito a dubbi in-terpretativi in termini di sufficienza della carenza di unosoltanto dei requisiti essenziali del provvedimento ondeconfigurare la nullità, appare comunque inadeguata. V.anche i contributi presentati al convegno tenutosi a Siena– Certosa di Pontignano il 22 ed il 23 giugno 2007, pub-blicati su www.giustamm.it, n. 7/2007.2 A proposito degli elementi essenziali, A.M. SANDULLI,Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 664 par-lava di condizioni di esistenza; in senso analogo, E. CA-SETTA, Manuale di diritto amministrativo, VII ed., Milano2005, p. 497. P. VIRGA, Diritto amministrativo, II, Atti e ri-corsi, VI ed., Milano 2001, p. 35 definisce elementi essen-ziali dell’atto amministrativo quegli elementi inmancanza dei quali l’atto non viene in vita e, se posto inessere, deve considerarsi nullo. F. BENVENUTI, Appunti didiritto amministrativo, V ed., Padova 1987, p. 93 distinguetra presupposti essenziali dell’atto amministrativo (laprovenienza da un soggetto amministrativo, il suo es-sere applicazione di un potere, l’esistenza di una fatti-specie reale) dagli elementi essenziali (competenza,causa e funzione). F. BASSI, Lezioni di diritto amministra-tivo, VII ed., Milano 2003, p. 79 considera gli elementi es-senziali del provvedimento “parti integranti” dell’atto,senza i quali il provvedimento non può essere conside-rato, sotto il profilo giuridico, né esistente, né valido.3 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, III ed.,Milano 1993, p. 241-242: «nel provvedimento ammini-strativo la volontà è normalmente procedimentale: se ilprovvedimento, una volta adottato, si dice atto di unacerta figura soggettiva, ciò avviene ai fini dell’imputa-zione formale, richiesta dal principio generale di cer-tezza giuridica».4 G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, Milano 1994, p.167 ritiene che in via generale sussista il vincolo dellaforma scritta, essendo ammessa la forma orale solo perl’esercizio di particolari poteri; G. CORSO, Manuale di di-ritto amministrativo, Torino 2006, p. 238, sostiene che lanecessità della forma scritta si ricava dall’art. 3 dellalegge n. 241/1990 nella parte in cui sancisce l’obbligo di

98

Giu

risp

rude

nza

com

men

tata

Page 100: 3 2012

99

Giu

risp

rude

nza

com

men

tata

motivazione e dall’art. 2, comma 1, secondo cui l’ammi-nistrazione ha il dovere di concludere il procedimentomediante l’adozione di un provvedimento espresso; P.VIRGA, Diritto amministrativo, cit., pp. 36-37, dopo averosservato che le ragioni alla base della prevalenza del-l’imposizione della forma scritta devono essere ravvisatenel fatto che la scrittura è il mezzo più idoneo per la co-municazione e che essa consente il sindacato sull’ope-rato dell’amministrazione da parte dell’interessato, degliorgani di controllo e di quelli giurisdizionali, ritiene chela forma scritta sia imposta “dalla natura dell’atto”quando l’atto deve essere sottoposto a controllo da partedi un’altra autorità, quando esso costituisce atto prepa-ratorio rispetto all’atto che deve essere adottato da unaltro organo, quando esso richiede una qualsiasi formadi pubblicità, che non può attuarsi senza ausilio delloscritto.5 L’art. 1 del Codice dell’Amministrazione Digitale defi-nisce la firma elettronica “l’insieme dei dati in formaelettronica, allegati oppure connessi tramite associazionelogica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo diidentificazione informatica”; la firma elettronica avan-zata “l’insieme di dati in forma elettronica allegati op-pure connessi a un documento informatico che

consentono l’identificazione del firmatario del docu-mento e garantiscono la connessione univoca al firma-tario, creati con mezzi sui quali il firmatario puòconservare un controllo esclusivo, collegati ai dati aiquali detta firma si riferisce in modo da consentire di ri-levare se i dati stessi siano stati successivamente modi-ficati”; la firma elettronica qualificata “un particolaretipo di firma elettronica avanzata che sia basata su uncertificato qualificato e realizzata mediante un disposi-tivo sicuro per la creazione della firma”; la firma digitale“un particolare tipo di firma elettronica avanzata basatasu un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crit-tografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro,che consente al titolare tramite la chiave privata e al de-stinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, direndere manifesta e di verificare la provenienza e l’inte-grità di un documento informatico o di un insieme didocumenti informatici”.6 Altro è, invece, la firma autenticata di cui all’art. 25 delCodice dell’Amministrazione Digitale, secondo cui “siha per riconosciuta, ai sensi dell’articolo 2703 del codicecivile, la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firmaavanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico uffi-ciale a ciò autorizzato”.

Page 101: 3 2012

100

Edit

oria

le

Page 102: 3 2012

101

Elog

io d

ell’i

ner

zia:

idee

e p

ropo

siti

non

an

cora

att

uati

Diceva Prezzolini – conservatore illuminato– che gli Italiani sono l’ unico popolo convintodi risolvere i problemi solo parlandone.

Ed è probabilmente per questo che si con-tinua imperterriti a parlare dello scandalo ri-fiuti napoletano (domani palermitano,dopodomani monzese o veneziano), ognivolta con un grado di costernazione in più e dicredibilità in meno.

A poco serve ricordare per l’ennesima voltache i danni della gestione antidiluviana delciclo dei rifiuti (80% in discarica, solo il 20% indifferenziata) sono enormi.

A parte la perdita di attrattiva dei siti turi-stici, si pensi all’ aumento dei picchi tumorali:il triangolo campano della morte Acerra - Nola– Marigliano è citato nella rivista Lancet perun aumento delle patologie tumorali ricondu-cibile chiaramente ai continui versamenti ille-gali di rifiuti tossici. Dimenticato da tutti ilfatto che già nel periodo 2000-2002 nei comunidi Castelvolturno e Villa Literno v’era statauna impennata di malattie tumorali del 400%.

Che il traffico dei rifiuti fosse e sia una dellenuove (ma ormai vecchie) frontiere della cri-minalità organizzata era stato riconosciuto uf-ficialmente già in sede parlamentare.

Risale al 1998 la denuncia della commissioneparlamentare sulle ecomafie: “circa 30 milioni ditonnellate di rsu all’ anno sono gestite in modo ille-gale per un giro d’affari complessivo pari a circa12000 miliardi di lire all’ annoper un danno erarialepari a circa 2000 miliardi di lire all’ anno“.

Danni sanitari e criminali. Ma anche era-riali: secondo dati del Ministero dell’ Am-biente, in Italia ci sono circa 12 mila siticontaminati che vanno sottoposti a bonifica, dicui almeno 50 di interesse nazionale.

Di questi 50 nessuno è stato ancora bonifi-cato. E 2 miliardi di euro sono necessari soloper i primi interventi.

Domanda : ma se la malattia era nota daanni, com’è possibile che interi governi e legi-slature si siano succeduti senza combinare so-stanzialmente nulla, con organismi istituzionaliimpegnati a “segnalare“ e “denunciare“ masenza mai usare i propri poteri formali per“fare“ in conseguenza del loro “denunciare“?

E com’è possibile davanti a questo este-nuante dichiarazionismo sterile non capirequali pressioni, quali condizionamenti, qualeforza è stata capace di mettere in piedi per annila criminalità organizzata, impedendo che unintero paese per anni ed anni facesse qualcosa,qualsiasi cosa pur di affrontare un simile pro-blema.

Il disegno di legge sui crimini ambientali èstato presentato solo nel 2006, dopo che per 10-15 anni tutti gli indicatori segnavano profondorosso. Per 15 anni l’unica risposta di politicacriminale è stato l’art 53 bis del decreto Ronchiche ha finalmente punito con sanzioni ade-guate il traffico di rifiuti. E ‘ una miniriformadel 2001: importantissima, fondamentale, pe-raltro approvata solo a fine legislatura, in ex-tremis.

L’Italia dei rifiuti e la politica delle parole

Giuseppe BiancoMagistrato

Page 103: 3 2012

102

Elog

io d

ell’i

ner

zia:

idee

e p

ropo

siti

non

an

cora

att

uati

Ma ormai siamo nel 2012. E giace invece se-polto negli oscuri penetrali del Parlamento ilprogetto di riforma sistematica del settore, chevorrebbe introdurre nel codice penale il capitolodei delitti contro l’ambiente, con previsioni nor-mative capaci di coprire l’intera gamma dellateratologia criminale in questo campo, dotandofinalmente gli organi giudiziari di strumentiadeguati, che vanno dalla pubblicazione dellasentenza di condanna alla confisca obbligatoriadei mezzi usati, passando per la bonifica obbli-gatoria dei luoghi a carico dei responsabili. E so-prattutto offrendo ai magistrati – visto ilconcreto aumento delle pene – la possibilità fi-nalmente di ricorrere a misure cautelari ed in-tercettazioni telefoniche, oggi impossibili.

Si prevede - fra l’ altro - il regime sanziona-torio differenziato per chi rimuove il dannoprima che venga iniziata l’azione penale e perchi collabora con l’autorità. Ma soprattutto, siprevede come fattispecie autonoma di reato ildanneggiamento economico ambientale, cioè ilfatto di chi compromette le risorse ambientaliin modo da impedirne l’utilità collettiva.

Una svolta culturale vera e propria. Perchéper la prima volta si recepisce un principio di

normale civiltà, e cioè che rispettare e proteg-gere le risorse naturali non è la fisima del sedi-cenne idealista che piange davanti all’uccellinoin gabbia: preservare l’ambiente conviene eco-nomicamente, perchè vuol dire turismo oltreche risparmio sulle spese sanitarie e sulle boni-fiche.

Fin qui il disegno di legge del governo dellaprecedente legislatura.

Ma nella precedente legislatura la stessacommissione parlamentare sul ciclo dei rifiutiaveva predisposto una riforma ancora più se-vera, con l’ introduzione di alcuni strumentitratti pari pari dalla normativa antidroga, comeil potere per l’Autorità Giudiziaria di rinviarel’esecuzione di arresti o sequestri già formaliz-zati se può essere utile ad acquisire ulteriori ele-menti investigativi.

Previste ulteriori fattispecie di reato poi, acolpire tutta una serie di comportamenti ante-cedenti e collaterali rispetto al crimine ambien-tale vero e proprio: pensiamo alle analisi dilaboratorio relative al buon funzionamento deidepuratori, spesso fraudolentemente modifi-cate ad usum delphini in modo da ritardare lascoperta dei versamenti tossici: sarebbe il nuovo

Rifiuti a Napoli

Page 104: 3 2012

103

Elog

io d

ell’i

ner

zia:

idee

e p

ropo

siti

non

an

cora

att

uati

reato di frode in materia ambientale, punibilefino ad otto anni di reclusione.

Da ultimo, il reato associativo finalizzato alleviolazioni ambientali passerebbe nella compe-tenza della DDA. Sarebbero riforme finalmenteefficaci, tecnicamente inappuntabili perché re-cepiscono gli allarmi e i contributi di tanti ma-gistrati ed operatori del settore. A dare dignitàad una giustizia che oggi si deve accontentaredi reati bagatellari e contravvenzionali di im-mediata prescrizione, a cui le grosse cotenne delcrimine sono del tutto indifferenti.

Ma nulla si muove, nulla si sente. E noisiamo costretti a sorbirci quotidianamente ulte-riori denunce, allarmi, comunicati più o menocosternati e solidali oltre alla solita foto – ormaiprobabilmente di repertorio – dei cumuli di ri-fiuti sparsi in mezzo alle strade. È appunto – ilcontinuo parlarsi – o piangersi – addosso di cuiparlava Prezzolini.

Le resistenze alla riforma sono tante.Sono tutte opera dell’ecomafia? non è vero.È vero che ci sono le resistenze anche delle

varie mafie che non vogliono perdere un affarecolossale che ora sostanzialmente è a costo zero.È vero che a mettersi di traverso c’è anche labuona fede di chi ritiene che i veri problemi delpaese siano altri, specie in questo periodo.Anche se non si capisce moltissimo perché unariforma di questo tipo dovrebbe intralciare lastrada per il risanamento economico del go-

verno Monti.Ma è vero soprattutto che le resistenze ven-

gono soprattutto da un certo mondo industriale.E non sempre senza ragioni comprensibili. Met-tiamoci nei panni di un qualsiasi imprenditoremedio italiano che abbia da smaltire rifiuti.

La comparazione costi-benefici fornisce ri-sultati micidiali: il circuito illegale conviene.Alle imprese, lo smaltimento di un containercon 15 tonnellate di rsu costa 60mila euro sulmercato legale e solo 5000 su quello illegale.

La criminalità - in sintesi - offre un servizioefficiente a prezzi stracciati e può farlo perchénon ha altro da fare che organizzare un serviziodi trasporto fino a destinazione ignota e disca-rica ignota, magari nei cantieri della nuova au-tostrada Brescia-Milano-Bergamo, come ènotizia di oggi. I benefici sono quindi immediatiperché l’impresa risparmia e dunque guadagna,con cifre che vengono immediatamente messea bilancio.

All’opposto, i costi sociali sono enormi manon immediatamente percepibili perché affidatialle statistiche. I picchi tumorali arrivano con glianni. Come le condanne dell’UE. Guadagni im-mediati, costi dilazionati e ritardati nel tempo.

La resistenza è quindi anche di gran partedel mondo industriale ed imprenditoriale diquesto paese.

E naturalmente le mafie lo sanno.

Page 105: 3 2012

Hieronymus Bosch, L'Inferno (particolare)

Page 106: 3 2012

105

Elog

io d

ell’i

ner

zia:

idee

e p

ropo

siti

non

an

cora

att

uati

“Conosciamo tutti gli inconvenienti della pri-gione, e come sia pericolosa, quando non è inutile.E tuttavia non ‘vediamo’ con quale altra cosa sosti-tuirla. Essa è la detestabile soluzione, di cui non sisaprebbe fare a meno. Questa ‘evidenza’ della pri-gione dalla quale ci distacchiamo a fatica, si fondaprima di tutto sulla forma semplice della ‘privazionedi libertà’. Come potrebbe la prigione non essere lapena per eccellenza in una società in cui la libertà èun bene che appartiene a tutti nello stesso modo e alquale ciascuno è legato da un sentimento ‘universalee costante’? La sua perdita ha dunque lo stessoprezzo per tutti; assai più dell'ammenda, essa è ca-stigo 'egalitario'”.

E’ quanto scriveva Michel Foucault nel suo“Sorvegliare e punire”. Queste riflessioni del fi-losofo francese appaiono straordinariamenteattuali, tanto più se si riflette su quanto negliultimi venti anni si sia lavorato – peraltro senzaesito – per individuare alternative efficaci allapena detentiva.

Le due ultime Commissioni di riforma delcodice penale, presiedute da Carlo Nordio eGiuliano Pisapia, avevano, sia pure con talunedifferenze, rimodellato completamente l’isti-tuto della pena, muovendo dall’assunto chequesta, per essere efficace, deve essere certa esicuramente applicata a tutti coloro che sonostati condannati con sentenza definitiva. Ac-canto alle pene restrittive della libertà perso-nale erano state così, finalmente, previste peneprincipali di diversa natura: interdittive, pre-

scrittive e ablative.Si trattava per il diritto penale italiano di

una sorta di rivoluzione Copernicana che, seavesse avuto sbocco nell’approvazione del di-segno di legge da parte del Parlamento,avrebbe certamente aiutato a condurre a solu-zione i gravi problemi che affliggono la giusti-zia penale nel nostro paese.

In realtà, nel settore del diritto penale so-stanziale è difficile immaginare oggi riforme,che non siano di sistema, realmente efficaci erisolutive. Le polemiche sorte qualche tempofa sulla proposta di generalizzare, sia pure conriferimento ai reati di minore allarme sociale,l’istituto della sospensione del processo conmessa alla prova, costituiscono la miglioreprova di ciò.

Indubbiamente questo istituto, introdottonel 1988 nel processo penale minorile, ha datoeccellenti risultati nello specifico ambito delladelinquenza giovanile.

Ma va rammentato come il suo presuppostologico e giuridico sia appunto rappresentatodalla circostanza che, trattandosi di un ragazzo,la commissione di un reato non può essere con-siderata sintomatica di una scelta di vita defi-nitiva. Inoltre, la concessione della misura èfondata nel processo minorile su una decisionedel giudice che deve svolgere, a questi fini, unaattenta indagine sulla personalità del reo.

L’idea di estendere ai reati di criminalità“medio-piccola” la messa alla prova, legandolaalla richiesta dell’imputato, in funzione deflat-

Un nuovo codice penale. Quando?

Stefano AmoreMagistrato

Page 107: 3 2012

106

Elog

io d

ell’i

ner

zia:

idee

e p

ropo

siti

non

an

cora

att

uati

tiva del numero dei procedimenti, deve, quindi,essere considerata alla luce delle specificità del-l’istituto e della circostanza che il suo ancoraggioai limiti edittali di pena dei reati, anche se nonelevati, potrebbe non risolvere tutti i problemi.

In particolare, sembrerebbe di buon sensoescludere un beneficio del genere in tutti i casiin cui il reato sia stato commesso (al di là dellapena comminabile) con violenza o minaccia,permettendo al giudice di derogare al divietosolo in quei casi in cui risultino elementi tali dafar sensatamente escludere la possibilità chevengano reiterate condotte del genere.

Il problema– non bisogna nasconderselo – èdi carattere generale e se l’utilizzo parsimoniosodello strumento penale e detentivo deve senz’al-

tro considerarsi conforme al principio dell'ex-trema ratio, che rappresenta uno dei capisaldidel diritto penale moderno, non possono, tutta-via, essere dimenticate le esigenze di sicurezzadei cittadini, di cui le istituzioni debbono esserecapaci di farsi carico.

Insomma, pur condividendo l’idea di ungrande giurista tedesco, Klaus Roxin, che sia ne-cessario non tanto avere un diritto penale mi-gliore, quanto immaginare qualcosa di megliodel diritto penale, almeno per adesso è impor-tante, nella elaborazione delle politiche crimi-nali, continuare a prendere seriamente inconsiderazione le esigenze di chi, di un reato, èrimasto vittima.

Page 108: 3 2012

107

Lett

ure

e re

cen

sion

i

La giustizia penale in Italia:

un processo da sbloccare.

La lezione americana

Editore: Cedam - Anno: 2011

Il confronto tra la giustizia penale italianae quella statunitense, nonostante le indubbiediversità esistenti tra i due ordinamenti, rap-presenta un tema ricorrente nella produzionescientifica successiva al 1989, anno in cui inItalia è entrato in vigore un nuovo codice diprocedura penale, dichiaratamente ispiratoai sistemi anglosassoni.

Il libro di Antonello Mura e Antonio Pa-trono, due stimati magistrati requirenti, sipresenta però, da subito, originale nell’ap-proccio e disincantato nell’analisi.

L’esperienza statunitense viene, infatti,descritta come contraltare di un sistemaprocessuale, quello italiano, analizzato concura nei suoi esiti fallimentari e nella suaspropositata lunghezza.

Mura e Patrono descrivono magistral-mente lo spettacolo (il termine non è impro-prio) della giustizia penale italiana, in cuimagistrati, avvocati e politici si accusano a

vicenda, ciascuno proponendo la propria«ricetta» per guarire il grande malato, allaricerca della «parola magica» capace di risol-vere tutto.

Il libro non si limita però a denunciarel’insostenibilità della situazione in cui versail processo penale italiano, ma fornisceanche, attraverso l’analisi di casi e l’esamedel concreto funzionamento del rito ac-cusatorio, una serie di validi suggerimenti edi proposte.

Insomma, un testo che tutti dovrebberoleggere: gli studenti che preparano l’esamedi procedura penale, gli avvocati, i magi-strati, i cittadini e, soprattutto, i nostripolitici.

Stefano Amore

Antonello Mura è sostituto procuratore ge-nerale della Corte di cassazione. E’ stato giu-dice penale, pubblico ministero e componentedel Consiglio superiore della magistratura.E’ vicepresidente del Consiglio consultivo deiProcuratori europei, istituito dal Consiglio d’Eu-ropa, nonché segretario generale della Inter-national Association of Judges, della qualefanno parte associazioni nazionali di magi-strati di 78 Paesi, di tutti i continenti.

Antonio Patrono è sostituto procuratorenazionale antimafia. E’ stato due volte compo-nente del Consiglio Superiore della Magistra-tura, Presidente e Segretario generaledell’Associazione Nazionale Magistrati.Ha diretto il settore penale dell’Ufficio legisla-tivo del Ministero della Giustizia e fatto partedi varie commissioni ministeriali per l’elabora-zione di testi normativi.

Page 109: 3 2012

Niccolò e Matteo Polo consegnano una lettera di Klubai Khan a Papa Gregorio X.

Page 110: 3 2012

109

Dov

e pe

nde

la b

ilan

cia:

pro

blem

i del

la g

iust

izia

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.- Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? - chiedeKublai Khan.

- Il ponte non è sostenuto da questa o da quellapietra, - risponde Marco, - ma dalla linea dell'arcoche esse formano.

Kublai Khan rimase silenzioso, riflettendo. Poisoggiunse: - Perché mi parli delle pietre? È solo del-l'arco che mi importa.

Polo risponde: - Senza pietre non c'è arco.ITALO CALVINO, LE CITTÀ INVISIBILI

Nell’acceso dibattito sul processo breve tuttiprendono posizione tranne, non a caso forse,proprio gli studiosi di diritto processuale.

Si tratti o non di una priorità o di una emer-genza sociale è chiaro che, in assenza di strut-ture giudiziarie adeguate, senza una profondae vasta depenalizzazione, senza una semplifi-cazione dei meccanismi processuali, e prima ditutto senza una profonda revisione delle nullitàprocessuali basate su formalismi utili solo adallungare consapevolmente i tempi delle inda-gini e dei dibattimenti, senza una completa re-visione del sistema delle notifiche e deiprocedimenti in contumacia anche questa se-ducente formula magica del “processo breve” èdestinata a rivelarsi per quello che è, uno slo-gan che ancora una volta nasconde a malapenala triste realtà della giustizia italiana,priva dimezzi, risorse e con organici ridotti all’osso, incui alla magistratura ordinaria (chissà perchénon si parla dei tempi lunghissimi del processo

amministrativo) viene addebitato il conto diuna situazione maturatasi lentamente e le cuicause sono molteplici.

I tempi del processo (penale) appaiono cosìincomprensibilmente lunghi, il potere di accer-tamento della giurisdizione si trasforma ineso-rabilmente in impotenza istituzionalescansionata dal tempo trascorso, le prescrizioni(abbreviate) prendono sempre di più il postodei giudicati , sfumando così in via definitivaresponsabilità soggettive reali e realtà oggettivadei fatti contestati, se purtroppo di conse-guenza tutto diventa vago e relativo.

Eppure se solo ci si pone in una diversa pro-spettiva, o peggio si critica motivatamente unaserie di progetti e proposte (di cui peraltromanca qualsiasi riscontro in termini di dirittocomparato) che appaiono destinati fragorosa-mente ad intervenire in un contesto già resofragilissimo dai recenti interventi in tema diprescrizione (appunto “breve”) l’accusa è im-mediata e scatta implacabile : si vuole apparire,si fa politica, si vuole condizionare il Parla-mento, si sente la voce del “Partito delle Pro-cure” e così via. Insomma i magistrati nonpotrebbero e non dovrebbero esprimere nep-pure perplessità generali, obiezioni giuridiche,problematiche ed organizzative.

Manca infatti un chiaro contesto di leale dia-logo istituzionale e sociale nel quale le propostealternative sarebbero perfino accolte positiva-mente, perché ovunque evidenziare un pro-blema significa non “attaccare” un ipotetico

Processo breve e autunno della giustizia

Giuseppe Corasaniti Magistrato

Page 111: 3 2012

110

avversario o muoversi “contro” qualcuno oqualcosa, ma soprattutto prevenire un poten-ziale e più grave conflitto sociale, evitare sprechidi risorse comuni o un inutile aggravio sui costidella spesa pubblica, evitare anche e soprattuttola “resa” dello Stato in un territorio ove oggi pro-spera come non mai la criminalità economica edorganizzata, pronta a offrire le sue oscure oppor-tunità di lavoro in tempi di crisi e di giustizia ra-pida solo per chi la chiede, magari accettando laprotezione del padrino o del capozona della “lo-cale”, in un contesto dove la stessa idea di lega-lità è svuotata, sottovalutata o addiritturaavversata.

Eppure legalità,giurisdizione, processo giu-sto e di ragionevole durata non sono termini an-titetici tra di loro, ma elementi interagenti edessenziali che la Costituzione dispone al centrodella organizzazione giudiziaria. Senza dire chepoi altro è la “ragionevole” durata dei processi,che è il primario obiettivo costituzionale, altro èl’equilibrio delle parti processuali (altro temamolto in discussione in termini altrettanto con-fusi) ed altro ancora è l’imposizione rigida ditempi predeterminati indipendentemente dalnumero delle parti, dal numero e dalla comples-sità delle imputazioni (o dalla oggettiva diffi-coltà del contenzioso civile in via di definizione)dalle strategie e dalle vicende processuali che in-cidono sui tempi e che non possono essere sot-tovalutati. E difatti così non è in alcun altroordinamento giudiziario, semplicemente altroveci sono differenti meccanismi e strutture proces-suali, meno sterilmente articolati che incidono,eccome, sui tempi dei processi.

Il settore largamente interessato dalla giuri-sprudenza della Corte Europea dei diritti umaniè il settore civile (1) e non il settore penale (2).

E poi la Corte Costituzionale (ordinanza 399del 2001) ha ribadito come il principio della ra-gionevole durata nel processo penale “deve es-sere contemperato con le esigenze di tutela di

altri diritti e interessi costituzionalmente garan-titi rilevanti nel processo penale, la cui attua-zione positiva, ove sia frutto di scelte assistite davalide giustificazioni ” e “deve essere letto - allaluce dello stesso richiamo al connotato di ‘ragio-nevolezza’ che compare nella formula norma-tiva – in correlazione con le altre garanziepreviste dalla Carta costituzionale, a cominciareda quella relativa al diritto di difesa” (ordinanza204 del 2001) e che non può porsi al servizio diistanze “sterilmente dilatorie” (ord. 33 del 2003e 157 del 2004). Il settore della giustizia ha subitotagli economici e di organico impressionantisenza che mai sia stata considerata e ponderatauna sola proposta proveniente dall’associazio-nismo giudiziario che sul punto ha una identitàdi posizioni che non è affatto politica ma “tec-nica”.

La voce dell’associazionismo e dei magistratidovrebbe prima di tutto essere ascoltata e nonfraintesa, perché esprime o vorrebbe esprimereil punto di vista di chi vive ogni giorno in auleed uffici che - sia nel settore penale che nel set-tore civile - danno vita ad un sistema giudiziarioche ha da tempo progressivamente dispersoogni certezza (beati i tempi in cui si invocava la“certezza del diritto”), e che appare sempre piùdistante dagli ideali di Giuseppe Chiovendasulla concentrazione dei tempi processuali odalle linee uniformi e condivise prospettate ma-gistralmente dall’ indimenticabile Prof. Elio Faz-zalari nelle sue “Istituzioni”.

Le regole procedurali sono avvolte in un si-nallagma normativo occasionale e di tipo sedi-mentale (quasi alluvionale) accompagnato daun altrettanto mediatico e magmatico contrastoperpetuo di opinioni dominanti apodittiche edintransigenti e altrettanto radicali interviste dis-senzienti.

Tra politiche del diritto e diritto della politicaal processo “breve”, sta memoria breve e dub-bio costante.D

ove

pen

de la

bil

anci

a: p

robl

emi d

ella

giu

stiz

ia

Page 112: 3 2012

111

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

1. «Non impedire un evento che si ha l’ob-bligo giuridico di impedire equivale a cagio-narlo».

Il secondo comma dell’art. 40 c.p. getta sulnostro ordinamento un ordigno dagli effettipotenzialmente devastanti. L’assoluta gene-ricità della clausola se, da un lato, favoriscela naturale flessibilità del precetto legale difronte alla realtà mutevole, dall’altro esige unmeditato sforzo integrativo dell’interprete.Nel sostenere il carattere personale della re-sponsabilità penale l’art. 27 Cost. appare, inquesto quadro, lo strumento principe, non-ché il limite estremo, dello sforzo ermeneu-tico. Il capoverso dell’articolo 40 c.p.presuppone che la fonte dell’evento lesivosia esterna alla sfera personale del soggettoche ne risponde. È quindi solo mediante unapretesa equivalenza tra il “non impedire” eil “cagionare” che l’evento può definirsi«personale». Come giustificare, allora, che unfatto empiricamente “altrui” – ovvero attri-buibile ad altra causa - sia considerato giuri-dicamente “proprio” in un ordinamentobasato sulla personalità della responsabilitàpenale? La risposta ha rango costituzionalee rappresenta la ratio stessa della c.d. omis-

sione impropria: il delicato equilibrio tra iprincìpi di solidarietà (art. 2 Cost.) e libertà(art. 13 Cost.). L’uomo è parte di un tutto e,in nome del tutto, deve sacrificare una por-zione della sua libertà personale alla prote-zione di determinati beni giuridici nonaltrimenti difendibili. Rispetto a questi, e inpresenza di certi requisiti, il soggetto assumeun ruolo “di garanzia” nei confronti delbene. Ne deriva il ribaltamento del para-digma punitivo liberale classico: dalla puni-zione per l’azione alla punizione perl’omissione.

2. L’anomalia di siffatto paradigma im-pone l’individuazione di precisi vincoli cherendano ossequio al suo carattere eccezio-nale. Affinché un soggetto risponda di unreato altrui è necessario che la sua omissionesia dotata di un’efficienza causale parificabileall’azione. Non si può, invero, prescindere daun accertamento rigoroso, seppur problema-tico, del nesso causale, quanto meno in ter-mini di elevata probabilità. Altrimenti detto,la determinazione della responsabilità omis-siva presuppone che, tra obblighi la cui vio-lazione può codeterminare la catena causale

La responsabilità penale

degli amministratori “privi di delega”

nelle società per azioni

Giulio Garofalo

Page 113: 3 2012
Page 114: 3 2012

113

produttiva dell’evento, si selezionino precisiobblighi di garanzia1. Obbligo di garanzia che,innanzi tutto, deve essere pregnato del carat-tere della giuridicità. Il principio di riserva dilegge, infatti, vuole che esso sia previsto dauna fonte giuridica formale, e non già moraleo meramente fattuale. Così come il principiodi tassatività mira alla previsione di obblighispecifici e di specifici destinatari.

L’obbligo giuridico, per dirsi “di garanzia”non può, quindi, gravare sulla generalità deiconsociati bensì su specifiche categorie prede-terminate di soggetti che si trovano in un par-ticolare rapporto giuridico e fattuale con ilbene da proteggere. Il rispetto del già citatoprincipio di personalità, inoltre, impone che isoggetti gravati dall’obbligo giuridico di im-pedire un evento siano dotati preventiva-mente di poteri giuridici realmenteimpeditivi, e che il loro intervento non sia va-nificato dall’impossibilità materiale di inter-venire nel caso concreto (ad impossibilia nemotenetur)2.

Trasponendo questo dato nell’alveo del di-ritto penale dell’impresa, dove l’attività deiprotagonisti si svolge all’interno di autonomesfere di competenza, ciò vuol dire che il reatoomissivo improprio si presenta come reato“funzionale”, al quale corrisponde, quindi,una responsabilità per la funzione svolta: piùprecisamente una “responsabilità funzio-nale”3. Per evitare, tuttavia, il rischio che que-sta si trasformi in una responsabilità “daposizione” è necessario che il titolare dell’ob-bligo in parola sia qualificato da una “posi-zione di garanzia” che prescinda dalla suaqualifica formale. Una lettura in chiave so-stanzialistica dell’obbligo di garanzia, infatti,presuppone che il “garante” sia individuatonella persona che, in un determinato mo-mento storico, eserciti effettivamente la fun-zione tipica. A questa impostazione, l’art. 2639c.c. fornisce un solido appiglio normativo.

Traducendo la questione sul piano della ri-levanza dell’obbligo di impedimento, pos-siamo affermare che l’ordinamento, inpresenza di una posizione di garanzia così ri-costruita, si attende ed impone un interventotanto penetrante da impedire il verificarsidell’evento.

Ne risulta, a questo punto, acquisita unadistinzione fondamentale ai fini dell’inda-gine: quella tra “posizioni di garanzia” e “po-sizioni di sorveglianza”. In relazione alleposizioni di garanzia, la legge assegna ad unsoggetto un complesso di poteri giuridici,imponendo l’uso di quei poteri proprio invista di un intervento penetrante e risolutivoa salvaguardia del bene protetto.

Negli altri casi, la legge attribuisce ad unsoggetto una posizione di mera sorveglianzache si estrinseca e si perfeziona nella produ-zione di una serie di atti semplicemente fina-lizzati all’agevolazione dell’impedimentodell’evento4. Se è vero che il “non poter” im-pedire in concreto l’evento rappresenta un li-mite interno della concreta operativitàdell’obbligo di impedimento, assume deci-sivo rilievo la formula “quanto potevano”dell’art. 2392 comma 2, c.c. Il punto è focalein quanto è proprio tale disposizione a riem-pire di contenuti l’obbligo a cui si riferiscel’art. 40 cpv. c.p.: se a seguito dell’indaginesui poteri concretamente ed individualmenteesercitabili dagli amministratori non delegatisi dovesse pervenire alla conclusione che talipoteri non siano idonei ad impedire l’evento,dovrebbe concludersi per l’insussistenzadella posizione di garanzia di questi soggettie, conseguentemente, per l’insussistenza, giàdal punto di vista oggettivo, della loro re-sponsabilità penale per il reato non impedito.Residuerebbe, eventualmente, una responsa-bilità “propria”, fedele all’art. 27 Cost., rita-gliata sul reale disvalore del contributopersonale del soggetto. Un tipo di responsa- Il

pun

to d

ella

que

stio

ne

Page 115: 3 2012

114

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

bilità non rinvenibile de iure condito a causadell’assenza, nel nostro ordinamento, di unaspecifica ipotesi incriminatrice di “omessasorveglianza” in capo agli amministratorinon delegati.

3. A questo proposito bisogna ricordare chela disciplina civilistica di riferimento non hacerto enucleato autonomi poteri impeditivi,pur avendo espressamente introdotto l’impu-gnativa, da parte del consigliere assente o dis-senziente, della delibera consiliare che siacontraria alla legge o allo statuto.

Certo è che l’impugnativa della deliberaconsiliare si rivela strumento potenzialmenteassai efficace, seppur limitato ai casi in cui ladelibera non sia self executing, cioè costituiscasolo un passaggio essenziale di un più com-plesso iter criminoso diretto a realizzarsi com-piutamente in un momento successivo.Almeno nelle ipotesi in cui la delibera colle-giale costituisca il presupposto di un attoesterno, l’impugnazione della delibera può,infatti, operare ex ante e la pronuncia di inva-lidità, o perlomeno un provvedimento caute-lare, può intervenire prima del compimentodell’atto. Gli amministratori possono e de-vono impugnare, quando legittimati, le deli-bere consiliari invalide per impedire ilcompimento di fattispecie di reato.

Sennonché, il d.lgs. n. 6/2003 ha drastica-mente limitato il ricorso al procedimento dicui all’art. 2409 c.c., portando ad un’ulteriorecontrazione dei mezzi esercitabili.

Da un lato, infatti, ha escluso il PubblicoMinistero dalla cerchia dei soggetti legittimatiad attivare il procedimento quando si tratti disocietà che non fanno ricorso al mercato delcapitale di rischio; dall’altro, ha circoscritto ilcontrollo giudiziario ai soli casi di gravi irre-golarità che possono arrecare un danno allasocietà ovvero a una o più società controllate.

Il singolo amministratore potrà attivare ilPubblico Ministero solo nel caso di società conazioni quotate o con azioni diffuse tra il pub-blico in misura rilevante, e solo nel caso di ir-regolarità di gestione capaci di produrre undanno alla società5. Oltre alle iniziative ap-pena analizzate, il consigliere senza delegapuò (e quindi deve) spendersi in consiglio perimpedire l’adozione di una delibera sospetta,far annotare il proprio dissenso nel libro delleadunanze e delle deliberazioni del consiglio,darne immediata notizia al presidente del col-legio sindacale e chiedere al presidente delConsiglio d’Amministrazione la convocazionedello stesso. Come si vede, dunque, l’ammini-stratore, da solo, non può impedire il compi-mento di fatti criminosi, in quanto privo delpotere di adottare individualmente provvedi-menti impeditivi. Il consigliere non esecutivopuò innescare il meccanismo in astratto ido-neo, insieme al verificarsi di altre condizioni,ad impedire la realizzazione di un fatto crimi-noso, ma l’effettivo impedimento dell’eventopresuppone sempre il tramite di almeno unsoggetto terzo.

4. Se il criterio del potere giuridico di im-pedimento rappresenta il faro che deve gui-dare il legislatore nella selezione deglispecifici destinatari cui imputare un altret-tanto specifico obbligo di impedimento, ap-pare incontrovertibile porre l’accento sullaratio del d.lgs. n. 6/20036.

Il primo dato che, ictu oculi, riflette la vo-lontà legislativa è l’eliminazione della normache imponeva agli amministratori deleganti di«vigilare sul generale andamento della ge-stione» (art. 2392 c.c., vecchio testo).

Preme rilevare, innanzi tutto, come la pre-vigente disciplina del codice civile limitasse ilsuo sguardo ai doveri attribuiti agli ammini-stratori, in caso di delega, tralasciando quasi

Page 116: 3 2012

115

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

del tutto l’indicazione dei poteri da essi eser-citabili per far fronte agli immanenti oneri le-gali. Si imponeva loro di vigilare, ma nonvenivano specificate le modalità attraversocui far fronte a tale obbligo.

Proprio l’art. 2392 c.c. avrebbe dovutospingere il legislatore ad elaborare un cata-logo di fattispecie che, per quanto necessa-riamente aperto, avrebbe potuto consentirealla norma di attingere ad un livello accetta-bile di certezza applicativa. Come notato daalcuni, tuttavia, «non solo tale processo vir-tuoso è completamente mancato ma, all’op-posto, la prassi giurisprudenziale si èconsolidata nel senso di utilizzare l’obbligoin discorso per estendere, non sarebbe esage-rato dire indiscriminatamente, la responsabi-lità dei delegati a tutti i componenti delconsiglio»7. Sotto il profilo penale, poi,il risultato di questa situazione di indetermi-natezza circa i poteri-doveri degli ammini-stratori deleganti è stata estremamenteseducente per la giurisprudenza, la quale haquasi sempre imputato, nei fatti, una respon-sabilità “da posizione” degli amministratorideleganti, procedendo alla ricostruzione diun obbligo di vigilanza tale da annullare l’ef-fetto liberatorio della delega ai sensi dell’art.2381 c.c.8: doveri e responsabilità del tuttoesorbitanti dall’ambito sia dei poteri astrat-tamente attribuiti ai deleganti dalla norma-tiva civilistica, sia di quelli concretamenteesercitabili nella vita di una società commer-ciale. Ancora oggi paghiamo lo scotto diun’indeterminatezza che ci lascia in ereditàun’«inquietante alternativa»: o la posizionedi garanzia non è prevista dalla legge, in vio-lazione del principio di riserva di legge inmateria penale, o è invece prevista, ma conintollerabile genericità, in violazione delprincipio di determinatezza.

Se questa elasticità può, tuttavia, risultare

naturale nel nucleo del diritto societario –vista la «congenita impossibilità di assogget-tare questa materia, per il suo carattere fluidoe dinamico, ad una mediazione formale deicontrastanti interessi» – lo stesso non puòdirsi per il diritto penale, nei confronti delquale la regolamentazione attuale non con-sente alcuna certezza, tanto da rappresentare«uno dei casi più clamorosi di creazione giu-diziale delle fattispecie penali»9.

Si può, dunque, sostenere che propriol’eliminazione del generale obbligo di vigi-lanza rappresenti il segnale più importantedel desiderio di cambiamento del legislatore,e di un riconoscimento sempre maggiore delreale contributo esigibile singolarmente dagliamministratori privi di delega. Questa inver-sione della tendenza legislativa - figlia del-l’ammirabile presa di coscienza dellastruttura e del complesso funzionamentodelle moderne società commerciali – ha ilpregio di limitare le derive della responsabi-lità c.d. “collegiale” dei componenti delConsiglio d’Amministrazione mediante unapiù attenta frammentazione dei contributiindividuali.

Rappresenta, inoltre, un indice impor-tante del convincimento del legislatore circala validità del principio secondo il quale laresponsabilità degli organi delegati è benmaggiore rispetto a quella degli organi dele-ganti. Non è tutto: indica, ancora, il coscien-zioso riconoscimento che è proprio sulterreno della normativa societaria che si in-dividuano i poteri e i doveri che delineano leposizioni di garanzia penalmente rilevanti.Proprio l’analisi dei poteri e dei doveri con-cretamente esercitabili risulta preziosa alloscopo: se la legge non impone più agli am-ministratori deleganti di «vigilare», bensì di«valutare»10, se impone loro soltanto di agire«in modo informato»11, se esclude che questi

Page 117: 3 2012

116

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

possano procedere ad atti di ispezione e con-trollo presso le strutture aziendali, se ricono-sce alla delega un certo effetto liberatorio, se,di fatto, limita l’intervento individuale del sin-golo amministratore e se, in definitiva, offre aideleganti armi decisamente «spuntate» per latutela degli interessi in gioco, la conclusioneche se ne trae sembra essere una sola: la leggenon considera gli amministratori privi di de-lega garanti nel senso indicato dall’art. 40 cpv.c.p.12. Si badi bene: non si vuole sostenere che,a conoscenza di atti pregiudizievoli, gli ammi-nistratori deleganti non debbano attivarsiverso la tutela del bene, ma che la formula“quanto potevano” rappresenta il limite natu-rale dell’intervento loro richiesto. In tale limiteva rintracciato il disvalore del loro agire.

5. Il piano dell’elemento soggettivo è quellosu cui emerge la diversità più rilevante fra laresponsabilità civile e la responsabilità penaledegli amministratori privi di delega.

Com’è stato autorevolmente sottolineato13,infatti, se il civilista assume a parametro gene-rale di imputazione soggettiva la colpa, ilmaggior numero dei reati propri che compon-gono il diritto penale societario è di natura do-losa. Ora, i doveri imposti agli amministratorideleganti sono, in primo luogo, doveri di co-noscenza: il loro inadempimento radicale stanella mancata percezione o comprensione diinformazioni e dati il cui apprendimento sa-rebbe stato doveroso ed esigibile alla streguadella diligenza dovuta da tali soggetti.

Diligenza scolpita nell’art. 2381 c.c. che im-pone agli amministratori privi di delegal’onere di un’attività «informata».

Per altro verso, la rappresentazione (cono-scenza o previsione) dell’evento illecito da im-pedire e dei presupposti di fatto che rendonoattuale il dovere di attivarsi per impedirlo, èrequisito essenziale del dolo del reato omis-

sivo improprio. La conseguenza è che fra laviolazione dei doveri di attivazione di cui allalegge civile e la responsabilità penale per de-litto doloso omissivo, non vi è necessaria cor-rispondenza: l’ambito della responsabilitàpenale, infatti, si ritaglia dentro l’ambito dellaresponsabilità civile secondo propri criteri.

Le forti resistenze a cui è andata incontrol’accettazione di un’esclusione del dolo del-l’omesso impedimento, per effetto di inadem-pimenti a monte, ha portato alla propostainterpretativa, avanzata in dottrina, di consi-derare la responsabilità penale degli ammini-stratori come sostanzialmente colposa14.

Il dato empirico si scontra, tuttavia, con ilprincipio generale che individua nel dolo ilcriterio principe di imputazione soggettiva deidelitti, salvo espressa previsione della figuracolposa (art. 42 comma 2, c.p.). La giurispru-denza, di ciò consapevole, ha tenuto fermo ilprincipio della responsabilità per dolo, ma «hacercato di dilatarne il più possibile – al di là diogni accettabile interpretazione dell’art. 43 c.p.– la pratica applicazione»15, specie mediante ilricorso alla figura del «dolo eventuale».

Per evitare di lasciare impunito l’inadem-pimento di doveri fondamentali degli ammi-nistratori, la prassi giudiziaria ha, infatti,adottato un’impostazione rigoristica secondola quale il dolo viene argomentato dall’ina-dempimento dei doveri di vigilanza16.

In particolare, l’avere del tutto trascuratocerte attività, l’assenteismo più o meno totale,il non essersi curati di segnali d’allarme purpercepiti, fonderebbe un addebito di dolo ri-spetto agli illeciti commessi17. L’istituto su cuil’indirizzo rigorista fa leva è quello del «doloeventuale», per tale intendendosi, secondo laformula prevalente in giurisprudenza e larga-mente ricorrente in dottrina, l’accettazione delrischio del verificarsi dell’evento, non voluto maprevisto come possibile18. Si registra, però, la ten-

Page 118: 3 2012

117

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

denza ad interpretare la norma sul dolo, el’istituto del dolo eventuale, in un modo chemolti non hanno esitato a definire «strava-gante». In luogo dell’effettiva rappresenta-zione ed accettazione dell’evento delittuoso,«sembra ci si accontenti della volontarietàdell’inadempimento dei doveri di attiva-zione, considerata tout court quale accetta-zione del rischio di qualsivoglia svilupponegativo»19 o della mancata reazione difronte a riconoscibili segnali d’allarme, indi-pendentemente dal fatto che detti segnalisiano stati effettivamente percepiti e corret-tamente valutati come segnali del possibileaccadimento di un determinato reato20.

Alla necessità del riscontro oltre ogni ra-gionevole dubbio della rappresentazione edella volizione del fatto di reato realizzatodagli organi esecutivi - o accettazione dellaconcreta possibilità che questo si verifichi -la giurisprudenza risponde asserendo la suf-ficienza di mere presunzioni di consapevo-lezza della mala gestio dell’amministratoredelegato, ricavate da una serie di circostanzedi fatto, di «indici rivelatori» del dolo.

Così, capita frequentemente di imbattersiin motivazioni in cui si dà per scontata laconcreta previsione degli effetti pregiudizie-voli delle operazioni poste in essere dagli or-gani delegati per il solo fatto che essiapparivano a tal punto prevedibili da doverliritenere come concretamente previsti.

È come dire che «un criterio meramentestatistico tenta di surrogare il concreto accer-tamento caso per caso, in capo all’ammini-stratore, della previsione dell’effetto dannosodi ogni singola operazione deliberata dalconsiglio»21. L’analisi della giurisprudenzasul tema ha addirittura portato a denunziareil fenomeno del «tramonto del dolo»22 nellagiurisprudenza nostrana. Effettivamente, siassiste ad un paradosso nell’interpretazione

giurisprudenziale di questo criterio: inquanto depotenzia il momento volitivo, la fi-gura del dolo eventuale dovrebbe condurrea valorizzare il momento rappresentativo; in-vece, in siffatte applicazioni giurispruden-ziali, si finisce per vanificare proprio ilmomento rappresentativo, cui si sottrae l’og-getto suo proprio. «Rinculando sull’antefattodella potenzialità allo stato puro, la rappresenta-zione si diluisce, riversandosi su di una serie in-definita di eventualità giuridicamente negative:si riduce a prospettazione senza contorni né con-fini»23. Così, ad esempio, al semplice consi-gliere d’amministrazione si impresta laconsapevolezza che i delegati possano com-mettere abusi rappresentati solo nel genusdell’etichettatura giuspenalistica, accanto-nando come superfluo ogni specifico innestofattuale. «L’oggetto della rappresentazione,nello straripare, si disperde: svanisce l’og-getto del dolo tout court e così, in definitiva,si riveste la colpa delle mentite spoglie deldolo»24. Nell’opera di ricostruzione del fattostorico, questo deve potersi dire previsto evoluto non come «silhouette incolore», manella sua «concretezza esistenziale»25, neitratti che ne esprimono il disvalore attuale.

I tanto richiamati «segnali d’allarme»,inoltre, assumono valore indiziante solo inquanto effettivamente ed adeguatamentepercepiti, e intesi nella loro attitudine evoca-tiva. E l’allarme, per essere apprezzato cometale, deve profilarsi in termini abbastanzaunivoci da indirizzare la reazione impedi-tiva26. Se è vero che l’affidamento informa-tivo dell’amministratore privo di delega allerelazioni stilate dall’organo delegato nonpuò ammettere cieca rinuncia alle personalifacoltà critiche, o al corredo di competenzaprofessionale, è altrettanto vero che occorreper l’accusa la dimostrazione della presenzadi segnali «perspicui e peculiari» in relazione

Page 119: 3 2012

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

118

all’evento illecito, nonché l’accertamento delgrado di anomalia di questi sintomi, non inlinea assoluta, ma per l’amministratore nonoperativo. Del resto, «l’addurre a sostegnodella tesi accusatoria la consapevole approva-zione di ogni iniziativa della dirigenza, è deltutto logicamente inconcludente»27.

Analogamente, la considerazione che al-cuni aspetti illeciti erano «palesemente rileva-bili», o che una certa situazione era benconosciuta o conoscibile, non rappresentano«passaggi idonei ad approdare a qualche con-gruente giustificazione argomentata»: di solitoi nostri giudici non si curano di verificare seogni singolo amministratore fosse, al mo-mento del fatto, effettivamente in dolo rispettoall’evento criminoso.

A chiedersi il motivo del ricorso giurispru-denziale a tali stratagemmi probatori si puòrispondere che la ragione si trova nella diabo-lica prova del dolo nei reati omissivi e, a mag-gior ragione, del dolo eventuale: a parte laconstatazione che la maggior parte dei reatisocietari sono connotati da specificità dellecondotte, ovvero da specificità del dolo, solodi rado sarà possibile provare un’omissioneconsapevole del genere. È proprio al fine direndere più aderente alla realtà il compito delcontrollo di amministratori e di sindaci che ilcodice civile aveva, appunto, previsto all’art.2392 (vecchio testo) un obbligo di vigilanzasull’andamento della gestione che avrebbeconsentito di venire a conoscenza del compi-mento di reati. L’eliminazione, in sede di ri-forma, di detto obbligo rappresenta, quindi,un indice fondamentale dell’invertita ten-denza di valorizzare il profilo dell’esigibilità.Tuttavia, anche se lo si volesse riesumare nelladisciplina attuale, la violazione dell’obbligo divigilanza darebbe vita ad un’omissione col-posa, che sul piano penalistico potrà essere va-lorizzata solo mediante l’espressa previsione

di una fattispecie colposa ancorata ai criteri dipersonalità e proporzione di pena rispetto alreale disvalore del fatto.

NOTE

1 Per uno sguardo alla sola alla letteratura italiana si ve-dano: E.M. AMBROSETTI – E. MEZZETTI – M. RONCO, Dirittopenale dell’impresa, Bologna, 2008; F. ANTOLISEI, L’obbligo giu-ridico di impedire l’evento, in Riv. it., 1936, 121; L. BISORI,L’omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e nella giu-risprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1368; G.FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano,1979; A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penaledell’impresa, Firenze, 1985; F. GIUNTA, La posizione di garanzianel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen eproc., 1999, 620; G. GRASSO, Il reato omissivo improprio. Lastruttura della fattispecie, Milano, 1983; N. PISANI, Controllisindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano,2003; L. RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di ma-nifestazione del reato: contributo ad una teoria delle clausole ge-nerali di incriminazione suppletiva, Milano, 2001; F. SGUBBI,Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Pa-dova, 1975; F. STELLA – D. PULITANò, La responsabilità penaledei sindaci di società per azioni, in Riv. trim. dir. pen. econ.,1990, 553.2 Utilizza tale approccio ricostruttivo F. MANTOVANI, L’ob-bligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, disolidarietà, di libertà e di responsabilità personale, in Riv. it. dir.e proc. pen., 2001, 337.3 Sul punto si veda A. FIORELLA, I principi generali del dirittopenale d’impresa, in L. CONTI (a cura di), Il diritto penale del-l’impresa, Padova, 2001, 18.4 Per una trattazione dei singoli obblighi di garanzia si ri-manda a I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanziae obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, passim.5 BARACCHINI, La gestione delegata nelle società per azioni, Mi-lano, 2006. Cfr., sul punto, G.F. CAMPOBASSO, Diritto com-merciale 2. Diritto delle società (curata da M. Campobasso),Torino, 2006; F. CENTONZE, Gli scandali finanziari e la respon-sabilità degli amministratori non esecutivi. I limiti dell’inter-vento penalistico e le indicazioni del modello statunitense, inScritti per Federico Stella, Napoli, 2007, 1053; J.K. GALBRAITH,The economics of innocent fraud. Truth for our time, Boston –New York, 2004, trad. it., L’economia della truffa, Milano,2004; M. IRRERA, Le delibere del consiglio d’amministrazione.Vizi e strumenti di tutela, Milano, 2000; P. MONTALENTI, Laresponsabilità degli amministratori nell’impresa globalizzata, inAA. VV., Mercati finanziari e sistema dei controlli, Milano,2005, 442; M. STELLA RICHTER JR, Gli amministratori non ese-

Page 120: 3 2012

119

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

cutivi nell’esperienza italiana, in Banca impresa soc., 2005, 163.6 Si veda, in proposito, A. CRESPI, Note minime sulla posizionedi garanzia dell’amministratoredelegante nella riforma introdotta dal d.lgs. 6/2003, in Riv. soc.,2009, 1423.7 Così P. ABBADESSA, Profili topici della nuova disciplina delladelega amministrativa, in P. ABBADESSA – G. B. PORTALE, (di-retto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum GianFranco Campobasso, II, Torino, 2006, 500; nonché V. BUONO-CORE, Le nuove forme di amministrazione nelle società di capitalinon quotate, in Giur. comm., 2003, 12.8 In questi termini A. ALESSANDRI, Parte generale, in C. PE-DRAZZI – A. ALESSANDRI – L. FOFFANI – S. SEMINARA – G. SPA-GNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 2000,89.9 Così F. CENTONZE, Il concorso mediante omissione degli am-ministratori senza delega nei reati posti in essere dagli ammini-stratori delegati, in Riv. soc., 2007, 742.10 Si veda Cass. Pen., Sez. V, 22 settembre 2009, n. 36595,con commento di P. CHIARAVIGLIO, La responsabilità dell’am-ministratore delegante fra «agire informato» e poteri di impedi-mento, in Le Società, 2010, 886; nonché, Cass. pen., Sez. V, 9dicembre 2008, n. 45513, con commento di F. CERQUA, Laposizione di garanzia degli amministratori: brevi riflessioni, ivi,

2009, 1305.11 Si veda P. MORANDI, sub art. 2381, in Il nuovo diritto dellesocietà, a cura di A. Maffei Alberti, I, Padova, 2005, 684. Cfr.,inoltre, M. MARULLI, La delega gestoria tra regole di corporategovernance e diritto societario riformato, in Giur. comm., 2005,100; M. SPIOTTA, sub art. 2392, in G. COTTINO - G. BONFANTE

- O. CAGNASSO – P. MONTALENTI (a cura di), Il nuovo dirittosocietario, Bologna, 2004, 774.12 Nel senso di una semplice “restrizione”, e non “estin-zione”, della posizione di garanzia, dopo la riforma del di-ritto societario, si veda Trib. Napoli, Sez. V., 8 aprile 2004,n. 3500, inedita.13 F. STELLA – D. PULITANò, La responsabilità penale dei sindacidi società per azioni, cit., 567.14 Si veda A. CRESPI, Reato plurisoggettivo e amministrazionepluripersonale della società per azioni, in Riv. it. dir. e proc. pen.,1957, 518.15 F. STELLA – D. PULITANò, La responsabilità penale dei sindacidi società per azioni, cit., 568.16 Per uno sguardo sulla giurisprudenza si consulti, tra lealtre, Cass. pen., Sez. V, 28 aprile 2009, in Giust. pen., 2010,78; Cass. pen., Sez. IV, 23 settembre 2009, in Giust. pen.2010, 307; Trib. Milano, Sez. II, 16 maggio 2007, n. 12487,inedita, 3; Cass. pen., Sez. V, 24 maggio 2006, n. 36764, Rv.

Page 121: 3 2012

120

Il p

unto

del

la q

uest

ion

e

234607; Cass. pen., 5 gennaio 2006, n. 5, inedita; Cass. pen.,Sez. V, 24 maggio 2005, n. 19509, in Riv. dott. comm., 2005,925, con nota di L. TROYER, Brevi osservazioni in merito al-l’evoluzione giurisprudenziale in tema di concorso omissivo degliamministratori senza delega nel reato di bancarotta fraudolenta;Cass. pen., Sez. V, 12 dicembre 2005, n. 853, in Cass. pen.,2007, 4701; Trib. Napoli, Sez. V, 8 aprile 2004, n. 3500, cit.;Cass. pen., 29 agosto 2003, n. 12696, inedita; Cass. pen., 5febbraio 1998, in Riv trim. dir. pen. econ., 2001, 208; Cass.,Sez. IV, 21 maggio 1998, in Cass. pen., 2000, 10; Corted’App. Milano, Sez. II, 10 giugno 1996, in Riv trim. dir. pen.econ., 1998, 594; Trib. Milano, 16 aprile 1992, in A. CRESPI,Rassegna di diritto societario: disposizioni penali in tema di so-cietà e consorzi, in Riv. soc., 1994, 1076, nonché Corte d’App.Milano, 16 giugno 1996, ivi, 274; Trib. Milano, 3 luglio 1991e Sez. Istr. Corte d’App. Milano, 16 giugno 1996, ivi, 550.17 «Anche in questo settore assistiamo ad un fenomenopreoccupante: la tendenza a confondere a tal punto lacolpa con il dolo, da rendere possibili condanne penali apene elevatissime per interi consigli di amministrazione eper interi collegi sindacali, tutti accusati di non aver coltoi segnali d’allarme provenienti dal concreto modus ope-randi delle società e di non essere, quindi, intervenuti perimpedire la commissione di illeciti». In questi termini, F.STELLA, Criminalità di impresa: nuovi modelli di intervento, inRiv. it. dir. proc. pen., 1999, 1259. L’A., inoltre, richiama l’esi-genza che ognuno risponda per ciò che volontariamente fa,e di non confondere il piano dell’essere (quello del dolo)con il piano del dover essere (quello della colpa). Cfr., inol-tre, G. MARINUCCI, Diritto penale d’impresa: il futuro è già co-minciato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1465.18 Così G. A. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente,in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 113. Cfr., inoltre, S. CANE-STRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo ecolpa nella struttura delle tipologie delittuose, Milano, 1999,258; G. CERQUETTI, La rappresentazione e la volontà dell’eventonel dolo, Torino, 2004, 324; L. EUSEBI, In tema di accertamentodel dolo: confusioni tra dolo e colpa, in Riv. it. dir. proc. pen,1987, 1064; ID. Appunti sul confine tra dolo e colpa nella teoriadel reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1053; C. PEDRAZZI,Tramonto del dolo?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1266; S.PROSDOCIMI, Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella strutturadelle fattispecie penali, Milano, 1993.19 F. STELLA – D. PULITANò, La responsabilità penale dei sindacidi società per azioni, cit., 570.20 In senso contrario, si confronti, però, Cass. pen., Sez. V,

22 settembre 2009, n. 36595, cit.: «si può, pertanto, affer-mare, alla luce della elaborazione giurisprudenziale in ma-teria di art. 40 cpv. c.p., che per perseguire le condotte diamministratori non operativi e di sindaci è necessaria laprecisa rappresentazione dell’evento nella sua portata il-lecita e la omissione consapevole nell’impedirlo».21 A. CRESPI, La giustizia penale nei confronti dei membri degliorgani collegiali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1157.22 C. PEDRAZZI, Tramonto del dolo?, cit. Di recente, cfr. R. ZAN-NOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2008.23 C. PEDRAZZI, op ult. cit., 1265.24 C. PEDRAZZI, op. ult. cit., 1267.25 C. PEDRAZZI, op. ult. cit., 1277. Condividono le opinioniappena espresse, tra gli altri, S. CANESTRARI, Dolo eventualee colpa cosciente, cit., 262, il quale sottolinea come nella giu-risprudenza sia ricorrente la tendenza ad assimilare allafigura del dolus eventualis semplici inadempimenti di do-veri di conoscenza e ad adottare drastiche semplificazioniche dalla mera esistenza di indici di rischio inferiscono undolus ex re o in re ipsa; L. EUSEBI, In tema di accertamento deldolo, cit., 1067, il quale rileva come nella sentenza sul casoAmbrosiano i giudici, esclusa qualsiasi considerazione inmerito alla volontà, risolvono in termini puramente pre-suntivi la stessa indagine sulla rappresentazione dell’ille-cito, evitando del tutto di spiegare se l’imputato abbiaeffettivamente acquisito gli elementi di sospetto che avreb-bero dovuto motivare il suo attivarsi; la prova del dolo sa-rebbe condotta, in tal modo, sulla base di una inaccettabilededuzione di conoscenza da un dovere di conoscenza.26 «L’allarme ambiguo genererà nel garante soltanto unonere preliminare di approfondimento, di indagine e in-terpello, la cui inosservanza recherebbe le stimmate dellanegligenza e quindi della colpa in ordine all’evento che neconsegua». In questi termini, C. PEDRAZZI, op. ult. cit., 1278.27 Cass. pen., Sez. V, 19 giugno 2007, n. 23838, in Le Società,2008, 901, con nota di D. PULITANò. A commento della me-desima sentenza v., fra gli altri, F. CENTONZE, La Supremacorte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli ammini-stratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, inCass. pen., 2008, 109; E. GARAVAGLIA, Posizione di garanziapropria degli amministratori e obbligo di impedire i reati, in Giur.comm., 2009, 455; R. BRICHETTI, Un obbligo di garanzia «leg-gero» che pone numerosi interrogativi, in Guida dir., 2007, 35;R. SACCHI, Amministratori deleganti e dovere di agire in modoinformato, in Giur. comm., 2008, 377.